Graziella Martinelli Braglia
Albano Lugli, un "macchiaiolo" a Carpi, catalogo della mostra
(Museo Civico di Carpi, 18 aprile – 24 maggio 1998), Carpi 1998
Albano Lugli, un "macchiaiolo" a Carpi
Sinora, vari sono stati i contributi di studio incentrati su Albano Lugli, alcuni di
notevole acutezza; così quelli stesi da Alfonso Garuti, che per primo ha più volte rilevato, in
modo assai convincente, la singolare levatura qualitativa del catalogo dell'artista. Si vorrebbe
ora porre in luce il carattere peculiare del'arte di Lugli, che fu non soltanto uno dei petitsmaitres che fiancheggiarono i Macchiaioli, ma soprattutto, nella schiera degli autori modenesi,
il primo ad aver aderito al loro stile e alla loro poetica.
In occasione di questo studio, sono stati reperiti da Manuela Rossi e da chi scrive varie
opere inedite di Lugli, oltre a quelle conservate presso il Museo Civico di Carpi, o già esposte
nella circostanza della mostra che lo stesso Museo dedicò all'artista, a cura di Gabriella
1
Guandalini, ormai nel 1966; prima importante occasione per valorizzare la complessa figura del
maestro carpigiano. 1
Certamente, il clima culturale in cui crebbe l'artista non era del tutto privo di ambizioni:
dal 1839 Carpi poteva vantare l'attività di una Scuola Civica di Disegno gestita da Claudio
Rossi, che avrebbe dato prosieguo e anzi nuova e solida rinomanza alla tradizione pittorica
locale, soprattutto nel settore della grande decorazione ad affresco. 2
Il curriculum di Albano Lugli ha inizio dagli studi in Modena, presso l'Accademia
Atestina di Belle Arti, allora diretta dal celebre pittore Adeodato Malatesta (Modena 18061891); una personalità, la sua, che all'epoca godeva di un prestigio assai consolidato, nonché di
una rete di rapporti in campo culturale quanto mai dilatata, con vantaggio dei suoi stessi allievi,
sempre favorevolmente accolti presso altre Accademie. Nel corpo docente comparivano il
correggese Luigi Asioli, dal 1848 titolare della cattedra di disegno, il carpigiano Bernardino
Rossi insegnante di pittura, lo scandianese Luigi Mainoni, che dal 1843 ricopriva la cattedra di
scultura, e infine i modenesi Giovanni Lotti e Camillo Crespolani, l'uno professore di
architettura, l'altro di ornato e prospettiva. 3
Indubbiamente, l'influenza di Malatesta non potè non toccare il giovane Lugli, se non
altro per quell'atmosfera più vivace, dalle ambizioni extraprovinciali che la figura del
caposcuola modenese stava imprimendo all'ambiente artistico locale. E quel giro d'anni in cui
Lugli frequentò l'Accademia fu tratto nell'itinerario malatestiano quanto mai denso di valori
propulsivi, rielaborati in un quadro culturale di largo orizzonte. 4 D'altro canto, il capitolo forse
più interessante nel catalogo di Lugli, e certo il più folto, quello cioè della ritrattistica, sarebbe
cresciuto nell'inevitabile riscontro con gli esemplari di Malatesta, se non altro per contrapporre
a quelle istanze figurative altri percorsi di stile e d'interpretazione, come s'avrà modo di vedere
più oltre. All'arte di Malatesta Lugli si sarebbe riferito nella successiva produzione di soggetti
sacri - il settore più "tradizionale" della sua attività -, desumendone tanto il sostrato "purista",
inteso come sobrietà lessicale, tanto quell'accezione di "verismo" alla Morelli che il maestro
modenese avrebbe adottato, dagli anni '60, in particolare nei temi religiosi.
Anche dal conterraneo Bernardino Rossi (Cortile di Carpi Mo 1803-Modena 1865)
Lugli avrebbe ricavato ispirazione per la sua futura attività di pittore di pale d'altare o di
decorazioni chiesastiche; ne avrebbe tratto quel peculiare registro neoseicentista, anzi
1
1. Fra i contributi relativi alla personalità e all'opera del Lugli si segnalano G. GUANDALINI, Mostra
retrospettiva di Albano Lugli, catalogo della mostra, Carpi 1966; A. GARUTI, Mostra di opere restaurate al Museo
Civico, catalogo, Carpi 1979, pp. 28-31; A. GARUTI, Opere d'arte restaurate al Museo Civico, catalogo della
mostra, Carpi 1980, pp. 36-43; A. GARUTI, Restauri al patrimonio artistico comunale, catalogo della mostra,
Carpi 1982, pp. 20-21, 35-36, 47-48; A. GARUTI, in D. COLLI, A. GARUTI, R. PELLONI, Terra e cielo. La
decorazione tra '800 e '900 negli edifici di Carpi, Correggio, Novi e Soliera, Carpi 1983, passim; L. FRIGIERI
LEONELLI, Pittori modenesi dell'Ottocento, catalogo della mostra, Modena 1986, pp. 89-90, 104-110; A.
GARUTI, D. COLLI, Carpi. Guida storico-artistica, Carpi 1990, ad vocem; G. MARTINELLI BRAGLIA,
Albano Lugli, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, v. II, p. 888; G. MARTINELLI BRAGLIA,
Albano Lugli (1834-1914), un pittore nella Carpi tra Otto e Novecento, in Alfredo Bertesi e la società carpigiana
del suo tempo, Atti del Convegno a cura di M. Degl'Innocenti, F. Della Peruta, A. Varni, (Carpi 1990), Modena
1993, pp. 429-439.
4. Cfr. Adeodato Malatesta, 1998.
5. Su Rossi cfr. G. MARTINELLI BRAGLIA, Bernardino Rossi, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991,
II.
2
Sull'ambiente carpigiano del secolo scorso cfr. G. MARTINELLI BRAGLIA, Dall'accademia al revival: Andrea
Becchi (1849-1926), catalogo della mostra (Museo Civico di Carpi), Modena 1983; G. MARTINELLI BRAGLIA,
Le forme del revival: Fermo Forti (1839-1911), catalogo della mostra, (Museo Civico) Carpi 1992; A. GARUTI,
L'ingegner Achille Sammarini (1827-1899) architetto a Carpi, Carpi 1995.
3
Per la situazione artistica modenese dell'epoca si rimanda a G. MARTINELLI BRAGLIA, La pittura
dell'Ottocento in Emilia Romagna, in La pittura in Italia. L'Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, Milano 1991, I;
Modelli d'arte e di devozione. Adeodato Malatesta (Modena 1806-1891), catalogo della mostra (Modena, Foro
Boario - Reggio Emilia, Convento di San Francesco), Milano 1998.
4
Cfr. Adeodato Malatesta, 1998.
2
neoreniano, che appunto connota realizzazioni del Rossi quali il gonfalone della Cattedrale
carpigiana con l'Assunta e i santi Bernardino da Siena e Francesco d'Assisi (Carpi, Museo
Civico), o la bella Santa Filomena nella chiesa di Santa Chiara di Carpi. 5 Neppure va escluso
che Lugli conservasse un qualche ricordo di certi suoi soggetti storici, come le effigi di due
Estensi medievali, Rinaldo II e Alberto V, databili attorno al 1835 (Modena, Accademia
Militare; deposito della Galleria Estense), dominate da uno scrupolo documentario di carattere
storicistico, da Rossi ricercato sotto l'impulso dell'ideologia romantica, per Lugli, più
prosaicamente, congeniale al gusto illustrativo di fine secolo.
Quanto mai distanti dall'evoluzione stilistica di Albano Lugli appaiono i modi di
Camillo Crespolani (Modena 1798-1861), che nell'attività di scenografo teatrale rimase
ancorato su nostalgiche atmosfere d'arcadia, così come nella produzione di decoratore ricalcava
motivi barocchetti, neoclassici o d'estrazione antiquariale. Piuttosto, è dal versante della tecnica
che Crespolani può aver trasmesso un utile insegnamento all'allievo: nota è infatti la sua perizia
di ornatista nella pittura parietale, con attestazioni nel Teatro Comunale di Modena, in chiese e
palazzi; un'abilità di mestiere che avrebbe avuto in Lugli un prosecutore nei tanti episodi
decorativi in ambito carpigiano e provinciale.
Chi dovette incidere sulla sua formazione fu invece Luigi Asioli (Correggio Re 1817Modena 1877), personalità fra le più interessanti nel panorama artistico del Ducato austroestense. Formatosi nel fecondo clima intellettuale di una famiglia che annoverava incisori quali
il padre Giuseppe e l'avo materno Francesco Rosaspina, nonché un musicista come lo zio
Bonifacio, Asioli realizzò il proprio iter di studi presso le Accademie di Modena, di Bologna e,
dal 1839 al '42, di Firenze. 6 Ed è qui che Asioli entrava in contatto con un romanticismo alla
Bezzuoli, alla Piatti, di cui diede saggio nel completamento, del 1842, de La cacciata dei
Tedeschi da Genova, lasciata incompiuta per la morte del suo autore, Luigi Busi. L'alto livello
della sua arte è attestato, in Carpi, dalla pala d'altare in Santa Chiara, raffigurante l'Apparizione
del Sacro Cuore a santa Margherita Alacoque e santi, del 1845, ove trapelano suggestioni
reniane, filtrate da un purismo alla Malatesta. Luigi Asioli rappresentava, per un esordiente
come Lugli, forse l'unico autore, oltre a Malatesta, in grado di affrontare brillantemente la
grande decorazione figurata. Frescante di grande perizia, lasciava prove come l'Apoteosi di San
Quirino e la Gloria d'angeli nella parrocchiale di San Quirino in Correggio, situabili attorno al
1845, oltre a episodi profani nelle volte di palazzi in Modena e Correggio, con suggestioni dai
Carracci, da Reni e soprattutto correggesche. Dunque, una produzione altamente esemplare per
i successivi sviluppi della carriera di Lugli decoratore, sia dal versante tecnico che per la rete
dei modelli figurativi, nell'alveo della grande tradizione emiliana. Anche l'importante corpus
ritrattistico di Asioli dovette suggerire una qualche riflessione al giovane carpigiano: pur
debitore ai modi di Malatesta, come ad esempio trapela dall'effigie del fratello Raffaele Asioli in
raccolta privata, il correggese esibiva una concisione di mezzi formali che con ogni probabilità
lasciò traccia anche in Lugli.
Si crede che, nel novero degli autori locali, soltanto Antonio Simonazzi (Modena 18241908) potesse esibire nella sua pittura valori di autentica novità, che talora affiorano in qualche
episodio della sua attività meno ufficiale. Discepolo di Malatesta e quindi allievo delle
Accademie di Firenze e di Venezia, accanto a pale d'altare dallo stile composto e ineccepibile così la Santa Cecilia del 1848 nella chiesa del Voto di Modena, ispirata a moduli malatestiani -,
realizza dipinti come l'Autoritratto giovanile (Modena, Museo Civico) dalla presa diretta di
sapore romantico, in una stesura veloce, per zone di puro colore virato sulla gamma dei verdi,
5
Su Rossi cfr. G. MARTINELLI BRAGLIA, Bernardino Rossi, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991,
II.
6
Sulla personalità di Asioli cfr. G. MARTINELLI BRAGLIA, Luigi Asioli, in La pittura in Italia. L'Ottocento,
1991, II, pp. 669-670, e G. P. LUSETTI, M. PARMIGGIANI, Luigi Asioli. I disegni delle Raccolte civiche,
catalogo della mostra, Correggio 1988.
3
con l'accento squillante del rosso del berretto. Prova non isolata, se agli inizi degli anni '50 dà
vita a un brano paesaggistico quale la Veduta di Coriano, piccola tavola di collezione privata
ove dispiega un linguaggio piano e solare, riscattato da effetti pittoreschi a favore di
un'impronta "verista". Un'inclinazione che si sarebbe di lì a poco palesata in un'opera come I
novellieri del Boccaccio del settimo decennio del secolo (Modena, Museo Civico), che rivela
l'influsso de I novellieri fiorentini del secolo XIV, tela eseguita da Vincenzo Cabianca nel 1860
(Firenze, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti). E in prosieguo di tempo, saggi ritrattistici
come l'Anziana signora nel Museo Civico modenese avrebbero riconfermato l'attenzione di
Simonazzi verso la realtà toscana e verso Silvestro Lega precipuamente. 7
Il curriculum di Albano Lugli trae inizio da un dipinto il cui soggetto appartiene alla
tipica tematica dei saggi d'accademia: Abele che offre un sacrificio a Dio, già presso l'Istituto
d'Arte "A. Venturi" di Modena, di cui resta il bozzetto in collezione privata di Carpi. Per inciso,
lo stesso Luigi Asioli in epoca giovanile si era cimentato in un Sacrificio d'Abele che possiede
tutte le connotazioni della prova scolastica (Carpi, Museo Civico), 8 e pure Fermo Forti (18391911), pittore carpigiano con cui Lugli avrebbe condiviso le commissioni di affreschi e di pale
d'altare, intorno al 1858 avrebbe prodotto un Abele morto, con bozzetto in raccolta privata,
nell'ambito del Premio Magnanini istituito presso l'Accademia di Modena. 9 Un secondo saggio
di Lugli dovette esser costituito da un Chactas che piange sulla tomba di Atala, tema derivato
dal noto romanzo Atala di François-René de Chateaubriand, del 1801, fra i prediletti della
stagione romantica, già illustrato in famose tele da Anne-Louis Girodet e dal toscano Cesare
Mussini. 10 Anche di tale opera, già presso l'Istituto modenese "A. Venturi", come della
precedente rimane memoria nella biografia dettata dallo stesso Lugli all'ingegnere-architetto e
storico carpigiano Achille Sammarini. 11
Contingenza determinante nell'evoluzione artistica di Lugli furono i vari soggiorni di
studio e di lavoro a Firenze. Due di questi sono puntualmente documentati: l'uno subito dopo il
1862, come riporta il profilo biografico steso da Achille Sammarini, l'altro nell'arco dal 1867 al
'70, come pensionato governativo presso l'Accademia di Firenze.
Il perfezionamento presso l'Accademia fiorentina era e sarebbe stato, per tutto
l'Ottocento modenese, un punto fermo nel cursus formativo delle giovani promesse in campo
artistico. Vari i fattori di questo orientamento verso Firenze: il vanto di una tradizione figurativa
che privilegiava il momento disegnativo, nella cultura accademica assurto a componente
primaria del prodotto d'arte, e la presenza di quel formidabile "repertorio" di modelli costituito
dalla Galleria degli Uffizi e dalle Raccolte Medicee; non ultimo, durante la Restaurazione, il
fattore di natura politica: il vigile governo austro-estense aveva consentito contatti con il
Granducato degli Asburgo Lorena, in quanto esso pure nell'orbita di Vienna.
Era stata così intessuta una maglia di fruttuosi rapporti, che aveva incluso il pensionato
di alcuni fra i più importanti autori modenesi presso l'Accademia di Firenze: Malatesta in
primis, oltre a Rossi, ad Asioli, a Simonazzi. Se per Malatesta e per i suoi condiscepoli e allievi
la tappa a Firenze aveva soprattutto significato l'apertura sull'innovativo "purismo" di Bezzuoli,
oltre che su una cultura arricchita dai "passaggi" di personalità di statura europea, quali Ingres,
Waldmuller, Brjullow, per Albano Lugli e per altri delle successive generazioni avrebbe
favorito l'incontro con l'arte dei Macchiaioli, e dunque il coinvolgimento in una nuova poetica e
in una svolta espressiva verso inedite direzioni. Così sarebbe stato per Giovanni Muzzioli, che
7
Sulla personalità di Simonazzi cfr. G. MARTINELLI BRAGLIA, Antonio Simonazzi, in La pittura in Italia.
L'Ottocento, 1991, II, pp. 1026-27, con bibliografia.
8
Cfr. A. BORGOGELLI, Luigi Asioli, in Dall'accademia al vero. La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità,
catalogo della mostra a cura di R. Grandi, (Galleria d'Arte Moderna) Bologna 1983, p. 150.
9
Cfr. G.MARTINELLI BRAGLIA, Le forme del revival, 1992, p. 37.
10
Per la fortuna del tema di Atala cfr. F. MAZZOCCA, Neoclassico e troubadour nelle miniature di Giambattista
Gigola, catalogo della mostra, (Brescia) Firenze 1979, pp. 161-164.
11
Cfr. Appendice documentaria.
4
grazie al Premio Poletti vinto nel 1872, si sarebbe stabilito a Firenze dal 1876, divenendo
interprete, pur se sui generis, dell'innovativa lezione elaborata dal gruppo del Caffè
Michelangiolo. 12
Dunque risulta che, ultimati gli studi presso l'Accademia modenese, Albano Lugli si
recasse in Firenze poco dopo il 1862. Ma ancor prima di quella data egli era mostrato già edotto
sugli sviluppi della pittura toscana. Gli esiti di straordinaria modernità di due opere di sicura
cronologia, l'Autoritratto con cappello del 1857 e il Ritratto di Giuseppe Rebuttini del 1860
(Carpi, Museo Civico), a cui sono ipoteticamente aggregabili per punto di stile i due ovali con
Maria Govi e Luigia Govi (Carpi, Museo Civico), evidenziano come già Lugli avesse stabilito
nessi con quell'ambiente, lasciando presumere viaggi o insomma esperienze legate alla realtà
fiorentina. Un'ipotesi che assume tanta più consistenza se si considera che una simile semplicità
espressiva e il procedimento tecnico per piatte stesure cromatiche non possiedono riscontri in
area modenese; area egemonizzata dalla personalità di Malatesta, che produceva saggi d'alta
sapienza argomentativa, ma certamente, nel loro mirabile equilibrio fra stilizzazione e
naturalismo, alieni da tali registri.
Sempre in Firenze, come riporta Sammarini nel profilo dell'artista, "fece alcuni quadretti
ad olio e vinto il concorso ministeriale del 1867, godette l'emolumento pel biennio successivo,
perfezionandosi sempre nella figura.". 13 Durante tale pensionato, avrebbe compiuto due saggi
di studio, inviati all'Accademia modenese - poi Istituto d'Arte "A. Venturi", ove tuttora si
conservano - mentre i bozzetti preparatori sarebbero in seguito pervenuti al Museo Civico di
Carpi: Giotto fanciullo che disegna una pecora, e Le porte del Ghiberti - Lorenzo Ghiberti che
mostra il bozzetto del concorso per le porte del Battistero di Firenze - rispettivamente per gli
anni scolastici 1868-69 e 1869-70.
Fra i suoi maestri presso l'Accademia fiorentina, dovette rivestire un ruolo di primo
piano il livornese Enrico Pollastini, pittore di soggetti storici e di pale chiesastiche, nominato
docente di disegno nel 1853 e Presidente dell'Accademia stessa dal 1867 al '74. Già educatosi
alla scuola di Benvenuti e di Bezzuoli, aveva acquisito consuetudine con la pittura
quattrocentesca, secondo l'orientamento "purista" impresso da Bezzuoli. Un interesse che
avrebbe trasmesso, si crede, anche all'allievo Lugli, come dimostra quello che fu probabilmente
il primo dei suoi saggi fiorentini inviati all'Accademia di Modena, attualmente presso l'Istituto
"Venturi": è la copia del particolare degli astanti sulla destra nel San Gioachino cacciato dal
tempio, dal ciclo affrescato da Domenico Ghirlandaio - autore quanto mai congeniale
all'educazione "purista" del Pollastrini - nel coro di Santa Maria Novella in Firenze, compiuto
nel 1490. Risale quasi sicuramente allo stesso periodo la realizzazione di un'altra copia dai
medesimi affreschi del Ghirlandaio, la Visitazione di Maria a santa Elisabetta, che dalla
biografia del Sammarini risulta che Lugli vendesse in Firenze.
Il riferimento a questi autori del '400, i cosiddetti "primitivi", che Pollastrini additava a
modelli, oltre a costituire la radice del "purismo" romantico avrebbe offerto, come è noto, un
solido supporto per la sobrietà formale e compositiva propria dei Macchiaioli; e dunque, anche
nel caso di Lugli, avrebbe contribuito a orientarne lo stile verso quella nuova semplicità. In tale
direzione lo avrebbe sospinto anche l'esempio di un altro celebre allievo di Benvenuti e
Bezzuoli, il ticinese Antonio Ciseri, che nel 1860 era stato riconfermato professore per
l'insegnamento superiore all'Accademia; personalità di forte peso nell'ambiente ufficiale
fiorentino, è noto come venisse contestata dai Macchiaioli. Era, la sua, un'individuale edizione
di "verismo", che si concreta in un famoso episodio ritrattistico, la Famiglia Bianchini del 1855
(raccolta privata): vi si coniuga una maniera disegnativa quanto mai acuta nel cogliere il vero
12
13
Cfr. Giovanni Muzzioli, catalogo della mostra a cura di E. Pagella e L. Rivi, (Galleria Civica) Modena 1991.
Cfr. A. SAMMARINI, in Appendice documentaria.
5
alla conoscenza dei testi pittorici francesi nel solco di Ingres. 14 Una prosa ritrattistica di cui
Lugli si sarebbe rammentato nella sua avanzata attività, probabilmente ricercando un più
puntuale resoconto del dato reale.
L'anno in cui Lugli si aggiudica il pensionato a Firenze, il 1867, è anche una data
cruciale nella cronologia della corrente dei Macchiaioli. Nel 1867, dunque, Giovanni Fattori e
gli amici Odoardo Borrani, Giuseppe Abbati e Raffaello Sernesi si ritrovano ospiti di Diego
Martelli a Castiglioncello, ove danno vita ad uno dei periodi più interessanti e poetici della loro
arte. Ed è a partire dal 1867 che per circa quattro anni il romano Nino Costa risiede a Firenze,
in assiduo rapporto con il circolo di Caffè Michelangiolo; sempre in quell'anno giunge a
Firenze anche Giuseppe De Nittis, accolto dai Macchiaioli come artista a loro affine. E
Telemaco Signorini assieme a Martelli fonda il "Gazzettino delle arti del disegno", rivista che
costituisce il "primo organo di dibattito degli artisti in prima persona contro la critica
ufficiale". 15
E Albano Lugli precocemente si muove nell'orbita dei Macchiaioli, se un soggetto
tradizionale di storia come Le porte del Ghiberti, il citato saggio del 1869-70, assume il sapore
di episodio vissuto. E v'è da ritenere che vi abbia influito, almeno dal versante compositivo,
un'opera come Il Palazzo Pretorio di Firenze, primo importante dipinto del veneto Federico
Zandomeneghi (Venezia, Ca' Pesaro), realizzato nel 1865 nella scia dei Macchiaioli e del
Cabianca in primis. 16 In particolare, dovette suggerire al giovane Lugli l'indagine luministica
che diviene pienezza atmosferica: scivola la luce sulle architetture e investe i personaggi,
definendone i volumi nello spazio.
Nel fertilissimo ambiente toscano, anche la ritrattistica di Antonio Puccinelli - quella
che, pur cresciuta nel tradizionale solco purista, si presenta più ricca di dati innovatori - si crede
che costituisse oggetto di riflessione per Albano Lugli. L'inquadratura perfettamente frontale di
un'opera come la Nobildonna Morrocchi (Firenze, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti),
che Puccinelli aveva eseguito fra il 1855 e il '60, in quello spirito d'ingrisme a fondo penetrato
in Firenze, sembra venir recuperata da Lugli nel sensitivo Ritratto di Carlo Grossi (Carpi,
Museo Civico); mentre episodi come l'effigie di Nerina Badioli che il maestro toscano aveva
congedato poco dopo il 1865 (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna) possono aver
suggerito a Lugli quel tono d'immediatezza, la spontaneità d'approccio e, soprattutto, il gioco di
luci e d'ombre sul volto del modello, come a cogliervi la meteorologia attimale di una "seduta
di posa", all'insegna dell'informalità e della disinvoltura, connotazioni proprie della miglior
ritrattistica giovanile del carpigiano.
Certamente influì su di lui la concisione di mezzi pittorici che informa certi ritratti di
Silvestro Lega, come il Fratello Ettore fanciullo, databile entro il 1855 (Milano, collezione
privata);17 anche se l'arte di Lugli conserva sempre un fondo naturalistico che gli preclude un
procedimento quale la stilizzazione neomanieristica di quei saggi leghiani. A successive prove
del Lega ritrattista Lugli sembra riferirsi, nella sua produzione degli anni sessanta-settanta: a
opere come la Signora Giulia Monti, che l'artista di Modigliana esegue nel 1870 (raccolta
privata),18 o la Signorina Isolina Cecchini del 1869 (Firenze, collezione privata).19 Inoltre, la
prima ritrattistica di Lugli sembra recar traccia dei caratteri di stile elaborati da Giovanni
14
Per l'ambiente fiorentino coevo cfr. E. SPALLETTI, La pittura dell'Ottocento in Toscana, in La pittura in Italia.
L'Ottocento, Milano 1991, I; inoltre cfr. Il secondo '800 italiano. Le poetiche del vero, catalogo della mostra a cura
di R. Barilli, Milano 1988.
15
S. PINTO, in I Macchiaioli, catalogo della mostra a cura di D. Durbè, Firenze 1976, p. 48; a tale pubblicazione
si rimanda anche per il più generale orizzonte artistico dei Macchiaioli e della coeva pittura toscana. Inoltre si veda
D. DURBE', Fattori e la scuola di Castiglioncello, Firenze 1982.
16
Cfr. Garibaldi. Arte e storia, catalogo della mostra, Firenze 1982, pp. 147-148.
17
Ripr. in I Macchiaioli, 1976, p. 63.
18
Ripr. in Silvestro Lega 1826-1895. Opere delle collezioni pubbliche e private nel centenario della morte,
catalogo della mostra a cura di G. Matteucci e C. Sisi, Milano 1995, pp. 70-71.
19
Ripr. in I Macchiaioli, 1976, p. 203.
6
Fattori: tele del carpigiano come La sorella Marietta Lugli, datata al 1867 (Firenze, raccolta
privata), o Luisa Menotti, situabile verso il 1870 (Carpi, Museo Civico) non possono non
ricondurre alla conoscenza di capolavori del maestro livornese quali La cugina Argia del 1861
(Firenze, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti) e il Ritratto della cognata, collocabile
intorno al 1865 (Firenze, collezione privata). 20 Testi da cui Lugli potè assorbire quel tono
disincantato e antiretorico, e il tratto rapido e abbreviato, eppure dalla massima eloquenza. Sono
figure, queste di Lugli, ora colte in pose ravvicinate e immanenti - così Marietta Lugli - ora
costruite per linee diagonali, con un effetto di instabilità attimale - così Luisa Menotti - in
atteggiamenti quotidiani, senza traccia di mise in scéne. Prove dove il riserbo e la concisione
rammentano certe effigi di giovani donne fissate da Odoardo Borrani, ad esempio ne Le
cucitrici di camicie rosse del 1863 (Firenze, collezione privata), 21 o da Adriano Cecioni, come
ne Le ricamatrici del 1862 (Roma, raccolta privata). 22 Ancora, l'Autoritratto giovanile con il
cappello in testa (Carpi, Museo Civico), che si presume databile al giro d'anni attorno al '70, dal
piglio anticonformistico e quasi bohèmienne, mostra l'identificazione della forma nel colore; un
tessuto cromatico denso di materia, in cui domina la nota brillante del bianco del colletto,
mentre la luce batte sul volto, facendo emergere con perentorietà i lineamenti. Scorre sulle
superfici una piena luce diurna, facendo vibrare di valori tonali le pennellate stese con fare
sintetico e veloce.
La stessa prassi di lavoro dell'artista sembra rifarsi alle abitudini dei Macchiaioli. Come
loro Lugli dipinge su piccoli cartoni e tavolette, talora ricavate da scatole di sigari: lo studio per
la figura di Giotto fanciullo, preparatorio del saggio prodotto a Firenze per l'anno 1868-69
(Carpi, Museo Civico), è condotto sul coperchio di una scatola di Avana. Sono elementi che
paiono rivelatori di una sorta d'urgenza nel fermare idee compositive, di prendere appunti
visivi, in un atteggiamento mentale antiretorico e non accademico, bensì ricettivo verso le
sollecitazioni della natura e del vero, anzi, si vorrebbe dire, verso le impressioni. Eloquente di
questo clima mentale e operativo è il disegno a matita La mucca (Carpi, Museo Civico), di
grande energia nel tratto, del tutto privo di compiacimenti formali, come un quadretto ad olio
dall'analogo soggetto, rinvenuto nel corso di questo studio (Milano, raccolta privata). Sembra di
poter leggere, in questi esemplari, memorie da episodi di Fattori in particolare; lo stesso tema è
fra quelli prediletti dal grande maestro, i buoi al carro, che inizia a comparire nel suo repertorio
figurativo dall'esperienza di Castiglioncello, del 1867. Anche la Giovane donna in costume
laziale (raccolta privata), che Lugli fissa in un acquerello su carta, è soggetto caro a Macchiaioli
come Raffaello Sernesi, che aveva ritratto la Ciociarina in rosso (collezione privata),23 prima di
divenire uno degli spunti più frequentati dalla pittura di genere con coloriture etnografiche.
Mentre un episodio come Le trecciaiole (Carpi, raccolta privata), nella risentita semplificazione
quasi astraente delle tre figure di spalle, e nel ripetersi di quelle forme quasi uguali, può lasciar
ipotizzare la conoscenza di opere di Fattori sperimentatrici di reiterazioni quasi ritmiche, come
la tavola del 1850 con Soldati francesi (Milano, collezione privata). 24
Dopo un breve soggiorno in Roma, dal 1874 all'82 almeno - ma pare anche in altri
periodi successivi - Albano Lugli fissa la sua residenza a Reggio Emilia, ove prenderà parte a
importanti cantieri, da quello dei restauri delle pitture nelle volte del Santuario della Ghiara
all'altro della decorazione della cupola in San Prospero. E' inoltre documentato il suo impegno
in veste di ritrattista e di pittore di pale d'altare. Probabilmente, è in questo periodo che esegue
la vigorosa effigie del pittore e decoratore reggiano Giuseppe Ugolini.
Nonostante la relativa lontananza, Lugli mantiene sempre vivi i contatti con la città
natale: a Reggio lo raggiunge la prestigiosa ordinazione della pala con San Francesco che
20
Ripr. ivi, p. 115.
Ripr. in DE GRADA e Pittura '800, Milano 1989, p. 355.
22
Ripr. ivi, p. 364.
23
Ripr. in G. INTERSIMONE, Poetica di Raffaello Sernesi, Milano 1967, tav. XX.
24
Ripr. in I Macchiaioli, 1976, p.78.
21
7
riceve le stigmate per San Nicolò in Carpi; pala che verrà innalzata solennemente nel coro della
chiesa francescana nel 1883. Poco dopo, nel 1884, è la volta di un'altra importante
commissione, la grande tela con la Madonna del Carmine in gloria e i santi Sebastiano e
Fabiano per la parrocchiale di San Biagio in Palude, frazione di San Felice sul Panaro.25
L'artista vi rielabora il modulo compositivo della "sacra conversazione" rinascimentale,
ostentando così la radice accademica alla base del suo iter formativo; nel contempo, trapelano
gli assunti veristici nella connotazione ristrattistica dei due santi.
Il periodico carpigiano "Luce" darà notizia, il 9 marzo del 1890, della presenza dil Lugli
a un'Esposizione Artistica collettiva nelle Sale del Castello:
"il primo posto incontrastabile va dato ad Albano Lugli... che nella vicina Reggio
da alcuni anni vive, dove, sebbene non quanto meriterebbe, il suo ingegno, la sua
arte sono degnamente apprezzati. Ha esposto moltissimi quadri, la maggior parte
ritratti. La somiglianza grandissima , la giustezza del colorito, danno ai suoi
ritratti un grandissimo valore. Notiamo fra i tanti quelli... di Gaetano e Carolina
Grossi (propr. Grossi prof. Gaetano), il grande e bellissimo ritratto di Silvio
Baracchi (propr. Silvio tenente Baracchi), di Ciro Menotti (propr. Costante
Menotti), di Lavinia contessa Bonasi vedova Menotti (propr. Emilia Menotti
Foresti), quelli stupendi di Tomaso, Vittorio, Edvige e Alfonsino Benassi (propr.
Benassi dott. Vittorio)... di Emidio Govi bambino bellissimo (propr. Aniceto M.
Govi)... e quello semplicemente meraviglioso del libraio Bassi di Reggio
Emilia". 26
Certo è che, in Reggio, la frequentazione di Cirillo Manicardi, con il quale realizza gli
affreschi in San Prospero, dovette consolidare in Lugli la propensione al "verismo" nel settore
del ritratto - si veda, dell'autore reggiano, il N. H. Giovan Battista Venturi, databile attorno al
1890 (Reggio E., Museo Civico) -.27 Con Manicardi Lugli condivide l'intonazione poetica alla
Lega di certe scene domestiche. E' una pittura "degli affetti" che il carpigiano aveva fatto
propria, ad esempio, in Maternità (Carpi, raccolta privata), così prossima alle ambientazioni
borghesi leghiane, o in Interno rustico (Carpi, raccolta privata), con la moglie e la figlioletta
rappresentate nel calore della cucina di casa, in un clima non lontano da quello de La nonna,
sempre del pittore di Modigliana. 28 E alle vedute degli orti di Piagentina che Lega fissa dal
1861 Lugli pare ispirarsi nel Giardino della villa Benassi a Santa Croce di Carpi (Carpi,
raccolta privata), pervaso com'è da un'atmosfera quietamente evocativa di consuetudini
familiari.
Proprio la qualità interpretativa, di radice "macchiaiola" farà sì che la pittura di genere
di Lugli si conservi estranea quel gusto aneddotico di vasta fortuna, che nella stessa Reggio,
dalla fine degli anni sessanta, Gaetano Chierici andava proponendo con tanto consenso, specie
mercantile, seguito dai modenesi Eugenio Zampighi, Gaetano Bellei, Achille Boschi. I soggetti
familiari o quotidiani di Lugli sono, invece, sempre contraddistinti da uno spessore
sentimentale, un coinvolgimento emotivo che, oltre alla poetica di Lega, richiama quella di
Borrani, nonchè di autori sulla medesima scia; fra questi, in area emiliana, il parmense
Cletofonte Preti, autore de La culla, datata al 1874 (Parma, Accademia di Belle Arti) e il
piacentino Francesco Ghittoni, che dipinge La visita alla nonna nel 1881 (Piacenza, Galleria
25
Cfr. A. GARUTI, Albano Lugli, in Arte e Mirandola e nella Bassa modenese, a cura di G. Manni, Modena 1988,
p. 75.
26
"Luce", (Carpi) 9 marzo 1890.
27
Cfr. A. Davoli, Cirillo Manicardi pittore reggiano dell'ultimo Ottocento, Reggio Emilia 1938; Cirillo
Manicardi, catalogo della mostra, Reggio Emilia 1973.
28
Cfr. anche P. DINI, Silvestro Lega. Gli anni di Piagentina, Torino 1984.
8
Ricci Oddi), nelle stesse tinte di affettuoso intimismo. 29 D'altro canto, risulta che i dipinti di
Lugli inclini al genere godessero di una certa fortuna: il biografo Sammarini ne rammenta vari
sparsi per le case di Carpi, di cui circa una quarantina posseduti da certo tenente Silvio
Baracchi.
Sebbene che il rapporto di Lugli con la città d'origine fosse discontinuo, egli fu
coinvolto nelle maggiori imprese decorative di quel secondo Ottocento. Aveva esordito nel
1860 presso il cantiere del nuovo Teatro Comunale progettato da Claudio Rossi. Unico pittore
carpigiano a prestare la propria opera, vi aveva affrescato le pareti e il soffitto dell'elegante
Ridotto ovale, fra gli stucchi di Gaetano Venturi e Antonio Bernasconi, con Figure allegoriche
e Putti derivati dai modelli correggeschi della Stanza della badessa Giovanna Piacenza in San
Paolo a Parma. 30
Proseguiva poi nella tematica allegorica con testimonianze, notevoli sia numericamente
che per qualità, in case e palazzi carpigiani e ville della campagna limitrofa. Rappresentativi gli
affreschi nella villa già Stuffler, ora Pallotti, a Gargallo, progettata dall'ingegnere modenese
Cesare Costa; in una volta, condotta in collaborazione con Lelio Rossi per la parte ornatistica,
Lugli accampa una Primavera, nel chiaro ricordo della Flora di Carlo Cignani nella Galleria
Estense di Modena. Anche la Casa Ferrari Forti accoglieva in un soffitto un'immagine di Flora
librata in volo fra putti, secondo la migliore tradizione della scuola bolognese sei-settecentesca.
Sul medesimo registro di stile, un'altra Allegoria della Primavera prendeva forma nello
sfondato prospettico di una sala di casa Benassi su piazza Garibaldi. 31
A dar risonanza in patria al nome di Lugli contribuirono in modo precipuo le tante
commissioni a carattere chiesastico. Furono soprattutto i grandi affreschi a tramandare la fama
dell'artista, a partire dalla Proclamazione del Dogma dell'Immacolata Concezione, dipinta nel
catino del transetto sinistro in San Nicolò a Carpi, del 1871: coraggioso tentativo di attualizzare
gli stilemi dell'eredità decorativa emiliana. 32 Ragguardevole anche l'apporto alla decorazione
dell'interno della Cattedrale dell'Assunta, protrattasi dal 1874 al '90, su progetto di Lelio Rossi,
con Lugli e Forti nel ruolo di figuristi; spettano a Lugli vari tondi con Santi, immagini
connotate da un "verismo" dagli intenti storicistici alla Morelli, che si stagliano con plastica
evidenza contro uno sfondo d'azzurro smagliante. Sempre nel cantiere del Duomo, l'artista
curava la decorazione di uno dei due tempietti d'impianto ottagonale adibiti a sagrestie: sulle
pareti, entro le riquadrature di Lelio Rossi, riproduceva i Dottori della Chiesa dipinti da
Antonio Alberti, verso la metà del Quattrocento, nella cappella di San Martino della Sagra. 33
A questo punto, si presenta la questione del ventaglio dei modelli "storicizzati" a cui
l'artista rivolgeva il proprio interesse, modelli desunti dal passato, meditati nella frequentazione
di musei e monumenti, o noti attraverso stampe; tanto più che il tirocinio accademico
individuava proprio nella copia la prassi più idonea per l'apprendimento della tecnica figurativa.
Già s'è visto come fosse congeniale a Lugli la tradizione emiliana, a partire dagli alti prototipi
del Correggio, cui s'era rifatto per gli affreschi nel Ridotto del Teatro, probabilmente traendo
spunto - come ipotizza Alfonso Garuti - dalle incisioni prodotte dal celebre studio parmense di
Paolo Toschi che tanto avevano contribuito a divulgare l'opera del "pittore delle Grazie".
Ancora al Correggio si sarebbe rivolto nella copia della Madonna di san Gerolamo, su
ordinazione dell'imprenditore carpigiano Ludovico Benzi (Carpi, Museo Civico). Oltre che ai
saggi del Cignani, come s'è visto a proposito di suoi affreschi, Lugli si rivolge anche a un altro
29
Si veda, per tali autori, R. TASSI, La pittura emiliana dell'Ottocento, in Catalogo dell'arte italiana
dell'Ottocento, Milano 1986.
30
Cfr. GARUTI, 1982, pp. 47-48.
31
Cfr. GARUTI, in Terra e cielo, 1983, passim.
32
Cfr. A. GARUTI, in A. GARUTI, R. PELLONI, D. COLLI, San Nicolò in Carpi. Un modello del classicismo
emiliano, Modena 1992, p. 114.
33
Cfr. A. GARUTI, in D. COLLI, A. GARUTI, R. PELLONI, Un tempio degno di Roma. La Cattedrale di Carpi,
Modena 1987, pp. 32, 59.
9
protagonista del Seicento bolognese, Francesco Gessi, dalla cui Immacolata Concezione in S.
Nicolò trae copia per un quadretto destinato a una devozione domestica (Carpi, raccolta
privata). E attinge alla prestigiosa fonte reniana, nella copia del San Rocco in carcere
confortato da un angelo per la parrocchiale di Budrione di Carpi; va ricordato che la pala di
Guido Reni, ora nella Galleria Estense, aveva come antica ubicazione la chiesa carpigiana di
San Bernardino. E un simile episodio di attenzione verso le testimonianze dell'arte locale non
sarebbe rimasto isolato, nel catalogo di Lugli.
Un capitolo peculiare è anzi costituito dagli studi sulle pitture del Quattrocento e dei
primi del Cinquecento, che dovettero comparire fra le "molte copie [da quadri] di sommi
pittori" ricordate dal Sammarini. 34 Anche sulla scorta del primo indirizzo di gusto impressogli
in Firenze da Pollastrini, Lugli si accostò con speciale passione ai dipinti dei "primitivi"
superstiti nell'antica capitale dei Pio. In tale spirito sono da interpretarsi le copie dei Dottori
della Chiesa spettanti ad Antonio Alberti, già citate, nonché le altre copie di alcuni ritratti di
personaggi - fra questi, emblematicamente, Alberto III Pio - effigiati da Bernardino Loschi
(Parma 1460 ca. - Carpi 1540) ai primi del Cinquecento nella Cappella del Castello. Ancora di
Loschi, Lugli copiava la tavola del San Rocco in San Nicolò per la cappella Molinari nella
frazione di Santa Croce. Da tanto traspare un'ammirazione quasi nostalgica verso le glorie
artistiche locali e il passato illustre della Carpi del Rinascimento, che lo storico Hans Semper
andava facendo conoscere a livello europeo con il suo volume Carpi, ein Furstensitz der
Renaissance (Carpi, una sede di principi nel Rinascimento), stampato a Dresda nel 1882; quella
Carpi che Achille Sammarini, nella sua attività di ingegnere-architetto, andava studiando e
restaurando. 35 La si vorrebbe anzi ritenere un'operazione, questa a cui Lugli partecipa, volta alla
ricerca di un peculiare genius loci - riconosciuto primariamente nella capitale del principe
umanista Alberto Pio - per rinsaldare la propria identità di "municipio", orgoglioso di tradizioni
e di valori propri, in quella critica temperie post unitaria.
Nel capitolo delle "glorie locali" Lugli include, oltre ad Alberto Pio, anche Ciro Menotti,
attorno alla cui figura di patriota s'andava creando, nella temperie successiva al Risorgimento,
un celebrativo apparato iconografico. E ampia fortuna nella storiografia avrebbe riscosso il suo
dipinto dal titolo Le ultime ore di Ciro Menotti (Carpi, raccolta privata), che palesa l'intento di
obiettiva ricostruzione storica.
Mentre l'opera di frescante e di pittore di tele chiesastiche lo impegnava pressoché
costantemente, il versante della ritrattistica registrava l'attenuarsi delle istanze innovative che
avevano alimentato il suo linguaggio di stile. E' in questo frangente di cultura che l'autore
attinge dal lessico di Adeodato Malatesta, quale s'esprime, ad esempio, nella Famiglia
Guastalla del 1869 (Modena, Galleria Estense), ove un "verismo" alla toscana è corroborato dal
modello fotografico, 36 o in testi di grande misura interpretativa, come il Ritratto di Carlotta
Pozzi Dall'Oca datato al 1875. 37 Modi che vengono allora raccolti, ma con fare più
compendiario, anche nella rara ritrattistica del modenese Eugenio Zampighi, radicatosi però in
Firenze. Piuttosto, quel tono improntato dal lusso borghese, nel gusto dell'Italia umbertina, che
pervade molti ritratti di Lugli a quest'epoca ha riscontro nella parallela opera di un altro pittore
di Modena, Gaetano Bellei, che pure aveva alle spalle lunghi soggiorni fiorentini; un saggio di
Lugli come la Signora Rosa Nicolini Benzi, del 1896 (Modena, raccolta privata), nella sua
34
A. SAMMARINI, in Appendice documentaria.
Su tale contingenza di cultura carpigiana cfr. A. GARUTI, 1995, passim; A. GARUTI, Il Palazzo dei Pio di
Savoia nel "Castello" di Carpi, Modena 1983; A. BIONDI, Pietro Foresti tra erudizione e collezionismo nella
Carpi di fine Ottocento, in Fondazione Umberto Severi. Arte Antica, a cura di J. Bentini, Modena 1991, pp. 24-25.
36
. Cfr. G. MARTINELLI BRAGLIA, La ritrattistica, in Adeodato Malatesta, 1998.
37
Ripr. in G. GUANDALINI, Pittori modenesi dell'Ottocento, catalogo della mostra, Modena 1966, p. 2.
35
10
rassicurante imponenza consuona con tele di Bellei quali I coniugi Palazzi, del 1894, e la N. D.
Rovighi (Modena, Museo Civico). 38
E' questo il periodo in cui Lugli recupera il discorso di Antonio Ciseri, dal lucido
"verismo" ben dichiarato nel Ritratto di Caterina Ciseri Curadossi del 1885 (Firenze, Galleria
di Palazzo Pitti); un fraseggio che avrà riscontro nel rigore definitorio con cui il carpigiano
realizza la coppia di ovali con Luigi Praudi e la consorte Elvira De Pietri Tonelli (Carpi, Museo
Civico) ormai verso il 1890, e la bella immagine di Ludovico Benzi in veste di cacciatore, del
1896 (Modena, raccolta privata). E se l'oggettiva verosimiglianza, quasi fotografica, dei ritratti
di Ciseri andrà per qualche verso fatta risalire alla lucida sistematicità del nascente positivismo,
certo è che l'occhio disincantato di Lugli ritrattista appare quanto mai adeguato alla realtà
pragmatica della Carpi di fine secolo, dei suoi imprenditori e dei suoi possidenti terrieri. 39
Elemento caratteristico del corpus dei ritratti di Lugli scalati nell'inoltrata fase dagli anni
ottanta in poi è la sempre più risentita influenza della fotografia. In ambito modenese, sin dalla
fine del sesto decennio Adeodato Malatesta aveva utilizzato per l'attività ritrattistica l'ausilio di
riproduzioni fotografiche, non esitando a tentare formule ibride fra pittura e sperimentazioni
ottiche. Ma mentre il confronto stringente con le potenzialità della fotografia induce Malatesta a
elaborare un maggior pittoricismo e una più vivace e mossa conduzione stilistica - così
nell'Autoritratto della Galleria Estense, ricavato da una stampa all'albumina dello studio
modenese di Ruggero Porta.40 Ecco che Albano Lugli nel suo catalogo di derivazione
fotografica tende invece a conservare tutta la fedeltà otticistica della riproduzione. Questo, si
crede, accondiscendendo alle richieste di una committenza dalle precise esigenze di
rappresentanza e di autodocumentazione.
E' una contingenza di mestiere che Lugli condivide con altri autori modenesi coevi: da
Narciso Malatesta, interprete delle istanze "veriste" sulla scia del padre Adeodato, a Giuseppe
Goldoni - autore dell'effigie della Contessa Adele Ricci Campori del 1880, dal palese modello
fotografico (Modena, Raccolta d'Arte della Provincia) 41 - da Eugenio De Giacomi ad Achille
Boschi, ritrattista ambito nella Modena fin de siécle, con prove come il Marchese Molza di
evidente fotograficità (Modena, Camera di Commercio). L'esigenza di restituire con assoluta
adesione il dato fenomenico, grazie a un'abilità che si vorrebbe definire mimetica, è d'altro
canto largamente condivisa, in quel torno d'anni fra Otto e Novecento: gli scrupoli di Lugli
paiono i medesimi, ad esempio, che emergono dai ritratti del ferrarese Giuseppe Mazzolani
dell'ultimo ventennio del secolo, come quelli dedicati a esponenti della nobile famiglia Massari
(Ferrara, Galleria d'Arte Moderna). 42
Si va così evidenziando come la qualità della committenza sia cruciale nel determinare
gli assunti di stile dell'opera di Lugli. A lui si rivolgono, in Carpi, gli esponenti del patriziato e
della borghesia, sia il tradizionale ceto dei proprietari terrieri che l'altro, di più recente
formazione, degli imprenditori, specie del truciolo, la tipica lavorazione locale della paglia. La
"galleria" dei ritratti dell'artista accoglie così le effigi dei maggiorenti cittadini: la nobiltà
agraria dei Meloni, dei Bonasi, dei Paltrinieri, industriali del truciolo come Giuseppe Rebuttini,
Luigi Praudi e la consorte Elvira De Pietri Tonelli, Ludovico Benzi e la moglie Rosa Nicolini,
Eligio Casarini, Angelo Menotti, nipote del patriota Ciro nonché proprietario della fabbrica più
importante, i Bagni, i Ferrazzini; e ancora, figure di spicco quali il pittore Carlo Grossi, il
38
Cfr. G. MARTINELLI BRAGLIA, Gaetano Bellei (1857-1922), catalogo della mostra, Galleria MB, Modena
1996, p. 22.
39
Per la ritrattistica di Antonio Ciseri cfr. A. BABONI, La pittura toscana dopo la macchia. 1865-1920:
l'evoluzione della pittura del vero, Novara 1994, pp. 154-157, testo utile anche per l'inquadramento del clima post
macchiaiolo.
40
Cfr. G. MARTINELLI BRAGLIA, La ritrattistica, in Adeodato Malatesta, 1998.
41
Per tale situazione figurativa si veda G. MARTINELLI BRAGLIA, Ottocento e Novecento a Modena nella
Raccolta d'Arte della Provincia, catalogo, Modena 1997.
42
Cfr. R. VARESE, Arte e copia tra Otto e Novecento. I Mesi di Schifanoia nei dipinti e disegni di Giuseppe
Mazzolani, catalogo della mostra, Ferrara 1989, pp. 33-40.
11
farmacista e colto committente Luigi Lugli, il canonico della Cattedrale don Emilio Bulgarelli,
l'erudito e storico don Ettore Tirelli, le signore Carolina Coccolesi e Maria Pia Govi,
quest'ultima consorte dell'imprenditore Giuseppe, i benefattori del locale Ospedale Civile,
personaggi delle famiglie Garuti, Chicchi, Lugli, Foresti e altri ancora.
Nella cerchia degli artisti conterranei, Albano Lugli è colui che più fedelmente riflette
l'immagine della coeva società carpigiana, talora acuto indagatore della qualità individuale dei
suoi modelli, sempre accuratissimo nel fissare note di costume, abiti, gioielli, indizi tutti di una
determinata collocazione in seno alla comunità cittadina. Per portare un esempio soltanto,
innegabile è il valore documentario dei ritratti di Ersilio Bagni e della moglie Emilia Ferrazzini
(Carpi, Museo Civico), appartenenti a ragguardevoli famiglie di industriali del truciolo: l'artista
li raffigura nell'opulenza delle loro vesti nuziali, secondo gli stilemi dell'effigie "da parata"
confluiti nel linguaggio della fotografia, a tramandare la memoria di un evento non soltanto
personale ma con risvolti di ostentazione e di prestigio mondano.
Anche il N. H. Pietro Foresti, industriale del truciolo ma soprattutto noto protagonista
del collezionismo aristocratico carpigiano, intrattenne contatti con Lugli. 43 Dal suo palazzo di
via San Francesco, ecletticamente strutturato in stile neorinascimentale da Achille Sammarini,
proviene di Lugli una piccola Madonna col Bambino, che Foresti volle donare al Museo Civico
nel 1913, nell'ambito di una cospicua devoluzione d'opere della sua raccolta, in vista
dell'apertura dell'istituto, nel 1914. Assieme a quel quadretto, egli donava anche un disegno in
cui Lugli aveva riprodotto due ritratti di dame d'epoca settecentesca, in vendita a Mirandola, per
esibirne il possibile acquisto al nobile collezionista, come s'evince dalla scritta sul foglio datata
al 1904. Dunque, includendo saggi di Lugli nella sua donazione al Museo, Foresti riconosceva
all'artista un ruolo importante nella locale cultura figurativa.
Non di meno, la Carpi più umile trova in Lugli un interprete sollecito e sensitivo:
eloquenti in tal senso risultano quadri come La poverella (Carpi, Municipio), che evita cadute
nel generismo per una certa consapevolezza nei confronti della "questione sociale", e l'Episodio
di Cecilia da “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni (Carpi, Museo Civico) che, sotto le
spoglie del soggetto storico-letterario, è sostenuto da una prosa "verista" di matrice toscana.
Una luce vibrante, a "macchia", filtrerà anche in opere del più tardo catalogo dell'artista,
come il Fabbricato delle Zitelle e il terrapieno delle mura a Carpi (Carpi, Museo Civico), un
olio su cartone la cui essenzialità poetica sembra echeggiare quella di certi paesaggi urbani di
Giuseppe Abbati, quali la Stradina al sole del 1863 (Milano, collezione Jucker) o Il Mugnone
alle Cure del 1865 (Milano, collezione privata),44 ma di anche pagine di Lega come Il bindolo
(raccolta privata).45 Si assiste al rifiuto dello scorcio piacevole o della veduta pittoresca;
semplicemente, Lugli vuole fissare una visione quotidiana, nel riverbero caldo della luce estiva.
Il colore solare sembra quasi assorbire le figure, mentre rende concrete le ombre come le
presenze che le proiettano: ogni cosa pare ridotta alla sua essenza. Lo stesso formato, dallo
sviluppo orizzontale, rammenta quello dei supporti delle opere macchiaiole: è una dimensione
descrittiva, che suggerisce tempi lunghi nel contemplare, nell'evocare alla mente un ricordo,
un'intuizione. Opere come questa, o come i piccoli oli del Filare di pioppi nella bassa pianura
modenese o del Paesaggio appenninico (raccolta privata), sembrano proseguire quella ricerca di
verità senza filtri estetizzanti, al di fuori dei formalismi dell'accademia, puntando dritto a un
"vero" scarno ed essenziale: momenti che l'artista si vorrà concedere, a margine del catalogo
ufficiale, ritrovando così altri climi e altre atmosfere intellettuali, quelle appunto della
sperimentazione giovanile, all'ombra dei grandi Macchiaioli.
43
Sulla figura di Pietro Foresti cfr. il saggio di A. BIONDI in Fondazione Umberto Severi, 1991.
Ripr. in DE GRADA, 1989, pp. 352, 353.
45
. Ripr. in P. DINI, 1984, p. 126.
44
12
I saggi accademici
Giotto fanciullo che disegna la pecora. 1868-69
bozzetto parziale
olio su tavola, cm. 18,3 x 28,3
firmato "Albano Lugli"
Carpi, Museo Civico
Giotto fanciullo che disegna la pecora. 1868-69
modelletto
olio su tela, cm. 11 x 18
Carpi, Museo Civico
Il bozzetto, con il brano della testa e del busto, entrò nel Museo Civico con l'importante
donazione di don Ettore Tirelli nel 1914; il modelletto è invece dono di Giannino Grossi, figlio
del pittore Carlo Grossi amico del Lugli, nel 1968.
Vinto il pensionato ministeriale a seguito di concorso tenutosi in Bologna, Albano Lugli
compiva il suo pensionato di studio presso l'Accademia di Firenze. Questi elaborati sono
preparatori del saggio per il biennio 1868-69, che l'artista era tenuto a produrre e a consegnare
all'Accademia di provenienza, nel suo caso quella di Modena. La versione definitiva è tuttora
conservata presso l'Istituto d'Arte "A. Venturi" di Modena, già Accademia di Belle Arti. Il
carattere di "studio dal vero" del saggio è comprovato dal confronto di questi dipinti, che
mostrano fasi dell'iter creativo del saggio.
Il soggetto tipicamente accademico, nel filone delle biografie degli artisti - ben radicato
in ambito fiorentino, in una sorta di autocelebrazione della figura dell'artista e del proprio
passato culturale - è da Lugli rivitalizzato in un approccio diretto sul dato reale, sintomo di una
maturazione degli assunti più innovativi, quelli espressi dalla cerchia dei Macchiaioli. Tutta la
freschezza di un'idea velocemente fissata all'impronta, a larghi tratti, brilla nella tavoletta,
dominata dal rosso intenso della giubba del fanciullo; tavoletta che altro non è che il coperchio
di una scatola di sigari Avana. Mentre la tela, nella rapida ma efficace descrizione
paesaggistica, rivela una consuetudine con un "vero" colto fuori dalle aule dell'accademia.
C. CONTINI, Opere pervenute in dono al Museo Civico e al Museo della xilografia, Carpi 1969, p. 3; A.
GARUTI, Opere d'arte restaurate al Museo Civico, catalogo della mostra, Carpi 1980, p. 37; L. FRIGIERI
LEONELLI, Pittori modenesi dell'Ottocento, catalogo della mostra, Modena 1986, p. 105; A. GARUTI, Carpi.
Museo Civico "Giulio Ferrari". I dipinti, Bologna 1990, p. 115; G. MARTINELLI BRAGLIA, Albano Lugli, in La
pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, II, p. 888; G. MARTINELLI BRAGLIA, Albano Lugli (1834-1914),
un pittore nella Carpi tra Otto e Novecento, in Alfredo Bertesi e la società carpigiana del suo tempo, Atti del
Convegno Nazionale (Carpi 1990), Modena 1993, p. 429;
Le porte del Ghiberti. 1869-70
bozzetto
olio su carta, cm. 31 x 21,5
firmato
Carpi, Museo Civico
Le porte del Ghiberti
olio su tela, cm. 148 x 115
Carpi, Museo Civico
Il bozzetto fu donato al Museo da don Ettore Tirelli nel 1914; l'altra versione giunse
tramite la donazione di mons. Silvio Sabbadini nel 1925.
Il soggetto, dal titolo originale "Lorenzo Ghiberti in atto di far vedere il bozzetto, che sta
modellando, pel concorso delle porte del Battistero di Firenze", è quello del saggio di
13
pensionato presso l'Accademia di Firenze, compiuto da Lugli per il biennio 1869-'70,
conservato come la prova del biennio precedente, Giotto fanciullo che disegna la pecora,
nell'Istituto d'Arte "A. Venturi" di Modena.
Anche in questo caso, il tema si colloca nell'alveo del "romanticismo storico",
radicatissimo nel milieu fiorentino. Sia nel bozzetto che nella successiva versione l'esito è
indubbiamente cospicuo: superato il mero illustrativismo, l'autore tende alla definizione di
un'atmosfera e degli stati d'animo, mediante suggestivi effetti luministico-spaziali. In
particolare, è la luce che filtra dalla grande bifora, e che s'irradia nella penombra dell'interno a
conferire alla scena valenze evocative. Tanto richiama soluzioni care, in questi stessi anni, a
Giuseppe Abbati e soprattutto a Federico Zandomeneghi - di quest'ultimo si veda il Palazzo
Pretorio di Firenze, del 1865 (Venezia, Ca' Pesaro) - dove la regia chiaroscurale orchestra
interni pervasi da una malinconica poesia.
G. GUANDALINI, Mostra retrospettiva di Albano Lugli, catalogo della mostra, Carpi 1966, p. 17; GARUTI,
1980, p. 38; GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 115; MARTINELLI BRAGLIA, 1991, p. 888;
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, p. 429; G. MARTINELLI BRAGLIA, in corso di stampa.
14
Testa di vecchio
matita, carboncino e biacca su carta color bruno, mm. 380 x 282
firmato in basso a destra
Carpi, Museo Civico
Il disegno giunse al Museo Civico con la donazione di don Ettore Tirelli del 1914.
Episodio di ragguardevole qualità, va fatto risalire, come ipotizzava Alfonso Garuti, al
momento giovanile, probabilmente quello del pensionato all'Accademia fiorentina, sotto la
guida di Enrico Pollastrini, considerando la cifra "purista" che trapela dal dettato stilistico.
E in effetti, questo studio di figura d'anziano personaggio di tre quarti, in vesti d'epoca
(medievali?) si ambienta in un clima accademico, quello delle figure in posa, delle copie dai
panneggi fedelmente ripresi nei ricaschi e nelle piegature, di cui s'indagano le zone d'ombra e si
rilevano quelle battute dalla luce, delle cosiddette "teste di carattere", nel cui novero questa
senz'altro rientra; e soprattutto di un "vero" già artificiosamente composto, e successivamente
filtrato, al momento della sua restituzione grafica o pittorica, attraverso il codice formale
desunto dai grandi modelli del passato artistico.
Peculiare è la finezza di conduzione dell'opera, di una compiutezza "pittorica": l'uso
della biacca, dall'accentuato contrasto con il colore bruno del foglio, rileva il profilo e la barba
con analiticità quasi lenticolare, e scivola sul pesante tessuto del manto, restituendo il battito
luministico, mentre il carboncino ben rende la penombra sulla tempia e alle spalle del
personaggio, nonchè la morbida consistenza, come di velluto, del copricapo di foggia antica. La
matrice accademica si rivela anche nella perspicuità nel cogliere sul volto i moti dell'animo,
quegli "affetti" cari all'estetica del romanticismo.
A. GARUTI, Disegni di artisti carpigiani dell'Ottocento nelle raccolte del Museo Civico di Carpi, catalogo della
mostra, Carpi 1981, p. 6.
La ritrattistica
Autoritratto. 1857
olio su cartone, cm. 15,5 x 14
firmato "A. Lugli"; datato 1957
Carpi, Museo Civico
Brano di forte immediatezza, instaura un rapporto diretto con il riguardante, anche per
via di quello sguardo perentorio, adombrato dalla tesa del cappello. E lo stile è abbreviato e
conciso, eppure efficacissimo: è fatto di pennellate sicure, lasciate in evidenza, come nel rigido
colletto bianco, mentre la "macchia" traduce felicemente la dialettica chiaroscurale. Anzi, il
risentito contrasto fra luce e ombra pare conferire alle sembianze dell'artista ulteriore intensità
umana.
Quanto mai precoce è questo punto di stile, in linea con i più aggiornati sviluppi della
pittura toscana che preludono ai modi dei Macchiaioli; tanto nella conduzione tecnica e
nell'approccio interpretativo, nonché nell'idea del parato a righe sullo sfondo. E appunto una
simile invenzione ottiene l'esito di sbalzare con vigore l'immagine verso l'esterno.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 114; Giovanni Muzzioli, catalogo della mostra a cura di E. Pagella e L.
Rivi, Modena 1991, p. 13.
15
Ritratto di Giuseppe Rebuttini. 1860
olio su tela, cm. 23,5 x 17
firmato e datato sul retro
Carpi, Museo Civico
Il dipinto fu donato da Giuseppe Nicolini nel 1948.
Vi è raffigurato l'industriale del truciolo Giuseppe Rebuttini. Personalità sensibile ai
temi storico-culturali della Carpi di fine secolo, negli anni '90 avrebbe presieduto un comitato
per erigere un monumento a Nicolò Biondo, "ideatore" della manifattura del truciolo. Fu
intrinseco dell'ambiente imprenditoriale più investito da interessi civici e intellettuali,
l'ambiente di Giuseppe Menotti, del collezionista Pietro Foresti, dell'erudito Alessandro Spinelli
(cfr. A. BIONDI, in Fondazione Umberto Severi. Arte antica, a cura di J. Bentini, Modena
1991, p. 27). Achille Sammarini riporta, nella sua biografia di Lugli, che Rebuttini era il
proprietario della sua nota tela di Alberto Pio e Ludovico Ariosto.
Dal versante stilistico, è saggio del periodo giovanile, chiaramente debitore agli esempi
dei Macchiaioli, anche nel tono privo d'ogni retorica e nell'atteggiamento colloquiale e
disinvolto. Di particolare raffinatezza è la gamma cromatica sui bruni, i neri e i grigi, con la
chiara nota della camicia su cui si spicca - prezioso dettaglio - un bottone grigio-azzurro.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 123.
16
Testa di bimba. 1861
matita su carta, cm. 11 x 8
firmato in basso a sinistra
Carpi, proprietà privata
Il disegno possiede tutta l'immediatezza di uno studio dal vero, e dimostra come, già a
questa precoce data, Albano Lugli intendesse sottrarsi ai canoni accademici a favore di un
naturalismo sperimentato sul reale. E si coglie fin d'ora, in questo gentile profilo di bambina
dalla treccia passata attorno al capo, con il fazzoletto annodato al collo, quel sentimento di
partecipazione, quella poetica "degli affetti" che sarà peculiare dell'artista nei suoi futuri dipinti
di genere.
Ritratto di Luigia Govi
olio su carta, cm. 20 x 14, ovale
Carpi, Museo Civico
Tuttora racchiuso nell'originale cornice in stucco dorato, il dipinto giunse quale dono di
Eliseo Govi nel 1942, assieme al pendant illustrato nella scheda successiva.
Esponente di una nota famiglia carpigiana, Luigia (Carpi 1844 - ?), figlia di Teonesto e
di Cecilia Grossi, fu apprezzata pianista, come musicisti furono alcuni suoi fratelli: Aniceto
(Carpi, 1850 - 1909), noto rappresentante del mondo culturale carpigiano, che sposò Maria
Foresti, e Luigi (Carpi 1846 - 1877), suonatore di corno, di cui il Museo possiede un piccolo
ritratto su tela, desunto da un modello fotografico, esso pure donato da Eliseo Govi (cfr. G.
GOVI, Storia di una famiglia. I Govi, Bologna 1996).
L'ovale è da accostarsi, per sobrietà interpretativa e per tratti di stile, a effigi come
quelle di Giuseppe Rebuttini e di Marietta Lugli, e può essere pertanto collocato nel settimo
decennio del secolo. E' all'impronta del medesimo tono cordiale, anche se la misura umana del
personaggio sembra ancor più profondamente scandagliata. L'orbita di simili opere appare pur
sempre quella dei Macchiaioli, la cui influenza traspare nelle larghe stesure cromatiche, specie
nel volto, che si anima nella dialettica chiaroscurale.
Come di consueto, nonostante il fare abbreviato Lugli non rinuncia a un gusto narrativo:
descrive l'artista la veste a righe su toni grigio-bruni, completata dal nastro in velluto nero, e il
pendente all'orecchio, nota discreta di un'eleganza borghese.
GUANDALINI, 1966, p. 29;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 122.
Ritratto di Maria Govi
olio su carta, cm. 20 x 14, ovale
Carpi, Museo Civico
L'opera, entro la pristina cornice in stucco dorato, fu donata al Museo da Eliseo Govi nel
1942.
La ritrattata appartiene alla medesima famiglia di Luigia (cfr. scheda precedente), di
cospicua borghesia carpigiana.
Per motivi stilistici il dipinto è da ritenersi coevo al precedente, e quindi situabile
attorno al 1870. E' palese l'intonazione toscana, nella qualità della stesura pittorica, a evidenti
"macchie" di luce e d'ombra che definiscono le superfici e i volumi. E si può definire toscano
anche il timbro privo di retorica, e anzi "domestico" di quest'immagine di giovane donna, colta
in abiti quotidiani, l'avambraccio appoggiato con gesto familiare allo schienale della sedia, le
dita intrecciate, sul volto un'espressione pensosa.
GUANDALINI, 1966, p. 29;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 122.
17
Ritratto di Marietta Lugli. 1867
olio su cartone, cm. 27 x 20
firmato e datato 1867
Proprietà privata
L'opera restituisce le sembianze della sorella dell'artista, Marietta. Il timbro colloquiale
e diretto con cui si propone il personaggio, accostante e al tempo stesso riservato, come assorto
in un lontano pensiero.
La stesura del colore, abbreviata e di corposa sostanza, definisce forme e volumi. In
questa tela, eseguita a Firenze nel 1867, si palesa tutta l'adesione dell'artista al linguaggio dei
Macchiaioli; quello espresso, ad esempio, dal Ritratto della cugina Argia dipinto da Giovanni
Fattori nel 1861 (Firenze, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti).
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, pp. 430 e 436.
Ritratto di Luisa Menotti
olio su tela, cm. 35 x 31
Carpi, Museo Civico
L'opera fu donata da Giuseppina Frignani Menotti nel 1920.
Luisa Menotti, appartenente alla famiglia d'industruali del truciolo da cui era nato il
patriota Ciro, è raffigurata con grande semplicità, pur restituendo con cura i dati di costume: la
giacca azzurra con gli alamari dorati, che segue la moda "alla zuava", la spilla ovale alla
chiusura del colletto, lo scialle, appoggiato allo schienale della sedia. In attitudine serena e
colloquiale, anzi colta in un lieve reclinare del capo, come in atto di interloquire, la giovane
signora sembra compiutamente rappresentare la solida e sobria borghesia carpigiana del
secondo Ottocento.
Appaiono superati i canoni della ritrattistica ufficiale, a cui aveva dato autorevole voce
in loco Adeodato Malatesta; varrà il confronto con la sua Polissena Menotti del 1869 (Roma,
Galleria Nazionale d'Arte Moderna), impostata su un modulo aulico derivato dalla tradizione
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cinque-seicentesca, con echi della ritrattistica inglese del secolo diciottesimo, di Reynolds in
particolare. Nella tela del Lugli, il tendaggio perde ogni connotazione di solennità per divenire
semplice elemento di equilibrio compositivo.
Datata da Alfonso Garuti attorno al 1870, per dati di storia del costume, l'opera si pone
in sintonia con episodi di Silvestro Lega come La lettura, della metà degli anni '60 (Roma,
proprietà privata) e il Ritratto di Isolina Cecchini del 1869 (Firenze, proprietà privata),
aderendo a quell'intonazione intimistica e nel mentre familiare, oltre che alla ricerca di uno stile
essenziale, esente da decorativismi. E già sono evidenti la maturazione della poetica di Lugli e
il suo orientarsi verso Macchiaioli.
GARUTI, 1979, p. 29;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 123;
MARTINELLI BRAGLIA, 1991, p. 888;
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, pp. 430-431 e 436.
Ritratto di Maria Pia Govi
olio su tela, cm. 50 x 40 ?
Carpi, proprietà privata
E' inedito questo dipinto, che raffigura una signora di ragguardevole famiglia carpigiana,
Maria Pia Govi, consorte di Giuseppe, nota figura d'imprenditore, dapprima proprietario di una
drogheria, poi di una fabbrica di turaccioli e infine del noto locale "Arlecchino", nel porticato
sull'odierna piazza Martiri. Sempre per la famiglia Govi, l'artista aveva eseguito i ritratti di
Luigia e di Maria, conservati nel Museo Civico di Carpi.
L'opera è un notevole esempio della ritrattistica appunto di carattere familiare e
borghese di cui Lugli esercitò in Carpi una sorta di monopolio.
inedito
Ritratto di Nando Foresti
olio su tela, cm. 38 x 28, ovale
firmato
Carpi, Museo Civico
La tela fu acquisita al Museo tramite la donazione di Maria Foresti nel 1942.
Collocabile verso il 1870 per analogie di stile con opere quali il Ritratto di Marietta
Lugli, questo ovale raffigura il piccolo Nando Foresti, appartenente alla famiglia del nobiluomo
Pietro Foresti, imprenditore del truciolo, noto come collezionista e colto amateur d'arte (cfr. La
Raccolta Severi. Le opere antiche, 1991, cit.).
Il ritrattino palesa l'accostamento al linguaggio di Silvestro Lega, non soltanto dal
profilo esecutivo, ma anche per l'interpretazione naturalistica, secondo una prosa familiare e
coinvolta. Sulla sinistra della tela, indicativamente Lugli ha apposto, sotto la firma, la scritta
"dal vero". La sensibilità coloristica dell'autore detta il biancore del colletto, appena impregnato
d''ombra, e il gradevolissimo motivo a quadretti dell'abito, sui timbri del rosso e del bruno.
GUANDALINI, 1966,
GARUTI, 1979, p. 31;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 122;
MARTINELLI BRAGLIA, La pittura dell'Ottocento in Emilia Romagna, 1991, I, p. 31;
MARTINELLI BRAGLIA, 1991, II, p. 888;
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, p. 430.
Ritratto d'ignoto
olio su tela, cm. 44 x 34
Carpi, proprietà privata
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Con grande rigore stilistico, Lugli mira a una semplificazione formale, a un'essenzialità
espressiva che ne denunciano l'attenzione verso i modelli dei Macchiaioli, e di Lega in primis.
E' un episodio, questo, prezioso per ricostruire un itinerario artistico che, in questi anni
giovanili, si definisce svincolato dall'egemonia di autorevoli maestri come Adeodato Malatesta
e Luigi Asioli.
inedito
Autoritratto con cappello. 1876
olio su carta, cm. 20 x 15, ovale
Proprietà privata
Nell'opera, datata al 1876, l'artista si è raffigurato dunque poco più che quarantenne.
Alla grande semplicità del linguaggio, Lugli coniuga un uso sapiente del modulo compositivo e
del partito luministico: un netto taglio di luce illumina la metà del volto e imprime una
singolare drammaticità all'immagine. Ma è soprattutto lo sguardo, diretto, intenso, indagatore, a
dominare il dipinto, che diviene pagina di un racconto esistenziale.
Ritratto di bimba
olio su tela, cm. 20 x 15
firmato nella montatura
Modena, proprietà privata
L'inedito ritrattino di questa bimba, in abito celeste-azzurro, orlato da una ruche di pizzo
nello scollo, si presenta come pagina di grande freschezza, unita alla concisione formale propria
delle migliori realizzazioni dell'artista.
La conduzione stilistica ribadisce dunque la vicinanza ai modi dei Macchiaioli. Per
meglio evidenziare tale scelta, servirà il confronto con ritratti infantili, come Bimba col gattino,
del modenese Gaetano Bellei, coevo a Lugli, improntati da un ben diverso e più accattivante
pittoricismo (cfr. vari esemplari ripr. in G. MARTINELLI BRAGLIA, Gaetano Bellei, catalogo
della mostra, Modena 1996, p. 46 e passim).
inedito
Ritratto di Carlo Grossi. 1877
matita su carta, mm.200 x 130
firmato, con scritta "schizzo estemporaneo / del ritratto del pittore Carlo Grossi / ventenne, fatto
dall'amico pittore / Albano Lugli di Carpi"
Carpi, Museo Civico
E' dono di don Ettore Tirelli, del 1918.
E' databile al 1877, sulla base del calcolo dell'età di Carlo Grossi, allora ventenne, che si
sa nato nel 1857. Come proponeva Alfonso Garuti, il disegno fu poi sviluppato da Lugli nel
dipinto che raffigura l'amico pittore seduto su una sedia, in positura perfettamente frontale
(Carpi, Museo Civico; vedi scheda successiva). Fu inoltre utilizzato anche per un altro ritratto,
dal taglio più ridotto.
E' rapidissimo schizzo, appunto "estemporaneo", abbozzato con poche linee di contorno
entro cui si compone con sapienza l'ombreggiatura a tratteggio; eppure, quanto mai sottile e
penetrante è la resa non soltanto della fisionomia e del carattere più intimo del ritrattato, ma
anche di un'atmosfera esistenziale, certamente dal Lugli stesso condivisa.
La fama di Carlo Grossi è legata al ciclo pittorico presso Palazzo Foresti, ora Severi, di
Carpi, e in particolare al salotto ove, su pannelli parietali, raffigurò fra il 1894 e il '95 le Fasi
del giorno e della notte, suggestive visioni simbolistiche espresse nella più gentile Art
Nouveau. Una carriera, questa di decoratore, che l'artista proseguì con successo in ambito
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lombardo; a tale capitolo appartiene la decorazione della cupola nella basilica di San Giovanni a
Busto Arsizio, attorno al 1906, di cui rimangono i bozzetti preparatori nel Museo Civico di
Carpi. Ivi sono pure conservate una Veduta di San Nicolò a Carpi, nature morte e composizioni
floreali, per le quali l'autore fu particolarmente apprezzato; una sua tela con Fiori, sempre
nell'usuale registro di decorativismo Liberty, è esposta presso il Palazzo Comunale di Modena
(in Il Palazzo Comunale di Modena, a cura di G. Guandalini, Modena 1985, pp. 242-243).
A. GARUTI, Disegni di artisti carpigiani dell'Ottocento nelle Raccolte del Museo Civico di Carpi, catalogo della
mostra, Carpi 1981, p. 7.
Ritratto di Carlo Grossi. 1877
olio su tavola, cm. 27 x 21
firmato e datato 1877
Carpi, Museo Civico
E' dono di Giannina Contarelli.
Ha il sapore di una boheme di giovani artisti questo ritratto che raffigura il ventenne
pittore Carlo Grossi (Carpi 1857 - Milano 1931), che in quegli anni esordiva nel campo della
decorazione d'interni oltre che delle tele da cavalletto.
L'immagine che di Grossi restituisce il pennello di Albano Lugli è come poche altre
perentoria e acuta; e vi si legge sottesa una profonda familiarità fra il più maturo pittore e il
giovane di belle speranze, seduto in posa informale sulla sedia impagliata, il pastrano
appoggiato sullo schienale. L'esito è di una brillante spontaneità, anche se l'opera dovette venir
alquanto meditata, come dimostra l'esistenza di un disegno preparatorio del volto del modello,
presso il Museo di Carpi. Evidente è la matrice macchiaiola di un simile testo pittorico, sia nel
tono prosaico che nel tratto veloce e allusivo, che costruisce la forma mediante zone di colore e
di luce: fra i risultati più persuasivi del catalogo di Lugli.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 124.
Ritratto di Carlo Grossi
olio su tela, cm. 48 x 32
Carpi, Museo Civico
L'opera fu donata da Giannino Grossi, figlio del ritrattato, al Museo di Carpi nel 1970.
E' derivata dal precedente ritratto, e quindi dal citato disegno preparatorio, con varianti
nel taglio, nella posa e nel volgersi stesso del viso, non più in posizione frontale - e quindi dal
piglio più energico e "sincero" - bensì lievemente ruotata di lato. L'atteggiarsi stesso delle mani,
come in riposo, contribuisce a un'intonazione più quieta dell'opera: dunque, un ritratto con
"messa in posa", di natura più ufficiale, pur sempre di alta tenuta qualitativa.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 124;
MARTINELLI BRAGLIA, 1991, II, p. 888.
"Signorinella"
olio su tela
firmato
Modena, proprietà privata
Databile alla maturità del percorso artistico del Lugli, è una tenera immagine di bimba,
in elegante vestito quadrettato e- interessante elemento di costume - un alto cappellino di paglia
ornato da nastri. La figurina s'accampa su uno sfondo ricoperto da parato a motivi vagamente
floreali.
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La tavolozza è tutta giocata sulle tonalità dei grigi azzurrini, con qualche tocco di giallo
e di ocra. Pure qui è assente ogni facile compiacimento, a favore di un timbro sentimentale
eppure contenuto.
Old Gallery, Pittori modenesi dell'800, catalogo della mostra, Modena 1974, p. 18;
L. FRIGIERI LEONELLI, Pittori modenesi dell'Ottocento, catalogo della mostra, Modena 1986.
C. CONTINI, Il cappello di paglia nella storia e nell'arte, Modena 1995, p. 133.
Ritratto del n. h. Bernardino Meloni
Ritratto della contessa Soranzo Meloni
olio su tela
Modena, proprietà privata
I due piccoli dipinti, entro pregevoli cornici dorate, raffigurano il nobile carpigiano
Bernardino Meloni - figlio di Francesco, cospicuo proprietario terriero di Carpi, che risiedeva
nel palazzo di famiglia in corso Alberto Pio - e la consorte, appartenente alla nota famiglia
veneta dei conti Soranzo.
Sono entrambi episodi ritrattistici di grande raffinatezza, che per ridotte dimensioni si
qualificano destinate a un'utenza privata, per la memoria familiare. Per l'analitica cura dei
dettagli sono situabili nell'ultimo ventennio dell'Ottocento. Vi si percepisce un "verismo"
innestato sulla più nitida tradizione accademica facente capo, in loco, ad Adeodato Malatesta.
FRIGIERI LEONELLI, 1986, p. 11;
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, p. 431.
Ritratto di Clarice Rimini Lugli
olio su tela, cm. 47 x 39, ovale
Proprietà privata
Il dipinto, sempre rimasto nell'ambito familiare, raffigura Clarice Rimini, moglie
dell'artista.
Secondo ricordi familiari, l'opera sarebbe stata eseguita pochi anni dopo il matrimonio,
avvenuto nel 1874; da queste sarebbero sarebbero nati cinque figli: Aldo, Giotto, Clearco,
Lorenzo e Anna. Appartenente alla borghesia ebraica carpigiana, Clarice era figlia del pittore
Abramo Rimini e di Anna Namias. Formatosi nell'entourage accademico modenese, Rimini era
a Roma attorno al 1840 per motivi di studio e di lavoro; così si deduce da una lettera scritta
dall'amico scultore Giuseppe Obici ad Adeodato Malatesta, pure intrinseco di Rimini, del 19
maggio 1841 (trascr. in F. ASIOLI, Adeodato Malatesta, Modena 1905, p. 402.). Rimini fu
inoltre assai vicino a Ciro Menotti; e accanto al noto patriota carpigiano è rappresentato in un
ritratto di Malatesta (Modena, Museo del Risorgimento; ripr. in M. PECORARO, Ciro Menotti,
Modena 1996, p. 224.).
La particolare impaginazione dell'immagine conferisce all'opera un timbro confidenziale e
affettuoso. Qui più che altrove si manifesta la prossimità con certo "realismo" toscano, e
soprattutto l'incidenza degli esempi di Ciseri.
Ritratto di Anna Namias Rimini
disegno a matita su carta, cm. 13 x 8
Proprietà privata
E' il ritratto della suocera dell'artista, madre di Clarice e consorte del pittore Abramo
Rimini. Anna apparteneva a un'antica famiglia di ebrei sefarditi, che avevano lasciato la Spagna
alla fine del '400. Il ramo trapiantatosi in area carpigiana aveva acquisito nel tempo un cospicuo
patrimonio con l'acquisto di case e terreni (cfr. G. BENATTI, Presenza ebraica nel Ducato di
Modena, Modena 1984, pp. 27-289).
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Ritratto di Geminiano Lodi
olio su tela, cm. 31 x 26, ovale
Carpi, Museo Civico
Persuasivo brano della capacità dell'autore di restituire la misura umana dei suoi
personaggi, cogliendoli, come in questo caso, in gesti e in atmosfere abituali. Un'intonazione
che non possiede riscontri nella coeva ritrattistica d'ambito modenese, e che una volta ancora
rimanda ai circoli toscani attorno ai Macchiaioli.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1993, pp. 124, 125.
Ritratto di Giuseppe Ugolini
olio su tela, cm. 74 x 65
firmato in basso a sinistra
Carpi, Collezione della Cassa di Risparmio di Carpi
Notevole è l'interesse iconografico del dipinto, che tramanda il volto di uno dei
protagonisti della grande decorazione teatrale emiliana del pieno Ottocento. Giuseppe Ugolini
(Reggio Emilia 1826 - 1897) è infatti autore dell'affresco con Baccanti nella volta dell'atrio del
Teatro Comunale di Reggio Emilia, inaugurato nel 1857, oltre che delle pitture del soffitto e del
sipario nel Teatro Comunale di Carpi, completate nel 1861. Qui, nei quattro spicchi della volta
raffigurò i gruppi allegorici della Musica, della Commedia, della Tragedia e della Danza,
ispirandosi a modelli iconografici della pittura ufficiale francese. Modelli che sostengono anche
l'invenzione compositiva dello spettacolare sipario, che rappresenta Orfeo che affascina la
natura, con corteggio di ninfe (cfr. A. GARUTI, in Restauri al patrimonio artistico comunale,
catalogo della mostra, Carpi 1982, pp. 46-47).
Oltre che decoratore e scenografo, Ugolini si affermò come pittore da cavalletto,
soprattutto ritrattista. La sua consuetudine con Albano Lugli dovette risalire proprio agli anni
del cantiere del Teatro carpigiano, che vide lo stesso Lugli, allora ventiseienne, impegnato
nell'affrescatura della Sala ovale del Ridotto; e anzi le sue rappresentazioni femminili nei
sovrapporta documentano l'influenza del più affermato collega reggiano. Un'amicizia che
certamente sarebbe stata coltivata nei lunghi soggiorni di Lugli in Reggio, a cui questo ritratto
con ogni probabilità risale.
Quanto mai intensa è la resa dell'umanità del personaggio, che si volge al riguardante
con sguardo diretto e perentorio; un'immediatezza di resa che è probabilmente da correlare alla
dimestichezza di Lugli con il collega reggiano.
Ritratto di Luigi Lugli
olio su tela, cm. 94 x 68
Carpi, Museo Civico
Donato da Olinto Lugli Grisanti nel 1922, il dipinto è copia da un ritratto del reggiano
Giuseppe Ugolini.
Quella di Luigi Lugli, scomparso nel 1893, è fra le personalità più interessanti nella
Carpi del secondo Ottocento. Farmacista e possidente, uomo d'idee liberali e di vasta cultura,
legò il suo nome ad alcuni importanti episodi di committenza artistica. Così, la riqualificazione
del quattrocentesco palazzo di famiglia (già Lugli Grisanti, ora sede della Casa della Divina
Provvidenza) spettante a Claudio Rossi, compiuta a partire dal 1849 con gli apporti decorativi
degli scagliolisti Gaetano Venturi e Alessandro Bernasconi e del frescante Ferdinando Manzini.
La cultura eclettiva e innovativa di Luigi Lugli emerge anche dall'arredo del superbo giardino,
con presenze di gusto orientaleggiante, padiglioni in ferro e ghisa, scuderie nello stile rustico
dello "chalet svizzero". Alla committenza di Lugli si deve anche la Farmacia dell'Assunta nella
piazza Martiri, raffinato esempio d'arredo nel registro classicistico della Restaurazione:
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compiuto dal 1845 al '53 su disegno di Claudio Rossi, si compone di un rivestimento parietale
in marmo, con elementi statuari in scagliola, mobilio scolpito e decorazioni ad affresco nella
volta bombata, eseguite da Ferdinando Manzini. Ancora Luigi Lugli sarà fra i promotori della
costruzione del nuovo Teatro Comunale, fabbrica d'impronta neoclassica innalzata dal 1857 su
progetto del Rossi. A lui sarebbe stato dedicato in San Nicolò un grandioso monumento
commemorativo a opera dello scagliolista Stefano Diacci. (cfr. A. GARUTI, in Carpi. Guida
storico-artistica, Carpi 1990, pp. 90, 111-112, 137.).
L'impostazione compositiva, con l'insolito inserto del tavolo coperto dal tappeto rosso,
su cui il personaggio posa la mano, richiama alla mente un modulo applicato assiduamente dal
Malatesta nella sua ritrattistica di rappresentanza. E in effetti, l'opera in esame esprime un
intento d'ufficialità, anche nella definizione dell'abbigliamento, più accurata del consueto: i
grigio-bruni della redingote e dei calzoni si alternano ai neri del gilet - attraversato dalla catena
d'oro dell'orologio - e del risvolto in velluto, con il distacco del blu azzurrato nella cravatta di
seta, annodata con bella disinvoltura.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 125.
Ritratto di Angelo Menotti
olio su cartone, cm. 27,5 x 21,3
firmato
Carpi, Museo Civico
Fu donato al Museo da Giuseppina Frignani Menotti nel 1921. Vi è effigiato l'industriale
Angelo Menotti, nipote del patriota Ciro. Figlio di Virginio e di Rosa Piccinini, assieme al
fratello cav. Giuseppe - primo sindaco di Carpi - conduceva la fabbrica di truciolo di famiglia,
la più fiorente della città, che era stata potenziata dall'avo Giuseppe ai primi dell'800.
Il dipinto, della maturità dell'artista, possiede un ductus rapido e spontaneo, che vale a
rendere più accostante il personaggio, peraltro rappresentato in un atteggiamento interlocutorio.
Pare questa opera non mediata dal prototipo fotografico, e certamente dall'intonazione non
ufficiale: forse, un "ritratto d'amicizia".
E anche in un ritratto di tale immediatezza, Lugli non rinuncia a un tocco di eleganza
"alla moda": la spilla d'oro che ferma il nastro sottile della cravatta.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 125;
MARTINELLI BRAGLIA, 1991, II, p. 888;
CONTINI, 1995, p. 133.
Ritratto di Luigi Praudi
olio su tavola, cm. 31,5 x 26, ovale
Carpi, Museo Civico
Ritratto di Elvira De Pietri Tonelli
olio su tavola, cm. 31,5 x 26, ovale
Carpi, Museo Civico
Donati al Museo da Enrico Grimelli nel 1915, i due pendants sono opere della maturità
dell'artista; secondo Alfonso Garuti vanno ascritti a data di poco antecedente al 1890, figurando
in una mostra tenutasi a Carpi in quell'anno. Restituiscono le sembianze di due coniugi,
appartenenti a famiglie d'imprenditori del truciolo.
Immagini di grande sobrietà, anche nella scelta cromatica, mostrano l'impegno a un'indagine
nella qualità umana, senza eludere il "dialogo" con il riguardante. Benché il taglio degli ovali
sia ridotto, sono determinanti per l'identità sociale dei personaggi certe annotazioni di costume.
Così, nel ritratto maschile, la catena d'oro dell'orologio e l'anello all'orecchio sinistro, segno
distintivo dell'autorità del capo famiglia diffuso soprattutto nelle campagne; nel ritratto
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femminile, ecco il collier, la spilla dalla foggia a serpente, gli orecchini secondo la moda
umbertina.
GARUTI, 1980, pp. 40-43;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 124;
MARTINELLI BRAGLIA, 1991, II, p. 888;
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, pp. 433 e 435.
Ritratto di Aldo Lugli. 1884
matita su carta, mm. 300 x 210
firmato in basso a destra
Proprietà privata
Il foglio restituisce le sembianze di Aldo, primogenito dell'artista e di Clarice Rimini.
Nato attorno al 1876, Aldo, come i suoi fratelli, ereditò dal padre e dall'avo materno
inclinazioni artistiche; aveva infatti ottima predisposizione al disegno. Secondo memorie
familiari, si diplomò in ragioneria e si specializzò nella lingua tedesca; ricoprì importanti
incarichi nella carriera pubblica. Dei fratelli di Aldo, Giotto, fu assiduo degli ambienti artistici,
e in particolare amico del pittore Giovanni Costetti. Clearco era invece versato per la
meccanica; Lorenzo, infine, ufficiale di cavalleria, ebbe una carriera di trombettista che lo portò
anche alla Scala, nonchè in teatri europei. Per un profilo della sorella Anna si rimanda alla
scheda successiva.
Poco meno che decenne, il bimbo è raffigurato con gentile delicatezza, in un lessico che
per accurata definizione possiede caratteristiche di pittoricità. Morbidissimo è il tocco, le ombre
sul volto soffuse, lenticolare la resa della capigliatura. Davvero traspirano da quest'immagine
un timbro intimistico, una poetica d'affetti d'efficacia straordinaria, con un'altezza di qualità
accostabile a quella del Giovanni Muzzioli più sincero, come nel bel disegno a matita e biacca,
ritraente un Bimbo, in collezione privata modenese (ripr. in Giovanni Muzzioli, catalogo della
mostra a cura di E. Pagella e L. Rivi, Modena 1991, p. 82.).
Ritratto di Anna Lugli Nucci
olio su tavola, cm. 15 x 10
firmato in basso a destra
Proprietà privata
Figlia dell'artista e di Clarice Rimini, era nata a Reggio Emilia nel 1890; morì a Firenze
nel 1976. Come i suoi fratelli, anche Anna aveva ereditato passioni artistiche: oltre a essere una
disegnatrice e pittrice dilettante di buona qualità, si dedicò alla musica; in veste di pianista,
assieme al marito Nucci e al fratello di lui diede vita a un trio musicale, il "Trio Fiorentino
Nucci", molto apprezzato a livello professionale.
L'immagine, a rapide pennellate, appare come trasfigurata dalla luce battente; una luce
che diviene strumento per una poetica evocativa, densa d'affetti. Mentre la pennellata rapida e
sicura la rende una delle pagine più felici e immediate del catalogo dell'artista.
Ritratto di Carlo Alberto Bonasi
olio su tela, cm. 58 x 47, ovale
Carpi, Museo Civico
Il personaggio raffigurato appartiene alla famiglia dei conti Bonasi, nobili di Carpi;
presso il Museo Civico si conserva il ritratto di un congiunto dell'effigiato, Ercole Bonasi.
Tanto fa ritenere che i due dipinti, dal medesimo formato ed entro identiche cornici, siano
pervenuti al Museo per donazione familiare.
Di Carlo Alberto Bonasi l'autore restituisce un'immagine dal piglio mondano,
soffermandosi sui particolari dell'abbigliamento; così l'impeccabile camicia dai minuscoli
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bottoni, con il colletto inamidato stretto dal nastro sottile e rigido della cravatta, in una
raffinatezza eloquente di uno status sociale. E' un punto di stile che ribadisce la vicinanza con
gli esempi del Ciseri.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, pp. 125-126.
Ritratto di Ludovico Benzi. 1896
olio su tela, cm. 128 x 88
firmato in basso a destra e datato 1896
Modena, proprietà privata
Albano Lugli ritrae Ludovico Benzi - fra i maggiori imprenditori del truciolo a Carpi in abito da cacciatore, con giacca di velluto e fucile, in compagnia del suo cane. E' un'effigie
plasmata sui moduli "ufficiali", probabilmente su precisa richiesta del committente; moduli
tuttavia rivitalizzati da un'intonazione più sobria e confidenziale.
Opera d'alto livello qualitativo, palesa la svolta, atabile agli anni '80, verso una più
accurata definizione, con indagine scrupolosa dei dettagli e ricerca d'effetti "mimetici" nel
restituire la materia - il lucido pelo del cane, la sostanza morbida e riflessata del velluto... -. Una
scelta in senso "verista" che non coincide con quella, più accademica, effettuata da altri
ritrattisti modenesi di fine secolo, quali Narciso Malatesta o Eugenio De Giacomi. Pur se
derivata, con ogni probabilità, da un modello fotografico, quest'immagine trasmette quell'afflato
di naturalismo, quell'immediatezza che sono peculiari delle migliori prove di Lugli. Forse, in tal
senso, dovette giocare anche la consuetudine dell'artista con il personaggio; Benzi era stato
infatti committente del Lugli per gli affreschi a decorazione del suo palazzo carpigiano.
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, pp. 434 e 435.
Ritratto di Rosa Nicolini Benzi. 1896
olio su tela, cm. 128 x 88
firmato in basso a sinistra
Modena, proprietà privata
Il dipinto ritrae la signora carpigiana Rosa Nicolini, moglie dell'imprenditore del truciolo
Ludovico Benzi (cfr. scheda precedente); in pendant con il ritratto del marito, come questo fu
realizzato nel 1896. Nel 1898 Albano Lugli effigiò anche le figlie dei due coniugi, Tilde e Olga,
sposata in Fuzzi.
Le dimensioni ragguardevoli e il taglio compositivo dichiarano il carattere di
rappresentanza di questo quadro. Accuratissima è la resa dell'abbigliamento "alla moda", che
comprende l'abito in raso nero dai riflessi cangianti, gli ori che creano un contrappunto con la
loro lucentezza, nonchè una presenza raffinata come il ventaglio nella mano destra. E'
un'eleganza opulenta, di gusto "umbertino", che si riscontra, ad esempio, in ritratti di Gaetano
Bellei come i Coniugi Palazzi, del 1894, o la N. D. Rovighi, nel Museo Civico di Modena, che
si correlano a questo dipinto anche per il punto di "verismo" illustrativo.
Ritratto di Egidio Lugli
olio su tela, cm. 85 x 67
firmato in basso a sinistra
Carpi, proprietà privata
Databile sul finire del secolo, l'effigie di questo imprenditore carpigiano appare
testimonianza eloquente circa la solida borghesia cittadina.
La cromia è giocata con raffinatezza sui diversi toni del grigio-nero, con lo stacco netto
del bianco della camicia che illumina il volto; sole note brillanti, l'orologio che pende dalla
catena sul panciotto e l'anello all'orecchio, segno distintivo, di tradizione contadina, del
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capofamiglia. La fisionomia è restituita con particolare efficacia, a tocchi di pennello lasciati in
evidenza; l'esito è quello di un'umanità vitale e fattiva.
inedito
Ritratto di don Emilio Bulgarelli. 1897
olio su tela, cm. 115 x 83
firmato e datato
Carpi, Museo Civico
L'opera fu donata al Museo nel 1949 dalla famiglia Tirelli.
Il prelato è ritratto secondo il modulo di rappresentanza, cioè lasciando ampio spazio
alla definizione dell'ambiente attorno al personaggio, sì da delinearne le coordinate esistenziali.
Qui, presenze come la poltrona, il parato di damasco dorato sul tavolo, il libro diventano
indicative di un sobrio decoro. Riaffiora dunque la matrice accademica che risale ad Adeodato
Malatesta, e che da lui si irradiò a tanti autori del secondo Ottocento modenese; sovviene ad
esempio dell'Autoritratto di Fermo Forti, del 1902, orchestrato su un analogo registro (Carpi,
Museo Civico). E per misurare la divergenza tra un simile testo tradizionale e un'opera
diversamente pregna di novità, sia di stile che interpretative, si confronti la tela in esame con il
Ritratto di don Luigi Bonetti, eseguito da Giovanni Muzzioli verso la fine degli anni settanta
(Modena, Museo Civico). Va tuttavia apprezzato, in questo dipinto, l'approccio diretto e
partecipe all'umanità, franca e cordiale, dell'effigiato.
GUANDALINI, 1966, p. 17;
FRIGIERI LEONELLI, 1986, p. 109;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 125;
MARTINELLI BRAGLIA, 1991, II, p. 888;
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, p. 434.
Ritratto di Giovanna Chicchi. 1898
olio su tela, cm. 95 x 73
firmato e datato
Carpi, Museo Civico
Acquisita per donazione della famiglia Chicchi nel 1937, la tela raffigura la terza moglie
del pittore e decoratore Fermo Forti, Giovanna (o Giovannina) Chicchi.
Magistralmente condotto per quanto attiene la restituzione della qualità della materia,
come il raso nero cangiante del vestito, o il fiocco di morbida seta al manico del ventaglio, o
ancora l'oro che fa da prezioso contrappunto, il dipinto è esemplare di quell'esasperato
"verismo" che incontrò vasta diffusione, proprio per il suo palese valore documentario, sul
volgere del secolo; lo coltivarono da Cirillo Manicardi nella vicina Reggio a Giuseppe
Mazzolani in Ferrara.
Se con ogni probabilità l'immagine fu dedotta da un modello fotografico, certo è che
l'artista seppe infondervi un tratto di umanità perentoria. Contro lo sfondo di un tendaggio,
condotto con tocco morbido e abbreviato, si staglia la figura della signora, elegantemente
vestita in nero, su cui spiccano gli importanti gioielli. Peculiare dell'opera è la resa mimetica dei
vari materiali, dal lucido raso dell'abito al fiocco di seta del ventaglio.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 125.
MARTINELLI BRAGLIA, 1991, II, p. 888.
Ritratto di don Ettore Tirelli. 1902
matita e carboncino su carta, mm. 650 x 500
firmato "A. Lugli" e datato 1902
Carpi, Museo Civico
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Il disegno fu donato da Aldo e Antonio Tirelli, eredi dell'effigiato, nel 1949.
Erudito indagatore del passato della sua città, don Ettore Tirelli aveva dato alle stampe
nel 1900 una fondamentale Guida storico-artistica di Carpi. Alla sua morte avrebbe lasciato alla
Chiesa carpigiana una preziosa raccolta di documenti e miscellanea, che compone l'Archivio
Tirelli presso il Seminario Vescovile.
Il disegno è episodio di singolare compiutezza e di particolarissima forza introspettiva,
tanto da risultare fra le realizzazioni più coinvolgenti del suo autore. Nel foglio sono infatti
restituite anche la misura umana e la dignità morale del prelato carpigiano, che fu nel novero
degli amici e degli estimatori di Lugli; a lui spetta la donazione di numerose opere dell'artista al
Museo Civico. Anche tali rapporti personali dovettero favorire l'intensa resa del ritratto,
dall'esecuzione assai sorvegliata, sia nell'assetto compositivo - con la felice invenzione della
mano posata sul libro, che si protende verso l'esterno -, sia nel dosaggio chiaroscurale, con la
luce, strumento sensibilissimo, che plasma le forme nell'atmosfera.
Cospicuo il rilievo dell'opera dal profilo iconografico: don Tirelli fu, oltre che erudito e
storico, soprattutto appassionato raccoglitore di documenti relativi alle vicende carpigiane,
documenti conservati nell'Archivio Tirelli presso il Seminario Vescovile di Carpi.
GUANDALINI, 1966, p. 18;
GARUTI, Disegni di artisti carpigiani..., 1981, p. 8.
Ritratto di Elvira e Maria Garuti. 1902
olio su tela, cm. 64 x 46
firmato in basso a sinistra
Carpi, proprietà privata
Il dipinto ritrae a mezzo busto Elvira (1897-1975 ca.) e Maria (1898-1997), le due
figliolette di Giacomo Garuti e di Assunta Bulgarelli. Giacomo Garuti fu singolare figura di
possidente; gli appartenevano, sull'odierna piazza Martiri, una drogheria e la famosa Farmacia
dell'Assunta, giuntegli tramite il matrimonio con Assunta; la madre di lei era infatti della
famiglia del farmacista Luigi Lugli, già proprietario dei due importanti esercizi commerciali.
Ma soprattutto, Giacomo fu tra i maestri decoratori che affiancavano, nelle tante imprese ad
affresco, artisti come Fermo Forti, Vittorio Guandalini, Lelio Rossi, nonchè Albano Lugli.
Il ritratto in esame nasce appunto nel rapporto di frequentazione familiare con il Lugli,
spesso ospite di casa Garuti, come del resto gli altri pittori. Piacevolissimo nel gioco delle mani
delle bimbe e nella rapida definizione delle vesti, il dipinto risulta in certe zone non del tutto
compiuto. Si conserva ancora la vecchia stampa fotografica da cui l'artista s'ispirò per la
composizione.
Ritratto di uomo in abiti esotici. 1908
olio su tela, cm. 60 x 38
firmato e datato in basso a sinistra
Milano, proprietà privata
L'inedito dipinto reca sul telaio le scritte "Ritratto grande uomo" e "Chini". E'
probabilmente il ritratto di un personaggio carpigiano che volle farsi effigiare in vesti orientali,
secondo una moda esotica già acquisita dalla cultura romantica, con attestazioni, in loco, nel
catalogo di Adeodato Malatesta e quindi, con diversa accezione di esotismo, nel repertorio
figurativo del modenese Augusto Valli. Il turbante bianco a strisce rosse e ocra, il mantello
chiaro, l'elsa del pugnale che sporge dalla cintura e la lancia tenuta nella sinistra, oltre alla tenda
tesa alle spalle del personaggio - ma, a ben vedere, con motivi Kashmir - compongono un
apparato dal sapore scenografico, indubbiamente accattivante.
Vanno rilevati brani di ottima pittura, come la felice resa anatomica della mano che
regge l'asta e la bella conduzione del morbido mantello; la stessa fisionomia è restituita con
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vivida acutezza. L'opera si presenta così fra le più originali creazioni di Albano Lugli, alla data
assai avanzata come il 1908.
inedito
Autoritratto senile. 1909
disegno a matita su carta, cm. 15 x 10, ovale
firmato in basso a sinistra
Carpi, proprietà privata
Il disegno è condotto con particolare finitezza e sensibilità nei trapassi chiaroscurali, tali
da conseguire un effetto "pittorico". Interessante è anche l'indagine psicologica, in un
approfondimento introspettivo che si giustifica anche ricordando che il destinatario di questo
intenso Autoritratto fu don Ettore Tirelli, legato all'artista da vincoli d'amicizia e stima.
Autoritratto senile. 1912
matita su carta, mm. 15 x 11
datato
Proprietà privata
In questo foglio ferma l'artista una raffigurazione di sé che per intensità diviene testimonianza
di una condizione esistenziale.
Autoritratto senile sullo sfondo di una finestra
olio su cartone, cm. 15 x 13
Proprietà privata
Fra le ultime prove dell'artista, l'opera conserva un vivido sentimento chiaroscurale:
l'invenzione della luce che proviene dalla finestra, alle spalle della figura, crea una dialettica
luministica d'indubbia suggestione; mentre l'accenno all'interno domestico dà alla scena un
sapore intimistico e confidenziale.
Ritratto di Eligio Casarini. 1912
olio su tela, cm. 34 x 28, ovale
firmato e datato
Carpi, Museo Civico
Ignota è la modalità d'acquisizione dell'opera al Museo, anche se è logico ipotizzarne la
donazione da parte della famiglia del ritrattato.
Il nome di Eligio Casarini è legato all'imprenditoria del truciolo; la manifattura Casarini
aveva sede dal 1886 nel palazzo dell'odierna via Ciro Menotti (cfr. A. GARUTI, in Carpi.
Guida storico-artistica, Carpi 1990, p. 231). E' chiara la derivazione dell'immagine da una
stampa fotografica. E fu forse per superare il marcato carattere fotografico del dipinto che
l'artista inserì il brano, di risentito pittoricismo, della cravatta variopinta e della brillante catena
dell'orologio.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p.126.
Fra “genere” e verismo
La poverella. 1864
olio su tela, cm. 37 x 45
firmato datato 1864
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Carpi, Palazzo Comunale
Il dipinto, dal titolo quanto mai significativo, è uno tra i soggetti più coinvolti nella
"questione sociale" del catalogo del Lugli. Adagiata sulla paglia, con un cucchiaio in mano e
una rustica brocca in terracotta presso di sé, la bimba appare assorta e malinconica: una scena di
sapore "verista", che nulla concede al gusto aneddotico e ammiccante di Chierici, di Zampighi,
di Bellei e di tanti altri. Una peculiare profondità interpretativa, o meglio un'intima simpatia alla
condizione umana più disagiata, sembra trasparire da quest'immagine.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 116;
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, pp. 432 e 438.
L'inconsolabile
olio su tela, cm. 26 x 34
firmato in basso a destra
Carpi, proprietà privata
Potrebbe appartenere al periodo fiorentino questo piccolo dipinto, che anche nella
dimensione marcatamente orizzontale, e soprattutto nel fraseggio di stile palesa l'influsso dei
Macchiaioli. Grande è il garbo narrativo in cui s'esprime il dramma familiare. Le varie
notazioni d'ambiente - la tappezzeria sulla parete, la lucerna alla "fiorentina" sulla colonna, il
drappo a righe steso sul tavolo... - non distolgono dal senso di pathos, tanto più concentrato e
intenso quanto muto e quasi nascosto, fatto di gesti trattenuti, di espressioni celate dal riserbo.
Bellissimo è l'episodio naturalistico del muto colloquio fra le due donne.
Trecciaiole
olio su cartone, cm. 15 x 17
firmato in basso a sinistra
Carpi, proprietà privata
Si individua in questo piccolo olio uno degli episodi più originali della produzione
dell'artista, nato da una ricerca formale sotto l'egida dell'essenzialità "macchiaiola". Il testo
compositivo è infatti tutto affidato al reiterarsi quasi seriale delle figure - tre lavoranti del
truciolo -, riprese di spalle, avvolte nel tipico scialle. Assume così un valore particolarissimo il
colore blu, bruno, rosso, delle vesti.
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, p. 348.
Mucca
matita nera su carta, mm. 145 x 72
firmato "A. Lugli"
sul retro Sant’Antonio Abate
matita nera su carta
Carpi, Museo Civico
Il foglio fu donato dal pittore Carlo Grossi nel 1914.
Sembra di percepire una matrice toscana in questo veloce e vigoroso abbozzo, il cui
soggetto ispirò autori macchiaioli come Giovanni Fattori.
Il Sant’Antonio Abate sul retro è probabilmente preparatorio di un dipinto a destinazione
chiesastica. Con ductus sintetico, dal largo impianto, è delineata la figura possente del patriarca
nella sua consueta iconografia, avvolta nei drappeggi del mantello, reggente il libro e il bastone.
GUANDALINI, 1966, p. 19;
GARUTI, Disegni di artisti carpigiani..., 1981, p. 6.
Nella stalla
30
olio su cartone, cm. 20 x 24
firmato in basso a sinistra
Milano, proprietà privata
Il soggetto - una mucca che giace fra la paglia di una stalla - ribadisce nella sua prosaicità
l'intento del giovane autore di accostarsi al "vero" nei suoi aspetti più quotidiani, in una
disposizione spogliata d'ogni retorica. E lo stesso procedere esecutivo dichiara, nel modo
compendiario e semplificato di restituire la figura, l'attenzione con cui Lugli allora guardava ai
modelli toscani.
inedito
Contadina laziale
acquerello su carta, cm. 22 x 18, ovale
Carpi, proprietà privata
E' opera di viva immediatezza, che pare colta con la rapidità di un'impressione, questa
figura di modella nelle vesti di contadina laziale. Il soggetto etnografico, già coltivato
nell'ambito ufficiale modenese dallo stesso Adeodato Malatesta e, ancor più, dal suo allievo
Antonio Simonazzi, è qui riedito nella nuova sensibilità "alla toscana": le pennellate veloci e
sicure danno vita a una creazione ove il colore è protagonista, giocato nel contrasto brillante dei
bianchi e dei rossi. Albano Lugli si allinea così a questo filone tematico, recepito in rinnovato
spirito interpretativo dai Macchiaioli e dalle correnti artistiche più informate.
Donna che allatta
olio su tavola, cm. 24 x 35,5
Firmato "A. Lugli"
Carpi, Museo Civico
L'opera entrò nel Museo Civico carpigiano tramite acquisto nell'anno 1939. Con ogni
probabilità, raffigura la moglie dell'artista, Clarice Rimini, mentre allatta la figlioletta Anna.
Ritenuta pagina giovanile da Alfonso Garuti, ben restituisce, nel suo clima familiare e
scevro di retorica, un clima di cultura che deriva della pittura di maestri quali Odoardo Borrani
e Silvestro Lega. Va rilevato come l'attenzione dell'artista si concentri sui valori cromatici del
bianco nel lenzuolo, nella camicia della donna e nelle fascie della neonata. Remoto ogni intento
"generistico", vive in questa tavoletta il tono intimo di un ricordo affettivo.
GUANDALINI, 1966, p. 24;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 116.
MARTINELLI BRAGLIA, 1991, II, p. 888.
La modella aspetta
olio su tela, cm. 17 x 15
sul retro la scritta "La modella aspetta"
Carpi, proprietà privata
Si tratta di un piccolo dipinto certamente eseguito dal vero, come nella consuetudine di
Lugli. E rievoca un'atmosfera vagamente bohémienne questa scena colta in uno studio di
pittore, protagonista la modella che nell'attesa regge il bimbo in grembo, mentre due personaggi
stanno leggendo il giornale: un frammento di vita che diviene notevole saggio di pittura non
accademica, anzi nella scia del quotidiano caro ai Macchiaioli.
inedito
Maternità
31
olio su cartone, cm. 31 x 24
Carpi, proprietà privata
Secondo la tradizione familiare, vi è raffigurata la moglie del pittore, Clarice Rimini, in
atto di allattare il figlioletto Giotto. La scena è pervasa da un senso di décor borghese, nel
ricercato arredo della stanza da letto. Ma a dominare è il tono intimistico che promana dal
tenero gruppo della madre con la figlia. E' una "pittura d'affetti" che possiede, in ambito
emiliano, numerosi seguaci, dal bolognese Luigi Busi al parmense Cletofonte Preti; di
quest'ultimo, in particolare, va ricordata La culla, analogo soggetto di maternità (Parma,
Accademia di Belle Arti).
Il registro compositivo appare, ancora una volta, debitore agli interni borghesi di Lega e
di Borrani; e soprattutto, è l'attenzione rivolta ai gesti consueti entro la sfera domestica che
dichiara la vicinanza dell'artista alla poetica del Macchiaioli.
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, pp. 434, 437, 438.
Madre col figlioletto
olio su cartone, cm. 42 x 35
Carpi, proprietà privata
E' ipotizzabile che questo sia un altro "ritratto" della moglie con un figlio, ripreso con
spirito "verista" nell'ambientazione domestica. Tuttavia, s'avverte sotto la bella idea
compositiva della madre seduta che stringe il bambino - un nodo formale ma anche affettivo - la
suggestione di modelli figurativi dal passato, seicenteschi in particolare. Aleggia anzi in questa
scena d'interno un certo clima derivato dai pittori seicenteschi di scuola fiamminga.
Donna con bambini
olio su tela, cm. 40 x 50
firmato in alto a destra
Proprietà privata
Rimane oscura l'identità di questa donna, raffigurata con i suoi figli. Data l'odierna
collocazione dell'opera, non va escluso che si tratti di una parente o di una persona in ogni caso
intrinseca alla famiglia Lugli.
Bambina che dorme
matita su carta, mm. 160 x 200
firmato in basso
Proprietà privata
Nella bimba addormentata sul tavolo si individua, nei ricordi dei discendenti, la
figlioletta dell'artista Anna. Il disegno è uno studio dal vero che, con tutta probabilità, supportò
l'invenzione compositiva di Interno rustico, scena familiare con la moglie e la figlia dell'autore
fissate nella cucina della loro abitazione (Carpi, proprietà privata): la donna ha posato il lavoro
di cucito e guarda con tenerezza verso la bimba, che s'è addormentata con il capo posato sul
tavolo, dopo il pasto, mentre una gallina provvede a beccare i resti del cibo dal piatto. E' uno
spunto tematico che si ritrova anche in opere di Gaetano Chierici , ma con ben altro spirito,
incline all'umoristico e all'aneddotico.
Diversamente, anche in un simile soggetto "di genere", Lugli privilegia il nesso d'affetti
fra i personaggi. La stessa intonazione sentimentale che trapela da questo disegno, e che
suggerisce un particolare come la bambola sul tavolo, che "dorme" accanto alla bambina.
Le tortorelle
olio su cartone, cm. 42,5 x 34
32
firmato
Carpi, Museo Civico
L'opera fu donata al Museo nel 1915 da Mario Formignoni.
Più che soggetto di "genere", è la raffigurazione di una scena familiare: la moglie
dell'artista, Clarice Rimini, e il figlioletto Aldo sono intenti a osservare una coppia di colombi
che nidificano in una cesta di vimini, appesa alla parete della cucina di casa.
Peculiare è il taglio della composizione, che colloca i due personaggi nella metà
inferiore del dipinto, rivolti, lungo una direttrice diagonale, verso il canestro dei colombi: la
superficie spoglia della parete crea un fondale d'ampio respiro, dando una sorta di risonanza ai
gesti giocosi e d'affetto della madre e del bimbo. Senza troppo concedere al gusto generistico
alla Chierici, alla Bellei, e senza scadere in certo illustrativismo minuto, l'autore mantiene un
registro dai toni spontanei e immediati, colorando emotivamente la narrazione di una
quotidianità minuta. Dunque, come nelle migliori interpretazioni del Lugli, è una trance de vie
in chiave intimistica, affine ai modi di un Lega e di un Borrani.
Anche sul versante stilistico, è cospicuo per esecuzione il brano della veste femminile a
righe e la resa dello "scialletto" orlato dalla frangia, a liberi tocchi di bianco. Da rilevarsi come
il particolare della cesta di vimini - quasi inserto di natura morta - sarebbe stato ripreso, di lì a
poco, da autori d'ambito modenese come Eugenio De Giacomi.
GUANDALINI, 1966, p. 22;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 116;
MARTINELLI BRAGLIA, 1991, II, p. 888.
Vecchia col cane
olio su cartone, cm. 42 x 35
firmato in basso a sinistra
Carpi, proprietà privata
Quest'interno di umile casa è tra le composizioni che, nel catalogo di Lugli, più
inclinano verso il "genere" alla Chierici e, ancor più, alla Zampighi, ricordando dell'artista
modenese certe opere meno accattivanti e più contenute, come la Lezione della nonna in
raccolta privata. Mentre, dal versante delle fonti storicizzate, si può scorgere una qualche
memoria dalla pittura d'interni del Seicento fiammingo. E' sempre distintiva dei modi del Lugli
quell'atmosfera raccolta, che rifugge da facili effetti a favore di un quieto e affettuoso
intimismo, che è poi la cifra distintiva dell'aderenza al "vero" del pittore carpigiano.
inedito
Albano Lugli e Carpi
Alberto III Pio, copia da Bernardino Loschi
olio su tela, cm. 32 x 24
firmato sul retro del telaio
Carpi, Museo Civico
Profilo di cortigiano, copia da Bernardino Loschi
olio su tela, cm. 24,5 x 13,3
Carpi, Museo Civico
La prima opera entrò nel Museo Civico tramite acquisto; la seconda appartiene al nucleo
donato da don Ettore Tirelli nel 1915.
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Sono copie di brani dagli affreschi eseguiti da Bernardino Loschi ai primi del '500 sulla
parete occidentale della Cappella nel Castello di Carpi: l'uno riprende il ritratto di Alberto III
Pio, signore di Carpi, presente in un gruppo di congiunti e di prelati della Collegiata; il secondo
ripropone il personaggio di corte nell'estrema destra del gruppo, il cui profilo sporge da una
colonna. Evidente è il valore documentario del dipinto in esame, che attesta interessi orientati
verso le "glorie locali", in un atteggiamento storicistico dall'ottica municipalistica.
GUANDALINI, 1966, p. 29;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, pp. 117, 118.
Ludovico Ariosto ambasciatore presso Alberto Pio. 1879
bozzetto
olio su tela, cm. 25 x 20
firmato "A. Lugli"
Carpi, Museo Civico
Il dipinto fu donato da don Ettore Tirelli nel 1914.
E' il bozzetto preparatorio del dipinto, di ubicazione ignota, presentato all'Esposizione
Nazionale di Bologna del 1888. E' indicativo il fatto che l'artista esponesse, in una simile
circostanza ufficiale, questa tela di soggetto storico, quello cioè ritenuto più elevato nella
gerarchia dei generi. Così come appare emblematica la scelta di un argomento tratto dalle
"glorie patrie", o meglio dal locale repertorio degli "uomini illustri": protagonista, accanto a
Ludovico Ariosto, è infatti il principe umanista Alberto III Pio, artefice della fioritura artistica e
culturale della Carpi tra Quattro e Cinquecento. E' dunque dichiarata la volontà di celebrare,
con orgoglio municipalistico, il momento aureo della Carpi capitale in epoca rinascimentale,
proprio nella sede di un'Esposizione che vedeva il confronto tra le "cento città" di un'Italia
appena costituitasi: una sorta di affermazione di identità civica.
Se il pennellare duttile e mosso appartiene al linguaggio bozzettistico, l'impaginazione si
adegua a certa pittura accademica di storia. In particolare emergono analogie con il comporre di
Narciso Malatesta, frequentatore di simile soggettistica (cfr. G. MARTINELLI BRAGLIA, Fra
accademia e verismo: Narciso Malatesta, in "QB", Quaderni della Biblioteca Comunale di
Sassuolo, 1997). Affine è l'attenzione allo scenario, con arredi in stile e talvolta con qualche
anacronismo - qui, la tavola sacra monocuspidata, più confacente a epoca anteriore -; una
ricostruzione storica sovente artificiosa, e quasi sempre di sapore teatrale. Piacevole è anche la
gamma cromatica, sui verdi e i bruni, con l'accento squillante del rosso nel copricapo
dell'Ariosto.
GUANDALINI, 1966, p. 29;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 116;
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, p. 437.
L'incontro di Lucrezia Borgia con il cardinale Della Rovere alla presenza di Alberto III Pio
olio su tela, cm. 65 x 41
firmato
Modena, raccolta privata
L'inedita tela rappresenta un avvenimento storico correlato alla storia di Carpi e in
particolare alla figura di Alberto Pio. Lo spunto è infatti un incontro, accaduto agli inizi del
Cinquecento, fra Lucrezia Borgia, moglie di Alfonso d'Este - il signore ferrarese nella cui corte
spesso viveva Alberto - e il cardinale Giuliano Della Rovere, papa dal 31 ottobre del 1504 con
il nome di Giulio II, alla presenza del principe di Carpi. L'evento è ambientato presso la corte
dei Gonzaga a Mantova, che Alberto frequentava in quanto promesso sposo di Margherita
Gonzaga (cfr. A. SABATTINI, Alberto III Pio. Politica, diplomazia e guerre del conte di
Carpi. Corrispondenza con la corte di Mantova, 1506-1511, Carpi 1994, cap. II).
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L'argomento storico è, in realtà, trattato con la stessa intonazione di una scena di genere
in costume, alla maniera di autori come Fortuny e Meissonier, con riflessi su modenesi quali
Achille Boschi e Vittorio Reggianini. Smagliante è la tavolozza, e accuratissima l'illustrazione
dei giardini delle residenze ducali di Mantova; e i personaggi si muovono tra le quinte degli
alberi e delle siepi come su un palcoscenico teatrale.
inedito
Le ultime ore di Ciro Menotti. 1899
olio su tela, cm. 110 x 71
firmato in basso a destra
Carpi, proprietà privata
Le ultime ore di Ciro Menotti
bozzetto
olio su cartone, cm. 21 x 14
Carpi, proprietà privata
Ritratto di don Francesco Maria Bernardi
studio per Le ultime ore di Ciro Menotti
olio su tela, cm. 19,5 x 14
Carpi, Museo Civico
Il primo dipinto costituisce l'esemplare forse più noto del catalogo di Lugli; la sua
fortuna storiografica è dipesa dal suo carattere di testimonianza documentaria di uno fra i più
celebri episodi del Risorgimento, legato alla figura di Ciro Menotti. Va anzi ricordato, a questo
proposito, come Lugli potesse rivivere la vicenda menottiana con autentico coinvolgimento,
data la stretta amicizia che aveva legato il suocero Abramo Rimini al patriota carpigiano.
Consta poi che Lugli abbia ricostruito con estremo scrupolo la scena, ambientata nel
carcere della Cittadella ducale di Modena, sulla base del racconto del sacerdote che assistette il
Menotti, condannato a morte dal Tribunale militare il 9 maggio del 1831, e giustiziato il 26
maggio. Così illustra Mario Pecoraro gli ultimi momenti che ispirarono il quadro di Lugli:
"Stando alla testimonianza del Bernardi, dopo aver scritto per più di un'ora, seduto al
tavolaccio, le sue ultime volontà, il Menotti, alleggerito del peso delle catene, con spirito
tranquillo passeggia per la cella angusta conversando con il sacerdote cui declama il sonetto del
Monti "Morte che se' tu mai?"." (M. PECORARO, Ciro Menotti, Modena 1996, pp. 43-44).
Il secondo dipinto, donato dalla famiglia Tirelli nel 1949, costituisce il bozzetto parziale
della figura del sacerdote Lugli nel 1899, ispirandosi al racconto dello stesso religioso. Questi
era mons. Francesco Maria Bernardi, appunto confessore di Menotti, prelato modenese che fu
prevosto di Santa Maria Pomposa e rettore della parrocchia di San Michele in Sant’Agostino a
Modena; un suo ritratto si conserva presso il Museo del Risorgimento di Modena (cfr.
PECORARO, 1996, pp. 198-199).
L'opera possiede dunque un particolare valore iconografico. Va inoltre evidenziato che
Lugli la realizzò fissando le sembianze di mons. Bernardi dal vero, secondo quella fedeltà
storica che informa questo tipo di produzione a carattere documentario.
GUANDALINI, 1966, p. 18;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 123;
M. PECORARO, Ciro Menotti, Modena 1996, p. 198.
L'episodio di Cecilia (da I Promessi Sposi). 1901
olio su tela, cm. 87 x 61
firmato
Carpi, Museo Civico
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Il dipinto fu acquisito nel 1949 tramite donazione di Umberto Ascari.
Ispirato al celebre episodio del libro manzoniano, il dipinto ambienta la scena in una
contrada dell'antica Carpi, sulla soglia di un palazzo che sorge accanto a case di edilizia minore.
Il tema storico-letterario è dunque svolto in una dimensione quotidiana di conciso "verismo". Vi
trapela, anzi, un'attenzione agli aspetti popolari, da considerarsi probabilmente come il riflesso
di un impegno sociale sotteso in alcuni titoli, come la Poverella.
GUANDALINI, 1966
GARUTI, 1990, p. 122;
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1991, p. 14;
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, p. 438.
Il giardino della Villa Benassi a Santa Croce di Carpi
olio su tela, cm. 36 x 40
firmato
Carpi, proprietà privata
L'opera ritrae un suggestivo angolo del giardino della Villa già Meloni di Santa Croce,
frazione di carpi, acquistata attorno al 1870 dall'industriale farmaceutico Tommaso Benassi;
sontuoso esempio d'architettura del diciottesimo secolo, fu allora ristrutturata da Achille
Sammarini e arricchita nell'interno dalle decorazioni di Fermo Forti e Lelio Rossi.
Presso l'esedra settecentesca, ornata da vasi e statue, è colto un quieto momento della
"vita in villa", il soggiorno estivo nelle residenze di campagna che ispirava autori come, in
Modena, Giovanni Muzzioli - suo un solare acquerello, Signora in giardino, in raccolta privata
(ripr. in Giovanni Muzzioli, catalogo della mostra, Modena 1991, p. 52) - e nella vicina Bologna
Luigi Bertelli, dai ben diversi esiti di distillata essenzialità, in un tempo come sospeso: così lo
Studio della Galleria d'Arte Moderna di Bologna, Figura sul prato in collezione privata
bolognese, e Gli ozi in villa, pure in raccolta di Bologna (ripr. in R. GRANDI, in
Dall'accademia al vero. La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità, catalogo della mostra,
Bologna 1983, pp. 226, 228, 229).
Spira un gusto tutto borghese in questo giardino rigoglioso di piante e fiori tra gli arredi
antichi; il tutto fissato con un impegno descrittivo singolare, con tecnica quasi divisionistica, a
tocchi di pennello, affine a quella che Silvestro Lega aveva negli anni '60 usato per "fermare"
gli orti smaglianti di colore di Piagentina.
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, pp. 431 e 438;
CONTINI, 1995 (ripr. in copertina).
Le absidi della Sagra di Carpi
olio su tela
Modena, proprietà privata
L'inedito dipinto è rara testimonianza di come si presentava la zona absidale della Sagra
- la nota chiesa carpigiana d’epoca romanica - in epoca anteriore alle ricostruzioni "in stile"
progettate dall'architetto Achille Sammarini nel 1898. E' infatti ben visibile, a sud dell'abside
centrale, l'edificio addossato al corpo antico del tempio, adibito ad abitazione del campanaro.
Nel corso del "restauro" della sagra, Sammarini demolì tale superfetazione, rinvenendo l'antico
basamento dell'absidiola, distrutta in epoca seicentesca. La sua ricostruzione avvenne, ormai
dopo la morte dell'architetto, nel 1908, secondo criteri volti al ripristino strutturale e stilistico
del complesso medievale. Una serie di stampe fotografiche del tempo documentano le varie fasi
dell'intervento (cfr. Carpi. La chiesa della Sagra, Modena 1984, pp. 92-97; A. GARUTI,
L'ingegner Achille Sammarini, Carpi 1995, pp. 213-219). La tela è dunque situabile al periodo,
se non tardo, certamente avanzato dell'attività dell'artista; in particolare, l'impaginazione
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prospettica appare identica a quella di un'antica fotografia databile attorno al 1880 (GARUTI,
cit., p. 216).
Gli effetti luministici, pur sapienti, non precludono la visione dettagliatissima del testo
architettonico, come se Lugli mirasse soprattutto alla restituzione fedele di quella presenza
monumentale.
inedito
Il fabbricato delle Zitelle e il terrapieno delle mura
olio su cartone, cm. 13,8 x 22,5
Carpi, Museo Civico
Il dipinto fu acquisito al Museo tramite la donazione di don Ettore Tirelli nel 1914.
L'Orfanatrofio delle Zitelle del Soccorso, opera pia di fondazione seicentesca soppressa
nel 1912, sorgeva nell'antica via S. Sebastiano, ora Trento e Trieste; è questa la veduta del lato
retrostante dell'edificio, che s'affacciata sul terrapieno delle mura, presso una vasta area verde.
Opera giovanile, è fra le più intense espressioni dell'influsso della "macchia" nel
catalogo del Lugli. Sono piatte stesure di colore a rendere il cielo, la terra, il muro antico
dell'edificio; ridotti ad accenni del pennello le presenze umane e gli alberi spogli, mentre una
particolare ricerca è sottesa nel restituire ombre e luci di quel dimesso scorcio, fra città e
campagna. Non soltanto a Fattori, a Sernesi e ad altri Macchiaioli dovette guardare l'artista, ma,
si crede, anche alla distillata essenzialità, densa di poesia, del bolognese Bertelli.
GUANDALINI, 1966, p. 29;
GARUTI, 1990, p.117;
MARTINELLI BRAGLIA, 1993, pp. 430 e 438.
Le absidi della chiesa di San Nicolò
olio su cartone, cm. 44,3 x 31,5
Carpi, Museo Civico
Donato da Enrico Grimelli nel 1921, il dipinto ritrae il settore absidale della francescana
S. Nicolò, dominato dall'altissimo tiburio, dai moduli bramanteschi, e dai due tipici campanili ai
lati dell'abside maggiore. E' un brano di vedutismo urbano minuziosamente descritto, che rivela
gli studi presso la rinomata Scuola di prospettiva dell'Accademia modenese. Acquista poi un
fascino particolare per il battito della luce sulle superfici murarie, dando così spessore
volumetrico e respiro spaziale alle architetture.
Si ritiene che anche quest'opera sia stata realizzata durante il soggiorno dell'artista
presso l'Ospedale di Carpi (cfr. scheda precedente); tanto è suggerito dall'inquadratura della
veduta, delimitata nella parte inferiore dai tetti di un edificio o di un muro di cinta.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 121.
Panorama di Carpi con la chiesa di San Nicolò
olio su cartone, cm. 44 x 31
Carpi, proprietà privata
E' il profilo di Carpi, disteso in un formato di notevole sviluppo orizzontale, quale si
presentava nel lato ad oriente, subito fuori dalla cerchia delle mura; emerge, ben riconoscibile,
il tiburio della chiesa di S. Nicolò.
L'essenzialità lessicale riconferma, ancora una volta, l'importanza del "verismo" toscano
nell'evoluzione stilistica dell'autore.
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Soggetti sacri
Immacolata Concezione
olio su tela, cm. 39 x 30
firmato; studio preparatorio
La Proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione
matita nera su carta grigia, incollata su tela, mm. 750 x 1290
firmato
Carpi, Museo Civico
Il dipinto è dono del pittore Carlo Grossi, nel 1912; il disegno giunse nel nucleo della
donazione di don Ettore Tirelli del 1914.
Il primo costituisce il bozzetto preparatorio per la figura della Madonna che compare
nella Proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione, dipinta da Lugli nel catino del
transetto sinistro della chiesa francescana di S. Nicolò in Carpi nell'anno 1874. Un'impresa di
notevole impegno, attestato anche da questo disegno propedeutico, di grande accuratezza anche
nei dettagli, che prevede l'intera composizione. Nella semicupola sopra la seicentesca pala
dell'Immacolata di Francesco Gessi, il dipinto di Lugli possiede intonazione chiaramente
didascalica, anzi programmatica, proponendo un dogma che fu sempre caro, nei secoli,
all'ordine francescano officiante il tempio (cfr. A. GARUTI, in San Nicolò in Carpi, Carpi
1992, p. 152). E questa tela risulta ancora più apprezzabile, per quel suo tono spiccatamente
"umano", quasi di ritratto "dal vero", accostante e antiretorico; quel tono in cui va individuata la
peculiarità forse più valida della produzione dell'artista.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p. 120.
GARUTI, Disegni di artisti carpigiani..., 1981, p. 7.
Angeli suonatori
olio su tela, cm. 27 x 60
Angeli
olio su tela, cm. 27,59 x 60
Carpi, Museo Civico
Entrambe le opere furono donate al Museo Civico dallo stesso autore nel 1912. Sono
rapidi bozzetti preparatori per la decorazione ad affresco della cupola di San Prospero in Reggio
Emilia, condotta da Lugli nel 1885, in collaborazione con i reggiani Cirillo Manicardi e Giulio
Ferrari.
GARUTI, Carpi. Museo Civico, 1990, p.p. 118-119.
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