15/5/2019
Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione di linguaggi performativi nei centri di prima accoglienza e nei campi per rifugiati – Journal
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1 • January 2019 : Spectres of Europe: European theatre between Communitarianism and Cosmopolitanism.
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Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione
di linguaggi performativi nei centri di prima accoglienza e nei
campi per rifugiati
Rosaria Ruffini
Abstract | Full text | Bibliography | Notes | Author
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione di linguaggi performativi nei centri di prima accoglienza e nei campi per rifugiati – Journal
Abstract
English
Italian
The Good Chance Theatre is a network of international artistes operating in the
refugees’ camps and in the Reception Centres for Migrants. In these sorts of
laboratories of cosmopolitanism where people from various origins share the
ultimate desire to become Europeans, Good Chance Theatre establishes his mobile
theatres (geodesic domes) and tries to develop a common language and a shared
imagination, using performing arts. Founded in 2015, in the unofficial Calais camp,
the Good Chance has developed a network of domes in France and in Great Britain,
aiming to increase those spaces of experimentation, where the performative
language challenges multiple identities in transition. Hundreds of refugees, artists
and volunteers work together daily, to connect peoples, bodies, ideas and narratives.
By working at the thresholds of Europe, where new identities are rebuilt or denied,
Good Chance Theatre benefits of a privileged viewpoint to look at the continent and
foresee its changes. This case study is significant for considering the role, the
responsibility and the advantage of being an artist facing mass migration and it
offers the possibility to reflect about migrants’ journey (factual or figurative) to
reach Europe, and to become new Europeans.
Keywords: Migrants, Reception Centres for Migrants, Refugees’ camps,
Performance, Good Chance Theatre, Europa.
Full text
Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione di linguaggi
performativi nei centri di prima accoglienza e nei campi per rifugiati
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La zona d’ombra
Il crescente fenomeno delle migrazioni è uno dei nodi centrali della contemporaneità,
intorno al quale sembrano naufragare le politiche internazionali e la stessa tenuta
dell’Unione Europea. Il processo di progressivo “indurimento” delle identità nazionali1
che considerano la cultura come un sistema chiuso, e il prosperare di politiche populiste
ed estremiste, hanno isolato gli ideali e i valori coesivi e multiculturali. In questo scontro,
il teatro non si è fatto da parte. Anzi: il binomio teatro-migranti è sempre più radicato e,
1. L’espressione “indurimen
dell’identità” è utilizzata da
Jean-Loup Amselle in Logiq
métisses. ... [Read more] ()
da almeno due decenni, la ricchezza di attività teatrali focalizzate sull’inclusione sta
stimolando la scena contemporanea. I progetti performativi si moltiplicano, proponendo
modelli di convivenza e sfidando le asfittiche nozioni di identità culturale difese dai nuovi
estremismi. Anche la dimensione critico-teorica ha risposto con la produzione di una
rivelante letteratura sul tema2, inaugurando una linea di ricerca che allea gli studi sulla
Performance ai Migration Studies, attraverso una varietà d’approcci: dalla critica estetica
sulle rappresentazioni del migrante e dell’immigrazione3, alla lettura postcoloniale che
analizza l’autorialità dei migranti e il loro apporto al rinnovamento della scena
2. Cfr. Michael Balfour (a cu
di), Refugee Performance:
Practical Encounters (Bristo
Intellect... [Read more] ()
contemporanea4.
Tuttavia in questa vasta produzione si evidenzia una zona d’ombra che riguarda
l’emergente produzione artistica praticata nei campi per rifugiati e nei centri di prima
accoglienza5. La critica sembra tenersi lontana da questi luoghi dove un numero sempre
3. Cfr. Stephen E. Wilmer,
Performing Statelessness in
Europe (Basingstoke: Palgra
Macmillan, 20... [Read mor
più ingente di persone vivono confinate in attesa che la burocrazia le qualifichi come
“regolari” o “clandestine”. Eppure l’antropologia ci ha indicato, da tempo, questi nuovi
territori della modernità: gli scritti di Michel Agier6 e Zygmunt Bauman7 ne hanno ritratto
le soglie invisibili dove si occultano e ghettizzano gli indesiderabili, dove si nascondono i
veri spettri dell’Europa odierna.
A Idomeni, a Ceuta e Melilla, nei campi rifugiati in Slovenia, in Francia, nei centri di
prima accoglienza italiani, circolano anche il teatro e la performance. E non tanto e non
solo nelle forme semplici utilizzate da operatori sociali, quanto nelle sperimentazioni
praticate da numerosi professionisti delle scene che, in questi luoghi, si mettono alla prova
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4. Cfr. Azadeh Sharifi,
“Multilingualism and Postmigrant Theatre in Germany
Modern Drama 61, n.... [Re
more] ()
5. Un’eccezione è rappresen
dall’Architettura, disciplina
sembra aver sviluppato un c
interesse... [Read more] ()
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con esiti di grande impatto artistico e sociale. Diversamente dalle esperienze di teatro con
immigrati che vivono sul territorio europeo, qui ci si rivolge a migranti appena arrivati,
privi di riferimenti, di conoscenze linguistiche e d’identità civile, destinati a ripartire per
una meta non nota. La differenza è sostanziale: non si mira all’inclusione sociale, ma a
6. Cfr. Michel Agier,
Borderlands, Towards an
Anthropology of the
Cosmopolitan Condition
(Cambridg... [Read more] (
trovare un linguaggio comune dove poter dar spazio all’accoglienza.
Un esempio di questa sperimentazione è il lavoro del Good Chance Theatre, un network
7. Zygmunt Bauman, Vite di
scarto (Bari: Laterza 2005).
di artisti europei che opera nei campi di rifugiati e nei centri di prima accoglienza,
installandovi i propri teatri mobili. Il Good Chance Theatre ha scelto come scena un
inedito spazio di cosmopolitismo, alle soglie geografiche e culturali dell’Europa, dove
persone di varia origine condividono il sogno di diventare europei e di raggiungere il
“brave new world”8.
«L’arte dev’essere dove l’arte non c’è9»: la fondazione del Good Chance Theatre
nella Giungla
Fondato da due giovani drammaturghi inglesi, Joe Murphy e Joe Robertson, il Good
Chance Theatre nasce nel 2015, nel campo migranti di Calais. The Jungle, così come
8. William Shakespeare, La
Tempesta, atto V, scena I.
9. Joe Murphy in Kim Hullo
Guiot, “A La Chapelle les
migrants passent aux actes”
Libération, 15 ... [Read mo
veniva chiamato l’enorme accampamento clandestino, ospitava i migranti che attendevano
la buona occasione10 per riuscire a raggiungere la Gran Bretagna, nascondendosi nei tir
che attraversano la Manica. Quando il Good Chance vi si installa, il campo ospita circa
6.000 persone in tende di fortuna, ma la popolazione è destinata a crescere
esponenzialmente fino alla sua definitiva evacuazione nell’ottobre del 2016. The Jungle
10. “The good chance” deriv
suo nome dalla “buona
occasione” attesa dai migran
Calais.
rappresentava un caso unico in Europa: tollerato ma non sostenuto dal governo francese,
era privo di servizi, di rete idrica e circondato da un recinto che lo divideva dalla città. I
migranti vivevano alla giornata grazie agli aiuti inviati da privati in maniera autonoma e
disorganizzata. In questo luogo dimenticato dall’Europa, il tasso di delinquenza era
altissimo: risse, aggressioni e stupri, anche sui minori, erano all’ordine del giorno.
Quando Murphy e Robertson vi arrivano, per svolgere una ricerca sul campo mirata alla
scrittura di una dramma, restano sbalorditi e disorientati:
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Siamo stati accolti da alcuni Kuwaitiani che erano stati cacciati dal loro paese.
Ci hanno prestato una tenda perché non sapevamo come sistemarci. Non
capivamo nulla di quello che succedeva, il campo era una vera e propria città.
Tutti avevano bisogno di parlare: avevano fatto un lungo viaggio, durante il
quale avevano perso familiari e amici. Avevano lasciato dietro di loro la
famiglia e ignoravano completamente dove si sarebbero trovati il giorno
seguente. Ogni sera, cercavano di montare su un camion o un Eurostar. Quello
che succedeva era incredibile, tutte queste persone non smettevano di riunirsi
un po’ dappertutto per cantare, danzare, raccontare delle storie11.
Di fronte a tale vitalità performativa e necessità di raccontare, i due Joe decidono di creare
un teatro. Con un buon crowfunding, riescono a raccogliere 5.000 sterline per comprare
un tendone a forma di cupola che può accogliere fino a 300 persone. «Non c’era un posto
dove riunirsi ed esprimere quello che era un momento davvero difficile della loro vita racconta Roberston- Abbiamo creato il Dome. Ogni città dovrebbe avere il suo teatro»12.
Il Dome viene eretto nel settembre 2015, durante il picco della crisi migratoria in cui più
11. Joe Murphy
intervistato da Hugues Le
Tanneur in https://
www.goodchance.or letanneur-o... [Read more]()
12. Joe Robertson in Kim
Hullot-Guiot, “A la Chapell
migrants passent aux actes”
di un milione di migranti raggiunge l’Europa e le immagini degli sbarchi invadono i
media fomentando scontri politici e civili. Anche a Calais il numero dei migranti aumenta,
arrivando a circa 10.000 persone, senza alcun tipo di struttura organizzativa. Nel caos e
nell’anarchia di quei giorni, l’apertura del Dome è un evento. La reazione dei migranti è
immediata: «I primi giorni era una festa continua. C’erano canti, rap, danza, musica e in
varie lingue»13, racconta Robertson.
Riconosciuto come luogo sicuro dove è possibile sospendere le preoccupazioni, il Dome
13. Joe Robertson intervista
Hugues Le Tanneur, cit.
diventa rapidamente il punto d’incontro dei migranti. I due inglesi vi pianificano
un’attività quotidiana di performance, teatro, canto, improvvisazioni, grazie alla
collaborazione di artisti provenienti da varie parti d’Europa. Fin da subito, il Good Chance
prende forma di network e guadagna l’appoggio dei teatri londinesi Young Vic Theatre,
National Theatre e Royal Court Theatre. Numerosi artisti free-lance e compagnie teatrali
sbarcano nella Giungla per tenere workshops e rappresentare i propri spettacoli. Il
Shakespeare’s Globe vi porta una versione di Hamlet in occasione della sua tournée
mondiale “Globe to Globe” per l’anniversario dei 400 anni dalla morte di Shakespeare.
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Hamlet viene messo in scena in un piazzale, davanti a centinaia di persone. Le immagini
del Globe che si esibisce di fronte a una platea di rifugiati nell’accampamento clandestino
più malfamato d’Europa vengono riprese dalla stampa e in molti iniziano a conoscere il
Good Chance. Alcuni dei nomi della scena teatrale e cinematografica come Jude Law,
Jack Ellis, Vincent Mangado vi fanno tappa, altri come Cate Blanchett e Tom Stoppard lo
supportano14. Il successivo crowfundig ha enorme successo e permette di organizzare un
programma di attività quotidiane rivolte alle diverse componenti del campo. All’interno
del Dome si tengono sessioni di canto, workshops d’improvvisazione, musica e disegno,
si proiettano film e si apre un laboratorio di falegnameria. La versatilità dello spazio e la
creatività degli artisti trasformano il Dome in uno spazio sociale, dove si tengono riunioni,
14. Cfr. Tom Stoppard, “The
Calais Jungle is a dump but
I found music, poetry and
humanity”, The ... [Read m
()
dove si pratica l’arte e ci si diverte. Il tendone è sempre pieno: al mattino i bambini
giocano e disegnano, nel pomeriggio si tengono i training per gli adulti, alla sera tutti
assistono agli spettacoli e ai concerti offerti dai loro compagni, mentre di notte la cupola si
trasforma in discoteca. Il Dome è un paese delle meraviglie, spazio materiale e
metaforico, trasformabile a piacere. È il rifugio dell’immaginazione dei rifugiati. Qui i
migranti possono riflettere e creare con i loro corpi, possono ripensare il proprio viaggio,
ricordare i propri cari e riorganizzare la propria storia. «È un luogo dove potersi
esprimere, riappropriarsi delle narrazioni personali e collettive, in qualche modo, riumanizzarsi […] far rinascere la capacità di scelta e d’espressione attraverso l’atto
creatore»15.
Gli abitanti di Calais percepiscono il Dome come uno spazio di libertà in cui distendere il
pensiero e creare attraverso l’immaginazione. Il Dome scoperchia una delle loro più
15. Louise Bernard in “The
Good Chance Theatre: faire
renaître leur capacité de cho
d’expression”, ... [Read mo
profonde necessità: quella di poter riprendere a immaginare, a rielaborare la propria
esperienza e la propria identità. Come riscontrano i più recenti rapporti medici sui
migranti, la sofferenza mentale nei campi rifugiati è altissima, con frequenti sintomi di
psicosi, sindrome post-traumatica da stress, disturbi psicologici con attacchi di panico,
autolesionismo e tentativi di suicidio, anche tra i minorenni16. Molto di questo disagio è
acuito dall’afasia sociale che caratterizza l’arrivo in Europa17. Con determinazione, i due
Joe avvertono la possibilità di trasformare questa sofferenza in una forma di espressione:
«L’arte è sempre stata veicolo di guarigione, anche se non siamo terapeuti»18. Intuiscono
che, una volta trovato un canale in cui fluire, il bisogno di raccontare scaturisce in mille
16. Sul tema si vedano in
particolare le ricerche condo
da Thomas Elbert, presso
l’Università di Costanz... [R
more] ()
forme:
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[I migranti] Ne hanno fatto il loro spazio. Il fatto di potersi esprimere
attraverso il canto, la musica, la danza, la scrittura, la pittura, ma anche il fatto
di partecipare come falegname, carpentiere, cuoco, condividendo dei momenti
con gli altri o semplicemente comunicando, è qualcosa di profondamente
17. Si tratta di un’emergenz
sanitaria che non viene
affrontata, né presa in carico
dall’UE. Gli scarsi fo... [Re
more] ()
liberatorio e d’indispensabile se consideriamo la situazione complessa che
affrontano quotidianamente. Almeno per un momento, il teatro diventa il luogo
privilegiato dove, nel mezzo del loro cammino, possono riposarsi e respirare
18. Joe Robertson in “A La
Chapelle”, cit.
un po’. Il luogo dove possono scambiarsi le pratiche artistiche, un luogo dove
possono inventare e creare delle opere legate alla complessità della loro
situazione, mostrando così la realtà della loro vita19.
L’esplosione comunicativa è multiforme e fantasiosa, la dinamica auto-rappresentativa
19. John Murphy
intervistato da Hugues Le
Tanneur cit.
può passare per la parola, l’azione, la musica, ma anche per la semplice partecipazione ad
atti performativi creati da altri. Molti osservano in disparte, si riconoscono nelle storie
rappresentate, ritrovano quello che hanno lasciato, quello che hanno sofferto e che non
osano raccontare. Soprattutto le donne preferiscono osservare, manifestando una certa
resistenza al training fisico e al lavoro collettivo, sia a causa di questioni culturali che di
traumi originati da abusi e violenze vissute durante il viaggio. Ma anche la pratica dello
spettatore può essere liberatoria, come da tempo ci insegnano le neuroscienze20, perché
attiva un processo creativo che riscrive la drammaturgia interiore della propria esperienza.
Anche questa è una forma di autorialità intima che viene cosi protetta e stimolata. Nel
Dome, tutte le attività proposte hanno la funzione di incanalare e sviluppare ogni tensione
espressiva. Come spiega Robertson: «Quello che succede nel Dome è il risultato di quello
20. Giacomo Rizzolatti,
coordinatore del gruppo di
ricercatori dell’Università d
Parma che scoprì
l’attivi... [Read more] ()
che i migranti ci portano. Qui i migranti lasciano il loro ruolo per essere finalmente
riconosciuti per quello che sono individualmente. Noi cerchiamo semplicemente di dar
loro un po’ di forza per farli uscire dall’invisibilità in cui sono caduti»21.
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21. Joe Robertson, intervista
da Hugues Le Tanneur, cit.
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Il Dome è il luogo in cui potersi espandere: «Poter danzare di nuovo, significa essere di
nuovo vivo. Insegnare alla gente a ballare, come facevo prima, ha molti effetti, soprattutto
psicologici: dimentico tutti i problemi perché sono finalmente capace di fare qualcosa»22,
racconta il giovane danzatore rifugiato Hassan Jozolee. La riapertura della dimensione
creativa può avere effetti profondi, intervenendo anche sul destino professionale, come nel
caso di Mohamed Sarrar, musicista sudanese che, dopo aver attraversato il Mediterraneo
in condizioni drammatiche, nel Dome riprende a suonare e diventa rapidamente uno degli
22. Hassan Jozolee in Giver
Masso, “Beyond the Jungle:
Good Chance refugee theatr
pops up in Paris”, ... [Read
more] ()
artisti centrali del Good Chance Theatre. Una volta giunto a Londra, si unisce al gruppo di
artisti inglesi e compone le musiche per lo spettacolo The Jungle che andrà in scena al
Young Vic Theatre nel dicembre del 2017. Per Sarrar: «Il Dome era finalmente un posto
dove dimenticare le mie difficoltà e riprendere a sperare. È stata un’esperienza
fondamentale per me. Ho potuto esprimermi e far emergere il mio talento. È a partire da
questo momento che tutto è ricominciato»23.
Laboratorio di immaginari plurali
23. Mohamed Sarrar, intervi
da Hugues Le Tanneur, cit.
Il campo di Calais diventa un laboratorio performativo e sociale in cui artisti europei di
diversa formazione e migranti provenienti da circa 25 nazioni sperimentano un territorio
immaginativo comune. In questo contesto multiculturale e multilinguistico, il linguaggio
performativo viene destrutturato e ricostruito, per estrarne l’essenza. Si sfidano e si
testano all’infinito i processi improvvisativi, la sensibilità per lo spazio, l’ascolto del
partner. Il training fisico di gruppo non è finalizzato all’ottenimento di tecniche o abilità,
né alla strutturazione di una forma o un prodotto artistico, ma è esso stesso obiettivo.
Siamo in un ambito integralmente laboratoriale dove il processo d’incontro e quello
creativo coincidono. L’obiettivo è la creazione di una dinamica comunicativa in cui
migranti e artisti possano addentrarsi con la consapevolezza di avere un interlocutore,
perciò la pratica dell’improvvisazione è centrale, dal momento che tende a realizzare un
rapporto immediato, riconnettendo corpi, idee e narrazioni differenti. Si mira a ricostruire
quell’incontro che è venuto a mancare nella fase di arrivo in Europa. Restituendo quel
benvenuto disertato, il rapporto tra newcomers ed europei diventa nuovamente paritario.
Le dinamiche creative che si instaurano sono, infatti, orizzontali: il migrante non solo
partecipa ma anche propone e conduce, trasmettendo il proprio repertorio performativo
agli altri membri del gruppo. La varietà di narrazioni orali, musicali e corporali si allea
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così alle forme evocate dagli artisti europei e le modella trasformandole. La stessa
nozione di rappresentazione si modifica, sconfinando spesso in una forma di
partecipazione festiva.
Disseminando immaginari plurali e condivisi, l’esperienza del Dome supera un rischioso
approccio post-coloniale. Benché si svolga in Europa, la sua pratica non passa per
l’importazione estetica o la reinvenzione di modelli performativi extra-europei, ma
attraverso una creazione collettiva che unisce il bagaglio teatrale degli artisti europei con
le eterogenee tensioni espressive dei migranti.
Tale sperimentazione alle soglie di un’Europa multiculturale apporta un fondamentale
contributo all’arricchimento dell’immaginario in un’epoca in cui l’appiattimento e
l’omologazione dilagano, come già annunciava più di vent’anni fa Marc Augé nel suo
saggio La Guerre des rêves24. La progressiva colonizzazione culturale attuata dall’Europa
sugli altri orizzonti ha depauperato lo stesso immaginario europeo, uniformandolo e
riducendone tutte le diversioni. Il percorso del Good Chance è, in questo senso, un
24. Marc Augé, La Guerre d
rêves. Exercices d’ethno-fic
(Parigi: Seuil, 1997).
esempio della resistenza immaginativa convocata da Augé in chiusura del suo saggio,
dove chiama all’appello i nuovi “resistenti”, ovvero «tutti i creatori che, custodendo a
qualunque costo la circolazione tra l’immaginario individuale, l’immaginario collettivo e
la finzione, non rinunceranno mai a suscitare il miracolo dell’incontro. Tutti i sognatori,
tanto abili a coltivare i propri fantasmi da trasformare in derisione l’immaginario
preconfezionato degli illusionisti della finzione. Tutti quelli insomma che si preoccupano
prima di costruire una modernità che di aggirarla»25.
25. Augé, 180 [T.d.A.].
Impermanenze
The Jungle è un luogo fluido e di transito, dove i continui arrivi e le partenze rendono
impossibile la creazione di un gruppo di lavoro. Quando nel Dome si montano spettacoli,
concerti e performance, la distribuzione dei ruoli è sempre provvisoria e può succedere
che il giorno della prima l’attore principale non ci sia, perché è riuscito finalmente ad
attraversare la frontiera. Il Good Chance Theatre, ha imparato a trasformare
quest’instabilità in risorsa, inserendola nella propria poetica. Nel GCT tutto è in transito: i
migranti, gli artisti, i curatori, le forme artistiche e, come vedremo, anche i luoghi.
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«L’instabilità è il nucleo di tutto quello che facciamo -dichiara Murphy- Bisogna saper
tenerne conto. In questo è straordinario l’aiuto che ci viene dato quotidianamente. Quando
si lavora sul corpo, per esempio, basta che cinque persone siano state presenti il giorno
precedente ed eccole diventare i vostri migliori alleati, pronti a trasmettere agli altri quello
che hanno appreso»26.
Lavorando sulla nozione d’instabilità, il GCT si addentra in uno dei nuclei essenziali del
26. Joe Murphy intervistato
Hugues Le Tanneur, cit.
linguaggio performativo, già oggetto di approfondite riflessioni negli ultimi decenni.
Nel caso del
GCT, l’impermanenza ontologica alla performance è potenziata non da scelte artistico27
estetiche, ma da circostanze sociali e politiche. E, d’altronde, la natura effimera delle arti
sceniche ha più volte dimostrato di sapersi ben accordare a condizioni di estrema
instabilità. La storia riporta numerosi esempi in cui il linguaggio performativo è divenuto il
27. Peggy Phelan, Unmarke
the Politics of Performance
(New York: Routledge, 199
Richard Sche... [Read more
veicolo privilegiato d’espressione in contesti d’urgenza, incarnandone al meglio la realtà
fluida e precaria e, all’occorrenza, sfuggendo censura e controllo politico. Né è
testimonianza l’intensa attività performativa del ghetto di Terezin sotto il nazismo e, in
particolare, la vicenda delle prove orchestrali clandestine del Requiem di Verdi dirette da
Raphael Schachter28. I resoconti di Josef Bor29 ci restituiscono uno Schachter che,
nonostante il continuo avvicendamento dei musicisti che vengono deportati uno dopo
l’altro ad Auschwitz, non si arrende e, anzi, elabora un sistema di prove per far fronte alla
scure che si abbatte ciclicamente sul gruppo. Il suo Requiem è riempito di quelle assenze.
Un altro esempio di fare scenico nutrito dalla precarietà esistenziale, è rappresentato dalla
vivace contestazione artistico-performativa che attraversa i ghetti nel Sudafrica
28. Cfr. Leonardo Distaso,
Ruggero Taradel, Musica pe
l’abisso. La via di Terezin.
Un’indagin... [Read more]
29. Josef Bor, Il requiem di
Terezin (Firenze: Passigli, 2
dell’apartheid, armata di teatro, musica, happening e poesia all’improvviso. Uno dei suoi
più interessanti artisti, Athol Fugard, ha saputo delineare con grande lucidità le
paradossali opportunità offerte dalle difficoltà politiche dell’epoca e dalla censura30: il
fatto di dover lavorare clandestinamente in condizioni d’emergenza, con attori che
venivano frequentemente arrestati dalla polizia, lo spinge a sviluppare una forma di teatro
immediato e improvvisativo, che segnerà la storia del teatro africano e influenzerà
30. Cfr. Athol Fugard,
Notebooks 1960-1977 (New
York: Theatre communicatio
1984).
profondamente la scena europea con la sua straordinaria novità31.
31. Sulle influenze del teatro
Athol Fugard e Barney Simo
Europa cfr. Rosaria Ruffini,
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Riconoscendo l’impermanenza come natura intrinseca alla condizione umana, questi
artisti hanno messo al centro della propria poetica l’istantaneità e l’instabilità proprie del
linguaggio performativo, fornendo un inestimabile esempio di prassi artistica. Nel Dome
di Calais, la transitorietà diventa la condizione vitale di ogni atto creativo e, in fondo,
anche l’obiettivo finale: «Noi siamo l’unico teatro che spera che i nostri teatri non
esistano a lungo, perché non ci siano più i luoghi dove installarli»32 afferma Murphy.
L’esistenza stessa del teatro tende verso l’impermanenza assoluta: la scomparsa dopo
l’istante. Come ogni performance.
Dai margini al cuore dell’Europa
“Peter Brook ... [Read more
32. Joe Murphy, intervistato
Kriston Capps in “What a
Theater Means to a Refugee
Camp”, Citylab,... [Read m
()
Nel 2016, la Giungla viene interamente smantellata e i migranti vengono separati e inviati
verso diverse destinazioni francesi, soprattutto a Parigi. Murphy e Robertson smontano la
loro tenda e decidono di continuare altrove. Un riflesso quasi automatico li spinge ad
attraversare la Manica, adempiendo l’obiettivo di migliaia di migranti. Una volta in Gran
Bretagna, il Dome viene rimontato nel cuore di Londra, al Southbank Center in occasione
del Festival Terrace, per una performance intitolata Encampment. Segnato da dipinti e
graffiti sulle pareti, riempito di poesie e lettere dei migranti rimaste dopo lo
smantellamento, il Dome viene esposto come testimonianza da condividere con la vasta
platea londinese. Ad accogliere e accompagnare i visitatori c’è un gruppo di rifugiati
scappati da Calais. Con quest’azione, il Good Chance propone una sorta di percorso
inverso che porta i rifugiati dai margini al centro d’Europa. La loro memoria viene
raccontata attraverso più linguaggi, che includono anche installazioni interattive, come
The Machine to be another che invita lo spettatore a sperimentare virtualmente
l’esperienza di alcuni migranti.33 Per dieci giorni nel Dome si susseguono performances,
dibattiti e incontri con la cittadinanza sul tema dell’accoglienza. Vi partecipano circa
diecimila persone tra spettatori e rifugiati che spesso si incontrano per la prima volta in
uno stesso spazio. Sotto il cartello di entrata che annuncia “Welcome to the Jungle”, il
Dome invita a nuove convivenze, attraverso una varietà di forme performative rivolte a
diversi pubblici: «Crediamo che l’arte abbia un ruolo fondamentale nel creare incontri e
riunire persone provenienti da esperienze diverse. È in assoluto la forma migliore per
capire un’altra persona e la sua cultura. In epoca di movimenti e migrazioni, la
responsabilità degli artisti aumenta»34.
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
33. L’installazione è stata
realizzata in collaborazione
BeAnotherLab, alla Somers
House.
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Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione di linguaggi performativi nei centri di prima accoglienza e nei campi per rifugiati – Journal
Per il Good Chance, questo è il primo “festival delle presentazioni” (festival of
introductions) in cui presentare ai cittadini europei i newcomers che hanno attraversato
tragiche prove per raggiungere l’Europa. Secondo Roberston: «Questa volta si tratta di
34. Sito del Good Chance
Theatre:
https://www.goodchance.org
andare verso la gente e provocare una reazione. La maggior parte delle persone non hanno
mai avvicinato un rifugiato. Tutti ne parlano continuamente, ovunque, ma nessuno li ha
incontrati. Quello che vogliamo fare ora è rendere possibile questo incontro attraverso la
creazione artistica»35.
Con lo stesso obiettivo, nel maggio del 2017, il Good Chance Theatre monta un piccolo
35. Joe Robertson intervista
Hugues Le Tanneur, cit.
Dome in pieno centro a Parigi nel parco del Théâtre de la Ville durante il Festival
Chantiers d’Europe. Anche qui performance e incontri pubblici sono all’insegna di una
riflessione comune sulla nuova Europa e il suo rapporto con i newcomers. Murphy spiega:
«Sentiamo che è importante essere anche al Théâtre de la Ville: è molto facile per noi
essere classificati come anarchici che amano rifugiati e migranti. Ma in realtà non siamo
solo questo. Vogliamo aprire percorsi e avviare conversazioni con persone che non sono di
quest’idea. Oggi c’è un problema di fondo: siamo sempre felici di parlare con gente che
ha la nostra stessa opinione, ma resistiamo nell’esprimere un’opinione a persone che non
la condividono»36.
Sempre a Parigi, nell’autunno 2018, il Good Chance Theatre è invitato al Musée de
l’Histoire de l’Immigration, per una residenza artistica incentrata sul tema del
“Benvenuto” e finalizzata alla creazione di una performance: «Cosa significa accogliere?
36. Joe Murphy intervistato
Léa Coffineau, “Beyond the
Jungle: Good Chance refuge
theatre pops up in Pa... [Re
more] ()
Chi ne ha la responsabilità? Come funziona concretamente? La nostra speranza è che il
Dome possa diventare uno spazio di incontri, servendosi dell’arte per rinforzare la
relazione tra quelli che accolgono e quelli che sono accolti».37
Grazie a un finanziamento privato, il Dome rimarrà davanti al museo fino all’inizio
dell’inverno, regalando ai visitatori pomeriggi di attività e, ogni Sabato, uno spettacolo
37. Sito del Good Chance
Theatre:
https://www.goodchance.org
autumn-2018.
che transita anche all’interno del museo. La presenza del GCT in un luogo istituzionale
che racconta due secoli d’immigrazione, è fortemente significativa e ne inserisce l’opera
vivente in una riflessione museale. La risposta del pubblico è appassionata: «Non
avremmo mai riflettuto su questo, se non fossimo venuti al Hope Show. Ci si rende conto
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di quanto Parigi sia segregata e segregante, di come nei quartieri buoni non ci siano
rifugiati, che sono nascosti altrove», scrive uno spettatore nel libro degli ospiti, dopo aver
visto una performance nel Dome.38
Nella sua fase urbana, il Good Chance Theatre rivendica la necessità di inserirsi in quello
che i fondatori chiamano “l’occhio del ciclone”, ovvero il cuore d’Europa. La loro
presenza ai festival e nei luoghi dedicati alla produzione culturale, mira a interrogare la
società civile e il mondo artistico, stimolando il dibattito sul ruolo dell’artista europeo di
fronte alla crisi dei rifugiati, e sviscerando i rischi di un approccio post-coloniale.
38. Testimonianza raccolta n
libro degli ospiti del Good
Chance Theatre Paris.
La riflessione sulla responsabilità dell’artista attraversa tutta la fase di ritorno, in varie
forme, anche mediante una produzione artistica rivolta al circuito teatrale. The Jungle è
uno spettacolo prodotto dal National Theatre e Young Vic e scritto da Murphy e
Robertson, che racconta l’esperienza nel campo di Calais. Interpretato da una ventina di
attori e rifugiati, nello spazio di una scenografia immersiva che ricostruisce un ristorante
afgano, The Jungle evoca lo spettro del post-colonialismo in agguato dietro molte azione
caritatevoli di bendisposti europei. Allo spettatore è rivolta una domanda: «Cosa fare di
fronte a Calais? Si può aiutare? E come?» Vincitore del South Bank Sky Arts Award for
Theatre nel 2018 e nominato dal West End Debut Award, la pièce, diretta da Stephen
Daldry e Justin Martin, è un lavoro collettivo di drammaturghi e alcuni rifugiati di Calais,
tra cui il compositore e percussionista Mohamed Sarrar.
Nello stesso periodo in cui lavora a questa produzione, il Good Chance riunisce un
collettivo di artisti rifugiati, alcuni provenienti da Calais, e li supporta nei loro progetti.
The Good Chance Ensemble è in continua espansione e comprende attori, musicisti e
artisti visivi. Per alcuni di loro, l’incontro con il GCT ha portato fortuna, come per
l’iraniano Majid Adin, che ha disegnato il video d’animazione Rocket Man di Elton
John.39
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39. Alcuni dei migranti di C
hanno fondato dei gruppi
autonomi che gravitano into
al GCT, altri han... [Read m
()
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Il Dome a Parigi (24 marzo 2018). Fotografo: Rosaria Ruffini
Nomadi tra i migranti: Parigi
Anche dall’“occhio del ciclone”, il lavoro sul campo continua. Murphy e Robertson
visitano i campi profughi di Atene e Istanbul e, nel gennaio del 2017, s’installano nella
periferia parigina di Aubervilliers, dove centinaia di migranti evacuati da Calais dormono
per strada. «Molte delle persone che conoscevamo sono andate a Parigi, dove continuano
ad arrivare sempre più rifugiati. Per questo abbiamo deciso di installarci lì»40, spiega
Murphy. Dopo sei settimane di lavoro, però, l’accampamento di Aubervilliers viene
smantellato dalle autorità francesi e il Good Chance è costretto a spostarsi. La politica
francese fronteggia con fatica il riversarsi dei migranti di Calais nella capitale e, pur
continuando gli sgomberi, inizia a elaborare delle soluzioni alternative per gli sfollati
inviandoli, in collaborazione con le associazioni caritatevoli, presso i centri di accoglienza
da poco concepiti (Centre d’accueil et d’orientation CAO).
40. Joe Robertson intervista
Hugues Le Tanneur, cit.
Per il Good Chance si apre una nuova fase in cui il teatro diventa a tutti gli effetti nomade
e si sposta nei Centri in cui transitano i migranti appena giunti in Europa. Dopo lo
smantellamento di Aubervilliers, il Dome si installa a Porte de La Chapelle a fianco della
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struttura d’accoglienza temporanea gestita dall’associazione Emmaüs41. Quando questa
viene chiusa, nell’estate del 2018, il Good Chance Theatre si sposta al Centre
d’hébergement d’urgence Jean Quarré dove rimane fino a fine estate, per trasferirsi,
nell’autunno del 2018, alla Porte Dorée. La produttrice esecutiva Claire Béjanin che segue
41. Con le sue sessanta strut
in area parigina, Emmaüs
Solidarité accoglie 3800
senzatetto al giorno.
la gestione del gruppo francese, spiega «Abbiamo intenzione di svilupparci. L’idea è di
diventare un teatro transitorio che ogni tre mesi s’installa in un quartiere diverso di
Parigi42».
Questa linea nomadica accentua ancor di più la poetica di transizione che distingue il
42. Dal sito del Good Chanc
Theatre:
https://www.goodchance.org
GCT: la sua presenza diventa mobile, temporanea e moltiplicabile, incarnando al meglio
l’essenza instabile del linguaggio performativo. La nozione di transizione che oggi
attraversa le arti della scena e nutre alcuni dei più interessanti progetti che riuniscono
artisti, migranti e società civile (come ad esempio Atlas of Transitions)43 trova nel GCT
una sintesi estetica e processuale. Il nomadismo trasversale delle fonti, dei pubblici, degli
spazi, degli attori sociali, è speculare alla condizione del rifugiato a cui si rivolge. Questa
instabilità programmatica richiede però una ferma struttura organizzativa44. Perciò le
43. Atlas of Transitions è un
progetto internazionale che
coinvolge teatri, centri d’art
contempo... [Read more] ()
attività di Parigi vengono coordinate dalla produttrice esecutiva e ogni permanenza in un
Centro è curata da uno o più professionisti che elaborano un programma, in
collaborazione con gli artisti che lo realizzeranno. I curatori che battezzano il nuovo
corso, nella primavera del 2018, sono Jack Ellis, Vincent Mangado e Elisa Giovannetti. Le
loro scelte curatoriali sono all’insegna della sperimentazione con l’obiettivo di creare una
44. Nel 2017 le attività di Pa
sono state sostenuta da priva
dalla fondazione Jan Michal
dal Thé... [Read more] ()
comunicazione immediata e ludica con i migranti appena giunti nei Centri. Mentre
Vincent Delgado coinvolge alcuni attori del Theatre du Soleil, l’attore britannico Jack
Ellis elabora un programma di training fisico condotto con la compagnia Llave Maestra e,
parallelamente, organizza un laboratorio sartoriale in collaborazione con l’International
Fashion Academy Paris, indirizzato a realizzare una sfilata-performance: The Hope Walk
vedrà sfilare i modelli realizzati dai migranti a partire dai vestiti donati dalle associazioni
caritatevoli, decostruiti e ricreati con gli studenti di moda dell’accademia.
Coinvolgendo una grande varietà di artisti internazionali e di associazioni, i curatori
mirano ad allargare il più possibile il network intorno ai rifugiati. Grazie a una di queste
collaborazioni, viene organizzato anche un Boat-show, una performance galleggiante sulla
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Senna, per stigmatizzare l’assenza delle istituzioni di fronte al continuo aumento di
migranti accampati sulle rive della Senna.
Soglie: dove finisce l’Europa
L’odierna direzione del Good Chance Theatre guarda ai Centri di prima accoglienza,
affrontando uno dei nodi più caldi della politica europea, intorno al quale si gioca una
battaglia che mina i valori e le radici dell’Unione. La mancata attuazione del Sistema
europeo comune di asilo (CEAS) e il diffondersi di politiche nazionaliste, hanno
trasformato questi luoghi nel fulcro di un acceso dibattito focalizzato sulla loro gestione, il
loro status e la loro ubicazione. Né dentro, né fuori ai confini, i Centri sono zone liminali
senza regole e standard di gestione. I loro acronimi cambiano ciclicamente (hotspot, CIE,
CPR, CAS, CARA) quasi a nascondere e a mistificare una realtà poco lusinghiera.
Invisibili e spesso inaccessibili ai cittadini europei, sono riempiti a dismisura di persone
che sognano l’Europa. Non c’è spazio antropizzato che oggi ci interroghi più di questi
territori iconici della modernità. Eppure di questi luoghi non abbiamo immagini, né
narrazioni: qui si cela l’altra faccia dell’Europa. La sfida del GCT di operare in queste
soglie non solo geografiche, ma anche simboliche, va a toccare il nervo scoperto del
sogno europeo, accendendo i riflettori su una realtà negletta e poco considerata dal mondo
culturale e artistico.
La pratica pioniera del teatro nei centri di prima accoglienza presenta caratteristiche
specifiche, dal momento che è rivolta a migranti in transito che hanno appena attraversato
le frontiere e sono destinati a ripartire per altre destinazioni. Nei Centri di prima
accoglienza i newcomers si fermano il tempo necessario per l’identificazione e l’avvio
della pratica burocratica di richiesta d’asilo,45 e in nessun caso sanno quando (e dove) se
ne andranno. Questa condizione di spaesamento è aumentata dal fatto che non esistono
spazi e tempi di socialità: i migranti passano le loro giornate senza poter far nulla,
attendendo il momento del pranzo e quello del riposo. Escluso qualche corso di lingua
offerto da associazioni caritatevoli o le partite di calcio nel cortile, i centri di accoglienza
45. La durata della permane
dovrebbe essere di 20-30 gio
ma a causa dei numerosi
problemi che riguar... [Read
more] ()
sono lo spazio dell’inerzia. Tale condizione sospesa aumenta in modo significativo il
presentarsi di problemi psichici e la “ritraumatizzazione secondaria” è frequentissima: le
tragedie vissute nel proprio paese e agli abusi subiti durante il viaggio, si sommano
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all’allontanamento dai proprio cari, dalle propria lingua, dalla proprie familiarità. Per chi
arriva segnato da sofferenze, il destino è quello di ammalarsi ancora di più in questi spazi
dell’attesa dove il vuoto e la paura di essere rimpatriati, diventano un pericoloso declivio.
Uno dei migranti che ha frequentato il GCT racconta: «La nostra situazione non è facile.
Se non sei regolarizzato, hai un sacco di problemi che ti girano continuamente in testa e,
se non hai persone con cui parlare, succedono molte cose nella tua testa e diventi matto
velocemente»46.
In queste condizioni, le attività del Good Chance rappresentano una pratica culturale
d’urgenza volta a creare comunicazione tra persone che parlano lingue diverse e soffrono
spesso di disagi psichici. Le testimonianze dei migranti che prendono parte alle attività
rivelano grande apprezzamento: «La prima volta che sono venuto a Porte de La Chapelle
ho visto gente ballare. Sono tornato il giorno dopo e ho ballato con loro. Ero felice. Poi
sono tornato tutti giorni, e non ho più fatto quegli incubi che facevo ogni notte. Ho potuto
dimenticare le cose folli che ho vissuto nel Sudan, da dove vengo»47. Il rifugiato afgano
Malang racconta: «Avevo un gruppo di danza, ma i talebani l’hanno vietato. Qui a teatro
sono felice, mi dà l’impressione di avere un lavoro, mentre il resto del giorno non posso
fare nulla»48. Un altro giovane migrante afferma: «Prima quando mi svegliavo alla
mattina, mi lavavo, mangiavo e non facevo nulla tutto il giorno. Ora va bene, partecipo,
parlo con le persone e, anche se non parliamo francese, riusciamo comunque a
comunicare»49.
Il primo obiettivo delle attività del Good Chance Theater nei Centri è quello di instaurare
una comunicazione. Il training fisico collettivo è il veicolo. Il dialogo si instaura a livello
46. Intervista tratta dal video
#WelcomeAll,
https://www.youtube.com/w
time_continue=2&a... [Rea
more] ()
47. Intervista tratta dal video
#WelcomeAll.
48. In Kim Hullot-Guiot, “A
Chapelle les migrants passen
aux actes”, cit.
49. Intervista tratta dal video
#WelcomeAll.
corporale e performativo, in un continuo processo improvvisativo che richiede vigilanza e
ascolto. Si attua naturalmente un progressivo raffinamento indirizzato verso un linguaggio
immediato e comprensibile aldilà delle numerose provenienze linguistiche dei migranti. È
un percorso esplorativo perché non c’è il tempo per l’elaborazione e tutto è in continuo
divenire.
Si realizzano con semplicità le dinamiche comunitarie a lungo ricercate nei laboratori
teatrali del secondo Novecento dove si sperimentavano misurate alchimie interculturali50.
Le questioni che assillavano Peter Brook durante i primi anni del suo Centre International
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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de Recherche Théâtrale51, intorno alla definizione di una micro-società multiculturale
capace di comunicare in maniera diretta, trovano nel GCT una veloce soluzione. Non per
principio, ma per necessità. Anche l’utopia del linguaggio performativo universale che nei
primi anni del 1970 aveva attraversato gran parte della ricerca teatrale, dando luce a vari
esiti (ricordiamo il sofisticato Orghast al festival di Shiraz)52, qui si attua spontaneamente.
L’improvvisazione non-verbale e l’uso di suoni o di singole parole ripetute in diverse
lingue, creano le condizioni per un dialogo che oltre ad superare la comprensione verbale,
oltrepassa anche le convenzioni e i codici culturali.
Per questo i Domes non sono solo territorio d’innovazione sociale, ma anche fucina
artistica dove diversi gradi del fare teatro si incrociano. E mentre gli artisti più inesperti si
formano sul campo, i professionisti mettono alla prova il loro bagaglio in un contesto di
estrema difficoltà che non permette tentennamenti o enigmatiche interpretazioni, ma
50. In particolare il Centre
International de Recherche
Théâtrale fondato da Peter
Brook nel 1971, basato
s... [Read more] ()
51. Cfr. Peter Brook, Punto
movimento, 1946– 1987
(Milano: Ubulibri, 1988).
52. Il progetto Orghast mira
alla creazione di un linguagg
comprensibile a tutti. Il testo
del... [Read more] ()
impone una ricerca diretta sull’ascolto, la vigilanza, l’essenzialità. «Lo stato di presenza e
di apertura all’altro fa parte della forza del lavoro artistico -spiega Claire Béjanin- E nel
Dome questo si svolge con grande semplicità53». Molti degli esercizi incentrati sul
rapporto col partner, utilizzati spesso nelle scuole di teatro, nel Dome si caricano di
un’impellenza espressiva. Per i migranti del GCT, l’atto performativo rappresenta il solo
53. Claire Béjanin in Kim
Hullot-Guiot, “A la Chapell
cit.
squarcio possibile verso la libertà di rappresentarsi. Come per il campo di Calais, anche
qui l’orizzontalità del linguaggio improvvisativo compensa la difficoltà che vede il
migrante misurarsi con nuove lingue, nuove normative, nuove abitudini. Mentre il
mediatore, il medico, il funzionario, lo psicologo impongono -loro malgrado- una
dinamica di ruoli in cui il migrante non è mai attore, l’attività performativa invece offre
uno spazio privato in cui ognuno può entrare come e quanto crede. Gli attori Edurne
Rankin e Álvaro Morales, che nella primavera del 2018 hanno guidato il training di
movimento affermano «L’obiettivo non è quello di imporre quello che sappiamo fare, ma
è invece di imparare da loro. Ci si incontra per attimi, si balla insieme, ci si tiene per
mano, si stabiliscono immediatamente dei legami tra le persone. E nascono dei forti
momenti artistici»54.
54. Ibid.
Neppure la forma è stabilita, ma si sperimentano più mezzi che includono anche
workshop video e fotografici, in cui i migranti possano raccontare il nuovo mondo
attraverso lo sguardo.55 Gli eterogeni risultati vengono presentati ogni sabato negli Hope
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Shows rivolti al pubblico locale.
55. Il Good Chance Theatre
lavora anche alla registrazio
della memoria performativa
insieme ai migranti.... [Rea
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L’entrata al Dome poco prima di uno Hope Show (24 marzo 2018). Fotografo: Rosaria Ruffini
Hope Show: paradigmi per un nuovo mondo
Ogni sabato le porte del Dome si aprono per il pubblico cittadino, offrendo una
performance gratuita. L’Hope show non è una creazione artistica, ma un dispositivo
d’incontro che si svolge con persone sempre diverse. Non sono solo gli spettatori a
mutare, ma anche i migranti che vengono trasferiti, rimpatriati o inviati alla frontiera. Il
loro continuo avvicendarsi impone un’apertura e un’elasticità performativa che includa
continuamente la variazione. La sola pratica percorribile è quella dell’istante. L’Hope
Show è una sorta di canovaccio che si ripete poche ore prima dell’entrata del pubblico,
sulla base del training e degli esercizi praticati durante la settimana. Si attribuiscono i
ruoli, si monta l’azione e si crea una composizione. In sostanza si creano le condizioni di
rappresentazione. Gli spettatori accedono nei Centri di prima accoglienza e vengono
accolti dai rifugiati e dai volontari che li invitano a visitare il Dome e a bere una tazza di
tè. Nell’ottica comunitaria del Good Chance, il pre-spettacolo è importante quanto la
performance per introdurre due mondi spesso divisi: quello cittadino e quello dei rifugiati.
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L’arrivo del pubblico è seguito da vicino da tutti i membri del gruppo che si presentano e
incoraggiano lo scambio. In un’atmosfera del tutto informale, ci si accomoda stringendosi
sulle piccole panche o sedendosi per terra, in mezzo a rifugiati, bambini, ragazze, anziani,
artisti e fotografi.
In scena si alternano improvvisazioni, poesie, canti. La presa di parola è centrale. Fogli
stropicciati escono dalle tasche, con brevi testi che vengono letti o declamati in varie
lingue, cantati, interrotti, ripresi dopo lunghi silenzi. Gli Hope shows sono costellati di
appelli in francese, inglese, arabo e pashtun rivolti al pubblico, con grandi ringraziamenti.
Nonostante la babele di lingue, non può sfuggire il costante ricordo dei proprio cari.
Madri, figli, cibi, profumi, ritornano ovunque; «Ti amo e voglio essere con te, con te, solo
con te. Passare la mia vita con te e prendermi cura della mia amata figlia», canta un
migrante nel Dome di Porte de la Chapelle.56 A queste nostalgie, alcuni aggiungono rapidi
e spediti accenni di un dolore difficile da trasformare in verbo: il ricordo dei cari
scomparsi durante il cammino. Tra le pieghe della parola, aleggiano i morti insepolti che a
migliaia abitano i fondali del Mediterraneo57. Di queste 35.000 persone annegate nel
tentativo di raggiungere le coste d’Europa, nel Dome si coglie a volte una parvenza, una
traccia rivelata da chi riesce a parlare. La scena diventa spazio di domande, paure,
gratitudine. Reciproche. Perché se l’Hope show è per i rifugiati una finestra sul nuovo
mondo, allo stesso modo, è per il pubblico europeo, una finestra sulla realtà ignota dei
migranti. Come per tutte le azioni del Good Chance, l’Hope show cerca di ristabilire un
incontro tra chi sbarca e chi accoglie, tra il rifugiato e il territorio, un rapporto che è
venuto progressivamente a mancare a causa di una gestione dell’accoglienza interamente
normalizzata. «Vogliamo creare degli incontri», afferma Robertson, perché sospetti e
pregiudizi si dissolvono quando l’ombra dell’Altro prende sembianze umane. L’Hope
Show si chiude infatti con musica e danze, trasformandosi in una celebrazione festiva che
unisce spettatori, artisti e rifugiati.
56. Poesia scritta da un migr
nel Dome di Porte de La
Chapelle, e pubblicata dalla
pagina Facebook del ... [Re
more] ()
57. L’Europa non ha mai
legiferato sul tema
dell’identificazione dei mor
Mediterraneo, creando un
vuo... [Read more] ()
Attraverso gli Hope shows, il Good Chance Theatre dissemina pratiche di convivenza e
moltiplica la creazione di gruppi fluidi ed eterogenei che, per composizione, competenze,
origini, lingua, età e provenienza, sembrano rappresentare un’ipotetica sezione della
prossima società europea. I suoi teatri nomadi sono uno spazio di accoglienza dove si
praticano linguaggi funzionali alle necessità multiculturali del contemporaneo. Per il GCT
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«Costruire un teatro è costruire un nuovo mondo: un nuovo spazio e nuovi modi di creare.
Mentre i legami europei si ridiscutono e la Brexit allontana la Gran Bretagna dall’Europa,
il Good Chance Theatre vuole costruire nuovi legami culturali, per immaginare altri
mondi più uniti»58.
Di fronte allo stallo in cui si è arenata oggi la politica comunitaria, il teatro risponde con
una reazione diffusa. Non solo il Good Chance, ma numerose altre esperienze sorgono
alle porte d’Europa, dove migliaia di persone sono confinate in condizioni drammatiche.
Le arti performative ci indicano, abitandoli, i nuovi luoghi della contemporaneità, e ci
inviano segnali, immagini e narrazioni dal confine estremo della nostra civiltà. Dal suo
limite.
1.
L’espressione “indurimento dell’identità” è utilizzata da Jean-Loup Amselle in Logiques métisses.
Anthropologie de l’identité en Afrique et ailleurs (Parigi: Payot Rivage, 1990).
2.
Cfr. Michael Balfour (a cura di), Refugee Performance: Practical Encounters (Bristol: Intellect,
2013); Anita Marschall, “What can theatre do about the refugee crisis? Enacting commitment and
navigating complicity in performative interventions”, Research in Drama Education: The Journal
of Applied Theatre and Performance, n.23 (2018): 148–166.
3.
Cfr. Stephen E. Wilmer, Performing Statelessness in Europe (Basingstoke: Palgrave Macmillan,
2018); Emma Cox, Performing Noncitizenship (New York: Anthem Press, 2015); Alison Jeffers,
Theatre and Crisis: Performing Global Identities (Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2012).
4.
Cfr. Azadeh Sharifi, “Multilingualism and Post-migrant Theatre in Germany”, Modern Drama 61,
n.3 (2018): 328–351; Erika Fischer-Lichte, Torsten Jost, e Saskya Iris Jain (a cura di), The Politics
of Interweaving Performance Cultures. Beyond Postcolonialism (Londra: Routledge, 2014).
5.
Un’eccezione è rappresentata dall’Architettura, disciplina che sembra aver sviluppato un certo
interesse per il tema: cfr. Itohan Osayimwese, “Architecture, Migration, and Spaces of Exception in
Europe”, Thresholds Journal 41 (2017); Bechir Kenzari (a cura di), Architecture and Violence
(New York: Actar, 2011).
6.
Cfr. Michel Agier, Borderlands, Towards an Anthropology of the Cosmopolitan Condition
(Cambridge: Polity, 2016); La giungla di Calais (Verona: Ombrecorte, 2018); Managing the
Undesirables: Refugee Camps and Humanitarian Government (Cambridge: Polity, 2011).
7.
Zygmunt Bauman, Vite di scarto (Bari: Laterza 2005).
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
58. Programma in
http://www.altermachine.fr/
chance-theatre-paris.
21/36
Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione di linguaggi performativi nei centri di prima accoglienza e nei campi per rifugiati – Journal
8.
William Shakespeare, La Tempesta, atto V, scena I.
9.
Joe Murphy in Kim Hullot-Guiot, “A La Chapelle les migrants passent aux actes”, Libération, 15
marzo 2018.
10. “The good chance” deriva il suo nome dalla “buona occasione” attesa dai migranti a Calais.
11. Joe Murphy intervistato da Hugues Le Tanneur in https://www.goodchance.org.uk/hugues-letanneur-on-good-chance-paris/
(https://www.goodchance.org.uk/hugues-le-tanneur-on-goodchance-paris/).
12. Joe Robertson in Kim Hullot-Guiot, “A la Chapelle, les migrants passent aux actes”, cit.
13. Joe Robertson intervistato da Hugues Le Tanneur, cit.
14. Cfr. Tom Stoppard, “The Calais Jungle is a dump but in it I found music, poetry and humanity”,
The Sunday Times, 28 febbraio 2016.
15. Louise Bernard in “The Good Chance Theatre: faire renaître leur capacité de choix et
d’expression”, Cultures en dialogue, 8 agosto 2018, http://www.culturesendialogue.fr/good-chancetheatre-3-questions/ (http://www.culturesendialogue.fr/good-chance-theatre-3-questions/).
16. Sul tema si vedano in particolare le ricerche condotte da Thomas Elbert, presso l’Università di
Costanza, che rivelano che circa la metà dei rifugiati giunti in Germania soffre di disturbi mentali.
Elbert ha indagato l’impatto di un approccio terapeutico narrativo per curare disturbi posttraumatici: Thomas Elbert, Maggie Schauer, Frank Neuner, Terapia dell’esposizione narrativa. Un
trattamento a breve termine per i disturbi da stress traumatico (Fioriti Editore, 2014). La necessità
di trovare approcci innovativi è stato evidenziato anche dal Convegno organizzato dall’ INMP a
Roma “Salute Mentale dei Migranti: tendenze a livello Europeo e approccio transculturale”, il 7
giugno 2017.
17. Si tratta di un’emergenza sanitaria che non viene affrontata, né presa in carico dall’UE. Gli scarsi
fondi destinati a finanziare progetti d’assistenza psicologica ai migranti (soprattutto dall’AMIF
Asylum, Migration and Integration Fund) sono spesso utilizzati per far fronte ad altre urgenze.
18. Joe Robertson in “A La Chapelle”, cit.
19. John Murphy intervistato da Hugues Le Tanneur cit.
20. Giacomo Rizzolatti, coordinatore del gruppo di ricercatori dell’Università di Parma che scoprì
l’attività del neurone specchio, parla di “risonanza motoria” alla rappresentazione cui assistiamo.
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione di linguaggi performativi nei centri di prima accoglienza e nei campi per rifugiati – Journal
Giacomo Rizzolatti, Corrado Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio
(Milano: Ed Cortina, 2005).
21. Joe Robertson, intervistato da Hugues Le Tanneur, cit.
22. Hassan Jozolee in Giverny Masso, “Beyond the Jungle: Good Chance refugee theatre pops up in
Paris”, The Stage, 11 maggio 2017, https://www.thestage.co.uk/features/2017/beyond-jungle-goodchance-refugee-theatre-pops-paris/ (https://www.thestage.co.uk/features/2017/beyond-jungle-goodchance-refugee-theatre-pops-paris/).
23. Mohamed Sarrar, intervistato da Hugues Le Tanneur, cit.
24. Marc Augé, La Guerre des rêves. Exercices d’ethno-fiction (Parigi: Seuil, 1997).
25. Augé, 180 [T.d.A.].
26. Joe Murphy intervistato da Hugues Le Tanneur, cit.
27. Peggy Phelan, Unmarked: the Politics of Performance (New York: Routledge, 1993) e Richard
Schechner. Performance Studies: An Introduction (New York: Routledge, 2006).
28. Cfr. Leonardo Distaso, Ruggero Taradel, Musica per l’abisso. La via di Terezin. Un’indagine
storica ed estetica 1933-1945 (Milano: Mimesis, 2014).
29. Josef Bor, Il requiem di Terezin (Firenze: Passigli, 2014).
30. Cfr. Athol Fugard, Notebooks 1960-1977 (New York: Theatre communication, 1984).
31. Sulle influenze del teatro di Athol Fugard e Barney Simon in Europa cfr. Rosaria Ruffini, “Peter
Brook e il Sudafrica”, Ariel, Quadrimestrale di drammaturgia dell’Istituto di Studi Pirandelliani,
n.1 (aprile 2000): 115–132.
32. Joe Murphy, intervistato da Kriston Capps in “What a Theater Means to a Refugee Camp”, Citylab,
24 ottobre 2016, https://www.citylab.com/design/2016/10/what-a-theater-means-for-a-refugeecamp/505175/
(https://www.citylab.com/design/2016/10/what-a-theater-means-for-a-refugeecamp/505175/).
33. L’installazione è stata realizzata in collaborazione con BeAnotherLab, alla Somerset House.
34. Sito del Good Chance Theatre: https://www.goodchance.org.uk/ (https://www.goodchance.org.uk/).
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione di linguaggi performativi nei centri di prima accoglienza e nei campi per rifugiati – Journal
35. Joe Robertson intervistato da Hugues Le Tanneur, cit.
36. Joe Murphy intervistato da Léa Coffineau, “Beyond the Jungle: Good Chance refugee theatre pops
up in Paris”, IoGazzette, 22 aprile 2017.
del
Good
Chance
Theatre:
https://www.goodchance.org.uk/paris-autumn-2018
37. Sito
(https://www.goodchance.org.uk/paris-autumn-2018).
38. Testimonianza raccolta nel libro degli ospiti del Good Chance Theatre Paris.
39. Alcuni dei migranti di Calais hanno fondato dei gruppi autonomi che gravitano intorno al GCT,
altri hanno recentemente costituito a Parigi la compagnia “La Troupe”, diretta da Alexandre
Moisescot.
40. Joe Robertson intervistato da Hugues Le Tanneur, cit.
41. Con le sue sessanta strutture in area parigina, Emmaüs Solidarité accoglie 3800 senzatetto al
giorno.
sito
del
Good
42. Dal
(https://www.goodchance.org.uk/).
Chance
Theatre:
https://www.goodchance.org.uk/
43. Atlas of Transitions è un progetto internazionale che coinvolge teatri, centri d’arte contemporanea,
associazioni e università di sette paesi europei per creare pratiche partecipative tra cittadini e
newcomers. http://www.atlasoftransitions.eu/ (http://www.atlasoftransitions.eu/)
44. Nel 2017 le attività di Parigi sono state sostenuta da privati, dalla fondazione Jan Michalski, dal
Théâtre de la Ville e dal British Council. Per l’impianto luci, suono e per la scena, hanno
contribuito : La Comédie Française, La Commune Théâtre national dramatique, Théâtre de la Ville,
Théâtre des Bouffes du Nord, Théâtre du Soleil.
45. La durata della permanenza dovrebbe essere di 20-30 giorni, ma a causa dei numerosi problemi che
riguardano le politiche di accoglienza europee, i tempi si allungano notevolmente. Nel CARA di
Mineo, il Centro d’Accoglienza Richiedenti Asilo più grande d’Europa, alcuni migranti attendono
da più di un anno.
tratta
dal
video
#WelcomeAll,
46. Intervista
time_continue=2&v=V9HuaoEQyJ8
time_continue=2&v=V9HuaoEQyJ8), Parigi, 2018.
https://www.youtube.com/watch?
(https://www.youtube.com/watch?
47. Intervista tratta dal video #WelcomeAll.
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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48. In Kim Hullot-Guiot, “A la Chapelle les migrants passent aux actes”, cit.
49. Intervista tratta dal video #WelcomeAll.
50. In particolare il Centre International de Recherche Théâtrale fondato da Peter Brook nel 1971,
basato sull’incontro multiculturale. L’epoca è attraversata da molteplici esperienze tese alla ricerca
di una realizzazione comunitaria interculturale. Si ricordino anche, con percorsi diversi, le ricerche
di Ariane Mnouchkine e di Eugenio Barba. Sul tema vedi M.C. Autant-Mathieu (a cura di), Créer,
ensemble. Points de vue sur les communautés artistiques (fin du XIX°-XX° siècles) (Montpellier:
L’entretemps, 2013).
51. Cfr. Peter Brook, Punto in movimento, 1946– 1987 (Milano: Ubulibri, 1988).
52. Il progetto Orghast mirava alla creazione di un linguaggio comprensibile a tutti. Il testo dello
spettacolo (che durava una notte intera) era composto da parti in greco antico, in avesta (antica
lingua liturgica persiana) e nella lingua a matrice onomatopeica creata dal poeta Ted Hughes. Cfr.
A.C. Smith, Il Teatro come invenzione «Orghast» di Peter Brook e Ted Hughes (Milano: Feltrinelli,
1974).
53. Claire Béjanin in Kim Hullot-Guiot, “A la Chapelle”, cit.
54. Ibid.
55. Il Good Chance Theatre lavora anche alla registrazione della memoria performativa, insieme ai
migranti. Così nascono le mostre fotografiche che documentano le attività nei Domes e,
recentemente, i documentari girati dagli stessi migranti.
56. Poesia scritta da un migrante nel Dome di Porte de La Chapelle, e pubblicata dalla pagina
Facebook del Good Chance Theatre: https://www.facebook.com/GoodChanceTheatre/
(https://www.facebook.com/GoodChanceTheatre/).
57. L’Europa non ha mai legiferato sul tema dell’identificazione dei morti nel Mediterraneo, creando
un vuoto in materia giuridica che, a causa della mancata identificazione, priva i congiunti di tutte le
necessarie tutele giuridiche in tema di eredità e diritti. Unico tra i paesi d’Europa, l’Italia ha
costituto un commissario straordinario per le persone scomparse, con competenza sui cadaveri
sconosciuti. L’impegno vede la partecipazione di diverse istituzioni: la Guardia costiera, la Croce
rossa e diverse università italiane, con i loro laboratori di antropologia e odontologia forense. Nel
2018 è partito anche un progetto dell’organizzazione International Commission on Missing Persons
(ICMP).
in
http://www.altermachine.fr/good-chance-theatre-paris
58. Programma
(http://www.altermachine.fr/good-chance-theatre-paris).
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione di linguaggi performativi nei centri di prima accoglienza e nei campi per rifugiati – Journal
Siti
https://www.goodchance.org.uk/ (https://www.goodchance.org.uk/)
Author
Rosaria Ruffini è ricercatrice in Performance Studies all’Università IUAV di Venezia. Ha
conseguito un dottorato all’Université de Paris 3 Sorbonne Nouvelle, con una tesi
intitolata «Les Afriques de Peter Brook» diretta dal Prof. Georges Banu. Attualmente
insegna teoria e pratica della scena presso varie istituzioni internazionali: Università
IUAV di Venezia, Università Paris3 Sorbonne Nouvelle, Université Paris 8 Saint-Denis,
École des Mines de Paris e École nationale supérieure de techniques avancées di Saclay.
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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Rosaria Ruffini, PhD, is a researcher in Performance Studies at the University IUAV in
Venice. She has obtained a PhD in Theatre Studies at the University Paris 3 Sorbonne
Nouvelle, with a thesis investigating the relationships between African theatre and the
theatrical production of the British director Peter Brook. She teaches Theory and Practice
of Theatre in several international institutions: University IUAV in Venice, University
Sorbonne Nouvelle Paris3, University Saint-Denis Paris 8, École des Mines de Paris and
École nationale supérieure de techniques avancées of Saclay.
European Journal of Theatre and
Performance – N° 1
Essays
(https://journal.eastap.com/#)
Introduction to ‘Spectres of Europe:
European Theatre between
Communitarianism and
Cosmopolitanism’
(https://journal.eastap.com/2019/02/09/introductionto-the-spectres-of-europeeuropean-theatre-betweencommunitarianism-andcosmopolitanism/)
Singular Plural Theatre:
Representation, Identity Politics
and Appropriation in Contemporary
Theatre and Theory after Brecht
and Marx
Nikolaus Müller-Schöll
(https://journal.eastap.com/2019/01/17/singularhttps://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione di linguaggi performativi nei centri di prima accoglienza e nei campi per rifugiati – Journal
plural-theatre-representationidentity-politics-and-appropriationin-contemporary-theatre-andtheory-after-brecht-and-marx/)
Alle soglie d’Europa: Il Good Chance
Theatre e la sperimentazione di
linguaggi performativi nei centri di
prima accoglienza e nei campi per
rifugiati
Rosaria Ruf ni
(https://journal.eastap.com/2019/01/20/allesoglie-deuropa-il-good-chancetheatre-e-la-sperimentazione-dilinguaggi-performativi-nei-centridi-prima-accoglienza-e-nei-campiper-rifugiati/)
Lemon Juicer Merkel: Where the
Real and the Fictional Europe Meet.
Exploring Thomas Bellinck’s Domo
de Eŭropa Historio en Ekzilo
Jasper Delbecke
(https://journal.eastap.com/2019/01/20/lemonjuicer-merkel-where-the-real-andthe- ctional-europe-meetexploring-thomas-bellincks-domode-eu%cc%86ropa-historio-enekzilo/)
The Politics of Humour and
Nostalgia in Dutch Cabaret
Dick Zijp
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/thepolitics-of-humour-and-nostalgiain-dutch-cabaret/)
The ‘Easthetics’ of the NSK
Simon Bell
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/theeasthetics-of-the-nsk/)
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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The Paradoxes of Kosovo in the
Theatre of Jeton Neziraj
Anna Maria Monteverdi
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/theparadoxes-of-kosovo-in-thetheatre-of-jeton-nezirajmonterverdi/)
Roots and Routes: Kingston-uponHull-upon-Stage During UK City of
Culture 2017
Tom Nicholas
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/rootsand-routes-kingston-upon-hullupon-stage-during-uk-city-ofculture-2017/)
La face larvée de l’Europe : Breivik’s
Statement de Milo Rau
Kathrin-Julie Zenker
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/laface-larvee-de-leurope-breiviksstatement-de-milo-rau/)
Artist in Focus : Milo Rau
(https://journal.eastap.com/#)
Form and Politics: An Introduction
to the Theatre of Milo Rau
Lorenzo Mango
(https://journal.eastap.com/2019/01/25/formand-politics-an-introduction-to-thetheatre-of-milo-rau/)
Tribunal is Another Word for
Tragedy
Interview with Milo Rau by Lorenzo
Mango
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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(https://journal.eastap.com/2019/01/25/tribunalis-another-word-for-tragedy/)
Créer avec Milo Rau
Entretien avec Sébastien Foucault
par Nancy Delhalle
(https://journal.eastap.com/2019/01/25/creeravec-milo-rau/)
The Ghent Manifesto
(https://journal.eastap.com/2019/01/25/theghent-manifesto/)
Enlightened Catastrophism
A Conversation between Milo Rau
and Harald Wolff
(https://journal.eastap.com/2019/01/25/enlightenedcatastrophism/)
Portfolio
(https://journal.eastap.com/portfolio/)
From the Archives
(https://journal.eastap.com/#)
The Skeleton: Edward Gordon
Craig’s contribution to postdramatic playwriting
Didier Plassard
(https://journal.eastap.com/2019/01/25/theskeleton-edward-gordon-craigscontribution-to-post-dramaticplaywriting/)
The Skeleton – A mystery
Edward Gordon Craig
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/theskeleton-a-mystery/)
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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Skeleton Epilogue 1
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/skeletonepilogue-1/)
Skeleton Epilogue 2
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/skeletonepilogue-2/)
Book Reviews
(https://journal.eastap.com/#)
Bernátek, Martin, et. al., Czech
Theatre Photography
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/bernatekmartin-hejmova-annanovozamska-martina-czechtheatre-photography/)
Fitzpatrick, Lisa, Rape on the
Contemporary Stage
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/rapeon-the-contemporary-stage-by-lisatzpatrick-cham-switzerland/)
Heinrich, Anselm, Theatre in Europe
under German Occupation
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/theatrein-europe-under-germanoccupation-by-anselm-heinrich/)
Klimczyk, Wojciech, Wirus
mobilizacji. 1-2
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/wirusmobilizacji-taniec-a-ksztalotwaniesie-nowoczesnosci-1455-1795-vol-12-by-wojciech-klimczyk/)
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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Puchner, Walter, Folk Theatre
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(https://journal.eastap.com/2019/02/15/puchnerwalter-folk-theatre-studies%ce%b9-ii/)
Talon-Hugon, Carole, Le Con it des
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Theatre Theory Reader. Prague
School Writings
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/theatretheory-reader-prague-schoolwritings-edited-by-drozd-davidkacer-jan-sparling-don-et-al/)
Wilmer, S. E., Performing
Statelessness in Europe
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/performingstatelessness-in-europe-by-s-ewilmer/)
Xepapadakou, Avra, Pavlos Carrer
(https://journal.eastap.com/2019/02/14/xepapadakouavra-pavlos-carrer/)
Yamomo, MeLê, Theatre and Music
in Manila and the Asia Paci c
(https://journal.eastap.com/2019/01/21/theatreand-music-in-manila-and-the-asiapaci c-1869-1946-soundingmodernities-by-mele-yamomo/)
https://journal.eastap.com/2019/01/20/alle-soglie-deuropa-il-good-chance-theatre-e-la-sperimentazione-di-linguaggi-performativi-nei-centri-di-prima-accoglienza-e-nei-campi-per-rifugiati/
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Alle soglie d’Europa: Il Good Chance Theatre e la sperimentazione di linguaggi performativi nei centri di prima accoglienza e nei campi per rifugiati – Journal
European Journal for Theatre and
Performance
The objective of the journal is to become an open
window onto Theatre and Performance. It is a place in
which to develop our discipline as well as to search for
new directions. It will stimulate a close dialogue
between theory and practice, and between theatre and
performance scholars and artists across Europe.
It is a space where theatre can reflect and be critical
about itself, and a space intimately connected with the
world that surrounds it. Starting from the local, it is also
a place in which to question the global and to promote
boundary-crossing, taking in consideration European
backgrounds and the variety of methodologies and
theoretical approaches to our field. It also will work to
enable a number of languages to be used within the
journal.
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Journal
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