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Gli splendori della Secessione nell'Episcopio (Il Piccolo 4 dicembre 2010) In una lettera del 1913 diretta al vescovo di Trieste e Capodistria Andrea Karlin l'architetto Ivan Vurnik si dice convinto che l'opera che gli era stata commissionata, la riforma delle cappella vescovile nella sede di via Cavana a Trieste, non avrebbe lasciato nessuno «impassibile – vi lavoro con troppo amore e ardore!»: l'affermazione del progettista è confermata dalla lettura della pubblicazione che Gino Pavan dedica a quest'opera che riemerge dall'oblio. Le immagini che accompagnano "La Cappella dell'Episcopio a Trieste di Ivan Vurnik", edito in occasione del bicentenario della Società di Minerva (con il contributo della Fondazione Benefica Kathleen Foreman Casali), suscitano una gamma di reazioni che nulla hanno a che fare con l'impassibilità, infatti l'occhio viene subito catturato dalla bicromia "crisoelefantina" del bianco e dell'oro che monopolizza lo spazio e rende questa cappella un unicum, vuoi per l'organicità tra decorazione e architettura, ma soprattutto per l'adozione di una cifra stilistica che sembrerebbe più adatta a un luogo profano, mentre la destinazione d'uso religiosa conferisce alla forma un appeal ancora maggiore. Il linguaggio espressivo della Secessione viennese in un contesto sacro lascia affiorare la profonda connessione con l'arte bizantina, incomparabile esempio di un intersecarsi di opulenza sensualità e spiritualità, valori terreni e celesti che non si elidono nell'incontrarsi ma si esaltano: ne porta testimonianza il mirabile apparato decorativo della chiesa di St. Leopold am Steinhof progettata da Otto Wagner: in questo caso il tema dominante è formato dall'abbinamento di bianco e oro al quale si aggiungono altre tinte. A Trieste, invece, tutto si condensa nella relazione tra questi due colori, compreso il prezioso fiotto di sangue che esce dal costato di Cristo, il perizoma che lo avvolge, i capelli che gli incorniciano il volto, gli angeli elegantissimi che ai lati dei piedi della croce si raccolgono in preghiera, o i cherubini che affiancano l'Eterno che sovrasta il figlio morente. I tralci sulla cupola riprendono gli intrecci a un tempo arcaici e raffinatissimi del fregio di casa Stoclet: lo spirito di Klimt pervade lo spazio sacro della cappella vescovile triestina, ma in una versione più rarefatta e sottile. I quattro evangelisti realizzati a sbalzo sulla lamina d'oro del tabernacolo e ideati da Helena Vurnik secondo i dettami della grafica Secessione, riconducono alla straordinario laboratorio artistico viennese, al quale sia la pittrice che il marito avevano compiuto la propria formazione. È merito di Gino Pavan aver portato all'attenzione degli studiosi questo prezioso e sconosciuto scrigno d'arte, unica opera realizzata a Trieste dall'architetto Vurnik, padre fondatore con Max Fabiani e Joze Plecnik della scuola architettonica slovena. Gli studi al Politecnico di Vienna gli fecero incontrare proprio Fabiani che lo volle come assistente e lo spinse a frequentare per un biennio la celebre Wagnerschule (1911-1913), proprio negli anni in cui si configurò l'incarico a Trieste, dove operavano altri allievi del maestro viennese, Giorgio Zaninovich, Josip Costaperaria e Giuseppe Carlo Goebel. L'autore dedica il volume «al prof. Marco Pozzetto, "minervale" generoso e amico carissimo che mi ha fatto conoscere la bianca Lubiana», tributo a uno studioso che ha portato all'attenzione internazionale una fase cruciale dell'architettura mitteleuropea, dimostrandone tutta l'attualità e la grande qualità espressiva. Diana Barillari