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Musei di guerra, musei in guerra A proposito dell’apertura della Pinacoteca di Brera il 15 agosto 1809 Roberto Cassanelli Nelle strategie politiche napoleoniche, i musei – come già da alcuni decenni è stato affermato, e come senza equivoci emerge da questo stesso convegno – svolgono un ruolo centrale, venendo loro attribuiti, oltre alle funzioni culturali ed educative proprie dell’istituzione museale, precipui compiti di auto-rappresentazione del potere, secondo un diagramma che, facendo perno nel Louvre (dal 1803 Musée Napoléon), coinvolge progressivamente tutta l’Europa controllata dalle truppe francesi1. E ciò soprattutto tra 1808 e 1809, in un tornante politicamente difficile e militarmente complesso, che, aperto dai fatti di Spagna, si conclude, dopo la sconfitta della quinta coalizione antifrancese, con il trattato di pace di Schönbrunn e la preparazione delle nozze dell’imperatore con Maria Luisa d’Austria2. Si fondano in quello stretto giro d’anni il Prado a Madrid per decreto di Giuseppe Bonaparte3, il Koninklijk Museum ad Amsterdam, nuova capitale del breve regno di Luigi Napoleone4, e a Milano la Pinacoteca di Brera, Louvre “di provincia” misurato sulla scala di una giovane nazione vassalla, cresciuto rincorrendo il suo mutevole assetto territoriale, e voluto, all’indomani dell’incoronazione di Napoleone a re d’Italia (1805)5, dal viceré Eugenio de Beauharnais come capofila di una dinamica triangolazione con Bologna e Venezia6. Nonostante la generale convinzione, corroborata dalle ricerche documentarie di fine Ottocento, tendente a fissare l’inaugurazione della Pinacoteca il 15 agosto 1809, compleanno di Napoleone, si è iniziato da qualche anno a dubitare del suo effettivo svolgimento, in assenza soprattutto di riscontri sulla stampa contemporanea. È indubbio d’altra parte che, pur costituendo il principale museo del Regno, sulla prima storia di Brera abbia gravato, e in parte ancora gravi, una singolare opacità7. Anche se un documento, ritrovato e pubblicato alcuni anni fa, recante la “Nota de’ quadri che sono stati disposti all’apprimento [sic] della Reale Pinacoteca il giorno 15 agosto 1809”, di mano del custode Giovanni Gabbiani, sembrerebbe dirimere in modo definitivo la questione8, non è inutile tornare a interrogare i documenti, soprattutto nell’attuale situazione di rinnovate ricerche d’archivio e rimodulazioni critiche, per meglio definire il contesto in cui l’evento ha avuto luogo. Va detto subito che, tramontato l’Impero, e per tutta l’età della Restaurazione, il problema dell’inaugurazione, più o meno presunta, del museo (o anche della sua semplice apertura) non si è posto, o è stato quanto meno eluso9. Troppo ravvicinati erano gli echi e le conseguenze delle azioni del precedente governo, e troppo delicati e precari gli equilibri politici per consentire una rivisitazione della figura e dell’opera di Napoleone, cui il museo 3 era indissolubilmente legato, essendone stato a tutta evidenza l’ispiratore se non l’artefice, ancorché in modo indiretto attraverso la mediazione del viceré, e che sul museo aveva comunque vegliato per cinque anni in effige, nelle forme del colossale gesso del Marte pacificatore di Antonio Canova10. Con il 1848, e poi soprattutto con il 1859 e l’alleanza franco-piemontese, ogni resistenza in tal senso veniva superata, e, con una forma di singolare ipercorrettismo, il Napoleone bronzeo, inteso dagli uomini del Risorgimento come simbolo materiale del diritto delle nazioni, conquistava il centro del cortile d’onore del Palazzo di Brera, al posto previsto per il Leonardo da Vinci di Pietro Magni, migrato nella nuova piazza della Scala11. Pochi anni dopo Giuseppe Mongeri, già segretario e presidente f.f. dell’Accademia nell’ultimo periodo austriaco, poteva così affermare, depurata da ogni strumentalizzazione ideologica, l’origine napoleonica della Pinacoteca, “inaugurata” il 15 agosto 180912, nell’ambito di una trattazione in cui è enfatizzato il nesso cogente tra Pinacoteca e Accademia, in relazione al dibattito in corso sulla loro ipotizzata separazione, che effettivamente avverrà dieci anni dopo (1882). Il dato cronologico, presto accettato da Antonio Caimi13 (ma non da Giulio Carotti, come si vedrà più oltre), transita nella grande monografia redatta da Corrado Ricci in occasione del riordino da lui promosso della Pinacoteca (1903), e pubblicata nel 1907, in un periodo denso di discussioni sulla natura giuridica dei beni culturali, alla vigilia dell’emanazione della legge di tutela Rosadi (1909)14. Il testo, fondato su una ramificata indagine documentaria, ha assunto valore normativo, fungendo da riferimento essenziale per tutta la bibliografia successiva, oltre che per le guide novecentesche, dal catalogo dettagliatissimo di Francesco Malaguzzi Valeri a quello più agile di Ettore Modigliani, molte volte ristampato15 . La giornata dell’inaugurazione, progressivamente arricchita di dettagli per lo più fittizi (con esiti talvolta paradossali), ha finito per perdere progressivamente di credibilità, almeno nei termini in cui si è cristallizzata. Sul generale unanimismo, che ha contagiato anche l’attenta revisione documentaria di Paolo Venturoli del 198016, è calato nel 1984 lo spirito critico e corrosivo di Guido Lopez che, basandosi in via esclusiva sui documenti dell’Archivio di Stato di Milano, ha risolutamente negato l’esistenza di una qualsiasi cerimonia di inaugurazione (ufficiale o meno) il 15 agosto 1809, ipotizzando un avvio in sordina mesi dopo, in relazione alla pubblicazione delle Discipline per l’aprimento delle Regie Gallerie de’ quadri e delle statue a comodo degli artisti il 20 aprile 181017 (riprendendo con ciò inconsapevolmente un’ipotesi già avanzata da Giulio Carotti nel 1892, in un testo importante quanto misconosciuto)18. “La nascita della Pinacoteca braidense – chiosava Lopez – fu per Milano un evento tra i più memorabili e grandiosi, ma i nostri intellettuali e letterati di età napoleonica, i viaggiatori italiani e di fuorivia, di passaggio per le sale di Brera – se vi sono passati – annotano talvolta l’emozione di un quadro, senza riferirci in positivo, in negativo, dubbiosi, sull’evento in sé, cioè l’aprirsi d’una sorta di Louvre nella capitale del Regno, e sulle grandi manovre per metterlo insieme”19. Ma le cose stanno proprio così? È veramente impossibile uscire dalle secche apparenti del conflitto tra i dati documentari e il si4 lenzio dei contemporanei? E questo silenzio non cela piuttosto uno scenario sino ad oggi non percepito, sul quale è opportuno indagare? Nonostante l’esistenza dell’elenco dei dipinti “esposti” nella giornata del 15 agosto 1809 redatto dal custode Gabbiani, cui si è già accennato, è rimasta sulla questione una sorta di imbarazzo, come di un argomento da trattare con delicatezza o riservatezza, quasi si temesse di sfiorare un segreto indicibile. La lunga e complessa gestazione delle raccolte braidensi, l’ambiguo, conflittuale rapporto con le collezioni dell’Accademia, mai del tutto risolto, le aspettative da parte del viceré Eugenio de Beauharnais e del ministro dell’Interno (dal 1806 Ludovico Arborio Gattinara marchese di Breme) che si erano andate sempre più esasperando per un luogo di così alta valenza simbolica e politica (dal 1808 il complesso braidense è dichiarato Palazzo Reale delle Scienze e delle Arti) inducono a considerare la questione sotto una nuova, differente angolazione, nella quale il contesto politico risulta decisivo. Marisa Dalai, nel tracciare, a conclusione dei lavori, il bilancio del convegno, riferendosi all’origine della Pinacoteca, che ha tratto la sua prima, fondamentale dotazione dalle soppressioni e confische napoleoniche, l’ha suggestivamente definita un “museo di guerra”, sulla base della matrice militare comune – il “bottino di guerra” – che lega, anche se in diversa misura, tutti i musei napoleonici, a partire dal Louvre20. Si può aggiungere che Brera è allo stesso tempo un museo in guerra, sia per l’incessante sviluppo territoriale del regno, di cui la Pinacoteca costituisce un subitaneo referto, sia per la contingenza in cui cade la stretta finale del suo primo allestimento, nel giugno-luglio 1809, nel pieno di una campagna militare (la battaglia di Wagram cade il 5-6 luglio), che determina un singolare vuoto di presenze politiche a Milano. Il 15 agosto infatti il viceré Eugenio è a Vienna insieme a Napoleone per il Te Deum di ringraziamento per la vittoria21. Conclusa l’esperienza napoleonica e tornata la Lombardia sotto il controllo asburgico, il 7 gennaio 1817 il governatore austriaco conte di Saurau scrive al presidente dell’Accademia Luigi Castiglioni chiedendo chiarimenti a proposito del grandioso complesso di dipinti custodito in accademia. Il contesto in cui si cala il documento, individuato e pubblicato da Sandra Sicoli 22, è quello aperto e spinoso delle restituzioni delle opere requisite 23. Castiglioni si sforza di ricostruire l’intera vicenda della collezione a partire dalla fondazione. Richiamando le principali tappe cronologiche, che fa risalire, con evidente forzatura, alla fondazione stessa da parte dell’imperatrice Maria Teresa nel 1776, il presidente enfatizza il nesso tra Accademia e Pinacoteca e non menziona mai la sua formale inaugurazione. È evidente che sarebbe stato per lo meno inopportuno accennare in un tale contesto a un evento coincidente con il genetliaco del deposto imperatore, così come insistere sulla separazione amministrativa imposta dal cessato governo filo-francese tra Accademia e Pinacoteca (pertinente al Palazzo e non al solo istituto scolastico). A otto anni di distanza dunque non si serbava più (o non si riteneva opportuno serbare) memoria di una inaugurazione, almeno formalmente sancita. Francesca Valli ha definitivamente chiarito come il “museo” di Giuseppe Bossi, in genere interpretato come prefigurazione della Pinacoteca, costituisca piuttosto (con 5 l’unica eccezione del Gabinetto dei ritratti dei pittori)24 un progetto critico e storiografico “in atto”, durato solo il tempo dell’esposizione del 1806. Bossi, nell’impostare, a norma degli Statuti e del Piano disciplinare del 1803, la Pinacoteca dell’Accademia, ritenne di potere attingere liberamente (si potrebbe dire con spirito ancora giacobino) al grande numero di dipinti di proprietà demaniale che affluivano a Brera con le requisizioni 25, convogliandoli almeno in parte nel suo schema di museo, di natura didattica e di impianto ancora tardo-settecentesco. E in parte effettivamente poté farlo, con l’aiuto dello stesso commissario e conservatore Andrea Appiani. La proclamazione del regno e l’incoronazione di Napoleone mutarono però radicalmente lo scenario. Il governo era intenzionato a istituire un museo di rappresentanza sul modello del Louvre, e occorreva ricondurre tutte le opere raccolte a questo nuovo disegno, che a questo punto si contrapponeva radicalmente al progetto bossiano. La nomina nel gennaio 1806 di Ludovico di Breme a ministro dell’Interno (vero braccio operativo del potere politico, da cui dipendevano sia la direzione dei Lavori pubblici sia quella della Pubblica Istruzione) accelera il processo, ma segna anche un cambio di direzione. Il 1806 è l’ultimo anno della segreteria di Bossi, che tenta per quanto possibile di trattenere la nascente Pinacoteca sotto il controllo dell’Accademia26. Ancora il 7 novembre, scrivendo al direttore generale della P.I., Bossi discute del suo “ingrandimento”27, di cui si riconosce ideatore e promotore. In una lettera a Canova del 7 settembre 1806 (nella quale tra l’altro richiede per Brera una delle versioni in gesso del Napoleone), egli rivendica a sé il merito di aver suggerito al viceré la creazione dei saloni napoleonici tramezzando la chiesa di Santa Maria di Brera28; ma si deve rassegnare invece a vedere chiusa, dopo l’esposizione della primavera-estate di quell’anno, la mostra per la quale aveva predisposto un impegnato catalogo a stampa, in attesa che apra quella Reale??????. Va detto che i documenti a questo proposito si presentano disseminati di trappole terminologiche; si tratta infatti di due strutture da considerare a questo punto distinte, anzi in qualche misura contrapposte: la prima, legata all’Accademia, con funzioni educative e formative, di fatto mai compiutamente allestita (se non nella forma provvisoria di una mostra temporanea); la seconda governativa e di rappresentanza. E sarà quest’ultima a prevalere; già l’11 novembre 1806 infatti Andrea Appiani, che aveva già avviato una campagna di restauri affidata a Giuseppe Appiani, presenta il piano per il personale della “Reale Galleria”, nettamente separato da quello dell’Accademia29. Nella ricostruzione delle origini della Pinacoteca, così come nella valutazione del primo allestimento, non si può dunque non si può dunque prescindere dal ruolo preponderante della parte politica, in particolare da quello centrale del ministro di Breme, figura sino ad oggi generalmente trascurata, se non ignorata dalla storiografia (e non solo da quella storico-artistica)30, che si dedica all’impresa – come emerge dalla lettura dei documenti – con grande impegno, discutendone e approvandone tutte le tappe, in un’incalzante sequenza di solleciti, richiami, scelte operative. Di origini aristocratiche, diplomatico di carriera del regno di Sardegna (che aveva a lungo rappresentato a Vienna), ma an6 che raffinato bibliofilo e cultore di studi storici, economici, tecnici e agrari, di Breme era stato scelto come ministro da Napoleone in persona. La perfetta padronanza del francese e del tedesco aveva certamente favorito le relazioni con la coppia vicereale, in particolare con Amalia Augusta di Baviera, spesso ospite nella sua casa di campagna in Brianza. In una malevola voce biografica di poco posteriore alla caduta dell’Impero, apparsa nel primo volume della Biographie des Hommes Vivants (1816), “gran repertorio di maldicenze e di adulazioni” secondo il giudizio del figlio del ministro e suo omonimo31, il cui autore, celato sotto la sigla redazionale “N.”, è identificabile nell’abate Aimé Guillon, che della burocrazia del regno aveva fatto esperienza diretta, così è riassunta la sua personalità: “M. de Brême n’avait ni les vues, ni les connaissances nécessaires à l’administration générale, quoiqu’il eût des très bonnes intentions, et un dévouement excessif aux volontés de Napoléon. Dans le séjour que ce dernier fit à Milan à la fin de 1806, travaillant avec ses ministres, il reconnut bientôt que M. de Brême avait plus de zèle que de talent; et il se plaignit au vice-roi du choix qu’on lui avait indiqué … Le dévouement et la soumission que M. de Brême montrait à Buonaparte s’expliquent par le desir d’élever à de grandes dignités ses quatre fils”32. Pochi anni dopo gli farà eco, quasi con le stesse parole, Federico Coraccini33. Lo stesso Di Breme, ritiratosi dalla politica attiva, sentì l’esigenza di replicare a entrambi: “Je ne ménageai au besoin ni les jérophantes de la révolution, ni leurs protecteurs; je fus assidu au travail, ami de l’ordre et des mœurs; l’un des pilotes enfin actif et vigilant d’un vaisseau monté par plus d’un corsaire”34. Del carattere autoritario del ministro furono vittime Melchiorre Gioia, che, allontanato bruscamente alla fine del 1808 dal suo incarico nell’ufficio di Statistica, lo satireggiò con asprezza nella Scienza del povero diavolo35, e lo stesso Giuseppe Bossi, che a causa sua abbandonò il ruolo di segretario dell’Accademia per radicali dissapori, e così annotava in un passo delle Memorie: “Ieri [2 luglio 1809] la viceregina andò a vedere il Cenacolo di Leonardo. Essendo chiuso il mio studio, quel … del ministro dell’Interno ne fece abbattere la porta. Mi ha scritto subito una lettera gentilissima comunicandomi l’approvazione della principessa ecc. Io non gli ho risposto, perché non mi garbò quello sconficcare di serrature”36. Non si può dunque prescindere dalla personalità di Ludovico di Breme – dal suo “zelo” verso il potere e dal suo piglio autoritario –, come non si può ignorare il rilevante impulso da lui impresso alla rimodellazione urbana di Milano capitale napoleonica. D’altra parte, passeggiando nel giardino degli aranci della villa di Monza alla vigilia del crollo dell’Impero, che gli sarebbe costata la vita, non ricordava forse il ministro delle Finanze Prina a Ludovico di Breme figlio, che “non tutto è per la guerra. Questi archi, queste statue, canali, macchine, la polizia urbana e stradale, i teatri, le uniformi, gli equipaggiamenti, e le vostre frasi accademiche, le vostre poesie, i soldi che vi diamo o che vi permettiamo di pagare lautamente, tutto questo è denaro rubato o soltanto trasferito e barattato in cambio del talento, dell’attività, dell’industriosità? Questo è rubare al pubblico?”37. Della situazione difficile e degli imbarazzi creati dalla coesistenza delle due strutture (la Pinacoteca dell’Accademia e quella go7 vernativa) è lampante referto il verbale del consiglio accademico del 18 gennaio 180838. A un anno esatto dalle dimissioni di Bossi, sostituito dal più malleabile professore di architettura abate Giuseppe Zanoja, si riunisce il consiglio39, che verso la fine discute la mozione di Gaetano Cattaneo “intorno l’aprimento della Pinacoteca a comodo degli alunni”. Chiusa la mostra del 1806, la Pinacoteca dell’Accademia era infatti da tempo inaccessibile per mancanza di custodi, e il Governo non si esprimeva al proposito. Giuseppe Bossi è (come sempre dopo le dimissioni) assente, e spetta dunque all’amico Cattaneo sollevare il problema. Nonostante la stringatezza del verbale, è evidente l’attento gioco delle parti. Dopo aver osservato come il Governo abbia “adunati i preziosi oggetti d’arte esistenti nella Pinacoteca a vantaggio dell’istruzione”, a norma dell’art. XIV del Piano disciplinare, Cattaneo ritiene opportuno che l’Accademia si preoccupi di renderla accessibile “alla gioventù per approfittarne”. Propone quindi “che su di ciò si faccia una rimostranza al Governo, interessandolo a nominare un soggetto che accudisca a questo stabilimento posto che il Piano economico dell’Accademia non permette di sostenere questo carico d’altronde troppo necessario”. “Gli accademici, si legge nel verbale, applaudiscono unanimi alla mozione, ed esternano le loro osservazioni sul proposito. L’accademico [Luigi] Bossi è di sentimento che intanto sia chiamato l’accademico Mazzola professore di colorito e vice-direttore della R. Galleria ad assistere quegli alunni che sarebbero per frequentare questo luogo”. Interviene però subito dopo un altro accademico, di cui si tace il nome, ma che non è difficile identificare in Andrea Appiani, che, bene al corrente del problema, ricorda come sia ancora pendente la decisione “se questo stabilimento [i.e. l’Accademia] debba o no essere separato dalla R. Galleria”. “Altri è di parere che si dia tosto evasione al progetto, altri fa considerare che l’attuale stagione permetteva una dilazione e dava luogo a maturare un Piano. In vista di ciò venne stabilito che i professori di concerto con l’accademico proponente si sarebbero occupati della formazione d’un piano, o regolamento in cui verrebbero prescritti e l’orario e tutte quelle discipline che sarebbero a tal uopo opportune per poi, previa l’approvazione dell’Accademia, inoltrarlo alla sanzione del Governo”. Il Governo non ritenne di replicare (in seguito si avvalse solo dello schema di regolamento), e rispose piuttosto con i fatti, accelerando la conclusione dei lavori dei saloni napoleonici, che avevano subito un notevole rallentamento40. Purtroppo gli innovativi lucernari progettati da Gilardoni in ferro e vetro non ressero la prova del gelo dell’inverno 1808-180941; i vetri troppo sottili si infransero, precipitando sul pavimento sottostante, e i telai lasciarono filtrare l’acqua piovana, danneggiando la delicata opera di verniciatura del cotto (sostituito nel 1811 da un battuto alla veneziana) che occupò per molti mesi il “pavimentario” Ajmo di Vercelli. Un ulteriore problema venne causato dall’ingombro delle tele nelle sale, lì ammassate per motivi di spazio. Ancora nel 1809, a causa del protrarsi dei lavori per la demolizione della facciata trecentesca della chiesa di Santa Maria di Brera, non si era potuta pavimentare la quarta sala, che quindi venne esclusa dal percorso del primo allestimento, con una separatezza che in qualche misura permane tuttora. 8 Dell’individuazione da parte del Governo del 15 agosto almeno come data di apertura (se non di vera e propria inaugurazione) della Pinacoteca42 si inizia a parlare dai primi di giugno, quando il direttore della P.I. Moscati, in una lettera ad A. Appiani, nella quale manifesta la propria soddisfazione e riconoscenza “per la prontezza e diligenza colla quale ella mi ha somministrate le notizie che io le aveva chieste”, precisa che esse “bastano ad assicurarmi che pel giorno 15 agosto sarà pronta una bastante quantità di quadri per arricchire la R. Pinacoteca … Per lo che raccomando alla sua diligenza ed attività di far sollecitare il più che sia possibile i restauri e le intelaiature dei quadri … Le cornici … potranno omettersi”43. Lo stesso giorno, scrivendo al prefetto dell’alto Po, sempre Moscati ribadisce che “per l’epoca del giorno 15 agosto, … le sale della Pinacoteca” dovranno “essere adornate dei più scelti prodotti del pennello italiano” 44. La malcelata ansia che tutto sia allestito e in ordine per la data prefissata (che induce Moscati persino a chiedere di tralasciare le cornici dei dipinti, nel caso la loro predisposizione rallenti i tempi), è probabilmente giustificata dalla coincidenza, oltre che con il genetliaco dell’imperatore, con la solenne consegna dei premi “all’agricoltura e alle arti meccaniche”, come sin dal 1805 aveva stabilito il viceré, e come è in effetti correttamente riportato dai giornali del tempo45. Il 29 giugno Di Breme preannuncia al segretario Zanoja che “dopo domani mattina giorno primo di luglio io mi recherò al Palazzo Reale delle Scienze e delle Arti prima delle ore dieci antemeridiane per visitare le Gallerie dei quadri e per combinare quelle disposizioni che sono necessarie per disporvi le pitture dalle quali recentemente sono state arricchite, giusta le intenzioni di S.A.I.”46. È indubbio che il ministro interviene dunque non solo nella scelta e nella distribuzione dei dipinti da esporre, certo in accordo con il conservatore Andrea Appiani e il restauratore Giuseppe Appiani, ma anche, con un gradiente ancora da approfondire, nell’individuazione del modello museografico di riferimento, che rinvia al Louvre del 1802, così come documentato dalle incisioni acquarellate di Mary Cosway47, omaggio lampante all’imperatore e alla nazione amica, di cui si trattiene soprattutto l’impianto di corrispondenze dimensionali e iconografiche, piuttosto che storiche o stilistiche, nella distribuzione delle opere48. L’11 luglio Andrea Appiani è autorizzato a far trasportare nella Regia Pinacoteca “i quadri ora esistenti nelle sale dell’Accademia”, di fatto svuotate, mentre il 16 il ministro accetta la proposta del conservatore di sostituire il previsto elenco a stampa dei dipinti (sul modello dei semplici cataloghi del Louvre), con la predisposizione di cartellini da apporre a ciascun dipinto: “Valutando il riflesso del S.r Appiani …, le dichiaro … ch’io convengo nella proposizione fattami di apporre i nomi degli autori a ciascuno dei quadri che si collocheranno nella R. Pinacoteca in luogo di formare e far stampare l’elenco, sempre però che i nomi suddetti siano facilmente leggibili anche in quei quadri che resteranno alla maggiore altezza. In qualunque caso per altro desidero che subito che le Gallerie siano disposte, e qualche giorno prima che siano aperte, mi venga presentata una copia manoscritta dell’Elenco esattamente compilato per nomi d’autori, per soggetto che rappresentano i quadri, e per ubicazione”49. Si tratta di un dettaglio rilevante, che tocca un tema ancora po9 co conosciuto, la comparsa cioè dei cartellini delle opere, che marcano una differenza fondamentale tra la Galleria governativa, aperta a un pubblico indifferenziato, e la Pinacoteca della scuola, alla quale gli studenti accedevano sotto la guida di un professore50. Il mese di agosto è costellato da sessioni ordinarie e straordinarie (ben cinque nel complesso) del consiglio accademico; in nessuna di esse si accenna però all’imminente apertura della Pinacoteca. Il 13 agosto a mezzogiorno si svolge la cerimonia per la solenne distribuzione dei premi accademici, presieduta dal ministro. Il 17 agosto il consiglio apprende che il viceré ha decretato, da Vienna, l’istituzione del “Panteon” (sic), “avendo con ciò di mira di offrire alla scultura dei mezzi d’incoraggiamento”. E null’altro. Prova ulteriore, ancorché indiretta, della conclusione dei lavori di allestimento è però offerta dall’arrivo e dalla collocazione in Pinacoteca del grande gesso di Napoleone come Marte pacificatore, per il quale Di Breme stesso, a riprova del ruolo di “regista” dell’intera operazione, detta l’iscrizione da apporre sulla base51. La Pinacoteca, anche se non inaugurata in forma ufficiale dal viceré, venne dunque brevemente aperta il 15 agosto, in concomitanza con la consegna dei premi governativi. L’evento si svolse sottotono per l’assenza delle autorità, e in ciò è probabilmente da riconoscere il motivo che indusse il ministro a mitigarne l’importanza, in attesa del ritorno di Eugenio da Vienna e di un’occasione più propizia e solenne. Il 21 agosto, a togliere ogni margine di dubbio, cade la visita della vice-regina: “Mi fo premura, scrive di Breme a Castiglioni, … che quest’oggi alle ore tre S.A.I. la Principessa Vice-regina onorerà della sua visita codeste galerie dell’Accademia, dei quadri e della esposizione d’oggetti d’arti mecaniche”52. Pochi giorni dopo, il 31 agosto, di Breme scrive ad Appiani per ringraziarlo del lavoro svolto e del compimento dell’allestimento: “Allorché io ebbi occasione di conoscere lo zelo col quale ella si era prestata a soddisfare alle viste di S.A.I. ed alle mie premure nel disimpegno della commissione affidatale di scegliere in diversi Dipartimenti i quadri più insigni, come nel far allestire la Reale Pinacoteca, non mi sfuggì certamente la considerazione dei titoli ch’ella con ciò aveva acquistati alla benemerenza del Governo; e se S.A.I. non fosse stata assente, io mi sarei fatto sollecito di proporre a favore di lei una conveniente gratificazione”53. Poche settimane dopo il ministro abbandonava la carica, per assumere, dopo un breve intervallo, la presidenza del Senato, e della cosa non si parlò più (Eugenio, appena rientrato a Milano, dovette recarsi subito a Parigi per occuparsi del divorzio della madre). Fu un’apertura effimera, come provvisorio fu l’allestimento54. Il custode non disponeva neppure di un tavolo e di una sedia; non vi erano inservienti, e mancava soprattutto un regolamento che disciplinasse l’accesso del pubblico e limitasse le pretese dei copisti, impedendo che verniciassero i quadri o vi sovrapponessero fogli di carta oleata per il ricalco, sintomi tutti di un’attività appena all’inizio. Il 10 gennaio 1810 il nuovo ministro dell’Interno Luigi Vaccari comunica di avere “accresciuto d’un individuo il numero degli inservienti addetti a questo stabilimento [i.e. l’Accademia], destinandolo specialmente al servizio delle R.li Gallerie, che in conseguenza di ciò crede possano queste 10 d’ora in avanti rimanere aperte a desiderio e comodo degli studiosi delle Belle Arti”, e invita a stabilire “le opportune discipline da operarsi”, “di concerto col sig. commissario”, come in effetti avverrà il 20 aprile 181055. Che a quella data il ministro si impegni a “mantenere aperte” le sale, è indizio inequivoco che almeno provvisoriamente lo erano già state, e che l’impedimento consisteva solo nella messa a disposizione del personale di custodia. Una lettera di Scopoli (successore di Pietro Moscati come direttore della Pubblica Istruzione) rivela residue difficoltà organizzative: “A scioglimento dei dubbi promossi colla pregiatissima sua d’oggi, mi fo premura di dichiararle che le RR. Gallerie potranno aprirsi nel giorno di solenne cerimonia come son quelli della distribuzione de’ premi di belle arti e d’industria, e che quanto agli altri giorni gioverà stare alle disposizioni del Regolamento”56. Uscito di scena Di Breme, le tensioni tra le due istituzioni iniziarono ad attenuarsi. Un primo significativo indizio si ricava dall’emanazione delle “Discipline”, che concernono sia la collezione di dipinti (governativa) sia quella delle statue, i gessi cioè acquistati da Bossi e destinati alla didattica accademica (abbinamento significativo e sino a oggi non ancora adeguatamente indagato). A seguito della malattia di Andrea Appiani (1813), si rafforzò il processo di lento riavvicinamento tra Reale Pinacoteca e Accademia, che con la Restaurazione contribuirà a confondere retrospettivamente i ruoli sino a quel punto stabiliti 57. Sebbene con lentezza, in un paio d’anni il meccanismo di funzionamento si avviò, nonostante l’incessante afflusso di opere, che comportò variazioni non lievi nella loro dislocazione, come dimostra l’incisione di Michele Bisi allegata al primo volume del catalogo della Pinacoteca a cura di Robustiano Gironi, che ha consegnato alla nostra memoria l’allestimento delle sale del 1812, significativamente mutato rispetto a quello del 180958. Nel 1812 Giuseppina de Beauharnais, trovandosi a Milano, visita Brera, cogliendo subito le ultime novità del museo. Rallegrandosi per “lo sforzo e la cura che [aveva] dedicato nel migliorarlo”, può così scrivere al figlio in Russia: “Non tutti i dipinti hanno lo stesso valore, ma una mezza dozzina è di rara bellezza”, soprattutto gli affreschi di Luini59. La Pinacoteca stava cambiando volto, assumendo la fisionomia che l’avrebbe caratterizzata negli anni a venire. Debbo il titolo (significativamente variato rispetto a quello inizialmente proposto per il convegno) alle amichevoli sollecitazioni critiche di Marisa Dalai Emiliani, che ringrazio per l’attenzione e la passione con cui ha seguito ogni fase del convegno e della preparazione degli Atti. Un ringraziamento speciale va inoltre a Sandra Sicoli, Giovanna D’Amia, Antonella Gioli, Letizia Lodi, Lara Barbieri, Carlo Bassanini e soprattutto a Francesca Valli, senza il cui aiuto, nel continuo, serrato confronto, questo testo non avrebbe potuto essere concepito. Debbo ad Alain Pillepich, alla sua amicizia e generosità, il mio primo interesse per questi temi, e a lui mi permetto di dedicare il presente contributo. 11 1 G. Bazin, Le temps des musées, Desoer, Liège 1967, pp. 181 sgg., e più recentemente G. Hubert, Napoleone fondatore e promotore di musei: il Louvre e Brera, in Napoleone e gli intellettuali. Dotti e “hommes de lettres” nell’Europa napoleonica, atti del convegno (Reggio Emilia, 13-14 gennaio 1995), a cura di D. Gallingani, Bologna 1996, pp. 265-275. Fondamentale ora Napoleon’s Legacy: the rise of national museums in Europe 1794-1830, hrsgg. E. Bergvelt [et alii], Berlin 2009 (“Berliner Schriftenreihe zur Museumsforschung, 27”), che però non affronta specificamente il caso italiano. Particolarmente importanti sono in tale contesto le lettere di Vivant Denon a Napoleone: Vivant De- non, directeur des musées sous le Consulat et l’Empire. Correspondance (1802-1815), Paris 1999, II, pp. 1235 sgg. 2 Su questo frangente cruciale della parabola napoleonica la bibliografia è molto estesa; una sintesi efficace è J. Tulard, Napoleone e il grande Impero (1982), tr. it., Milano 1982, pp. 147 sgg. 3 G. Anes y Alvarez de Castrillón, Las colecciones reales y la fundación del Museo del Prado, Madrid 1996. 4 F. Grijzenhout, Een Koninklijk Museum. Lodewijk Napoleon en het Rijksmuseum Waanders-Rijksmuseum, 1806-1810, Zwolle-Amsterdam 1999; e ora Napoleon’s Legacy, 2009. 5 Sul Regno d’Italia cfr. A. Fugier, Napoleone e l’Italia, a cura di R. Ciampini, Biblioteca di Storia Patria, Roma 1970; C. Zaghi, L’Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno, Torino 1986; A. Pillepich, Napoleone e gli italiani, tr. it., Bologna 2005. Sulla Milano di quegli anni non si può prescindere dall’amplissima ricostruzione di A. Pillepich, Milan capitale napoléonienne 1800-1814, Lettrage, Paris 2001, che ha rinnovato e attualizzato la fondamentale indagine di M. Roberti, Milano capitale napoleonica. La formazione di uno stato moderno, 1796-1814, Milano 1946-1947, 3 voll. 6 Cfr. la lettera del 28 luglio 1805 di Eugenio a Napoleone: “Mi resta solo da fare un museo; già possediamo quadri belli e di valore, in seguito al mio ordine di riunire insieme tutti quelli delle chiese e dei conventi soppressi” (cit. in Hubert 1996, p. 273). Per il ruolo decisivo di Eugenio nell’istituzione e incremento della Pinacoteca rinvio alle relazioni di Giovanna D’Amia e Monica Preti-Hamard in questo stesso volume. Sulla sua personalità, resta di riferimento Eugène de Beauharnais, honneur et fidélité, catalogo della mostra (Musée National des châteaux de Malmaison et Bois-Préau, 1999-2000), a cura di A. Pillepich [et al.], Paris 1999. 7 R. Cassanelli, Le origini della Pinacoteca di Brera, in Milano, Brera e Giuseppe Bossi nella Repubblica Cisalpina, atti dell’incontro di studio (Milano, 4-5 febbraio 1997), Milano 1999, pp. 311-349. Sono punti di partenza obbligati a questo proposito i due contributi, fitti di riferimenti documentari, di S. Sicoli, La politica di tutela in Lombardia nel periodo napoleonico: la formazione della Pinacoteca di Brera; il ruolo di Andrea Appiani e Giuseppe Bossi, in “Ricerche di storia dell’arte”, 38, 1989, pp. 71-90; Ead., La Regia Pinacoteca di Brera dal 1809 al 1815: criteri di formazione e problemi di gestione; la tutela mancata, ibid., 46, 1992, pp. 61-81, ai quali si rinvia una volta per tutte. 8 R. Cassanelli, I dipinti esposti nel giorno dell’inaugurazione della Pinacoteca di Brera (15 agosto 1809): un documento ritrovato, in “Rendiconti [dell’]Istituto Lombardo-Accademia di Scienze e Lette- re”, Classe di Lettere e Scienze morali e storiche, 128, 1994, 2, pp. 441-461; da ultimo cfr. L. Arrigoni, Brera: il palazzo e il museo nella storia e nella cultura di Milano, in Brera. La Pinacoteca: storia e capolavori, a cura di S. Bandera, Milano 2009, p. 26. 9 Il documento (conservato nell’Archivio dell’Accademia di Brera), non firmato, ma attribuibile con certezza al custode Gabbiani sulla base della grafia, è ora proposto in questo stesso volume in trascrizione integrale condotta sull’originale per le cure di Lara Barbieri, che ringrazio insieme a Letizia Lodi per l’attenta revisione del documento, emendato da alcuni errori materiali. 9 Nel 1822, redigendosi la prima guida a stampa delle I.R. Gallerie delle Statue e dei Dipinti, se ne faceva risalire l’origine all’azione di Giuseppe Bossi, e quindi alle disposizioni degli Statuti e del Regolamento del 1803 (art. XIV) e alla mostra temporanea del 1806. La redazione del testo è senza dubbio riconducibile a Ignazio Fumagalli. Cfr. Guida alle sale della Pinacoteca e dei concorsi nell’I.R. Palazzo delle Scienze e Belle Arti, Bianchi, Milano 1822, in particolare p. 6: “Egli [G. Bossi] con zelo indefesso ne estese l’utilità provocando dalla munificenza del Governo i mezzi onde arricchirla di una abbondante e scelta copia di modelli formati sulle migliori opere dell’antichità, non che di una magnifica Pinacoteca”. Sulle prime guide della Pinacoteca cfr. S. Sicoli, Ambiguità e contraddizioni nella formazione della Pinacoteca di Brera, in Venezia e le terre venete nel Regno Italico. Cultura e riforme in età napoleonica, atti del convegno di studio (Venezia, 15-17 ottobre 2003), a cura di G. Gullino e G. Ortalli, Venezia 2005, pp. 137-179 (in part. n. 41, pp. 167-168). 10 Il ritorno di Napoleone, a cura di M. Ceriana, Milano 2009. 11 Già Francesco Giuseppe, nel corso della sua visita del 1857, aveva ipotizzato un’esposizione pubblica della statua, da destinare ai Giardini pubblici. Cfr. Per l’inaugurazione della statua colossale di Napoleone I in Milano il giorno XIV agosto MDCCCLIX. Discorso di Giulio Carcano, Pirola, Milano 1859. 12 G. Mongeri, L’arte in Milano. Note per servire di guida nella città, Milano 1872, p. 335. Il volume venne edito in occasione dell’Esposizione Nazionale di Belle Arti e del Congresso Artistico Italiano del 1872. Cfr. inoltre Id., La Pinacoteca di Brera, in Gli Istituti scientifici letterari ed artistici di Milano. Memorie pubblicate per cura della Società Storica Lombarda in occasione del secondo Congresso Storico Italiano, Milano 1880, pp. 609-629 (a p. 618). Figura di grande rilievo della cultura storico-artistica milanese dell’Ottocento, Mongeri venne con l’Unità allontanato a causa dei sentimenti blandamente filoaustriaci, per tornarvi vent’anni dopo come docente di Storia dell’Arte, succeden- 12 do ad Antonio Caimi. All’Accademia legò la propria raccolta fotografica, mentre la biblioteca venne destinata alla Società Storica Lombarda. Cfr. A. Squizzato, Note per Giuseppe Mongeri scrittore d’arte: la collaborazione all’«Archivio Storico Lombardo» (1874-1888), in Percorsi di critica. Un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, atti del convegno (Milano, 30 novembre - 1 dicembre 2006), a cura di R. Cioffi e A. Rovetta, Milano 2007, pp. 259-280. 13 A. Caimi, La Pinacoteca della R. Accademia di Belle Arti di Milano, Lombardi, Milano 1873, p. 9: “L’importanza [della Pinacoteca] dovette fino d’allora parere abbastanza considerevole, se ne venne stabilita la solenne inaugurazione e l’apertura al pubblico nella ricorrenza del 15 agosto 1809, giorno onomastico di Napoleone”. 14 C. Ricci, La Pinacoteca di Brera, Bergamo 1907. Su Ricci a Brera v. L. Balestri, Il colore di Milano. Corrado Ricci alla Pinacoteca di Brera, Bologna 2006; A. Gioli, L’ordinamento della Pinacoteca di Brera, in Corrado Ricci storico dell’arte tra esperienza e progetto, atti del convegno (Ravenna, 2001), a cura di A. Emiliani e D. Domini, Ravenna 2005, pp. 105-123. 15 Cfr. E. Modigliani, Catalogo della R. Pinacoteca di Brera, Milano 1935 (e successive ristampe); F. Russoli, Vicende di Brera, in G.A. Dell’Acqua, F. Russoli, La Pinacoteca di Brera, Milano 1960, pp. 2337, in particolare p. 23: “Il 15 agosto 1809, compleanno di Napoleone, i milanesi furono invitati dal viceré Eugenio Beauharnais all’inaugurazione della Pinacoteca di Brera…”. Il testo è stato ristampato in Pinacoteca di Brera, Milano. Catalogo, Milano 1977. Per un primo riscontro, cfr. Musei e Gallerie di Milano, a cura di F. Mazzini, Milano s.d. [1964]: “Il 15 agosto 1809, nel giorno onomastico dell’Imperatore, la Pinacoteca, ordinata in modo esemplare dall’Appiani … , veniva solennemente inaugurata e aperta al pubblico”. 16 Brera. Milano, a cura di C. Bertelli (et al.), Milano 1980. 17 G. Lopez, Il custode e il tamburino, in Brera dispersa. Quadri nascosti di una grande raccolta nazionale, Milano 1984, pp. 21-29 (cfr. in particolare a p. 23 il paragrafo “15 agosto 1809; l’apertura che non ci fu”); poi col titolo “Aprimento” della Grande Brera (10 anni anzi 11 per realizzarlo), in Id., Storia e storie di Milano, Roma 2005, pp. 143-153. Nello stesso volume, Carlo Bertelli (Quadri nascosti di una grande raccolta nazionale, pp. 7 sgg., a p. 11) sembra propendere per una inaugurazione il 15 agosto 1811. Anche Gérard Hubert suppone un rinvio dell’apertura al 1810 (Hubert 1996, p. 273). 18 G. Carotti, Catalogo della R. Pinacoteca di Milano (Palazzo Brera), Civelli, Milano 1892, in part. pp. V-XXIV (Brevi cenni intorno all’origine e formazione di questa Pi- nacoteca). 19 Lopez 1984, p. 21. 20 Cfr. P. Wescher, I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre (1976), tr. it., Torino 1988, ma ora soprattutto Napoleon’s Legacy, 2009. 21 Sulla continua modificazione dei confini del Regno cfr. Fugier 1970, II, pp. 99 sgg. 22 S. Sicoli, Il “rapporto sull’origine ed incremento della galleria de’ quadri dell’I.R. Accademia di Brera” (4 febbraio 1817): problemi di legittimazione del patrimonio pittorico dell’Accademia di Brera, in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell’età rivoluzionaria e napoleonica: a proposito del trattato di Tolentino, atti del convegno (Tolentino, 1997), Roma 2000, pp. 251-277. 23 M. Giumanini, Beni culturali. Reciproche restituzioni tra Lombardo Veneto e Stato Pontificio (1816-1818), Bologna 1999. 24 Giuseppe Bossi. Il Gabinetto dei ritratti dei pittori (1806), a cura di S. Coppa e M. Olivari, Milano 2009. 25 Sulle soppressioni e le requisizioni vedi A. Augusti, Le requisizioni napoleoniche a Venezia e la costituzione della Pinacoteca di Brera e delle Gallerie dell’Accademia, in Venezia napoleonica, a cura di M. Engelhardt, Venezia 2001 (“Quaderni, 55”), pp. 91-103; M. Giumanini, Opere d’arte, soppressioni napoleoniche e restituzioni: il caso della Romagna (1797- 1817), in Pio VI Braschi e Pio VII Chiaramonti: due pontefici cesenati nel bicentenario della campagna d’Italia, a cura di A. Emiliani [et al.], Bologna 1998, pp. 213-367; D. Camurri, L’arte perduta. Le requisizioni di opere d’arte a Bologna in età napoleonica (1796-1815), Bologna 2003; C. Galassi, Il tesoro perduto. Le requisizioni napoleoniche a Perugia e la fortuna della “scuola” umbra in Francia tra 1797 e 1815, Perugia 2004; F. Rizzoli, Geografia e cronologia delle requisizioni d’opere d’arte in Italia dal 1796 al 1799, in L’arte contesa nell’età di Napoleone, Pio VII e Canova, a cura di R. Balzani, Cinisello Balsamo 2009, p. 43-46. 26 Cfr. la lettera del 3 febbraio 1806 di G. Bossi al ministro dell’Interno: “La Pinacoteca di questa Accademia, per la premura con cui il Demanio, la direzione di pubblica Istruzione e il Commissario delle Belle Arti secondano le grandiose idee di S.A. Imperiale, sarà fra poco ricca d’una quantità considerabile di capi d’opera e raduna a quest’ora un numero sufficiente di quadri di buoni autori, principalmente di Scuola Lombarda” (G. Bossi, Scritti sulle arti, a cura di R.P. Ciardi, Firenze 1982, I, pp. 330-331). 27 M.T. Binaghi Olivari, Giuseppe Appiani, il primo restauratore di Brera, in “Arte cristiana”, 731, 1989, fasc. 3-4, pp. 139-144, a p. 139. 28 Cfr. la lettera ad A. Canova del 7 settem- bre 1806: “Io ho ottenuto dal Governo che si fabbrichino quattro saloni… Voglio che in uno di questi domini il tuo Napoleone” (Bossi, Scritti… 1982, II, p. 621). 29 Comunicazione del Commissario alle Belle Arti al Consigliere di Stato consultore Moscati, nella quale si prevede un direttore (lo stesso Appiani), un sotto-direttore (Giuseppe Mazzola), un restauratore (Giuseppe Appiani), un segretario (I. Fumagalli), un inserviente del restauratore (A. Chiesa), un custode (G. Gabbiani), “il primo de’ legnaioli”, due inservienti e due spazzini. Cfr. Binaghi Olivari 1989. 30 Su Ludovico Giuseppe Arborio Gattinara marchese di Breme conte di Sartirana (Parigi 1754 - Sartirana Lomellina 1828), cfr. la voce di G. Locorotondo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XIV, Roma 1972, pp. 127-133. 31 L. di Breme [figlio], Grand Commentaire, a cura di G. Amoretti, Milano 1970, p. 57. 32 N. [abbé Aimé Guillon], s.v. Brême (Le marquis Arborio Gattinara de), in Biographie des Hommes Vivants, Paris 1816, vol. I, ripubblicato in Di Breme 1970, pp. 2829. Le affermazioni sono confutate dal figlio nel Grand Commentaire: “Il marchese di Breme nominato ministro dell’interno nel gennaio 1806, chiese il suo congedo nel maggio 1808, giacché la sua salute, come era noto, era gravemente deteriorata. Malgrado le istanze reiterate, il congedo non gli fu accordato per iscritto che dopo il trattato di pace del 1809 e di fatto nel novembre di quello stesso anno” (p. 71). 33 “Il marchese de Breme, ricco signor novarese, uomo pieno d’onore e di buone intenzioni copriva il ministero dell’Interno. Egli era stato chiamato a tal carica in premio dei zelanti servigi da lui prestati nel 1805 … Napoleone ebbe occasione di esperimentarne l’abilità, facendolo lavorar seco nel 1807. L’esaltazione affettata del suo zelo gli dispiacque: il signor de Breme mancava, a dir vero, di un po’ di ritegno, e nei progetti che se gli sommettevano, non considerava sovente che il lato dal quale facevansi accortamente brillare a’ suoi sguardi i contemplati avvantaggi” (F. Coraccini [pseud. di Valeriani], Storia dell’amministrazione del Regno d’Italia durante il dominio francese, Veladini, Lugano 1823, p. 177). Di Breme rispose alle critiche nelle Observations du marquis Arborio Gattinare de Brême sur quelques articles peu exacts de l’Histoire de l’administration etc., Favalle, Torino 1823. 34 Lettre du marquis Arborio Gattinare de Brême à ses fils à Milan, Paschoud, Genève 1817, p. 10. 35 M. Gioia, La scienza del povero diavolo. Storia orientale tradotta dall’arabo, Pirotta e Maspero, Milano 1809; Id., Riflessioni relative all’opuscolo che ha per titolo La scienza del povero diavolo…, Milano 1809 (poi in Opere minori, II, Ruggia, Lu- 13 gano 1833; vedi a p. 92 la “chiave per l’intelligenza dell’operetta”). Cfr. G.P. Massetto, Melchiorre Gioia e il diritto penale. Prime note, in “Acta Histriae”, 15, 2007, 2, pp. 631-704. 36 Le Memorie di Giuseppe Bossi. Diario di un artista nella Milano napoleonica, a cura di C. Nenci, Milano 2004, p. 26. Probabilmente sempre al ministro si riferisce Bossi, pur senza nominarlo, in un altro punto del testo: “Lunedì 25 gennaio [1807] fui dal viceré … Si parlò inoltre della Galleria di Brera, delle Scuole dell’Accademia ecc. ecc. In tutto mostrò ottimo senso, e buona voglia; ma mal circondato e non secondato, poco può farsi sentire alle Arti”(p. 8). 37 L. di Breme 1970, p. 141. 38 Archivio Storico dell’Accademia di Brera, Carpi (d’ora in poi ASAB), Carpi A III 2, Consigli accademici. 38 Erano presenti Giocondo Albertolli, Raffaele Albertolli, Amati, Andrea Appiani, Giuseppe Appiani, Aspari, Benaglia, Luigi Bossi, Canonica, Castiglioni, Cattaneo, Levati, Longhi, Magistretti, Mazzola, Pacetti, Rossi, Schiepati, Traballesi, Zanoja. 40 Vedi la lettera del ministro Di Breme a Eugenio, e la sua postilla, del 16 novembre 1808 (ASMi, Studi, p. m., cart. 351), pubblicata in Lopez 1984, p. 31 n. 5. Per tutti gli aspetti di storia edilizia del Palazzo cfr. A. Menichella, Le trasformazioni del palazzo di Brera nell’età napoleonica, in Milano, Brera e Giuseppe Bossi… 1999, pp. 217-279. 41 A. Scotti Tosini, Finestre e lucernari a Brera: un aspetto delle sistemazioni museali napoleoniche, in Ideologie e patrimonio storico-culturale… 2000, pp. 281-292. 42 Giampiero Cammarota mi fa notare che anche la Pinacoteca di Bologna non venne formalmente inaugurata. 43 ASMi, studi, p. m., cart. 358, f. 26; pubblicata in S. Sicoli, 1809: una mancata acquisizione di dipinti mantovani per la Reale Pinacoteca di Brera, in Itinerari d’arte in Lombardia dal XIII e XX secolo. Scritti offerti a Maria Teresa Binaghi Olivari, a cura di M. Ceriana e F. Mazzocca, Milano 1998, pp. 301-310, in particolare???p. 302. 44 Ibidem. 45 Pillepich 2005, p. 132. 46 ASAB, Carpi F I 1. 47 Cfr. Maria e Richard Cosway, a cura di T. Gipponi, Torino 1998. 48 Come è dimostrato dalla ricostruzione virtuale delle sale, curata da C. Bassanini e L. Barbieri, proposta in questo stesso volume. Cfr. Cassanelli 1994 e ora, per il caso francese, T.W. Gaehtgens, Wilhelm von Humboldt et les musées français vers 1800: expérience esthétique ou ordonnancement chronologique?, in Mélanges en hommage à Pierre Rosenberg. Peintures et dessins en France et en Italie, XVIIe XVIIIe siècles, a cura di A. Ottani Cavina, J.-P. Cuzin (et al.), Paris 2001, pp. 210217. 49 ASAB, Carpi F I 1. Il richiesto elenco dovrebbe coincidere con la “Nota” predisposta da Gabbiani. 50 Sui cartellini apposti da Tommaso Puccini ai dipinti degli Uffizi, cfr. S. Meloni Trkulja, E. Spalletti, Istituzioni artistiche fiorentine 1765-1825, in Saloni, Gallerie, Musei e loro influenza sullo sviluppo dell’arte dei secoli XIX e XX, a cura di F. Haskell, Bologna s.d. (Atti del XXIV Congresso C.I.H.A., Bologna 1979), pp. 9 sgg. (a p. 15); P. Barocchi, La storia della Galleria e la storiografia artistica, in Gli Uffizi. Quattro secoli di una galleria, atti del convegno internazionale di studi (Firenze, 1982), a cura di P. Barocchi e G. Ragionieri, Firenze 1983, I, pp. 49-150, a p. 128. 51 Il ritorno... 2009. 52 ASAB, Carpi F I 1. 53 ASMi, Studi, p. m., cart. 348; cfr. Lopez 1984, p. 34 n. 7. 54 Sicoli 1992, pp. 61-81. 55 “Gli artisti non erano più gli unici fruitori della Galleria, aperta da marzo a ottobre. Il giovedì veniva riservato al pubblico. Professori e stranieri erano ammessi tutti i giorni con autorizzazione, come al Louvre” (Hubert 1996, p. 273). Le Discipline sono pubblicate in Lopez 1984, pp. 34-35 n. 9 (e riproduzione fotografica a p. 32). 56 ASAB, Tea M I 23. 57 ASAB, ibidem. Lettera di L. Scopoli a L. Castiglioni, 9 giugno 1813: “Poiché il cavaliere Appiani per nostra sventura non può ora condurre a termine la scelta dei quadri di cui l’avea incaricato, io mi rivolgo a lei sig. presidente pregandola di volerla affidare ad altri accademici. Molte sono le tele raccolte da tutti i dipartimenti, ma si è promesso ai prefetti di rimandare quelle che non fossero giudicate necessarie alla Galleria Reale, o di sostituire altri dipinti di diversa scuola, sicché si formasse presso d’ogni liceo una collezione di quadri d’utile istruzione e di onore alle arti patrie. Se però fatta la scelta delle opere migliori giovasse di tòrre qualche tavola ai dipartimenti per darla all’Accademia di Venezia e Bologna, queste s’intenderanno sempre preferite, siccome quelle che abbisognano di esempi e possono trarre maggiore vantaggio”. Sul progetto vedi Sicoli 2005, p. 177. 58 Pinacoteca del Palazzo Reale delle Scienze e delle Arti di Milano pubblicata da Michele Bisi incisore col testo di Robustiano Gironi, Stamperia Reale, Milano 1812-1833, 3 voll.; vedi anche per la prima fortuna critica della “scuola lombarda” Scuola di Lionardo da Vinci in Lombardia o sia Raccolta di varie opere eseguite dagli allievi e imitatori di quel gran maestro disegnate, incise e descritte da Ignazio Fumagalli, Stamperia Reale, Milano 1811. 59 Cit. in Hubert 1996, p. 273. 14 15