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CIVILTà ROMANA
Rivista pluridisciplinare di studi su Roma antica
e le sue interpretazioni
III – 2016
Edizioni Quasar
Diretore scientiico
Anna Maria Liberati
Comitato scientiico internazionale
Joshua Arthurs • West Virginia University, Morgantown
Silvana Balbi de Caro • Bolletino di Numismatica, MiBACT, Roma – Museo della Zecca di Roma, IPZS
Gino Bandelli • Università degli Studi di Trieste
Marcello Barbanera • “Sapienza” Università di Roma
Mihai Bărbulescu • Universitatea Babeş Bolyai, Cluj-Napoca – Accademia di Romania in Roma
Giovanni Brizzi • “Alma Mater Studiorum” Università di Bologna
Franco Cardini • Istituto di Scienze Umane e Sociali, Scuola Normale Superiore, Pisa
Maddalena Carli • Università degli Studi di Teramo
Juan Carlos D’Amico • Université de Caen Basse-Normandie
Lucietta Di Paola Lo Castro • Università degli Studi di Messina
Maurilio Felici • LUMSA, Palermo
Philippe Fleury • Université de Caen Basse-Normandie
Oliver Gilkes • University of East Anglia, Norwich
Anna Pasqualini • Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Giuseppina Pisani Sartorio • Pontiicia Accademia Romana di Archeologia, Roma
Isabel Rodà de Llanza • Universitat Autònoma de Barcelona – ICAC, Tarragona
Friedemann Scriba • “Hermann Hesse” Oberschule, Berlin
Paolo Sommella • “Sapienza” Università di Roma – Istituto Nazionale di Studi Romani, Roma
Heinz Sproll • Universität Augsburg
Coordinamento editoriale: Teresa Silverio
Editing: CIVILTà ROMANA. Rivista pluridisciplinare di studi su Roma antica e le sue interpretazioni
Via Salaria 1495/U, B6, 00138 Roma – tel./fax 068887304 – email: rivistaciviltaromana@gmail.com
his is a peer-reviewed Journal
CIVILTà ROMANA
Rivista pluridisciplinare di studi su Roma antica e le sue interpretazioni
Diretore responsabile: Enrico Silverio
Proprietario: Anna Maria Liberati
Registrazione Tribunale Ordinario di Roma n. 265 del 27 novembre 2014
ISSN 2421-342X
© Roma 2017 Anna Maria Liberati
Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l.
via Ajaccio 41-43, 00198 Roma
tel. 0685358444, fax 0685833591
email: info@edizioniquasar.it
Finito di stampare nel mese di aprile 2017
Nessuna parte del presente volume può essere riprodota senza preventivo permesso scrito degli aventi dirito
Sommario
Presentazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
V
VII
Heinz Sproll, Aitiologische Narrative Vergils (70-19 v. Chr.) um die Res publica restituta des
Augustus (63 v. Chr. - 14 n. Chr.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
Sergio Rinaldi Tufi, Marocco antico. Dai re dei Mauri alla provincia romana di Mauretania
Tingitana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13
Alessandro Pergoli Campanelli, Conservazione, tutela e restauro delle antichità:
Cassiodoro e l’inizio dell’era moderna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
33
Juan Carlos D’Amico, La rivolta di Cola di Rienzo: dalla Roma vidua alla Roma caput mundi
47
Enrico Silverio, Divus Augustus pater. Augusto, Roma, l’Italia e l’Impero nel Cinquantenario
del Regno d’Italia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
75
Flavia Marcello, All Roads Lead to Rome: the Universality of the Roman Ideal in Achille Funi’s
incomplete resco cycle for the Palazzo dei Congressi in EUR, 1940-43 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151
Martin M. Winkler, Imperial Roman Architecture Made in Hollywood . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179
Per il novantesimo anniversario dell’istituzione del Museo dell’Impero Romano
Anna Maria Liberati, Il Museo dell’Impero Romano. La genesi, l’istituzione, lo sviluppo, la sorte 203
Friedemann Scriba, La romanizzazione dell’antichità nel Museo dell’Impero (1927-1939).
Una tappa tra l’interpretazione nazionalista di materiali archeologici e la messa in scena olistica
in senso fascista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279
Letizia Lanzetta, Momenti di vita del Museo dell’Impero Romano nelle carte d’archivio dell’Istituto
Nazionale di Studi Romani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303
Enrico Silverio, 21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa
quotidiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 329
Abstracts . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 361
Notiziario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 369
21 aprile 1927:
l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano
nella stampa quotidiana
Studiare Roma per «trovarne norme e eccitamento a rinnovare i fasti dell’antica grandezza»
Lo scopo di questo contributo è quello di delineare in che modo l’idea di Roma propria del
Museo dell’Impero Romano sia stata presentata al pubblico atraverso la stampa quotidiana
in occasione dell’inaugurazione dell’Istituzione il 21 aprile 1927 e nei mesi immediatamente
seguenti1. Il tema della rappresentazione del Museo e della sua idea di Roma in un mezzo di
comunicazione quale i quotidiani della seconda metà degli anni Venti presenta un particolare
motivo di interesse, perché il Museo nasceva all’interno di un momento storico-politico caratterizzato dal sorgere e dall’afermarsi di un partito unico di massa e nel quale inoltre una precisa distinzione tra l’impegno scientiico e quello ideale ed ideologico appariva a trati molto
sfumata. Il Museo poi, in quanto erede della Mostra Archeologica del 1911, si conigura oggi,
a novant’anni dalla sua istituzione, come testimone e protagonista dei cambiamenti avvenuti
in Italia a partire da quell’anno e dopo la guerra italo-turca e la prima guerra mondiale2.
1
Per quanto a conoscenza di chi scrive, l’unico ad aver dedicato atenzione all’eco dell’inaugurazione del Museo dell’Impero
Romano nella stampa è stato Vitorio Bracco, all’interno della sezione dedicata all’anno 1927 del regesto cronologico contenuto
nel suo volume sull’archeologia italiana negli anni del regime. Vd. V. Bracco, L’archeologia del regime, prefazione di M. Pallotino,
Roma 1983, p. 145: «Ideato da Giulio Quirino Giglioli e istituito con deliberazione presa dal Governatorato il 21 agosto 1926,
viene inaugurato, il 21 aprile, nella sede provvisoria dell’ex Convento di Sant’Ambrogio, il MUSEO DELL’IMPERO ROMANO,
alla presenza, oltre che delle autorità politiche, ‘di tuto il mondo scientiico e intelletuale di Roma’, in seno al quale spicca il
venerando Senatore Lanciani; ed è questa una delle ultime cerimonie a cui intervenga, ‘prima di chiudere la sua operosa vita’. La
stampa italiana, con articoli di Margherita Sarfati nel Popolo d’Italia, di Pericle Ducati sul Resto del Carlino e del Bacchiani per il
Giornale d’Italia, è prodiga di consensi all’istituzione. Due anni dopo, nel ’29, il Giglioli stamperà il catalogo: […]». Su V. Bracco
(1929-2012), che fu allievo di Amedeo Maiuri, vd. M. Mello, Vitorio Bracco, un umanista (1929-2012), in «Rassegna Storica
Salernitana», n.s. XXX (XLIX), (2013), 1, pp. 145-157. Nel brano sopra trascrito, Bracco è tutavia in errore circa il Catalogo
del Museo, che egli ritiene stampato nel 1929, cioè nell’anno in cui l’Istituzione si trasferì in piazza Bocca della Verità. Infati nel
1927 venne dato alle stampe un Catalogo riferito proprio all’allestimento nell’ex convento di S. Ambrogio di cui si dirà inra e che
venne citato anche da Ducati nel suo articolo. Il Catalogo del 1927 non dovete comunque mai avere una difusione pari a quello
del 1929, come si evince anche dalla deliberazione del governatore di Roma n. 4691 del 25 luglio 1931, Vecchio catalogo del Museo
dell’Impero, consultabile presso l’Archivio Storico Capitolino, raccolta delle deliberazioni del governatore di Roma. Nel brano più
sopra trascrito, la fonte di Bracco pare essere peraltro lo stesso G.Q. Giglioli nell’Introduzione al Catalogo del 1929: «La stampa
italiana, con articoli di Margherita Sarfati nel Popolo d’Italia, di Pericle Ducati nel Resto del Carlino, di A. Bacchiani sul Giornale
d’Italia, e varî altri ancora e la stampa estera largamente furono prodighi di consenso all’istituzione, che fu poi onorata di una
lunga visita di S.M. il Re e di pregevoli doni di S.E. il Capo del Governo». Vd. G.Q. Giglioli, Introduzione, in Museo dell’Impero
Romano. Catalogo, a cura di G.Q. Giglioli, Roma 1929, pp. VII-XV (XII, da cui provengono anche le citazioni testuali di Bracco
relative alle personalità intervenute all’inaugurazione ed in particolare a Lanciani).
2
I cambiamenti portati dalla guerra italo-turca possono registrarsi già atraverso le pagine della rassegna delle celebrazioni del
1911: vd. ad esempio Uriel (= U. Fleres), Tripoli italiana; R. Paribeni, La Tripolitania e l’esposizione di Roma; Anonimo, In
tema di Tripolitania; U. Fleres, Aquila ferita; G.L. Ferri, L’Arica romana, tuti in «Roma. Rassegna illustrata della esposizione del
1911. Uiciale per gli ati del Comitato esecutivo. Arte Archeologia Etnograia Storia», rispetivamente II (1911), 19, p. 1, pp. 2-5,
p. 18; 20, pp. 7-9; 23-24, pp. 2-3. Vd. anche E. Lavalle - La Direzione, L’arco e le statue romane di Tripoli, in «Roma. Rassegna
illustrata», III (1912), 3, pp. 54-57. In entrambi i casi si trata sempre dello stesso periodico, il cui sototitolo variò dopo la chiusura
delle feste cinquantenarie del 1911. Il sototitolo della rassegna «Roma» presenta delle lievi modiiche anche tra gli anni 1910
e 1911. Per le relative citazioni ho fato riferimento ai dati riportati sulla copertina del primo fascicolo della prima annualità.
330
Enrico Silverio
In efeti il Museo dell’Impero era l’erede dell’idea di Roma proposta al grande pubblico
durante i festeggiamenti per il Cinquantenario del Regno atraverso le Sezioni che componevano la Mostra Archeologica allestita nelle Terme di Diocleziano, tesa ad illustrare la
superiorità della civiltà romana antica che in qualche modo – essendo la storia di Roma
considerata parte integrante e fondamentale di quella della Patria da poco riuniicata – si
riverberava sullo stesso Regno d’Italia almeno in termini di benevola superiorità spirituale
sulle altre nazioni. Sono rilevanti in tal senso sopratuto alcune delle parole pronunciate da
Rodolfo Lanciani3, all’epoca diretore della Mostra coadiuvato da un ancor giovane Giulio
Q. Giglioli4, durante l’inaugurazione dell’esposizione. In esse l’appropriazione in chiave italiana delle realizzazioni della grandezza romana è palese5:
Da questa parte della Esposizione apparirà come tuti questi paesi, che già furono antiche
nostre provincie, siano ancora governati dalle leggi romane, e come i loro abitanti batano
ancora le strade da noi costruite, valichino i monti atraverso i passi da noi aperti, i iumi per
via dei ponti da noi getati, bevano le acque da noi allacciate, cerchino salute nelle sorgenti
che tutora alimentano le terme da noi costruite, e trovino rifugio pei loro navigli, sia in pace
sia in guerra, nei porti da noi fondati.
Proprio nel 1911 aveva inizio la guerra italo-turca, che avviava la stagione del colonialismo all’insegna di una «missione civilizzatrice, che incombeva come dovere storico sull’Italia erede di Roma e sede eleta della cristianità»6. Fu in questo periodo che l’idea di nazione, abbandonando il binomio risorgimentale “patria-libertà” andò coagulandosi atorno
al nuovo rapporto “potenza-espansione”. Per questo, nel decennio 1912-1922 venne aumentando la misura del conlito ormai più che annoso tra l’Italia “reale” e l’Italia “legale”,
cioè monarchico-liberale. Su questo sfondo e nel quadro di fenomeni inediti e dirompenti
come la società di massa, l’industrializzazione, l’ideologizzazione della nazione, il mito dello Stato nuovo e della ricerca della modernità, e sullo sfondo inoltre della Grande Guerra,
della “vitoria mutilata”, della Rivoluzione d’Otobre, del “biennio rosso” e dell’impresa di
Fiume, fu inine proprio il Fascismo a fondare su Roma una “rivoluzione antropologica” che
avrebbe dovuto condurre alla trasformazione degli Italiani nei “Romani della modernità”
ed alla instaurazione di una nuova “civiltà imperiale”7.
G.Q. Giglioli, uiciale del Regio Esercito durante la guerra, aderente all’Associazione
Nazionalista Italiana sino dal 1910, era nel fratempo divenuto docente universitario ed inoltre,
nell’ambito dell’amministrazione della cità di Roma, era stato nominato dapprima assessore del
Comune ed in seguito retore della II Ripartizione del nuovo Governatorato, cioè vertice della
strutura che, all’epoca, riuniva in sé il setore del Patrimonio e quello delle Antichità e Belle Arti8.
3
Su Rodolfo Lanciani vd. D. Palombi, Rodolfo Lanciani. L’archeologia a Roma tra Otocento e Novecento, Roma 2006.
Su G.Q. Giglioli vd. M. Barbanera, s.v. Giglioli, Giulio Quirino, in «Dizionario Biograico degli Italiani», LIV, Roma 2000,
pp. 707-711 ed ora anche il contributo di F. Scriba in questo volume.
5
R. Lanciani, Introduzione, in [G.Q. Giglioli], Catalogo della Mostra Archeologica nelle Terme di Diocleziano, Bergamo 1911, pp. 5-11
(10). Cfr. G.Q. Giglioli, La Mostra Archeologica alle Terme di Diocleziano, estrato da «Nuova Antologia», 16 aprile 1911, pp. 3-5.
6
E. Gentile, La Grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Milano 1997, p. 74, corsivo nel testo originale.
7
Ibidem, pp. 147-225.
8
Cfr. il saggio di F. Scriba in questo volume.
4
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 331
Fu in questo ambiente, nel quadro cioè di un’«Italia nuova»9 ma anche in sostanziale e
sempre esplicitata continuità con l’esperienza – in tal senso avvertita come precorritrice – del
1911, che Giglioli riuscì a materializzare la stabilizzazione della Mostra Archeologica nelle
Terme di Diocleziano, progetata appunto almeno già dal 191110.
Per comprendere l’idea di Roma posta alla base del Museo dell’Impero, nonché per osservare come essa fosse presentata al pubblico sulla stampa quotidiana ed inine per cogliere
la continuità con il passato ed allo stesso tempo gli elementi di novità introdoti dal Fascismo
– gli uni e gli altri evidenziati anch’essi dalla stampa quotidiana –, consistenti in una consapevole atualizzazione della “romanità” ed in una sua proiezione verso il futuro, è allora quantomai utile consultare la relazione contenuta nella deliberazione del governatore di Roma del
21 agosto 1926 istitutiva del Museo, che venne predisposta dallo stesso Giglioli11:
La risorta coscienza nazionale, lo spirito che il fascismo ha infuso negli Italiani, hanno
portato come naturale conseguenza un ritorno entusiasta al culto della romanità. Come le
nuove schiere della Milizia si sono ordinate, per volere del Duce, con metodi e nomi degli
antichi legionari, così lo studio dei monumenti e della storia antica appassiona con rinnovato
ardore non solo pochi specialisti, qualche animo di sognatore, ma la totalità della popolazione. Di qui le rinnovate ricerche archeologiche e le somme cospicue che Governo ed Enti
pubblici, primo dei quali il Governatorato di Roma, vi hanno consacrato. Ma c’è tuto un lato
e il più importante della romanità che atende ancora di essere reso accessibile agli studiosi e
al popolo: la missione imperiale di Roma antica12.
Segue un rapido confronto tra Grecia, Gerusalemme e nazioni moderne teso a provare
come speti a Roma un ruolo di prevalenza in ragione della bontà, eicacia direta ed indireta, e durata dei suoi ordinamenti. Un conceto, non solo nella sua essenza ma anche nello
svolgersi delle argomentazioni ate a sostenerlo, pressoché identico quello espresso da R.
Lanciani già nel 191113:
9
L’espressione ricorre testualmente in numerose pubblicazioni d’epoca. Per limitarsi ad una di quelle qui prese in considerazione,
vd. ad esempio le ultime righe di P. Ducati, Il Museo dell’Impero, in «Il Resto del Carlino», Bologna, 8 gennaio 1928, p. 1.
10
Per alcune delle linee di continuità tra Mostra Archeologica e Museo dell’Impero Romano, e segnatamente per quelle che
riguardano la recezione di Augusto e dell’Impero, rinvio all’altro mio contributo nel presente volume. Si trata peraltro di
linee che, insieme con quella relativa alla Chiesa catolica esplicitatasi dopo il 1929, sono destinate a ritrovarsi in ben diverse
temperie politiche anche nel Museo della Civiltà Romana inaugurato nel 1952-’55. L’esistenza di tali linee di continuità legate
ad Augusto, ad una letura dell’Impero in chiave decisamente positiva ed inine alla Chiesa di Roma come prosecutrice del
disegno imperiale sul piano spirituale, inducono a riletere sulla fondamentale autonomia di certe tradizioni di studio che si
rispecchiano nelle collezioni del Museo che qui interessa, che atraversano Liberalismo, Fascismo e democrazia repubblicana
riuscendo in deinitiva a sopravvivere ad ogni cambio di regime. Per la nascita del progeto del Museo dell’Impero Romano
durante gli anni della Mostra Archeologica, rinvio ancora una volta all’altro mio contributo in questo volume ed al saggio di
A.M. Liberati sempre in questo volume.
11
Deliberazione del governatore di Roma n. 6073 del 21 agosto 1926 Relazione per un Museo dell’Impero Romano, consultabile
presso l’Archivio Storico Capitolino, raccolta delle deliberazioni del governatore di Roma.
12
Sull’inluenza del “modello repubblicano” di Roma in opposizione ad un “modello imperiale” avvertito – quantomeno da
chi, in un periodo di forti idee nazionali, avesse dovuto subirlo – come tirannico e dispotico, vd. in generale A. Giardina,
Dalla Rivoluzione rancese alla prima guerra mondiale. Miti repubblicani e miti nazionali, in A. Giardina - A. Vauchez, Il mito
di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini, Roma - Bari 2000, pp. 117-211. Più di recente vd. anche, con particolare atenzione
agli aspeti giuridici, Atene e Roma. Alle origini della democrazia moderna e la tradizione romanistica nei sistemi di Civil law e di
Common law, a cura di F. Costabile, Torino 2016.
13
Deliberazione del governatore di Roma n. 6073 del 21 agosto 1926, Relazione per un Museo dell’Impero Romano. Cfr. le parole
di Lanciani trascrite supra nel testo. Rispeto a quelle della deliberazione, esse sono ancor più esplicite grazie all’impiego del
332
Enrico Silverio
[…]. Se è vero che la Grecia ha lasciato all’Umanità un patrimonio insigne d’arte e di pensiero; se è vero che a Gerusalemme fu deta la parola delle Fede, se nazioni nuove alla civiltà hanno
dato e danno scoperte e modelli di organizzazione, è però incontestabile che a Roma rimonta ogni
ordinamento civile del mondo moderno; non solo nelle leggi e nell’idea di Stato, ma in quello che
è parte fondamentale della vita di ogni nazione: i grandi centri abitati, le strade, i porti, le grandi
istituzioni, la difesa contro la violenza della natura e degli uomini. Da Londra a Parigi a Vienna e a
Costantinopoli le metropoli sono ancora dove il Genio di Roma le volle; le grandi vie, secondo le
naturali conformazioni isiche sono ancora quelle che i Romani tracciarono; i porti principali, gli
acquedoti, le boniiche sono le Romane. Su tuta l’Europa, l’Asia e l’Africa dove si svolse la civiltà
antica, restano le tracce di Roma con monumenti di arte e più ancora di sapienza civile.
Nel clima dell’«Italia nuova», tutavia, queste vestigia che inorgogliscono ogni Italiano
quando vi si imbata in un Paese straniero e che normalmente sono mantenute e conservate
dal Paese che le ha sul suo territorio, devono essere studiate dagli Italiani, in quanto «eredi
direti di tanta gloria». Il confronto con il proprio passato, inoltre, deve essere anche uno
sprone potente per l’avvenire14:
[…], è soltanto da noi che tuto ciò va veramente e devotamente studiato ed esaltato, sia
per non disperdere, ma metere in sempre maggior valore così insigni resti archeologici, sia
ancor più per raforzare la conoscenza di ciò che fummo e trovarne norme e eccitamento a
rinnovare i fasti dell’antica grandezza.
Si giunge così, dopo questa lunga premessa, alla vera e propria proposta della costituzione del Museo dell’Impero Romano quale strutura in grado di realizzare tuto quanto sin
qui deto. Anzituto si chiariscono alcune necessità dal punto di vista dei materiali occorrenti ad un compito così vasto, e quindi si rammenta l’esistenza di realtà straniere che devono
valere ad incitare alla realizzazione dell’impresa15:
[…]. Solo a Roma e in nome di Roma ciò può farsi. Ora per farlo non bastano i libri e le
fotograie; ma bisogna integrare questo materiale con calchi di monumenti, piante, plastici,
ricostruzioni, grandi carte geograiche e topograiche ecc.
La Germania lo fa per i resti della civiltà germanica nel Museo di Magonza16, la Francia
per la civiltà Gallica a S. Germain presso Parigi17, ma nulla di simile esiste per la civiltà romana, appunto perché a Roma solo ciò può farsi.
Immediatamente dopo veniva ricordata quale imprescindibile e prezioso precedente
per ogni nuova iniziativa la Mostra Archeologica del 1911. Essa era presentata come un
“noi” che collega i moderni Italiani ai Romani antichi, questi ultimi realizzatori delle opere che i primi esibivano a loro stessi
ed al mondo nelle sale della Mostra Archeologica.
14
Deliberazione del governatore di Roma n. 6073 del 21 agosto 1926, Relazione per un Museo dell’Impero Romano.
15
Ibidem.
16
Sul Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Magonza vd. Hundert Jahre Römisch-Germanisches Zentralmuseum Mainz,
Mainz 1952; K. Böhner, Das Römisch-Germanische Zentralmuseum. Eine vaterländische und gelehrte Gründung des 19. Jahrhunderts,
in «Jahrbuch des Römisch-Germanischen Zentralmuseums», XXV (1978), pp. VIII-XXXIX, e H. Ament, Römisch-Germanisches
Zentralmuseum, in Reallexikon der Germanischen Altertumskunde, XXXIV, Berlin 2007, pp. 503-506.
17
Sul Musée d’Archéologie Nationale di Saint-Germain-en-Laye, creato come Musée Gallo-Romain, vd. P. Périn, Musèe
d’Archéologie Nationale (Saint-Germain-en-Laye, Yvelines), Paris 2004.
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 333
«saggio», che del resto mirava a stabilizzarsi proprio come Museo dell’Impero Romano18,
all’interno del quale tutavia – per le carateristiche connesse alle cerimonie del Cinquantenario – si dovetero inserire elementi estranei al conceto principale dell’esposizione19:
[…]. Il saggio voluto da Rodolfo Lanciani e da G.Q. Giglioli, allora suo assistente, con la
Mostra Archeologica del 1911, mostra quale enorme interesse può destare una raccolta del
genere; benché in quella occasione si indulgesse alla necessità di un’esposizione e si accetassero monumenti estranei al conceto informatore della mostra. Ora molto di quel materiale
esiste, acquistato o donato allo Stato e certo potrebbe essere utilizzato.
Non veniva comunque escluso un ricorso a risorse esterne, nella consapevolezza che
tuti, indistintamente, avrebbero risposto all’«appello», evidentemente memori del passato e del ruolo che Roma aveva avuto nella storia di molti moderni Paesi20:
[…]. D’altra parte un appello ai Musei e agli studiosi privati, quando fosse fato a nome
di Roma, avrebbe un’eco in tuto il mondo e tuti sarebbero ieri di mandare disegni; calchi
ecc.; nè la spesa per razionali acquisti sarebbe considerevole, dato il genere del materiale.
L’idea, una volta risolta la questione di una degna sede, era la stessa che avrebbe dato vita nel
1930 al «Bulletino del Museo dell’Impero Romano» ed essa avrebbe permesso anche di contrastare gli orientamenti “antiromani” collegati pure alla ben nota querelle “Oriente o Roma” 21:
[…]. Con il nucleo che si conida di avere, già importantissimo e con accurata opera
di raccolta, in pochissimo tempo Roma potrà possedere un archivio della latinità unico e
importantissimo ad acquistare i mezzi che ancora mancano, per lo studio di una età splendidissima, ma non ancora suicientemente indagata, e che anzi da alcuni si cerca di metere
sempre più nell’ombra con un’esaltazione sistematica dell’ellenismo che, se brillò per potenza di genio, fu però la negazione di ogni saldo ordinamento politico e civile.
Venivano quindi avanzate alcune considerazioni circa il valore didatico dell’istituendo
Museo; un valore che, depurato ovviamente dall’aspeto ideologico fascista, lo stesso Museo
della Civiltà Romana ha mantenuto sino alla sua recente ed auspicabilmente breve chiusura22:
Quando poi si potrà ordinare in degna sede, il materiale che si sarà raccolto, non solo gli
studiosi, ma il pubblico colto e specialmente i giovaneti e i fanciulli delle scuole, potranno,
18
Vd. nel presente volume il mio contributo relativo alla Mostra Archeologica.
Deliberazione del governatore di Roma n. 6073 del 21 agosto 1926, Relazione per un Museo dell’Impero Romano. Cfr. G.Q.
Giglioli, Introduzione, in Catalogo del Museo dell’Impero Romano, a cura di G.Q. Giglioli, Roma 1927, p. 3: «[…]; se, come
avviene in una esposizione internazionale, si dovetero accogliere serie estranee all’idea informatrice della Mostra, come le
riproduzioni in gesso, donate dal governo greco, delle opere di scultura antica ritrovate su suolo ellenico e conservate tutora
nei musei locali; o la iconograia imperiale bizantina del Lambros o i modelli fati fare da Napoleone III delle macchine
da guerra romane, conservati nel Museo di Saint Germain-en-Laye; è pur vero che esse non solo non raggiunsero neppur
lontanamente l’importanza del nucleo dei monumenti imperiali; ma anzi alterarono e danneggiarono non poco l’unità della
Mostra stessa». Simili espressioni – a riprova di quanto Giglioli avesse a cuore tale aspeto – si rinvengono anche in G.Q.
Giglioli, Introduzione (1929), cit., p. VIII.
20
Deliberazione del governatore di Roma n. 6073 del 21 agosto 1926, Relazione per un Museo dell’Impero Romano.
21
Vd. G.Q. Giglioli, Prefazione, in «Bulletino del Museo dell’Impero Romano», I (1930), pp. 3-9. Per il confronto con
l’Oriente vd. le note 70 e 111 nell’altro mio contributo a questo volume ed il saggio di F. Scriba sempre in questo volume, con
particolare riguardo all’ateggiamento di Giglioli nei confronti dell’arte greca.
22
Deliberazione del governatore di Roma n. 6073 del 21 agosto 1926, Relazione per un Museo dell’Impero Romano.
19
334
Enrico Silverio
passando di sala in sala ammirare riprodoto ciò che i Romani fecero in Gallia e in Spagna, in
Britannia e in Oriente, in Asia e in Africa e avere in un momento la visione e la coscienza di
ciò che l’Impero di Roma fu ed è ancora nella storia dell’incivilimento umano.
A questo punto, nella deliberazione, seguiva l’istituzione del Museo dell’Impero Romano, il cui ordinamento veniva aidato al «Retore per le Belle Arti», cioè allo stesso
G.Q. Giglioli, «coadiuvato da personale già in servizio al Governatorato»23. Erano poi
presenti anche disposizioni di caratere logistico ed economico che, in questa sede, non
ci interessano diretamente mentre, invece, è di nostro prioritario interesse il punto 1° del
testo della vera e propria deliberazione, che riassume la funzione del Museo ed in cui – a
meno di tre anni dalla soluzione della “Questione romana” – troviamo un cenno anche al
Catolicesimo24:
Il Governatore, udito il parere del Magistrato espresso in data odierna, pertanto delibera:
1) È istituito a Roma un Museo dell’Impero Romano, che deve raccogliere in calchi,
piante, fotograie, scriti ecc. documenti di ogni genere che ricordino e documentino l’opera
di civiltà compiuta da Roma nel mondo antico, la vita delle antiche legioni, la difusione della
religione catolica durante l’Impero ecc.
«Nella futura ricorrenza del Natale di Roma»
Istituito il 21 agosto 1926, il Museo venne inaugurato il 21 aprile 1927 ed inine aperto al
pubblico sul inire dello stesso anno nella sede, relativamente modesta e certo non adeguata
all’ampliamento delle collezioni, dell’ex convento di S. Ambrogio, nei pressi di piazza Mattei, non lontano dall’antico Gheto25.
La data scelta per l’inaugurazione era una di quelle più signiicative per la “religione politica” fascista: il 21 aprile, data tradizionale del Natale di Roma e, insieme, festa del lavoro26.
Una ricorrenza, quindi, che univa passato, presente e futuro all’insegna di una Roma antica
rivendicata dal Fascismo, ma che anche dopo la caduta del Fascismo non sarà mai estranea
alla storia del Museo dell’Impero27 e che lo stesso Giglioli in pieno regime collegherà – cer23
Vd. su tali aspeti il saggio di A.M. Liberati in questo volume.
Prima del Museo della Civiltà Romana, erede delle collezioni del Museo dell’Impero Romano e della Mostra Augustea
della Romanità, a sua volta emanazione del Museo dell’Impero, una speciica atenzione al Cristianesimo nella sistematica
dell’allestimento delle collezioni è documentata nel Catalogo della Mostra Augustea della Romanità del 1937-’38 ed in quello
del Museo dell’Impero successivo alla chiusura della grande Mostra e concepito come supplemento al Catalogo di quella: vd.
Mostra Augustea della Romanità. Catalogo, I, a cura di R. Vighi - C. Caprino, Roma 19384 (deinitiva), pp. 388-433 e Museo
dell’Impero Romano. Catalogo. Supplemento al Catalogo della Mostra Augustea della Romanità, Roma 1943, pp. 67-79. Sulla
Sala del Cristianesimo nel Museo della Civiltà Romana, vd. Museo della Civiltà Romana. Catalogo, Roma 19823, pp. 118-140.
25
Vd. il contributo di A.M. Liberati in questo volume, con ulteriore bibliograia.
26
Sul ruolo di Roma nella religione politica fascista vd. E. Gentile, Il culto del litorio. La sacralizzazione della politica
nell’Italia fascista, Roma - Bari 20074, pp. 129-137 ed in modo particolare p. 135 per il Natale di Roma: «La celebrazione
del ‘Natale di Roma’ era interpretata dai fascisti come un rito iniziatico per entrare in comunione con la romanità: atraverso
questo rito, animato “da una ‘volontà solare’, da una volontà imperiale, da una volontà di potenza […] l’Italiano nuovo
riprende contato spiritualmente con il romano antico”». La citazione di Gentile è da M. Scaligero, Natale di Roma, nel
fascicolo di «Gioventù Fascista» del 21 aprile 1933.
27
Il 21 aprile 1952 ebbe luogo l’inaugurazione di alcune sale del Museo della Civiltà Romana, cioè sostanzialmente del
Museo dell’Impero Romano trasposto nel nuovo quartiere EUR, mentre il 21 aprile 1955 ebbe luogo l’inaugurazione
dell’intera strutura museale: vd. il saggio di A.M. Liberati in questo volume.
24
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 335
to in una visione teleologicamente orientata all’«Italia nuova» – al Risorgimento ed alle
atese del 184728.
Nella stampa che precede il Natale di Roma del 1927 si rinvengono notizie della prossima inaugurazione del Museo (fig. 1). In una sintesi eicace, i temi evidenziati sono quelli
Fig. 1. La notizia della prossima inaugurazione del Museo dell’Impero Romano, che avrebbe avuto luogo
il 21 aprile 1927 (da «Il Messaggero», Roma, 19 febbraio 1927, p. 6).
della celebrazione della potenza e della grandezza di Roma atraverso una serie di materiali
donati dal Ministero della Pubblica Istruzione al Governatorato di Roma ed ordinati dalla
Commissione presieduta da Giglioli; quello della «espansione coloniale» romana, che ine-
28
Vd. inra, nelle conclusioni di questo contributo.
336
Enrico Silverio
vitabilmente rinvia sopratuto alla riconquista italiana delle province libiche29; inine quello della transitorietà della sede di S. Ambrogio in vista del trasferimento in locali «adeguati
alla sua (del Museo, n.d.a.) importanza e dignità»30:
Nella futura ricorrenza del Natale di Roma verrà esposto in alcune sale della scuola di S.
Ambrogio il ricco materiale ceduto al Governatorato dal Ministero della Pubblica Istruzione
per essere destinato al Museo dell’Impero Romano istituito, com’è noto, nello scorso anno,
a celebrazione della potenza e grandezza di Roma. Tratasi di calchi, piante topograiche e di
documenti riferentesi (sic) all’espansione coloniale dell’Impero Romano.
Agli importanti lavori di ordinamento delle collezioni presiedono il prof. Quirino Giglioli, il gr. uf. Bencivenga e il dot. Colini. In progresso di tempo sarà provveduto a destinare al
Museo dell’Impero locali adeguati alla sua importanza e dignità.
«Occorreva una volta principiare»
Per comprendere come venisse realizzata e divulgata al pubblico l’idea di Roma contenuta nella deliberazione istitutiva del Museo dell’Impero Romano, è tutavia ancor più utile
ricorrere ad alcuni articoli di stampa pubblicati sui quotidiani subito dopo l’inaugurazione
del 21 aprile 1927 o a non lunga distanza di tempo. In tali articoli, infati, tuti i motivi
riassunti nella deliberazione istitutiva del Museo sono, talvolta unitariamente, esposti o riassunti in maniera estremamente eicace.
Tutavia nella stampa non manca neppure il tema, del resto ineludibile, del confronto tra
la grandiosità del compito che la neonata Istituzione si era preissata e la sede tuto sommato ancora modesta dell’ex convento di S. Ambrogio.
Ci si intende riferire proprio al primo degli articoli che qui occorre prendere in considerazione, quello di Alessandro Bacchiani pubblicato sulla terza pagina de «Il Giornale
d’Italia» del 23 aprile 1927 ed intitolato Un Museo romano per noi italiani (fig. 2). L’articolo, privo di illustrazioni, suddiviso in una sorta di quatro paragrai, veniva pubblicato ad
appena due giorni dall’inaugurazione della sede di S. Ambrogio e le prime righe del primo
paragrafo, che vuole rappresentare una introduzione generale, prendono spunto proprio da
questa sistemazione logistica31:
Finalmente, ecco un Museo per noi italiani. E’ ancora ai primi passi, nel labirinto della vecchia Roma, tra la fontana delle Tartarughe e le vestigia dell’antico Gheto, in aule di scuole ricavate dal poco noto convento di Sant’Ambrogio. Non importa. Tra dieci, vent’anni avrà una sua
sede e una mole triplicata, quadruplicata. Occorreva una volta principiare e va data lode a Giulio Quirino Giglioli di non aver temuto di metersi allo sbaraglio e di aver superato le innumeri
diicoltà per rendere reale il sogno di un museo dell’Impero Romano. Nome che parrà troppo
grande per la cosa, ma con il tempo l’equilibrio indubbiamente non verrà a mancare.
29
Vd. inra nota 44.
Anonimo, Il Museo dell’Impero Romano, in «Il Messaggero», Roma, 19 febbraio 1927, p. 6.
31
A. Bacchiani, Un Museo romano per noi italiani, in «Il Giornale d’Italia», Roma, 23 aprile 1927, p. 3. Su Bacchiani, che oltre ad
essere redatore de «La Tribuna» e de «Il Giornale d’Italia», di cui divenne pure vice diretore, fu anche allievo di Ernesto Monaci,
Julius Beloch e Giuseppe Della Vedova, vd. Anonimo, s.v. Bacchiani, Alessandro, in Dizionario storico-biograico dei marchigiani, I, a
cura di G.M. Claudi - L. Catri, Ancona - Bologna 1992, p. 63.
30
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 337
Fig. 2. Il titolo ed alcuni brani dell’articolo di A. Bacchiani. Si nota, nella seconda colonna, la trascrizione del suggestivo scambio di batute tra il governatore di Roma ed il conte Volpi di Misurata (da A. Bacchiani, Un Museo
romano per noi italiani, in «Il Giornale d’Italia», Roma, 23 aprile 1927, p. 3).
Segue un passaggio in cui si intende illustrare come il nuovo Museo a diferenza delle
altre Istituzioni museali non sia rivolto tanto agli stranieri, quanto in primo luogo all’educazione culturale e politica, in una parola all’educazione spirituale, degli Italiani32:
Finora, quando da noi si apriva un museo o una pinacoteca, si pensava più alla curiosità
del forestiero che alla cultura dell’indigeno. Questo di Sant’Ambrogio, se Dio vuole, è proprio tuto nostro, per la nostra conoscenza della geograia e della storia, per la nostra educazione politica, per la nostra formazione spirituale. Di tute le celebrazioni maggiori e minori
32
A. Bacchiani, Un Museo romano, cit., corsivo nel testo originale.
338
Enrico Silverio
del XXI Aprile sarebbe suiciente questa per dimostrare quale sia lo stile fascista. «Vogliam
fati e non parole» come diceva un vecchio cantare popolaresco della Toscana di Dante.
Il tema della ricorrenza del 21 aprile torna anche poco più avanti nel testo proprio a
causa del suo intimo collegamento con la religione politica del Fascismo33:
[…]. Ieri il Natale dell’Urbe era occasione per quatro soneti belati in Arcadia e una
bevuta al Circolo Artistico: oggi a Roma e dovunque in Italia è l’annuale revisione di grandi
opere civili, è il fermento di veementi propositi tradoti in ato, è la registrazione periodica del
costante elevarsi della gente italiana.
Dopo questa introduzione ci si sofermava quindi a chiarire cosa fosse il Museo dell’Impero Romano, quale l’idea alla base del suo ordinamento e quindi cosa esso intendesse mostrare, cioè l’espansione della civiltà romana dall’Italia all’impero34:
Che cos’è, dunque, questo Museo dell’Impero Romano? Una mostra ordinata di fati, necessariamente frammentaria, ma sostenuta da una idea unica: lo spirito della civiltà latina, la
forza del genio romano nelle arti della guerra e della pace, nel dirito e nell’amministrazione,
nella architetura dei templi e nell’architetura dello Stato. Nei tre piani alquanto disadorni,
ma lindi e luminosi, della vecchia scuola di Sant’Ambrogio si passa dalle Alpi alle quaranta
provincie di Traiano. Le provincie di allora sono gli stati di oggi, parecchie si sono sdoppiate
e anche ripartite in tre o quatro Stati.
In una sorta di secondo paragrafo, Bacchiani passava quindi dal 1927 al 1911, ricordando come fossero sorte le collezioni da cui prese vita il Museo dell’Impero Romano, riandando al vecchio progeto di rendere stabile la Mostra Archeologica ed inine evidenziando
come, date le condizioni dell’Italia tra il 1912 ed il 1922, ciò fosse stato possibile solo grazie
alla rigenerazione garantita dal Fascismo35:
[…]. L’8 aprile di quell’anno, aprendosi la mostra dai nostri Sovrani, il Lanciani manifestava l’augurio che quel materiale non fosse disperso, ma fosse il nucleo di un futuro museo
dell’Impero. La proposta piacque, senonché le due lunghe guerre e i perturbamenti civili
succeduti la fecero dimenticare. Solo oggi
FASCIBUS RECEPTIS . ITALIA PACATA
fu ripresa e tradota in realtà.
Seguiva subito dopo, alla luce dei materiali del 1911 considerati come altretanti segnacoli
di romanità in Italia e nei territori delle antiche province, un confronto tra le condizioni italiane ed internazionali del 1911 e quelle sorte nel periodo successivo alle feste cinquantenarie36:
Incontriamo dunque vecchi amici già visti in queste provincie. Tutavia, se gli oggeti
sono gli stessi, quanti mutamente negli ultimi sedici anni! L’Italia ha ricondoti i suoi conini
33
34
35
36
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 339
sulle Alpi setentrionali e orientali ai limiti di Augusto e migliorata la sua posizione nell’Adriatico. Le provincie teodosiane, Tripoli, Libya e Isole Egee – dove più, dove meno – sono
state strappate ai barbari.
E nelle altre provincie? La latinità è in vantaggio. La Gallia è di nuovo sul Reno, il Belgio
ha guadagnato qualche territorio, la Syria è diventata una colonia di Parigi, come la Palestina di Londra, e qualche altra conquista è da segnalarsi nell’Africa setentrionale, centrale e
orientale.
L’autore proponeva a questo punto un suggestivo sguardo diacronico che al passato imperiale aiancava la nuova geograia degli Stati dopo la prima guerra mondiale e che intendeva dimostrare come in ciascun territorio la «latinità» fosse stata e fosse anche allora «in
vantaggio». In questo senso appaiono signiicative le parole rivolte al moderno territorio
dell’antica Dacia, che nell’esposizione del 1911 era stata leteralmente divisa tra Regno di
Romania e Regno di Ungheria37. Quel territorio nel 1927 era invece divenuto da qualche
anno la Grande Romania, con conini quasi sovrapponibili – secondo l’autore – a quelli
dell’antica provincia38:
[…]. Il prodigio maggiore è oferto dalla Dacia. Dalla guerra mondiale il regno di Romania, con tutochè invaso e occupato dal nemico per due terzi, è venuto fuori ingrandito
a spese d’ambo le parti in lizza. Dagli Imperi ha guadagnato la Transilvania, dalla Russia la
Bessarabia. Con un sol colpo ha vinto partita doppia: una fortuna, che si sarebbe deta folle
speranza. In tal modo la Romania d’oggi corrisponde quasi perfetamente alla Dacia Romana
di Traiano e forma un paese, ove così sull’uno come sull’altro versante dei Carpazi, si parla
nella grandissima maggioranza romeno, cioè latino.
Nel inale di questo secondo paragrafo, dalla romanità estremo-orientale del Tropaeum
Traiani e del cenotaio di Adamklissi, si torna – «con ben altro animo» perché si trata di
vicende diretamente ed immediatamente italiane – ai conini orientali della Patria39:
E con ben altro animo osserviamo il rilievo della Processione sacra di Aquileia e i fregi
dell’Arco dei Sergi e il Tempio di Roma ed Augusto di Pola e la celebre Tavola Clesiana di Trento, sulla quale è inciso l’edito dell’Imperatore Claudio che concede la citadinanza romana
agli Anauni a Val di Non, ora nostra, per sempre redenta.
Naturalmente, nonostante la generale valenza dell’intera collezione per l’esaltazione
dell’idea di Roma, all’interno del Museo dell’Impero Romano vi erano particolari vestigia
37
Vd. in [G.Q. Giglioli], Catalogo della Mostra Archeologica nelle Terme di Diocleziano, Bergamo 1911, cit., pp. 54-74 (in
cui la porzione ungherese è una parte di quella austro-ungarica, comprendente anche altre province oltre quella dacica) e cfr.
S. Arthur Strong, he exhibition illustrative of the provinces of the Roman Empire, at the baths of Diocletian, Rome, in «he
Journal of Roman Studies», I (1911), pp. 1-49 che distingue (ibidem, p. 11) tra «irst Roumanian section» e «AustroHungarian section». Le collezioni provenienti dalla Romania dovetero essere allestite in due diversi ambienti delle Terme di
Diocleziano per ragioni di spazio: per l’altra “sezione romena” vd. [G.Q. Giglioli], Catalogo della Mostra Archeologica, cit., pp.
131-136 e S. Arthur Strong, he exhibition illustrative of the provinces of the Roman Empire, cit., p. 42.
38
A. Bacchiani, Un Museo romano, cit. e cfr. nota precedente.
39
Vd. Catalogo del Museo dell’Impero Romano, a cura di G.Q. Giglioli, Roma 1927, pp. 26-31 e 102-106 per i ricordi delle campagne
daciche ed ibidem, pp. 35-40 per i conini continentali della Penisola. Si tratava, rispetivamente, della “Sala” III – in efeti la
scalinata che conduceva al primo piano –, della Sala XIV Moesiae, ed inine della Sala V Regioni italiane. Alcuni ambienti che
conservavano una parte delle testimonianze delle gesta traianee e quelli relativi ai conini “italiani” erano quindi relativamente
vicini, e questo può giustiicare il collegamento fato dall’autore.
340
Enrico Silverio
in grado di restituire più immediatamente di altre e con palpabile concretezza ed immediatezza l’idea di vastità dell’impero e di grandezza dell’Urbe e di esse Bacchiani si occupava
in maniera accativante in una sorta di terzo paragrafo dell’articolo. Si tratava peraltro delle
stesse vestigia che avevano già caraterizzato la Mostra Archeologica del 1911, a cominciare
dall’epigrafe di Giuliano40, introdota in modo molto suggestivo41:
– Dove siamo ? – domanda il Principe Potenziani, entrando come un bolide in una sala.
– In Egito – gli risponde il Conte Volpi.
Domande e risposte simili si odono ripetere in questo viaggio atraverso il mondo romano in poco più di un’ora.
Nel palazzo Sant’Ambrogio e con la guida sicura di Giulio Quirino Giglioli non è un prodigio questa corsa per tre parti del globo. Miracolo invece fu quello dell’Imperatore Giuliano
atestato da un’iscrizione trovata e ricalcata nel 1909 da Azeglio Berreti ad Angora: «Al
Signore di tuto il mondo, a Giuliano Augusto, che, apertasi la via fra i barbari, sterminando le
popolazioni che si opponevano con le armi, venne in una sola estate dall’Oceano Britannico al
Tigri ecc.». Dall’Atlantico alla Mesopotamia: tale era l’Impero Romano ancora nel IV secolo,
nonostante fosse principiata la decadenza.
Tutavia, come già nella Mostra Archeologica del 1911 e ben prima della Mostra Augustea della Romanità del 1937-’3842, un ruolo di primaria importanza continuavano ad averlo Augusto e le memorie augustee, prima tra tute la “regina delle iscrizioni”, quest’ultima
stretamente connessa, a Roma, alla zona dell’Augusteo, che di lì a pochi anni – anche grazie
alla ricostruzione e nuova collocazione dell’Ara Pacis Augustae – sarebbe stata protagonista
di alcuni dei più importanti interventi realizzati in occasione del Bimillenario Augusteo del
1937-’3843:
La capitale odierna di Kemal Pascià e della Repubblica Otomana ci serba un’altra memoria imperiale, che si collega all’Augusteo di Roma. Augusto, da quel profondo conoscitore degli uomini che era, idandosi poco degli storici futuri, provvide a tagliar corto ad ogni
leggenda intorno all’opera sua e lasciò ai posteri un’autobiograia, modello di concisione.
L’intitolò semplicemente «I miei fati» o res gestae divi Augusti, come fu deta uicialmente.
40
Vd. Catalogo del Museo dell’Impero Romano (1927), cit., pp. 153 per l’iscrizione a Giuliano (CIL III, 247 = ILS 754),
ospitata nella Sala XXVI Galatia-Cappadocia. Circa il suo ruolo nella Mostra Archeologica del 1911, rinvio all’altro mio
contributo nel presente volume.
41
A. Bacchiani, Un Museo romano, cit., corsivo nel testo originale. Su Lodovico Spada Potenziani vd. A. Di Nicola, Da Rieti
a Chicago. La biograia di un realizzatore: Lodovico Spada Potenziani, prefazione di G. Parlato, Rieti 2002, mentre in particolare sul
periodo del suo governatorato vd. P. Salvatori, Il governatorato di Roma: l’amministrazione della capitale durante il fascismo, Milano
2006, pp. 29-65. Su Giuseppe Volpi vd. S. Romano, Giuseppe Volpi. Industria e inanza ra Gioliti e Mussolini, Venezia 20112.
42
A proposito della Mostra Augustea della Romanità è qui suiciente il rinvio a F. Scriba, Augustus im Schwarzhemd? Die
Mostra Augustea della Romanità in Rom 1937/38, Frankfurt am Main - Berlin 1995. Vd. inoltre i contributi di M.T. Galassi
Paluzzi Tamassia, A.M. Liberati e M. Carli negli Ati in corso di stampa del Convegno internazionale organizzato dall’Istituto
Nazionale di Studi Romani il 23-24 otobre 2014 sul tema 2014. Bimillenario della morte di Augusto. L’Istituto Nazionale di
Studi Romani e le fonti d’archivio del primo Bimillenario. Uno speciico incontro di studi sulla grande Mostra venne organizzato
in occasione del Bimillenario della morte del primo imperatore anche dal Collegio Ghislieri di Pavia: Tuta Italia giurò nelle mie
parole, Seminario in due giornate intorno alla Mostra Augustea della Romanità, Pavia, Collegio Ghislieri, Aula Goldoniana,
28-29 aprile 2014.
43
A. Bacchiani, Un Museo romano, cit. e cfr. Catalogo del Museo dell’Impero Romano (1927), cit., pp. 149-152, nonché già
[G.Q. Giglioli], Catalogo della Mostra Archeologica, cit., pp. 174-180.
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 341
Per lo stile suo lapidario fu facile inciderla davanti al Mausoleo della Gente Giulia in Campo
Marzio, dalla parte della porteria di San Rocco. I due pilastri in bronzo romani sparirono,
ma l’iscrizione si è conservata. Copie, talvolta accompagnate da traduzioni greche per i paesi
bilingui d’Oriente, furono inviate nelle provincie e servirono ad ornamento dei templi innalzati a Roma ed Augusto. Angora, o come si diceva allora Ancyra, fu l’unica a conservare il
monumento, che vedemmo riprodoto al vero nel giardino delle Terme al tempo dell’Esposizione. La riproduzione fu distruta, ma il Berreti ha rifato un grazioso modellino di questa
fonte principalissima per la storia dell’Impero.
Come si accennava più sopra, al passato imperiale Bacchiani aiancava la nuova realtà
geograico-politica uscita dalla prima guerra mondiale e se questo nuovo asseto aveva favorito, come nel caso della Dacia / Romania una sorta di sovrapposizione dello Stato moderno all’antica provincia e aveva rinforzato quindi un legame mai venuto del tuto meno con
un’Italia nel fratempo rinnovata fascibus, ciò valeva anche per le annessioni territoriali della
stessa Italia, erede direta di Roma. Nel passo immediatamente successivo al precedente si
legge infati44:
Altri plastici sono veduti con visibile compiacimento da tuti, specie dall’ex-Governatore
di Tripoli e dall’odierno Ministro delle Colonie. Cirene e Lepti (sic) ci dicono le meraviglie
della civiltà greco-romana. Questa è una sezione del tuto nuova, perché nel 1911 erano terre
del Sultano di Costantinopoli ed oggi sono ritornate a Roma.
A volte quest’accostamento diacronico antico-moderno diventa un poco “ardito”, con
l’abbandono a quelli che l’autore deinisce «avvicinamenti sorprendenti»45:
Percorrendo le sale vi accorgete di avvicinamenti sorprendenti. Ecco un romano, A. Plautius Bassianus, comandante di un bataglione di Alpini. La sua coorte – cohors secunda Alpinorum Equitata – dedica un’ara al Dio Volcano Augusto presso Aquincum, oggi O’ Buda in
Ungheria. Nello stesso luogo si è trovata la stele di Aelius Mestrius, uiciale della Seconda Legione, deta Adiutrix. Vediamo il legionario rappresentato in rilievo con una lancia nella destra
e un libro nella sinistra. «Libro e lancia» (o moscheto), anche allora, come vuole Mussolini.
Non manca a questo punto, introdoto da un’eco del Tropaeum Traiani cui l’autore aveva
accennato, un ritorno al tema dei conini nazionali, questa volta occidentali46:
44
A. Bacchiani, Un Museo romano, cit. Sull’acquisizione da parte del Museo dell’Impero Romano di calchi e plastici di opere
provenienti dalla Libia, vd. il contributo di A.M. Liberati in questo volume. Sulla guerra italo-turca del 1911-1912 vd. in modo
particolare A. Del Boca, Gli italiani in Libia, I, Tripoli bel suol d’amore, Roma-Bari 1986 e B. Vandervort, Verso la quarta sponda.
La guerra italiana per la Libia (1911-1912), Roma 2012, mentre sulla riconquista della Libia vd. E. Santarelli - G. Rochat R. Rainero - L. Goglia, Omar Al-Mukhtar e la riconquista fascista della Libia, Milano 1981. In generale, sul periodo 1911-1931 vd.
ora anche N. Labanca, La guerra italiana per la Libia. 1911-1931, Bologna 2012. Sull’archeologia italiana in Tripolitania negli anni
della sovranità del Re d’Italia, vd. in generale M. Munzi, L’epica del ritorno. Archeologia e politica nella Tripolitania italiana, Roma
2001. Quanto alla Cirenaica vd. invece O. Menozzi - M.C. Mancini, L’Archeologia italiana in Cirenaica: alcuni momenti salienti, in
«Bolletino della Società Leteraria», 2012, pp. 23-44.
45
A. Bacchiani, Un Museo romano, cit. e cfr. Catalogo del Museo dell’Impero Romano (1927), cit., pp. 16 e 26. Le opere citate
erano esposte nella Sala II, che costituiva il «grande salone terreno» dove per necessità di spazio erano stati riuniti una serie
di monumenti provenienti da diverse province ma che nella loro eterogenea provenienza garantivano «che il visitatore abbia
subito una visione complessiva del valore del museo e dell’originalità dell’arte e dell’importanza storica dei monumenti delle
varie province» (ibidem, p. 16).
46
A. Bacchiani, Un Museo romano, cit. e cfr. Catalogo del Museo dell’Impero Romano (1927), cit., pp. 38-39, relative alla Sala
V Regioni italiane.
342
Enrico Silverio
E sostiamo dinanzi ad un altro Tropaeum imperiale. Sono i frammenti del monumento
innalzato nell’anno 8 avanti Cristo presso il iume Varo, che segnava il conine fra l’Italia e
la Gallia. Sono elencate tute le genti alpine che da Augusto erano state ridote in dominio
del Popolo Romano. Anche oggi il nome del luogo Turbia o Tourbie ricorda leggermente
alterato il Tropaeum.
Subito dopo, in una sorta di quarto paragrafo inale, l’autore si dedicava a chiarire per
quali ragioni il Museo dell’Impero Romano fosse un museo «principalmente destinato a
noi italiani». Anzituto si trata, da parte dell’«Italia nuova», di rivendicare i titoli di una
eredità per la quale molti, per i motivi più diversi, sono in lizza, ma tuti privi di autentica
legitimità47:
Perché questo Museo diciamo principalmente destinato a noi italiani?
Oggi, si sa, tuti si ateggiano ad eredi dell’Impero Romano: Francesi, Inglesi, Tedeschi
e perino i buoni Americani, che accampano questa eredità dello zio… d’Europa. Possiamo
ino a un certo punto compiacerci di tanto omaggio non disinteressato alla Dea Roma, ma
non è male far sapere che in fondo un erede legitimo c’è.
Si tratava peraltro di comprendere esatamente la natura dell’Impero e di liberarne il
conceto stesso da una serie di superfetazioni che lo avevano reso qualcosa di negativo48:
[…]. Senonché dobbiamo persuaderci che l’Impero non è quell’insieme di storielle tra
il boccaccesco e il tragico che ci sono raccontate dai petegoli boulevardiers del tempo, come
Suetonio, o dai pessimisti faziosi, come Tacito. La storia dell’Impero è ancora da rifare. La
stessa penna di Teodoro Mommsen si spezzò al peso dell’immane impresa, ma è suiciente
il vivace quadro, che egli lasciò della vita provinciale sulla scorta delle fonti epigraiche, per
comprendere quale meraviglioso laboratorio di popoli e di civiltà fu l’Impero e quali chimichi (sic) furono i Romani, che seppero riassumere le civiltà precedenti, trasmeterle elaborate
ai popoli lontani, promovere i gusti e le tendenze delle varie provincie.
Occorreva quindi sopratuto comprendere quale fosse stata la funzione storica di Roma
e dei Romani rispeto, ad esempio, ad altre esperienze storiche e spirituali di importanza
capitale ma in qualche modo carenti di una sintesi che solo Roma avrebbe dimostrato di
poter garantire49:
– Se è vero – diceva giustamente il Giglioli – che la Grecia ha lasciato all’umanità un
patrimonio insigne di arte e di pensiero: (sic) se è vero che a Gerusalemme fu deta la parola
della Fede, se nazioni nuove hanno dato e danno scoperte e modelli di organizzazione, è però
incontestabile che a Roma risale ogni ordinamento civile del mondo moderno…
Si trata sostanzialmente delle stesse parole usate da Giglioli nella relazione per la deliberazione del governatore di Roma istitutiva del Museo nell’agosto del 1926 e proprio per
47
A. Bacchiani, Un Museo romano, cit.
Ibidem e cfr. supra nota 12 e vd. già, in una sorta di lunga recensione alla Mostra Archeologica nelle Terme di Diocleziano, D.
Vaglieri, L’Impero romano nella Mostra Archeologica, in «Roma. Rassegna illustrata della esposizione del 1911. Uiciale per
gli ati del Comitato esecutivo. Arte Archeologia Etnograia Storia», II (1911), 12, pp. 1-4.
49
A. Bacchiani, Un Museo romano, cit. Bacchiani riporta quasi testualmente le idee versate da Giglioli nella relazione per la
deliberazione del governatore di Roma n. 6073 del 21 agosto 1926.
48
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 343
questo è interessante notare come subito dopo, nel chiudere il suo articolo, Bacchiani torni
idealmente indietro nel tempo e si ricolleghi diretamente – anzi, quasi testualmente – al
discorso di Lanciani dell’8 aprile 1911. Richiamando quelle parole e quei conceti alla nuova luce del rapporto tra Roma antica ed «Italia nuova» fascista l’autore oteneva l’efeto di
rendere la superiorità romana, e quindi nella prospetiva dell’epoca anche italiana, non solo
deinitivamente atuale ma allo stesso tempo anche diretamente operante su di un piano
concreto e non più solo su di uno ideale. A ben vedere si trata di una riprova dello streto
legame che, iltrato dalle esperienze della guerra italo-turca, della prima guerra mondiale ed
inine del Fascismo, intercorre non solo in generale tra la Mostra Archeologica e il Museo
dell’Impero Romano ma più in particolare proprio tra l’idea di Roma espressa nella Mostra
e quella espressa nel Museo atraverso le collezioni ed il loro allestimento50:
Il parere di Virgilio, caro Giglioli. Il mantovano riconosceva quel che avevano di buono
la Grecia e l’Oriente, ma aveva compreso che la creazione dello Stato era un capolavoro che
poteva esser dato solo da Roma. E indagando la natura di questo capolavoro si può giungere a
intendere, perché questi paesi, i cui nomi vediamo scriti al sommo di ciascuna di queste sale,
siano state antiche provincie nostre; perché i più civili tra essi siano ancora governati dalle
leggi romane, perché i loro abitanti percorrano le strade da noi costruite, valichino i monti
nei passi da noi aperti, atraversino i iumi sui ponti da noi piantati, bevano le acque da noi
allacciate, cerchino la salute nelle sorgenti delle Terme da noi costruite, trovino asilo per le
loro navi, in pace e in guerra, nei porti da noi fondati…
Aggiratevi per queste sale e comprenderete il segreto della potenza e della immortalità
di Roma.
«Un quadro di romanità»
L’articolo di Bacchiani veniva pubblicato nella terza pagina de «Il Giornale d’Italia», ma
l’intera quarta pagina dello stesso quotidiano era occupata da una serie di articoli e notizie
dedicati alle celebrazioni del 21 aprile, raggruppati al di soto del titolo “a sei colonne” L’Urbe riaferma la gloria immortale dei suoi destini nel giorno anniversario della fondazione. Tra gli
scriti ve ne è uno che qui interessa particolarmente e che costituisce una cronaca dell’inaugurazione del Museo: Un quadro di romanità: il Museo Imperiale51 (fig. 3).
La notizia dell’inaugurazione si apre con alcune righe che forse sono quelle più signiicative per il tema di questo contributo, sia perché collegano il Museo al contesto urbano
entro cui si trovava immerso – un tema già accennato nella stampa, come sopra osservato,
50
A. Bacchiani, Un Museo romano, cit. Cfr. R. Lanciani, Introduzione, cit., pp. 9-10: «[…]. Le altre provincie hanno spedito
modelli di Cità, di campi militari, di case, di palazzi, ponti, acquedoti, luoghi di spetacolo, templi, mausolei; e poi sculture, o
indigene o importate, e iscrizioni, e rilievi, e mosaici, e bronzi, e suppelletile privata, e oggeti della persona, dal complesso delle
quali cose si rileva con quanta sapienza, con quanta liberalità, con quanto rispeto verso le costumanze e le credenze religiose altrui
i civilizzatori Romani sapessero adatare l’opera loro alla natura dei paesi di conquista. Da questa parte della Esposizione apparirà
come tuti questi paesi, che già furono antiche nostre provincie, siano ancora governati dalle leggi romane, e come i loro abitanti
batano ancora le strade da noi costruite, valichino i monti atraverso i passi da noi aperti, i iumi per via dei ponti da noi getati,
bevano le acque da noi allacciate, cerchino salute nelle sorgenti che tutora alimentano le terme da noi costruite, e trovino rifugio
pei loro navigli, sia in pace sia in guerra, nei porti da noi fondati». Vd. anche G.Q. Giglioli, La Mostra Archeologica alle Terme di
Diocleziano, cit., pp. 3-5. Per gli aspeti della Mostra Archeologica rilevanti dal punto di vista dell’idea di Roma, vd. l’altro mio
contributo in questo volume e l’ulteriore bibliograia ivi richiamata.
51
Anonimo, Un quadro di Romanità: il Museo Imperiale, in «Il Giornale d’Italia», Roma, 23 aprile 1927, p. 4.
344
Enrico Silverio
Fig. 3. La cronaca dell’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano pubblicata da «Il Giornale
d’Italia» (da «Il Giornale d’Italia», Roma, 23 aprile 1927, p. 4).
e che tornerà in altri articoli –, sia perché in maniera succinta e quasi condensando il contenuto di una parte della deliberazione del 21 agosto 1926, delineano gli scopi della nuova
Istituzione52:
In via S. Ambrogio, nel cuore del quartiere di Campitelli e precisamente nei locali della
Scuola Filippo Canini il Governatorato ha portato ieri (sic) a compimento l’ordinamento del
Museo Imperiale, che si propone di dare un quadro sintetico e completo della Romanità,
riunendo in calchi, piante, fotograie, plastici, disegni, la immensa serie dei monumenti di età
romana sparsi per le varie parti d’Europa, Asia, Africa, che già furono Provincie dell’Impero,
52
Ibidem.
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 345
e nello stesso tempo di istituire l’Archivio centrale di sifato materiale, ora disperso in cento
Musei, nello stesso modo come ha fato la Germania e la Francia a Saint Germain per quelle
Galliche (sic).
Veniva quindi ricordato come il Museo si dovesse all’iniziativa di G.Q. Giglioli, anzi, sottintendendo come l’idea dell’istituzione provenisse da una fonte diversa rispeto al regime
al governo – in quanto, com’è noto, derivante dalla tradizione della Mostra Archeologica del
1911 –, ancorché ad esso «rispondente», si aferma esplicitamente53:
[…]. L’idea, praticamente rispondente al sentimento e alle idealità presenti, fu entusiasticamente favorita, e divenne programma dell’Uicio Antichità e Belle Arti.
Il testo proseguiva fornendo un elenco delle maggiori personalità intervenute all’inaugurazione ed alcuni detagli sulle Sale illustrate loro da Giglioli54:
[…] accompagnati dal prof. Giglioli, hanno compiuto un minuzioso giro per le interessanti sale, sofermandosi specialmente in quelle delle Regioni italiane, dell’Hespania (sic),
della Gallia, della Germania, della Britannia (sic), dove, come del resto in ogni altro reparto,
l’ordinamento è stato rigorosamente scientiico e sono state adotate le divisioni dell’Impero,
quali esse erano alla morte dell’Imperatore Traiano (117 d.C.).
L’articolo proseguiva annotando come la visita fosse durata «per circa un’ora» e si chiudeva inine con la menzione della «manifestazione di fervida simpatia» tributata ai membri del Governo ed al governatore di Roma da parte della «folla che si era raccolta nella
carateristica piazza di S. Ambrogio»55.
«Dal museo si esce storditi»
Il successivo articolo che qui interessa diretamente, è quello di Margherita Sarfati per la
terza pagina de «Il Popolo d’Italia» del 29 aprile 192756. Anche in questo caso, il testo –
corredato da quatro illustrazioni riproducenti una sala, una panoramica di diversi monumenti, una stele militare ed una stele proveniente dall’Oriente russo57 – si apriva con una
53
Ibidem.
Ibidem. Tra le personalità intervenute viene ricordato anche lo stesso A. Bacchiani. Si noti inoltre il richiamo alla scientiicità
dell’ordinamento del Museo, teso a scansare ogni equivoco di una sua natura propagandistica.
55
Ibidem.
56
M. G(rassini) Sarfatti, Il Museo dell’Impero, in «Il Giornale d’Italia», Roma, 29 aprile 1927, p. 3. Su Margherita Grassini
Sarfati si vedano i recenti studi di R. Ferrario, Margherita Sarfati. La regina dell’arte nell’Italia fascista, Mondadori 2015 e di I.
Cimonetti, Alle radici di Novecento Italiano. Un ritrato giovanile di Margherita Sarfati, Verona 2016.
57
Tre delle fotograie che illustravano l’articolo erano rispetivamente un’immagine della Sala dedicata all’Egito, della stele
funeraria di M. Favonio Facile e della stele di Aurelio Vitore da Tilis nella «Russia meridionale»: vd. Catalogo del Museo
dell’Impero Romano (1927), cit., pp. 72, 133 e 137-143. Da notarsi come la didascalia della fotograia della Sala dedicata
all’Egito sotolinei anche la presenza della «stele di Cornelio Gallo, conquistatore dell’Etiopia». Cfr. anche Catalogo del
Museo dell’Impero Romano (1927), cit., pp. 138-139. L’altra fotograia illustrava «Il rilievo dell’arco di Marco Aurelio a Efeso;
un sarcofago di Salono (sic) in Dalmazia; la colonna di Giunone a Francoforte sul Meno; un cippo di Pannonia». Stando al
Catalogo, tali materiali non erano esposti nelle reciproche vicinanze e quindi è diicile comprendere come sia stato possibile
fotografarli ravvicinati. Vd. comunque Catalogo del Museo dell’Impero Romano (1927), cit., pp. 20-21 per il bassorilievo di
Efeso, esposto nella Sala II Salone; p. 80 per il sarcofago di Salona, esposto nella Sala X-b Illyricum (Dalmatia); p. 22 per la
colonna “di Giunone”, deta anche “dei Giganti”, esposta nella Sala II Salone. Di più incerta identiicazione sul Catalogo è
invece il «cippo della Pannonia».
54
346
Enrico Silverio
descrizione del contesto all’interno del quale si trovava il nuovo Museo che, atraverso il
cortile di Palazzo Matei sembrava – secondo la Sarfati – «trasportarci, per magia, di Roma
in Venezia». Seguiva un’evocativa descrizione della visuale dall’altana del Palazzo, oltre la
quale si è per suggestione portati a cercare «qualche lembo di marezzata laguna»58. A questo
punto però avveniva una sorta di “ritorno” a Roma, con la descrizione della Fontana delle Tartarughe, del vicino Palazzo dei Cenci, del Teatro di Marcello e del Portico d’Otavia. Dopo
aver ricordato le opere avviate dal Fascismo per il recupero del Teatro di Marcello59, l’autrice
tornava alla Fontana delle Tartarughe collocata nella piazzeta che poco prima aveva deinito
«romana di Roma», e descriveva come l’atmosfera di «gloriosa eternità» che si respirava
in quelle vie di Roma «trova ora visibili e tangibili documenti, con sapiente amore raccolti»
a partire dal nucleo delle collezioni del 1911 – «il primo germe» – all’interno di un Museo
«che ancora in se stesso è poco più che un nucleo ed un germe, e tutavia ha già assunto il
nome dell’immane programma futuro, con signiicativa ierezza: il Museo dell’Impero»60.
Seguiva a questo punto la spiegazione della utilità del Museo per la conoscenza dell’Impero61:
Dell’Impero di Roma si parla tanto da tuti, e se ne sa di solito dai moltissimi così poco.
[…]. Questo, che Giulio Quirini (sic) Giglioli ha preparato, consule Mussolini, con Cremonesi governatore, e compiuto con il governatore Potenziani, è un bellissimo modo di ammaestramento per imparare un poco della storia dei romani, e molto della loro geograia.
Immediatamente dopo la Sarfati svolgeva una comparazione tra il mondo antico e
quello moderno dal punto di vista delle comunicazioni, probabilmente indotavi dalla stessa presentazione del materiale all’interno del Museo, cioè secondo le province durante il
principato di Traiano. La comparazione vale a sfatare alcuni “miti” sul mondo antico come
mondo chiuso, una qualiicazione che speta piutosto al medioevo62:
[…]. Nell’età antica, invece, le comunicazioni costanti e normali rappresentavano, come
da noi, la regola, non l’eccezione; e sebbene di tanto meno sollecite, erano anche meno fugaci
nella durata e nella ripercussione. Questo, fra molto altro, s’impara al museo dell’impero, e
rende pensosi. Sopra lo scacchiere imperiale, che nella pratica abbracciava tuto il mondo
allora conosciuto – vastissimo, quasi sterminato dati i trasporti e la popolazione di allora –
Roma giocava le sue pedine con una sagacia accanita, disinvolta e paziente, che fa allibire noi,
abituati ai velocissimi spostamenti.
A questo punto iniziava una descrizione del percorso del Museo, che «parte dai monumenti romani di conine, ai limiti estremi della penisola: di quella che ai tempi di Augusto già
tuta era e si chiamava l’Italia, costituita con ferma unità politica, legislativa e tributaria»63.
58
M. G(rassini) Sarfatti, Il Museo dell’Impero, cit.
Vd. G. Pisani Sartorio, Restauro archeologico e lavori di isolamento a Roma nella prima metà del Novecento: il Teatro di
Marcello (1926-1940), in «Civiltà Romana», II (2015), pp. 127-157.
60
M. G(rassini) Sarfatti, Il Museo dell’Impero, cit.
61
Ibidem.
62
Ibidem.
63
Ibidem.
59
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 347
Dal complesso delle Sale dedicate alle province, pur nella consapevolezza della decadenza
in agguato, sorgeva comunque una sorta di monito64:
Ovunque, Roma lascia la sicura impronta del suo genio costrutivo, guerriero e politico,
«memento regere». Ovunque, semina le ossa dei suoi soldati e marchia la limpida quadratura della sua civiltà; del suo genio per un vivere confortevole, elevato e umano, soto il vocabolo della bellezza e della durata: cioè soto il vocabolo del tempo e dell’eternità.
Una particolare atenzione, a questo punto del testo, era data all’elemento militare che segnava e marcava la presenza di Roma in tuto l’impero, e proprio di singoli soldati di Roma
– aferma la Sarfati – grazie alle epigrai conosciamo molto di più di quanto potremmo oggi
conoscere a proposito del passante che ci siora in strada. Sono i soldati i protagonisti di questa
parte dell’articolo, che li individua come i veicoli di una romanizzazione costante e difusa65:
Grandi sacriici Roma chiedeva, ma li compensava e sapeva onorarli. E nobilmente ai caduti della guerra dacica Traiano dedica un monumento «in honorem et memoriam fortissimorum virorum qui pro republica morte occubuerunt». Segue l’appello dei singoli nomi. E
nobilmente la legione italica, nelle terre danubiane, dedicava l’ara votiva al Genio, alla Virtù,
agli Dei militari, all’Aquila Santa e alle insegne del corpo.
Con questi uomini, con questa organizzazione, si arriva al prodigio conclamato e proclamato nel sonante conciso latino dell’epigrafe trovata in Ancira «al signore di tuto il mondo;
a Giuliano Augusto che, apertasi la via fra i barbari, sterminando le popolazioni che si opponevano con le armi, venne in una sola estate dall’Oceano Britannico al Tigri»66.
(Berlino-Bagdad è modesto sogno)67.
A questa esaltazione dell’elemento militare, che culmina con Giuliano, faceva immediatamente seguito un cenno ai prodigi dell’urbanistica romana68:
[…]. L’urbanesimo più americano è tuto nelle piante delle cità romane, quadrate, a
retiili inesorabili che s’incrociano. Sono ancora le piante fondamentali di Parigi, di Vienna,
di Treviri, di Torino e di Londra, metropoli che furono capitali di provincie romane.
Tutavia, in questo quadro di romanità non c’è un gelido livellamento perchè già nelle
espressioni artistiche delle province si scorge – scrive la Sarfati – il nucleo dei carateri essenziali che le singole regioni e le loro arti avranno dopo l’Impero. Insomma, «Dal museo si esce
storditi», con l’impressione che la terra che si continua a scavare sia un immenso palinsesto
di vite umane capaci di aggiungere e di lasciare in legato alla posterità, rispeto alla pura e
semplice stratiicazione delle rocce sulla terra o alla crescita dei coralli nel mare, l’elemento
della bellezza69. A questo punto, in chiusura dell’articolo, l’idea di vita e di bellezza suggerisce
64
Ibidem.
Ibidem, corsivo nel testo originale.
66
Cfr. supra nota 40.
67
Per un’analisi storico-diplomatica di tale progeto, sorto sul inire del XIX secolo nell’ambito della gara tra le diverse potenze
per l’egemonia, vd. S. McMeekin, he Berlin-Baghdad Express. he Otoman Empire and Germany’s Bid for World Power, Harvard
(MA) - Cambridge, 2012.
68
M. G(rassini) Sarfatti, Il Museo dell’Impero, cit.
69
Ibidem.
65
348
Enrico Silverio
Fig. 4. Le ultime parole dell’articolo di M. Grassini Sarfati,
atraverso cui l’autrice esprimeva l’auspicio di un ampliato
Museo dell’Impero Romano presso le Terme di Caracalla
(da M. G[rassini] Sarfatti, Il Museo dell’Impero, in «Il
Giornale d’Italia», Roma, 29 aprile 1927, p. 3).
all’autrice di avanzare una proposta per
una nuova sede del Museo dell’Impero,
forse non originale – visto il precedente
della Mostra Archeologica nelle Terme
di Diocleziano – ma di certo coerente ed
anzi probabilmente in anticipo sui tempi,
viste le successive possibilità di collegare le
collezioni museali ad un’area archeologica
destinate ad emergere con il trasferimento
dell’Istituzione nel palazzo dell’ex pastiicio Pantanella70 (fig. 4):
Vorrei vedere il Museo dell’Impero
fuori delle aule anguste dell’ex convento e già scuola, nel bacio e nel fremito vivo della luce e
del sole in Roma. Per esempio, presso le terme di Caracalla, che la Dea Febre non più occorre
vigili e custodisca a un’Italia ora memore.
«L’aquila invita ha ritirato i suoi artigli, ma lascia segni profondi che non si cancellano»
Di notevole interesse per il nostro tema è anche un articolo di Vitorio Evangelisti apparso
il 18 maggio 1927 su «Il Lavoro d’Italia» e dal titolo Il trionfale volo dell’Aquila di Roma
esaltato nel nuovo Museo dell’Impero (fig. 5). Il testo, corredato da due illustrazioni, si colloca
a poca distanza dall’inaugurazione, quando il Museo era intento a terminare i lavori che ne
avrebbero consentito la deinitiva apertura al pubblico.
Anche in questo caso, il primo approccio con il nuovo Museo è costituito dalla descrizione della sua sede, non lungi dalla «innamorante fontanina di Giacomo Della Porta»71.
Infati, in quei pressi era possibile vedere
su un fabbricato di aspeto non troppo imponente, una insegna marcata a bei carateri rossi
che rallegra la vista e conquide lo spirito, metendolo subito sull’atenti: Museo dell’Impero
Romano!72
L’autore si sofermava quindi sulla derivazione del Museo dalla Mostra Archeologica del
1911, ricordando anzituto quale fosse stato l’intento – o meglio, l’intento principale – dell’esposizione73:
Nel 1911, festeggiandosi il primo cinquantenario del Regno d’Italia, fu promossa fra l’altro una mostra archeologica alle Terme di Diocleziano, con la quale si volle – citiamo testualmente le parole di Rodolfo Lanciani che ne fu animatore – «ricomporre un quadro della
70
Ibidem.
V. Evangelisti, Il trionfale volo dell’Aquila di Roma esaltato nel nuovo Museo dell’Impero, in «Il Lavoro d’Italia», Roma, 18
maggio 1927, p. 3. L’articolo era illustrato con due fotograie, l’una riproducente il plastico del palazzo di Diocleziano a Spalato,
esposto nella Sala X-b Illyricum (Dalmatia) – vd. Catalogo del Museo dell’Impero Romano (1927), cit., pp. 79-80 – l’altra invece un
«Carateristico esempio di arte provinciale».
72
Ibidem, corsivo nel testo originale.
73
Ibidem e cfr. R. Lanciani, Introduzione, cit., p. 9, ove tutavia, non è «avuti da Roma», ma è «ricevuti da Roma».
71
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 349
Fig. 5. Il titolo ed alcuni brani dell’articolo di V. Evangelisti. Si nota, nella seconda colonna, l’identiicazione
di Augusto quale genius loci del Museo (da V. Evangelisti, Il trionfale volo dell’Aquila di Roma esaltato nel
nuovo Museo dell’Impero, in «Il Lavoro d’Italia», Roma, 18 maggio 1927, p. 3).
civiltà romana soto l’Impero, domandando a ciascuna delle sue XXXVI provincie qualche
ricordo dei beneici avuti da Roma, soto i vari aspeti della vita civile e privata, e specialmente nel ramo delle opere pubbliche».
Seguiva un paragrafo intitolato Un po’ di storia retrospetiva in cui, non senza un’otica a
posteriori ed un’interpretazione teleologica, si continuava a rievocare il ruolo della Mostra
Archeologica nell’ambito delle feste cinquantenarie74:
Parve opportuno e ben conveniente allo spirito di quelle feste, che celebravano nella ricorrenza lo sforzo vitorioso di un popolo riassunto da poco alla piena coscienza del proprio valore e
già incamminato sulle vie della riconquista, presentare un quadro della latinità che ofrisse, atraverso l’esposizione dei vari monumenti, un’immagine della gigantesca opera civilizzatrice compiuta da quello stesso popolo presso le più lontane genti, costituite oggi in nazioni che hanno formata la loro civiltà e costruito il loro benessere sulle robuste basi getate anticamente da Roma.
Non si mancava anche in questo caso di ricordare gli elementi sostanzialmente estranei
all’idea principale ed informatrice della Mostra75:
74
75
Ibidem.
Ibidem e cfr. supra nota 19.
350
Enrico Silverio
La mostra, organizzata dal senatore Lanciani con la valida collaborazione del professor
Giglioli, ospitò accanto al suo nucleo principale altre raccolte che, pregevoli per sè stesse,
non parvero contribuire al raggiungimento dei ini enunciati e nocquero un poco all’armonia
dell’insieme. Nel complesso apparve però una mirabile opera di divulgazione, e stupì l’ingente quantità del materiale preziosissimo, ben degno delle nobili parole, piene di trepida
speranza e di accorata preoccupazione, con cui il Lanciani espresse nel discorso inaugurale
l’augurio che non andasse disperso, ma, accolto deinitivamente in appropriata sede, fosse di
ausilio agli studiosi e di perenne ediicazione alla gioventù italiana76.
Inine, Evangelisti evidenziava l’impossibilità di stabilizzare l’esposizione in un’istituzione museale prima dell’avvento del Fascismo, deinito in sostanza una sorta di “restitutore
degli aurea saecula” dopo le «varie scosse di assestamento» che erano seguite al periodo
caraterizzato dalla guerra italo-turca e dalla prima guerra mondiale. Notevole è anche l’attenzione al Museo quale «archivio della romanità»77:
Il voto fu raccolto dal Giglioli e custodito fedelmente per un lungo periodo di anni calamitosi, in cui ogni tentativo di realizzarlo sarebbe parso inopportuno e destinato a naufragio.
Compiuta l’impresa libica, passato il cataclisma della guerra mondiale, chiuso il fortunoso
ciclo delle varie scosse di assestamento, soltanto oggi l’idea di un sifato archivio della romanità poteva tradursi in un bel fato concreto, per inquadrarsi degnamente nella serie di
geniali iniziative che, al soio portentoso del trionfante verbo fascista, restituiscono a Roma
il prestigio del suo Secolo d’Oro.
Segue un ulteriore paragrafo signiicativamente intitolato Il “genius loci„ del Museo e quindi
dedicato ad Augusto. Evangelisti descrive infati la vista che si ofriva a chi fosse riuscito ad entrare nel Museo, nel quale fervevano i lavori per garantire, dopo l’inaugurazione, l’apertura
al pubblico. Si tratava dell’indicazione di quelle vestigia che, più di altre, valevano ad introdurre il visitatore al Museo ovvero erano in grado di comunicargli subito l’idea di Roma
che si intendeva trasmetere. Tra di esse – alcune delle quali sono «vecchie conoscenze»
perché intimamente connesse allo spirito di ogni Italiano in quanto erede di Roma – spiccano ancora una volta proprio Augusto e le memorie augustee ed anzi il primo imperatore
è senz’altro deinito il genius loci del Museo dell’Impero Romano78:
76
Ibidem. Cfr. R. Lanciani, Introduzione, cit., p. 11: «Ed ora che il nostro compito è terminato, salvo qualche ritocco e
perfezionamento, dobbiamo noi ripetere, a te Roma Eterna, a te divo Augusto, numi tutelari e presidî della Esposizione, le cui
immagini qui vedrete collocate al posto d’onore, dobbiamo noi ripetere il grido: Ave Roma! Ave Caesar! Morituri te salutant!
o dobbiamo serbare la speranza che l’opera nostra abbia a sopravvivere? Mi auguro che il vostro verdeto, o signori, sia per
essere favorevole, e che la gioventù italiana possa trovare ispirazione da questo futuro Museo dell’Impero, per tute quelle
virtù che resero Roma moralmente e materialmente la dominatrice del mondo»; nonché deliberazione del governatore di
Roma n. 6073 del 21 agosto 1926, Relazione per un Museo dell’Impero Romano: «Quando poi si potrà ordinare in degna sede,
il materiale che si sarà raccolto, non solo gli studiosi, ma il pubblico colto e specialmente i giovaneti e i fanciulli delle scuole,
potranno, passando di sala in sala, ammirare riprodoto ciò che i Romani fecero in Gallia e in Spagna, in Britannia e in Oriente,
in Asia e in Africa e avere in un momento la visione e la coscienza di ciò che l’Impero di Roma fu ed è ancora nella storia
dell’incivilimento umano». Sul valore educativo e pedagogico delle collezioni raccolte a partire dalla Mostra Archeologica
nelle Terme di Diocleziano vd. nell’altro mio contributo al presente volume le note 68 e 131.
77
V. Evangelisti, Il trionfale volo dell’Aquila di Roma, cit.
78
Ibidem. Sulla presenza di Augusto anche nella Mostra Archeologica del 1911 ed in particolare sull’importanza accordata alla
statua di via Labicana rinvio al mio ulteriore contributo in questo volume. Naturalmente, una funzione quale quella ricordata da
Evangelisti comporta per il calco della statua augustea una ponderata collocazione nell’ambito dell’allestimento: sul calco della statua
dell’Augusto di Prima Porta come “eyecatcher” nel Museo dell’Impero Romano, anche nella sede successiva del Palazzo dei Musei di
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 351
Nell’atrio sono adunate alcune vecchie conoscenze, che servono otimamente a preparare lo stato d’animo al visitatore: c’è l’Aquila fatidica, visibile nell’originale all’ingresso dei SS.
Apostoli, e c’è il bellissimo Augusto di Prima Porta del Vaticano79. Otaviano è un po’ il genius
loci del Museo: erede non indegno delle fortune di Cesare, magni[i]co realizzatore del suo
sogno imperiale, lo incontreremo ancora nei vari ambienti, sovente ricordato nelle iscrizioni,
presente spesso in eige e sempre in ispirito.
L’autore si sofermava poi sulla descrizione del percorso lungo le sale e gli ambienti di
passaggio che illustravano il quadro delle XXXVI province rappresentate nel Museo, ma
non prima d’aver chiarito un criterio di distribuzione del materiale che si riverberava anche
sul piano della presentazione dell’idea di Roma80:
Nel salone a pianterreno è collocata una serie di monumenti che per la loro mole o per
diicoltà di trasporto, non hanno trovato posto nelle singole stanze delle regioni a cui appartengono. Altri numeri di vario caratere e diversa provenienza sono sparsi lungo la scala che
dà accesso ai due piani superiori, e qui inalmente si inizia il suggestivo viaggio […].
In questo viaggio atraverso l’impero a primeggiare non è afato l’idea della dominazione ma quella dell’assimilazione, cioè dello strumento atraverso cui Roma si è estesa a tuto
il mondo81:
[…]. Monumenti che ricordano la saggezza legislatrice di Roma e apportano nuovi lumi
allo studio della sua insuperata arte di governo, si alternano a gustosi quadreti di colore indigeno e a carateristiche stele funerarie, dove la coppia defunta appare incorniciata da un serto
di alloro: la donna abbigliata nel tradizionale costume barbarico, l’uomo in tunica e toga e
con un rotulo in mano, segno dell’otenuta citadinanza romana.
A questo punto, la visita al Museo dell’Impero Romano non può non far sorgere delle
considerazioni, che Evangelisti svolge in un nuovo paragrafo intitolato Una fatale missione
compiuta. Esse ruotano, appunto, atorno alla «fatale missione» di Roma che, realizzatasi
nella storia come dimostrano le testimonianze raccolte nel Museo, rende ogni uomo moderno «igliuolo spirituale di Roma» e quindi – sembra leggersi tra le righe – non solo
dell’antica, ma anche della moderna Roma dell’«Italia nuova»82:
Da una rapida corsa atraverso tanta estensione di luoghi e di vicende avventurose si esce
con lo spirito un po’ abbagliato e poco pronto alla virtù degli apprezzamenti sintetici e dei
rendiconti ilosoici.
Pure, compiuta la visita al Museo e rivedendo nell’atrio la simbolica aquila dagli artigli
formidabili coniti in tenace presa di possesso nel lauro della vitoria, non è diicile rispondere alla domanda che aiora improvvisamente dal fervore di mille sensazioni…
Roma, vd. le considerazioni di F. Scriba in questo volume e cfr. quelle espresse dallo stesso Autore con riferimento al Genius Augusti
nella Mostra Augustea della Romanità in F. Scriba, L’estetizzazione della politica nell’età di Mussolini e il caso della Mostra Augustea
della Romanità. Appunti su problemi di storiograia circa fascismo e cultura, in «Civiltà Romana», I (2014), pp. 125-158 (140).
79
V. Evangelisti, Il trionfale volo dell’Aquila di Roma, cit.
80
Ibidem e vd. Catalogo del Museo dell’Impero Romano (1927), cit., pp. 16-31. Cfr. anche supra note 45 e 57.
81
V. Evangelisti, Il trionfale volo dell’Aquila di Roma, cit.
82
Ibidem.
352
Enrico Silverio
Che fu questo volo trionfale dell’aquila romana, oltre ogni misura ed oltre ogni limite
imposto alle imprese dell’uomo, e tale che a chi lo consideri a distanza di secoli dà ancora
le vertigini, e parrebbe epica fantasia d’un poeta di genio se non fosse realtà superbamente
documentata?
Fu il compiersi di una missione fatale e necessaria, aidata ad un popolo fornito di qualità
eccezionali e singolarmente ato alle imprese della guerra e della pace: missione i cui efeti
persistono evidenti nei linguaggi, nei costumi e nelle coscienze.
Passano le fortune militari, si spostano i conini politici e le genti compiono il loro ciclo
evolutivo, in cammino verso nebbiosi porti lontani… L’aquila invita ha ritirato i suoi artigli,
ma lascia segni profondi che non si cancellano: e chi vive nell’esercizio dei propri diriti e
nella disciplina delle leggi, chi arde in un suo sogno di conquista, chi opera nell’ansia di un
superamento è ancora oggi, soto ogni cielo e all’ombra di qualunque bandiera, igliuolo spirituale di Roma.
Una visita di Pericle Ducati, «accompagnato dall’amico mio, l’archeologo Giulio
Quirino Giglioli»
Un altro articolo di nostro particolare interesse rispeto al Museo dell’Impero Romano nella sua sede di S. Ambrogio è dovuto a Pericle Ducati e venne pubblicato, senza illustrazioni,
ne «Il Resto del Carlino» dell’8 gennaio 1928 con il lapidario ma signiicativo titolo Il
Museo dell’Impero83 (fig. 6). Neppure in questo caso ci si sotrae ad un incipit che descrive,
in modo anche molto più direto dei testi sui quali ci siamo inora sofermati, la modestia
dell’ediicio di S. Ambrogio rispeto ad un Museo dell’Impero ed inoltre – per la prima
volta – viene fata balenare la peculiarità di una collezione di calchi, plastici, fotograie e
piante topograiche, cioè «una raccolta non già di opere del Genio delle Arti»84:
Un nuovo Museo a Roma, nella cità dei Musei. Ed è una raccolta non già di opere del Genio delle Arti, non già di cimeli strappati all’invida terra, ma è una raccolta di calchi in gesso, di
impiccolite ricostruzioni architetoniche, di fotograie, di piante topograiche. E non è già in un
cospicuo ediizio che tuto questo materiale è adunato ed esposto, ma in un banale caseggiato,
nell’ex convento di Sant’Ambrogio, sorgente laggiù nella vecchia Roma, nei pressi della piazzetta ove canta perenne l’acqua della gentilissima tra le fontane, quella delle Tartarughe.
Nell’economia dell’articolo si trata però di una sorta di espediente per preparare il terreno ad un decisivo cambio di prospetiva, che coglie lo studioso non appena messo piede
nell’atrio del Museo alla presenza, ancora una volta, di Augusto, deinito come già in passato
«Genio del luogo»85:
Ma quando l’altro giorno, accompagnato dall’amico mio, l’archeologo Giulio Quirino
Giglioli, ideatore felice e realizzatore sapiente ed accorto del nuovo Museo, vi entrai e vidi
83
P. Ducati, Il Museo dell’Impero, cit., p. 1. Si noti nel titolo l’omissione dell’aggetivo “Romano”, piutosto comune nelle fonti
dell’epoca e che evidenzia come quello illustrato nel Museo fosse percepito come “l’Impero” per antonomasia senza necessità
di ulteriori speciicazioni. Su P. Ducati vd. in modo particolare N. Parise, s.v. Ducati, Pericle, in «Dizionario Biograico degli
Italiani», XLI, Roma 1992, pp. 726-730 e G. Cairo, Pericle Ducati: il carteggio ritrovato, Bologna 2012.
84
P. Ducati, Il Museo dell’Impero, cit.
85
Ibidem e cfr. supra nel testo ed inoltre nota 78.
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 353
Fig. 6. Il titolo ed alcuni brani dell’articolo di P. Ducati. Si distingue, nella prima colonna, il riferimento
all’«amico mio, l’archeologo Giulio Quirino Giglioli» (da P. Ducati, Il Museo dell’Impero, in «Il Resto del
Carlino», Bologna, 8 gennaio 1928, p. 1).
dinanzi a me nell’atrio il calco dell’Augusto di Prima Porta del Braccio Nuovo del Vaticano,
dell’Augusto rappresentato come duce supremo delle legioni, di quell’Augusto che sembra la
personiicazione dell’impero nel suo più alto fulgore, mi riiorirono nella mente i ben noti,
fatidici versi dei due vati augustei, di Virgilio e di Orazio.
«Tu, o Romano, ricordati di reggere con l’impero i popoli. Queste saranno le tue arti:
imporre la norma della pace, perdonare agli umili, debellare i superbi»86.
«O almo sole, tu che col carro splendido fai apparire e fai nascondere il giorno, tu che
nasci diverso, pur essendo sempre lo stesso, oh, che tu non possa vedere nulla di più grande
della cità di Roma!» 87.
Basta invero trovarsi al cospeto del Genio del luogo, cioè di Augusto, di candido, freddo
gesso, e dei calchi, pure freddi nel loro candore, che gli stanno atorno nell’atrio, esprimenti
86
Sull’utilizzo di Verg. Aen. 6, 851 nelle emissioni ilateliche commemorative del Bimillenario Virgiliano vd. A.M. Liberati,
La storia atraverso i rancobolli tra anniversari e ideologia nell’Italia degli anni Trenta del Novecento, in «Civiltà Romana», I
(2014), pp. 231-281 (246-247).
87
Sull’utilizzo – parziale, probabilmente anche per rendere l’espressione maggiormente signiicativa tenuto conto dello
scarso spazio garantito dal supporto – dei vv. 9-12 del Carmen saeculare nelle emissioni ilateliche del Bimillenario Oraziano e
del Bimillenario Augusteo vd. A.M. Liberati, La storia atraverso i rancobolli, cit., pp. 255 e 269-270.
354
Enrico Silverio
voci della gran Madre, Roma, per capire, ora specialmente, in questi tempi di balda e idente
rinascita italica, la grande potenza educatrice che nelle giovani anime88, il grande fascino
che nella mente e nel cuore dei non più giovani può esercitare un Museo dell’Impero. Cioè
un Museo che sia come un ben ordinato archivio di tuto quanto è rimasto di romano, […].
Segue quindi una lunga digressione sui contenuti delle diverse sale del Museo, ritenuti
quantomai utili perché
la grandezza di Roma si può sentire, è vero, visitando pensosi i ruderi della eterna cità o
penetrando nelle collezioni di arte antica con lo sguardo rapito dinanzi ai rilievi illustranti
gloriose imprese, dinanzi alle eigi di coloro, i cui nomi issò per sempre la Storia, ma tale
grandezza intiera si potrà abbracciare e valutare qualora il nostro occhio, sia pur per breve
tempo, vorrà posarsi su tuta la testimonianza materiale lasciata da Roma nelle provincie.
Testimonianza concreta che integra e meglio ci fa comprendere quel patrimonio spirituale
che, come bene incancellabile per il progresso della umanità, Roma ha lasciato in retaggio
atraverso i secoli, per cui
e tuto che al mondo è civile,
grande, augusto, egli è romano ancora89.
Nella esposizione delle tracce di Roma nell’Impero non c’è – continua il Ducati – né
uniformità né monotonia, «ché non possono essere annullati i peculiari carateri indigeni di ciascuna provincia, persino di ciascuna regione d’Italia, ove la romanità ha accenti
diversi»90. Seguono quindi gli esempi di Susa e Pola, delle Hispaniae e delle Galliae, sino a
giungere all’Egito91:
Che dire poi, per esempio, dell’Egito, ove la millenaria civiltà faraonica fa sentire la sua
voce anche nei monumenti imperiali romani? Documento luminoso è, nel Museo, il colosso
di jeratico tipo egizio, il cui volto riproduce invece i trati isionomici del truce Caracalla.
Dopo aver accennato alle testimonianze dall’Asia Minore e dall’Africa setentrionale, Ducati spiega che, «al di là dei templi, dei palazzi, delle terme, delle fortiicazioni, degli archi,
delle strade, dei ponti, dei porti; al di là dei rilievi e delle statue e degli oggeti che con la loro
bellezza, raggiunta dal magistero dell’Arte, ci consolano lo spirito pur dimostrando, anch’essi, la grandezza di Roma», ci sono «alcuni documenti i quali sono come la dichiarazione di
quanto Virgilio espresse nei sopra citati versi dell’Eneide palesando la immortale missione di
Roma e di quanto Orazio nel Carme secolare esaltò, magniicando Roma e la sua potenza»92.
Si trata di documenti che, nella visione dell’autore, saldano la missione universale di
Roma antica con la nazione italiana in una continuità indissolubile ed atuale93:
88
Cfr. supra nota 76.
P. Ducati, Il Museo dell’Impero, cit. La citazione è naturalmente dai versi 15-16 dell’ode carducciana Nell’annuale della
fondazione di Roma, contenuta nel Libro I delle Odi barbare, pubblicate nel 1877.
90
P. Ducati, Il Museo dell’Impero, cit.
91
Ibidem e cfr. Catalogo del Museo dell’Impero Romano (1927), cit., p. 142 quanto alla statua colossale con i trati di Caracalla
nella Sala XXIII Aegyptus.
92
P. Ducati, Il Museo dell’Impero, cit. Cfr. supra note 86 e 87.
93
Ibidem e cfr. Catalogo del Museo dell’Impero Romano (1927), cit., pp. 113-114 per la serie di epigrai di Delo, esposte nella Sala
XVII Achaia-Macedonia; p. 46 per l’epigrafe bronzea di L. Emilio Paolo, esposta nella Sala VI Hispaniae; p. 125 per le epigrai
89
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 355
Il sentimento di nazionalità italica promosso da Roma e sviluppatosi nel nome di Roma:
è la serie di iscrizioni trovate a Delo, diventata dopo il 146 a.C., anno della distruzione di Corinto, il più lorido centro commerciale dell’Egeo tra Roma e l’Oriente; in queste iscrizioni
soto il nome di Italici si comprendono e i citadini di Roma e i sudditi e gli alleati d’Italia;
in una parola tuti gl’Italiani. Sembrano queste iscrizioni quasi gli ati di nascita della nostra
Nazione.
La tutela degli oppressi: è una epigrafe di bronzo trovata presso Cadice e veneranda perché è del 189 a.C.; ivi L. Emilio Paolo, il futuro vincitore dei Macedoni a Pidna, come pretore,
generosamente decreta di dare la libertà agli Astensi, oppressi dai loro antichi padroni e di
restituire loro terre e cità.
La sapienza colonizzatrice, cioè la fertilità invece della brughiera, della palude, del deserto: sono i due cippi trovati in Tunisia, l’uno dell’età di Traiano, l’altro dello inizio del sec. III,
con norme che facilitano lo sfrutamento dei dominî imperiali incolti ed abbandonati.
[…].
La concetosità romana, segno di forza invita e di conscio volere, a suggello delle più alte
imprese: è la epigrafe di L. Emilio Paolo per la vitoria di Pidna del 167 a.C. sul monumento
commemorativo di Deli, cioè le parole L. Emilio iglio di Lucio, duce, conquistò a Perseo e ai
Macedoni.
L’elogio, solenne perché breve, ai morti per la grandezza della Patria: è la iscrizione del
cenotaio di Adam-Klini (sic), […]. Nessuno abbellimento, nessun iore retorico aggiunto
alle poche, austere e nobili parole.
La vigilanza inine tra le turbolenti popolazioni del nord: il rude cippo, già inisso come
segnacolo di divisione tra tribù germaniche, tra quelle sotomesse a Roma e quelle del tuto
indipendenti.
Tali ed altre molte sono le voci di Roma repubblicana ed imperiale, voci che risuonano
in questo Museo di calchi, di ricostruzioni architetoniche, di fotograie, di disegni. Ma è in
questo Museo l’auspicato archivio della romanità.
Nelle righe immediatamente successive, che concludono l’articolo, il Ducati si soferma
sulle origini del Museo nella Mostra Archeologica del 1911 e conclude chiarendo come
l’atuale conigurazione dell’Istituzione non fosse che una fase verso la creazione di «un
Museo assai più ampio» al quale sarà possibile dare vita proprio in virtù dell’atenzione
verso la romanità che caraterizza l’«Italia nuova»94:
Ma il Museo dell’Impero così come ora si presenta non è deinitivo; per il Giglioli, e con
ragione, esso Museo, quantunque occupi una trentina di ambienti in cui il materiale abbonda, non è se non il nucleo di un Museo assai più ampio, ove la romanità delle regioni italiane
e delle provincie e delle terre coninanti dovrà essere rappresentata con abbondanza assai
maggiore di monumenti. Anzi quanto ora si può osservare con curiosità che si trasmuta subi-
menzionanti i provvedimenti volti a favorire lo sfrutamento dei terreni incolti, esposte nella Sala XIX Arica proconsularis; p. 112
per il monumento di Pidna, esposto nella Sala XVII Achaia-Macedonia; p. 103 per l’iscrizione del cenotaio di Adamclisi,
esposta nella Sala XIV Moesiae; p. 20 per lo «Scoglio (n. inv. 28) del Conine dell’Impero nella valle del Reno» (corsivo
nell’originale citato) esposto nella Sala II. Gli esempi fati da Ducati sono stati selezionati – come egli stesso informa in un
passaggio poco sopra il testo trascrito – diretamente dal Catalogo del Museo: «Spigolo qua e là, scegliendo a caso dal bel
Catalogo del Museo dell’Impero Romano».
94
P. Ducati, Il Museo dell’Impero, cit.
356
Enrico Silverio
to in ammirazione ed in venerazione nell’ex-convento di Sant’Ambrogio, fa suscitare in noi il
desiderio dell’ampliamento e dell’arricchimento in sede deinitiva. Il programma da svolgere
è diicile ed è vasto; ma il fervore non manca e non manca il consenso, perché alla romanità
oggi siamo maggiormente richiamati, perché è nel nome di Roma che l’Italia nuova ha iniziato l’ascesa verso il suo radioso avvenire.
Conclusione: dal 21 aprile 1927 al «21 aprile dell’anno XI» in un articolo di Giulio
Q. Giglioli
Gli anni seguenti vedono una serie di incrementi delle collezioni, compresi alcuni per direto interessamento di Mussolini debitamente riportati sui quotidiani anche perché pertinenti materiali provenienti dalle colonie riconquistate dal Fascismo (fig. 7), ed inine il
trasferimento dell’Istituzione nella più ampia sede dell’ex pastiicio Pantanella in piazza
Bocca della Verità, divenuto Palazzo dei Musei di Roma (fig. 8). Sono anni in cui il Museo si
giova, per il suo accrescimento, del favore del Governo verso la “Romanità” e durante i quali
contribuisce esso stesso in prima linea a detarne alcuni canoni.
All’interno di questo meccanismo, un ruolo particolare è quello della stampa quotidiana. Di certo, per il Museo dell’Impero Romano non si dispone di una mole di documentazione giornalistica quale quella che invece venne prodota in occasione della Mostra Augustea della Romanità tra il 1932 ed il 193895. Contemporaneamente, tutavia, limitandoci
agli anni presi in considerazione in questo contributo, noteremo come gli interventi sulla
stampa quotidiana fossero tuti o quasi dovuti a giornalisti o studiosi di notevole importanza ed inluenza: in tal senso, il livello degli interventi dovete forse supplire al loro numero
relativamente ridoto, ma è certo che senza tali interventi il pubblico non avrebbe forse
saputo inquadrare l’ampiezza di un disegno quale quello della costruzione di un Museo
dell’Impero Romano all’interno del dignitoso ma anche modestissimo – rispeto allo scopo – ediicio dell’ex convento di S. Ambrogio. Invece, gli articoli di stampa riescono ad inquadrare l’allestimento presso S. Ambrogio come una tappa verso una diversa e più ampia
sede, anzi rendono merito al fato stesso della decisione di iniziare in maniera così modesta
un’impresa che in qualche modo occorreva pure iniziare. In questo senso, gli interventi sulla
stampa paiono recuperare uno dei motivi della Relazione per la deliberazione istitutiva del
Museo96, che peraltro – come si sarà notato dall’analisi dei singoli contributi fata precedere
da quella della deliberazione – viene ripresa anche in altri punti ed in altri temi, a partire dal
collegamento con la Mostra Archeologica del 1911.
Allo stato atuale della ricerca non è possibile comprendere in che modo da parte del
Museo dell’Impero Romano gli articoli più importanti – quelli di Bacchiani, della Sarfati,
di Evangelisti e di Ducati – fossero stati suscitati né se e come i loro contenuti fossero stati
95
Un’ampia rassegna stampa sulla Mostra Augustea della Romanità si rinviene sia nell’Archivio Storico del Museo della
Civiltà Romana che presso l’Archivio dell’Istituto Nazionale di Studi Romani.
96
Deliberazione del governatore di Roma n. 6073 del 21 agosto 1926, Relazione per un Museo dell’Impero Romano: «Quando
poi si potrà ordinare in degna sede, il materiale che si sarà raccolto, non solo gli studiosi, ma il pubblico colto e specialmente i
giovaneti e i fanciulli delle scuole, potranno, passando di sala in sala, ammirare riprodoto ciò che i Romani fecero in Gallia e
in Spagna, in Britannia e in Oriente, in Asia e in Africa e avere in un momento la visione e la coscienza di ciò che l’Impero di
Roma fu ed è ancora nella storia dell’incivilimento umano».
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 357
Fig. 8. La notizia del trasferimento del Museo dell’Impero
Romano nella nuova sede dell’ex pastiicio Pantanella (da
«Il Giornale d’Italia», Roma, 8 novembre 1928).
Fig. 7. La notizia del dono da parte di Mussolini al Museo
dell’Impero Romano del calco di alcune epigrai rinvenute durante la riconquista della Libia (da «Il Messaggero»,
Roma, 20 luglio 1928).
“veicolati”. Tutavia, nei singoli testi, il ricorrere degli stessi temi della Relazione poco sopra
ricordata o la descrizione dei medesimi pezzi, suggerisce un intervento dello stesso Giglioli
che, peraltro, non si fatica ad immaginare nelle vesti di accompagnatore tra le Sale del Museo o in quella di sollecito ed entusiasta prestatore di materiale informativo o fotograico per
gli articoli. In particolare, che l’articolo di Bacchiani e quello di Ducati siano stati preceduti
da una visita curata da Giglioli è deto all’interno dei due testi e quindi non è improbabile
che la stessa cosa fosse accaduta nel caso della Sarfati e di Evangelisti97.
Siamo dunque probabilmente di fronte ad una ulteriore prova non solo dell’ativismo
dello studioso, ma anche del suo svolgersi atraverso tuti i livelli: in tal senso non va dimenticato che all’interno dell’amministrazione della Mostra Augustea della Romanità sarà
istituto anche un Uicio Stampa e Propaganda, con a capo il noto giornalista Gino Massano autore – tra l’altro – di un articolo divulgativo sul Museo pubblicato nella fase del suo
97
Se si confrontano i testi di Bacchiani e della Sarfati, si nota la ricorrenza della descrizione o della menzione degli stessi
oggeti, mentre Ducati ci informa – vd. supra nota 93 – come la sua descrizione avvenisse consultando il Catalogo che,
probabilmente, veniva donato agli autori. Quale fosse il giro del Museo che Giglioli doveva fare compiere ai suoi ospiti si può
immaginare consultando il già citato articolo da «Il Giornale d’Italia» del 23 aprile 1927.
358
Enrico Silverio
trasferimento dall’ex convento di S. Ambrogio all’ex pastiicio Pantanella in piazza Bocca
della Verità98.
Giglioli, peraltro, non disdegnava afato di intervenire egli stesso sui quotidiani: in tal
senso piace concludere riandando ad un suo contributo giornalistico sulla celebrazione del
21 aprile. In esso del Museo dell’Impero Romano non si parla diretamente, ma lo spirito
e l’idea di Roma che sotostanno all’intero testo sono esatamente quelli che animarono la
deliberazione del 21 agosto 1926 ed è quindi interessante osservare come quello spirito e
quella idea si raforzassero negli anni, tra il progressivo ampliamento delle collezioni del
Museo dell’Impero Romano e l’inizio dei lavori della grande Mostra Augustea della Romanità99.
Come dunque si è avuto occasione di evidenziare più sopra, la data del 21 aprile è strettamente intrecciata tanto con la storia del Museo dell’Impero Romano che con il culto fascista della Romanità ed anzi la stessa iniziale inaugurazione tenuta in quella data contribuisce essa stessa a meglio conigurare e speciicare l’idea di Roma sotesa al Museo. Anche
allo scopo di cercare di comprendere come l’idea di Roma espressa dal Museo e dai suoi
animatori e già delineata a livello ideale nel 1911 si raforzasse di anno in anno alimentandosi del clima del Fascismo ed alimentando essa stessa quest’ultimo, non pare allora
davvero senza signiicato fare un breve cenno all’articolo di G.Q. Giglioli, comparso su «Il
Giornale d’Italia» del 21 aprile XI – la data è infati espressa in anni dell’“era fascista” –, dal
titolo Tradizione delle origini, illustrato con una fotograia del calco dell’“Ara di Ostia” che
reca rilievi con scene delle origini100 (fig. 9).
Dopo aver ripercorso le vicende del mito delle origini dell’Urbe ed avere ricordato i
Parilia o Palilia, la celebrazione adrianea de «il dì dell’impero» ed averne rammentato il
lungo oblio, Giglioli spiegava come la festività fosse rinata «col Rinascimento e su proposta
di Pomponio Leto fu celebrata nel 1483; ma fu festa sopratuto leteraria, artistica, sentimentale». Nulla dunque che scorgesse in Roma una sorta di “trampolino di lancio” verso il
futuro, anzi il contrario. L’autore ricordava poi la ben nota festa del 1847101, che però, a conti
fati, si risolse in «un bancheto di ben mille persone nelle ‘Terme di Tito’ cioè evidentemente sull’Oppio, tra le rovine della Domus Aurea di Nerone e delle Terme di Traiano».
Dopo aver ricordato taluni dei particolari della celebrazione di quella ricorrenza, comprese
98
Vd. G. Massano, Il Museo de l’Impero Romano a Roma, in «Sul mare. Rivista di viaggi del Lloyd triestino e della Cosulich
Line», a. V, n. 4 (luglio-agosto 1929), pp. 18-21. Sull’atività dell’Uicio Stampa e Propaganda della Mostra Augustea della
Romanità, rinvio ad E. Silverio, L’«Italia nuova» del Bimillenario Augusteo nella stampa italiana ed estera, in corso di stampa
negli Ati del Convegno internazionale 2014. Bimillenario della morte di Augusto. L’Istituto Nazionale di Studi Romani e le fonti
d’archivio del primo Bimillenario, Roma, Istituto Nazionale di Studi Romani, 23-24 otobre 2014.
99
Vd. il saggio di A.M. Liberati in questo volume, ed ivi ulteriore bibliograia.
100
G.Q. Giglioli, Tradizione delle origini, in «Il Giornale d’Italia», Roma, 21 aprile XI (= 21 aprile 1933), p. 3. La stessa
pagina ospitava l’articolo di U. Antonielli, Le strade dell’Impero ed entrambi gli scriti erano raggruppati soto uno stesso
titolo: Roma con nuova volontà di grandezza celebra soto il segno del Litorio il 2687° Natale. Al di sopra di tale titolo comune
per questa sorta di “speciale” sul 21 aprile campeggiava un’illustrazione di Memmo Genua che alludeva alla nascita dell’Urbe
ed alla inarrestabile marcia dei Romani nel mondo. Notizie su Guglielmo, “Memmo”, Genua – che Papini ne Il Marchese di
Rudinì, contenuto nel suo Passato remoto 1885-1914, deinì «un amico mezzo artista e mezzo giornalista» – in A.I. Villa,
Neoidealismo e rinascenza latina tra Oto e Novecento. La cerchia di Corazzini: poeti dimenticati e riviste del crepuscolarismo
romano (1903-1907), Milano 1999, passim.
101
G.Q. Giglioli, Tradizione delle origini, cit.
21 aprile 1927: l’inaugurazione del Museo dell’Impero Romano nella stampa quotidiana 359
Fig. 9. L’illustrazione di Guglielmo, “Memmo”, Genua che ornava una pagina de «Il Giornale d’Italia» dedicata al Natale di Roma del 1933 e che riuniva un articolo di G.Q.
Giglioli ed uno di U. Antonielli soto il titolo a tuta pagina Roma con nuova volontà di grandezza celebra soto il segno del Litorio il 2687° Natale (da «Il Giornale d’Italia», Roma,
21 aprile XI [= 21 aprile 1933], p. 3).
360
Enrico Silverio
alcune delle parole dell’inno composto per l’occasione102, Giglioli così concludeva, spiegando come in efeti solo nell’«Italia nuova» la ricorrenza del 21 aprile si sposasse con la
«giovinezza», cioè con l’atualità dell’Italia103:
Come si vede, almeno le intenzioni erano otime! Questa manifestazione del 21 aprile
1847, che è grazioso ricordare, è come tute o quasi tute quelle del tempo, un misto di sano
sentimento patriotico e di incredibile ingenuità. Furono però gli inizi di quel risveglio che ha
portato l’Italia al fulgore della Vitoria e alla presente dignità di grande potenza, banditrice al
mondo di una nuova norma di governo.
Il 21 aprile, riconsacrato dal Fascismo è ormai la festa di tuto il lavoro italiano, la data
fatidica che riunisce le più venerande memorie di Roma con l’esuberante giovinezza dell’Italia nuova.
Queste parole sono estremamente importanti per comprendere l’idea di Roma del fondatore del Museo dell’Impero Romano, che partendo da posizioni mazziniane e nazionaliste aderì al Fascismo credendo di scorgervi il culmine della storia nazionale o almeno la
restaurazione dei valori italiani104, cioè di quegli stessi valori romani esaltati nella deliberazione istitutiva del Museo dell’Impero Romano e che si ritrovano spiegati ad un più grande
pubblico negli articoli di stampa dedicati a descrivere l’ancor giovane Museo nella sua sede
dell’ex Convento di S. Ambrogio.
Enrico Silverio
102
Ibidem: «Passano gli anni e i secoli, / Cangia d’aspeto il mondo; / Ma di perenne gloria / E’ il nome tuo fecondo. / A te lo
scetro e il soglio, / A te l’eterno allor; / Tu vivi in Campidoglio / Tu sei regina ancor.». Sulla cerimonia del 1847 vd. Il Natale
di Roma celebrato il 21 aprile 1847, Bologna s.d., che è probabilmente il «curioso opuscolo del tempo» di cui parla Giglioli
nell’articolo. Gli opuscoli erano però forse due, perché l’inno era pubblicato in G. Magazzari, Il 21 aprile. Natale di Roma.
Inno popolare espressam.te composto all’unisono per coro e banda militare dal maestro Gaet.o Magazzari bolognese; sopra poesia di
Pietro Sterbini romano…; ridoto dallo stesso autore con accompagnam.to di Pianoforte, Roma 1847.
103
G.Q. Giglioli, Tradizione delle origini, cit.
104
Cfr. il contributo di F. Scriba nel presente volume. L’originaria adesione di Giglioli all’Associazione Nazionalista
Italiana nonché l’ambiente familiare di provenienza, caraterizzato da sentite inluenze mazziniane e militari, unitamente
alle esperienze militari dello stesso Giglioli, dovrebbero essere tenuti in adeguata considerazione nel valutare con maggiore
atenzione un’afermazione solo apparentemente o solo parzialmente apologetica di M. Pallotino, suo allievo, contenuta
nel necrologio edito dall’Istituto di Studi Romani. Vd. M. Pallottino, Giulio Quirino Giglioli, Roma 1958, pp. 9-10: «Al
principale motivo della passione per la sua Italia Giglioli associava il culto per Roma, concepita come un aspeto essenziale del
divenire italico, ma legata – in lui – piutosto alla storia, alla materia dei suoi studi, che non al mito politico. Contrariamente
a quanto da taluni potè credersi, egli vide il fascismo in funzione di un programma nazionale, e non come un risorgere di
idee universalistiche, quasi un reincarnarsi dei fantasmi di Roma. Con pietà di iglio studiò e rievocò le memorie auguste del
mondo romano; ma chi lo conobbe dappresso sa che egli non fu mai il corifeo di una neo-romanità. E ciò non soltanto per
una questione di limiti posti dal gusto o dalla coscienza dello studioso: ma anche e proprio per le sfumature del suo pensiero
storico-politico vòlto ad un assoluto nazionale, in cui in ogni tempo – ed anche nel nostro – sembrava opporsi il peso delle
eredità universali, compresa quella di Roma».