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Andrea  Le Moli
  • Palermo, Sicilia, Italy
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Der Aufsatz analysiert sowohl historisch als auch thematisch die Bedeutung des lebensphilosophischen Ansatzes Diltheys für die Entwicklung der hermeneutischen Position Heideggers in die Richtung, die zu der Fassung von Sein und Zeit 1927... more
Der Aufsatz analysiert sowohl historisch als auch thematisch die Bedeutung des lebensphilosophischen Ansatzes Diltheys für die Entwicklung der hermeneutischen Position Heideggers in die Richtung, die zu der Fassung von Sein und Zeit 1927 führte. Eine Paralleluntersuchung der Haupttexte beider Auto-ren zeigt, dass für den jungen Heidegger die Perspektive Diltheys eine wesentliche Ergänzung der phänomenologischen Methode Husserls in Richtung eines nichtobjektivierenden Zuganges zum " Leben " war. Die Problematisierung der ge-schichtlichen Zeit im geistigen Leben ist der Punkt, an dem Heideggers Annäherung an die Philosophie Dilthey sowohl sein Höchstmaß als auch seinen Bruch erreichte. Diltheys bahnbrechendes Verständnis des Phänomens " Zeit " zeigte sich durch Heideggers " Destruktion " noch begrenzt und durch wis-senschaftliche (d. h. noch objektivierende) Voraussetzungen gekennzeichnet.
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Secondo le letture oggi più diffuse, il ruolo di Cartesio nella formazione del paradigma moderno della «soggettività» consisterebbe nell'aver interpretato il rapporto tra gli stati mentali interni alla coscienza secondo il modello della... more
Secondo le letture oggi più diffuse, il ruolo di Cartesio nella formazione del paradigma moderno della «soggettività» consisterebbe nell'aver interpretato il rapporto tra gli stati mentali interni alla coscienza secondo il modello della sostanzialità, ossia come relazione tra predicati/attributi e un soggetto/sostanza, ipotizzando a questo scopo una consistenza dell'Io come istanza centrale ottenuta su base riflessiva, e dunque non riconducibile alla somma o articolazione degli stati stessi. Questa interpretazione deriverebbe, a ben vedere, dall'assunzione di fondo secondo cui la materia del pensiero sarebbe unica e uniforme, differendo soltanto nella maniera di rapportarsi ai suoi correlati oggettuali; e consistendo fondamentalmente in una attività che trae la propria differenziazione interna dall'oggetto (objectum) cui di volta in volta si riferisce. L'unità del pensiero si articolerebbe dunque in una relazione di tipo sostanziale tra una istanza centrale ed una serie di «modi» (intellezione, immaginazione, intuizione, senso, volontà, ecc.) che a questa si riferiscono. In questo modo esso perpetuerebbe, pur rinnovandola profondamente, la tradizione classica dell'anima come dominio autosussistente ma, a differenza della tradizione, farebbe dell'Io personale una sfera di consistenza autonoma che si struttura e consolida tramite la consapevolezza («coscienza») della propria attività, vale a dire secondo una dinamica di tipo riflessivo. Tale dinamica farebbe sì che io possa riconoscere un atto di pensiero (dotato di per sé di un proprio correlato oggettuale) solo nella misura in cui ne sono immediatamente conscio, vale a dire nella misura in cui un altro atto di pensiero si applica ad esso rendendolo, a sua volta, correlato oggettuale: l'atto di coscienza. L'atto dell'esser-conscio si rivolgerebbe pertanto agli atti di pensiero come questi a loro volta si rivolgono ai loro correlati oggettuali, dunque «oggettivandoli» a loro volta. Gli atti noetici diventerebbero dunque correlati oggettuali di un'attività noetica sovraordinata ed il pensiero, in questo modo, oggetto possibile di se stesso. La dinamica riflessiva che definisce la consistenza della sfera interiore, identificando la funzione preposta al riconoscimento e alla classificazione degli atti noetici (la coscienza), permetterebbe dunque la descrizione del mentale come «campo di oggettualità»; in breve, permetterebbe di guardare alla mente come ad un «oggetto» isolabile da altri oggetti e dotato di proprie leggi e regolarità. In ciò risiederebbe quella doppia operazione di novità cartesiana che tuttavia ne segna, nella storia delle interpretazioni successive, il destino aporetico: da un lato egli infatti vedrebbe, grazie alla scoperta della struttura riflessiva della mente, la possibilità inedita di interpretare la sfera interiore come un campo autonomo di oggettualità; dall'altro interpreterebbe, in modo forse non completamente originale, questa autonomia del mentale alla luce di un modello sostanzialistico che lo riporterebbe nel solco della tradizione, in quanto corrisponderebbe a un modo di perpetuare, pur rinnovandola, le tesi della distinzione reale tra mente e corpo e dell'immortalità dell'anima. Questa supposta frizione tra elementi di novità ed elementi di supposta arretratezza ha fatto sì che nella riflessione teorica successiva il modello cartesiano trovasse diverse conferme per quanto riguarda il ruolo centrale della «coscienza/consapevolezza» nella definizione della Mente come «campo oggettuale» 1 , ma opposizioni sempre più decise per quanto riguarda la possibilità di interpretare la Mente stessa come una «cosa» o una «sostanza». Si pensi a quanto accaduto, ad esempio, all'inizio del XVIII secolo nell'area filosofica di lingua inglese:
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This paper aims at reconstructing the critical debate about mimesis which occurs in the platonic literature of the twentieth century to show how much it influenced the thesis of contemporary Hermeneutics. Interpretations of the so-called... more
This paper aims at reconstructing the critical debate about mimesis
which occurs in the platonic literature of the twentieth century to show
how much it influenced the thesis of contemporary Hermeneutics.
Interpretations of the so-called “contradictory” use of mimesis in Plato
were offered at the beginning of the twentieth century by scholars like
Verdenius, Tate, Flashar, Koller et al. These constituted, in their asking
for a new reading of the conflict that this notion generates in the main
features of platonic thought, the basis for a new theoretical expansion
of the mimesis in the most recent years. The first thesis of this paper is
that such positions as Gadamer’s, Ricoeur’s or even Derrida’s about the
role of the mimesis in the context of the new hermeneutical experienced
were probably, even if not always expressly, influenced by this historical
debate. The second, and conclusive, is that only from a dialectical
composition between the two critical tendencies in platonic literature
(the preserving one and the critical one) is possible to render that central
role of mimesis in every experience of signification which illustrates,
in many cases better than notions like methexis or parousia, that hierarchical
and dialectical constitution of Being in which the core of Plato’s
Philosophy lies.
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