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MEDIOEVO ROMANZO E ORIENTALE Collana diretta da A. Pioletti Colloqui Pubblicazione degli Atti di Colloqui, Convegni, Seminari dedicati allo studio dei rapporti intercorsi nel Medioevo fra Occidente e Oriente nell’ambito della produzione letteraria e più in generale culturale. Studi Monografie relative ad autori, opere, documenti, questioni metodologiche, storia della critica. Testi Pubblicazione, in quanto edizione critica, riedizione, traduzione, antologia, di testi che siano documento degli influssi reciproci fra Occidente e Oriente. ANTROPOLOGIA e POTeRe MODeLLI SCIeNTIFICI, FILOSOFICI e FILOLOGICI DeLL’ACCULTURAZIONe TRA OTTOCeNTO e NOVeCeNTO a cura di Giancarlo Magnano San Lio e Luigi Ingaliso In copertina: Radici inquiete, Claudio Falcone, 2015. M R  O Collana fondata da Antonio Pioletti e Francesca Rizzo Nervo diretta da Antonio Pioletti STUDI 27 Comitato scientifico Roberto Antonelli (Accademia Nazionale dei Lincei, Roma) Frédéric Bauden (Université de Liège) Siam Bhayro (University of Exeter) Michele Bernardini (Università di Napoli “L’Orientale”) Mario Capaldo (Accademia Nazionale dei Lincei, Roma) Caterina Carpinato (Università Ca’ Foscari di Venezia) Lorenzo Casini (Università di Messina) Mirella Cassarino (Università di Catania) Andrea Celli (University of Connecticut) Eliana Creazzo (Università di Catania) Carolina Cupane (Österreichische Akademie der Wissenschaften, Wien) Luciano Formisano (Università di Bologna) Stefanos Kaklamanis (University of Athens) María Jesús Lacarra (Universidad de Zaragoza) Gaetano Lalomia (Università di Catania) Salvatore Luongo (Università di Napoli “L’Orientale”) Maria Mavroudi (UC Berkeley) Marco Moriggi (Università di Catania) Stefano Rapisarda (Università di Catania) Antropologia e potere Modelli scientifici, filosofici e filologici dell’acculturazione tra Otto e Novecento a cura di Giancarlo Magnano San Lio e Luigi Ingaliso 2021 Il volume è stato stampato grazie al contributo dell’Università degli Studi di Catania - Dipartimento di Scienze Umanistiche - Prometeo 2016-18, Linea 3. Progetto di ricerca AntroPo: Antropologia e potere. Modelli scientifici, filosofici e filologici dell’acculturazione tra Otto e Novecento. © 2021 - Rubbettino Editore Srl 88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - Tel. (0968) 6664201 www.rubbettino.it Sommario Premessa Fenomeni e rappresentazioni dell’acculturazione nel mondo moderno e contemporaneo 7 Stefania Achella Potere ed esclusione. La pratica della soggettivazione nella dialettica hegeliana 13 Giancarlo Magnano San Lio Antropologia e storia: il dibattito su evoluzione, razze e culture in Germania tra Otto e Novecento 29 Ivana Randazzo Kurt Goldstein: considerazioni sulla conservazione e l’incremento della razza umana 45 Giuseppe Cantillo Metafisica della cifra e mistica in Karl Jaspers 63 Stefan Knauß Öffentlichkeit als Quelle und Ereignis von Differenz. Akkulturation im Anschluss an Charles Taylor und Seyla Benhabib 79 Marica Magnano San Lio Acculturazione e malattia mentale: Foucault e il “grande internamento” 93 Antonino Di Giovanni Pensare al di là. Gaetano Salvemini, Luigi Sturzo e alcune considerazioni su «acculturazione» ed «esilio» 107 Giuseppe Bentivegna Samuel Ramos: il progetto di un’antropologia filosofica 127 6 Corrado Giarratana Il “ser” americano nell’interpretazione di O’Gorman Sommario 139 Fernando Ciaramitaro La aculturación nell’America ispanica. Modelli e interpretazioni nel XXI secolo 151 Michela Catto Le virtù degli altri. Gesuiti affascinati dalla vita secondo natura 171 Santo Burgio Tradizione e acculturazione nella filosofia africana contemporanea 185 Gaetano Lalomia Il Sindbad alla luce della categoria di «acculturazione» 203 Giuseppina Ferriello Contaminazioni e specificità di ponti-diga persiani 217 Luigi Ingaliso Non hanno i Cinesi nessuna scientia. Astronomia e matematica al tempo delle prime missioni gesuitiche in Cina 239 Katia Serena Cannata Cultura scientifica, tecnica e politica in Europa tra Settecento e Ottocento. Termodinamica e fattori politico-sociali 257 Marta Maria Vilardo L’acculturazione dal linguaggio 269 Fernando Ciaramitaro La aculturación nell’America ispanica. Modelli e interpretazioni nel XXI secolo Using specialized bibliography, archival sources and an interview, this essay analyzes the concept of acculturation (and transculturation) and its multiple relationships with other conceptual definitions of the historiography and anthropology of the twentieth and twenty-first centuries. e essay also studies the thought of Luis Mujica Bermúdez, Héctor Pérez-Brignoli, Aníbal Quijano, and Karina Ochoa. Acculturation; Transculturation; Cultural anthropology; Postcolonialism; Indigenous peoples of the Americas. 1. Acculturazione: origini e definizioni Il termine acculturazione (acculturamento o trasmissione orizzontale) è una categoria complessa che si può analizzare da plurime angolature: la antropologia, la filosofia, la storia, la sociologia eccetera. Nel termine acculturazione la a privativa indica – chiaramente – una forma di assenza, un deficit. Tuttavia, acculturazione si riferisce al processo di cambiamento socioculturale e psicologico che sorge per il contatto duraturo tra soggetti e gruppi che appartengono a «civiltà» o «saperi» differenti1. Quindi, per estensione, tutti quei fenomeni di interconnessione che risultano dalla relazione tra culture 2. Questo processo non è mai a senso unico: è sempre uno scambio a doppio binario, a two-ways process. Secondo la nota interpretazione di Robert Redfield, Ralph Linton e Melville J. Herskovits 3: anche la Sam 2006. Heise, Tubino e Ardito, 1992: 18. 3 Redfield, Linton e Herskovits 1936: 149-52. Si tratta del famoso saggio Memorandum for the Study of the Acculturatium, pubblicato nella prestigiosa rivista «American Anthropologist», periodico ufficiale della American Anthropological Association. 1 2 152 Fernando Ciaramitaro civiltà che «dona» o pretende imporre la propria cultura viene modificata dalle caratteristiche della cultura con cui è entrata in contatto. Il concetto sorge, così, tra gli antropologi americani, nella seconda metà del XIX secolo, in rapporto ai mutamenti culturali realizzati e vissuti dagli indiani del Nuovo mondo per il contatto con le civiltà europee, soprattutto spagnoli, portoghesi, francesi e inglesi, e si riferisce a ogni sorta di mutamento di costumi, pratiche, credenze e rituali che abbiano origine in una determinata cultura non per causa interna a essa bensì per l’influenza e il contatto con conoscenze estranee. La acculturazione è anche progetto e pratica sociale che suppone un insieme di concetti che rimangono impliciti nei processi di conformazione di un gruppo o nella fondazione di una nazione o comunità. La categoria rappresenta modelli d’azione o di relazioni sociali tra diversi gruppi umani, che – semplificando – potremmo appunto chiamare «culture». Questi gruppi possono essere politici, religiosi, etnici, economici eccetera. Quindi, potremmo sottolineare, e generalizzare, ciò che potrebbe essere una specie di crocevia generale di progetti sociali, dove intervengono concezioni, interessi e obiettivi di coloro che interagiscono, gli attori, in quanto partecipano allo stesso processo di scambio, basato sulle loro pratiche concrete. Le prime indagini sull’acculturazione, condotte, per esempio, dagli studiosi statunitensi John Wesley Powell (1834-1902) e William John McGee (1853-1912), espongono un tendenziale etnocentrismo, del quale si prese definitivamente coscienza solo negli anni trenta del XX secolo, con un cospicuo numero di ricerche sul campo che condussero a un approfondimento teorico. L’etnocentrismo era totalmente accertabile nel doppio rifiuto della storia e dell’alterità: la storia non era compresa come un insieme di itinerari edificati da fatti singolari e non riconducibili a specifiche leggi, ma era vista, invece, come cammino a senso unico, con un solo fine, quello dell’evoluzione da una forma più semplice a una più complessa4. Così si negava l’alterità dei popoli extraeuropei, nelle loro specificità, poiché le uniche differenze osservate erano quelle che si posizionavano su un asse perpendicolare, come trasformazioni quantitative dell’evoluzione culturale. Si prese distanza, finalmente, dall’etno4 Cfr. la nota 5. La aculturación nell’America ispanica 153 centrismo e si pose l’accento sul mutamento culturale nei più variegati contesti geografici e sociali, per definire o ridefinire le diverse condizioni di contatto che agevolarono o impedirono il mutamento menzionato. L’accademia ha cominciato così a classificare o standardizzare le composite situazioni e tipologie di acculturazione, in base alle differenti incognite. Tra queste vanno ricordate le dimensioni delle associazioni o dei gruppi implicati nel processo, la loro attitudine reciproca, la posizione occupata nella gerarchia del potere, la possibile compatibilità dei costumi e delle usanze. Successivamente, Alfred Irving Hallowell (1892-1974) e George D. Spindler (1920-2014) hanno individuato precise relazioni fra i cambiamenti nella struttura della personalità individuale e i mutamenti culturali. Hallowell, in particolare, ha descritto un tipo di «personalità aborigena» che non riusciva a cambiare, se non patologicamente, sotto lo stress di un processo d’acculturazione. Questa nozione di «ritardo psicologico» dell’indigeno non è dissimile dalla cosiddetta dottrina delle sopravvivenze (doctrine of survivals)5, che, in forma più sofisticata, veniva talvolta invocata nell’analisi delle relazioni funzionali tra i cambiamenti nella terminologia di parentela, nelle regole del matrimonio e della convivenza sociale 6. Dalla fine degli anni quaranta del XX secolo la strumentazione concettuale e i reperti empirici delle indagini sull’acculturazione sono stati largamente utilizzati nel campo della cosiddetta antropologia applicata, mirante a indicare le tecniche del mutamento culturale pianificato tra le popolazioni coloniali o in via di sviluppo. Pertanto, si è provveduto a circoscrivere i di5 La dottrina delle sopravvivenze trova origine nel pensiero dell’antropologo londinese Edward B. Tylor (1832-1917), un evoluzionista: l’umanità è concepita come successione di gradi culturali che si susseguono da uno più semplice a uno più complesso, sulla linea di un progresso continuo. Questo processo è unilineare e universale, nel senso che la cultura è unica per tutta l’umanità e le diversità tra le civiltà non sono che momenti plurimi dell’evoluzione. Tylor formulò il concetto di sopravvivenza per indicare quelle abitudini e credenze che sono residui di uno stadio evolutivo anteriore e che persistono in una fase della società diversa da quella in cui avevano la loro sede originaria. Le sopravvivenze sono quindi delle tracce che aiutano lo scienziato a disegnare il cammino che la civiltà ha concretamente seguito, quasi come fossero fossili dai quali ricostruire il processo evolutivo di qualsiasi società. Cfr. Tylor 1871; mentre, sulla dottrina delle sopravvivenze, Margaret T. Hodgen 1931; per gli studi italiani, Gianni Giannotti 1967: 41-49. 6 Wallace 1980: 201-2. 154 Fernando Ciaramitaro versi stadi del fenomeno dell’acculturamento, che si posizionano tra un estremo, una sorta di totale «assimilazione», a forme di convenzionalismo o iperadattamento nei confronti della cultura aliena, a cambiamenti culturali limitati, funzionali alle necessità dello sviluppo economico e sociopolitico, sino al rifiuto più o meno esplicito di alcuni sub-gruppi oppositori. Da ultimo, nella antropologia e in storiografia, il concetto di acculturazione è spesso correlato con altri: etnocentrismo (già visto), dominazione, globalizzazione, occidentalizzazione, meticciaggio e transculturazione. Quest’ultimo termine è stato coniato, nella decade del 1940, dall’intellettuale cubano Fernando Ortiz (1881-1969)7, come nozione più pertinente dell’acculturazione. I postulati di Ortiz furono commentati dal celebre antropologo britannico Bronisław Malinowski (1884-1942), che accettò la parola e che ufficializzò così il suo ingresso nella nomenclatura antropologica. Tuttavia, con alcune eccezioni, la nozione di acculturazione ha continuato a essere utilizzata più frequentemente, sia in antropologia che in storiografia. Ortiz ha rifiutato il concetto di acculturazione, sostenendo il suo carattere unidirezionale: gli individui della cultura dominata si adattano, cioè si acculturano, incorporando elementi della cultura dominante. Nella sua visione, invece, il concetto di transculturazione era necessario per incorporare il carattere «multidirezionale» dei contatti e degli «scontri culturali» e per superare irrevocabilmente la drammatica perdita culturale (la deculturazione)8. 7 Etnologo, antropologo e giornalista, ha studiato le radici storico-culturali afro-cubane, contribuendo notevolmente a definire la cultura cubana, del passato e del presente. Grazie alle sue ricerche, è conosciuto come il terzo scopritore di Cuba, dopo Cristoforo Colombo e Alexander von Humboldt. Ha studiato in particolare la presenza africana nella cultura cubana e, con il concetto di transculturazione, ha dato un contributo importante all’antropologia culturale. Ha indagato e approfondito i processi di transculturazione e formazione storica della nazionalità cubana e ha insistito sulla «scoperta» dell’identità cubana. Tra le sue numerose pubblicazioni, cfr. Fernando Ortiz, Contrapunteo cubano del tabaco y el azúcar (1940); Las cuatro culturas indias de Cuba (1943); El engaño de las razas (1946). Il primo saggio è stato tradotto in italiano da Cesco Vian, per la Rizzoli (1982). 8 Nella tradizione intellettuale anglosassone transculturazione è anche il processo di passaggio da un tipo di cultura a un altro, nell’incrocio di due o più civiltà diverse, sinonimo, quindi, di «creolizzazione», come processo di ibridazione. La formula creata è quella di cross-cultural ed è usata nelle scienze sociali, soprattutto in antropologia culturale e sociologia, con riferimento alla reciproca influenza che culture diverse hanno sui comportamenti individuali e collettivi. La aculturación nell’America ispanica 155 Ricorrendo alla bibliografia specializzata, a fonti d’archivio e a una intervista, in questo saggio si analizza il concetto di acculturazione – e le molteplici relazioni di questo con altre definizioni speculative della storiografia e della antropologia – nella discussione intellettuale iberoamericana del XXI secolo. Attraverso principalmente il pensiero di Luis Mujica Bermúdez, Héctor Pérez-Brignoli, Aníbal Quijano e Karina Ochoa, si cerca di far luce su tematiche ancor’oggi poco esaminate nel panorama italiano. 2. Acculturazione e transculturazione: interpretazioni ispanoamericane Sono passati cinque secoli dalle prime scorrerie dei soldati europei nella terraferma americana e dalla seguente conquista del Messico (1519-1521). Nella America ispanica questi fatti vengono ancor’oggi ricordati, dalle istituzioni e dalla gente comune, ridestando polemiche mai spente. Tra i tanti temi dibattuti spiccano la prospettiva indigena della conquista9, i modi in cui le popolazioni centroamericane hanno definito o pensato gli estranei spagnoli 10 e i complessi processi di incorporazione di nuovi elementi culturali tramite rapporti violenti o pacifici con gli invasori: l’assimilazione forzata, captata o fusa per semplice mescolanza di elementi culturali diversi, che ha dato vita a una civiltà originale. Sto parlando del fenomeno della acculturazione, questione finora presente non solo nella agenda degli studiosi ma anche in quella dei politici e dei popoli. È un leitmotiv per le società e per le masse istruite. 19 Quella che, per esempio, Miguel León-Portilla (1926-2019) ha definito con successo come «visione dei vinti». La Visión de los vencidos (1959) è il suo studio più famoso: fino al 2008 è stato rieditato ventinove volte e tradotto in una dozzina di lingue. In questo breve libro, León-Portilla raccoglie vari frammenti della visione nahuatl della conquista spagnola, dalle premonizioni di Montezuma ai Cantos tristes (icnocuicatl ) successivi alla conquista. In italiano la prima edizione è del 1962, grazie alla traduzione di Gabriele Cabrini e Giannino Galloni (La memoria dei vinti, Milano, Silva). 10 Cfr. l’interessante libro di Molly H. Bassett (2015). Bassett, prendendo le mosse dalla mitostoria (mythohistory) dell’antropologo Gary Urton (1990), afferma che il mito delle origini è una versione condivisa della storia mesoamericana che nasce come racconto storiografico per l’incontro tra indios ed europei. I fatti non devono essere quindi giudicati in base agli attuali parametri intellettuali, ma come risvolto della reciprocità dei contatti tra due universi diversi, l’iberico e l’azteco. 156 Fernando Ciaramitaro Per l’antropologo peruviano Luis Mujica Bermúdez11 l’acculturazione è un processo sociale di incontro di due civiltà in termini disomogenei e irregolari, dove una di esse diventa dominante mentre l’altra è dominata. La prima è dominante perché l’azione culturale invasiva è imposta con la forza e sebbene il dominato sia vinto affronta l’azione del primo attraverso la sottomissione incondizionata o la resistenza sociale, facendo uso di abbondanti risorse di sussistenza12. È chiara l’influenza della letteratura storica dei fatti legati al complesso processo della conquista delle Americhe: l’impresa americana comportò l’interazione di razze e culture su un vasto e sconosciuto territorio e gli emigranti europei ne costituirono la forza motrice; furono loro ad attraversare l’Atlantico e a imporre la propria volontà e il proprio dominio ai popoli amerindi13. Ciononostante, la «cultura interventista» non ottiene necessariamente il dominio totale sulla controparte, né questa perde interamente i suoi modelli culturali e, piuttosto, esercita diverse forme di resistenza, alle volte attive, altre volte passive14. I rapporti di acculturazione – insiste Mujica Bermúdez – sono accompagnati da immagini degli altri e di se stessi: da un lato l’esperienza storica mostra che la parte egemone ha creduto di avere la prerogativa di concepirsi come «possessore di cultura» e di non riconoscere nell’altro questa stessa realtà, oltre che 11 Docente presso la Pontificia Universidad Católica del Perú (Lima), studia l’ecologia, la cultura politica, i suoi conflitti e le forme di potere. Indaga anche i diritti umani in relazione alla cittadinanza e allo stato, le relazioni tra culture e l’interculturalità legate all’educazione interculturale bilingue nel mondo quechua, la dimensione epistemologica nel mondo andino quechua e la conoscenza comune. Infine, ha analizzato l’etica in relazione alla vita politica del Perù, da un’ottica antropologica. 12 Mujica Bermúdez 2001-2002: 2. 13 Fu la monarchia spagnola a dirigere e regolamentare la conquista, seguendo una serie di principi enunciati dalla stessa corona: le Indie occidentali appartenevano in esclusiva alla Castiglia perché il giusto diritto sul Nuovo mondo sorgeva per l’impegno a evangelizzare gli indios e, in verità, questa era l’unica giustificazione alla presenza dei suoi sudditi al di là dell’oceano. Non appena gli indigeni avessero accettato il governo e la religione di Cristo, sarebbero diventati suoi liberi vassalli, con gli stessi privilegi dei sudditi spagnoli. Essi però, sempre, avrebbero dovuto pagare un tributo annuale come simbolo di sottomissione. Per esempio, sulla conquista e la evangelizzazione, cfr. Ciaramitaro 2015. Mentre per la visione dei vinti: Wachtel 1976. 14 Mujica Bermúdez 2001-2002: 2. La aculturación nell’America ispanica 157 confinare e circoscrivere il subalterno al mondo della natura15. Tuttavia l’indio costituì sempre un tormento ontologico, religioso e giuridico, che angustiava i cuori più sensibili della teologia e del diritto spagnoli, e il sermone del domenicano Antonio Montesinos (1475-1540), pronunciato nel 1511, nell’isola di Santo Domingo, è stata la prima manifestazione di protesta e rivendicazione contro le autorità coloniali, poiché sintetizza l’oppressione delle popolazioni indigene e chiede per loro – a testa alta – giustizia16. Alla filippica del religioso si attribuisce il primo momento del dibattito sulla legittimità della conquista e la colonizzazione degli spagnoli. Le sue domande retoriche segnarono la sorte della raffigurazione antropologica e giuridica degli indigeni e attaccarono la falsa logica dei conquistadores: i nativi non erano né selvaggi né barbari 17. Allora, se i nativi non sono barbari – si domanda Mujica Bermúdez –, chi sono realmente per la prospettiva dell’acculturazione? L’antropologo per rispondere ricorre alla storiografia e, in particolare, a Tzvetan Todorov 18. Gli «altri», che sono stati chiamati «indiani», hanno due tratti principali, quello della «generosità» e della «codardia». Ciò riflette un sentimento di superiorità che genera un «comportaIvi: 3. «Esta voz, dijo él, que todos estáis en pecado mortal y en él vivís y morís, por la crueldad y tiranía que usáis con estas inocentes gentes. Decid, ¿con qué derecho y con qué justicia tenéis en tan cruel y horrible servidumbre a estos indios? ¿Con qué autoridad habéis hecho tan detestables guerras a estas gentes que estaban en sus tierras mansas y pacíficas, donde tan infinitas de ellas, con muertes y estragos nunca oídos, habéis consumido? ¿Cómo los tenéis tan opresos y fatigados, sin darles de comer ni curarlos en sus enfermedades, que de los excesivos trabajos que les dais incurren y se os mueren, y por mejor decir, los matáis, por sacar y adquirir oro cada día? ¿Y qué cuidado tenéis de quien los doctrine, y conozcan a su Dios y creador, sean bautizados, oigan misa, guarden las fiestas y domingos? ¿Estos, no son hombres? ¿No tienen almas racionales? ¿No estáis obligados a amarlos como a vosotros mismos? ¿Esto no entendéis? ¿Esto no sentís? ¿Cómo estáis en tanta profundidad de sueño tan letárgico dormidos? Tened por cierto, que en el estado en que estáis no os poder salvar?» (Las Casas 2001: 441). Gli americanisti sostengono che con la predica di Montesinos sono nati i diritti umani nel Nuovo mondo (Fajardo Sánchez 2013: 222). 17 Questione a tutt’oggi non risolta, secondo la lettura di Mujica Bermúdez (2001-2002: 3): «l’attualità non si libera da questa prospettiva, perché altri sono ancora inclini a essere considerati “infedeli” o “terroristi”, il che significa che la pratica di acculturazione continua ed è fondamentalmente etnocentrica» (la traduzione è mia). 18 Cfr. i classici La conquista dell’America (1982) e Nosotros y los otros (1989). 15 16 158 Fernando Ciaramitaro mento protezionistico» degli europei. Gli atteggiamenti di coloro che si sentono conquistatori dipendono dal modo in cui si percepiscono gli altri e questo modo di vedere e giudicare è totalmente ambiguo. Gli indiani – spesso – sono visti come «diversi» e si collocano nella percezione dell’osservatore europeo in termini di gerarchia: superiorità o inferiorità. Dice Todorov: Fisicamente nudi, gli indiani […] sono anche privi di ogni proprietà culturale: sono caratterizzati, in qualche modo, dalla mancanza di costumi, di riti, di religione […]. Già privi di lingua, gli indiani si rivelano anche sprovvisti di leggi e di religione; e se hanno una cultura materiale, essa non attira l’attenzione […]19. L’atteggiamento dell’osservatore europeo nei confronti della nuova cultura aborigena è, nella migliore delle ipotesi, quello del collezionista di curiosità, mai accompagnato da un reale tentativo di comprensione. Dal punto di vista della fede, di fronte ai conquistatori, gli indiani avrebbero dovuto essere considerati uguali (davanti a Dio) ma disuguali e inferiori culturalmente e politicamente. Insomma, lo sguardo dell’invasore non percepisce l’altro e gli impone i propri valori ed è finalmente considerato straniero. «Strani e burrascosi percorsi di acculturazione» 20. Mujica Bermúdez crede che il rapporto con gli altri sia stato giustificato per un approccio teleologico. La empresa 21 – economica, politica o religiosa – possedeva l’unica cultura e doveva intraprendere la conquista, senza esitazione. Ciò significa che i colonizzatori entravano in un campo incontaminato per «civilizzare», cioè per fornire cultura a chi non l’aveva. Le azioni intraprese trovavano giustificazione nella prospettiva evolutiva, per guadagnare adepti e così assimilare o integrare il nativo al mondo del conquistatore. Civilizzare, in questo scenario, significa – secondo Mujica Bermúdez – far ricevere agli altri ciò che Todorov 1992: 42-43. Mujica Bermúdez 2001-2002: 3. 21 Nella lingua castigliana medievale e rinascimentale, le crociate per la riconquista delle terre sante o i domini moreschi della penisola iberica erano generalmente denominate empresas (l’impresa, l’azione, l’iniziativa, l’intrapresa) o negocios, termini in cui si mescolano caratteristiche mercantili e religiose: quindi, il massimo risultato dell’imperialismo cristiano fu quello di attuare contemporaneamente la «conversione» dei beni e la conversione delle anime (il negotium crucis). Cfr. Ciaramitaro 2018: 199-200. Alain Milhou (1983: 289) ricorda che la «negoziazione» delle Indie ha, come la parola «compagnia», una doppia connotazione, commerciale e religiosa. 19 20 La aculturación nell’America ispanica 159 è necessario, per trasformarli come i modelli originali, farli «nuovi europei» ed essere soggetti agli schemi da essi prestabiliti. Di nuovo, gli altri sono come «cose», convertibili o trasformabili, mentre apprendono regole e leggi della cultura conquistatrice. Quindi, civilizzazione connota necessariamente una relazione di sottomissione. Questa metodologia d’azione e pensiero è applicata in vari campi, basta osservare la pratica della guerra santa. Gli altri, se non si sottomettono come previsto, devono essere annientati, perché costituirebbero un pericolo per l’unica realtà civile 22. Il sociologo e storico argentino Héctor Pérez-Brignoli 23 usa i termini acculturazione o transculturazione come sinonimi, sono «nozioni intercambiabili», sottolineando l’obbligo della definizione chiara e della specificazione che si tratta di processi di «contatto culturale» che avvengono in più direzioni e che coinvolgono rapporti di potere e subordinazione. Insiste nel vincolo dell’acculturazione con il meticciaggio (anche meticciato, in lingua spagnola mestizaje): la forma più tipica di acculturazione è stata l’incrocio o ibridazione di razze, fenomeno molto complesso. Alla base c’è stato – prima – un meticciato biologico, prodotto dell’intensa mescolanza tra europei, amerindi, neri e, in misura minore, asiatici. A questo meticciaggio biologico è seguito uno culturale, che si è trasformato, lentamente, in una potente ideologia sussidiaria a progetti più ampi di dominio e trasformazione sociale 24. Questa ambiguità ha generato numerose incomprensioni. L’ideologia mestiza – afferma sempre Pérez-Brignoli – era una espressione elaborata dai meticci per la loro ascesa sociale: dalla «razza cosmica» di José Vasconcelos (1925) al processo di acculturazione attentamente studiato da Gonzalo Aguirre Beltrán (1970), che permette di spiegare come, durante la rivoluzione messicana, i contadini indiani si convertirono in contadini mesMujica Bermúdez 2001-2002: 4. Pérez-Brignoli (nato in Argentina nel 1945) è stato per anni professore di storia all’Università del Costa Rica. Professore visitante in varie università negli Stati Uniti e in Iberoamerica, ha studiato la storia dell’America centrale, la metodologia della ricerca e la demografia storica. Per maggiori informazioni sulla traiettoria dell’accademico, cfr. il monografico a lui dedicato da Revista de Historia (2004). 24 Seguo le linee tracciate dall’autore: Pérez-Brignoli 2017: 101-4. 22 23 160 Fernando Ciaramitaro sicani 25. Il melting pot di razze evidentemente mascherava e tuttora maschera, come il principio di uguaglianza tra i cittadini incorporato nelle costituzioni liberali, la disuguaglianza di classe: ma questo non implica che l’incrocio di razze sia puro mascheramento e che manchi a volte di contenuti sovversivi. L’uguaglianza giuridica della cittadinanza maschera, indubbiamente, le differenze di classe, ma ciò non elimina il loro carattere rivoluzionario nelle società cetuali e schiaviste. È proprio questa profonda ambiguità del mestizaje che ne fa un concetto chiave per comprendere la dinamica del contatto e dello scontro di culture nella storia latinoamericana. Un altro aspetto di questa profonda ambiguità è l’associazione, generalmente inconscia, tra meticcio e impuro, anch’essa ovviamente derivata dall’etnocentrismo e dal razzismo 26. Ma ancora una volta si ricorre al dibattito storiografico per chiarire definizioni e concetti: nel 1965, lo storico francese Alphonse Dupront (1905-1990) coordinò una sessione generale del congresso internazionale di scienze storiche sul tema dell’acculturazione, presentando una relazione dettagliata in cui suggeriva di incorporare la nozione nel vocabolario ordinario degli storici 27. Tuttavia le conseguenze furono esigue. Finalmente, conclude Pérez-Brignoli, il valore concettuale dell’acculturazione è fondamentalmente euristico: si tratta di un’ipotesi investigativa che viene assunta precipuamente come «idea guida» nella ricerca dei fatti. Gli antropologi hanno fornito cataloghi dettagliati di cosa osservare e descrivere, ma questo è stato solo il primo passo nel processo di ricerca. Il secondo, più importante del precedente, è la considerazione del processo descritto nel quadro dei rapporti di potere e così le nozioni di acculturazione e transculturazione continuano a essere utilizzate nella storiografia e nelle scienze sociali. Il concetto di transculturazione, meno diffuso di quello di acculturazione, malgrado ciò ha acquistato nuovo brio grazie agli studi culturali e letterari degli ultimi decenni. Questi usi vanno però affiancati alle nozioni di ibridità ed eterogeneità, sviluppate soprattutto da Anto25 Ivi: 104. In Messico il concetto di meticciato è ambiguo perché include anche una casta sociale che acquisisce potere (cfr. Borsò 1994). 26 Ivi. La traduzione è mia. 27 Si tratta del saggio De l’acculturation, ampliato e arricchito immediatamente per l’edizione italiana a cura di Corrado Vivanti: L’acculturazione. Per un nuovo rapporto tra ricerca storica e scienze umane (1966). La aculturación nell’America ispanica 161 nio Cornejo Polar (2003) e Néstor García Canclini (2009). Entrambi i concetti vengono aggiunti come strumenti euristici e descrittivi a quelli di acculturazione e transculturazione. Nelle interpretazioni la chiave di lettura rimane costantemente la ricostruzione dei rapporti di potere e dominio 28. Sulla colonialidad del potere 29 il sociologo Aníbal Quijano (1930-2018)30 propone un interessante schema teorico: la distruzione delle società e delle culture precolombiane portò alla condanna sociale delle popolazioni, alla loro subordinazione a un modello di potere brutale. Questo modello si configura attraverso quattordici punti: 1. La società si struttura sulla base dell’idea di razza; 2. I colonizzatori definirono la nuova identità degli abitanti colonizzati come indios, per i quali la dominazione implicava l’espropriazione e la repressione delle identità originarie; 3. Questa nuova assegnazione di identità sociali ha generato una originale classificazione della popolazione americana: spagnoli, portoghesi, britannici, bianchi, meticci eccetera; su questa si articolarono le diverse forme di sfruttamento e controllo del lavoro, nonché le relazioni di genere; 4. Con l’imposizione del nuovo sistema di potere, le identità delineate – con il passar del tempo – si stabilizzarono e standardizzarono, essendo accettate dalla maggioranza, insieme alle relazioni gerarchizzate di disuguaglianza tra europei e non-europei e dominazione di quelli su questi in tutti i settori (economia, cultura, politica); 5. Pérez-Brignoli 2017: 108-9. Sulla colonialidad del potere, cfr. Quijano (1988; 1992; 2001), Quijano e Wallerstein (1992) e Pajuelo Teves (2002). 30 Quijano è stato professore presso l’Universidad Nacional Mayor de San Marcos (Lima), l’Università di Binghamton (USA) e l’Universidad Nacional Autónoma de México (1974). Nel 2010 fondò la cattedra «América Latina y la colonialidad del poder», all’Università Ricardo Palma (Lima). Quijano ha affrontato diversi temi di ricerca legati alla società e alla storia latinoamericane – in particolare quella del Perù – senza mai cadere nell’ortodossia teorica. Ha criticato costantemente le relazioni di sfruttamento socioeconomico e culturale del capitalismo, preoccupandosi per una vera democratizzazione degli stati. Ramón Pajuelo Teves (2002) individua tre fasi tematiche nella traiettoria intellettuale del suo pensiero. La prima sugli intensi dibattiti sulla teoria della dipendenza, durante gli anni sessanta e settanta: Quijano è stato uno dei tanti intellettuali latinoamericani fondatori di questa «scuola». Un secondo momento copre i temi dell’identità, della modernità, dello stato e della democrazia, soprattutto durante gli anni ottanta. Il terzo e ultimo inizia nel decennio 1990 e include le sue riflessioni su eurocentrismo, colonialità, nazione e globalizzazione. 28 29 162 Fernando Ciaramitaro Le popolazioni sottomesse furono rinchiuse in subculture ermetiche, in primo luogo contadine e illetterate, con scarsissime possibilità di mobilità sociale; 6. A questi popoli venne vietata qualsiasi forma di oggettività, in immagini, simboli ed esperienze, per mezzo di autonomi modelli d’espressione plastica e visuale; 7. Gli unici paradigmi di rappresentazione plastica ed estetica accettati erano quelli dei dominatori; 8. Gli indigeni sono stati costretti ad abbandonare le pratiche della propria sacralità, per le minacce e le continue repressioni, o a portarle avanti solo nella clandestinità, con tutte le possibili distorsioni del caso; 9. Sono stati costretti ad ammettere la condizione disonorevole della propria immaginazione e delle proprie credenze; 10. Hanno potuto conservare parzialmente solo le reti familiari e rituali che non entravano in conflitto diretto con la nuova realtà sociopolitica, anche se continuamente riadattate alle esigenze cangianti del modello globale della colonialidad; 11. Per la struttura di potere configurata con queste basi, caratteristiche e tendenze di sviluppo storico e per le sue implicazioni a lungo termine si impiega il concetto di colonialidad del potere. Data questa configurazione specifica di potere, il conflitto era inerente ad essa ed era reso esplicito come attributo necessario e permanente. Per questo, sebbene l’iniziale resistenza militare degli amerindi sia stata sconfitta in pochi decenni nel corso del XVI secolo, le ribellioni indiane, nere e meticce – cioè, già le nuove identità e il nuovo universo intersoggettivo e culturale dei subalterni – divennero frequenti durante i secoli XVII e XVIII e la resistenza politica e culturale si fece massiccia e diffusa. Le guerre di emancipazione ebbero origine in queste ribellioni, anche se per ben note determinazioni storiche finirono sotto il controllo dei dominatori; 12. A causa del «carattere coloniale del potere» e della sua inevitabile conflittualità, si cementificò un antagonismo storico tra europei (o bianchi) e indigeni, afroamericani e meticci. I gruppi sociali dominanti erano, di conseguenza, sempre più disposti a identificare i loro interessi con i dominatori del mondo eurocentrico, nonostante le loro differenze reciproche e i conflitti settoriali, sottomettendo se stessi e le loro società ai modelli di potere di quel mondo. «La colonialidad del potere implicava necessariamente, implica da allora, la dipendenza storico-strutturale»; 13. I dominatori tendevano a percepire le relazioni tra i «centri» del mondo coloniale capitali- La aculturación nell’America ispanica 163 sta e le società coloniali esclusivamente a livello dei propri interessi sociali, come se queste relazioni avvenissero tra unità storicamente omogenee, nonostante la radicale eterogeneità storicostrutturale tra le società di entrambe le parti del mondo del capitalismo e all’interno di ciascuna di esse. «La colonialidad del potere e la dipendenza storico-strutturale implicano entrambe l’egemonia dell’eurocentrismo come prospettiva di conoscenza»; 14. Le popolazioni dominate di tutte le nuove identità d’America furono sottoposte all’egemonia dell’eurocentrismo attraverso i processi d’apprendimento e conoscenza del vecchio mondo, soprattutto nella misura in cui alcuni di essi – le future élite autoctone – furono in grado di apprendere i testi dei dominatori. Con il «lungo periodo» dell’età coloniale – per Quijano, epoca non ancora terminata – le popolazioni indiane e nere sono state intrappolate tra il modello epistemologico aborigeno e quello eurocentrico che, inoltre, è stato «incanalato come razionalità strumentale o tecnocratica, in particolare per i rapporti con il mondo circostante» 31. Anche se Quijano non utilizza le locuzioni acculturazione o transculturazione, nella sua esposizione l’obiettivo è di lapalissiana evidenza: «le popolazioni colonizzate furono sottoposte alla più perversa esperienza di alienazione storica»32. Il riscatto etico e culturale si rintraccia nel recupero del patrimonio originale, nell’arte e il folclore: gli indios e gli afroamericani, nonostante siano stati costretti a imitare e simulare ciò che era alieno, e a vergognarsi di ciò che era proprio, presto hanno destabilizzato tutto quello che doveva essere emulato o adorato. L’espressione artistica delle società native offre un chiaro esempio di quel continuo rovesciamento di schemi visivi e plastici, di temi, motivi e immagini di origine straniera, per poter esprimere in libertà una riconfigurata esperienza soggettiva, non più – ovviamente – quella che esisteva prima del contatto con gli europei, ma una già influenzata da parametri occidentali, ma sempre «sovvertita», mutata, anche in spazio e modalità di resistenza sociopolitica33. La acculturazione e il suo processo hanno generato una effettiva forza di opposizione e coabitazione, fatta anche da cessioni, concessioni e accordi. 31 32 33 L’analisi di questi quattordici punti in Quijano 2001: 120-24. Ivi: 125. Ivi: 125-26. 164 Fernando Ciaramitaro 3. Verso una conclusione: acculturazione dell’ indio Nel febbraio 1568, l’indio Pablo Chapoli, originario della località di Ichcatlan34, fu portato davanti alla giustizia di Colima, città del viceregno del Messico, accusato dal sacerdote Manuel de Nava di avere realizzato numerose stregonerie, invocando il diavolo e riproducendo rituali superstiziosi. Aveva anche insegnato ad altri naturales come invocare il demonio con un libro di incantesimi che deteneva. In un processo durato tre giorni, dopo che furono presentate tre testimonianze contro di lui – quelle degli indios Martín Ximénez, Dioniso Flores e un tal Jácome –, Pablo fu condannato 35. Pablo Chapoli era un curandero o sobandero e realizzava pratiche rituali di guarigione, dando massaggi e strofinando le sue mani sul corpo del malato. Sapeva estrarre pietre e altri corpi estranei dagli infermi, realizzando ancestrali cerimonie e facili incantesimi. La medicina indigena è stata perseguita dalle autorità spagnole con incisività, per la sovversiva dimensione mistico-religiosa che possedeva, nonché per l’uso di metodologie distintive e primitive, come l’erboristeria indiana. Pablo confessò al giudice che aveva appreso a curare dai suoi antenati, prima di ricevere il battesimo. I rimedi magici che applicava appartenevano alla sua «cultura originaria» e come i suoi avi sapeva medicare e sanare. Ma dovette – molto probabilmente suo malgrado – rinunciare all’antico oficio (lavoro) e venne punito a servire nella parrocchia per due mesi a alle spese del processo. La sentenza dettata era lieve ma persuasiva. Venne specificato al colpevole che se fosse ricaduto nell’errore la successiva condanna sarebbe stata più grave: lavoro forzato per un anno, esilio e fustigazione. Si è esaminato un chiaro esempio di pratica dell’acculturazione, imposta dall’ufficiale ecclesiastico al neofita. Non sappiamo se Pablo ricadde nello sbaglio, ma ragionevolmente, meditando sull’accaduto, decise di accettare la volontà più forte del 34 «Ichcatlan» significa luogo in cui il cotone è abbondante o dove viene coltivato. Cfr. Gran diccionario náhuatl. Si tratta della zona di Comala, località al nord dell’attuale stato messicano di Colima. 35 Archivo Histórico del Municipio, Colima, Messico, 179, c. A-6, exp. 1, 19 febbraio 1568. Il caso è stato studiato prima da Felipe Sevilla del Río (2005: 7679) e dopo da José M. Romero de Solís (1992). La aculturación nell’America ispanica 165 magistrato, seppur come propria strategia di sopravvivenza e di mediazione socioculturale. Quindi, una interazione complessa tra due modi di pensare diversi, la Weltanschauung (o cosmovisión) dell’europeo e quella dell’indio recentemente convertito al cattolicesimo. Un difficile equilibro tra potere e dovere, tra obbligo e resistenza. Ho chiesto alla collega Karina Ochoa36 qual è il criterio interpretativo che potrebbe chiarire questa imposizione violenta del giusdicente sulla volontà dell’indiano nuovoispano. Ochoa: Da un punto di vista critico, il dibattito che generiamo dalla riflessione descolonial in relazione al tema dell’acculturazione ha a che fare con l’introduzione dell’elemento potere. Cioè, i processi di acculturazione devono essere compresi attraverso la costituzione di modelli di dominio, il che implica che alcuni soggetti che sono subalternizzati tendono a generare un processo di perdita o rinuncia alla propria identità. Come nel caso di Pablo Chapoli. Ad esempio, quando Aníbal Quijano sostiene che nel processo coloniale e nella configurazione dei modelli di potere coloniale (la «colonialità» del potere) una nuova identità (negativa) è stata imposta agli indios e ai neri, che sono stati privati delle loro identità ancestrali, quello che stiamo vedendo è una dinamica di dominio. Pertanto, il processo di acculturazione non può essere visto separatamente dalle logiche di dominio che, per di più, si configurano storicamente. In questa visione che potremmo definire di «contestualismo radicale», i contesti specifici di questi processi non possono essere separati dalle dinamiche di configurazione dei modelli di dominio, che sono anche modelli che regolano il sistema mondiale moderno e coloniale 37. Quali sono le linee attuali di ricerca in America circa questi temi? Come viene descritta l’identità indiana? E gli afroamericani? Ochoa: Oggi le linee di ricerca in cui stanno lavorando alcuni pensatori descoloniali sono associate alla questione dei modelli di dominazione coloniale, che coinvolgono quattro concetti chiave: colonialidad del potere, colonialidad della conoscenza, colonialidad dell’essere e colonialidad di genere. Pertanto, i processi di acculturazione non posso36 Karina Ochoa (nata a Città del Messico, nel 1975), docente di sociologia presso la Universidad Autónoma Metropolitana (UAM), ha dedicato larga parte della propria attività di ricerca a temi relativi alla cultura indigena e il femminismo. La sua analisi si iscrive nelle coordinate già tracciate da José Revueltas (1914-1976) ed Enrique Dussel. 37 Ochoa, Intervista. 166 Fernando Ciaramitaro no essere percepiti solo associati alla perdita di identità in astratto, ma dalle dinamiche di sopraffazione che, in particolare, si verificano nel contesto della configurazione del sistema mondiale modernocoloniale. Ad esempio, l’identità indiana non si rappresenta come risultato dello scontro di culture o dell’incontro di culture, ma ha a che fare con un processo di conquista che è stato generato attraverso un atto violento che ha imposto un’identità negativa ai dominati. L’indio è un’identità negativa perché, nel processo di conquista e colonizzazione, agli indiani è stato dato un altro nome ed essi sono stati destinati, in questa imposizione di identità, ad abbandonare il proprio modo di nominarsi. Ciò ha avuto diverse conseguenze: non solo è stata loro imposta una denominazione, ma è stata anche annullata la possibilità di auto-identificarsi e auto-assegnarsi un posto nel mondo. Pertanto, il concetto indio unifica e omogeneizza un’enorme diversità di popolazioni, culture e civiltà che esistevano in questi territori. Definendo l’identità indiana come identità negativa si nasconde la diversità delle esistenze precedenti. Lo stesso è accaduto con la popolazione nera e mulatta (schiavi e liberti), proveniente da varie regioni dell’Africa38. Per concludere, come potremmo finalmente avvicinarci a una possibile definizione dei processi di acculturazione nel Nuovo mondo interpretati alla luce del XXI secolo? Ochoa: I processi di acculturazione non sono né neutri né ingenui, sono processi che passano attraverso la matrice conoscenza/potere. Nel caso particolare di Abya Yala (le Americhe) la svolta si è verificata con la conquista e la colonizzazione a partire dal XVI secolo, che hanno configurato tutta una logica di potere che ha avuto un impatto sui popoli colonizzati nelle loro forme di autoidentificazione. E ogni possibilità di autodeterminazione si è persa39. Gli indigeni americani sono stati trattati anche come oggetti. Pensati «senza nome», ignorati o ritenuti soggetti invisibili. Erano selvaggi, dissennati e chunchos (incivili), lo spazio della acculturazione. Se è difficile quindi negare l’impeto imperialista della cultura occidentale, è vero altresì che si è data resistenza, grazie al patto esplicito o alla accettazione più o meno simulata, come, verosimilmente, per l’indio Pablo Chapoli. 38 39 Ibidem. Ibidem. Cfr. anche Ochoa (in stampa). 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