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Marcello D’Olivo, l’inventore di Lignano: il 24 agosto ricorreranno i 25 anni della morte del grande architetto friulano. La spirale di Pineta è la summa della sua visione della felicità nell’abitare la natura. “Un irregolare” nel panorama architettonico del secondo dopoguerra: così Guido Zucconi curatore della monografia dedicata a Marcello D’Olivo nel 1998 definiva il percorso dell’architetto friulano , protagonista “appartato” ma certamente non un comprimario, come hanno dimostrato gli studi e le ricerche condotte da Paolo Nicoloso e Ferruccio Luppi curatori della mostra tenutasi a Udine nel 2002. Con la definizione di “architetto contadino “ Bruno Zevi nel 1957 contribuisce a creare il mito della personalità di D’Olivo la cui “passione per l’architettura era di natura primordiale, istintiva, era un bisogno fisico, atavico di costruire, un’energia prorompente e irta di rozzezze”. Il ritratto del protagonista è coerente agli edifici del Villaggio del fanciullo di Trieste , l’opera che lo porta all’attenzione della critica nazionale: i pilastri, le travi e gli arditi sbalzi delle strutture in calcestruzzo armato fanno conoscere un progettista che coniuga ingegneria e architettura, cosicché la forma si genera dal calcolo e dalla geometria, due discipline che D’Olivo praticava con interesse e competenza, insieme alla passione per la pittura. I suoi poliedrici interessi e l’orgogliosa affermazione di considerarsi un costruttore e non un intellettuale, gli guadagnarono la stima di un raffinato uomo di cultura quale Leonardo Sinisgalli, l’ingegnere poeta che aveva iniziato il suo originale percorso tra scienza, arte e tecnica negli anni Trenta con Adriano Olivetti e negli anni Cinquanta aveva avviato la singolare iniziativa della rivista “Civiltà delle Macchine”. Se l’ammirazione e l’interesse per l’opera di Frank Lloyd Wright sono ben riconoscibili nelle opere di D’Olivo, tanto da annoverarlo tra i protagonisti dell’architettura organica in Italia, parimenti va ricordata l’attrazione per l’opera di Pier Luigi Nervi, soprattutto la “lezione della docilità del cemento armato”, un materiale molto apprezzato dall’architetto friulano. Nel 1954 D’Olivo conduce Sinisgalli a visitare il cantiere della nuova città “che sta sorgendo tra gli alberi e le acque”, dove può ammirare l’insolita forma a spirale che rende Lignano Pineta un caso di rilevanza internazionale. Nel suo ideale dialogo a distanza con il maestro americano D’Olivo avrà fatto tesoro del contemporaneo progetto per il museo Guggenheim a New York dove la rampa a spirale crea lo straordinario spazio interno, ma a differenza di Wright che ha utilizzato la spirale soltanto nell’architettura, D’Olivo la impiega a scala urbanistica creando una monumentale opera di Land Art che rilegge in chiave contemporanea le Linee di Nazca. Ma considerare Lignano Pineta soltanto sotto il profilo urbanistico risulta fuorviante dato che D’Olivo progettò molti altri edifici a cominciare dal celebre Treno oltre a ville private , Mainardis, Spezzotti, Sinisgalli e altre rimaste sulla carta. Altrettanto icastico è il fronte convesso dell’hotel Gusmay a Manacore sul Gargano al quale si contrappone la concavità dello Zipser a Grado. Curve, sinusoidi ellissi parabole e spirali che spesso contraddistinguono la progettazione urbanistica di D’Olivo non rispondono a una logica di figurazione o alla sensibilità estetizzante del progettista, piuttosto sono il risultato dell’applicazione delle equazioni trigonometriche che generano linee curve. Ogni segno va ricondotto a una dimensione matematica che nulla lascia all’arbitrio, anche se agli occhi dei critici tante proposte di D’Olivo venivano liquidate come apprezzabili sul piano artistico ma non realizzabili in base alla normativa e alla disciplina urbanistica. Meriterebbe ulteriori approfondimenti e ricerche il capitolo delle opere realizzate in Africa, note grazie ai disegni dell’archivio D’Olivo conservati presso i Civici Musei di Udine, dove sono soprattutto i progetti urbanistici a costituire la parte più significativa. L’Africa permette a D’Olivo di mettere a fuoco la necessità di far convivere natura e tecnologia e dall’osservatorio privilegiato di un continente dove gli equilibri naturali sono ancora fattore dominante, l’architetto percepisce la drammaticità dell’inquinamento e del degrado ambientale. Tale è l’urgenza di questi argomenti che D’Olivo superata la ritrosia per la teoria pubblica “Discorso per un’altra architettura” nel 1972 dove la riflessione scritta è accompagnata da una meravigliosa serie di disegni. La riflessione prosegue con “Ecotown Ecoway utopia ragionata (con Piero Mainardis de Campo) dove D’Olivo si propone di realizzare la sua città ideale nella quale “fantasia e logica confluiscono nella progettazione…Il movente è sempre identico: attraverso l’architettura migliorare la qualità della vita dell’uomo”. La vitale creatività di Marcello D’Olivo quando non espressa nelle opere realizzate si è riversata sui disegni e i progetti, la sua incontenibile passione per l’utopia è il prezioso dono che ci ha trasmesso e del quale gli saremo sempre grati. Diana Barillari “Messaggero Veneto” 23.8.2016