Occitan Literature

Two friends, Auguste Blanchot de Brenas, lawyer native of Velay, and Félix Jouguet, mining engineer in the Cevennes, visit the Languedoc. A meet in the City of Carcassonne drive them to explore the Corbières, inaccessible and unknown country. In his paper, Auguste tells with humour their adventures on the bad paths. Good observer, he describes with fidelity and talent beautiful landscapes, meeting colourful character, manners and customs of this wilderness. Passionate by legends, he tells the exploits de Lady Carcas against Charlemagne at Carcassonne, harms of washerwomen fairies who bewitch the young men, and "The Sermon of the Cucugnan priest" to save his parishioners from hell. This last tale was immortalized throw plagiarism of Roumanille and Alphonse Daudet but his discover was forgotten. This paper wants to discover who is this author and the interest of his travel story.

Deux jeunes amis, Auguste Blanchot de Brenas, avocat originaire du Velay et Félix Jouguet, ingénieur des mines dans les Cévennes, visitent le Languedoc. Une rencontre dans la Cité de Carcassonne les pousse à explorer les Corbières, région alors inaccessible et ignorée. Dans son journal, Auguste conte avec beaucoup d’humour leurs aventures sur les mauvais chemins des Corbières. Fin observateur, il restitue avec fidélité et talent les paysages grandioses, les rencontres avec de pittoresques personnages, les mœurs et les coutumes de cette contrée sauvage. Passionné par les légendes, il raconte les exploits de Dame Carcas contre Charlemagne à Carcassonne, les méfaits des fées lavandières qui font tourner la tête aux jeunes garçons et le sermon du curé de Cucugnan pour sauver ses ouailles de l’enfer. Cette dernière histoire, est devenue célèbre grâce aux plagiats de Roumanille et Alphonse Daudet mais son inventeur reste bien oublié. Cet article se propose de découvrir qui est cet auteur et quel est l’intérêt de son récit.

(Fr) : Cette étude vise  à  analyser  la  prise  de  conscience  de  l’existence  d’une tradition littéraire des troubadours de la première moitié du XVIe  siècle en France. On ne trouve, parmi les traités de ce temps, que des allusions mineures au passé des troubadours, même dans les œuvres relativement bien connues et influentes. Nous tenterons d’esquisser un panorama de ces passages qui, si bref soit-il, pourrait bien illustrer le climat culturel dans lequel intervint Jehan de Nostredame avec ses Vies.

(En): Lois Bellaud de la Bellaudiera (1543-1588?) was one of the most outstanding Provencal poets of his time. Many scholars, such as Robert Lafont, claimed to see in him an important representative of language revival in the Provence region. In this context arises the question as to why Bellaud did not reflect neither use a reference to the antiquity of troubadour poetry, their literarily consecrated koiné, nor its traditional orthography, if he wanted to elevate and literarily re-establish his native language. That's despite the fact that the famous troubadour´s past was only very recently restored by Jehan de Nostredame (1507-1577?) with his troubadour biographies Vies des célèbres et anciens Poètes provençaux (i.e. troubadours) published in 1575. All the more, Bellaud was probably in personal contact with Jehan's nephew and continuator, César de Nostredame. The article attempts to explain this discrepancy by pointing to the change of literary canon in the 16th century. If Bellaud wanted to succeed as a poet, he had to lean towards the emerging postpetrarkistic poetics of the Pléiade and therefore totally reject any medieval literary connotations.

Con questo lavoro ci proponiamo di fare ordine nel 'mare magnum' di considerazioni e studi più o meno approfonditi che riguardano la problematica figura di Bieiris de Romans e della sua unica 'canso' a noi pervenuta. Nel primo capitolo tenteremo di mostrare la difficoltà di delimitare in maniera definitiva il corpus delle 'trobairitz' e come vari autori abbiano interpretato diversamente l’inclusione o meno di alcuni testi e personalità. Nel secondo capitolo tratteremo nello specifico di Bieiris de Romans, ovvero il fatto di essere l’unica 'trobairitz' dell’intera produzione lirica in lingua d’oc a indirizzare una 'canso' a un’altra donna; esporremo, dunque, le teorie degli studiosi che appoggiano la sua effettiva esistenza e autorialità e quelli che vi si oppongono; infine, proporremo una nostra opinione sulla questione. Nel terzo capitolo esporremo il testo originale, una traduzione e un’analisi critica.

Coniugando i dati provenienti dallo studio della tradizione manoscritta a quelli desumibili dall’analisi di testi particolarmente significativi, questo articolo traccia un profilo critico delle modalità con le quali la tradizione manoscritta trobadorica si è diffusa in area toscana nel corso del Duecento. Si individua cosí un canale di accesso privilegiato alla regione attivo almeno dagli anni Sessanta del XIII secolo in corrispondenza dell’asse Monferrato-Genova-Malaspina. In relazione a questo itinerario fondamentale si definiscono inoltre le tracce di tradizioni minoritarie e si individua un ancora piú antico sostrato di produzione trobadorica legata a quest’area.

E' davvero sorprendente notare come tenebre e oscurità, bianco e nero, siano le principali antinomie su cui si basa la lirica dei trovatori. E' altrettanto sorprendente notare come la menzione ai colori caldi e ai colori freddi determinino l'asprezza o la levità del canto. In prossimità della chiarezza, il canto dei trovatori diventa 'lieve' (trobar leu) mentre in prossimità dell'oscurità, il loro canto diventa 'chiuso' (trobar clus).
Bisogna, inoltre, riconoscere che la lirica dei trovatori è basata su termini ricorrenti, che quasi disegnano un'algebra fatta di simboli e suoni in perfetta contraddizione e in perfetta sintesi.

• Nel mio lavoro di tesi ho preso in esame il Camin de la Crous, meditazione poetica sulla via crucis del poeta provenzale Mas–Felipe Delavouët (Marsiglia 1920 – Grans 1990).
Terminato nel 1964 venne messo alle stampe nel 1966 a tiratura limitata (115 copie) per la collezione del Bayle–Vert, curata dal poeta stesso.
Successivamente venne ristampato, nel 1971, all’interno del secondo dei cinque volumi che formano Pouèmo, unica e organica collezione poetica (o, potremmo dire, poema unico di vita) in cui l’autore tra il 1971 e il 1991 raccolse molti testi elaborati e pubblicati precedentemente affiancati da nuove opere.

• All’interno della ristampa di Pouèmo II, il Camin de la Crous si inserisce dentro una sottostruttura più articolata intitolata Triptyque dòu marrit tems (Trittico del cattivo tempo), un trittico letterario di cui il Camin occupa la prima parte (seguito da Pèiro escricho de la Roso – Pietra scritta della Rosa – e dall’Istòri dóu Rèi mort qu’anavo à la desciso – Storia del Re morto che discese il fiume).
Lo studioso William Calin, in una rilettura di Pouèmo, ha avanzato l’ipotesi che questo trittico, cuore pulsante dell’intera opera di Delavouët, prenda spunto dalla vita di Gesù. Infatti il Camin, prima parte del trittico, rappresenterebbe l’autunno narrando le vicende del Re-Cristo sulla croce; la seconda parte coinciderebbe quindi con l’inverno, trattando della morte del Re; la terza sezione infine simboleggerebbe la Pasqua e la rinascita, quindi la primavera, riportando l’immagine del re che discende in una notte il fiume. Tuttavia la figura del Re protagonista del Camin e di questo trittico rimane per volontà dell’autore, ambigua, lasciando spalancata al lettore ogni possibilità di interpretazione.

• A introdurre un’analisi e un commento approfonditi del testo dell’opera di cui si offre, in questa sede, una prima proposta di traduzione in italiano, è un breve capitolo di sintesi sulla presenza dei motivi della Passione di Cristo nella letteratura occitana (e nell’area romanza), dal Medioevo al Novecento di Sola Deitas, complesso esordio poetico del 1962 del sacerdote e poeta mistico e rivoluzionario Joan Larzac, nonché primo esemplare rinvenuto di via crucis poetica Novecentesca in occitano, qui tradotta per la prima volta.


• L’analisi del Camin de la Crous è risultata arricchita dal confronto con il Camin de la Crous de Gardian, un’analoga via crucis, ma concettualmente più semplice, scritta sempre da Delavouët nel 1979 per assecondare le richieste di Daniel Campiano, parroco di Salin–de–Giraud, che desiderava realizzare per i gardians (i noti mandriani della Camargue) della sua parrocchia una via crucis per il Venerdì Santo.
Pur presentando somiglianze con l’opera maggiore, il Camin di Gardian, di cui si propone la prima traduzione integrale, si caratterizza necessariamente per una maggiore immediatezza, per temi e lessico semplici, comuni e legati all’orbe bucolico dei gardian, per una forma poetica breve che si adatti alla semplicità e alla spontaneità dei mandriani anche perché il testo, destinato a essere letto in processione, doveva essere più pragmatico e armonizzarsi con l’ambientazione rurale circostante della Camargue.

• Ritornando al Camin de la Crous, l’opera, in quattordici stazioni di tre strofe da sei versi [i primi quattro alessandrini (ABAB) il quinto un ottasillabo (C) e il sesto nuovamente alessandrino], ripercorre, con un’implicita voce narrativa, le vicende della condanna e della morte del Re-Cristo in un testo dal tono solenne e asciutto che, se da un lato lascia poco spazio all’emozione o a artifici retorici, dall’altro si carica di un forte simbolismo testimoniato dalla costellazione di immagini che popolano gli alessandrini e in cui è stato possibile rinvenire anche molteplici riferimenti biblici, patristici e mitologici.

• In questa selva di simboli metaforici e allegorici l’immagine dell’albero riveste un’importanza simbolica e una presenza (29 occorrenze) particolare rispetto alle altre.
Nella poetica di Delavouët l’albero, sintesi del mondo vegetale, simboleggia, nell’intreccio delle sue radici e dei suoi rami, tutte le genealogie umane e, dando a vedere la successione delle stagioni, permette all’uomo di comprendere il ciclo dell’esistenza universale.
Il tronco è per Delavouët un ponte vivente tra forze solari e terra sottostante, un vettore di comunicazione cosmica cielo–terra che coinvolge l’umanità fin da Adamo e che proprio con quest’ultimo si è compromessa.
Il senso e il culmine del Camin doloroso sta allora nella progressiva identificazione e poi simbiotica trasformazione del Re-Cristo morente e della croce, rispettivamente da albero vivo a legna e viceversa, ricomponendo, in questa metamorfosi, la frattura creatasi tra cosmo-cielo e terra con Adamo e l’albero della conoscenza.

This article presents a reconsideration of the origin of the manuscript Lyon, Bibliotheque municipale, ms. PA 36, containing a complete Occitan translation of the New Testament and a Cathar text known as the Ritual of Lyon. The codex of Lyon is important not only for the history of dissident Christian traditions, but also for the history of medieval vernacular translations of the Bible. Despite scrutinizing the manuscript since mid-nineteenth century, scholars have fallen short of suggesting convincing arguments concerning its genesis. The dates proposed for the codex and the Ritual of Lyon vary significantly as well. Building upon earlier linguistic findings and considering internal as well as external evidence, we argue that far from being the witness of the supposed golden age of Occitan Catharism at the beginning of the thirteenth century, the codex as well as the Ritual of Lyon itself are connected with a spirited early-fourteenth-century attempt at restoring Cathar Christianity in Languedoc, headed by a former notary of Ax, Peter Autier. This finding is an important contribution to the history and interpretation of the manuscript, the Ritual of Lyon, and the oldest extant translation of the New Testament in Occitan.

La letteratura critica intorno alle benedizioni di Clermont-Ferrand ha generalmente ricollegato questi due incantesimi del X secolo alle formule taumaturgiche precristiane. Nel secondo carme, però, i misteriosi protagonisti evidenziano  precisi riferimenti alla Passione: le vicende subite da Cristo sono l’antefatto mitico che viene rievocato per curare verbalmente un male analogo. L’incantesimo deve essere associato ai  Longinussegen, gli scongiuri deputati ad arrestare le fuoruscite di sangue, diffusi specialmente nell’area tedesca.

(Fr): Jehan de Nostredame, l'auteur d'une paraphrase des biographies des troubadours médiévaux (les Vies des plus célèbres et anciens poëtes provensaux, publiées en 1575) dans laquelle il s'attache à présenter la majorité des troubadours comme « provensaux », origine cependant fausse pour nombre d'entre eux. C'est que l'auteur des Vies a délibérément changé tantôt les lieux de naissance, tantôt les noms des personnages ou recouru à d'autres subterfuges. À ces libertés prises avec les faits s'ajoutent des biographies de troubadours complètement inventés, dont certains portent des noms ou des caractéristiques de personnages de l'élite administrative et aristocratique de la Provence et de l'Italie du XVIe siècle. Ces procédés utilisés par Jehan de Nostredame constituent-ils un ingénieux jeu littéraire destiné à un lecteur averti ? Ou l'auteur des Vies n'est-il qu'un « imposteur » immoral ? Ou encore les particularités de cette oeuvre dérivent-elles des règles du XVI siècle qui forment le genre de la littérature historiographique et prosopographique ? Dans la présente recherche nous tentons de répondre à ces questions.

E' davvero sorprendente notare come tenebre e oscurità, bianco e nero, siano le principali antinomie su cui si basa la lirica dei trovatori. E' altrettanto sorprendente notare come la menzione ai colori caldi e ai colori freddi determinino l'asprezza o la levità del canto. In prossimità della chiarezza, il canto dei trovatori diventa 'lieve' (trobar leu) mentre in prossimità dell'oscurità, il loro canto diventa 'chiuso' (trobar clus).
Bisogna, inoltre, riconoscere che la lirica dei trovatori è basata su termini ricorrenti, che quasi disegnano un'algebra fatta di simboli e suoni in perfetta contraddizione e in perfetta sintesi.

Le vocabulaire technique établi dans les Leys d'amors manque de précision, de définitions suivies de façon universelle; Molinier omet pas mal de formes employées par les troubadours. Il faut aux chercheurs une vraie bible de termes littéraires à employer pour décrire la poésie occitane médiévale;

Este trabajo presta atención al valor e importancia que adquiere el conselh en la Edad Media, particularmente en las composiciones líricas dialogadas de las trobairitz: "Bona domna, tan vos ai fin coratge" (PC 461,56), "Dompna N’Almucs, si·us plages" (PC 20,2) y "Na Carenza al bèl còrs avenenz" (PC 12,1). En todas ellas se recurre como tema principal al consejo amoroso, ya sea ofrecido por parte de una dama experimentada a una joven carente de experiencia, o bien por una intermediaria ajena a la relación amorosa.

Este traballo presta atención ao valor e importancia que adquire o  conselh na Idade Media, particularmente nas composicións líricas dialogadas das  trobairitz: "Bona  domna, tan vos ai fin coratge" (PC 461,56), "Dompna  N’ Almucs, se· us  plages" (PC 20,2) e "Na  Carenza al bèl còrs avenenz" (PC 12,1). En todas elas recórrese como tema principal ao consello amoroso, xa sexa ofrecido por parte dunha dama experimentada a unha moza carente de experiencia, ou ben por unha intermediaria allea á relación amorosa.

This project pays attention to the study on the value and the importance that the conselh acquires during the Middle Ages, particularly in the trobairitz’s converse lyric compositions: "Bona domna, tan vos ai fin coratge" (PC 461,56), "Dompna N’Almucs, si·us plages" (PC 20,2) y "Na Carenza al bèl còrs avenenz" (PC 12,1). In all of them, the main topic is the love advice, either offered by an experimented woman to a young girl without experience, or by an external intermediary to the relationship.

La ‘filologia dei canzonieri’ è un ambito ormai consolidato della romanistica, negli ultimi anni in fase di costante affinamento metodologico. In questo saggio il canzoniere provenzale U è studiato nei suoi aspetti ecdotici, linguistici e materiali, qui analizzati nelle loro forti interrelazioni reciproche in modo da far meglio emergere anche il valore latamente culturale del manoscritto. Nel contempo, alcune caratteristiche della raccolta assumono un significato solo se considerate in rapporto alle dinamiche generali della tradizione trobadorica. Tentando dunque di collocare le specificità del canzoniere nel più ampio contesto della produzione in lingua d’oc, la ricerca permette di riconoscere in questo testimone non solo un tassello significativo nel panorama della ricezione italiana antica della lirica provenzale, ma anche un punto di osservazione stimolante dal quale indagare problematiche linguistiche, ecdotiche e culturali complesse che interessano settori più vasti della tradizione trobadorica.

La leggenda del legno della croce è una delle storie apocrife più significative del medioevo religioso. Essa è il risultato di un lungo processo di stratificazione di racconti e motivi leggendari, e risulta declinata in versioni plurime, più o meno scorciate e interpolate. Il presente contributo indaga la diffusione della storia del lignum crucis nel contesto occitano. La scelta non è casuale; appare, anzi, necessaria. In effetti, come spesso è avvenuto per quella che può essere considerata un’appendice alla cosiddetta «eccezione narrativa» occitana, lo studio della letteratura religiosa del Midi necessita ancora di nuovi spunti d’indagine, trasversali e comparativi. Di questo soffrono anche le diverse versioni della leggenda del legno della croce.

Peire de la Mula è stato a lungo considerato un trovatore di origine italiana, soprattutto a causa dei riferimenti alla penisola presenti nella sua "vida". Tuttavia, recenti studi documentari hanno portato alla luce nuove informazioni biografiche che hanno reso necessaria una nuova edizione dei suoi testi, a lungo accantonati dai critici proprio per i pochi riferimenti interni che avrebbero potuto condurre a una più profonda conoscenza della loro storia autoriale.

The article proposes a new critical edition of D’una leu chanso ai cor que m’entremeta by Guillem Peire de Cazals and a comment aimed to contextualize this song within the poetic mode of the mala canso. The text, which can be dated to the 1229-1230, consists in an authentic ‘disaffection song’ and it represents a change of course by the Cahorsin troubadour, both thematically as well as stylistically. This change is apparent from the initial pair leu chanso – that acquires a particular rethorical hidden meaning – and it continues within the récit, where it can be found the use of a vocabulary and of the typical thems of the ‘mode’ of disaffection.

In 1854, a group of seven young Provençal poets gathered to found the Félibrige, a literary society that aimed to revitalize their regional language—the langue d’oc or Occitan—faced with the increasing dominance of the national language, French. While the Félibrige is best remembered for the literary achievements of its leader and Nobel laureate Frédéric Mistral, the movement to preserve Occitan was also inherently political. The Félibrige grew out of the broader réveil des nations, a national awakening across Europe that revalorized popular literature and local languages through a Herderian conception of nationalism. Traditionally viewed as a regionalist organization with an only peripheral role in French history, the Félibrige was in fact a uniquely French response to this contemporary trend towards national construction in Europe. Though the Félibrige did not succeed in its proximate goal of stopping the advancement of French over Occitan, the group redefined the relationship between the Grande Patrie, France, and the petite patrie of Provence. In doing so, it played a central but still unrecognized role in the history of nationalism’s evolution in France, as this project will attempt to demonstrate.

The article is a reading/interpretation of Raimbaut d'Aurenga's La flors enversa. The co-presence of winter and spring in the canso's coblas is the point of departure of an investigation of the meaning of the adjective enversa. It is also an analysis of the devices by which the troubadour links the distance between winter and poetry, and the one between the trobar and its inverse.

Cet article examine l’interprétation vitaliste des cultures colonisées chez le Martiniquais Frantz Fanon et l’écrivain occitan Yves Rouquette. Au terme d’une approche autocritique de la modernité, le romantisme a élu la culture comme lieu de réconciliation de la vie moderne avec elle-même. Héritier de cette tradition, Aimé Césaire rompt avec elle en engageant une critique externe de la culture européenne. Les contestations par Fanon de la haine de soi noire et par Rouquette de la glaciation culturelle occitane prolongent le geste de Césaire. Plutôt qu’une patrimonialisation de la langue occitane ou qu’une imitation du Français, Rouquette entend incarner l’adéquation entre l’intensité des cultures populaires et l’idéal d’une forme de vie productrice de valeurs.

Il volume fa luce sul complesso rapporto (riscontrabile pressoché a ogni livello d’indagine) tra il tardo–duecentesco Roman de Flamenca, esponente tra i più rilevanti dell’“eccezione narrativa” occitana, e il tipo letterario della lirica trobadorica. L’opera indaga dunque la tessitura intertestuale del romanzo relativamente ai generi e ai modelli del grande canto cortese, nonché la profonda ristrutturazione dell’idea, della psicologia e dell’etica della “fin’amor” attuata dall’autore di Flamenca.

ABSTRACT: Guilhem Ademar è pubblicato solo in Almqvist (1951) e in due tesi di dottorato: Cannavò (2008) e Andolfato (2014), che ha affrontato però solo marginalmente gli importanti aspetti attributivi. Su dodici componimenti ascritti a GlAdem in BdT, solo nove hanno attribuzione concorde. Altri otto gli sono dati da pochi codici (spesso da uno). Il presente lavoro si prefigge di individuare in maniera più precisa i
testi da pubblicare in una futura edizione. Oltre ai nove unanimemente attribuiti a GlAdem, sono certo da pubblicare a suo nome anche gli altri tre ascrittigli dalla BdT (202.8, 202.9 e 202.5).
Propongo di collocare in una sezione di “rime di dubbia attribuzione” N’Ebles, chauzes en la meillor (BdT 218.1 = BdT 128.1), Pois vei que∙l temps s’aserena (BdT 281.7) e Mout chantera de ioi e voluntiers (BdT
281.6), escludendo dal corpus BdT 9.5, BdT 70.21, BdT 223.1, BdT 355.7, BdT 456.1.

ABSTRACT: Guilhem Ademar’s poetry has only been edited in Almqvist (1951) and in two PhD dissertations, i.e. Cannavò (2008) and Andolfato (2014), which one only marginally deals with questions concerning authorship attribution. Among the twelve poems credited to Ademar by the BdT, nine only have an unanimous attribution. Further eight poems are connected to him in a minority of manuscripts. The objective of this present paper is to individuate more precisely which texts should be published in a future critical edition of Guilhem Ademar’s corpus. Besides the above-mentioned nine poems unanimously credited to GlAdem, I propose to include N’Ebles, chauzes en la meillor (BdT 218.1 = BdT 128.1), Pois vei que∙l temps s’aserena (BdT 281.7) e Mout chantera de ioi e voluntiers (BdT 281.6), in a specific section on the “rhymes with uncertain attribution”, and to exclude BdT 9.5, BdT 70.21, BdT 223.1, BdT 355.7, BdT 456.1.

In the following paper, which had its origin in a seminar delivered in 2019 by prof. Hans Ulrich Gumbrecht, I will argue how the topos of bragging in Occitan gab songs is closer to the aforementioned professor's notion of a presence culture, for such theory seem to be more adequate for critical inquiry of the songs' semantic structures than traditional theories of meaning. Peire Vidal's strong bragging voice will be used as the most hands-on example, while other troubadours will also be briefly mentioned. As suggested in the seminar, the concept of historical imagination will be used with some liberty; I have also referred to speech-act theory and conclude by proposing to talk about presence cultures using terminology from meaning-oriented theories. My main references were Elizabeth Fraser's critical edition of Vidal's songs, John L. Grigsby's book on medieval boasting, Goldin's compilation of troubadour songs, Akehurst and Davis' excellent Handbook of the Troubadours, and, of course, my own historical imagination.

El estudio de las dedicatorias de los poemas de Guilhem de Montanhagol sugiere que hubo de tener más vinculaciones con la Península Ibérica que con Occitania, a pesar de estar siempre pendiente de los problemas políticos relativos a la cruzada contra Tolosa.  El análisis crítico de la documentación conservada en el Arxiu de la Corona d'Aragó refuerza esta impresión.

The article focus on the occitan success of Arnaut Daniel’s sestina in the wake of the other poems in langue d’oc that make Lo ferm voler qu’el cor m’intra (BdT 29,14) their own model. In particular, the study concerns Quan pes qui suy, fuy so que·m franh (BdT 376,2) by Pons Fabre d’Uzès and Eras, pus vey mon benastruc (BdT 227,3) by Guillem Peire de Cazals. Therefore, the two cansos are translated and then analyzed using a comparative perspective by trying to integrate study of content and stylistic and rethorical analysis, and by retracing the key moments of criticism.

The creative reception of troubadour lyric in post-medieval poetry constitutes a phenomenon of noteworthy and continuing development throughout the centuries especially in southern France, the very region which well before any other European country produces –  from the origins of the early modern to Romanticism – a new Medievalism, characterized by a deeply-rooted rediscovery of its own literary heritage. This literary and cultural trend asserts itself both at an artistic level, with the reinvention of the troubadours’ metrical and thematic devices, and at an ideological level, with a strong sense of linguistic commonality which fosters difficult issues of competition between the literature in the Provençal mother-tongue and the homogenizing power of the French language’s and government’s centralizing influence.
Jean de Nostredame (1522-1577) and Frédéric Mistral (1830-1914) represent the two poles of this development, the first being responsible for the first, 16th-century Renaissance provençale and Mistral embodying in the second half of the 19th century the life and soul of the second Renaissance provençale. Nostredame and Mistral are ideally connected by the so-called “Ossian d’Occitanie”, that is Antoine Fabre d’Olivet (1767-1825), a multifaceted figure who draws together Nostredame’s poetic revival and the applications of the then nascent Provençal Philology under the rubric of a neo-troubadourism adapted to the literary taste of his time.
Thus, Jean’s Vies de plus célèbres et anciens poètes provençaux (Lyon 1575) is the first anthology containing troubadour vidas (translated into French) and poems (adapted to modern Provençal), intermingled for encomiastic purposes with Nostredame’s own poetical and historical inventions. In the context of the literary heritage of the Troubadours and southern France, Jean’s work is extremely important for the rediscovery and circulation of old Provençal Literature after centuries of oblivion. Fabre d’Olivet, who owned a copy of Nostredame’s Vies, shares with his predecessor the same fascination for the Provençal language, the interest in Middle Ages and a certain reliance upon literary “fakes” to create his own Troubadour. Poésies occitaniques du XIIIe siècle (1803-1804), a collection of supposedly original troubadour songs, which are in fact Fabre’s own imitations of troubadour poems.
The fusion of these poetic and political “rediscoveries” finds its most definitive shape in the works of Frédéric Mistral, an advocate of southern French literary heritage and a poet in his own right (Nobel Prize for Literature, 1904). Mistral expands the “mythe” of a Provence in step with the current literary debates and, at the same time, profoundly conscious of its models: the troubadours. Among Mistral’s remarkably vast production I will limit myself to examples from Calendau, in which the biographies of the troubadours are recalled in images reproduced on the “historiated dishes” owned by the hero; from Mireio, in which the Comtessa de Dia plays the role of the president of one of those Cours d’Amour invented by Nostredame and recycled by Fabre; and from Nerto, in which the moral education of the teenaged main character develops through the reading of Matfre Ermengau’s Breviari d’Amor.