Allestimento Museale

Un sorprendente pròdromo del fortunato dispositivo museografico del white cube viene presentato a Genova nel 1950 con l'inaugurazione del museo ricostruito e riaperto da Caterina Marcenaro e da Franco Albini. Con una curiosa inversione, lo stesso display che una Genova all'avanguardia introduce nel contesto di un museo di arte antica, sarà destinato a trionfare nei decenni a venire tra America e Europa, tra gallerie e musei sopratutto di arte contemporanea.
Negli ultimi anni - passato oltre mezzo secolo da quelle invenzioni - dopo una lunga eclissi, le sale storiche fanno il loro ritorno nei musei come testimoniano, un po’ ovunque, dal Louvre a Palazzo Rosso, il ritorno in auge delle period rooms.
Non si può fermare il mondo, ne pretendere di cristallizzare le espressioni di architettura. Ma non si può neppure negare che alcune realizzazioni della seconda metà del Novecento abbiano ormai assunto il ruolo di paradigmi di cui sarebbe insensato perdere le tracce.
Gli allestimenti, anche quelli dei musei, hanno un tempo. Alcuni invecchiano in fretta; alcuni sono ancora attuali. Di taluni forse addirittura non se ne comprende ancora a pieno al valenza sperimentale, creativa e innovativa per cui ogni adeguamento, manutenzione, rifacimento, “restauro del nuovo”, ne minano irreversibilmente quegli equilibri che meriterebbero invece di essere conservati...

Ringrazio la prof.ssa Subrizi Carla, relatore di questa tesi, per la grande disponibili-tà e cortesia dimostratemi. Ringrazio il personale degli archivi e biblioteche consultate, in particolare la Dott.ssa Cossu Marcella Direttrice del Museo Manzù e la Dott.ssa Valente Esmeral-da Responsabile dell'archivio di architettura presso il MAXXI di Roma. Ringrazio tutta la mia famiglia, in particolare i miei genitori che mi hanno permesso di raggiungere questo traguardo e che hanno seguito il mio lavoro. Ringrazio i miei amici, Claudia, Sara, Tiziano, i punti fermi della mia vita. Ringrazio Sandra, che mi ha aiutato a ritrovare me stessa. Ringrazio il mio compagno di sempre, Stefano, che mi è stato sempre vicino e che ha sopportato tutti i miei sbalzi d'umore. Grazie.

Gli ordinamenti e gli allestimenti museali sono stati e sono tutt'ora oggetto di studi e ricerche. Questa tesi, assegnatami dalla Prof.ssa Iolanda Nigro Covre, ha come obiettivo quello di raccontare e confrontare in modo critico i diversi criteri di ordinamento museale della Galleria d' Arte Moderna di Torino e della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Partite entrambe da un criterio prettamente regionalistico, per moltissimi anni hanno poi mantenuto un ordinamento cronologico, fino ad arrivare a tempi più recenti dove il nuovo ordinamento tematico, un'adozione tutta londinese, è andato ad affiancare in maniera molto netta e decisa l'ordinamento della galleria torinese e in maniera più graduale l'ordinamento di quella romana.
Dunque nei primi due capitoli si affrontano le origini e le evoluzioni di entrambe le gallerie, due racconti più o meno sintetici delle vicende che hanno visto la creazione delle due istituzioni di arte moderna e contemporanea più importanti d'Italia.
Nonostante i problemi riscontrati nel reperimento di uno e l'altro direttore, a causa del cambio di direzione avvenuto proprio a cavallo degli anni 2014/15, sono comunque riuscita ad inserire, a corredo di ogni capitolo, le interviste rivolte nel corso di quest' anno sia all'ex direttore Danilo Eccher per la galleria di Torino e sia alla dott.ssa Stefania Frezzotti, curatrice del settore dell'Ottocento presso la galleria romana, in sostituzione dell'ex direttrice e soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli con la quale sfortunatamente non sono riuscita mai ad entrare in contatto.
Il terzo ed ultimo capitolo invece è un raffronto sinottico delle due realtà espositive a confronto, affiancato da considerazioni personali più particolareggiate nei confronti dell'attuale allestimento Marini Clarelli.

Il Museo Nazionale Giovanni Antonio Sanna, nel cuore di Sassari, costantemente frequentato dai cittadini nel corso di eventi e mostre, è un esempio di come un istituto culturale possa costituire un punto di riferimento per la comunità locale oltre che per il turista desideroso di comprendere un territorio. Nato per accrescimento-di reperti e di edifici-il Museo non è nello stato attuale facile da percorrere, né dal punto di vista fisico né dal punto di vista concettuale. Grazie a recenti finanziamenti si è avuta la possibilità, da parte di un gruppo di lavoro multidisciplinare, di avviare una trasformazione che procede in due direzioni: 1. il recupero delle origini: il Sanna nasce da una collezione privata comprendente materiale archeologico, etnografico e artistico. Nel corso degli anni si è sottratto spazio alle collezioni etnografiche e alla pinacoteca a favore dei reperti archeologici. Il primo obiettivo è stato riportare l'attenzione sulla nascita del museo, dunque sulla figura di Giovanni Antonio Sanna e sulla natura eterogenea della collezione, spostando quindi la focale dal collezionista al fenomeno del collezionismo, e da questo alla nascita dell'archeologia come la conosciamo oggi; 2. nuovi racconti. Il ruolo del museo non è solo quello di contenere e conservare ma quello di raccontare se stesso e le storie che racchiude. Dalla visita affidata ai mezzi tradizionali si cerca col progetto in corso di passare a una visita coinvolgente che utilizza nuovi sistemi per stimolare il visitatore e incuriosirlo, rendendolo partecipe di un universo complesso. L'ambiente interattivo posto nel cuore del museo, oltre a invitare l'utente al gioco con la scala del tempo, vuole connettere l'isola al resto del Mediterraneo ponendo in luce gli scambi fecondi avvenuti fin dalla preistoria. Il contesto chiuso del museo si aprirà inoltre alla partecipazione sociale con la realizzazione di una caffetteria, l'apertura del giardino al pubblico e la realizzazione in autocostruzione di un nuovo spazio per la didattica.

Quale è il significato che diamo alla locuzione "narrazione museale"? Forse non a caso non se ne è data una definizione stretta, lasciando così la possibilità a ogni en tà coinvolta dal tema di scegliere la direzione che più le si confacesse. La definizione stessa di museo  si applica a realtà anche molto diverse tra loro accomunate da uno scopo definito dall' essere al servizio della società, dall'apertura, dalla ricerca, e non soltanto, come era in un passato non troppo remoto, dalla necessità di rappresentare un paese o conservare beni culturali mobili. Se partiamo quindi da un oggetto, il museo, di per sè difficilmente definibile in modo univoco, non si potrà pretendere di avere una definizione di "narrazione museale" stretta. E forse, per il narratore, è meglio così. Il museo è una macchina complessa, composta da elemen eterogenei che svolgono la loro mansione ai fini di un unico scopo: essere, appunto, al servizio della comunità umana e del suo sviluppo. Si entra nella macchina, si viene frullati o cullati , a seconda della natura della macchina, e si esce cambiati. La complessità della macchina fa si che la narrazione non possa essere affidata al solo linguaggio scritto: sono diverse le componenti che narrano, diversi per ognuna delle componenti i registri di lettura. èvdavvero possibile separare gli ingranaggi di una macchina? Distinguere, come si è quasi sempre fatto finora, l'allestimento dall'ordinamento scientifico di un museo? Nella macchina-museo la comunicazione del contenuto dovrebbe avvenire attingendo a tu i mezzi espressivi a disposizione e scegliendo quale privilegiare a seconda del caso, e a più livelli

martirizzato dai romani santificato dai cristiani venerato dai contemporanei martirizzato dai romani santificato dai cristiani venerato dai contemporanei martirizzato dai romani santificato dai cristiani venerato dai contemporanei Sant'Efisio, o Efisio come viene chiamato confidenzialmente dai fedeli, è un simbolo della Sardegna, sotto il quale religione, tradizione e storia si fondono. Questo volume è un racconto corale in cui attraverso ogni dettaglio si viaggia nel tempo: dall' arrivo di Efisio in Sardegna ai suoi miracoli seicenteschi, dalle colorate e profumate processioni sacre al multiforme patrimonio immateriale dell'Isola. Un itinerario narrativo che, così come ha condotto il visitatore attraverso le sale del Museo archeologico nazionale di Cagliari tra petali di rose, filigrane e coralli, accompagna oggi il lettore non solo alla scoperta di tradizioni che affondano le radici in un tempo lontano, ma anche alla conoscenza di preziosi documenti d' archivio, di vicende note e meno note della vita del santo. Una straordinaria occasione per immergersi con occhi nuovi nella storia della Sardegna dall' epoca di Efisio ai giorni nostri attraverso la figura di un uomo "martirizzato dai romani, santificato dai cristiani, venerato dai contemporanei". www.silvanaeditoriale.it

La ricerca si occupa di dieci musei Diocesani di Arte Sacra del Triveneto. Partendo dalla constatazione che i musei diocesani nacquero, per lo più, per forte volere della Santa Sede che vedeva in questi istituti un posto sicuro dove ricoverare beni e oggetti che rischiano l'alienazione o distruzione; e che dal 2001 sempre la Santa Sede sta cerando di togliere l'immagine di semplici depositi ordinati al fine di rendere questi Istituti luoghi di propulsione culturale: mi sono interrogata su come, all'interno di questi musei, venisse comunicata la provenienza dei beni al fine di riconnetterli alla propria comunità di appartenenza (fatta di luoghi, persone, riti e culture).
Per affrontare questa particolare e inedita ricerca ho visitato personalmente ognuno dei musei e per ciascuno di essi ho avuto colloquio con il responsabile (direttore e/o conservatore) al fine di capire se durante l'allestimento, o in fasi successive, fosse stata considerata questa nuova necessità di dichiarazione di provenienza. Nel caso di risposta affermativa si è indagato quindi quale strategia comunicativa è stata messa in atto.

Eravamo di fronte alla vetrina che avrebbe ospitato gli oggetti del funerale bororo 1 e ci accingevamo a collocare la cesta aroe j'aro (che nel rito avrebbe dovuto contenere le ossa del defunto ornate di piume per la seconda sepoltura) e gli otto powari (strumenti musicali a fiato che rappresentano l'anima del defunto), uno per ognuno degli otto clan. La mostra Io sono Bororo-Un popolo indigeno del Brasile tra riti e futebol 2 era stata concepita e realizzata insieme alla comunità di Meruri, in Mato Grosso, la quale aveva anche prodotto appositamente parte degli oggetti e realizzato materiale di accompagnamento ed era presente con cinque persone alle fasi di allestimento 3. Uno di loro, Gerson, propose di collocare il cesto al centro e gli otto powari in due semicerchi ai lati. Si trattava di una astrazione lucida che forse non mi sarei mai azzardato a fare: nella realtà c'è un solo powari vicino alla cesta, quello del clan di appartenenza del defunto; ma una disposizione del genere avrebbe riportato gli otto flauti alla morfologia del villaggio bororo, composto da otto capanne collettive attorno a un piazzale centrale, una per clan, disposte in cerchio secondo una precisa sequenza. Senza contare che nello spazio centrale viene posizionata la prima inumazione del defunto. Il tocco finale furono la simulazione, con del cotone idrofilo, del cranio coperto di piume all'interno della cesta e, soprattutto, tre sigarette poste davanti al cesto, non comprese dal progetto, che rappresentarono una riproposizione concreta dell'offerta solitamente destinata all'inumato 4. I cinque Bororo rimasero qualche tempo a Genova ed ebbero più di un'occasione per raccontare al pubblico la mostra. La loro adesione era stata piena e soddisfatta, sino a interpretarla secondo modalità non previste nella progettazione: nella prima sala era rappresentato sul pavimento lo schema della struttura clanica del villaggio bororo (otto spicchi con i rispettivi colori) e ogni volta che uno di loro parlava si collocava all'interno dello spicchio che rappresentava il proprio clan. Per noi operatori, oltre all'esperienza squisitamente umana, lavorare con i Bororo fu l'occasione per entrare in diretto contatto con i protagonisti e per poter esporre con consapevolezza non solo gli oggetti, ma anche le idee e le emozioni. Ma fu un vero privilegio. Non è sempre possibile avere un rapporto diretto con le persone che appartengono alla società o cultura che ha prodotto o utilizzato gli oggetti in mostra. Almeno in Italia, probabilmente questa è stata fino ad ora una delle poche mostre dialogiche 5. Scrive Baxandall che in un'esposizione entrano in gioco «tre elementi distinti e autonomi: chi produce gli oggetti, chi li espone e chi va a vederli quando sono esposti» (1995, p. 19). Quando i tre elementi condividono cultura ed epoca, l'esposizione dispone, almeno teoricamente, di un apparato comunicativo e simbolico omogeneo, comune a tutti. Ma il più delle volte chi ha prodotto gli oggetti appartiene a una società o a una cultura distante dalle altre due, straniera sia per geografia

Il seguente elaborato mette a confronto le stazioni museo di San Giovanni a Roma e Rokin ad Amsterdam. Le due stazioni della metro, a seguito delle scoperte archeologiche rinvenute durante i lavori di scavo, sono state dotate di allestimenti adatti ad integrarvi un carattere museale. Per prima, viene analizzata la stazione di San Giovanni, andando ad approfondire le diverse modalità di esposizione dei reperti trovati. La stazione museo infatti, è divisa in tre livelli: Atrio, Corrispondenze e Banchine. Vari strumenti facilitano la comprensione della storia del luogo, come lo stratigrafo e i video-racconti sia in lingua italiana che in inglese, che riportano una comunicazione chiara del valore storico artistico del sito. In seguito, vengono esaminati gli intenti della metro-museo di Rokin, che espone un numero considerevole di reperti in due vetrine disposte tra le scale mobili nord e sud della stazione, che attirano l'attenzione dei visitatori per poi essere approfondite nel sito Web del progetto. Secondo i criteri di valutazione: rilevanza, conservazione, comunicazione e servizi del modello HGES (Herity Global Evaluation System), vengono descritti i pro e i contro delle due stazioni-museo facendo luce sui diversi obiettivi degli scopi di allestimento.

E' aperta la nuova call per la partecipazione al Workshop
"Storie dell'Arte. Come si costruisce una mostra"
in collaborazione con il laboratorio DiDiART - Diagnostica e digitale per l’Arte del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Ferrara e le Gallerie Estensi.
Periodo di svolgimento: 11 gennaio - 5 marzo 2021

Il progetto sarà dedicato allo studio e all'allestimento nelle sale della Pinacoteca Nazionale di Ferrara dell'opera Marte e Venere con Cupido di Veronese proveniente dalla Galleria Sabauda dei Musei Reali Torino.

Scadenza candidature: 14 dicembre 2020