La lettera
Di Ninfa Leotta
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Info su questo ebook
Ninfa Leotta vive a Catania dove ha lavorato come dirigente presso la Biblioteca Regionale Giambattista Caruso. Si dedica alla scrittura e alla lettura, sue passioni da sempre. Dopo il saggio Le tipografie catanesi dell’Ottocento. I Galatola, si è occupata di studi verghiani, dando alle stampe un’edizione critica di testi teatrali inediti di Giovanni Verga, Prove d’Autore, in collaborazione con Lina Iannuzzi, e Verga e il teatro europeo. Ha curato la pubblicazione del carteggio fra Marco Praga e Federico De Roberto per la Fondazione Verga. Nel 2004 i suoi interessi si sono spostati dagli studi filologici alla narrativa, con la pubblicazione del romanzo La bottega d’arte, primo classificato al Premio Messina, sezione narrativa. Nel 2012 ha pubblicato L’assenza. La lettera è il suo terzo romanzo.
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Anteprima del libro
La lettera - Ninfa Leotta
Ninfa Leotta
La lettera
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-7559-9
I edizione maggio 2023
Finito di stampare nel mese di maggio 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
La lettera
A Massimo e a Stefano,
il meglio della mia vita.
Non posso vivere con te
sarebbe la vita
e la vita è di là
dietro la mensola.
Non posso morire con te…
Nemmeno potrei risorgere con te…
Così possiamo incontrarci lontani
Tu lì - io - qui
Con solo la porta accostata…
(Emily Dickinson, Poesie)
Nuove Voci
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Introduzione
Si era buttata sul letto, togliendosi le scarpe con sollievo. Si era raggomitolata su un fianco e aveva chiuso gli occhi, cedendo alla spossatezza. Non ricordava per quanto tempo fosse rimasta in quella posizione, né sapeva che ore fossero. Dalla serranda abbassata non filtrava alcuna luce, né avvertiva alcuna voce, né passi lungo la via. Era circondata da un silenzio ovattato che sembrava proteggerla. Da chi? Da che cosa? Da sé stessa? Dal suo lato ombra? Sapeva che quella stanchezza infinita non era soltanto fisica, dovuta a una densa giornata lavorativa, ma soprattutto psichica. Tutto era iniziato da quella e-mail che aveva letto di controvoglia. Da lì era incominciato uno stato di malessere, di velata inquietudine che l’aveva accompagnata per tutto il giorno. Aveva respinto i pensieri e gli interrogativi che le erano venuti in mente, rimandandoli a quando sarebbe tornata a casa. Adesso che giaceva stesa sul letto, sapeva che non poteva più rimandare. Aveva spalancato gli occhi nel buio e l’e-mail le era apparsa in tutta la sua pregnanza. La mattina ne aveva letto il contenuto una sola volta. Le era stato sufficiente. Lo rileggeva con gli occhi della mente: Gentile Signora Agnese Marani e Signor Mario Santagati, siete invitati a presentarvi il 15 febbraio p.v. presso lo studio del notaio Antonio Berloni, piazza Sacro Cuore-2, Belsito, per consegnarvi una lettera, depositata dalla defunta Signora Livia Marani. Il notaio Berloni era il notaio della zia Livia, colui che l’aveva convocata, l’anno prima, per la lettura del suo testamento, da cui aveva appreso di essere l’erede universale del vasto patrimonio della zia. In quel lasso di tempo, si erano sentiti spesso e avevano intrecciato un rapporto di amicizia sincera. Provò a chiamarlo, ma risultava irraggiungibile. Contrariata, aveva chiuso la telefonata e non l’aveva più richiamato. Certamente, la zia Livia e suo marito, lo zio Pietro, erano rimasti dentro di lei, custoditi come un gioiello prezioso. Soprattutto la zia Livia, era stata la sua vera
madre e la sua assenza era una presenza nel suo cuore. Ma Mario Santagati? Perché? I ricordi erano affiorati ed erano passati nella sua mente, dapprima, disordinatamente, poi sempre più netti. La memoria sceglie le sue carte dal mazzo, le scambia, le mescola, a volte bara. Quella volta non aveva barato. Una regina, la zia Livia, un re, lo zio Pietro ed un cavaliere, Mario Santagati, si erano staccati dal mazzo e si erano stagliati davanti ai suoi occhi, prepotentemente. Perché? Perché quella lettera? Cosa conteneva? E, soprattutto, perché Mario? Credeva di avere archiviato quel tempo vissuto con lui, anzi, di avere archiviato proprio lui. E invece… eccolo… nuovamente. Quella lettera le stava sussurrando che ancora doveva fare i conti col passato e con quell’uomo. Voleva muoversi nel letto in cui si trovava, ma non poteva. Si sentiva intorpidita e infreddolita. Ma il freddo che le faceva più male era dentro: nell’anima. Avvertiva un dolore, come un macigno sul cuore, e capiva che bisognava dare parole a quel dolore, alla paura che provava. Cercò di essere razionale: nella vita, si disse, ci sono cose che tu cerchi e altre ti vengono a cercare. Non le hai scelte, e nemmeno le vorresti, ma arrivano e dopo non sei più come prima. A quel punto, sono due le strade: o scappi, cercando di lasciartele alle spalle o le affronti. Per una frazione di secondo, pensò di scappare. Non sarebbe andata dal notaio, non l’avrebbe ricontattato, e avrebbe cancellato completamente dalla sua mente di avere ricevuto quella e-mail e di averne letto il contenuto.
La vibrazione del cellulare sul comodino, l’aveva riportata alla realtà. Un messaggio, forse. Ma non lo prese in mano e non volle sapere di chi fosse. La sua memoria non si stancava e le restituiva ricordi di quel periodo, della zia Livia, dello zio Pietro e della casa di Belsito, dove era solita trascorrere le vacanze, che diventavano sempre più evidenti. In quei ricordi si era persa e sentiva che doveva riprenderli, recuperarli per ritrovarsi. Adesso non poteva più fare finta che niente fosse successo. Aveva sofferto e aveva cercato di sistemare i suoi dolori come poteva, mettendoli dove poteva. Era come se li avesse messi