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Denis Sahayaraj KULANDAISAMY, osm Luca DI GIROLAMO, osm Maria di Nazaret tra Bibbia e Teologia Prefazione di fr. Giovanni Grosso, O.Carm Sivakasi 2017 Prima Edizione 2017 Copertina: The Virgin in Prayer (1640-1650). Giovanni Battista Salvi [Sassoferrato] The National Gallery, London. Copertina disegnata da Daniel Afonso. © 2017 Tutti i diritti riservati a: D.S. Kulandaisamy - L. Di Girolamo Viale Trenta Aprile, 6. 00153 Roma, Italia. Email: denisosm2009@gmail.com PREFAZIONE «De Maria nunquam satis», recita l’adagio attribuito a san Bernardo e tutti sappiamo quanto sia vero. Non mancano certamente articoli, libri, meditazioni, omelie, conferenze che trattino della Madre del Signore. Però fa piacere avere tra le mani un libro che in maniera accessibile a tutti presenta la persona di Maria dal punto di vista biblico e teologico. La competenza degli autori, ambedue docenti della Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” di Roma, nei due campi dell’esegesi e della teologia sistematica garantisce senza alcun dubbio la genuinità dei loro contributi. Prendendo in mano il libro si ha l’impressione di entrare in un piacevole giardino pieno di piante diverse. Alberi d’alto fusto e cespugli rigogliosi crescono accanto a delicate piante fiorite, si mescolano profumi diversi sollecitando i sensi e richiamando suggestioni, ricordi, pensieri, immaginazioni. Le quindici meditazioni sui testi biblici mariani proposte dal prof. Denis S. Kulandaisamy ci accompagnano in un percorso che conduce alla fonte della Rivelazione, in cui Maria di Nazaret ha un posto particolare, centrale. Ogni volta che si incontra Gesù è impossibile non scorgere, magari un po’ discosta o in controluce ma sempre discretamente presente, la figura di Maria, sua madre. Nei momenti importanti della vicenda umana di Gesù Maria c’è ed agisce. Protagonista degli eventi che riguardano il concepimento, la nascita e i primi anni di vita del Signore (cf. Lc 1-2 e Mt 1-2), Maria provoca una delle prime manifestazioni del Messia (cf. Gv 2,1-12). Prosegue il cammino con Gesù, contemplandone nel proprio cuore in silenzio meditativo (cf. Lc 2,19.51) le vicende, i gesti e le parole, talvolta incomprensibili a prima vista (cf. Mc 3,31-35; 6,3; Lc 8,19-21; 11,27-28). Il suo pellegrinaggio di fede prosegue fin sotto la croce di Gesù (cf. Gv 19,25-27) e oltre, quando raccoglie attorno a sé i discepoli, nella memoria colma di attesa e di speranza nel dono dello Spirito (cf. At 1,10). Le già scarne notizie di Maria nel Nuovo Testamento terminano qui, almeno per quanto attiene alle notizie riguardo alla vita di Maria. Occorre però ricordare ancora due altri testi. Il più antico riferimento alla Madre di Gesù: Gal 4,4, in cui Paolo accenna a lei senza nominarla. C’è poi la grandiosa immagine di Ap 12,1-10, in cui la tradizione ecclesiale ha riconosciuto anche la figura di Maria, allegoricamente intrecciata con la Chiesa Madre in perenne lotta contro il serpente antico. P. Denis ci accompagna sapientemente nella rilettura di questi e di altri passi biblici di riferimento, tratti anche dal Primo Testamento, offrendoci così una lettura ricca di spunti della personalità di Maria e del suo ruolo nella storia della salvezza. È un po’ come se, entrando nel giardino ci venissero mostrate le diverse piante e i fiori, ce ne venisse raccontata la natura e svelati forme, colori, profumi. Le riflessioni teologiche di p. Luca M. Di Girolamo, invece, ci fanno gustare gli aspetti meno immediatamente percepibili delle stesse piante e degli stessi fiori. Veniamo accompagnati a riconoscere relazioni, nessi, interdipendenze, conseguenze di quanto in modo sintetico viene proposto dal dato biblico. Temi diversi, frutto del Magistero e della plurisecolare speculazione 6 teologica, diventano occasione per una riflessione che accompagna il lettore a una migliore comprensione e lo introduce ad apprezzare il profumo della nostra ricca tradizione ecclesiale. Un pregio di queste riflessioni sta anche nell’uso sapiente e accattivante di pagine tratte dagli scritti di Padri della Chiesa e Santi, la cui teologia vissuta – fatta «in ginocchio», come direbbe von Balthasar – dà un aroma particolare alla discussione. Non si tratta infatti di pura speculazione astratta, di una vivisezione o, peggio, di un’autopsia del dato teologico, ma di una proposta vitale, che tocca l’esistenza reale del lettore e lo provoca a una decisione, a quella risposta di fede che ci viene sollecitata dall’incontro con il Signore, sull’esempio di Maria, vera pellegrina della fede (cf. Lumen gentium, n. 58; Redemptoris Mater, n. 26). Desidero ringraziare p. Denis e p. Luca per averci donato queste riflessioni e per averci permesso così di entrare nel giardino chiuso che è Maria (cf. Ct 4,12). Chiuso non per isolarsi, o solo per prevenire incursioni indebite, ma piuttosto per preservarne la bellezza immacolata. Bellezza divina, di cui Maria è riflesso brillante, semplice e puro, capace di attrarre persone di ogni generazione, di ogni tempo e di ogni latitudine. Buona lettura! fr. Giovanni Grosso, O.Carm. Roma, 31 maggio 2017 Festa della Visitazione di Maria 7 Prima Parte Riflessioni Bibliche La Bibbia, Parola di Dio, scritta sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, è la fonte più antica e più affidabile per la ricerca sulla persona di Maria di Nazaret. La sua figura e il suo ruolo nella Sacra Scrittura è un gioello da riscoprire e reinterpretare con le sue ricche sfumature. Lo scopo della prima parte di questo libro è quello di contemplare il volto di Maria nella Bibbia nelle sue tematiche dottrinali e attuali. Le riflessioni della prima parte non seguono l’ordine dei libri canonici in modo sistematico, ma si concentrano sul ruolo di Maria nella storia della salvezza, così come viene presentata, nonché nella vita dei cristiani. La particolarità di queste riflessioni bibliche, senza attardarsi sui diversi metodi esegetici, risiede nel tono semplice e, allo stesso tempo, sistematico affinchè tutti possano comprenderle. Queste riflessioni non si limitano solo alla Bibbia, ma diverse volte si fa ricorso anche ai testi ufficiali del magistero. Questo arricchisce e favorisce la trattazione. Auspico che queste riflessioni siano utili per scoprire il vero volto di Maria nella Bibbia e la sua grandezza personale. Sicchè diventi il modello di fede per ogni credente in Gesù. 9 1 Incontrare Maria nella Bibbia Come e dove si incontra Maria nella Bibbia? Siamo di fronte a due domande interessanti, ma non di facile risposta! Si tratta di un soggetto che interessa tutti i credenti in Cristo, in quanto Maria è la madre di Cristo e la nostra madre. Ella ci invita a credere nelle parole del suo Figlio e metterle in pratica. Nella Sacra Scrittura, Maria è descritta come la Vergine, donna umile e povera, discepola attenta, vigile custode di ogni gesto e parola che riguardano a Gesù. Donna di preghiera nel Cenacolo con la Chiesa primitiva. Quando si parla di Maria nella Bibbia, si ha l'impressione che la Sacra Scrittura non sia generosa di notizie nei suoi confronti. Secondo A. Valentini, questo è «un giudizio acritico, anzi un pregiudizio che misconosce il carattere non quantitativo, ma qualitativo della parola di Dio e la sua finalità storico-salvifica. La Scrittura infatti – a differenza della letteratura apocrifa e devozionale – non si interessa direttamente della biografia e della vicenda particolare della madre di Gesù, ma del suo ruolo e significato all’interno del disegno salvifico… Statisticamente i brani espliciti concernenti la madre di Gesù non sono numerosi, ma neppure scarsi; in ogni caso, sono testi strategici e di eccezionale densità. Strategici, perché collocati alle svolte fondamentali della storia della salvezza: Incarnazione – Mistero pasquale – Pentecoste; di straordinaria densità, in quanto vitalmente 11 inseriti in tali misteri, da cui traggono valore e significato».1 Maria, per la sua intima partecipazione nella storia della salvezza, deve essere studiata in tutta la Bibbia, non solo nei brani espliciti, ma anche nei brani dell’Antico Testamento, dove la madre del Redentore è adombrata. Si capisce perché l’oggetto della nostra riflessione è importante per chi vuole vivere la sua vocazione cristiana sulle orme di Maria, la madre del Signore e nostra madre. Questa riflessione si articola in quattro parti: La prima parte introduce il tema dell’importanza della Sacra Scrittura per conoscere la personalità di Maria. Nella seconda parte, vedremo come affrontare i problemi ermeneutici e vari metodi di leggere la Sacra Scrittura. La terza e quarta parte proporranno una chiave di lettura dei brani biblici per una maggiore conoscenza del loro contenuto teologico-mariologico. Perché cercare il volto di Maria nella Bibbia? La Costituzione Conciliare Dei Verbum n. 24 dice: «La sacra teologia si basa, come su un fondamento perenne, sulla parola di Dio scritta, con la sacra tradizione, e in quella vigorosamente si consolida e ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo. Le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono 1 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture. Figlia di Sion e Madre del Signore, Dehoniane, Bologna 2015, 21. 12 veramente parola di Dio; lo studio della sacra pagine sia dunque come l’anima della sacra teologia».2 In questo senso, la Sacra Scrittura è anche la fonte della Mariologia. Se vogliamo conoscere il vero volto di Maria, il primo passo fondamentale e inevitabile è quello di approfondire i brani biblici che parlano di Lei. La Sacra Scrittura è la parola divinamente rivelata e ispirata sotto la guida dello Spirito Santo. La verità contenuta nella Bibbia si fonda su questo elemento della rivelazione divina. Perciò i testi mariani della Bibbia sono i punti di riferimento affidabili. Anche i Padri della Chiesa hanno fatto un cammino di scoperta della verità biblica su Maria e ci hanno tramandato gli elementi che costituiscono la teologia mariana nella tradizione della chiesa: quali: l’antitesi EvaMaria, la divina maternità, la perpetua verginità, la santità eccelsa, l’intercessione potente, la partecipazione nella regalità di Cristo, etc. La tradizione della Chiesa ha attinto a fonti bibliche per celebrare nella liturgia gli eventi centrali della sua vita. Maria è vista come punto di divisione tra le varie confessioni cristiane. Maria non divide. Sono i suoi figli che si dividono a motivo di Lei. Noi ci dividiamo tante volte nei suoi confronti. Per il dialogo ecumenico tra le varie chiese su Maria, madre di Gesù, è doveroso ritornare alla Bibbia. La Bibbia dovrebbe essere il nostro primo punto di riferimento per una mariologia 2 CONCILIO VATICANO II, Costituzione Dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum, n. 24, in Enchiridion Vaticanum (= EV), Dehoniane, Bologna 1981, 1/907. 13 ecumenica. La Sacra Scrittura non è certamente la fonte esclusiva della rivelazione divina, ma è la fonte principe Come leggere i brani mariani? Leggere la Sacra Scrittura come si deve non è una cosa facile. Esistono vari modi di lettura. E questa varietà è un'autentica ricchezza. L’ermeneutica biblica è diventata una arte e una scienza molto importante tra i cultori della Bibbia. Negli ultimi 40 anni, non sono pochi gli esegetici cattolici che hanno impegnato le loro competenze per promuovere lo studio e la conoscenza della mariologia biblica. In proposito meritano considerazione alcune affermazioni, rilasciate dalla Pontificia Academia Mariana Internazionale (La madre del Signore, n. 24) per orientamento meritevole di attenzione: - «Nei nostri tempi gli esegeti ricorrono a una pluralità di metodi per l’approccio alla Bibbia; ovviamente tale varietà è legittima, parchè, evitando ogni fondamentalismo, da una parte non si trascuri il senso letterale della Scrittura, alla cui individuazione ha dato e dà un grande contributo il metodo storico-critico, dall’altra non si sottovaluti il peculiare carattere della Bibbia, quale parola di Dio ispirata, trasmessa con linguaggio umano da molti agiografi lungo molti secoli, accolta da una comunità di fede, avente una finalità teologica (l’autorivelazione di Dio) e uno scopo soteriologico (la salvezza del genere umano!). In questa varietà di approcci, conserva immutato valore il principio enunciato dal Vaticano II: la Sacra Scrittura deve “essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta; per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, 14 tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogo della fede”. - in mariologia può avere feconde applicazioni il principio della “unità di tutta la Scrittura”, considerata quindi come un unico Libro, perché uno ne è, in definitiva, l’Autore, uno il popolo a cui è rivolto, unico lo scopo che si prefigge, questo principio consente, ad esempio, di collegare in modo non arbitrario la Donna di Genesi 3,15 con la Donna di Apocalisse 12,1; come pure invita a rilevare la continuità della ‘benedizione’ di cui sono oggetto le donne che hanno avuto una missione liberatrice in Israele: Giaele (cf. Gdc 5,24), Giuditta (cf. Gdt 15, 9.10), Maria di Nazaret (cf. Lc 1,42). Il riferimento alla “viva tradizione di tutta la Chiesa»” dovrà convincere tutti noi a non trascurare, nella ricerca mariologica, l’esegesi patristica: di tale tradizione infatti i Padri sono i fondatori e sono pure insuperabili maestri di una lettura teologica ecclesiale, compiuta con autentico spirito cristiano e di incalcolabile valore; - sarebbe conveniente non ripetere ad ogni momento, quasi come un ritornello, che la Sacra Scrittura parla poco della Madre del Signore; a questo riguardo Giovanni Paolo II ha già rilevato che “la beata Vergine è […] dopo l’Apostolo Pietro e dopo il Precursore Giovanni, il personaggio più citato nei Vngeli canonici”.3 Nella testimonianza evangelica sulla Vergine Maria è da considerare, più che la quantità, la qualità delle pericopi; la narrazione dell’Annunciazione (Lc 1, 26-38), della Visitazione (Lc 1, 39-56), delle nozze di Cana (Gv 2, 112), dell’affidamento reciproco del Discepolo alla Madre 3 Cf. Acta Apostolicae Sedis 81 (1989), 774. 15 e della Madre al Discepolo (Gv 19, 25-27) sono tra le pagine più alte e dense dei Vangeli».4 Maria nell’Antico Testamento? Maria nell’Antico Testamento: è legittima la domanda? Prima di rispondere a questa domanda, voglia fare una premessa. Gli evangelisti, quando raccontano l’identità di Gesù Cristo e la sua missione salvifica, fanno ricorso anche alle Scritture dell’Antico Testamento. Anche Gesù Risorto fece così, quando parlava ai due discepoli di Emmaus: «cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27). Gesù lo fa altrettanto apparendo a tutti i discepoli riuniti a Gerusalemme, diceva: «“Sono queste le parole che vi dicevo, quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture» (Lc 24,44s). Come l’identità di Gesù fu compresa nella prima comunità cristiana, partendo dall’Antico Testamento, così bisogna capire la vera identità di Maria, senza trascurare l’Antico Testamento. Quali brani dell’Antico Testamento, dove Maria è implicitamente preannunciata o adombrata? In che modo l’Antico testamento ci aiuta a capire l’identità del madre del Salvatore? Diverse donne, che gli autori dell’Antico Testamento descrivono, prefigurano Maria. Per esempio Sara - moglie di Abramo (Gen 16, 1-2; 17, 34 PONTIFICIA ACADEMIA MARIANA INTERNATIONALIS (= PAMI), La Madre del Signore. Memoria, presenza, speranza. Alcune questioni attuali sulla figura e la missione della b. Vergine Maria, n. 24, Città del Vaticano 2000, 28-31. 16 8. 15-19; 18, 10-14; 21, 1-7), Anna – moglie di Elkana, sono donne sterili che concepiscono per opera di Yahvé. Nel Magnificat, l’evangelista Luca mette in relazione col mistero di Maria l’inno di gratitudine pronunciato da Anna (1 Sam 2, 1-10). In questi e anche in altri casi in cui Yahvé interviene nella storia della salvezza dell’Israele, queste donne rispecchiano la vocazione di Maria. Le donne nominate nella genealogia di Gesù sono quattro: Tamar, Raab, Rut e Betsabea (Mt 1, 3.5.6). Che ha da fare la menzione di queste donne nella nascita di Gesù da Maria? C’è qualche legame profetico-messianico tra queste quattro donne e Maria? Varie sono le risposte. Alcuni dicono che Maria, donna umile e santa, è in contrapposizione a queste quattro donne che sono entrate da straniere nella conservazione della discendenza di Gesù, che Matteo presenta all'inizio del suo Vangelo, come figlio di Davide, figlio di Abramo. Altri dicono che queste quattro donne fecero dei gesti grandemente benemeriti per le sorti del popolo dell’Israele. Però, bisogna notare la peculiarità stilistica di Mt 1, 16b. In questo versetto, Matteo cambia lo stile di frase stereotipa e immutata (A generò B, B generò C, etc). Perché questo cambiamento all’improvviso? Perché nella nascita di Gesù, c’è un’eccezione tutta singolare e particolare. Gesù non ha un padre umano. Maria concepì per l’opera dello Spirito Santo (Mt 1, 18). Ecco questo è un esempio del vangelo di Matteo che dimostra come il mistero di Maria deve essere interpretato sullo sfondo dell’Antico Testamento. Brani, come Gen 3,15; Is 7,14 e Mic 5,2, sono molto importanti per capire meglio la vocazione di Maria come la madre del Redentore. L’evangelista Matteo richiama il testo Is 7,14 e fa capire ai suoi lettori la verginità di Maria. 17 Inoltre, abbiamo tre libri dell’Antico Testamento (Rut, Ester e Giuditta), che presentano casi di vocazioni femminili, che partecipano in maniera diversa al piano salvifico di Dio nella storia dell’Israele. Queste tre donne sono mediatrici tra Dio e il popolo d’Israele. Esse sono figure remote di Maria, che fu chiamata a portare a termine il disegno di Dio per la salvezza dell’umanità. Nei momenti di pericolo del popolo, Dio sceglie queste donne per salvare la vita di queste persone. Queste figure femminile annunziano e definiscano la missione di Maria. Oltre questi brani classici, ci sono numerosi allusioni e riferimenti ai titoli attributi a Maria: il roveto ardente (Es 3,2), l’orto chiuso, la fonte sigillata (Cant 4,22), figlia di Sion, l’arca dell’alleanza, etc. Le prefigurazioni di Maria si trovano nei seguenti testi: Sarah (Gen 17,16-19; 18,1014), Rebecca (Gen 24,12-16), Miriam (Ex 15,20-21), Anna (1 Sam 1,2-10). Questi brani dell’Antico Testamento che abbiamo menzionato sopra, ci spiegano come il mistero di Cristo è nascosto nell’Antico alleanza, e spiegano anche come il mistero di Maria, madre del redentore, deve essere scoperto e interpretato alla luce dell’Antico Testamento. Maria nel Nuovo Testamento Ormai sappiamo quasi tutti a memoria i brani mariani neo-testamentari, perché li abbiamo letto o ascoltato diversissime volte. Ora non vogliamo, non neanche possiamo, approfondire questi brani mariani dal punto di visto esegetico-teologico. Vogliamo semplicemente accennare a questi brani e offrire una chiave di lettura e presentare in breve il loro messaggio spirituale per noi oggi. 18 Molti contestano l’assenza della figura della madre di Gesù nel corpo paolino. Nell’antico inno cristologico di Filippesi (2,7), noi troviamo un accenno indiretto alla madre di Gesù: il gesto del Figlio di Dio, che assume la condizione umana, avviene mediante la nascita da una donna, che si dichiara ‘serva’ del Signore. L’obbedienza di Gesù al Padre e l’obbedienza di Maria avvengono nello stesso evento dell’incarnazione. Il testo mariano più antico del Nuovo Testamento è Gal 4,4: «ma quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio nato da donna nato sotto la legge». Alla prima vista, questo versetto sembrerebbe di riferire alla madre di Gesù in maniera indiretta e superficiale. Però quando si colloca il testo nel suo contesto e fa una attenta analisi esegetico-teologico, si capisce che questo testo paolino contiene “una mariologia in germe”. A. Valentini scrive: «La donna, di cui non si menziona neppure il nome, è interamente al servizio dell’evento salvifico che impegna la stessa Trinità ed è a vantaggio di tutti gli uomini […] Il tempo della fine è il tempo in cui il “principio” divino della nostra esistenza, Gesù Cristo, è penetrato in essa. La comparsa di Gesù Cristo in questo eone si basa sull’atto dell’invio e consiste nell’Incarnazione. Il Figlio di Dio così inviato, si inserisce nella natura umana, determinata dalla donna».5 L’evangelista Marco si riferisce a Maria nei due testi: 3,31-35 e 6,3. Questi due brani parlano della famiglia di Gesù. L’espressione “fratelli di Gesù” del vangelo di Marco, suscita diversi problemi. Per esempio, i protestanti dicono che se Gesù aveva i fratelli, non possiamo credere che Maria fu rimasta vergine dopo il 5 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 31. 19 parto. La verginità di Maria viene messa in questione. Un altro problema posto è: se Gesù stesso ha respinto Maria, dicendo “Chi è mia madre?”, perché dobbiamo noi dare importanza a Maria? Queste domande sono superficiali. La parola “adelphoi” usata dall’evangelista non significa necessariamente i fratelli di sangue di Gesù, ma nel linguaggio semitico significa i cugini di Gesù. Per quanto riguarda la domanda di Gesù “chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli?”, Gesù non respinge per niente sua madre, anzi non vuole limitare la sua relazione con lei a livello biologico, ma la mette ancora a un livello superiore – cioè presenta la sua madre come colei che ha ascoltato per prima la parola di Dio e l’ha messa in pratica nella sua collaborazione con Dio per la salvezza del mondo. I primi capitoli di Matteo e i primi due capitoli di Luca sono molto importanti per capire la vera identità e la missione di Maria, la madre di Gesù. Solo questi evangelisti parlano dell’infanzia di Gesù, perciò vengono chiamati “vangeli dell’infanzia”. Matteo comincia il suo vangelo con la genealogia. Maria viene messa in relazione con le quattro donne nell’elenco della genealogia e fa vedere come Maria ha concepito Gesù per l’opera dello Spirito Santo. Richiamando Is 7,14, Matteo mette in rilievo la verginità di Maria. Nel racconto matteano dell’infanzia di Gesù, Maria è una donna obbediente, tace ed esegue gli ordini del Padre celeste. La parte narrativa del secondo capitolo, l’adorazione dei magi, ci danno una chiara immagine di Maria come la regina. Perché il suo Figlio Gesù è adorato come il Re, che salverà tutta l’umanità (Mt 2,1). Tra i sinottici, Luca è l’evangelista che offre una visione più storica e dettagliata della vita di Maria in riferimento all’infanzia di Gesù nei primi due capitoli del 20 suo vangelo: Annunciazione, Visitazione, Magnificat, la nascita di Gesù, presentazione di Gesù nel tempio, annunzio profetico dei dolori di Maria, Gesù adolescente ritrovato nel tempio di Gerusalemme. Luca parla di Maria anche negli Atti degli Apostolo (1,14). Maria prega con gli apostoli nel cenacolo. Si potrebbero scrivere pagine su pagine, sull’immagine di Maria negli scritti Lucana. Lavori fatti da altri. Giovanni non scrive mai il nome di Maria nel suo Vangelo. La chiama sempre con la espressione “madre di Gesù”. I due brani mariani del quarto vangelo sono: il primo segno di Gesù alle nozze di Cana (2,1-12) e Maria i piedi della croce sul calvario (19,25-27). Gesù chiama la sua madre ‘donna’ in questi brani. Questo fa eco alla donna del Gen 3,15. Può collegare questa parola ‘donna’ del vangelo alla ‘donna’ dell’Apocalisse 12. La teologia mariana dell’evangelista Giovanni è molto ricca e densa. Alcuni esegeti interpretano la ‘donna’ dell’Apocalisse come la Chiesa perseguitata dell’Asia minore, e altri esegeti vedono l’immagine di Maria in questa ‘donna’. Tutte e due interpretazioni (ecclesiologia e mariologica) non sono esclusivi o incompatibile, ma sono complementari. Una interpretazione arricchisce l’altra. Alcuni esegeti dicono che Gv 1,13, letto con il verbo al singolare (è stato generato –non sono stati generati), allude alla concezione verginale e parto verginale di Gesù, in conseguenza alla verginità di Maria. Tutti i manoscritti antichi leggono questo versetto al plurale, cioè riferiscono alla nascita battesimale dei credenti. Però la testimonianza di alcuni padri della Chiesa (latini e orientali) per la lettura del versetto al singolare sono più antichi dei manoscritti che abbiamo noi oggi. La 21 questione della critica testuale di questo verbo è ancora aperta alla discussione. Concludendo, possiamo dire che la Sacra Scrittura ci offre la più affidabile testimonianza sulla persona e missione di Maria, la madre di Gesù. Si dice che l’ignoranza delle Scritture è l’ignoranza di Cristo. Questo vuol dire che l’ignoranza di Scrittura è anche l’ignoranza di Maria. Allora, leggiamo la Bibbia con reverenza e devozione, ma con metodi appropriati. Così potremmo conoscere meglio Maria, e seguire le sue orme, nel compiere la volontà di Dio. 22 2 Il Verbo si incarna in Maria «Il Verbo (Logos) si fece carne e venne ad abitare in mezzo a voi» (Gv 1, 14). Con l’incarnazione del Verbo, l’evento atteso dall’umanità e attestato dal primo testamento si è manifestato e Dio ha parlato a noi per mezzo del suo Figlio «una volta per tutte» (Eb 1, 1-2). In questo evento sublime della storia dell’umanità, Maria ha giocato un ruolo notevole ed importantissimo. Maria è la donna per eccellenza: la donna che ha accolto la Parola nel suo grembo e ha portato alla luce il Figlio di Dio, il Verbo eterno del Padre. L’eterno progetto di Dio si fa storia attraverso l’incarnazione del Verbo che diventa figlio di Maria di Nazaret. La Sacra Scrittura ci offre la testimonianza di questo fatto stroico-salvifico. In questo articolo, basandoci su alcuni brani del Nuovo Testamento, approfondiamo il ruolo di Maria che accogliendo la Parola diventa madre di Dio. Nato da Donna (Gal 4,4) «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna sotto la Legge» (Gal 4,4). È un testo di “rara densità” dal punto di vista cristologico e mariologico. Commentando questo versetto, A. Serra scrive: «L’Apostolo [...] accenna alla Donna tramite la quale il Figlio di Dio venne a far parte del nostro mondo. La sua è una menzione fugace. Essa, però, quale nucleo germinale, rimane aperta alle successive acquisizioni del 23 Nuovo Testamento, soprattutto dei Santi Vangeli».6 G. Söll dice che Gal 4,4 è reputato il testo neotestamentario mariologicamente più significativo, in quanto con san Paolo «ha inizio l’aggancio della mariologia con la cristologia, proprio mediante l’attestazione della divina maternità di Maria e la prima intuizione di una considerazione storico-salvifica del suo significato».7 In questo versetto, Paolo sottolinea la dimensione «kenotica» dell’incarnazione, cioè il suo aspetto di annientamento, di umiliazione, di abbassamento, di svuotamento del Figlio di Dio. Quando Paolo usa l’espressione «nato da donna», emfatizza il fatto che il Figlio di Dio nasce esattamente come tutti gli esseri umani. Questa donna da cui nasce il Figlio di Dio è Maria di Nazaret. Secondo Paolo VI, «il mistero di Cristo è inserito in un disegno divino di partecipazione umana. Egli è venuto fra noi seguendo la via della generazione umana. Ha voluto avere una Madre; ha voluto incarnarsi mediante il mistero vitale di una Donna, della Donna benedetta fra tutte. Dice l’Apostolo che ha tracciato la struttura teologica fondamentale del Cristianesimo: “Quando arrivò la pienezza del tempo, Dio mandò il Figlio suo, nato da Donna …” (Gal 4,4). […] Questa dunque non è una circostanza occasionale, secondaria, trascurabile; essa è parte essenziale e per noi uomini importantissima, bellissima, dolcissima del mistero della 6 A. SERRA, Gal 4,4: una mariologia in germe, in Theotokos 1 (1993/2), 7-25. 7 G. SÖLL, Storia di dogmi mariani, LAS, Roma 1982, 31. 24 salvezza: Cristo a noi è venuto da Maria; lo abbiamo ricevuto da lei».8 Annunciazione (Lc 1,26-38) L’angelo Gabriele, mandato da Dio, annuncia a Maria che ella diventerà madre del Messia profetizzato e atteso. Ascoltando le parole dell’angelo (Lc 1,28ss), Maria emblematizza “il silenzio tutto inteso ad ascoltare”9 la Parola di Dio. Nell’annunziazione, Maria non solo ascolta la Parola e la accoglie, ma anche si dedica alla Parola (Lc 1,38). La Parola di Dio non è solo da ascoltare con disponibilità ma deve essere vissuta nel concreto dell’esistenza umana. M. Masini scrive: «“Avvenga di me quello hai detto”. Così traduce il greco di Luca (1,38) la visione italiana, la quale però non rende il tono gioioso, festoso, entusiastico, carico di oblatività proprio della locuzione greca. […] Il modo verbale ottativo indica infatti un desiderio, una gioiosa disponibilità all’accoglienza. Perciò bisogna evitare che sia la versione latina sia quella italiana possano essere intese come significanti un impegno soltanto volontaristico, affidato alla volontà. A questo fine la valenza del greco viene ben resa da una traduzione che implichi pensieri come questi: “Sì, lo desidero”; “Sì, sono contenta di entrare nel progetto che Dio mi ha proposto”».10 Vorrei riportare qui le parole di San Bernardo di Chiaravalle: «Maria disse: “Si compia in me la tua Parola”. 8 PAOLO VI, Pellegrino nel Santuario di Bonaria (Cagliari 24 aprile 1970). Cf. Acta Apostolica Sedis 62 (1970), 300. 9 Cf. D. BONHOEFFER, La vita comune (Koinonia, 5), Queriniana, Brescia 1969, 103. 10 M. MASINI, Maria: icona della lettura e dell’ascolto, in Monte Senario 9/26 (2005), 53. 25 Il Verbo, che era in principio presso Dio, si faccia carne della mia, secondo la tua Parola. Si faccia in me il Verbo, non come una parola che appena pronunziata passa, ma concepita perché rimanga, rivestita di carne, non di aria. Si faccia in me, questa Parola, non solo udibile alle orecchie, ma anche visibile agli occhi, palpabile con le mani e che si possa portare in braccio. Né sia una parola scritta e muta, ma incarnata e viva… per opera dello Spirito Santo… Io chiedo che a me la Parola si faccia anche nel mio grembo. Non mi accontento che sia predicata e declamata, né che sia espressa in figure o immaginata in sogno; ma che sia silenziosamente ispirata, personalmente incarnata, corporalmente inviscerata».11 Maria accoglie nella fede il Verbo di Dio Maria era una donna dell’ascolto della Parola di Dio che leggeva nelle Scritture veterotestamentarie, ma anche delle parole che veniva sentendo da Gesù. Ascoltando la Parola, ella la custodiva (Lc 2,51) e meditava (Lc 2,19b). «Maria appare come la donna sapiente che ricorda e attualizza, interpreta e confronta parole e fatti; […] che si interroga sul significato di parole oscure, sulle quali si proietta l’ombra della croce (cf. Lc 2, 34-35. 48-50) e accoglie i silenzi di Dio con il suo silenzio orante».12 La risposta di Maria all’angelo ci dimostra la disponibilità con cui ella accoglie la proposta divina di diventare madre del Figlio di Dio. La Vergine nel 11 BERNARDO DI CHIARAVALLE, Homilia super «Missus est» 4,11, in M. MAZZEO, Con Maria in ascolto della Parola. La «via» per incontrare e seguire Gesù, Paoline, Milano 2009, 38. 12 J. LECLERCQ, La contemplazione di Cristo nel Monachesimo medievale, San Paolo, Milano 1994, cap. III, in M. MASINI, Maria: icona della lettura e dell’ascolto, 48. 26 momento in cui Dio si fa uomo è interpellata in rappresentanza e «al posto di tutta la natura umana», adempiendo il ruolo dell’uomo che accoglie il piano di Dio.13 La sua fede si manifesta nelle sue parole rivolte all’angelo. Per la sua obbedienza e accoglienza, Maria diventa il Salvatore di tutta l’umanità. Possiamo dire con certezza che Maria è la donna della «Parola» che si è fatta Uomo. Concezione verginale in Gv 1,13?14 Gv 1,13 conosce due lezioni. È molto dibattuto il problema del testo: «i quali [il quale] non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati [è stato generato]». Letto al plurale, fa riferimento a coloro che credono nel nome del Verbo, come dicono i vv. 11-12. Letto al singolare, fa riferimento alla concezione verginale e alla nascita verginale di Gesù. Tutti i manoscritti greci attestano la lezione plurale. Però diversi testimoni più antichi di questi manoscritti greci attestano la lezione singolare (per esempio, gli scritti di Clemente Alessandrino, Origine…). Diversi esegeti moderni, come A. Serra, sono del parere che Gv 1,13 dovrebbe essere letto al singolare: «Qualora si legga questo versetto al singolare, una delle conseguenze più ovvie sul piano dottrinale è che il Verbo divenne carne nel grembo di Maria. […] Nel processo dell’incarnazione non ebbe gioco alcun desiderio-istinto sessuale. […] Nell’ordine della carne Cristo ha una madre (cf il v. 14), 13 Cf. S. DE FIORES, Incarnazione, in ID., Maria. Nuovissimo Dizionario di Mariologia, Dehoniane, Bologna 2006, vol. 1, 950. 14 Cf. D.S. KULANDAISAMY, The birth of Jesus or the birth of Christians? An Inquiry into the Authenticity of Jn 1:13 (Scripta Pontificiae Facultatis Theologicae Marianum 65; Nova Series 37), Marianum, Roma 2015. 27 non un padre terreno. Dio solo è suo Padre».15 E. Hoskyns ha sostenuto che la lezione originale era il plurale ma ha pensato che la frase fosse stata formulata in modo da richiamare la nascita verginale di Gesù.16 Le tre negazioni in Gv 1,13 spiegano come Maria diventa la Madre di Gesù. Il Verbo eterno del Padre si incarna in Maria (cf. Gv 1,14). Conclusione Maria ci aiuta a riscoprire la Parola nella nostra vita. Sapendo benissimo come entrare nel mistero della Parola di Dio, ha creduto in essa, l’ha accolta nel suo cuore e l’ha meditata. Per questo Gesù stesso diceva riguardo alla sua presenza che «Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21). Il XII Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio mette in rilievo il ruolo di Maria con queste parole: «Va considerato il suo modo di ascoltare la parola […] ascoltava e conosceva le Scritture, le meditava nel cuore in una sorte di processo interiore di maturazione, dove l’intelligenza non è separata dal cuore. Maria è nostro modello […]. Ricevendo la buona notizia, Maria si mostra tipo ideale dell’obbedienza della fede, nostra icona vivente della Chiesa al servizio della Parola».17 Come Maria, impariamo ad accogliere la parola nel nostro cuore. 15 A. SERRA, Vergine, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Paoline, Cinisello Balsamo 1986, 1432. 16 R.E. BROWN et ali, Maria nel Nuovo Testamento (titolo originale: Mary in the New Testament, Fortress, Philadelphia 1978), Cittadella, Assisi 1985, 203. 17 XII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI, La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Instrumentum laboris, n. 25, LEV, Città del Vaticano 2008. 28 3 La custodia di S. Giuseppe nei Vangeli Dal fatto che S. Giuseppe appare nei Vangeli come un “uomo silenzioso” che non dice mai neanche una parolina, uno può concludere che S. Giuseppe sia «un uomo senza messaggio». Questa è una conclusione frettolosa senza motivazioni serie. È vero che S. Giuseppe non parla nei Vangeli, ma sono le sue azioni a parlare e ci lasciano numerosi messaggi sul piano salvifico di Dio che si è compiuto nella sua vita. I racconti evangelici dell’Infanzia di Gesù, ci parlano delle sue qualità eccezionali quali l’umiltà, la giustizia, la semplicità, la fedeltà etc. La sua vocazione sorge dal fatto che viene chiamato a collaborare al piano salvifico di Dio, dando così inizio al mistero dell’Incarnazione. I Vangeli dell’Infanzia danno una chiara testimonianza di questi fatti. «Se si vuole veramente conoscere e convenientemente onorare S. Giuseppe, occorre studiare “cristologicamente” i racconti evangelici dell’infanzia di Gesù, scoprire la missione assegnata da Dio a S. Giuseppe nel piano salvifico dell’Incarnazione, il suo ruolo di sposo e di padre, la natura del matrimonio e della paternità nei limiti precisi della loro realtà, evidentemente superata ma non annullata a motivo del loro inserimento nell’ordine 29 dell’Unione ipostatica, l’attuale funzione di S. Giuseppe nella Chiesa».18 Nel vivere la sua vocazione come sposo di Maria e padre putativo di Gesù, S. Giuseppe ci dà l’impressione di essere stato un uomo fedele, giusto, discreto e responsabile. Vogliamo vedere come Giuseppe viene presentato dagli Evangelisti. Per necessità di brevità, limiteremo la nostra riflessione solo ai alcuni brani dei Vangeli dell’Infanzia. La vocazione di S. Giuseppe (Mt 1,18-25) Giuseppe teme di prendere con sé Maria; quindi vuole lasciarla in segreto, perché madre. In seguito al messaggio dell’angelo, egli cambia l’atteggiamento. Il testo sacro dice che «fece come gli aveva ordinato l’angelo e preso con sé la sua sposa» (Mt 1,24). Prima di prendere questa decisione, Giuseppe ha dovuto affrontare una grande difficoltà di discernimento. Scrive T. Stramare che «Giuseppe, pur riconoscendo l’innocenza di Maria non volle tenersela, meglio non poté. Egli è giusto sotto ogni rispetto: giusto verso Maria, che riconosce innocente, ma che gli sembra non appartenergli più; giusto verso la prole, che ha come padre Dio e alla quale di conseguenza provvederà Dio stesso. Da una parte, Giuseppe vuole rimandare Maria; d’altra parte, Maria ha concepito tale prole mentre era sua. Perciò il dubbio: Posso rimandare la madre e il figlio, che è mio, in quanto è stato concepito da mia moglie».19 18 T. STRAMARE, S. Giuseppe nel mistero di Dio, Piemme, Casale Monferrato 1992, 9. 19 T. STRAMARE, S. Giuseppe nella Sacra Scrittura, nella Teologia e nel Culto, Piemme, Casale Monferrato 1983, 93. 30 L’angelo fa capire a Giuseppe che anche se lo Spirito è l’autore del concepimento, egli nondimeno ha un ufficio da compiere; cioè quello di accettare il disegno di Dio far da padre del bambino e tenere con sé la madre di Dio. Ecco, questa è la vocazione che Giuseppe riceve da Dio. È importante notare nel comportamento di Giuseppe un atteggiamento di grande umiltà. L’angelo dice a Giuseppe: «Non aver paura. Infatti quello che è generato in lei è dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Giuseppe voleva staccarsi da Maria, non per paura psicologica, ma proprio per “il continuo timore riverenziale” che aveva nei confronti della sua sposa già incinta. «Giuseppe, piuttosto, perché umile, era guidato dal dono dello Spirito Santo, che è il timore di Dio. Come Giuseppe è umile nel sentirsi indegno di stare vicino a Colei che era diventata la tenda del Dio vivente (Gv 1,14: “e il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenta fra noi”), così nell’umiltà, all’ingiunzione dell’angelo, si rimette al suo posto vocazionale, “prendendo con sé (Maria) la sua sposa” (Mt 1,24)».20 È davvero grande anche l’obbedienza di Giuseppe alla chiamata di Dio. La sua decisione di accogliere Maria e di custodire il Figlio di Dio, come padre e capo della famiglia è un segno del suo abbondonarsi alla volontà divina. È anche una splendida donazione di sè stesso a Dio, dedicando la sua vita alla custodia sia giuridica che amorevole del bambino e della sua madre. 20http://www.sgius.altervista.org/html/Preghiere/preg35lectio_2gi orno.htm (16 settembre 2013). 31 La presentazione di Gesù al tempio (Lc 2,22-40) Maria e Giuseppe presentano Gesù nel tempio di Gerusalemme per compiere la legge giudaica prescritta nell’Antico Testamento. L’evangelista Luca scrive: Lo portarono al tempio (Lc 2,22) per presentarlo (Lc 2,23) e per offrire un sacrificio (Lc 2,24); Simeone li benedisse (Lc 2,34). In questa circostanza, l’evangelista Luca per la prima volta qualifica espressamente Giuseppe «padre» di Gesù. Il testo di Luca parla anche del riscatto. Scrive Giovanni Paolo II: «Il riscatto del primogenito è un altro dovere del padre, che è adempiuto da Giuseppe. Nel primogenito era rappresentato il popolo dell’alleanza, riscattato dalla schiavitù per appartenere a Dio. Anche a questo riguardo Gesù, che è il vero “prezzo” del riscatto (cf. 1Cor 6,20; 7,23; 1Pt 1,19), non solo “compie” il rito dell’Antico Testamento, ma nello stesso lo supera, non essendo egli un soggetto da riscattare, ma l’autore stesso del riscatto».21 Giuseppe offrì il bambino nel tempio di Gerusalemme e così fu «senza essere sacerdote, il primo uomo che offrì a Dio un’ostia pura, santa, immacolata, il Verbo incarnato nel seno di Maria sua sposa».22 Anche in questo contesto della presentazione di Gesù, Giuseppe si comporta come un uomo di grande umiltà. La sua umiltà consiste nell’essere disposto ad accettare con gioia quanto il Signore vuole da lui. «Questo suo atteggiamento che possiamo dire abituale, di stare in silenzio, contemplando da una penombra 21 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Redemptoris Custos (15 agosto 1989), n. 13, in EV 11/2409. 22 F. SUÁREZ, Giuseppe Sposo di Maria, Edizioni Ares, Milano 1982, 98. 32 discreta ciò che concerne il Figlio e la Madre, racchiude anche per noi una pedagogia proficua se sappiamo trovarne l’applicazione adeguata alla nostra vita».23 La fuga in Egitto (Mt 2,13-15) In questo episodio, l’evangelista Matteo presenta il ruolo di Giuseppe come capo della sacra famiglia. Scrive T. Stramare: «È a lui che l’Angelo appare; è a lui che sarà rivelata la data del rimpatrio. S. Giuseppe non è comunque un porta-ordini a servizio di qualcuno sopra di lui nella sua casa, della quale invece egli è capo incontrastato e nella quale tutto gli è soggetto: “Prendi il bambino e sua madre” (Mt 2,13)».24 S. Giuseppe, in quanto capo della famiglia, la custodisce con grande amore e dedizione. S. Giuseppe che fu difensore della vita del corpo fisico di Gesù protegge e difende da ogni pericolo e avversità anche la Santa Chiesa che è il corpo mistico di Gesù. Quindi S. Giuseppe è il protettore di ciascuno di noi, nel nostro cammino spirituale. Uomo esemplare per tutti noi Abbiamo visto in modo veloce e breve, come i vangeli parlano di S. Giuseppe che ha vissuto con dedizione, amore e fedeltà la sua vocazione di essere sposo e padre, ha compiuto la volontà di Dio. Come osserva Giovanni Paolo II,25 non solo gli evangelisti ma anche i padri della 23 Ibid., 100. T. STRAMARE, S. Giuseppe nella Sacra Scrittura, nella Teologia e nel Culto, 116. 25 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Custos, n. 1, in EV 11/2379. 24 33 Chiesa fin dai primi secoli hanno scritto come S. Giuseppe avesse amorevole cura di Maria e Gesù.26 S. Giuseppe è un grande modello di Santità per tutti noi. Egli ha vissuto una vita di grande esemplarità. Ha amato fino in fondo la sua sposa Maria e ha custodito con amore paterno il bambino Gesù. S. Giuseppe non parla nei Vangeli, ma le sue azioni concrete di santità valgono più delle parole. Vogliamo concludere la nostra riflessione con le parole del Santo Padre Francesco: «Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioisce del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù».27 Allora prendiamo S. Giuseppe come modello della nostra vita, che custodì la Vergine Maria e il bambino Gesù con amore solerte e discreto, e viviamo giorno per giorno amandoci e prendendoci cura gli degli altri. Cf. IRENEO DI LEONE, Adversus Haereses, IV, 23, 1: SCh 100/2, 692-694. 27 FRANCESCO, Custodi dei doni di Dio. Omelia del S.to Padre per la Solennità di S. Giuseppe (19 marzo 2013), in Insegnamenti di Francesco 1 (2013/1), 20. 26 34 4 Maria, la donna della solitudine feconda Guardando a Maria, che accoglie la Parola che diventa carne nella sua storia assumendosi da sola le responsabilità proposte da Dio e notando il distacco fra il Figlio e la Madre a Cana (Che ho da fare con te, o donna? Gv 2,4) e nell’episodio dei “veri parenti” di Gesù (Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Mc 3,33), uno può pensare che Maria sia stata respinta dal suo Figlio e abbia vissuta una vita solitaria. Invece, il Vangelo ci parla di Maria tutto al contrario. In queste pagine, vedremo come la sua solitudine non è sterile chiusura, ma si apre alle prospettive di una comunione di intenti e l’apparente distacco fra il Figlio e la Madre non risulta in una ostilità tra loro, anzi crea una vera parentela più ampia e estesa a tutte le persone che ascoltano la sua parola (Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre. Mc 3,35). La sua solitudine apparentemente sterile diventa feconda e fa nascere il figlio di Dio. La fecondità di Maria non si esaurisce con la nascita di Gesù, ma fa nascere ogni cristiano nella chiesa e lei diventa la «Mater Ecclesiae». 35 L’Annunciazione (Lc 1,26-38) Maria viene chiamata a essere madre del Figlio di Dio. L’angelo Gabriele appare alla fanciulla Maria e propone il piano salvifico di Dio. Quando l’angelo fa questo annuncio, si trova dinanzi a una situazione in cui deve prendere una decisione da sola. Nel suo saluto, l’angelo comunica qual’è il rapporto di Dio con lei: «Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28). A queste parole, Maria rimane turbata. Però l’angelo le assicura che ella non rimane sola. Le parole «Il Signore è con te», danno coraggio a Maria: ella non rimane sola, ma il Signore si fa presente nella sua vita. «Nel linguaggio biblico questa espressione ha un significato preciso. Generalmente viene usata quando Dio chiama un uomo per un compito particolare al servizio del suo popolo, e assicura a questo uomo l’assistenza potente, effettiva ed efficace di Dio. Così, similmente a quanto avviene a Maria, il messaggero di Dio rivolge a Gedeone, che deve liberare Israele dai Madianiti, questo saluto “Il Signore è con te, uomo forte e valoroso” (Gdc 6,12). Dio non assegna a un uomo un compito e poi lo abbandona a sé stesso, ma gli sta accanto con il suo potente aiuto. […] Con questa espressione si indica già che Maria fa parte dei grandi chiamati del popolo di Dio e, in quanto tale, dev’essere posta accanto ad Abramo, a Mosè e a Davide».28 Maria è colta nel momento della vocazione da sola. Avvertono l’importanza e la grandezza di questa sua vocazione. In 28 K. STOCK, Maria. La Madre del Signore nel Nuovo Testamento. Commento a tutti i brani che la riguardano (Bibbia e preghiera, 30), ADP, Roma 22003, 50-51. 36 questo incontro con l’angelo Gabriele, ella esce da questa solitudine apparente e concepisce il Figlio di Dio. La sua apparente solitudine non sarà una sterile chiusura, ma una solitudine feconda che farà nascere il Figlio di Dio. Maria ha talmente capito la grandezza di questa missione salvifica che le dava il coraggio di scegliere da sola, senza Giuseppe, che era il suo sposo e che le voleva bene. Ella decide “in solitudine” di diventar la Madre di Dio. Maria vince la solitudine e ottiene la grazia di portare il Figlio di Dio nel suo grembo materno. Maria non è più sola, ma porta con sé il Figlio di Dio. Solitudine di Maria alle nozze di Cana? (Gv 2,4) Il dialogo tra Maria e Gesù alle le nozze di Cana è motivo per gli studiosi a interpretazioni differenti. Quando Maria si rivolge al suo Figlio dicendo: «Non hanno più vino», Gesù risponde: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». Questa risposta di Gesù viene molto discussa dagli esegeti. Se vediamo le varie versioni della Bibbia nelle lingue moderne, possiamo notare che sono tantissime diversità della traduzione di questa espressione idiomatica: «Τί ἐμοὶ καὶ σοί, γύναι». Letteralmente la traduzione sarebbe: «Che vi è tra me e te, o donna?».29 Leggendo queste parole di Gesù in modo superficiale, ci darebbe l’impressione che Gesù rifiuta sua madre e respinge la sua richiesta. 29 Si veda a questo riguardo, D.S. KULANDAISAMY, The first ‘Sign’ of Jesus at the wedding at Cana. An Exegetical Study on the Function and Meaning of John 2.1-12, in Marianum 68 (2006), 23, nota 12. 37 La locuzione può essere interpretata in tutti e due sensi. «Questa frase, conosciuta tanto nella letteratura greco-romana che in quella semitica, di per sé può esprimere accordo o disaccordo tra due o più persone: accordo, cioè: “Che vi è fra me e te che non sia comune?” (consenso pieno); - disaccordo, cioè: “Che vi è di comune fra me e te?” (negazione rapporto)».30 A. Serra spiega questo problema facendo riferimento ai testi Giud 11,1213; II Sam 16,10; I Re 17, 17-18.31 I. de la Potterie commenta che «non vi è alcuna traccia di ostilità in queste parole, nemmeno alcun rimprovero, contrariamente a quanto hanno pensato talvolta i Padri Greci (Per esempio: Ireneo e Crisostomo). Dicendo a sua madre “Che c’è tra te e me, Donna?”, Gesù si pone su un piano diverso da quello di Maria e in un’altra prospettiva: questa pensa ancora al vino della festa, Gesù pensa ormai alla sua missione messianica che inizia».32 Leggiamo nel v. 5 che la madre di Gesù disse ai servi, “Quanto egli vi dirà, fatelo”. «È molto importante riconoscere il fatto che “non avendo compreso quali siano esattamente le intenzioni del Figlio, Maria si rimette totalmente alla volontà di lui, e trasmette ai servi questa sua fede aperta sull’incognito, prima che intervenga l’evidenza del segno: “Quanto Egli vi dirà, fatelo”».33 30 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce. Saggio di Mariologia Giovannea (Gv 2, 1-12 e 19, 25-27), Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 1978, 56. 31 Per un ulteriore approfondimento, cf. A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 54-61. 32 I. DE LA POTTERIE, La Madre di Gesù e il mistero di Cana, in La Civiltà Cattolica 130 (1979), 431. 33 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 61. 38 I. de la Potterie scrive: «questa risposta di Maria mostra che Gesù non le ha opposto a un rifiuto. Piena di confidenza e di speranza, con una disponibilità totale, ella dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Questa formula viene dall’Antico Testamento, ma la sua risonanza varia secondo i contesti. La formula nell’Esodo, prima e dopo l’Alleanza del Sinai dice: “Tutto ciò che Jahvè ha detto, noi lo faremo” (Es 19,8; 24, 3.7). Le parole di Maria a Cana sono come la ripresa di questi impegno solenni, assunti da tutta l’assemblea d’Israele».34 Allora, è ben chiaro che la risposta di Gesù non è un rifiuto. Maria non rimane in solitudine, anzi con la sua risposta al Figlio, diventa una figura collettiva di tutto il popolo di Israele. «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» (Mc 3,33) Il brano concernente «la madre e i fratelli di Gesù» viene considerato un «testo antimariano» da diverse persone. Alcuni vedono nel brano un rifiuto e ostilità da parte da Gesù verso la sua madre. Alcuni dicono che Gesù avendo i fratelli, sua madre non rimase vergine.35 34 I. DE LA POTTERIE, La Madre di Gesù e il mistero di Cana, 433. Gli studiosi cattolici non accettano questi argomenti polemici. Maria, la madre Santissima non ha mai avuto altri figli tranne Gesù, il Figlio di Dio. S. Perrella scrive: «Nessuno dei cosiddetti “fratelli” e “sorelle” di Gesù è detto mai “figlio di Maria”; e d’altra parte la santa Vergine viene chiamata soltanto “Madre di Gesù”. Da parte di Maria, quindi, non c’è nessun elemento o accenno qualsiasi che faccia pensare a un’altra maternità, oltre a quella di Gesù» (S. PERRELLA, Maria. Vergine e Madre. La verginità feconda di Maria tra fede, storia e teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, 165). Si veda a questo riguardo: I. DE LA POTTERIE, «La Mére de Jésus et la Conception virginale du Fils de Dieu», in Marianum 40 (1978), 46; N. CAPIZZI, Vergine, in S. DE FIORES – V. F. SCHIEFER S. PERRELLA (a cura di), Mariologia, San Paolo, Cinisello Balsamo 35 39 In questo brano, l’evangelista Marco non intende presentare l’ostilità tra Gesù e sua madre. Anzi, questo brano è una testimonianza preziosa dei veri legami che creano la comunione con Gesù. Scrive A. Serra: «Marco insegna che perfino Maria, la creatura più stretta a Cristo dai vincoli del sangue, dovette elevarsi ad un ordine di valori più alto. Le esigenze della missione del Figlio la inducevano talvolta a rinunciare alle sue vedute (umanissime, peraltro!) di madre secondo la carne. Dopo aver portato Gesù nel grembo, occorreva che lei lo generasse nel cuore, compiendo la volontà di Dio (cf Mc 3,35): una volontà che si rendeva manifesta in ciò che diceva e operava Gesù. A questi livelli di profondità la figura di Maria ‘madre’ si armonizza e si completa in quella di ‘discepola’».36 Maria non viene espulsa da Gesù a vivere in solitudine, ma Gesù la colloca nella vera famiglia più ampia di tutti coloro che ascoltano la parola del Signore e la mettono in pratica. Maria ai piedi della croce (Gv 19,25-27) Giovanni scrive: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre, “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse presso di sé» (Gv 19, 25-27). Maria vede il suo figlio soffrire sulla croce. In quel momento, Maria sta ai piedi croce non da sola, ma in compagnia col discepolo amato e con altre 2009, 1258-1259; K. STOCK, Maria. La Madre del Signore nel Nuovo Testamento, 33-37. 36 A. SERRA, Bibbia, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 237. 40 donne. Anche lì, Maria vince la sua solitudine e crea una famiglia nuova sul calvario. Chiuso il sepolcro e dispersi i discepoli, Maria viene ccompagnata dal discepolo amato nella sua solitudine, mentre gli ebrei celebravano lo Shabbat. Di quale solitudine stiamo parlando quando ci riferiamo alla Madre di Gesù? «È la solitudine feconda della fede, per nulla disperata e profondamente corredentrice». Questa fecondità di Maria fa nascere la Chiesa dopo la risurrezione del suo figlio. Atti 1,14 dice che Maria era presente nel nucleo originario della prima comunità cristiana, insieme agli apostoli e i primi testimoni, in preghiera. Scrive A. Valentini: «Ella [Maria] è presente come la madre di Gesù dovunque ci siano i discepoli del Signore, in ogni luogo ove donne e uomini si radunino, animati dallo spirito, per essere testimoni del Risorto».37 La fecondità di Maria fa nascere una nuova famiglia dei credenti in Cristo risorto. Solidarietà con Dio e con l’umanità La solitudine di Maria non chiude Maria in sé stessa. Invece apre nuovi orizzonti, dove ella vive la sua solidarietà con Dio e con tutta l’umanità. Maria diventa il nostro modello supremo di come vivere i momenti di solitudine che noi affrontiamo nella nostra vita quotidiana. «La solitudine può essere l’occasione di vita interiore che invita a guardarsi dentro, là dove il cristiano vede e parla con Cristo; occorre vigilare e lottare affinché la solitudine non ci faccia vedere gli altri come estranei, ma come fratelli; è fecondo cercare di accogliere le proprie ed altrui sofferenze non come fatalità senza 37 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture. Figlia di Sion e Madre del Signore, Edizione Dehoniana, Bologna 2007, 274. 41 senso, ma come occasioni, seppur dolorose, di crescita».38 Che Maria, la madre di Gesù, ci ispiri a trasformare i nostri momenti di solitudine in comunione di gioia con Dio e con i nostri fratelli e sorelle. 38 GABRIELE, Vincere la solitudine, in http://www.parrocchiaborno.it/cuntomela.php?p=2010_4&id=7 (consultato il 13 giugno 2017). 42 5 Madre nel dialogo della compassione A volte crediamo che Maria sia poco evocata nella Bibbia. Però Maria è presente negli eventi più importanti della vita di Cristo come donna responsabile e attiva. Leggendo il Nuovo Testamento, osserviamo che nei vangeli ci sono ben più numerose pagine mariane di quanto si creda e, molte volte, piene di senso, in momenti cruciali della vita di Cristo. Scrive A. Valentini che «la Scrittura […] non si interessa direttamente della biografia e della vicenda particolare della madre di Gesù, ma del suo ruolo e significato all’interno del disegno salvifico. […] i brani espliciti concernenti la madre di Gesù non sono numerosi, ma neppure scarsi; in ogni caso, sono testi strategici e di eccezionale densità. Strategici, perché collocati alle svolte fondamentali della storia della salvezza».39 In tutti questi testi fondamentali, Maria viene descritta come una donna di straordinaria responsabilità. Maria è una donna che si impegna per collaborare con Dio nel suo piano salvifico. In questo articolo, ci soffermiamo su alcuni brani del Nuovo Testamento e meditiamo su come Maria agisce con grande impegno e responsabilità, secondo la sua vocazione di Madre di Gesù, il figlio di Dio. Dialogo responsabile con Dio (Lc 1, 26-38) L’Annunciazione è il racconto della vocazione di Maria. Il messaggio di Dio non si rivolge a questa ragazza 39 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 21. 43 di Nazaret con il suo nome «Maria», ma la chiama «Piena di grazia». La invita a gioire. Maria rimase turbata (Lc 1,29) a questo messaggio. Il suo turbamento non deriva dalla non comprensione o da quella paura pusillanime alla quale si vorrebbe talvolta far risalire. Deriva dalla commozione prodotta dagli incontri con Dio. Maria riflette sullo strano saluto dell’angelo: «kâire, kecharitōménē». La volgata e la vecchia versione siriaca si erano limitate a tradurre con un semplice saluto: «Ave». Però dobbiamo ricordarci che la forma imperativa del verbo non esprime semplicemente un saluto banale, ma chiede a Maria di rallegrarsi per la buona novella. L’angelo comunica a Maria qual è il compito a cui è destinata: «Hai trovato grazia presso Dio. Concepirai e partorirai un figlio e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,31). Maria deve diventare Madre. Ella riceve una grande responsabilità e le viene richiesto un servizio molteplice. Maria chiede all’Angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Maria fa questa domanda con grande intelligenza, non perché dubiti della proposta di Dio. «Con questa domanda, ella si rivela una donna ricca di personalità e piena di concretezza: interlocutrice di Dio a nome dell’umanità. Il suo atteggiamento, esemplare sul piano della fede e della responsabilità, assume particolare significato, soprattutto in riferimento alla donna contemporanea».40 Giovanni Crisostomo dice che ella «non si lasciò trasportare dalla gioia né accettò immediatamente ciò che le era proposto».41 A conclusione del dialogo con l’angelo, Maria riflette in silenzio e infine dà, senza titubanze, la sua adesione. 40 41 44 Ibid., 102. In Mat. Hom IV, 5 (PG 57,45). Con l’espressione «Ecco la serva del Signore, avvenga di me ciò che tu hai detto» (Lc 1,38), Maria si riferisce al compito che Dio le ha assegnato. Queste sue parole riflettono anche la sua responsabilità assunta con umiltà e disponibilità. Paolo VI scrive: «desiderosa di partecipare con potere decisionale alle scelte della comunità, ella contemplerà con intima gioia Maria che, assunta al dialogo con Dio, dà il suo consenso attivo e responsabile non alla soluzione di un problema contingente, ma a quell’opera dei secoli, come è stata giustamente chiamata l’incarnazione del Verbo».42 Madre attenta e premurosa (Gv 2, 1-12) La madre di Gesù partecipava a una festa nuziale a Cana di Galilea. Durante la festa venne a mancare il vino; Maria fu la prima persona a notare l’increscioso inconveniente. Ella si rivolge al Figlio per informarlo: «Non hanno più vino» (Gv 2,3). Maria si preoccupa degli sposi e della loro felicità. Scrive O. Battaglia: «La sua attenzione è rivolta alle persone che stanno per vivere una situazione incresciosa. E per lei proprio le persone contano più di ogni altra cosa».43 Il comportamento di Maria in questa circostanza rivela: 1) la sua attenzione per le persone in necessità; 2) la sua responsabilità come «madre» di tutti; 3) una fede profonda nella onnipotenza del suo Figlio. Nel primo segno operato da Gesù, Maria occupa un posto di grande rilievo. «Il compito di una madre è quello di vedere di che cosa hanno bisogno i figli e d’impegnarsi 42 PAOLO VI, Esortazione Apostolica Marialis Cultus (2 febbraio 1974), n. 37, in EV 5/68. 43 O. BATTAGLIA, La madre del mio Signore. Maria nei vangeli di Luca e di Giovanni, Cittadella, Assisi 1994, 260. 45 con tutte le forze per loro. Alle nozze di Cana Maria si comporta come una madre attenta e preoccupata».44 Maria viene descritta dall’evangelista Giovanni come una donna che si comporta in modo responsabile durante la festa nuziale a Cana. Presenza di una madre responsabile nel dolore (Gv 19, 25-27) Come Maria si rende presente nel primo segno di Gesù, cioè all’inizio della vita pubblica di Gesù, così lo fa anche nell’ultimo istante della vita terrena di Gesù. Maria si fa partecipe del dolore del suo figlio nel portare a compimento il piano salvifico di Dio. Alla luce dell’evento della croce, si illumina anche il misterioso «segno» di Cana. Come alle nozze di Cana, Gesù si rivolge alla sua madre con lo stesso appellativo: «Donna». Maria collabora col suo figlio con grande amore, dedizione e responsabilità. Vive con Lui l'unione nella sofferenza, meglio, l'unione nell'amore, che non è nient'altro che la perfezione della compassione. Ecco, questo aspetto deve essere messo in rilievo, quando noi vogliamo parlare di Maria come una donna responsabile. Venerare la Madre di Gesù, che ha vissuto la sua vocazione in modo responsabile e ci ha lasciato un grande esempio, è un’esigenza della nostra fede cristiana. Paolo VI scrive: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui conduce».45 44 K. STOCK, Maria, la Madre del Signore, nel Nuovo Testamento, 97. Discorso tenuto al Santuario di Nostra Signora di Bonaria (Cagliari), il 24 aprile 1970. Cf. Acta Apostolica Sedis 62 (1970), 300301. 45 46 6 Madre di Gesù presso la Croce «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse al madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse presso di sé» (Gv 19, 25-27). Questo celebre testo giovanneo descrive l’ultima azione che Gesù compie prima della sua morte sulla croce. È una scena significativa inserita nel cuore del mistero pasquale. Gesù lega sua madre al suo discepolo amato con le sue ultime parole sulla croce. Secondo A. Valentini, l’importanza di questa pericope «emerge dalla densità del brano, dal contesto dell’«ora» e dal suo rapporto con l’episodio di Cana».46 Gv 19,25-27 si trova al centro degli eventi supremi dell’ora di Cristo, per cui questo brano non deve essere letto “su un piano materiale e fenomenologico”, ma deve essere inteso quale “rivelazione pasquale”.47 Per fare questo, dobbiamo collocare Gv 19,25-27 nel suo contesto immediato e remoto e in particolare con la scena parallela delle nozze di Cana. 46 A. VALENTINI, La madre di Gesù nel mistero dell’«ora» (Editoriale), in Theotokos 7 (1999/2), 319. 47 Ibid., 320. 47 Correlazione fra il Calvario e Cana Nel quarto vangelo, esiste un legame forte fra l’episodio di Cana (Gv 2,1-12) e l’episodio del Calvario (Gv 19,25-27). Si nota subito che le due scene hanno i medesimi personaggi: Gesù, rispettivamente all’inizio e al compimento della sua opera; La madre di Gesù (sua madre) – la «donna»; I discepoli.48 Ci sono anche altri personaggi in questa scena, però l’evangelista dà un rilievo particolare solo a tre persone: Gesù, sua madre, e il discepolo. Gesù è il protagonista. E poi, la madre a cui viene rivolto l'appellativo “Donna”. Troviamo lo stesso termine anche in Gv 2,4. Molti esegeti dicono che Gesù la chiama “donna”, perché lei è la “nuova Eva”. Si fa un riferimento alla prima “donna” Eva. La caduta dell’umanità portata da Adamo ed Eva, viene rettificata da Gesù (il nuovo Adamo) e Maria (la nuova Eva), proprio sul calvario. E il discepolo, Giovanni, rappresenta tutti i credenti. Egli diventa il figlio della madre di Gesù. La maternità di Maria e la figliolanza del discepolo vengono rivelate e confermate dalle parole di Gesù. La correlazione fra Cana e il Calvario è stata l’oggetto di una lunga ricerca scientifica di A. Serra, esegeta e mariologo.49 A. Serra scrive che questi due episodi «mostrano una connessione reciproca, a modo di grande 48 Ibid., 319. Cf. A. SERRA, Le nozze di Cana (Gv 2,1-12). Incidenze cristologicomariane del primo “segno” di Gesù (= In Domina Nostra. Maria nella tradizione biblica 3/1), Edizioni Messaggero, Padova, 2009. Anche cf. D.S. KULANDAISAMY, The first “sign” of Jesus at the wedding at Cana. An Exegetical Study of the function and meaning of John 2.1-12, in Marianum 68 (2006), 17-116. 49 48 inclusione. Infatti: 1) in entrambi i casi è presente la Vergine, non col me proprio (“Maria”), bensì coi titoli di “madre di Gesù (2,1; 19,25) e di “donna” (2,4; 19,26); 2) l’“ora di Gesù”, non ancora giunta a Cana (2,4), è giunta sul Calvario (19,27), ove Gesù passa da questo mondo al Padre (13,1). Infatti l’“ora di Gesù”, secondo Giovanni, comprende come un tutt’uno passione-morterisurrezione».50 Questi due episodi si richiamano a vicenda in quanto entrambi riguardano la salvezza universale. Un brano spiega l’altro. L’ora di Gesù Abbiamo visto come Gv 2,1-12 illumina il significato di Gv 19,25-27. Questi due episodi cruciali del vangelo di Giovanni formano una sorta di grande inclusione. L’uno rimanda all’altro.51 Ma questo brano Gv 19,25-27 «rivela la sua eccezionale densità nel contesto immediato degli «atti» di Gesù in croce (Gv 19,17-37)».52 Secondo A. Valentini, questa pericope è al centro degli eventi supremi dell’ora di Cristo che si possono dividere in cinque scene: «l’iscrizione del titolo sulla croce (vv. 19-22); - la divisione delle vesti (vv. 23-24); - le parole rivolte alla madre e al discepolo (vv. 25-27); - il compimento dell’opera affidata dal padre (vv. 28-30); - la trasmissione del costato (vv. 31-37)».53 50 A. SERRA, Bibbia, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 284. 51 Cf. A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce. Saggio di mariologia giovannea (Gv 2,1-12 e 19,25-27), Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 31991, 84-85. 52 A. VALENTINI, La madre di Gesù nel mistero dell’«ora», 320. 53 Ibid., 320. 49 Lo “schema di rivelazione” (vv. 26-27a) L’elemento più significativo e caratteristico di questo episodio è rappresentato dalle parole di Cristo morente alla madre e al discepolo amato. In questi versetti, gli esegeti vedono «un modello letterario già conosciuto nella letteratura profetica, che lo usa quando il Signore, per mezzo dei suoi portavoce, vuole comunicare una “rivelazione”, ossia un messaggio, una dottrina di grande importanza. […] Un inviato da Dio (un profeta) ‘vede’ una persona; rivolgendosi a questa persona, pronuncia una frase che inizia con l’avverbio ‘ecco’, seguito da un titolo che dichiara la missione della persona vista».54 Anche questa scena segue questo modello della rivelazione. Gesù, inviato dal Padre (“il profeta del Padre per eccellenza”), “vede” la madre e il discepolo. Alla madre «dice: “Donna, ecco il tuo figlio”»; così le rivela che da quel momento lei è madre di tutti i credenti rappresentati da Giovanni. Al discepolo «dice: “Ecco la tua madre”». Con queste parole, gli rivela che da quel momento egli diventa il suo figlio ed ella la sua madre.55 Se Giovanni adopera uno schema così tipico e solenne in questi versetti, questo significa che queste parole di Gesù contengono una rivelazione molto importante, quale la maternità di Maria.56 A. SERRA, Bibbia, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 285. 55 Ibid. 56 Ibid. 54 50 Il senso di «eis tà ìdia» (v. 27b) L’interpretazione di questa espressione «élaben… eis tà ìdia» è molto discussa tra gli studiosi. Esistono numerose traduzioni di questa frase. Alcune traduzioni per esempio: 1) «l’accolse presso di sé»; 2) «l’accolse nei propri (beni)», cioè «l’accolse come sua (madre)»; 3) «la prese nella propria casa»; 4) «l’accolse nella sua intimità». S.A. Panimolle dice che «il verbo «lambanein» negli scritti giovannei, quando ha per oggetto una persona, indica l’accoglienza nella linea della fede, mentre l’espressione «tà ìdia» significa i propri beni cioè le persone o le cose che appartengono a qualcuno (1,11; 10,4; 13,1). La madre di Gesù dal discepolo amato è accolta nel proprio cuore, cioè come propria madre; per una persona umana infatti non esiste tesoro più grande e più prezioso della mamma».57 In questa espressione, dobbiamo riconoscere l’intensità dell’amore filiale con cui il discepolo accoglie Maria come la sua madre. Anche noi dobbiamo accoglierla nel nostro cuore con tale amore. Maria, madre universale Sotto la croce, Maria diventa la madre universale che raduna tutti i dispersi del popolo di Israele. Gesù mette in rilievo la personificazione della nuova Gerusalemme- 57 S. A. PANIMOLLE, Maria vergine nel Nuovo Testamento, in Maria di Nazaret nella Bibbia, (Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica 40), Borla, Roma 2005, 193. Per ulteriori approfondimenti, cf. F. NEIRYNACK, «EIS TA IDIA»: Jn 19,27 (et 16,32), in Ephemerides Theologichae Lovanienses 55 (1979), 357ss. 51 madre, cioè della chiesa.58 «La maternità spirituale di Maria non è metaforica o soltanto giuridica; non è fisica o soltanto morale, ma è spirituale. Maria non ci ha generati nell’ordine fisico, ma nell’ordine della grazia».59 Sul Calvario, nasce la chiesa, di cui la madre è Maria. Parlando della maternità di Maria, Giovanni Paolo II scrive: «Gesù mette in rilievo un nuovo legame tra madre e Figlio, del quale conferma solennemente tutta la verità e realtà. Si può dire che, se già in precedenza la maternità di Maria nei riguardi degli uomini era stata delineata, ora viene chiaramente precisata e stabilita: essa emerge dalla definitiva maturazione del mistero pasquale del Redentore. La Madre di Cristo, trovandosi nel raggio diretto di questo mistero che comprende l’uomo – ciascuno di tutti – come madre. Quest’uomo ai piedi della Croce è Giovanni, il discepolo che egli amava. Tuttavia non è lui solo. Seguendo la tradizione, il Concilio non esita a chiamare Maria “Madre di Cristo e Madre degli uomini”: infatti, ella è frutto del ‘nuovo’ amore, che maturerà in lei definitivamente ai piedi della Croce, mediante la sua partecipazione all’amore redentivo del Figlio».60 Questo amore materno di Maria nutre la nostra vita spirituale e ci guida verso il suo figlio. 58 A. SERRA, Bibbia, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 288. 59 S. M. MANELLI, Mariologia biblica, Casa Mariana Editrice, Frigento 1989, 370. 60 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 23, in EV 10/1336. 52 7 Maria, la donna del tempo La riflessione sul tempo non è facile. Le parole di Sant’Agostino esprimono la vera difficoltà di spiegare il mistero del tempo: «Cos’è il tempo? Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e breve? Chi saprebbe formarsene anche solo il concetto nella mente, per poi esprimerlo a parole? Eppure, quale parola più familiare e nota del tempo ritorna nelle nostre conversazioni? Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche quando ne udiamo altri parlare. Cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so».61 Malgrado questa difficoltà di comunicare il significato del tempo, sappiamo bene che il tempo salvifico per noi credenti, è un dono offertoci da Dio. Maria è strettamente legata col «tempo salvifico» nella storia dell’umanità. La Bibbia mette in chiara luce che: Maria fu progettata da Dio fin dall’eternità; la stessa donna fu profetizzata da Dio fin dall’eternità; la stessa donna fu profetizzata in Is 7,14, partorì il figlio di Dio quando venne la pienezza del tempo (Gal 4,4); Maria dimostra una chiara volontà di valorizzazione del tempo (Lc 1,39); si fa presente quando Gesù parla della sua «ora» (Gv 2,4) e partecipa nell’«ora» della sua passione e morte (Gv 19,25-27). In seguito 61 S. AGOSTINO, Le Confessioni, XI,14,17, in ID., Opera omnia, Città Nuova, Roma 41982, vol. I, 381. 53 vedremo come la Bibbia presenta la Vergine come una componente del «tempo salvifico» e anche come Maria gestisce il tempo con responsabilità e lo vive in piena concordia con la volontà di Dio. La donna progettata nell’eternità di Dio Maria è misteriosamente «presente» nella fase antico testamentaria della salvezza, è parte integrante del misterioso disegno di Dio. Il discorso teologico di Gen 3,15 mette in rilievo il ruolo di Maria, la nuova Eva. Così anche la profezia di Is 7,14 «La Vergine concepirà e partorirà un figlio» non si esaurisce nell’evento rappresentato dalla nascità di Ezechia; fa riferimento anche alla nascita di Cristo. Interpretando Is 7,14 nel senso mariologico, la Vergine si riferisce alla Madre di Gesù. Scrive il noto esegeta A. Serra: «Come la nascita di Ezechia ebbe carattere di prodigio, in quanto fu preannunciata dal profeta quale “segno”, così la nascita di Cristo fu sommamente prodigiosa, in quanto fu concepito da una vergine, per sola virtù dello Spirito. La madre dell’Emmanuele escatologico».62 Tra questa profezia Isaiana e la nascita del Messia, intercorrono otto secoli. Quindi, è evidente che Maria, la Madre del Messia, fu parte integrante del disegno di Dio dall’eternità. Anche gli altri testi biblici come Rm 8,29-30 e Ef 1,3-14 vengono interpretati da vari esegeti per affermare il ruolo che Maria gioca nel progetto eterno di Dio Padre.63 62 A. SERRA, La Vergine, madre del Salvatore, in M. MASINI (a cura di), Il lezionario mariano, Commento esegetico e pastorale al lezionario liturgico, Queriniana, Brescia 1975, 241. 63 Cf. A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, Dehonaine, Bologna 2007, 359-378. 54 La donna della «Pienezza del Tempo» Il brano paolino (Gal 4,4-5) è senza dubbio il testo più importante in ordine al tema di questo articolo: «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perchè ricevissimo l’adozione a figli». L’espressione «pienezza del tempo» indica che «il periodo segnato dalla promessa fatta ad Abramo, nonchè dalla legge mediata da Mosè, ha ormai raggiunto il suo culmine, nel senso che Cristo adempie la promessa e supera l’antica legge».64 Il Concilio Vaticano II insegna che in Maria, si compiono i tempi e si instaura la nuova economia: «Cum Ipsa [Maria] tandem praecelsa Filia Sion, post diuturnam exspectationem promissionis, complentur tempora et nova instauratur Oeconomia, quando Filius Dei humanam naturam ex ea assumpsit, ut mysteriis carnis suae hominem a peccato liberaret».65 Commentando Gal 4,4, Ignacio Calabuig scrive: «Il tempo si è riempito di Cristo, perchè il Verbo ha riempito il grembo della Vergine. In altri termini: con la sua pienezza qualitativa o misterica. A ragione, quindi, la Vergine nazaratena può essere definita come la “Donna della pienezza del tempo”».66 64 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater 1, nota 2, in EV 10/1273. 65 CONCILIO VATICANO II, Lumen Gentium, n. 55, in EV 1/429. 66 I.M. CALABUIG, Il tempo salvifico e la Vergine alla luce della liturgia, in E. PERETTO (a cura di), Maria nel mistero di Cristo pienezza del tempo e compimento del regno, Atti dell’XI Simposio Internazionale Mariologico, Marianum, Roma 1999, 302-303. 55 La visitazione (Lc 1,39-45) All’inizio del racconto della visitazione, Luca scrive: «Maria si alzò e si affrettò verso la regione montuosa, in una città di Giuda» (Lc 1,39). L’espressione «meta spoudés» (in fretta) la troviamo solo qui in tutto il vangelo di Luca. Indica il desiderio di Maria di arrivare con sollecitudine. «Anche se non parte immediatamente (il viaggio richiedeva preparativi e una scorta), Maria non perde tempo. Da Nazaret si arrivava a Betlemme comodamente in 4 giorni».67 Ortensio da Spinetoli scrive: «Il viaggio di Maria risponde allle indicazioni angeliche (v. 36), ma anche alle proprie esigenze. Il parto di Elisabetta è il “segno” che deve dar credito alla sua esperienza. La “fretta” [...] sottolinea lo stato d’animo, l’ansia di chi ha avuto un particolare incontro con Dio e attende di verificarne la prova».68 In questo racconto, l’evangelista ci rende partecipi dell’entusiasmo, la volontà, il desiderio e lo zelo con cui Maria si mette in viaggio per aiutare la sua cugina Elisabetta. Maria non vuol sprecare il tempo, per questo va in fretta. Il suo andare in fretta sui monti di Ain Karim dimostra una chiara volontà di valorizzazione del tempo e l’urgenza di leggerlo nell’ottica dell’ottivismo caritatevole. La Vergine dell’«Ora» (Gv 2,4; 19,25-27) Nel Vangelo di Giovanni, Maria è presente all’inizio (Gv 2,1-12) e alla fine (Gv 19,25-27) dell’attività pubblica 67 G. NOLLI, Evangelo secondo Luca, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1983, 40. 68 O. DA SPINETOLI, Luca, Cittadella, Assisi 1982, 80-81. 56 di Gesù. Secondo vari esegeti, questi due brani fanno una inclusione e parallelismo nella struttura del quarto vangelo. É da notare che in questi due brani, l’evangelista non sa il nome proprio di Maria, ma la chiama “madre di Gesù” (cf. Gv 2,1. 3. 5. 12; 19,25-26) per mettere in rilievo il suo ruolo. Gesù la chiama “donna” in questi due brani (cf. Gv 2,4; 19,26). Scrive I. Calabuig: «La morte di Gesù appartiene al tempo e alla storia, anzi il culmine del ‘tempo salvifico’, il compimento dell’«Ora» (Gv 13,1). In quel momento decisivo della storia della salvezza, la Madre di Gesù è presso la croce del Figlio, insieme con altre donne e con il Discepolato amato».69 Con Maria presso la Croce si compie la figura della vergine Eva in modo antitetico. Così Maria segna ogni tempo e inoltre lo illumina con la sua partecipazione attiva nei momenti cruciali della storia salvifica dell’umanità. La Vergine Maria, presente nel progetto salvifico di Dio sin dall’eternità, si fa presente anche nella nostra vita oggi. Quindi Maria, la Madre di Gesù e la nostra Madre, è «la donna del tempo» par excellence. 69 I.M. CALABUIG, Il tempo salvifico e la Vergine alla luce della liturgia, 311. 57 8 Maria, Porta fidei: Ragione e cuore nell’atto della fede Maria è la donna che Dio ha scelto per cooperare al Suo piano salvifico di inviare il Suo Figlio Gesù. Maria dedicò tutta la sua vita, fedele alla sua vocazione di ‘Madre del Figlio di Dio’. La virtù della fede gioca un ruolo vitale nel suo cammino di vita. Maria accoglie il «Verbo» nel suo grembo come un atto di fede con l’intelligenza e piena consapevolezza della sua scelta. Maria è la donna della fede per eccellenza. È per questo che «l'unione ipostatica del Figlio di Dio con la natura umana, si realizza e compie proprio in lei».70 In seguito approfondiremo come Maria ha vissuto le principali tappe del suo cammino di fede. Fermeremo la nostra attenzione sul racconto dell’Annunciazione (Lc 1,26-38) e vedremo come la fede vissuta da Maria al momento della sua scelta vocazionale, può aiutarci a vivere la nostra vocazione come discepoli di Cristo. L’Annunciazione Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nella sua Lettera Apostolica in forma di “Motu proprio” Porta fidei, con la quale indice l’anno della fede, scrive: «Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua 70 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 9, in EV 10/1296. 59 dedizione (cf. Lc 1,38)».71 Il racconto dell’Annunciazione sintetizza il movimento di Dio verso l’umanità e il modello della risposta umana che Maria ci offre. In questo racconto ogni parola è carica di significato profondo di una teologia della vocazione e della storia salvifica dell’umanità. Leggendo questo racconto, uno può affrontare diverse difficoltà nel capire il brano. Una delle difficoltà poste dai fedeli è quella di capire la domanda che Maria pone all’angelo (Lc 1,34). L’evangelista Luca scrive che Maria rimase ‘turbata’ al saluto dell’angelo e «si domandava» che senso avesse mai quella parola (Lc 1,29). Maria posta di fronte a un messaggio sconvolgente e inatteso, dice all’angelo: «Come avverrà questo, dato che io non conosco uomo?» (Lc 1,34). Perché Maria fa questa domanda? Come interpretare questa obiezione di Maria? Fatica del cuore, mancanza di fede? La domanda che Maria pone all’angelo potrebbe darci l’impressione che le mancasse la fede. È possibile che uno si scandalizzi di questa ‘obiezione’ di Maria, perché «in molti fedeli persiste ancora l’opinione (se pur vaga) che la Madonna fosse onnisciente. Ella conosceva tutto fin dal seno materno; godeva della scienza infusa […] A conforto di questa persuasione, da alcuni si invoca un sillogismo così articolato; l’ignoranza è frutto del peccato originale; perciò ella fu esente da ogni tipo di oscurità conoscitiva o nescienza. Fidandoci di tali presupposti, elaborati da un certo tipo di teologia post-tridentina, è 71 BENEDETTO XVI, Lettera in forma di Motu proprio, Porta fidei (11 ottobre 2011), n. 13, in EV 27/772. 60 chiaro che […] mettiamo il carro davanti ai buoi. Non è questa l’immagine che i Vangeli ci offrono di Maria».72 Nonostante il concepimento immacolato, Maria fu una donna che aveva bisogno di chiarezza nel capire i disegni di Dio. «Il concepimento immacolato non esime la Vergine, pur piena di grazia (cf. Lc 1,28), dalla sua condizione terrena con tutto ciò che essa comporta di sofferenza e di opacità, di lotta interiore e di partecipazione alle passioni dell’esistenza».73 Allora, la domanda che fa Maria non è un segno di mancanza della fede, anzi lei vuole capire meglio con la sua intelligenza il progetto divino per poter collaborare con Dio al suo piano salvifico. Infatti, «ella implora luce sul “come” potrà collaborare a ciò che Dio le sta chiedendo».74 A. Serra interpreta le parole di Maria come una apertura verso il suo creatore: «Maria, come ‘figlia di Sion’, mostra di aver assimilato lo stile di fede che era proprio del suo popolo. Dio aveva educato Israele non al mutismo, bensì al dialogo illuminato e confidente, come farebbe un figlio con suo padre. Anche Maria, assunta al dialogo con Dio in un momento così nodale della storia salvifica, impiega le risorse della mente e del cuore, per offrire un assenso cosciente e responsabile al Signore che chiama».75 La fede di Maria svolge un ruolo decisivo in quel momento importante della sua vita. Sant’Agostino 72 A. SERRA, Testimonianze Evangeliche sulla fede di Maria, in E. TONIOLO (a cura di), Come vivere il cammino di fede con Maria (Fine d’anno con Maria, 8), Centro di cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 1990, 51. 73 PAMI, La Madre del Signore, n. 48. 74 A. SERRA, Testimonianze Evangeliche sulla fede di Maria, 57. 75 Ibid., 57. 61 afferma: «Il Cristo è creduto ed è concepito mediante la fede. Prima si attua la venuta della fede nel cuore della Vergine, e in seguito viene la fecondità nel seno della madre».76 Benché Maria sia turbata al saluto dell’angelo, ella non risponde con il dubbio, ma si apre al dialogo con Dio, tramite l’angelo, e cerca di capir bene il progetto divino a lei proposto. Alla risposta dell’angelo, Maria dà il suo consenso umile e generoso, dicendo “Eccomi, sono la serva del Signore. Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Ragione e Cuore nell’atto di Fede Maria ha dato il suo consenso col suo intelletto e la sua volontà. Esiste un legame stretto tra la fede e la ragione nella vita di Maria, soprattutto molto ben articolata nel racconto dell’Annunciazione. «Maria riceve nello stupore l’annunzio divino. Ed è fede! Maria ricorda e connette annunzio divino e avvenimenti (cf. Lc 2,19.51): ed è ragione»77. È stupenda questa armonia perfetta che esiste tra ragione e cuore nell’atto di fede. La fede non fa mai a meno della nostra intelligenza; anzi la arricchisce. Come scrive A. Serra, «La fede non appiattisce i doni di natura e di grazia che il Signore ha profuso in noi. Anzi! Essa mobilita e nobilita mente, cuore, affettività, discernimento […] È un ossequio non razionale (d’accordo!), ma ragionevole. Bando, dunque, 76 S. AGOSTINO, Sermo 193 (PL 38, 1327). G. FORLAI, Spiritualità di Maria e spiritualità Mariana in Giovanni Paolo II, in E. TONIOLO (a cura di), Il Magistero Mariano di Giovanni Paolo II. Percorsi e punti salienti (Fine d’anno con Maria, 26), Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 2006, 139. 77 62 alla cosiddetta “fede del carbonaio”!».78 Queste parole di A. Serra ci dimostrano la finezza intellettuale della fede di Maria. I vangeli mettono in rilievo come questi due aspetti (fede e ragione) si intrecciano in modo radicale nella vita di Maria. Così afferma Giovanni Paolo II: «Nell'annunciazione, infatti, Maria si è abbandonata a Dio completamente, manifestando “l'obbedienza della fede” a colui che le parlava mediante il suo messaggero e prestando “il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà”. Ha risposto, dunque, con tutto il suo “io” umano, femminile, ed in tale risposta di fede erano contenute una perfetta cooperazione con “la grazia di Dio che previene e soccorre” ed una perfetta disponibilità all'azione dello Spirito Santo, il quale “perfeziona continuamente la fede mediante i suoi doni”».79 Vivere il cammino di fede con Maria Abbiamo visto in modo breve e veloce, come Maria risponde alla rivelazione di Dio nel momento dell’annunciazione. Questa sua obbedienza ci ispira a dare ascolto a Dio che si rivela nella nostra vita quotidiana in diversi modi. Come insegna il Concilio Vaticano II: «A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede».80 La vita di Maria insegna che tutta la vita cristiana è un itinerario di fede con gioie e sofferenze. Neppure Maria viene esentata dal percorrere una via di fede. «Maria dovette crescere nella fede, progredire nella speranza a 78 A. SERRA, Testimonianze Evangeliche sulla fede di Maria, 57. n. 13, in EV 10/1303. 80 CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 5, in EV 1/877. 79 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, 63 dura prova, orientare il suo amore verginale verso Dio e verso Giuseppe di Nazaret, verso il Figlio Gesù e la comunità ecclesiale, verso gli uomini e le donne, suoi fratelli e sorelle».81 Maria crede alla Parola del Signore e le obbedisce con tutto il cuore e con tutta la sua volontà. Maria è la prima credente e la prima che accoglie il “Verbo” eterno del Padre. «La fede di Maria, sulla base della testimonianza apostolica della chiesa, diventa incessantemente la fede del popolo di Dio in cammino: delle persone e delle comunità, degli ambienti e delle assemblee, e infine dei vari gruppi esistenti nella chiesa. È una fede che si trasmette ad un tempo mediante la conoscenza e il cuore».82 Maria, la Madre di Gesù, è la nostra Madre. Ella non ci lascia orfani, ma ci accompagna nel nostro cammino di fede. Come nostro modello eccellente per seguire Cristo, si fa vicina alla Chiesa e all’umanità. Partecipa alle nostre vicende, è presente nella nostra tensione verso Dio nei momenti tristi e gioiosi. Impariamo da Lei come obbedire a Dio con tutto il cuore e con tutta la mente. 81 PAMI, La Madre del Signore, n. 48. 82 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, . 64 n. 27, in EV 10/1351. 9 La Madre del Signore e l’Eucaristia L’Eucaristia è il nucleo del mistero della Chiesa. In essa, mistero della fede e sorgente della nuova evangelizzazione, la fede della Chiesa viene proclamata, celebrata e fortificata. Come proclama il Concilio Ecumenico Vaticano II: «Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, [i fedeli] offrono a Dio la vittima divina e se stessi con essa». 83 Il presente articolo pone la domanda se esista un rapporto tra l’Eucaristia e Maria. A prima vista sembrerebbe che i dati biblici del Nuovo Testamento non dicano niente a questo riguardo. Però, leggendo alcuni brani neotestamentari con attenzione, possiamo capire che Maria è «la donna dell’Eucaristia».84 Vogliamo, quindi, approfondire alcuni brani che possono illuminarci sul rapporto che esiste tra l’Eucaristia e Maria. Maria nella comunità che celebra l’Eucaristia «Erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di Gesù» (At 1,14). Questo testo lucano è il punto di partenza della nostra riflessione. È l’unico testo del Nuovo Testamento che parla della presenza di Maria nella prima comunità cristiana orante. 83 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 11, in EV 1/313. Cf. A. AMATO, Eucaristia, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 530-531. 84 65 A. Valentini scrive che «per comprendere la portata di At 1,14 [...], si deve procedere per gradi: è necesario ambientare il testo nel suo contesto letterario e teologico, confrontando anzituto con gli altri sommari dei primi capitoli degli Atti; [...] eaminare infine la dimensione “eucaristia” della preghiera di Maria quale emerge dal canto del Magnificat».85 Prima di tutto, dobbiamo fare il confronto con i sommari At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16. Questi sommari offrono un’immagine generale dei tratti o atteggiamenti della prima comunità cristiana. La parentela che esiste tra questi brani la possiamo verificare in espressioni simili e complementari. Fa notare il ruolo vitale che giocava la preghiera nella vita delle prime comunità cristiane. At 2,42-46 mette in rilievo l’importanza che aveva la frazione del pane nella vita comunitaria. L’Eucaristia è al cuore della vita orante della comunità cristiana. Questo è affermato con chiarezza dal testo paolino seguente: «[...] il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poichè c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor 10,17). In At 1,14 Luca mette in luce la personalità di Maria, che non è solo individuale, ma anche «corporativo».86 85 A. VALENTINI, Maria nella comunità delle origini che celebra Eucaristia, in E. TONIOLO (a cura di), Maria e l’Eucaristia, Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa» (Fine d’anno con Maria, 20), Roma 2000, 12. 86 Cf. R. KUGELMAN, The Hebrew Concept of Corporate Personality and Mary, the type of the Church, in PONTIFICIA ACADEMIA MARIANA INTERNATIONALIS, Maria in Sacra Scriptura, vol. VI, Romae 1967, 179-184. 66 Il Magnificat e la Spiritualità di Maria Non solo in At 1,14, ma anche in Lc 1,46-55, Luca presenta Maria come una donna orante. Il Magnificat (Lc 1,46-55) cantato dalla Vergine, in quanto “la sintesi” della storia mirabile del popolo di Israele, anticipa il tema orante della comunità post-pasquale. L’Eucaristia è lode di ringraziamento, come lo è il mirabile cantico di Maria. Giovanni Paolo II scrive: «Maria fa memoria delle meraviglie operate da Dio nella storia della salvezza, secondo la promessa fatta ai padri (cf. Lc 1,55), annunciando la meraviglia che tutte le supera, l’Incarnazione» redentrice. Nel Magnificat è infine presente la tensione escatologica dell’Eucaristia. [...] Maria canta quei “cieli nuovi” e quella “terra nuova” che nell’Eucaristia trovano la loro anticipazione e in certo senso il loro “disegno” programmatico. Se il Magnificat esprime la spiritualità ci aiuta a vivere il Mistero eucaristico. L’Eucaristia ci è data perchè la nostra vita, come quella di Maria, sia tutta un Magnificat».87 Così rileggendo il Magnificat in prospettiva eucaristica, «la Chiesa si unisce pienamente a Cristo e al suo sacrificio, facendo suo lo spirito di Maria».88 Il legame tra Maria e l’Eucaristia È innegabile il forte legame che esiste tra l’Eucaristia e la madre di Gesù. Stiamo parlando di «un rapporto reale, oggettivo, personale; di conseguenza è un legame forte e indistruttibile, Maria, perciò ha rapporti materni 87 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Ecclesia de Eucaristia (17 aprile 2003), n. 58, in EV 22/315. 88 Ibidem, n. 58, in EV 22/314. 67 definitivi con il Cristo».89 Possiamo capire questo stretto legame dal fatto che «nel suo corpo nasce il “corpo di Cristo”».90 A. Amato descrive questo rapporto con le seguenti parole: «Dio ha dato alla vergine Maria un posto unico ed esemplare in questo mistero d’incarnazione salvifica, associandola nella fede e nell’amore al compimento delle redenzione: all’incarnazione vera e propria, al mistero pasquale e all’unità e alla vivificazione del corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Di conseguenza la Chiesa, che celebra nell’Eucaristia il mistero dell’incarnazione redentrice, non può non sottolineare il ruolo che Maria ha avuto e ha con la sua maternità spirituale. Maria, legata indissolubilmente alla persona del Verbo incarnato con la sua maternità divina, non può essere separata dal Cristo eucaristico, così come non è separata dal corpo mistico di Cristo che è la Chiesa».91 La presenza di Maria in ogni domenica della Chiesa Maria è intimamente associata alla Chiesa come al corpo mistico di Cristo. Ella è «riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della chiesa e sua immagine ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità».92 In quanto Maria è la madre di Cristo e membro eminente della Chiesa, si fa presente in ogni domenica della Chiesa che celebra il mistero pasquale di Cristo. M.G. MASCIARELLI, Maria e l’Eucaristia dinanzi alle carenze umane, in E. TONIOLO (a cura di), Maria e l’Eucaristia, 67. 90 Ibid., 63. 91 A. AMATO, Eucaristia, 534. 92 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 53, in EV 1/427. 89 68 Giovanni Paolo II giustifica e spiega questa presenza di Maria in ogni domenica, nella sua lettera apostolica Dies Domini sulla “santificazione della domenica”. Nel n. 86 scrive: «Ella [Maria], senza nulla detrarre alla centralità di Cristo che lo esige: come potrebbe infatti, lei che è la Mater Ecclesiae, non essere presente a titolo speciale, nel giorno che è insieme dies Domini e dies Ecclesiae? Alla Vergine Maria guardano i fedeli che ascoltano la Parola proclamata nell’assemblea domenicale, imparando da lei a custodirla e meditarla nel proprio cuore (cf. Lc 2,19). Con maria essi imparano a stare ai piedi della croce, per offrire al Padre il sacrificio di Cristo ed unire ad esso l’offerta della propria vita. Con Maria viviamo la gioia della risurrezione, facendo proprie le parole del Magnificat che cantano l’inesauribile dono della divina misericordia nell’inesorabile fluire del tempo. Di domenica in domenica, il popolo pellegrinante si pone sulle orme di Maria, e la sua intercessione materna rende particolarmente intensa ed efficace la preghiera che la Chiesa eleva alla Santissima Trinità».93 Maria è il modello sublime per noi che vogliamo fare un cammino di fede sostenuti dalla celebrazione Eucaristica. Lei è “la donna della preghiera” per eccellenza e ci invita a rendere perenne lode a Dio. «Maria precede tutti noi “sula via verso la santità” che è il mistero della Chiesa come “la Sposa senza macchia nè ruga” (Ef 5,27)».94 Impariamo da lei ad adorare Cristo, che incontriamo ogni volta che celebriamo l’Eucaristia. 93 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Dies Domini (31 maggio 1998), n. 86, in EV 17/1010. 94 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 773, LEV, Città del Vaticano 2012, 232. 69 10 Maria icona biblica della carità «Dio è amore» (1 Gv 4,16). Questo amore infinito di Dio si manifesta nella storia umana nell’evento supremo dell’incarnazione del Suo figlio. In questo evento sublime, Dio si fa carne nel grembo di una donna di nome «Maria», colei che occupa un posto centrale della storia dell’umanità. Maria lo merita perchè ha creduto nell’amore di Dio e si è fidata della promessa. In questo evento centrale della storia dellla salvezza, l’Agape si incarna in Maria (Mt 1,18-25; Lc 2, 1-7; Gv 1,14). Maria diventa la Madre di Dio che è amore. Maria maifesta il suo amore, non solo al mistero dell’incarnazione, ma anche nella vita pubblica di Gesù, sino alla fine della vita del suo filgio, stando ai piedi della Croce (Gv 19, 25-27). Lo stesso amore ci viene trasmesso anche oggi per la sua intercessione presso il suo figlio. Maria è la donna che sa amare e sa trasmettere l’amore eccelso del suo figlio a tutta l’umanità. Maria, donna che ama Nell’Enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI, dedicata espressamente alla carità, Maria viene presentata come «una donna che ama».95 Il Pontefice, nella sua enciclica, ci fa un forte richiamo alla virtù della carità. Ci fa capire come Maria non può essere che una donna che 95 BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est (25 dicembre 2005), n. 41, in EV 23/1604. 71 ama e ci riporta all’amore trinitario come fonte e a quello di Cristo come dono e servizio. «Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata. Infine Maria è una donna che ama. Come potrebbe essere diversamente? In quanto credente che nella fede pensa con i pensieri di Dio e vuole con la volonta di Dio, ella non può essere che una donna che ama».96 Secondo il Pontefice, l’amore di Maria è dunque il pensare e il volere secondo Dio. Gli autori del Nuovo Testamento ci presentano Maria, madre di Dio, come colei che ama Dio e l’umanità. Maria è per eccellenza la donna della virtù della carità. L’amore di Maria testimoniato dai Vangeli La carità che Maria pratica nella sua vita si basa sulla fiducia nella Parola di Dio. Si nota che il Papa nello descrivere la virtù della carità nella vita di Vergine Maria, ripercorre i noti testi della Sacra Scrittura. Maria porta nel suo grembo «la Parola» che è Gesù Cristo. Il sommo Pontefice, scrive nella sua enciclica che «lei [Maria] nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nacse dalla Parola di Dio».97 Infatti, c’è un legame sterttissimo e inseparabile fra Maria e la Parola di Dio. Gli evangelisti la descrivono come una donna che ama Dio e una donna di Servizio. In questo articolo, vogliamo approfondire il tema della carità nella vita di Vergine Maria in alcuni passi noti del Nuovo Testamento. 96 97 72 Ibid. Ibid. Maria si fida dell’amore donato (Lc 1,26-38) Nell’annunciazione, Maria viene chiamato kecharitôménê (piena di charis, di grazia). Questo saluto dell’angelo Gabriele fa evidente che è l’amore di Dio che l’ha fatta ricolma di grazia. È un amore gratuitamente donato a Maria. O. da Spinetoli scrive che « l’espressione «il Signore è con te» [...] indica la protezione, l’assistenza che Dio accorda ai suoi inviati e ora a Maria, in vista dei futuri compiti che sono destinati ad assolvere».98 Il evangelista Luca mette in risalto i «privilegi» di Maria, sopratutto l’amore di Dio verso Maria che è chiamata a collaborare nel piano di salvezza. Davanti alle parole dell’angelo, Maria rimane turbata (v. 29), ma non ha alcun dubbio della provvidenza di Dio e del Suo amore. «Maria crede alla possibilità dell’impossibile. La sua passione per l’esistente si completa con la passione per il possibile. [...] la fede di Maria si esprime come un esplorare le frontiere del possibile, seguendo i passi di un amore onnipotente».99 Maria crede ad un amore che fa vivere, «che scaccia il timore» (1Gv 4,18). [...] Si fida dell’amore gratuito di Dio sino a credere all’impossibile. Per cui, ella ha potuto rispondere: «Ecco la serva del signore, avvenga di me secondo la tua parola» (v. 38). Questa fede di Maria in un Dio che è amore, le concede il privilegio di concepire il 98 O. DA SPINETOLI, Luca, Collana Commenti e Studi Biblici, Assisi 1982, 70-71. 99 E. RONCHI, La Vergine di Nazaret: Colei che ha creduto all’amore, in E. TONIOLO (a cura di), Maria testimone e Serva di Dio-Amore (Fine d’anno con Maria 27), Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 2007, 68-69. 73 figlio di Dio nel suo grembo. Così ella diventa la madre del Messia e la donna prediletta di Dio. Questo atto di fidarsi di Maria nell’amore gratuito di Dio che si è espresso dall’angelo Gabriele, apre la strada verso un futuro che porterà il Messia in mezzo a noi, la piena espressione dell’amore di Dio Padre. «Ella [Maria] è così, per noi, la Madre di ogni umano consenso. Il suo ruolo nella storia della salvezza è unico e indispensabile ».100 «Maria testimonia l’amore di Dio perché tipico di chi ama è fare spazio alla persona amata, favorirla, porla in evidenza, assicurarle il primo posto».101 Così Maria offre se stessa a Dio come una espressione migliore del suo amore, per portare avanti il piano di salvezza. Il suo amore verso Dio e l’umanità è il fondamento della sua risposta positiva nel momento dell’annunciazione. Visitazione (Lc 1,39-45) È un gioiello questo piccolo racconto dell’incontro delle due madri. L’evangelista Luca dice che Maria si mise in viaggio in fretta (v. 39). Alcuni biblisti lo traducono: «si mise in cammino con sollecitudine». Fare una visita è un atto di carità. Perchè Maria si affretta verso il paese di Elisabetta? Il motivo più alto dell’afrettarsi di Maria è il motivo della carità sopranaturale. Lo zelo per servire la sua cugina, la spinge ad andar in fretta. Il cuore di Maria è sempre orientato a servire gli altri che sono in bisogno. 100 Lettera pastorale di Vescovi della Svizzera su «La beata Vergine Maria nella storia della salvezza» (cf. Marianum 36 [1974], 367). 101 M.G. MASCIARELLI, La vergine Maria nell’enciclica «Deus caritas est» e nel contesto del magistero di Benedetto XVI, in E. TONIOLO (a cura di), Maria testimone e Serva di Dio-Amore, 27. 74 In questo incontro di due madri, si manifesta qualcosa di estraordinario che ci lascia trasportare dalla fantasia. È un incontro d’amore. Da parte di Maria, è un incontro in cui ella compie un servizio di carità che culmina con il canto del Magnificat. Benedetto XVI parla di Maria in riferimento al suo servizio di carita: «Nel Vangelo di Luca – egli scrive - la troviamo impegnata in un servizio di carità alla cugina Elisabetta, presso la quale resta “circa tre mesi” (1,56) per asisterla nella fase terminale della gravidanza».102 M.G. Masciarelli commenta queste parole del Pontefice e mette in rilievo il servizio caritevole di Maria: «È un’icona quella che il Papa pone dinanzi agli occhi credenti, prima di ogni altra considerazione che sviluppa in seguito. I tratti dell’icona sono: itineranza, presenza, lentezza, cura della vita nascente. Maria anzitutto ha lasciato la sua casa per rendere un «uservizio di carità» dove c’è bisogno. È un tratto distintivo dell’amore: l’intraprendenza, il lasciare e l’andare: questo perché l’amore è estroverso, è espansivo, mentre chiama al decentramento da sé stessi. Maria, dimenticando le sue cose, esce dalla sua casa e va alla casa di Elisabetta per soccorrerla. La visita a lei non consuma il suo senso nell’ambito di un gesto particolare di carità, ma assurge a valore simbolico. Quella visita è solo un’occasione in cui si manifesta e si esplicita lo stile caritativo della Vergine che si pone come tipo nell’esercizio della virtù, il punto prospettico della sua esistenza».103 102 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 41, in EV 23/1604. M.G. MASCIARELLI, La vergine Maria nell’enciclica «Deus caritas est» e nel contesto del magistero di Benedetto XVI, 27. 103 75 Il Magnificat (Lc 1,46-56) Cantando il Magnificat, Maria riconsoce il suo amore per lei e rende lode a Dio. «Il punto di partenza è la gioia messianica che ha invaso l’animo di Maria e di quanti con lei attendono la salvezza (vv. 46-48 cf. 1,28), ma il fatto più importante è che è communicata agli ultimi della scala sociale».104 L’anima di Maria esalta Dio per le cose meravigliose che il Signore ha fato in lei e nella casa di Israele. Questa lode incessante di Maria è più che un ringraziamento che viene dal suo cuore, riconoscendo pienamente l’amore eterno di Dio. È una preghiera di Maria che esprime il suo amore per Dio-Salvatore. Come osserva A. Valentini, il Magnificat «non si tratta di semplice sguardo o di pura benevolenza, ma di coinvolgimento diretto e attivo; [...] tale interventodi Dio scatturisce dalla sua misericordia nei confronti della «doúlê», ma ancor più dalla sua santità».105 Nel cantico di Magnificat, Maria dischiude la bontà infinita di Dio e il suo amore per i poveri ed umili. Maria che rappresenta la comunità cristiana, si identifica con i poveri. Giovanni Paolo II mette in rilievo questo aspetto del Magnificat: «Il suo amore di preferenza per i poveri è iscritto mirabilmente nel Magnificat di Maria. Il Dio dell’Alleanza, cantato [...] dalla Vergine di Nazaret, è insieme colui che “rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, [...] ricolma di beni gli affamati e rimanda i richi a mani vuote, [...] disperde i superbi [...] e conserva la sua misericordia per coloro che lo temono”. Maria è profondamente permeata dello spirio dei “poveri del Signore”. 104 O. DA SPINETOLI, Luca, 86. A. VALENTINI, Il Magnificat (Lc 1,46b-55), in Maria di Nazaret nella Bibbia (Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica 40), 222. 105 76 Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua fede, espressa nelle parole del Magnificat, la Chiesa rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva [...] dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù».106 Maria, si identifica con i poveri. Questa sua identificazione è un indizio (segno) della sua umiltà. Questa virtù dell’umiltà è la forma con cui Maria «accetta di essere trascurata nel periodo della vita pubblica di Gesù, sapendo che il Figlio deve fondare una nuova famiglia e che l’ora della Madre arriverà soltanto nel momento della croce, che sarà la vera ora di Gesù (cf Gv 2,4; 13,1».107 Spiegando questo aspetto, M.G. Masciarelli dice, «Maria ha fatto coincidere le due virtù: l’amore l’ha portataad essere umile; l’umiltà l’ha portata ad amare».108 L’amore di Maria nell’Ora di Cana (Gv 2,1-12) L’unico evangelista che narra questo evento delle nozze di Cana è Giovanni. Il vocabolario del quarto vangelo è noto per il suo significato duplice e a volte anche molteplice. Il vangelo di Giovanni è rico e denso di significati teologici. Questo brano Gv 2,1-12 ha un ruolo importantissimo nella struttura del quarto evangelo 106 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 37, in EV 10/1373. 107 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 41, in EV 23/1604. 108 M.G. MASCIARELLI, La vergine Maria nell’enciclica «Deus caritas est» e nel contesto del magistero di Benedetto XVI, 34. 77 e anche offre una chiave di lettura per capire il piano narrativo dell’evangelista. La prima ad essere menzionata è la madre di Gesù. Nel v. 4 Gesù la chiama ‘donna’. “Lo stesso fenomeno si ripete in Gv 19,25.26, cioè nella scena del Calvario. Questa funge da grande inclusione con quella di Cana”.109 Si nota che Giovanni non menziona mai il nome di Maria nel suo vangelo. Queste due episodi sono tra loro strettamente legati e si illuminano l’un l’altro. Maria viene presentata sempre con questa espressione “madre di Gesù”. A. Serra commenta che “evidentemente, più che al nome proprio della Vergine («Maria»), l’evangelista è interessato al ruolo che le compete, significato dai titoli: «madre di Gesù» e «Donna»”.110 Quando viene a mancare il vino, Maria si preoccupa e richiama l’attenzione del suo figlio sulla situazione di disagio. Maria interviene con delicata premura e con ammirevole discrezione. In questo racconto delle nozze di Cana, vogliamo puntare nostro sguardo su un aspetto molto importante, quale «l’attenzione di Maria nell’Ora di Cana».111 L’attenzione di Maria alle nozze di Cana dimostra il suo amore verso gli sposi. Commentando su questo brano (Gv 2,1-12), E. Ronchi dice: «[Maria] crede nell’amore umano come benedizione divina [...], crede a un amore che si prende cura [...], crede nella polifonia 109 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 55. Ibid. 111 Cf. M.G. MASCIARELLI, La vergine Maria nell’enciclica «Deus caritas est» e nel contesto del magistero di Benedetto XVI, 32-33. 110 78 dell’amore [...], crede all’amore come primo luogo di evangelizzazione».112 Il ruolo che Maria gioca nelle nozze di Cana, non solo come una madre che prende cura dei suoi figli, ma anche come una donna attenta ai bisogni degli altri e come una donna attenta nelle difficoltà e disagi dele persone. Questo racconto delle nozze di Cana, Maria dà un esempio eccellente d’attenzione, di sensibilità e d’amore verso l’altro. La più grande prova d’amore (Gv 19, 25-27) L’evangelista Giovanni diferisce dai sinottici nel ricordare la madre di Gesù ai piedi della croce. Questo brano ha un legame stretto con Gv 2,1-12. Questi due racconti (Gv 2,1-12 e Gv 19,25-27) fungono da inclusione. In tutti e due, madre di Gesù appare. In questi due racconti, la madre di Gesù, viene chiamata «Donna» (cf. Gv 2,4; Gv 19,26). L’ora a cui Gesù si riferisce nelle nozze di Cana (Gv 2,4) si compie in Gv 19,25-27. È da notare che la Madre di Gesù, è presente all’inizio e anche alla fine della vita pubblica di Gesù. In tutte e due occasioni, Madre di Gesù, viene presentata come una donna attenta e partecipe del disagio e soffernza degli altri, in altre parole come una donna che ama. Vicino alla croce, Maria viene donata come Madre dei discepoli. Maria che partecipa al dolore del suo figlio, partecipa anche ai nostri dolori. Chi non ama non può soffrire per gli altri. La sofferenza che Maria attraversava nell’offrire il suo unico figlio sulla croce è statà il culmine 112 E. RONCHI, La Vergine di Nazareth: Ceolei che ha creduto all’amore, 72-75. 79 dei suoi dolori. «Maria, da oggetto di dolore, colei che subisce la tragedia, è chiamata a diventare soggetto di dolore, a passare da un dolore soltanto subìto a una sofferenza vissuta attivamente, a prendere posizione, a riprendere in mano la vita. «Donna, ecco tuo figlio», un figlio muore ma un figlio ti è dato. La tua vocazione è, da sempre, una sola: esere madre. La tua vocazione deve prevalere sul tuo dolore. I tuoi amori valgono più della tua vita. Ecco qui un figlio, ritorna a essere madre: «l’amore conta più del dolore». Dolore di agonia e dolore di parto intrecciati insieme. Gli unici dolori che hanno senso sono quelli del parto. Invitata a credere nell’amore, amore di madre, Maria vive la sua vera pasqua: maternità ferita e risorgente. Amore ferito e moltiplicato».113 Conclusione C’è sempre nella nostra vita cristiana bisogno di una maggior coscienza della virtù della carità. L’apostolo Paolo dice: «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità» (1 Cor 13,13). Maria ha vissuto questa virtù della carità fino in fondo, diventa una donna esempare per eccellecnza per ogni persona cristiana. Maria prende l’attegiamento essenziale del servizio in ogni momento della sua vita ed è diventata il nostro modello sublime di carità. Per cui, siamo invitati a fissare l’attenzione su Maria, la Vergine-Madre. T.F. Osanna scrive: «Maria è vangelo vivo, modello concreto delle virtù predicate dagli Apostoli, in cui ogni uomo e ogni donna può vedere che 113 80 Ibid., 77. cosa significhi essere cristiano».114 Lo stesso autore fa accenno a tre atteggiamenti che i Vangeli dedicano a Maria: «la incrollabile fede; la disponibilità costante e totale a fare ciò che Dio vuole da lei; il dono del cuore e la risposta d’amore». In Maria, quindi, «l’amore diviene maternità senza nulla togliere alla sua realtà di figlia e di sposa sia di fronte a Dio che agli uomini; i tre volti dell’amore - madre, sposa e figlia – restano emblematici in chi cammina sulle orme di Cristo guardando Maria».115 Fissiamo il nostro guardo su Maria, donna biblica della carità, ed impariamo ad amare Dio e i nostri fratelli e sorelle. Concludiamo questa nostra riflessione e approfondimento con la preghiera del Papa Benedetto XVI: «Santa Maria, Madre di Dio, tu hai donato al mondo la vera luce, Gesù, tuo Figlio – Figlio di Dio. Ti sei consegnata completamente alla chiamata di Dio e sei così diventata sorgente della bontà che sgorga da Lui. Mostraci Gesù. Guidaci a Lui. Insegnaci a conoscerlo e ad amarlo, perché possiamo anche noi diventare capaci di vero amore ed essere sorgenti di acqua viva in mezzo a un mondo assetato».116 T.F. OSANNA, Modello evengelico, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 958. 115 Ibid., 959. 116 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 42, in EV 23/1605. 114 81 11 La crescita umana favorita da Maria La nostra vita cristiana è un cammino. In questo cammino ci sono gioie e sofferenze. Maria ci aiuta in ogni momento del nostro cammino spirituale come madre. Sotto questo titolo si cerca di mettere in rilievo ruolo di Maria come educatrice e maestra del popolo cristiano. Prima, vedremo come Maria “educava” Gesù per la crescita umana. Nel fare questo primo passo, approfondiremo alcuni brani del Nuovo Testamento. E poi, nella seconda sezione, vedremo come Maria gioca un ruolo importante nell’educare il popolo cristiano e ci aiuta a crescere nella nostra vita spirituale. Maria e la crescita umana di Gesù Nella vita di Maria, noi possiamo vedere due aspetti fondamentali nei confronti di Gesù. Maria, in quanto ha “educato” suo figlio nella sua crescita umana e quindi è stata non solo madre, ma anche “maestra” ed “educatrice”. Il secondo aspetto è ugualmente importante; cioè Maria è stata la prima discepola di Gesù. Quando parliamo di Maria come “educatrice” di Gesù, sorge la domanda: Come può Maria educare Gesù Maestro che era onnisciente? Alcuni teologi, pensando solo alla scienza infusa da lui goduta e dimenticando il realismo della sua incarnazione, sottovalutano la sua conoscenza sperimentale. Per esempio, De la Broise dice che «in verità egli [Gesù] non conosceva nulla di nuovo. Per questo motivo, e anche in ragione della sua dignità di 83 primo Maestro (STh III, q. 12, a. 3), egli non poteva imparare nulla da Maria né da Giuseppe».117 C’è un altro gruppo di teologi che pensano che Maria, pur riconoscendo la figliolanza divina di Gesù, sentiva dentro di sé il suo dovere di esercitare i compiti di ogni mamma. Per esempio, F.M. William scrive: «Gesù è stato invece veramente bambino e non ha fatto solo le veste di esserlo; sua madre, anzi proprio l’aspetto di sua madre, fu il primo specchio da cui imparò a vedere il mondo. […] la divinità [di Gesù] si occultava nella sua umanità per compiere tutte le esperienze della vita umana che si venivano presentando via via che cresceva. E Maria era la madre infinitamente più disposta di quantunque altra a guidare la sua creatura di Dio».118 Il rapporto di Maria con Gesù era un rapporto tra madre e figlio. Però Maria si distingueva dalle altre madri per il fatto che lei era consapevole della figliolanza divina di Gesù. Parlando della vita quotidiana di Maria come madre di Gesù, G.M. Roschini scrive che «la Vergine santissima seguiva con occhi d’amore questo continuo sviluppo del suo divin Bambino per il quale – letteralmente – viveva. Egli era il centro di tutte le sue occupazioni e preoccupazioni, in una dedizione sconfinata d’amore».119 Abbiamo delle indicazioni bibliche per dimostrare che Maria si dedicò alla “crescita” umana di Gesù. A. Serra fonda i suoi argomenti su alcuni 117 DE LA BROISE, La sainte Vierge, Paris 1922 (ed. orig. Francese Vie de la sainte Vierge, 1904; trad. it. Vita di Maria, Catania 41964), 129-130, citato in S. DE FIORES, Educatrice, in ID., Nuovissimo Dizionario di Mariologia, Dehoniane, Bologna 2006, vol. 1, 638. 118 F.M. WILLIAM, Vita di Maria la madre di Gesù, Morcelliana, Brescia 1944 (edizione originale tedesca 1936), 133-134. 119 G.M. ROSCHINI, La vita di Maria, Belardetti, Roma 1947, 211-212, in S. DE FIORES, Educatrice, 639. 84 testi biblici, quando dice che «Gesù fu “discepolo” di Giuseppe suo padre, dal quale imparò l’arte del falegname (Marco 3,13-17; cf. Marco 1,9-11; Luca 3,21-22); di Mosè, in quanto osservava la Torah donata per mezzo di lui (Matteo 5,17; Giovanni 1,17). E fu “discepolo” di Maria, sua madre, poiché da lei fu “educato” sotto vari aspetti».120 Ora vogliamo vedere alcuni brani biblici che ci offrono degli indizi delle cure materne che Maria prestò a Gesù. Le cure materne prestate da Maria a Gesù Nei brani biblici seguenti, A. Serra121 vede Maria come colei che ha “educato” Gesù da ogni punto di vista: “lo avvolse in fasce” (Luca 2,7); “il bambino cresceva […] era loro sottomesso” (Luca 2, 40.51), “stavano presso la croce di Gesù sua madre” (Gv 19,25). Lc 2,12 dice che i pastori vedranno un bambino, avvolte in fasce, che giace nella mangiatoia”. A. Serra profila «una ragionevole ipotesi sul motivo per cui Luca in luogo delle “fasce”, nominate al v.12, sosstituisca poi i nomi di “Maria e Giuseppe” al v. 16. Quelle “fasce”, nel linguaggio simbolico dell’evangelista, sono il segno tangibile di tutte le cure che Maria offrì a Gesù, insieme a Giuseppe suo sposo e padre legale del bambino (Lc 1,27; 2,4; 3,23; 4,22). […] il ministero di Maria e Giuseppe, per così dire, “avvolgeva” Gesù, lo “circondava” di assistenza premurosa, di modo che egli “cresceva in sapienza, età e grazia, davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52)».122 A. SERRA, Gesù “impara” da Maria sua madre, in Servitium 202/3 (2012), 35. 121 Ibid., 36-47. 122 A. SERRA, Gesù “impara” da Maria sua madre, 37. 120 85 Leggiamo nel Nuovo Testamento che Giuseppe e Maria erano “timorati di Dio” (cf. Lc 1,50) e facevano pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme ogni anno (cf. Lc 2,42). Maria e Giuseppe aiutavano Gesù a crescere nella loro fede. S. Saldarini dice: «Maria è stata anche educatrice: ha insegnato a Gesù la fede biblica e lo ha accompagnato nella sua esperienza di fede. […] La memoria di Maria non è estranea alla crescita. In questa luce è legittimo pensare che da Maria, la madre, che ricorda e medita, Gesù abbia imparato il comandamento della fede ebraica, lo Schema Israel […], che sarà la preghiera del mattino e della sera per ogni ebreo credente. […] Maria ha cresciuto Gesù nella fede del suo popolo e insieme a Giuseppe gli ha insegnato a pregare, con la memoria, l’esempio e la parola. […] Maria vive con Gesù il suo esodo, il suo deserto, la sua entrata nella Terra promessa. Lei stessa “custodisce tutte queste cose” nella sua memoria di fede del suo cuore».123 In Gv 19,25-27, leggiamo che Maria insieme alle altre donne, stava presso la croce. Anche nel momento della passione del suo figlio, Maria lo accompagna e si fa presente sul calvario e offre suo figlio come sacrificio per la redenzione dell’umanità. L’umanità di Gesù, che attraversava grande patimento e agonia sulla croce, avrà ricevuto conforto e coraggio dalla presenza della sua madre che gli stava accanto. «Ora non v’è dubbio che Maria abbia aiutato Gesù ad accettare e a vivere la sua morte in armonia con la volontà del Padre. Pertanto, nel colmo dell’angoscia trasfigurata dalla fede, ella 123 G. SALDARINI, Maria di Nazaret, Àncora, Milano 1998, 86.88-90, in A. SERRA, Gesù “impara” da Maria sua madre, 39. 86 contribuisce a generare il Figlio alla vita della gloria, della risurrezione immortale».124 Maria, educatrice della Chiesa Abbiamo visto come Maria è stata una mamma che prestava cure materne al Figlio di Dio a “crescere” nella sua umanità. La stessa Maria che si prendeva cura del Figlio di Dio, colei che accompagnava Gesù sino alla sua morte sul Calvario, accompagna tutti noi nel nostro cammino spirituale. Il capitolo VIII della costituzione dogmatica Lumen gentium dice che Maria è intimamente legata con il mistero della Chiesa: «La beata Vergine, per il dono e l’ufficio della divina maternità che la unisce col Figlio redentore e per le sue singolari grazie e funzioni, è pure intimamente congiunta con la Chiesa: la madre di Dio è figura della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’ordine cioè della fede, della carità e della Chiesa, la quale pure giustamente chiamata madre e vergine, la beata vergine Maria occupa il primo posto, presentandosi in modo eminente e singolare quale vergine e quale madre».125 Maria non è solo la madre di Gesù, ma anche la madre della Chiesa, madre di ciascuno di noi. Nel vangelo di Giovanni, Maria intercede presso Gesù perché faccia un miracolo, per rimediare la mancanza di vino. Così Maria intercede per tutti noi al suo Figlio. Gesù affida Maria al discepolo amato e dice: “Ecco, la tua Madre”. Così Maria diventa madre di tutti i credenti. 124 125 A. SERRA, Gesù “impara” da Maria sua madre, 46. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 63, in EV 1/439. 87 Conclusione Certamente, il nostro unico mediatore è Gesù Cristo (cf. Mt 23,8). Però, Gesù voleva anche la sua madre partecipasse nell’opera di salvezza. Maria continua la sua missione di essere la nostra madre e ci guida alla Gerusalemme celeste. Ci istruisce, ci educa, ci incoraggia, ci guida benigna al suo Figlio. Questo suo ruolo di essere la nostra “educatrice” e “madre” è unico. Dobbiamo ringraziarla per il suo amore verso i suoi figli. Concludiamo con le parole di É. Neubert: «Maria è dunque la prima educatrice. L’educatrice di Gesù, Dio incarnato, e di Gesù in noi. L’educatrice suprema, poiché la sua attività è in rapporto alla vita divina, fine della vita naturale. Ella è la ragione d’essere degli altri educatori […]. È infine la Maestra di tutti gli altri, poiché tutti devono orientare la loro attività in vista della sua».126 La sua materna bontà ci protegge da ogni pericolo e rivolgiamo a Lei questa preghiera: «Figlia di Sion, sposa dell’altissimo, sorella nostra, madre del mio Dio, io guarda a te, discepolo fedele, umile ancella, voce che proclami la nuova età di pace e giustizia. […] Amorosa soccorrici, soccorrici benigna. Tu che con noi dividi e la carne e il sangue, la fatica e il sudore, il buio della fede e il silenzio di Dio. Tu partecipi d’ogni nostro dolore, Tu fonte nostra d’allegrezza, misericorde, intercede per noi».127 É. NEUBERT, Maria e l’educatore cristiano, Àncora, Milano 1961, 22, in A. SERRA, Gesù “impara” da Maria sua madre, 46. 127 C. MILITELLO, Nostra donna coronata di dodici stelle, Monfortane, Roma 1999, 140-141. 126 88 12 Maria accoglie e vive la ricchezza della povertà L’espressione «la ricchezza della povertà», che sembra un ‘ossimoro’, potrebbe suscitare diverse domande in noi: la povertà è una ricchezza? In che senso? Come Maria che era povera potrebbe essere considerata come una donna ricca? In questo articolo, vogliamo rispondere a queste domande, in base alle Sacre Scritture. Cercheremo di guardare a Maria come colei che ha abbracciato la povertà per aderire alla volontà di Dio e per partecipare in modo pieno alla povertà del figlio Gesù. Maria nella spiritualità dei «poveri di YHWH» Per capire la spiritualità di Maria, dobbiamo ricordare un aspetto molto importante della storia del popolo di Israele, alla cui tradizione Maria apparteneva ed era stata fedele. In Maria, possiamo riconoscere la spiritualità dei poveri di YHWH. Chi sono costoro? «Sono la parte mistica del popolo d’Israele, frutto della paziente pedagogia di Dio lungo tutta la storia della salvezza nell’AT. La loro caratteristica principale, la povertà, è intesa come completa disponibilità al piano divino, che supera la possibilità e le attese umane. Profondamente religiosi, i poveri di YHWH sono i clienti di Dio, che attendono tutto dal Signore, si affidano a lui con abbandono confidente e gioioso. Atteggiamenti loro familiari sono il silenzio religioso, il timore di Dio, 89 l’obbedienza alla sua parola, la mitezza e la comprensione fraterna»128 Sullo sfondo della pietà ebraica tradizionale, Maria appare come era una donna mite e umile di cuore come Gesù (cf. Lc 2,19; Mt 11,29). Come Gesù, ella manifesta una grande fedeltà alla legge di Mosè; ne compie le prescrizioni circa la circoncisione del primogenito, la propria purificazione, i pellegrinaggi al tempio di Gerusalemme. Con la prima comunità cristiana di Gerusalemme Maria continua ad essere fedele alle prescrizioni mosaiche e a frequentare il tempio. All’interno di questi riti, come all’interno della condizione di povertà economica e di oscurità, la madre di Gesù appare allineata con i poveri di YHWH in un atteggiamento spirituale e d’apertura e fiducia in Dio (cf. Sof 2,3; Sal 34,5-11; Pr 15,33). Anzi primeggia – come afferma il concilio Vaticano II – nella schiera dei pii israeliti che attendono il Signore e quale “eccelsa figlia di Sion”129 ne è la personificazione. In opposizione alle tre «sufficienze» in conflitto con Dio: orgoglio (Lc 1,50-51), potenza (Lc 1,52), ricchezza (Lc 1,53), la povertà di Maria è totale affidamento all’onnipotenza divina (Lc 1,49) e piena disponibilità alla sua volontà (Lc 1,38).130 Povertà come un atteggiamento morale di disponibilità In Sof 3,12-13 leggiamo: «Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele». L’elezione del popolo di Dio 128 S. DE FIORES, Volto, in Maria. Nuovissima Dizionario, vol. 2, 1857. 129 130 90 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 55, in EV 1/429. Ibid. coinvolge una qualità importante quale l’umiltà e la povertà. Possiamo notare questa qualità nei “salmi dei poveri”, dove i poveri sono gli oppressi, gli affamati, i deboli, gli ammalati, i perseguitati (cf. Sal 38,16); 40,2.18). Questi poveri si rifugiano nel santuario (cf. Sal 5,8; 7,12; 31,2; 71; 86; 109,31). Con piena disponibilità al piano salvifico di Dio, essi aspettano la venuta del Messia in silenzio. Alle soglie del NT, questa spiritualità si manifesta nella Vergine di Nazaret. La madre di Gesù è la personificazione di questo Israele. Infatti il Concilio Vaticano II presenta Maria come «eccelsa Figlia di Sion» che «primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza».131 In quanto è donna povera e umile, Maria si fa disponibile al piano salvifico di Dio. Riconosciamo in questa sua umiltà, un atteggiamento morale di disponibilità e obbedienza alla volontà di Dio (cf. Lc 1,38; 1,48). Annunciazione Nell’annuncio dell’angelo Gabriele, Maria viene chiamata da Dio per collaborare con Dio Padre, cioè a diventare la madre di Gesù, il Figlio di Dio. In questo momento dell’annuncio, Maria è stupita dalla proposta di Dio. Tuttavia dispone alla volonta divina e dice: «Ecco, la serva del Signore. Si faccia di me come hai detto tu» (Lc 1,38). Il totale abbandono di sé a Dio è una espressione della sua obbedienza a Dio e rispecchia il suo cuore umile e povero. Il saluto dell’angelo a Maria con la parola «Kecharitōménê» ci dimostra che Maria, donna povera, viene pienamente arricchita dalla grazia di Dio. Ecco la grandezza di Maria! Scrive R. Laurentin: «La 131 Ibid. 91 fisionomia spirituale di Maria si riassume nel contrasto della sua umile situazione umana con la sua grandezza secondo la grazia; essa è la donna povera resa ricca da Dio (Lc 1,28): un contrasto che è in realtà un’armonia, già manifestata in contrasto con la saggezza umana dalla Rivelazione dell’Antico Testamento».132 Lo afferma anche S. De Fiores quando scrive: «Di fronte a Dio, la Vergine di Nazaret si pone nell’atteggiamento di povera che tutto attende da lui e lo lascia fare, cioè realizzare il suo piano di salvezza, senza interferire, a meno di essere da lui chiamata a collaborare. Marià è tutta disponibilità, mitezza, speranza preghiera».133 Magnificat Il Magnificat è il cantico di lode dell’umile ancella del Signore. È un inno che riassume tutta la storia del popolo dell’Israele e le grandi cose che Dio ha fatto in Maria. Maria canta le sue lodi, in quanto rappresenta tutto il popolo di Israele. Mostra «di appartenere a determinate cerchie del popolo ebraico, che vivevano poveramente e piamente in fervente attesa messianica, in totale confidenza in Dio e nella sua misericordia. Potremmo dire, in una parola, che essa era nel numero di coloro che coltivavano una interiore “pietà da poveri”. […]. È evidente che anche Maria faceva parte di coloro che aspettavano la salvezza messianica, e il Magnificat è una espressione della pietà prosperante in quella 132 R. LAURENTIN, La vergine Maria, Paoline, Torino 61984, 29. S. DE FIORES, Santa Maria, in ID., Maria. Nuovissimo Dizionario di Mariologia, vol. 2, 1465. 133 92 cerchia».134 In Magnificat, Maria accoglie a assomma le aspirazioni dei poveri. Il valore spirituale della povertà Cristo si è identificato con i poveri, incarnandosi e prendendo su di sé la condizione umana tranne nel peccato. Questa sua kenosi «non è l’esaltazione del pauperismo e della miseria, ma il riconoscimento del valore spirituale del non-avere, del non-potere e del nonsapere nel quadro di una religiosità illuminata da Dio. […] È la povertà-disponibilità ad accogliere la progressiva manifestazione di Dio».135 Maria partecipa in questo atto di obbedienza alla volontà di Dio, con umiltà e semplicità. Il valore spirituale di abbracciare la povertà sta nell’atteggiamento di abbondonarsi tutto a Dio. Per questo Gesù dice: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3). Maria è beata, perché ha un cuore da povero. Opzione dei poveri Giovanni Paolo II, nella sua lettera enciclica Redemptoris Mater parla dell’opzione dei poveri: «Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua fede, espresse nelle parole del Magnificat, la Chiesa rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte do ogni elargizione, dalla manifestazione del suo 134 R. SCHNACKENBURG, Il Magnificat, la sua spiritualità e la sua teologia, in La vita cristiana. Esegesi in progresso e in mutamento, Milano 1977, 220,222. 135 E. PERETTO, Povera, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 1136. 93 amore di preferenza per i poveri e gli umili».136 Infatti, quando noi seguiamo la vita di Maria, la donna povera, noi accogliamo Cristo nei poveri. Ecco, le stesse Parole di Gesù in riferimento all’opzione dei poveri: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Dobbiamo vivere la povertà come «libertà per seguire Cristo», come «libertà per la fraternità» come «libertà per la solidarietà».137 Auspichiamo che Maria sia il nostro modello di vita cristiana per abbracciare la povertà come un valore spirituale per lasciarci guidare da Dio secondo la Sua volontà e a dedicarci al servizio dei poveri. 136 GIOVANNI POALO II, Redemptoros mater, n. 37, in EV 10/1373 Cf. 213° CAPITOLO GENERALE DELL’ORDINE DEI FRATI SERVI DI S. MARIA, «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), Edizioni Marianum, Roma 2014, n. 36, pp. 48-49. 137 94 13 Maria, la Madre della gioia La gioia è una delle caratteristiche del cristianesimo. La saggezza popolare dice che «un santo triste è un triste santo». La santità della vita cristiana consiste nell’accogliere il dono della gioia dello Spirito e trasmetterlo agli altri. La gioia che viene dal Signore ci rende «beati» anche nelle difficoltà, nelle afflizioni e nel dolore. Anche se Maria ha sofferto nell’adempimento della volontà di Dio, la sua vita era un perenne cantico di gioia. Ella è anche la causa della nostra gioia. In queste pagine, vogliamo vedere come la Sacra Scrittura presenta Maria, come la Madre della gioia, in modo particolare nei racconti lucani. Gioisci, esulta di gioia (Lc 1,28) L’evento dell’annunciazione raccontato dall’evangelista Luca (2,26-38) è «una sintesi cristologica e mariologica, un panegirico di Gesù e della madre intesa dalla chiesa delle origini».138 Luca dice che l’angelo Gabriele fu mandato da Dio per annunciare una buona notizia a Maria (cf. Lc 1,26), come nell’Antico Testamento fu inviato per comunicare i disegni divini e lieti annunci in rapporto al compimento delle promesse messianiche (cf. Dn 9,21-27). È interessante notare che il dialogo tra Maria e l’angelo Gabriele si svolge in tre riprese. O. da Spinetoli dice che questo dialogo 138 O. DA SPINETOLI, Luca, Cittadella, Assisi 1982, 67. 95 «progredisce come per “circoli concentrici”. Ogni successivo intervento (vv. 31-33; 35-37) non fa che riprendere, ampliare, esplicitare il tema iniziale (v. 28). Le prime parole dell’angelo appaiono un comune saluto, un invito ad accogliere con gioia la comunicazione che sta per farle, ma potrebbe avere una portata più profonda. Le due espressioni “esulta” (chaire) e “il Signore è con te” richiamano un particolare contesto biblico di cui vediamo qui i riflessi. “Esulta” (chaire) è l’invito rivolto dai profeti post-esilici alla comunità ideale degli ultimi tempi (la “figlia di Sion”) a tenersi pronta per accogliere il re e il salvatore (messianico)».139 Le prime parole dell’angelo Gabriele non è solo un saluto qualsiasi, ma un invito per esultare e rallegrarsi, come il popolo di Israele fu invitato a gioire dell’annuncio del profeta Sofonia. Sofonia 3,14-17: «Gioisci (chaire) figlia di Sion, / esulta, Israele, / e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme […] Il Signore tuo Dio in mezzo a te / è un salvatore potente». Luca 1, 28-32: «Rallegrati, piena di grazia / il Signore è con te / […] Non temere, Maria, Ecco, concepirai nelle tue viscere e darai alla luce un Figlio e lo chiamerai Gesù. / Egli sarà grande e sarà chiamato figlio dell’Altissimo...». Possiamo notare in questi due testi paralleli che il motivo della gioia è la presenza di Dio (cf. anche Zc 9,9; Gl 2,21). A. Valentini scrive: «I contatti sono notevoli: si ha l’impressione di una rilettura intenzionale dei testi profetici, ovviamente con attualizzazioni 139 96 Ibid., 69-70. neotestamentarie (cf. Lc 1,32.35). La figlia di Sion non è più un simbolo o una personificazione di un popolo, ma assume il volto concreto della Vergine di Nazaret». 140 Maria diventa la realizzazione concreta della gioiosa promessa al popolo di Israele. Maria è invitata a rallegrarsi per la realizzazione immediata della promessa di Dio. Nel piano salvifico di Dio, Maria diventa la donna della gioia, già dal momento dell’annunciazione. Kecharitōménê è il primo nome con il quale Gabriele la saluta. Questo vocabolo (participio perfetto passivo del verbo charitoō: amare, favorire) significa oggetto per eccellenza di tutto l’amore di Dio, del suo gentile favore, della sua predilezione.141 É molto difficile da tradurre, però, si può dire “Piena di grazia”. A. Valentini dice: «Il titolo dev’essere inteso in particolare all’interno del saluto di Gabriele, che si compone di tre parti: Gioisci (chaire) / kecharitōménē / il Signore è con te, di cui costituisce l’elemento centrale e decisivo. È evidente infatti che il chaire iniziale tende verso kecharitōménē, cui fa riferimento anche per una forma di allitterazione. Il terzo elemento, “il Signore è con te”, ricorre anche un senso particolare, sempre in rapporto alla vocazione e missione della Vergine».142 Dall’annuncio «Il Signore è con te!», Maria si lascia totalmente abitare da Dio. La gioia viene dalla presenza stessa del Signore. Allora, possiamo affermare che il Signore è gioia! Maria ci invita a riconoscere la presenza del Signore nella nostra vita quotidiana e gioire. 140 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 93. R. LAURENTIN, Un anno di grazia con Maria. La sua storia, il dogma, la sua presenza, Queriniana, Brescia 19872, 37. 142 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 100. 141 97 Magnificat: Cantico di gioia (Lc 1,46b-55) Dopo l’Annunciazione, Maria si reca in fretta per far visita a sua cugina Elisabetta. Ci va in fretta, perché la grazia dello Spirito non conosce ritardi. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, esultò il bambino nel seno di lei (cf. Lc 1,41). Con grande gioia, Elisabetta dice: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo ventre e come accade a me questo che la madre del mio signore è venuta da me? Ecco, infatti, appena il suono del tuo saluto è giunto alle mie orecchie, esultò di gioia il bambino nel mio ventre (Lc 1,42-44). Con la venuta di Maria, la casa di Zaccaria si riempie di gioia. L’elogio di Elisabetta apre il cantico di Maria. Il Magnificat è un cantico che sfiora molteplici temi. Uno dei temi fondamentali è la gioia. Il Magnificat è un cantico di esultanza per eccellenza. Maria inizia il suo cantico con queste parole: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore». «Il punto di partenza è la gioia messianica che ha invaso l’animo di Maria e di quanti con lei attendono la salvezza (vv. 46-48 cf. 1,28)».143 Maria è la prima a partecipare a questa nuova rivelazione di Dio e in essa a questa nuova “autodonazione” di Dio.144 Perciò la sua anima magnifica il Signore. Maria canta con gioia le “grandi cose” che l’Onnipotente ha compiuto in lei. Il cantico della vergine, ci invita a cantare con Maria la bontà del Signore. 143 O. DA SPINETOLI, Luca, 86. Cf. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 36, in EV 10/1370. 144 98 Gioia nel dolore Maria, nella sua vita, ha affrontato numerosi dolori e sofferenze nel compiere la volontà di Dio. «Gioia e dolore sembrano escludersi a vicenda. Ma non è così nel cuore di una madre. E non lo è soprattutto nel cuore di Maria che ha posto la sua gioia nella volontà di Dio Padre su di lei come sul suo Gesù e sui figli che Gesù le ha affidato dall’alto della croce. A riguardo è interessante notare che la devozione del popolo cristiano ai “sette dolori di Maria” fa corrispondere le “sette gioie di Maria”, dal momento dell’Annunciazione fino alla sua gloriosa assunzione in cielo».145 Maria ha affrontato le sofferenze con speranza. Sapeva bene che il suo Figlio, dopo la passione e morte, sarebbe risuscitato. Questa speranza nel suo Figlio, le ha dato coraggio per accettare le sofferenze nella sua vita. La gioia è il frutto della speranza cristiana. Se ci chiediamo; “Ma è possibile la gioia nel dolore?”, la nostra risposta dovrebbe essere: “umanamente no, cristianamente sì”. Dobbiamo imparare con Maria a non disperare nei momenti delle difficoltà, ma affrontare le prove della vita con coraggio e speranza nel Signore. La speranza in Signore Gesù ci porterà alla vera gioia. Papa Francesco ci ricorda che: «non c’è santità nella tristezza».146 L’Araldo. Sacerdoti del S. Cuore Dehoniani 4 (2011), 5. FRANCESCO, Incontro con i Seminaristi, Novizi e Novizie (6 luglio 2013), in Insegnamenti di Francesco, LEV, Città del Vaticano 2015, vol. I/2, 8. 145 146 99 Portatori di gioia La Risurrezione di Gesù è stata un’esplosione di gioia per tutti coloro che credevano in lui. Maria partecipa della gioia della risurrezione e fa partecipare ad essa. Lei diventa la portatrice di gioia nella prima comunità cristiana e prega con gli apostoli (Atti 1,14). Anche noi siamo chiamati a vivere con gioia la nostra vocazione cristiana. Con Maria, si impara ad essere felici. Maria, sorgente della gioia, è il nostro modello. Lei è la causa della nostra gioia, perché lei ci ha dato il Figlio di Dio, “venuto per darci la gioia e darcela in abbondanza” (cf. Gv 15,11). Concludiamo le nostre riflessioni, con una preghiera: «O Maria, Madre della gioia, donna del sorriso e dell’intima gioia, tu hai lasciato la casa di Nazaret, portando nel cuore il cantico del Magnificat. Donaci lo sguardo limpido per vedere i segni del sorriso di Dio nell’alba e nel tramonto, nei fiori e nelle stelle, nella vita del bambino e dell’anziano, per cantare come te la gioia che Dio effonde su tutto e su tutti. Tieni accesa nel nostro cuore una fiammella di contentezza, per benedire il Signore e ringraziarlo per le sue opere di bontà e misericordia nella nostra vita. Fa’, o Madre, che fin da quaggiù la gioia del cielo di cui tu sei Regina, prenda la nostra vita, per portarla a tutti coloro che incontriamo. Liberaci dalla tristezza, per cantare ogni giorno con te: “L’anima mia esulta, perché Dio è gioia, è pace, è festa d’infinito amore”. Amen».147 147 100 L’Araldo. Sacerdoti del S. Cuore Dehoniani 4 (2011), 14. 14 La Madre di Misericordia Nella Sacra Scrittura, la ‘Misericordia’ è un tema molto importante, in quanto essa è la qualifica del nome stesso di Dio (cf. Es 34,6). Perciò noi, che siamo stati creati nell’immagine di Dio, siamo chiamati ad essere misericordiosi sull’invito di Gesù (cf. Lc 6,36). Maria è la donna che ha sperimentato per eccellenza la misericordia di Dio, come viene descritta nei vangeli. Perciò i fedeli invocano Maria come madre o regina della misericordia nella preghiera Salve Regina. Giovanni Paolo II afferma che «Maria è anche colei che, in modo particolare ed eccezionale – come nessun altro -, ha sperimentato la misericordia».148 Vogliamo qui presentare alla luce della Sacra Scrittura, il volto misericordioso di Maria e come Lei diventa nostra maestra in questo compito di carità cristiana. Maria: Personificazione della misericordia d’Israele Diversi termini articolano nell’Antico Testamento il concetto di misericordia: hesed (grazia, benevolenza, amore fedele), ’emet (solidità e sicurezza), hanan (magnanimità, benevolenza), hamal (perdonare, manifestare misericordia), hus (misericordia e commiserazione). La nota 52 relativa al n. 4 della III parte del documento Dives in misericordia offre una bellissima sintesi dei termini dell’Antico Testamento che 148 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Dives in misericordia (30 novembre 1980), n. 9, in EV 7/912. 101 descrivono il concetto della misericordia di Dio.149 Il Dio dell’Antico Testamento si è rivelato a Mosè e al Suo popolo come un Dio misericordioso. La speranza e la gioia del popolo di Israele si fondava sulla divina misericordia. Vogliamo citare alcuni brani dell’Antico Testamento che parlano della misericordia di Dio:150 «Buono e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso» (Sal 115,5); «Paziente e misericordioso è il Signore, lento all’ira e ricco di grazia» (Sal 144,8); «Il Signore è clemente e misericordioso, rimette i peccati e salva al momento della tribolazione» (Sir 2,11); «Signore, so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato» (Gn 4,2); «Pietà di me, O Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato» (Sal 50,3); «Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono» (Sal 102,119); «Alleluia. Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia» (Sal 105,1); «Quanto è grande la misericordia del Signore, il suo perdono per quanti si convertono a lui» (Sir 17,24); «Il Signore è paziente con gli uomini e riversa su di essi la sua misericordia» (Sir 18,10). Israele è la testimonianza originaria della misericordia divina. Israele non è solo oggetto della misericordia di Dio, ma è anche chiamato a farsi soggetto di misericordia. È chiamato ad aver misericordia verso gli altri. Maria di Nazaret è personificazione di Israele. 149 Cf. III, 4 in EV 7/882. Questi brani dell’Antico Testamento sulla divina misericordia sono stati riprodotti qui da: A. AMATO, ‘Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia’ (Mt 5,7), in Santa Maria “Regina Martyrum” 5 (2002/3), 5. 150 102 Come Israele fu previlegiato di godere la misericordia di Dio, così anche Maria è “piena di grazia” (Lc 1,28). «Figlia d’Israele e madre del Messia, Maria di Nazaret è la donna esemplare in cui giunge a compimento la misericordia d’Israele, riflesso della misericordia divina. […] Posta al centro tra la prima e la seconda alleanza, Maria di Nazaret riassume e traduce nella sua storia personale e singolare la misericordia di Dio, nella sua duplice dimensione ricettiva e attiva, in quanto contemporaneamente ne è destinataria e soggetto come Israele».151 Maria rispecchia il popolo di Israele. Perciò Maria esalta Dio misericordioso per il suo intervento nella sua vita personale e anche nella storia di Israele. Il Magnificat (Lc 1,46-55) Maria canta la misericordia di Dio nel suo canto di lode. «Nel Magnificat, la Vergine effonde il suo animo in esultanza perché Dio, suo salvatore, ha posato lo sguardo sulla povertà della sua serva e ha operato in lei grandi cose (Lc 1,46-49). In tal modo Maria, insieme a tutto Israele, si sente toccata dalla misericordia soccorritrice del Signore, la quale si estende di generazione in generazione (Lc 1,50.54), come aveva promesso ad Abramo e alla sua discendenza (Lc 1,55)».152 Il canto della Vergine inizia con le parole: «L’anima mia magnifica il Signore». Il canto suppone un’esperienza personale: ebbene Maria esalta, proclama 151 C. DE SANTE, La donna e la misericordia d’Israele. Un riferimento a Maria di Nazaret, in P. DI DOMENICO – E. PERETTO (a cura di), Maria Madre di Misericordia, Monstra te esse matrem, Messaggero, Padova 2003, 155. 152 A. SERRA, Maria, icona della misericordia di Dio, in La Madonna 47 (1999/1), 38. 103 grande il Signore, perché ha fatto grandi cose. Maria «ha sperimentato la misericordia di Dio quando si è sentita guardata con amore e amata da lui (Lc 1,48) e ha sentito il bisogno di esplodere nel canto proclamando che la sua misericordia si “estende di generazione in generazione” (Lc 1,50)».153 La prima parte del Magnificat (vv. 46b-50) descrive la grandezza di Dio che opera grandiose gesta di liberazione, a motivo della sua santità e della sua misericordia verso tutti coloro che lo temono.154 Nella seconda parte (vv. 51-55), Dio agisce con grande potenza per liberare i poveri dagli oppressori. Gli ultimi due versetti della seconda parte (vv. 54-55) tratta di Israele soccorso dal Signore per la sua misericordia, secondo la promessa fatta ai padri.155 A. Valentini scrive che «la prima parte del Magnificat presenta la vicenda di Maria, serva del Signore, sullo sfondo della storia del suo popolo, mentre la seconda compendia la storia d’Israele, servo di Dio, alla luce dell’esperienza di Maria di Nazaret, serva del Signore. Il canto della Vergine è un inno alla misericordia dei Dio salvatore verso Abramo e la sua discendenza. Sullo sfondo di tale éleos senza fine si staglia il volto di amore e di fedeltà del Dio d’Israele, del Dio e padre del signore nostro Gesù Cristo».156 Nel canto del Magnificat, Maria offre una grande testimonianza della misericordia di Dio, rivolto verso Abramo e la sua discendenza per 153 S. DE FIORES, Misericordia, in ID., Maria. Nuovissimo Dizionario, vol. 2, 1177. 154 A. VALENTINI, Maria canta la misericordia di Dio, in P. DI DOMENICO – E. PERETTO (a cura di), Maria Madre di Misericordia, 142. 155 Ibid., 143-144. 156 Ibid., 144-145. 104 sempre. Anche noi siamo chiamati cantare la lode a Dio, ricordando tutte le grandi opere di misericordia che Dio ha fatto in ciascuno di noi. Maria «mossa da misericordia a Cana» (Gv 2,1-12) «Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai servitori: Qualsiasi cosa vi dica, fatela”» (Gv 2,3-5). È un dialogo che induce gli studiosi a interpretazioni differenti. Però una cosa è certa: il cuore di Maria è mosso dalla misericordia di fronte a una situazione di disagio. L’intervento di Maria è un segno chiarissimo che Lei è una donna sensibile e il suo cuore è piena di compassione e amore verso le persone in necessità. Il concilio Vaticano II interpreta che allora Maria fu «mossa da misericordia».157 Perciò la Chiesa guarda Maria come colei che funge da mediatrice tra Cristo e la Chiesa. Maria è colei che intercede per i bisognosi, con un cuore pieno di compassione e amore materno. Il suo amore per i suoi figli non cessa mai, anzi diventa più intenso quando siamo bisognosi della misericordia di Dio. Maria «presso la croce» (Gv 19,25) Maria riconosce le gesta del Dio misericordioso ai piedi della croce. «Si tratta qui dell’esperienza più forte che abbia avuto Maria della misericordia di Dio, intesa biblicamente non soltanto come compassione e clemenza, bensì come fedeltà assoluta di Dio alle 157 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium 58, in EV 1/432. 105 promesse insite nell’alleanza».158 L’enciclica Dives in misericordia descrive questa testimonianza di Maria nelle parole seguenti: «Nessuno ha sperimentato, al pari della Madre del Crocifisso, il mistero della croce, lo sconvolgente incontro della trascendente giustizia divina con l’amore: quel “bacio” dato dalla misericordia alla giustizia. Nessuno al pari di lei, Maria, ha accolto col cuore quel mistero».159 Maria partecipa nel dolore del suo figlio. Conclusione Abbiamo visto come Maria è l’icona della misericordia secondo la Sacra Scrittura. La sua misericordia è una spinta esemplare per il nostro cammino cristiano. Vogliamo citare le parole di Giovanni Paolo II, che ci esorta ad essere misericordiosi: «Bisogna far suonare il messaggio dell’Amore Misericordioso con nuovo vigore. Il mondo ha bisogno di questo amore. È giunta l’ora in cui il messaggio della Divina Misericordia riversi nei cuori la speranza, e questa diventi scintilla di una civiltà: della civiltà dell’amore […]. Siate testimoni della misericordia».160 Impariamo da Maria come vivere la nostra vocazione cristiana con lo stesso spirito di Maria, icona della misericordia. Vogliamo concludere con le parole del Cardinale Angelo Amato: «Come [Maria] ha aiutato Gesù a crescere in età e grazia davanti a Dio e agli uomini, aiuterà tutti i suoi fedeli a crescere in carità e misericordia davanti a Dio e davanti al prossimo. 158 S. DE FIORES, Misericordia, in ID., Maria. Nuovissimo Dizionario, vol. 2, 1178. 159 GIOVANNI PAOLO II, Dives in misericordia, n. 9, in EV 7/912. 160 L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, n. 189, 17-18 agosto 2002, p. 7. 106 Alla spietatezza dei nostri tempi il Signore oppone la beatitudine della misericordia come unica e adeguata risposta del fedele cristiano. Alla malvagità della nostra epoca Maria ci insegna a contrapporre l’arma veramente letale dell’amore misericordioso, che disintegra con la potenza della sua carità i malvagi propositi dell’empio. Oggi più che mai ogni fedele battezzato deve farsi figlio o ancella dell’Amore misericordioso. La misericordia è l’antidoto da iniettare nella nostra civiltà, per bloccarne il cinismo e la ferocia».161 161 A. AMATO, Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt 5,7), in Santa Maria “Regina Martyrum” 5 (2002/3), 11. 107 15 Maria, modello della fede nella Nuova Alleanza La Bibbia, in quanto storia di salvezza dell’umanità, rivelazione del mistero di Cristo, presenta il tema dell’Alleanza come un concetto fondamentale nel rapporto tra Dio e uomo. L’alleanza è una situazione di comunione con Dio, che stabilisce un patto di amore, che culmina nell’incarnazione di Gesù Cristo. In questo compimento della Nuova Alleanza in Gesù Cristo, Maria occupa un posto di primo piano. È ovvio che la fede di Maria sta al cuore nella sua partecipazione e collaborazione nel compimento dell’alleanza di Dio. La Sacra Scrittura ne offre diverse testimonianze. Per cui dobbiamo ricorrere alla Parola di Dio, se vogliamo conoscere meglio Maria, la quale – a partire dal momento dell’Annunciazione, fino alla sua partecipazione alla passione di Cristo – è rimasta fedele alla volontà di Dio. In questa analisi, ci soffermeremo su alcuni brani della Sacra Scrittura, che possono aiutarci a comprendere questo elemento caratteristico importante della persona di Maria. Sulla base della Sacra Scrittura, cercheremo di evidenziare come Maria, donna della Nuova Alleanza, ha vissuto la sua fede per creare un nuovo umanesimo in Gesù Cristo. 109 Concetto biblico dell’Alleanza La Bibbia offre numerose testimonianze del patto dell’amore tra Dio e uomo, già a parire dal racconto della creazione (Gen 1). Il termine berît in ebraico, assume connotazioni varie e differenti (giuramento, promessa, impegno). Alcuni riferiemnti più imprtanti del concetto dell’alleanza nel libro di Genesi si trovano in 9,8-17 e 15,18. Il termine berît in Gen 9,8-17, riferisce all’alleana di Dio con Noè. L’alleanza che Dio fece con Abramo è documentato in Gen 15,18. Si tratta di una promessa fatta con giuramento. «Dio crea per fare alleanza, cioè crea allo scopo di far entrare gli uomini in comunione con lui come suo fine e non è soltanto una modificazione accidentale che ‘si aggiunge’ a una creazione in sé consistente e dotata di senso. […] Il possesso della terra è anche la realizzzazione della promessa (berît) ad Abramo. La creazione, dunque trova compimento con l’attuazione della alleanza-promessa. Non c’è quindi creazione che non tenda e non sia finalizzata all’alleanza, né c’è alleanza (o salvezza) al di fuori e senza rapporto con la creazione».162 In riferiemnto al concetto dell’alleanza, si possono anche considerare i seguenti brani dell’Antico Testamento per un’approfondimento ulteriore: Alleanza Sinaitica (Es 19-24), la liturgia dell’alleanza (Gs 24), l’alleanza regale con Davide (2 Sam 7,11), l’alleanza d’amore nei profeti (Os 2,20; 6,7; 8,1; 10,4; 12,2; Ger 31,31-34). 162 A. BONORA, Alleanza, in P. ROSSANO - G. RAVASI – A. GIRLANDA (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia biblica, Paoline, Cinisello Balsamo 1988, 34. 110 Nel Nuovo Testamento, la parola alleanza (diathēkē) non è molto frequente. Si parla dell’alleanza nel contesto dell’eucaristia (Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22, 20; 1Cor 11,25). Secondo il Nuovo Testamento, l’eucaristia è l’alleanza nuova in quanto è la dedizione definitiva di Dio in Gesù Cristo per noi. Tutti i riferimenti veterotestemantri all’alleanza di Dio con il popolo di Israele si chiarificano nel contesto della Nuova Alleanza in Gesù Cristo. Dall’inno di Ef 1,4-6, possiamo capire che «l’alleanza in Cristo e per mezzo di Cristo è la ‘ragione’ e il fine per cui Dio ci ha creati».163 L’Incarnazione: il compimento dell’alleanza Con l’incarnazione del Verbo, l’evento atteso dall’umanità e attestato dal primo testamento si è manifestato e Dio ha parlato a noi per mezzo del suo Figlio «una volta per tutte» (Eb 1,1-2). In questo evento sublime della storia dell’umanità, Maria ha giocato un ruolo notevole e importante. G. Lorizio descrive questo evento storico-salvifico in queste parole: «Nella persona del Verbo incarnato si realizza l’alleanza ultima e definitiva fra Dio e l’uomo, l’Eterno e il tempo, l’Infinito e il finito. E questa unione (ipostatica) colta nella fede genera un umanesimo, che un famosoteologo del Novecento, Karl Rahner, non ha esitato a definire “concreto” e tanto nuovo da potersi dire “non umano”, non nel senso di anti-umano, bensì di oltre-umano, ossia “sopranaturale”».164 163 Ibid. G. LORIZIO, La fede in Gesù Cristo genera un nuovo umanesimo, 5° Convegno Ecclesiale Nazionale (Firenze, 9-13 novembre 2015), in 164 111 L’eterno progetto di Dio si fa storia attraverso l’incarnazione del Verbo che diventa figlio di Maria di Nazaret. «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna sotto la Legge» (Gal 4,4). È un testo di «rara densità» dal punto di vista cristologico e mariologico. Commentando questo versetto, A. Serra scrive: «L’Apostolo […] accenna alla Donna tramite la quale il Figlio di Dio venne a far parte del nostro mondo. La sua è una menzione fugace. Essa, però, quale nucleo germinale, rimane aperta alle successive acquisizini del Nuovo Testamento, soprattutto dei Santi Vangeli».165 L’alleanza che Dio ha stretto con il popolo di Israele, si realizza ora nella persona di Gesù Cristo, nella pienezza del tempo. L’obbedienza nella fede di Cristo (Fil 2,5-11) e di Maria (Lc 2,34-35) «Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,6-7). Leggendo questo brano alla luce di Lc 2,34-35, possiamo notare un nesso strettissimo tra l’obbedienza di Cristo e quella di Maria. Come Maria si costituisce e si definisce serva del Signore nel momento dell’Annunciazione (Lc 2,34-35), così anche Cristo Gesù, dallo splendore della divinità che gli appartiene per natura sceglie di scendere fino all’umiliazione della https://www.chiesacattolica.it/cci_new_v3/allegati/75505/Relazi one-Giuseppe-Lorizio.pdf (consultato il 26 feb 2016), pp. 1-2. 165 A. SERRA, Gal 4,4: una mariologia in germe, 7-25. 112 «morte di croce». Egli si mostra così veramente uomo e nostro redentore, con un’autentica e piena partecipazione alla nostra realtà di dolore e di morte. Con questo evento Egli realizza veramente i cieli nuovi e la terra nuova (cf. Is 65,17-18; 2 Pt 3,13; Ap 2,17) e invita tutti i suoi discepoli che solo prendendo la propria Croce ogni giorno (cf. Lc 9,23) possono realizzare qualcosa di nuovo che va oltre i messaggi pseudo-salvifici provenienti dal mondo. F. Manzi scrive «(la) conformità della dimensione obbedienziale del “servizio” di Maria rispetto a quella di Gesù Cristo si dà quattro livelli: la decisione di fare la volontà divina; l’eccedente esaudimento divino delle attese del servo; l’itinerario di apprendimento della virtù della obbedienza; e, infine, l’esito glorioso a cui conduce l’obbedienza di Dio».166 Questo spogliarsi di Gesù Cristo è l’espressione della sua obbedienza al Dio Padre. R. Penna scrive, «Il verbo greco che sta all’origine della traduzione «spogliò», ekénosen, dovrebbe essere tradotto letteralmente «svuotò» se stesso, a indicare almeno apparentemente una rinuncia di ciò che era prima, tanto che alcune versioni esagerando lo rendono addirittura con «annientò».167 Lo stesso avviene anche nella vita di Maria nel momento dell’Annunciazione. Con l’espressione «Ecco la serva del Signore, avvenga di me ciò che tu hai detto» 166 F. MANZI, La “Forma” obbedienziale del servizio di Gesù Cristo e di Maria. Confronto esegetico-Teologico di Fil 2,7 con Lc 1,48, Estratto della Tesi di Laurea in Sacra Teologia con specializzazione in Mariologia, Marianum, Roma 1999, 92. 167 R. PENNA, Lettera ai Filippesi. Lettera a Filemone, Città Nuova, Roma 2002, 49. 113 (Lc 1,38), Maria si riferisce al compito che Dio le ha assegnato. La Sacra Scrittura definisce «servo del Signore» un uomo al quale il Signore ha rivolto una chiamata particolare e a cui ha affidato un servizio decisivo per il suo popolo. Solo Maria si proclama «la serva del Signore». Maria è chiamata a un servizio del tutto singolare: quello di essere la madre di Colui che è il Figlio di Dio. Maria si rende serva del Signore, obbedendo alla sua volontà. Maria diventa una donna di grande esemplarità per sottomettersi a Dio e per cooperare al suo piano di salvezza. La partecipazione di Maria nel progetto della nuova alleanza in Gesù Cristo, è in vista di nuova umanesimo. Maria, al servizio dell’alleanza in Gesù Cristo Nell’Annuncizione, Maria ha dato il suo consenso per collaborare nel piano salvifco di Dio. Così ella fa parte nell’atto di compiere la nuova alleanza in Gesù Cristo. Afferma Giovanni Paolo II: «Nell’annunciazione, infatti, Maria si è abbandonata a Dio completamente, manifestando “l’obbedienza della fede” a colui che le parlava mediante il suo messaggero e prestando “il pieno ossequio dell’intelletto della volontà”. Ha risposto, dunque con il suo “io” umano, femminile, ed in tale risposta di fede erano contenute una perfetta cooperazione con “la grazia di Dio che previene e soccorre” ed una perfetta disponibilità all’azione dello Spirito Santo, il quale “perfeziona continuamente la fede mediante i suoi doni”».168 168 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 27, in EV 10/1351. 114 La sua disponibilità e prontezza a collaborare per il piano salvifico di Dio è in funzione del compimento della Nuova Alleanza in Gesù Cristo. «All’esempio di una vita trasformata in culto spirituale, Maria aggiunge la sua opera di servizio a favore dell’alleanza. Già nell’incarnazione Maria contribuisce alla salvezza del popolo non solo dando la vita umana al Figlio di Dio, ma iniziando con il suo consenso di fede la comunità della nuova alleanza».169 L’intervento di Maria al suo Figlio nelle nozze di Cana, Il racconto giovanneo (2,1-12) ha uno stretto legame con l’evento di Sinai (Es 19,3-8). A. Serra sostiene che Sinai e Cana hanno in comue il tema dell’alleanza.170 Le parole della madre di Gesù ai servi: «Quanto Egli vi dirà, fatelo» (Gv 2,5), riecheggia le parole dell’assemblea d’Israele al Sinai: «Quanto Yahwéh ha detto, lo faremo» (Es 19,8; 24,3.7).171 I. de la Potterie scrive: «questa risposta di Maria mostra che Gesù non le ha opposte un rifiuto. Piena di confidenza e di speranza, con una disponibilità totale, ella dice ai servi: “Fate tutto quello che egli vi dirà”. Questa formula viene dall’Antico Testamento, ma la sua risonanza varia secondo i contesti […]. Ecco la formula che si trova nell’Esodo, prima e dopo l’Alleanza del Sinai. Le parole di Maria a Cana sono come la ripresa di questi impegni solenni, assunti da tutta l’assemblea d’Israle».172 Come Mose è stato mediatore 169 S. DE FIORES, Consacrazione, in S. DE FIORES -S. M. MEO (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 397. 170 Cf. A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, Centro di Cultura Mariana «Mater Ecclesiae», Roma 19913, 36-39. 171 Ibid. 172 I. DE LA POTTERIE, La Madre di Gesù e il mistero di Cana, in La Civiltà Cattolica 130/4 (1979), 433. 115 nell’alleanza tra Yahwéh e il popolo d’Israele, Maria ha svolto un’analoga funzione tra Gesù e i suoi discepoli. Vivere il cammino della fede con Maria Abbiamo visto in modo breve e veloce, come Maria risponde alla rivelazione di Dio e partecipa nella Nuova Alleanza in Gesù Cristo. La fede di Maria diventa un elemento esemplare per il nostro cammino cristiano. Maria crede alla Parola del Signore e le obbedisce con tutto il cuore e con tutta la sua volontà. La vita di Maria ci insegna che tutta la vita cristiana è un itinerario di fede con gioie e sofferenze. Neppure Maria viene esentata dal percorrere una via di fede. «Maria – fa notare un noto documento ecclesiale – dovette crescere nella fede, progredire nella speranza a dura prova, orientare il suo amore verginale verso Dio e verso Giuseppe di Nazaret, verso il Figlio Gesù e la comunità ecclesiale, verso gli uomini e le donne, suoi fratelli e sorelle».173 Ne deriva che «la fede in Cristo Gesù non si limita a cogliere, contemplare, magari imitare, l’umano, per il quale sarebbe sufficiente la conoscenza storica, ma intravede e professa l’umano e il divino in una profonda unità personale, che interpella e coinvolge oltre a storia, ma non fuori di essa».174 Conclusione Se vogliamo lavorare per creare un nuovo umanesimo, dobbiamo guardare Maria come nostro esempio. Il suo cammino di fede l’ha resa partecipe in modo unico al compimento dell’alleanza di Dio. La fede 173 174 116 PAMI, La Madre del Signore, n. 48. G. LORIZIO, La fede in Gesù Cristo genera un nuovo umanesimo, 1. di Maria ci ispira a credere in Gesù e ci sostiene nel nostro cammino di fede in Gesù Cristo. Come scrive G. Lorizio, «la fede in Cristo Gesù non si limita a cogliere, contemplare, magari imitare, l’umano, per il quale sarebbe sufficiente la conoscenza storica, ma intravede e professa l’umano e il divino in una profonda unità personale, che interpella e coinvolge oltre a storia, ma non fuori di essa».175 «L’attualizzazione di questa nuova alleanza pone l’agire ecclesiale delle nostre comunità in uno stato di conversione, aiuta a rifuggire la tentazione del “si è fatto sempre così”, spinge a superare una pastorale fondata sulle strutture e facile preda di un “dispersivo faccendismo pastorale” muovendo verso l’attenzione alle persone dove “uscire, abitare, annunciare, educare, trasfigurare” non siano solo degli slogan o delle formule, bensì costituiscono le motivazioni stesse del nostro personale impegno quotidano».176 In questo impegno personale e comunitaria, Maria è il modello per eccellenza, per crescere nella fede in Gesù Cristo da poter lavorare per una società fondata su un nuovo umanesimo. 175 176 Ibid., 1. Ibid., 12. 117 Seconda Parte Riflessioni Teologiche Dopo la sezione biblica che ha dato voce alla Parola di Dio così come essa emerge dai testi scritturistici, vogliamo ora sottolineare alcuni elementi del mistero di Maria come sono stati elaborati dalla Tradizione, dal Magistero e dalla teologia. In particolare, vogliamo presentare quei temi che costituiscono non soltanto nodi di discussione teologica, utili per l’approfondimento dottrinale, ma anche alcune istanze che provengono dal vissuto dell’uomo e dalle esperienze che egli incontra e compie nei giorni che il Signore gli pone davanti. Sappiamo come il compito del credente è rappresentato essenzialmente dalla testimonianza, necessaria affinché l’identità di Dio possa essere conosciuta e, con essa, il rapporto che l’uomo deve mantenere con Dio per poter serenamente sperare nella salvezza. Tutto ciò che Dio rappresenta in fatto di bene, di vita e di grazia è una realtà sempre aperta e posta innanzi all’uomo perché se ne possa giovare e trarne i frutti. In tal senso il mistero di Dio è un mistero aperto, atto cioè ad accogliere tutti coloro che in Lui confidano. La risposta di fede non è una semplice replica dell’uomo alla proposta rivoltagli da Dio, ma un prendere consapevolezza di un impegno da portare avanti nell’azione e nella contemplazione, nel servizio come anche nella vigilanza. Molti quadri evangelici insistono su questo duplice impegno che – al pari dell’amore a Dio e al prossimo, modellato sulla persona di Gesù – rappresenta le due facce di un’unica medaglia. Potremmo 119 pensare alle due figure di Marta e Maria – le sorelle di Lazzaro – che, in modo diverso, si confrontano con Gesù (cf. Lc 10,38-42), ma forse l’episodio delle vergini in attesa dello sposo (cf. Mt 25,1-13) è quello che riassume tutta l’esistenza dell’uomo saggio, vigilante e cosciente della propria vocazione e di quello superficiale che vive nella dimenticanza dell’essenziale e immerso nella propria pochezza di cui, a volte, si fa scudo elevandola ad idolo per non impegnarsi e non prendere posizione dinanzi alle sfide della vita. È questo il male oscuro della nostra epoca dove il disordine rende difficile la quotidianità già gravata, in molti ambiti da scelte politiche scellerate che non favoriscono pacifici rapporti all’interno di uno stato, tese invece ad interessi di parte. Le pagine che seguono vogliono presentare a diversi livelli il ritratto di una persona – quale è Maria – senz’altro singolare nel costruire la sua casa sulla roccia della parola (cf. Mt 7,24-27), ma mai distaccata dalla nostra umanità alla quale appartiene e che, lungo i secoli continua ad amarla, a venerarla e a farne oggetto di devozione. Anche Maria pur in un contesto diverso dal nostro ed in un’epoca lontana, potremmo dire, ha tastato il polso della nostra pochezza per manifestare, nella sua esistenza di assidua collaborazione con Dio, la sua misericordia estesa su tutte le generazioni. 120 16 Maria, Madre del Signore: Una luminosa esistenza teologica Questo nostro contributo vuole essere come una sorta di pronao all’edificio teologico che la fede della Chiesa ha costruito nel tempo attorno alla figura della Vergine Maria. Resta sempre viva l’immagine giovannea del discepolo amato che si vede consegnare la Madre dal Figlio Crocifisso (cf. Gv 19,25-27) con l’impegno di custodirla presso di sé e fra le sue cose più care. La Chiesa appunto fra i doni elargiti dal suo Fondatore possiede anche questo che è singolare nella sua umanità. In ogni luogo e in ogni tempo, il popolo di Dio ha elevato lodi a Maria – con preghiere, testi teologici e letterari, predicazioni, ecc. – ma questo ha implicato e tuttora implica una conoscenza, per quanto consente la nostra capacità umana, di questa creatura. Le pagine che seguono tentano di offrire una motivazione a questo fervore di fede, preghiera e studio che ci facilitano la comprensione di Colei che viene incontro alle difficoltà dell’uomo. Maria: modello di esistenza umana In tutta la sua esistenza, la Madre del Signore presenta un particolare rapporto con l’Assoluto che la rende 121 creatura a beneficiare in modo singolare del suo favore. Proprio in questo rapporto unico, Maria può essere considerata ‘modello dell’uomo e, in particolare, del cristiano’. Ora proprio questa categoria di modello è stata ed è tuttora oggetto di molte discussioni e critiche atte a denunciare il connotato di passività che, applicato a Maria, vi si può insinuare. A ciò si aggiunge che tale categoria è immersa nel flusso del tempo che passa e dei cambiamenti culturali. Tuttavia proprio in relazione a queste due entità – tempo e cultura – in continuo movimento e costante trasformazione restano quale punto fermo le parole di Gesù: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,35). Quindi quella mobilità propria del tempo e della storia si confrontano con quel telos rappresentato dalla persona di Gesù che è venuto non per la condanna ma per la salvezza (cf. Gv 12,47) e che, per questo, riconcilia cielo e terra (cf. Col 1,20). Questa riconciliazione attuata da Gesù indica non solo novità di vita, derivante dalla sua resurrezione, ma anche novità di rapporto con Dio e con gli altri. In questo consiste tutto il piano di Dio che, con parole ed opere si manifesta per coinvolgere l’uomo in una vicenda di fedeltà. Solo a partire da tale fedeltà è possibile allora parlare di modello, non moralisticamente inteso come creatura che, più di ogni altra, ha avuto la migliore condotta o perché ha rappresentato la tipologia femminile passiva che quell’antica epoca comportava per la donna. Se possiamo fregiare la Madre di Dio con questo titolo, ciò deriva dalla solida fedeltà e fermezza di Dio 122 nella quale Ella è inserita e per gli orizzonti che Ella rappresenta. Fermezza e fedeltà attive che rendono Maria partecipe di un legame trasformante nella sua vita terrena (esenzione dal peccato) e glorificazione anticipata. Per questo motivo Maria si presenta a noi quale modello proprio perché rinvia all’Origine e mostra, nella sua persona, come questa Origine illumina le vicende umane: quindi modello di attività e non certo di passività. Possiamo pensare, in merito all’episodio di Cana di Galilea (cf. Gv 2,1-11), ma questa gioiosa circostanza è solo un elemento che costituisce la storia del favore che Dio ha verso l’uomo e che nella Madre trova – sul piano creaturale – il culmine. Se con l’Incarnazione del Figlio di Dio abbiamo l’adempimento delle antiche promesse e delle parole degli antichi (cf. Eb 1,1ss), l’affacciarsi di Maria sulla scena della storia è il compendio di quello che S. Giovanni Paolo II – nella sua Lettera alle Donne del 1995 – chiamava il «genio femminile». Ma tale genialità, che è propria del piano creativo (cf. Gen 2,18.22-23), si inserisce in un quadro antropologico molto più vasto che, presentatoci dalla Scrittura, ci viene ancor più illustrato dal Magistero stesso della Chiesa per bocca di Giovanni Paolo II: «Nell’«unità dei due» l’uomo e la donna sono chiamati sin dall’inizio non solo ad esistere «uno accanto all’altra» oppure «insieme», ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente «l’uno per l’altro». Viene così spiegato anche il significato di quell'«aiuto», di cui si parla in Genesi 2, 18-25: «Gli darò un aiuto simile a lui». Il contesto biblico permette di intenderlo anche nel senso che la donna deve «aiutare» l’uomo - e a sua volta questi deve aiutare lei - prima di tutto a causa del loro stesso «essere 123 persona umana»: il che, in un certo senso, permette all’uno e all'altra di scoprire sempre di nuovo e confermare il senso integrale della propria umanità. È facile comprendere che – su questo piano fondamentale – si tratta di un «aiuto» da ambedue le parti e di un «aiuto» reciproco. Umanità significa chiamata alla comunione interpersonale. Il testo di Genesi 2, 18-25 indica che il matrimonio è la prima e, in un certo senso, la fondamentale dimensione di questa chiamata. Però non è l’unica. Tutta la storia dell’uomo sulla terra si realizza nell’ambito di questa chiamata. In base al principio del reciproco essere «per» l’altro, nella «comunione» interpersonale, si sviluppa in questa storia l’integrazione nell’umanità stessa, voluta da Dio, di ciò che è «maschile» e di ciò che è «femminile». I testi biblici, a cominciare dalla Genesi, ci permettono costantemente di ritrovare il terreno in cui si radica la verità sull’uomo, il terreno solido ed inviolabile in mezzo ai tanti mutamenti dell'esistenza umana».177 Maria non è un modello, quindi, perché è contrassegnato dalla remissività, oppure dal contesto in cui è vissuta, ma modello a partire dal Magnificat nel quale Ella celebra le grandi cose che Dio – guardando la sua serva – ha compiuto (cf. Lc 1,48-49). E di quale serva – potremmo chiederci – si parla se non dell’umanità che lo stesso Dio-Servo ha sposato affidandole un compito ed uno stile di vita (cf. Gv 13,4-15)? È il Dio Assoluto con il volto umano, che si dona alla nostra umanità la stessa che 177 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem, n. 7, in Enchiridion Vaticanum (= EV), Dehoniane, Bologna 1991, 11/1231-1232. 124 in Maria vede il segno della speranza e della consolazione. Luogo di convergenza teologica La Teologia è, nel suo primitivo e più immediato significato, un discorso su Dio che, successivamente, si amplia e si configura come studio di Dio e delle realtà sacre. Ciò però può portare, talvolta, a dimenticare che la prima forma di sacralità è propria dell’uomo. Sin dall’antichità il popolo cristiano ha questa coscienza è Ireneo († 202) non esita ad affermare che la gloria di Dio è l’uomo vivente.178 Tale fattore non può e non deve essere offuscato: passare per la via umana parlando della Rivelazione di Dio è obbligatorio in quanto rende ragione dell’Incarnazione che è parte integrante del piano di Dio ed evento attraverso il quale Egli si rende presente in ogni momento, riaffermando la sua solidità e fedeltà che attraversa tutte le epoche. In tal senso ragionava Ireneo, giustamente considerato il padre della teologia occidentale, che collocava appunto il Verbo al centro della sua riflessione.179 178 Il testo del grande vescovo è il seguente: «Infatti la gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione dà la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre attraverso il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio!», IRENEO DI LIONE, Adversus hæreses l. IV, 20,7, in Sources Chrétiennes (= SCh) 100**, 649. 179 Ricordiamo che il vescovo Ireneo (130-202) è legato a Giovanni evangelista attraverso l’unico intermediario che è Policarpo di Smirne (69 ca-155), suo maestro. La vicinanza cronologica con le origini del cristianesimo è perciò evidente. 125 Da ciò appare che, in un discorso ed in uno studio che pongono attenzione al Mistero di Dio, trovano spazio anche le diverse esigenze e culture che l’uomo ha sperimentato e continua a sperimentare lungo il tempo. Possiamo perciò parlare di teologia e teologie rendendoci conto di come il Mistero, per essere conosciuto, deve essere contemplato alla luce di quei testi che ne parlano, prima fra tutte la S. Scrittura che è, essa stessa, già teologia in atto che riceve, a differenza della successiva riflessione, un carattere veritativo grazie all’ispirazione. Ogni tempo ha una sua percezione del mistero e se oggi, noi del secolo XXI, parliamo di Dio con un linguaggio differente dal passato, ciò è prodotto di una seria attenzione per l’umanità (uomo/donna) che si è imposta soprattutto dopo il Vaticano II, evento che si colloca dopo due guerre apportatrici di stragi dovute a regimi totalitari che hanno calpestato i diritti umani. Anche il mistero di Maria, la sua grandezza creaturale non sfuggono a questa dinamica di comprensione. Nel documento della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (PAMI) risalente al 2000 e dal titolo La Madre del Signore. Memoria, presenza, speranza180 vengono indicate piste di riflessione che sono altrettante esigenze specifiche della cultura contemporanea. Prima di indicarne alcune (e trarre da esse altrettante conseguenze) possiamo spendere qualche parola di commento sul titolo dai forti tratti antropologici: memoria, presenza e speranza ci indicano infatti tre dimensioni temporali che conosciamo – passato, presente e futuro – e che convergono nella persona di Maria, partecipe di quella 180 PAMI, La Madre del Signore. Memoria, presenza, speranza, Città del Vaticano 2000. 126 umanità nella quale Agostino († 430) vedeva la condensazione del tempo da lui considerato come distensione dell’anima (distensio animi). Quasi al termine della sua opera più famosa, Le Confessioni, leggiamo quanto segue: «Ma come diminuirebbe e si consumerebbe il futuro, che ancora non è, e come crescerebbe il passato, che non è più, se non per l’esistenza nello spirito, autore di questa operazione, dei tre momenti dell’attesa, dell’attenzione e della memoria? Così l’oggetto dell’attesa fatto oggetto dell’attenzione passa nella memoria. Chi nega che il futuro non esiste ancora? Tuttavia esiste già nello spirito l’attesa del futuro. E chi nega che il passato non esiste più? Tuttavia esiste ancora nello spirito la memoria del passato. E chi nega che il tempo presente manca di estensione, essendo un punto che passa? Tuttavia perdura l’attenzione, davanti alla quale corre verso la sua scomparsa ciò che vi appare. Dunque il futuro, inesistente, non è lungo, ma un lungo futuro è l’attesa lunga di un futuro; così non è lungo il passato, inesistente, ma un lungo passato è la memoria lunga di un passato».181 L’uomo è perciò figlio di un passato di cui fa memoria, vive il presente, essendo proteso però al futuro. Questo lo rende pienamente protagonista non soltanto dei fatti storici, ma anche del loro significato e della loro interpretazione. Ciò vale in modo speciale anche per Maria che conserva le res divinæ (cf. Lc 2,19.51b) e proclama un futuro di glorificazione e di misericordia nel suo Magnificat (cf. Lc 1,48b.50.54-55). 181 AGOSTINO, Confessioni, l. XI,28,37, in ID., Opera omnia, Città Nuova, Roma 1965, vol. I, 399-401. 127 Una storia che, incidendo nel sociale, ci presenta varie modulazioni e vari campi di indagine. Sono proprio questi ultimi a dare ragione della fecondità della presenza di Maria nella storia e nella vicenda umana nella sua globalità composta di diverse aree di riflessione quali la spiritualità, l’etica, la vita sociale e politica, il dialogo fra i cristiani di diverse confessioni, la tematica femminile. Esse usufruiscono – potremmo dire – del ‘modello Maria’ e ne traggono indubbio giovamento. Ad ogni settore il documento offre adeguato spazio. Nell’economia di questo nostro testo introduttorio, possiamo solo fare qualche cenno, e molti aspetti saranno presenti successivamente. Sul piano della spiritualità essa prende una tonalità mariana che trova le sue radici nella vita nello spirito (cf. Gal 5,18)182 e, di conseguenza, profondamente ancorata al dato biblico e cristologico183 ma sempre a beneficio ed utilità della Chiesa.184 Nel campo dell’etica, pur avendo assistito alla pressoché totale assenza di Maria nei manuali di morale, il documento non nasconde la fecondità della Madre del Signore nella trattazione di temi comportamentali. Anzi! Proprio il valore esemplare di Maria conferisce forza al discorso morale che vuole porre in guardia dal peccato e, al contempo, riaffermare il dato fondamentale della vita.185 La presenza di Maria e la sua partecipazione al mysterium salutis sostengono quel titolo di modello non 182 Cf. PAMI, La Madre del Signore, n. 53. Cf. Ibidem, n. 54. 184 Cf. Ibidem, n. 58. 185 Cf. Ibidem, n. 60. 183 128 ristretto alla pura azione di ‘buona condotta’, ma alla ferma ri-proposizione del dono della vita. Anche la vita sociale e politica, sebbene abbiano una riflessione abbastanza recente, trovano in Maria qualche elemento di originalità soprattutto nell’osservare e riflettere come Ella, pur beneficata da Dio e vivendo la storia in una dimensione di futuro realizzato,186 è capace di personali iniziative. Proprio l’evento dell’Assunzione permette un sano discernimento di ciò che in terra occorre allo sviluppo del Regno di Dio: in una parola, costruire il mondo e incrementarne i valori non in prospettiva terrestre (o peggio materialistica che conduce all’egoismo), ma in un’ottica escatologica, tenendo conto del fattore della povertà presente nel mondo e che chiede risposte.187 Il dialogo ecumenico implica indubbiamente un confronto culturale e il documento ci ricorda che l’impegno che ne deriva «non svende né altera il depositum fidei sulla santa Vergine, ma si propone, attraverso la ricerca comune e il dialogo sincero, di aiutare i fratelli e le sorelle delle altre confessioni cristiane a conoscere l’integra rivelazione su Maria di Nazaret e di riflettere sulle loro perplessità circa la nostra presentazione storica e culturale dell’immagine della beata Vergine»188 Ne deriva che il dialogo deve affondare le radici nella Scrittura ed essere, al contempo critico, evitando – ci ricorda ancora il documento – l’irenismo definito falso189 186 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, nn. 59 e 68, in EV 1/433.444. 187 Cf. PAMI, La Madre del Signore, n. 62. 188 Ibidem, n. 68. 189 Cf. Ibidem, n. 69. 129 e, aggiungiamo noi, superficiale, perché non rende ragione dell’intero dato di fede. Non meno importante è poi l’attualità della questione femminile che, per secoli, è stato terreno di discriminazioni più o meno violente. È difficile, per alcuni strati culturali, accogliere la proposta che proviene dalla vicenda e dello stato così singolare e speciale di Maria (basterebbe solo pensare l’antinomia verginitàmaternità che, sul piano naturalistico-scientifico, non può reggersi), ma qui vi rientra quella categoria di modello che abbiamo precedentemente illustrato e che non va a toccare il rivestimento socio-culturale della Madre di Dio, quanto piuttosto il suo inserimento nel disegno della salvezza favorendo la comunione dell’uomo con la propria Origine. Emerge allora l’importanza e l’urgenza di riproporre la figura di Maria sciolta da interpretazioni scritturistiche e teologiche soggette al pensiero (talvolta misogino) di determinati periodi storici. In questo modo, nota il documento, abbandonare «ogni colpevole immobilismo che verrebbe a costituire una sorta di connivenza con l’ingiustizia».190 Abbiamo perciò un mosaico di situazioni, di discipline e di campi d’indagine molto concreti e vitali che si giovano della presenza di Maria che si configura luce proveniente da quel Dio che al termine della Creazione se ne compiace. 190 130 Ibidem, n. 71. Perché la mariologia? Dopo la riflessione che abbiamo tracciato si impone questo interrogativo: perché la Mariologia? La risposta non può essere banale e per questo necessita ancora di ulteriori solidi fondamenti che le provengono da altrettante considerazioni emerse durante il Concilio e che hanno dato i frutti sperati. Alla base troviamo l’assetto stesso della Rivelazione costituito da Scrittura, Tradizione e Magistero e la funzione vitale che essa possiede nei confronti della Chiesa attraverso tre canali: contemplazione-studio, intelligenza proveniente dall’esperienza delle cose spirituali e, da ultimo, la predicazione dei vescovi, successori degli apostoli vissuti con Cristo.191 Tre aspetti chiaramente collegati tra loro ma che mantengono una propria autonomia. Per rispondere al nostro quesito ci interessano la contemplazione e lo studio dei credenti che formano l’intera Chiesa che in Maria trova la sua immagine.192 Proprio il testo di Lc 2,19.51b viene a sorreggere tutto il discorso conciliare che troviamo nella Dei Verbum al n. 8. La Chiesa quindi ad immagine di Maria è chiamata ad approfondire e contemplare i contenuti della Rivelazione e questa è per lei ragione di vita. Difatti poco prima, nel medesimo n. 8 si legge: «la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa 191 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum, n. 8, in EV 1/883. 192 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 53, in EV 1/427. 131 crede».193 La Rivelazione deve restare oggetto della teologia in tutte le sue articolazioni e contenuti fra i quali Maria occupa un posto notevole e singolare. Ma questo motivo culturale e vitale si salda anche con un elemento da non sottovalutare e che troviamo al n. 65 della Lumen gentium in cui è affermato che «Maria […] che è entrata più intimamente nella storia della salvezza, riunisce in sé e in qualche modo e riverbera i massimi dati della fede».194 Si tratta di un’accentuazione esistenziale che il Concilio offre di Maria che, se da un lato approfondisce, dall’altro fa unità come si comprende dal citato testo lucano (2,19.51b): dinanzi al mistero, Maria pone tutte le sue ‘energie’ di credente e di persona singolarmente inserita in tal evento salvifico che, per esser tale, parte dai primordi dell’uomo: Parola che si fa bambino, giovane, adulto. A confortare questa dinamica vitale un terzo testo che va alle radici della volontà di Dio: al n 22 della costituzione pastorale Gaudium et spes, il Concilio fa un’altra menzione molto importante e a carattere universalistico nell’affermare che «con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo». 195 L’elemento culturale-vitale e quello esistenziale si congiungono e si trovano completati nell’intero disegno di Dio: tutto ciò che è stato detto nel tempo su Dio e di Dio trova in Cristo la sua origine ed il suo compimento 193 CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 8, in EV 1/882a. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 65, in EV 1/441. 195 CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes (8 dicembre 1965), n. 22, in EV 1/1386. 194 132 (Alfa e Omega: Ap 1,8; 21,6; 22,13) e all’interno di tale dialettica Maria è parte viva e, al contempo, concretizzazione degli effetti di questa Rivelazione sull’uomo. Una concretizzazione che l’arte nelle sue diverse forme ci ha abituato a familiarizzare. Questo rende ragione della riflessione e dello studio del suo mistero da parte dei credenti non solo perché la Madre ci avvicina al Figlio (l’antico, ma sempre valido, ad Jesum per Mariam), ma perché di questo Signore ne vediamo l’opera perfetta: la bellezza di Dio si rifrange nella persona di Maria non come una figura astratta ed incomunicabile, ma come realtà viva che presenta costantemente la vitalità del Vangelo. Lo studio della Teologia nel suo pluralismo espressivo che, tuttavia, mantiene il suo referente ultimo nella Rivelazione non può fare a meno o svalutare l’incidenza e la fecondità del discorso mariologico. Nel 1988 la Congregazione per l’Educazione Cattolica, nel pubblicare il documento sul ruolo di Maria nella formazione intellettuale e spirituale dal titolo La seconda assemblea,196 sottolineava il contributo che la mariologia offre alla ricerca teologica ponendo proprio al centro giustamente il Cristo tanto come Rivelazione di Dio quanto come rivelazione dell’uomo a sé stesso e, a partire da qui, della Chiesa a sé stessa.197 196 CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA (= CEC), La seconda assemblea, in EV 11/ 283-324. 197 Cf. Ibidem, nn. 19-20, in EV 11/304-305. 133 Se Maria è tutta relativa a Cristo in quanto madresocia198 e, al contempo, all’uomo,199 ciò significa che la discrezione con la quale Maria appare nella storia (a partire dal colloquio, misto a riflessione attenta che si svolge nell’Incarnazione fino ad arrivare alla presenza presso la Croce) si traduce in una trasversalità propria della Madre di Dio200 estesa a tutte le esperienze dell’uomo che si riassumono nell’unico Cristo, centro che – a sua volta - «non può essere disgiunto dal ruolo svolto dalla sua santissima Madre».201 È chiaro allora che la risposta alla domanda iniziale appare ora più semplice, ma concretamente molto impegnativa verso uno studio serio che non dev’essere solo ‘libresco’ o intellettualistico. Trattandosi di una disciplina di convergenze e relazioni è chiaro che la Mariologia raccoglie in sé le varie istanze che le provengono dall’esterno per conferire ad esse una luce nuova e suggerire strade nuove per l’auspicabile soluzione di vecchi problemi. Del resto, Maria non è una figura isolata in una terra felice e per questo lo studio 198 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 61, in EV 1/435. 199 Tale vicinanza è condensata nel titolo sorella che ha una lunga storia teologica e che compare proprio con questo significato ripreso da Paolo VI (Marialis cultus n. 56) al n 21 del citato documento della CEC nei seguenti termini: «In Maria tutto è riferibile all’uomo, di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Essa ha un valore universale e permanente», CEC, La seconda assemblea, n. 21, in EV 11/306. 200 L’espressione ‘trasversalità’ è mutuata da GIOVANNI PAOLO II, Tertio millennio adveniente, n. 43, in EV 14/1794. 201 GIOVANNI PAOLO II, Tertio millennio adveniente, n. 43, in EV 14/1794. 134 della sua persona e del suo ruolo non può essere distaccato da tutto il contesto in cui si cala e ciò vale ieri come oggi. Di ciò occorre tener conto per evitare pericolosi fraintendimenti. Inoltre, se si parla di un Dio che si impegna con l’uomo e a suo vantaggio, la riflessione e lo studio di un Dio che ha coinvolto sua Madre nell’opera di salvezza dovrà tradursi in gesti di testimonianza dettata dall’amore che rappresenta il linguaggio stesso della teologia e la ragione ultima per la quale Dio stesso si mostra all’uomo, attirandolo a sé (cf. Gv 12,32) in piena libertà, in cammino verso la santità, ossia verso quella realizzazione che è diversa da quella proposta dal mondo. Conclusione Volendo concludere queste pagine ritorniamo ai testi conciliari di Lumen gentium n. 65 e Gaudium et spes n. 22. Comune ad entrambi troviamo un’espressione: ‘in certo modo’ (quodammodo). Essa collega la realtà divina con quella umana nel modo che Dio solo conosce. In certo modo Dio conosce il cuore dell’uomo da Lui plasmato a sua immagine (cf. Gen 1,27) e questo, lungi dal generare ambiguità e tristezza, deve aprire alla speranza di un Dio che è partecipe della vita umana e che, come tale, irrompe nella storia universale e personale di ognuno. Così è accaduto per Maria, così può accadere per ogni uomo che si dispone a scrutare quei segni particolari che Dio colloca sul sentiero del tempo. Sta all’impegno dell’uomo vigilare per ottenere le grandi cose promesse da Dio a chi lo cerca con cuore sincero: lo studio, la 135 riflessione e la preghiera a questo servono e Maria ci ricorda questi mezzi che permettono di scrutare, per quanto è concesso alla nostra capacità creaturale, il mistero di Dio. 136 17 Maria: fra umanità e Chiesa La nostra umanità scopre nel suo itinerario terreno numerose difficoltà dovute spesso alla colpevole lontananza da Dio. Nonostante ciò, Egli offre in Maria sua Madre quel segno di speranza dei tempi nuovi segnati dall’Incarnazione redentrice come evento attraverso il quale l’Assoluto entra nel nostro relativo e partecipa direttamente delle nostre gioie e dei nostri dolori. Unita alla stirpe di Adamo A partire dall’atto creativo voluto per amore di Dio, Adamo ha bisogno del perdono, di una luce e di un dono che lo faccia uscire dalla parte peggiore di sé stesso che lo ha condotto a disobbedire e a farsi idolo di sé stesso. Nonostante la gravità del peccato e del rifiuto, Dio mediante la sua Parola creatrice è fedele al suo compito ed accoglierla – dopo aver riconosciuto l’incidenza del peccato e l’impossibilità di tornare indietro e di eliminarlo da sé stessi – significa per l’uomo accogliere quel quid che trasforma l’esistenza personale e comunitaria: in una parola possedere la fede.202 Questo è l’Adamo, il che equivale a dire: questa è l’umanità, contraddistinta – qualora si perde il contatto «La fede nasce dall’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore. […] Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro», FRANCESCO, Lettera enciclica Lumen fidei (29 giugno 2013), n. 4, in EV 29/963. 202 137 con l’Origine – da una fondamentale debolezza che spesso diviene vera e propria miseria.203 La S. Scrittura ce lo ricorda in molte pagine e basterebbe rileggere la genealogia di Gesù nelle due versioni. In quella di Matteo (cf. Mt 1,1-17) ci si rende conto di tale situazione di ambiguità nella quale si colloca Gesù: accanto a personaggi di indubbia levatura umana e spirituale nonché di fede se ne accostano altri dalla condotta non certo edificante (lo stesso re Davide appare un eroe molto discutibile). Nella seconda, più universalistica, di Luca (cf. Lc 3,23-38), Gesù è ancorato allo stesso Adamo (e come lui non ha padre terreno). Entrambi i testi ci mostrano che questa è la nostra umanità, il suolo dove Dio pone la sua tenda (cf. Gv 1,14). Ma Adamo non è soltanto questo: proprio perché luogo di ambiguità che genera insoddisfazione, egli si rende conto di essere spazio che va colmato, essere che vuole una risposta esauriente a tale situazione. Il peccato senz’altro lo ha corrotto, ma l’amore di Dio non viene meno e può operare meraviglie, prima fra tutte presentarsi come l’Artefice della Misericordia: quel Gesù di Nazaret che passa beneficando tutti204 a partire dalla carne di peccato che Egli assume (cf. Rom 8,3) donandole nuovo ed alto significato. Il passaggio dalla morte alla vita proprio della Pasqua non resta confinato alla promessa della vita eterna, ma tocca tutti gli ambiti dell’esistenza umana di ogni tempo: «Con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo».205 In Lui compendiata e resa 203 Cf. PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, nn. 27-30, in EV 20/842-862. Si tratta di paragrafi sotto il titolo La persona umana: grandezza e miseria. 204 Cf. Messale Romano, Prefazio comune VIII. 205 CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 22, in EV 1/1386. 138 completa, la Rivelazione è la vera stella di orientamento per l’uomo storico che, nella sua vicenda temporale, trova elementi e meccanismi perversi che ne soffocano la dignità e la realizzazione.206 Ma ancor più, la Rivelazione agisce sul contesto umano producendo precisi segni della sua presenza attiva e rinnovante. Ecco, allora che tornando a quella pagina del primo Vangelo che appare ricca di nomi e di vicende storiche, si fa largo Maria «dalla quale è nato Gesù chiamato il Cristo» (Mt 1,16). Se Adamo è capostipite dell’umanità con tutto il suo carico di pesantezze, Cristo è l’uomo nuovo che toglie la condanna e vivifica. A dirlo è proprio S. Paolo, reso creatura nuova: tale è l’esperienza di Paolo dapprima persecutore quindi discepolo (cf. At 22,3-16, Gal 1,1324) e capace di codificare la novità evidenziata dal confronto tra i due Adami appartenenti ad un’unica umanità (cf. Rom 5,12-21). Il Cristo è perciò Agnello e Pastore che recupera il gregge (cf. Gv 10) e che opera la riconciliazione.207 Ma di tale recupero di rapporti, alla luce della misericordia, noi abbiamo garanzia in sua Madre che ci è sorella nella condivisione con la nostra umanità. Singolare membro della Chiesa È possibile comprendere il significato che riveste per Maria l’essere membro della Chiesa riprendendo la sua condizione di sorella che non diminuisce la sua singolarità di Madre del Redentore, semmai la conferma. 206 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica sui rapporti tra fede e ragione, Fides et ratio, n. 15, in EV 17/1206. 207 Cf. CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 22, in EV 1/1387. 139 La connotazione di sorella – peraltro molto cara ad alcune famiglie religiose (pensiamo ai Carmelitani) – colloca Maria quale fattore che unisce, da un lato, la nostra umanità e, dall’altro, il nostro essere Chiesa; infatti in un ordine naturale Maria ci è prossima come creatura umana con tutto il complesso di caratteri che la contraddistinguono e con tali caratteri Ella fa il suo ingresso e diviene parte dell’intera Chiesa. Qui troviamo un livello più alto che non distrugge, ma viene a perfezionare il precedente, ma tale perfezionamento va ascritto alla potenza di Dio: potenza di un singolare ed anticipato perdono che vediamo compiuto nell’immacolato concepimento della Madre di Dio208 e di una trasfigurazione redentiva nella sua gloriosa assunzione. Al centro, quale principio dinamico e trasformante abbiamo l’evento pasquale che è culmine dell’economia salvifica. La creaturalità e la sororità di Maria correlate alla nostra umanità appaiono perciò prerogative indispensabili affinché Ella possa costituirsi singolare membro della Chiesa: all’umanità creata ad immaginesomiglianza di Dio (cf. Gen 1,26-27) corrisponde il suo essere capax Dei, capacità di accogliere il mistero e di venirne trasformati: passare dalla condizione indefinita Osserva in merito S. M. Perrella: «Maria Immacolata […] ci impegna a leggere la redenzione della predestinata Madre del redentore più che in termini di riscatto, in quelli di un dono gratuito divino e di sovrabbondante effusione della sola Gratia», S. M. PERRELLA, Immacolata e Assunta. Un’esistenza fra due grazie, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo 2011, 130. Dello stesso autore si veda anche l’esteso contributo La verità dell’Immacolata e il «depositum fidei», in F. LEPORE (a cura di), Signum magnum apparuit in cælo. L’Immacolata, segno della bellezza e dell’amore di Dio, PAMI, Città del Vaticano 2005, 107-239 (spec. pp. 169ss.). 208 140 (e, in certo senso, peccaminosa) ad un’entità ben definita che ha la missione di testimoniare e far conoscere il vero Dio (cf. Os 1,6-9; 2,25 e I Pt 2,10). È chiaro che per Maria la trasformazione, la diversità sono molto a monte grazie al favore di Dio. Le grandi opere compiute da Dio trovano in Maria la creatura che le ha sperimentate e che può proclamarle nel suo Magnificat (cf. Lc 1,46-55), ma tali opere iniziano laddove l’uomo viene formato ed orientato ad un destino che lo oltrepassa e lo nobilita. Maria è perciò singolare membro dell’umanità che, sin dai primordi, viene destinata al popolo santo di Dio: sorella nella fede ecclesiale e, prima ancora, sorella nella nostra condizione iniziale di creatura capax Dei, di apertura che facilita il rinnovamento voluto da Dio. Giustamente il Concilio – osservando che Maria «riunisce in sé in qualche modo e riverbera i massimi dati della fede»209 – non fa altro che avvicinare la Madre del Signore, pur nella sua singolarità, a nostro vivere proprio attraverso quella dimensione di incontro tra il divino e l’umano che è la fede, elemento di coesione dell’intera compagine ecclesiale. In Maria avviene questo incontro e viene incrementato nonostante i momenti di oscurità, di fatica e di mancata comprensione, tipici dell’esistenza umana che si confronta con il Divino e che ne è discepola. Come a Dio «nulla è impossibile» (Lc 1,37), così a Maria nulla è risparmiato della condizione dell’umanità che percorre un itinerario di fede.210 Tale itinerario deve essere compito del cristiano. 209 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 65, in EV 1/441. Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 58, in EV 1/432. 210 141 Il dovere del cristiano Il dovere o i doveri? Molto ci sarebbe da dire, ma molto è stato detto! Nella parte finale della sua enciclica Lumen fidei, papa Francesco – secondo una consolidata prassi dei documenti ecclesiali – traccia il ritratto di Maria icona perfetta della fede. Il papa utilizza qui una frase molto densa ed impegnativa per l’intera Chiesa: «Nella Madre di Gesù […] la fede si è mostrata piena di frutto, e quando la nostra vita spirituale dà frutto, ci riempiamo di gioia, che è il segno più chiaro della grandezza della fede».211 Ma cosa è questo frutto se non il connubio tra fede e carità alimentate dalla speranza? Siamo risospinti alla circolarità delle tre virtù, doni offerti da Dio per la santificazione personale e comunitaria. Una circolarità che deve farsi visibile, anzi azione profetica. Essere Chiesa “umana” (o “delle periferie” secondo un’espressione ricorrente) implica proprio questo decentramento salutare verso l’altro modellato su Colui che si è offerto per l’universale salvezza. Qui abbiamo l’unità di fede e carità che papa Francesco definisce come unione di amore e verità tra loro inseparabili: «Chi ama capisce che l’amore è esperienza di verità, che esso stesso apre i nostri occhi per vedere la realtà in modo nuovo, in unione con la persona amata».212 Tale è stato il tratto costante in Maria che da un lato è legata al Figlio. Un Figlio che non si sottrae ai limiti della condizione umana nel suo essere avvolto in fasce (cf. Lc 2,7) e contemplato nella morte (cf. Gv 19,25-27) e nei teli della sepoltura (cf. Gv 19,40). Ma, per altro verso, 211 212 142 FRANCESCO, Lumen fidei, n. 58, in EV 29/1039. Ibidem, n. 27, in EV 29/990. Maria è protesa verso l’umanità bisognosa e povera alla quale appartiene e qui il noto episodio di Cana (cf. Gv 2,1-11) ha molto da insegnarci: rinviare al Figlio-Verità (cf. Gv 2,5) significa per Maria interessarsi dell’uomo nei momenti di difficoltà. Le applicazioni sono molte perché la vita degli uomini presenta una gamma notevolissima di situazioni in cui è necessario dar prova di questo amore. Conclusione All’Adamo di ogni tempo Dio ripropone sempre nella persona di Maria sua Madre, l’attuazione dell’unica Legge veramente valida: quella dell’amore di Dio e del prossimo (cf. Lc 10,25-37). Il fatto che Maria di Nazaret appartenga alla nostra umanità non fa altro che nobilitarla e risponde a quella domanda che troviamo nel Sal 8: «Signore, che cos’è l’uomo perché te ne ricordi?». In Maria e nel favore che Dio le ha riservato troviamo l’esatta misura della benevolenza che Egli mantiene verso di noi nelle sue diverse forme: misericordia e perdono, cura e maternità, protezione ed intercessione. Avendo disposizione tale ricchezza non resta che operare! 143 18 L’esperienza mariana di Dio all’interno della sua Parola di Salvezza In molti modi ed in diverse epoche, lungo la storia e la tradizione della Chiesa, è stato affrontato ed illustrato il rapporto tra la Parola di Dio e la Vergine Maria. Potremmo dire che gran parte della produzione teologica ha giustamente guardato a questo tema muovendo dall’evento dell’Incarnazione. Tuttavia non è il solo punto di vista anche se appare il più immediato e, in certo senso, alla base di successivi sviluppi in ordine al fatto che Maria mantiene una condotta esemplare. Nelle pagine che seguono cercheremo di vedere la Parola del Signore come luogo, ambito entro il quale si viene a situare l’esistenza della Vergine Santa. Distingueremo tra Parola e Scrittura, quindi considereremo la Parola come luogo per poi descrivere l’esperienza mariana di Dio all’interno di questa Parola. Parola di Dio e S. Scrittura Uno degli strumenti più utilizzati in filosofia come in teologia è quello dell’analogia, ossia la congiunzione tra due concetti o campi del sapere molto diversi tra loro, volendo con ciò sottolineare la differenza e la somiglianza che intercorre tra i due elementi. Strumento privilegiato, di cui noi ci serviamo senza quasi più accorgercene, è quello di Parola. Questo termine, proprio 145 perché lega due entità diverse, viene detto analogico, cioè che possiede in sé una vicinanza ed una differenza con ciò che si vuol esprimere, sulla cosa da dire: la parola è quella che si scambiano gli uomini (la forma di comunicazione più nota ed immediata) e la Parola è quella che Dio rivolge all’uomo, concretizzata in Gesù, Verbo/Parola attraverso la quale Dio ha detto e fatto tutto ciò che doveva dire e fare nei confronti del mondo e dell’uomo. Parola di Dio quindi detta e Parola di Dio fatta persona. Tutto questo non è un’invenzione: la lettera agli Ebrei proprio all’inizio ci parla di un’attività di Dio che ha parlato nei tempi antichi per mezzo dei profeti ed ora parla attraverso Cristo (cf. Eb 1,1-3). All’interno di questa attività, ecco che il termine “Parola” tiene uniti il progetto di Dio (la Rivelazione) e la sua fissazione su carta, quella che è la Scrittura. Ma la differenza resta: la Scrittura è Parola di Dio, ma questa Parola di Dio non si esaurisce nella Scrittura: la Parola di Dio eccede, supera il libro e raggiunge l’uomo per strade a lui ignote ma conosciute da Dio e, per questo, il suo disegno si mostra davvero infinito e non restringibili entro confini razionali. Con questo disegno, che è vera e propria Rivelazione, ci viene illustrata la distanza tra il Mistero di Dio ed il mistero dell’uomo che possiede un linguaggio limitato nel voler fare un discorso su di Lui. Soltanto se Dio gli si rivela, l’uomo può dire qualcosa su di Lui. Parola quindi onnipotente (cf. Gv 1,3), efficace (cf. Eb 4,12-13), eterna (cf. Is 4,8), creatrice (cf. Gen 1,3ss), Parola Assoluta che si fa discorso umano in Cristo che, a sua volta, illumina l’uomo e gli fa conoscere qualcosa del Padre (cf. Gv 1,18) nei termini dell’amore e del dono. 146 Ma Cristo, Parola massima di Rivelazione e di Redenzione comprensibile perché umana, non è il solo ad operare: Egli è sempre colmo di quello Spirito del Padre che può, a sua volta, donare. È significativo, in merito, il quadro descritto in Lc 4,16ss dove il Figlio di Dio, guidato dallo Spirito e dopo la permanenza nel deserto, si pone quale commentatore autorevole di Is 61 nella sinagoga di Nazaret: la presenza dello Spirito sul Servo capace di ricomposizione si compie nello stesso Gesù. In Lui, come nello scritto dell’antico profeta, lo Spirito agisce, ossia l’amore di Dio che sempre feconda, realizza ed accresce l’opera dell’uomo dispiegandosi nell’universo: è lo Spirito di Dio che aleggia all’inizio dei tempi sul mondo, come ricorda Gen 1,2. Abbiamo perciò una Rivelazione, una Parola che in tanti modi si dispiega e che si rivolge, come progetto globale e salvifico, a quell’uomo che – come recita il Sal 8 – Dio ha collocato al vertice della creazione, a sua immagine/somiglianza e capace di accostarsi al mistero che lo ha formato. Entrano qui in gioco due elementi: la presenza di Dio nell’uomo e, in forza di essa, la capacità che l’uomo possiede nel rispondere e nel legarsi ancor più a Dio. Sta all’uomo progredire in questo sentiero: può conservare – in tutta libertà – o offuscare questo legame. In ogni caso, la responsabilità resta la sua (sia in positivo, sia in negativo), ma tutto l’insieme dei comportamenti non sfugge al benefico dominio di Dio. Dominio da non confondere con oppressione e condanna: Dio offre all’uomo un tempo per riflettere e cambiare strada, oppure per perfezionarsi sempre più; in sostanza: per diffondere in parole ed opere quanto ha ricevuto. 147 Il tempo quindi diviene luogo entro il quale Dio si manifesta: viviamo il tempo di Cristo, momento favorevole della nostra salvezza e, in questo tempo, vediamo il formarsi degli scritti del NT dove, in molti modi, passando e beneficando, Gesù sottolinea la vicinanza di Dio all’uomo. Attraverso le sue parabole – in particolare quelle dette ‘della misericordia’ di Lc 15 – l’amore di Dio colma la distanza fra Creatore e creatura, soprattutto in quei momenti in cui la fragilità, l’errore ed il peccato tendono a prevalere. Si tratta essenzialmente di un evento dove parola ed azione sono congiunti e manifestano la bontà di Dio. La Parola di Dio nella sua più vasta accezione di Rivelazione, tale da superare la Parola scritta, si viene a costituire come luogo nel quale l’uomo ed il mondo sono inseriti e trovano la loro ragion d’essere e il loro significato ultimo. Scrive S. Agostino († 430) nella sua opera La Città di Dio alludendo a Cristo: «Dio non cerca per sé un uomo come se non sappia dove si trova, ma parla da uomo mediante un uomo perché ci cerca così parlando».213 Già S. Paolo, tuttavia, in alcune sue lettere ci aiuta a comprendere meglio questo collegamento. In esse egli usa spesso due espressioni: noi in Cristo (cf. II Cor 5,17) e Cristo in noi (cf. Col 1,27). Nel loro insieme tali espressioni ci indicano un’appartenenza dell’uomo a Cristo e la sua collocazione in uno spazio specifico costituito dalla realtà misteriosa del piano di Dio. Ma la Parola possiede una duplice finalità: quella diretta costituita dalla salvezza e quella indiretta che è il graduale perfezionamento 213 AGOSTINO, La Città di Dio, l. XVII,6,2, in ID., Opera omnia, vol. V/2, 592. 148 dell’uomo. Al termine del n. 11, la costituzione conciliare sulla Rivelazione Dei Verbum ci aiuta a vedere la differenza e la vicinanza che sostanziano il rapporto tra Parola di Dio e Scrittura: «i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture. Pertanto “ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona” (2 Tim 3,1617)».214 Nel loro insieme, salvezza e perfezionamento rappresentano la realizzazione dell’uomo, realizzazione vera che trae la sua ragion d’essere da quella Verità che è propria di Dio e che Egli pone a disposizione dell’uomo non solo come un concetto, o un comando, o, ancora, una norma particolare, ma come luogo dove si possono trovare risposte significative per la vita. La Parola di Dio come luogo La Parola di Dio considerata nella sua totalità evidenzia un doppio aspetto: il primo è di natura comunicativa, ossia è una parola che dice; il secondo è di natura attiva, indice di una parola che opera e crea. Una Parola, insomma che nel momento in cui è presente si crea uno spazio ed un tempo per potersi affermare tanto come donatrice di senso quanto come apportatrice di un mutamento. Ciò lo vediamo in particolare nella Creazione di Gen 1-2 e nell’Incarnazione di Lc 1,26-38: agli inizi abbiamo un Dio Creatore di un cosmo e di un uomo che vuole portare alla piena comunione con Lui, 214 CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 11, in EV 1/890. 149 successivamente troviamo l’ingresso di Colui che è compimento di quest’opera: Gesù nella sua divinoumanità. Abbiamo perciò una forte corrispondenza tra Creazione ed Incarnazione e Cristo ne rappresenta il luogo di raccordo tanto come Nuovo Adamo (cf. Rom 5) quanto come Alfa e Omega della Creazione (cf. Ap 1,8.17-18). Il discorso tuttavia si precisa ancor più riprendendo in considerazione quella pienezza dei tempi di cui ci parla S. Paolo (cf. Gal 4,4); un’espressione – pienezza – che ritroviamo anche in Giovanni (Gv 1,16: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia») e che supera, nel suo significato, una dimensione solo cronologica (nel rispetto dei tempi Dio manda il Figlio liberatore dalla Legge: cf. Gal 4,4). Pienezza è in ordine ad una salvezza che da sempre Dio vuole per l’uomo e che è stata prefigurata ed anticipata in eventi/persone nell’AT. Parola piena di Rivelazione è quella che Cristo rappresenta attraverso tre coordinate: a) Un evento salvifico che muta l’umanità ed il cosmo; b) Un messaggio di amore che provoca l’umanità ed il cosmo; c) Uno spazio vitale che include l’umanità ed il cosmo. È interessante in proposito rileggere quanto scrive H. U. von Balthasar († 1988) secondo il quale «la rivelazione di Cristo doveva però, al di là di ogni attesa e speranza delle creature, ricapitolare tutto il cielo e la terra in un capo divino-umano e dare quindi loro un coronamento di grazia il cui splendore di gloria, 150 appartenente al Signore del mondo doveva irraggiare su tutta la creazione. Così la stessa forma del mondo, che era già in quanto tale rivelazione della doxa divina, diventa in Cristo e nello Spirito Santo effuso da lui, un tempio che in sé e al di sopra di sé contiene il kabôd di Dio, come il tabernacolo e l’edificio di Salomone».215 Tempio di Dio quindi appare il mondo e l’uomo stesso, che ne rappresenta la sintesi, è anch’egli tempio animato dallo Spirito (cf. I Cor 3,16; 16,17; II Cor 6,16; Ef 2,21). In tale contesto si colloca la Madre del Signore, nella sua presenza iniziale e nel suo essere inserita nel tempo a confronto con gli accadimenti relativi alla vita del Figlio. Esperienza mariana di Dio Parafrasando il grande filosofo M. Heiddeger († 1976), Maria si trova ad essere ‘gettata’, inserita in modo decisivo in uno spazio e in un tempo definiti dalla presenza del Figlio e vive un cammino di continua conquista di autenticità. In altre parole: vive la sua identità, costruendola sull’ascolto e sulla sequela di Gesù e la realizza in forza di un’azione trinitaria: decisione eterna del Padre di dare a Cristo una Madre – e il Concilio ci parla di Maria come compagna generosa216 – nonché creatura plasmata e resa Tempio di Dio dallo Spirito Santo. Maria, in sostanza, vive alla confluenza delle due coordinate antropologiche descritte da S. Paolo: rivestita 215 H. U. VON BALTHASAR, Gloria, Jaca Book, Milano 1975, vol. I, 399-400. 216 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 61, in EV 1/435. 151 del Cristo (cf. Rom 13,14; Gal 3,27) e, perciò, creatura nuova (cf. Ef 2,24) e, al contempo, tempio di Dio (cf. I Cor 3,16; 16,17). Per questo motivo Lei è, in modo speciale, in Cristo e, a sua volta Cristo è in Lei per cui l’ascolto si fa celebrazione concreta nel Magnificat. Il «Beata colei che ha creduto», espressione dell’anziana parente Elisabetta (Lc 1,45) e così ripetuta da Giovanni Paolo II († 2005) nella sua enciclica Redemptoris Mater (1987), oltre a sottolineare la dimensione obbedienziale propria dell’atto di fede (fiducia data a Dio), mostra un trovarsi inserita in uno spazio dominato e forgiato dal mistero del Dio Creatore e Redentore. Leggiamo in merito la conclusione del n. 14 dell’enciclica: «Maria, che per l’eterna volontà dell'Altissimo si è trovata, si può dire, al centro stesso di quelle «inaccessibili vie» e di quegli «imperscrutabili giudizi» di Dio, vi si conforma nella penombra della fede, accettando pienamente e con cuore aperto tutto ciò che è disposto nel disegno divino»217. Questo si snoda attraverso i tre grandi eventi caratteristici e fondativi della nostra fede: l’Incarnazione, l’espropriazione della Croce, la Glorificazione. Nel primo evento Maria dopo l’annunzio inizia ad avvertire la presenza, inizia l’itinerario, l’esperienza. Anche per Lei, come per ogni essere umano, si tratta di un’esperienza ‘seconda’, successiva ad un evento di fondo: Maria viene avvertita dal Bambino, è già parte integrante di tutto un disegno di libertà divina che si colloca a fondamento di quella umana: Dio non costringe, anzi si espone al rifiuto dell’uomo nel momento in cui si dona. In sostanza, Dio 217 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 14, in EV 10/1308. 152 si dona ponendo nell’uomo questa medesima capacità di offrirsi. È qui condensata la legge fondamentale dell’antropologia cristiana: l’essere umano, la persona si realizza veramente uscendo da sé, in una logica di dono. In tal senso si può facilmente comprendere quanto la Congregazione per l’Educazione Cattolica afferma nel suo citato documento a carattere mariano: «per i discepoli del Signore la Vergine è il grande simbolo dell'uomo che raggiunge le più intime aspirazioni della sua intelligenza, della sua volontà e del suo cuore, aprendosi per Cristo e nello Spirito alla trascendenza di Dio in filiale dedizione di amore e radicandosi nella storia in operoso servizio ai fratelli».218 Presso la Croce, Maria vive nella sofferenza l’espropriazione del Figlio all’insegna di un’estrema generosità che non conosce alcun spirito di rivalsa o gelosia. Basterebbe rileggersi l’inizio di uno degli Inni della Natività di S. Efrem Siro († 373) che ci mostra, in forma poetica, tutta una serie di riflessioni che la Vergine fa al momento dell’Incarnazione che mostrano tutta la carica di offerta: «Non voglio tormentarmi o Figlio, se sarai con me o con gli altri. Sii il Dio di colui che ti riconosce; sii il Signore di colui che ti serve; sii fratello di chi ti ama, affinché possa salvare tutti».219 Infine la Glorificazione intesa come partecipazione completa alla resurrezione di Cristo e condizione anticipata del credente alla comunione trasfigurante con Dio. Riprendendo la dimensione protologica ed unendola a quella escatologica, la Professione di fede di Paolo VI (datata 30 giugno 1968) interpreta l’evento 218 219 CEC, La seconda assemblea, n. 21, in EV 11/306. EFREM SIRO, Inni sulla Natività XVI, in CSCO 186, 83. 153 dell’Assunzione di Maria (luogo/evento massimo di glorificazione) nei seguenti termini: «Associata ai Misteri della Incarnazione e della Redenzione con un vincolo stretto e indissolubile, la Vergine Santissima, Immacolata, al termine della sua vita terrena è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste e configurata a suo Figlio risorto, anticipando la sorte futura di tutti i giusti».220 Sono le cifre che Gesù, attraverso sua Madre, ripresenta al credente in ordine alla sua realizzazione. Conclusione Un buon esegeta dei nostri giorni commentando il testo di Col 3,16-17 considera come Paolo vede nella Parola di Cristo «non tanto delle esigenze alle quali occorre sottomettersi, o un messaggio da capire e da studiare, ma il luogo dell’incontro tra Cristo stesso e il credente».221 Parlando di luogo è chiara l’importanza dell’inabitazione, cioè dell’occupare uno spazio costituito dal dono che Dio fa di sé stesso. Questa Parola è pertanto luogo ed è interessante in merito andarsi a rileggere la profondità e l’attualità sono presenti in un breve brano di S. Maria Maddalena de’ Pazzi († 1607); la grande santa fiorentina, cosciente ed attenta alla differenza esistente tra Parola (Rivelazione), parole (i detti) provenienti dal Verbo e S. Scrittura (libro), ci offre un orizzonte 220 PAOLO VI, Sollemnis Professio fidei, n. 15, in Insegnamenti, LEV, Città del Vaticano 1969, vol. VI, 304-305. 221 G. ROSSÉ, Lettera ai Colossesi. Lettera agli Efesini, Ed. Città Nuova, Roma 2001, 56. 154 ecclesiologico e sacramentale non privo di risvolti mariani facilmente individuabili. Difatti nella costruzione dell’edificio spirituale (fabbrica), cioè nella costruzione della personale santità deve trovarsi una stanza nuziale costituita dalla Scrittura, dove l’anima-sposa e il Cristo-Sposo trovano riposo e si intrattengono in colloquio: «Perché l’edificio spirituale sia perfetto è necessario trovarvi una stanza segreta dove ci sia un letto per il riposo della sposa con lo Sposo e questa stanza sarà la Scrittura nella quale la sposa si riposa e dialoga dolcemente con lo Sposo, mantenendo un sonno di somma vigilanza e gustando l’abbraccio dello Sposo».222 Il testo della santa carmelitana, riecheggiando motivi presenti nel Cantico dei Cantici, pone a confronto Cristo e la Chiesa, ma tutto questo può essere visto anche attraverso una dimensione mariana, pensiamo agli eventi dell’infanzia di Cristo nei quali – anche fisicamente – Madre e Figlio sono congiunti. Davvero in Maria – che conserva e medita le cose relative al Figlio nel suo cuore (cf. Lc 2,19.51b) – si realizza quella somma vigilanza che S. Maria Maddalena menziona in merito alla Chiesa-Sposa e, in altri luoghi della sua opera, riprendendo motivi risalenti ad Origene († 253), all’anima-sposa. Una vigilanza che non è ozio, ma attività portata avanti nell’ottica e all’interno del ‘non ancora’ ossia del futuro che affonda le sue radici in un ‘già’ salvifico ormai acquisito grazie a Cristo. S. MARIA MADDALENA DE’ PAZZI, I Colloqui 2, in ID., Le Opere, Firenze 1963, vol. III, 46. La traduzione in lingua corrente è nostra. 222 155 Riconsiderando attentamente il legame e la comunione esistenti tra Maria e Dio, che nel loro insieme appaiono come parte integrante dell’evento rivelativo, è possibile percorrere un itinerario di ascolto/attuazione della Parola all’interno di una Chiesa che da essa si origina ed è costantemente modellata dallo Spirito. Nello Spirito e nella Parola ci viene offerta la possibilità di accogliere l’intero mistero della vita che si attualizza in ogni singola esistenza, scandita da eventi ora gioiosi, ora tristi. Croce e Resurrezione, Morte e Vita restano le costanti dell’umanità, talvolta ribelle ai comandi del Signore, ma pur sempre oggetto della sua predilezione e destinata a quella gloria che non marcisce né si corrompe (cf. I Pt 1,4). Di tale gloria Maria è già partecipe avendo accolto quella Parola-Spada che provoca e divide l’uomo per una superiore e duratura unità. 156 19 Con Maria accanto alla Croce del Figlio Parlare della presenza di Maria presso la Croce nell’ambito della spiritualità dell’Ordine dei Servi di Maria significa riconsiderare attentamente una sorta di “cifra di famiglia”. Le nostre Costituzioni all’Epilogo ci dicono che il dovere dei Servi è appunto di sostare presso le infinite croci dove il Figlio è ancora ucciso. Un tema che non è sfuggito neppure al Magistero ufficiale della Chiesa.223 Tuttavia la ricchezza del tema e delle riflessioni su di esso può generare quel disagio che si accompagna al rischio di ripetere luoghi teologico-spirituali già noti. Per meglio illustrare il tema è possibile ordinare il discorso su tre punti: la priorità della Parola, una considerazione sul dolore di Dio e dell’uomo ed infine l’insegnamento di Maria nutrito dalla speranza. Priorità della Parola Apriamo la Scrittura: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa». 223 Giovanni Paolo II a conclusione dell’Esortazione apostolica sul significato della sofferenza Salvifici doloris riprende quasi alla lettera l’asserto costituzionale dei Servi. 157 Questo testo evangelico così noto e così variamente commentato,224 va visto nei suoi legami con tutta la Scrittura che, in quanto testimonianza privilegiata del disegno di Dio, mostra anche la vicenda dell’umanità nel suo confronto (in positivo e in negativo) con tale disegno. Una umanità che si condensa nella Madre e che è segnata da un costante contatto con il Figlio. Dinanzi a Lui vediamo come anche Maria opera un’azione di svelamento della reazione dell’uomo dinanzi all’agire inatteso e, talvolta, incomprensibile di Dio. Possiamo pensare alla gioia della Natività del Signore solcata dalla profezia di Simeone (cf. Lc 2,33-35). Attingere alla Scrittura e affermarne la priorità su qualsiasi discorso che possiamo fare su Dio significa lasciarsi condurre dalla particolare pedagogia di Dio che è un unicum con la logica stessa della Rivelazione, laddove Dio si svela, ma si ri-vela: alterna momenti di comprensibilità per l’uomo ad altri in cui si nasconde e sembra assentarsi. È il grande scoglio sul quale si infrangono tutte le pretese umane di farsi un Dio potremmo dire ‘tascabile’: il nostro Dio è sempre un ‘oltre’. I discepoli stessi sono provati da questo stile con il quale Gesù si pone nei loro confronti e Maria, che di 224 La letteratura esegetica su Giovanni è vastissima. Rinviamo però qui ai numerosi studi compiuti, specificatamente su questo testo, da A. M. Serra soprattutto nel suo volume ormai classico Maria a Cana e presso la croce, Roma 1985. Più volte ripreso ed approfondito dallo stesso autore, il testo giovanneo è stato oggetto di altri contributi raccolti nei seguenti volumi: Maria secondo il Vangelo, Ed. Queriniana, Brescia 1987, spec. 160-172; E c’era la madre di Gesù (Gv 2,1). Saggi di esegesi biblico-mariana (1978-88), Ed. CensMarianum, Milano-Roma 1989 spec. 370-422; Nato da donna (Gal 4,4). Ricerche bibliche sulla Madre di Gesù, Ed. CensMarianum, Milano-Roma 1992, spec. 141-188. 158 questo discepolato è massima espressione, non viene sottratta da questo particolare itinerario. A partire dalla sua Incarnazione in Gesù, il Dio Altissimo quindi coinvolge l’uomo e lo stesso Gesù, nella sua vita terrena, costantemente ribadisce il proposito che Dio ha di realizzare l’uomo inserendolo in quel cielo dal quale Egli è provenuto (cf. Gv 3,13-14) e che prepara ai suoi (cf. Gv 14,2-3). Si tratta di un progetto di esaltazione umana e cosmica che tuttavia – ed è qui lo scandalo – passa attraverso quell’«ecco» ripetuto due volte (alla madre e al discepolo amato presenti al Calvario) nel quale troviamo affermata ancora una volta la rivelazione creatrice di Cristo, autore delle cose nuove (cf. II Cor 5,17). Novità delle cose che è essenzialmente il passaggio per l’uomo (ed evidentemente per il cosmo) da una situazione deficitaria ad una di santità. Passaggio la cui causa ultima resta il Signore. Di ciò fanno fede gli altri due testi relativi all’Agnello di Dio proclamato dal Battista (cf. Gv 1,29.36). È Lui che toglie il peccato del mondo ed è interessante che tale espressione venga ripetuta nel contesto di una numerazione temporale, scandita dalla ricorrente espressione “il giorno dopo”, fino ad arrivare al segno di Cana rinviante al racconto dell’antica creazione che, in Cristo,225 vede e realizza il suo rinnovamento. 225 Cf. A. SERRA, Settimana cosmica di Genesi 1,1-2,2 e le sue incidenze sulle formule emerologiche dell’escatologia biblico-giudaica, in E. PERETTO (a cura di), Maria nel mistero di Cristo, pienezza del tempo e compimento del Regno. Atti del XI SIM (Roma 7-10 ottobre 1997), Ed. Marianum, Roma 1999, 7-58. Qui Serra, oltre ad avvicinare i due testi scritturistici di Gen 1 e Gv 1-2, pone in evidenza la possibilità di vedere nel racconto di Cana (e in ciò che lo precede) la sintesi delle età del mondo così come erano intese dai maestri e dai rabbini 159 Si comprende allora come anche il tempo – quale creatura voluta da Dio – partecipa di questo rinnovamento. Lo abbiamo visto precedentemente nel testo di Gal 4,4, in cui “pienezza del tempo” ha uno spessore qualitativo scaturito dall’Incarnazione salvifica che ricapitola cielo e terra (cf. Ef 1,10). Dolore dell’uomo e dolore di Dio La riaffermazione della sua potenza benefica ed il risanamento dell’antica ferita del peccato di idolatria sono alla base dell’azione di Dio testimoniataci dalla Scrittura. Da una armonia iniziale si passa alla divisione e a partire da Gen 3 abbiamo l’inizio della drammatica sequenza in cui l’universo viene deformato a causa del peccato commesso dai progenitori: peccato che è essenzialmente la sostituzione del Dio Assoluto ed Infinito con l’io relativo e finito. Un peccato che si allarga a macchia d’olio nel tempo e nello spazio, tanto che Dio si pente di aver creato. Gen 6,5-6 ben evidenzia questa situazione: «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo». Per la prima volta nella Scrittura appare questo concetto del dolore applicato a Dio e che ha avuto una forte ripresa nella teologia del XX secolo soprattutto in relazione ai due conflitti che in modo determinante hanno sconvolto il mondo in termini di lutto e persecuzione. Ancor prima dell’istituzione del giudaici. Età che giungono al loro perfezionamento con l’avvento di Cristo. 160 tristemente famoso campo di Auschwitz il teologo D. Bonhoeffer († 1941) si concentrava sul “Dio debole”. Scrive Bonhoeffer: «La Bibbia indirizza gli uomini all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio che soffre può venire in aiuto».226 Dopo la bufera bellica, il tema ha subito un ampliamento attraverso l’inquietante domanda: “Dio dov’era? E come parlare di Dio dopo Auschwitz?” Domanda fatta dal pensatore ebreo H. Jonas († 1933)227 ma che ben si collega con un interrogativo molto più profondo che si può esprimere come segue: “Dio soffre?”, o meglio “Si può parlare di sofferenza e dolore a proposito di Dio ?” Davanti a queste domande, sono possibili due modi di rispondere: con il rifiuto di Dio,228 oppure con la sua integrazione all’interno di un universo di sofferenza.229 Sta di fatto che, nell’uno o nell’altro caso, si è indotti a riflettere e a superare certa insistenza sulla trascendenza e assolutezza di Dio che, a volte, lo ha un po’ allontanato dalla scena di questo mondo che, senz’altro come dice S. Paolo, passa (cf. I Cor 7,31), ma nella quale siamo inseriti 226 D. BONHOEFFER, Lettere a un amico, Milano 1969, 133. Melangolo, Genova 1991. 228 Nel suo volume intitolato Se questo è un uomo, P. Levi giunge ad una conclusione molto drammatica: «Oggi io penso che, se non altro per il fatto che Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai giorni nostri parlare di Provvidenza», P. LEVI, Se questo è un uomo, Ed. Einaudi, Torino 1990, 30. 229 Su questo aspetto rinviamo al nostro contributo dal titolo Maria presso la Croce: luogo di dolore e di speranza viva per l’uomo, in G. A. FACCIOLI (a cura di), L’Addolorata da memoria di dolore a profezia di speranza, Ed. Messaggero, Padova 2006, 55-74. 227 Cf. H. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Ed. Il 161 e della quale facciamo esperienza anche nei suoi lati peggiori. Nel riprendere Gen 6,5-6 non si fa fatica a rendersi conto di come l’autore sacro faccia uso di un linguaggio antropomorfico che non vuole portare verso un’identità tra l’uomo e Dio quanto piuttosto ci suggerisce relazione, sollecitudine in cui tutta la realtà divina è coinvolta (cf. l’immagine del cuore). Una sollecitudine, tuttavia, che vive in simbiosi con la misericordia che Dio mostra per l’uomo e in nome della quale Egli non si sottrae agli assalti del male e ciò è un tema molto antico che viene successivamente ri-espresso in modo vario lungo il tempo e nelle pagine dell’AT; basterebbe pensare all’accoglienza amorosa dell’Israele peccatore in Ger 31,3. Nel NT il dialogo tra l’uomo e Dio resta ed è anche qui contrassegnato dalla sofferenza: lo vediamo dal comportamento di Gesù i cui segni, prodigi e parole si affermano contro tutto l’universo di male che Egli incontra lungo la sua esistenza terrena fino a prenderlo su di sé. Gesù è perciò partecipe di questo dolore dell’uomo, almeno a tre livelli tra loro chiaramente collegati: nel suo insegnamento (pensiamo alla vicenda del padre e dei due figli in Lc 15,11-32), nel suo apostolato (ci viene in mente il rammarico di Gesù su Gerusalemme incapace di ascoltarlo e accoglierlo: Mt 23,37 e Lc 13,34), quindi nel suo sacrificio preparato da un progressivo rifiuto da parte delle strutture sociali e religiose del suo tempo (cf. i quattro racconti della Passione). La partecipazione di Gesù è perciò completa ed è superfluo ogni commento a quel tipo di sofferenza che Egli subisce e con la quale conclude la sua vita terrena. È davvero il 162 “Dio debole” che prende la nostra precarietà su di sé. Si tratta di un’assunzione dettata da obbedienza del Figlio al Padre sulla quale deve modellarsi la risposta dell’umanità che crede e spera. In Maria ciò si esplicita visibilmente: la sua risposta consenziente, il suo sì accompagna tutta la sua esistenza sin dall’Incarnazione, evento che responsabilizza la Chiesa nell’accogliere la Parola nel contesto attuale dove non sono pochi i pericoli e i rifiuti. Nella sua piccola, ma densa opera Il Rosario, H. U. von Balthasar individua questo carattere ecclesiale dell’Incarnazione, evento nel quale «viene alla luce l’inesplicabile paradosso della vita cristiana, per cui il cristiano deve addossarsi ogni giorno la propria croce per risorgere ogni giorno con il Signore, morto sulla croce».230 Si attua perciò una circolarità di fondo secondo la quale il sì di Maria è un dono di grazia che discende dalla Croce (e qui si riecheggia il dogma dell’Immacolata Concezione: i meriti del Cristo morto e risorto) e, per altro verso, la Croce deve rendersi debitrice del sì di Maria. In altre parole, chiarificando ulteriormente, possiamo prendere il concetto di assunzione che, prima di essere l’evento finale della vita di Maria, rappresenta l’evento iniziale della vita del Figlio, evento nel quale Egli è una carne con la Madre come carne dell’intera umanità. 230 H. U. VON BALTHASAR, Il Rosario, Ed. Jaca Book, Milano 1984, 81. Ci permettiamo qui di rinviare ad un nostro contributo dal titolo Il sì di Maria nella prospettiva di H. Urs von Balthasar, in Miles Immaculatæ 37 (2001), 435-473. In esso abbiamo illustrato questo carattere dell’obbedienza proprio della Vergine Maria in stretta connessione con la cristologia di fondo propria del pensiero del teologo svizzero. 163 Insegnamento e speranza L’immagine di Maria presso la Croce diviene occasione di riflessione che l’uomo può fare dinanzi alla sofferenza. Vissuta e sperimentata da Maria, questa situazione – così profondamente umana – permette all’uomo di considerare come anche la rappresentante dell’umanità più vicina ed immersa totalmente nelle cose di Dio non è stata sottratta alla prova. Il credente, quindi, ripartendo da questa scena di condivisione che l’evangelista Giovanni ci presenta e sostenuto dalla fede, può sfuggire ai tarli insidiosi della disperazione e del pessimismo. Resta tuttavia il popolo di coloro che non credono, e che rappresenta un fattore di provocazione che obbliga i cristiani a motivare la loro fede in un Dio rivelatosi come buono in un mondo dove il male sembra avere la meglio: Dio o il male? Questo resta un motivo di disputa. Il problema, a nostro avviso, sta nel mantenere una maturità di fondo capace di non gravare ulteriormente su situazioni, a volte, al limite del vivibile, come – ad esempio – insistere sull’identificazione del male (provocato da sciagura o da malattia) con un castigo dal peccato commesso. Si tratta di una semplificazione superficiale e molto pericolosa. Una di tali situazioni è appunto quella in cui si trova Maria presente alla morte del Figlio situazione di estrema sofferenza che incide con forza nella sua persona. Tutta la consistenza della parola venuta ad essere segno di contraddizione, rovina e resurrezione (cf. Lc 2,32) è lì concentrata; tuttavia, dalla Croce scaturiscono vita e salvezza, in modo che solo Dio conosce. La Croce si configura perciò evento di compartecipazione estrema 164 da parte di Dio alla sofferenza dell’uomo: estrema tanto nello spessore e nella gravità, quanto nel suo esito ultimo di liberazione. Croce salvifica quindi che denota anche il peso e il carico ‘leggeri’, di cui parla Gesù riferendosi alle nostre croci quotidiane (cf. Mt 11,30 e 16,24). È impossibile fare a meno della Croce salvifica, in quanto si finisce per deprezzare l’intera esistenza umana. Se la Croce, pur restando dolorosa e contraddittoria, è apportatrice di vita ciò significa che essa scuote e mette ordine al nostro disordine ricordandoci la nostra vocazione di discepoli: uomini e donne che devono riconoscersi e comportarsi come figli della luce (cf. Gv 12,36 e I Ts 5,5) soprattutto in contesti di tenebra dove tutto sembra perduto. Luce che è speranza tale da legittimare e favorire la nostra apertura verso un futuro di realizzazione e liberazione che trova in Cristo il compimento ultimo. In tutto questo dinamismo, Maria è davvero la Donna della Speranza, non solo come Madre di Colui che è l’Uomo perfetto, ma come via di chiarificazione in contesti che tentano di affermare la morte sulla vita: è Lei la madre di un giovane innocente condannato ingiustamente e la sua presenza fa sì che questo Figlio non muoia totalmente solo. Una presenza, dunque, che ogni persona – credente o lontana – può esercitare accanto ad un letto di ospedale oppure vicino ad un fratello/sorella lacerato/a interiormente. In tal senso si comprende il potere di mediazione partecipato da Cristo all’umanità:231 mediazione che si traduce in vera e propria benedizione di cui Maria stessa è segno. Attraverso di lei 231 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 62, in EV 1/437. 165 è possibile vedere come «Dio bene-dice che tu ci sia; egli vuole che la tua vita riesca; egli è con te lungo tutte le strade della tua vita tanto nei momenti belli quanto in quelli difficili».232 Essere assidui, ‘aver cura di…’ fa intuire una religiosità che potremmo definire ‘pre-confessionale’ (cioè che precede ogni appartenenza cultuale-ecclesiale specifica: cattolica, protestante, ecc.) in cui il legame è inteso come sollecitudine/servizio dell’uomo verso l’umanità e qui l’esempio di Maria di Nazaret. In merito, appare significativo il fatto che una delle due Collette proposte nel formulario della S. Messa a Maria, Madre della santa speranza233 ponga Maria quale aiuto non soltanto ai disperati, ma anche a coloro che sono oppressi dal tedio della vita (talvolta causato dal troppo e colpevole benessere che rende sordi e ciechi verso le necessità altrui). Non di rado quest’ultimo può generare atteggiamenti di peccato, oppure ispirati dal pessimismo che distrugge (di qui le domande: “che viviamo a fare”, oppure “che vale essere buoni”, ecc.). «Ecco la tua madre!»: consegnandoci Maria quale madre, Cristo – perfetto conoscitore dell’uomo attraverso la sua Incarnazione e la sua Passione e compagno di strada delle nostre esistenze spesso tortuose (come accade nell’episodio di Emmaus in Lc 24,13ss) – ci affida questo ulteriore impegno: accanto al portare la Croce ci addita lo stile con il quale compiere tale atto. Stile che è la condivisione: essa rende meno 232 M. KEHL, «E Dio vide che era cosa buona». Una teologia della creazione, Queriniana, Brescia 2009, (or. ted. 2006), 94. 233 Cf. CEI, Raccolta delle SS. Messe della Beata Vergine Maria, formulario 37, LEV, Città del Vaticano 1987, 121. 166 traumatico il dolore e, non poche volte, il passaggio da questa all’altra vita. Conclusione Maria, che assolve pienamente la missione di discepola, ci pone dinanzi la nostra vocazione iniziale: manifestare la grandezza di Dio per tutti. In questo sta la nostra collaborazione al piano della salvezza che guarda a Maria, Madre del nostro Redentore. Collaborazione che, prima di essere un vero e proprio comportamento di natura morale, discende dal nostro essere stati creati ad immagine e somiglianza di un Dio che nel tempo si è servito della nostra fragilità per elevarla alle sue altezze. In questo, la Vergine presso la Croce ha molto da insegnarci: l’accoglierla, come ha fatto il discepolo amato, fra le sue cose più preziose (cf. Gv 19,27) è per tutti un ripercorrere costantemente il sentiero di vita che il Signore rappresenta contro ogni sorta di male che possiamo toccare con mano o vedere nel volto di chi ci sta accanto. 167 20 Maria: Distacco o Unità? La grandezza e l’importanza della Vergine Maria, viste nella loro globalità, non possono prescindere da un costante radicamento nel mistero del Dio Uno e Trino. Ciò permette di rendere ragione di quelle situazioni di forte difficoltà che si inscrivono nell’esistenza umana di questa donna condotta nel quotidiano contatto con il dono che il Padre, per opera dello Spirito Santo, le ha elargito: quello del suo unico Figlio. Un preludio paolino Fra i tanti testi prodotti da S. Paolo o legati alla tradizione che porta il suo nome, finalizzati a tratteggiare la figura del Cristo (del quale l’apostolo ha avuto il singolare incontro sulla strada di Damasco), un ruolo particolare riveste l’inno di Fil 2,6-11. Molto è stato scritto in ambito esegetico,234 ma tratto comune delle varie voci e posizioni resta il fatto che, in poco più di 5 versetti, ci viene presentato tutto l’itinerario esistenziale e terreno del Signore. Si tratta di un itinerario nel quale, 234 La vastissima letteratura esegetica obbliga a operare scelte. Per questo nostro contributo ci siamo valsi di tre autori: R. PENNA (Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone, Città Nuova, Roma 2002, spec. pp. 43-57), G. FRIEDERICH (AA.VV., Le lettere minori di S. Paolo, Paideia, Brescia 1980 (or. ted. 1962), spec. pp. 207-213) e J. GNILKA (La Lettera ai Filippesi. Testo greco e traduzione. Commento di J. Gnilka, Paideia, Brescia 1972 (or. ted. 1968), spec. pp. 201-219). Citeremo l’autore e la pagina nelle note. 169 tuttavia, è coinvolta direttamente l’umanità, tanto dall’Incarnazione quanto dall’inserimento battesimale in Cristo. Il testo è di fondamentale importanza per comprendere il profondo e dinamico legame che l’umanità mantiene con il suo Signore e Salvatore. Di esso segnaleremo alcuni elementi utili al nostro discorso. Il «canto celebrativo in onore di Cristo»235 è diviso sostanzialmente in tre parti: l’identità divina (v. 6) – il progressivo abbassamento fino alla Croce (vv. 7-8) – l’esaltazione gloriosa (vv. 9-11), ma esso prende le mosse dal v. 5 in cui un indebito inserimento di un verbo non rende ragione del messaggio teologico sottostante. Difatti la traduzione più nota è «Abbiate in voi stessi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù», ma in realtà i sentimenti da manifestare sono quelli di coloro che vivono in Cristo, degli uomini rinnovati a causa di una condizione nuova, quella battesimale.236 Il messaggio è perciò di natura piuttosto ontologica che comportamentale: con Cristo c’è un nuovo modo di essere e pensare e, in tal modo, cristologia e parenesi sono per l’apostolo collegate.237 Per rendere il significato il testo suonerebbe così: «Abbiate tra voi i sentimenti che pure convengono a chi vive in Cristo».238 Riportiamo qui l’espressione utilizzata da R. Penna che, in questo testo, non vede una conformità alle regole retoriche classiche. R. PENNA, Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone, 45. 236 Cf. R. PENNA, Ibidem. Friedrich considera probabile che l’inno venisse cantato durante celebrazioni battesimali a ricordare la nuova esistenza in Cristo. Cf. G. FRIEDERICH, Le lettere minori di S. Paolo, 209. 237 Cf. G. FRIEDERICH, Le lettere minori di S. Paolo, 209. 238 R. PENNA, Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone, 43. 235 170 Gesù quindi è protagonista attivo in tutta la parte iniziale del testo (almeno fino al v. 8): è Lui a non volersi ripiegare in quello status che gli è proprio da sempre. La condizione divina determina la singolarità dell’azione compiuta da Gesù di non aggrapparsi egoisticamente al suo essere divino ed è questa la base dell’unicità e drammaticità del suo gesto descritto nei vv. 7-8 e che, consistendo in una progressiva discesa, è compiuto sulla base dell’umiltà che conduce il Cristo a svuotarsi (ekénōsen) ma chiaramente non da abbandonare il suo modo d’essere divino. Il novum del cristianesimo ed il suo carattere di scandalo sono proprio qui: un disegno divino di riunificazione del distacco tra l’uomo e Dio attuato con un abbandono da parte di Dio che, nella persona di Cristo, non si autocompiace di quanto possiede.239 L’ingresso nell’umanità già inaugurato con l’Incarnazione conosce ora un’ulteriore specificazione: facendosi piccolo, umiliandosi in spirito di obbedienza fino a discendere al rango degli schiavi destinati ad un supplizio infame come la Croce, Gesù tocca direttamente ed in prima persona l’abisso di derelizione. Ma proprio allo schiavo, al tempo in cui scrive Paolo viveva un’esistenza marginale, erano affidate talvolta missioni di assoluta fiducia240 ed ecco allora a partire dal v. 9 un rovesciamento di posizioni: il Gesù attivo che si svuota riceve ed è fatto oggetto di ogni onore ogni viene ora 239 Cf. J. GNILKA, La Lettera ai Filippesi, 211. Più avanti (p. 219) lo stesso autore nota che la kenosis non è proposta all’imitazione, ma è il nucleo stesso dello svelarsi dell’essere divino. 240 Cf. R. PENNA, Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone, 50. L’esegeta italiano fa qui riferimento a testi come Gen 24, Is 42,17;49,1-6, 50,4-10 e 52,13-53,12. 171 sovra esaltato ricevendo da parte di Dio il nome e tutto un corale atteggiamento di sottomissione cosmica. Anzitutto il nome che riveste nell’ambito della teologia veterotestamentaria un’importanza capitale, tale da esprimere l’essenza e la dignità di chi lo porta. A colui che si è svuotato è donato un nome che è quello di Kyrios (= Signore). «La consegna del nome – osserva Friedrich – rende nota al mondo la sua intronizzazione e così il mondo conosce ciò che è accaduto. Trapela a questo punto il significato salvifico dell’evento Cristo»,241 sebbene non ci sia un accenno diretto alla resurrezione. Ciò che interessa maggiormente è l’evento di trasformazione che Cristo ha portato ponendosi dalla parte dell’uomo distaccato, separato da Dio e iniziando la sua opera di ricostruzione percorrendo fino in fondo la strada della separazione sposando quel segno negativo che è proprio del peccato che allontana l’uomo da Dio. In tal modo, si è reso ultimo con gli ultimi non estinguendo il tempo dell’umiliazione, ma facendo di quest’ultima la strada più certa dell’esaltazione e per l’intero cosmo, ha donato tutta la ricchezza della redenzione. Dal Cristo alla Madre L’ingresso di Cristo nel mondo condiziona e determina in modo incisivo la vita di coloro che gli sono accanto. La Sacra Famiglia si trova, cioè, a fare i conti con una grande responsabilità: accogliere il bambino (cf. Mt 1,18-25) e proteggerlo dal male incombente e minaccioso (cf. Mt 2,13-23). 241 172 G. FRIEDERICH, Le lettere minori di S. Paolo, 212. Dio quindi chiede una risposta provocata e dettata dalla sua presenza. Risposta che lascia libero l’uomo di ripiegarsi colpevolmente sui propri limiti, oppure di far proprie le esigenze che Egli, con la sua Parola, mette in campo. Presenza quindi determinante che si viene a concretizzare nell’immagine della spada242 che trafigge l’anima di Maria (cf. Lc 2,35b) e, in extenso, quella del credente dotato di una fede matura e responsabile. La spada, entrando in profondità nel contesto umano (cf. Eb 4,12), conseguentemente all’Incarnazione, obbliga l’uomo ad un ripensamento di sé, ma proprio attuando tale processo di riflessione e conversione gli è possibile conseguire quella superiorità che proviene dalla redenzione. Come abbiamo visto in Fil 2,6-11, il Cristo, «autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,2), vive in prima persona e con la sua kenosi, la dialettica di separazione-unificazione e chiama in causa direttamente la Madre, proclamata ‘beata’ in forza della fede (cf. Lc 1,45). Fede paradigmatica che si costruisce e si alimenta di tutti quei caratteri più controversi per l’uomo che la Parola porta con sé. In Maria, fede ed obbedienza esemplari si incontrano e costituiscono la familiarità con la Parola descrittaci da Benedetto XVI nell’esortazione apostolica Verbum Domini nei seguenti termini: «(Maria) parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio. Così si rivela inoltre che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che 242 Rinviamo qui per un approfondimento al profondo ed ampio studio di A. M. SERRA, «Una spada trafiggerà la tua vita». Quale spada? Bibbia e tradizione giudaico-cristiana a confronto, Servitium-Marianum, Palazzago-Roma 2003. 173 il suo volere è un volere insieme con Dio»243. Appare chiaro che all’interno dei pensieri e del volere di Dio è inclusa tutta una pedagogia di cui Egli si serve per la maturazione dell’uomo, non escludendo momenti forti e prove. Tenendo ben presenti gli atteggiamenti di Maria nei confronti della Parola è possibile accostare alla spada che penetra in Lei, nel credente e nella Chiesa almeno altre due figurazioni molto significative che provengono dal testo sacro: la porta stretta e la via angusta (cf. Mt 7,13ss e Lc 13,24ss). Entrambe trovano il loro compimento nella persona di Cristo (porta delle pecore: Gv 10,7 e via al Padre: Gv 14,6): è Lui, con la sua esistenza, a chiedere lealtà e responsabilità di scelta coerente che sappia collegare fede e testimonianza attiva e concreta. A nulla serve ritenersi discepoli o amici (cf. Lc 13,26-27) se poi non si è in grado di far proprio quell’insegnamento che Egli ci ha lasciato nei termini di sofferenza non fine a sé stessa, ma attuata per quell’amore che rinnova radicalmente l’uomo (cf. I Pt 2,21-25). L’abbassamento voluto e scelto da Cristo diviene eredità lasciata ai discepoli prima fra tutti la Madre che si trova a vivere il distacco con il Figlio, distacco caratterizzato dai momenti che conosciamo dalla Scrittura e dalla tradizione orante della Chiesa.244 La kenosi diviene perciò, in ultima analisi, indice di conformazione del credente a tutto un cammino compiuto da Cristo per una piena e duratura 243 BENEDETTO XVI, Esortazione Apostolica Postsinodale sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa Verbum Domini (30 settembre 2010), n. 28, in EV 26/2269. 244 I ‘misteri dolorosi’ del S. Rosario possono esser considerati altrettanti momenti di distacco di Maria da Cristo imposti dal piano di Dio che supera i bisogni e gli affetti dell’uomo (cf. Mt 8,18-21). 174 realizzazione dell’uomo: divisione, separazione, allontanamento che non hanno la pretesa di essere eterni, ma sono mezzi attraverso i quali si consegue l’ingresso nel Regno apertoci dal mistero pasquale e caratterizzato da gioiosa comunione. Conformazione e adesione al mistero sono la sostanza della fede: impegno faticoso non solo perché il mistero di Dio eccede le capacità dell’uomo, ma perché provoca, mette in discussione, obbliga talvolta anche ad abbandonare anche le sicurezze più legittime dell’uomo in vista di un quid di incomparabile importanza e beneficio. Questo rende santi e beati in forza di un consapevole e costante impegno che vediamo esplicitato in Cristo e in sua Madre. Maria per noi oggi All’abbassamento del Figlio, così efficacemente e sinteticamente descritto da S. Paolo e che poi vediamo nel dettaglio nei Vangeli, corrisponde e su di esso si modella l’itinerario di Maria contraddistinto dal duplice legame: affettivo e discepolare. Itinerario che viene scandito da momenti di gioia e di smarrimento, laddove l’incomprensione genera la lontananza. Basterebbe pensare al ritrovamento nel Tempio quando ad una domanda sofferta Maria (e Giuseppe) ricevono una risposta spiazzante. L’evangelista Luca annota: «Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro» (Lc 2,50). Se Gesù entrando nel mondo provoca discussione, sconcerto perché mette a nudo l’uomo (tale è in fondo la sostanza della profezia di Simeone) e se il credere in Lui non è un impegno semplice evocando, a volte, un procedere contro corrente o addirittura un andare ‘contro l’uomo’, tutto questo aumenta di spessore e di 175 significato quando si contempla l’esistenza della Vergine Madre. Si è dinanzi ad una vera e propria esistenza teologica, capace cioè di poter fare un discorso su Dio in quanto Egli l’ha scelta e costituita per tracciarvi un’orma indelebile. Se Maria può parlare la Parola di Dio, ciò è possibile in forza di un’azione divina che copre tutti i tempi dell’uomo, la stessa azione che all’inizio dei tempi forma l’uomo in perfetta comunione con Lui. Quest’ultima, sappiamo, si indebolisce gravemente in Adamo, ma si mantiene inalterata nella Vergine: all’idolatria si contrappongono efficacemente l’obbedienza e l’accoglienza del mistero. Da sempre la coscienza credente vede ed onora Maria quale creatura immacolata ed assunta e giustamente colloca la ragione ultima di tali eventi di singolarità nell’unica fonte di grazia e gloria che è il Dio Padre, Figlio e Spirito. Su questa base ecco che, sin dai Padri antichi, Maria viene contrapposta ad Eva a motivo della sua conformità al disegno di Dio che le concede di essere Madre del suo Unigenito. Questo disegno, ci ricorda la bolla Ineffabilis Deus (1854), determina il suo statuto di purezza ed esenzione dal peccato dei progenitori.245 Ma tutta la vicenda esistenziale di Maria rende ragione dell’elemento di ‘distacco’ collocato all’interno del 245 «Dio, fin da principio e prima dei secoli, scelse e preordinò al suo Figlio una madre, nella quale si sarebbe incarnato e dalla quali poi, nella felice pienezza dei tempi, sarebbe nato; e, a preferenza di ogni altra creatura la fece segno a tanto amore da compiacersi in lei sola con una singolarissima benevolenza […] Così ella, sempre assolutamente libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, possiede una tale pienezza di innocenza e santità, di cui, dopo Dio, non se ne può concepire una maggiore…», PIO IX, Ineffabilis Deus, in Enchiridion delle Encicliche (= EE), Dehoniane, Bologna 1996, 2/739. 176 mistero di Dio e questo va a toccare un atteggiamento tipicamente umano. Il peccato iniziale descritto in Gen 3 è la disobbedienza (mossa da idolatria) ad un divieto di Dio di avvicinarsi a qualcosa di attraente e risolutivo, ma tale divieto è parte integrante di un dono cosmico e vitale offerto da Dio all’uomo tale da determinarne l’armonica comunione con Lui. Fare a meno di questo salutare distacco, scegliere sostanzialmente una via breve provoca la perdita irreparabile. Torna allora l’immagine della porta ampia e spaziosa che, non richiedendo sacrificio, a nulla serve se non a provocare un fallimento. In Maria, modellata sull’esistenza del Figlio avviene tutto il contrario: i momenti di smarrimento, di lontananza che si assommano e che aumentano nella loro densità non vengono rifiutati o stoltamente aggirati, ma accolti. Giovanni Paolo II nella sua enciclica Redemptoris Mater sottolinea, in linea con il Vaticano II, questo itinerario della fede in cui, ad un certo punto, compare l’elemento del distacco: esso, come costitutivo del disegno di Dio tutto racchiuso nel Figlio, aumenta gradualmente fino alla Croce, luogo in cui splende la fede-speranza di Maria che si trasforma in realtà gioiosa con la resurrezione.246 Il distacco, la kenosi, la separazione da una condizione solo gloriosa sono i tratti tipici del nostro Dio che, per essere tale, non può non raccogliere i nostri fallimenti e non può eliminare dalla nostra esistenza una Via Crucis fatta di situazioni che noi non vorremmo: dapprima la passione-morte più volte annunciata, quindi il calice del Getsemani sono realtà che non possono essere 246 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 26, in EV 10/1348. 177 esorcizzate quando si presentano nella nostra esistenza, altrimenti si cade in un’illusoria e peccaminosa onnipotenza e, come Pietro, si pensa «non come Dio ma secondo gli uomini» (Mt 16,23). Allargare gli orizzonti dell’uomo attraverso la considerazione attenta del distacco e della sofferenza è un altro dei compiti attuati del Signore: non soltanto la salvezza, ma il passaggio da una sfiducia tutta naturale e legata ai fatti ad una fede gioiosa che deriva dal significato più profondo di quei fatti (cf. Lc 24,13ss). Nella sua esistenza, Maria ci mostra come il credente deve considerare attentamente il ‘caso serio’ della propria fede e da esso far discendere le scelte ed i comportamenti della propria esistenza, ispirandosi a Colei che affronta sotto la Croce la tragedia che si sta compiendo e che si compie negli ultimi dell’umanità.247 Qui si colloca l’insegnamento più fecondo della Sedes Sapientiæ, di Maria che porta in sé e ci addita una sapienza che oltrepassa i confini e i parametri di questo mondo spesso dettati dal disimpegno alimentato dall’idolatria e dall’egoismo. Conclusione La singolarità del cristianesimo risiede nel carattere paradossale dell’evento rivelativo248 per il quale Dio si serve di molteplici mediazioni, non di rado lontane da quanto l’uomo si attende nei termini positivi di gioia e gratificazione immediate. Il realismo, lontano da 247 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Salvifici doloris, n. 31, in EV 9/685. 248 Sul tema si veda R. LATOURELLE, Teologia della Rivelazione, Cittadella, Assisi 1986, 508-511. 178 qualunque forma di facile ottimismo, proprio nostra fede è il fatto che noi crediamo in un crocifisso’,249 capace di conciliare i diversi aspetti vita umana, tra i quali la sofferenza/distacco comunione gioiosa. della ‘Dio della e la Scrive efficacemente J. Moltmann: «la religione della croce è in sé stessa contraddittoria, perché qui il Dio crocifisso è contraddizione. Accettarla significa […] acquisire l’identità con Cristo nella fede, rendersi anonimi nel proprio ambiente e ottenere un diritto di cittadinanza nella nuova creazione di Dio».250 Ritornando con la memoria al testo di Eb 7,26 («Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli…») ci si rende conto che la kenosi, la separazione ed il distacco vissuti soprattutto in contesti di sofferenza non vengono ignorati dal nostro Dio che, proprio per questo motivo, è necessario per noi («ci occorreva» secondo il dettato biblico): è il Dio Onnipotente e, al contempo, Servo che ricostruisce le antiche rovine (cf. Is 61,4) rendendo il suo stato simile ad esse. Un recupero di redenzione dell’uomo ad intra e sposando la sua drammatica situazione e che, fedele alla logica rivelativa, appare coinvolgente nei confronti dell’uomo. Un coinvolgimento graduale che trova nella presenza di Maria presso la Croce il suo vertice espressivo ed 249 L’espressione è quella di un famoso saggio di J. Moltmann. 250 J. MOLTMANN, Il Dio crocifisso, Queriniana, Brescia 1973 (or. ted. 1972), 55. 179 esemplare. Davvero la Madre del Signore, come ci ricorda il Concilio, «entrata intimamente nella storia della salvezza, riunisce in sé in qualche modo i massimi dati della fede».251 Una fede il cui contenuto è insieme gioioso ed impegnativo. 251 180 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 65, in EV 1/441. 21 La Vergine Maria: Creatura Responsabile dinanzi a Dio e agli uomini La responsabilità con la quale l’uomo riveste e compie le proprie azioni non è sempre indice di saggezza o oculatezza di giudizio. Nelle gravi difficoltà nelle quali il mondo oggi si trova ad essere sconvolto e che l’uomo pone irragionevolmente in atto, questo concetto di responsabilità copre anche atteggiamenti di doppiezza, o peggio di menzogna che gli garantiscono solo una passeggera e fragile realizzazione. L’esempio e la testimonianza di Maria dinanzi al suo Signore e ai suoi fratelli/sorelle può essere ancor oggi un modello valido. La responsabilità: cifra dell’uomo maturo Il concetto di responsabilità non è un’etichetta posta sull’uomo da agenti o fattori esterni alla sua vita, oppure un prodotto del contesto in cui egli vive; al contrario essa è una cifra con la quale l’uomo viene creato, cifra che abilita a rispondere all’appello di Dio. Sfogliando le pagine della Scrittura, nelle quali vediamo la proposta di Dio e l’accettazione (o il rifiuto) dell’uomo, ci rendiamo conto della particolare presenza di questa condizione di essere responsabile. Tale connotato appare già nei due racconti di creazione che, sebbene diversi per stile ed epoca di composizione, manifestano quella 181 complementarietà utile per comprendere lo statuto dell’uomo e la sua identità. Tutta l’umanità ormai formata ad immagine e somiglianza di Dio nei suoi due generi (uomo/donna) non si muove nell’anonimato, ma è inserita in una situazione e in un ambiente (cf. Gen 1,29 e 2,15). Situazione di scelta e ambiente del quale prendersi cura. A ciò si aggiunge – ed è questo il dato più importante – che in opposizione a tale anonimato emerge il concetto di persona esplicitato nella reciprocità di relazione: senz’altro fra i due sessi, ma anche verso Dio e il cosmo. In ogni caso tale relazionalità implica responsabilità, ossia atteggiamento di risposta matura e tale da produrre frutti di unità e comunione. La cifra della responsabilità va vista perciò in un’ottica di unità con… e unità per… ed è chiaro allora il legame esistente (anche sul piano lessicale) tra responsabilità e risposta di cui quest’ultima ne rappresenta la fondamentale positività. Ciò lo si nota, per contrasto, se si esamina da vicino il peccato dei progenitori che manifesta un carattere di irresponsabilità intesa come gesto di ‘non risposta’, poiché compromette il rapporto unitario tra l’uomo e Dio. Nella vicenda di Gen 3 abbiamo senz’altro l’inganno del serpente (vv. 1 e 4), ma l’azione e la scelta dell’uomo sono libere e coscienti e conducono al guasto che ben conosciamo: dicendo NO al divieto (cf. Gen 2,16-17), l’umanità rifiuta la totalità del dono e della vita. Infatti, il divieto del Signore non limita la libertà, ma la garantisce unitamente ad un pieno ed armonico rapporto dell’uomo con Dio e con il cosmo. Il «non mangiare» (v. 17) è il SÌ alla vita: rifiutandolo e capovolgendo l’ordine delle cose, ecco la disfatta. L’irresponsabilità è qui: con il comportamento dell’uomo 182 viene offuscata la sua capacità di uno sguardo limpido sulle cose e sul Creatore che derivava dall’armonia degli inizi. Da qui è possibile comprendere come il peccato – pur commesso con decisione e scelta – si colloca nell’ambito della negazione di una risposta che salvaguarda una fruttuosa comunione tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e i suoi simili ed il cosmo intero. Un effetto della distorsione operata dal peccato si ha nell’affermazione del pensiero mondano che fa a meno di Dio (quello che si chiama comunemente secolarismo) che conduce all’affermazione della logica del momento assai poco rispettosa dei bisogni umani e produttrice, al contrario, di quell’egoismo che sfrutta senza freno le ricchezze della terra. Abbagliato da una falsa e fragile realizzazione, l’uomo dimentica che, con tale condotta, è lui stesso ad essere offeso. L’essere «come Dio» (Gen 3,5) resta sempre la chimera dell’uomo, ossia un mostro che è privo di consistenza in quanto impossibile a realizzarsi e perciò informe progetto. Con un’altra immagine mitologica possiamo allora dire che l’irresponsabilità e la sconsideratezza, con cui l’uomo risponde a volte agli appelli di Dio e della natura che lo circonda, possono essere paragonati a Scilla e Cariddi che distruggevano i naviganti. Quanti genitori oggi si lamentano di figli irresponsabili e sconsiderati che non rispondono a richiami e segnali che suggeriscono vie sicure e non considerano i pericoli ai quali strade malsane conducono e tutto per una pretesa di emancipazione e libertà le stesse che si ritrovano nei progenitori in Gen 3! Proprio nel mare della sua esistenza, l’uomo deve tenersi lontano da questi pericoli ed agire preservando la comunione con Dio e con i suoi simili offrendo risposte che portino vita. 183 La risposta consapevole di Maria a Dio La responsabilità che Maria mostra lungo tutta la sua esistenza terrena, così come ce la presentano i Vangeli, ruota attorno al concetto di fede. Si tratta di un atteggiamento di profonda maturità che, pur essendo rivolto essenzialmente verso Dio, non manca di produrre i suoi frutti anche verso l’umanità. Nella tradizione teologica della Chiesa di tal binomio inscindibile si erano accorti, ad esempio, tanto Ambrogio Autperto († 781) quanto S. Bernardo († 1153) che, nel commentare la pagina dell’Annunciazione, avevano sottolineato l’attesa e la tensione fortissima manifestate dall’umanità in attesa della sua salvezza.252 Dal testo lucano in questione (cf. Lc 1,26-38) si nota la profonda serietà con la quale Maria pronuncia la sua risposta positiva, tale da cambiare le sorti dell’umanità. In tal senso la responsabilità e la consapevolezza di Maria sono significative di un rapporto con Dio che lei vive in duplice direzione: come essere singolare (Maria, vissuta a Nazaret in un luogo e in un tempo precisi) e come rappresentante di una umanità che, cosciente della grandezza di Dio, gli risponde in modo consono. Questo secondo livello ne fa un modello di risposta creaturale, ma ancor più, ci dice il Vangelo nel successivo episodio della Visitazione, la rende beata e benedetta in base all’apertura della mente e del cuore «all’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). Di queste parole e della loro densità Maria è completamente penetrata e alla gioia con la quale 252 Cf. AMBROGIO AUTPERTO, In Annuntiatione dominica II,3, in PL 39,2105-2106; S. BERNARDO, In Laudibus Virginis Matris. Homilia IV, 8, in ID., Opera omnia, Ed. Cistercensi, Roma 1966, vol. IV, 54. 184 risponde alla proposta di maternità corrisponde la serietà con la quale Ella sostiene l’impegno. Quelle parole e quegli eventi relativi al Figlio saranno per Lei oggetto di riflessione profonda e continua (cf. Lc 2,19.51b) per assaporare tutta la potenza del mistero di Colui che ha dato la risposta ultima all’umanità. Anche la singolarità e la storicità della Madre del Signore ci dicono qualcosa in ordine alla responsabilità che sigla la sua esistenza protesa verso Dio. Solo a Lei, sappiamo, è accaduto di divenire Madre del Signore, ma tale singolarità non l’ha tolta dalle coordinate storiche che lungo il tempo, presentano all’uomo problematiche e difficoltà simili e ricorrenti. La sintesi offerta dal documento della PAMI è indicativa in merito nell’affermare che «in Maria donna storica dal cuore indiviso e ignaro della discordia, si è resa viva e concreta la speranza dell’umanità che cerca un futuro di pace e di giustizia, di armonia e di fraternità».253 Abbiamo qui una raffigurazione di carattere comunitario nella quale coesistono due elementi: da un lato la Madre del Signore nella sua singolarità e dall’altro l’umanità itinerante ed in ricerca. Con un’immagine poetico-letteraria – quella della stella – non priva di una sua profondità teologica, S. Bernardo aveva avuto già questa percezione della storicità di Maria e del suo ravvivare la speranza dell’uomo. Pur condizionato dal pensiero e dalle categorie del suo tempo, l’autore cistercense scriveva quanto segue, in una pagina rimasta celebre e della quale riportiamo solo qualche passaggio: «O tu che nelle vicissitudini della vita più che camminare per terra hai l’impressione di essere sballottato tra tempeste e uragani, se non vuoi finire travolto 253 PAMI, La Madre del Signore, n. 48, 66. 185 dall’infuriare dei flutti, non distogliere lo sguardo dal chiarore di questa stella. Se insorgono i venti delle tentazioni, se ti imbatti negli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria […] Se ella ti sostiene non cadrai, se ella ti protegge non avrai nulla da temere, se ella ti guida non ti affaticherai, se ti sarà favorevole giungerai alla meta e così potrai sperimentare tu stesso quanto giustamente è stato detto: «e il nome della vergine era Maria».254 Maria è davvero la stella che è cosciente di brillare grazie all’onnipotenza del Signore che ha fatto in Lei grandi cose (cf. Lc 1,49) ma, come il Figlio, decide di essere responsabile serva, consapevole che la grazia di cui è stata ricolmata rende realizza pienamente la nostra libertà.255 La sua azione quindi non resta confinata in un rapporto privatistico con il Figlio, ma conosce quell’estensione tipica del progetto che Gesù, in obbedienza al Padre, vuole attuare per il mondo e l’uomo. Progetto chiaramente universalistico. La sollecitudine verso gli uomini In almeno due numeri della Lumen gentium – il 61 ed il 68 – il Concilio fa cenno al potere di intercessione che Maria continua ad esercitare anche nella gloria a beneficio del popolo di Dio. Una funzione che la Madre del Signore ha esercitato anche nella sua esistenza terrena e che non va ristretta soltanto ad una generica protezione o ad una richiesta di qualche particolare favore al Figlio. 254 S. BERNARDO, In Laudibus Virginis Matris. Homilia II,17, in ID., Opera omnia, vol. IV, 34-35. 255 Cf. 210° CAPITOLO GENERALE DEI SERVI DI MARIA, Servi del Magnificat, n. 97, Curia Generalizia OSM-Servitium. Roma-Sotto il Monte 1995, 169. 186 Anche nell’episodio di Cana (cf. Gv 2,1-11) abbiamo un’osservazione («Non hanno più vino», v. 3) ed un invito («Quanto vi dirà fatelo», v. 5), non una richiesta. Osservazione pratica di una persona che vive all’insegna della concretezza ed un invito che conduce a rinsaldare la fede nell’Onnipotente. Ad una prima e superficiale lettura del testo giovanneo Maria sembra essere posta tra Gesù ed in servitori quasi a mediare i due poli. In realtà il suo è un atteggiamento di profonda conformazione ad una dinamica di servizio il cui centro è tutto condensato in Cristo ed è a Lui che Ella rinvia tutti coloro che, nel tempo, ricercano risposte. Un discorso analogo può essere fatto per un altro significativo episodio, quello della Visitazione: ricevuta la Parola e plasmata dallo Spirito, Maria se ne fa portatrice, ma anche strumento. Di lei infatti questa Parola si serve per farsi conoscere come causa di gioia anche per coloro che ancora non sono nati (cf. Lc 1,41). Tutto questo sotto il segno della profonda consapevolezza e responsabilità ed in merito così si esprimeva S. Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1995: «(Maria) visse con profondo senso di responsabilità il progetto che Dio intendeva realizzare in lei per la salvezza dell’intera umanità. Consapevole del prodigio che Dio aveva operato in lei, rendendola Madre del suo Figlio fatto uomo, come primo pensiero ebbe quello di andare a visitare l’anziana cugina Elisabetta per prestarle i suoi servizi. L’incontro le offrì l’occasione di esprimere, col mirabile canto del Magnificat (Lc 1,46-55) la sua 187 gratitudine a Dio che con lei e attraverso di lei aveva dato avvio ad una nuova creazione, ad una storia nuova.256 Al centro di entrambi gli episodi, quello di Cana e quello della Visitazione, perciò ritroviamo l’Artefice dell’unità cosmica ed umana, come anche l’Uomo perfetto che chiede ai suoi fratelli/sorelle di mantenere e salvaguardare questa comunione. Compito di grande responsabilità, quindi, che viene suggerito da Maria felicemente chiamata da Paolo VI ‘vertice della creazione’.257 L’assenza di qualsiasi bruttura o deformazione della sua persona è frutto della continua azione di grazia che il Signore effonde sull’umanità per invitarla a non stancarsi mai nella sua ricerca. In Maria questa grazia è del tutto particolare, ma nonostante ciò, la giovane nazaretana resta sempre appartenente alla nostra umanità come proposta di conformazione al progetto di rinnovamento voluto dal Figlio. Rifiutare questa proposta conduce inevitabilmente alla solitudine con il proprio limite. Conclusione Il nostro compito è essenzialmente il passaggio dall’accoglienza della Parola al trarne tutta la ricchezza come tesoro prezioso sepolto nel campo del mondo 256 GIOVANNI PAOLO II, La donna educatrice di pace. Messaggio per la XXVIII Giornata mondiale della Pace (1 gennaio 1995), in Insegnamenti, LEV, Città del Vaticano 1996, vol XVII/2, 1015. Il discorso è stato redatto in data 8/XII/1994. 257 Si tratta di un’espressione oltre che di epoca anche di sapore conciliare essendo stata usata da Paolo VI durante un’Udienza generale datata 24 marzo 1965. Essa figura nel III volume degli Insegnamenti a p. 889. 188 dove senz’altro è presente il male, ma dove esso non prevale sul frutto di questo buon seme. La nostra responsabilità è scegliere la parte migliore che resta, come per la sorella di Lazzaro e per la Madre del Signore,258 quel quid che non sarà tolto o consumato. Il vero tesoro incorruttibile è quello ed è di esso che si è vestita la donna di Ap 12, figura che unifica la comunità ecclesiale con la Figlia di Sion chiamata a gioire per la vittoria di Dio contro le potenze avverse che scandiscono a volte il nostro quotidiano. Facciamo notare che l’antica liturgia della S. Messa dell’Assunta aveva il testo di Lc 10,38-42 quale Vangelo del giorno. Molti scrittori ecclesiastici hanno intravisto, ora in Marta ora in Maria, una figurazione della Madre del Signore. 258 189 22 Maria collocata nell’eternità di Dio La solennità dell’Assunzione di Maria resta sempre un ulteriore motivo di gioia pasquale per il popolo cristiano soggetto alle avversità e alle difficoltà del suo cammino di vita. Pur rinviando ad un destino glorioso resta un evento che non elimina i legami con la vita terrena e con l’impegno del credente: in questo evento, Maria si conferma per la Chiesa modello concreto e virtuoso di vita cristiana, senza possibilità di fughe verso il disimpegno e la superficialità. Dalla mistica alla liturgia Nei suoi racconti di visioni, S. Maria Maddalena de Pazzi († 1607) si sofferma a meditare il testo di Lc 10,3842 nel quale compaiono le due figure di Marta e Maria di Betania, un evidente riferimento al testo che, un tempo,259 veniva proclamato nella Solennità dell’Assunzione, evento al quale il monastero fiorentino di S. Frediano era dedicato (S. Maria degli Angeli). Riportiamo alcune righe di questa visione nella quale notiamo l’accostamento della Madre del Signore a Maria sorella di Marta e di Lazzaro: «Non tanto bene stavon Marta e Maria insieme ministrando al’Verbo humanato, Sull’uso liturgico di Lc 10,38-42 nella solennità si veda E. CAMPANA, Maria nel culto cattolico, Ed. Marietti, Torino-Roma 1933, vol. I, 380-381. Tale assetto è stato mutato con la riforma liturgica successiva al Vaticano II. Cf. W. BEINERT (a cura di), Il culto di Maria oggi, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1984, 187ss. 259 191 quanto Maria in cielo fa l’uffitio di Maria Maddalena e di Marta: di Maria Maddalena godendo Dio e di Marta intercedendo per noi […] O Maddalena o Marta che sarebbe Maddalena senza Marta chiamata con vocabolo di otiosità e Marta senza Maddalena sarebbe una confusione […] O Maria, o Maria, o amorosa Maria. Sei assunta in cielo perché seguiamo le vestigia tua in terra. Quanto sei o Maria, gloriosa o gloriosa Maria! Maria è quella fonte segnata con quel sigillo immaculato del Verbo eterno, dove si dichiara vergine e madre, madre e vergine! Compiacimento della SS. Trinità. Va irrigando questo fonte tutto il’cielo, fruttificando nella terra letificando gli Angeli e refrigerando le anime del’purgatorio».260 Pur nell’arcaico italiano del XVI secolo comprendiamo alcune importanti tematiche sottostanti collegate dalla Madre del Signore: anzitutto la necessità di tenere collegati i due generi di vita tradizionali del cristianesimo, la vita attiva e quella contemplativa e ciò rinvia all’unità della persona impegnata su questa terra. In secondo luogo, la mistica fiorentina ribadisce la 260 S. MARIA MADDALENA DE’ PAZZI, Probatione (parte seconda), in ID., Opera omnia, a cura di G. AGRESTI, Firenze 1965 vol. VI, p. 201. Una considerazione importante sui fenomeni estatici di questa santa va fatta in quanto essi sono solitamente legati a celebrazioni liturgiche o a intense meditazioni della Scrittura, obbedienti al dettato della Regola di S. Alberto di Gerusalemme († 1214) che prescrive di meditare giorno e notte la legge del Signore Al n. 10 della Regola si legge infatti quanto segue: «Maneant singuli in cellulis suis, vel iuxta eas, die ac nocte in lege Domini meditantes», Regula Ordinis Fratrum Beatissimæ Virginis Mariæ de Monte Carmelo, in AA.VV., The Carmelite Rule 1207-2007. Proceedings of the Lisieux Conference 4 – 7 July 2005, Ed. Carmelitane, Roma 2008, 626. 192 predilezione di Maria da parte della stessa SS. Trinità che continua ad effondere benefici sulla terra. I due temi sono unificati non tanto da un artifizio umano frutto di speculazione e di ragionamento, quanto piuttosto dalla potenza della Parola di Dio che, secondo il testo di Lc 11,27-28, va ascoltata e attuata per poter conseguire la vera beatitudine. Questa Parola detta, ascoltata e attuata in quanto resa concreta da una persona, ha il potere di far nuove tutte le cose (cf. Ap 21,5). Proprio di novità si deve allora parlare quando abbiamo a che fare con la Vergine Santa che, giustamente la tradizione più antica della Chiesa ha considerato come la Donna nuova,261 resa tale da una volontà benefica assolutamente trascendente che, tuttavia, si fa uno di noi nel rispetto e nell’amore profondi verso la nostra fragile umanità. Segno e testimone viva di tale rispetto si colloca la Madre del Signore: la «beata perché ha creduto all’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45) e, per questo motivo, glorificata. Ma se la Parola promessa si è adempiuta nella persona di Cristo, Egli continua i suoi effetti nel tempo: la sua Parola ci interpella e provoca costantemente scuotendoci dalla pigrizia e dal disimpegno. Di conseguenza è possibile vedere in Maria il modello di servizio fattivo e gratuito così come ci viene presentato 261 Possiamo pensare, ad esempio, ad Anastasio I Antiocheno († 599) che nella sua Omelia I sull’Annunciazione (PG 89, 1377-1385) sviluppa questo tema partendo dall’antinomia Eva-Maria presente già in Ireneo e mostrando come, grazie alla presenza di Maria, «tutte le cose sono state restaurate secondo il proprio ordine». Il tema poi verrà ripreso lungo la Costituzione apostolica Munificentissimus Deus di Pio XII con la quale è stato proclamato il dogma nel 1950. 193 dall’episodio evangelico della Visitazione (cf. Lc 1,39-56) proclamato nel giorno della solennità dell’Assunzione. Prestando attenzione al testo evangelico, non si fa fatica a comprendere come i beni eterni ai quali si deve essere costantemente rivolti per condividere la gloria – così come ci ricorda la Colletta del 15 agosto – altro non sono se non la capacità di servizio modellata su quella del Servo del Signore del quale Maria è discepola perfetta.262 Immersi nella gioia e nel riposo estivo nei quali si inserisce la celebrazione di questa vitale verità di fede che ci apre ad un futuro carico di speranza, non deve mai porre in ombra l’impegno di una carità fattiva. Ciò nasce proprio dal confronto, costantemente ricorrente, tra l’uomo e la Parola. Parola impegnativa ed esaltante Mossi proprio da questo confronto, torniamo a considerare la Costituzione apostolica Munificentissimus Deus con la quale Pio XII proclamava il dogma dell’Assunzione dove troviamo almeno tre punti che ci devono far riflettere e che collegano il dettato della Rivelazione con la situazione del mondo. Anzitutto, soffermandosi sull’insegnamento dei Padri relativo alla verità dell’Assunzione, il documento di Pio XII fa cenno alla profezia della spada vaticinata da Simeone (cf. Lc 2,35) che si concretizza nell’evento della Croce.263 262 Il carattere del discepolato di Maria emerge variamente espresso nella Costituzione dogmatica conciliare sulla Chiesa. Cf., ad esempio, CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, nn. 56.58, in EV 1/430.432. 263 Cf. PIO XII, Munificentissimus Deus, in EE 6/1951. La costituzione si rifà qui alla II omelia dell’Encomio per la Dormizione di Maria scritta da Giovanni Damasceno († 749). 194 In secondo luogo, il documento giustifica che tale proclamazione si colloca in un contesto di estrema difficoltà dominato dal materialismo e dall’immoralità.264 Proprio questo ambiente così malsano spinge al ricorso a Maria; affermare perciò la sua Assunzione è salutare non soltanto per la gioia scaturita da tale verità di fede, ma ancor più per il fatto che la Parola, con la quale l’uomo deve confrontarsi, è parola che si è rivestita della nostra carne (carne di Maria) e l’ha fatta passare dalla morte alla vita. Si tratta sostanzialmente della dottrina dell’homo assumptus et redemptus: con l’incarnazione l’uomo che è stato accolto (assunto) da Dio è stato redento.265 Riprendendo poi un testo del grande S. Antonio di Padova († 1231), la Munificentissimus Deus specifica ancor più questo aspetto esprimendosi in categorie bibliche e proiettando tutto su Maria: «Come Gesù Cristo, dice il santo, risorse dalla sconfitta della morte e salì alla destra del Padre suo, così «risorse anche dall’Arca della sua santificazione, poiché in questo giorno la Vergine Madre fu assunta al trono della gloria»266 Da qui ricaviamo il terzo elemento: l’universo del male, della sofferenza e della morte e, in ultima analisi, dell’oscurità che attanagliano l’uomo sono state debellate 264 Cf. Ibidem, in EE 6/1972. Da ricordare che tale proclamazione si inserisce nel contesto di un Anno Santo. 265 Tutto il n. 22 della Costituzione pastorale conciliare Gaudium et Spes non fa altro che esplicitare questo rapporto fondamentale con l’uomo istituito da Dio attraverso Cristo. Troviamo questo tema, di origine patristica, ad esempio, nell’Omelia sulla Natività del Signore di S. Giovanni Crisostomo († 407). Il testo è in PG 56,385-394. 266 PIO XII, Munificentissimus Deus, in EE 6/1959. Il testo di S. Antonio è la sua Omelia sull’Assunzione di Maria, 3. Per il testo completo segnaliamo il volume dei sermoni del santo portoghese curata da G. Tollardo, Ed. Messaggero, Padova 2005. 195 dal Cristo Parola di vita sulle nostre esistenze. È senz’altro vero che viviamo come pellegrini, come ci ricorda la Lumen gentium,267 ma coscienti di una vittoria – quella di Cristo – che è dono trasformante a patto, tuttavia, di volerla e saperla accogliere. In questa dinamica esistenziale è possibile comprendere il significato più profondo della glorificazione di Maria, ossia di una creatura che fa della propria esistenza una condivisione totale con la vita del nostro Dio che non esita a discendere negli abissi della miseria umana. Superamento della contingenza La Madre del Signore così glorificata, ci ricorda ancora il Concilio, è segno di sicura speranza e consolazione per il popolo di Dio in marcia fino al giorno del Signore.268 Ma questo tempo favorevole, noi lo sappiamo, è già iniziato e, con esso, la possibilità per l’uomo di non sentirsi mai abbandonato dinanzi alle avversità che scandiscono, a volte, la nostra vita. Ancora una volta è possibile rileggere nella solennità dell’Assunta la profondità della nostra vocazione battesimale ben espressa ad esempio nella Super oblata della Messa vigiliare. Si tratta di una preghiera breve ma densissima che ci mette dinanzi la nostra carta d’identità cristiana: «Il sacrificio di riconciliazione e di lode, che ti offriamo, o Padre, nell’Assunzione della beata Vergine Maria, Madre di Dio, ci ottenga il perdono dei peccati e trasformi la 267 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, nn. 62.68, in EV 1/436.444. 268 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 68, in EV 1/444. 196 nostra vita in perenne rendimento di grazie. Per Cristo nostro Signore».269 Perdono dei peccati e trasformazione sono indici di una novità che supera le strettoie della creaturalità e del limite propri del nostro vivere: il cristiano deve muoversi entro queste coordinate. Novità che non viene data una volta per tutte ma sempre accompagna l’uomo a partire dalla sua creazione già prima della caduta iniziale dove l’armonia tra Dio e l’uomo è sovrana (cf. Gen 1-2). Maria è garante di questa armonia perché in lei essa è stata sperimentata a fondo e a lei tutta la Chiesa guarda non solo con la millenaria venerazione che conosciamo, ma con la certezza di un futuro di redenzione che, scaturendo da Cristo, si riversa sulla nostra umanità. Il trionfo della Madre del Signore non fa altro che conferire maggior splendore alla nostra veste battesimale e, per questo motivo, esige quell’impegno che Maria stessa in diversi eventi della sua esistenza ha mostrato nei confronti di Dio e delle persone a lei vicine. Possiamo allora tornare a quanto inizialmente ci diceva S. Maria Maddalena de’ Pazzi: la vita del cristiano non può soffrire sdoppiamenti e squilibri, ma deve svilupparsi in unitarietà e coerenza. Marta e Maria che godono della presenza del Cristo, loro ospite, rappresentano l’unità del credente, il corpo e l’anima, l’azione e la preghiera e sono proprio questi ad essere stati accolti in cielo, nella persona di Maria, da Colui che ha operato la riconciliazione.270 269 Messale Romano, LEV, Città del Vaticano 1983, 561. Su questo aspetto la Munificentissimus Deus afferma: «Sembra quasi impossibile figurarsi che, dopo questa vita, possa essere separata da Cristo – non diciamo con l’anima, ma neppure col corpo 270 197 Maria è garante di questo miracolo che nasce dalla Pasqua e sta a noi, nonostante le nostre debolezze, ispirarci a quanto la Madre del Signore rappresenta per l’umanità nella quale l’intera Chiesa è collocata come seme di vita. Conclusione Il culto e la venerazione a S. Maria non possono ridursi a sterili sequenze di parole o pratiche disincarnate, ma devono essere nutrite e sorrette dal binomio che l’apostolo Giacomo colloca al capitolo II della sua lettera. Esso è costituito dalla fede e dalle opere (cf. Gc 2,14-26). Su questa base ecco che l’apostolo pone a confronto due personaggi Abramo e Raab: il primo sostanzialmente buono e la seconda peccatrice, ma per entrambi appare una trasformazione in atto che prende il nome di giustificazione, ossia un processo che ci pone in stretta comunione con Dio, con la sua gloria. Questo fa riflettere attentamente sui nostri atteggiamenti guardando alla Madre del Signore che è stata glorificata per la convergenza di questi due elementi. Ella può cantare le meraviglie del Signore che l’ha guardata nella sua umiltà (cf. Lc 1,48), ma costante è stato il suo impegno nel mantenere aperta la sua persona all’onnipotenza di Dio. Questa è la richiesta che deve accompagnarsi al nostro ricordo gioioso di Colei che ci ha preceduto presso il Figlio. – colei che lo concepì, lo diede alla luce, lo nutrì col suo latte, lo portò fra le braccia e lo strinse al petto», PIO XII, MD, in EE 6/1968. 198 23 Cooperazione e Servizio al disegno di Dio La Vergine Maria si affaccia nella storia sotto il segno del servizio attivo alla causa del Vangelo: la sua maternità, tanto fisica verso Cristo quanto spirituale a favore dei cristiani, è segno del più perfetto inserimento della nostra umanità nel disegno di Dio. Egli non agisce, per così dire, in proprio, ma si rivela e coinvolge l’interlocutore ed è questa la caratteristica con la quale è possibile vedere tutta l’esistenza del discepolo in un’ottica mariana. La missione di Maria nel mistero di Cristo La vicinanza dell’uomo a Dio rinvia al suo essere stato creato a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,27) e colloca la nostra umanità e le nostre migliori potenzialità e capacità all’interno di un progetto ed in un’ottica di collaborazione (cf. Gen 1,28-31). Da qui scaturisce tutta una teologia del lavoro che la Chiesa non soltanto fa propria nella sua dottrina sociale, ma che diviene preghiera.271 Appare chiaro che, scorrendo le varie pagine della Scrittura (e le diverse epoche che esse comprendono), tale situazione favorevole per l’uomo 271 Il Prefazio comune IX riporta queste parole: «soprattutto nell’uomo creato a tua immagine, hai impresso il segno della tua gloria. Tu lo chiami a cooperare con il lavoro quotidiano al progetto della creazione….», Messale Romano, LEV, Città del Vaticano 1983, 376. 199 non sempre è accolta e resa concreta con un’adeguata condotta. Ciò accade perché la collaborazione con Dio è esigente, ma ciò che l’uomo non riesce a comprendere è il valore trasformante che tale collaborazione può produrre. Tuttavia se viene ben incanalato e sorretto dalla grazia, l’uomo può godere pienamente dei benefici del Signore a prezzo tuttavia di un impegno. Il comando e l’esortazione a portare il carico che Gesù, come ‘suo’, definisce leggero (cf. Mt 11,30) si collocano sempre all’orizzonte della vita dell’uomo. Ciò appare indubbiamente un paradosso e la Pasqua di Morte e Resurrezione attuata dal Figlio di Dio lo evidenzia in toni molto precisi: la salvezza cristiana si attua con il passaggio per la porta stretta, perché quella larga e comoda non serve a nulla, se non a perdersi (cf. Mt 7,13 e Lc 13,24). Rivestirsi del Crocifisso-Risorto come ci invita a fare S. Paolo (cf. Rom 13,14) significa senz’altro preoccuparsi delle cose di lassù (cf. Col 3,1) ma, al contempo, farsi carico non soltanto della propria ma anche della salvezza degli altri fratelli e sorelle e, in tal modo, estendere la buona notizia che è propria della fede cristiana con tutto ciò che di ‘impopolare’ essa comporta. Tutto questo ci conduce a una funzione di mediazione propria di quel dialogo concreto che il nostro Dio vuole portare avanti e nel quale Egli si colloca al centro, quale centro e sorgente, nella persona di Gesù di Nazaret. A partire da Lui si rende possibile ogni progresso nella fede/testimonianza del singolo cristiano e della Chiesa comunità. Il Concilio Vaticano II, a più riprese, ha sottolineato questa attività dell’uomo all’interno del disegno di Dio 200 nella costruzione, ad esempio, della civile convivenza272 Tuttavia resta come denominatore la presenza amorosa di Dio sull’uomo che deve rendersi uditore della Parola e testimone autentico della ricchezza che da essa proviene. Tale presenza di Dio arricchisce quindi l’uomo e lo rende veicolo di salvezza ed il coinvolgimento è globale: Dio entra nella storia attraverso un canale umano, si serve di un aiuto che trasforma il limite creaturale. È il caso della Vergine Maria di cui la Lumen gentium è documento che getta singolare luce sul suo ruolo. Al termine della nuova visione della Chiesa, apportata dal Concilio, come mistero di comunione Maria appare quale donna di comunione che, con la sua presenza, favorisce la collaborazione dell’uomo al progetto salvifico. Per due volte ci viene presentato il significato stesso di questo arduo e discusso concetto di mediazione273 fissandone quei confini che non sempre sono stati rispettati nel corso della storia della mariologia e della devozione mariana. La sostanza è questa: al centro si deve necessariamente collocare il Cristo che favorisce e suscita una varia collaborazione dei credenti al suo progetto salvifico. È chiaro allora che la Madre occupa qui un posto particolare, ma sempre derivato «dal beneplacito di Dio e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di lui».274 Più avanti si dirà che oltre il Cristo non 272 Basterebbe rileggere attentamente la Costituzione pastorale Gaudium et spes nella quale temi antropologici e sociali vengono ad incontrarsi armonicamente. 273 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, nn. 60.62, in EV 1/434.437. 274 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 60, in EV 1/434. A commento di questo n. 60, G. Philips osserva: «Per una disposizione puramente gratuita di Dio buono e potente, il Salvatore comunica la sua influenza salutare ai suoi membri e in particolare a 201 si può andare, ma neppure detrarre e svilire la sua funzione.275 La centralità e la missione salvifica di Cristo sono perciò alla base della grandezza della Vergine Madre e ciò, come sappiamo, appare quale punto fermo dei dogmi mariani dell’Immacolata e dell’Assunta che ci mostrano una condizione di conformazione della Vergine Santa al Figlio. Ad illuminare in modo breve, ma esaustivo, questa catena di rapporti che legano la nostra umanità a Dio, in un’ottica di mediazione, è Giovanni Paolo II nella sua Redemptoris mater nella quale si legge: «Il primo momento della sottomissione all’unica mediazione «fra Dio e gli uomini» – quella di Gesù Cristo – è l’accettazione della maternità da parte della Vergine di Nazaret».276 Si tratta perciò di un binomio di concetti (mediazione-servizio) che Cristo stesso dona a coloro che lo vogliono seguire a partire dal Battesimo, momento in cui avviene l’iniziale conformazione della creatura umana a Lui. Nel caso di Maria abbiamo la piena valorizzazione non soltanto di questa vocazione a seguire il Cristo facendo la Sua volontà (come Egli si pone in obbedienza al Padre) ma anche il traguardo al quale ci spinge questo essere discepoli del Cristo: un destino di beatitudine che è proprio degli inizi della creazione e lo sarà alla fine dei sua Madre, associata con la sua persona e la sua opera fin dall’inizio», G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia testo e commento della Lumen gentium, Jaca Book, Milano 1986, 556. 275 Cf. Ibidem, n. 62, in EV 1/436. 276 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 39 in EV 10/1377. 202 tempi. Davvero l’Immacolata Madre, contemplata nella sua Assunzione, è segno di sicura speranza e consolazione per noi che camminiamo su questa terra,277 senza che ciò ci sottragga dal praticare la volontà di Dio. Il comportamento dell’uomo e la risposta di Dio Trasportato ed attratto da mille richiami e da mille voci che non sono la vera e riconoscibile voce del Cristopastore (cf. Gv 10,4), ecco che l’uomo con il peccato si allontana da ciò che può dare risposta al suo essere enigma a sé stesso.278 È, anche, in ultima analisi l’atteggiamento dei discepoli di Cristo che, pur vivendo con Lui, non esitano ad abbandonarlo nel momento più difficile della Passione. Proprio questo enigma, questo interrogativo al quale con le sue sole forze l’uomo non può risolvere, si viene a porre quando egli è dinanzi ad eventi che lo sopravanzano come, ad esempio, la sofferenza, la morte, ma anche il fallimento prodotto dal peccato. Su questa situazione di ‘piccolezza e povertà’ dell’uomo (tale da gettarlo nella solitudine), molto è stato scritto. Ma Dio, che è oltre l’uomo, trova nella Croce l’elemento più significativo in ordine ad una sapienza vivificante e singolare (cf. I Cor 1,26-30) e, come tale, ci dona l’icona della Madre Addolorata come emblema della collaborazione all’edificazione del Regno: in Maria rifulge l’attuazione del compito che si richiede al credente. 277 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 68, in EV 1/444. 278 L’espressione è desunta dal n. 18 della Costituzione pastorale Gaudium et spes. 203 Senz’altro la Vergine è presente presso la Croce del Figlio ad indicarci un comportamento di partecipazione alle sofferenze, ma il fatto che Dio soffre indica un coinvolgimento più profondo nella condizione umana e, per questo motivo, il valore della vita dell’uomo può raggiungere il suo culmine nel Crocifisso-Risorto. È la risposta di un Dio che non lascia soli e che dona – come garanzia del suo essere viator con l’uomo – la Madre da prendere fra le nostre cose più care (cf. Gv 19,27). Consegna grande ed impegnativa in quanto Maria ci colloca nel cuore della testimonianza che Cristo ha reso al Padre a beneficio dell’umanità, mostrandoci nella sua personale esistenza il ‘come’ relazionarci al Figlio al fine di ottenere il premio destinato ai servi fedeli (cf. Mt 25,21.23). Nella sua singolarità, Maria riassume tutta una comunità orante e fedele al Dio Altissimo che si fa Servo: comunità che nasce in modo paradossale da una situazione di solitudine ed abbandono quale è la Croce e, prima ancora, il presepe di Betlem: in entrambi i luoghi non abbiamo né sfarzo, né folla, ma tutta la densità del messaggio salvifico. Riprendendo il titolo di un famoso libro di H. U. von Balthasar279 è possibile dire che Maria è il sì di Dio all’uomo, non soltanto per la singolarità di una creatura così coinvolta nella Rivelazione, ma anche perché questo suo sì risplende laddove l’oscurità e la solitudine vengono ad addensarsi e ad opprimere. Nella logica di Dio, non può essere diversamente se si tiene 279 Cf. J. RATZINGER - H. U. VON BALTHASAR, Maria il sì di Dio all’uomo. Introduzione e commento all’enciclica Redemptoris Mater, Queriniana, Brescia 42005. 204 conto che le tenebre non sono riuscite ad annientare la luce che è Cristo, Parola di Dio così come ci ricorda l’evangelista Giovanni (cf. Gv 1,5) e come Maria si è costantemente conformata a questa luce. La preghiera: garante del rapporto tra Dio e l’uomo Il nostro Dio quindi mai ci abbandona ed è Lui stesso ricordarci che, quando la sua vicenda terrena sarà conclusa, manderà il suo Consolatore, Spirito di Sapienza, capace di condurre alla pienezza della Verità in quanto attinge dalla profondità di Dio (cf. Gv 16,13-14). Ciò colloca la Chiesa di ogni tempo in un atteggiamento di attesa orante, atteggiamento al quale Maria non è estranea (cf. At 1,14). C’è da riflettere allora sull’elemento della preghiera in rapporto a Maria che la tradizione della Chiesa vede come modello di creatura orante280 a partire da alcuni episodi della sua esistenza (ad esempio, il Magnificat, oppure le nozze di Cana), ma anche creatura pregata e venerata per la sua grandezza e per la protezione esercitata sul popolo di Dio. Considerando la dimensione orante di Maria siamo nuovamente sospinti a considerare la sua fede intesa come conformità al piano di Dio; si tratta di un carattere favorito dalla sua obbedienza, e che il popolo cristiano ha costantemente recepito ed espresso con varie manifestazioni e titoli devozionali invocandone la presenza e l’assistenza soprattutto nei momenti di difficoltà. Particolare importanza assume qui la testimonianza di un autore come Bernardo di Chiaravalle 280 Cf. PAOLO VI, Marialis cultus, n. 18, in EV 5/43. 205 († 1153) con la sua immagine della stella,281 ma anche con il suo commento all’Annunciazione in cui compare la richiesta corale della Chiesa affinché la Vergine offra il consenso per l’universale salvezza.282 Molto più antica poi l’immagine iconografica della Mater misericordiæ (che mantiene il suo corrispettivo letterario in alcuni racconti agiografici e di devozione).283 In entrambi i casi si parla di una salvezza che, per l’uomo, significa il passaggio dall’oscurità alla luce, tale da fargli gustare la comunione completa con Dio nella quale Maria è già immersa: la verità di fede dell’Assunzione e la solennità che noi celebriamo nel pieno dell’estate attestano il nostro destino e mostrano come ogni uomo/donna sono preziosi agli occhi del Signore. Di ciò è prova il fatto che Maria continua nella gloria ad esercitare la sua materna protezione.284 Il grande insegnamento di Maria che a Cana si rivolge in modo concreto alla potenza di Dio apparendone quasi inascoltata (cf. Gv 2,3) non fa altro che collocarci di nuovo dinanzi alle nostre responsabilità di cristiani che credono, sperano ed amano. Attraverso queste tre virtù delle quali Maria è modello285 – virtù intese come doni che il Signore elargisce e che sta a noi far fruttificare – si può percorrere con serenità la strada 281 Cf. BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermone III «Super missus est», 17, in ID., Opera, Ed. Cistercenses, Roma 1966, vol. IV, 35. 282 Cf. BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermone IV «Super missus est», 8, in ID., Opera, cit., 53-54. 283 Su questo tema si veda il volume monografico di P. DI DOMENICO - E. M. PERETTO (a cura di), Maria Madre di misericordia. Monstra te esse matrem, Ed. Messaggero, Padova 2003. 284 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 62, in EV 1/436. 285 Cf. Ibidem, n. 65, in EV 1/441. 206 della nostra vocazione, consapevoli che la nostra umanità è gradita al Signore. Egli infatti, con la sua Incarnazione, ne ha sposato tutti i caratteri. Conclusione Ogni cristiano inserito sacramentalmente in Cristo con il Battesimo può condurre altri uomini e donne alla conoscenza del messaggio evangelico, una conoscenza che è comunione profonda con il mistero della salvezza. In tal modo il cristiano esercita una funzione mediatrice, collaborando al piano della salvezza e dell’unità. Ciò non è senza sacrificio e lotte con il peccato e con il mondo spesso ostile. L’immagine di Maria – nella quale si riflettono e si riverberano i massimi dati della fede286 – deve essere per il discepolo il segno di un favore che Dio costantemente ripropone all’umanità desiderosa di risposte. 286 Cf. Ibidem. 207 24 Lo Spirito di Dio che guida alla Verità tutta intera L’esperienza di fede proprio in quanto risposta ed assenso ad una proposta iniziale di Dio è indice di un itinerario: più si risponde positivamente, tanto più si accoglie e si entra gradualmente nella realtà trascendente verso la quale ci si orienta e ciò senza dimenticare che tale realtà ha un volto ed un nome: Gesù Cristo che non esita ad attirarci a sé (cf. Gv 12,32) per farci partecipi pienamente della gloria entro la quale ha già inserito Maria, sua Madre. Densità e difficoltà di un itinerario Appare significativo come il contenuto del Motu proprio287 di indizione dell’Anno della Fede dal titolo Porta fidei promulgato da Benedetto XVI lo scorso 11 ottobre inizi con tutta una serie di verbi che esprimono un dinamismo, un movimento. Riportiamo tale incipit: La «PORTA DELLA FEDE» (cf. At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. È possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. 287 Con l’espressione Motu proprio si designa un documento rivolto alla Chiesa col quale si stabilisce una legge o una disposizione particolare che entra subito in vigore. 209 Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita.288 In queste poche righe si possono notare due elementi: anzitutto il fatto che tale dinamismo del tutto umano (almeno in queste prime righe) si evidenzia ancor più dalla contrapposizione con la porta, elemento di stabilità e, a suo modo, punto fermo. L’immagine della porta infatti evoca una costruzione in muratura, indice appunto di forza e di solidità. Sono queste ultime che, ad esempio, emergono quando Gesù invita i suoi uditori a passare per la porta stretta (cf. Mt 7,13; Lc 13,24). In secondo luogo, viene indicata una continuità esercitata da Dio (la porta della fede sempre aperta) e dall’uomo (un cammino che dura per tutta la vita). Ne deriva evidentemente che il dono di fede e l’impegno che ne consegue non possono sottostare né alla superficialità, né ad una visione dominata dall’azione e dal fare, quanto piuttosto determinano l’essere dell’individuo e della comunità. Quest’ultimo aspetto ci viene insegnato efficacemente dal Vaticano II, nel sottolineare l’importanza della Rivelazione mediata attraverso Scrittura e Tradizione (alle quali si aggiunge poi il Magistero ecclesiale), quando afferma: Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa e all’incremento della fede del popolo di Dio. Così la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, 288 BENEDETTO XVI, Lettera apostolica in forma di Motu proprio Porta fidei (11 ottobre 2011), n. 1, in EV 27/750. Il maiuscoletto è nel testo. Segnaliamo, in merito alla fede la piccola antologia di testi di Benedetto XVI La gioia della fede pubblicato nel 2012 dalla S. Paolo e curato da G. VIGINI. 210 perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede.289 Si tratta quindi di un impegno qualitativamente e quantitativamente esteso nel tempo: Dio ha cura del singolo e della comunità e tale cura, ci viene detto nella Porta fidei, avviene mediante la Parola veicolo della grazia trasformante. Tale trasformazione appare chiaramente necessaria in quanto la debolezza ed il peccato sono sempre presenti e frenano la sincera risposta a Dio che costituisce il nucleo ultimo e determinante della fede. Sin dall’AT apprendiamo come quest’ultima si estende lungo tutto l’arco della vita del pio israelita e gli stessi testi che precedono la venuta del Cristo ci presentano un buon numero di personaggi nei quali vediamo altrettanti modelli di adesione e di fiducia (Abramo, Giobbe, ecc.). Ma anche Gesù non esita, nel suo apparire, a presentarsi come modello definitivo (questa volta senza oscillazioni di sorta) di fede. Ancora due notazioni di von Balthasar ci aprono ulteriori piste di riflessione. In Cristo, osserva il nostro autore: «Vi ritroviamo tutto: la fedeltà totale del Figlio dell’uomo al Padre, data una volta per sempre e tuttavia sempre di nuovo attuata ad ogni istante, nel tempo. La preferenza assoluta dalla al Padre, alla sua persona, al suo amore, alla sua volontà, al suo comando, di contro ai desideri e alle inclinazioni proprie» e più avanti aggiunge: «Egli è però Colui che possiede questo atteggiamento nella sua pienezza ed ha il potere di infonderlo in quelli che gli si affidano».290 289 CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 8, in EV 1/883. H. U. VON BALTHASAR, Fides Christi, in ID., Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1985, 49-50. 290 211 Sulla base di tali elementi vediamo descritta l’esistenza di fede dell’uomo. Un’esistenza difficile della quale il documento di Benedetto XVI non nasconde i contorni, soprattutto quando fa riferimento all’odierna frammentazione culturale che ha prodotto una profonda crisi di fede.291 Elemento sotto gli occhi di tutti e, purtroppo, diffuso fra le giovani generazioni. «Etsi Deus non daretur» Con questa frase latina si è soliti racchiudere quella crisi di fede di cui faceva cenno il papa e si designa anche uno stile di vita che si svolge all’insegna di una voluta assenza di Dio: un vivere come se Dio non ci fosse. Tale impostazione di vita non lede soltanto i rapporti tra l’uomo e Dio, ma va a toccare le radici dell’uomo al quale, desideroso come è di un approdo alla verità che soddisfi la sua universale domanda di senso,292 non resta che ripiegare sul suo limite: è il deserto, l’aridità di cui parla ancora il testo di Benedetto XVI.293 L’esito estremo di tale stile di vita che vorrebbe far a meno di Dio è la disperata solitudine nella quale l’uomo si va ad inserire, ma ciò che forse è più colpevole e che rende difficile un 291 BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 2, in EV 27/751. A tale tematica è noto l’interesse rivolto dal beato Giovanni Paolo II († 2005) nella sua lettera enciclica Fides et ratio sui rapporti tra fede e ragione pubblicata nel 1998. Si vedano in particolare i nn. 1, 29, 33. Per un commento dell’enciclica segnaliamo il volume curato da R. FISICHELLA pubblicato dalla S. Paolo nel 1999 dove compaiono, fra l’altro, i contributi di J. Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. 293 «La Chiesa nel suo insieme ed i pastori in essa come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Cristo…», BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 2, in EV 27/751. 292 212 discorso di fede è l’atmosfera di indifferenza che si è venuta a produrre e che, logicamente, richiede un grande sforzo di ri-evangelizzazione. Se ad una prima lettura, l’etsi Deus non daretur rappresenta un dato negativo, esso rivela ben presto un carattere di sfida soprattutto collegata al pluralismo culturale. La Chiesa che porta il messaggio evangelico, antico e, al contempo, sempre attuale e che possiede una sua propria forza dovuta allo Spirito Santo, può spingere coloro che sono ancora lontani ad attraversare la porta della fede e ad impegnarsi in una testimonianza forte. Il proposito è senz’altro lodevole perché ha la sua finalità di ricondurre coloro che sono lontani (per tanti motivi) alla comunione con l’unico Signore, ma per conseguire questo scopo occorre tener conto di due elementi che possono aiutare: il carattere trasversale ad ogni cultura dell’anelito alla verità294 e, in secondo luogo, la presenza di elementi utili ad una ricostruzione dell’homo religiosus cristiano anche all’interno di quei sistemi di pensiero che si dichiarano atei o indifferenti perché dominati da altri parametri di visuale.295 Gli elementi ci giungono insperati e possono superare il relativismo in quanto al di sopra di esso si colloca l’umanità nella sua complessità e nelle sue urgenze. Si tratterà di far compiere a quest’uomo lontano il cammino del figlio minore verso il padre di misericordia descritto 294 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, nn. 1.3, in EV 17/1177.1180. Tale tema ricompare anche in Porta fidei al n. 10: «Non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo». 295 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, n. 48, in EV 17/1274. 213 nella nota parabola (cf. Lc 15,11-32). Si tratta di un cammino per tutti di purificazione296 sollecitata proprio da un clima talvolta ostile, ma che obbliga a riaffermare l’unico messaggio salvifico. In tal senso è possibile ripetere con Agostino che i credenti si fortificano credendo.297 Proprio per questo motivo la Chiesa guarda a Maria, la prima a vivere una singolare Pentecoste (cf. Lc 1,2638), a portare la parola di salvezza alle genti così come appare nell’episodio della Visitazione (cf. Lc 1,39-56) e, ancora, a guidare verso la fruizione dei beni celesti coloro che sono presenti a Cana (cf. Gv 2,1-11). Maria: «porta fidei» o «ianua cœli»? Il Motu proprio che stiamo esaminando dedica solo poche righe alla Madre del Signore inserendola in una galleria di personaggi accomunati da una fattiva professione di fede.298 Tuttavia restando fedeli all’immagine della porta, possiamo riprendere alcuni elementi della tradizione orante e cultuale della Chiesa.299 Ci riferiamo ai densi contenuti presenti nell’ultimo formulario (n. 46) della Raccolta delle SS. Messe della Madonna pubblicato dalla CEI nel 1987, dal titolo S. Maria porta del cielo che possiede una forte 296 Ciò dipende anche dalla dimensione personale e comunitaria della professione di fede illustrata in Porta fidei al n. 10. 297 Cf. BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 7, in EV 27/757. Il riferimento è al De utilitate credendi. 298 Cf. Ibidem, n. 13, EV 27/772-776. 299 L’immagine è antica e costruita sul testo di Ez 44,1-3. Essa viene menzionata da molti autori fra i quali si segnalano: Ambrogio († 397), Esichio di Gerusalemme († 451), Severo di Antiochia († 538), Romano il Melode († 560 ca.). 214 connotazione escatologica300 e nel quale l’immagine della porta è caratterizzante. Possiamo allora soffermarci brevemente sulla Colletta, sul Prefazio e sulla Orazione conclusiva (Post-communio) di questo formulario. Nella Colletta dopo aver menzionato Cristo quale porta della salvezza, il popolo si affida all’intercessione di Maria per arrivare alle soglie della patria celeste. Tuttavia tale intercessione non può, né deve eliminare l’impegno del singolo e della comunità contrassegnato dalla perseveranza.301 Nel Prefazio la parte centrale richiama da vicino alcuni contenuti dell’esortazione apostolica Marialis cultus (1974) di Paolo VI302 e riprende per due volte la figurazione della porta nonché l’elemento – vitale per il popolo cristiano – della riconciliazione.303 Quest’ultima è realmente un approdo e ciò lo notiamo anche nella stessa Porta fidei quando Benedetto XVI osserva che «la fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo «stare con Lui» introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede».304 Atteggiamento che va 300 CEI, Collectio missarum de Beata Maria Virgine (= CMBVM), Ed. typica, LEV, Città del Vaticano 1987, 2 voll. (trad. it. 1987). Per questo contributo citeremo la traduzione italiana alle pp. 148-150. 301 «O Dio, che nel tuo unico Figlio, / hai stabilito la porta della vita e della salvezza, / per la materna intercessione di Maria, / donaci di perseverare nel tuo amore, / finché raggiungiamo la soglia della patria celeste», CEI, CMBVM, 148. 302 Cf. PAOLO VI, Esortazione apostolica Marialis cultus, in EV 5/13-97. 303 «È la Vergine orante, / che intercede per noi peccatori / perché ritorniamo al suo Figlio, / fonte perenne di grazia, / e definitivo approdo della nostra riconciliazione», CEI, CMBVM, p. 149. 304 BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 10, in EV 27/762. 215 oltre una situazione di peccato e raggiunge la globalità dell’esistenza: si tratta, in sostanza, della peregrinatio fidei propria della Madre di Dio.305 Infine nell’Orazione conclusiva si torna all’intercessione di Maria alla quale è aggiunta la nota escatologica contrassegnata dalla richiesta che «scenda sul tuo popolo una pioggia di grazie e si apra a tutti la porta del cielo».306 In sostanza, è possibile notare come il passaggio attraverso questa «Porta del cielo» aperta per tutti e tale da permettere l’ingresso nel Regno è senz’altro facilitato dall’intercessione di Maria, maestra e modello di una singolare fede e, tuttavia, resta condizionato dal grado di apertura della nostra porta fidei in quanto è proprio essa a metterci a contatto diretto con le realtà ed i contenuti ai quali doniamo la nostra fiducia.307 All’apertura da parte di Dio deve corrispondere se non una uguale ma, almeno, un’analoga apertura da parte nostra. Conclusione A conclusione di questo contributo è possibile prendere coscienza di come la fede rappresenti il cammino verso una meta che è anche contenuto del nostro credere. Essa è rappresentata dalla Rivelazione che sarà piena con il ritorno ultimo del Signore quando lo contempleremo così come Egli è (cf. I Gv 3,2). 305 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 58, in EV 1/432. 306 CEI, CMBVM, 150. 307 Cf. BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 10 in EV 27/763. 216 Proprio in questo nostro peregrinare Maria resta con noi: ce lo ricorda una preghiera che ritroviamo in un altro formulario delle Messe della Madonna che così recita: Signore Dio nostro, che ci illumini / con la radiosa luce della tua verità, / accogli le nostre offerte e preghiere; / e con l’aiuto di Maria, Madre del Redentore, / fa che esprimiamo nella carità / la forza della fede.308 L’unità della fede e della carità forma la nostra testimonianza viva e se sapremo mantenere tale unità, pur non essendo giunti alla meta, avremo tuttavia percorso un grande e fecondo tratto del nostro cammino. 308 CEI, CMBVM, 114. Si tratta della Preghiera sulle offerte del formulario n. 35 dal titolo Maria Vergine, sostegno e difesa della nostra fede. 217 25 Il Pellegrinaggio della fede verso la pienezza del mistero Accanto al motu proprio di Benedetto XVI dal titolo Porta fidei del quale ci siamo già occupati precedentemente, è comparsa a distanza di pochi mesi (6 gennaio 2012) la Nota con indicazioni pastorali per l’anno della fede emanata dalla Congregazione per la Dottrina della fede.309 Dopo una lunga introduzione, il contenuto è articolato in quattro aree: Chiesa universale, Conferenze Episcopali, Diocesi e, infine, Parrocchie. Ad ognuna di esse sono dedicati dieci paragrafi e il documento termina con una breve conclusione. Il testo presenta quindi un equilibrio interno. Trattando di questioni di fede (come del resto analogamente fa il citato motu proprio), il presente documento menziona la Vergine Maria ai nn. 2-3 nell’ambito delle iniziative della Chiesa universale. Presenza discreta, non fuori luogo ma motivata e sorretta da elementi che sono i costitutivi del credente di ogni epoca. Il motivo In un documento contenente norme pastorali e perciò destinato a regolare una prassi, le tematiche teologiche sono ordinate all’attuazione pratica dell’azione pastorale. 309 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota con indicazioni pastorali per l’anno della fede, LEV, Città del Vaticano 2012. 219 In queste Norme la presenza della Vergine Maria è inquadrata all’interno di una particolare esperienza e manifestazione tipica della fede dei credenti, quella dei pellegrinaggi. Difatti al n. 2 troviamo una sottolineatura circa l’opportunità di favorire questi fenomeni di massa, oltre che alla sede di Pietro, anche in Terra Santa, «luogo che per primo ha visto la presenza di Gesù, il Salvatore, e di Maria sua Madre».310 Del resto, nel Direttorio su pietà popolare e liturgia, il pellegrinaggio, oltre ad essere definito esperienza religiosa universale (di una universalità, aggiungiamo, che è tipica dell’articolata domanda sul senso dell’esistenza umana), è espressione tipica della pietà popolare strettamente connessa con il santuario, per cui – nota il documento – «il pellegrino ha bisogno del santuario e il santuario del pellegrino».311 Tra le tante manifestazioni della fede troviamo quella del cammino orientato verso una meta: itinerario verso un luogo sacro e capace di evocare una risposta valida per la vita dell’uomo, nonché allegoria della medesima. Scorrendo la Scrittura troviamo il dirigersi verso la Terra promessa quale esperienza propria dell’antico popolo. Tale luogo diviene successivamente, per i cristiani, la Terra Santa quale punto di approdo legittimato dalla presenza dei massimi protagonisti della Rivelazione, di coloro che hanno avuto un ruolo decisivo nel piano di 310 Cf. Ibidem, n. 2, 13. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, n. 279, LEV, Città del Vaticano 2002, 235-236. C’è da osservare che, nel successivo n. 286, il Direttorio individua sei dimensioni del pellegrinaggio (escatologica, penitenziale, festiva, cultuale, apostolica e comunionale) ponendo nella prima tutto il complesso di urgenze ed interrogativi dell’esistenza, in cui l’uomo è homo viator. 311 220 Dio e che si pongono come parametri e modelli di adesione per l’uomo: Gesù e Maria sua Madre. Il tutto come figura della Gerusalemme del cielo: meta finale, trasfigurante e riassuntiva di tutto il cammino umano. Nella sua sostanza il pellegrinaggio rinvia ad un discorso di fede vera e propria se si tiene conto delle relazioni che, nell’atto del credere, il soggetto umano instaura con l’oggetto unico del suo credere che è il Mistero. Ne è prova la nota tripartizione fatta da S. Agostino dove il credere in Deum (che si aggiunge al credere Deum e al credere Deo) indica un cammino verso la salvezza.312 È chiaro che il fenomeno dei pellegrinaggi ad loca sancta va a toccare tutta una serie di problemi sociali e sociologici (ai quali fa cenno la Nota), ma va sottolineato che a tale fenomeno tipicamente umano non si sottrae la Vergine Maria che, per seguire il Figlio, ha avanzato nel cammino della fede.313 In Maria allora è possibile ritrovare quella peregrinatio fidei che allontana il credente da ogni cedimento alla superbia e lo guida ad una continua verifica del suo rapporto con Dio. Ciò indica chiaramente una continua conquista della Verità capace di rinnovare la vita dell’uomo che può riscoprirsi all’interno del Mistero di salvezza e destinatario del dono 312 Cf. AGOSTINO, De Trinitate, I, 8, 17, in ID., Opera omnia, vol. IV, 34. Per una panoramica sul concetto di fede nel vescovo di Ippona rinviamo alla voce Fede a firma di E. TESELLE, in L. ALICIA. PIERETTI (a cura di), Agostino – Dizionario Enciclopedico, Città Nuova, Roma 2007, (or. ingl. 1999), 713-718 (con abbondante bibliografia). 313 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 58, in EV 1/432. 221 che il Signore fa di sé stesso in molteplici modi. Con e come Maria è possibile compiere l’itinerarium fidei. Il ruolo di Maria In Maria dunque vediamo il dinamismo della fede, ossia quel movimento che introduce l’uomo alla verità tutta intera (cf. Gv 16,13): Ella è parte integrante della Rivelazione e, al contempo, rispecchia tutta la gamma di reazioni dell’uomo dinanzi alla Verità che da Lei prende carne divenendo segno di contraddizione, rovina e resurrezione affinché le profondità dell’uomo (anche quelle più inique da dissipare) possano emergere (cf. Lc 2,34-35). Maria davvero appare come bene prezioso proprio della nostra umanità in quanto, attraverso di Lei, possiamo notare come la Rivelazione salvifica include la nostra vita, senza dubbio attraverso l’Incarnazione di Cristo (cf. Lc 1,26-38), ma anche nel confronto tra la piccolezza-debolezza dell’uomo e la grandezza di Dio, capace di generare in lui stupore e meraviglia (cf. Lc 1,29.34) in quanto opera grandi cose (cf. Lc 1,49), ma soprattutto ciò che gli è impossibile (cf. Mt 19,26, Mc 10,27 e Lc 18,27): segni, miracoli, eventi e quant’altro. Molto opportunamente il n. 3 della Nota riprende la nota citazione conciliare secondo la quale Maria, figura della Chiesa, «in sé compendia e irraggia le principali verità di fede».314 Frase densa di implicazioni in quanto va a toccare le radici più profonde dell’uomo chiamato ad ispirarsi a questo grande modello creaturale di fede e di testimonianza per poter crescere fino alla pienezza in Cristo (cf. Ef 4,13). 314 222 Ibidem, n. 65, in EV 1/441. Compendiare ed irraggiare sono perciò due verbi che corrispondono alla dialettica propria della fede. Non soltanto Maria vive una comunione particolare con il Figlio conservando e facendo sintesi di tutte le cose (cf. Lc 2,19.51), ma Ella accoglie ed esplicita anche il variegato rapporto che lega l’uomo al Mistero divino. Per questo motivo, sulla linea di Abramo – padre della fede (cf. Rom 4) – la Chiesa ed ogni credente possono ritenerla modello (in dimensione personale e comunitaria) di tale virtù315 attraverso le varie situazioni di vicinanza con il Figlio che i Vangeli ci illustrano e che ben conosciamo. A partire di qui, l’irraggiamento è sinonimo di una funzione educativa che Maria svolge nei confronti del cristiano e della Chiesa. Non è soltanto il presentarsi luminoso proprio della sua gloriosa Assunzione,316 ma la luce pasquale che circonda Maria diviene guida, insegnamento che si armonizzano con il mistero salvifico ed in questo ambito l’arte figurativa svolge un ruolo rilevante. Inserita nel disegno salvifico di Dio, la grandezza di Maria si manifesta nell’insegnarci il modo con il quale offrire una risposta di fede: in lei l’ascolto del messaggio (auditus fidei) e la conseguente riflessione (intellectus fidei) vengono a collegarsi e a rappresentare la costante di tutta la sua esistenza, in ordine ad una testimonianza viva e concreta. Ben venga allora il titolo Sedes sapientiæ applicato alla Madre del Signore (che l’arte ha raffigurato in molti esempi), laddove si tratta di una Sapienza che chiama l’uomo e lo coinvolge nella sua azione (cf., ad es., 315 Cf. Ibidem. Pensiamo all’interpretazione mariana che la tradizione ecclesiale ha offerto della Donna di Ap 12, testo che si proclama nella Solennità dell’Assunzione. 316 223 Pr 8,1-36, Sap 6,16, Gv 15,16) fino ad incarnarsi in certo modo in ogni uomo di ogni tempo.317 Su questa base è possibile comprendere il triplice impegno che attende il credente, descritto nella parte finale del testo che stiamo esaminando. Un culto reso con la vita Riconoscere il ruolo particolare di Maria nel mistero della salvezza, amarla filialmente e seguirne fede e virtù (imitatio Mariæ) sono le tre componenti di un sano rapporto del credente e dell’intera Chiesa con la Vergine Santa,318 fermo restando che «lo scopo ultimo del culto alla beata Vergine è di glorificare Dio e di impegnare i cristiani ad una vita del tutto conforme alla sua volontà».319 Circa il primo punto abbiamo già detto qualcosa precedentemente senza tuttavia passare in rassegna i vari momenti nei quali troviamo la Madre del Signore partecipe direttamente degli eventi della vita del Figlio. Molto è stato scritto in merito e non ci sembra sensato indulgervi e correre il rischio di cadere in ripetizioni di immagini e concetti. È possibile, tuttavia, segnalare quello che, a nostro avviso, appare come il carattere comune di questi episodi evangelici: in essi non 317 Cf. CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 22, in EV 1/1386. 318 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota con indicazioni pastorali per l’anno della fede, n. 3, cit., 13. 319 PAOLO VI, Esortazione apostolica Marialis cultus (2 febbraio1974), n. 39, in EV 5/70. Già il Concilio aveva precisato che «mentre è onorata la madre, il Figlio […] sia debitamente conosciuto, amato, glorificato, e siano osservati i suoi comandamenti», CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 66, in EV 1/442. 224 abbiamo soltanto la manifestazione di un discepolato e di una cooperazione alla salvezza da parte di Maria, ma anche della particolare funzione che la Madre ha di evidenziare la singolare ed unica missione del Figlio: Maria, anche semplicemente con la sua presenza, fa risaltare la grandezza di Gesù ed esorta, più o meno esplicitamente, a far riferimento a Lui e a mantenerlo come orizzonte ultimo di significato per la vita.320 Sarà allora necessario, in ordine a quell’amore filiale di cui parla il nostro documento, ripartire da Cristo e dall’amore-cura che Egli mostra per tutte le creature. In tale azione di Grazia, propria di Cristo, ritroviamo l’esatta misura dell’amore che deve legare ogni credente e l’intera Chiesa alla Madre di Dio, condizione irrinunciabile per mantenere la propria identità. A titolo di esempio possiamo prendere l’episodio del grido della donna anonima narrato in Lc 11,27-28; pochi versetti che, ad una prima e superficiale lettura, potrebbero sviarci e condurci ad una svalutazione di Maria mentre, al contrario, l’ascolto della Parola di Dio ed il conformarsi ad essa (v. 28) rappresentano un pressante invito che permette di conseguire la beatitudine, già vissuta da Colei che tutti chiameranno beata (cf. Lc 1,48) perché ha creduto all’adempimento di ciò che il Signore le ha detto (cf. Lc 1,45). Il Dio di Maria, il nostro Dio resta sempre quello della misericordia (cf. Sap 9,1 e Lc 1,50.54) per cui amare filialmente Maria ci deve condurre ad uno stile di vita in cui l’amore di Dio e l’amore del prossimo permangano come i due volti di un’unica medaglia (cf. Mt 22,34-40, 320 L’esempio più evidente è il comando ai servi di Gv 2,5 nel contesto delle nozze di Cana. 225 Mc 12,28-31 e Lc 10,25-28). Amare come figli la Vergine Madre significa anzitutto renderle omaggio con le nostre azioni guardando al suo essere, al contempo, discepola e maestra di vita.321 In un’esistenza così costituita, l’imitatio Mariæ diviene diretta conseguenza: fede, speranza, carità ma anche le altre virtù cardinali e, in generale, quanto di più positivo c’è nella nostra natura umana322 rifulgono in Lei e la fanno primeggiare in seno all’umanità.323 Comprendiamo allora tutta la densità di un altro titolo, quello di “stella del mare” che guida verso il porto sicuro: è il pellegrinaggio-tensione dell’umanità verso Dio guidato da questa sua singolare Madre, ma Stella è anche, in concreto, il titolo mariano proprio di molti santuari e verso i quali è conveniente e salutare orientare i credenti, con opportuni momenti celebrativi e culturali.324 Si, anche la cultura – lo ribadiamo con forza, specialmente oggi in cui il livello culturale è assai basso oppure che va a cercare in altri culti l’agognata 321 Osserva in merito S. M. Perrella: «Maria, la madre-educatrice divenuta progressivamente la madre-discepola, è stata costantemente alla scuola del figlio-Maestro, attenta ad accogliere ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo, ogni “alto silenzio”, ogni evento e frammento della sua vita e del suo magistero perché nulla andasse perduto», S. M. PERRELLA, Maria, prima educatrice, in Madre di Dio, n. 6 (giugno 2012), 6. 322 I caratteri della grandezza umana (uniti a quelli della sua miseria) sono descritti in sintesi nel documento della PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, LEV, Città del Vaticano 2001, ai nn. 27-30. 323 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 55, in EV 1/429. 324 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota con indicazioni pastorali per l’anno della fede, n. 3, p. 13. 226 realizzazione – è importante per la maturazione dell’uomo e persino del credente, a volte, digiuno delle più elementari nozioni di fede. Conclusione «Che cosa è l’uomo perché di lui ti ricordi?». La domanda del Sal 8,5 spinge a considerare un’identità di fondo: il ricordo dell’uomo da parte del Dio Creatore coincide con il Suo amore che ne rappresenta l’identità più profonda. A tale amore paterno-materno deve corrispondere l’amore filiale del credente. Un amore che include ed investe tutti, quindi anche la Madre di Dio che, pur restando creatura, rende ancor più evidente il sentimento materno di Dio, elemento presente e ricorrente in tutta la Scrittura (cf. Dt 32,10, Is 1,2, Bar 4,8, Mt 23,37 e Lc 13,34). Se il Concilio Vaticano II ha indicato in Maria il modello dell’amore materno325 verso il quale il credente deve affidarsi con atteggiamenti da figlio, si deve tener presente che entrambi questi tipi di amore sono subordinati all’unica volontà del Dio Padre e Madre e sono da essa suscitati. Anche Maria non si è sottratta a questa salutare dialettica e ciò è indice della sua concreta umanità nonché, logicamente, della sua profonda vicinanza a noi. Tutto va ricondotto a Cristo (cf. Ef 1,10) e all’interno di questa reductio – che non vuole essere una limitazione, 325 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 65, in EV 1/441. 227 quanto indice di potenziamento – Maria si conferma quale realtà personale del tutto realizzata: luogo, tempio e santuario, ossia spazi nei quali risplendono la luminosa benevolenza del Padre, l’obbedienza assoluta del Figlio, la forza trasformatrice dello Spirito Santo. 228 26 La Salute: Un bene prezioso da custodire guidati da Maria Nelle sue Satire, il poeta latino Giovenale († 127 ca.) ci ha lasciato un verso che è entrato nel parlare comune sebbene travisato e monco: «Mens sana in corpore sano». In realtà non si è guardato all’interezza di questo verso che suona così «Orandum est ut sit mens sana in corpore sano».326 Appare una dimensione religiosa che con l’uso si è perduta e che, lungi dal deprezzare l’uomo, ne rafforza la complessità fisico-spirituale. Questo ci introduce al contributo che intendiamo proporre nelle righe che seguono. Sofferenza e salute In ogni tempo l’uomo ha dovuto fare (e continua a fare) i conti con la malattia e quest’ultima ricompare come spettro che limita (se non addirittura paralizza) le sue migliori aspirazioni ed aspettative. Parlare di malattia e, chiaramente, del suo opposto rappresentato dalla salute significa considerare l’unità di tutto l’essere umano che non può essere sottoposto a visioni parziali, osservandolo da un’unica dimensione. Corpo, spirito ed anima sono realtà profondamente connesse che costituiscono la persona per cui la 326 «Bisogna pregare affinché ci sia una mente sana in un corpo sano», GIOVENALE, Satire X, 356. 229 sofferenza che intacca una di esse si ripercuote sulle altre due: una sofferenza fisica costituita da una malattia diagnosticata come grave o gravissima, senza dubbio può condizionare negativamente tutta una progettualità intellettuale come anche – a livello spirituale – il rapporto con Dio. Possiamo qui pensare ad una malattia incurabile e come essa, portando gradualmente il corpo al suo disfacimento, investe le ragioni più profonde del vivere e pone allo scoperto in tutta la sua crudezza la disillusione e la disperazione. Ma anche situazioni di sofferenza psicologica e interiore, stati di paura manifestano non pochi risvolti anche sull’assetto fisico della persona. Il grande scienziato e teologo francese Pierre Teilhard de Chardin († 1955) nella sua opera Le milieu divin (L’ambiente divino) presenta dettagliatamente un ventaglio di situazioni di precarietà che contraddistinguono la vita umana e la necessità etica, quando è possibile, di arrestare il male, anche quello fisico.327 È chiaro che il rapporto con la malattia è diversificato caso per caso: c’è chi lotta fino alla fine e chi – psicologicamente più debole – si rassegna e finisce per soccombere anzitempo. A nulla valgono, in quest’ultimo caso, i consigli e le esortazioni a reagire; ognuno di noi è irripetibile e singolare nel proprio vivere l’esistenza con tutto il carico di difficoltà che essa comporta; per questo motivo anche le migliori intenzioni che manifestiamo verso l’altro, in questi casi di malattia, arrivano ad effetto solo parzialmente. Notevole in merito, nella tradizione storico-spirituale dell’Ordine dei Servi di Maria la risposta dell’ammalato 327 Cf. P. TEILHARD DE CHARDIN, L’ambiente divino, Il Saggiatore, Milano 1968, 78-84. 230 visitato dal beato Gioacchino da Siena († 1305) che lo esortava alla pazienza: «O buon frate è facile predicare dell’infermità, ma un altro conto è sopportarla».328 Parole ricorrenti ed attualissime che mostrano la limitatezza dell’uomo nonostante la sua sollecitudine. A ciò si aggiunge un altro aspetto non meno deleterio che ci proviene dal mondo dei mass-media: se da un lato apprezziamo e godiamo nell’apprendere i progressi della scienza e della medicina finalizzate a debellare alcune gravi malattie, per altro verso le vicende tragiche di persone affette da patologie mortali non solo non ci lasciano indifferenti, ma possono procurare in alcuni una vera e propria paura di star male. Anche questo dimostra la debolezza dell’uomo che può portarlo a situazioni psicologiche davvero critiche. Essendo ‘bombardati’ da notizie negative finiamo per entrare, a volte, in spirali non molto lontane da malattie vere e proprie. In tal senso il mondo della sofferenza mostra il suo lato più oscuro ed enigmatico, nonché, per alcuni versi, devastante anche in situazioni oggettivamente non gravi. Siamo umani e dobbiamo fare i conti con la nostra umanità che è debole non solo perché affetta dal peccato, ma in forza della sua creaturalità limitata che porta a non potersi procurare quell’invincibilità ed eternità che si vorrebbe possedere. La presa di coscienza di questa nostra finitezza deve sensibilizzare e orientare le nostre migliori energie ad una “battaglia pacifica” che consiste nel far tesoro della nostra salute attraverso due strade: la prevenzione che appartiene all’ambito clinico, unita tuttavia ad una vita dominata da un sano equilibrio che investa ogni 328 Cf. Legenda del beato Gioacchino da Siena, 6, in Monumenta OSM 5, 8. 231 dimensione dell’uomo. Sorge qui un interrogativo: questa valorizzazione della salute è soltanto opera umana assimilabile ad uno stoico sforzo di volontà? Per la nostra visione cristiana, la risposta è negativa: la cura per la propria salute integrale e che coinvolge tutto l’uomo deriva da quel germe di vita pasquale che – sin dal Battesimo – il Signore ha posto in noi e che va coltivato. Ha ragione allora S. Paolo che, in appena due versetti, compendia tutta la nostra esistenza dominata dalla relazione: «Nessuno di noi vive per sé stesso e nessuno muore per sé stesso, perché se viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rom 14,7-8). Se la malattia, che genera sofferenza, ci colloca in comunione stretta con Gesù Incarnato-Crocifisso,329 la salute ci addita la luce della Resurrezione e della vita che risplende sul volto del Redentore. In entrambi i casi, nei quali è racchiusa tutta la complessità della nostra vita, il Signore ci viene a visitare e si rende presente con tutta la sua Bontà anche se, a volte, ci riesce difficile comprenderlo.330 Questo ci induce a scrutare con occhio critico la Scrittura: libro ed evento in cui l’azione di Dio e quella dell’uomo si svolgono in sinergia. 329 Tutta la lettera apostolica del beato Giovanni Paolo II († 2005) sul significato della sofferenza Salvifici doloris (1984) mostra questo tema come centrale. 330 Il Concilio Vaticano I (Dei Filius c. II) e il Concilio Vaticano II (Dei Verbum n. 6) sono concordi nell’affermare che i beni divini trascendono assolutamente la comprensione della mente umana. 232 Salute e salvezza La salute fisica e quella interiore sono illustrate in modo frequente nell’AT con una profonda stima dell’arte medica: il medico – ci dice un testo della tradizione sapienziale – è da onorare per il suo servizio e perché egli è creato da Dio e, accanto a ciò, dev’esserci nell’uomo equilibrio tra preghiera a Dio ed accoglienza delle necessarie cure (cf. Sir 38,1-15). Si nota tuttavia nell’AT una sorta di separazione tra la cura dei corpi (iaris) e la salvezza (soteria). Nel NT Cristo, in forza dell’Incarnazione, unifica le due dimensioni umane giungendo talvolta ad invertirne l’ordine come avviene in Mc 2,5-11, testo in cui liberazione della malattia e remissione dei peccati formano un unicum. Ciò si comprende anche dal comando di Gesù che coincide con la proclamazione della propria signoria: «Ora perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: alzati, prendi la tua barella e va a casa tua» (Mc 2,10-11). I segni della guarigione rinviano alla salvezza e, parallelamente, la salvezza – per rendersi comprensibile – passa per il linguaggio della fisicità realizzando, anche sul piano visivo, il passaggio da uno stato di malattia (sofferenza e morte) a quello di salute (salute-salvezza e vita) rinviando efficacemente alla kenosis redentrice del Signore Incarnato. Questo ci permette di osservare che nella malattia l’uomo, pur associandosi alla sofferenza di Cristo sulla Croce, ne riceve, al contempo la visita con la quale Egli si associa all’infermo. «Colui che è stato orrendamente inchiodato sulla croce – osserva H. U. von Balthasar – non è malato nel senso della medicina, nella massima salute dello spirito Egli compie la sua missione 233 fino in fondo e così, per tutti quelli che altrimenti sarebbero perduti senza speranza, diventa il medico, colui che guarisce ovvero salva».331 In questo ambito la vicenda del Samaritano (cf. Lc 10,29ss.) è fin troppo chiara ed è inutile entrare in dettagli; è interessante, invece, il motivo per il quale l’uomo viene sanato. Un episodio che ci aiuta in tal senso è la guarigione della suocera di Pietro: la donna, affetta da febbre – ci ricorda Mc 1,29-31 – viene sanata e, alzatasi, serve. L’uomo beneficato e sanato si pone, con rinnovata energia, a servizio della vita e di tutto ciò che contribuisce alla sua promozione. Se S. Paolo ci ricorda che non viviamo solo per noi stessi, questo implica responsabilità nell’essere e nell’azione. Nell’essere perché col Battesimo è avvenuto l’inserimento in Cristo e nell’azione perché colui (o colei) che viene beneficato è chiamato a farsi portatore di quanto ha ricevuto da Cristo (e, aggiungiamo, dalla Chiesa e dalla medicina ognuna con caratteristiche e funzioni proprie). Tanto nell’essere quanto nell’agire, il punto di forza resta Cristo il quale se guarisce ed invita ad allontanarsi dal male indica all’uomo un sentiero di ricostruzione per sé e per gli altri e, al contempo, non fa che collocarsi al livello dell’uomo, Lui che è Dio e che – come sottolinea S. Paolo – si è collocato ad un livello di servo (cf. Fil 2,7). Solo percorrendo la strada della prossimità e della vicinanza l’uomo – creato ad immagine e somiglianza 331 H. U. VON BALTHASAR, La salute tra scienza e saggezza, in ID., Homo creatus est, Morcelliana, Brescia 1991 (or. ted. 1979), 99. Dello stesso autore si veda anche Frammenti a proposito della malattia e della salute, in Communio n. 33 (mag./giug. 1977), 74-86 dove, in margine al tema, troviamo interessanti legami con il mondo della medicina e della filosofia. 234 divine – può riscoprire la salute nel suo valore armonioso e bello, tipico di quel creato del quale egli è sintesi e vertice (cf. Sal 8) e può testimoniare la grandezza di Dio. Maria, salute degli infermi Non sappiamo, né possiamo sapere se Maria ha attraversato nella sua esistenza momenti di cattiva salute: i Vangeli – che tanto poco riservano alla sua persona – nulla ci dicono in merito. Ciò che tuttavia sappiamo con certezza è che la Madre di Dio è stata, pur nella sua singolarità dovuta ai doni divini che ha ricevuto, una creatura soggetta alle sensazioni che normalmente contraddistinguono l’essere umano. Non meno importante appare il legame che Lei mantiene con il Figlio nelle diverse situazioni di vita. A partire da queste notazioni possiamo ipotizzare gli effetti che i diversi eventi della vita comune col Figlio abbiano prodotto sulla sua fisicità: presso la Croce (cf. Gv 19,25-27) Maria sperimenta l’afflizione, dinanzi alla perdita-ritrovamento di Gesù (cf. Lc 2,41-50) conosce il disorientamento, all’annuncio dell’angelo (cf. Lc 1,26-38) è attraversata dal turbamento. Per meglio illustrare il tema che ci riguarda e che è compendiato sotto il titolo Salus infirmorum (= salute degli infermi), c’è da osservare anzitutto che si tratta di una salute che, oltrepassando il dato fisico, Maria vive grazie al suo immacolato concepimento: un dono di misericordia a carattere eminentemente pasquale così come lascia intendere la stessa definizione dogmatica.332 332 Riportiamo il testo centrale della definizione: «La dottrina che sostiene che la beatissima vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in 235 Tale dono determina una convergenza di atteggiamenti di Dio e di sua Madre che si nota soprattutto in due testi che esplicitamente rivelano la gioia pasquale motivata dall’azione risanatrice di Dio: il Magnificat (cf. Lc 1,46-55) e le nozze di Cana (cf. Gv 2,1-11). Nel primo testo Maria ‘canta’ le meraviglie del Signore tese a prediligere chi si trova in ogni genere di difficoltà e perciò a colmare le lacune e le storture della storia, rappresentate sostanzialmente dal peccato che produce atteggiamenti generatori di sofferenza, in forza della medesima compassione che vediamo attuata dal samaritano del racconto lucano. Gesù Cristo, nota acutamente von Balthasar, «ha fondato una «religione» che di certo non mira in modo alcuno ad aggirare il dolore […], ma una religione che guarda in faccia agli orrori del mondo, in un atteggiamento che ne rovescia il valore e più a fondo li trasforma in quanto capovolgimenti potenti in vista della cancellazione più profonda».333 Quanto all’episodio di Cana, la difficoltà del momento viene superata grazie alla potenza del Cristo apportatore del cambiamento proprio della nuova Legge, condensata dall’immagine del vino che si sostituisce all’acqua. Maria, dapprima – nella discrezione che le è propria – evidenzia la situazione puntuale (cf. Gv 2,3), quindi rinvia i servitori al Figlio (cf. Gv 2,5). Anche qui – vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale, è stata rivelata da Dio e perciò si deve credere fermamente e inviolabilmente da tutti i fedeli», PIO IX, Bolla Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854), in EE 2/761. 333 H. U. VON BALTHASAR, Frammenti a proposito della malattia e della salute, 83. 236 come nel Magnificat – abbiamo l’affermazione della potenza di Dio contro tutto ciò che minaccia l’uomo o lo spinge sui sentieri del disagio e della sofferenza anche interiore. In sostanza, se all’Annunciazione il «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37) è proclamato dall’angelo, la sostanza di tale ‘impossibilità’ sembra implicitamente passare nel comando di Maria ai servi. Maria ci mostra e ci indirizza verso la potenza di Colui che è medico delle anime e dei corpi, quale prima destinataria dell’effettiva guarigione (Lei stessa è beneficata oltre misura anche se deve ‘passare’ per la via Crucis). Per questo il titolo mariano Salus infirmorum si può associare a quello di Causa nostræ lætitiæ (= causa della nostra gioia). Con la salute si recupera la gioia che deriva essenzialmente dalla Pasqua di Gesù che – come ci ricorda il Prefazio della Messa che porta questo titolo mariano riecheggiando Is 53,4 – «…dolores nostros portavit»334. Maria quindi vive pienamente il paradosso del Figlio pur non identificandosi con Lui, ma soltanto in una dinamica di partecipazione che implica un itinerario di fede e di familiarità profonde, proprio di ogni credente. Conclusione Terminiamo con una domanda: perché Maria è Salus infirmorum? La risposta va ricercata in un denso concetto ricorrente, ma forse poco analizzato: disponibilità. Noi sappiamo che, sul piano deontologico, il medico è tenuto, nella sua missione, ad offrire la sua 334 CONGREGATIO PRO CULTO DIVINO, CMBVM, n. 44: Beata Maria Virgo, Salus Infirmorum, 169. 237 professionalità senza barriere ideologiche, razziali e simili. Siamo ad un passo dall’universalismo proprio della Croce redentrice presso la quale la presenza di Maria è efficace nella sofferenza che la accomuna al Figlio. Proprio tale disponibilità (che implica una presenza), come manifestazione di un reale coinvolgimento, è medicina che, sebbene non guarisca totalmente (pensiamo a quanti malati terminali godono delle cure palliative), lenisce la sofferenza. La Salus Infirmorum è la Mater Dolorosa che sappiamo si apre alla luce pasquale del trionfo della vita. Questo dato ci porta alla vera medicina: «Cristo mia speranza è risorto» (Sequenza pasquale). Con Maria ci apriamo ad un futuro reale e non utopico. 238 27 Le nostre povertà si confrontano con Maria La povertà è senz’altro uno dei peggiori mali che affliggono la società di ogni tempo. «I poveri – dice Gesù – li avete sempre con voi» (Mt 26,11): parole che rappresentano una sfida alla quale far fronte per sanare le ferite che essa provoca. Ma di quale povertà si tratta? Ed inoltre: da quale forza si deve essere animati per portare un reale beneficio? Tentiamo ora di rispondere a questi due interrogativi ed illustrare il ritratto di Maria, Madre e discepola povera del Signore. Metteremo in evidenza il significato di povertà nel suo rapporto con la Benedetta dell’Altissimo. La Porta Bella «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, álzati e cammina» (At 3,6). Le parole dell’apostolo Pietro al povero infermo della Porta Bella, oltre ad essere dotate di quel carattere performativo tipico della Parola di Dio – carattere che unisce l’oralità (esser detta) e la sua efficacia (produrre qualcosa) – pongono in rilievo tutta la carica di paradosso propria del Cristianesimo. Uno dei tratti più caratteristici di Gesù di Nazaret – perché è a Lui che Pietro allude – è senz’altro la povertà, oltre che raccomandata, abbracciata volontariamente ci dice Paolo, ma che si coniuga con un tipo di essenzialità che 239 potremmo definire esistenziale ed antropologica. Non sono tanto le ricchezze materiali a rendere l’uomo grande, quanto piuttosto la sua consistenza creaturale. In tal senso il «Beati i poveri» (Lc 6,20) mantiene tutta la sua pregnanza. In una parola, l’essere prevale sull’avere (di qualsiasi tipo esso sia) e, su questo punto, Rivelazione, filosofia e teologia trovano il loro punto di incrocio: l’essere creato ad immagine di Dio, l’appartenenza al mondo dell’essere e della vita ed il poter parlare di Dio che si è espresso/manifestato come Parola umana/divina, tutto questo non fa altro che mettere in luce l’uomo e riaffermare la sua povertà che va colmata di ricchezza vera. «Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9): questa povertà è la cifra del nome di Dio pronunciato da Pietro nell’episodio inizialmente evocato. Dio quindi nella sua Incarnazione sposa questa povertà e i due luoghi del Presepe e della Croce ne mostrano visivamente tutto lo spessore. Del resto, questa è la strada che appare più scandalosa per i pagani di ieri e di oggi ammalati di idolatria (persino del proprio pensiero, anche se esso si qualifica debole), strada che, tuttavia, ci conduce ad una logica concreta che affonda le radici nel nostro vissuto quando, nei casi più dolorosi di povertà e malattia, siamo pronti a ripetere l’accorata espressione «Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato» (Sal 22,1). Anche di questa espressione il Gesù povero si fa carico (cf. Mt 27,46 e Mc 15,34). Ma quasi rispondendo a questa espressione ricorrente, la Lettera agli Ebrei ci rassicura: «Non 240 abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze» (Eb 4,15) e, più avanti, lo stesso testo afferma con convinzione: «Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva» (ivi 7,26): la povertà è quindi la sigla con la quale Dio si presenta al mondo e che, per questo, merita rispetto in quanto luogo in cui può collocarsi la sua benefica ricchezza destinata soprattutto a coloro che sono poveri di quello spirito umano (cf. Mt 5,3) che tende all’accaparramento e all’arroganza. Il nostro Dio è Colui che abbassandosi si dona, si rende povero per arricchire: è da qui che occorre partire per una seria riflessione sul nostro agire a favore della povertà.335 I mezzi materiali, le ricchezze, le energie, tutto ciò che si ha va subordinato al valore dell’essere umano che riscopre la propria singolarità nel suo collaborare con Colui che lo ha creato insieme ed in armonia con il cosmo del quale si è, talvolta, servito, come di un linguaggio per esprimersi. Ne facciamo esperienza diretta, ad esempio, nella celebrazione della Veglia pasquale così carica di elementi naturalistici. Priorità dell’essere Quale povertà siamo dunque chiamati a colmare? È chiaro che la risposta è inquadrabile nell’integralità della persona per cui, più che insistere sull’avere, è necessario e doveroso partire dall’essere che è all’origine dell’agire a beneficio (si spera!) dell’umanità. 335 La dialettica abbassamento-esaltazione propria della kenosi di Cristo (cf. Fil 2,5-11) è la trama sottile di molte sue parabole (buon samaritano, padre misericordioso e i due figli, ecc.) nelle quali Egli esorta ad aver cura delle situazioni di indigenza dell’altro. 241 È noto come tutta una corrente di pensiero di matrice razionalista e scientista ha condotto alla cosificazione dell’uomo, rendendolo – nella peggiore delle ipotesi – merce di scambio. A ciò poi si aggiunge la forte miopia di questo pensiero che ha riversato sul Cristianesimo le sue accuse di sfruttamento e violenza contro il cosmo. Da qui è sorto un nuovo paganesimo336 che non rende ragione della singolarità che l’uomo rappresenta posto al vertice del cosmo e creatore di una cultura nelle sue diverse manifestazioni. In merito, molto è stato scritto ed è superfluo ripetere cose già note.337 Sta di fatto che, tanto sul piano filosofico quanto ancor più su quello teologico, una strada possibile di ricomposizione e riconciliazione è rappresentata dall’offerta che ogni persona è capace di proporre all’altro che, pur sempre, scopre in sé un fondo di indigenza e di povertà. È chiaro che questo è un discorso che supera un livello materiale (denaro, genere primari di sostentamento, risorse tecniche, ecc.) ma non lo esclude. Mettere in comune, donare, offrire: ma come? Questa è 336 L’odierno paganesimo possiede molti volti. Nel vasto panorama di Internet non pochi sono i siti e personaggi che inneggiano al ritorno di una religiosità classica pre-cristiana ripetendo in modo assai caricaturale elementi che troviamo in filosofi come Nietzsche e Sartre. Ciò senza contare coloro che si presentano e si proclamano apertamente satanisti. Ciò obbliga ad un’assidua vigilanza da parte di genitori ed educatori sulle giovani generazioni. 337 Basterebbe rileggere alcune pagine del grande filosofo G Marcel (1889-1973), nonché la densa panoramica offerta da S. Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica Redemptor hominis (1979) che riprende, pur senza nominarlo, alcuni aspetti di questo pensatore. 242 la domanda centrale: tutto quanto può fare l’uomo lo compie, ma da cosa è mosso? Laicamente, la risposta può essere espressa come segue: da una profonda fede nel prezioso carattere universale della vita umana e nelle sue potenzialità, oppure da un limitante e, talvolta, pericoloso do ut des che provoca il naufragio nelle derive della menzogna, dell’egoismo e del funzionalismo fini a sé stessi che rendono l’uomo un mezzo e non un destinatario beneficato dall’azione che si compie.338 Anche l’operare il bene per mettersi a posto la coscienza rientra in questo circolo vizioso. Due soluzioni delle quali solo la prima manifesta un certo grado di positività e di accettabilità, sebbene agli occhi di un credente rimane incompleta in quanto non implica il semper novum della Creazione e, ancor più, dell’Incarnazione redentrice che assume, realizza e completa il nostro essere creati a immagine somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26), indice ed appartenenza ad un progetto che oltrepassa e sana le nostre povertà. Nessuna macchina, o prodotto del pensiero umano, o essere mitologico si sono mai incarnati, né hanno mai salvato totalmente l’uomo attraverso un cammino in cui la povertà, lungi dall’esser disprezzata, è valorizzata come condizione ottimale per accogliere una ricchezza che non è di questo mondo e perciò non destinata a corrompersi (cf. Mt 6,20).339 Da qui comprendiamo come la povertà 338 È la morale espressa da I. Kant († 1804) nei suoi scritti (specie nella Fondazione della metafisica dei costumi) in cui il filosofo tedesco osserva che la positività dell’azione umana è legittimata dal fatto che essa: a) deve esser compiuta in modo da erigersi a norma di legislazione universale e b) deve tener conto che l’uomo è sempre un fine e mai un mezzo. 339 Ricordiamo che, storicamente, è stato questo capovolgimento di valori, affermato dal Cristianesimo, uno dei fattori che ha minato 243 che va colmata mostra diversi volti e non resta legata ad un discorso di danaro o beni materiali. Di tutto questo denso piano di realizzazione per l’uomo troviamo il compendio nell’Eucaristia dove la Parola infinita e il Pane inesauribile vengono dati senza misura quali realtà concrete di una Presenza che la Chiesa deve accogliere ispirandosi, a quanto Maria – che è Madre di questa Parola e di questo Pane – ha proclamato e compiuto. I due comandi: «Fate questo in memoria di me» (cf. Lc 22,19 e 1 Cor 11,25) e il «Quanto vi dirà fatelo» (Gv 2,5) relativi alla persona di Gesù sono congiunti nel rinviare all’unico suo mistero nel quale è inserita la Vergine santa, emblema singolare di una testimonianza attiva di povertà che è ricolmata dal dono di grazia. Il Cantico di Maria Indubbiamente il grande cantico intonato dalla Vergine nell’episodio della Visitazione (cf. Lc 1,46-55) resta un punto fermo per il credente che vuole comprendere la povertà evangelica,340 ma anche per il ‘lontano’ che può rendersi facilmente conto di come la trama della storia è vissuta dagli indigenti. In questo le basi del mondo greco-romano in cui soprattutto la potenza fisica e la forza del pensiero erano al vertice. Soltanto pochi pensatori (specialmente di corrente stoica come Seneca) hanno considerato la comune condizione degli esseri umani. 340 Per l’esame esegetico dettagliato di questo testo rinviamo all’ormai classico volume di A. VALENTINI, Il Magnificat. Genere letterario. Struttura. Esegesi, Dehoniane Bologna 1987. L’esegeta italiano è poi tornato sul tema nel suo successivo ed ampio volume dal titolo Maria secondo le Scritture, Dehoniane, Bologna 2007 dedicando al Magnificat due capitoli (pp. 133-164). 244 testo, Maria – la donna povera341 ormai arricchita in modo incomparabile dalla presenza del Figlio – proclama il rovesciamento, la novità che il Dio di Israele ha offerto al suo popolo e, in extenso, a tutte le genti. Si tratta di un rovesciamento di tutti coloro che – per un verso o per l’altro – restando attaccati al potere e alla ricchezza mondani si rendono refrattari all’azione liberante di Dio. Il povero (nelle varie specificazioni), in questo testo, è benedetto ed elevato perché è colui che con maggiore facilità accoglie questa azione divina; tuttavia a tale povertà è collegata l’umiltà della quale Maria, sin dall’Annunciazione, si è resa modello ed immagine. Partendo proprio dalla riconsiderazione rispettosa del povero, il Magnificat diviene «contestazione radicale al regno del peccato sconfitto dall’opera del Salvatore e ormai senza futuro».342 Un regno espresso con le immagini della ricchezza e del potere. Tutte realtà ed elementi che già conosciamo, ma che ci spingono nuovamente a riflettere sul significato del nostro agire nei confronti della povertà senza quei conti che siamo soliti fare quando, invece, ci relazioniamo con persone che possono darci il contraccambio. Nella persona di Maria vediamo perciò il duplice rapporto con la povertà: da un lato, l’umile ancella di Nazaret che si pone dinanzi a Dio nella sua semplicità offrendo/sacrificando quel poco che ha: un normale progetto di vita e, dall’altro, il Dio ricco ed onnipotente che si dona a questa donna insegnandoci con questo atto Povertà che si desume anche dalla piccolezza dell’offerta rituale nell’episodio della Presentazione di Gesù al tempio (cf. Lc 2,22-40). 342 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 164. 341 245 – ancor prima che con le parabole – la gratuità dell’amore e dell’offerta disinteressati. Ecco allora che da questa creatura così importante per la nostra fede e così discreta comprendiamo la pregnanza dell’offerta della donna povera che, nel tesoro del tempio, getta quanto ha per vivere (cf. Mc 12,41-44 e Lc 21,1-4) e, per altro verso, la necessaria attuazione del comando dato da Gesù di invitare alle nostre feste coloro che sono più indigenti (cf. Lc 14,12-14), invito che apre le porte del cielo. Che cosa può dare l’uomo al Dio ricco che lo benefica? Nulla, ma l’uomo benestante che soccorre l’indigente ispirandosi al comportamento di Dio può partecipare della vita senza fine e tutto ciò sfuggendo ad ogni logica di calcolo e, se vogliamo, di mercato. Possiamo allora dire che la persona di Maria ci aiuta a considerare il concetto e le situazioni di povertà con una maggiore completezza: senz’altro abbiamo la povertà materiale e spirituale da combattere sanando laddove ci sono fasce di degrado socio-economico attraverso un adeguato ed equilibrato uso dei beni della terra e diffondendo una vera e rispettosa cultura dell’uomo. Riprendendo il testo evangelico che la Chiesa quotidianamente recita (o canta) a Vespro possiamo condividere quanto afferma ancora A. Valentini: «è compito dei cristiani illuminare con questo canto la verità su Dio e sui suoi disegni, smascherare e rendere vane le trame di potenti, ricchi ed oppressori».343 Siamo molto vicini, nella sostanza di queste parole, ai continui appelli 343 246 Ibidem. alla Chiesa di papa Francesco alla sobrietà e al rispettosoccorso verso i meno abbienti. Non distaccata dalla precedente denuncia evangelica del lato negativo insito nella povertà, abbiamo il volto della medesima quale condizione ottimale per seguire ed essere discepoli di Gesù, senza che nulla appesantisca il cuore e la mente e conduca l’uomo ad un pericoloso e peccaminoso attaccamento a ciò che passa. Conclusione La povertà vissuta e rappresentata da Maria, oltre a caratterizzarsi per l’assenza di qualsiasi concessione all’idolatria e all’avidità, si contraddistingue per il servizio disponibile a Dio e, nella persona del Figlio, rivolto anche ai suoi fratelli e sorelle.344 Assenza di ricchezza non significa disimpegno, ma collocarsi dalla parte di coloro che, non ponendo ostacoli, sono più facilitati a scoprire le benefiche orme di Dio nella storia. 344 Questo elemento di disponibilità è un altro elemento che tiene uniti i due momenti della presenza di Maria a Cana (cf. Gv 2,1-11) e presso la Croce (cf. Gv 19,25-27). Nel primo, Maria intercede ed è via ed occasione per la realizzazione del segno, nel dolore della Croce, la Madre del Signore diviene (è disposta) per suo volere Mater universalis. 247 28 Difficoltà e attualità di un titolo mariano: «CAUSA NOSTRÆ LÆTITIÆ» Siamo immersi in un mondo in cui gran parte del nostro parlare e pensare ha perduto l’efficacia di quanto vuole esprimere. Anche il concetto e la realtà della gioia sembrano essere smarriti e Maria si colloca come guida in un possibile recupero. Ci soffermiamo perciò su un tema – quello della gioia, appunto – che troppo spesso viene associato ad euforia e rumore derivante. La gioia: difficoltà di un discorso Dinanzi alla Vergine Maria, il discorso sulla gioia è estremamente complesso e la difficoltà nasce da almeno tre ordini di fattori che, tuttavia, devono convivere e non possono essere distaccati se non si vuole togliere credibilità al Cristianesimo. Di essi i primi due sono eminentemente teologici e rispondono ad altrettante domande: cosa dice la Scrittura? Cosa ha detto successivamente la Chiesa nella sua Tradizione e nel Magistero riguardo al rapporto fra Maria e la gioia? Il terzo fattore è, invece, di ordine sociale ed umano: cosa può essere detto ‘gioia’? Sulla base della Scrittura (che è già teologia in atto, resa prioritaria in forza dell’ispirazione345) conosciamo 345 Questo elemento appare insinuato nella Costituzione Dogmatica sulla Rivelazione Dei Verbum al n. 11 quando il Concilio sottolinea che gli agiografi sono uomini di cui Dio «si servì nel 249 momenti specifici nei quali Maria vive la gioia, oppure si colloca in un’atmosfera gioiosa. Basterebbe citare qui i due eventi inseparabili dell’Incarnazione e della Visitazione narrati dall’evangelista Luca nei quali la grazia e lo Spirito Santo agiscono sulla giovane donna non solo attuando il concepimento di Colui che è gioia, ma perché Maria risponde affermativamente con gioia e desiderio di vedere attuato l’annuncio (cf. Lc 1,38) e, successivamente, riconosce – nel Magnificat – il Dio che segna il trionfo del bene sul male e che, nella sua persona, ha compiuto grandi cose (cf. Lc 1,46-55). Si tratta di una redenzione in atto che realizza la pienezza dei tempi, pienezza non quantitativa ma qualitativa segnata dal riscatto di coloro che erano sotto la Legge (cf. Gal 4,4-5). Restando aderenti alla S. Scrittura possiamo configurare Maria quale ‘causa della nostra gioia’ tanto in una dimensione personale che la riguarda direttamente (è lei, l’unica ad essere Madre del Redentore), quanto con un significato che investe la comunità dell’AT (Maria appartiene all’Israele dei patriarchi) e quella dei nuovi tempi segnata dall’universalità della redenzione attuata dal Figlio. Essere ‘causa della nostra gioia’ per Maria non è un arrogarsi una prerogativa che non le spetta,346 ma lasciare al Figlio il mostrarsi e l’agire salvifico: è il compito che possesso delle loro facoltà e capacità». Da considerare inoltre che l’Ispirazione, al pari di altre verità centrali della nostra fede (es.: Peccato originale, Immacolata, Infallibilità, Assunzione), è un dogma sancito dal Concilio Vaticano I nella Costituzione Dogmatica Dei Filius (24/4/1870). 346 Qui il discorso si potrebbe specificare ed ampliare nell’ambito della regalità esercitata nel servizio al piano salvifico dalla Madre di Dio pienamente conformata al Figlio, Re e Servo dell’Universo. 250 Maria ha attuato lungo la sua vicenda terrena così come ce la presenta il NT, compito che la rende grande e singolare in quanto modello di umiltà. Accanto agli eventi che precedono i racconti dell’infanzia di Gesù, un altro episodio significativo per il nostro tema della gioia è rappresentato dalla vicenda di Cana: il comando ad ascoltare/attuare la volontà di Gesù (cf. Gv 2,5) basta a sancire il ritorno della gioia propria del terzo giorno in cui si rivela la sua gloria.347 Autore di questa gioia è Gesù che opera segni specifici, mentre la Madre è soltanto discretamente presente, ma proprio in questa discrezione (che non vuole lo sguardo su di sé, ma indica nel Figlio il vero cardine della vicenda) vediamo la singolarità di un’azione che orienta alla gioia vera. Partendo dalla Scrittura, la Tradizione della Chiesa ha creduto opportuno elaborare teologicamente e a livello cultuale questo concetto di ‘causa della nostra gioia’. Viene qui in mente, ad esempio, la pia pratica delle Allegrezze: momenti di preghiera e di riflessione su questi momenti di gioia vissuti da Maria, come anche trattatelli devoti o, a volte, teologicamente più elaborati, spesso compilati piegando il testo sacro al metodo esegetico allegorico e simbolico e sovente con finalità edificante.348 Il Magistero, a sua volta, ha sistematizzato organicamente e dottrinalmente tali verità nei quattro 347 Cf. A. SERRA, E c’era la Madre di Gesù... (Gv 2,1). Saggi di esegesi biblico-mariana, Cens-Marianum, Cernusco sul Naviglio 1989, 367 dove l’autore pone a confronto Gv 2,1.11 e Gv 19,1920.20.21 348 Per una ricognizione storica e liturgico cultuale sul titolo Causa nostræ lætitiæ rinviamo alle pagine iniziali di un nostro contributo: Maria “causa nostræ lætitiæ” in alcuni testi di Paolo VI, in Marianum 70 (2008), 315-354. 251 dogmi che sanciscono un completo e, al contempo, sobrio profilo della Madre di Dio. Tutte queste quattro solenni definizioni chiaramente inseriscono, in vario modo, la Madre di Dio nel contesto della Redenzione, evento in cui la gioia riservata all’uomo giunge al culmine. Fra essi si evidenziano per la densità e la pregnanza di significato anche per l’oggi l’Immacolata Concezione (1854) e l’Assunzione gloriosa (1950) in quanto toccano sul vivo i luoghi più delicati dell’esistenza dell’uomo e dove la gioia viene messa in questione, se non, addirittura, in serio pericolo: la vulnerabilità e il destino ultimo. I due dogmi e la gioia «Dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale, è stata rivelata da Dio e perciò si deve credere fermamente e inviolabilmente da tutti i fedeli».349 Le parole sopra riportate rappresentano il cuore del testo definitorio dell’Immacolata Concezione così come si legge nella Ineffabilis Deus di Pio IX. La verità di fede che sostiene l’esenzione dal peccato originale della Madre di Dio è segno eloquente di una promessa: dono della redenzione e frutto della misericordia di Dio, tali da far passare l’uomo da uno stato di prigionia ad uno di liberazione e trasformazione. Esso si è attuato 349 252 PIO IX, Bolla Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854), in EE 2/761. previamente nella Madre di Colui al quale spetta il merito di aver rinnovato l’umanità. La prima a godere di questa restaurazione è Maria il cui statuto così singolare permette l’Incarnazione. Maria è perciò terra incontaminata350 dove nasce il nuovo fiore.351 Il suo statuto ontologico la inserisce in un contesto di gioia, dove l’ascolto e la presenza del Figlio la sostengono in un cammino umano dove non mancano le difficoltà, ma al cui orizzonte si colloca la Pasqua della quale Maria gode degli effetti. La vita di Maria non la conosciamo se non per quei pochissimi accenni offertici dalla Scrittura, tuttavia nessuno ci impedisce di considerarla partecipe di quell’armonia e bellezza assolute di relazioni che contraddistinguono la creazione in Gen 1 e 2. Una natura singolarmente inserita nella sua Origine divina, il Dio che supera le strettoie del peccato assicurando alla fragilità dell’uomo mortale e, con esso, la redenzione. Tutto questo è gioia per la riuscita realizzazione del progetto di Dio sull’uomo e del quale quest’ultimo può esserne partecipe a patto di impegnarsi in vario modo. Nello stile del documento definitorio sopra citato, la gioia (termine e concetto sottostante) appare sette volte e tutte sono all’insegna di un cammino fatto e giunto ad un punto fermo: l’Ineffabilis Deus appare perciò prodotto di un confronto con la Tradizione avvenuto per sancire L’immagine della terra vergine applicata a Maria possiede una lunga storia teologica che trova in Ireneo di Lione († 200 ca.) una delle prime voci (Dimostrazione della Predicazione apostolica, 32). 351 L’espressione è utilizzata da Dante ALIGHIERI nella Commedia (Par. XXXIII, v. 9). 350 253 il dogma nella gioia procurata dal parlare di Maria. Vi troviamo la riconferma dei passi fatti dal Magistero precedente, che hanno condotto a compimento la definizione, nonché la presa di coscienza del favore di tutta la Chiesa e, da ultimo la riaffermazione di Maria quale «gioia e corona di tutti i santi».352 Un testo ed un lavoro sotteso che pone fine in modo felice a secoli di squilibri ed inimicizie per cui è possibile affermare che la gioia è presente qui nella forma e nei contenuti del documento che non fa che ribadire con forza l’efficacia del piano redentivo. Se il dogma dell’Immacolata Concezione getta una luce gioiosa di perdono sul peccato e sulla debolezza dell’uomo indicando la redenzione già avvenuta in Maria, la sua Assunzione gloriosa addita all’uomo l’effettivo orientamento del suo destino non all’anonimato, ma alla patria celeste. Questa verità di fede, dogmatizzata nel 1950 da Pio XII con la Munificentissimus Deus, si colloca in continuità con il dogma di Pio IX offrendoci così il quadro completo dell’esistenza nel tempo e nell’eternità di Maria. Qui accanto alla gioia (che appare tuttavia nominata solo una volta in questo documento353) si colloca il dono della speranza, ossia una apertura al futuro proposta all’uomo e realizzata nell’icona dell’Assunta. Nel corso della storia, tale verità ha trovato forse meno problemi rispetto all’esenzione di Maria dal 352 PIO IX, Ineffabilis Deus, in EE 2/761. Nel testo della Costituzione apostolica la gioia è posta in parallelismo alla gloria. Essa, propria di Maria, è apportatrice di gioia ed esultanza per l’intera chiesa. Cf. PIO XII, Costituzione apostolica Munificentissimus Deus, in EE 6/1974. 353 254 peccato di Gen 3, ma ciò non toglie che l’Occidente ha dogmatizzato un articolo di fede che l’Oriente cristiano (in particolare l’area bizantina) ha considerato pacifica verità acquisita ed espressa in tutta la ricchezza innografica, omiletica ed iconografica che sappiamo. Aspetto invece non affrontato dalla definizione è stata la morte di Maria, ma spetta a S. Giovanni Paolo II aver riproposto all’interesse della Chiesa questo elemento che appartiene ad ogni esistenza umana compresa quella di Cristo.354 Lungi dall’impoverire la gioia portata dalla redenzione ed espressa nel trionfo dell’Assunzione della Madre redenta, l’elemento della morte (che ogni persona è chiamata a vivere in modo proprio) – in forza di questa solidarietà attuata da Maria verso Cristo e verso l’umanità – lo conferma: perché ci mostra come il suo essere madre oltre ad essere indice di generazione spirituale è anche condivisione, modellata sul Figlio. Questo rende ulteriore ragione di quanto il Concilio aveva espresso nei numeri 59 e 68 della Lumen gentium ribadendo la verità dell’Assunzione apportatrice di speranza riconducibile al concetto di conformazione completa che, se per la Madre di Dio è stata facilitata da una particolare grazia, resta un impegno per i cristiani esposti ai pericoli e alle tentazioni di questo mondo. 354 Il tema è stato riproposto dal Giovanni Paolo II in una catechesi pubblica pronunziata il 25 giugno 1997. Il testo è in Insegnamenti, vol. XX/1, 1608-1610. Per tutta la problematica si veda S. M. PERRELLA, Maria nella coscienza ecclesiale contemporanea, PAMI, Città del Vaticano 2005, 376-382. 255 Ricercare la gioia Per rispondere alla terza e più impegnativa domanda lasciata in sospeso ci viene in aiuto un testo dell’AT tolto dal Siracide: «La sapienza esalta i suoi figli / e si prende cura di quanti la cercano / Chi ama la sapienza ama la vita / chi la cerca di buon mattino sarà ricolmo di gioia» (Sir 4,11-12). Colei che noi veneriamo quale Sede della Sapienza ci invita e ci insegna ad andare all’essenziale (cf. Gv 2,5), a quel Dio persona che è partecipe delle nostre vicende anto da prendere costantemente volto e corpo dell’uomo.355 Un Dio che mostrandosi nei volti e nelle persone svela la sua Sapienza più grande delle mezze verità e degli idoli dell’uomo (successo, lifting, notorietà, danaro, potere…) che non danno gioia, ma soddisfazioni di breve durata e talvolta raggiunte con certa dose di immoralità. Dove è possibile allora cercare questa sapienza apportatrice di gioia? Ma soprattutto come realizzare tale ricerca? Nel suo pontificato, papa Francesco invita ad andare incontro all’uomo (lo vediamo nel suo parlare/agire soprattutto verso le frange più disagiate, frutto anche della sua particolare cultura ecclesiale di provenienza), ma non è un invito immotivato o privo di finalità. Esso si condensa nel potenziamento delle migliori energie e qualità dell’uomo, delle opere Significativo l’asserto contenuto nella Costituzione pastorale conciliare Gaudium et spes n. 22 per il quale «con l’Incarnazione Cristo si è unito in certo modo a ogni uomo», CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 22, in EV 1/1386. 355 256 belle/buone che sa compiere (pensiamo ai continui riferimenti e apprezzamenti positivi verso la famiglia, oggetto di recenti catechesi pubbliche). Abbiamo quindi una coincidenza evidente: gioia nella passione per l’uomo. Passione: concetto e termine che unisce Dio e l’uomo, il mistero pasquale con la cura amicale della persona e della vita e, per questo motivo, sottolinea spesso papa Bergoglio tesoro che non ci si può «far rubare». Allora il discorso dell’antico testo biblico resta attuale in tutta la sua densità, venendo poi incarnato da Cristo, il quale cerca prima di noi e per noi l’uomo trasformandone i limiti, le sue condizioni sociali e il peccato con la forza della sua misericordia redentrice. La vera gioia è proprio qui ed è concretizzata a partire da Cristo in alcune persone che gli appartengono e che noi chiamiamo santi: Maria la creatura unica e singolare, Pietro l’apostolo debole e irrobustito, Paolo colui che si scontra in modo drammaticamente benefico col Redentore e Servo perennemente perseguitato e l’elenco potrebbe continuare: ognuno di loro ha trovato la gioia, ma soprattutto queste esistenze ci indicano Colui che è portatore della gioia e che ci chiede di donarla. È la difficoltà del credere, dell’amare e dell’aprirsi al futuro cercando di costruire qualcosa di nuovo: portare il cielo sulla terra, così come ci suggerisce la preghiera del Padre nostro nell’invocare la realizzazione della volontà di Dio tanto nelle altezze quanto tra gli uomini e nel mondo (cf. Mt 6,10). Tutto questo si attua con gesti che vanno anche controcorrente ma, chiediamoci, Gesù non è stato annunciato forse come rovina e resurrezione (cf. Lc 2,34)? 257 In questo vivere, Maria la donna redenta che lascia campo al Redentore, in modo umile e discreto, ci precede e ci accompagna ed è necessario per noi scrutarne gli atteggiamenti per testimoniare, in modo concreto, la vera gioia che discende dal Cristo. Conclusione Parlare di gioia cristiana significa rimettere al centro il complesso di caratteri che sono propri della Rivelazione completa in Cristo. In Lui il Dio forte, il Dio della vita attraversa il lato oscuro della persecuzione della violenza e della morte. Maria è coinvolta in questa vicenda, al contempo esistenziale-umana e soprannaturale-divina ed invita colui che vuole essere discepolo – con tutto ciò che comporta – ad assumere per la propria esistenza una visione diversa da quella che il mondo propone. In una parola: l’Alleluia pasquale non può essere distaccato da quella sofferenza presente nel mondo e nell’uomo e che Cristo compendia. Anche in queste circostanze si rinnova il miracolo dell’Incarnazione: non solo noi ci conformiamo a Cristo, ma anzitutto Egli prende come buon samaritano le nostre sofferenze per mutarle in abito di vera gioia [cf. Sal 130(129),12-13]. 258 29 Il bisogno umano di misericordia e Maria Riprendiamo in attenta considerazione tema della misericordia in quanto, oltre ad essere un motivo ricorrente nel pontificato di papa Francesco ed ispiratore del Giubileo straordinario celebrato nel 2016, esso rappresenta un’esigenza stringente nell’attuale contesto sociale e religioso, colma peraltro di pressanti interrogativi. Da esso ci muoviamo per affrontare questa singolare manifestazione del Dio Amore che coinvolge Maria, sua e nostra Madre. Necessità e bisogno di misericordia Non passa giorno che i più sofisticati mass-media ci informano – anche con dettagli di dubbio gusto – di casi in cui vengono impunemente calpestati i diritti umani (per non parlare di quelli religiosi). Si tratta di fatti a carattere violento, dove l’egoismo e la sopraffazione raggiungono livelli considerevoli che mettono in risalto quella situazione di “mondo in frantumi” che G. Marcel dipingeva già alla metà del secolo XX. La frantumazione di questo mondo non dipende solo dai processi tecnicoproduttivi che dominano l’odierna società (fra l’altro sempre più in crisi finanziario-economica ed ecologica), ma dal modo con cui le leggi, che dominano tali processi, si sono infiltrate nelle relazioni umane rendendole liquide ed indifferenti. Da qui si originano le derive umane e culturali che abbiamo imparato a conoscere grazie anche alle teorizzazioni di maestri che, oltre ad essere ‘del sospetto’, 259 potremmo definire ‘dell’anti-umanità’, guasti che S. Noceti sintetizza efficacemente come segue: «solipsismo, narcisismo, indifferenza, dichiarato rifiuto dell’altro da noi» e che «contraddistinguono la temperie culturale occidentale».356 È chiaro che, considerati i costitutivi decritti dalla teologa italiana, si fa largo la competitività che rappresenta la negazione del ‘fare posto all’altro’, del sostenerlo nelle difficoltà di varia origine ed entità. Questo ha delle ricadute e delle rispondenze anche all’interno del popolo di Dio dove, ad esempio, un consistente numero di fedeli non si accosta più al sacramento della Riconciliazione: neo-pelagianesimo? Ribellione? Molte possono essere, in merito, le spiegazioni. Se già papa Pio XII nel 1946 affermava che il peccato più grande è la perdita del senso del peccato,357 c’è da aggiungere che oggi la perdita della misericordia è gravissima offesa all’uomo che, per sua natura, è stato creato con una ‘cifra sociale’. Offesa che si traduce nel meccanismo del ‘muro contro muro’, dell’incomunicabilità e nel far pesare le colpe senza offrire all’altro la possibilità non solo di ricominciare, ma di esercitare la parte migliore di sé stesso. Tuttavia a sentir parlare di misericordia emerge un altro dato inquietante che consiste nello spettro del cosiddetto ‘buonismo’, figlio di una distorta idea di tolleranza: lo vediamo, ad esempio, nella scriteriata 356 S. NOCETI, Verso una Chiesa di misericordia, in Credere oggi 202 (lu-ag. 2014), 67. 357 L’espressione figura in un Radiomessaggio ai Catechisti statunitensi (PIO XII, Discorsi Radio Messaggi, Città del Vaticano 1947, vol. VIII, 288) e sarà ripresa da S. Giovanni Paolo II nella Reconciliatio et pænitentia n. 18. 260 gestione della questione degli immigrati da parte degli organismi civili e internazionali senza varare misure adatte e consone. Ci si potrebbe chiedere: calcare la mano sul perdono senza una reale volontà di cambiamento quale risposta dell’altro non conduce fatalmente verso una superficiale ed acritica assoluzione? In secondo luogo: a motivo di quest’ultima, dobbiamo sostenere (anche economicamente!) persone che si sono macchiate di reati gravissimi (omicidi, furti, violenze, ecc.) con l’impiego di energie (materiali e spirituali) destinabili a coloro che invece ne hanno reale bisogno. Il problema non è di semplice soluzione anche perché, come cristiani, siamo sempre interpellati dal detto di Gesù secondo il quale Dio «fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45) unito al perdono senza misura (cf. Mt 18,22). Questo aspetto rassicurante, tuttavia, non deve esimerci da un atteggiamento di rigore e severità: il nostro Dio è senz’altro il Giusto e Misericordioso, ma è anche Colui che, con la sua Parola c ci esorta ad essere «santi perché io, il vostro Dio sono santo» (Lv 19,2 e Mt 5,48). Rigore e severità che non devono significare condanna dura e sbrigativa fatta passare per giustizia, ma rappresentano due atteggiamenti da mettere in pratica anzitutto su sé stessi. Torna allora molto attuale il raffronto, fatto da Gesù, tra la pagliuzza e la trave (cf. Lc 6,42): è un paragone che ci tocca sul vivo. Cerchiamo e desideriamo la misericordia, ma in qual modo ci relazioniamo con il Dio della misericordia vivendo un’esistenza retta che ci impedisca di guardare ad una facile condanna considerata come risolutiva senza invece vederne uno strumento di correzione e l’inizio di una 261 nuova pagina di storia personale? In ogni caso sono da evitare gli estremi (il buonismo e il rigore sommario). Il nostro peccato qualunque esso sia – del quale chiediamo perdono (quando con umiltà lo chiediamo!) – è anche quello di far mancare quella misericordia mediante la quale tanti squilibri potrebbero essere sanati, a partire dalle relazioni interpersonali che sono alla base della convivenza internazionale con tutti i suoi interessi. In sostanza, ci allineiamo più spesso al fratello più grande (e non meno peccatore, almeno in superbia) della nota vicenda del padre di misericordia (cf. Lc 15,11-32) perché forse risulta più comodo dimenticando che, come Chiesa, siamo depositari e portatori della misericordia358 che è centro della Rivelazione,359 disegno attraverso il quale Dio opera meraviglie. È Maria a ricordarcelo nel Magnificat. Maria: Immacolata e «Mater misericordiæ» Se papa Francesco ha voluto far coincidere l’apertura del Giubileo della Misericordia con una solennità mariana quale è appunto l’Immacolata Concezione, ciò non deve stupirci: anzitutto perché Maria è frutto di tale misericordia e realizzazione dei suoi effetti. In secondo luogo, perché già S. Giovanni Paolo II, nella sua esortazione apostolica Dives in misericordia del 1980 aveva riecheggiato le parole che, nel Magnificat, esprimono il fatto che la misericordia divina si estende di generazione in generazione per poi concludere – avendo sempre come orizzonte il testo lucano – affermando che: «La Chiesa che, sul modello di Maria, cerca di essere anche 358 Cf. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 8, in EV 1/882a. FRANCESCO, Misericordiæ vultus, n. 25, LEV - S. Paolo, Città del Vaticano-Milano 2015, 63. 359 262 madre degli uomini in Dio, esprima in questa preghiera la sua materna sollecitudine ed insieme il fiducioso amore, da cui appunto nasce la più ardente necessità della preghiera».360 Si tratta di due elementi connessi e molto importanti che sorreggono il “quotidiano” della Chiesa. Riprendiamo perciò dal primo punto: Maria è frutto ed emblema di misericordia e quest’ultima, a sua volta, fa parte delle meraviglie poste in atto da Dio. Nella Bolla di indizione del Giubileo, Misericordiæ vultus, papa Francesco motiva la scelta di questa data ritornando all’Origine, al Dio della creazione: «Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di Dio fin dai primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cf. Ef 1,4), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono».361 Vengono qui in mente (e il testo della Bolla le suggerisce) le parole della IV Prece Eucaristica (basata, per quanto concerne l’uomo, sull’anafora di S. Basilio († 379) che così recita: «E quando, per la sua disobbedienza, l’uomo perse la tua amicizia, tu non l’hai abbandonato in potere della morte, ma nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano ti possano trovare». 362 360 GIOVANNI PAOLO II, Dives in misericordia, n. 15, in EV 7/952. FRANCESCO, Misericordiæ vultus, n. 3, p. 19. 362 Messale Romano, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, 412. 361 263 Ritraducendo armonicamente l’ultima frase del testo eucologico citato possiamo senz’altro affermare che l’uomo in ricerca della misericordia di Dio può trovarla negli effetti che questa produce nella Madre di Dio contemplata e professata, come dogma di fede, nella sua esenzione da ogni peccato e, per questo motivo, bella al pari della Donna di Ap 12, testo utilizzato da tutta una tradizione iconografica che ben esprime il mistero di questo immacolato concepimento.363 In questa bellezza così singolare (che supera i connotati puramente estetici, anche se non li annulla), Maria permette all’uomo di trovare, nella testimonianza scritta ed ispirata,364 il Dio che opera grandi cose e che rendono Maria la beata da parte di tutte le generazioni (cf. Lc 1,48b).365 Il Magnificat – e passiamo ormai al secondo aspetto – ci fa comprendere che siamo in un ambito eminentemente pasquale (anche come rilettura degli eventi che riguardano Maria) che illumina il motivo per cui Dio Padre, in vista dei meriti di Cristo, ha scelto e conformato una Madre per il Figlio, l’ha adornata di ogni virtù senza che conoscesse peccato. In sostanza, ha offerto all’umanità un segno della sua benevolenza e della 363 Su questo aspetto si veda G. MORELLO-V. FRANCIA-R. FUSCO (a cura di), Una Donna vestita di sole: l’Immacolata Concezione nelle opere dei grandi maestri, F. Motta ed., Milano 2005. Si tratta del catalogo di una mostra realizzata al Braccio di Carlo Magno in Vaticano tra il febbraio e il maggio 2005. 364 Cf. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 11, in EV 1/889890. 365 Al n. 24 della citata Bolla, papa Francesco fa notare che anche noi siamo parte di quelle generazioni che si susseguono nel tempo. 264 sua carità più forti del male commesso da Adamo:366 è il messaggio paolino di Rom 5,20. Da qui ecco sorgere e motivarsi – tanto nella preghiera, quanto nell’arte visiva367 – la frequenza della Mater misericordiæ che, talvolta, con tratti maestosi e regali (motivati da una Grazia del tutto particolare che affonda le sue radici nel seno della SS. Trinità e, per questo, associata al tema della luce), protegge il popolo che a lei si rivolge. Come Maria riceve misericordia da Dio così la manifesta nel suo potere di intercessione ed è questo il suo più alto esempio ed insegnamento. Da Maria al mondo L’esemplarità nella fede e nel discepolato fa sì che Maria, primeggiando fra i poveri e gli umili,368 appaia destinataria di un favore particolare da parte di Dio che in Lei si incarna e ne perfeziona, sin dagli inizi, la condizione. Si tratta di un incommensurabile atto di amore che ha permesso alla Chiesa – sin dalle più antiche testimonianze della Tradizione – di considerare Maria quale realizzazione perfetta del genere umano.369 366 Ciò appare sin dalle prime righe della bolla Ineffabilis Deus di PIO IX del 1854, in EE 2/739 (intero documento 2/739-65). 367 Ci possiamo riferire qui all’antichissima preghiera del Sub tuum præsidium (III sec.) e al motivo iconografico della Madonna del Manto (XIII sec.). 368 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 55, in EV 1/429. 369 Cf. IRENEO DI LIONE, Adversus hæreses, III,19,3, in SCh 211, 380-381. 265 Tale realizzazione che, successivamente, si completa in una glorificazione del genere umano nel Regno non può prescindere da un elemento ineliminabile costituito dall’impegno nel riscoprire la propria autenticità. Essa risiede nel carattere iconico dell’uomo (immaginesomiglianza: cf. Gen 1,26-27) che tocca, al contempo, il suo essere e il suo agire ritagliati nel mistero di Dio. L’autenticità è, perciò, rendersi strumento della Parola annunciata e trasmessa: Parola di misericordia.370 Sappiamo come nel Magnificat e nell’icona del padre dei due figli (cf. Lc 15,20), Dio apre le braccia della sua misericordia: tale atto non può, né deve restare confinato in un libro o fissato in un’opera d’arte, ma tradotto e concretizzato in gesti di grande responsabilità, ossia ricostruzione di una identità umana che, in alcuni, è offesa dal peccato. Per ogni uomo, collocarsi sulla linea e sulle orme di Dio non è semplice: molteplici sono le passioni, i pesi e le barriere che gravano sul suo cuore impedendo gesti di riconciliazione soprattutto in casi gravi, dove umanamente si invoca l’evangelica macina da mulino al collo (cf. Mc 9,42) quale soluzione estrema. L’unica via di fuga (se così possiamo definirla) da questa sommaria soluzione è ritornare al mistero del Dio che, all’inizio e ancor prima della sua comparsa storica nel tempo (cf. Gal 4,4), ha rivolto uno sguardo di misericordia a Maria e, alla fine, sulla Croce ha invocato il perdono sui suoi uccisori (cf. Lc 23,34). Maria è presente in entrambi i momenti a testimoniare quanto la misericordia produce. 370 266 Cf. FRANCESCO, Misericordiæ vultus, n. 25, 63. Nel Mistero Pasquale, Gesù mostra quella forza di attrazione (cf. Gv 12,32) che è sostanzialmente atto di misericordia e coloro che si collocano fuori ed agiscono con parametri che non sono quelli di Dio si perdono nella solitudine che isola con i propri limiti elevati ad idoli mostruosi e generatori di violenza. La Croce e la Mater misericordiæ anche visivamente appaiono come icone ‘aperte’ e tornare ad esse non è segno di debolezza, ma di forza e maturità per l’uomo di ogni tempo. Conclusione Nella sua lettera alla comunità di Efeso, S. Paolo pone in guardia dal considerare opera dell’uomo la grazia che proviene dal Signore (cf. Ef 2,9). Questo deve ricordarci che la stessa misericordia, che noi riceviamo e che siamo chiamati a far circolare (cf. Mt 5,7), conduce ad una comunione che sta a noi costruire e rafforzare costantemente, riscoprendoci così collaboratori di Dio. Tale è stata Maria: ‘vincente’ per umiltà, discrezione, silenzio e resta esempio di offerta e dono per l’intero popolo di Dio. A noi tutti si rivolge ripetendo l’invito ai servi: «Quanto vi dirà, fatelo» (Gv 2,5) riportandoci così al Figlio, centro e cuore della divina carità. Per questo Ella è Mater misericordiæ, ma anche di coloro che di questa misericordia sono vivi e veri diffusori. 267 30 Una vitale complicità per una nuova creazione Il titolo di questo nostro breve contributo può suonare un po’ provocatorio nell’uso del sostantivo/aggettivo complicità/complice spesso associato al mondo della malavita. Tuttavia esso, sciolto da ogni connotazione del genere, indica impegno in un’azione particolare. Viviamo in un mondo di provocazioni dalle quali neppure Dio e l’uomo sembrano sottrarsi a tale complicità. Ma se essa mantiene connotati positivi produce frutti benefici per la dignità dell’uomo. Da Dio all’uomo Aprendo la Bibbia ci troviamo immediatamente a confronto con i due grandi affreschi della Creazione che occupano i primi due capitoli della Genesi che gli studiosi ci ricordano essere stati redatti in momenti assai diversi fra loro.371 Se il più antico testo (Gen 2,4b-3,24) pone in evidenza la relazione uomo-cosmo-Dio, la narrazione di Gen 1,1-2,4a sottolinea la concezione di un cosmo che viene dotato da Dio di proprie leggi stabili (ciò è sottolineato ad esempio da frasi ripetute come «e fu sera e fu mattina») contrassegnate dalla Provvidenza. In ogni caso, dall’insieme di queste pagine bibliche, fra Dio, il mondo e l’uomo sussiste una fondamentale 371 Gen 1,1-2,4a risalirebbe alla fine del VI sec. a. C., mentre Gen 2,4b-3,24 sarebbe più arcaico, cioè dei secoli IX-VIII. 269 autonomia che non significa conflitto o opposizione, ma lo svolgersi di ruoli ben distinti e che non possono privarsi di una loro relazione. A Dio spetta l’azione creatrice, all’uomo quella dell’accoglienza e custodia di quanto in termini di creazione gli è stato offerto e che, per questo, è contraddistinto da globale bontà (cf. Gen 1,28-31). È importante e salutare tener conto di questa autonomia e lo stesso Concilio Vaticano II – nella costituzione pastorale Gaudium et spes al n. 36 – mette in guardia dai pericoli che possono derivare dal rifiuto di riconoscere tale legittima autonomia, primo fra tutti l’ingiustificata opposizione tra scienza e fede. Anche il triste evento della caduta (cf. Gen 3) non ostacola questa dialettica, anzi esso – pur provenendo da un uomo già avvertito in precedenza degli effetti deleteri di una cattiva scelta e nella sua gravità idolatrica – appare sempre inferiore alla potenza creatrice di Dio, il quale nella pienezza dei tempi (cf. Gal 4,4) provvederà a redimere cosmo e uomo. In merito, Benedetto XVI ricorda che «la Parola di Dio rivela anche la possibilità drammatica da parte dell’uomo di sottrarsi a questo dialogo di alleanza con Dio. La divina Parola, infatti, svela anche il peccato che alberga nel cuore dell’uomo».372 Nel Giubileo particolare che si è svolto nel 2016 è stato sottolineato in discorsi e scritti di varia provenienza ed autorità come quella circostanza è stata essenzialmente un’azione di Dio, un grande atto di perdono non solo perché è il Dio buono, ma anche in forza di quanto Giovanni ci ricorda che «La luce è venuta 372 BENEDETTO XVI, Esortazione Post-sinodale Verbum Domini (30 ottobre 2010), n. 26, in EV 26/2266. 270 nel mondo, ma le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). Questo costituisce grande motivo di speranza, non solo perché ci viene prefigurato e annunciato il passaggio finale dal male al bene, ma perché questo futuro glorioso accompagna la coscienza dei cristiani come chiave interpretativa di un presente dai tratti che sembrano fermi al Venerdì santo più che muoversi verso la domenica di Resurrezione. In una parola siamo spettatori di un mondo fermo al compiacimento del male e incapace di muoversi verso la volontà di bene. Speranza è appunto questo: far credito al futuro, ma al contempo agire nel presente che avrà un compimento di trasformazione e trasfigurazione. La partita, potremmo dire in gergo calcistico, è aperta ed in campo scende l’impegno dell’uomo che, fatto ad immagine e somiglianza di Dio, deve svolgere ciò che queste due componenti vogliono significare. L’uomo è nel mondo per fare le veci di un Dio attento, vigile ed operoso. Emergono allora sostanzialmente due impegni: non guastare e operare quanto serve a nobilitare questa creazione della quale l’uomo è parte. Il ‘non guastare’ nasce dal benefico rifiuto dell’idolatria e dell’uso sconsiderato delle macchine che, senz’altro, aiutano, ma che generano una mentalità materialista ed efficientista denominata tecnocrazia. Abbiamo detto che ciò è stato seriamente considerato da certo pensiero del secolo XX373 e che poi è stato ribadito da S. Giovanni Paolo II (1920-2005) ai nn. 15-16 della Pensiamo, ad esempio, ai testi di G. MARCEL, L’uomo problematico, Borla, Roma 1992 (or. fr. 1955), oppure ad Homo viator di 11 anni prima, in cui l’autore già alla metà del secolo XX denunciava gli inquietanti squilibri prodotti da un funzionalismo e meccanicismo già allora evidenti. 373 271 sua Redemptor hominis e, successivamente da papa Francesco, nel capitolo III della sua enciclica Laudato sì (2015) alla quale si rifà anche l’istruzione della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita apostolica dal titolo Contemplate dello stesso anno.374 Ma dall’efficientismo e dalla tecnocrazia allo spettro dello sfruttamento generalizzato (non solo ecologico, ma anche umano) il passo è breve, per cui si impone la riscoperta del lavoro come strumento di bene e come mezzo con il quale l’uomo conferma la propria dignità.375 In tutta la sua azione, l’uomo deve svelare la più profonda essenza di realtà nata dalla creazione e, in ultima analisi, dalla Rivelazione nella quale Dio si manifesta in parole ed opere fra loro connesse.376 Ancora una volta, l’uomo viene risospinto in un ambito di feconda dipendenza dal Dio che si rivela, che crea e che, successivamente, nel Figlio, salva prendendo quanto di più proprio è dell’uomo: un volto, la carne, i sentimenti. In tutto il suo arco di svolgimento storico, la Rivelazione ci svela il suo coefficiente di umanesimo integrale e, per questo, carico di responsabilità. 374 Cf. CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Contemplate. Ai consacrati e alle consacrate sulle tracce della Bellezza (15 ottobre 2015), n. 60, LEV, Città del Vaticano 2015. 375 Tutta l’enciclica Laborem exercens di S. Giovanni Paolo II, pubblicata nel 1981, ribadisce questo importante aspetto, sul quale, successivamente, è tornato papa Francesco nel discorso al mondo del lavoro a Torino il 21 giugno 2015 in occasione della visita alla città e alla S. Sindone. 376 Cf. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 2, in EV 1/873. 272 Maria: emblema di una creazione nuova Gli ammonimenti di Gesù a non poter servire Dio e il danaro (cf. Mt 6,24) e all’impossibilità per il vero discepolo di volgersi indietro (cf. Lc 9,62) appaiono senz’altro severi, ma vanno ricondotti nel più ampio quadro del Vangelo dove Gesù promette e realizza la vita per l’uomo debole. La severità, tuttavia, permane perché il Dio geloso dell’AT è lo stesso del NT che esige totalità di scelta; solo attraverso questa strada è possibile il rinnovamento e, con esso, l’ingresso nel Regno, quali indici di un’eternità beata. Tutto questo ripropone la collaborazione che l’uomo può e deve offrire a Dio non per arricchire la divinità, ma per un santo beneficio. Gesù stesso – nel NT – si serve di collaboratori al cui vertice in modo più che discreto, umile e di poche parole si colloca Maria. Senz’altro la Madre del Signore è una creatura a parte: tanto nel suo statuto ontologico (Immacolata) quanto nel suo singolare passaggio all’eternità (Assunta), ma resta pur sempre opera di Dio appartenente ad un cosmo e ad un’umanità che sono prodotti dell’amore di Dio. In un discorso mariano inserito in un contesto cosmico-naturalistico appaiono più che mai centrate alcune espressioni del grande teologo e scienziato P. Teilhard De Chardin (1881-1955). In poche righe de La Vita cosmica appare una sintesi della visione mariana di Teilhard nella prospettiva dell’evoluzione e questo senza dimenticare il dato tradizionale biblico così come segue: «Le Energie e le Sostanze del Mondo concentrandosi e purificandosi nell’Albero di Jesse […] componevano con i loro tesori distillati e accumulati, la gemma scintillante della Materia, la Perla del Cosmo e suo punto di attacco con l’Assoluto personale incarnato, 273 la Beata Vergine Maria, Regina e Madre di tutte le cose».377 Anche nella parte finale della citata enciclica Laudato sì di papa Francesco, in un’ottica di sano umanesimo ci viene riproposta una regalità mariana modellata chiaramente su Gesù378 e con una dimensione nettamente sapienziale desunta dall’atteggiamento riflessivo di Lc 2,19.51b. Sapienza che si unisce armonicamente con la bellezza di cui l’arte figurativa e statuaria è voce, arte che va letta teologicamente in quanto ci ri-propone il motivo più profondo dell’essere di Maria. In Lei, Creazione e Redenzione – eventi dove il buono e il bello si congiungono – vengono ad incontrarsi e, per questo motivo, la Madre di Dio ci conferma l’Alfa e l’Omega del nostro destino inaugurato dal Figlio, Verbo della vita. Umanesimo quindi responsabilizzante in quanto aperto al futuro e, tuttavia, già contenente i suoi germi. L’impegno dell’uomo Parallelamente al Giubileo della Misericordia, nel 2016 si è celebrato il 450° anniversario della nascita di S. Maria Maddalena de’ Pazzi (1566-1607), mistica e monaca carmelitana che, sebbene non molto conosciuta, possiede alcuni scritti di notevole e robusta teologia.379 Il suo nome da religiosa è Maria Maddalena del Verbo Incarnato e nelle sue estasi, raccolte dalle consorelle, un 377 P. TEILHARD DE CHARDIN, La Vita cosmica. Scritti del tempo di guerra (1916-1919), Il Saggiatore, Milano 1971 (or. fr. 1916), 87. 378 Cf. FRANCESCO, Laudato sì, n. 241, Ed. Áncora, Milano 2015. 379 Si tratta di testi che, redatti dalle consorelle, raccolgono le figurazioni e i racconti delle sue estasi. Sono stati raccolti in 7 volumi editi a Firenze nel sessennio 1960-66. 274 grande spazio è dato proprio all’Incarnazione,380 quale evento di rinnovamento dell’intera Chiesa: istanza particolarmente urgente tra XV e XVI secolo, epoca dominata dalla Riforma e dalla risposta data ad essa dal Concilio di Trento (1545-1563), ma che aveva avuto nel corso dei decenni precedenti un anticipatore in G. Savonarola (1452-1498) le cui idee penetrano fortemente la stessa Chiesa generando una vera e propria corrente di pensiero non estranea agli ambienti in cui la santa crebbe. Un testo di S. Maria Maddalena ci sembra attuale nel mostrarci come questa Incarnazione del Signore avviene in un spazio e in un tempo precisi. Scrive la santa: «E fu detta pace che Maria rese al’Verbo di respirare, la qual pace fu resa e data nel’suo sacratissimo ventre onde in essa e per essa Maria, furono concluse tutte queste pace et fatto fu di tutte una col pace».381 Lo spazio è Maria che dà la vita al Verbo ed il tempo è riempito dalla pienezza qualitativa di senso e di significato che è Cristo: Colui che salva e riconcilia incontrando i suoi discepoli con il saluto pasquale «Pace a voi». In tal senso si comprende come l’espressione «Ecco l’uomo» (Gv 19,5), pronunciata in un contesto di persecuzione, acquista tutta la propria forza proprio nella persona del Gesù, Agnello immolato e sempre vivente (cf. Ap 5,6ss). Ancora la santa mistica fiorentina partecipando in estasi alla Passione di Cristo dice: «Ecco l’huomo Dio. Disse Pilato mostrandolo a Giudei: Ecco In un’estasi del 1584 S. Agostino le scriverà a caratteri d’oro e di sangue la frase «Verbum caro factum est». 381 S. MARIA MADDALENA DE PAZZI, Revelatione et intelligentie in EAD., Opere, Centro Internazionale del Libro, Firenze 1964, vol. IV, 88. 380 275 l’huomo et esso con’tanto Amore dice al Padre mostrandogli la creatura: Ecco l’huomo peccatore. Ecco l’huomo salvato. Ecco l’huomo redento. O’Amore fa che questa tua creatura redenta con’tanto gran’prezzo da sé non si perda».382 C’è tutto l’impegno dell’uomo inserito nel tempo nuovo che si inaugura con l’Incarnazione: tempo utile per l’uomo per tornare a fidarsi di un Dio non violento, tempo capax Dei in cui si collocano alcuni segni preziosi da Lui offerti, tempo che ci permette di vedere – sebbene “in nuce” ed “imperfettamente” – l’eternità (cf. I Cor 13,12) della quale già ora Maria è anticipazione. Conclusione Chiamiamo Maria «Porta del cielo» non solo perché è nella gloria, ma perché rinvia l’uomo ad un orizzonte di eternità che ha precisi legami con il quotidiano nel quale è possibile essere ‘complici’ di Dio nell’attuare paroleopere che evidenziano questa bontà di Dio. Guardando a Lei e a Lei ispirandoci è possibile parlare ed agire bene e, in una parola, mantenere viva la presenza di Dio nel mondo. In tal senso avremo quell’umanesimo che responsabilizza, che è aperto al futuro e che, concludendo, è luogo di testimonianza arricchita e sostenuta dai beni celesti. 382 S. MARIA MADDALENA DE PAZZI, I Quaranta giorni, in EAD., Opere, cit., vol. I, 171. 276 INDICE Prefazione 5 di Giovanni Grosso PRIMA PARTE Riflessioni Bibliche 1. Incontrare Maria nella Bibbia 11 2. Il Verbo si incarna in Maria 23 3. La custodia di S. Giuseppe nei Vangeli 29 4. Maria, la donna della solitudine feconda 35 5. Maria nel dialogo della compassione 43 6. Madre di Gesù presso la croce 47 7. Maria, la donna del tempo 53 8. Porta fidei: Ragione e cuore nell’atto della fede 59 9. La Madre del Signore e l’Eucaristia 65 10. Maria, icona biblica della carità 71 11. La crescita umana favorita da Maria 83 12. Maria e l’accoglienza della povertà 89 13. Maria, la madre della gioia 95 14. La Madre di misericordia 101 15. Modello della fede nella nuova alleanza 109 277 SECONDA PARTE Riflessioni Teologiche 16. Maria, madre del Signore: Una luminosa esistenza teologica 121 17. Maria fra umanità e chiesa 137 18. L’esperienza mariana di Dio all’interno sulla Parola di Salvezza 145 19. Con Maria accanto alla Croce del Figlio 157 20. Maria: Distacco o Unità? 169 21. La Vergine Maria: Creatura Responibile dinanzi a Dio e agli uomini 22. Maria collocata nell’eternità di Dio 181 191 23. Cooperazione e Servizio al disegno di Dio 199 24. Lo Spirito che guida alla Verità tutta intera 209 25. Il Pellegrinaggio della fede verso la pienezza del mistero 26. La Salute: Un bene prezioso da custodire guidati da Maria 219 229 27. Le nostre povertà si confrontano con Maria 239 28. Difficoltà e attualità di un titolo mariano: «Causa Nostræ Lætitiæ» 249 29. Il bisogno umano di misericordia e Maria 259 30. Una vitale complicità per una nuova creazione 269 Indice 278 277 Finito di stampare il 15 settembre 2017, Solennità della Beata Maria Vergine Addolorata, con i tipi dell’Istituto della ‘New Shenbagam Offset Press’. Sivakasi, India.