Anno LXI - NN. 1-4
Gennaio-Dicembre 2013
STUDI
ROMANI
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Hanno collaborato alla redazione del fascicolo:
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Reg. Stampa Tribunale di Roma n. 172 del 20 aprile 1984
STUDI ROMANI
ANNO LXI - NN. 1-4
GENNAIO-DICEMBRE 2013
SOMMARIO
SAGGI E STUDI
GIOVANNI COLONNA, Sacriportus (con le tavv. I-II f.t.) . .
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3
VINCENZO DE CAPRIO, L’età dell’oro e la catastrofe. L’epilogo dell’Umanesimo curiale .
11
FEDERICO BELLINI, La civitas pia e le fortificazioni vaticane di Pio IV (con le tavv. IIIVIII f.t.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
42
LUCA CALENNE - ALFREDO SERANGELI, Una nuova datazione per il ritrovamento del Laocoonte da un incunabolo conservato a Segni (con le tavv. IX-XI f.t.) . . . .
77
LUCA PESANTE, La ceramica in vendita nelle botteghe romane del Cinquecento .
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99
SIMONA CAPELLI, Le copie pittoriche della Pietà di Michelangelo per Vittoria Colonna:
Marcello Venusti e i copisti anonimi. Attribuzioni e precisazioni (con le tavv. XIIXVII f.t.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
123
MASSIMILIANO GHILARDI, Un miniatore senese nella «Roma sotterranea»: Sante Avanzini (1580/1581 - 1649) (con le tavv. XVIII-XXXII f.t.) . . . . . . . . .
142
ALESSANDRO MAZZA, La scomparsa Villa Costaguti a Roma: il giardino, le mura e l’antico (con le tavv. XXXIII-XXXVI f.t.) . . . . . . . . . . . . . .
162
STEFANO PIERGUIDI, Niccolò Maria Pallavicini e tre “nobili gare” tra i suoi pittori (con
le tavv. XXXVII-XL f.t.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
189
MARIA ADELAIDE ALLO MANERO, Il catafalco di Giacomo II Stuart in S. Lorenzo in Lucina (1702): disegni inediti di Sebastiano Cipriani (con le tavv. XLI-XLIX f.t.) .
207
MARIA BARBARA GUERRIERI BORSOI, I Cavalletti e i Rossi nel territorio tuscolano: Villa Cavalletti e Santa Maria di Capocroce a Frascati (con le tavv. L-LIV f.t.) . .
217
RENATA SABENE, La grascia a Roma: approvvigionamento, distribuzione e prezzo delle
carni nel XVIII secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
236
LEANDRO POLVERINI, Moderno e antico nel cinquantenario dell’Unità d’Italia .
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262
ANNA MARIA LIBERATI, Il Museo della Civilità Romana tra imperi antichi e moderni. A
proposito della nuova collocazione della V Carta di via dell’Impero (con le tavv.
LV-LVIII f.t.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
276
MARIO CASELLA, Roma cattolica negli anni di passaggio dal fascismo alla nascita democratica. Il magistero di Pio XII e del cardinale vicario Marchetti Selvaggiani . .
304
DOMENICO ROCCIOLO, La «messa degli artisti» a Roma dalla fondazione al ventesimo
anniversario (1941-1961) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
321
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PREMIO «CULTORI DI ROMA» 2013
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389
Vita dell’Istituto Nazionale di Studi Romani: Corpo accademico e organi direttivi al
30 dicembre 2013 – Nuovamente su Angelo Caroselli. Una postilla chiarificatrice – Assemblee dei Soci – Il «Premio Cultori di Roma» – Il «Certamen Capitolinum»: l’esito del LXIV e il bando del LXIV – L’LXXXVII anno accademico dei
Corsi – Nuove pubblicazioni (LA REDAZIONE) . . . . . . . . . . . .
391
LA REDAZIONE, Jacques Fontaine .
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ANNA MARIA LIBERATI
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA
TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI.
A PROPOSITO DELLA NUOVA
COLLOCAZIONE DELLA V CARTA
DI VIA DELL’IMPERO
Estratto da: STUDI ROMANI
Anno LXI, nn. 1-4 - Gennaio-Dicembre 2013
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA
TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI.
A PROPOSITO DELLA NUOVA
COLLOCAZIONE DELLA V CARTA
DI VIA DELL’IMPERO (*)
di manutenzione e pulitura effettuato
U nel corso delconservativo
2012 alla carta marmorea raffigurante « L’Impero
N INTERVENTO
dell’Italia Fascista », un tempo esposta a via dell’Impero ed ora al
Museo della Civiltà Romana, ha costituito l’occasione per formulare nuove considerazioni sul destino e le vicende di questo singolare
quanto “scomodo” monumento (tav. LV, fig. 1).
La Carta in questione costituisce la V e l’ultima della serie delle
carte geografiche marmoree esposte lungo via dell’Impero, attuale via
dei Fori Imperiali, a ridosso del muro moderno edificato nell’area dello sbancamento della Velia. Nella prospettiva dell’epoca tutte le cinque
carte furono realizzate per «desiderio del popolo» (1), ma è certo che
in effetti la costruzione delle prime quattro venne avviata a seguito del
suggerimento di un semplice cittadino, un ingegnere genovese, che, nel
1933, nel corso di una visita ai Fori pensò quanto sarebbe stato interessante ed utile per tutti, italiani e stranieri, poter vedere, proprio in
( )
* Desidero ringraziare per la collaborazione l’Avv. Enrico Silverio con il quale ho avuto
modo di scambiare utili e costruttive considerazioni in merito all’idea del “ritorno” dell’impero nell’edificio ove ha sede il Museo della Civiltà Romana, avvenuto con la collocazione della
V Carta. Lo ringrazio altresì per avermi indicato parte della bibliografia citata.
Così G. BOTTAI, La carta marmorea dell’Impero Fascista, in « L’Urbe. Rivista romana »,
I (1936), 1, pp. 3-4 (3), che propone la costruzione della V Carta come la logica e naturale
continuazione delle prime quattro, non a caso ibidem, p. 3 considerate « ricordo di orgoglio,
speranza pel futuro » e circa le quali vd. infra nel testo. Cfr. anche A. MUÑOZ, La tavola marmorea dell’Impero, in « Bollettino della Capitale », II (1936), p. 8.
(1)
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
277
prossimità delle stesse testimonianze materiali della grandezza di Roma,
una «grande ‘pietra’ […] che porti scolpita la carta dell’Impero» (2).
Nel giugno dello stesso anno egli espose questa sua convinzione
in una lettera indirizzata al governatore di Roma, principe Francesco
Boncompagni Ludovisi, il quale a sua volta ne informava il capo del
Governo che, consapevole del grande richiamo mediatico che ne sarebbe derivato, affidò ad Antonio Muñoz, allora direttore capo della
Ripartizione delle Antichità e Belle Arti del Governatorato di Roma,
l’incarico di provvedere. Muñoz, appena un mese dopo, aveva scelto
i periodi storici da evidenziare e preparato i disegni.
Nacquero così le quattro carte rappresentanti rispettivamente le
origini, i territori soggetti a Roma dopo le guerre puniche, l’impero
alla morte di Augusto suo fondatore e l’impero nell’età di Traiano,
culmine dell’espansione territoriale romana. Le carte furono inaugurate il 21 aprile 1934 (3).
Sull’onda del successo riscosso dalle precedenti quattro carte, il
28 ottobre 1936 ne venne inaugurata una quinta, destinata a celebrare la fondazione dell’Impero fascista. Ideatore dell’iniziativa fu lo
stesso Muñoz (4), che anche in questo caso ne curò l’elaborazione e la
realizzazione. L’opera, non essendoci spazio sufficiente lungo il muro
ove erano state collocate le quattro già eseguite, venne sistemata nella parete curva a seguire.
La V Carta si differenzia dalle precedenti per le maggiori dimen(2)
Vd. F. Betti in F. BETTI - G. RAIMONDI, Inedite testimonianze grafiche dell’attività di Antonio Muñoz conservate presso il museo di Roma (Gabinetto Comunale delle Stampe), in « Bollettino dei Musei Comunali di Roma », n.s. XXII (2008), pp. 147-184 (159 e nota 22 per la
trascrizione delle relative fonti archivistiche).
Sulla costruzione, le dimensioni, i materiali e gli esecutori delle prime quattro carte
di via dell’Impero, sulla loro collocazione e sui loro successivi restauri, vd. ora per tutti R.
MOTTA, Carte geografiche di via dei Fori Imperiali, in Restauri per la città. I monumenti. 3, a
cura di L. Cardilli - R. Motta, Roma 2005, pp. 59-60, F. Betti in F. BETTI - G. RAIMONDI, Inedite testimonianze grafiche, cit., pp. 158-164 e T. AEBISCHER, La Quinta carta marmorea di Via
dell’Impero (I), in « Lazio ieri e oggi. La rivista di Roma e della sua regione. Mensile di Cultura Arte Turismo », XLVIII (2012), 7, pp. 210-212 (210-211). Ringrazio il Dott. Massimiliano Ghilardi per avermi segnalato e fornito tale contributo. Sul rapporto tra carte geopolitiche, arte e potere vd. E. BORIA, Le carte geopolitiche tra arte e potere, in « Limes. Rivista
italiana di geopolitica », 5/2011, pp. 303-318 (315-317 per le carte di via dell’Impero) e più
recentemente ID., Carte come armi, Roma 2012, passim.
(3)
Vd. T. AEBISCHER, La Quinta carta marmorea di Via dell’Impero (I), cit., p. 211 e p.
212, nota 9 per le relative fonti d’archivio.
(4)
278
ANNA MARIA LIBERATI
sioni, misurando m 5.20 × 4.05 circa. Venne eseguita da Pietro Fortunati, lo stesso artefice delle precedenti terza e quarta carta (5). Simile alle altre nell’impianto generale, presenta però delle sostanziali
differenze, dovute in parte all’estensione dell’area geografica da rappresentare, in parte al significato sotteso a tale iniziativa. Così, abbassando il limite della parte superiore alle Alpi, la rappresentazione
si estende nella parte inferiore sino alla raffigurazione di tutta l’Etiopia. I materiali che la compongono sono gli stessi delle altre carte, ma
lo spazio destinato alla targa è notevolmente più ampio. Esso riporta il testo dell’articolo 1 del Regio Decreto Legge n. 754 del 9 maggio 1936 attraverso il quale si proclamava l’assunzione del titolo imperiale sull’Etiopia da parte del Re d’Italia. È significativo notare, a
più di settanta anni di distanza, come lo stesso testo, inserito nel discorso di Mussolini del 9 maggio 1936, circa un anno dopo trovasse altra adeguata collocazione nel basamento della statua della Vittoria di Capodistria all’interno della sala XXVI della Mostra Augustea
della Romanità (6). Del marmo che originariamente incorniciava la targa, come pure dei fasci che ne chiudevano i lati, non c’è ora quasi
più traccia. Rimane invece parte della cornice originale di chiusura
in travertino con le due mensole a forma di aquila in granito grigio
che la sorreggono (7).
Queste le parole di Giuseppe Bottai in un intervento sulla Carta
pubblicato sempre nel 1936:
È perciò legittimo il desiderio del popolo, prontamente afferrato da Benito
Mussolini, di veder tangibilmente rappresentato il dominio dell’Italia nuova accanto
a quello dell’antica Roma, nello stesso luogo, ed espresso con gli stessi segni. Il po-
(5)
Vd. F. BETTI - G. RAIMONDI, Inedite testimonianze, cit., pp. 162-163, nota 23 e T. AELa Quinta carta marmorea di Via dell’Impero (I), cit., pp. 211-212, nota 12.
BISCHER,
(6)
Sulla Sala XXVI della Mostra Augustea della Romanità vd. Mostra Augustea della Romanità. Catalogo della mostra a cura di R. Vighi - C. Caprino, I, Roma 1938 4 (definitiva), pp.
434-443 (442 per il brano del discorso del 9 maggio 1936), F. SCRIBA, Augustus im Schwarzhemd ? Die Mostra Augustea della Romanità in Rom 1937/38, Frankfurt am Main 1995, pp.
90-94 ed E. SILVERIO, Un’interpretazione dell’idea di Roma. La Sala XXVI della Mostra Augustea della Romanità, in « Studi Romani », LIX (2011), 1-4, pp. 307-331. Sul ruolo del fascismo nella storia del Museo della Civiltà Romana, vd. A. M. LIBERATI, Romanità e Fascismo: il
ruolo del mito di Roma nella genesi del Museo della Civiltà Romana, in Le mythe de Rome en
Europe: modèles et contre-modèles. Actes du colloque de Caen, 27-29 novembre 2008, édités
par J. C. D’Amico et alii, Caen 2012, pp. 341-357.
Cfr. A. ARCONTI - E. FEDERICO, La quinta carta geografica di via dei Fori Imperiali, in
Restauri per la città, cit., pp. 60-61 (61).
(7)
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
279
polo nostro sente che tra le tavole dell’Impero dei Cesari e quella dell’Impero Fascista, non v’è soluzione di continuità; […]. Augusto si vanta nelle sue famose Res
Gestae di aver spinto i suoi eserciti in Etiopia e in Arabia […]. In Etiopia, continua il testo nell’iscrizione di Ancira, si pervenne fino alla città di Nabata, alla quale è vicinissima Meroe. Gli Etiopi profittando del fatto che i Romani erano impegnati in Arabia, avevano passato il confine dell’Egitto, nel 25-24 a.C.; ma con tre
campagne, fino al 22, furono respinti, e gli eserciti penetrarono profondamente in
Etiopia, della quale conservarono poi alcune città confinanti. Ma l’intera conquista
dell’Etiopia e tanto meno il dominio diretto da parte di Roma non vi fu.
Appunto perché la conquista italiana si spinge oggi su una regione così lontana, avendo conservato alla nuova carta marmorea la stessa scala delle precedenti,
si è dovuto, per comprendervi l’Etiopia, allungarla di circa un metro, benché sia
stata scorciata nella parte superiore che giunge alle Alpi, mentre le altre arrivano
al 60° parallelo, comprendendo parte della Scandinavia. I materiali impiegati sono
gli stessi: il verde cipollino antico per il mare; la eburnea pietra di Trani per l’Italia
e i suoi possedimenti; il nero apuano per gli altri paesi. La Libia, il Dodecanneso,
l’Etiopia, mettono come l’Italia una candida nota lucente sul fondo verde e nero;
una grande targa marmorea, fiancheggiata dai fasci in marmo giallo dorato, riporta il primo articolo della Legge ‘che chiude un periodo della nostra storia e ne apre
un altro, come un immenso varco aperto su tutte le possibilità del futuro’ (8).
Successivamente alla sua posa accanto alle altre quattro e precedenti carte, la V Carta venne fatta oggetto di un aggiornamento a seguito dell’assunzione da parte del Re d’Italia ed Imperatore d’Etiopia
del titolo di Re d’Albania, avvenuta con Legge n. 580 del 16 aprile
1939. La data dell’intervento d’adeguamento non è individuabile con
precisione. Al proposito innanzitutto è da notare come nel bozzetto
(8)
Così G. BOTTAI, La carta marmorea, cit., pp. 3-4, ma cfr. anche tav. LVIII, fig. 1. Circa
l’idea del diritto come espressione e misura dell’estensione di Roma e della romanità fascista
nel tempo e nello spazio, vd. E. SILVERIO, Un’interpretazione dell’idea di Roma, cit., pp. 325
e 327. La letteratura sul valore della costituzione dell’impero per l’Italia fascista è abbastanza vasta e non è questa la sede per ricordarla tutta nemmeno per rapidi cenni, mentre essa
sarà in parte richiamata infra nel testo. Si rinvia invece sino da subito, tra le fonti contemporanee, ad E. BODRERO, Roma e il Fascismo, Roma 1939, pp. 47-50. L’opera, edita dall’Istituto di Studi Romani nella collana « Roma Mater », pubblicata d’intesa con l’Opera Nazionale
Dopolavoro, è particolarmente interessante proprio perché, appartenendo ad una serie che
si riproponeva di « andare verso il popolo » presenta una versione, diremmo così, “canonica”
di questo tema. Nella descrizione di Bottai supra nel testo, i fasci littorî che fiancheggiavano
la targa della V Carta erano descritti come « in marmo giallo dorato », mentre altrove essi risulterebbero in rosso antico: vd. T. AEBISCHER, La Quinta carta marmorea di Via dell’Impero
(I), cit., p. 211 e 212, nota 14. Circa interessanti profili del rapporto tra Giuseppe Bottai e
l’Istituto di Studi Romani, vd. J. NELIS, La “fede di Roma” nella modernità totalitaria fascista.
Il mito della romanità e l’Istituto di Studi Romani tra Carlo Galassi Paluzzi e Giuseppe Bottai,
in « Studi Romani », LVIII (2010), 1-4, pp. 359-381.
280
ANNA MARIA LIBERATI
originario di Muñoz (9) (tav. LV, fig. 2) non figurasse neppure l’indicazione “Albania” sullo sfondo nero della carta, indicazione che, invece, compare regolarmente nella carta collocata in via dell’Impero
il 28 ottobre 1936, come si evince dalla documentazione fotografica
(cfr. tav. LV, fig. 1) (10). Dalla comparazione tra le diverse testimonianze iconografiche risulta anzi che, nel bozzetto, all’interno della porzione geografica interessata, figurassero solo le indicazioni “Iugoslavia” e “Grecia”. La rispettiva posizione di tali indicazioni venne in
seguito variata per incunearvi all’interno la scritta “Albania”.
Successivamente, dopo l’assunzione del titolo reale albanese da
parte del Re d’Italia, con delibera governatoriale 10 maggio 1940, venne deciso l’aggiornamento della Carta, eseguito ancora una volta da
Pietro Fortunati, in una data antecedente il 1941 ma con un risultato qualitativamente inferiore forse a causa delle non agevoli condizioni di esecuzione del lavoro (11). Tale esito non pregiudicò comunque la
conservazione dell’aggiornamento nel contesto ed esso infatti è attualmente apprezzabile, a differenza di alcune parti minori venute meno
a seguito delle vicende collegate al distacco ed all’immagazzinamento
della Carta (12). La stessa Albania, peraltro, non è affatto estranea alla
storia del Museo della Civiltà Romana che oggi ospita la V Carta (13).
(9)
Pubblicato già in G. BOTTAI, La carta marmorea, cit., tav. II e più recentemente da F.
Betti in F. BETTI - G. RAIMONDI, Inedite testimonianze, cit., p. 163, fig. 6.
(10)
Tra cui è la fotografia in E. BODRERO, Roma e il Fascismo, cit., tav. VIII che, essendo pubblicato nel 1939 - a. XVII E.F., è antecedente alla delibera governatoriale di aggiornamento della V Carta: vd. su questa T. AEBISCHER, La Quinta carta marmorea di Via dell’Impero (II), in « Lazio ieri e oggi. La rivista di Roma e della sua regione. Mensile di Cultura Arte
Turismo », XLVIII (2012), 8, pp. 227-229 (229, nota 24).
(11)
Vd. T. AEBISCHER, La Quinta carta marmorea di Via dell’Impero (II), cit., p. 228.
Vd. A. ARCONTI - E. FEDERICO, La quinta carta geografica, cit., p. 61. Nel frattempo
era stato pubblicato, quale n. V della serie X dei Quaderni dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, il volume di G. AMBROSINI, L’Albania nella Comunità Imperiale di Roma, Roma
1940. Il volume ricostruisce in otto capitoli i rapporti tra Roma, Italia ed Albania dagli echi
virgiliani alla nuova « Comunità Imperiale di Roma »: « Cenni sui rapporti tra l’Italia e l’Albania dai romani a Scanderbeg », « Scanderbeg ed i suoi rapporti con Napoli e con Venezia »,
« Gli Albanesi rifugiatisi in Italia dopo l’invasione turca ed il loro apporto alla riscossa della patria di origine », « La rinascita dell’Albania e la politica sostenitrice dell’Italia », « Dall’indipendenza all’unione con l’Italia », « L’unione dell’Albania all’Italia ed il carattere del suo
nuovo ordinamento costituzionale », « La posizione dell’Albania nella Comunità Imperiale di
Roma » e « L’avvenire dell’Albania nell’Impero Fascista ».
(12)
Vd. A. M. LIBERATI, The Ugolini manuscripts in the Museo della Civiltà Romana,
Rome, in The Theatre at Butrint. Luigi Maria Ugolini’s Excavations at Butrint 1928-1932 (Al(13)
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
281
Dopo la caduta del regime fascista, nel corso degli eventi succedutisi a Roma sino alla fine della seconda guerra mondiale, la Carta
venne fatta oggetto di atti vandalici e devastazioni. Ancora oggi sono
visibili, ad esempio, all’interno della targa ed in corrispondenza del
nome “Mussolini”, dei segni compatibili con colpi di piccone o altro oggetto atto a scalfire la superficie (tav. LVI, fig. 1). Nel novembre del 1945, a seguito di delibera del settembre dello stesso anno,
essa fu rimossa dal suo alloggiamento e quindi dimenticata per oltre
cinquanta anni (14). Nel 1998 venne infine ritrovata, in pezzi, in occasione di lavori effettuati all’interno di alcuni fornici del Teatro di
Marcello. Delle sei lastre componenti la Carta, solo tre risultavano integre, due fratturate in due parti e l’ultima in tre. Il danneggiamento in più punti della superficie aveva inoltre causato, come ricordato
sopra, la perdita di alcune porzioni marmoree di piccole dimensioni.
Ugualmente compromessa risultava la targa, già privata della decorazione costituita dai fasci littorî (15).
Negli anni 1999-2000 la Carta, ricomposta e reintegrata per quanto possibile nelle parti mancanti, fece il suo ingresso al Museo della Civiltà Romana, ove venne collocata sulla parete degradata di un
cortile interno in un’area chiusa al pubblico (tav. LVI, fig. 2) (16). Tale
cortile, peraltro, risulta aver avuto, nel complesso della strutturazione del Museo, una sorte a sua volta tutt’altro che lineare: con molbania Antiqua IV), edited by O. Gilkes, in « Annals of the British School at Athens », sup.
vol. 35, 2003, pp. 39-44.
(14)
Vd. T. AEBISCHER, La Quinta carta marmorea di Via dell’Impero (I), cit., 211 e 212,
nota 4.
Vd. A. ARCONTI - E. FEDERICO, La quinta carta geografica, cit., passim, in cui tuttavia
non vi è menzione dei fasci littorî.
(15)
Cfr. A. ARCONTI - E. FEDERICO, La quinta carta geografica, cit., p. 61, che descrive l’intera operazione come « restauro e musealizzazione nell’ambito del Museo della Civiltà Romana ». Rileva invece la disposizione in un’area non aperta al pubblico T. AEBISCHER, La Quinta carta marmorea di Via dell’Impero (II), cit., pp. 227-228, che, descrivendo come lo spazio
si trovi in ambienti attualmente occupati dall’Antiquarium Comunale, pone la questione della « musealizzazione pubblica » della V Carta. Notizie del rinvenimento e dei lavori di restauro della V Carta vennero fornite da « la Repubblica » del 23 e 24 febbraio 1998, entrambe
ora agevolmente consultabili anche presso http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/02/23/impero-fascista-in-una-cartina-trovata.html e http://ricerca.repubblica.
it/repubblica/archivio/repubblica/1998/02/24/si-restaura-la-lapide-dei-fori.html. Nell’articolo del 24 febbraio 1998 non si escludeva che la carta potesse essere ricollocata nel suo contesto originario « per restituire completezza alla rappresentazione dell’espansione di Roma, dalla fondazione all’impero fascista, così come si vedeva fino alla fine della guerra ».
(16)
282
ANNA MARIA LIBERATI
ta probabilità funzionale nel quadro dell’iniziale progetto del palazzo
della Mostra della Romanità, esso non ebbe mai una reale destinazione all’interno del Museo della Civiltà Romana e solo tra la fine
degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, entrando
a fare parte di un progetto di musealizzazione degli spazi esterni
al Museo, si cercò di valorizzarlo valutandone in modo approfondito la trasformazione in odèon accessibile direttamente anche dall’esterno (17).
La presenza della V Carta di via dell’Impero all’interno del Museo della Civiltà Romana, a distanza di più di settanta anni dalla proclamazione dell’Impero avvenuta il 9 maggio 1936, si presta ad una
serie di considerazioni relative al ruolo attuale del Museo non solo
quale luogo di esposizione delle collezioni in esso contenute ma anche come testimone ed attore della storia italiana dal 1911 sino almeno ai primi anni ’50.
È innanzitutto apparentemente singolare, infatti, che, dovendo
trovare una nuova collocazione per la V Carta, si sia scelta proprio
la sede del Museo della Civiltà Romana, ed è ancor più singolare che,
all’interno dell’Istituzione museale, si sia scelta un’area non aperta al
pubblico, cosicché in definitiva la Carta stessa risulta in un certo senso recuperata ma anche “nascosta” o, quantomeno, non fruibile dal
visitatore, come la sua collocazione all’interno di un contesto museale invece presupporrebbe (18).
A memoria della scrivente, il cortile interno su una delle cui pareti è stata rimontata la V Carta non è mai stato inserito nel percorso museale e peraltro sino al principio degli anni ’90 del secolo scorso ad esso poteva accedersi soltanto attraverso i locali della vecchia Direzione del Museo, raggiungibile a sua volta dalla attigua ex Sala XL, « L’Abitazione »,
ora non più esistente dopo il trasferimento anche in quei locali dell’Antiquarium Comunale.
Per la trasformazione dell’area del cortile interno in odèon, su progetto degli architetti Giovanni Ioppolo e Paolo Portoghesi, inserito nei programmi 1993-1995 della L. n. 396 del 15
dicembre 1990 « Interventi per Roma, capitale della Repubblica », vd. A. M. Liberati in G.
PISANI SARTORIO - A. M. LIBERATI, Il museo fuori dal museo: il progetto di musealizzazione degli spazi esterni al Museo della Civiltà Romana nel quartiere Eur a Roma, in I siti archeologici. Un problema di musealizzazione all’aperto. Secondo Seminario di Studi, Roma, gennaio
1994, a cura di B. Amendolea, Pisa 1995, pp. 48-53 (per il progetto dell’odèon vd. in particolare pp. 51 e 52 e figg. 3 e 7).
(17)
Considerazioni in tal senso sono state avanzate già da T. AEBISCHER, La Quinta carta
marmorea di Via dell’Impero (II), cit., pp. 228-229. Tuttavia nella presente sede si intende suggerire le ragioni di una maggiore valorizzazione della V Carta considerata proprio per quanto
essa in effetti documenta, profittando anche della sua collocazione all’interno di un edificio
originariamente progettato per la Mostra della Romanità, a sua volta tutt’altro che aliena ri(18)
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
283
Occorre a questo punto comprendere cosa la Carta rappresenti e
quali legami essa possa mai avere con il Museo della Civiltà Romana.
La V Carta, è noto, illustra « L’Impero dell’Italia Fascista » e dunque,
almeno apparentemente, un fenomeno storico che ben poco avrebbe
a che spartire con le collezioni museali, dedicate invece a Roma antica ed al suo impero. Tralasciando di approfondire la storia del Museo della Civiltà Romana e dando per conosciuto il ruolo del “mito
di Roma” all’interno di essa (19), conviene piuttosto soffermarsi a riflettere sull’idea di “impero”: in questo modo sarà forse possibile comprendere meglio non solo il contenuto di quanto rappresentato nella V Carta, ma anche tutte le potenzialità collegate ad una sua reale
musealizzazione.
Quello di “impero” è, infatti, uno dei termini maggiormente usati ed abusati dalle moderne scienze politiche e sociali, specie dopo
la fine, tra il 1804 ed il 1806, del “Sacro Romano Impero di nazione germanica” che si ricollegava, in Occidente, all’antica esperienza romana.
Capita così di leggere definizioni di “impero” sostanzialmente
astratte rispetto alla realtà antica da cui pure quel sostantivo proviene, cioè proprio da Roma (20). Ad esempio: « Il termine ‘impero’ è
spetto alla rinascita dell’idea dell’impero nell’Italia fascista. Per la Mostra della Romanità ed
il relativo edificio, vd. G. FIORAVANTI, Mostra della Romanità, in E 42. Utopia e scenario del
Regime. I. Ideologia e programma dell’Olimpiade delle Civiltà, Catalogo della mostra a cura
di T. Gregory - A. Tartaro, Roma, Archivio Centrale dello Stato, aprile-maggio 1987, Venezia
1987, pp. 120-121 e M. NOCCIOLI, Edificio per la Mostra della Romanità, in E 42. Utopia e
scenario del Regime. II. Urbanistica Architettura Arte e Decorazione, Catalogo della mostra a
cura di M. Calvesi - E. Guidoni - S. Lux, Roma, Archivio Centrale dello Stato, aprile-maggio
1987, Venezia 1987, pp. 481-484. Come è noto, gli eventi bellici del secondo conflitto mondiale travolsero anche la realizzazione dell’E 42 ed i suoi edifici subirono sorti diverse. Quello dedicato ad ospitare la Mostra della Romanità ospita in effetti tutt’ora quelle stesse collezioni ma in un contesto culturale e politico del tutto differente: vd. su questa fase della vita
dell’Istituzione V. FIORAVANTI, Il museo: struttura architettonica e G. PISANI SARTORIO, Il Museo
della Civiltà Romana, entrambi in Dalla mostra al museo. Dalla Mostra archeologica del 1911
al Museo della civiltà romana, Catalogo della mostra a cura di G. Pisani Sartorio - D. Mancioli - A. M. Liberati Silverio - V. Fioravanti, Roma, Museo della Civiltà Romana, giugno - dicembre 1983, Venezia 1983, rispettivamente pp. 101-104 e 105-110.
(19)
Vd. comunque A. M. LIBERATI, Romanità e Fascismo, cit., ed ivi per la bibliografia
relativa. Cfr. anche, in questo contributo, note 6, 13, 18, 28 e 63.
(20)
Fondamentale in questo senso mi sembra F. CARDINI, L’impero e gli imperi, in « Diritto@Storia. Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana », VIII (2009),
consultabile in http://www.dirittoestoria.it/8/Memorie/Roma_Terza_Roma/Cardini-Impero-
284
ANNA MARIA LIBERATI
usato in due accezioni. In quella più ampia, che è anche la più diffusa, esso designa una formazione in cui un gruppo politico esercita il
controllo su altri gruppi politici […]; oppure, in termini ancora più
generali: ‘L’impero è un meccanismo per riscuotere tributi’ » (21). Un
approccio di tal genere, poi, distingue tra “imperi primari” e “imperi
secondari”: i primi sarebbero quelli originati da « sistemi di Stati territoriali urbani, caratterizzati da una forma di potere patrimoniale »,
mentre nel caso dei secondi « La sovrapposizione di cicli regionali e
globali dà luogo a formazioni ibride, che possono costituire il punto di partenza per la nascita di imperi secondari – ad esempio quando le élites di gruppi periferici o esterni spodestano militarmente le
antiche élites del centro » (22). In questa prospettiva, lo stesso impero romano viene classificato tra gli “imperi secondari” ed anzi collocato nel sottogruppo de « Gli imperi delle città-Stato »: « Il vero prodotto della città-Stato mediterranea è l’Impero romano. […]. Questa
trasformazione in uno Stato ecumenico si riflette nel passaggio dalla formula Imperium populi romani, usata ancora da Cicerone e da
Imperi.htm: « Il termine ‘impero’ è ormai entrato nel lessico storico, antropologico, giuridico e politologico nei sensi di ‘suprema autorità’, ‘massimo potere’, ‘predominio’, ‘supremazia riconosciuta’: il che, associato ai malintesi generati dall’abuso della parola ‘imperialismo’,
che lessicalmente le è affine ed etimologicamente ne è derivata ma che semanticamente ne
è lontana, non manca di generare equivoci e confusioni. Ad evitar il loro perpetuarsi, è opportuno sottolineare come, di per sé, la parola ‘impero’ designa un complesso di significati e di valori storici che vanno riferiti essenzialmente ed esclusivamente, su un corretto piano storico, all’impero romano; e che soltanto in senso analogico per un verso, comparatico
per un altro, e quindi con tutta la cautela che ciò comporta, può essere usata a indicare altre esperienze storiche, le quali dovranno volta per volta venir identificate nella loro peculiarità ». La stessa sezione della Rivista che ospita quel contributo è dedicata proprio al tema
« Impero e Stati », di notevole interesse per l’argomento che ci occupa: vd. quindi M. PANEBIANCO, Impero e Stati: universalismo e internazionalismo, G. LOBRANO, La théorie de la respublica selon l’empereur Justinien (Digesta Iustiniani 1.2-4) ed infine H. HATTENHAUER, Über
die Heiligkeit des Heiligen Römischen Reiches, tutti in « Diritto@Storia. Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana », VIII (2009) e consultabili in http://www.
dirittoestoria.it/8/Roma_Terza_Roma.html. Contrario all’orientamento espresso da F. Cardini, mi sembra essere l’approccio riflesso in S. BREUER, s.v. Imperi, in Enciclopedia delle Scienze sociali, IV, Roma 1994, pp. 529-538 (529): « […] nella letteratura scientifica si è cercato
costantemente di dare un’accezione più limitata al termine ‘impero’. Un eccesso in questo
senso va senz’altro considerata la proposta di riferire il termine esclusivamente all’Impero romano e quelli che gli sono succeduti […], riflesso di una visione eurocentrica che non tiene
conto delle culture extraeuropee ».
(21)
Ibidem, p. 529.
(22)
Ibidem, pp. 531 e 533.
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
285
Cesare, a quella di Imperium romanum propria dell’epoca di Augusto; due secoli dopo, nella Constitutio antoniniana, si parlerà di Orbis romanus » (23).
Ciò che stupisce, all’interno di questo approccio al tema dell’impero, non è soltanto il disinteresse pressoché completo per una ricostruzione diremmo “filologica” del concetto stesso di impero, ma anche, e forse di conseguenza, il continuo rapportare l’ “ impero” allo
“Stato”, quasi che il primo sia o una sorta di “super-Stato” o una
somma poco più che aritmetica di altri Stati: « Lo Stato patrimoniale
si trasforma in impero patrimoniale allorché il dominio viene esteso
ad altri Stati » (24). Certo, per meglio comprendere la distanza che separa la riflessione delle scienze sociali dalla nozione antica di impero ci sarebbe da indagare più attentamente se quelle linee di pensiero intendano il termine “Stato” nel senso tecnico proprio del diritto
pubblico moderno ma in effetti, a prescindere da queste pur essenziali questioni, è proprio quella che viene indicata come una definizione « perlomeno approssimativa del concetto di impero » che aiuta a comprendere in che misura l’approccio delle scienze sociali sia
pressoché completamente avulso dall’attenzione al dato filologico. Si
sostiene infatti che « gli imperi sono sistemi politici con aspirazioni ecumeniche, che nell’evoluzione storica si collocano tra le società
tribali e arcaiche da un lato e la moderna economia-mondo capitalistica dall’altro » (25). L’assenza di una reale riflessione circa l’origine
stessa del concetto di imperium consente quindi di giungere ad astratte ricostruzioni dell’idea di “impero” e di inserire poi quest’ultimo
all’interno di una prospettiva teleologica che inizia con le società tribali e che terminerebbe con la « moderna economia-mondo capitalistica ».
In tal modo, tuttavia, non solo si oblia completamente una delle
caratteristiche essenziali dell’impero inteso nella sua accezione romana, cioè l’eternità, ma si riduce l’impero stesso ad una tappa di una
sorta di sviluppo che condurrebbe a qualcosa di simile alla moderna globalizzazione, definita però proprio da alcuni settori della romanistica quale « fenomeno essenzialmente economico-finanziario e
(23)
Ibidem, p. 535.
(24)
Ibidem, p. 530.
(25)
Ibidem, p. 529.
286
ANNA MARIA LIBERATI
dell’informazione » (26). V’è, tuttavia, di più: la mancata attenzione filologica nel trattare del concetto di impero si accompagna talvolta
ad un uso comune improprio della stessa parola “impero” ed a certi accostamenti altrettanto impropri tra impero e globalizzazione, anche recentemente giudicati una vera e propria « mistificazione terminologica » (27).
Certamente la comprensione, o meglio, la ri-comprensione, dell’idea di impero non è aiutata dal concetto di imperialismo e da una
certa confusione terminologica che si è verificata tra i due concetti
negli ultimi 150-200 anni.
Già Dante Vaglieri in pagine forse non esenti da certo orgoglio
nazionale ma comunque di sicuro interesse per la nostra materia, recensendo la Mostra Archeologica nelle Terme di Diocleziano, atto di
nascita delle collezioni del Museo della Civiltà Romana, nel pieno dei
festeggiamenti romani del 1911 per il Cinquantenario della proclamazione del Regno d’Italia scriveva:
Ed Augusto continua la conquista dell’Europa e dell’Asia, per assicurare il
pacifico dominio del Mediterraneo, ma poi si arresta al Reno e al Danubio e all’Eufrate. Il suo governo che cominciò come governo di guerra, finisce come solo
governo di pace. E così per lui come per i suoi successori si può dire, in genere, che quello che noi chiamiamo imperialismo non fu la caratteristica dell’impero
romano (28).
(26)
P. CATALANO, Per una futura « publica auctoritas universalis ». Contro la globalizzazione, in « Index. Quaderni camerti di studi romanistici. International Survey of Roman Law »,
35 (2007), pp. 49-52 (52).
(27)
P. CATALANO, Per una futura, cit., p. 52. La causa delle origini dell’attuale incomprensione nei confronti dell’idea stessa di impero è stata riconosciuta in una « ideologia della fine
dell’Impero romano » sviluppatasi soprattutto a partire dall’età dell’Illuminismo: vd. ampiamente P. CATALANO, Fine dell’Impero romano? Un problema giuridico-religioso, in Religioni e
Civiltà, Bari 1982, pp. 99-117.
(28)
D. VAGLIERI, L’Impero romano nella Mostra Archeologica, in « Roma. Rassegna illustrata della Esposizione del MCMXI. Ufficiale per gli atti del Comitato Esecutivo. Arte Archeologia Storia Etnografia », II (1911) 12, pp. 1-4 (1). La Mostra Archeologica del 1911 costituisce
l’inizio delle collezioni confluite in seguito nel Museo della Civiltà Romana, inaugurato con
un primo percorso ridotto nel 1952 ed in seguito nella sua interezza nel 1955. Per la collocazione della Mostra Archeologica nella storia dell’Istituzione, vd. D. MANCIOLI, La Mostra archeologica del 1911 e le Terme di Diocleziano, nonché EAD., La Mostra archeologica, entrambi
in Dalla mostra al museo, cit., rispettivamente pp. 29-32 e 52-61. Vd. ora anche A. M. LIBERATI, La Romania e la Scuola Romena di Roma nell’orizzonte culturale italiano fra gli anni ’10
e ’30 del Novecento, in « Ephemeris Dacoromana », XV (2013), pp. 19-38, ed EAD., La Mostra
Archeologica del 1911, in corso di stampa e con ulteriori indicazioni bibliografiche.
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287
In questa visione, la “positività” dell’impero e ciò che lo contrappone all’imperialismo è il fatto di essere un organismo preordinato
alla costruzione ed al mantenimento della pace. In tal senso, Vaglieri evidenziava già, pure da una particolare prospettiva, tutte le difficoltà moderne nella comprensione di un concetto di questo genere e
non mancava di rilevare come esso fosse, quasi paradossalmente, più
comprensibile nella medioevale res publica Christiana che nell’attuale consesso degli Stati nazionali:
La mostra archeologica, anche con le sue deficienze, dà le prove evidenti di
questa grandezza di Roma, la sua vera, la sua maggiore grandezza, quale la sentì,
come nessun’altro, Dante, che a ragione colloca Bruto e Cassio nell’infimo dell’inferno e si esalta per l’aquila romana. […]. Ancora pochi anni orsono una mostra
archeologica, come questa, sarebbe stata impossibile. Essa è frutto di ricerche nuove, continue, febbrili. Sui libri, che l’antichità ci ha tramandato, la storia dell’Impero non si fa, […]. Il medio evo – e Dante ce lo dimostra – aveva invero un concetto più esatto di quello dei nostri nonni.
Dopo la proclamazione dell’impero, all’interno di una serie filatelica che celebrava nel 1938 questo avvenimento, uno dei temi fu
proprio quello della rappresentazione di Dante raffigurato accanto
all’Aquila simboleggiante l’impero (tav. LVII, fig. 1) (29).
L’imperialismo, in ogni caso, anche a prescindere dall’impostazione
poco sopra ricordata, è qualcosa di decisamente diverso dall’impero e,
pure nella difficoltà di fornirne una definizione, il «punto fondamentale è che la diffusione generalizzata del termine imperialismo venne a
coincidere con lo sviluppo senza precedenti delle colonie europee tra
il 1870 ed il 1914, e che esso poté essere associato in modo particolare al colonialismo proprio perché in quel periodo questo era in forte
espansione». Il problema generale, quello che in effetti anche qui interessa, è poi che «il termine imperialismo attualmente è utilizzato in
senso molto più generale, anche in relazione a tutti i periodi della storia umana che conosciamo e a molte situazioni di tipo non coloniale;
in particolare esso è usato in due forme del tutto diverse, la prima per
descrivere una situazione specifica, la seconda per delineare le dinamiche del processo storico attraverso cui un impero si è costituito».
(29)
D. VAGLIERI, L’Impero romano, cit., pp. 2 e 4. Circa il pensiero di Dante rispetto
all’impero, vd. per tutti ancora P. G. RICCI, s.v. Impero (imperio), in Enciclopedia Dantesca,
III, Roma 19842, pp. 383-393 e cfr. V. VALENTE, s.v. Imperadore (imperatrice; imperadrice), in
Enciclopedia Dantesca, cit., p. 381.
288
ANNA MARIA LIBERATI
Inoltre il termine “imperialismo”
fu usato quasi sempre con valore polemico e fece la sua prima comparsa negli anni
cinquanta dell’Ottocento, allorché fu adoperato in Gran Bretagna per caratterizzare il Secondo Impero francese di Luigi Napoleone con i suoi forti richiami bonapartisti, militaristi e la sua spettacolare politica estera. Nel corso degli anni settanta del secolo scorso i liberali britannici ripresero il termine in senso dispregiativo
per colpire l’atteggiamento aggressivo di Disraeli nelle questioni coloniali e internazionali. […]. Dal 1902 il termine aveva essenzialmente tre implicazioni: militarismo e politica aggressiva, colonialismo (Engels, per esempio, nell’edizione da lui
curata del terzo libro del Capitale di K. Marx che è del 1894, lo usava in questo
senso) e infine un complesso di interessi consolidati, che si riteneva favorissero sia
il militarismo sia il colonialismo (30).
Nonostante, quindi, molto più che qualche incertezza definitoria
tanto all’interno dei concetti stessi di “impero” e di “imperialismo”
quanto rispetto ai reciproci rapporti, il tema dell’impero è continuamente oggetto di interesse anche da parte degli studiosi dell’età moderna e ciò specie dopo la fine della guerra fredda, nell’epoca in cui,
secondo un sentire abbastanza comune, l’ “impero americano”, venuta
meno l’Unione Sovietica, l’ “impero rivale”, avrebbe raggiunto o potrebbe raggiungere una sorta di « dominio del mondo » (31).
(30)
D. K. FIELDHOUSE, s.v. Imperialismo, in Enciclopedia delle Scienze sociali, IV, Roma
1994, pp. 538-550 (539). Il termine “imperialismo” venne anche impiegato, in alcuni casi,
con accezione positiva: vd. ibidem, p. 539. La bibliografia sull’ “imperialismo romano” è poi,
come noto, estremamente vasta e non può essere qui ricordata neppure a grandi linee. Mi limito quindi a rinviare, per una bibliografia di riferimento, a G. BRIZZI, Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio, Bologna 1997, pp. 492-522 con particolare riguardo al periodo successivo
alla seconda guerra punica, mentre in generale vd. ancora ID., Roma. Potere e identità dalle origini alla nascita dell’impero cristiano, Bologna 2012, p. 423. Vd. anche, circa il tema del
confronto tra l’ “imperialismo romano” e gli “imperialismi moderni”, l’ulteriore bibliografia
in S. RODA, Il modello della repubblica imperiale romana fra mondo antico e mondo moderno.
“Fecisti patriam diversis gentibus unam”, Noceto 2011, pp. 233-235.
(31)
Traggo questa espressione dalla traduzione italiana di H. MÜNKLER, Imperien. Die
Logik der Weltherrschaft – vom Alten Rom bis zu den Vereinigten Staaten, Berlin 2005: vd.
quindi H. MÜNKLER, Imperi. Il dominio del mondo dall’antica Roma agli Stati Uniti, Bologna
2012, cui si riferiscono le citazioni presenti in questo contributo. Per la ricca bibliografia sul
tema dell’ “impero americano” e del rapporto tra Roma e la rivoluzione americana, rinvio a
S. RODA, Il modello, cit., pp. 236-240. Lo stesso Museo della Civiltà Romana è stato in tempi recenti chiamato a collaborare, quale museo prestatore, alla mostra Ancient Rome & America. The classical influence that shaped our nation, tenutasi non casualmente presso il National Constitution Center di Philadelphia, Pennsylvania tra il 19 febbraio ed il 1° agosto 2010.
Non risulta che siano stati pubblicati cataloghi dell’esposizione e dunque riesce utile, per una
comprensione delle sue finalità la lettura di http://constitutioncenter.org/experience/exhibitions/past-exhibitions/ancient-rome-america/ nonché la recensione in The Wall Street Journal
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289
In molti casi continua ad essere assente una pianificata ricostruzione filologica dell’idea antica di impero, ma sforzi definitori anche
recenti valgono almeno a rendere giustizia a certi aspetti del problema. Per tutti, Herfried Münkler ha ad esempio dedicato l’intero primo capitolo di una recente monografia rivolta a trattare de « i tipi di
sovranità imperiale » (32) alla domanda « Che cos’è un impero? » ed ha
ritenuto di poterne fornire innanzitutto delle caratteristiche. Secondo l’autore dunque:
In primo luogo un impero va distinto da uno Stato e più precisamente da uno
Stato territoriale istituzionalizzato, […]. In secondo luogo il profilo dell’impero deve
essere delineato in contrasto con le strutture di dominio dell’egemonia, tenendo
presente, tuttavia, che i passaggi tra il predominio egemonico e la sovranità imperiale sono fluidi. […]. In terzo luogo, infine, la nozione di impero deve essere delineata in contrasto con ciò che a partire dal XIX secolo è stato designato come
imperialismo. La distinzione fra teorie dell’impero e teorie dell’imperialismo consente anzitutto di abbandonare la prospettiva normativa di pressoché tutte le teorie dell’imperialismo e di gettare uno sguardo più fortemente descrittivo e analitico sugli imperativi d’azione degli imperi (33).
Münkler ritiene poi che vi siano alcuni « criteri euristici con i quali si possono differenziare gli imperi mondiali dagli imperi regionali
o dalle formazioni imperiali di breve vita». Acquisterebbero rilevanza in tal senso la contemporanea ricorrenza di un elemento di durata temporale e di estensione spaziale. Quanto al primo di essi, « un
impero deve aver compiuto perlomeno un intero ciclo di nascita e
declino e averne iniziato un altro », mentre quanto al secondo, ritiedel 24 aprile 2010 consultabile anche in http://online.wsj.com/article/SB1000142405274870
3862704575099944144601562.html. Chi scrive, nella sua qualità di responsabile delle collezioni del Museo della Civiltà Romana, ha partecipato alla selezione delle opere del museo da
inviare in mostra e ne ha curato la sistemazione nella mostra stessa in base ai criteri adottati dai curatori. Ciò che maggiormente stupiva era la volontà di accostare e giustapporre testimonianze antiche e moderne senza tuttavia approfondire il confronto tra gli oggetti reciprocamente avvicinati e, più in generale, tra Roma antica e gli Stati Uniti d’America. Anche
dall’interno, dunque, l’impressione che si ricavava dal complesso della mostra era, a tratti,
quella di una certa epidermicità. In sintesi, il messaggio della mostra sembra essere stato più
evocato che non pienamente e compiutamente esposto. Si può quindi convenire con S. RODA,
Il modello della repubblica imperiale romana, cit., pp. 155-157, che a proposito di questa mostra svolge considerazioni simili.
(32)
H. MÜNKLER, Imperi, cit., p. 9.
(33)
Ibidem, pp. 15-20 e cfr. pp. 35-77 dedicate al tema « Impero, imperialismo ed ege-
monia ».
290
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ne l’autore che « una potenza che non domini su un’area di considerevole vastità non può essere seriamente chiamata ‘impero’. Così, la
monarchia asburgica va senza dubbio considerata una potenza imperiale se ci si riferisce alla sua durata, ma è difficile ritenerla tale sotto il profilo della sua ampiezza spaziale » (34).
Di certo, in queste pur interessanti ricerche ciò che continua a
sembrare assente o assai poco considerato è in realtà ancora una volta
l’attenzione all’idea romana di impero, cioè lo sforzo di ricostruire il
concetto che di esso aveva quella stessa civiltà, Roma appunto, considerata come l’antecedente ideale di molti degli imperi moderni.
In una ricerca pubblicata originariamente nel 1995 e dedicata alla
crescita ed al declino degli imperi coloniali europei, Anthony Pagden
dedica ampio spazio al ruolo che, in questa dinamica, assume l’eredità di Roma:
Roma era insieme il modello da emulare e da superare. Roma fornì massicciamente l’ispirazione, l’immaginario e il vocabolario a tutti gli imperi, da quello spagnolo della prima età moderna al più tardo impero inglese dell’Ottocento. […].
Persino gli Stati Uniti, che sono sorti dallo smembramento di un impero, e che nel
corso della loro storia hanno dato il meglio nell’evitare di assumere il ruolo di altri, sono retti da una città che è stata costruita per replicare il più possibile parti
dell’antica Roma. Nessun’altra nazione del mondo d’oggi è governata da un edificio chiamato ‘Campidoglio’ (35).
Nonostante pervicaci confusioni concettuali (36), Pagden rimarca il
ruolo decisivo dell’elemento della inclusività proprio dell’impero romano e che viene realizzato mediante la concessione della civitas Romana. L’autore parla in proposito di « condivisione del potere » e co-
(34)
Ibidem, pp. 20-21.
A. PAGDEN, Signori del mondo. Ideologie dell’impero in Spagna, Gran Bretagna e Francia. 1500-1800, Bologna 2008, pp. 12-13.
(35)
Intendo qui riferirmi ancora una volta alla più o meno esplicita considerazione dell’impero come sorta di “super-Stato”: una considerazione che non tiene conto delle differenze, viceversa chiare a livello di diritto pubblico romano, tra i due concetti. In particolare vd.
A. PAGDEN, Signori del mondo, cit., p. 13: « Mi sia permesso quindi dire semplicemente che
un impero è uno Stato esteso nel quale un gruppo etnico o una tribù, con un mezzo o con
un altro, governa su diversi altri, […] ». È abbastanza difficile sapere quali siano stati i termini realmente usati da Pagden in lingua inglese all’interno di questo particolare passaggio,
dal momento che esso è tratto dalla « Prefazione all’edizione italiana » del volume sopra citato, ma la scelta dei sostantivi italiani è comunque significativa, così come la collocazione di
questo passo al principio del volume.
(36)
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
291
munque evidenzia la disciplina della cittadinanza romana quale reale
elemento di differenza tra Roma antica e gli imperi delle potenze europee oggetto della propria ricerca, in ciò peraltro riprendendo, evidentemente in maniera inconsapevole, uno dei temi più cari agli antichisti vissuti durante « L’Impero dell’Italia Fascista », che lo agitavano
in funzione anti-britannica (37).
A fronte delle incertezze terminologiche proprie delle ricerche
sull’impero sopra sommariamente ricordate, sono stati condotti altri
studi che ritengono di essere giunti alla restituzione della nozione antica del concetto di impero. Si tratta di ricerche pluridisciplinari, di
natura storica, giuridica e religiosa che, è opportuno chiarirlo subito, si svolgono all’interno di una predicata continuità tra Roma, Costantinopoli Nuova Roma ed infine Mosca, considerata come Terza
Roma (38). Secondo questa linea di pensiero:
Le point de départ pour une reconstruction du concept, avant tout sur base
philologique, est la codification de l’Empereur Justinien I. […]. Dans la constitution
Deo Auctore on retrouve des concepts nécessaires pour éclairer celui d’imperium:
deus, populus, urbs Roma, orbis terrarum. Il faut souligner la profonde différence
qu’il existe entre ces concepts et les concepts propres des conceptions positivistes
et étatistes du droit: maiestas divine, populus Romanus, orbis terrarum sont à opposer à “souveraineté étatique”, “population”, “territoire” en tant qu’éléments de
l’État selon la doctrine courante. […]. Les constitutions justiniennes permettent de
préciser les concepts d’ ‘universel’ et d’ ‘éternel’ en référence au ius Romanum (39).
(37)
A. PAGDEN, Signori del mondo, cit., pp. 16-19. Il tema della cittadinanza romana inclusiva contro l’esclusivismo ed il mercantilismo dell’impero britannico si ritrova in un contributo del giurista Giovanni Pacchioni all’interno del IV Congresso Nazionale di Studi Romani. Vd. quindi G. PACCHIONI, Organizzazione imperiale romana e britannica, in Atti del IV
Congresso Nazionale di Studi Romani, a cura di C. Galassi Paluzzi, IV, Roma 1938, pp. 6-13
(7 e 13): « Mentre Roma infatti riuscì, nel corso della sua carriera imperiale, a fare di molti
popoli diversi, che abitavano la penisola, un popolo solo, […], e, a questo solo più grande
popolo diede rapidamente l’egemonia di tutti i popoli del bacino mediterraneo, […] i popoli
che si abbeveravano all’Eufrate e al Danubio e al Reno con uguale dignità e orgoglio si proclamavano romani, il popolo inglese invece non solo non è riuscito, nel corso della sua quasi millenaria storia, a fondere insieme i popoli delle sue stesse isole in un solo popolo inglese, ma neppure è riuscito a conservare in una unità politica e spirituale i proprî figli emigrati
oltre gli oceani, chè avendo di essi abusato li spinse alla ribellione vittoriosa, […]. Lo spirito
imperiale romano dunque fu per eccellenza altruistico. Lo spirito dell’imperialismo britannico
invece fu e rimase sempre, in onta ai suoi grandi poeti e filosofi, uno spirito mercantile ».
Esse hanno come punto di partenza, anche testuale, P. CATALANO, Fine dell’Impero, cit., passim.
(38)
P. CATALANO et alii, Documento introduttivo al XXIX Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, in « Diritto@Storia. Rivista Internazionale di Scienze
(39)
292
ANNA MARIA LIBERATI
Nel quadro del “sistema giuridico-religioso romano” (40), il concetto di impero ha tra i suoi elementi essenziali proprio il carattere
espansivo della cittadinanza, cui corrispondono le nozioni giuridiche
di civitas augescens (41) e di civitas amplianda (42).
All’interno delle difficoltà ricostruttive e definitorie relative al concetto di “impero” tanto in sé quanto nei riguardi di quello di “imperialismo”, si colloca proprio « L’Impero dell’Italia Fascista ». Un primo
problema riguarda la comprensione, anche al di là delle definizioni
proprie delle scienze sociali e sopra accennate, di che tipo di impero
si trattasse. Il problema è stato evidenziato recentemente in termini
molto chiari: « L’Italia fascista aveva così il proprio Impero, oppure
era un Impero? Nella risposta a tale domanda, cioè nello scarto fra
le sue due parti, sta la spiegazione per cui il capitolo ‘Impero’ non
poteva, per il fascismo, essere solo di pertinenza coloniale. […]. Ma
verso quale Impero si andava, verso l’Impero fascista o verso l’Impero africano del fascismo? » (43).
La questione è tutt’altro che astratta ed è anche direttamente connessa con il valore storico e documentario della V Carta. Essa merita
quindi di essere affrontata rilevando innanzitutto come sia affatto raro
vedere inserito l’impero dell’Italia fascista all’interno degli imperi coloniali moderni, a proposito dei quali è stato affermato che:
[…] il loro punto di partenza non è uno Stato con pretese imperiali, ma una
economia-mondo in espansione che poggia su imprese private, anche se perlopiù
autorizzate dallo Stato. […]. La nascente economia-mondo, basata su rapporti economici globali, si trova così compressa in un contesto che mira a una segmentazione politica di tali rapporti, differenziandosi in tal modo già solo per questo motivo
dagli imperi veri e propri, orientati verso un potere ecumenico. […]. A differenza
degli imperi veri e propri, quelli coloniali non sono nati dal desiderio ‘di controllare direttamente una rete più ampia già esistente’ […], bensì dai seguenti motivi:
[…] soprattutto, dalla politica dell’equilibrio perseguita dalle diplomazie europee,
che fa delle colonie o della loro rivendicazione una sorta di fiches nel poker euroGiuridiche e Tradizione Romana », VIII (2009), consultabile in http://www.dirittoestoria.it/8/
Memorie/Roma_Terza_Roma/Doc-Intro-XXIX-Roma-Terza-Roma.htm.
A proposito del quale vd. P. CATALANO, Linee del sistema sovrannazionale romano. I,
Torino 1965, pp. 30-48 e 289.
(40)
(41)
Dig., 1, 2, 2, 7 e cfr. 28 (Pomp., lib. sing. ench.).
(42)
C.I., 7, 15, 2.
Così N. LABANCA, s.v. Impero, in Dizionario del fascismo, a cura di V. de Grazia - S.
Luzzatto, I, Torino 2002, pp. 659-662 (659-660).
(43)
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
293
peo […]. Ma anche i possedimenti coloniali dei vincitori sono costituiti per la maggior parte da territori privi di valore dal punto di vista dell’economia-mondo. Il fatto che la Francia possegga il deserto del Sahara, la Germania il Kalahari e l’Italia
il deserto libico appare un risultato notevole solo sulle carte geografiche (44).
La vicenda imperiale italiana, se considerata sotto la lente della
nozione di “imperialismo”, ha una lettura solo leggermente diversa
da quella ora ricordata ed è comunque e naturalmente sempre ascritta alla sola dimensione coloniale:
[…] l’Italia, tra tutte le potenze europee, fu il più chiaro esempio di uno Stato
che perseguì la colonizzazione in Africa per promuovere l’unità interna e affermarsi come potenza internazionale. Secondo la retorica nazionale l’Italia era destinata
a ricreare l’antico Impero romano nell’Africa del nord e nel Mediterraneo. […].
Ma la sconfitta del 1896 (ad Adua, n.d.A.) ancora bruciava, e nel 1935, sfruttando la confusa situazione internazionale e la debolezza della Società delle Nazioni,
di cui l’Etiopia era membro a pieno titolo, Mussolini invase l’Etiopia, completandone l’occupazione nel 1936 (45).
È piuttosto evidente, negli esemplificativi giudizi sopra ricordati,
tanto la sottovalutazione del mito della romanità, forse rapidamente
qualificato quale « retorica nazionale », quanto la mancata considerazione della qualità fascista dell’impero proclamato nel 1936. Anzi più
in generale c’è la tendenza, direi implicita, a riconoscere questo impero anche in precedenza, cioè sino dalla fine del XIX secolo. È allora
altrettanto evidente che tali giudizi non colgono esattamente nel segno o perché quello analizzato non è « L’Impero dell’Italia Fascista »
o perché, quando pure lo sia, esso è riguardato dalla sola prospettiva coloniale, forse senza troppo attentamente o approfonditamente
considerare né la questione della ritenuta continuità con Roma né la
caratteristica del fascismo di porsi come movimento universale.
Così, se da un lato in ogni caso documenti iconografici come la
stessa pubblicità del Banco di Roma (tav. LVII, fig. 2) testimoniano che l’« Impero fu per essi (gli ambienti economici, n.d.A.) un’aggiunta, non una palingenesi: […], laddove l’Impero veniva appunto geograficamente localizzato, e confinato, nell’oltremare » e che il
(44)
Così S. BREUER, s.v. Imperi, cit., pp. 537-538, in cui tuttavia sembra da un lato di
potersi rilevare una certa contraddizione rispetto alla tensione verso l’ecumenicità di alcuni
imperi moderni, vd. ad esempio A. PAGDEN, Signori del mondo, cit., pp. 65-114, e dall’altro,
quanto all’Italia, si rileva il solo riferimento alla Libia.
(45)
Così D. K. FIELDHOUSE, s.v. Imperialismo, cit., p. 548.
294
ANNA MARIA LIBERATI
« cambio di civiltà, da nazionale a imperiale, non prese piede. Come
ricordava l’Istat, l’Italia ‘aveva’ un Impero, ma non lo ‘era’ » (46), d’altro lato, a livello ideologico la questione si presentava in modo nettamente diverso.
Sul piano ideologico, infatti, la questione dell’impero deve essere riguardata nell’ambito dell’analisi del mito o idea della “Grande
Italia” e solo dopo aver compreso come quest’ultimo per larghissima
parte si sovrapponesse all’idea o al mito di una “terza Roma” italiana. Si tratta, come noto, di idee anche preesistenti al fascismo stesso (47) e tuttavia quel che qui interessa direttamente è osservare in che
modo esse vengano declinate in epoca fascista, cioè come su di esse
si innesti l’idea di “rivoluzione” e, appunto, di “impero”. In tal senso
è stato osservato che: « […] il problema della nazione, per il fascismo,
non si esauriva nella costruzione dello Stato totalitario e nella creazione dell’italiano nuovo dell’era fascista, al solo scopo di esaltare e accrescere la potenza della nazione per fini di conquista territoriale » (48).
(46)
Così N. LABANCA, s.v. Impero, cit., pp. 660-661.
Vd. ampiamente E. GENTILE, La Grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Milano 1997, pp. 9-145, con ampi riferimenti alla bibliografia ed
alle fonti.
(47)
(48)
Così E. GENTILE, La Grande Italia, cit., p. 181. Tra le fonti vd. ad esempio G. BOTTAI,
Mussolini costruttore d’Impero, Mantova 1929, pp. 47-48: « Non bisogna propinare al popolo
italiano altre formule parziali, insufficienti. Né la formula demografica, né la formula colonizzatrice contengono tutti i germi del mito, necessario domani a gettare la nostra gente sulla via della conquista. Il problema di grandezza che l’Italia deve risolvere ha un suo proprio
valore ed una relazione solo molto vaga con l’eccedenza demografica: […]. Né il problema
della grandezza italiana decadrebbe dinnanzi alla possibilità di conquista di territori privi o
quasi di valore da un punto di vista agricolo. L’Italia deve cercare le sue vie nel mondo, anche secondo direttrici politiche, che mirino a spostare la sua situazione internazionale: quando questa sarà di prestigio, di predominio, di piena indipendenza, i problemi demografici, i
problemi dell’alimentazione, i problemi del rifornimento delle materie prime, i problemi della
ricchezza, avranno più pronte e più facili risoluzioni ». Cfr. ancora G. BOTTAI, L’Italia dall’emigrazione all’Impero, Roma 1940, pp. 26-29: « Cavour aveva, in un’Italia ancora da fare, presentiti i problemi dell’espansione coloniale come problemi dell’unità; Mazzini, più risolutamente,
aveva visto nel ‘moto inevitabile che chiama l’Europa in Africa’ una delle forze direttrici della
politica mondiale, […]. Ma i piccoli uomini dell’Italia unita, dell’Italia fatta, avevano perso il
senso della storia. […]. Nella fase libica s’avverte qualche mutamento. […]. Il problema politico, anche se chiaro nella sua essenza, doveva essere coperto sotto il problema economico,
che non ne è che un aspetto. E poiché l’economia libica non dava risultati immediati, il valore della conquista sfuggiva ancor più alla coscienza degl’italiani. Non si sapeva distinguere la
colonizzazione dalla dominazione politica; e che quella da questa, e non viceversa, dipendesse non si comprendeva. […]. Gl’italiani hanno combattuta e vinta, nel ’15-’18 l’ultima guerra ‘peninsulare’ della loro indipendenza e unità; hanno combattuta e vinta nel ’35’36 [sic], la
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
295
L’elemento di distinzione rispetto al nazionalismo è dato proprio dalla « vocazione rivoluzionaria e quindi universale » (49).
Muovendo da queste premesse, si giunse a mettere in discussione il principio stesso di nazionalità a favore di nuove costruzioni imperiali:
Il mito dell’impero, come centro irradiatore di una civiltà universale, nel fascismo non era un’improvvisazione propagandistica collegata alla conquista dell’Etiopia, ma era un mito presente fin dai primi tempi del movimento, e che emerse
via via in modo più evidente, soprattutto attraverso la valorizzazione della funzione rivoluzionaria del fascismo come movimento universale e non soltanto italiano,
come nazionalismo che aspirava non solo all’espansione territoriale ma a diffondere nel mondo la luce di una nuova civiltà. Non era concepibile una grande nazione moderna senza volontà di potenza imperiale capace di creare una civiltà universale, come lo era stata la romanità, e di attrarre nell’orbita di questa civiltà le
altre nazioni (50).
Il dibattito sull’impero assume poi un particolare sviluppo nei primi anni della seconda guerra mondiale, quando una vittoria dell’Asse sembrava ancora possibile e quindi il problema di una organizzazione imperiale post-bellica era tutt’altro che teorico (51). Anche in
prima guerra ‘oltremare’ della loro potenza. Devono, ora, combattere una guerra, che è insieme di indipendenza, di libertà e di potenza: sul piano dell’Impero ».
(49)
Così ancora E. GENTILE, La Grande Italia, cit., p. 181.
(50)
Così ancora E. GENTILE, La Grande Italia, cit., p. 182 e cfr. p. 184.
Vd. soprattutto E. GENTILE, La Grande Italia, cit., pp. 188-195 e fonti ivi citate. Cfr. in
particolare ibidem, p. 189: « In un convegno dedicato all’idea di Europa, organizzato dall’Istituto nazionale di cultura fascista nel novembre 1942, era emersa la tendenza a considerare
ormai conclusa, o prossima a concludersi, l’epoca della nazione, iniziata dalla frantumazione
della medioevale repubblica cristiana ». Cfr. ancora ibidem, p. 194: « […] il fascismo riteneva
di superare l’imperialismo tradizionale del dominio e dell’asservimento con l’idea della comunità imperiale, in cui piccoli Stati e piccole nazioni avrebbero dovuto volentieri associarsi per ruotare nell’orbita di una grande potenza irradiante i principi di una nuova civiltà. Il
sole di questo nuovo sistema sarebbe stato, naturalmente, l’Italia fascista, in virtù della vocazione universalistica della sua civiltà, che la poneva su un piano di superiorità ideologica
anche nei confronti dell’alleata Germania nazista ». Pochi anni prima del 1942, nel 1940, G.
AMBROSINI, L’Albania, cit., p. 63 aveva così definito la « Comunità Imperiale di Roma »: « La
Comunità Imperiale di Roma rappresenta un nuovo tipo di ordinamento di popoli, che, ad
opera del Duce, si aggiunge a quelli preesistenti. Si tratta di un nuovo complesso organismo
politico, di un nuovo corpus misticum formato di diverse parti, le quali però, pur concorrendo tutte al raggiungimento delle stesse mète comuni e pur traendone ognuna il proprio vantaggio, non si trovano sullo stesso piano. Vengono prima l’Italia e l’Albania; seguono in posizione di rilievo, ma non uguale a quella italo-albanese, la Libia ed il Possedimento dell’Egeo;
sta, infine, in un’altra posizione l’Africa Orientale Italiana. Nessuna parte di questa ‘Comu(51)
296
ANNA MARIA LIBERATI
precedenza tuttavia, come visto, negli anni in cui venne creata la V
Carta, l’idea di impero era ben lungi dall’esaurirsi in un mero espediente retorico o, peggio, propagandistico, assumendo invece il valore di una sorta di punto iniziale di un rinnovamento insieme nazionale e universale.
Di particolare utilità risulta in questo senso lo spoglio delle annate della rivista « Universalità Fascista », la quale non a caso giunse
ad avere tre distinte ma contemporanee periodizzazioni: da un lato
gli anni dell’era cristiana, espressi come consueto in numeri arabi,
poi quelli dell’« Era Fascista » ed infine la datazione secondo gli anni
dalla fondazione dell’impero, entrambe espresse in numeri romani.
Era però, significativamente, la periodizzazione in anni fascisti a segnare il passaggio da un numero della Rivista al successivo. Significativa anche la citazione riportata in lettere maiuscole sulle copertine, che informava circa le finalità della pubblicazione: « Far conoscere
il Fascismo, al di fuori delle contraffazioni straniere, nella sua portata universale ». Sotto tale citazione veniva anche riportata la fonte,
per noi altrettanto significativa: « (dall’ordine d. g. del Gran Consiglio del 2-10-31 - IX) ».
Nella presente sede sembra opportuno ricordare almeno due numeri della Rivista, entrambi collegati al tema dell’impero. Di essi, il
primo è il fascicolo 7, anno IX, del « Maggio 1937 a. XV - II dell’Impero », come riportato in copertina. Esso è infatti esplicitamente dedicato al « primo annuale della fondazione dell’Impero ». Tra i vari
interventi, la cui rassegna completa non è possibile nello spazio di
questo contributo (52), ne interessa soprattutto uno di Sergio Panunzio, in cui si legge:
nità Imperiale’ ha funzioni di semplice strumento, né tanto meno è assoggettata a sfruttamento; tutte partecipano allo scopo comune ed ai comuni vantaggi, conformemente alla tradizione di Roma, che, siccome rammentò il Duce nello storico discorso del 9 maggio 1936,
associava i popoli al suo destino ».
(52)
Figurano numerosi scritti suddivisi in tre sezioni, dedicate rispettivamente a « La conquista », « L’affermazione » e « La valorizzazione ». Esse sono precedute da alcune pagine che
riportano i discorsi di Mussolini del 9 maggio 1936 e 1937, da un intervento del maresciallo
d’Italia Pietro Badoglio e da un altro di Amilcare Rossi, presidente dell’Associazione Nazionale Combattenti. Di particolare interesse e ricche di reciproche sfumature sono anche alcune
pubblicazioni immediatamente precedenti o di pochi anni successive alla conquista dell’Impero: A. LESSONA, Realizzazioni e propositi del colonialismo italiano, Roma 1935, con particolare riferimento alle pp. 12-16, E. DE BONO, L’Italia e l’Impero, Roma 1938, passim. Cfr. anche M. MISSIROLI, Italia e Africa. La gravitazione dell’Italia nel Mediterraneo, Roma s.d. (ma
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
297
Tutti tramontati e sepolti, come in una immensa e profonda necropoli, i vecchi
imperi della storia. Non parliamo di quelli antichi ed antichissimi; di quelli dell’età
di mezzo; di quelli dell’era moderna e del diciannovesimo secolo. Fermiamoci solo
un poco sulla caduta dei tre imperi con l’ultima guerra. E dopo la caduta di questi,
quante altre rovine, sotto i nostri occhi, e quale rovinìo! Ebbene, il Fascismo esce
gagliardamente il fatidico vicino e lontano 23 marzo dal suolo dell’Italia nel nome
di Roma eterna e col segno eterno del Littorio. Ed il 9 maggio dell’anno XIV della nostra Era il Capo indica ai legionari e a tutto il popolo italiano con parola alata la ‘riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma’ (53).
Sin qui, secondo Panunzio il « punto di vista ideale », ma v’era anche un « punto di vista politico »:
Siamo alla prova piena della maturità e della potenza della Rivoluzione fascista.
[…]. Qui non c’è la conquista di vecchia marca coloniale a base di rapina e di schiacciamento materiale. La civiltà fascista si estende nei suoi istituti e nei suoi ordinamenti,
particolarmente con quelli che educano la gioventù e formano le nuove generazioni,
alle popolazioni del nuovo Impero. […]. Non siamo ad un imperialismo obbiettivo,
ma spirituale e soggettivo che vuol dare e mira a dare, nei limiti delle possibilità e
delle condizioni storiche, alle nuove popolazioni lo stesso stile, gli stessi ordinamenti
e lo stesso costume della civiltà fascista originaria. Il seme è gettato nel solco (54).
Un ulteriore numero della rivista ci aiuta a meglio comprendere
cosa davvero abbia rappresentato l’impero raffigurato nella V Carta. Si tratta del fascicolo doppio 11-12, anno IX, del « Sett. - Ottobre
1937 a. XV - II dell’Impero », come ancora una volta riportato in copertina. Il numero è questa volta « dedicato all’esame dell’universalità del Fascismo » ed al suo interno sono di nostro immediato interesse gli scritti di Emilio Bodrero e Giulio Quirino Giglioli. Il primo
tratta dei rapporti tra il fascismo e la civiltà occidentale e nella conclusione del suo scritto afferma:
Il romano cercava piuttosto l’armonia fra le varie attività dell’uomo, consacrate allo Stato ed era questa la sua umanità, la grande creazione romana, la visione stessa che l’Italia ha oggi della sua missione, coincidente con la tradizione di
1943), passim, soprattutto pp. 66-67: « L’Italia risorta non poteva non obbedire alla legge di
gravitazione verso l’Africa. […]. Il Risorgimento non avrebbe avuto senso qualora l’Italia non
avesse partecipato a quell’opera di civiltà, che doveva trarre il continente africano dalla preistoria nella storia. La conquista dell’Eritrea, della Libia e, infine, l’impresa etiopica, segnarono le fasi della sua inarrestabile espansione ».
(53)
Così S. PANUNZIO, Fondazione dell’Impero, in « Universalità Fascista », IX (1937 XV - II), 7, pp. 421-422.
(54)
Ibidem, p. 422.
298
ANNA MARIA LIBERATI
Roma, che ha data la civiltà al mondo e con la tradizione dell’Italia la quale, attraverso il proprio travaglio, il proprio martirio, compie le grandi esperienze, per
farne poi dono al genere umano, il quale anche oggi aspetta diffidente o invidioso, nemico o sprezzante, ma aspetta qualche cosa che deve venire da noi, onde un
giorno o l’altro si ripeta di qui una grande parola come Roma ha altre volte pronunciato nei lunghi secoli della sua storia (55).
Giglioli, invece, peraltro quasi in contemporanea con l’inaugurazione della Mostra Augustea della Romanità (56), si dedicava ai rapporti tra impero romano ed impero fascista e, dopo aver tratteggiato
le linee di sviluppo del primo (57), chiariva che la ragione della grande durata della civiltà romana fosse da ricercarsi nella circostanza che
Roma « […] dopo vinto, tendeva la mano all’avversario » e nelle virtù
dell’aequitas, della libertas e della disciplina, tutte virtù che risorgono nella nuova Italia: « Risorgono così ancora una volta le virtù che
l’impero romano apprezzava e la cui immagine figura nelle monete di
Roma: l’aequitas, la libertas, la disciplina; […] » (58). Il momento forte
di tutto ciò è appunto rappresentato dal ritorno dell’impero:
Il mondo insomma è costretto, volente o nolente, ad avere ancora una volta
da Roma il dono della norma del viver civile.
E allora vedete da questa Italia fascista risorgere fatalmente l’impero. Risorge
come poteva risorgere nelle nostre attuali condizioni; risorge portando la civiltà in
una terra che era fuori del nostro continente, nella quale rimaneva ancora l’unico
stato feudale, barbarico, medioevale del mondo; […]. E potete essere sicuri che
l’Impero d’Etiopia sarà impero d’Italia, non soltanto di conquista e di armi, ma
anche di civiltà e di cuore (59).
In questa prospettiva che unisce romanità, impero e rivoluzione universale, in definitiva non è una questione così fondamentale se
l’impero proclamato nel 1936 sia l’impero italiano o l’impero coloniale italiano e ciò perché, nell’ideologia dell’epoca, è l’impero stesso a
E. BODRERO, Il Fascismo e la civiltà occidentale, in « Universalità Fascista », IX
(1937 - XV - II), 11-12, pp. 571-579 (578-579).
(55)
(56)
La Mostra Augustea della Romanità venne inaugurata in Roma, nel Palazzo delle
Esposizioni, il 23 settembre 1937.
(57)
Q. GIGLIOLI, L’Impero romano e l’Impero fascista, in « Universalità Fascista », IX
(1937 - XV - II), 11-12, pp. 626-639 (626-632).
(58)
Ibidem, pp. 633 e 637-638. Per quanto riguarda la libertas, essa era qui intesa come
« la vera libertà, cioè la libertà nell’ordine ».
(59)
Ibidem, pp. 638-639.
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
299
caricarsi in ogni caso di significati che trascendono la mera conquista coloniale. Tutto questo poteva avvenire proprio perché la « conquista dell’Etiopia poteva essere intesa come la premessa della fase
universale del fascismo » (60).
In questo contesto la storia d’Italia dalla “caduta” della pars Occidentis (61) sino a « L’Impero dell’Italia Fascista » veniva riletta per sottolineare le linee di continuità tra le “tre Rome”, quelle cioè che erano state in grado di creare civiltà universali e che, nella prospettiva
dell’epoca, avevano giovato o stavano giovando al progresso del mondo ed all’incivilimento dei popoli: Roma antica, la Roma cristiana e
quella contemporanea. Non si trattò soltanto di un’operazione di carattere propagandistico, ma di un movimento più ampio che interessò con diverse declinazioni la stessa alta cultura e che in ogni caso fu
gravido di produzioni e risultati scientifici di particolare significato (62),
come quelli legati alla Mostra Augustea della Romanità del 1937-1938.
Proprio in corrispondenza del Bimillenario Augusteo del 1937-1938
venne emessa una serie filatelica nella quale peraltro si ritrovava anche il tema di Augusto e dell’ingresso in “Etiopia” delle armi romane, rilevato anche da Giuseppe Bottai nell’articolo che, nello stesso
Così A. Giardina in A. GIARDINA - A. VAUCHEZ, Il mito di Roma. Da Carlo Magno a
Mussolini, Roma-Bari 2000, p. 254.
(60)
La letteratura sul tema è molto vasta e non è pensabile di poterla qui elencare neppure parzialmente, ma vd. comunque ora O. LICANDRO, L’Occidente senza imperatori. Vicende politiche e costituzionali nell’ultimo secolo dell’impero romano d’Occidente. 455-565 d.C.,
Roma 2012, con ampia discussione sulle fonti e sulla precedente bibliografia. Tra di essa piace tuttavia citare, oltre naturalmente ad A. MOMIGLIANO, La caduta senza rumore di un impero nel 476 d.C., in « Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia », s. III, III (1973), 2, pp. 397-418, anche La fine dell’Impero romano d’Occidente, Roma
1978, pubblicazione dell’Istituto di Studi Romani che raccoglie principalmente i testi delle
conferenze su tale tema tenute in occasione del centenario del fatidico 476 d.C. durante l’a.a.
1975-1976 dei Corsi Superiori di Studi Romani.
(61)
(62)
Tra la produzione dell’Istituto di Studi Romani, oltre ai Quaderni Augustei mi limito a segnalare A. BRUERS, Roma nel pensiero di Gioberti, Roma 1937; ID., Roma nel pensiero di Gabriele D’Annunzio, Roma 1938; G. BELLONCI, L’idea di Roma nell’opera di Carducci,
Roma 1938; A. MARPICATI, Carducci e la Romanità, in Atti del IV Congresso Nazionale di Studi Romani, a cura di C. Galassi Paluzzi, IV, Roma 1938, pp. 273-277; A. CODIGNOLA, L’idea
di Roma nel pensiero di Giuseppe Mazzini, in Atti del V Congresso Nazionale di Studi Romani, a cura di C. Galassi Paluzzi, III, Roma 1942 pp. 175-181; A. TULLI, Il « Leone di Giuda » e l’Obelisco di Dogali, in Atti del V Congresso, cit., pp. 182-187; CECCARIUS, L’idea imperiale romana nel pensiero di Enrico Corradini, in Atti del V Congresso, cit., pp. 199-210;
G. RAYA, Roma nella poesia di Dante, in Atti del V Congresso Nazionale di Studi Romani, V,
Roma 1946, pp. 306-311.
300
ANNA MARIA LIBERATI
1936, preannunciava la creazione e collocazione della V Carta (tav.
LVIII, fig. 1) (63).
Di estrema utilità, per comprendere i “momenti forti” di questa
continuità sono, considerata la loro stessa natura didattica, le antologie composte per le scuole (64). Di esse merita ricordarne qui almeno due. La prima è la collana Quaderni di analisi storiche di Andrea
Gustarelli, edita da Vallardi in 16 agili volumetti che iniziano con
« La Vigilia dell’Impero Napoleonico. (La Rivoluzione Francese) » ed
ovviamente terminano con « L’Impero italiano fascista ». Almeno due
di questi volumi devono essere qui specialmente citati e per motivi, credo, ovvî: quello dedicato a « Roma capitale » e quello dedicato a « Francesco Crispi e la politica coloniale ». Nel volume dedicato
a Roma, la città eterna è dipinta come la summa di una serie di virtù insieme nazionali ed universali, come idea che supera la “caduta”
dell’impero e giunge, tramite il Cattolicesimo romano, il Rinascimento ed il Risorgimento, alla nuova Italia:
Funzione, dunque, specialmente unificatrice, e moderatrice, e armonizzatrice.
La vittoriosa aggiogava i vinti, […]; ma la moderatrice li accoglieva sotto la sua
protezione, li tutelava e conciliava nei rapporti con gli altri popoli, donava loro il
bene della sua giustizia, li faceva partecipi della sua sapienza, li rendeva, come figli, devoti a Roma, e desiderosi della cittadinanza romana come del più alto compenso e della più vera felicità. […]. La conquista di Roma, dunque, non era soltanto il compimento di un voto legittimo, ma anche e specialmente il ritorno di
una suprema realtà […]. Doppia funzione ancora e sempre, come nei tempi della
più vera grandezza: funzione politica, per guidare la propria gente verso la terrena felicità; e funzione religiosa, per guidare le anime alla conquista della beatitudine eterna: e da Roma, nuova e antica, la luce della doppia verità avrebbe ancora una volta irradiato il mondo (65).
(63)
Cfr. supra nota 8. Circa le emissioni filateliche italiane collegate all’antichità classica e specie durante il regime fascista, vd. ora M. TORELLI, Archeologia e fascismo. Creazione
e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime, in Repensar la Escuela del CSIC en
Roma. Cien años de memoria, editada por R. Olmos - T. Tortosa - J. P. Bellón, Madrid 2010,
pp. 385-405, con particolare riferimento alla p. 404 per i francobolli della serie del Bimillenario Augusteo del 1937-1938. Per il valore scientifico della Mostra Augustea della Romanità cfr. ampiamente Mostra Augustea della Romanità, cit. e Mostra Augustea della Romanità,
Catalogo della mostra a cura di R. Vighi - C. Caprino, II, Roma 1938 che costituisce l’appendice bibliografica e gli indici al I volume.
Risalto alla produzione dedicata alle scuole è dato ad esempio da N. LABANCA, s.v.
Impero, cit., p. 661.
(64)
A. GUSTARELLI, Quaderni di analisi storiche. VII. Roma capitale, Milano 1936, pp.
21-22 e 26-27.
(65)
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301
Nel secondo dei volumi di nostro interesse la politica coloniale di
Crispi è considerata appunto, e naturalmente, coloniale, ma all’interno di una prospettiva teleologica che la rende un passaggio necessario in vista di quanto anni dopo sarebbe stato avviato dal fascismo.
In tal senso lo stesso Crispi è così presentato:
[…] l’unico grande uomo di Stato che l’Italia abbia avuto dopo il Cavour e
prima di Mussolini. […]. Egli fu il primo, dalla costituzione del Regno, a concepire lo Stato come una suprema realtà, nella quale convergono e si annullano, per il
bene unico della Nazione, gli interessi degli individui e dei partiti, e che per agire degnamente e per vivere durevolmente deve poter poggiare sicuramente sulla
disciplinata obbedienza di tutti i cittadini e sulla propria indiscutibile autorità. La
quale concezione dei diritti dello Stato fa di lui un luminoso precursore del canone iniziale e fondamentale della dottrina fascista (66).
Altra lettura storica di nostro particolare interesse, questa volta
in forma di antologia, è Dall’Impero romano all’Italia imperiale, opera
curata da Gaetano Gasperoni e Giuseppe Tudertino e pubblicata da
Mondadori in tre volumi con diverse edizioni. Limitandoci all’essenziale, noteremo come proprio nel primo volume, dedicato al periodo compreso tra la fine del mondo antico ed il Rinascimento, venne
inserito uno scritto del giusromanista Pietro de Francisci, tratto dal
suo contributo Continuità di Roma apparso sul numero di gennaio
1935 di « Civiltà Fascista », periodico dell’Istituto Nazionale Fascista
di Cultura (67), mentre nel secondo volume dell’opera, che giungeva
sino all’impero napoleonico, è naturalmente viva l’idea della grandezza italiana nonostante i secoli di asservimento, grazie al Cattolicesimo
romano ed alla vita culturale ed artistica (68). Il terzo volume, invece,
è dedicato al periodo che muove dal Risorgimento alla proclamazione dell’impero e proprio l’ultima parte di questo percorso è per noi
ancora una volta utile al fine di comprendere ed inquadrare corret-
A. GUSTARELLI, Quaderni di analisi storiche. IX. Francesco Crispi e la politica coloniale, Milano 1936, pp. 11-12. Tra gli elementi maggiormente autoritari del pensiero mazziniano che, anche attraverso Francesco Crispi, pervennero al fascismo, vd. ora ampiamente S.
LEVIS SULLAM, L’apostolo a brandelli. L’eredità di Mazzini tra Risorgimento e fascismo, RomaBari 2010, passim ed in particolare pp. 19-24 e 28-30 per Crispi.
(66)
P. DE FRANCISCI, La civiltà di Roma, in Dall’Impero romano all’Italia imperiale. Letture storiche. I, a cura di G. Gasperoni - G. Tudertino, Milano 1940 10, pp. 25-32.
(67)
Dall’Impero romano all’Italia imperiale. Letture storiche. II, a cura di G. Gasperoni - G. Tudertino, Milano 1940 8, passim.
(68)
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tamente il valore storico, e quindi il significato, della V Carta di via
dell’Impero. Soccorrono in questo le parole di Giuseppe Bottai, originariamente comparse su « Critica Fascista » del 15 luglio 1935:
Perciò, l’impresa abissina è un’impresa africana solo territorialmente; perciò i
suoi caratteri coloniali sono occasionali e secondari. L’impresa abissina è il primo
atto di potenza di quella rivoluzione moderna, che è il Fascismo-Corporativismo.
La rivoluzione di Mussolini vola dal chiuso del Mediterraneo all’Oceano Indiano:
Italia continentale, Italia peninsulare, Italia insulare, Italia libica, Italia sahariana,
Italia etiopica. Tale è l’orientamento di marcia. Vi è un salto; a un certo punto. Ma
se la natura non fa dei salti, la storia può farli. E li farà (69).
Alle parole di Bottai ne seguivano altre di Alessandro Lessona,
comparse originariamente su « Nuova Antologia » del gennaio 1936 e
che, svolgendo il tema dell’impresa etiopica soprattutto nella chiave
del confronto con l’impero inglese, ricostruivano le linee del colonialismo italiano in Africa Orientale. Tuttavia, pur essendo in questo caso
ben presente il tema coloniale, non mancava comunque la consapevolezza che la conquista etiopica rappresentava anche altro: « L’Italia
deve svolgere la sua missione in Africa non solo per il suo vantaggio
nazionale, ma anche per il progresso della civiltà » (70). Il volume terminava quindi con il noto discorso della fondazione dell’impero del
9 maggio 1936, chiudendo così un cerchio ideale che dal disfacimento della “prima Roma” aveva descritto le tappe che avevano portato alla nuova “terza Roma”. Si tratta di una “terza Roma” fortemente innestata nella storia nazionale italiana, come celebrato anche da
una serie filatelica in cui, tra gli altri temi, venne raffigurato anche
quello della corona ferrea dei Re d’Italia sovrapposta al profilo delle terre italiane in Africa Orientale. Ai due lati della raffigurazione,
la croce cristiana, il fascio littorio ed un fucile con la baionetta innestata a richiamare l’affrontante raffigurazione della croce, fornivano una sintesi della continuità delle “tre Rome” in cui era presente
anche il tema del lavoro, e quindi della civiltà costruttrice, simboleggiato da una vanga posta dietro la croce ed il cui profilo veniva spe-
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G. BOTTAI, Abissinia: impresa rivoluzionaria, in Dall’Impero romano all’Italia imperiale. Letture storiche. III, a cura di G. Gasperoni - G. Tudertino Milano 19407, pp. 301-306
(306).
A. LESSONA, Il diritto italiano su l’Africa orientale, in Dall’Impero romano all’Italia
imperiale. Letture storiche. III, cit., pp. 308-316 (315).
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IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA TRA IMPERI ANTICHI E MODERNI
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cularmente richiamato dalla lama della scure del fascio littorio in un
consapevole gioco di rimandi (tav. LVIII, fig. 2).
La V Carta di via dell’Impero rappresenta dunque in sé quel variegato ma unitario insieme di questioni e problemi che si sono sopra sommariamente ricordati e che consentono di affrontare un tema,
quello appunto dell’impero, da diverse e feconde prospettive: dalle
scienze sociali a quelle storiche e giuridiche, dalla storia antica alla
storia moderna e contemporanea. Essa merita dunque di essere opportunamente e definitivamente valorizzata con pari dignità di qualsiasi
altra opera esposta in un museo e ciò affinché, una volta sottratta al
degrado, come è stato fatto, se ne colgano anche tutte le opportunità di discussione, di approfondimento e di confronto cui sopra si è
solo potuto accennare, profittando, in questo, della sua collocazione
in un edificio ed in un quartiere che sono inscindibilmente legati al
momento storico che alla V Carta ha dato origine e che pertanto ne
permetterebbero una non comune contestualizzazione storica.
ANNA MARIA LIBERATI
TAVOLA LV
Fig. 1. La V Carta affissa lungo via dell’Impero nella versione originaria
del 1936, precedente le modifiche riguardanti l’Albania
Fig. 2. Bozzetto della V Carta con firma autografa di A. Muñoz in
basso a destra. Si nota ancora l’assenza dell’indicazione “Albania”
TAVOLA LVI
Fig. 1. Particolare della V Carta attualmente conservata presso il Museo della
Civiltà Romana. In corrispondenza del nome “Mussolini” si possono osservare
segni evidenti di scalfittura della superficie del marmo
Fig. 2. La V Carta nella sua collocazione attuale in un’area chiusa al pubblico,
lungo la parete di un cortile interno del Museo della Civiltà Romana. Si nota
l’inserimento dell’Albania tra i territori de «L’Impero dell’Italia Fascista»
Fig. 2. Pubblicità del Banco di Roma, pubblicata
nel «Messaggero degli Italiani», Istanbul 9 giugno
1938, che mostra le proprie filiali nel Mediterraneo
e nell’impero etiopico
TAVOLA LVII
Fig. 1. L’immagine di Dante accanto all’Aquila simboleggiante
l’impero in un’emissione filatelica del 1938 facente parte della
serie celebrativa del nuovo impero. Sullo sfondo è la Croce
TAVOLA LVIII
Fig. 1. L’imperatore Augusto e l’ingresso in “Etiopia” delle armi romane, ricordato utilizzando le
Res Gestae, in un’emissione filatelica del Bimillenario Augusteo del 1937-1938
Fig. 2. Emissione filatelica del 1938 della serie che celebra la fondazione dell’impero. Al centro, la corona ferrea dei Re d’Italia posata sull’Africa Orientale. Ai lati i
simboli della “terza Roma”
Finito di stampare il 15 settembre 2014