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tr a es tto SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ SCIENZE DELL’ANTICHITÀ 22 – 2016 Fascicolo 1 EDIZIONI QUASAR tr a es tto DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ Direttore Enzo Lippolis Comitato di Direzione Marcello Barbanera, Maria Giovanna Biga, Savino Di Lernia, Giovanna Maria Forni, Gian Luca Gregori, Laura Maria Michetti, Frances Pinnock, Marco Ramazzotti, Maurizio Sonnino, Eleonora Tagliaferro Comitato scientifico Rosa Maria Albanese (Catania), Graeme Barker (Cambridge), Corinne Bonnet (Toulouse), Alain Bresson (Chicago), Jean-Marie Durand (Paris), Alessandro Garcea (Paris-Sorbonne), Andrea Giardina (Pisa), Michel Gras (Roma), Henner von Hesberg (Roma-DAI), Tonio Hölscher (Heidelberg), Mario Liverani (Roma), Paolo Matthiae (Roma), Athanasios Rizakis (Atene), Guido Vannini (Firenze), Alan Walmsley (Copenhagen) Redazione Laura Maria Michetti SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA tr a es tto PAOLO STORCHI LA VIABILITÀ NELLA PIANURA REGGIANA IN ETÀ ROMANA: ALCUNI ELEMENTI DI RIFLESSIONE È illusorio ritenere di poter ricostruire perfettamente, a circa due millenni di distanza, un sistema complesso ed articolato, come era quello stradale di età romana1. Questo è vero soprattutto in una regione come l’Aemilia, dove la qualità dei terreni non suggeriva l’adozione dei canonici strati di preparazione che caratterizzano, con le debite eccezioni, il sottofondo delle grandi vie romane dell’Italia centro-meridionale e che hanno loro conferito grande stabilità e permesso spesso una perfetta conservazione2. A ciò si deve aggiungere anche il fatto che la selciatura era molto differente rispetto a quella che generalmente si incontra presso le grandi strade romane peninsulari. Nella regione emiliana i torrenti appenninici garantivano una grande disponibilità di ghiaia e ciottoli fluviali, mentre mancavano cave di pietre dure e resistenti all’usura. Conseguentemente si basolarono solamente le strade più importanti e limitatamente al loro percorso urbano3. È evidente che, pur pienamente giustificabile dall’economicità della scelta, una strada inghiaiata e priva di robuste fondazioni, di per sé, sarà facilmente soggetta alla cancellazione o a mutamenti di percorso, una volta venuto meno il controllo dell’uomo sul territorio e venute a mancare regolari opere di manutenzione della struttura. Tuttavia i Romani, compatibilmente con le ragioni politiche ed economiche causa dell’origine dei tracciati, furono estremamente attenti alla geomorfologia4; è proprio questa particolare e necessaria attenzione, unita ad una certa stabilità nel sistema insediativo, che ha garantito in questa regione una continuità di utilizzo pressoché ininterrotta alle strade ed ha quindi permesso a tanti rettifili di conservarsi perfettamente fino ad oggi. Per quanto riguarda il territorio reggiano, la direttrice principale è certamente la via Emilia, la grande consolare costruita nel 187 a.C. da Marco Emilio Lepido, durante le guerre contro Celti e Liguri5. Essa corre al margine dei grandi conoidi originati dai fiumi appenninici, dunque in po1 La ricerca si inserisce nell’ambito delle attività della cattedra di Urbanistica antica condotte dalla Prof.ssa Luisa Migliorati. Sulla tipologia delle strade ricostruibile dall’analisi delle fonti giuridiche e per le diverse caratteristiche tecniche e strutturali vd. DALL’AGLIO 1988; QUILICI 1991. 2 La mancanza di solide fondazioni caratterizza in realtà l’intera Italia settentrionale, MATTEAZZI 2012, p. 22. Qui le soluzioni adottate sono estremamente varie: alle volte, si incontravano banchi d’argilla molto solidi dove la strada non necessitava di alcuno strato preparatorio e, semplicemente, si stendeva la ghiaia oppure si disponevano i basoli direttamente sul terreno; assai più frequentemente tuttavia si avevano terreni poco coerenti dove i molteplici strati preparatori, così bene descritti da Stazio (Silvae, 4. 3. 40-55) avrebbero generato una struttura troppo massiccia, il cui peso avrebbe potuto causare un vero e proprio affossamento del manufatto stradale (DALL’AGLIO 1992, p. 181; ORTALLI 2000, p. 86) e si dovettero applicare differenti soluzioni come costipamenti di anfore o i cosiddetti pontes longi. Condizioni simili, meno frequentemente, si incontrano anche nell’Italia peninsulare, es. la Piana Pontina, vd. QUILICI 1998, pp. 167-169. 3 A Bononia succede qualcosa di solo apparentemente diverso: la via Emilia esce sì basolata dalla porta orientale cittadina, ma, stando a quanto proposto dalla Capoferro Cencetti (CAPOFERRO CENCETTI 1997, p. 177), soltanto per giungere all’anfiteatro; superato questo grande edificio, la strada proseguiva per circa 15 m acciottolata e poi diventava una semplice glareata, come documentato da J. Ortalli (ORTALLI 1992, pp. 148-151). 4 DALL’AGLIO 2006a. 5 Sulla romanizzazione del territorio reggiano vd. LIPPOLIS 1997 e 2015. tr a es P. Storchi Sc. Ant. sizione sopraelevata rispetto alla pianura a nord di questa linea, piuttosto instabile. I problemi di ricostruzione del suo tracciato nel territorio reggiano sono legati essenzialmente solo all’attraversamento dei tre maggiori collettori: il Secchia, il Crostolo e l’Enza. Lasciata Modena con un percorso che, a causa dei dissesti avvenuti nella tarda antichità, sembra essere notevolmente mutato rispetto all’età romana6, la via Emilia oltrepassava il Secchia circa 200 m a nord del ponte attuale. Qui infatti si identifica un tratto di rettifilo che congiunge Cittanova a Marzaglia; proprio in quest’ultima località nel 1927, durante lo scavo per un pozzo, fu identificata, immediatamente a nord del detto rettifilo, una massicciata stradale7. Il tratto di tale strada all’interno del paese è significativamente detto “strada romana” in una carta dell’archivio parrocchiale di Marzaglia della seconda metà del XVIII secolo8, e giunge al Secchia nel punto dove, sulla sponda reggiana del torrente, è riconoscibile un ulteriore piccolo tratto di rettifilo; entrambi risultano fiancheggiati da tombe romane9, ulteriore significativo indizio che la via Emilia passasse proprio da qui. Nel greto del Secchia, a più riprese ed in punti non sempre chiaramente identificabili, furono rinvenuti vari piloni di ponte10, la cui attribuzione ad età romana o medievale è basata esclusivamente sulla tecnica costruttiva e dunque presta il fianco a forti dubbi, anche perché oggi tali resti non sono più visibili11. Interessante è notare come nel 1897 furono rinvenute alcune pile che recavano tracce di incavi per ospitare travi lignee. Questo dato potrebbe essere particolarmente significativo poiché reimpiegata nella pieve di San Faustino di Rubiera fu rinvenuta un’epigrafe (CIL XI, 826), datata al 259 d.C., che attesta il ripristino del ponte sul Secchia da parte dell’imperatore Valeriano, dopo che la struttura era stata distrutta da un incendio, dunque essa doveva essere, almeno parzialmente, in legno. L’itinerarium burdigalense (It. Burd. 616. 9-11) è l’unico fra le fonti itinerarie che attesti la presenza di un punto di sosta in quest’area, la mutatio Ponte Secies. Anche a causa di un evidente errore nelle distanze riportate dalla fonte, difficilmente risolvibile dal punto di vista paleografico12, essa resta a tutt’oggi non identificata. Data la posizione del ponte, la strada doveva correre poco a nord della via Emilia attuale, fino a ricongiungersi al percorso moderno presso Ospedaletto, ad est della località di Bagno13, dove inizia un rettifilo sostanzialmente regolare fino a Reggio Emilia. Sebbene non si siano mai riscontrati archeologicamente tratti del selciato romano fino alle porte di Reggio, l’area di pertinenza stradale è indicata dalla grande necropoli orientale di Regium, attiva dall’età augustea, i cui monumentali resti dovevano affacciarsi sulla consolare a partire dalla località di San Maurizio14. Una moderata diversione verso sud è stata ipotizzata soltanto in località “case vecchie”, dove un viottolo parallelo alla via Emilia attuale conserva il toponimo di “strada maestra15”. Giunta a Regium Lepidi, l’Aemilia a partire dall’attuale via San Girolamo (Fig. 1, in corrispondenza dell’inizio del puntinato orientale) prendeva ad essere pavimentata in trachite dei colli euganei. Ciò è attestato dagli scavi di O. Siliprandi che, negli anni ’30 del Novecento16, la seguì per 6 PELLEGRINI 1995, pp. 148-151; DI COCCO 2006a, pp. 110-113. DI COCCO 2006a, p. 112. 8 PELLEGRINI 1995, p. 153. 9 DI COCCO 2006a, p. 114. 10 PELLEGRINI 1995, pp. 148-154. 11 Nel 1966 i lavori per la costruzione del ponte ferroviario distrussero gran parte dei resti; altri piloni visti nel tempo sono probabilmente oggi obliterati dai sedimenti del Secchia. 12 DI COCCO 2006a, p. 110-111 con bibl. prec. 13 PELLEGRINI 1995, p. 155. 14 LIPPOLIS 2000b, pp. 417-418 con bibl. prec. 15 DI COCCO 2006a, p. 116. 16 SILIPRANDI 1936, pp. 64-66; DEGANI 1974, n. 65. 7 tto 66 tr a es La viabilità nella pianura reggiana in età romana 67 Fig. 1 – Reggio Emilia, ricostruzione della viabilità principale di Regium Lepidi. Il tratto chiaro contrassegnato con la lettera A corrisponde al Crostolo di Corso Garibaldi; quello contrassegnata dalla lettera B, il supposto corso orientale. Si noti come il nodo di traffico occidentale sia posto all’interno della grande ansa del Crostolo corrispondente all’attuale Corso Garibaldi. oltre 600 m; ed è stato confermato dalle indagini archeologiche di E. Lippolis che portarono anche all’individuazione del limite meridionale della strada, elemento fondamentale per la ricostruzione urbanistica del centro reggiano (Fig. 2)17. Il percorso della via Emilia romana, apparentemente, differisce da quello attuale soltanto al centro dell’antica Regium, dove nell’anno 900 d.C. l’imperatore Lodovico permise al Vescovo di Reggio la costruzione di un castrum a difesa della Cattedrale dagli attacchi degli Ungari18; questo occupò anche la sede stradale, costringendo la strada a compiere una vistosa deviazione verso nord, tuttora chiaramente percepibile. Si è sempre ritenuto che l’Aemilia superasse il torrente Crostolo nel suo paleoalveo corrispondente all’attuale corso Garibaldi (Fig. 1, A) e che esso costituisse il limite occidentale della città. All’incrocio dell’antico alveo con la consolare, un ponte fu parzialmente indagato nel 1949 da M. Degani che lo ritenne di età romana19. Egli seguì solamente scavi per la posa di tubature, che quindi non raggiunsero le fondazioni dei tre piloni rinvenuti, né la totalità di quello che doveva essere un ponte di maggiore ampiezza. Gli scavi permisero però di rilevare le imposte di una delle arcate. 17 Sono molto grato al Prof. Enzo Lippolis per avermi comunicato tale notizia inedita e per avermi permesso di pubblicare le relative fotografie di scavo. 18 GELICHI - CURINA 2007, p. 35. 19 DEGANI 1974, n. 5. tto 22.1, 2016 tr a es P. Storchi Sc. Ant. Fig. 2 – Reggio Emilia, via Emilia San Pietro. Due fotografie degli scavi qui condotti da E. Lippolis che hanno rivelato il basolato romano della via Emilia, il suo limite meridionale, nonché vari piani stradali di età successive (foto E. Lippolis). Oggi questo dato topografico è oggetto di dibattito e riconsiderazioni. M. Cremaschi20 ha constatato come il piano di calpestio del ponte ricostruibile in base ai rilievi del Degani risulti essere eccessivamente alto per essere stato sfruttato dalla via Emilia romana, il cui selciato è stato rinvenuto immediatamente ad est del ponte; essa avrebbe dovuto superare un dislivello di almeno 5,10 m in brevissimo spazio. Inoltre, citando Cremaschi, analizzando i dati di scavo si può affermare che: “le pile appaiono interrompere il lastricato, più che essere in relazione con esso”. G. Bottazzi ha rilevato poi come si possa riscontrare una forte anomalia considerando che il nodo itinerario occidentale di Regium Lepidi si venga a collocare all’interno della grande ansa del Crostolo di Corso Garibaldi, una soluzione decisamente antieconomica ed anomala nel panorama regionale21 (Fig. 1). L’importante strada che congiungeva Regium a Brixellum, indagata durante i medesimi scavi che interessarono il ponte, incontrava la via Emilia presso l’incrocio con l’attuale via della Volta22; nel medesimo punto giunge un altro rettifilo obliquo corrispondente alle attuali via Gorizia e via Guasco che potrebbe rappresentare un asse verso la media Val d’Enza23. Questa soluzione avrebbe comportato la necessità di costruire ben tre ponti per attraversare il Crostolo in luogo di uno soltanto, se si fosse impostato tale nodo di traffico all’esterno del ponte, come avviene, ad esempio nella vicina Parma. 20 21 22 23 CREMASCHI 2015, p. 33. BOTTAZZI 2008, p. 394. DEGANI 1974, n. 26. BOTTAZZI 1988, p. 180. tto 68 tr a es La viabilità nella pianura reggiana in età romana 69 Al contempo i carotaggi geologici effettuati confermano l’attività dell’alveo in età romana, anche se i materiali rinvenuti nelle carote stratigrafiche non permettono di specificarne meglio la cronologia24. La situazione pare ulteriormente complicata dal fatto che M. Cremaschi ha rinvenuto in uno scavo presso via Vecchi, poche centinaia di metri ad est della città, corpi ghiaiosi e sabbie litologicamente paragonabili a quelli del Crostolo di Corso Garibaldi. In connessione con i depositi fluviali era uno scarico di anfore romane, ora in fase di studio (Fig. 1, B). Ciò è difficilmente spiegabile se non con la presenza di un ramo dello stesso torrente e della medesima portata di quello cittadino, attivo anch’esso in età romana. Questo dato potrebbe spiegare alcuni documenti medievali che parlano, rispettivamente nel X e XI secolo, di un Crustulus Vetus presso vico rolesa (Rolo?) e nei pressi di Pratofontana; nonché la presenza nel XII secolo di una “villa Crostolo” presso Massenzatico, tutte località poste ad est di Reggio Emilia25. Il supposto corso orientale sarebbe inoltre un buon candidato per avere creato quella grande palude attestata a nord di Reggio Emilia e chiamata nei documenti medievali “Gurgum”, bonificata soltanto in età comunale e causa della cancellazione della centuriazione a nord di Regium Lepidi26. Per quanto riguarda il paleoalveo di Corso Garibaldi, siamo certi che esso fosse attivo fino al 1226, anno in cui il Crostolo viene artificialmente allontanato da Reggio e spostato ad ovest della città, a causa delle continue e rovinose alluvioni. È tuttavia molto probabile che esso fosse attivo già nella tarda antichità se si pensa che una delle più antiche chiese reggiane sorse lungo tale alveo ed è dedicata a San Zenone, patrono di Verona, e protettore delle alluvioni27. Allo stesso modo, credo che sia innegabile una sua attività in età Repubblicana: come constatato da E. Lippolis28, molte delle più antiche strutture cittadine (strade e domus) sembrano orientate proprio seguendo l’andamento del detto paleoalveo ed anche alcune situazioni stratigrafiche sembrano indirizzare in tale senso; ad esempio le strutture repubblicane di via Sessi 1, nella porzione occidentale della città, che risultano ricoperte da sedimentazioni fluviali su cui si impostano domus di età imperiale. Infine il corso di questo torrente, con un andamento marcatamente occidentale a nord di Reggio, rappresenta il limite fra gli agri centuriati di Brixellum/Tannetum e Regium Lepidi29, dunque esso doveva essere attivo quando questi furono tracciati. Secondo alcuni autori30, tale divisione avvenne a partire dal 173 a.C. Una proposta di lavoro che si sta esaminando con M. Cremaschi31 è che durante l’età romana si sia attuata una diversione artificiale, del torrente ad est della città. Questo può essere avvenuto per i medesimi motivi che hanno indotto ad allontanare il Crostolo da Reggio nel medioevo, nonché per organizzare meglio la viabilità nel polo di traffico di maggiore importanza, da cui partivano le strade per i due municipia di Brixellum e Tannetum oltre che per la Val d’Enza, importante asse di traffico transappenninico, dove era il vicus di Luceria32. Non escludendo possibili rapporti con la totale riorganizzazione della città che l’archeologia attesta attorno al 90 a.C.33, forse in conseguenza di un rovinoso terremoto, si potrebbe pensare ad un tentativo di sottrarre la maggior parte delle acque o la loro totalità al torrente, portandolo a 24 CREMASCHI 2015, p. 31. TIRABOSCHI 1824, pp. 235-236. 26 DALL’AGLIO 1981, pp. 236-237. 27 DALL’AGLIO 1991, p. 69. 28 LIPPOLIS 2000b, pp. 414-415. 29 DALL’AGLIO 1981, p. 242. 30 Sulle divisioni dell’Ager Lingustinus et Gallicus, di cui il reggiano sembrerebbe fare parte, vd. FRANCESCHELLI 2012; per le divisioni inerenti la pianura reggiana, da ultimo STORCHI 2014, pp. 78-79, con bibl. prec. CREMASCHI - STORCHI cds. 31 CREMASCHI - STORCHI cds. 32 A tal riguardo, LIPPOLIS 2000a. 33 Per la riorganizzazione della città vd. LIPPOLIS 2000b, p. 415; MALNATI 2015, p. 166, con bibl. prec. Come proposta di lavoro non si esclude la possibilità che possa essere stata la violenza dello stesso movimento tellurico la causa dello spostamento del corso d’acqua. 25 tto 22.1, 2016 tr a es P. Storchi Sc. Ant. scorrere sulla banda orientale del proprio conoide, diversione certamente possibile per gli ingegneri romani che probabilmente praticarono lo stesso per il Trebbia a Piacenza e che discussero addirittura una deviazione dello stesso Tevere34. Nella tarda antichità, venuto a mancare il controllo dell’uomo sul territorio, il torrente potrebbe avere assunto nuovamente il suo corso naturale, forse sempre mantenuto almeno nella forma di una canalizzazione35, rioccupando la depressione di Corso Garibaldi, verso cui sarebbe incanalato per ragioni tettoniche, come suggerito anche dal fatto che gli studi ed i carotaggi geologici di M. Cremaschi36 mostrano come questa fosse l’area di pertinenza del torrente sia nell’età del Bronzo che il quella del Ferro. In questa sede si suggerisce che questa ricostruzione potrebbe essere confermata anche dall’analisi della particolare conformazione e posizionamento del nodo di traffico orientale. L’unico rettifilo individuabile nella campagna, interpretato come via obliqua verso il territorio correggese37, se analizzato nella cartografia ottocentesca che mostra l’area prima delle distruzioni avvenute per la costruzione dell’aeroporto reggiano, non giunge alla porta orientale di Regium Lepidi, come ci si aspetterebbe, ma devia proprio in direzione di via Vecchi. Qui, se tale tratto di rettifilo potrà in futuro essere archeologicamente accertato come di età romana, poteva esserci quindi un ponte con cui la via Emilia e la direttrice per Correggio superavano il Crustulus in età imperiale (Fig. 3). Ad ovest di Reggio Emilia il rettifilo moderno probabilmente corrisponde all’incirca alla strada antica, difatti, pur non essendo stata ancora rinvenuta la necropoli occidentale di Regium Lepidi, il percorso attuale dell’Emilia risulta affiancato da alcune sepolture a Gaida e Calerno e nella località di Gallo fu rinvenuto un piccolo costipamento di anfore con bocca rivolta verso il basso, interpretato, anche se a parere di chi scrive appare di consistenza troppo esigua, come intervento volto a stabilizzare il terreno proprio per il passaggio della consolare38. Oltre questo punto i problemi ricostruttivi derivano dal fatto che fra Regium Lepidi e Parma gli itinerari antichi (It. Ant. 287. 7-8; It. Burd. 616. 11-12; Tab. Peut. seg. IV.) pongono la città di Tannetum e, ad oggi, non si hanno certezze sulla sua precisa ubicazione. Le fonti itinerarie sono pressoché concordi nel collocare la città a X miglia da Reggio e a VIII da Parma39. Sulla via Emilia odierna e ad una distanza compatibile con quanto riportato dagli itinerari si colloca il paese di Sant’Ilario d’Enza, generalmente identificato con Tannetum. Tuttavia, tale identificazione resta dubbiosa, non essendoci decisive prove archeologiche in tale direzione40. Se il centro antico fosse, al contrario, identificabile nell’area che reca ancora oggi chiara derivazione toponomastica dalla città romana, “Taneto”, 1 km circa a nord di Sant’Ilario, come sostenuto, a più riprese, da P.L. Dall’Aglio e da chi scrive41, bisognerà pensare che la via Emilia ad un certo punto del proprio percorso deviasse verso nord per raggiungere la città ed il miglior punto di attraversamento possibile del torrente Enza. Difatti il confronto con altri casi in regione42 e, pur in piccolo, il già citato caso del Secchia, dimostra come la consolare sembri compiere deviazioni dal proprio rettifilo esclusivamente per cercare il miglior punto per il guado. Ancora oggi la via Emilia compie una marcata curva che la porta a raggiun34 Per il Trebbia, DALL’AGLIO 2011, pp. 8-10; per il Tevere, MIGLIORATI 2015, pp. 134-135. Infatti i ritrovamenti di M. Degani di un cippo ancora infisso nel terreno e di una dedica al dio Terminus (rispettivamente DEGANI 1974, nn. 3b, 4), immediatamente ad ovest del paleoalveo di Corso Garibaldi fanno pensare che il torrente costituisse un limite anche sacrale cittadino. 36 Da ultimo CREMASCHI 2015. 37 BOTTAZZI 1988, p. 178. 38 DI COCCO 2006b, p. 119. Si trattava infatti soltanto di 20 anfore vinarie. 39 Solamente la Tab. Peut. seg. IV, riporta una distanza differente: XI miglia da Regium e VII da Parma, una differenza dunque di un solo miglio che, peraltro, lascia immutato il computo totale della distanza fra Parma e Reggio. 40 STORCHI 2014, pp. 66-67. 41 Da ultimo, DALL’AGLIO 2006c, p. 125; STORCHI 2014. 42 STORCHI 2014 pp. 73-74 con bibl. prec. 35 tto 70 tr a es La viabilità nella pianura reggiana in età romana 71 Fig. 3 – Cartografia preunitaria (1853) del territorio attorno a Reggio Emilia. Si noti sulla destra, nel cerchio, come la direttrice di traffico verso il correggese compia una deviazione per giungere nei pressi dell’attuale via Vecchi. gere il miglior punto di attraversamento del torrente, circa 200 m a nord del suo teorico rettifilo in quest’area. Probabilmente questo era il percorso anche nel medioevo, dato che in località Case Ponte d’Enza sul medesimo allineamento del ponte moderno sono visibili tre arcate di quello che è, nonostante i numerosi rifacimenti, considerato il ponte medievale43. Ciò nondimeno, alcuni elementi portano a ritenere che il punto di attraversamento dell’Enza in età romana potesse essere più a settentrione. Negli anni ’70 del Novecento44, si rinvennero, 150 m a nord del ponte ferroviario (Fig. 4), nell’alveo attivo del fiume, due piloni di ponte, realizzati in conglomerato di ciottoli e malta. Lo scopritore, M. Cremaschi, li ritenne romani in base alla tecnica costruttiva. Essi furono rinvenuti fluitati, ma il buono stato di conservazione e gli oltre 500 m che li separano dal ponte di Case Ponte d’Enza portano ad escludere che potessero fare parte di una precedente fase romana di un ponte costruito lungo la via Emilia attuale ed inducono a pensare che tali piloni appartenessero ad una seconda struttura costruita decisamente più a nord. Più della tecnica costruttiva, a sostegno dell’attribuzione cronologica di M. Cremaschi ad età romana sta il fatto che se la costruzione di un ponte tanto consistente fosse avvenuta in età medievale, essa avrebbe sicuramente lasciato qualche indizio nelle fonti statutarie, dove invece manca qualsiasi accenno alla struttura; senza contare che, per quell’epoca, non siamo informati neppure di strade che giungessero all’Enza in quel punto. Un ulteriore indizio sulla presenza di un ponte in quest’area, dunque verosimilmente di età romana, sembrerebbe essere fornito da una fotografia aerea del 1987 dell’archivio fotografico della 43 44 PELLEGRINI 1995, pp. 158-159 avanza il dubbio che non si tratti di una precedente fase del ponte moderno. BARFIELD et al. 1975. tto 22.1, 2016 tr a es P. Storchi Sc. Ant. Fig. 4 – Cartografia preunitaria (1853) del territorio fra Sant’Ilario d’Enza e Taneto. In grigio un’area dove si concentrano tracce da fotografia aerea. La freccia indica il punto in cui si sono individuati alcuni piloni di ponte. In basso, presso Sant’Ilario, la via Emilia nel tracciato che segue anche attualmente. Regione Emilia Romagna. In essa appaiono due tracce di forma quadrangolare che presentano il lato di circa 6 m, risultano distanziate fra di loro di 17 m e si potrebbero interpretare come due pile di ponte poste ancora nella loro posizione originaria45. Esse si pongono solo 25 m a monte dei piloni individuati da Cremaschi e tale struttura sarebbe in corrispondenza di un’area a nord-ovest di Taneto dove si sono riscontrate tracce particolarmente interessanti da fotografia aerea che fanno ipotizzare che l’antica Tannetum potesse essere in quella posizione46. I ritrovamenti archeologici di manufatti stradali attribuibili alla consolare nell’area non aiutano a dirimere la questione; essa rimarrà insoluta fino ad eventuali nuove scoperte. Infatti essi si riducono semplicemente ad una strada inghiaiata, posta 40 cm al di sopra di una grande strada affiancata da tombe dell’età del ferro, rinvenuta dal Chierici nell’Ottocento47. Riguardo tale struttura, in due pubblicazioni diverse si fornisce differente ampiezza di carreggiata e di orientamento, nonché una localizzazione approssimativa, da cui possiamo solo dedurre che essa era posta a nord della via Emilia attuale. Invece una strada acciottolata recante i segni del passaggio dei carri fu rinvenuta nel centro di Sant’Ilario d’Enza nel 1920 da F. Proni48. Questo ritrovamento costituirebbe un elemento favorevole al riconoscimento di Sant’Ilario con Tannetum, non fosse che al di sotto del piano stradale furono rinvenute monete tardoantiche e quindi tale tracciato deve essere riferito ad epoca successiva a quella romana. Un ruolo di primaria importanza nei mutamenti della rete stradale in quest’area sembrerebbe giocato dalla riduzione a semplice villaggio e successiva, probabile, scomparsa dell’antica Tannetum nella tarda antichità e, al contempo, dalla nascita, attestata già nel VI secolo, della chiesa di Sant’Eulalia a Sant’Ilario d’Enza, elemento attrattivo del popolamento e, forse, anche della strada, 45 46 47 48 STORCHI 2014, pp. 74-75. STORCHI 2014, pp. 68 ss. DALL’AGLIO 1992, pp. 183-184. STORCHI 2014, p. 66. tto 72 tr a es La viabilità nella pianura reggiana in età romana 73 in un’area peraltro più prossima all’apice del conoide dell’Enza, dunque molto più stabile e riparata dalle acque non più regimate. Esaminata la via Emilia, si può passare ad un secondo polo di traffico di grande importanza presente nell’attuale provincia di Reggio Emilia: Brixellum. La città fu sede del campo dell’imperatore Otone che qui si diede la morte nel 69 d.C. e indubbiamente di un porto di grande importanza fino alla tarda antichità, se Sidonio Apollinare (Ep. 1. 5. 4-6) ci informa che qui avveniva il cambio di equipaggio delle navi del cursus publicus. La città fu lungamente contesa fra Longobardi e Bizantini fino all’anno 603 d.C., quando fu definitivamente distrutta ed abbandonata per secoli, tanto che l’anonimo compilatore della Vita Sancti Genesii episcopi scrive: “ad tantam redacta est solitudinem, ut a nullo cernerentur incola vestigia ibi Civitatis aliquando tenuisse”49. Anche solo ad una rapida occhiata alla cartografia della zona dell’attuale Brescello (Fig. 5) si possono facilmente notare vari rettifili che convergono sulla città. Da est si incontra per prima la, più volte citata, via Regium-Brixellum. Essa faceva parte di un più ampio percorso ricordato dall’Itinerarium Antonini (It. Ant. 283.5) che partendo da Bologna e passando per Modena, Reggio e Brescello, attraversando qui il Po, portava a Cremona. Il suo percorso è perfettamente percepibile in uscita da Reggio, fino alla località di Sesso e, di nuovo, da Castelnuovo di Sotto fin quasi a Brescello con due rettifili di cui oggi non si conosce il punto di incontro, o l’eventuale presenza di un terzo tratto, a causa dei mutamenti di corso del Crostolo. Un errore nel computo della distanza Fig. 5 – Cartografia preunitaria (1853) del territorio attorno a Brescello. Si notino le varie direttrici che puntano verso l’antica città. 49 AFFÒ 1790, p. 47. tto 22.1, 2016 tr a es P. Storchi Sc. Ant. dell’itinerario è ormai stato risolto50 e la strada che è ancora oggi nota come “strada romana” e fino al Settecento conservava il toponimo miliare di Sesto51, taglia obliquamente la centuriazione. Una seconda strada52 giungeva da Parma; corrisponde all’attuale strada della Cisa, ed è testimoniata da due miliari, uno dell’imperatore Giuliano (CIL XI, 6658) e l’altro di Valentiniano e Valente (CIL XI, 6660), trovati a Lentigione di Brescello. Il suo tratto iniziale è individuabile a Parma in via Palermo, in virtù della costipazione di migliaia di anfore destinate a drenare il terreno per il passaggio della strada53, inoltre si individuano necropoli sia a Parma, nella zona dei Mulini bassi, che alla periferia occidentale di Brescello. Sulla città probabilmente confluiva un asse proveniente da Tannetum, riconoscibile in persistenza nel tratto di rettifilo che da Taneto porta a Enzola e che, in questa località, è stato riconosciuto54 in una strisciata di ghiaia mista a laterizi romani lunga circa 300 m. Un quarto asse giungeva su Brixellum dall’area di Caprara e probabilmente accompagnava l’acquedotto, tratti di tale manufatto sono stati rinvenuti archeologicamente a più riprese55. Probabilmente quest’ultima strada proseguiva a sud, come intuito da P. Tozzi56 che la intravvide in fotografia aerea, e poteva diramarsi anche verso Tannetum, ricalcando l’attuale strada provinciale 39, nonostante, ad oggi, non si sia certi che quest’ultimo asse sia effettivamente di età romana. A questi percorsi va aggiunta una strada ciottolata che correva parallela al Po e che era affiancata da sepolcri monumentali, tra cui il noto monumento dei Concordii, ritrovata archeologicamente in tre occasioni ad est della città57. Se il quadro generale è dunque piuttosto chiaro e testimonia l’importanza di Brescello e del suo porto, esistono oggettivi problemi circa la ricostruzione delle porzioni terminali di tali tracciati. La persistenza della via Regium-Brixellum si interrompe a circa 2 km dal centro padano. Prolungando l’asse secondo l’orientamento che questo mantiene per i precedenti 11,5 km, si giungerebbe non a Brescello, ma leggermente ad ovest di esso. Il ritrovamento di uno strato ghiaioso sul fondo di un canale a Motta Balestri fece però ipotizzare M. Degani una deviazione verso la porta meridionale cittadina58. Qualcosa di simile sembra accadere anche alla strada proveniente da Parma: nella cartografia storica preunitaria (Fig. 5) si evince come a poche centinaia di metri da Brescello essa punti ancora leggermente ad ovest del municipium, per correggere la traiettoria improvvisamente. Dato che il recente lavoro di risistemazione dei dati archeologici cittadini operato da I. Chiesi dimostra come, nonostante la città sia rimasta totalmente abbandonata per oltre 300 anni, Adalberto Atto la avesse rifondata in corrispondenza dell’antica Brixellum59, bisognerà pensare che tali anomale deviazioni siano da imputarsi a ragioni geomorfologiche che potranno trovare risposta soltanto in una attenta e, molto complessa, ricostruzione dell’ambiente in età romana e degli antichi percorsi dell’Enza e del Po (Fig. 6). Come rilevato da P. Tozzi60, esistono inoltre alcuni rettifili che tagliano la centuriazione della provincia di Reggio e non trovano spiegazione nella poleografia attuale né medievale o nella documentazione di quest’epoca, questi corrisponderanno quindi verosimilmente a tratti di strade 50 DALL’AGLIO 2006b, p. 178. Come attestato dalla cartografia Settecentesca, ad esempio la carta di J. P. Nolin, del 1703 dello stato di Milano, consultabile all’indirizzo: https://www.raremaps.com/gallery/detail/38673?view=print. 52 DALL’AGLIO 2006b. 53 Presso via Palermo, MARINI CALVANI 1992, p. 190. 54 BOTTAZZI 1990, p. 218, sito 258. 55 CHIESI 2013, pp. 199-203. 56 TOZZI 1987, p. 26. 57 DALL’AGLIO 1992, p. 183. 58 DEGANI 1974, n. 12 e. 59 AFFÒ 1790; l’altra possibilità è che qui potesse essere un secondo polo di attrazione del traffico, ad esempio il porto. Le ricerche dello scrivente stanno indagando entrambe queste possibilità. 60 TOZZI 1987, p. 26. 51 tto 74 tr a es La viabilità nella pianura reggiana in età romana 75 Fig. 6 – Carta schematica della viabilità romana principale nell’attuale Provincia di Reggio Emilia e delle sopravvivenze centuriali. romane di cui però non riusciamo a comprendere né il punto di origine né la loro destinazione, a dimostrazione di quanto fosse complessa la rete delle comunicazioni in età romana e quanto ancora sfugga alla nostra comprensione. Paolo Storchi Dipartimento di Scienze dell’Antichità Sapienza Università di Roma paolostorchi1@virgilio.it Riferimenti bibliografici Aemilia 2000: M. MARINI CALVANI - E. LIPPOLIS (eds.), Aemilia. La cultura romana in Emilia Romagna dal III sec. a.C. all’età costantiniana, Catalogo della Mostra (Bologna 2000), Venezia 2000. AFFÒ 1790: I. 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In this paper I analysed the nowadays Reggio Emilia district; in this area there were three municipia, Regium Lepidi, Tannetum and Brixellum; a lot of environmental changes connected with some Late-Antiquity hydrogeological problems make it difficult to identify all the roads that connected these centres, but I think that observing ancient maps, using archaeological and geological data, and toponymical sources, we can achieve a good knowledge, at least, of the most important streets. In this paper I analysed in particular the ancient Via Aemilia track and I detected some anomalies in the trend of the roads that lead to Brixellum that seem to deal with a particular attention that the Romans gave to the geomorphology of this area, planning this road-system. tto 22.1, 2016 tr a es tto Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l. via Ajaccio 41/43 – 00198 Roma tel. 0685358444, fax 0685833591 www.edizioniquasar.it per informazioni e ordini qn@edizioniquasar.it ISSN 1123-5713 ISBN 978-88-7140-725-8 Finito di stampare nel mese di luglio 2016 presso Global Print – Gorgonzola (MI)