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PIERO MARINO VERSO UNA GIUSTIFICAZIONE ETICA DEL DIRITTO? (A PROPOSITO DELLA RECHTSETHIK DI DIETMAR VON DER PFORDTEN) Estratto dal volume QUADERNI FIORENTINI PER LA STORIA DEL PENSIERO GIURIDICO MODERNO 48 (2019) Isbn 9788828812159 PIERO MARINO VERSO UNA GIUSTIFICAZIONE ETICA DEL DIRITTO? (A proposito della Rechtsethik di Dietmar von der Pfordten) 1. Il fatto e la norma. — 2. Interessi e diritti. — 3. Politica e dignità. — 4. Diritto e sovranità politica: verso un piano tridimensionale. Queste pagine hanno l’obiettivo di presentare e discutere criticamente il volume sulla Rechtsethik del filosofo tedesco Dietmar von der Pfordten (1). Nel lavoro è possibile individuare tre linee direttive: la prima conduce, attraverso una ricostruzione dei possibili rapporti tra diritto e morale, alla questione della giustificazione etica del diritto; la seconda, attraverso un’articolata quanto sistematica analisi del panorama giusfilosofico passato e contemporaneo, porta alla formulazione del metodo dell’individualismo normativo; la terza, infine, si rivolge agli aspetti materiali della giustizia sociale. Il filo conduttore di questa nostra presentazione è costituito dall’incontro di tali linee direttive con la riflessione più recente del filosofo sulla dignità umana, allo scopo di metterne in luce soprattutto i risvolti etico-politici: su questo piano sarà possibile instaurare un (1) D. VON DER PFORDTEN, Rechtsethik (2001), München, Verlag G.H. Beck, 20112. Il lavoro, ampio ed articolato, attraverso un esauriente quadro d’insieme delle differenti teorie filosofiche dell’etica giuridica, mira a elaborarne una visione sistematica che, nei contributi successivi dell’autore, alcuni dei quali tradotti in italiano, pone al centro dei suoi interessi la questione tanto etica quanto giuridica della dignità umana. I contributi in questione, oggetto diretto della presente recensione critica, sono: Zur Würde des Menschen bei Kant, in Recht und Sittlichkeit bei Kant, « Jahrbuch für Recht und Ethik », hrsg. von B.S. Byrd, Berlin, 2006, pp. 501-517 (tr. it. col titolo: La dignità umana in Kant, in « La Cultura », XLIX (2011), 2, pp. 209-225); Fünf Elemente normativer Ethik — Eine allgemeine Theorie des normativen Individualismus, in « Zeitschrift für philosophische Forschung », LXI (2007), pp. 283-319; Was ist Recht? Ziele und Mittel, in « Juristenzeitung », LXIII (2008), pp. 641-652 (tr. it. col titolo: Sul concetto di diritto. Fini e mezzi, in « Rivista di filosofia del diritto », II (2016), pp. 317-340); Menschenwürde, München, Verlag C.H. Beck, 2016; Considerazioni sul concetto di dignità umana, in La dignità umana in questione. Un percorso nel dibattito giusfilosofico, a cura di V. Marzocco, Torino, Giappichelli, 2018, pp. 1-18. 736 QUADERNI FIORENTINI XLVIII (2019) dialogo produttivo con la riflessione di Jürgen Habermas, che su più punti incrocia quella dell’autore. 1. Il fatto e la norma. Nella riflessione filosofico-giuridica di von der Pfordten, la morale e il diritto sono caratterizzati da un comune elemento normativo: se la prima svolge la funzione di orientare, sul piano delle coscienze, il comportamento individuale e sociale, il secondo assume invece il compito di prevenire e dirimere i conflitti sul piano oggettivo e formalizzato della positività giuridica (Rechtsethik, pp. 7-20 e pp. 73-81). Una simile distinzione tra le sfere d’azione del diritto e della morale non toglie, tuttavia, che uno dei possibili intrecci tra loro si realizzi proprio sul piano della normatività. Emerge da qui la domanda sul modo attraverso cui il diritto può interagire normativamente con la morale, influenzandola in modo legittimo (p. 90). La risposta chiama in causa un terzo elemento, quello di un’etica normativa e regolativa: « L’influenza del diritto sulla morale è legittima unicamente se il diritto come strumento di tale influenza è eticamente legittimo » e se la stessa « morale che deve essere influenzata è di per sé eticamente legittima » (pp. 93-94). Sia la morale che il diritto, dunque, sono storicamente collocati e risultano portatori di una dialettica interna di legittimazione che li riconduce, rispettivamente, all’etica-della-morale e all’etica-deldiritto (pp. 63-65 e ss.). Questi, a nostro giudizio, i motivi di fondo per i quali l’autore, nel porsi fin dall’inizio la domanda sul diritto giusto (pp. 1-6), sembra focalizzarsi, piuttosto che sulla differenza tra positivismo giuridico e giusnaturalismo, sullo spartiacque concettuale tra sostenitori e detrattori di una possibile relazione tra diritto ed etica (pp. 108-120). Distinzione, quest’ultima, che taglia in qualche modo trasversalmente le correnti del positivismo giuridico (2) e del giusnaturalismo (3) e che conduce von der Pfordten ad optare per una concezione da lui denominata normativismo etico-giuridico (Rechtsethischer Normativismus), secondo la quale la giustificazione del diritto positivo attraverso l’etica (2) Nell’ambito del positivismo giuridico, l’autore ne distingue una versione rigida ed una versione moderata. Mentre la prima nega decisamente la possibilità di un’influenza dell’etica sul diritto, la seconda, pur distinguendo in modo netto tra il diritto come è ed il diritto come dovrebbe essere, non chiude le porte all’etica (p. 111). (3) È possibile trovare traccia di tale distinzione anche nel campo del giusnaturalismo, dal momento che alcune delle sue forme (nella fattispecie quelle che considerano l’elemento etico interamente interno al diritto positivo) finiscono, nei fatti, per negare la possibilità di tale relazione dialettica. Si veda quanto von der Pfordten scrive a proposito dell’essenzialismo e del diritto naturale classico (pp. 191-195). A PROPOSITO DI... 737 risulta senz’altro possibile sia sotto il profilo fattuale che sotto quello normativo, senza però implicare alcun riferimento ontologico. Pertanto, nel tentativo di districare concettualmente l’inscindibile intreccio tra le sfere d’azione del diritto e della morale, il normativismo etico-giuridico chiama in causa il ruolo svolto dalla filosofia pratica (pp. 120-211) (4). Il piano di fondo del ragionamento può essere ricondotto ad una formula di tipo binario: il diritto, inteso quale elemento sociale, rappresenta in qualche modo il fatto che l’etica è chiamata a normare, mentre la morale, anch’essa socialmente intesa, è a sua volta considerata nella sua dimensione fattuale, da legittimarsi attraverso il richiamo all’etica. L’azione normativa del diritto sulla morale può dunque avere luogo e legittimità unicamente attraverso l’etica. Pertanto solo il richiamo alla giustificazione — normativa — di quest’ultima sembra in grado di salvaguardare la funzione normativa di entrambi e soprattutto di rendere legittimo e non arbitrario il loro intreccio. È possibile individuare in queste riflessioni la stessa tensione tra validità e fattualità che secondo Habermas caratterizza l’esperienza giuridica (5). Tale tensione rappresenta il punto critico e problematico di qualsiasi dottrina del diritto che, riconnettendone la funzione ad elementi di tipo etico e morale, intenda salvaguardarne — in contrapposizione al disincanto sociologico — la dimensione autenticamente normativa (6). Nel tentativo di dare ragione dell’esperienza giuridica, Habermas inserisce questi problemi nella più ampia prospettiva teorica dell’agire comunicativo: ciò che desta il nostro interesse è il fatto che il diritto sia chiamato in causa, da un lato, in relazione alla politica — nel (4) Analizzando la questione sul piano tanto fattuale che normativo, l’autore mostra che per alcune teorie filosofiche, da lui definite nichiliste, la giustificazione etica del diritto sarebbe impossibile su entrambi i piani; secondo altre (qui l’autore chiama in causa Kelsen e Schmitt) essa risulterebbe senz’altro possibile sotto entrambi gli aspetti, ma non per questo opportuna; infine, secondo le teorie essenzialiste, in nome di principi sostanzialmente ontologici, tale giustificazione sarebbe necessaria su entrambi i piani. Dal suo proprio punto di vista, von der Pfordten vede nella giustificazione etica del diritto una possibilità — fattuale e normativa — non necessaria. Sulla funzione della filosofia pratica si veda anche p. 22 e ss. (5) Cfr. J. HABERMAS, Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaats, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1992; tr. it. — che comprende anche la Postfazione alla quarta edizione tedesca (1994) — a cura di L. Ceppa, Fatti e norme, Roma-Bari, Laterza, 2013. (6) HABERMAS, Faktizität und Geltung, cit., pp. 53-96. Habermas si riferisce in particolare alle filosofie della giustizia che avrebbero il merito di porre al centro la dimensione normativa del diritto, ma il torto di non rendere ragione della fattualità sociale in cui si quest’ultimo si radica. 738 QUADERNI FIORENTINI XLVIII (2019) contesto del moderno stato democratico — e, dall’altro, in relazione alla morale. Pertanto, il processo di giustificazione del diritto positivo, letto come riconduzione della fattualità alla validità, può essere esercitato sia sul piano della morale che su quello della legalità democratica (7). Tornando a von der Pfordten, la domanda sul diritto giusto e sulla possibilità che quest’ultimo interagisca concretamente con la morale sociale lo spinge, in primo luogo, a chiarire che cosa, sul piano del diritto, debba essere condotto a giustificazione etica e, in secondo luogo, a delucidare il come di tale processo. Se la prima questione chiama in causa l’intreccio di interessi e diritti di cui i soggetti giuridici risultano portatori, la seconda chiama in causa il ruolo performativo del politico e la sovranità decisionale che, nel moderno stato democratico, appartiene ad ogni cittadino. 2. Interessi e diritti. La domanda sulla giustizia del diritto chiama in causa gli individui in quanto soggetti morali che entrano in reciproca relazione (Rechtsethik, pp. 216-218) (8). Al di fuori di tale duplice caratterizzazione, vale (7) Ivi, p. 98 e ss. Ciò che Habermas indica con il termine ‘morale’ non coincide pienamente con l’utilizzo che ne fa von der Pfordten: per quest’ultimo, come visto, l’etica può essere ricondotta ad una sorta di esperienza riflessiva atta a giustificare l’azione morale. Quest’ultima, sebbene intimamente caratterizzata da una funzione normativa, è considerata, in queste pagine iniziali del testo sulla Rechtsethik, nella sua collocazione storico-sociale. Viceversa, Habermas utilizza il concetto di etica in relazione alla sfera dell’oggettivazione (secondo la tradizione hegeliana) ed il termine ‘morale’ nel preciso solco della tradizione kantiana, dotandolo in tal modo di quella tensione universalistica e categorica che desta il nostro interesse in riferimento all’etica del diritto (cfr. J. HABERMAS, Erläuterungen zur Diskursethik, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1991; tr. it. di E. Tota, Teoria della morale, Roma-Bari, Laterza, 1994). D’altro canto, il fatto che von der Pfordten parli di ‘etica’ a proposito della giustificazione dell’azione morale e del diritto positivo, rimanda senz’altro all’ambito dell’oggettività. Per entrambi, etica e morale convergono senz’altro sul piano più ampio della ragion pratica, piano che, come visto, a giudizio di von der Pfordten, concerne l’esperienza del diritto e la sua possibile giustificazione e che, secondo Habermas, si apre anche alla prospettiva dell’azione politica. Quello che li distingue, in sostanza, è il metodo utilizzato per ricondurre a giustificazione etica l’azione morale degli individui e la produzione del diritto: il primo, come vedremo, chiama in causa il sistema dell’individualismo normativo, mentre il secondo, richiamandosi alla tensione tra moralità ed eticità, rimanda alla teoria dell’agire comunicativo che, riconnettendosi alla sfera più ampia della ragion pratica, include anche il piano della politica. (8) « La giustizia, nella concezione comune del termine [...] è sempre riferita all’altro, vale a dire ad un altro essere che guadagna una considerazione morale ed etica » A PROPOSITO DI... 739 a dire in presenza del semplice elemento relazionale, non siamo di fronte ad una domanda sulla giustizia, ma alla semplice domanda sulla vita buona (9). In realtà, tale distinzione può risultare problematica se si prendono in considerazione gli elementi dell’azione individuale chiamati alla giustificazione etico-giuridica e indicati come moralmente rilevanti, quali possono essere scopi, desideri, bisogni e impulsi (10): sia la domanda sulla vita buona che quella sulla vita giusta, infatti, prendono in considerazione questi elementi, ma ad essi guardano in modo differente; il che significa che, presi di per sé, essi non sono da considerarsi immediatamente come moralmente rilevanti. Il metodo dell’individualismo normativo, cui aderisce von der Pfordten, si occupa proprio di portarli a giustificazione etico-giuridica, indicando come banco di prova l’incontro — necessariamente sociale e comunitario — delle differenti individualità. Escluso in tal modo il ricorso a giustificazioni di tipo collettivistico (quali la patria, la nazione, il popolo, etc.), l’azione individuale resta l’unica forma degna di considerazione etico-normativa (pp. 283-316) (11). Quest’ultima, seppur radicata sul piano morale dell’autonomia soggettiva, prende forma concreta in tre diversi ambiti: la sfera degli interessi individuali (Individualzone), la sfera degli interessi sociali (Sozialzone) ed un terzo ambito, denominato sfera relazionale (Relativzone), che comprende gli elementi in cui entrano in gioco e si intrecciano gli interessi di entrambe le categorie (pp. 471-522). Tenendo ferma la distinzione tra fattualità e validità che abbiamo inteso assumere quale piano di lettura, non possiamo non notare come tali elementi assumano senz’altro un intrinseco valore morale, ma (a meno di non voler far riaffiorare reminiscenze di tipo giusnaturalistico) unicamente se considerati sotto il punto di vista — normativo — dell’etica. Osservati dal lato della fattualità, essi appaiono invece orientati alla semplice realizzazione individuale, il che li ricondurrebbe in ed è sempre « una virtù o una caratteristica di un’azione o di una norma in relazione all’altro, cioè una caratteristica relazionale » (pp. 216-217). (9) « La domanda sulla giustizia non comprende la domanda sulla vita buona, sull’Ethos. Le domande sulla vita buona non incontrano l’altro sul piano della morale e non possono condurre a norme categoriche » (p. 218). Si noti l’utilizzo del termine Ethos che, in questa circostanza, differisce radicalmente, nel valore, dal termine ‘etica’, richiamato in precedenza. (10) Cfr. VON DER PFORDTEN, Fünf Elemente normativer Ethik, cit., pp. 466-470. (11) Cfr. D. VON DER PFORDTEN, Normativer Individualismus versus normativer Kollektivismus in der politischen Philosophie der Neuzeit, in « Zeitschrift für Philosophische Forschung », LIV (2000), 4, pp. 491-513. 740 QUADERNI FIORENTINI XLVIII (2019) qualche modo al piano della vita buona (12); a sua volta, la distinzione in tre differenti sfere d’azione rischia di avere una connotazione meramente empirica e può assumere valore normativo unicamente se ulteriormente giustificata. Nell’esemplificare il metodo dell’individualismo normativo, von der Pfordten si esprime, singolarmente, attraverso una metafora di tipo geometrico: « Nel delimitato spazio bidimensionale della geometria euclidea possiamo liberamente tracciare due rette non parallele, che si incontreranno necessariamente in un unico punto d’intersezione » (13). Che le rette non parallele rappresentino le diverse individualità — a loro volta portatrici di determinate caratteristiche e differenti interessi da giustificare — è abbastanza chiaro, così come il loro punto di intersezione rappresenta senza dubbio l’incontro etico-giuridico da individuare. Tuttavia, la parola chiave, in questa espressione metaforica, sembra essere rappresentata dal riferimento al piano euclideo: da un lato, infatti, quest’ultimo può essere inteso come il luogo nel quale è possibile dirimere le controversie ed i conflitti destati dall’incontro dei comportamenti individuali, concretizzati nelle differenti sfere degli interessi; dall’altro, considerando che viene a rappresentare la conditio sine qua non di tale incontro, ne determina a tutti gli effetti le condizioni di possibilità teorica e concreta. In quanto luogo d’incontro dell’azione individuale e condizione di distinzione delle differenti sfere degli interessi, esso rappresenta il piano normativo del diritto e rimanda al discorso sulla giustificazione etica e quindi alla domanda sui diritti (12) Von der Pfordten presenta la relazione tra la domanda sulla giustizia e la domanda sulla vita buona secondo un piano cartesiano per il quale tanto più la prima risulta astratta, tanto meno è chiamata a subire l’influenza — normativa — della seconda, mentre più la prima si fa concreta, tanto più necessita della influenza normativa dell’altra (pp. 315-316). Questo schema affronta la questione sul piano della concrezione dei princìpi etico-giuridici di giustizia attraverso cui siamo chiamati a diramare le controversie tra gli individui; concrezione che, riconoscendo uno spazio autonomo ai contenuti particolari dell’Ethos, prende infine forma nella distinzione delle tre zone della giustizia sociale (pp. 525-528). Tale distinzione dà per assunta la possibilità effettiva della domanda sulla giustizia. Resta, a nostro avviso, la difficoltà di individuare le condizioni attraverso cui l’azione individuale risulti investita di quella responsabilità morale della quale pure appare portatrice. (13) D. VON DER PFORDTEN, Zur Frage der Rechtfertigung des normativen Individualismus, in « Juristenzeitung », XIII (2006), p. 668. A tal proposito, l’autore parla di oggettivismo debole (Rechtsethik, p. 37), contrapponendolo, come modello, sia alle teorie che sostengono la possibilità di individuare il piano etico indipendentemente dall’espressione delle differenti individualità (oggettivismo forte) che alle teorie soggettivistiche (deboli o forti che siano) le quali escludono, in sostanza, il piano etico dalle caratteristiche dell’azione individuale. A PROPOSITO DI... 741 fondamentali; in quanto condizione di possibilità dell’incontro normativo, richiama, a nostro giudizio, la dimensione del politico. Di conseguenza, la considerazione etico-normativa dell’azione umana non risulta indipendente dal piano delle istituzioni politiche al cui interno prende forma, mentre la domanda sulla giustizia del diritto — propedeutica alla domanda sui modi attraverso cui quest’ultimo può legittimamente influenzare la morale sociale — si traduce in realtà nella domanda sul processo che, partendo dal piano delle differenti sfere degli interessi individuali, conduce, attraverso il piano della legittimazione politica, al piano — normativo — dei diritti. 3. Politica e dignità. Nelle riflessioni di von der Pfordten, il fine specifico della politica consiste nella « connessione dei possibili interessi che vanno nella medesima direzione e nella mediazione tra quelli che vanno in direzione differente o conflittuale » (14). La politica è dunque espressione dell’azione collettiva della comunità ma, in coerenza con i princìpi dell’individualismo normativo, riflette il criterio della rappresentanza, criterio che, nel moderno stato democratico-costituzionale, si esprime legalmente, vale a dire attraverso il diritto (15). L’elemento che però la separa da quest’ultimo consiste nel fatto che ad essa è attribuita la possibilità — ideale — della decisione ultima (16). Al tempo stesso la politica, a differenza del diritto, ha tra i propri scopi la risposta alla domanda sulla vita buona e non solamente sulla vita giusta (17). Così considerato, però, il politico sembra svolgere il ruolo di trasferire la domanda sulla giustizia sul piano concreto della realizzazione e mediazione sociale, vale a dire di garantire, a tutela degli interessi individuali, la concrezione di quei diritti di cui gli individui stessi risulterebbero già portatori; il che è evidentemente diverso dal supportare la legittimazione degli interessi sul piano del diritto. In altri termini: collocare sul piano del politico, seppur attraverso la mediazione della legalità giuridica, le condizioni concrete dell’incontro delle rette non parallele, lascia comunque aperta, (14) D. VON DER PFORDTEN, Über den Begriff des Politischen, in « Zeitschrift für Philosophische Forschung », LXVIII (2014), p. 53. Gli interessi in questione sono i medesimi citati in precedenza, vale a dire quelli che rimandano a caratteristiche eticamente suscettibili. (15) Ivi, p. 51. La rappresentanza, in quanto caratteristica essenziale del politico, non è propria solo dello stato diritto, sebbene nell’ambito di quest’ultimo trovi realizzazione legale (ivi, pp. 39-44). (16) Ibidem. (17) Ivi, p. 56. 742 QUADERNI FIORENTINI XLVIII (2019) sotto il profilo della legittimazione teorico-giuridica, la questione della riconduzione degli interessi sul piano dei diritti. In questione non sono, però, solamente gli interessi primari, ma anche gli interessi di second’ordine: « Se soltanto gli individui possono rappresentare l’autorità etica ultima e, se essi possono decidere in linea di principio autonomamente circa le qualità giustificabili, allora il novero degli interessi possibili non deve essere ridotto agli interessi generali più concreti, come l’integrità morale e fisica. Il primo e maggiore interesse consiste invece nel desiderio o nell’interesse di second’ordine ad avere interessi primari » (18). Questa riflessione porta in primo piano la questione della dignità umana intesa quale padronanza e « autodeterminazione dei propri interessi [...], condizione necessaria dell’azione morale, in quanto ogni azione autenticamente morale richiede una limitazione dei propri desideri e appetiti su un meta-livello valutativo » (19). Il richiamo alla dignità umana quale elemento intrinsecamente morale, e di per sé aperto alla condizione normativa, svolge indubbiamente un ruolo importante nella trasposizione del piano degli interessi sul piano dei diritti. Se, sotto il profilo storico e giuridico, infatti, il riconoscimento della tutela della dignità umana è senz’altro successivo alla codificazione dei diritti che concernono la tutela degli interessi primari, sotto il profilo fondativo può essere considerato prioritario, dal momento che riposa sul principio dell’autodeterminazione etica, condizione indispensabile affinché ogni individuo possa veder riconosciuto il diritto alla realizzazione dei propri interessi in una prospettiva comunitaria (20). In altri termini, il riferimento alla centralità della dignità umana permette di individuare un momento intrinsecamente etico nella gestione degli interessi individuali, garantendone la considerazione secondo un punto di vista, a sua volta, intrinsecamente normativo. (18) VON DER PFORDTEN, Considerazioni sul concetto di dignità umana, cit., p. 13. (19) Ivi, pp. 15-16. L’autore riconduce a Kant questa considerazione sulla dignità umana, intesa quale « qualità di un essere razionale il quale non obbedisce ad alcuna legge che non sia quella che egli stesso contemporaneamente dà a se stesso » (ivi, p. 7) e sottolinea in modo pregnante come essa non possa invece essere ricondotta alla seconda formula dell’imperativo categorico — ossia alla formula che impone di considerare l’umanità in sé e negli altri sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo — dal momento che quest’ultima nulla ci dice circa il fondamento di tale obbligo. Al contrario, la considerazione sull’autodeterminazione dell’azione etico-morale del soggetto costituisce proprio il fondamento dell’obbligo etico (ivi, pp. 7-10) e dunque, potremmo dire, la stessa radice dell’agire normativo. La questione è ulteriormente approfondita in VON DER PFORDTEN, Sulla dignità umana in Kant, cit. (20) Cfr. VON DER PFORDTEN, Menschenwürde, cit., pp. 107-108. A PROPOSITO DI... 743 Tuttavia, il riferimento alla dignità umana, concretizzata a sua volta nel diritto all’autodeterminazione individuale, apre ancora una volta le porte alla questione della sovranità politica. Nella prospettiva dei moderni stati democratici, la dimensione rappresentativa della politica si esprime attraverso le procedure del diritto: in tale contesto, il metodo dell’individualismo normativo ha il merito di ricondurre le decisioni fondamentali sugli interessi in campo proprio a coloro che di tali interessi risultano portatori (pp. 253-265) (21). Tuttavia questo elemento, ancorché necessario, non ci sembra sufficiente: se in tal modo si spiega agevolmente l’influenza esercitata dal diritto sulla politica, radicando quest’ultima sul piano della rappresentanza degli interessi individuali, si rischia comunque di lasciare nell’ombra il processo di trasposizione del piano degli interessi sul piano del riconoscimento di diritti, processo che deve in qualche modo passare attraverso la decisione politica e, soprattutto, volendo prendere sul serio il riferimento all’autodeterminazione, attraverso l’espressione della sovranità democratica. 4. Diritto e sovranità politica: verso un piano tridimensionale. L’ambiguità del diritto moderno, conteso tra necessarie istanze di positivizzazione e statualizzazione ed il bisogno morale di salvaguardare un momento di indisponibilità — momento che nelle società premoderne era rappresentato da elementi di tipo religioso (22) — è stata ricondotta da Habermas ad una duplice caratterizzazione dei principi di autonomia ed autodeterminazione: da un lato, essi si manifestano attraverso il richiamo ai diritti fondamentali degli individui, dall’altro, si legittimano attraverso il ricorso alla sovranità popolare (23). Ipotizzando una cooriginarietà di questi due elementi, il filosofo francofortese ha proposto un sistema di legittimazione reciproco tra diritti soggettivi e diritti politici (24) che, nelle più recenti forme del moderno stato costituzionale, coinvolge l’esercizio della sovranità democraticopopolare in relazione ai diritti umani (25). Von der Pfordten colloca (21) Qui l’autore si sofferma sugli aspetti materiali dell’etica del diritto. (22) Cfr. J. HABERMAS, Recht und Moral (Tanner Lectures 1986), in ID., Faktizität und Geltung, cit.; tr. it. di L. Ceppa, in ID., Morale, Diritto, Politica, Torino, Ed. di Comunità, 2001, pp. 5-78, qui pp. 63-67. (23) Cfr. J. HABERMAS, Volkssouveränität als Verfahren (1988) in ID., Faktizität und Geltung, cit.; tr. it. in ID., Morale, Diritto, Politica, cit., pp. 81-103. (24) Cfr. HABERMAS, Faktizität und Geltung, cit., pp. 98-217. (25) « L’idea dei diritti umani non deve essere né soltanto imposta al legislatore sovrano come una sorta di barriera esterna, né strumentalizzata da quest’ultimo come un requisito funzionale al perseguimento dei sui scopi » (J. HABERMAS, Die Einbeziehung des 744 QUADERNI FIORENTINI XLVIII (2019) Habermas e la sua teoria della giustificazione discorsiva a metà strada tra le teorie che si richiamano all’individualismo normativo e quelle di tipo collettivistico (Rechtsethik, p. 302 e p. 305) (26). In tal modo, però, corre il rischio di mettere in ombra il problema principale posto da Habermas, che non riguarda tanto il rapporto tra individuo e collettività ma, piuttosto, la difficile e controversa relazione tra sovranità politica e sovranità del diritto nell’ambito dello stato moderno. Una considerazione del genere permette di aprire una breccia sul ruolo svolto dalla politica nella trasposizione del piano degli interessi su quello dei diritti. Se utilizziamo infatti come architrave del discorso il riferimento alla dignità umana, intesa quale padronanza dei propri interessi di primo grado e dunque — necessariamente — come fonte del progetto d’autonomia, è possibile individuare sul piano dell’espressione dei diritti politici (che rimandano all’esercizio della sovranità democratica) la conditio sine qua non affinché i singoli individui possano veder riconosciuta la tutela dei propri interessi e affinché questi ultimi — considerati intrinsecamente sul piano etico-normativo — possano essere ricondotti a giustificazione etica. Diventa così possibile dar ragione dell’intreccio tra politica e diritto anche dal lato dell’azione politica, senza che ciò comporti la rinuncia all’autonomia della sfera giuridica, a sua volta condizione essenziale per la giustificazione etica del diritto. Il processo di legittimazione politica rende infatti possibile proprio la trasposizione degli interessi individuali sul piano dei diritti attraverso l’esercizio dei diritti politici, già statuiti giuridicamente e specchio della sovranità democratica. In questo senso la metafora dell’incontro delle rette non parallele necessita probabilmente di un accorgimento che le collochi su di un piano tridimensionale: abbandonando la bidimensionalità del piano euclideo, infatti, è possibile individuare nel salto normativo supportato dall’azione politica la dimensione della profondità, dimensione che, a buona ragione, potremmo definire la condizione politico-normativa dell’incontro etico-giuridico delle diverse individualità e luogo della giustificazione etica degli interessi di cui risultano portatrici. Anderen. Studie zur politischen Theorie, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1996; tr. it. a cura di L. Ceppa, L’inclusione dell’altro, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 219). (26) In generale la ricostruzione dell’autore ha intenti sistematici e tende a ricondurre tutte le teorie analizzate alla fondamentale dicotomia tra modelli individualistici e modelli collettivistici, sorvolando sulle distinzioni tradizionalmente predilette dagli studiosi quali, ad esempio, tra impostazioni liberali e illiberali, contrattualistiche ed anti-contrattualistiche.