1
il
GESÙ DIVERSO
< .. è un Gesù “diverso”.... è un “altro” vangelo
( quello che predicano ) ... quei SuperApostoli ... >
( Paolo - 2 Corinzi 11.4)
< ...vi sono alcuni che... vi predicano un vangelo "diverso" da
quello che avete ( da me ) ricevuto, sia maledizione!
( Paolo - Galati 1.7,8)
2
Questo testo vuole essere un umilissimo contributo,
fatto con le capacità di cui dispongo,
ad una libera aperta e non condizionata riflessione e discussione,
sulla figura di Gesù, fondata e ferma al
“filo a piombo”
delle Sue parole nei Vangeli.
Riflessione e discussione che vedo terribilmente oggi necessaria
alla umanità intera e che mi sembra sia ormai sotterraneamente iniziata
nell'animo della gente e tra molti addetti ai lavori.
l'autore
3
a
Don Fortunato Provvisorio
ed a mia zia
Suor Riccarda
All'uomo che molto, amorevolmente ma decisamente,
ha cercato di scuotere e correggere la Chiesa cui apparteneva,
a lui che sul “filo a piombo” delle parole di Gesù
ha instancabilmente invitato a restare
ed a mia zia che silenziosamente, ma infine amaramente,
ha servito e seguito chi pensava fosse nel giusto,
questi scritti dedico e consegno.
Uno speciale e sentito grazie devo
al prof. Marco Vannini
per il suo, a me prezioso, ascolto.
4
indice
INDICE GENERALE
pag. 9
Premessa
pag. 11
Introduzione
pag 15
15
20
27
30
32
40
pag. 47
48
85
93
pag. 97
97
100
5
1° PARTE -
Le prime riflessioni
Il cammino non-cammino
La terra santa; La morte di mio padre
Prime letture dei Vangeli Canonici
I Ritorni-Reincarnazioni; L'Amore-umiltà; La Chiesa;
L'amore per “sé stesso-io”
Congresso della speranza
Don fortunato provvisorio
Il filo a piombo; L'AntiCristo
Il Gesù che non mi nega
Il nazireo; L'eunuco; Il mistico; L'abbassato di vento
L' “io” da togliere
Il rinnegare se stessi; Mano sinistra e mano destra;
La Pietra che costruisce; Il non giudicare; Io e Tutto;
Versi da scoprire.
2° PARTE -
Della Verità
Le Verità universali del mondo antico e di Gesù
Misteri e Parabole; Il cuore invisibile;
Zed-l'Eterno; Il Movimento circolare la Svastica e la Croce;
Uscita alla Luce-Ritorno all'Assoluto;
Il Sacrificio-Offerta;
L' Adam e il Figlio dell'Adam;
La Gloria del Figlio dell'Adam;
Morti-Vivi e Vivi-Morti; Esra Neemia ed Isra-El;
La Morte spirituale nel Ricco stolto; Della reincarnazione;
L'Uno-Tutto, I sepolcri imbiancati; Il battesimo;
La comunione; I tre giorni;
Il divenire bambini; L'Accadere; Abbandono-Morte dell' “io”
Resurrezione-Ritorno-Conversione-Rinascita in vita
La Verità Una
3° PARTE -
Gesù e la Torah
Seconda analisi dei Vangeli
Nessuna “Nuova” Legge
indice
pag. 107
107
108
110
124
126
127
pag. 145
145
146
164
pag. 173
173
175
177
185
188
190
194
196
196
202
203
6
4° PARTE -
Approfondimenti su Legge e Profeti
Gesù e la Legge
Torah, le letture e i nomi divini
Note a Genesi
In principio Elohim...; La terra era informe...; Elohim disse “sia la luce”...;
Elohim disse:“Facciamo l'uomo”...; Elohim plasmò l’uomo...;
Jhwh piantò un giardino in Eden...; Elohim diede questo comando all’uomo...;
Elohim...tolse (all’uomo) una costola...; Ora tutti e due erano nudi...;
Il serpente disse alla donna...; Allora..si accorsero di essere nudi...;
Elohim..passeggiava nel giardino...; Jhwh Elohim ..disse ”polvere...”;
Jhwh Elohim fece..una pelle...; Ora egli…non prenda...; Jhwh Elohim lo scacciò...;
Jhwh…pose ad Oriente...; L’intera vita di Enoch...; Quando…i figli di Elohim...;
C’erano..i Giganti...; Ecco....io manderò il diluvio....
Torah ed Enoch
Sulla Mitologia
Scritture e allegoria
I termini concetto; Filone Alessandrino; Terra promessa e abbandono di “propri”
paesi, case, padri ecc. ; Ricchezza e discendenza; La nullità di Abramo;
I figli della Sposa e quelli della schiava; La dolce Sposa-Vergine;
Giacobbe-IsraEl ; Le dodici tribù; Esodo ed Egitto; I tempi della correzione;
Babilonia; Il Dio volitivo; L'indovinello di Sansone; Il sacrificio di Isacco;
Gli Idoli; I deserti; Nudità e prostituzione; L'altare di Dio; Il Femmineo-Donna;
I Giganti
5° PARTE -
Le molte allegorie della stessa Verità
Allegoria e Verità
Racconti Miti e Riti di Verità
Gilgamesh ( diluvio..; resurrezione..; Sposa...; il sonno-oblio; l'eroe;
la morte spirituale; la prostituta; il divino accadere;
la reincarnazione; giganti...; segretezza ...; destino e nudità )
Mito Sumero della Creazione; Omero-Odissea; Prometeo;
Edipo Re e Tiresia; Il Minotauro; Mito della Caverna; Mito di Er;
Laminette Orfiche; Rito d’Iniziazione Mitraica
Figure di Verità
La Sfinge; Loto-Scarabeo-Vaso-Graal; Ganescha; Figure Sumere
6° PARTE- Errori, cecità, incomprensioni
Interpretazioni e traduzioni
L'Unigenito
L’Anima e lo Spirito
La Nefesh e la Nefesh hajjah; La Ruah e la Ruah santa;
Il Neshamah-Nishmat; Il Lev
Capire Daniele per capire Gesù
Le Apocalissi
Crisi della umanità.
Silenzio, Deserti e Selve
La Servitù-Amore
Deserto e Nichilismo
Il Messia, Elia e Zaccaria
Armonia-Caso-Fato-Necessità
Il Gesù diverso
indice
pag. 207
207
211
pag. 229
230
232
237
250
255
258
260
264
pag. 267
267
269
273
285
287
299
319
320
328
7
7° PARTE -
La reincarnazione nelle parole di Gesù
Le credenze dei giudei
I farisei; I sadducei; Gli esseni
Le parole di Gesù sulla reincarnazione
Matteo e Marco; Luca; Riflessioni finali
8° PARTE - Chi ha orecchie per intendere intenda
La misericordia
La ekklesia di Gesù
Il Quarto Vangelo
Il Peccato la Giustizia il Giudizio
Il Figlio il Padre e colui al quale...
Il Figlio-Verbo-Logos Universale
L’universale Giudizio-Scelta-Innalzamento
Gesù ed Enoch
La vita terrena, la ricchezza e il Cesare
Socrate, Gesù, e il Vero Filosofo
La iniquità
9° PARTE - I primi tempi
I Farisei
Le Due Fonti della Cristianità
Sui primi seguaci e scritti
Gli ellenisti; Comunità di Gerusalemme; Comunità Paoline;
Ebioniti e Nazarei; Simon Mago; Gnosticismo
Giovanni Battista ed i Mandei
Da Antiochia a Roma
Antiochia, Teodoro di Mopsuestia e l'Arianesimo;
Il credo Niceno e la sua doppia lettura;
La fine della scuola di Antiochia; Valentinianesimo e Origenismo;
La forzata conversione
Saulo-Paolo di Tarso
Il padre della Cristianità; L'esegeta farisaico; La legittimazione cristologica;
Il Cristo redentore; Paolo e gli apostoli; Il dissenso sulla resurrezione;
Il gigante dell'“io”; La umiltà-stoltezza;
I dogmi Paolini ( la resurrezione dei corpi e l'anima individuale;
il peccato originale; l'unigenito; la fede e la grazia;
la carità; la preghiera )
L'eredità paolina ( l'io e la mortificazione della vita,
l'anima-intelligenza-io; la morte corporale da vincere;
la salvaguardia della vita fisica; la Verità rivelata; lo spirito e
la carne; la speranza; la nuova immersione-battesimo )
Agostino
Il grande incompreso allarme teologico
Giuda; Simone detto Pietro; Giacomo fratello di Gesù ;
Del bene al servizio del Male
indice
pag. 333
333
345
348
349
pag. 361
361
363
364
366
369
386
396
410
416
pag. 425
425
433
444
447
454
460
464
476
490
494
497
pag. 517
pag. 517
536
10° PARTE - Da Jhwh a Nietzsche
Jhwh, i mali ed il male
Gli ineludibili e necessari mali divini; L'amico Giuda;
Jhwh-Dio Padre-Allah, un divino filosofico;
Il solo male; La creazione-manifestazione
Eraclito l'Oscuro
Zarathustra
Nietzsche e Gesù
11° PARTE - Le ultime segrete parole e conferme
La Donna e la Madre per Gesù
Le tre indicibili parole
Il terzo segreto di Fatima
Babilonia e l'Anticristo
La Ascensione di Isaia
L'Apostasia l'Absconditus e la Parusia
Contestazione ed allontanamento di Paolo e Pietro
Il Segno di Giona: Gesù conferma la reincarnazione
Origene
Il Padre Nostro, una preghiera-meditazione
Le Parabole
12° PARTE - La Sapienza, tra antica Grecia e Medioevo cristiano
Esiodo, le Donne e Tifeo
Luci di Sapienza di un buio Medioevo
La questione iconoclasta; La soffocata rinascita;
I Catari
Aquileia-Ravenna-Modena-Bari-Otranto
Artù, sapienziale mito di un “diverso” cristianesimo
La Sirena bicaudata
Pantaleone, il mosaico della Sapienza
La Sapienza Una
Il volo di Alessandro; Giano e il Sole Invitto;
Ketos, Leviatano, Ippocampo e Delfino;
Dante: la sua Commedia, il viaggio e le allegorie
Ariosto, la sua dantesca Bestia
Gesù “diverso” e “diverso” Giudaismo;
I Misteri greci e l’Affresco pompeiano
Demetra e Persefone; Dioniso;
Iside e Osiride;
L’Affresco Pompeiano dei Misteri
ULTIMA PARTE - Le note finali e gli antefatti
Gli Antefatti
Ricordi, Eventi
Nota finale
pag. 540
Bibliografia
pag. 543
Indice dei passi evangelici
8
Orfeo;
premessa
PREMESSA
Quello che ora qui farò seguire è il testo, con poche precisazioni aggiunte, della lettera con cui senza una precisa
volontà sono infine iniziati questi scritti.
Lo riporto in premessa per questo motivo ma anche perché vi sono riportati alcuni fatti che è bene siano, credo,
conosciuti.
LETTERA FEBBRAIO 2001
Gentilissima Signora Paola Giovetti e caro padre Ulderico Magni,
Come accennatovi verbalmente al Congresso della Speranza tenutosi a Modena nel gennaio 2001 appena
trascorso, sono a scrivervi con riferimento a miei ricordi legati ai primi anni di vita ed in particolare ai
primi mesi e giorni, ricordi che toccano i temi della reincarnazione.
Vorrei in anticipo ringraziarvi per il tempo che mi avete dedicato e per quello che ora mi concedete.
Un ringraziamento particolare a Lei padre Magni per l’intervento da Lei tenuto in occasione del
penultimo Congresso, nel 2000, dove ha parlato in modo per me tutto nuovo, di immortalità. Grazie per il
suo libretto dal titolo “Figli di Luce” e soprattutto per il suo entusiasmo quando, alle mie poche ed
impacciate parole con cui accennavo alla mia esperienza, lei ha esclamato:
“ è meraviglioso !”.
E, soprattutto, per me è stata meravigliosa la sua reazione nella quale forse speravo e che certamente mi
ha fatto trovare la forza per iniziare a fare ciò che al fondo desideravo fare da sempre: chiudere con quel
“silenzio ed oblio” interiore che mi ero imposto ed iniziare ad approfondire quanto mi era occorso.
Grazie.
Poiché non vorrei che, dilungandomi troppo, Voi archiviaste questa mia anzitempo, Vi informo che più
avanti trovate il capitolo a titolo “ Ricordi” a cui potete andare subito se credete.
Ho però piacere di anticipare con questa forse troppo lunga introduzione i fatti che più avanti appunto
riporterò.
Come dicevo i “ricordi”, e mi riferisco in particolare agli episodi che esporrò nella prima parte di questi
scritti, sono legati alla mia primissima infanzia e non sono mai stati da me rivelati ad alcuno ad eccezione
di mia moglie.
Ho sempre avuto paura a riportarli perché, come ancora oggi credo, la maggior parte delle persone non
riesce a credere e non riesce a capire ciò che dico. Ho sempre pensato che il riportarli avrebbe potuto
recarmi danni di credibilità e forse anche peggio, compromettendo quindi sensibilmente la mia vita futura.
La sola persona a conoscenza di queste mie esperienze come ho detto è stata, fino a circa due anni fa, mia
moglie a cui le ho confidate poco prima del nostro matrimonio, alla età di 24 anni, promettendole, per mia
volontà, che mai più ne avrei “riparlato” se non molto avanti nel tempo: le dissi a circa 40 anni.
Le chiesi poi di ricordare ciò che le avevo detto perché potesse testimoniarlo.
La ricordo seria ed anche preoccupata per quanto le stavo dicendo ma forse ancor più perché, in quel
momento, si è certamente posta un piccolo interrogativo sulla mia integrità e, forse, solamente la
grandissima serietà con cui mi sono posto alla sua attenzione in quel frangente, la convinse a limitarsi a
prendere atto di ciò che dicevo senza farmi alcuna domanda.
Lei infatti oggi ricorda bene questo particolare anche se, molto comprensibilmente, non tutti gli episodi li
aveva presenti con precisione.
Ora, come sempre avevo desiderato, da circa due anni sto cercando la strada per portare alla luce quanto
mi è capitato e con questo intento ho cominciato, con cautela, a farne partecipe sia qualche amico che i
miei parenti più stretti.
A questi ultimi decisi di “confidare” questi ricordi in occasione di un pranzo legato ad una qualche
ricorrenza.
Visti però reazioni e risultati, mi sono astenuto, con tutti, dal continuare.
Poi è arrivato il forse casuale incontro con Voi che spero, se lo riterrete opportuno, possiate aiutarmi a
studiare a fondo, in modo serio e competente quanto mi è capitato.
Pensando che possa interessare dico due cose ancora su di me.
9
premessa
Ho 51 anni, mentre scrivo, sono sposato, ho un figlio di 25 anni laureatosi di recente a pieni voti, ho una
sorella più giovane di me di 4 anni, sposata e sono nato e vissuto in un piccolo paese della campagna
emiliana, in provincia di Reggio Emilia dove i miei genitori erano agricoltori.
Mi sono diplomato perito tecnico con voti poco più che sufficienti, ed ho poi iniziato a lavorare con varie
mansioni per poi fondare, circa 20 anni or sono assieme ad altri compagni, una piccola impresa, attività
in proprio dove tutt’ora continuo a lavorare.
Con riferimento all’aspetto religioso, sono cresciuto con gli insegnamenti della chiesa cattolica ed in una
famiglia che ha sempre seguito tali insegnamenti pur senza bigottismi o acriticità ed ho sempre ritenuto di
appartenere a questa comunità religiosa pur non essendo un assiduo praticante.
Porto comunque in me un forte desiderio di approfondimento di questi temi cosa peraltro sempre
rimandata, aspirazione certamente sostenuta dal fatto che non trovo una spiegazione esatta alle mie
esperienze nella religione cattolica che è la sola che, certo superficialmente, conosco.
Riporterò ora ( ma in questo scritto sono riportati nella sua "Ultima Parte" ) i "Ricordi" motivo di questa
mia, ma devo precisare che posso avere dimenticato qualche particolare.
Dico questo perché nella occasione in cui ho “confidato” quei ricordi ai miei familiari mi sono accorto
che l’entrare a pieno in questi fatti mi porta una certa sofferenza, non so se posso dire di riviverli, fatto è
che in quella occasione rallentai il mio impegno a ricordare e raccontare e non sono perciò sicuro di
avere mai completamente approfondito questa indagine, né di poterlo fare ora in modo completo.
Credo di potere dire che solo l’episodio più forte e traumatico per il suo coinvolgimento fisico, quello
riportato al n.3, mi abbia permesso, ricordandolo e ritornando a quel periodo col pensiero, di riprendere
alla memoria anche gli altri.
Questo è avvenuto alla età di circa 6-7 anni.
Ricordo che in quel periodo, saltuariamente, quando ero solo in un loggiato dove difficilmente venivo
disturbato e dove mi recavo per passare momenti di tranquillità, mi venivano alla mente alcuni flash che
non capivo e che mi allarmavano decisamente molto.
Erano come dei fotogrammi, degli spezzoni di quelli che poi si sono rivelati gli episodi che riporto.
Spezzoni e fotogrammi che di tanto in tanto, quando ero in quel loggiato, mi assalivano con tutto il loro
carico emozionale senza che io capissi di cosa si trattava e che mi mettevano non poco sgomento ed
apprensione.
Al fine di capire di cosa si trattava e di dargli una spiegazione decisi un giorno che alla prima ricomparsa
di queste immagini ed emozioni, avrei cercato di approfondirle anziché scacciarle come avevo sempre
fatto.
Ricordo che all’inizio io non mi sentivo o non volevo credere di essere il protagonista di questi fotogrammi
che mi trovavo alla mente, solo con il loro approfondimento ho capito che erano episodi da me vissuti.
Penso di potere dire che siano state proprio le fortissime sensazioni, vissute in particolare in alcuni
momenti di tali episodi, a ritornare violentemente in me in quei primi flash, e non già le cose ed i
particolari che solo dopo ho ripreso. Non ricordo con precisione quali fossero le immagini o sensazioni di
questi primi flash che mi assalivano, probabilmente, come dicevo, erano legate al trauma del terzo
episodio.
Certamente è in seguito alla mia decisione di indagine che, in più occasioni successive, tutto mi è tornato
con chiarezza alla memoria, così come ora lo riporto.
Lettera firmata
10
introduzione
INTRODUZIONE
Oggi, a testo ormai quasi completato, integro la lettera del Febbraio 2001 che ho posto in premessa con alcune altre
righe di presentazione di questo lavoro.
Anzitutto devo dire che i “Ricordi” che seguivano quella lettera e che qui esporrò alla fine del testo, nella "Ultima
Parte", sono stati certamente, assieme ad alcuni “Episodi” successivi che riporterò dopo i "Ricordi", stimolo,
impulso e spinta alla ricerca; sono stati anche prospettiva di possibili indirizzi di lettura ma mai, naturalmente, essi
da me sono stati posti a sostegno delle analisi-esegesi svolte.
Le analisi e riflessioni sulle parole di Gesù, e non solo su di esse, riportate in questo testo, sono svolte in modo
assolutamente autonomo dai citati ricordi ed eventi. Analisi, esegesi e riflessioni che solo razionalità, chiarezza e
piena comprensione hanno voluto, cercato e privilegiato, giacché nessuna “personale esperienza” può, ben
sappiamo, essere posta a base di una tale ricerca ed opera .
Devo poi dire che nonostante abbia sempre ritenuto ed ancora ritenga importante il lasciare testimonianza delle
esperienze che riporto ai capitoli “ricordi” ed “eventi”, per la loro non facile accettazione sono stato a lungo indeciso
se portarli ad inizio o fine di questo testo ma infine ho deciso come detto.
Sono esperienze che, capisco bene, lasciano molto perplesso chi per norma e regola si porta a scartare a priori tutto
ciò che non comprende e ciò che non ha fondamento “scientifico” ovvero che non è replicabile a piacere, finendo
così per assimilare sane e pulite esperienze a quanto di peggiore, come trucchi e truffe, vi può essere.
Questo legittimo e normale fatto può però, qui, fare rigettare -a priori- anche le molto importanti, a mio avviso,
analisi e riflessioni sulla figura di Gesù e non solo che sono infine divenute l'oggetto primo di questo testo.
Consiglio quindi e prego chi legittimamente si chiuda ad esperienze “particolari” quali queste, di lasciare la lettura
di quelle righe alla fine: essa non è necessaria alla comprensione del testo e potrebbe anzi precluderne una obiettiva
lettura.
Ciò anticipato prima di continuare questa presentazione desidero fare una breve parentesi per dire, quale sentito
omaggio, di quel “loggiato” che ricordo bene e che con non poca nostalgia ogni tanto viene ai miei ricordi, il
loggiato in cui quelle prime traumatiche immagini e sensazioni si presentarono e dove poi io ritornavo quando
volevo approfondire queste strane cose che mi venivano alla mente.
Quando io ero piccolo mancavano ormai i miei nonni paterni che io non ho mai conosciuto. Nella stessa
casa oltre a mio padre Mario ed ai suoi tre fratelli, Roberto, Giovanni e Gino, vi erano le mogli di tre di
loro e sei figli, tredici persone cui a volte si aggiungeva, per periodi relativamente brevi, qualche ospite e
lavorante.
Il mio pensiero si ferma con molta nostalgia ai bellissimi momenti ed alla grande felicità che a noi piccoli
ha dato il vivere in questa grande famiglia contadina. È stata una condizione abbastanza normale nelle
famiglie contadine non solo di quegli anni e certamente molte persone hanno vissuto le stesse esperienze.
Non posso fare a meno di pensare alla bellezza della grande tavola a cui sedevamo, tutti e tredici, nei
momenti di pranzo e cena o anche alle giocose scorribande di queste frotte di allegri e festosi bambini che
correvano, quasi sempre a piedi nudi, per cortili impolverati e sui prati.
E ricordo gli zii e le zie che, in questa grande famiglia, diventavano anche un po’ genitori così come anche i
cugini erano un po’ come fratelli.
Tornando al loggiato di cui dicevo esso era posto a nord al piano superiore della casa, molto malandata, in
cui abitavamo: su quel piano erano situate anche le sei stanze da letto ed un più grande ambiente con
camino, nato certo come salone, che ricordo unicamente utilizzato quale luogo di stesura ed essiccamento
del grano.
Il loggiato era anch'esso un luogo poco frequentato a cui si accedeva da una porta che era sempre chiusa
posta sul fondo di un corridoio su cui si affacciavano alcune delle stanze da letto.
Questo loggiato, nel tempo, era finito per diventare una sorta di deposito con un poco di cose sparse quasi
dimenticate e qualche filo teso per la biancheria: unico raro utilizzo di questo spazio che io ricordo come
una delle parti più belle di quella casa e certo esempio non frequente di una architettura caratteristica, se
pur rara, della zona.
Purtroppo quando la mia famiglia, a mezzadria su quel fondo, ha lasciato il podere, quella casa, per le sue
pessime condizioni, fu abbattuta.
In quel loggiato qualche volta andavamo noi bambini, cugini e cugine, a giocare.
Io trovavo quello spazio straordinariamente bello e lì mi trovavo completamente a mio agio, era un luogo
protetto dal quale si poteva godere degli spazi immensi della pianura su cui si affacciava.
11
introduzione
Di fronte ad esso, oltre la strada, si apriva il grande cortile di una caratteristica casa che si affacciava su
di esso su tre lati, casa in cui risiedevano diverse famiglie con altri nostri compagni di giochi.
In quel loggiato, nelle giornate buie e tempestose, io sovente mi rifugiavo per godere, ben riparato, della
bellezza di quei cieli cupi e minacciosi affascinato da lampi e tuoni e dagli incredibili giochi delle nuvole.
Nelle giornate più limpide e pulite, allora non infrequenti, ero poi incantato dalla apparizione delle più
vicine montagne Veneto-Trentine.
Erano lontanissime eppure mi sembravano facilmente raggiungibili, le ricordo sovente con le cime
imbiancate e non era difficile gioire di quelle visioni viaggiando con il cuore e con la fantasia.
Nessuno però, anche tra miei compagni di gioco, frequentava volentieri quel luogo che quindi finì per
diventare uno spazio in cui io mi rifugiavo sicuro di potervi restare indisturbato a giocare e fantasticare in
solitudine.
Era diventato per me una sorta di spazio protetto, a nessuno veniva alla mente di venirmi a cercare in quel
posto e grazie a questo in quel luogo io riuscivo a rilassarmi in modo molto profondo : era proprio questo
desiderio e bisogno di grande ed intima tranquillità che, di tanto in tanto, mi portava là.
Probabilmente è stato grazie a questi momenti di forte rilassamento che quegli episodi hanno potuto
lentamente riaffiorare.
Ho infatti appreso solo recentemente che una delle principali tecniche per la regressione vigile è appunto il
rilassamento.
Continuo ora la presentazione più vera di queste pagine.
Quei “ricordi” dopo un lungo ed eterno tempo finalmente riuscivo a condividerli con altri, finalmente riuscivo a
trarli fuori da quell'oblio cui li avevo volutamente ma anche necessariamente tenuti, un oblio che è stato una forzata
e dolorosa repressione divenuta infine insopportabile. Sono episodi che, dopo lo sbalordimento, l'incomprensione e
la paura, infine mi davano la certezza sia della continuazione della vita dopo la morte che della possibilità della
reincarnazione.
A questi “ricordi” della mia prima e primissima infanzia si sono poi sommate altre più tarde “esperienze”, alcune
estremamente particolari, che non potevano non aumentare e rendere doveroso il bisogno di capire.
In occasione del citato Congresso della Speranza mi rivolsi alle persone cui poi ho indirizzato quella lettera al fine
che mi potessero indicare qualcuno, persona od ente, che per compito o professione fosse interessato ad un serio
approfondimento, tecnico-scientifico in particolare, di tali episodi ma il tentativo fu senza risultato.
Dietro però a quella speranza e desiderio in realtà già allora si nascondeva un ben più profondo e dirompente
bisogno che poco dopo mi diverrà insopprimibile : grazie agli insegnamenti Cattolici ricevuti la figura di Gesù era
per me figura centrale da cui non riuscivo a staccarmi ma, per ciò che Egli secondo la Cristianità aveva detto ed
insegnato, io mi sentivo da Lui “negato”.
Questo fatto lentamente si è a me aperto fino a diventare dirompente: la figura che io vedevo come faro
irrinunciabile, quella cui sempre mie ero rivolto e cui continuavo a rivolgermi ed aggrapparmi, “mi negava” !.
Io sapevo di essermi reincarnato e non potevo accettare che quella figura negasse invece ciò che io avevo vissuto
così negando anche me stesso.
Tutto questo, sempre a me stesso nascosto grazie ad un cercato e voluto sostanziale oblio di quelle esperienze e
ricordi, nel momento in cui avevo deciso di - ripensare ad essi- diveniva sempre più insopprimibile e necessario di
soluzione. Quell'oblio è stato cercato e voluto ma, dicevo prima, anche necessario ed obbligato: io ho sempre avuto
paura di parlare di quelle mie esperienze, ho sempre pensato che il proclamare quelle esperienze avrebbe potuto
sconvolgere la mia vita.
Dopo oltre un anno da quelle lettere del febbraio 2001 nulla era avvenuto, in qualche altro contatto avuto mi veniva
proposto una regressione che però non ho mai voluto fare.
Non mi interessava scoprire chi potessi essere stato, quale altra vita averi potuto avere vissuto: tutto era passato ed io
ora ero l'oggi ed il futuro che avevo davanti.
Nulla mi poteva dare l'aggiungere qualche altro ricordo e non mi servivano altre certezze su ciò che avevo vissuto.
È così che mi è stato necessario ed indifferibile lavorare autonomamente all'approfondimento di quanto avevo
vissuto e soprattutto a cercare una soluzione a quel lacerante conflitto che vivevo con il Gesù proposto dalla
Cristianità.
Un lunghissimo tempo mi è stato necessario a tutto ciò: gli argomenti non sono facili e le riflessioni lunghe e
complesse poiché non libere: gli insegnamenti ricevuti sono, con parole bibliche, lacci, gabbie e prigioni da cui non
è facile uscire.
Non è stato facile arrivare a vedere il Gesù “diverso”, non lo è stato per me che pur non avevo ricevuto che una
blanda e ormai lontana catechesi parrocchiale ma non lo è per nessuno: l'uomo occidentale ha respirato e si è
formato, anche quando pensa che così non sia, con la cristiano paolina visione della vita.
12
introduzione
Sarà difficilissimo vedere quel Gesù per chi poi si sia particolarmente “in-formato” e “vestito” di quegli
insegnamenti.
Sono serviti molti anni e non è stato facile il vedere come Vangeli e Scritture si aprano ad una lettura pienamente
razionale, una razionalità a me imprescindibile e certamente mancante alle letture in cui nascono quei canonici
“vestiti-interpretazioni-comprensioni” di cui sopra. Ma, infine, quella razionalità sono riuscito a vederle e grazie ad
essa il mio rapporto con Gesù si è appianato completamente: Gesù, vedrò, credeva nella reincarnazione. Già proprio
così e le sue parole su questo argomento sono anche chiare una volta viste.
Il Gesù che io ho infine trovato non è evidentemente quello che Paolo ha consegnato alla “sua” Cristianità : è un
Gesù “diverso” che annuncia un “vangelo diverso". Un “Gesù diverso” che Paolo negherà assieme a quell'<..altro e
diverso vangelo..> che insegnavano quei Super-Grandi Apostoli ed altri seguaci di Gesù che Paolo combatterà e
addirittura "maledirà-anatemizzerà", come ci testimoniano le sue lettere ed in particolare la 2Cor 11.4, con le parole
già ricordate in seconda pagina, ma anche in Galati 1.6-12:
< .. è un Gesù “diverso”... è un “altro” vangelo (quello che predicano) ... quei SuperApostoli ... >(2 Corinzi 11.4 )
<.. Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo (da me ndr) passiate ad un
altro vangelo. In realtà, però, non ce n'è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il
vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che
vi abbiamo predicato, sia anatema! L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso
da quello che avete ricevuto, sia anatema!... Vi dichiaro...che il vangelo da me annunziato... io ..non l'ho imparato
da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo...>(Gal 1.6-12)
Un Gesù "filosofo" ed un "annuncio-vangelo filosofico", ci fa intendere ancora Paolo con le sue parole di Col 2.8 :
<..badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia... ispirata alla tradizione..>. Un avvertimento verosimilmente
portato anche qui contro gli insegnamenti sul Gesù "diverso" che erano fatti da dei veri apostoli, i "SuperApostoli"di
cui a 2Corinzi, ovvero da altri inviati da Gerusalemme che assieme a quel “diverso” Gesù insegnavano un vangeloannuncio, vedremo infine, dal carattere "filosofico, giudaico-enochico-ellenico".
Tornando ai “ricordi ed eventi” di cui dicevo vorrei precisare che purtroppo, nonostante il mio grande sforzo per
tentare di riportare le emozioni che ho vissuto, non sono riuscito nemmeno lontanamente a descrivere quanto
volevo: ciò che ho provato è stato emotivamente straordinariamente più forte ed intenso di quanto queste righe, certo
anche per mia incapacità ma non solo, riescono a trasmettere.
Preciso che al fine di potere riportare a fondo e con maggiore fedeltà e completezza gli episodi legati alla mia
primissima infanzia, ho dovuto in certo senso “riviverli” e questa è una operazione non facile, serve tempo e una
sorta di isolamento non facili da creare all'interno dei ritmi e necessità di una normale vita familiare, ma soprattutto
è operazione difficile per ciò che si prova: si rivivono le emozioni a quel tempo vissute con giganteschi dolori,
paure, angosce e quant'altro, veramente nel mio caso tutto doloroso e di difficile sopportazione.
Non è stato facile ma sono riuscito ed per questo che quei ricordi sono scritti in buona parte al presente: mentre li
rivivevo e ricordavo li ho, al presente appunto, riportati.
Ma anche devo dire che io sono particolarmente negato alla scrittura, sempre troppo sintetico fin al limite della
incomprensibilità della esposizione ed a questo si aggiunge il fatto che i temi che toccherò sono particolarmente
difficili : quasi ogni parola io avrei dovuto valutare e vagliare e sono certo di non essere riuscito a farlo.
Chiedo quindi a chi leggerà venia e pazienza.
Infine devo dire che la divisione attuale in “ricordi ed eventi” degli episodi che riporterò a fine testo vuole, nelle mie
intenzioni, unicamente riflettere un possibile se pur non certo primario e secondario ordine di importanza degli
stessi.
Da ultimo: gli episodi da me almeno inizialmente visti quali più importanti, quelli riportati nella sezione “Ricordi”,
episodi che io ricordo in modo molto disgiunto e casuale, sono da me esposti in quello che mi sembra di potere dire
sia l’ordine temporale in cui si sono verificati.
Buona lettura.
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14
prima parte
PRIMA PARTE
LE PRIME RIFLESSIONI
IL CAMMINO NON-CAMMINO
Quale premessa a ciò cui mi accingo, vorrei chiedere scusa a chi leggerà per le incongruità, le ovvietà e le ripetizioni
in cui certamente incorrerò.
A partire da questo primo capitolo dirò di quella sorta di cammino, forse ancora incompiuto sebbene iniziato molti
anni fa, che ho intrapreso quando sono riuscito a maturare una più “decisa volontà” di capire, spiegare e
razionalizzare quanto mi era capitato di ricordare. Volontà decisa che però non ha trovato, forse per fortuna, una
grande disponibilità di tempo al suo servizio come i quasi venti anni impiegati per questi scritti stanno a
testimoniare.
L’analisi e l’approfondimento delle domande a me nate con gli episodi messi qui nella "Ultima Parte", analisi cui mi
accingo ripercorrendo quel cammino, finirà col toccare argomenti che sfiorano discipline importanti e nobili quali la
filosofia e la teologia sulle quali non ho specifica preparazione e spero pertanto di essere in questo perdonato.
Certo è singolare che io ora mi accinga a toccare queste scienze dopo che ho fatto molto per evitare che mio figlio
studiasse filosofia, cosa che egli ha fatto abbandonando quegli studi, ma spero non per il mio palese scetticismo,
dopo il primo anno di università. La mia insistenza nello sconsigliargli questo indirizzo non era dovuta al fatto che
io non ritenessi importante questo esercizio a cui ancora come sempre riconosco buona rilevanza.
Essa era dovuta principalmente al fatto che io ritenevo, ed ancora ritengo, che una vita comunemente faticata e
vissuta sia una ottima scuola per chi voglia apprendere, forse migliore di tanti approfondimenti dottrinali spesso
troppo slegati dalla realtà.
Devo confessare a questo proposito di avere letto con molto sollievo, nelle letture che hanno accompagnato queste
mie righe, quanto afferma Marco Vannini in un suo scritto e cioè che :
< la filosofia, nel senso forte, classico, della parola non è professione, lettura di libri
e scrittura di libri che parlano di libri ma è “vita”>.
Naturalmente in quelle parole ho voluto trovare un fermo sostegno a quella mia idea senza cercare di considerarne le
possibili confutazioni. Solo alla fine di questi scritti potrò vedere, per quella "filosofia-scienza di vita", un
importantissimo ed originario suo aspetto che si aggiunge a quella affermazione.
Vi è un’altra considerazione che si deve fare riguardo agli scritti che trattano questo genere di argomenti e quindi
anche questo: mi ha sempre fatto pensare e riflettere il fatto che scuole filosofiche e maestri molto importanti del
nostro passato, lontano e recente, ritenevano sbagliato o comunque non opportuno e certamente superfluo, mettere
per iscritto i propri insegnamenti.
Penso, tra questi, a Socrate che nulla ha scritto e a Plotino che solo dopo molti anni ed insistenze decise di
acconsentire a che un suo discepolo mettesse per iscritto le sue lezioni, penso a quella scuola filosofica di
Alessandria d’Egitto a cui apparteneva Ammonio, maestro di Plotino, scuola della quale non ci è pervenuto
praticamente nulla, certamente per lo stesso motivo.
Ma anche molto tempo prima per molti maestri di tutto il mondo antico questo per noi così strano pensiero era una
verità riconosciuta ed osservata:
- era così per i sacerdoti Egizi che consegnavano solo ai morti, con quei papiri che oggi chiamiamo appunto “Libro
dei morti”, le loro Verità più profonde,
- era così per i sacerdoti o saggi Sumeri che nel 1500 aC scrivevano:
< E' questa una dottrina segreta: non se ne dovrà parlare che fra competenti >
( Epopea classica di Gilgamesch)
- nel 500 aC anche Platone nel Fedro insegnava che :
< si possono scrivere Verità soltanto per coloro che già sanno >
- ma in precedenza anche i tanti “culti misterici”, orfici e non solo, attestavano questa convinzione e Verità,
“mistero” infatti anche etimologicamente è “cosa segreta”.
Strano pensiero e convinzione questa per noi oggi ed anche per me che però, non riuscendo a rigettarlo, non ho
potuto fare a meno di cercare di comprendere da cosa esso nasceva .
Mi era difficile comprendere a fondo le motivazioni di tali posizioni, i cammini interiori certo sono sempre molto
individuali ed anche spesso poco condizionabili ma stentavo ad accettare il fatto che a nulla serva la conoscenza di
altrui esperienze e delle altrui verità.
15
prima parte
Le poche cose lette sulle possibili motivazioni di questi importanti ed inconfutabili atteggiamenti e convinzioni non
mi hanno mai soddisfatto e solo avanti nel tempo tenterò una riflessione, nel frattempo maturatami e riportata più
oltre, che può aprire e far comprendere tutto ciò.
Tornando ai maestri, pensavo anche e soprattutto a Gesù, primo fra tutti, maestro straordinario figlio di Dio come
tutti noi, come egli stesso ci ha ricordato, che nulla ha voluto scrivere. E non solo Egli non ha voluto scrivere nulla,
ma le Verità che annunciava alle genti erano spesso celate in “parabole” non sempre chiare, che spesso concludeva
seccamente e sbrigativamente con quel Suo < chi ha orecchie per intendere intenda >.
Anche questo è, peraltro, un importante e nel mondo antico generalizzato modo di esprimersi che non è altro che il
mantenere fede alle convinzioni di cui ho appena detto: la letteratura mitologica, letteratura sapienziale ben poco
ancora oggi compresa, ed anche la Torah ebraica, ne sono esempi chiari.
Ma in “parabole” ci viene detto parlava anche Socrate:
< (Socrate) ha sempre l'aria di dire le stesse cose con le stesse parole, cosicché ogni uomo ignorante e sciocco si
prenderà gioco dei suoi discorsi. Ma se qualcuno li vede aperti e si spinge dentro di loro, troverà che essi
soli...hanno..un senso e ...che sono i più divini di tutti..>( Platone, Simposio 221, 222)
E ricordando quel < chi ha orecchie per intendere intenda > di Gesù come non chiedersi poi se i “maestri” che oggi
affermano di “capire” abbiano veramente “orecchie per intendere” : in merito, devo dire, nutrivo molti dubbi.
Dubbi che più avanti sono divenuti vero allarme nel leggere che “alcuni Super Apostoli” predicavano un Gesù
“diverso” da quello che Paolo e la Cristianità ci hanno fatto conoscere:
< ..(è) un Gesù diverso ..
un altro vangelo (quello che predicano).. quei Super Apostoli ..> (2 Cor 11.4)
Niente e nessuno oggi spiega quale fosse questo Gesù “diverso” e nemmeno dice il perché è giusto credere in quello
insegnato da Paolo: nessuna analisi, nessun approfondimento e niente, degli scritti di Paolo, è oggi messo in
discussione.
Un 'allarme che si trasformerà in brividi impressionanti quando sono arrivato a leggere che Pietro, nella seconda
delle due sole lettere, ha ritenuto di doverci mettere in guardia sul contenuto degli insegnamenti di Paolo dicendo:
< In esse (lettere di Paolo) ci sono alcune cose difficili da comprendere …
(che se) travisate ..(portano alla) ...propria rovina. Voi dunque..preavvisati, state in guardia.. > (2Pt 16,17)
Ed assieme a tutto ciò imponente restava il fatto che Gesù sopratutto esortava a “cercare” perché : <..chi cerca
trova.. (e) a chi ha sarà dato..>(Mt 7.8; 13.12).
La Sua apparentemente nascosta enunciazione di Verità che solo a chi < ha orecchie > potranno arrivare,
presuppone la convinzione da parte di Gesù che la loro formulazione sia ai più quantomeno inutile il che, nella
sostanza, è quanto diceva Platone nel citato testo.
Il solo modo che Gesù ha indicato per arrivare ad “avere” Verità è quello di “cercare” con una ricerca che -perciònon può che essere “personale ed interiore”, non può che essere quello "svelamento o non-nascondimento" di cui
prima di lui diceva la tradizione e cultura della antica Grecia dove Verità è Aletheia, a-letheia, non-ascosità. Un nonnascondimento a noi stessi che è "conoscere se stessi" e al contempo vedere una Verità che va oltre.
Nel Vangelo di Giuda Didimo Tommaso Gesù così ammonisce:
<...Quando...vi conoscerete...saprete che siete .. figli del Padre Vivente.
Ma se non conoscete voi stessi, allora restate poveri e siete la povertà stessa ! >
(vangelo di G.D.Tommaso l.3)
E questo non è che ciò che ricordava anche la scritta del frontone di ingresso al tempio di Apollo a Delfi: essa
ammoniva chi andava per cercare Dio, il Vero, la Verità, con la celebre frase:
< Conosci te stesso >.
Ora, con la premessa che vorrei che gli approfondimenti che andremo a fare fossero considerati da chi legge
unicamente come spunti di riflessione per la “sua personale” ricerca, ciò che nascerà in queste riflessioni, assoluta
Verità ormai per me, ciò cui mi porterà il “filo a piombo” delle Sue parole, è una figura di Gesù lontanissima,
antitetica a quella del Gesù che insegnano Paolo e la odierna, sua, Cristianità. Si svela infatti:
un Gesù “uomo”
– che si è portato alla “condizione biblica” di Figlio di Dio,
– che nessuna “chiesa” voleva fare nascere,
– che nessuna “nuova legge” ha voluto dare e che solo ha cercato di far capire Torah e Profeti,
– che ha invitato ad una “resurrezione-rinascita” in vita,
– che credeva nella reincarnazione pur dicendo che essa può nascere in modo sbagliato,
– che non annuncia una “resurrezione finale dei corpi” ma il raggiungimento, da parte di una umanità
caduta-dimentica, della sua “finale, ed iniziale, condizione di gloria-luminosità e pace”:
il “Regno in Terra”.
16
prima parte
La dirompente forza di ricordi ed esperienze da cui ero stato toccato, come detto sempre più mi ha imposto quella
“ricerca” e quell’approfondimento delle problematiche che in me esse avevano “violentemente” aperto ma che io
sempre avevo evitato un po’ per mantenere fede alla promessa fatta a mia moglie ed anche, come dicevo, perché non
avevo molta voglia e forse avevo anche paura di prenderli in esame.
Alla perplessità sugli effettivi insegnamenti di Gesù, figura dalla quale non riuscivo a staccarmi, si affiancava poi
anche il bisogno e desiderio di verificare i segni di quella presenza storica, presenza che forse un poco di sana
prudenza, ma certo anche quella grande perplessità, non mi faceva dare per scontata.
Quando finalmente sono riuscito ad affrontare tutto ciò, con la speranza di riuscire a rispondere almeno in parte ai
tanti interrogativi che mi ponevo ho iniziato, quasi inconsapevolmente, una sorta di “cammino”.
Un “cammino” che finirà per svelarsi quale “ritorno” ed assumerà infine anche l'aspetto di “non cammino”: quella
parola infatti, “cammino”, che evoca un “io” che “si” porta a nuovi “traguardi e mete” si rivelerà inesatta,
fuorviante e non appropriata.
Dovrò vedere infine che una “illusione”, l'”io” che l'uomo si costruisce, non può “camminare” e quindi solo “non
cammino” può essere quella sorta di “ritorno” che solo si rivelerà una “fine”: la “fine della illusione”.
LA TERRA SANTA
Un primo passo di quel cammino è certamente stato un viaggio in Terra Santa fatto in uno dei pochi momenti di
relativa tranquillità di quelle aree. Fu uno dei primi viaggi all’estero da me compiuti ed il primo, e ad oggi ancora
unico, effettuato oltre che con mia moglie anche con mio figlio allora non ancora maggiorenne.
E stato un viaggio molto bello, fatto con l’accompagnamento di un giovane sacerdote dell’ordine dei Paolini,
persona di grande e profonda fede, straordinario predicatore e con grandi doti di comunicazione, oltre che ottima
guida. Alcuni suoi punti di vista non mi vedevano molto in accordo ma per il suo grande impegno ed anche per le
sfortunate vicissitudini della sua famiglia, emigrata con scarsa fortuna in Argentina, l’ho sempre ricordato con
grande affetto.
Con questo viaggio, che da molto tempo desideravo fare, volevo toccare con mano e vedere da vicino i luoghi e le
testimonianze di una vicenda, quella di Gesù , sulla quale, come dicevo, il mio carattere sempre dubbioso e scettico,
mi faceva porre un po’ di dubbi.
Mi colpì la numerosa presenza di testimonianze fisiche risalenti ai primi secoli dopo Cristo ed attestanti una fede che
sicuramente ha interessato una vasta parte della popolazione fin dai primissimi anni dopo la sua morte.
E’ stato questo a convincermi che un tale movimento, così precisamente legato a tanti luoghi diversi, non poteva
nascere solo da una leggenda, ed in questo ho voluto vedere la prova che Gesù ha in quei luoghi realmente vissuto.
Oltre a questo, che era ciò che intimamente cercavo, rimasi colpito e amareggiato nel trovare tante diverse Chiese,
tutte rifacentesi alla figura di Gesù, ma così terribilmente divise e reciprocamente diffidenti se non ostili.
Apro qui una parentesi per sottolineare alcune mie impressioni e riflessioni su questo viaggio.
Anzitutto vorrei dire che sono stato molto felicemente colpito dalla presenza di non pochi mussulmani che
pregavano in luoghi sacri legati a Gesù ed alla Madonna.
Queste presenze mi hanno veramente riempito il cuore, ero felice di essere assieme a queste altre persone,
professanti una religione a me estranea ma in nulla diverse da me, a pregare sotto lo stesso tetto e così mi
sono pentito di non avere fatto la stessa cosa in quelle poche visite a moschee che avevo avuto modo di
fare.
In seguito a questi incontri chiesi, al sacerdote che ci accompagnava, cosa stesse aspettando la Chiesa
Cattolica per concludere quel cammino ecumenico di cui di tanto in tanto sentivo parlare o leggevo sugli
organi di informazione e che, tra l’altro, io avevo recepito come percorso di avvicinamento fra tutte le
religioni e non solo tra Chiese Cristiane come invece è.
Mi sembrava che fosse già tanto tardi, che le genti avessero bisogno urgente di questa unione ben più
profonda e vasta di quella che invece si tentava di fare, ma la risposta che ricevetti giustificava
sostanzialmente un cammino che, a suo dire, non poteva che essere lento e parziale, in quanto, mi disse, vi
erano molti problemi da risolvere.
Quali problemi potevano e possono fermare l’obiettivo della unione fra le genti?
Non capii e mi rammaricai molto.
Ed ancora più oggi, non capisco, e le considerazioni e le domande che sorgono sono tante, prima fra tutte
poi quella sul perché la unificazione debba riguardare solo i cristiani.
Bisogna purtroppo constatare che quei pochi tentativi fatti in direzione di una vera ed universale unione fra
le genti, fra gli esseri umani tutti, non hanno facile cammino.
Penso alla accoglienza riservata alla mirevole opera, che in questa direzione cercava di andare, del
teologo cattolico Jacques Dupuis, messo per questo suo scritto sotto processo da una Santa Inquisizione
che, per fortuna, non può più inviare al rogo fisico.
17
prima parte
Mi viene alla mente una nota di Mario Pincherle che ricorda come “separare, dividere”, sia in greco
“diabalein” ovvero “diabolico” da cui ne scende un “diavolo” come “separatore e divisore”.
In questa ottica si potrebbe affermare che l’opera di separazione fra le genti che le religioni tutte
inevitabilmente favoriscono sia opera diabolica ?.
Di certo non è accettabile che ciò che pretende di “legare” l’uomo al Divino in pratica non faccia che
“dividere” l’uomo dall’uomo.
Opera diabolica che non è certamente quella delle figure mostruose che questo vocabolo oggi suscita, con
corna, coda e forchettone, ma è quella, secondo l’origine etimologica di quel termine, della
“separazione” .
Opera quindi che aiuta quella spinta e tendenza alla “separazione” che la materia “per natura”implica
con la sua fisica divisione : spinta e forza solo “terrena”, dell'unico luogo della “materia”, dell'unico
luogo in cui appunto il “separare-diabalein”, o diavolo, si sviluppa ed agisce.
E mi viene alla mente quella severa frase di Gesù che chiede “..chi ha fatto di me un separatore!?”
(vangelo di G.D.Tommaso l.72 e Lc 12.14)
Mi confortano in questa mia considerazione le parole che, quasi alla fine di queste mie righe, ho trovato in
“Mistica e Filosofia” di Marco Vannini e che dicono:
<..il Cristianesimo e la chiesa hanno riproposto in pieno la positività del giudaismo: i libri sacri, i riti, la
morale, la divisione …e così si presenta davvero come cattiva novella. >.
Torno a me per dire che quel desiderio, quella aspirazione e speranza di potere pregare assieme a tutte le
genti, sotto lo stesso tetto, in modo indistinto, mi è tornata prepotentemente alla mente ed al cuore in
occasione di una visita, alcuni anni più tardi, alla Mezquita di Cordova.
Confesso di avere sognato ed ardentemente desiderato, che questa straordinaria e monumentale opera
dagli spazi immensi che era nata come Moschea ed oggi è Cattedrale Cattolica ma che nel tempo sembra
abbia già visto le due religioni sotto lo stesso tetto, potesse diventare un esempio di edificio destinato al
culto per “ tutte” le genti e le fedi.
E lo stesso ho sognato potesse essere anche per Santa Sofia in Istanbul, da me visitata alcuni anni prima.
Ripeto, sognavo e sogno, dolorosamente e col cuore gonfio per ciò che invece oggi è, di potere vedere
“tutte” le genti pregare sotto lo “stesso tetto”. Sarebbe straordinariamente bello ma, per ora, appunto un
sogno anche se, non vedendo alternative, credo che prima o poi la forza di questa prospettiva di
unificazione dell’ Assoluto certamente emergerà o almeno così io spero e prego.
Anche Gesù ci ricorda che nella Torah è scritto:
< (Jhwh :) la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti >
(Mc 11.17)
E quel giorno sarà un bellissimo giorno.
È anche per onorare il tentativo di unificazione di tutte le religioni fatto dal teologo Jacques Dupuis che in
questi scritti spesso utilizzerò il termine che lui ha suggerito di usare a tutte le religioni per dire del proprio
divino: Assoluto.
Tornando al viaggio in Terra Santa ed alla intima convinzione ricavatane circa la effettiva realtà storica della figura
di Gesù, devo poi dire del mio deciso stupore quando, molto più avanti nel tempo, venni a conoscenza del fatto che
questa importantissima figura vedeva concomitanze di tradizioni, miti, credenze e riti antichissimi, ad Egli
antecedenti e pressoché universali.
Scoprivo aspetti che chi mi aveva parlato di Gesù mi aveva sempre taciuto quasi fosse necessario che fossero
nascosti e non conosciuti.
A questo proposito devo dire che questi silenzi sono molto gravi e questa gravità coinvolge anche e forse
soprattutto quello Stato che permette, favorisce e sovvenziona un insegnamento religioso che è solo e
vero indottrinamento: parziale, di parte, a tratti falso e, così, ingannevole pur se fatto in piena buona
fede.
Credo infatti che sia necessario evidenziare, oltre che approfondire, quelle strane coincidenze che vedono
Gesù nascere da vergine come già era stato per il dio Sole Mitra Indo-persiano-mesopotamico e per
l’indiano Krishna. O anche quelle che, sempre per il dio Mitra, vede la presenza di “dodici compagni” e
la resurrezione dalla tomba dopo “tre giorni”.
Non si può anche non dire e ricordare che la nascita di Gesù, il Natale, 25 dicembre e solstizio d’inverno,
è sempre stato giorno di festeggiamenti per la nascita di tutti i vari dio Sole, il Mitra Indo-persiano, l’
Horus, egiziano, il dio Sole azteco, il babilonese Tammuz e l’Helios di Petra oltre che per Krishna,
Dionisio, Adone ed altri.
18
prima parte
Così come non si può non dire e dimenticare che anche il tema della “resurrezione finale” sembra già
visto nel culto di Mitra dove, come scrive Franz Cumont in “Fine del mondo secondo i magi
occidentali”, si riteneva che:
“quando i tempi saranno compiuti, Mitra ridiscenderà dal cielo sulla terra,
resusciterà tutti gli uomini e verserà ai buoni una bevanda meravigliosa che attribuirà loro l’immortalità,
mentre i cattivi verranno annientati dal fuoco che consumerà l’universo”.
Verità tutte che certo nuocciono alla “singolarità” del Gesù che la Cristianità vede e vuole fare vedere;
verità che lasciano intravedere una continuità ed una riproposizione di temi che non può che fare
riflettere e indurre a capire: non può che porre dei dubbi sulla bontà di quanto ci viene insegnato.
Come non vedere infatti nei “dodici” apostoli che Gesù si è affiancato il segno di una credenza che vede
il rispetto e l’omaggio per quella cosmicità-cosmogonia vista da tutto il mondo antico, dagli Egizi, dai
Mesopotamici, dagli Indo-Ari, dai Greci e dagli Inca.
Cosmicità e continuità che si notano anche nel mantenere, nelle chiese Cristiane, la direzione Est-Ovest
con l'altare rivolto ad Est, al Sole nascente.
Oltre a questi silenzi vi sono poi anche quelli che tacciono del come la Cristianità si è imposta al mondo
occidentale ovvero del come lo ha convertito e tacciono del fatto che il Vaticano e tanti altri luoghi di
culto cristiani erano luoghi deputati al culto del dio Mitra o di altre divinità: tutto è stato grazie alla
forza dei decreti e dell'esercito imperiali oltre che alle molte cristiane violenze.
Religione di Stato ed a lungo “diretta e controllata” dalla autorità Imperiale, la Cristianità è stata infatti
a partire dal 380 dC. con l'Editto di Tessalonica dell'imperatore Teodosio:
< E' nostra volontà che tutti i popoli governati dalla Nostra clemenza
debbano praticare la religione trasmessa ai Romani dal divino apostolo Pietro...dobbiamo credere
nell'unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Stabiliamo che quanti si atterranno a tale regola assumano il nome di cristiani Cattolici. Gli altri, che
giudichiamo dementi e folli, saranno bollati con l'infamia…
su di loro si abbatterà...la Nostra ostilità..>
E del diffuso culto del dio Mitra i sacerdoti Cristiani, sostituitisi a quelli del Dio Sole-Mitra, oltre ai
luoghi di culto hanno mantenuto molti rituali ed oggetti, come il copricapo vescovile, ancora oggi
“mitria” o il disco solare dell’ostia sacra.
Ed anche il nome “Papa”, di oscura provenienza sembra, come suggeriva Federico Zeri, non essere
altro che la abbreviazione di quel Pa-ter Pa-tratus capo supremo dei sacerdoti dell’antico culto Mitraico,
carica e nome passati al “nuovo capo” religioso.
Tutti silenzi che sono forse solo venialità ma che mantengono comunque il loro peso e certamente non
sono positive, moralmente, per chi morale vuole insegnare.
In quel viaggio in Terra Santa, abbiamo dormito due o tre notti nelle stanze che, a lato della chiesa della natività, i
frati mettono a disposizione dei fedeli; io mi alzavo prestissimo e, quando ancora la chiesa era chiusa al pubblico,
scendevo dalle stanze e passando dal cortile interno del convento entravo in chiesa.
Fuori era ancora buio e la chiesa, immersa nel più totale silenzio, illuminata dalla luce di poche candele con gli ori
ed i marmi che riflettevano e diffondevano queste flebili luci, era straordinariamente suggestiva.
La grande energia che in quei momenti arrivavo a percepire mi faceva pensare che tutte quelle pietre e quei marmi
avevano in sé la forza e le energie che nel tempo lì avevano lasciato i milioni di persone che in quegli spazi si
accalcavano giorno dopo giorno.
In quella mezz’ora circa di tempo riuscivo a vivere quei luoghi in modo veramente unico, tanto da pensare che mi
sarebbe piaciuto, più avanti negli anni, poterlo fare per periodi più lunghi rispetto a quei due giorni programmati in
quel viaggio.
La prima persona che entrava, alla apertura della chiesa, era sempre una anziana signora di modi gentili e dai tratti
europei, ci trovavamo, per un po’ di minuti, soli, all’interno della grotta della natività a pregare in silenzio. Un
mattino mi riprese perché ero lì seduto assorto ma con le gambe accavallate. Mi fece capire prima in inglese, che io
non conosco, e poi a gesti, che non si possono tenere le gambe accavallate in un luogo sacro; naturalmente la
accontentai ma devo dire che io stavo molto bene anche in quella posizione.
I suoi lineamenti, i suoi vestiti e quelle frasi in inglese mi fecero pensare che si trattasse di una signora vissuta in
Europa che stava passando gli ultimi anni della sua vita in quei luoghi, e ricordo che invidiai molto questa sua
possibile condizione ritenendola, in quel caso, veramente fortunata.
Prima che la chiesa venga aperta al pubblico, all’interno, seminascosti nel buio, indaffarati e sparsi qua e là, vi si
possono scorgere pochi religiosi, appartenenti ai vari ordini e chiese che vantano la proprietà di questi luoghi, intenti
a sistemare i propri altari e a fare un po’ di pulizie ed altri rituali strani.
19
prima parte
Mi rimase impresso, assieme ad altre stranezze, il modo apparentemente incomprensibile che i religiosi addetti
avevano di pulire il pavimento: notai che esso era pulito e lavato a pezzi seguendo le linee di bordo di alcune delle
pietre di pavimentazione, sono pietre molto grandi ma non capivo perché venissero seguite linee così illogiche.
Chiesi così notizie ad un gentilissimo frate con cui la sera passavamo un po’ di tempo e scoprii così che ogni
confessione religiosa può fare solo ciò che sempre nei secoli ha fatto e tutti fanno sempre e costantemente molta
attenzione, controllandosi a vicenda, affinché nessuno si permetta di fare altro, travalicando i propri diritti per
acquisirne di nuovi.
Nel caso specifico, a quei religiosi il pulire una pietra non di loro competenza sarebbe stato impedito dagli altri,
molto attenti peraltro a che ciò non capitasse, perché altrimenti avrebbero finito per vantare diritti che non avevano.
Il frate mi mise poi al corrente di tutta una serie di tristi riti, consuetudini, reciproci severi controlli e scontri, tra le
varie confessioni, ormai ben noti e riportati dagli organi di informazione, tutte cose forse umanamente comprensibili
ma certo, cristianamente, molto meno.
E come, oggi, non continuare a pensare al ”separare-diabalein” a cui prima ho accennato ?
E come allora non vedere fondate le parole che Celso alla fine del II sec.dC mise nel suo “Vero Logos”, malamente
tradotto in “Discorso vero”, al paragrafo III.10 :
< (i Cristiani) all'inizio erano pochi e tutti concordi; cresciuti di numero, e
disseminati qua e là, continuano a scindersi e a separarsi, e ciascuno vuol avere la propria fazione;
questa era, in realtà la loro aspirazione fin dall'inizio >
Ma questa dura conclusione si può e si deve oggi allargare a tutte le “religioni” monoteiste.
Comunque, al di là di questi aspetti, che io comunque trovai molto tristi, questo primo passo compiuto nel fare
questo viaggio rese ai miei occhi storicamente certa la figura di Gesù .
LA MORTE DI MIO PADRE
Dopo qualche anno è sopraggiunta, dopo una lenta malattia, la morte di mio padre. È stato un abbandono che mi ha
naturalmente segnato nonostante un certo grado di preparazione all’evento, ma in particolare sono alcuni dettagli di
episodi verificatisi nelle ultime ore della sua vita che mi hanno scosso e poi mi hanno ulteriormente spinto a
proseguire il cammino di ricerca ed approfondimento a cui accennavo.
Sono quattro episodi verificatisi nei suoi ultimi due giorni di vita, dopo una grossa crisi respiratoria purtroppo
provocata da una grande leggerezza medica che aveva causato un arresto cardiaco a cui un bravo medico aveva
posto tempestivamente ma inutilmente rimedio con alcuni interventi e con l’ausilio del defibrillatore.
Purtroppo le cose si erano ormai messe in condizioni di irrimediabilità e non potemmo fare altro che aspettare il suo
spegnimento. Sono stati due giorni in cui i momenti di lucidità si sono alternati ad altri di assenza totale e gli
episodi a cui facevo riferimento, e che non riporterò, mi hanno portato alla convinzione che sua madre gli abbia
annunciato il suo imminente trapasso e lo abbia aiutato a compierlo.
Non riporto gli episodi perché sono dei dettagli che molto difficilmente possono, se non vissuti come io ho fatto,
dare delle certezze. Certo è che io ho avuto ed ho questa certezza, pur sapendo di non poterne dare prove tangibili.
Come dicevo anche questo fatto mi ha spinto sulla strada di quegli approfondimenti che ho iniziato.
PRIME LETTURE DEI VANGELI CANONICI
Un altro passo di quel cammino cui in certo senso sono lentamente stato portato, è stata la verifica della parola e
degli insegnamenti dati da Gesù, verifica cui come primo passo mi sono dedicato, per la prima volta, con una attenta
lettura dei quattro Vangeli del Nuovo Testamento: più precisamente di una loro interessante sintesi curata dai Paolini
che mi era stata donata durante il citato viaggio in Terra Santa.
È una lettura a cui mi sono rivolto, a distanza di alcuni anni da quel viaggio, nel periodo delle vacanze perché volevo
avere il tempo di leggere con attenzione e soprattutto con continuità questi testi da me mai letti se non in modo
molto sporadico ed occasionale.
I RITORNI-REINCARNAZIONI
Volevo capire, con questa mia analisi di quegli scritti, cosa avesse detto e fatto Gesù durante la sua vita terrena,
volevo vedere quali fossero i suoi insegnamenti secondo la mia sensibilità ed il mio modo di vedere, ma in
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prima parte
particolare desideravo capire cosa egli avesse effettivamente detto con riferimento all’argomento, a me più vicino,
del possibile ritorno alla vita materiale, la reincarnazione, e più in generale sulla possibile “continuità” della vita.
Fui molto felice di non trovarvi alcuna “esplicita negazione”, da parte di Gesù, della possibilità di un ritorno in
qualche modo alla vita terrena, ma questo mio sentimento fu comunque mitigato dal fatto che, per contro, non vi
trovai neppure una Sua “esplicita affermazione” di questa possibilità. Affermazione che, nelle Sue sempre segrete
parole, solo avanti nel tempo riuscirò felicemente a vedere.
Non pochi passi, vedevo e ora vedremo, possono certo essere visti quali implicita conferma della possibilità della
reincarnazione. Cominciamo dagli ammonimenti di Gesù sul mancato riconoscimento di Elia:
< Elia è già venuto e non lo hanno riconosciuto >( Mt 17.12)
< Giovanni..egli è quell'Elia che doveva venire >(Mt 11.14)
Elia però, come più avanti mi si chiarirà e qui vederemo, nelle Scritture e quindi anche qui può e deve essere visto
quale archetipale simbolo di figura messianico profetica sganciata da ogni individualità e pertanto quelle frasi
perdono ogni ipotesi di riferimento alla “reincarnazione”. Ma non si può dire la stessa cosa per i passi che ora
vedremo cominciando da questi:
< .. dicono che tu sei uno degli antichi profeti tornato in vita > (Lc 9.19)
< dicono che sei Giovanni B., altri Geremia o uno dei Profeti..>(Mt 16.14)
In questa risposta degli apostoli a Gesù, si evidenzia un chiaro riferimento ad un “ritorno” che è “reincarnazione”:
credenza che Egli, nel prosieguo del discorso con gli apostoli, non rigetterà e non contrasterà come sarebbe stato
logico se avesse ritenuto quella prospettiva impossibile, errata o falsa.
Anche in un'altra occasione gli apostoli mettono in evidenza se non una vera “credenza nella reincarnazione”
almeno la loro “apertura di credito” verso questa prospettiva ed evento: avviene quando chiedono a Gesù a cosa sia
dovuta la “nascita in cecità” di un uomo incontrato sul loro cammino:
< Maestro, chi ha peccato, quest'uomo o i suoi genitori? >(Gv 9.2)
Ipotizzare che sia “nato cieco” per “sua” colpa è evidentemente ammettere che egli poteva essersi reincarnato !.
Anche in questa occasione Gesù non contrasta questa loro convinzione e credenza peraltro largamente diffusa nel
mondo antico e forse anche riconosciuta dai Giudei giacché, poco dopo, i Farisei che interrogavano il cieco guarito
così lo riprenderanno: < Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi? >(Gv 9.34).
Gesù invece, che ben sa tutto questo, non rimprovera e non corregge né gli apostoli né i farisei per questa loro
sottesa credenza nella reincarnazione e in questa occasione la sua risposta, normalmente vista come “negazione della
reincarnazione”, dice invece di tutt'altro. Egli dice:
< Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestino in lui le opere di Dio >(Gv 9.3)
In questa risposta non vi è alcuna “negazione generica” ed universale della reincarnazione, Gesù semplicemente
dice che “in quel caso”, per quella persona, la cecità non derivava da nessuna di quelle motivazioni, che Egli non
contesta, ma era generata e prodotta in un divino Accadere che ci sovrasta e comprende: divino Accadere che qui
doveva “servire” quella guarigione che Egli poco dopo opererà.
Qui il messaggio vero e profondo di Gesù è lo stesso che Egli, di fronte all’annuncio della sua messa a morte, diede
a Pietro con quel severo < via da me satana, tu ragioni come gli uomini >(Mt. 16.23); è insegnamento non facile
che proseguendo in queste righe forse meglio si comprenderà: è l'insegnamento della accettazione di un fisico
accadere che è “divinamente necessitato” e che l'uomo come tale deve vedere e comprendere. Solo capendo questo
si può evitare di chiedersi, erratamente e senza potersi dare risposta, per grazia di quale Dio Amore quella povera
persona è dovuta nascere e vivere in cecità.
A tutti questi passi e parole che chiaramente evocano la reincarnazione vedrò, molto più avanti nel tempo, che altri
importanti passi scritturali si devono aggiungere. Un primo passaggio da sottolineare lo si vede nella lettera di
Giacomo, la lettera del capo riconosciuto della apostolare Comunità Madre di Gerusalemme dichiarato nei vangeli
“fratello” di Gesù. Qui infatti troviamo scritto:
<..la lingua è un fuoco.. infiamma la -ruota della nostra nascita-, ed è infiammata dalla Ghenna..>(Gc 3.6)
Il letterale “ruota della nostra nascita/generazione” è generalmente ma erratamente trasposto, più che tradotto, ad
un “corso della vita” che con evidenza -cambia- la frase di Giacomo. L’originale “ruota della nostra nascita” non
può infatti non ricordare e riportare al “ciclo-ruota delle rinascite-reincarnazioni” che largamente il mondo antico,
Orfico, Greco, Pitagorico, Indo-Ario ecc., inviterà ad evitare. Non può non ricordare l’errato e da evitare ritorno a
fisiche vite che, quando erratamente e/o necessitatamente ad esse portatici, sono dolorose, espiative e, senza le
necessarie correzioni, portano poi l’uomo alla morte più definitiva, alla distruzione della Ghenna-Inferno.
La “lingua”, dice Giacomo, ovvero <..ciò che esce dalla bocca (e) che rende impuro l’uomo >(Mt.15.11) dice Gesù,
ciò che l’uomo dice e che, pur inconsapevolmente, unicamente finisce col rafforzarlo in quel suo errore che è la
caduta all’”io-materialità”, è alimentato dalla Ghenna, dalla “forza distruttrice”.
La corretta traduzione quindi, anticipando argomenti che meglio vedremo in seguito, ci dice che l’errore diabolicoseparatore, la Ghenna forza infernale, invita l’uomo, per mezzo della parola-lingua, a confermarsi in quel suo errore,
l’ “io-materialità esistente in se”, che non può che portarlo a cercare di vivere fisicamente in eterno portandosi, così,
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prima parte
ad errate reincarnazioni, ad un “ciclo-ruota” che senza correzioni non può che vedere quella “fine ultima” di cui dice
la Ghenna. Con la errata traduzione Cei, invece, la frase di Gesù diviene un “precetto per uomini”, parole che lo
lasciano nella “caduta”.
Sempre nei Vangeli, nelle parole qui di Paolo, si vede una sottesa conferma della presenza nel mondo giudaico della
credenza nella reincarnazione dove egli dice:
<..è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio..>(Eb 9.27).
Quale necessità infatti vi può essere di precisare che fisicamente si muore una sola volta, se non perché è piuttosto
diffuso anche nel mondo giudaico il pensiero che sia possibile la reincarnazione?
Ancora poi, spostandoci alle Scritture giudaiche, vuole ricordato un importante passo di Giobbe. Si può infatti
decisamente vedere richiamata la possibilità della reincarnazione, come peraltro fanno anche alcune esegesi
giudaiche, in quel "due..tre volte" di cui dice Giobbe:
< "..mi ha scampato dalla fossa e la mia vita rivede la luce". Ecco, tutto questo fa Dio, due volte, tre volte con
l'uomo, per sottrarre l'anima sua dalla fossa e illuminarla con la luce dei viventi..>(Giobbe 33.28-30).
Un “due-tre volte” che, per le citate esegesi giudaiche, sono il numero massimo di possibilità che l’uomo ha di
portarsi ad una errata "reincarnazione". Numero massimo cui segue il distruttore fuoco della Ghenna che a
quell’errato vedere e portarsi invita, dice Giobbe.
Ma tutti questi pur importanti passi e le conseguenti considerazioni non erano sufficienti al mio scopo: essi erano
passibili di altre spiegazioni ed interpretazioni, e cioè quelle seppur molto lacunose della Cristianità, e non
consentono quindi da soli di dare certezze, di essere risolutivi all'intento di conoscere il pensiero di Gesù
sull'argomento reincarnazione.
Rimasi quindi con una parziale soddisfazione legata al fatto che Gesù certamente non negava la reincarnazione e
quindi la mia esperienza.
Non conoscevo e non ero al corrente degli altri scritti quasi contemporanei a quelli che avevo letto, pensavo che i
Vangeli canonici fossero i soli testi risalenti a quelle date a nostra disposizione su quegli argomenti ed episodi.
Pensavo agli Apocrifi come a dei falsi, scritti in epoche molto tarde e chiaramente infondati, ero quindi convinto che
solo sulla interpretazione dei canonici si potesse discutere.
Però tutto ciò mi lasciava troppi spazi bui e grandi dubbi, io ero sicuro di ciò che avevo vissuto e non capivo perché
Gesù avrebbe dovuto ignorare questa parte di Verità, ma nonostante ciò non volevo e non riuscivo a svalutare questa
figura a cui io comunque continuavo ad attribuire una buona importanza.
Lasciavo così questo problema in sospeso nella speranza di trovarvi prima o poi una soluzione.
Dopo qualche anno altri approfondimenti, che nel frattempo nascevano, mi confermarono il fatto che al tempo in cui
Gesù è vissuto la credenza nella continuità della vita oltre la morte fisica e quella nella reincarnazione erano molto
diffuse un poco ovunque nel mondo ed anche in Palestina questa prospettiva e visione era, per quasi tutti gli
studiosi, ben presente.
Vuole ricordato che dal 320 aC al 175 aC la Palestina è stata dominio di Re ellenici portatori di una cultura che
parlava e diceva della possibile reincarnazione, correnti di pensiero che non mancavano anche all'interno del mondo
Romano che è poi seguito nel dominio di quelle terre.
Questi fatti mi portarono a pensare che se Gesù, sicuramente a conoscenza, forse immerso o quantomeno a contatto
con culture che credevano nella reincarnazione non l’aveva negata in modo forte, chiaro ed esplicito, evidentemente
la riteneva possibile.
Come sarebbe possibile non parlare continuamente contro una credenza così importante qualora la si ritenesse
falsa?.
E soprattutto come poteva non farlo colui che era venuto per comunicare la Verità e confutare quindi ogni falso ?.
Apprendevo poi che i primi secoli dopo la morte di Gesù vedevano più di una voce e scuola che, anche internamente
alla Chiesa e “rifacendosi al suo nome ed insegnamento”, ritenevano possibile, condividevano, predicavano o
comunque non negavano la possibilità della reincarnazione.
Solo nel Concilio di Costantinopoli del 553 dC, con Giustiniano, la Chiesa Cristiana, ormai da tempo religione
Imperiale ovvero diretta e condotta dall'imperatore romano, mise al bando questa credenza con le conseguenti
persecuzioni e roghi, nessun altro scritto poteva arrivare a noi se non quelli che erano uniformati al volere ed agli
indirizzi di “quella” chiesa.
Quella prima lettura del Nuovo Testamento, direi anche fatta con una buona dose di impegno pur se comunque
legata unicamente al mio sentire ed alla mia sensibilità oltre che alle mie capacità di comprensione e analisi, mi
faceva poi fare qualche altra riflessione. Mi chiedevo infatti perché l'unigenito figlio di Dio-Uno-con-Esso non
avesse scritto personalmente ciò che voleva comunicare, compresi quei comandamenti che l’uomo avrebbe dovuto
seguire, se questa era veramente la Sua volontà.
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prima parte
Non capivo perché un Creatore il cui desiderio e la cui volontà fosse quella di darci la Verità e soprattutto di farci
rispettare le sue Leggi, non potesse farlo in modo più chiaro e preciso.
E ancora non capivo il perché di tanta complessità visto che a Lui, ad un Dio che certamente tutto può, basterebbe
un nulla per metterci tutti nella possibilità di conoscerle entrambe, anche semplicemente consegnandocele o almeno
dandocene comunicazioni più frequenti e chiare rispetto a quelle, confuse e ormai un poco datate, di migliaia di anni
fa. Non capivo come un Creatore potesse essere, dal mio punto di vista, ingiusto al punto di lasciare milioni di
persone nella ignoranza dei sui precetti per poi decidere di punirli per i loro normali comportamenti.
Anche i temi della Teodicea mi lasciavano molto perplesso e dubbioso sulla esattezza della soluzione ufficiale data
dalla Cristianità.
Non capivo poi il perché di tanto ermetismo nelle parole di Gesù, spesso da interpretare, con evidenti enormi
possibilità di errore.
E poi che dire del continuo ripetere < chi ha orecchie per intendere intenda >; perché l’annunciazione della Verità
doveva essere diretta solo a quelli con “orecchie speciali”, solo a coloro che erano in grado di capire, questo era il
contrario di quanto io pensavo fosse venuto a fare il figlio di Dio, cioè la comunicazione “semplice e chiara” della
Verità a tutti i figli di Dio. Così dicendo egli faceva differenze importanti e troppo ingiuste, qualcuno poteva capire
ed altri no!?
Ma il tempo ha finito col dare risposta e spiegazione a tutto, una risposta pulita e razionale ed ha anche finalmente
mostrando le Sue parole sulla reincarnazione. Parole, chiare una volta con libertà capite, che i Vangeli ci hanno
riportato nei capitoli erratamente titolati "I Sadducei e la resurrezione" in Mt 22.28-32; Mc 12.23-27; Lc 20.33-37;
ma anche, vedrò infine, nelle sue Parole sul "Segno di Giona" di Mt 12.39-45 e Lc 11.29-32 e che
approfonditamente qui analizzeremo rispettivamente nella Settima e nella\ Undicesima Parte.
L' AMORE-UMILTÀ
Questo fatto della possibile diversità fra gli uomini non mi piaceva, non volevo accettarlo, non poteva un Creatore
fare differenze simili. Veniva così a meno quella “sostanziale” uguaglianza fra gli uomini in cui credevo ed in cui
continuo a credere pur dovendo ammettere le grandi differenze che chiaramente si palesano. Differenze che solo alla
fine potrò intravvedere risolte in una "diversa" e senza alcun Creatore "uguaglianza sostanziale" .
Ma sempre più si fermava la mia attenzione sul fatto che la predicazione di Gesù era unicamente indirizzata a far
esaltare ciò che in noi è “Umile Amore”.
Nei Vangeli Canonici mi sembrava infatti di non trovare altro che un grande insegnamento e raccomandazione ad
“Amare Sempre e Comunque e Tutti e Profondamente”.
Ma un altro forte insegnamento intravvedevo, seppure più nascosto rispetto a quello, ed era la grande “Umiltà” che
la vita e gli insegnamenti di Gesù suggerivano. Un suggerimento ed insegnamento che -erratamente- finivo col
considerare “conseguenza” del primo, più evidente. Solo con il vangelo di Giuda Didimo Tommaso che ho avuto
modo di leggere nella bella traduzione di Mario Pincherle e con altre letture e riflessioni, riconsideravo la relazione
tra queste due prime evidenze che nascono nei Vangeli canonici.
Esse infatti, vedremo, anziché “conseguenze” l’una dell’altra, finivano col rivelarsi insegnamenti perfettamente
“paritetici”: entrambi gli insegnamenti, Amore ed Umiltà, divenivano essi stessi figli e conseguenze, oltre che
evidenze prime, di un altro più completo, profondo e fondante insegnamento.
E, quell' Umile-Amore o Misero-Cordia che non è che quell' “Abbassati di Vento”, mal tradotto in “Poveri di
Spirito”, in cui Gesù vede i “beati” (Mt 5.3), si rivelerà lontana da ogni pietoso ed irrazionalmente commosso e
patetico rivolgersi al prossimo.
Quella “sostanziale uguaglianza” fra gli uomini in cui credevo ed in cui continuo a credere si rivelerà “unità
d'origine e di fine" che fa perdere all'uomo ogni personale essenza, ogni "essere in sé". Una unità di “essenza
dell'anima” che nascostamente vive nella “ineludibile diversità” che si vive nella esperienza umana: una “diversità”
spesso negata in nome di una “uguaglianza” che così viene male interpretata e vista e che “sostanzialmente”, ripeto,
solo è “uguaglianza-unità di origine e fine”.
La “sostanziale” uguaglianza fra gli uomini si rivelerà essere unicamente ciò <..che all’inizio era in noi, che non
muore, né si manifesta..> e che ci farà <..restare stupefatti quando lo vedremo..> (vangelo di G.D.Tommaso, l. 84),
ciò che Gesù ci raccomanda di ritrovare diventando come i bambini, invitandoci a < rendere i nostri giorni come i
sette giorni di un neonato all’origine della vita > (vangelo di G.D.Tommaso, l. 4), poiché il Regno è di < quelli
che sono come loro >(Mt 19.14).
Ed è “in e da” questa consapevolezza che nascono l'Amore e la Umiltà che Gesù insegna con le Sue parole e col Suo
comportamento.
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prima parte
LA CHIESA
Mi chiedevo poi dove trovare quella volontà di Gesù di fondare una “Chiesa universale”, le interpretazioni e gli
indizi di tale volontà lasciavano anche me parecchio dubbioso: quelle “chiavi del cielo” infatti Egli le avrebbe
consegnate ad un “Pietro” che, pochissimo tempo dopo quelle parole che sembrano di investitura e che ci sono
riportate in Mt 16.16, Egli ha gravemente incolpato ed allontanato dicendogli:
< Via da me Satana, tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini >(Mt.16.23)
Ed anche in queste altre Sue parole non si possono certo vedere conferme di tale volontà:
< Non andate fra i pagani e
non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele.> ( Mt 10.5,6)
E non possiamo poi dimenticare che, secondo ciò che ci è insegnato, Egli avrebbe dovuto affidare la costruzione di
una “organizzazione” religiosa che doveva diffondere le sue idee, a quei suoi dodici discepoli cui in molte occasioni
Egli si rivolge dicendo “perché non capite!!”.
Ancora poco prima del Suo arresto e della Sua morte, vedendo che ancora una volta essi non capivano le sue parole,
Gesù pronuncerà un esausto, disarmato e forse anche disperato
< Basta !! >(Lc 22.38)
Un < basta > che dice della Sua disperata consapevolezza che ancora le Sue parole non erano comprese dai suoi
discepoli, un “basta” che ci dice che Egli aveva ormai consumato fino all'ultima goccia quel suo desiderio di farsi
comprendere al fondo ma anche pur sempre e solo parlando “in parabole”, nascostamente.
Ma è la vita che Gesù ha vissuto che non testimoniava alcuna “volontà” di fondare organizzazioni o Chiese che Egli
anzi per certi aspetti combatte in quegli < scribi > che impartiscono l'insegnamento religioso ai suoi tempi e perciò
“chiesa” dei suoi tempi, scribi da Lui tanto condannati.
Molto giustamente poi, credo, la Chiesa oggi pone, come suoi padri, Paolo al fianco di Pietro, è infatti da Paolo,
profondo conoscitore degli organigrammi e delle regole militari, che nasce, con caratteristiche molto simili, la
struttura della Chiesa Cristiana.
Su questa materia, sulla Ekklesia, avrò modo di ritornare più avanti con argomenti che il tempo mi
mostrerà confermandomi pienamente in questi primi iniziali dubbi, domande ed impressioni.
Faccio per ora qui un breve inciso per una importante sottolineatura.
Con i rimproveri sopra citati fatti da Gesù ai discepoli una domanda sorge con evidenza: quale
affidabilità possiamo dare alle parole che “quei” discepoli ci dicono?
A me è sembrato normale, in quel lungo “cercare” cui non ho potuto sottrarmi, il non dare che
marginalissimo peso alle “parole e conclusioni degli evangelisti”.
Il solo faro del mio “cercare” nella vita di Gesù sono state le Sue parole: il “filo a piombo” delle Sue
parole, con espressione di una cara persona che più avanti incontrerò.
Ma anche quelle parole, anche quel “filo a piombo”, vuole saputo ben vedere, vuole vagliato, epurato
del troppo incerto e filtrato per isolare le parole che possono essere frutto di eventuali incomprensioni.
Ma, prima ed assieme a tutto ciò, bisogna riuscire a vedere e conoscere con precisione le parole
originali, parole che non infrequentemente nelle traduzioni sono state, per incomprensione, modificate o
corrette.
Tutto questo poi dentro alla segretezza delle parole di Gesù e dietro ai possibili altri errori dei traduttori
e copisti.
Compito non semplice certamente: se avessi visto da subito tutti questi aspetti forse non avrei iniziato a
“cercare” Gesù ma essi si sono rivelati piano piano e quel compito, alla fine, non mi è stato impossibile.
Tornando agli iniziali dubbi, domande e sensazioni, finivo al fine col vedere in un certo senso non rispondente al
precetto di Amore anche l’opera di evangelizzazione, opera che in realtà, partendo dal convincimento del possesso
della Verità, pone “sé” stessi in posizione di supremazia e conseguentemente, anziché limitarsi ad “Amare” il
prossimo, in realtà si cerca di violarlo, con-vertendolo e con-vincendolo.
E così questa apparentemente bonaria pretesa di “dare” la Verità, in realtà si traduce in una inconsapevole mancanza
di rispetto e amore vero per un “prossimo” che finisce col divenire solo lo strumento per la “propria” santità e che
resterà infine solo “altro e diverso”, in particolare se continuerà a seguire altre credenze.
A proposito di evangelizzazione Cattolica devo dire che personalmente non riesco a trovare le differenze che la
Chiesa vuole sottolineare tra questa sua opera ed il proselitismo condannato da Gesù che dice:
< Guai a voi scribi e farisei, ipocriti che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo,
lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi > (Mt. 23.15)
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prima parte
Non credo che basti il “non sentirsi” scriba o fariseo per sfuggire a questo durissimo ammonimento e noto quanto
segue in questo inciso.
La Chiesa Cattolica, che ha sempre visto nella propria opera di < incorporazione di nuovi membri alla
Chiesa > sia un'opera di evangelizzazione che di proselitismo, oggi, di fronte ai molti dubbi e critiche,
anche interni, essa distingue questi due termini precisando che lontano da essa è il < proselitismo nel
senso negativo del termine > ovvero quello effettuato con < la forza della prevaricazione > essendo la
sua opera < fatta nel rispetto delle libertà e della coscienza altrui, con carità ed assoluto riguardo alla
dignità della persona > .
Precisazioni che lasciano il problema apertissimo e che solo, come insegna Gesù con riferimento a
quanto esce dalla bocca, possono “contaminare chi così dice e scrive” .
Senza entrare nella polemica vuota ed improduttiva sui singoli termini vorrei solo fare riflettere, chi
scrive tanto nobili parole, sulle non certo poche “conversioni” che nel tempo, ed ancora oggi, sono
frutto di “necessità e bisogni materiali” che, pur soddisfatti da una certo “santa carità”, con evidenza
condizionano bene quella <..libertà e coscienza..>.
Ed in tutto ciò se pur non < forza di prevaricazione > certo “forza” troviamo e di che genere ognuno
veda; certo però una “carità” dal desiderio di con-vincimento condizionata e mossa non è più tale, perde
quel nome.
Frutto di “necessità e bisogni materiali” sono state in passato, ben sappiamo, addirittura molte
“vocazioni sacerdotali” nel Cristiano Occidente mentre oggi la abbondanza di “vocazioni” nel terzo
mondo certo pone qualche legittimo dubbio in merito.
Vorrei invece fermarmi a Gesù, alle Sue parole che “tutte” devono trovare razionalità e che dicono :
< non andate fra i pagani, rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute
della casa di Israele >(Mt 10.5)
< ..ammaestrate tutte le genti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo >(Mt 28.19)
< ..guai a voi scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra
per fare un solo proselito...>(Mt 23.15)
Ciò che si può trarre da queste parole è che Gesù ritiene che l'insegnamento di “cosa sono” il Padre il
Figlio e lo Spirito Santo sia insegnamento da dare a tutte le genti, ed è opera che non “necessita” di
alcuna organizzazione.
Ma anche Egli, che considera scribi e farisei quali “pecore perdute” di Israele ovvero coloro che non
avendo compreso la Legge si sono “ separati” e allontanati dalla Verità, di essi condanna la ricerca di
proseliti, etimologicamente di “nuovi venuti”, “nuovi appartenenti” : < nuovi membri >, con le parole
della Chiesa cattolica, alla loro “separata” condizione.
Quella opera così al fine più che vero Amore e Rispetto per un “prossimo-me stesso” la vedevo ormai soprattutto
come vero amore per “sé stessi”, eletti e prediletti incaricati di divina missione.
L'AMORE PER “SE' STESSO-IO”
Questo amore per il “sé stessi”, l'”io”, cominciavo a vederlo come principale insegnamento, forse inconsapevole,
della Chiesa Cristiana come anche, seppure con gradi diversi, dell'Ebraismo e dell'Islam come pure di molte,
conseguenti, ideologie .
Amore per “se stessi” certamente opposto a quell’amore per “tutto e tutti” che ha insegnato Gesù. Certamente non
va in altra direzione la Cristiana predicazione della resurrezione finale che pone sempre “sé stessi”, l’ “io”, centrale
al punto di dovere essere anche materialmente e fisicamente resuscitato tale e quale, o magari con qualche ritocco
migliorativo. Queste dottrine dell’ “io”, mi sembrava che non potessero fare altro che portare la gente ad agire,
consapevolmente od inconsapevolmente, unicamente per “se stessi” mentre tutto il restante non può che diventare
“altro” e “diverso”.
Mi sorgeva il dubbio che proprio nel partire da queste basi fosse la fonte prima di molte delle cose che tutti
vorremmo vedere scomparire, come la violenza, la guerra, le sopraffazioni in genere e molto altro. Con queste
considerazioni iniziavo a dubitare della bontà dell’“io”, quella sorta di identità personale che finivo poi col mettere
in piena discussione sulla base di almeno due forti considerazioni :
--- La prima era quella legata al fatto che innegabilmente l’uomo “è” ciò che gli danno la genetica, i luoghi, le
persone, gli insegnamenti, le condizioni tutte e quant’altro la vita gli affianca, “creandolo” e formandolo : un uomo
quindi che così diviene ed “è risultato” di fattori che lasciano nullo, o quasi nullo, lo spazio per l’”io”, un “io” che
in quella creazione-formazione scompare divenendo “risultato” e non “fondato”.
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prima parte
--- La seconda considerazione era quella che trovavo in Plotino e nei suoi predecessori e maestri, e cioè la
inconcepibilità di “esistenze”, e quindi anche dell’ “io”, poste “fuori” e con la possibilità di essere “altro” rispetto
all’Assoluto : chi “crede” in un Dio Assoluto non può pensare che possa esistere qualcosa fuori di Esso, sarebbe un
Dio limitato dalla presenza di qualcosa di diverso e contrapposto ad Esso: un tale Dio era inconcepibile anche per
me e certo non è Assoluto.
È stata una messa in discussione forte, non uccisione, non abbandono dell' “io” ma quei due pali grandi e forti,
razionalità indiscutibile per me, furono l'inizio di quella opera : l' “io” continuava ad avere le “proprie” cose, paesi,
case figli ecc. ma la sua voce si indeboliva.
Mi sembrava poi così di vedere apertamente incongruenti e dicotomiche le dottrine che da un lato rafforzano e
sostengono l’”io”, vera e propria “arma” poiché esso non può che tendere a sé stesso, anche bellicosamente, mentre
dall’altro predicano Amore per il prossimo.
Un tale Amore è solo una -interessata- “fratellanza”: così esso resta una vicinanza di “diversi”, resta una divisionediabalein, non la “unità” indivisibile ma la “unione” fra “altri” : l’Amore così si trasforma in “consolazione e
gratificazione del proprio io”.
Togliere l’ “io” per sostituirlo con il “tutti e tutto”, come io vedevo nell’indirizzo di Amore-Umiltà del “vero”
insegnamento di Gesù, e trovarsi così in “vera unità” con il prossimo forse è l’unico modo per Amare come Egli ci
ha suggerito : in nessun altro modo quell'insegnamento si può seguire se non “senza” la presenza dell’ “io”.
Cominciavo anche a non capire una Chiesa che, con strana umiltà, tra le sue priorità mette quella di pregare e fare
pregare per “sé stessa e per i suoi membri”, per non parlare della trionfalità e della magnificenza con cui opera:
troppo lontana anche questa, a mio avviso, dalla umiltà suggerita da Gesù.
Certo tutte vecchie considerazioni ma a me, pur non perfetto esempio di amore per il prossimo, tutto questo
sembrava soprattutto amore per “sé “.
E ancora oggi non capisco una Chiesa che nei fatti vuole e chiede l’esclusione e la “separazione-diabalein” : mi
riferisco alla sua aperta e aprioristica contrarietà all'ingresso in Europa della islamica Turchia, o al fatto che vuole e
cerca di imporre, con civili leggi, a tutti la propria morale, e ancora va nella stessa direzione il tentativo, che certo
non risolverà i suoi gravi problemi, di marchiare col timbro di “Cristiana” la civile istituzione della Unione
Europea .
A me non sembra di avere trovato in Gesù comportamenti che giustifichino tutto questo ma posso sbagliarmi e certo
dimentico, perché non li conosco, gli infiniti importanti “documenti” che la Chiesa stessa, ottima “scriba”, ha
prodotto e che certo saranno di sostegno a questi operati.
Ma constato anche che all’umilissimo e nobilissimo fine di dare unione a tutte le genti purtroppo le religioni
“organizzate” tutte oppongono resistenza, ed allora mi viene facile sperare che la profezia di Nostradamus che
sembra vedere scomparire tutte le religioni, si possa avverare presto.
Già perché il silenzio degli uomini di “religione”, di tali religioni, dei “re-ligatori”, di coloro che “legano” a “se” per
separare-dibalein dall’ “altro”, non sarebbe certo la fine della spiritualità: di quel desiderio innato che tutti hanno i rivolgersi all’ Assoluto. Desiderio e sentire innato seppure oggi spesso dimenticato e soffocato, ma ancor più
alienato, proprio a causa di “queste” religioni ed insegnamenti, desiderio e sentire che così non può che emergere
solo in pochi e rari momenti.
Desiderio innato oggi dimenticato e soffocato unicamente dalla presenza di un ”io” che è il vero insegnamento di
tutte le religioni che insegnano l' “io-creato”: insegnamento che in senso etimologico è “diabolico-divisore” ovvero
“farisaico-separatore”.
E finivo quindi per considerare attualissimi i tanti ammonimenti di Gesù rivolti a scribi e farisei :
quelle dei canonici < guai a voi scribi e farisei….>(Mt 23.15 ed altri), e quelle del recentissimo Vangelo di
G.D.Tommaso :
< Guai a voi farisei, simili a un cane che dorme nella mangiatoia dei buoi:
perché non può mangiare e non lascia mangiare i buoi > (vangelo di G.D.Tommaso log.106)
Ma un'altra importante frase di Gesù, vedrò molto avanti nel tempo, ci dice, assieme a tutti i suoi insegnamenti, del
pericolo dell' “io” :
< ..molti verranno in il nome di me dicenti: Io sono (!), e molti inganneranno..> (Mc 13.26)
Su questa traduzione interlineare Nestle-Aland e su quella Cei che invece traduce con un diversissimo, e poco
comprensibile, “Sono io” anziché “Io sono”, dirò più avanti in apertura della sesta parte.
Qui invece, sul tema dell' “io”, voglio sottolineare un altro aspetto che rende evidente come gli insegnamenti di
Gesù mettessero in guardia dall'errore dell' “io”: anche il termine stesso, “io”, è praticamente abolito dagli apostoli
che sempre parlando di se stessi useranno il “noi” in una convinta universalità e mancanza di singolarità.
Convinta universalità e mancanza di singolarità che solo al fariseo-separato Paolo, che non ha vissuto con Gesù,
come vedrò e dirò più avanti sarà assente.
26
prima parte
Dopo tutte queste considerazioni mi ritrovavo nella condizione di non potere dare valore certo ed assoluto a
null’altro che non fosse l’insegnamento dell’ Umile, senza “io”, Amore, quello non può vedere alcun “amo-io amo”.
CONGRESSO DELLA SPERANZA
Dopo qualche anno, in modo molto occasionale e non cercato, mi sono recato al Congresso della Speranza che si
tiene a Modena annualmente e che dal 2014 diviene “Oltre la vita”. Sono momenti rivolti in particolare a chi soffre
di importanti perdite: meritevolissima finalità cui si è dedicata una gentilissima signora toccata anch'essa da tristi
perdite.
Furono occasionali e non cercate le circostanze che mi portarono alla conoscenza di quell’evento di cui mai avevo
sentito parlare nonostante fosse alla sua ottava o nona edizione. Circostanze occasionali anche se pure su di esse, su
quelle tante coincidenze e fatalità che riempiono la nostra vita, si può mettere quel punto interrogativo che sul
“caso” in genere cominciavo a mettere.
Certamente non fu casuale, ma comunque da questo “caso” sempre indotta e determinata, la mia decisione di andare
a vedere come si svolgevano gli esperimenti di contatti con il mondo invisibile di cui, quella stessa sera avevo
sentito parlare. Ne sentii parlare in un servizio fatto da una emittente radio locale mentre, in macchina, cercavo un
modo per passare fuori casa la serata.
La forte curiosità mi ha spinto a pensare che quella era una buona occasione per partecipare, da spettatore, ad una di
queste esperienze. Avevo sempre sentito parlare di comunicazione medianica come di esperienze che venivano
provate o singolarmente o al massimo alla presenza di poche persone.
Nonostante la grande curiosità che avevo sempre avuto per l’argomento, non avevo mai voluto partecipare a queste
esperienze nella forma dei piccoli gruppi, a mio avviso troppo condizionabili, in questo caso invece la notizia
ricordava che questi contatti avvenivano all’interno della vasta sala congressi dell’ hotel in questione ed alla
presenza di molte persone.
Quando arrivai erano già in corso i tentativi di contatto dei sensitivi in un immenso salone, con almeno 4-500
partecipanti o forse più.
Dietro consenso restai ad ascoltare sull’ingresso del salone, una larga porta vetrata, posta a lato del palco, che non
mi consentiva di vedere il sensitivo ma mi permetteva, con discrezione, di vedere a pieno tutta la sala con i
partecipanti praticamente di fronte.
Mi resi poi conto che la posizione era in effetti straordinaria, mi permetteva di cogliere le espressioni degli
interessati al momento del contatto: quasi sempre di grande stupore, incredulità e meraviglia per la chiamata in
causa. Da posizione simile ho poi notato che vengono effettuate riprese documentarie che sono a disposizione di chi
ne voglia copia presso la promotrice Casa dell’Albero di Carpi di Modena.
Fui molto sorpreso e positivamente meravigliato per ciò che vidi ed ascoltai quella sera, tanto che mi sono recato
anche il giorno successivo alla seconda ed ultima serata della manifestazione, a cui ho assistito sempre dallo stesso
punto di osservazione.
Ho già detto che mi colpirono le espressioni dei chiamati in causa, espressioni che, nella maggior parte dei casi,
erano un misto di incredulità, di stupore e meraviglia.
Questo solo nei momenti di inizio del contatto con la persona o le persone trapassate, poi l’incalzare dei dati che
vengono forniti dal trapassato, per tramite della medium, finisce per imporre loro di alzare la mano per dichiarare la
ormai evidente chiamata in causa.
Un’altra cosa che mi colpì fu, durante la comunicazione, la evidente fatica a volte fatta nel ricordare situazioni o
oggetti o avvenimenti che il trapassato ricordava o a cui faceva riferimento, per tramite della medium, e che solo
dopo qualche insistenza venivano ricordati. Situazioni,aspetti o avvenimenti che è pertanto lecito supporre fossero
molto lontani dalla mente degli interessati, almeno in quei momenti.
L’ altra cosa che mi meravigliò fu ciò che in realtà mi auguravo intimamente di trovare.
Il primo dubbio che penso possa venire e che comunque io avevo rispetto a questo genere di esperimenti, è che in
realtà ciò che succede non sia altro che il frutto di una straordinaria capacità di percezione, da parte della medium, di
cose che, più o meno consciamente in quel momento, fanno parte del nostro patrimonio di conoscenze.
Con le proprie capacità, il medium potrebbe, forse anche in modo inconscio, riportare cose che in realtà non gli
vengono date da persone trapassate, ma che egli in qualche modo prende dallo stesso interessato.
Andai quindi a quelle serate curioso di ascoltare per rendermi conto se esse fossero proprio così completamente
confutabili o se erano ravvisabili momenti e particolari che potessero fugare questi dubbi.
27
prima parte
E ciò che cercavo avvenne, in poche occasioni, due o tre casi in tutto ora ricordo, ma sufficienti per farmi dire che il
mio dubbio poteva, seppur con qualche cautela ancora , essere fugato.
I due o tre casi in questione consistevano nella informazione, da parte della persona trapassata, di cose o fatti di cui
la persona contattata non era assolutamente al corrente, che erano da lei ignorati e sui quali la medium sempre
sollecitava una futura ricerca per verificarne la bontà ed esattezza.
Devo dire che io poi ho dato per scontato che queste informazioni fossero accertabili e vere, ma certo sarebbe
interessante averne la conferma dagli interessati che fossero riusciti a verificarne la rispondenza al vero.
Continuando comunque a dare per scontato questo dato, credo che questa possa chiamarsi “prova!” di una reale
comunicazione con una realtà a noi non visibile.
Apro qui una piccola parentesi sul fenomeno della medianità..
Purtroppo la scienza mi sembra che resti molto lontana e sorda a questi fenomeni, e quindi non so se, per
casi quali quello sopra citati ed eventualmente confermati, si possa parlare di “prova scientifica” .
Credo però che a buon titolo questi specifici episodi in particolare, e con essi poi anche il resto, possano
essere affiancati a quegli esperimenti sulla medianità che, ho letto, sono stati compiuti da un gruppo di
ricercatori della università di Tucson in Arizona ed a seguito dei quali essi hanno potuto affermare :
< I risultati della nostra ricerca non possono essere spiegati con trucchi,
errori o semplici coincidenze, dobbiamo considerare la possibilità che siano entrati in gioco altri
meccanismi. Per esempio la sopravvivenza della coscienza individuale dopo la morte >.
Forse le spiegazioni “scientifiche” non ci saranno mai possibili, ma la pura e semplice apertura ed
accettazione anche di ciò che purtroppo non sappiamo spiegare, come hanno fatto questi ricercatori,
sarebbe veramente opportuna da parte della scienza.
Gli errori delle tante chiusure e non esatti indirizzi del passato dovrebbero insegnare, ma servirà anche il
coraggio.
Un’altra considerazione che mi viene di fare sulla medianità nasce dalla constatazione che molto spesso
questo tipo di sensibilità si nota, e in un certo senso si attiva, in persone che hanno subito qualche grave
perdita. Come se questo evento traumatico aiutasse queste persone a scoprire e rendere attivo questo tipo
di facoltà , questo “sentire” pertanto a noi forse connaturato.
Oggi certamente questo remoto “sentire” dell’uomo, questa sua capacità nascosta di ascoltare questo
“vicino ed attiguo”, secondo i miei ricordi, sovrannaturale, si è un poco perso nell’uomo moderno.
Quella capacità che, nella sua espressione massima, troviamo nei veggenti di ogni epoca, negli sciamani e
nei magi di ogni parte del mondo che, con ogni probabilità, riuscivano anche a condizionare e ad incidere
sulla realtà materiale operando sul mondo immateriale.
Ed anche in questo si può vedere che questo “aldilà” a noi così “attiguo” diventa “realtà unica”, non
”sopra” non “altro” ma “in” e “con” il nostro reale materiale: “unico esistente”, “unico tutto”.
Oltre a queste “ prove” che io in fondo cercavo e che avevo a mio avviso trovato, mi ritrovai con un quadro a cui
non pensavo e che mi lasciò particolarmente sorpreso per certe possibili vicinanze e analogie con alcuni
insegnamenti religiosi, cristiani e non solo.
Cercherò di dire, molto sinteticamente, ciò che mi apparve dalle comunicazioni a cui assistetti.
Le anime, gli individui, dopo il trapasso, rimangono, per un certo periodo di tempo, legate ai luoghi in cui hanno
vissuto, rivedono la loro vita attimo per attimo e questo permette loro anche di pentirsi per le piccole o grandi offese
arrecate e di perdonare per le piccole o grandi offese ricevute.
Esse dicono apertamente che questo loro cammino di purificazione, che è anche il modo per abbandonare e
spogliarsi delle scorie terrene, cominciando quindi a morire a se stessi, all’ “io”, gli consente di innalzarsi
lentamente verso il cielo, verso altre condizioni.
Questo, loro a volte dicono, anche con l’aiuto delle nostre preghiere.
Naturalmente in questo tipo di comunicazioni, alle varie latitudini del globo, ognuno continua a pregare per ciò in
cui ha sempre creduto.
Credo quindi si possa pensare che non abbia alcuna importanza, che sia senza peso, ciò in cui credi dal punto di
vista religioso, mentre certo conterà quel contatto energetico che il tuo darti loro in quei momenti di preghiera può
attivare e produrre, e questo certamente è uguale a tutte le latitudini.
Quando i loro cari sono particolarmente angosciati per la perdita subita, o per altro, i trapassati a volte si distolgono
da questa sorta di compito o necessità, per seguirli: essi soffrono per questa condizione delle persone a loro care e
questo impedisce loro di seguire la strada che devono o desiderano fare.
28
prima parte
La maggior parte dei contatti a cui ho assistito erano infatti tesi a dare un poco di pace ai loro congiunti
particolarmente sofferenti della perdita.
Non mi dilungo oltre su questi temi che meritano certamente ben altro ma non essendo lo scopo di questo mio
scritto vorrei limitarmi a queste poche battute.
Ci fu un altro particolare che, a seguito di quelle mie partecipazioni, mi lasciò leggermente attonito ed anche
amareggiato.
Nel mio immaginario avevo sempre visto l’eventuale e possibile momento di passaggio ad altra vita come il
momento in cui, liberati dai condizionamenti della materia, finalmente ci saremmo ritrovati sostanzialmente uguali,
dati tutti in egual misura della “conoscenza” oltre che delle “stesse capacità”.
Invece vi si ritrovano le “stesse” persone, con la stessa cultura e conoscenze che avevano in vita, i più piccoli
ammettono che devono ancora imparare: i vocaboli e i modi di comporre le frasi sono gli stessi che hanno sempre
avuto in vita ed anche da questo nascono spesso, nelle persone contattate, le certezze di avere realmente comunicato
coi propri cari.
Questo continuare delle umane differenze non mi piaceva, non riuscivo a capirlo.
Oggi, oltre a vedere in questo un avvallo a quella contiguità di luoghi che la mia esperienza metteva in luce,
contiguità che qui diviene vera e propria continuità, di vita, trovo che queste informazioni siano solo la conferma del
fatto che ben lungo è il cammino che abbiamo oltre quella porta per arrivare comunque e necessariamente a quella
uguaglianza che solo può essere “unità” ed a cui solo possiamo essere destinati.
Racconto a questo riguardo della comunicazione di un giovane trapassato a cui ho assistito in quelle
occasioni.
La medium inglese e l’interprete, una ragazza svizzera, si fermarono molto a lungo nel cercare di
comunicare alla sala il termine esatto che veniva a loro dato da questo ragazzo.
La platea, ormai quasi spazientita per il prolungarsi di questa situazione, aveva suggerito termini come
“veloce, forte” ed altri ancora finché finalmente la medium accennò direttamente un “ presia” che
immediatamente fu capito e precisato da chi ascoltava : era “prescia”, termine dialettale emiliano che
significa “fretta”.
Il ragazzo parlava del momento della sua morte, avvenuta in un incidente che, voleva fare sapere, era
avvenuto senza colpe di alcuno, nemmeno del mezzo, una moto, su cui viaggiava, ma unicamente a causa
appunto del fatto che egli andava di “prescia”, di “fretta”, e quindi troppo velocemente.
E forse quel ragazzo non trovava altro termine, in quel momento, per esprimersi.
Certo non era un termine nel vocabolario di medium o interprete che solo dopo sono riuscite a capire di
cosa si trattava.
Con riferimento alla considerazione che ho fatto su quel ben lungo cammino che anche dopo il passaggio all’ altra
vita ci resta, probabilmente, da compiere, devo dire che, circa nello stesso periodo, a seguito di una mia ricerca in
internet sulla reincarnazione, mi sono imbattuto sul sito del “Cerchiofirenze77” .
Non sapevo nulla di queste esperienze ma, al primo tentativo di lettura, rinunciai perché ritenevo troppo complesso
il quadro che veniva presentato in quei documenti con riferimento al cammino che segue il trapasso.
I termini che vi trovai, nuovi e per me un poco strani, assieme ad una certa complessità di cammino e di passaggi mi
lasciavano sospettoso e diffidente.
Solo quando ormai ero avanti nella stesura di questo scritto ho parzialmente ripreso queste letture che oggi trovo
straordinariamente interessanti e che anche possono spiegare alcuni punti delle mie esperienze che altrimenti
difficilmente troverebbero soluzione.
Oggi, a ben vedere, la complessità di quel percorso e di quei passaggi, a me inizialmente così ostica, si può ridurre e
condensare in una sorta di “necessità di annullarsi, morendo al “proprio io”.
Sempre in quella edizione del Congresso partecipai, col gentile consenso della organizzatrice, ad un intervento di
padre Ulderico Magni che non conoscevo ma, un po’ per il titolo della sua conferenza, che mi sembrava interessante,
ed un po’ per vedere cosa diceva una voce della Chiesa su questi argomenti, decisi di partecipare.
Vidi con piacere la partecipazione di questo religioso, molto aperto a quanto di nuovo possono dare queste
esperienze, ma purtroppo nei mesi successivi dovevo invece sentire la voce ufficiale della chiesa che, con una nota
riportata dai telegiornali nazionali, criticava aspramente questa manifestazione che pure, per quanto io ho potuto
vedere, ha sempre messo la preghiera ed il conforto della fede in Gesù, quasi al centro del suo lavoro.
La relazione che fece questo religioso fu per me straordinariamente interessante, fui molto contento di quanto avevo
ascoltato e della personalità di questo religioso, a cui, cominciai a pensare, avrei potuto confidare le mie esperienze.
L’anno seguente partecipai alla successiva edizione della manifestazione assieme a mia moglie alla quale avevo
riportato quanto udito e visto. Partecipammo naturalmente alla serata di esperienze con la medium, serata in cui
29
prima parte
ebbi modo ancora di ascoltare interventi che non fecero che confermare le impressioni già avute e di cui ho in
precedenza parlato.
Devo però dire che fu una esperienza che ci portò anche ad una notevole angoscia : in quella sala, così piena di
persone straordinariamente sofferenti per perdite importanti, spesso figli ancora piccoli o giovani genitori, era come
se si respirasse dolore e sofferenza.
Anche padre Magni tenne una conferenza a cui partecipammo e fu dopo questo intervento che ci avvicinammo a lui
e, dopo qualche battuta, presi il coraggio a due mani ed iniziai ad accennargli le mie esperienze.
Fu in questa occasione, mentre in modo un po’ sconnesso ed impacciato accennavo sommariamente alle mie
esperienze, che istintivamente egli proferì quel
“ ma è meraviglioso”
che poi tanto mi ha aiutato nel proseguire questo lavoro. Egli ci consigliò di parlarne con alcune persone presenti al
congresso e fu così che, dopo qualche colloquio in cui venni ascoltato con normale e scontato scetticismo, ricevetti il
suggerimento di mettere per iscritto quanto avevo da dire, cosa a cui obiettivamente non avevo mai pensato.
A seguito di questo suggerimento mi convinsi della opportunità di scrivere ciò che avevo vissuto, nonostante la mia
scarsa esperienza e predisposizione alla scrittura e la mia ritrosia al comunicare questi miei ricordi.
Nacque così, nei quindici giorni successivi, la prima stesura degli episodi “esperienze vissute”: righe purtroppo
estremamente succinte ed anche poco comprensibili a cui poi, a distanza di tempo, è seguita la seconda stesura qui in
apertura di queste pagine riportata.
Da alcuni di quei primi interlocutori, ed anche da altri in seguito, ho avuto il consiglio di approfondire con una
regressione quanto mi era capitato ma come ho detto, non ho trovato che vi fosse quella scientificità che sola mi
poteva interessare.
DON FORTUNATO PROVVISORIO
Poco tempo prima di questi incontri, mi è capitato di conoscere una persona di cui ho piacere di parlare.
Stavo cercando di aiutare mia moglie in sue ricerche sull’albero genealogico e questo ci ha condotti in una
piccolissima frazione di montagna dove abbiamo trovato un parroco che ci ha allargato il cuore, nel senso classico
della espressione. Si tratta di Don Fortunato Provvisorio.
Questo lo pseudonimo con cui egli ha firmato alcuni scritti da lui pubblicati: Fortunato per avere trovato una fede
che gli riempie il cuore e Provvisorio per ricordare sempre a se e agli altri la provvisorietà della sua e nostra
esistenza, mi disse.
E’ stata una persona piena di un amore straordinario per Gesù Cristo, per Dio e per la Madonna ma molto meno ben
disposto verso la “tradizione” della Chiesa Cattolica.
La casualità, chissà se la stessa di cui già ho parlato, ha voluto che le prime parole che ci siamo scambiati abbiano
riguardato l’insegnamento dei Vangeli. Egli infatti, assieme a due suoi conoscenti, stava discutendo su questo
argomento.
Al nostro ingresso in quella povera ma viva ed accogliente canonica egli ci chiese senza perifrasi che cosa dicevano,
a nostro avviso, i Vangeli. Risposi, dopo avere detto che proprio da poco ne avevo terminato una, per me, attenta
lettura, che la mia impressione riguardo all’insegnamento ed all’invito che se ne poteva ricavare era unicamente
quello di “Amare Tutto e Tutti Indistintamente” e quello, più secondario e nascosto ma che pur vi avevo scorto, della
massima “ Umiltà di vita e di comportamento”.
Sulla seconda delle note egli preferì non soffermarsi sottolineando così la marginale importanza che a questa egli
attribuiva, mentre volle sottolineare che il primo era il vero e unico insegnamento di Gesù.
Nella stessa occasione ed in altre ancora io e mia moglie avemmo poi modo di constatare le tante sottolineature, non
proprio accondiscendenti, che egli faceva nei confronti della Chiesa.
Confesso di essermi sentito sollevato nell’apprendere che le tante perplessità ed i tanti dubbi che io cominciavo a
nutrire verso quella istituzione, erano per alcuni versi ben compresi anche all’interno di essa e, come ho avuto modo
di vedere in seguito, non solo da questa voce.
IL “FILO A PIOMBO”
Nel sottolineare quel grande insegnamento e raccomandazione di Gesù, don Fortunato metteva l'accento sul fatto
che unicamente alle parole di Gesù, solo al < filo a piombo > delle Sue parole, egli diceva, si deve ricorrere e
prestare fede, ed in particolare a suo avviso a quel “filo a piombo” doveva ricorrere e ritornare quella Chiesa che lui
vedeva ormai troppo legata e confusa da “dogmi e tradizioni teologiche ”.
30
prima parte
Quanto Don Fortunato aveva da dire con riferimento a “dogmi e tradizione” ed al mancato rispetto di quel < filo a
piombo > che sono le parole di Gesù , oltre a riferirlo ai propri superiori egli lo ha anche scritto su alcuni libri che
sono, pur nella dura polemica verso la sua comunque amata Chiesa, degli straordinari atti di amore verso Gesù,
verso la Madonna e verso i propri fratelli e sorelle in sacerdozio oltre che delle bellissime preghiere. In questi suoi
scritti, oltre a contestare apertamente molti dogmi, tradizioni e comportamenti, egli viene anche alla considerazione
ed al rimprovero alla sua Chiesa per il mancato accento da lei posto su quello che lui chiama l’ “io sociale”.
È stato questo il suo modo, sebbene non sottolineato con la stessa forza di altri argomenti, di rimarcare l’errore di
una dottrina troppo incentrata sull’ “io personale” ed è anche il suo modo di porre l’accento su quel “tutti e tutto” a
cui prima accennavo e che a me sembra tanto importante.
La sua lunga ed amorosa lotta per quella sua madre Chiesa a suo vedere troppo sorda, lo ha infine portato a dare alle
stampe il suo “Testamento Spirituale di un Parroco di campagna”, testo in cui, come estremo grido di amore e
protesta, apertamente invita i suoi amici, parenti e parrocchiani a non fare svolgere, alla sua morte, alcuna funzione
religiosa. Riporto a tale proposito la introduzione al citato libro, edito da “Il segno dei Gabrielli editori”; parole e
righe a mio avviso di straordinaria intensità, quasi un urlo impressionante e commovente ma traboccante di amore.
< Padre, donaci il Tuo Spirito! Vieni, Spirito Santo! Ave Maria !
Testamento pastorale di un parroco di campagna
Caro fratello,
Cara sorella,
Come volevasi dimostrare, “ sorella morte corporale” è arrivata anche per me.
Grazie infinite a Dio per gli anni della mia vita !
Ho detto più volte a parenti e ad amici che nel mio funerale, avrei desiderato essere “portato
direttamente” al cimitero ed essere messo in terra, senza passare dalla Chiesa, cioè senza funzione
religiosa..
Lo scrivo anche qui, in piena coscienza e nel pieno possesso delle mie modeste facoltà mentali.
Cari amici, cercate di eseguire questo mio ultimo desiderio con tutte le vostre forze…. anche se avrete
contro di voi il Vescovo e i Preti del vicinato, i quali, come chiunque, potranno pregare finché
vogliono, in privato: grazie.
Coraggio ! Non siate violenti…. Ma decisi sì ! Di lassù vi vedo e vi dico grazie !
Don Fortunato Provvisorio >
Devo testimoniare, oggi venutolo a sapere, che questo testamento è stato gravemente disatteso: la Chiesa, alla sua
morte, ha voluto fargli quella funzione religiosa che egli aveva invece così fortemente chiesto non fosse svolta.
L' ANTI-CRISTO
E ancora un altro passo di questo libro, che pur tuttavia è, ripeto, pieno di amore per la sua Chiesa, mi ha colpito e
brevemente riporto:
< Il mio tormento è fondato sul fatto che tutti, anche il papa, possiamo
essere inconsapevoli AntiCristo-Satana,
come lo fu Cefa-Pietro: “..Via da Me, Satana tu ragioni come gli uomini…” (Mt. 16.23).
….potrebbe il papa essere l’inconsapevole…..?
E allora, l’Anticristo sarebbe già a Roma? Spero di NO!!!…>
Questa ultima domanda e considerazione, grande e pesante come un macigno, che egli faceva con riferimento agli
atteggiamenti della Chiesa nei confronti delle guerre, io la allargavo ai tanti altri fatti, atteggiamenti e posizioni per
molti dei quali essa solo recentemente ha chiesto perdono, ed altro ancora.
Finivo poi, più avanti nel tempo, per allargare quella domanda alle considerazioni già fatte e ad altre che nasceranno,
sull’indirizzo della sua dottrina che nasce e si fonda, nonostante molte infine ambigue parole, sull’ “io individuale” :
per me vera antitesi dell’insegnamento di Gesù.
Ma il <..tormento..> di Don Fortunato, la possibilità che <..tutti...possiamo essere inconsapevoli AntiCristoSatana..>, era una domanda profondissima che andava ben oltre la contingenza del suo discorso sulla guerra.
Il prefisso “Anti-(Cristo)”, vedevo poi, è parimenti traducibile sia come “contro o nemico” che come “contrario o
opposto” e, nella prospettiva aperta da questo ultimo aggettivo, alla domanda di don Fortunato anch'io davo la sua
stessa pesante risposta : “Spero di No!!!”.
31
prima parte
Ma io certo cominciavo a nutrire qualche dubbio in più rispetto a don Fortunato ed il tempo, e questi
approfondimenti, mi porteranno a infine a vedere le tre religioni monoteiste quali inconsapevoli strumenti, e stessa
forza, proprio di quella archetipale “figura-forza-mentalità-visione” che è l'AntiCristo.
Don Fortunato nel suo scritto sottolineava che nelle parole di Gesù verso Pietro, Satana è visto come il modo di
<..ragionare come gli uomini..>, come una peculiarmente umana visione-comprensione-mentalità e, qui, una
considerazione, nata nella sua completezza molto avanti nel tempo, è doverosa.
Le parole “di uomo” che Pietro, al tempo in cui Gesù < cominciò a dire...che avrebbe dovuto soffrire...e venire
ucciso..>, aveva pronunciato e che avevano suscitato quella durissima reazione di Gesù sono queste:
< Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai >(Mt 16.22)
Ora, per confermare a Pietro, secondo la debolissima lettura Cristiana, la giustezza di quella Sua passione e morte, di
quel Suo compito, Gesù aveva ben altri modi di esprimersi: poteva certo, vista la sua indole, tranquillizzarlo con
pacata amorevolezza piuttosto che allontanarlo con quel terribile monito-condanna: < Via da me Satana..>
Ben altro vi è invece dietro e dentro a quelle dure parole di Gesù, Egli infatti :
“ dichiara satanico da un lato il curarsi-vedere “solo” la vita fisico-materiale e dall'altro, ma non altro, il pensare e
vedere l'uomo come esistente in sé : divisa e separata materia ed esistenza”
In quella occasione Pietro “ragionando come gli uomini”, che pensano di “essere in sé” e così “diabolicamentedividono”, è stato portato a quel tentativo di salvare l’ “individuo Gesù” quale “essere in sé” e la sua “carne” che in
quell'errore diviene “sostanza in sé”. Ma Gesù non vedeva più alcun “se stesso” : unicamente Egli vedeva un
“Tutto e Tutti” ed un “Accadere divino” che portano alla conseguente “accettazione”, straordinariamente illuminata,
di ogni seppur tragico destino. Accettazione estrema di un “Accadere” che è divino in sé: insegnamento
straordinario.
E, riflettendo su questi ultimi 2000 anni di storia, storia di guerre e distruzioni, anche in questo occidente o che
comunque lo ha visto sempre ben coinvolto, mi chiedo se non si possa ben affermare che non abbiamo mai smesso
di “ragionare come gli uomini”.
Con Don Fortunato parlammo tra le tante cose della infallibilità del Papa con riferimento alla quale egli mi disse
che, in occasione del rifacimento del tetto della canonica, aveva voluto che venisse scritto, nel cemento del cordolo
di copertura affinché potesse restare a memoria, un vecchio proverbio montanaro che recita:
“ Il Papa ed un contadino sanno più del Papa da solo! ”.
Parole importanti che mi hanno fatto riflettere soprattutto perché erano pronunciate da un religioso, questo sì, pieno
di amore per Gesù e per il prossimo. Ma purtroppo anche questa santa persona è stata assegnata ad una sperduta
parrocchia di poche centinaia di persone, per amore di Gesù.
Tornando all’Anticristo ed a Satana, sua figura, nel tempo esso sarà visto e dichiarato quale “errore” “menzogna”
“stoltezza” ecc.. Nel merito, restando ai primissimi tempi dalla morte di Gesù, è interessante notare come in quel
duro, forte e fondante contrasto che da subito sorse tra i primi suoi seguaci in merito alla natura di Gesù, Anticristimenzogneri sono definiti, nelle lettere di Giovanni, coloro che sostenevano che Gesù fosse un uomo come tutti:
<..molti Anticristi sono apparsi...usciti di mezzo a noi...menzogneri che negano che Gesù è il Cristo..>(1Gv 18.23)
Accuse che certamente questi ultimi ribaltavano a coloro che li accusavano di tanto e che in Gesù vedevano invece il
fisico Figlio di Dio.
IL GESÙ CHE NON MI NEGA
È stato solo dopo questo incontro e in modo assolutamente non connesso ad esso, che ho letto per la prima volta il
vangelo di G.D.Tommaso nella bella traduzione di Mario Pincherle, testo che, ricordo, è stato rinvenuto solo nel
1945 e tradotto solo più recentemente assieme ad altri testi con esso ritrovati e tutti conosciuti come Codici Nag
Hammadi dal luogo di ritrovamento.
Alla lettura di questo straordinario testo, che non posso non consigliare in primis, sono poi seguite quelle di altri testi
oggetto dello stesso ritrovamento ed altro ancora sulle religioni antiche ed attuali e non solo.
Dalle letture che per oggetto avevano le “religioni” o concezioni di vita che storicamente hanno preceduto il
Cristianesimo, mi è venuto il convincimento che il “sentire” ultimo dell’uomo rispetto al proprio destino ultraterreno
sia sempre stato, in quella antichità, molto forte e pregnante oltre che sostanzialmente uniforme nel tempo e nelle
civiltà.
Mi era sembrato di trovare, una volta tolto alle varie credenze il superfluo dovuto ai vari “scribi” e le specificità ed i
nomi dovuti alla varie tradizioni e culture, una sostanziale uniformità. Sono aspetti che, più avanti temporalmente ed
in questi scritti, approfondirò meglio mettendo in luce alcune costanti degli insegnamenti di fondo delle più
importanti culture religiose a mio avviso molto interessanti.
32
prima parte
In quelle prime poche letture, comunque, certamente si evidenziava come grande costante di tutte le antiche civiltà
una ferma e forte credenza rispetto al “proseguimento della vita nell’aldilà”. Sempre nel mondo antico, salvo poche
eccezioni, si trova una unitaria e ferma credenza nella continuità della vita e soprattutto si trova un “aldilà” sempre
molto “vivo e presente”.
Sempre poi, salvo poche eccezioni, le certezze sulla continuità della vita si collegano “anche” alla credenza nella
reincarnazione, credenza che a volte troviamo solo non bene evidenziata.
Purtroppo devo dire che questa “viva presenza” dell’aldilà, ovunque diffusa nel mondo antico, questa fiducia e
certezza nel proseguimento della vita, questo vedere la morte come passaggio ad altro luogo, semplice varco di una
soglia, mi sembra si possa dire si sia persa, non ben trasmessa né ascoltata, nella Cristianità.
Questa “viva presenza” non è limitata al mondo antico, essa è ancora oggi come sappiamo molto sentita ed ascoltata
nell’ Induismo ma anche in quasi tutta l’ Africa ed in America latina in quei luoghi in cui le culture tradizionali
hanno resistito alle imposizioni ed agli stravolgimenti del Cristianesimo.
Anche l’Occidente cristiano ha a lungo mantenuto questo “sentire l’aldilà” ma oggi, in particolare in Europa ed in
America del nord, esso si è generalmente perso.
È una grande mancanza questa, non quella delle ciarlatanerie, delle falsità o delle paure inconnotate ma
quella dell’ “intimo sentire, vivo e presente”, di questa altra ma non altra dimensione.
Questo mancato ascolto, questo allontanamento da tradizioni che “vedevano” in qualche modo la
continuità “reale” della vita, penso che sia solo il frutto di un insegnamento, Cristiano ma non solo,
quasi esclusivamente incentrato sull’”io” e conseguentemente, nonostante le parole, sull’oggi e sul
materiale “in sè”.
È un insegnamento che ha prodotto e generato, a mio avviso e seppure inconsapevolmente, quel
“materialismo”, tutto incentrato sull’oggi appunto e sulla materialità, che tanto oggi pregna proprio il
Cristiano Occidente.
Negli insegnamenti Cristiani, a mio vedere, tutti i discorsi sull’aldilà si fanno diafani e finiscono quindi
col perdere consistenza realtà e peso.
La prospettiva di un “dopo” tutto incentrato sulla “resurrezione finale”, vero ed unico punto di arrivo
che, perciò, supera e sbiadisce ogni altra considerazione, finisce per rendere in certo senso “irreale”,
per l’uomo moderno ormai apertamente incredulo su questo tema, la stessa prospettiva di un aldilà.
Ed è anche questo che a mio avviso ha allontanato l’uomo, e particolarmente quello occidentale, da quel
“sentire l’aldilà” che sempre il genere umano ha avuto.
La prospettiva, per l’uomo d’oggi poco concepibile, della Cristiana “resurrezione finale dei corpi”, ha
chiuso ogni possibile riflessione sull’aldilà e fermato il pensiero alla confutazione di quella prospettiva,
senza altro cercare ed anzi chiudendolo ad ogni ulteriore approfondimento.
Quel “divino” Tutto, Spirito e Materia, la greca Natura, di cui l'uomo è partecipe e che tutto il mondo
antico Indo-Ario, Egizio, Sumero, Greco e non solo, ha sempre visto si dissolverà: non serviranno parole
che dicotomicamente “alludono” allo Spirito mentre “insegnano” l'“io-materialità”: così esse sono
vuote.
Quel “sentire” intimo all'uomo è così rimasto troppo contrastato, troppo labile e fievole ed infine
inascoltato.
Con quegli insegnamenti all’uomo è così rimasta solo la alternativa di una “fede cieca” ed anche solo
“data”, unicamente tale dice la Chiesa potendo essere, o quella del rifugio in quel materialismo che,
sostenuto solo dalla mente, non può udire quel labile e fievole “sentire”.
In quante Chiese Cattoliche oggi sento ripetere degli angosciati “perché”: perché questa distanza
dell’uomo moderno da esse, perché tanto correre, perché tanta disumanità, perché tanto odio, perché…
perché !!
La risposta non c’è mai o tutt’al più diventa colpa di altri o di altro, ma la risposta più vera credo
dovrebbe essere cercata nell'insegnamento ambiguo, dicotomico e fuorviante che dalla Cristianità ma
anche altri, è proposto.
E' un insegnamento su cui credo molto si debba riflettere: l’Occidente oggi così malato è infatti suo figlio
nel modo più completo e totale, con parole di Gesù è “frutto di quell'albero” : anche il materialismo
storico, come il nazismo ed il fascismo, nascono in e da esso.
È nato tutto ciò dagli insegnamenti dell' “io”, dell' “io-da Dio-creato” dei tre monoteismi, insegnamento
che, per tutti e tre uguale nonostante le differenze, diviene “io-naturalmente-nato” nell'ateo materialismo
storico ed “io-razziale” in nazismo e fascismo.
“Io”, sempre “singolo separato e personale” quanto vera illusione cui consegue l' “io-materiale” che,
nel caso del materialismo storico, ha trasportato la “divina unità” ad una “uguaglianza-unità
33
prima parte
materiale” che non può essere. La sola uguaglianza nell'uomo è e può essere quella di un “Sé”, divino,
Uno e Tutto, che è completa antitesi dell' “io” : solo con la conoscenza ed insegnamento di questo “Sé”
si potrà sperare di “tendere” alla equità, e non alla uguaglianza, sociale.
Un “io-da Dio-creato” lontanissimo da un “uomo-dal Divino-creato-generato”.
Più che criticare questa società, sua figlia e frutto appunto, ed i suoi errori, la Cristianità, come gli altri,
credo dovrebbe bene e meglio analizzare da cosa tutto ciò derivi.
L’ amore che Gesù ha insegnato nulla ha a che vedere, a mio avviso, con l’ “io” che la religione
Cristiana, come anche -ripeto- le altre religioni cosiddette monoteiste assieme ad essa, sorreggono,
fortificano ed enfatizzano.
Il Gesù che io vedo ha insegnato esattamente l’opposto rispetto alla considerazione dell’“io”, che
diviene vero “culto”, di queste religioni.
E questo nonostante parole che dicono altro, tutte però da quell'errore vanificate, e nonostante quel
subdolo gioco, spesso messo in campo, del virtuoso buonismo che altro non fa che continuare a
rinforzare lo stesso altare, quello dell’”io” appunto che si sentirà “buono” ed appagato.
Torno al vangelo di G.D.Tommaso o, meglio, di Giuda, detto “Didimo Tommaso” che significano “gemello”
rispettivamente in greco ed aramaico e quindi con ogni probabilità “gemello spirituale di Gesù”.
É confermata questa visione di “gemello spirituale”, oltre a molto altro che più avanti nel tempo e su queste righe
vedrò, da ciò che si trova negli Atti di Tommaso:
< (Tommaso) “Fratello gemello di Cristo, apostolo dell'Altissimo, partecipe della
parola nascosta del datore di Vita e ricettore dei misteri segreti del Figlio di Dio >(Atti di Tommaso III,39)
La lettura di quel Vangelo mi è subito piaciuta molto, queste frasi riportate in modo così pulito e nitido senza orpelli
le ho trovate immediatamente di una bellezza straordinaria.
Naturalmente la cosa che più mi ha colpito, alla prima lettura, è stata la possibile conferma da parte del Gesù di
questi scritti, di un ritorno alla vita, conferma che io ho voluto trovare nei passi 18 e 19 sotto riportati nella
traduzione di M. Pincherle. Qui infatti il riferimento alle “morti” è preciso seppure, contemporaneamente, generico.
I discepoli dissero a Gesù: < Dicci quale sarà la nostra fine!>. Gesù rispose:
< Voi che avete conosciuto il principio perché vi preoccupate della morte? Infatti dove è il principio là è la fine.
Felice colui che vive sempre nel principio e sa cos’è la fine e non assaggerà le morti >(VdT logh.18)
Gesù ha detto: < Felice colui che è esistito già prima di venire all’ esistenza!
Se voi divenite miei discepoli e capite queste mie parole,esse potranno servirvi di fondamento.
In verità avete cinque alberi in Paradiso che non cambiano né d’estate né d’inverno
E le loro foglie non cadono. Colui che li conosce Non assapora le morti >(VdT logh 19)
La pluralità di questi termini, “le morti”, termine che in altre traduzioni è riportato al singolare con una differenza
comunque non influente, mi faceva inizialmente soffermare sul possibile ritorno alla vita che le mie esperienze così
prepotentemente mi attestavano.
Mi restava però qualche dubbio su quei termini : troppo generici e larghi per confermare solamente un possibile
ritorno alla vita terrena seppure in più riprese : unicamente con la apertura a più “generi” di morti si giustificava una
affermazione così ampia e vasta come io la vedevo e sentivo.
In questa ottica poi l’intero Vangelo di Tommaso si apre, completandosi come in nessun altro modo credo sia
possibile fare e, con esso, anche i canonici finiscono per assumere aspetti insospettati.
Il termine “le morti” o anche il “la morte” in evidente generica accezione di altre traduzioni, oltre alle più ovvie
plurime morti fisiche che nascono a seguito delle reincarnazioni, può dire anche di quella “ seconda morte” tanto
citata nell'Apocalisse di Giovanni : verosimilmente un annullamento energetico definitivo quale quello evocato nel
quarto episodio di miei ricordi.
Ma nel caso specifico dei due passi citati, le “morti” sembrano legarsi a quel “cinque” degli alberi “da conoscere”
del Paradiso, conoscenza che è, dicono quelle parole, quella del:
“principio che è la fine e al contempo la condizione in cui vivere”.
Vedrò meglio più avanti il possibile legame di quel “cinque” con altre dottrine e credenze, ma da subito vedevo
possibile che queste “morti” potessero essere morti energetiche o mentali o altro: poteva cioè trattarsi di
quell’ineludibile annullamento dell’ “io” che, comunque, comporta delle lacerazioni e degli abbandoni, delle morti
appunto.
Annullamento dell’ “io” che è la perentoria necessità di spogliarci di tutto ciò che pensiamo di avere e di essere,
con appunto spoliazioni o abbandoni o morti, per riportare alla primitiva purezza quella “sostanza” divina,
<principio e fine >, da cui ed in cui solo possiamo essere, l’ Assoluto, unica Realtà e Vita, “movimento e quiete”.
34
prima parte
La prospettiva, con termini impropri, della “fusione-ritorno” all’ Uno-Tutto-Assoluto comporta inevitabilmente
l’annullamento dell’ “io” e quindi la sua totale spoliazione con l’abbandono, in queste morti appunto, di ogni nostra
identità.
Vuole sottolineato a questo punto che i termini coi quali si riesce a parlare di questi argomenti rischiano di essere
sempre inappropriati essendo il Divino, l’ Assoluto, in una bella immagine tratta dalle comunicazioni del Cerchio
Firenze 77 :
“Eterno ed Indiviso Essere in cui non può esservi distinzione tra “io” e “non-io” e da cui niente può staccarsi o
giungere o tornare”.
Tutte queste considerazioni mi facevano poi vedere che anche la mia esperienza ha visto una “morte” esattamente
alla mia “nascita”, la “morte” di ciò che io pensavo di “avere”, la morte di quell' “io” che pensava di “conoscere e
sapere” e che riteneva quello la “propria essenza” .
La luce che il vangelo di G.D.Tommaso accendeva sulle mie esperienze, mi riconciliava con me stesso soprattutto e
poi con quel Gesù che testardamente non riuscivo a credere che potesse avermi negato.
Mi rallegravo e, nonostante fossero ben poca cosa quei passi, contemporaneamente mi accorgevo che una grande e
profonda tensione in me finalmente si placava, un silenzioso urlo la stemperava, ero contento:
finalmente avevo trovato le parole vere di Gesù,
le sole che un figlio di Dio veramente illuminato avrebbe potuto pronunciare,
le sole che la mia esperienza mi permetteva di accettare, le sole che, affermando la verità dei miei ricordi,
non mi negavano.
Ero, ed ancor più oggi lo sono, contento di avere finalmente trovato in questo scritto il Gesù che confermava le mie
esperienze e che, ripeto, non mi negava facendo silenzio su di esse, non era più quello che inspiegabilmente e
incomprensibilmente taceva di un argomento così importante e così vivo e presente nella società anche ai tempi in
cui Egli è vissuto.
Ho già detto che solo verso la fine di questi scritti, con le considerazioni riportatevi, troverò finalmente anche nei
vangeli canonici una per me chiarissima conferma della credenza di Gesù sulla possibilità della reincarnazione.
Ho deciso di riportare più oltre ciò che ho visto poiché esso non ha influenzato in nulla tutte le riflessioni e
considerazioni qui riportate che tutte hanno preceduto, e forse preparato, quella “lettura” .
A proposito del vangelo di G.D.Tommaso vuole ricordato che esso divide molto gli studiosi, sulla sua datazione in
particolare ma anche sulla sua importanza.
Sull’argomento credo che poco dovrebbero contare, ed io le prendo in esame con molta fatica, le posizioni di chi è in
qualche modo economicamente interessato : anche inconsciamente questo può essere molto condizionante.
Personalmente non posso non dare una fondamentale importanza a questo testo: sulla sua datazione penso, come
vari studiosi, che esso possa ritenersi sostanzialmente contemporaneo ai canonici e certamente anche esso è
fortemente legato a quella fonte “Q” che praticamente tutti gli studiosi mettono alla base dei citati Canonici.
Come dicevo la lettura e l’approfondimento di questo testo mi portava poi col tempo a vedervi altri aspetti e
profondità, belle inaspettate ed illuminanti.
Mentre la lettura del Nuovo Testamento mi aveva portato a vedere l’insegnamento di Gesù soprattutto nella
raccomandazione “Ama Tutto e Tutti Indistintamente” e nella “Umiltà” cui facevo prima riferimento, da questo
Vangelo, che le mie esperienze mi portavano a considerare più preciso ed esatto, si prospettava un insegnamento più
complesso e profondo.
Questo scritto riesce a spiegare, motivare e far comprendere, meglio dei Canonici, ciò che sottostà, ciò che motiva e
porta a quelle grandi raccomandazioni ed insegnamenti di Gesù.
E lo fa seppure anch’esso in modo abbastanza ermetico e, secondo le parole di Gesù, per “ chi ha orecchie per
intendere”.
Quelle che servono sono evidentemente “orecchie” celate, sono quelle che abbiamo finito col nascondere, non quelle
materiali di vista, tatto e udito che pur servono, ma nemmeno, credo, quelle di intelligenza e mente, sebbene
anch’esse servano ma che, sole, possono unicamente portare alla caduca erudizione, a quel “sapere” che la mia
esperienza mi fa dire che non resta e per l'eterno non conta.
Sono, invece, quelle del sentimento più puro, di quel “cuore” o di quell’ “anima” che abbiamo innati ed
incontaminati, quelli che Gesù ci invita a ritrovare, diventando come i bambini, per potere accedere al Regno.
Sono le “orecchie dell’anima” che, ben aperte, ci permettono di “vedere” con quegli occhi tanto richiamati e guariti
da Gesù, quelli che ci permettono, al contempo, di vedere, sentire, capire l’Assoluto. Gli occhi delle innumerevoli
“guarigioni” che Egli opererà ai tanti ciechi nell'anima.
Le prime raccomandazioni che si evidenziano nei Vangeli canonici, l’ “Ama Tutto e Tutti” e la “forte Umiltà”, non
sono infatti altro che le prime evidenze di un ben altro insegnamento Vero e Primo: prime evidenze che anche chi
non “ha orecchie” può ben scorgere e percepire.
35
prima parte
Nel vangelo di G.D.Tommaso invece più chiaramente è possibile intravedere e comprendere l’“origine” ed il
principio di quelle così evidenti raccomandazioni ed insegnamenti : esse, così meglio chiarite, finiscono per volgersi
in aspetti insospettati e straordinari per, infine, spalancarti all’“Essere” portandoti a quella “condizione” che non
necessita più di alcun comandamento o regola poiché li porta e li ha già in sé.
Quello che in Tommaso meglio si intravede mi sembra l’insegnamento “Vero” di Gesù, l’unico che questo Grande
Illuminato figlio, Lui ci ricorda, dell’Assoluto come tutti noi, poteva cercare di consegnarci.
L’amore che Egli ci fa vedere, qui ma anche nei Canonici, non è infatti la fratellanza, che resta vicinanza di
“diversi”.
L’insegnamento “primo” e Vero di Gesù è infatti quello della “Unità del Tutto”, del superamento dell’”io” e
proprio da questo superamento, dalla eliminazione dell’ “io”, nascono l’esperienza della “umiltà” ed il sentimento
vero, e non travisato, di un “Amore” che nulla avrà di pietistico, sarà nobile, consapevole che è divina la diversità
che ci caratterizza, una diversità che resta Uno e Tutto, Natura, fisico e spirito assieme.
Amore che solo così potrà non essere quel “mascherato amore per se” in cui spesso sconfina il nostro sentimento:
amore che nascerà dalla con-fusione con l’intero esistente.
E mascherato amore per “se” io vedo, sottile ed ingannevole, anche quando diciamo “amo i miei nemici”.
Questo non è esattamente l’insegnamento del Gesù che io ho trovato e vedo, noi in quel pensiero e sentimento
mettiamo un “io” che Gesù non ha messo !.
Gesù infatti subito dopo avere detto: < amate i vostri nemici > ci dice “ poiché tutto è uguale, tutto è Uno, tutto è
Assoluto”. Questo infatti significano le sue parole immediatamente successive a quella raccomandazione:
“..il Padre vostro celeste fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni,
e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”. ( Mt 5.44,45)
Egli pur vedendo giusti ed ingiusti e malvagi e buoni, non giudicando, come sempre ha sottolineato, non vede
comunque “nemici” e con quella frase, senza le dovute precisazioni, lo si tradisce poiché chi “ha o vede nemici” non
Ama come Gesù che solo “prossimo-sé-stesso” riesce a vedere : “amico”, ricordo, è anche Giuda Iscariota per
Gesù .
Da questo ritrovato Vangelo meglio si vede l’insegnamento di un Gesù che insegna la Verità “ accettando ciò che
accade” sempre, senza mai “porsi contro”, sino alla estrema accettazione della morte in croce. E, con quella
accettazione di “ciò che accade”, Egli ci insegna a sentirci “Tutto” ed a perdere quell’“io” che solo sa lottare.
Nel vangelo di G.D.Tommaso riusciamo meglio a vedere che solo la profonda coscienza di “non essere in sè”, di
essere inesistente “in sé” ma “in-esistente” al Tutto porta limpidamente ad un autentico “amore per il prossimonoi”: comunque, chiunque ed ogni cosa esso sia, come Gesù ci ha suggerito.
Amore che è quindi implicitamente annullamento di ogni “separazione-fariseismo” e conseguente “umile rispetto”
per ogni manifestazione del Tutto.
Non amore “dato” da un “io” che “comunque divide” ma Amore che è esattamente l’opposto di quel falso amore che
con l’ “io” mantiene la diabolica-separazione.
Amore necessariamente e per -sua natura- slegato da ogni appartenenza confessionale, Amore che non può
appartenere poiché appartenendo separerebbe, Amore che, da alcun “io” dato, non è che “Fuoco” .
IL NAZIREO
Ecco quindi il Gesù “Nazareno”, non quello nato a Nazaret, paese che a quei tempi sembra fosse inesistente, ma il
“Nazireo o Nazoreo” : quello che con il “voto” che le Scritture ci ricordano, si consacrava al Divino.
Apro qui una parentesi per ricordare aspetti, normalmente poco noti, che aiutano ad inquadrare la situazione dei
territori Giudaici ai tempi di Gesù, aspetti tutti da me visti solo alla fine di queste pagine e su cui più oltre tornerò
ma che qui in parte riporto.
Il Nazireato è, nelle Scritture Giudaiche, la “consacrazione al Dio” con il conseguente voto di seguire alcuni rigidi
criteri di vita: il consacrato è detto “Nazireo” e il voto è temporaneo.
Le Scritture ci dicono:
< Jhwh disse a Mosè: “ Parla agli Israeliti e riferisci loro: quando un uomo o una donna farà voto di Nazireato,
per consacrarsi a Jhwh, si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti.....quando i giorni del suo Nazireato saranno
compiuti....> (Nm 6.1,21)
< ..Ecco tu partorirai un figlio; ora non bere vino né bevanda inebriante e non mangiare nulla di immondo, perché
il fanciullo sarà un Nazireo di Dio già dal seno materno fino al giorno della sua morte > (Gc 13. 7)
Hartmut Stegemann, nel suo “Gli esseni, Qumran, G.Battista e Gesù” (pp315) ci dice che <l'aramaico “nazren” o
con l'articolo “nazrayya”, in greco “nazarenoi o nazoraioi”, significa “preservatori” >: si vede così che come tali
sono dichiarati coloro che si < assicuravano l'ingresso al futuro ambito della salvezza mediante la preservazione- dalla distruzione del giudizio..>
36
prima parte
Parla di questa stessa “consacrazione-preservazione” anche Luca quando, con riferimento a Giovanni Battista
scriverà:
< ..poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né sostanze inebrianti,
sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno della madre > (Lc 18.18)
Ricordo che Gesù è detto nei Vangeli sia Nazareno (Mc 1.24-10.47-14.67-16.6 ; Lc 4.34-24.19)
che Nazoreo (Mt 2.23-26.71 ; Lc 18.37 ; Gv 18.5,7 ; At 2.22-3.6-4.10-6.14-22.8-24.5-26.9)
Quasi una sorta di nazireato a vita era quello che conduceva una fazione Giudaica, gli Esseni, di cui i Vangeli,
incolpevolmente, non ci danno conto e che conosciamo soprattutto grazie allo storico Giuseppe Flavio (37-100 dC),
giudeo romanizzato nato e vissuto a lungo in territorio giudaico.
Ricordo solo che alcuni studiosi, non senza fondamento, ipotizzano che la assenza nei Vangeli di riferimenti agli
Esseni sia dovuta al fatto che Gesù fosse legato a questo gruppo: certamente Egli non era in contrasto o polemica
con essi ed è per questo che, piuttosto naturalmente, le sue parole di insegnamento e critica sono rivolte
esclusivamente a quei Farisei e Sadducei coi quali le divergenze erano forti.
Hartmut Stegemann, nel testo citato (pp201-203) ci dice che per < G.Flavio..gli Esseni avevano più di 4000
membri, i Farisei più di 6000.. i Sadducei e gli Zeloti...rispettivamente poche centinaia di membri.>
Ancora G. Flavio ci rende, nei suoi scritti, una descrizione minuziosa di questa setta, gli Esseni, che egli
autorevolmente affianca a quelle a noi più note presenti ai tempi di Gesù dei Farisei e dei Sadducei.
Poche altre sono state le fonti che ci dicono di questo importante gruppo: solo i recenti (1947) ritrovamenti di
Qumran, con gli scritti là rinvenuti comunemente detti “Rotoli del Mar Morto”, scritti unanimemente ritenuti di
origine gnostico-essena, ci hanno dato nuove importanti conoscenze.
Dice G. Flavio nel suo Guerre Giudaiche libro II:119 e seguenti :
< Tre sono infatti presso i giudei le sette filosofiche: ad una appartengono i Farisei, alla seconda i Sadducei, alla
terza, che gode fama di particolare santità, quelli che si chiamano Esseni, i quali sono giudei di nascita, legati da
mutuo amore più strettamente degli altri.> (119)
< Essi respingono i piaceri come un male, mentre considerano virtù la temperanza e il non cedere alle passioni.
Presso di loro il matrimonio è spregiato, e perciò adottano i figli degli altri quando sono ancora disciplinabili allo
studio, e li considerano persone di famiglia e li educano ai loro principi.> (120)
<..non è che condannino in assoluto il matrimonio e l'avere figli, ma .. ritengono che nessuna (donna) rimanga
fedele ad un solo uomo.> (121)
< Vi è anche un gruppo di esseni, simile a quello precedente nella vita, negli usi e nelle leggi, ma diverso per la
concezione del matrimonio. Ritengono infatti che chi non si sposa è come se amputasse la parte principale della
vita..> (160)
< Non curano la ricchezza ed è mirabile il modo come attuano la comunità dei beni.. chi entra mette il suo
patrimonio a disposizione della comunità.. (sono) come tanti fratelli.> (122)
<..hanno cura di tenere la pelle asciutta (senza oli) e di vestire sempre di bianco.> (123)
< Essi non costituiscono un'unica città, ma in ogni città ne convivono molti.> (124)
< ..quando viaggiano, non portano seco assolutamente nulla, salvo le armi contro i briganti. In ogni città..un
curatore..provvede alle vesti e al mantenimento.> (125)
<..presso di loro è salda la credenza che mentre i corpi sono corruttibili, e che non durano gli elementi di cui sono
composti, invece le anime immortali vivono in eterno e, venendo già dall'etere più leggero, restano impigliate nei
corpi come dentro carceri quasi attratte da una sorta di incantesimo naturale.> (154)
< Verso la Divinità sono di una pietà particolare; prima che si levi il sole non dicono una sola parola su argomenti
profani, ma soltanto gli rivolgono certe tradizionali preghiere, come supplicandolo di sorgere> (128-8,5)
< Poi ognuno viene inviato dai superiori al mestiere che sa fare ...fino all'ora quinta..(quindi) si riuniscono insieme
e, cintisi i fianchi di una fascia di lino, bagnano il corpo in acqua fredda, e dopo questa purificazione...in purezza si
accostano alla mensa come a un luogo sacro> (129)
Flavio accomuna, come si vede, gruppi ed entità con differenze di visione piuttosto importanti quali quelle che
sottostanno al diverso approccio rispetto a matrimonio e figli sopra evidenziato, e questo ci deve ricordare che ai
tempi di Gesù il fermento religioso spirituale delle terre che vanno dal Giordano all'Asia Minore era molto forte e
vario.
Erano terre che, ci dice sempre G.Flavio, vedevano più di un “profeta e predicatore”, varie sono le sue testimonianze
in tal senso : lui stesso ci dice di avere seguito per qualche tempo un profeta che viveva nel deserto ma ci dice anche
di “imbroglioni” : <..Impostori ed imbroglioni convincevano molta gente a seguirli nel deserto promettendo di far
vedere prodigi e segni per provvidenza divina..>(Ant.Giud. 20.167)
Sui territori giudaici questo fermento, centrato in quella punta del movimento Esseno che era la comunità di
Qumran, si faceva portatore di interpretazioni della Verità Biblica che vedeva differenze piuttosto importanti rispetto
37
prima parte
alle letture ed interpretazioni -canoniche ed ufficiali- proposte e quasi imposte dalle dominanti correnti di Farisei e
Sadducei.
Gli Esseni, ben visti dalla popolazione, si limitavano a praticare una vita in linea con le loro credenze senza operare
proselitismo alcuno, ed erano anche per questo tollerate dalla classe politica e sacerdotale.
Dice ancora G. Flavio nel suo Antichità Giudaiche:
< ..Manaem.( profeta esseno )...per testimonianza di tutti conduceva una
vita di grande virtù..> (AG libroXV:373-5)
< (Erode)..teneva in onore gli Esseni e aveva di loro una considerazione
più alta della (semplice) natura umana..> (AG libro XV:372)
Il più noto a noi e storicamente più importante di questi “profeti e predicatori” è Giovanni Battista, figura con
grande seguito e molto ascoltata, ci viene detto, che invitava a “cambiare mentalità”, ovvero a “convertirsi”, ed
utilizzava, come gli Esseni ma non solo, la “immersione” quale invito a tale trasformazione dell'uomo.
Ricordo per inciso che quei riti di “immersione” da noi oggi sono detti di “battesimo” : letteralmente “battesimo” è
infatti “immersione”.
La predicazione di Giovanni B. inizia prima di quella di Gesù e continuerà, molto autonoma rispetto a quella di
Gesù e apostoli e sempre con grande seguito di popolazione, anche dopo il noto incontro con Gesù.
A Giovanni B. ancora oggi si rifanno e sono legati i Mandei, ormai un esiguo gruppo che tuttora fa un uso
giornaliero delle “immersioni-battesimo”.
Un'altra figura di predicatore-maestro di spessore, contemporanea di Gesù, è Apollonio di Tiana in
Cappadocia (circa 2-98 dC) che ebbe larghissimo seguito: egli studierà a Tarso, patria di Paolo, ed a
lui sembrano attribuiti anche miracoli.
Non ultimo vuole poi ricordato Simon Mago che già predicava nel 35 dC circa; anche a lui vengono
attribuiti prodigi, < magie...(che) mandavano in visibilio la popolazione... a lui aderivano tutti, piccoli
e grandi,.. gli davano molto ascolto..> (At 8.9,11) ed avrà anch'egli un notevole seguito.
Approfondirò meglio più avanti alcuni aspetti che, in questa parentesi postuma, ritengo siano
inopportuni.
Tornando al Gesù “profeta-maestro-rabbi” e “nazireo o nazareno-nazoreo” come citato nei Vangeli, Egli è, come gli
Esseni, coscientemente con-fuso, in-esistente e perso nel Tutto, come gli Esseni Egli non è assillato dalla ricerca di
“proprie” discendenze o ricchezze.
Gli Esseni accolgono ed accudiscono i piccoli abbandonati e soli: figli del Tutto, figli loro, figli di tutti, e gli Esseni
come Gesù non hanno e non sentono “nulla” quale “proprio” .
Essi, come Gesù e non già in senso materiale, sono “oltre” ogni divisione e separazione, tutte create dall' “io” che
solo separa e divide, umili presenze che indicano e percorrono una difficilissima ma straordinaria via.
Umili al punto da suggerire, come anche Gesù, con riservatezza e nascostamente questa strada, senza proclamarla,
senza imporla né urlarla poiché solo essa stessa si potrà rivelare.
L' EUNUCO
Nulla di straordinariamente rivoluzionario, l’umanità certo ha visto ancora quei sopra citati pensieri e
comportamenti di Gesù e degli Esseni : quella umiltà poi è sempre stata silenziosa a causa della consapevolezza che
unicamente la Verità stessa può rivelarsi e rendersi all'uomo che a quel punto, “convertito-cambiato di mentalità”,
conosce-diviene altro perdendo quell' “essere in sé-io” in cui nasce o cui “in vita” si porta.
Le Upanishad Indo-Arie, in Brihadàranyaka III,5.1 già 5-700 anni prima di Gesù dicevano:
< (coloro che).. hanno conosciuto questo Atman, rinunciano al desiderio dei figli,
al desiderio del possesso e al desiderio del mondo.>
E Gesù in Mt.19.12 dice:
<..vi sono (quelli) che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire capisca. >
E in questa frase non vi è nessuna richiesta di < donazione >, nessun “martirio o sofferenza o dedizione” chiede
Gesù come invece vede la Cristianità: la prima ed immediata lettura e comprensione cui essa si ferma è addirittura
negata dalle stesse parole di Gesù che aggiungendo quel <..chi può capire capisca..> dice sostanzialmente che si deve- andare oltre la prima, perciò errata, evidenza e comprensione.
La Chiesa Cattolica, buona scriba, vedendo -per gli eletti suoi sacerdoti- l' “obbligo” creerà la “regola, il precetto”,
pensando ed insegnando che siano queste che portano al “regno dei cieli” di Gesù.
Ma Gesù certamente voleva dire altro e due, pur vicine e corrette entrambe, sono le possibili letture.
38
prima parte
Con quelle parole Egli da un lato può avere indicato ciò cui -si può- arrivare quando si con-prende, si vede, si vive e
ci si porta alla condizione di Regno: quando si con-prende e ci si lega, in-esistenti all’Assoluto, all’Eterna Vita, è
allora, è “per” nel senso di “a causa” di questo portarsi a tale condizione, che ineluttabilmente perdendo i “bisogni
dell'io” -possono- venire a meno le conseguenti e “proprie dell'io” “necessità” e “fisici desideri”.
Ma le parole di Gesù ben oltre a questo aspetto “fisico”, aspetto certo possibile ma che ha il limite, estremizzato e
non adeguatamente precisato, di negare validità alla vita naturale e fisica in generale, sono parole che mostrano
anche un altro più profondo aspetto e Verità.
Una ulteriore lettura e comprensione di quelle parole nasce infatti con la figura di “eunuco” che si trova nelle
Scritture, testi cui sempre Gesù guarda e cui sempre si riferisce: in esse gli “eunuchi” sono citati quasi
esclusivamente quali “servi-guardiani-custodi” della casa del Re e delle sue più intime stanze.
In questa lettura, che si può vedere non certo in contrasto con quella precedente, il <..farsi eunuchi..> di Gesù
diviene un “farsi servi-guardiani-custodi” della Camera Nuziale divina, della condizione-luogo incontaminato in
cui il Re vede la Sposa-Anima ed in cui si genera la Vita.
Questa condizione, legata se non identica a quella scritturale di “servo” che più oltre vedremo, è condizione che più
di ogni altra è “divina” come testimoniano questi passi di Isaia :
< Non dica l'eunuco:”Ecco, io sono un albero secco!”. Poiché così dice Jhwh:
“Agli eunuchi, che osservano i miei sabati, preferiscono le cose di mio gradimento e
restano fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto e
un nome migliore che ai figli e alle figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato.
Gli stranieri, che hanno aderito a Jhwh per servirlo e ...per essere suoi servi,...
li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.. >(Is 56.3-7)
E' -dentro- a questa visione e comprensione che quella “fisica” sopra vista e, ripeto, possibile ma non certo
necessaria, potrà stare ma senza divenire obiettivo: solo potrà essere un accadere senza “volontà” che sempre è
“propria dell'io”, e soprattutto, come più avanti vedremo, potrà essere un -momentaneo- accadere : la vita fisica con
anche il suo fisico piacere dell'amore resta infatti per l'uomo di primaria importanza.
IL MISTICO
Nel vangelo di G.D.Tommaso si ritrova un Gesù che con maggiore chiarezza ci indica solo strade strettamente
personali : solo la ricerca interiore, qui più chiaramente, viene suggerita.
Sono strade che si intraprendono col “cuore” e non già con quella “mente” che “mentendo” divide: diabolicamente,
in senso etimologico, separa.
Mente con la quale, “diavolo” appunto in questo senso, anche Gesù come altri ha lottato entrando nel “deserto”
interiore più che fisico.
Nel vangelo di G.D.Tommaso -meglio si evidenzia- un Gesù “mistico” o “iniziato” che indica ed accompagna a
quella condizione che supera tutte le “divisioni-diabalein” per arrivare a quello stesso punto di arrivo, sempre
uguale, a cui tutti i mistici ed iniziati arrivano da qualsiasi religione essi partano per il loro cammino: l’annullamento
dell’ “io” e la perdita nel Tutto.
A quello stesso punto di arrivo “esistenziale” troviamo infatti le espressioni massime di monaci orientali, induisti,
buddisti, taoisti, così come il mistico cristiano o l’esoterico Sufi islamico o il cabalista ebraico.
È una condizione ed un punto di arrivo unico e per tutti ed è una strada luminosissima.
In questo vangelo meglio si vede il Gesù che ci invita a “perderci”, ed in queste righe meglio si spiega il profondo
perché di questo invito.
Questo è finalmente un Gesù completo, un Gesù che si può comprendere a fondo poiché rivela, pur senza svelare, ai
“cuori” che si aprono, il perché del suo insegnamento e della sua raccomandazione d’Amore-Umiltà.
Seguace di “questo” Gesù non può essere chi costruisce “divisioni” o “chiese” e ci insegna a rafforzare l’ “io”.
L' ABBASSATO DI VENTO
Di tutto questo, come dicevo, si può trovare “traccia chiara”, seppure nascosta, anche nei cosiddetti “Canonici” ad
iniziare da quell’insegnamento più nascosto ma non “secondario”, che vi si può scorgere, che è quella -condizionedi “Umiltà” che si riflette nella vita e nel comportamento ma che che solo “deve e può” essere “ umiltà di animo”: la
“misero-cordia” ovvero l'“abbassamento di vento”, malamente tradotto in “povertà di Spirito” (Mt 5.3), nel quale
Gesù vede i <beati>, i fortunati.
Umiltà-MiseroCordia che, come insegnano “mistici e filosofi”, compare quando si abbandona l'“io” per perderlo nel
”Tutto” che è l’Assoluto. Umiltà d'animo che da insegnamento “secondo” così si gira e diviene fondante
“insegnamento primario”.
39
prima parte
Questa traccia di insegnamento nei vangeli canonici è tale, è solo traccia, forse unicamente perché non ben compresa
e quindi non ben riportata da chi ha redatto questi testi ma, nonostante questo, essa vi si trova sebbene solo nella
analisi profonda di parole e comportamenti del Gesù.
Dicevo in precedenza che continuavo, e ancora continuo seppure con tutte queste considerazioni, a vedere tutti gli
esseri umani come realtà uniche ed anche irripetibili.
Ma la visione di una esistenza o esperienza individuale certamente unica è però vista in una relazione talmente
profonda e costante e continua, nel tempo e con la universalità intera, da fargli perdere quel connotato di “ autonoma
singolarità” che normalmente ad essa si associa, per diventare solo una risultanza momentanea e mutevole di
relazioni e di frammenti energetici.
Esistenza ed esperienza senza dubbio unica e senza dubbio importante ma che è un “tutti e tutto” che non affermerà
“io sono” bensì “io non sono” .
Unica realtà ed esperienza certo, forse nemmeno solamente legata al breve tratto del nostro cammino terrestre e
materiale, ma che non implica quell’ “io” -autonomo ed unico- che normalmente vediamo.
Esperienza unica ma determinata ed identificabile solo per il breve momento in cui la guardiamo e sempre e
comunque risultanza destinata, oltre che a mutare continuamente, forse a scomporsi nuovamente nei tanti frammenti
che l’ hanno formata.
Ed ancor più quindi il “Tutti e Tutto” che ci suggerisce e ci fa vedere, con maggiore chiarezza, il Gesù di Tommaso.
L' “IO” DA TOGLIERE
Trovavo possibile un “io” che, così illusorio ed auto-costituito, potrà solo annullarsi, spogliandosi, con l’abbandono
di tutto ciò che pensa di avere e di essere per ritornare, pur senza ritornarvi sempre in Esso essendo stato, a
quel “Dio Tutto Uno Assoluto” che tutto comprende e tutto è.
Un “annullarsi” che si mette in chiara e costante evidenza nelle testimonianze di molte delle comunicazioni con i
trapassati che ho avuto modo di leggere nei documenti del Movimento della Speranza.
Certo, devo confessare che, con queste prime riflessioni, una certa amarezza di tanto in tanto mi è nata.
Una amarezza che era un misto di tragica e beffarda ironia: l’entusiasmo ed il compiacimento che prima mi avevano
colto nel trovare le conferme a quella continuità della vita che i miei ricordi attestavano, ora dovevano spegnersi
addirittura nella necessità, in certo senso, di dare a me stesso la morte.
Era tragica ironia che io comunque ho accettato ed a cui ho saputo sorridere; ironia cui sorridere ma ironia tragica:
tale infatti è il vedere chi, impegnato nel cercare conferme alla continuità della -propria- vita, è infine costretto a
convenire che solo egli può e “deve” darsi la morte !
Tragica ironia cui ho saputo sorridere ma anche sfida che ho saputo accettare: immediatamente dopo avere riso di
tutto ciò e di quel “me stesso” che cercando la conferma della continuità della “propria” vita trovava invece la
necessità di darsi la morte, con coraggio, poiché serve coraggio, ho deciso di andare sulla strada di quella uccisione
e morte dell' “io” : ho deciso di affrontare ed entrare in quel -deserto e buio e morte e frastuono- che consegue, in cui
si entra accettando fino in fondo quelle razionali conclusioni, sono riuscito a farlo !.
Tornerò più avanti su questi aspetti ed argomenti.
IL RINNEGARE SE STESSI
L' “io”, illusorio ed auto-costituito, potrà solo “rinnegare se stesso” come ben ci dice l'invito di Gesù:
< ..se qualcuno vuole venire dietro a me “rinneghi se stesso”..>(Mt 16.24)
Un annullarsi che richiama quella “morte mistica” che filosofia e teologia riportano e che Marco Vannini in
“Mistica e filosofia” dichiara <..spoliazione dell’istinto sensuale naturale..> e <..predominio e primato
dell’intelletto..>. Ma su queste parole credo serva una precisazione.
Il “sensuale naturale” solo dal normale trascorrere della vita può e deve essere spogliato, mentre la coscienza lo
indirizzerà e le regole sociali dovranno condizionarlo.
Certamente quella nuova coscienza che in quel processo si sviluppa arriva a condizionare il “sensibile”, forse anche
a spogliarlo, ma questo sarà conseguenza “senza precisa e -propria- volontà”.
Non potrà esservi alcun “proprio” motore o spinta, nessuna “propria volontà” in questo processo poiché, in tal
caso, esso resterà solo un subdolo inganno dell’ “io” che così rimane, vero artefice e padrone, incontrastato e
rafforzato, ancora di un “proprio dell'io” cammino. E, anche, nessun “abbandono” della vita fisica può esservi,
nessuna fuga o nascondimento ad alcun “mondo oltre il mondo” come bene sottolineerà Nietzsche.
40
prima parte
Ricordo a questo riguardo le parole quasi conclusive del vangelo di G.D.Tommaso in cui Gesù ricorda ed
ammonisce:
< Guai alla carne che è schiava dell’anima,
guai all’anima che è schiava della carne > (vangelo di G.D.Tommaso l.112)
Ma anche del “predominio dell’intelletto”, dato ciò che oggi può normalmente essere inteso, vale la pena di
precisare. L'intelletto di cui dice Vannini è il “Nous” greco, la sostanza ed essenza dell'Assoluto in noi trasposta
ovvero la “immagine” in noi del Dio, dell'Assoluto: Nous generalmente tradotto, purtroppo dico io, sia con
“intelletto-intelligenza” che, in un modo che può essere ancor più fuorviante, con “spirito”.
Vuole visto in merito che tale “intelletto-intelligenza”, che etimologicamente è ciò che “dentro è da leggere”, dice
di una “nascosta essenza-sostanza-essere” che è dell’uomo, suo “spirito” nel senso che non è visibile-misurabile ma
pure essa è “reale e concreta”, non “utopica o virtuale”, e per nulla poi essa dice di quella “facoltà”, l' “ intelligenza”
per come oggi normalmente vista, che porta ad una “conoscenza-erudizione” lontana e spesso contrapposta alla
“Sapienza” che invece nasce dalla compenetrazione, comprensione-visione, di quel Nous.
Conoscenza-erudizione che, pur contrapposta al Nous, certo non è, “in sé”, negativa, anzi certamente molto positiva
essa è all'uomo ma tale, negativa e pericolosa, essa diviene quando, come solitamente è, viene vista “propria” di un
“io che conosce”, quando è sostegno all' “io”.
Correttamente poi, con la visione dell' “intelletto-nous” di greca memoria citato, si potrà dire che “il Dio è
intelletto”.
Ma con un “intelletto-intelligenza” quale odiernamente visto si avrà invece il solito gioco dell’“io” : un “io” che qui,
con l’inganno delle “proprie” facoltà e virtù, vizi camuffati come insegna La Rochefoucauld, finisce col rafforzare
“se stesso”, di tanto essendo la mente capace, per arrivare a dichiarare infine che “Dio è intelletto-intelligenza”.
Ma a Dio ed al Nous in noi solo con “cuore ed anima” si arriva mentre l' “intelligenza-mente” unicamente può
servire a farci -ripercorrere a ritroso il cammino di illusioni che essa stessa ha sviluppato-, cammino a ritroso che,
riportatici alla soglia del “cuore-anima”, solo ad esso potrà lasciare la “visione divina”.
La “propria mente-intelligenza” non può che proporci e renderci “altro” dal Tutto poiché essa è dell'”io-intelligente”
che all'Assoluto pensa di avvicinarsi e di questo godere : un Assoluto da cui invece niente e nessuno può essere
“altro”. Deve invece vedersi un “annullarsi-rinnegare se stessi-cammino a ritroso” che è piuttosto il “silenzio” di
quella mente che sempre ripropone l’“io” con le “sue proprie” immagini e rappresentazioni e, in questo silenzio, la
contemporanea apertura e consegna del “cuore” al “Tutto”.
Un annullarsi che sarà l’unica via per ritrovare quella “Essenza-Sé” che non può che essere uguale per tutti e forse
per tutto. Un annullarsi che sarà il togliere un “io” che è “maschera”, quella stessa di cui voleva verosimilmente dire
il teatro greco alle sue origini con il protagonista mascherato, uomo nella illusione dell'io, che deve ascoltare un coro
di multiforme voci a viso scoperto, il Vero nelle sue forme e forze che sempre all'uomo parlano.
E l’ “io”, auto-costituito ed illuso di esistere, sarà anche libero di reincarnarsi, come le mie esperienze e non solo le
mie possono attestare ma che, reincarnandosi perderà proprio se stesso, quell’ “io” che pensava di “essere”
confidando in ciò che pensava di “avere”.
Un “io” che forse, incarnandosi, potrebbe anche assumere in sé, facendoli propri, frammenti ed energie lasciate
anche da altre ed altrui esperienze di vita ma che, proprio per tutte queste considerazioni, un ”io”, nella accezione
normalmente data a questo termine, non può essere e non è.
E anche la mia esperienza mi ricorda che io sentivo come “mia vera morte” la perdita di quella “energia” che mi
permetteva di “trattenere” e sentire come “mie” cose che, senza quella energia, avrebbero “comunque vissuto”
anche senza quell’ “io” che io sentivo avrebbe potuto “definitivamente finire-morire”.
Vi è una bella immagine nel libro “Verso la non mente” del Cerchio Marina che mi è rimasta impressa e
che qui volentieri riporto perché può forse aiutare a capire quanto può essere illusoria quella concezione
dell’ “io” che tanto ci sta a cuore.
Al fine di dare una idea, seppur ben specificando che essa è lontana da ciò che realmente accade ma
comunque un modo per darci la possibilità di avvicinarci ad essa, una delle entità in comunicazione
suggerisce di immaginare che tutto ciò che vive ed accade, ogni cosa, ogni sentimento, ogni azione,
rimanga come tante istantanee nell’ etere.
Continua poi parlando della nascita alla vita che, con le stesse precisazioni fatte prima, essa paragona al
passaggio di una goccia divina attraverso questo etere di istantanee emozionali ed energetiche che
vengono da essa attratte e riportate così alla vita.
E come non pensare allora a quel “Tutto che è in tutti noi!” che anche Gesù ci propone quando dice:
“ tagliate un legno: io sono lì, sollevate una pietra, mi troverete lì”
(vangelo di G.D.Tommaso l.77)
e Paolo ricorda affermando che:
41
prima parte
“Dio è tutto in tutte le cose” (1Cor 15-28).
Togliere l’ “io” per consegnarlo al “tutti e tutto” significherà quindi non vedersi necessari registi degli eventi, con
una conseguente diversa accettazione di “ciò che accade”.
MANO SINISTRA E MANO DESTRA
Significherà cioè togliersi dal centro della azione, non sentirsi più attori primi o indispensabili motori dell’avvenire,
le azioni quindi non saranno più “nostre” e solo allora davvero la nostra :
<..mano sinistra non saprà ciò che fa la destra...>(Mt 6.3)
come ci ha suggerito di fare Gesù.
E non lo saprà, non perché ce lo nascondiamo con più o meno conscia sincerità e compiacenza, ma perché davvero
la mancanza dell’ “io” lascerà ogni atto ed ogni azione alla “propria” vita.
Di atti e azioni quindi non sarà possibile appropriarsi, come l’ “io” invece fa, ed essi non verranno interiorizzati, non
diverranno “nostri”: solo così veramente “la mano sinistra non potrà sapere ciò che fa la destra”.
LA PIETRA CHE COSTRUISCE
Togliere l’ ”io” significherà evitare ciò di cui egli si nutre: significherà evitare la pietra che “serve” ai costruttori di
materialità, significherà raccogliere ciò che “non serve” la materialità, la pietra scartata, quella che diventa la cosa
più importante, la pietra angolare, per la Vita, quella Vita Eterna che è l'Assoluto :
< la pietra che i costruttori hanno scartato,
è divenuta pietra angolare, è divenuta testata d’angolo >
(Mt 21.42; vangelo di G.D.Tommaso l. 66)
Questa frase di Gesù ci dice proprio questo: quando si arriva ad essere come Lui, quando manca l'”io”, si vede e si
capisce che ciò che l'”io”, costruttore per natura, scarta lungo il “proprio” cammino, è proprio ciò su cui il Vero si
fonda.
Nessun riferimento personale Gesù qui ha fatto : la lettura che in tal senso fa la Cristianità è lettura errata, senza
profondità, è lettura che vede un auto-elogio cui mai Gesù avrebbe potuto portarsi, è lettura che è nello stesso errore
in cui fu Pietro quando Gesù, con durissime parole, cercò di correggerlo dicendo: < Via da me satana, tu ragioni
come gli uomini >.
IL NON GIUDICARE
Togliere l’ ”io” significherà “non giudicare” né il prossimo né ogni accadimento: è sempre un “io”, personale,
diviso, separato, ciò che giudica.
Anche su questo aspetto Gesù ha profondamente, con le Sue parole, insegnato:
< Non giudicate e Dio non vi giudicherà..>(Lc 6.37) < Non giudicate per non essere giudicati >(Mt 7.1)
< Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno >(Gv 8.15)
< ..chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi ?..> (Lc 12.14)
Togliere l’”io” per scoprire un “Tutto in Noi” che diventa anche un “Noi in Tutto” e quindi un “Tutti e Tutto” in un
armonioso scambio che è anche quell’ineluttabile continuo dare e prendere, assorbire ed essere assorbiti, da tutto e
tutti ed in tutto e tutti, che continuamente la vita ci fa vivere.
Armonioso e continuo movimento e scambio, “danza cosmica” che il fisico Fritjof Capra vede simboleggiata nella
danza di Schiva e che si può anche vedere allegoricamente ripetuta dai Dervisci danzanti e da altre discipline.
Armonico e continuo movimento e scambio, danza cosmica, metamorfosi e reciprocità totale che anche nella
materia oggi la scienza ci impone di vedere: in quel continuo “morire e rigenerarsi” di ogni per noi “viva” materia,
compreso il nostro corpo; in questa permanente interazione e passaggio incessante di essa da uno stato e condizione
ad un altro, non si può sempre più non vedere un “Tutto in Tutto”.
Ma anche la nuova, e pur vecchia, visione di una Realtà completamente interferente ed interconnessa quale quella
oggi vista e proposta dalla scienza con la cosiddetta “Teoria della stringhe”, non è che un “Tutto in Tutto”.
E non si potrà certo vedere solo un Tutto reale e materiale: la Realtà piena e Vera vede la più profonda delle
completezze : materiale ed immateriale assieme.
Visione pur vecchia dicevo ricordando che già nel 1500-2000 aC. in Mesopotamia si diceva di una “rete-ragnatela
cosmica” che Tutto legava.
Di essa ci veniva detto nel poema “Enki e Ninhursanga”, poema che narra di come il “dio-forza cosmica-demiurgo”
nel generare il cosmo da ultimo generi Uttu, la “dea-forza cosmica-ragno”: con questa narrazione ci viene detto
dell'assetto assunto dal cosmo alla fine della sua iniziale spinta generatrice-creatrice : tutto assieme legato.
42
prima parte
Legata “danza cosmica” che porta ed è Armonia che, movimento e quiete, bene e male, spirito e materia, Natura,
non è che Uno.
Armonia come sola vera forza immobile che solo attrae a sé, che tutto fa muovere ed a cui tutto non può che tendere.
Armonia che certo comprenderà anche la Coscienza cosmica, lo Spirito divino ed ogni altra nostra formulazione, a
condizione che non divenga ancora “altro” separato, diviso e divisore.
Solo il cuore credo potrà ascoltare e sentire la bellezza di questa Armonia, estasiante, nel silenzio della mente e solo
così forse tutto ciò che ci circonda, che ci partecipa compartecipato, sarà vera raggiante ed inebriante bellezza.
E allora come negare anche, dopo avere tolto lo stupido degrado idolatra in cui possono anche essere cadute, un
fondamento ed una bellezza a tutte quelle credenze che in antichità hanno indirizzato il loro omaggio contemplativo
ed anche devozionale a tante manifestazioni del Tutto come il sole e la luna o la terra o anche agli oggetti in genere.
Una volta tolto il degrado idolatra possiamo certo ritrovare, in queste posizioni e atteggiamenti, un semplice ed
amorevole “rispetto e reverenza” per queste intimamente vicine, e più evidenti, manifestazioni dell’Assoluto.
Assoluto o Dio, termine, questo ultimo, che non utilizzo volentieri perché oggi a mio avviso troppo antropizzato,
termine che sempre andrebbe visto e usato con l'articolo : “Il Dio” si dovrebbe sempre vedere o meglio ancora “Il
Divino”.
Dovremmo forse recuperare il senso vero di quella parola che sembra derivare dalla radice ariana DiuDiau=Splendere da cui il sanscrito Dyaus=Giorno, Luce, Cielo; ed anche Zeus, che sta per Djeus, da questo deriva.
Dio quindi, Il Dio, Zeus, l'Assoluto, il Divino, come “luce del giorno” o “luce del sole” che possiamo vedere come
“luce energia vitale” o “luce principio assoluto”.
E questo è quello che la scienza oggi ci dice anche per la materia, composta di Luce.
IO E TUTTO
Ho quindi riflettuto sul fatto che solo noi stessi possiamo, e quindi dobbiamo, spegnere quel superbo pensiero con il
quale noi “poniamo noi stessi”, forse null’altro che la “coscienza di sé”.
Solo noi potremo e dovremo in fine “morire al nostro io”, per potere “Vivere nel Tutto” e non “perire” come
dichiarano i miei ricordi con quella paura di “disperdermi”.
Restare centrati sull’ ”io personale” ci chiude ad un “Tutto” che solo è Vita e la “consumazione di quel pensieroconvinzione-mentalità” con la conseguente “fine” di quella “sua propria legante energia” sarà forse la vera morte di
un “io” che quindi di ed in questo vive.
Solo portandoci e perdendoci nel “Tutto”, solo consegnandoci all’Assoluta Armonia, movimento e quiete, forse
potremo Vivere: non “essendo in noi stessi”, “essere il Tutto”.
Solo questo infatti potrà essere secondo quei miei ricordi : percorso duro e difficile per la mente ma ben percepibile
e dolcemente perseguibile dal “cuore”.
Ma il “morire al nostro io” che è il “non giudicare” di Gesù ovvero la necessità di non avere alcun “io” che giudica,
vuole anche precisato che non porta al “non agire-fare” : l'uomo in quella coscienza correttamente vista continuerà
infatti ad “agire e fare” ma questo avverrà “divinamente” ovvero “senza proprie dell'io volontà”, si vedrà infine in
una pur non “propria” incommensurabile Potenza : con Nietzsche, sarà un “oltre-uomo”, potente di una forza non
“sua” che agendo “creerà”.
Certo con il contributo di queste riflessioni io ho molto affievolito quel grandissimo desiderio e quella prorompente
volontà di vivere la materia che indubbiamente era in me quando, nei miei ricordi, volevo assolutamente essere “da
questa parte”. Per molto tempo ho pensato che, riproponendosi quella condizione, difficilmente avrei ripetuto la
stessa scelta di allora, quella di ripercorrere con caparbietà la strada della vita terrena.
Ma, pure, tutto ciò di cui i nostri sensi possono farci partecipi restava indubbiamente di una bellezza
incommensurabilmente commovente.
Così sono i cieli, i profumi, la natura con i monti, i laghi, le piante e l’erba, il mare ed ogni altra cosa, di tutto si può
quasi vivere tanto possono riempirci e nutrirci.
In ogni dove vi è bellezza, armonia, lirica, poesia e preghiera.
Scrivo queste righe verso la fine del lungo inverno 2005-6, un inverno che mi ha felicemente riempito il cuore con il
suo freddo, con le sue giornate di nebbie soffuse, dolci ed avvolgenti, intervallate ad altre di caldo sole ma
straordinariamente fredde o ancora quelle meravigliosamente bianche, nevose ed umide o le altre ancora
pesantemente piovose, tutte bellissime, con le loro notti imperiosamente gelide e tanto spesso limpide e pulite.
Ho gli occhi ed il cuore pieni della inebriante bellezza di questa natura invernale con quegli alberi spogli che si
impongono come non mai, che si allungano al cielo ed aggrappandovisi lo penetrano, silenziosi, discreti, quasi umili
invocanti presenze che cercano di legare terra e cielo.
Tutto, dicevo di una bellezza toccante, coinvolgente e sconvolgente, tanto che mi piacerebbe in eterno “essere” tutto
ciò al contempo, essere quella Vita.
43
prima parte
La asperità di una vita che forse è connaturalmente lotta, almeno fino a che non sapremo vincere la diabolicaseparazione che forse però ci fonda, mi faceva dire che potevo anche non cercare più, così tenacemente, di “ritornare
da questa parte”.
Gli altri spazi e le altre dimensioni possibili penso e spero possano essere ben superiori a quanto la comunque
straordinaria e comunque sempiterna vita fisica umana può dare.
Penso e spero che quelle dimensioni possano “essere”, nel tempo e fuori di esso, nello spazio e fuori di esso, tutta
assieme la straordinaria bellezza della natura con tutti i sentimenti che essa può provocare ed ancora molto, molto
più.
Spero e credo che, persi nel Tutto, in esso spenti, si possa finalmente Vivere ed essere, senza “essere in noi stessi”,
quella straordinaria bellezza Armonica che è l’Assoluto, il ”fuoco divino” che tutto crea e tutto distrugge :
< Jhwh tuo Elohim è Fuoco che divora.. >(Dt 4.24)
Un “fuoco” che è “pozzo” di acque di Vita, fisica e spirituale assieme, un fuoco e pozzo che è Assoluto, Jhwh :
pozzo che è possibile all'uomo vedere e contemplare ma in cui veramente difficile è entrare :
< vi sono molti intorno al pozzo, ma nessuno nel pozzo >(vangelo di G.D.Tommaso l.74)
Faccio qui un breve inciso per dire della supposta ed apparente inconciliabilità tra il “desiderio di
vivere i sensi e la materia”, ben inteso senza cadere nell' “io-materialità”, e, con termini di Nietzsche, il
“desiderio di vivere il mondo oltre il mondo” ovvero il desiderio di vivere e sentire esclusivamente di
un mondo “oltre” il reale materiale.
Da prima vuole sottolineato che il termine “desiderio” è improprio e fuorviante: in entrambi i casi
infatti l' “io”, ho precisato, non può esservi e poiché solo un “io” può “desiderare” sarebbe più
corretto parlare di “bisogno e necessità”: queste non necessitano infatti obbligatoriamente dell' “io”.
Ebbene questa supposta ed apparente inconciliabilità tra “bisogno e necessità” di vivere i sensi e la
materia e “bisogno e necessità” di vivere e sentire il mondo dello spirito, si trascinerà a lungo nei miei
pensieri e solo alla fine di questi scritti si dissolverà.
Ora, la inconciliabilità tra “questo” desiderio-bisogno di sensi e materia e l'analogo “desideriobisogno” del mondo oltre il mondo, si dissolverà proprio nella “apparenza”: si dissolverà nella
apparenza della “lontananza” e della “separazione” tra Spirito e Materia.
Lontananza e separazione inesistente tutto essendo Uno e Unità, non unione.
Sarà questa visione, caratteristica del mondo antico tutto sino al VII-VIII secolo aC , caratteristica
messa in luce nuovamente da Nietzsche, a conciliare questi due “desideri-bisogni” apparentemente
inconciliabili.
Con parole difficili e poco comprese Nietzsche cercherà di fare vedere “divini” sensi e spirito assieme
dicendo, con parole che scuotono se non comprese:
< ..anima è solo una parola per qualcosa del corpo.. >
VERSI DA SCOPRIRE
Su quella “coscienza di sé” cui più sopra ho accennato assimilandola a quell’”io” che tanto ho criticato, ho trovato,
grazie al solito “caso”, righe bellissime nel libro ”Interpretazione di Dante” di Giuseppe Pastina.
Per Pastina infatti Dante indica la < Coscienza di sé > come il vero “peccato originale”: un < ..peccato d’origine e
vera Divisione il cui compimento, in quanto Coscienza di sé, è la Morte...>.
Coscienza di sé e Divisione <..la cui non-rimemorazione dà origine alla guerra, palese o nascosta...né cuori..>
dell’uomo.
Mi ha fatto piacere trovare in questo testo su Dante buona parte delle considerazioni che nel mio cercare avevo
intravisto; qui certo meglio esposte ed approfondite.
E naturalmente mi ha fatto piacere scoprire questo Dante e vedere finalmente oltre le armonie dei suoi divini versi.
Mi ha fatto piacere, sempre con parole di Pastina, vedere qui un Paradiso che non può essere conosciuto dall’uomo
perché l’uomo non può avere accesso a :
< un mondo sulla base della cui negazione si è costituito egli stesso come uomo >.
Mi ha fatto piacere vedere che, per questo Dante:
< ..l’uomo per vivere deve eliminare l’Altro e la nascita dell’uomo è l’oblio della Esperienza della Origine.. >.
Finalmente per me in questi commenti di G. Pastina, uno straordinario e bellissimo Dante.
Ma ben altro, più oltre nella Dodicesima Parte di questi scritti, arriveremo a “scoprire” su questo grandissimo poeta,
sulle “bestie” della sua “Commedia”, su ciò che Dante ha saputo vedere e voluto consegnarci.
44
prima parte
Chiudo questa prima parte riportando un detto del vangelo di Tommaso, di quel Giuda discepolo di Gesù
soprannominato Didimo e Tommaso, il “gemello” spirituale di Gesù.
Aggiungo poi un brano tratto dai documenti messi in rete dal sito del “ Cerchio Firenze 77”, brano dettato da una
delle entità in comunicazione.
Vangelo di G.D. Tommaso l.50
Gesù ha detto:
<Se vi domandano : “ Di dove venite?”, rispondete loro: “ Siamo usciti dalla luce,
di là dove la luce si origina da sé stessa.
Essa è sorta e si è manifestata nelle loro “Immagini”.
Se vi domandano : “ chi siete?”, dite:
“ Noi siamo i Figli e gli Eletti del Padre Vivente”.
Se vi domandano:“ Qual è la caratteristica del vostro Padre che vive in voi?”
rispondete loro:
“ E’ allo stesso tempo -movimento e quiete-”.
Chi è Dio
Egli non è il Dio di Abramo, né di Confucio,
non è Brahma, non è il "Padre” del Cristo, né l'Allah di Maometto. Non è né bene né male,
non è amore contrapposto all'odio, non è giustizia, ma non è parzialità,
non è misericordia, ma non condanna.
Egli è al di là del gioco dei contrari, ma essendo la "somma pienezza"
E' tutto ciò che vi manca: amore per chi non è amato, beatitudine per chi soffre, Tutto per chi nulla è.
Egli è l'Uno che appare come molteplice, ma non è l'apparenza, perché
"E' ciò che E'".
E' Infinito perché l'Unico, Eterno perché immutabile,In realtà indivisibile perché in realtà è il solo che esiste.
Egli è completo, perché è il Tutto che Tutto comprende,
ma non è il Tutto, perché il Tutto trascende.
Egli è Assoluto Sentire ed Essere, nostra reale condizione di esistenza.
Invoco lo Spirito che è in voi,il solo capace di dare senso al mio misero balbettare.
In verità siamo nel seno di Dio, costantemente con Lui in contatto.
Da Lui alimentati, ognuno esprimente un grado di coscienza e quindi con una propria libertà e responsabilità,
nonostante che Dio non sia una persona distinta da tutto quanto esiste,
e nonostante che la Realtà sia razionale.
Dio non parla agli uomini alla maniera narrata dalle Antiche Scritture,
non gioca con loro a nascondersi per farsi intravedere di tanto in tanto da qualcuno, ma ininterrottamente
ci comunica l'esistenza e indiscriminatamente si rivela in ciascun essere alimentandogli il sentire.
Il rapporto fra Dio e l'uomo non è quindi saltuario e di pochi, ma intimo e totale.
E' l'ora che vi stacchiate dalle figurazioni immaginifiche, delle religioni che vanno bene per
l'uomo mentalmente bambino altrimenti l'intelligenza sarà solo dell'ateismo.
E' l'ora che prendiate coscienza del fatto che la realtà materiale e spirituale sono una sola cosa
e soprattutto che questa unica realtà è assolutamente razionale.
Una nuova era sorge e l'uomo esce dal confuso mondo del fanciullo
per entrare in quello più consapevole dell'adulto.
Per voi è già l'alba del nuovo giorno!
Pace a voi!
KEMPIS
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seconda parte
SECONDA PARTE
DELLA VERITÀ
Come dicevo ho iniziato questi scritti soprattutto per lasciare la testimonianza dei “Ricordi ed Eventi” esposti ora
qui nella "Ultima Parte" di questi scritti, ma lo sviluppo che ne è seguito mi porterà infine a vedere ben più
importante la analisi-esegesi delle parole di Gesù che, a me obbligata, ne seguirà e che qui inizia.
Una analisi-esegesi che pur nata per e grazie a quei personali ricordi ed eventi è da essi completamente indipendente
ed ha quindi una sua propria ed autonoma validità.
Le mie esperienze e ricordi, in quella analisi, non avranno altro peso che quello di una testimonianza di scarso, o
forse anche nullo, valore ed interesse.
Devo anche avvisare che portarsi a “capire”, e non dico “accettare”, questa ricerca e analisi non è e non sarà facile
ad alcuno, oggi: è necessario uno sforzo enorme e coraggioso, serve mettere da parte e momentaneamente cancellare
quanto, per istruzione sopratutto e non solo cristiana, ma anche un po' per natura, noi pensiamo in merito a questi
argomenti: anche solo “capire” è opera difficile.
È sforzo enorme e coraggioso per tutti ma certo lo sarà in modo particolare per chi si è molto “in-formato”
religiosamente, per chi è stato “vestito” di insegnamenti che sono divenuti “sua identità”: difficilissimo è stato anche
per me che pur non avevo ricevuto che un debole e parrocchiale “catechismo cattolico” ma che come tutti in questo
nostro occidente comunque avevo “respirato” una “cultura” che -nasce da insegnamenti cosiddetti “monoteisti”-.
Prima di iniziare il racconto di questo altro tratto di cammino, cammino che come detto si svelerà in un “non
cammino”, racconterò di un episodio che con piacere riporto e ad esso poi mi allaccerò per qualche primo
approfondimento e domanda.
Nel periodo in cui ho iniziato le mie prime riflessioni e considerazioni, fatte, seppure non solo, particolarmente
grazie alle prime letture del vangelo di G.D.Tommaso, ho voluto ringraziare il prof. Mario Pincherle per la sua
traduzione, bella ed ispirata, di quel testo. E' un testo che ho molto apprezzato e grazie al quale avevo finalmente
cominciato a vedere il Gesù che cercavo, per questo gli ho scritto allegando alla mia lettera anche gli episodi, i
"Ricordi ed Eventi", in queste pagine riportati.
Con mia grandissima sorpresa e con immenso piacere egli mi rispose, telefonandomi, per ringraziarmi di quanto
inviatogli e per incoraggiarmi a proseguire in questo lavoro al fine di fare di essi uno scritto più organico e
completo.
Ebbene in quella prima telefonata egli, dopo quanto sopra e dopo essersi augurato che finalmente la gente potesse
“svegliarsi”, mi chiese come facessi a sapere che il diametro di quel “cuore invisibile” del mio 7° episodio, fosse
proprio di 7/8 cm, cosa che, a suo dire, risultava anche da sue ricerche e studi.
Rimasi esterefatto.
Devo premettere che, su quell’episodio in particolare, io non mi aspettavo che alcuno arrivasse a prenderlo in
considerazione se non come pura, semplice e rispettosa, presa d’atto.
Lascio quindi immaginare la mia sbalordita meraviglia a quella immediata e spontanea domanda che egli mi rivolse
e che portava questo argomento, che io vedevo così delicato e difficile, ad una normalità disarmante.
Risposi naturalmente che ritenevo di avere buone capacità di valutazione dimensionale, cosa peraltro non certo
eccezionale, e di ricordare bene quanto verificatosi nella più recente manifestazione di questo fenomeno.
Ancora più sbalordito però rimasi alla sua affermazione che questi “cuori” erano stati da lui fotografati e che egli
aveva della documentazione in merito.
Incuriosito e quasi incredulo per quelle parole gli chiesi di potergli fare visita per vedere quelle fotografie alcune
delle quali in seguito ho quindi personalmente potuto visionare.
In occasione di quella visita che feci, con mia moglie, al professore, ci soffermammo naturalmente per alcune
considerazioni sul testo che gli avevo inviato.
Egli prese quel documento e vidi che su di esso aveva fatto alcune sottolineature, la più importante, che rimarcava la
sua grande attenzione per l'argomento, era proprio apposta sull'episodio del “cuore invisibile”.
Mentre sfogliava quelle pagine mi accorsi di un altro appunto molto marcato: vidi che egli aveva apposto un ben
evidente NO! a quelle poche righe in cui io scrivevo che “mi sembrava di trovare, al fondo delle varie credenze
religiose, una sostanziale uniformità”.
Io evitai di entrare in argomento per non aprire una discussione che mi vedeva completamente impreparato.
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seconda parte
Pur senza chiarirlo in modo esplicito, in quella affermazione io mi riferivo a quel “sentire” dell'uomo che le religioni
tutte ha fatto nascere: un “sentire” che però portandosi alle “descrizioni” dell'Assoluto prima ed alle “religioni” poi,
aveva finito per perdersi soffocato da “costruzioni” e “riti” che finivano per sembrare, e certo spesso anche essere,
lontanissimi fra di essi.
Quel “NO” del professore su quelle poche righe è rimasto a me particolarmente impresso ma, se pur incerto ed
insicuro, continuavo a pensare e sentire come esatta quella mia imprecisata percezione ed affermazione.
Nel cammino di ricerca ed approfondimento poi intrapreso e che molto a lungo nel tempo si è protratto, la
argomentazione testimoniata e la sottolineatura di quella “primitiva unità sostanziale” di “saperi e credenze” che
uguale, pur certo in dissonanti voci, si trovava in tutte le culture della antichità, è stato uno dei miei obiettivi.
In occasione di quella visita al professore, presi alcuni altri libri da lui dati alle stampe, testi, e sua attività, dei quali
ignoravo l'esistenza : tra questi vi erano le sue traduzioni dei testi di Enoch.
Di Enoch io non conoscevo né sapevo nulla ma lessi quegli scritti con interesse e credo che, seppur
inconsapevolmente, essi mi abbiano aiutato in quelle analisi su Gesù che avevo iniziato ma, devo dire, solo molto
avanti in questo scritto mi accorgerò della strettissima vicinanza di quella tradizione con Gesù.
LE VERITÀ UNIVERSALI DEL MONDO ANTICO E DI GESÙ
MISTERI E PARABOLE
Il mondo antico non ha mai visto l'insegnamento aperto e sistematico della Verità così come è oggi attuato dalle
“Religioni”: gli insegnamenti erano nascosti, “esoterici”, “misterici”: “mistero” essendo, anche etimologicamente,
“cosa segreta”. Ma "segreta" perché "non si sa capire”, perché serve aiuto, preparazione e disposizione per poterla
capire, e non già "segreta" perché "non si può capire".
Erano Verità ed insegnamenti che, almeno sino al 500 aC circa, erano consegnati e trasmessi con molta cautela,
discrezione e selettività: si trattava di approfondimenti della Verità seguiti, insegnati ed accuditi in ambienti
relativamente ristretti.
Così è stato per l’Egitto, per la Mesopotamia, per le civiltà Indo-Aria e Greca e quasi certamente per tutto il mondo
antico sino a quel periodo.
È stato poi il cominciare parlare e scrivere di queste Verità anche a chi non poteva comprendere che ha portato a
fuorviare e confondere l'umanità intera: l'uomo non ascolterà più Dio e non parlerà più l'unica universale lingua del
“cuore”, a quel “sentire” si sostituiranno tanti nomi e rappresentazioni che infine confonderanno quell'uomo.
Ma tutto doveva avere il suo corso: sarà l’opera di quel < mistero dell’iniquità > di cui dirà anche Paolo (2Ts 2.7)
riprendendo, senza comprenderlo, ciò che era in Enoch e nelle Scritture ma che era ugualmente visto nei tanti testi
Apocalittici, etimologicamente “Rivelazioni”, che tutto il mondo antico ci ha consegnato; testi contemporanei ma
anche molto antecedenti ad Enoch e Scritture.
Nasceranno, su quelle incomprensioni, le “religioni”.
E con la nascita delle “religioni” istituzionalizzate ed organizzate gli insegnamenti più profondi e veri di quella
Verità passano alla quasi clandestinità ed alla marginalizzazione: quel primordiale “sentire” che restava molto
uniforme in quei primi elitari approfondimenti sarà sempre più nascosto.
Le religioni “non potranno” più “conoscere e riconoscere” tali Verità finendo poi per soffocarle e per uccidere
spesso, con esse, anche chi le ricordava.
Nasceranno “sacerdoti” che a tutti elargiranno “misteri” : <..dispensatore di misteri.. > si impegna ad essere il
sacerdote cattolico sulla base di 1Cor 4.1, ma non già “misteri-verità-segreti da capire” bensì “misteri-sacramenti
della tradizione-cose che non si possono capire”, misteri da non capire e che chiedono solo “fede-credenza”.
Le tracce di una precisa volontà che tende a celare ed a tenere nascosta una Verità che chiede preparazioneiniziazione sono, dicevo, antichissime. Ne troviamo chiari riferimenti nelle Upanishad (8-700 aC) ma già nel
PerEmRa Egizio (2000 aC) troviamo:
< (defunto:) Ho visitato la città Sacra di Djedu, ma su questo argomento manterrò il silenzio..>(PeR cap.CXXV)
< Io recito le parole degli Iniziati >(PeR cap.XXXVIII)
< Io sono stato iniziato ai Misteri..ma non lo paleserò agli uomini >(PeR cap.CXIV)
Si vede qui il riferimento a “Misteri Iniziatici” che ritroviamo poi nella Grecia dei Misteri Orfico-Eleusini e nella
Roma Imperiale del mesopotamico dio Mitra ed anche qui sempre sarà mantenuta la stessa ferrea “segretezza” che
si imponevano già gli Egizi.
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seconda parte
Volontà e Verità quindi antichissima ed universale quella della “segretezza”: anche nel “Racconto della creazione
dell'uomo”, testo Sumero-Accadico qui riportato nella traduzione di S.N.Kramer (Uomini e dei della Mesopotamia,
n.39), testo databile al 1500 aC circa, in chiusura del testo viene detto:
< E' questa una dottrina segreta: non se ne deve parlare che fra competenti >
In Grecia Platone, 500 aC, e lo Stoico Crisippo (280-205 aC), dicevano:
< si possono scrivere Verità soltanto per coloro che già sanno >(Platone-Fedro)
< i ragionamenti..sugli dei..bisogna insegnarli alla fine..
quando l'anima sa tacere con i non iniziati >(Stoici Antichi,tutti i frammenti -Bf 1008)
E Filone Alessandrino, contemporaneo di Gesù, dirà :
< Questi fatti, o iniziati che avete purificato le vostre orecchie,
accoglieteli nelle vostre anime come autentici sacri misteri, e non chiacchieratene
con alcuno dei non iniziati..> (Filone Alessandrino, De Cherubin XIV.48)
Gesù, sebbene poco questo fatto sia sempre stato evidenziato, sarà anch'Egli su queste posizioni: Egli parlerà
“segretamente” ovvero con parole da capire, parlerà spesso in “parabole” che “non vorrà spiegare” e chiudendo
spesso sbrigativamente e seccamente le sue parole con quel duro <..chi ha orecchie per capire capisca..>.
Ma non solo, anche nelle Sue parole :
< Non date le cose sante ai cani e non gettare le vostre perle davanti ai porci > (Mt 7.6)
si vede la volontà e convinzione che non si può dire della Verità a chi non sia pronto e preparato.
Sottolinea giustamente G. Pico della Mirandola nel suo “De hominis dignitate” :
< Il rendere manifesti i più segreti misteri...della divinità, nascosti sotto la scorza
della Legge ed il grossolano vestimento delle parole, non sarebbe come dare le cose sante ai cani e spargere le
perle fra i porci ? >
Stessa verità e certezza, qui traslata ad un < pane > che, miracolo-dimostrazione-insegnamento, più che Verità in sé
è quanto serve a “portare” alla Verità chi ad essa dovrebbe essere preparato ovvero i Giudei, troviamo poi in queste
altre parole di Gesù :
< Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini >(Mt 15.26)
Atteggiamenti e convinzioni che possiamo vedere anche nella voluta rinuncia ad ogni scritto da parte di Socrate
prima, e poi di Gesù e delle scuole filosofiche Alessandrine fino a Plotino ed ancora poi di alcuni molto più recenti
maestri Cabalisti Ebraici: tutti non hanno volutamente lasciato alcuno scritto. Ma anche chi scriverà, come il
contemporaneo di Gesù Filone Alessandrino (20aC-50dC), non potrà esimersi dal dire:
< Questi fatti, o iniziati che avete purificato le vostre orecchie, accoglieteli nelle vostre anime come autentici
misteri e non chiacchieratene con alcuno dei non iniziati..>(De Cherubin XIV.48)
Anche nella Torah tutto è straordinariamente “nascosto ed allegorizzato” per gli stessi motivi di necessità di
segretezza, motivi che porteranno anche Omero ed Esiodo a dire “mitologicamente” della Verità da essi respirata.
Ed è con questo “sentire” che Isaia, parlando comunque di un apocalittico accadere, di un Servo-Messia-Unto che
“è” Verità, con parole qui di Paolo dirà:
<.. lo vedranno coloro ai quali non è stato annunziato e
coloro che non ne avevano sentito parlare, comprenderanno..>(Rm 15.21 - Is 52.15)
Il mondo però vedrà “sacerdoti” che “annunziano e parlano” di una Verità che quindi non può che essere lontana da
quanto visto da chi diceva e scriveva quanto sopra riportato.
Nelle decisioni di Gesù come in quelle di Socrate 500 anni prima e dei tanti altri che non hanno “voluto” scrivere
nulla, si può certo vedere l'aspetto preoccupato, e preoccupante, della consapevolezza del “travisamento” di ogni
parola e scritto: comprese le “scritture” sacre di rispettivo riferimento.
Non si può dimenticare che Gesù cercò soprattutto di “mostrare la corretta interpretazione di Legge e Profeti”
mentre Socrate sostanzialmente cercò, a mio avviso e pur se criticando alcune frasi, di “ mostrare la vera natura,
fuori dall'errore politeistico, degli insegnamenti di Omero ed Esiodo”.
Ma sulla ritrosia al parlare della Verità altri importanti aspetti vogliono sottolineati : quasi certamente più che di
“volontà di nascondimento” si trattava di “accettazione e rispetto” per la “natura” stessa della Verità.
Essa infatti si rivela, come dicono i Veda, le Upanishad, le Scritture, Isaia ed anche Gesù e certo molti altri, a chi
“desiderandola la cerca” e questo significa che la Verità “parla direttamente”, senza mediazioni, senza vicari, senza
la necessità che essa venga detta o spiegata.
Tutto ciò sarà irrimediabilmente e fatalmente rotto dalle “religioni”, quelle cosiddette monoteiste in particolare :
inizierà con esse un cammino tragico per l'umanità, cammino già ben visto in suo ogni aspetto, compresa quella sua
ineludibilità che portava alla conseguente constatazione della superfluità del parlare e dire del Vero.
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seconda parte
La segretezza, il parlare “in allegoria” o “mitologicamente”, come anche il parlare “in parabole” di Gesù, vedevano
infatti la profonda coscienza e consapevolezza, da tutto il mondo antico unanimemente espressa nelle varie
Apocalissi-Rivelazioni, della immanenza ed ineludibilità del “tragico divino accadere” che doveva interessare
l'umanità :
< (Gesù :)..finché i tempi .. siano compiuti >(Lc 21.24)
< (Gesù:)..è necessario che tutto questo avvenga..si solleverà popolo contro popolo...
vi saranno carestie e terremoti...ma tutto....è solo l'inizio dei dolori ..> (Mt 24.6-8)
< ..la violenza dovrà crescere sulla terra..>(Enoch Et. XCII 5) < le cose ..devono accadere >(Ap 4.1)
<.. fra un tempo, tempi e la metà di un tempo ...sarebbe finito colui che dissipa
le forze del popolo santo > (Dn 12.7); < finché sarà completo il computo dei tempi >(Tb 14.5)
IL CUORE INVISIBILE - SE'
Ritornando a quella prima visita che feci al professore M.Pincherle essa, come ho detto, fu dettata dalla mia curiosità
di vedere quelle “fotografie” ( pag.53 ) del “cuore invisibile” che egli mi aveva detto di avere.
Rimasi meravigliato, e anche io naturalmente, come lui, ho “avvicinato” queste “sfere”, invisibili ad occhio nudo e
portate in pellicola a suo dire grazie da un doppio flash particolarmente potente, al “cuore invisibile” dei miei ricordi
che ho qui esposto nella Ultima Parte al Settimo Episodio.
Quel “cuore” che anche per la identica collocazione fisica, che -come nella mia esperienza- è sempre vista e
descritta “centrale al petto”, ricorda sia il “Chakra Anahata” della tradizione orientale che il “Tiferet” della
tradizione cabalistica, ambedue riportabili all’ “anima” occidentale.
Cuore che in ogni caso è ciò, o parte di ciò, che di noi va oltre la morte fisica per quel cammino che non ci è dato
che “intravedere e sentire”.
Tra i primi approfondimenti vi è stato quello di cercare altri riscontri e testimonianze che si potessero collegare a
quella esperienza da me vissuta del “cuore invisibile”, esperienza comprensibilmente incredibile per chi non l’ha
vissuta.
Di “cuore”, evidentemente non fisico, come sede della essenza spirituale dell’uomo, parlano, come oggi, quasi tutte
le religioni e le credenze antiche ed in questo legame vi è anche un primo tassello di quella unità di visione religiosa
del mondo antico cui ho accennato in precedenza, unità che inizierò così ad approfondire.
La genericità e vaghezza che oggi solitamente accompagna questo collegamento tra “cuore” ed “essenza spirituale”
o “anima” scompare, per diventare tema e legame preciso e circostanziato, nelle testimonianze degli Egizi prima
(3000-1000 aC) e poi del mondo Indo-Ario delle Upanishad (700-500 aC).
Nei testi che riporto oltre a ciò si può vedere anche il chiaro riferimento alla localizzazione “fisica” di questo
“cuore”; si vede poi, anche in queste parole, quello slancio e quella profondità spirituale che permea tutta o quasi la
letteratura antica.
In Egitto i testi che ci sono pervenuti, parlano con chiarezza di “due” cuori: verosimilmente due aspetti di un unico
“cuore-anima”, l’uno, il “Cuore haty”, è assimilato e legato al “fisico”, mentre l’altro, il “Cuore jb”, è assimilato o
legato a ciò che è “Sapienza- Spirito” :
< ..Cuore jb di mia Madre, Cuore haty per il quale esisto sulla terra, Cuore haty di tutte le mie forme>
( PerEmRa cap.XXX)
< ..la mia sapienza visionaria, la devo al mio Cuore Jb; la mia potenza magica, la devo al mio Cuore haty.>
( PerEmRa cap.I)
Gli Egizi vedono quindi un cuore “haty”che provoca e permette, grazie alla sua “potenza”, la vita materiale, la vita
sulla terra, tutte le “forme” terrestri : parole che così ci parlano di quanto si lega alla vita “fisica”, forse non solo
umana, al generico riproporsi della vita fisica o forse anche solo delle reincarnazioni.
Il cuore “jb” invece è il cuore col quale si conosce la Verità, quello del “sapere che ti fa vedere” e che è della stessa
sostanza della “Madre” vera, cuore stesso di Essa, dell'Anima Universale.
Questo cuore, o aspetto, “sapiente visionario”, il cuore jb destinato alla prova della “pesatura del cuore”, visto e
simboleggiato dallo Scarabeo Sacro o anche dal Vaso, era dagli Egizi percepito, visto e collocato “al centro del
petto”: in quella stessa posizione in cui era posto lo Scarabeo, o il Vaso, durante la cerimonia di fasciatura delle
mummie dei defunti.
Nei testi delle Upanishad poi si può vedere un approfondimento del tema “cuore-anima” che porta, a mio avviso, a
confermarne la stessa collocazione in quel preciso spazio “fisico”, il centro del petto, che a me richiama con
evidenza l’esperienza da me vissuta.
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seconda parte
Copia di fotografia del prof. Mario Pincherle
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seconda parte
< (nel corpo).. si trova una cavità dalla forma di piccolo Loto.
Nel suo interno c’è un piccolo spazio, ciò che in esso si trova, questo occorre trovare, questo occorre conoscere…
in esso in verità sono compresi cielo e terra, fuoco e vento,…: tutto in esso è compreso >
(Chàndogya VIII,1,1-3)
< Quello spazio nell’interno del cuore, questo è il Purusha (l’uomo) spirituale,
l’immortale, splendente come l’oro.
Quello che pende in mezzo al palato come un capezzolo è il grembo dell’anima > (Taittiriya 1,6)
< l’Atma è l’uomo ( Purusha) interiore che tra gli organi di senso è fatto di conoscenza,
la luce nell’interno del cuore >( Brihadàranyaka IV,3,1-9)
< Della grandezza di un pollice è l’Atman interiore,
che sempre nel cuore di tutti gli esseri è nascosto > (Shvetàshvatara III,8-21)
< Coloro che lo conoscono …come colui che dimora nel cuore, costoro diventano immortali >
(Shvetàshvatara IV,18-20)
Con chiarezza qui viene affermato che quel “cuore invisibile”, chiamato in quella tradizione ma anche in Egitto se
pur qui in minore misura, “Loto”, è il “grembo” di quella Anima, Atma, Purusha, che è stessa sostanza di un
Assoluto-Tutto eterno ed immortale: Brahman.
È, questo “cuore invisibile-anima ecc.”, il Sé, il principio stesso dell'uomo, un Sé che è agli antipodi dell' “io”
individuale e appropriativo di chi cade alla materialità:
< ..con la mente raccolta un individuo vedrà nel Sé ogni cosa,
ciò che esiste e ciò che non esiste..Tutte le divinità sono semplicemente il Sé,
l'intero universo risiede all'interno del Sé..
Egli riconoscerà come essere supremo il sovrano del Tutto, ancor più minuscolo di un atomo,
splendente come l'oro, che può essere afferrato dalla mente addormentata.
Alcuni lo chiamano Fuoco, altri Manu Signore delle Creature, altri Indra, altri Soffio ed altri ancora brahman
l'eterno. Questo Uno, che pervade tutti gli esseri..., fa sì che passino e ripassino,
come una ruota, attraverso la nascita, la crescita e la morte.
Quando un uomo vede così, per mezzo del Sé, tutti gli esseri uguali al Sé,
diventa equanime verso ogni cosa e raggiunge il brahman, lo stato supremo >
(Mànavadharmasàstra 12.118-126,Hinduismo antico, vol.I-Mondadori)
Nel PerEmRa Egizio, in quei testi che sono formule-preghiere, auspici e credenze al contempo, il defunto, quando
nella condizione di “resuscitato”, quando “riportatosi all'Assoluto”, esclama:
<...io sono il Sacro Loto...>(PerEmRa cap.CLXXIV)
L’ Induismo mantiene ancora oggi a pieno queste credenze intorno al “piccolo Loto”, al “cuore invisibile” interno
all'uomo, certezze e Verità che in molte cerimonie vengono ricordate.
Sui termini “Sé” ed “io”, cui spesso si aggiunge anche “ego”, vale la pena ricordare che molta confusione vi è : qui
sempre visti secondo quanto detto ed in linea con la tradizione Indù e non solo, essi, ad esempio, sono usati in modo
esattamente inverso dai teosofisti.
Dell' “io” queste pagine saranno piene mentre poco userò il termine “Sé” utilizzando per esso i termini “cuoreanima” più vicini alla tradizione giudaica e di Gesù.
Qui però ho piacere di riportare ciò che limpidamente sul “Sé” dice Réne Guénon ne “L'uomo e il suo divenire
secondo il Vedanta”:
< Il “Sé” è il principio trascendente e permanente dell'essere manifesto...non è mai individualizzato, né può
esserlo, poiché, dovendo sempre essere considerato sotto l'aspetto dell'eternità e dell'immutabilità, che sono gli
attributi necessari all'Essere puro, non è evidentemente suscettibile di alcuna particolarizzazione, che lo farebbe
“altro da sé stesso”>.
Faccio un piccolo inciso per riportare di cerimonie particolarmente belle ed evocative e che mi hanno
colpito, sono le cerimonie di adorazione, o puja, che si tengono presso il tempio di Sabarimala nel sud-ovet
dell’India. Secondo quanto ho letto, qui i fedeli arrivano al tempio, dopo un lungo cammino nella foresta,
con due noci di cocco, la prima è ripiena di burro fuso e figura e rappresenta l’ Atman, il “cuore invisibile” :
l'anima dell’uomo che ha saputo riempirla della stessa dolce sostanza del Brahman, dell’Assoluto.
La seconda noce, intera, al suo stato naturale-materiale, figura e rappresenta il cuore-anima immerso
nell’“io-materialità”.
Il tempio è posto alla sommità di una scalinata di diciotto gradini d’oro.
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seconda parte
Ai piedi dei diciotto gradini la seconda noce, quella che rappresenta l’“io”, viene spaccata per affermare
l’auspicio o la volontà di liberarsi dei suoi errori e certo anche per chiedere, a questo scopo, l’aiuto del
divino.
Giunti poi alla sommità del tempio la prima noce, quella ripiena di burro fuso figura dell'anima riportata
alla propria essenza divina, viene resa, riconsegnata e riportata, all’Assoluto.
Personalmente sono rimasto molto colpito da questa raffigurazione dell’ Atman o Anima, così
straordinariamente vicina alla esperienza da me vissuta del “cuore invisibile”.
La scorza del cocco mi ha infatti con precisione ricordato il “guscio duro” da me percepito mentre l’interno
dolcissimo di quella mia esperienza, è ben ricordato e rappresentato dal burro fuso con cui lo stesso cocco
viene riempito.
La scoperta di quelle antiche testimonianze, e di queste odierne credenze è stata una bellissima sorpresa che
da un lato mi ha, in certo senso, tolto dall’isolamento e dalla angoscia in cui il vivere l’episodio del “cuore
invisibile” un poco mi aveva posto, mentre dall’altro mi ha spinto a continuare in quella ricerca.
Come dicevo in precedenza per gli Egizi il “cuore non fisico”, il cuore Jb legato, portatore, di quell’Anima
individuale ed universale che essi simboleggiano e vedono come Falco-Horus : il legame cuore jb-anima si mette
poi in evidenza anche nel nome: Falco in egizio è “Baieth” nome che viene da “Bai”, Anima, ed “Eth”, Cuore.
Ma quel “cuore Jb” era figurato anche, come detto e con simboli che richiamano altre caratteristiche rispetto al
“vedere” del falco, con lo Scarabeo Sacro ed il Vaso : entrambi dicono del “cuore-grembo dell'anima” e solitamente
venivano utilizzati in modo diverso: mentre il primo era soprattutto posto al centro del petto del defunto durante la
sua fasciatura, il secondo era in particolare raffigurato sulla bilancia di Maat nella cerimonia della “pesatura del
cuore”.
Anche per gli Egizi quindi, come per gli Indo-Ari prima citati, l’Anima individuale, parte e partecipe dell’Assoluto,
era collocata in un preciso spazio “fisico”, un “cuore”, lo Scarabeo o il Vaso per gli Egizi ed il Loto per la cultura
Indo-Aria ma presente, sebbene più marginalmente, anche in quella Egizia: tutti simboli visti e collocati al centro
del petto dell’uomo, la stessa posizione, ricordo ancora, testimoniata nell’esperienza da me vissuta del “cuore
nascosto”.
Su questi simboli e raffigurazioni, straordinariamente belli ed evocativi come tutta la simbologia è, tornerò ancora
con alcune considerazioni e riflessioni.
Quella precisa collocazione fisica e Verità, Egizia, Indo-Aria e Mesopotamica, del “cuore nascosto”, nel tempo si
perderà poi lentamente; nella cultura Greca troviamo qualche traccia di quella credenza solo in Omero che indica
questa collocazione un pò genericamente lasciata al “petto”, dice infatti egli nella sua Odissea:
<.. nessuna però convinse nel petto il mio cuore..> ( Odissea IX,33)
Anche per Omero, comunque, quel Cuore-Anima-Loto che deve guidare l’uomo, cuore diverso da quello carnale,
cuore che vuole ascoltato, è collocato nel suo petto. È un Cuore-Anima, Loto, che è la “vera” casa dell’uomo e che,
ci dice Omero, se mangiato soffocato e perso, porta alla “dimenticanza” dei “luoghi” da cui veniamo :
<..e mangiando del soave Loto, la contrada natia sbandir dal petto..> (Odissea IX,121)
Più tardi nella cultura Greca l’Anima perderà anche questa collocazione lievemente più generica rispetto a quelle
Egizia e Indo-Aria, per divenire semplicemente < incarnata > o < chiusa nel corpo > con Platone, Pitagora ed altri.
La Cristianità adotterà ed erediterà questa ultima più “vaga” allocazione dell’Anima: per essa infatti l'Anima umana
mantiene questo aspetto tardo Greco di entità imprecisata ed incollocata, aprendo così la strada ad un suo sostanziale
allontanamento dall’uomo.
Oltre però ad ereditare questo ultimo aspetto Greco di “vaga collocazione”, non certo positiva, la Cristianità
cambierà, modificandolo profondamente, un “aspetto sostanziale” dell'Anima, positivo e fondante, che la cultura
Greca era riuscita a mantenere: la sua Universalità pur nella singolarità dell'essere umano.
Infatti quell’aspetto che vedeva il legame completo e sostanziale Anima-Assoluto, che vedeva una individualità al
contempo universale, un molteplice che è solo respiro dell’ Unico-Tutto in una parola Uno, scompare nella
Cristianità per lasciare il posto ad una Anima “strettamente personale, dell’uomo”, all'anima di un “io” separato dal
Tutto: la “sostanza” cambierà.
Purtroppo l'Anima così perderà il suo compito: non più presenza della spiritualità “divina ed universale” dell'uomo
essa, “personale e propria”, alla morte fisica dell'uomo dovrà vedersi parcheggiata, più o meno felice od afflitta, in
un tempo che perde senso e diviene e rimane solo attesa di una improbabilissima, per l'uomo d'oggi, “carnale”
risurrezione finale in cui, finalmente, essa ritornerà al “proprio corpo fisico”, seppure forse di “fisicità speciale”.
L'uomo perderà ogni “divina” spiritualità:
53
seconda parte
il < corpo > sarà < spirito e materia > e l'Anima sarà < forma del corpo >(CCC365) mentre il cuore diverrà una
strana < profondità dell'essere in cui ci si decide o no per Dio >(CCC368).
Gli insegnamenti sacerdotali del mondo antico, ciò che “vedevano” gli “illuminati” di tante antiche culture, la
“deità” dell'uomo, scomparirà.
Certo quegli antichi insegnamenti erano cauti, si insegnava a chi poteva capire, ma pure erano chiari: oltre a quelli
sopra citati Egizi ed Indo-Ari, chiare e belle sono anche le parole che qui riporto, databili al 1800 aC circa, che
troviamo nel poema Sumero-Accadico “Atrahasis” o “Grande Saggio”.
Qui la “nascita dell'uomo” è una creazione-manifestazione, peraltro molto simile a quella Biblica, voluta e fatta da
un Assoluto che nei suoi infiniti aspetti prende infiniti nomi.
In modo simile a Genesi in quel testo l'uomo viene visto nascere da < argilla > cui è combinato un elemento divino,
la < carne e sangue > di una divinità : nulla di diverso dal “soffio divino” di Genesi ma nel poema SumeroAccadico però la così -innata- “divinità” dell'uomo è meglio messa in luce:
< Enki (Dio-Assoluto)..si rivolge ai grandi dei: “...(per creare l'uomo) si immolerà un dio...
con la sua carne e il suo sangue Nintu mescolerà dell'argilla: così saranno legati il dio e l'uomo, uniti nella
argilla...grazie alla carne divina vivrà.... nell'uomo (lo) Spirito..>
< Grazie alla carne divina vivrà..nell'uomo, uno spirito che lo manterrà sempre vivo anche dopo la morte, e questo
spirito esisterà per preservarlo dall'oblio >
( S.N.Kramer- Uomini e dei della Mesopotamia)
Vale poi la pena sottolineare che questo tema è anticipato, nella cultura Sumero-Accadica, di oltre 1000 anni rispetto
alla Torah : pur con le differenze proprie dei diversi autori-culture il concetto di base non può non essere
riconosciuto identico.
Ma non è tutto, come più avanti vedrò e preciserò, in quella cultura altri importanti e fondanti “concetti-Verità” si
trovano anticipati, spesso anche nei termini ovvero nell'allegorico modo di esprimerli, rispetto ai testi Giudaici :
ancora, vedremo, un “unitario e primordiale sentire religioso”.
La perdita nella Cristianità di quella iniziale “divinità” dell'uomo che non è divinità “in sé stesso” dell'uomo ma in
quanto “Tutto”, indurrà anche alla perdita di quella antica precisa allocazione fisica dell’Anima.
Tutto ciò ha aperto la strada ad un allontanamento e ad una disaffezione dell'uomo rispetto a temi per lui fondanti,
allontanamento e disaffezione che porteranno ad una vera e propria alienazione nei confronti della stessa vita.
Quella innata divinità dell'uomo infatti, come anche la Verità della collocazione fisica dell'anima fatta da Egizi,
Indo-Ari e Greci antichi ma anche, vedremo, dalle Scritture Giudaiche, oltre a “ricordare”all'uomo il fondante e
teologicamente determinante legame tra Spirito e Materia, imponeva anche una “fisica presenza” che contrastava
quella alienazione : una “presenza” edificante poiché accompagnata dalla “coscienza” di una natura “non
individuale o personale” ma “universale e divina” : Assoluto per natura.
La “invisibile fisicità” ed allocazione cui portava la mia esperienza del “cuore nascosto” io la ritrovavo così in
antichità negli Egizi, negli Indo-Ari e, seppure in modo più labile, nella Grecia Omerica e nelle Scritture ma anche
poi negli insegnamenti sull’albero Sefirotico della Cabala Ebraica ed in quelli, Orientali, eredi della immutata
tradizione Indo-Aria quali l'Induismo.
Più avanti nel tempo vedrò, ne parlerò più oltre, che anche i Sumeri vedevano quello stesso “cuore” in quella stessa
posizione.
Faccio un inciso su questo “collocamento” fisico del “cuore invisibile”, Anima, Scarabeo Sacro, Vaso e
Piccolo Loto o ancora Tiferet per la Cabala Ebraica, per dire che su di esso qualcosa in più forse si può
fare, come ricerca.
I “dolori” al petto che io ho vissuto in occasione di quelle “chiusure del cuore” dei miei ricordi infantili
non possono essere solo miei.
Molte sono le esperienze nelle quali, anche da adulti, in caso di avvenimenti molto toccanti, improvvisi,
che ci “procurano dolore” ovvero che ci fanno “male all'anima”, l’uomo ha una precisa sensazione di
“stretta” al petto.
Normalmente consideriamo questo dolore o stretta al petto come opera dello stomaco o meglio della
bocca dello stomaco, vista la posizione in genere alta e centrale nel petto di questi “dolori” che
percepiamo, ma nel merito i miei dubbi sono molto forti.
È verosimilmente plausibile certo che questi “dolori” nascano dall’interessamento “fisico” dello
stomaco, ma credo sia legittimo chiedersi se essi possano essere provocati ed attivati da quel “cuore
invisibile”.
Ricordo al riguardo che ancora oggi nella tradizione napoletana, ma forse non solo, per dire di una
“grande generosità di animo”, ovvero di quella “compassione” che nasce appunto nel “cuore-anima”, si
parla di “grande stomaco”.
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seconda parte
Dicevo appena sopra che anche per le Scritture Giudaiche si può parlare di “collocamento fisico” dell'anima.
Senza scendere qui nella interessante analisi, che toccherò più oltre, delle “parti” o “stati e stadi” che della “animaparte spirituale dell'uomo” vedono la Qabbalah e lo Zohar ebraici, mi soffermerò su questo particolare aspetto.
In ebraico “anima” è “néfèsh”, ma in origine, non casualmente certo, questa parola designa proprio “la gola, lo
stomaco” . In Geremia quel termine infatti è tradotto secondo questa designazione, come “gola” : nel parlare del
“castigo”, della < distruzione > e “desolazione” che procurerà < l'ira ardente > di Jhwh nei confronti di Isra-El, il
profeta scriverà:
< Ah, Jhwh Elohim, hai dunque ingannato questo popolo quando dicevi: “Voi avrete pace”,
mentre una spada giunge fino alla gola (stomaco-anima ndr) >(Ger 4.10)
Un altro passo, che grazie alla fedele traduzione fatta da Erri De Luca nel suo “E disse”, ho potuto vedere, parla in
questo senso del “cuore nascosto-anima” :
< ..la tua Legge sta in mezzo al mio stomaco.. >(Sal 40.9)
Qui le traduzioni proposte, Cei e non solo, riportano < nel profondo del mio cuore >, traduzione certo errata in quel
“nel profondo” che sostituisce “in mezzo”, ma anche la pur accettabile traduzione in “cuore” senza le dovute
precisazioni diviene fuorviante: il legame di “cuore” con “anima” è chiaro ma si perde completamente il “fisico
collocamento” che suggerisce il termine “stomaco”, e si confonde si porta “ad altro”.
Nella sesta parte di questi scritti, al capitolo sull'anima, vedremo un'altra frase delle Scritture che sottolinea questa
sua collocazione “fisica” .
Questo legame nel “termine”, nella parola, che in Legge e Profeti viene fatto tra “ anima” e “stomaco-gola” non può
essere casuale: esso dice certamente, in unità con le altre tradizioni, Egizie, Indo-Arie, Sumere e non solo, della
collocazione “fisica” dell'anima-cuore invisibile.
Una collocazione fisica che si può intravvedere anche in questa enigmatica domanda che Gesù, per l'antichissimo
Papiro Egerton 2.4 ( anteriore al 150 dC), rivolge ai discepoli :
<..chiuso nel posto rimane nascosto e invisibile e il suo peso è imponderabile ?
E poiché essi erano perplessi per questa sua strana domanda, Gesù, che..si fermò sulla sponda
del fiume Giordano e stendendo la mano piena di [..] lo sparse sopra al fiume.
E allora l'acqua [..] e davanti ai loro occhi produsse frutto [..] >
( I vangeli apocrifi – M.Craveri op.cit.)
Cosa altro può essere ciò che, nell'uomo, deve produrre frutto e invece può essere lasciato “chiuso, nascosto e
invisibile” ?.
Tornando a quella visita che feci al prof. M. Pincherle, con essa, come già detto, scoprii che egli aveva portato alle
stampe molti altri scritti e colsi quindi l’occasione per conoscere alcuni di questi suoi testi.
Oltre alle traduzioni degli importantissimi testi di Enoch, interessante è quanto egli dice su Paolo ma, soprattutto, ciò
che dice sulla piramide di Cheope è assolutamente da non ignorare.
Su questo monumento infatti egli fa, in “La Grande Piramide e lo Zed”, una precisa, scientifica ed inattaccabile
analisi e tesi costruttiva che porta con sé ipotesi che, per l’autore ma non solo, sono particolarmente fondate ed
interessanti sul significato e la funzione di quel monumento.
ZED - L'ETERNITÀ
Punto di partenza imprescindibile per ogni approfondimento sul significato della piramide di Cheope, è la grande
intuizione del prof. M. Pincherle su quelle stanze racchiuse al suo interno, quelle camere in granito spianato e
lucidato solo nelle parti poste a soffitto.
Sono infatti “stanze” che egli vede, assieme alla sottostante cosiddetta “Camera del Re”, come parte dello Zed o
Djed, torre sacra Egizia che testimonia di antichissime credenze. Dice il prof. Pincherle:
< lo Zed è il più sacro tra i simboli Egizi, esso rappresenta Osiride,
..etimologicamente il suo nome significa “Eternità”>
Lo Zed o Djed quindi è la raffigurazione dell’ Eterno, dell’Assoluto, è il modo in cui gli Egizi, in tempi forse lontani
dalla nascita della scrittura o forse solo per testimoniare senza la contaminazione dalla parola, descrivono Il Dio, la
Vita Eterna: la figurazione di un Assoluto che troviamo richiamata in tanti documenti assieme alla sua “città”, al suo
dominio o Regno, Djedu.
Questa intuizione e scoperta del prof. M. Pincherle, suffragata come egli ricorda da un testo medioevale dello
scrittore arabo El Masudi che dice:
< la piramide (Cheope) non è una tomba, essa nasconde una parte molto più antica >
è una intuizione e scoperta che porta ad una vera rivoluzione su ciò che rappresenta la Grande Piramide.
In quelle “stanze” racchiuse all’interno della Grande Piramide, come nota il professore, è certamente riconoscibile
ciò che viene descritto nei libri di Enoch, gli importanti testi della tradizione Giudaica datati dal IV al I secolo a.C.
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seconda parte
ma quasi unanimemente ritenuti molto antecedenti e legati a tradizioni pre-bibliche (800-1200 aC) ricordate già
nella Torah datata al VI-IV sec. aC. Dicono quei testi:
< Quattro cavità vuote, profonde, ampie e molto levigate: tre di esse sono buie e una luminosa e in essa vi è una
vasca di acqua proprio nel mezzo > ( E.Etiopico XXII).
La frase riportata è precisissima e descrive con fedeltà le camere dello Zed interno alla Grande Piramide sebbene
non parli esplicitamente di questo monumento e sia anzi ritenuta lontana da ogni tradizione Egizia.
Ma se anche, in Enoch, non si volesse vedere il preciso riferimento alle stanze dello Zed interno a Cheope, si dovrà
comunque convenire che entrambi, Enoch e lo Zed, ci parlano della stessa Realtà, l’uno con parole e l’altro con il
linguaggio primo degli oggetti.
Più avanti, sempre in Enoch, si racconta che in quelle cavità:
“..si riuniscono le anime dei morti…Tre di esse sono fatte in modo che i morti possano stare separati.
Una cavità è stata fatta per gli spiriti dei giusti ed è quella nella quale vi è la Vasca di acqua chiara”
( E.Etiopico XXII).
Sempre secondo i testi di Enoch alle altre cavità, chiuse, sono destinati < empi e peccatori > secondo una precisa
separazione, per gravità, che più avanti nel testo approfondiremo.
Non penso naturalmente che le stanze dello Zed interne a Cheope abbiano questa universale “funzione” per le anime
dei trapassati, funzione cui una lettura estremizzata di Enoch potrebbe portare, sicuramente però oggi, come allora,
esse sono simbolo e testimonianza di quelle profonde credenze e Verità.
Grazie alla intuizione del prof. Pincherle, Cheope e lo Zed possono quindi essere viste quali testimonianze di una
credenza e di una fede che “vede” il ritorno dei “giusti” alle “acque” dell’Assoluto, fede peraltro evidenziata e
dichiarata anche nei tanti testi Egizi che da non molti anni siamo riusciti a tradurre.
“Acque” che ovunque nel mondo antico si ritrovano testimoniate con grande unità, seppure nelle diverse specificità,
nei riti e nelle credenze legate anche ai vari “fiumi sacri”, Nilo, Gange, Giordano ecc., o alle diverse “fonti sacre”.
Zed quindi che, con Cheope, è forse la più antica testimonianza delle più profonde credenze e Verità degli Egizi, ma
anche del mondo intero, su quell’Assoluto che è Eternità, il tempo senza tempo, lo Zed che “etimologicamente” è
appunto “Torre del Tempo, l'Eternità”.
Sulle stanze dello Zed interno alla piramide di Cheope, il prof. Pincherle nei suoi scritti mette poi in evidenza il fatto
che la < cavità luminosa con la Vasca d’acqua >, ovvero la “camera del re”, è “aperta” da Oriente ad Occidente,
luoghi tra cui, secondo tutto il mondo antico, pulsa la Vita, l’Assoluto:
< Il Pensiero Vivente che esiste prima che le cose visibili esistano… pulsa in continuazione,
da Oriente ad Occidente e da Occidente ad Oriente > ( Enoch Etiopico)
Pensiero Vivente che significativamente così, con le “aperture tra Oriente e Occidente” che vede la cosiddetta
“camera del re”, nello Zed è figurato “aleggiare”, come dice Genesi, sulle “Acque celesti”, le < acque chiare > ci
dice Enoch, contenute nella Vasca senza coperchio che è posta in quella stanza.
Acque che sono un unicum tra “forma e sostanza”, tra “il visibile e l'invisibile” qui espressi dalla Vasca e dal suo inoccluso spazio “interno” : un unicum “in cui” non esistono diversità e differenze, ci dice quella “Vasca”.
Questa -unità ed indifferenza- tra ogni “forma e sostanza” e tra il visibile e l'invisibile, materia e spirito, nello Zed è
infatti straordinariamente figurata ed espressa nei volumi che, come ben sottolinea il professore, sono esattamente
identici tra la cavità della Vasca, e quindi tra le invisibili ed eteree acque che essa contiene, ed il contenitore ovvero
il granito che forma la Vasca, ciò che è visibile e materiale.
E proprio a quella stanza “aperta” tra Oriente e Occidente, agli spazi di un Assoluto che muove circolarmente,
proprio a quel “luogo”, all'Eterno pulsare, alla Eterna Vita, i testi di Enoch, come detto, vedono destinati i “giusti”.
Il MOVIMENTO CIRCOLARE, la SVASTICA e la CROCE
Apro qui una parentesi sul movimento circolare, l’eterno pulsare della Vita, dell'Assoluto Uno, il movimento
continuo visto da tutto il mondo antico e con chiarezza espresso anche in Enoch, movimento per tutti riflesso nella
circolarità cosmica di cui il Sole, in particolare, ci dà la prima evidenza : per tutto il mondo antico il Sole rispecchia
il movimento continuo tra vita e morte, tra atto e potenza e tra manifesto e non manifesto : movimento tra opposti
che sono legati, che sono Uno.
In Enoch Slavo, XXIV troviamo:
<..Io solo (Jhwh) esistevo fra tutte le cose invisibili e mi muovevo come il sole
da Oriente a Occidente e da Occidente a Oriente..>
Ma di questo stesso movimento circolare ci dice anche la Torah :
< (Giacobbe) ..fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo;
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seconda parte
ed ecco gli angeli di Elohim salivano e scendevano su di essa...> (Gn 28.12)
Questa visione dell'Assoluto, questo movimento circolare, questa sorta di “respiro” divino che vede la vita nascere,
manifestarsi, e poi riportarsi al principio, vita e morte che sono Vita, che sono aggregazione e disaggregazione,
circolarità che, “fuori” dal -tempo e dallo spazio “finito” di ogni “ente”- e “nel” –tempo e spazio infiniti
dell'Eterno/Vita- sostanzialmente immobile, quale circolo, Eternità, è visto e suggerito in gran parte del mondo
antico. È visto in Egitto e nell'area Mesopotamica dove il Sole viene portato a simbolo di questo Assoluto :
< Onnos è uno che ritorna. Egli va ed egli viene con Ra,...
egli distribuisce i Ka e ritira i Ka , egli spartisce danni e allontana danni >
< ..e tu esci..,Onnos, al cielo e ti inerpichi su di lui in questo suo nome di “scala”..
Onnos è proprio quegli che ha creato e che ti crea..>
(Testi religiosi Egizi – Tea 1988- Testi delle Piramidi n.258 e n.306,307)
Similmente sarà visto nella Grecia di Omero dove sono le acque del fiume Oceano che scorrono attorno alla terra in
modo circolare tra Est e Ovest unendo e tenendo il mondo della materia con quello dello spirito.
Tra i principali insegnanti del “movimento circolare Uno-Assoluto” vi sarà Eraclito (Efeso 535-475 aC) del quale ci
restano solo frammenti della sua opera, persa, titolata “Sulla Natura” ( Natura dell'Essere ndr ) .
Con testi tratti da “Eraclito-I frammenti e le testimonianze” a cura di C.Diano e G.Serra, e da “I Presocratici” a cura
di H.Dielz-W.Kranz, Eraclito dice :
< La via in su e la via in giù sono una e la medesima >(fr.31 Diano-Serra)
<..da tutte le cose l'Uno e dall'Uno tutte le cose >(fr.19 Diano-Serra)
Ancora poi Eraclito ci dice che quando si sappia vedere correttamente l' Eterno circolare, il greco Fiume-Oceano che
tiene ed alimenta il mondo-terra-materia mai uguale e mai lo stesso si capisce che :
< Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel
medesimo stato..> (fr. 91 Dielz-Kranz),
si saprà vedere che quella “morte” che è l' “io-materialità” non è che “errore-sonno-oblio” di un uomo che è Eternità
assolutamente impersonale, niente e nulla, pur comunque vivente, potendo “definirsi” né dichiararsi “io” che si
muove : questo dirà Eraclito con il suo :
< Nello stesso fiume entriamo e non entriamo, siamo e non siamo >(fr.16 Diano-Serra)
Tutto questo oggi è riportato e ricordato con il noto motto “Panta rei-Tutto scorre” ma, vuole precisato, questa
massima sarà corretta unicamente se intesa secondo quanto appena sopra detto : quello “scorrere” non può vedere
alcuno -fermo- a vedere scorrere ed è questo che Cratilo, discepolo di Eraclito, vorrà sottolineare con la frase a lui
attribuita, che non è che una precisazione del concetto eracliteo e non già una sua estremizzazione, che così recita :
“ non ci si può immergere due volte nello stesso fiume, ma neanche una singola volta “
È superfluo poi dire che anche il “ritorno” di cui ci dicono il mondo Orfico-Pitagorico e quello Indo-Ario, parla
anch'esso della “circolarità” dell'Assoluto. Circolarità CHE è Vista anche nel mondo Inca.
Questa circolarità della Vita, questa “rotazione-movimento tra opposti”, questa Verità, Assoluto e Uno, che tutto il
mondo antico contemplava, nella prima antichità era espressa e figurata con vari simboli: tra i primi, quasi
ancestrale, troviamo il simbolo della Svastica, sorta di “croce” con lati uguali divenuta poi quel “cerchio-ruota”, con
varie figurazioni interne come è ad esempio per il nostro cosiddetto “Sole delle Alpi”, che troviamo largamente
testimoniato.
Nel simbolo della Croce Svastica e del Cerchio-Ruota, si possono vedere assieme :
- il “principio”, nel suo immobile punto centrale da cui tutto si espande e si manifesta ed a cui tutto è legato,
- gli "opposti", il “maschio-femmina” di Genesi ovvero lo “yang-yin”, “spirito e materia” ecc., nelle due linee che
si intersecano, si incontrano e si confrontano,
- la "circolarità" e assieme la “unità Uno” della Vita-Assoluto-Eternità, chiaramente espressa nel “cerchio-ruota” ma
anche nelle quattro barrette terminali della croce svastica che danno il senso della rotazione.
A fianco di queste due figurazioni troviamo poi concettualmente simili la Croce Templare e quella del Regno di
Gerusalemme ma anche, ritengo si possa dire, il Labrys minoico-miceneo. Figure queste tutte che, assieme alla
Croce Egizia, variamente con il segno-figura del “labris” ci mostrano, come ora vedremo, la nozione-concetto-verità
della “unità-Uno”.
Segni di questa simbologia che richiama la “circolarità-unità-Uno di opposti che sono Vita-Assoluto-Eternità”,
molto bella e profonda, penso siano anche i molto più recenti “rosoni” che vediamo sulle facciate di tante chiese
Romaniche o anche Gotiche. Sono, questi, edifici che nascono in quel periodo di fermento Cristiano che vedrà
crescere e consolidarsi il movimento dei Catari, il grande movimento che recuperando aspetti soffocati del
Cristianesimo primitivo si porterà, con l’insegnamento di una reincarnazione espiativo-purificativa, ad una visione
seppur parzialmente e in modo non pienamente definito “ciclico cosmica” dell'Assoluto.
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seconda parte
Croce ansata egizia e Zed
Croce di Gerusalemme e Croce Templare
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Svastica
Labrys minoico-miceneo
seconda parte
Piramide di Chepe e Zed interno
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Centrale, dicevamo, nei simboli di croce Templare, croce del Regno di Gerusalemme, Labrys minoico e Croce
Ansata Egizia, è il segno-figura del “labris”, la figurazione dell'oggetto/strumento in legno o ferro o bronzo, molto
usato in antichità, che con grande delicatezza e con straordinaria forza “lega”, "tiene assieme-unisce" due parti, due
blocchi, di materiale di marmo o legno o altro.
Questo segno-figura è, in tutti quei simboli, chiara espressione di un Assoluto che è l’Uno che vede in sé, legati
indissolubilmente, gli -opposti- tra cui e grazie a cui pulsa la Vita eterna. Il Labris minoico vede, si deve ritenere, la
più pura e semplice rappresentazione di questo Uno-Assoluto.
Nella Croce Egizia invece il “legame-Uno tra opposti” è più chiaro: nella parte ansata si può infatti vedere
richiamato, con la circolarità, un "eterno-spirituale" cui si contrappone il "mortale materiale", il “finito” che è
figurato nella barretta posta sotto in verticale: gli opposti che sono Uno, legati assieme in modo indissolubile ci dice
il labrys orizzontale che li unisce. Croce Ansata Egizia quindi che è figura di un Assoluto-Uno eterna-circolante
unità di opposti, “Maschio-Femmina, Yang-Yin, Spirito-Materia ecc. ecc.”.
Una interessante conferma, ritengo, di quanto detto, lo vediamo nelle figure che, come quella qui riportata a pag. 97,
ci mostrano l’Anima che si è appena librata dal defunto e che tiene in mano una “croce Ansata mancante della
barretta verticale”: da quel momento l’Anima, spirituale eternamente circolante, perde il materiale-terreno ma ad
essa resta l’aspetto di unità-Uno, di divina unità di opposti, il labris.
Questo stesso aspetto di Assoluto-Uno verosimilmente, per gli ambienti in cui nascono, ritengo intendano
richiamare, seppur meno esplicitamente, anche la croce Templare, spesso inserita in un significativo cerchio, e quella
del Regno di Gerusalemme.
Questa bella simbologia però si perderà, non si saprà più vederla e quelle due cristiane croci sembreranno senza
significato: con la cristianità paolina la "Croce" da simbolo-metafora che -mostra- l'Assoluto-Uno passerà
tragicamente ad essere testimonianza di una misterica morte fisica: quella di un Gesù-Dio-Figlio fattosi uomo.
USCITA ALLA LUCE - RITORNO ALL' ASSOLUTO
Tra i principali testi Egizi che mettono in evidenza, con sottili profondità, le più alte ed intime credenze di quella
cultura nei confronti dei misteri della Vita e dell’uomo, vi è il “Per-Em-Ra”, o “Libro dei morti” che letteralmente è
“Uscita-verso-la-Luce”
Parlano, quei testi, del passaggio al “divino”, dell' “approdo all’Assoluto”, alla Eternità dell'Assoluto, ed è da notare
il fatto che essi vedano questo passaggio come “Uscita” verso la “Luce”.
Se per la Luce possiamo ben vedere i collegamenti con la tradizione Giudaico-Cristiana come di molte altre antiche
credenze, più difficile è, o almeno a me è stato, capire il perché della visione di “ uscita” anziché quella di
“ingresso”, alla Luce.
Il tempo mi porterà a vedere la esattezza e la bellezza di quel titolo ed espressione che vuole dire del “passaggio
uscita” di un uomo “caduto e chiuso” nel “buio”, nella “caverna” per Socrate o nella “fiammella” che
“energeticamente consuma” ed al contempo non permette di vedere “fuori del proprio io” per Dante, di un uomo
cioè che è nel “buio dell'io”: caduta o chiusura che sono le stesse di tante altre culture, le stesse anche di cui come
vedremo dice allegoricamente la Torah con un “esodo” che è anche qui letteralmente “uscire fuori”.
Dal buio e dall'abisso ovvero dalla condizione di “chiusura” dell'uomo nel “proprio io”, dice quindi quel titolo, PerEm-Ra, come molti altri miti e testi della antichità, si deve “uscire” per potere andare alla “Luce” dell'Assoluto:
quel passaggio quindi non è una “entrata” ma è l' “uscita” dalla condizione in cui ci siamo posti, una “uscita” che ci
vedrà “nella luce dell'Assoluto” come è per coloro che sanno uscire dalla caverna di Socrate.
Riporto alcuni passaggi del Libro dei morti Egizio con testi tratti dalla bellissima traduzione di G. Kolpaktchy:
< Qui hanno inizio i Capitoli che narrano l’uscita dell’Anima verso la piena Luce del Giorno,
la sua Resurrezione nello Spirito, il suo Ingresso ed i suoi Viaggi nelle Regioni dell’Aldilà.>( I )
< (defunto:) Ecco che, purificato, io giungo! >(CIII)
< Io sono uguale al Gran Dio che produce la Luce del Giorno! Ecco che io sorgo dalle Viscere dell’Universo, e per
la seconda volta io vengo al mondo..
Io ritorno piccolo fanciullo, senza padre > (CLXX)
< Divenuto Spirito santificato, io percorro tutte le Forme del Divenire,
il mio magico Verbo mi dona la Potenza > (LXXII)
< Io sono il dio Tum che creò il Cielo e chiamò alla vita gli esseri della Terra,
io avanzo e genero gli esseri, partorisco gli dei, miei Figli, generando pure me stesso>(LXXIX)
< io sono il Signore della Luce..Il mio nome eccolo:
“Io divengo il Giovinetto.. io divengo l’Adolescente > (LXXXV)
< faccio zampillare le fonti d’acqua per purificare “l’Essere-divino-dal-cuore-Arrestato”(I)
< io sono l’Oggi, io sono lo Ieri, io sono il Domani.
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In verità io sono Rà! Rà, all’opposto, è dunque me stesso!> (LXIV)
< Io sono il signore delle Metamorfosi..poiché in me possiedo, virtualmente,
le Forme e le Essenze di tutti gli dei.> (CLXXIX)
Gli Egizi, come si vede, vedevano un cammino di purificazione delle anime, finalizzato al ritorno all’ Assoluto,
caratterizzato dal passaggio a diversi stadi e stati che, rimasti nel tempo e riportati in molti testi, e così testimoniati
anche in quei documenti, il prof. M. Pincherle così riassume :
<…dopo il corpo fisico, essi vedono il passaggio al fantasma energetico, il Ka, quindi al corpo astrale-anima, il
Ba, e poi al corpo spirituale,il Ku o Jaku, con la sua parte più alta e gloriosa, Saku, fuori dal tempo, eterno.>
Sono cinque passaggi che sono e vedono anche dei contemporanei “abbandoni” e che sono descritti e testimoniati
anche nella cultura Vedica (2000-1500 aC) e poi nelle Upanishad (700 aC) :
<...ciò che si trova nell'uomo e ciò che si ritrova nel Sole è unico.
Chi conosce ciò, quando lascia questo mondo,
dopo avere raggiunto l’involucro fatto di cibo,.. (poi quello) fatto di soffi vitali,
...(poi quello) fatto di pensiero, ...(poi quello ) fatto di conoscenza,
...(poi quello) fatto di beatitudine, vaga attraverso i mondi mangiando a suo piacere,
rivestendo l'aspetto che vuole e canta...
“evviva, evviva, evviva... Io risiedo nel grembo dell'immortalità...>
( Taittiriya Upanishad, III-10)
< l’anima, abbandona il corpo, va nel fuoco, entra nel vento,
(poi) entra nel sole e (quindi) entra nel brahman...>( Taittiriya U. I, 6)
Sono “cinque” passaggi che sono stadi, sostanze, proprietà, funzioni e specificità che sono cosmiche e che si
riflettono nel mondo materiale e nell'uomo; chi vedrà questo parallelismo tra macrocosmo e microcosmo salirà
dall'esperienza del particolare alla esperienza ed al possesso dell'universale:
< ... l'asceta disse: “Tutto l'universo è quintuplice. Al quintuplice si arriva attraverso il quintuplice >
(Taittiriya U. I,7- Hinduismo Antico vol.I-Mondadori)
<..Quintuplice è il sacrificio, quintuplice è la vittima, quintuplice è l'uomo...
tutto ciò che esiste è fondato sul cinque. E ottiene tutto ciò colui che così sa. >
(Brhadàranyaka U. I,7- Hinduismo Antico vol.I-Mondadori)
Omero in Grecia (circa 800 aC) vedeva “cinque” parti, “cinque” componenti dell’uomo che, per la loro natura si
riconducono a quei cinque stati, essenze, passaggi ed abbandoni, esse sono: il soma (corpo), la psiche (ombraanima), il thumos (centro-sostanza affettivo), il fren (centro-sostanza razionale), il Nous (la parte più alta e
spirituale).
Anche qui, con evidenza, si dovranno vedere passaggi, abbandoni e morti: come si lascia e si muore al “corpo” così
dovrà essere per gli altri “stati-sostanze” sino a raggiungere e restare unicamente quel Nous che è Assoluto.
Analogamente la tradizione Cabbalistica Ebraica, con il Raaya Meheimna, trattato pubblicato con lo Zohar, vede
nell'uomo un'anima che deve compiere cinque passaggi:
Dall'iniziale Néfèsh legato alle “funzioni animali” ed al corpo,
si passa al ruah, al vento-spirito, quindi si arriva al Neshamah anima superiore
o “Sè” più elevato, infine si avrà dapprima il passaggio al Chayyah, la consapevolezza della
forza-potenza divina stessa, e poi da ultimo allo
Yehidah nel quale si raggiunge la “unione con l'Assoluto”.
Parla poi di < cinque alberi buoni..che danno l'immortalità > anche il trattato dogmatico cinese detto Trattato
Chavannes-Pelliot : qui essi saranno piantati dal “Messo della luce benefica” che, apocalitticamente, sconvolgerà
“terre intossicate e malvagie” (H.C.Puech, Sulle tracce della gnosi p.414).
Straordinaria similitudine trovo anche con le recentissime comunicazioni del “Cerchio Firenze 77” dove, da una
delle entità in comunicazione, per l’uomo vengono delineati gli stessi “cinque” passaggi ed abbandoni o morti:
“dal piano fisico, a quello astrale, quindi a quello mentale,
poi il piano akasico ed infine i piani spirituali”
Nomi diversi per un cammino identico, un cammino personale ed universale al contempo, la “Uscita verso la Luce”
ricordata nel “PerEmRa”, quei testi dell’antico Egitto che dicono della Verità raccontando di quel “ritorno” : l'uscita
è infatti il ritorno “dalla condizione chiusa” in cui si è entrati, caduti.
Cinque passaggi visti perciò ovunque e che “portano”, “bruciando” ogni illusione e pur “senza portare”, tutto
Essendo, in-esistenti all’Assoluto.
Sono quattro morti quelle viste in questi cinque passaggi, cinque stadi e stati della stessa “essenza”, spazi universali,
spazi dell’Assoluto Uno cui forse si riferiva anche il Gesù del vangelo di G.D.Tommaso che al loghia 19 dice:
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seconda parte
< Felice colui che è esistito già prima di venire all’esistenza!…
In verità avete cinque alberi in Paradiso
che non cambiano né d’estate né d’inverno e le loro foglie non cadono.
Colui che li conosce non assapora le morti >
(Vangelo di G.D.Tommaso l.19)
Di questo cammino, cammino dell'anima, ci dice anche il frammentato “Vangelo di Maria Maddalena” del II
secolo, testo che descrive di un insegnamento su tale cammino che Gesù avrebbe consegnato a Maria Maddalena:
< ..è il viaggio dalle cortecce verso la linfa....l'anima visita i mondi della Collera..
scopre il primo stato che la trattiene. Esso si chiama Tenebra..
la Separazione che è il sonno nato dall'orgoglio,..poi il secondo stato...che si chiama Bramosia..
e il terzo stato..che si chiama Ignoranza..e quindi il quarto stato...che contiene..sette mondi:
Tenebra..Bramosia..Ignoranza..Veleno-Gelosia..Prigione Carnale..Saggezza Ebbra..
Ira di Saggezza...mondi della Collera attraverso i quali l'anima soffoca di interrogativi,
perché la Collera è venuta dalla Ribellione e la Ribellione è Tenebra della Separazione.
L'anima disse:
Tutto ciò che mi soffocava è stato prosciugato e tutto ciò che mi velava l'orizzonte con frontiere è evaporato perché
ho voluto guardarlo..la mia bramosia se n'è andata
e sono uscita dal cerchio dell'ignoranza...ho trovato l'uscita dallo scenario penetrando in un altro scenario...adesso
imbocco la via della quiete.
La quiete annuncia la Pace là dove il Tempo si immobilizza nell'Eternità.
In verità la mia Via è una Via di Silenzio..>
Anche in questo testo l'approdo dell'anima umana è visto al raggiungimento del “quinto stato”.
Con riferimento al “canonico” Nuovo Testamento se da un lato è vero che tra le sue righe non troviamo nulla di
direttamente riportabile a questi aspetti e credenze, dall'altro non possiamo non considerare che in alcuni testi Copti
questi cinque “aspetti” sono messi in parallelo con le “cinque vergini sagge” della parabola evangelica, parabola
ricordo ben poco chiara ancora ad oggi.
In questi testi, secondo quanto ci dice C.H.Puech a p. 413 del suo “Sulle tracce della Gnosi”, si parla di <..cinque
alberi..incrollabili..>, che sono messi in relazione con la condizione Edenica dell'uomo, <..simbolo intellettuale di
cinque potenze..cinque sigilli..> che divengono “propri” di coloro che <..hanno conosciuto tutto..>.
Sono quindi conseguentemente dichiarati quali <..cinque doni..> della Ruah-Spirito Santa e <..cinque membra..>
dell'anima che li riceve e, come detto, è Verità che per questi testi è quanto ha detto Gesù con la parabola delle
“Dieci vergini”.
Il cammino-uscita verso l’Assoluto in cinque tappe è visto anche nel sacrificio Vedico che così ricorda il necessario
cammino di annullamento delle illusioni col “fuoco della saggezza”: sacrificio < quintuplo > infatti recita la
Brhadàranyaka Upanishad ( I,4,17), numero che ritorna poi nella costruzione degli altari sacrificali dedicati ad Agni,
Dio del Fuoco: di cinque parti esso è infatti costituito a somiglianza di un Assoluto ad immagine del quale esso è
edificato.
Anche in Grecia, secondo Plutarco, Apollo come Febo, Dio splendente che rappresenta la trasformazione nel fuoco,
è simboleggiato dal cinque.
Torno nuovamente alle stanze dello Zed ed alle sue pietre, interne alla piramide di Cheope, che così testimoniano e
“parlano” di Verità profonde ed universali come quelle del “ritorno” all’Assoluto.
Esse ne parlano silenziosamente, senza quelle “parole e nomi” che tanto confondono e che nel tempo hanno fatto
vedere “politeismi inesistenti” e nascere “monoteismi apparenti”.
Sì, proprio così, “hanno fatto vedere” politeismi: mi confortano in questo senso le riflessioni sulla civiltà Egizia di
G.Kolpaktchy, civiltà in cui egli non vede alcun politeismo, riflessioni comuni ad altri studiosi e pensatori tra cui
René Guénon che in un suo articolo a titolo “El-Tawhid” ebbe ad affermare:
< possiamo dire che, contrariamente alla opinione corrente, non vi è mai stata in alcun luogo una dottrina che
fosse realmente “politeista”, cioè che ammettesse una pluralità di principi assoluta ed irriducibile >.
Nessun politeismo infatti è rintracciabile nella civiltà Egizia come in quella Indo-Aria o in quella della Grecia di
Dionisio, di Omero o Esiodo.
Dualiste invece, e non monoteiste, sono al fondo le tre religioni che, pur sé dicenti “monoteiste”, vedono Dio o
Allah o Jhwh in contrapposizione e lotta con un Satana che è “altro” dio.
Restando allo Zed con quel monumento, con quel “libro di pietra” che esso è per la lettura in precedenza fatta, si ha
una ulteriore conferma che il mondo Egizio, forse per primo, ha visto l’Assoluto in una circolarità eterna cui l’uomo
partecipa come ogni cosa e come le tante forze o “potenze” che sono state raffigurate nei volti di quei molti “dei”
che unicamente sono aspetti di un Assoluto eterno che muove ciclicamente.
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seconda parte
E quelle pietre dello Zed così, silenziosamente, parlano, figurandola, della Verità del -ritorno- dell'uomo al “ciclico”
Assoluto Eternità di cui parlerà anche Gesù : la Verità della necessità, secondo le Sue parole, della “ conversionecambiamento di mentalità” ovvero la “resurrezione” o “rinascita dall'alto” o “innalzamento dell’uomo figlio
dell'Adam”, dell'uomo prigioniero dell’ “errore della separazione-fariseismo” conseguente alla “caduta all'io”,
dell'uomo caduto nella “in-giustizia”, la “non-unione o non giunzione” con quell’Assoluto che “è Tutto”.
Con queste parole infatti, “conversione-resurrezione-rinascita-innalzamento del figlio dell'Adam”, Gesù come
vedremo dirà della necessità di quel “ritorno dell'uomo all'Assoluto” che tutto il mondo antico prima di Lui ha
sempre visto ed insegnato.
Un ritorno che, nelle tradizioni antico e medio giudaiche, è visto anche quale “ri-memorazione, memoria” di Dio,
dell'Assoluto-Tutto, <..il bene più grande..>(Spec.Legibus I 133; II 171) ovvero <..il principio e la fine di ogni
bene..>(Migr. 56) per Filone A.; una ri-memorazione che sana la “dimenticanza” citata spesso come “infedeltà
umana”.
E nella Grecia di Omero ed Esiodo giustamente si vedeva che la attivazione di questa “memoria”, la dea
Mnemosine, era aiutata dalle muse sue “figlie” : la poesia, il canto, la danza.
È una Verità e necessità, quella del “ritorno, ricordo, resurrezione ecc.” che è stata confusa ed offuscata da quell’
“unico peccato” dell’uomo che si sostanzia nella sua convinzione di “essere in sè”, convinzione che lo porta a
“giudicare” del “bene e del male” e che così, separato dal Tutto-Eternità, lo porta alla morte : “errore” che le
inesatte interpretazioni di Legge, Enoch, Profeti e Gesù, e non solo, hanno rafforzato e sostenuto.
“Essere in sé, ovvero sentirsi -io-, e giudicare” vedendo e decretando “del bene e del male” anziché “non giudicarenon essendo in sé”, con quell’implicito abbandono e distacco dall’ “io” che della “materialità” vive, era infatti il
vero “peccato” che i “giusti”, per le Scritture ed Enoch, sapevano evitare : drammaticamente quest'ultimo
ammonisce :
< Guai a voi che pronunciate anatemi...ogni rimedio sarà impossibile... a voi falsi testimoni..>
(Enoch Et. XCV.4,5)
“Peccato” vero ed unico, il “giudicare”, da cui nascono quei “comportamenti ed azioni” che ci vengono indicati
come “peccati” ma che sono unicamente “conseguenze” di quell'unico “peccato” che nasce dal distacco dell’uomo
dall’Assoluto : la sua “caduta” ovvero la “chiusura nell'io” ed in quella conseguente “materialità” che non va
confusa con la materia o natura.
Caduta-chiusura nell' “io” che Enoch dichiara essere:
< trasgressione della legge eterna (di coloro) che mutano sé stessi in ciò che non erano..>
(Enoch Et. XCIX.2)
Comportamenti ed azioni, i cosiddetti peccati, sono certo legati a quell’ “errore”, sono da esso condizionate ed in
esse l’ “errore” si può scorgere, ma essi non sono “gli errori”.
Di “questo” peccato e di “questo” errore, la caduta e la separazione dell’ uomo nel proprio “io” e nella conseguente
“materialità”, parlano quasi esclusivamente, in forma allegorica, Pentateuco e Profeti.
Parla di questo “errore e peccato” con una precisione ed una limpidezza che non necessitano di chiarimento alcuno
la tradizione Indo-Aria dei Veda e delle Upanishad, tradizioni generalmente anteriori o al più coetanee a Torah e
Profeti.
Ne parlano, nascostamente, i miti Mesopotamici e Greci che sono testimoniati dal 2000 aC sino al 8-600 aC.: più
avanti ne vedremo alcuni esempi.
Assieme allo Zed ed ai molti testi finalmente tradotti parlano in Egitto di questa Verità le narrazioni e figure che
dicono della cerimonia di pesatura dell’anima sulla bilancia di Maat: quella bilancia infatti non pesava
comportamenti ed azioni ma misurava, pesando quel Cuore, Scarabeo o Vaso, “grembo” dell’Anima, quanta parte di
“leggero Spirito” e quanta parte di “pesante materialità” esso conteneva.
Solo senza la “pesantezza” della materialità, solo se costituita di puro Spirito l’Anima sarebbe stata leggera come la
piuma di Maat.
E così leggera e priva di questa zavorra essa tornava all’ Assoluto, all'Eterna Vita pulsante tra Oriente ed Occidente,
tra Spirito e Materia, tra Principio e Manifesto, all' Uno.
Questo ritorno però, dicono la Torah ed Enoch, i Veda e le Upanishad così come anche, molto tempo dopo, il
Corano, non sarà possibile all’uomo che, “caduto nell'io”, continua a nutrirsi di quella materialità cui il suo “io” lo
costringe, all’uomo che pensando di “essere in sé ”, pensando di potere “giudicare e decretare”, diviso e separato dal
Tutto, dalla Vita, morirà.
Ricorda Jhwh nella Genesi:
< ..dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare,
perché …certamente moriresti... >
Anche Enoch ci dice di questo albero, anche quei testi ci dicono che mangiando i frutti di “quella conoscenza”
l’uomo si porta alla morte; nessuna “punizione” e “nessuna deroga”: anche il “giudicare” il prossimo riparandosi
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seconda parte
dietro ai “dieci comandamenti” è un “decretare” decidendo cosa è bene o male e questo lo dice Gesù quando
afferma:
<..siccome dite : “vediamo”! Il vostro peccato resta.> (Gv 9.41)
E' chi afferma di “vedere” che si sente autorizzato a “dire, pensare e decidere”, ovvero a “decretare”, che sia “male o
bene” ciò che accade :
--- altro è il “rispettare” le leggi sociali, dello stato: un dovere sociale, un regolare la materia su cui il Cesare è
sovrano, un Cesare che -dovrebbe- però essere legato all'Assoluto ovvero dovrebbe essere “filosofo” nella socratica
accezione che vedremo in seguito.
--- altro è il “rispettare” dei comandamenti-insegnamenti che, pur in sé divini, se all'uomo “dall'uomo” dati, non
sono anch'essi che legge sociale : questa è opera necessaria forse ad un uomo immaturo ma anche è opera che lo
chiude ad ogni “cercare”, ad ogni vedere-ascoltare, e così subitamente essi si portano a “prigione” per l'uomo stesso:
prigione già ben vista in Enoch : <..una “legge” sarà data.. e sarà…come una prigione..> (EE.XCIII.6). Così nasce
il “decretare e vedere” -bene e male- nell'accadere della vita e nel prossimo, così nasce l' “io”, il pensare di “essere
in sé”, l'errore che mantiene nella “morte spirituale”.
--- altro è il “seguire-vedere-ascoltare” i comandamenti-insegnamenti che in una limpida coscienza il Padre dona, le
<..tavolette celesti..> dice Enoch : visti ed ascoltati in una “innocente-senza io-coscienza” quegli insegnamenti sti
si “con-prendono” e sono “nostri stessi principi”, “stessa nostra natura” ma “non propri”, di alcun “io” e pur nostri
a quel punto saranno. Comportamenti e comprensione che sono propri di chi si porta ad essere, in senso biblico,
“figlio di Dio”, ovvero socraticamente “filosofo”. Questo sarà il solo “corretto, e suggerito, possibile agire”, sarà
“giustizia-armonia” sempre anche se agli occhi che non vedono potrà sembrare male.
La “conoscenza” del “bene e del male” che segue la “caduta all'io”, il decretare di essi, è il contrario esatto di quella
“saggezza”, tanto ricordata nelle Scritture, che solo può salvare l’uomo.
Saggezza che è la stessa che vede la cultura Indo-Aria e sempre la stessa di cui diceva anche l’illuminato Socrate,
molti secoli prima di Gesù, che affermava che:
“saggezza è sapere di non sapere”
Socrate diceva così che “saggezza è il sapere di non potere decretare e giudicare”, del bene e del male in
particolare, come invitano a fare le Scritture e Gesù.
Ma il senso di quei termini che in Enoch come nella Torah, in Profeti ed in tanti racconti mitici, non solo Greci,
dicevano unicamente di tutto questo, di una “caduta” cui deve seguire il “ritorno”, poi è stato travisato, incompreso
e strumentalizzato, certo anche per i limiti stessi della parola, limiti su cui mi soffermerò più avanti.
A questa opera di nefasta seppur ineludibile e divina incomprensione hanno molto lavorato e contribuito, seppure
forse non soli, “Scribi e Farisei” di tutti i tempi come Gesù e tanti altri prima e dopo di Lui ci hanno con forza detto
e ricordato ammonendoci sui loro guasti.
Un Gesù, ripeto, che come ben vedremo in seguito ha fondamentalmente parlato di queste Verità.
IL SACRIFICIO-OFFERTA
Dirò qui del possibile significato simbolico che, con ogni probabilità, potrebbe avere avuto, in origine, il sacrificio.
Anche questa pratica, così largamente diffusa in tutto il mondo antico e rimasta marginalmente ancora oggi in
diverse regioni in Oriente e non solo, testimonia certo l’unità di fondo delle credenze spirituali che a questo
simbolico rito sottostanno e che hanno portato alla sua nascita.
Ho detto sopra che il fuoco sacrificale è simbolo, immagine, affermazione, rappresentazione e desiderio della fine e
dell’annullamento di ogni illusione.
Questo profondissimo “senso e scopo” del rito del sacrificio, come d'altronde anche quelli sottesi agli altri riti quali
le immersioni-battesimo o i pranzi di comunione ma pure alle feste collettive che nel corso dell'anno segnavano i
vari cambiamenti cosmologici, non poteva certo che essere “visto” quasi unicamente da quelle riconosciute guide
spirituali e sacerdotali che, tutte seguendo lo stesso cammino di comprensione, si sono unitariamente portate, in ogni
parte del mondo, a dare questi universali e profondi “insegnamenti” che, pur privi di parole, non potevano non avere
grande efficacia.
Con la maggior parte di riti vivi, partecipati e non già sterilmente “ricevuti-dispensati”, venivano infatti dati veri e
propri “condizionati insegnamenti”, ben più efficaci, soprattutto in civiltà arcaiche, di quella parola che tanto spesso
è fuorviante.
Con l’annullamento, per opera del fuoco, di ciò che serve la materialità, si comprende prima, si esprime, si rafforza
e si dimostra poi, la propria consapevolezza della “illusione” della materialità.
Una “materialità”, in cui inevitabilmente l’uomo cade con la costruzione di un “separato e diviso “io-materialità”,
che è lontana da quella “materia”, sacra anch'essa, su cui quell' “io” pure si fonda : un “io-materialità”, illusione,
che grazie al “fuoco divino”, il fuoco ricordato dai “fuochi sacri” di quasi tutta l'antichità, andrà distrutta.
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seconda parte
Dicono le Upanishad (700 aC) ed i Veda (1200 aC) :
<(Sapendo) che ciò che si definisce tesoro non è cosa eterna, ….ho approntato il fuoco
…:con ciò che è destinato a perire ho acquistato cosa eterna.> (Katha, I-2, 10)
<..Signore dello spazio, Signore del mondo. Fammi conseguire questo mondo, a me che sacrifico: il mondo
appartiene pure a colui il quale sacrifica, e tale sono io> (Chandogya XXIV, 9)
< Tu, o Fuoco, come Rbhu devi essere venerato da vicino. Tu sei signore del premio, della ricchezza abbondante di
bestiame. Tu brilli, ardi per dare. Tu che ti stendi sull'offerta sacrificale sei pronto a distribuire.
...Tu o Fuoco, se ben curato sei la suprema energia vitale.....di te, o poeta, i puri fecero la loro lingua >
(RgVèda 2.10-13)
Questo “annullamento delle illusioni” è il punto di arrivo dell’uomo, la meta che con il “rito di sacrificio” si
insegnava, si testimoniava e si affermava di volere raggiungere.
In Enoch si parla di <...(celesti) ordini potenti nati dal Fuoco…> (prefazione di Enoch): pure questi scritti sembrano
dire quindi che all’alto dei cieli si arriva passando per “questo” fuoco che distrugge.
Anche in Egitto il defunto si auspica di essere nella condizione di superare indenne questo fuoco: < che il Fuoco
celeste distruttore sia impotente innanzi a me > (PerEmRa cap.63)
Similmente in Dt 4.24 troviamo: < Jhwh tuo Elohim è Fuoco che divora.. >; anche qui il fuoco, come aspetto del
Divino, è il “divoratore”, ciò che annulla le illusioni.
In Grecia Eraclito (600-500 aC) dirà del “fuoco” come momento ultimo di quella < via in su > che altro non è che il
“ritorno” al < principio >: principio che anch'egli quindi, come larga parte della antichità, figura ed allegorizza, in
una traslata similitudine, come “fuoco”, punto di arrivo che è anche origine e partenza, calore generatore che anche
brucia e dissolve le illusioni.
Il “sacrificio” e la “offerta” all'Assoluto, da tutti largamente praticati nella antichità, sono “gesti” che aiutano l'uomo
a “purificarsi” ovvero a rendersi simile all'Assoluto, al Puro : aiutano a ritrovare un equilibrio tra spirito-materia e
quindi una Armonia senza i quali la materia, il fisico, il corpo, può perdere la sua “perfezione”.
E' Gesù che ci dirà questo, nascostamente come sempre: dopo avere “guarito fisicamente” il lebbroso, secondo ciò
che riportano gli evangelisti Egli dirà a quell'uomo "guarito" che "per quella sua < purificazione >", per quella
ritrovata Armonia, egli deve andare al Tempio di Yhwh per la offerta sacrificale:
< Va (al Tempio).. fa l'offerta per la tua purificazione, come ha ordinato Mosè >(Lc 5.14)
Gesù non invita ad una offerta “di guarigione”, come sembrerebbe logico se non si capisce Gesù, Egli invita ad una
offerta “di purificazione”: il riacquisto di una condizione di buona salute fisica è purificazione poiché segue con
evidenza quel riequilibrio-armonico, spirituale e fisico assieme, che è “purificazione”.
A questa purificazione, a questo riequilibrio, anche per Gesù è funzionale l'offerta sacrificale, quella che qui, ormai
avvenuto il fisico cambiamento-riequilibrio-purificazione, Egli “comunque” invita ugualmente a fare per ricordane e
sottolinearne l'importanza .
In altre due occasioni le parole riportateci di Gesù confermano la validità del gesto della “offerta sacrificaleolocausto”:
< Se presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello...
va prima... poi torna ad offrire il tuo dono. >(Mt 5.23)
< Ciechi! Che cosa è più grande, l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta? >(Mt 23.19)
In Daniele poi troviamo queste profondissime parole:
< In luogo del sacrificio quotidiano fu posto il peccato e fu gettata a terra la Verità >
< (nel) tempo in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano…sarà eretto l’abominio della desolazione..>
(Dn 8.12 e 12.11)
Anche per questo profeta, che Gesù esplicitamente ci invita a leggere e capire, il sacrificio quindi evoca ed induce
alla Verità: ricordo della propria “Essenza” da un lato e della nullità dell'“io” dall'altro.
L'abbandono del “sacrificio quotidiano”, ci dice Daniele, portando alla totale “dimenticanza” della Verità, condurrà
l’umanità alla più completa “desolazione”, spirituale prima e materiale poi.
“Questo sacrificio”, abbiamo visto, era difeso da Gesù ma la Cristianità ciecamente seguirà Paolo che non capisce la
profondità di quella istituzione, ne sa solo vedere la certo possibilissima degenerazione operata dal fariseismoseparatismo, una degenerazione che nasce anch'essa dallo stesso errore di Paolo.
Paolo dirà:
< la Legge… non ha il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di quei
sacrifici che si offrono di anno in anno...Per questo...Cristo dice: “ Tu non hai voluto né sacrificio né offerta...>
(Eb 10 1-5)
Paolo qui riporta, in modo errato e facendone falsamente una citazione di Gesù non presente ai Vangeli, un verso di
Salmi che è declamato dalla figura allegorico archetipale di illuminato ed eletto Davide, verso che così recita:
< Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto.
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seconda parte
Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: “Ecco io vengo”>
(Sal 39 7-9)
Questo passo, che resta nel solco di tutti gli unanimi e pur nascosti insegnamenti di Legge e Profeti, non dice che
non servono le “offerte sacrificali” che anche Gesù come visto riconosce valide: dice solo che “non sono gradite”
le “offerte”, gli “olocausti privazioni e martiri” fatti da un “io” che così pensa di salvar-si, fatti pensando che Dio
ricompensi l'“io” offerente, le colpe di quell'io che si vuole salvare.
I “sacrifici e le offerte dell' io” sono “sgraditi” perché lasciano l'uomo lontano ed altro rispetto all'Assoluto.
Ricorda Gesù che l'offerta “in sé” non conta nulla : è ciò che l'offerta deve muovere ed insegnare che conta, ciò che
da essa deve nascere: lo spirito e la coscienza “pura”, la morte dell' “io” e dei suoi errati suggerimenti è ciò che
conta.
Si < aprono le orecchie > a quel punto, dice il verso di Salmi : quando si “capisce” che cosa sono “sacrifici ed
offerte” è in quel momento che si sa ascoltare e si risponde < ecco io vengo >, è in quel momento che si abbandona
il “proprio io”.
Le “orecchie” che a quel punto si aprono sono quelle che anche Gesù invita ad aprire, sono quelle che Paolo, come i
farisei-separati nell'“io” di tutti i tempi e come tutti coloro che lo hanno seguito, non hanno trovato, non hanno
aperto.
Paolo, come detto, falsamente addebita a Gesù la citazione di quel verso di Salmi, ma Gesù, con il suo :
< Andate...ed imparate cosa significhi: “misericordia io voglio e non sacrificio” >(Mt 9.13)
non cita affatto quel testo ma bensì un passo di Osea:
< poiché voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Elohim più degli olocausti >(Os 6.6)
Anche in questa frase non sono rinnegati gli olocausti: Osea ci precisa che “più di essi”, e perciò senza rinnegarli,
serve la < conoscenza di Elohim-Dio-Deità >, la “Saggezza” che porta ad un “amore” che non vede sacrificiorinuncia-martirio : la Conoscenza-Saggezza-Sentire che anche da essi, anche dagli olocausti, può nascere e che essi
possono incentivare se correttamente visti.
Osea e Gesù, che le sue parole ripete, ci dicono che “in sé nessun “olocausto”, ovvero “offerta”, e nessun
“sacrificio” ovvero “privazione e costrizione”, serve per arrivare al Dio: solo serve la <misero-cordia >, solo quel
“cuore umile e non superbo” che si trova nell' < abbassamento di vento > o < povertà di spirito > che essi possono
sì incentivare ma solo se “non” sono compiuti dall' “io” che per “se stesso” agisce cercando di render-si “gradito” e,
o, “pulito”, senza colpe.
Ma il destino avrà strade diverse, in luogo di quell'annullamento dell'“io” cui l'olocausto deve portare, annullamento
che porta l'uomo alla felice condizione “divina”, un sordo Paolo indirizzerà al “sacrificio personale”, alla
costrizione e privazione che Gesù condanna seccamente e duramente con il suo <..andate ..e imparate..>, portando
così l'uomo alla peggiore delle sue condizioni :
la “morte spirituale”, la alienazione della propria “essenza spirituale” e di un “divino”, Tutto, che è indiviso e pur
diverso “materia e spirito” assieme.
L'uomo così sarà portato ad ingigantire il proprio “io”, un “io” da salvare con quel “ personale dell'io sacrificio e
martirio”.
Dopo Paolo questo errore arriverà alla Cristianità in tutte le sue numerose ramificazioni passando da molti “Padri
della Chiesa” che restano legati alle parole di Paolo : Agostino (340-420 dC) sarà tra i principali ma anche Origene
(185-254 dC), vero maestro ben lontano da Agostino, nei suoi “Principi” dirà di annullamento dei < cattivi pensieri,
delle azioni malvagie, dei desideri peccaminosi, dei vizi e delle passioni >: parole che confondono e che pur non
errate sono incorrette poiché è solo l’ “annullamento dell’io” ciò che, “come conseguenza”, può portare alla
correzione di quegli “errati” comportamenti.
Quegli insegnamenti invece lasciano l'uomo nel suo “errore dell'io”, nella sua “morte”, ed al contempo lo inducono
al conflitto ed alla mortificazione della propria natura fisica.
Ma l'errore in cui resterà Paolo, errore farisaico, errore di separazione, sarà anche, se pure con toni e caratteristiche
diverse, errore di tutte le religioni monoteiste, sarà anche dall' Ebraismo e dall'Islam.
La lettura fatta del “sacrificio-olocausto” ci fa vedere quindi un “uomo” cui tutto il mondo antico addebita e
riconosce una “illusorietà” che deve essere superata con “abbandoni” che divengono, e che altro non sono, che
“morti” : il perdere e annullare, per tappe, un “io” che, illusione, è il contrario della Verità.
Racconta con forza e chiarezza una poesia Azteca:
<..nessuno, nessuno, nessuno vive veramente sulla terra.>
Ed è “questa” testimonianza che Dio chiede ad Abramo: in una lettura che vada oltre la primaria allegoria che vede
la richiesta di annullare ciò che genericamente creiamo “nostro”, ciò che ci è “figlio”, ciò cui diamo e che ci dà
identità, possiamo vedere la metafora di un Jhwh che chiede di sacrificare il figlio per dimostrare, con questo
massimo olocausto e sacrificio di ciò che massimamente è visto “proprio”, di avere compreso a fondo che nessuna
singolarità è esistente “in sé” , nessun “io” esiste quindi “ha-possiede” e solo il Tutto “è”.
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seconda parte
Non credo infatti abbia molto senso la spiegazione, normalmente data, della “prova di fedeltà e di ubbidienza”,
prova inconciliabile con il Dio Amore e con qualsiasi Assoluto.
La “prova di fedeltà” è una spiegazione superficiale ed inconsistente che toglie ogni profondità al testo Biblico; essa
si ferma alla “lettera” trasformando un testo che parla dell’ Assoluto in una storia senza spessore, con una lettura che
non “vedendo” spiritualità si ferma alla “materia” di un racconto “mitico-allegorico”.
Sarà “prova di fedeltà” solo se intesa come “dichiarazione della profonda con-prensione” della Verità-Assoluto.
In questo profondissimo senso possono allora essere letti e compresi, anche se pur senza alcuna giustificazione, i
sacrifici umani che a volte erano affiancati, nelle antiche civiltà, a quelli animali.
Su questo tema, vuole però anche ricordato, si è molto spesso parlato in modo allarmistico e sensazionale: le ultime
ricerche e ritrovamenti sembrano dire che molti sacrifici umani vedevano offerti all’Assoluto i bambini, piccoli o
piccolissimi, già morti con ogni probabilità per altre cause.
Era quindi in questi casi un riconsegnare all’Assoluto ciò che da esso era venuto: fatto che, pur apparentemente
macabro, non vede quella bestialità che sovente ci viene presentata: ben più alto spiritualmente è questo gesto
rispetto alla odierna cremazione.
Parlano allo stesso modo, testimoniando di una vita vissuta in una profondissima spiritualità, i pochi “pozzi della
morte” Sumeri ritrovati (3500-1500 a.C.):
< ambienti in cui i membri del seguito del personaggio sepolto si erano volontariamente dati la morte con veleno,
come indicano le piccole coppe trovate accanto ai resti >( I Sumeri, Pietro Mander).
Ma anche i tanti auto-sacrifici che in India, sino a pochi decenni fa, hanno visto le donne Hindù immolarsi nella pira
del marito, nascono forse in origine dal raggiungimento di una esistenziale convinzione e condizione di “ non essere
in sé”.
Condizione e convinzione non difficili nella cultura Indo-Aria di Veda e Upanishad sebbene comunque sia
innegabile il grande peso che in queste immolazioni ha assunto, nel tempo, l'isolamento sociale cui le vedove
andavano incontro : fatto che con frequenza è stato il vero motivo di quei comportamenti .
L'ADAM e IL FIGLIO DELL'ADAM
Mentre facevo queste prime riflessioni sul “ritorno” e sulla “circolarità”, la mia attenzione è ritornata, per una
considerazione ancora non fatta, ad un "particolare" dei miei ricordi sul quale, mai da me evidenziato, in precedenza
non ero riuscito a trattenermi e di cui ora parlerò. Considerazioni che si collegheranno poi a questi approfondimenti
sulla sostanziale “unità” di sentire religioso del mondo antico.
Quel "particolare" dei miei ricordi, su cui mai avevo riflettuto e che è balzato improvviso in quei momenti alla mia
mente, si nascondeva dentro e dietro a quella grandissima imperativa e dominante emozionalità che suscita in me il
ricordo di quella “disperata volontà” di vivere il materiale. Volontà che, come messo in evidenza nel 4° episodio dei
miei ricordi, pensavo di non potere esaudire.
È una emozionalità che sorgeva in quell’agognante ed assetato desiderio di ritornare alla vita materiale e nella
conseguente “grande e paralizzante paura”, da me sofferta, di “finire” energeticamente senza quel passaggio.
E ciò che si nascondeva dentro la grande emotività generata da quella paura di “morte ultima”, era il “bisogno e la
necessità”, vere o supposte, del passaggio al materiale, al terreno.
Le domande e le riflessioni possibili su questo fatto sono forse frenate ed inibite dai nostri, e sicuramente dai miei,
limiti e capacità ma provo comunque ugualmente qualche primo e superficiale approfondimento e considerazione.
Si può credo dire e vedere, messo in ipotesi questo a me comunque certissimo “bisogno e necessità”, che il tipo di
“energia” che “pone” l’ uomo, che lo istituisce e lo crea come “io”, come “coscienza di un sé” che è “io-personale”,
si può alimentare unicamente nel materiale. Io infatti non ho pensato, come alternativa, che avrei potuto continuare
a “vivere” prendendo l’energia di cui avevo bisogno da qualche altra parte, per me, per quell' “io”, era automatico,
implicito e certo, che senza il passaggio terreno “sarei finito” o, meglio, “quell' io che stava così pensando sarebbe
energeticamente finito”.
Nessun altro luogo o fonte mi veniva in soccorso. Quando pensavo quasi terrorizzato alla alta probabilità della mia
“finizione”, vera morte, non ho trovato alcuna consolazione, non avevo vie di fuga, nessuna scappatoia o spazio in
cui rifugiarmi in alternativa a quel cercato ed agognato passaggio al materiale. Il mio destino, ovvero meglio il
destino di quell’ "io" che così pensava giacché nulla in realtà di ciò che lo costituiva era visto finire ma tutto in
quella “finizione” era solamente liberato, senza questo passaggio al materiale sarebbe stato irrimediabilmente
segnato, senza alcuna altra possibilità che il giungere alla sua “vera morte”: uno spegnersi-morire che liberava, in
una sorta di esplosione, tutto ciò che lo costituiva.
È pur vero che i tempi di questo “esaurimento”, che sfociava in tale finale "istantanea fine-dispersione" simile ad
una esplosione, li vedevo lunghi e fortemente condizionati da quella “indefinita attività” che consumava energia ma
che era l'unica mia consolante speranza: una attività che io “volevo comunque” svolgere essendo la sola strada che
quell’io vedeva per tentare di restare vivo, per potere avere, con il “ritorno” a quel materiale a cui pensavo di essere
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morto, l’energia a tal vita necessaria. A nessuna altra via o alternativa oltre a quella, che peraltro sentivo fortemente
inattuabile, io ho pensato. Null’altro, quell’ “io”, ha potuto pensare di alternativo, la sola strada a lui possibile era il
rischiare quella "vera morte" che, peraltro, vedeva altamente probabile.
Una “vera morte o fine energetica” che , come detto, era da me prefigurata e vista come una subitanea “esplosionedispersione” di ciò che “io” trattenevo e che mi costituiva: una moltitudine di cose, non so cosa o quali, forse
pensieri forze attimi di vita, che così, liberandosi, avrebbero singolarmente continuato ad esistere.
Queste riflessioni, fatte su quell'episodio tornato improvviso alla mente, apriranno una prospettiva e possibilità di
lettura delle parole di Gesù e Scritture che, restituendo ad esse piena razionalità ed uniformità di insegnamento,
diventeranno fondamento a quelle "diverse" letture che su queste pagine infine nasceranno. Vediamo ora queste
prime considerazioni.
Si può dire e vedere, con e per tutto questo, che -quell' “io”- che si vede, si sente e si dichiara -uomo esistente in sé-,
ma che ora con Enoch e Scritture preferisco dire e chiamare “a.d.a.m.”, l’uomo che si nutre di materialità, che fa
nascere il “-proprio- io” dimentico di un Tutto-Assoluto che solo “E'” e "di cui ed in cui" egli solamente è; l’uomo
che sprofonda nel luogo dell’Artus, del Disi, dell’Anatol e del Mesembria ovvero i punti cardinali della terra dai cui
antichi nomi, come ricordano i testi di Enoch, è preso il suo “nome”, “questo” caduto -uomo/adam-, solo qui sulla
terra troverebbe la condizione di esistenza e vita, solo qui può -pensare- di “essere in sé”.
Quindi l’Adam, l’uomo così con-naturalmente istituitosi nel “proprio io” e che non può vivere in altro modo che
così, con-fuso nella materialità, isolato e separato, seppur falsamente, dall'Assoluto Tutto in cui comunque è,
“l'uomo/adam”, solo sulla terra e nel materiale trova vita. Solo nutrendosi di materialità, solo nel luogo della
materiale “divisione-diabalein”, nel “regno” di “questa” separazione, nel regno di “questo” diavolo, sulla terra, egli
troverebbe modo e forse energia per continuare a pensare di “essere in se stesso, di essere -io-”.
Solo qui, cioè, egli trova le condizioni che gli permettono di mantenere la sua “illusione” di “essere separato” e
diviso dal Tutto, solo qui egli ha modo di continuare nel suo errore rimandando quella morte che gli è, così restando,
ineluttabile.
Tutto ciò non implica e non significa che la terra, la natura, il materiale, “sia” o veda questo “errore” e questo
nonostante tale errore si nutra proprio di tutto ciò.
La natura, la materia, il "femmineo-yin-acqua", l'"umido" di Eraclito ovvero la "donna" per Esiodo come per la
letteratura giudaica e non solo, è “aspetto del divino” sebbene porti e induca alla “diabolica separazione” e questo
sia se in essa “si cade” dimentichi della nostra "parte-natura maschile-yang-spirituale", sia se essa viene
forzatamente obliata e svilita non vedendo altro che la natura spirituale: questa verità era espressa da Gesù con
queste parole:
<.. se uno non nasce da -Acqua e da Spirito- non può entrare nel regno di Dio..> (Gv 3.2-5)
< Guai alla carne che è schiava dell'anima, guai all'anima che è schiava della carne > (vangelo di Tommaso l.112)
In questa condizione di “adam-uomo e/o figli dell'adam-uomo” in cui l'uomo sprofonda, condizione separata, divisa
e chiusa in sé, “buia” poiché in essa non si può vedere la “Luce che fa risplendere”, in etimo la Gloria, ovvero non
si può vedere quella “condizione di Gloria” che è "condizione di pienezza", forse è anche la risposta al grande
interrogativo del “perché dell’oblio”.
Un “oblio” che nasce ed esiste, come anche il Dante di Pastina ci dice, per il fatto che “questo uomo” non può
“vedere” ciò < sulla base della cui negazione egli si è costituito > e si è fondato: la negazione dell'Uno, della unità
del Tutto, del "maschio-femmina" natura di Jhwh del divino. Oblio quindi che nasce, riprendendo il tema dantesco
proposto da Pastina, dal “volgersi” dell’uomo che pertanto più non può “vedere” ciò da cui si è “volto”.
L'Adam e il “figlio dell'Adam” a lui legato, il tema cioè dell'uomo “caduto”, è tema largamente frequentato da
Torah, Profeti ed Enoch ma anche da tanta altra letteratura religiosa oltre che da Gesù che unicamente secondo
quella immagine metaforica di condizione parlerà di sé, ma non solo di sé, quale “figlio dell'adam”.
Le figure-temi dell'“Adam” e del “figlio dell'Adam”, termini nelle traduzioni quasi sempre portati a “Uomo” e
“figlio dell'Uomo”, ci dicono entrambe di una visione “archetipale” di “umanità/uomo caduto”: la prima è vista più
specificamente quale forza iniziale che induce a tale umana condizione mentre la seconda dice genericamente e
della umanità e del singolo che in quella condizione, “condizione di caduta”, sono o nascono.
In questa lettura il “figlio dell'Adam” non può non ricordare, vedremo meglio in seguito, da un lato <..l'uomo
primordiale..> del Gilgamesh, il poema mitologico-sapienziale Mesopotamico risalente ad oltre il 2000 aC e
dall'altro < l'uomo.. che deve essere superato.. > di Nietzsche.
Dicono le Scritture:
< il figlio d’Adam è come un soffio >(Sal 144.4); < un figlio dell’Adam non è immortale >(Sir 17.25);
< è scomparsa la fedeltà tra i figli dell’Adam >(Sal 11.2);
< il cuore del figlio dell’Adam è pieno di voglia di fare il male >(Qo 8.11); <..il figlio dell'Adam... avrà la sorte
dell'erba..>(Is 51.12); < cosa è...il figlio dell'uomo perché (tu Jhwh) te ne curi ? >(Sal 8.5; 143.3,4)
< i santi..pregavano per i figli degli uomini >(Enoch Et.XXXIX 5)
< la Saggezza procedette oltre per porre la sua dimora tra i figli degli uomini ma non trovò alcuna
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dimora ..l'ingiustizia...trovò posto tra gli uomini senza bisogno di cercarlo..>(Enoch Et.XLII 2,3)
< i figli della terra tremeranno di spavento. Peccatori...non avrete pace >(Enoch Et. CII 3)
< ..inferi ed abisso sono davanti al Signore, ..tanto più i cuori dei figli dell'uomo..>(Prv 15.11)
Altri copiosi simili riferimenti al “Figlio dell'Adam” si trovano poi in Geremia, Daniele ed Ezechiele : a quest'ultimo
Jhwh si rivolge chiamandolo “Figlio dell'Adam” e dicendogli:
< ..tu, figlio dell'Adam, non essere ribelle come gli Isra-El-iti ... le parole che ti dico accoglile nel cuore..>
(Ez 2.8; 3.10)
E’ con questo spirito e coscienza di un uomo, di una umanità, -che nasce necessariamente- in condizione di
“caduta” ma che, anche, da questa condizione può e deve “uscire”, <..alzandosi..>, che Ezechiele, come Daniele e
come anche Gesù che il loro stesso insegnamento vuole dare, chiameranno sé stessi “figli dell'Adam-Uomo”.
Gesù parlerà di sé sempre come “figlio dell’Adam” riferendosi a questa doppia accezione Scritturale della
espressione: da un lato “uomo nato nella caduta” e dall'altro “uomo-adam che deve portarsi fuori dalla condizione
di caduta” e così “alzatosi” giunge a condizione che è in-individuale, archetipale : condizione “alzata” cui si sente
Gesù come Ezechiele e Daniele e di cui dicono i testi di Enoch che vedono questi “alzato-assunto Vivo unitoidentificato a tale archetipale Figlio dell'Adam”, a fianco di Jhwh, < Eletto > Figlio di Dio :
<..Ed Enoch, vivente, venne assunto presso il Figlio dell'Adam...
“E un angelo mi disse -Tu sei il Figlio dell'Adam...la pace sarà con te per tutta l'eternità.. questo è il
destino eterno di chi è unito al Figlio dell'Adam-” ..> (EE LXX)
Gesù, dicevo e vedremo meglio più avanti, dice che l'uomo-umanità < di questa generazione >(Mt 16.4)(Mc
13.30,31) ovvero l’uomo del -periodo storico evolutivo- che Egli viveva, e che ancora oggi viviamo, il “periodo
storico evolutivo che vede l'uomo lontano dalla propria “Gloria-luminosità”, è un uomo-umanità che ineludibilmente nasce- nella condizione di “caduta-prostituzione-adulterio”.
É generazione, è storica nascita umana ovvero uomo che, nato o portato comunque e sempre alla condizione di
“caduta”, solo <..da vecchio..>, in vita, -può e deve rinascere- per potere uscire da quella “mortale” condizione :
<..se uno non “rinasce” ...da vecchio ...non può entrare nel Regno..> (Gv 3.4,5)
Il “caduto adam-uomo e figlio dell'adam-uomo”, anche detto con Enoch “figlio della terra-adamà”, è un uomo che
negli scritti sapienziali è detto deve “cercare, imparare, divenire assennato, svegliarsi, ritornare ecc.” per portarsi
alla Vita, così dirà Gesù come pure le Scritture ed Enoch :
< Tu (Dio)... dici: Ritornate figli dell'adam >(Sal 89.3) < A voi, uomini, io (Sapienza) mi rivolgo,
ai figli dell'adam è diretta la mia voce. Imparate.. fatevi assennati..> (Prv 8.4,5)
E su questa strada di “ricerca-ritorno” il “caduto figlio dell'adam” può, grazie alla “rinascita-resurrezioneinnalzamento” che così compie, portarsi al Regno, essere Beato, -unirsi/divenire- Figlio di Dio, uno col Padre :
< Così dice Jhwh:
“Osservate il diritto e praticate la giustizia...beato..il figlio dell'Adam che a questo si attiene..> (Is 56.1,2)
< Jhwh ordinò :“..parlate di Saggezza ai figli della terra. Fatela discendere in loro..
allora Io e il Figlio mio saremo per sempre uniti a coloro che durante la loro vita hanno
seguito la via della Verità...avranno la pace >(Enoch Et. CV 1)
< Mi disse (Jhwh) : “Figlio dell'uomo, alzati, ti voglio parlare. Ciò detto uno spirito entrò in me,
mi fece alzare in piedi ed io ascoltai colui che mi parlava..>(Ez 21,2)
Questa possibilità-condizione finale di Figlio non è quindi di alcun “singolo” né tanto meno di un -unico- “ figlio
dell'adam-uomo”: è possibilità-condizione di tutti ed è strada esclusiva dell'uomo, sua finale condizione, gloriosa,
che vede solo “Unità-Uno” e non “unione di singoli”: è condizione che a quel punto, Uno-Assoluto, così solamente
può essere detta ed espressa :
< ..il più bello tra i figli dell'adam...(lo) ha benedetto Dio per sempre...
(egli) colpisce al cuore i nemici del Re; sotto di lui cadono i popoli..>(Sal 44.3-10)
< è il figlio dell'Adam che ha in sé la giustizia..(che) ha rivelato tutti i tesori nascosti...
(e) farà crollare..re e potenti..(e) spezzerà i denti dei peccatori..>(Enoch Et.XLVI 3,4)
< Sia la tua mano (Dio degli eserciti) sull'uomo della tua destra, sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte..>
(Sal 79.18)
E' condizione che a quel punto vede trasformato il caduto “adam-figlio dell'adam” in “figlio di Dio” ma, poiché
questa trasformazione non è che un “ritrovamento in sé”, il termine “figlio dell'adam” può, come fa Enoch ma
anche Gesù, fare riferimento alla condizione dell'uomo “convertito-figlio di Dio”; dice in merito Siracide 10.19,20 :
< Quale stirpe è onorata? La stirpe dell'uomo. Quale stirpe è ignobile? La stirpe dell'uomo. >
In Enoch infatti l' < Eletto e Figlio di Jhwh > è assimilato ed affiancato al < Figlio dell'uomo > e questo nonostante
le sue chiare parole, più sopra viste, sui “figli degli uomini” quali “caduti”.
Sono, questi, aspetti di grandissima importanza teologica ma purtroppo, incompreso il significato profondo di questa
pur chiaramente espressa Verità, con leggerezza e superficialità quell'iniziale “ben Adam- figlio dell' Adam” ovvero
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l'identico "bar Nashà" dell'aramaico che, verosimilmente, era più solitamente usato da parte Gesù nei suoi discorsi,
espressione metaforica con cui Egli, come i citati profeti, indica certo sé stesso ma al contempo anche quella
universale ed in-individuale assieme “condizione umana” di cui abbiamo detto, è stato tradotto con un -inspiegato-,
ma così -insensato- dato il contesto delle Scritture, “figlio dell'uomo” .
Il fatto che Gesù parlando in aramaico anziché "ben Adam" dicesse "bar Nashà", che è appunto "Figlio dell'uomo"
in aramaico, non significa certo che, come vuole invece ciecamente vedere la cristianità, Egli volesse così staccarsi
dalle Scritture in quanto al senso di quella espressione.
Questo cieco ed evidente errore, dato il continuo riferirsi di Gesù a quanto è detto in Torah e Profeti, serve è
necessario ed indispensabile alla cristianità per sostenere quella sua lettura della figura di Gesù che, vedremo, sorge
e si regge unicamente sulle interpretazioni di Gesù fatte da Paolo. Sorge e si regge unicamente sul "vangeloannuncio" di Paolo.
Ma anche, sempre appoggiandosi a Paolo, Gesù è stato dalla cristianità ciecamente visto quale “unico” -figlio
dell'adam e figlio di Dio-: più di Scritture e Profeti e perfino più delle parole di Gesù saranno le parole di Paolo, sarà
il “suo” vangelo-annuncio che dice di un Adamo -primo uomo peccatore che fa nascere nel “peccato originale”
l'umanità intera-, colui che conterà ed insegnerà. E questo nonostante Pietro, come vedremo, nella sua II lettera
metta “in guardia” rispetto alla “rovina” cui possono portare gli scritti di Paolo, aggiungendo anche:
<..(alle) parole dei profeti...volgete attenzione, come a lampada che brilla in luogo oscuro...> (2Pt 1.19)
Gesù non pronuncia mai parole senza un preciso e profondo senso e con questo “ben Adam-bar Nashà” Egli non fa
che richiamare la locuzione tanto usata nelle Scritture, che sono Suo faro e riferimento, e con la stessa doppia
accezione vista. Quasi esclusivamente da Gesù citata, con umiltà ma anche insegnando, con riferimento a se stesso
nella accezione di “uomo caduto che può e deve alzarsi, rinascere”, Egli, vuole visto e detto, ben cosciente di
essersi portato a condizione di Figlio implicitamente, per questo, vedrà in quella locuzione anche l'accezione di
“uomo che, da caduto, è rinato-figlio di Dio” secondo quanto meglio evidenziato in Enoch.
Tradizione di lettura di Scritture e Profeti, questa di Enoch, alla quale Gesù con evidenza profondamente si lega.
Queste chiare letture e visioni saranno a lungo viste e dichiarate anche dentro Cristianità : dice il Padre della Chiesa
Gregorio di Nissa (335-395) richiamando le Scritture e rivolto all'uomo :
< Se...rimani nelle caratteristiche del vizio...riguarderà te la profezia :“Tu sei figlio dell'uomo”
e non “figlio dell'Altissimo” >(Gregorio di N., Grande discorso catechetico 40.6)
E' la stessa persona-uomo che qui, per Gregorio, da "figlio dell'uomo caduto" si può portare a "Figlio di Dio".
Nei vangeli è evidente il fatto che Gesù -si sente- nella “condizione” di “Figlio di Dio” sebbene mai, per i sinottici,
Egli usi verso sé quel termine e faccia una tale affermazione. è solo in Giovanni che lo dichiara: a Pilato che gli
chiede se lui è il "Re dei Giudei" risponde <..tu dici che io lo sono..>, precisando poi <..il mio regno non fa parte di
questo mondo...ora il mio regno non è qui.. per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza della
Verità..>(Gv 18.33-37 Trad.NuovoMondo).
Non è qui poi il caso di addentrarci, su questa materia, nella complessa e scarsamente conosciuta speculazione
cosiddetta “gnostica” che nei primi secoli in particolare porterà, in buona parte delle voci o scuole di tale pensiero
che nasceranno, a vedere in Adamo una sorta di “quasi reale” sovrumana figura, più che “archetipale” entità o forza,
“caduta” dalla comunione celeste.
Anche Paolo, con una formula pur volendo non errata se in una lettura che veda una figurazione archetipale, ma
formula che egli piega, come tantissime altre, alla sua incorretta farisaica e personalistica teologia, lettura e vedere,
indurrà all'errore con la sua affermazione secondo cui:
< come per la disobbedienza di uno solo (Adamo) tutti sono stati costituiti peccatori,
così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti >(Rm 5.19).
In molti dei movimenti che oggi, con catalogazione troppo ampia, sono detti “gnostici” e dei quali ripeto poco
direttamente conosciamo, la speculazione sulla “figura” dell'Adam-Adamo si fa molto articolata e per certi aspetti
anche se non sempre sembra cadere nell'errore in cui cade Paolo : la “allegoria” delle Scritture, allegoria di un divino- accadere e divenire, sarà spesso trasposta alla -realtà- di un “uomo-figura”, “demiurgico-creatrice”, che sarà
ora Adamo ed ora anche Jhwh : -chi-, quasi sempre, e non -ciò che-, costruisce-crea e porta l'uomo in quella che per
essi spesso è una -negativa- materia.
In tutte quelle voci e scuole resta comunque, al fondo e pur mal letto, la sostanza del concetto qui visto di “caduta”.
Le Scritture e Gesù restano certamente lontani da tali letture fatte da larga parte dei movimenti gnostici, ed Adam
per essi, Scritture e Gesù, è certamente “figura archetipale” che richiama e riporta alla “condizione iniziale della
umanità”, una condizione di “caduta” dalla quale essa dovrà uscire.
Essere “figlio dell'Adam” come dichiara essere Gesù che però dice di avere Jhwh come "Padre quello che è dei
cieli", non è dichiarare di avere due padri: è coscienza di una vita fisica che ineludibilmente si porta presto e quasi
nasce in una condizione di “caduta” ma che anche vede, questa superata, una umana condizione “divina”.
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Ma tutto sarà inconsapevolmente non visto: quell'unico dichiararsi di Gesù “Figlio dell'Adam” sarà visto come
segno di umiltà di un “Dio Figlio Uno e Trino”, ma la pur certa umiltà dell'uomo Gesù se trasportata ad un Dio che
viene tra gli uomini per rivelarsi senza dire ed anzi così per nascondere la sua natura, facilmente si trasforma in
ipocrisia!.
Per finire vale la pena di sottolineare che anche le traduzioni in Greco delle Scritture, dove Adam è riportato come
“Anthropos” ci dicono quanto sin qui detto: “Uomo” infatti in greco può essere Aner, Fos o Anthropos :
- Aner dell'uomo precisa la natura e qualità ovvero in senso lato dice della “mascolinità”,
- Fos invece, che oltre ad “uomo” significa “luce e bagliore”, ci dice dell'uomo nella sua parte più “luminosa ed
alta”.
- Anthropos, che sembra venire dal greco “anò=sù” , “athréo=guardo” e “òps=occhio”, facilmente ci dice di quella
più “bassa” natura di un uomo che, secondo questo nome, è : colui che “deve guardare in su”.
Anche il termine riportato nella traduzione Greca quindi ci riporta ad un “uomo” nella stessa condizione di “caduta”
dell'Adam di Enoch e Scritture.
LA GLORIA DEL FIGLIO DELL' ADAM
Faccio, in questo paragrafo, poche note su di un aspetto ed argomento di non piccola importanza che riprenderò più
avanti. Ho appena sopra accennato alla mancanza di “Luce” di questo “uomo-adam” o meglio dell'uomo “figlio
dell'adam”: egli così non può vedere la Verità-Luce, ma soprattutto egli così non “è” “Verità-Luce” ovvero non è
nella sua “Gloria”. Il legame tra Luce e Gloria è un legame etimologico:“Glorioso” significa “lucente, splendente”
e la Gloria è quindi, anche biblicamente, il raggiungimento di una “luminosa condizione”.
Da questo deriva che:
la Gloria dell'Adam, o meglio del Figlio dell'Adam, è la sua condizione “luminosa”,
il punto di arrivo, l'approdo, del cammino dell' “Adam-uomo-caduto”.
La "Gloria del figlio dell'Adam" è la condizione nella quale egli per Daniele ed Enoch si porta ad essere solo
<..simile..> a sé stesso, per Isaia < diverso >, per Ezechiele, abbiamo visto, < alzato in piedi > :
< ..uno simile ad un "figlio dell'uomo" giunse fino al Vegliardo..>(Dn 7.13)
< ..il mio servo..sarà molto innalzato..(è) diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo..> (Ez 2.1,2)
< Balaam...voltò la faccia verso il deserto..allora lo spirito di Dio fu sopra di lui
(e così fu- ndr) uomo dall'occhio penetrante..che ode le parole dell'Altissimo..che conosce la scienza
dell'Onnipotente..e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi..>(Num 24.1-4)
A tutto ciò ed a quanto più sopra detto sullo sprofondare dell’uomo, dell’Adam ovvero del figlio dell'Adam,
nell’abisso, nel buio della materialità conseguente all'“io”, si collegano quelle frasi tanto ricorrenti nelle antiche
scritture di molte civiltà che parlano di “viventi che sono morti” e di “morti che sono vivi” !
Parlano cioè di “viventi la materia”, di “fisicamente vivi” che sono in realtà “ morti” alla Vita che vede -spirito e
materia assieme-, e parlano di “morti alla materia”, di fisicamente morti, che sono dei “Vivi”, sono cioè la Vita
stessa.
In quelle espressioni tanto comuni a tutto il mondo antico non si può non vedere altre conferme alla sostanziale
“unità” di base, alla comune radice del sentire religioso e delle credenze del mondo antico: quelle stesse che anche
Gesù, incompreso, testimonierà. Unità che continuava così a presentarsi ai miei occhi.
MORTI-VIVI e VIVI-MORTI
Con riferimento alle considerazioni sopra fatte sui “viventi morti” e sui “morti vivi”, ed alla credenza che la
condizione di “caduta-dimenticanza” corrisponde alla “morte”, spirituale, dell’uomo, riporto alcune testimonianze.
Nel Libro dei Morti Egizio (1500 aC) al II capitolo troviamo:
<..liberato dal corpo volo dovunque, tra i morti vivi e tra i viventi morti >
nelle Scritture, tra i molti passi, si trovano:
< sarà cancellata la vostra alleanza con la morte > (Isaia 28.18)
< l’insegnamento del saggio è fonte di vita, evita i lacci della morte >(Proverbi 13,14)
< la iniquità... conduce alla morte >(Tb 14.11)
nelle Upanishad (700 aC), leggiamo:
<..dal non-essere conducimi all’essere, dalla tenebra conducimi alla luce,
dalla morte conducimi all’immortalità !>( Brihadàranyaka 1,3,28)
nei Veda (1000 aC) si trova questo altro bel passo:
< Verrà, coronato di luce il puro fluido che emana la grande Anima…
Verrà e la vita sfiderà la morte ed Egli darà giovinezza al sangue di tutti gli esseri..>
in Grecia Empedocle (Agrigento 490-430 aC) più chiaramente e drasticamente scriveva:
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< la generazione è una distruzione terribile che fa passare i vivi tra i morti.
Un tempo avete vissuto la vera vita, e poi, attirati da un fascino, siete caduti nell’abisso terrestre,
soggiogati dal corpo. Il vostro presente non è che un sogno fatale. Il passato e l’avvenire soli
esistono veramente. Imparate a ricordarvi, imparate a prevedere..>
< per l’anima che viene dal cielo, la nascita è una morte >
E poco prima Eraclito (Efeso 535-475aC) più nascostamente scriveva:
< Morte è quanto desti vediamo e quanto dormenti è sonno > (fr. 23, Diano-Serra)
E' “morte”, dice Eraclito, il “sonno” in cui l'umanità “dormente” si trova, una “morte” che riusciamo a vedere solo
quando usciamo da quella condizione, solo quando ci portiamo ad essere “desti”.
Eschilo (525-456), con estrema profondità nel suo Coefore (886-887) scrive:
<..(servo): Dico che i morti ammazzano il vivo.
(Clitennestra): Ahimè, ho compreso le parole dell’enigma..>
Il “vivo”, il divino che è nell’uomo, viene chiuso-ucciso da quanto l’uomo assume e vive nel contatto e relazione
con chi e coloro che sono nell’errore della “morte spirituale-caduta-dimenticanza.
Anche Gesù, con parole così “già viste”, dirà:
< ..lascia i morti seppellire i loro morti..> (Mt 8.22) <..chi ascolta la mia parola….è già passato dalla morte alla
vita > (Gv 5.24) <…. i morti non vivranno e i vivi non moriranno…>(V. di Tommaso 11)
<..cercate..(di) evitare di diventare cadaveri e di essere mangiati..> (V. di Tommaso 60)
<..se colui che è morto eredita da colui che è vivo, il morto vivrà ancora..> (V. di Filippo 13)
Nella Apocalisse di Giovanni troviamo:
<..beati.. i morti che muoiono nel Signore..> (Ap 14.13)
Con un salto poi alla più stretta attualità dice della stessa Verità il messaggio del giugno 2006 della Madonna di
Medjugorie: < Dio vi ha creati con libera volontà perché possiate scegliere tra la Vita e la Morte >
Personalmente vedo confermata, anche nelle frasi sopra riportate, quella sostanziale, primaria, trasversale e fondante
unità di sentire religioso di tutto il mondo antico di cui dicevo, a partire da quello Egizio per passare a quello IndoArio, a quello della Torah ed a quello Greco fino a comprendere anche la figura di Gesù.
Questa unità di sentire e di variamente allegorico dire, si sostanziava nella consapevolezza che Vita, sulla terra, è
solo quella dell'uomo che arriva a capire e vedersi quale “Uno”, quale "spirito e materia", "maschio e femmina",
"yang e yin", assieme.
Ma, come meglio vedremo in seguito, l'uomo pur nella consapevolezza di essere personalmente attore di tale Vita
dovrà vedersi fuori da ogni singolarità in una universalità ed unità, di spirito e materia assieme, che altro non sono
che l'Uno Assoluto.
La diversità che il mondo antico vedeva tra “morte” fisica e “morte” spirituale può darsi che a volte riportata anche
nei termini: sappiamo ad esempio che nella Torah troviamo due termini che sono tradotti in “morte”, e non è difficile
che lo stesso possano essere per altre lingue.
ESRA, NEEMIA ed ISRA-EL
Certamente, si dia o meno credito al molto discusso fondamento “storico” di quanto è negli scritti di Esra (o Esdra) e
Neemia, è grazie alla “istituzionalizzazione” della religione di cui dicono quei testi che, a partire dal V sec. aC circa,
con la proclamazione della “Legge” quale “regola sociale e civile” dei Giudei, si vedrà lo Stato Giudaico
"obbligare” assieme, la "obbedienza cieca e sorda” e l'implicito "insegnamento" di una Torah "farisaicamente letta
e compresa”.
È grazie a ciò che, in modo forse inconsapevole ed inesorabile, la lettura più vera e profonda di quei testi sarà
marginalizzata : essa verosimilmente resterà in contrastate eccellenze che manterranno vivo quel filone esegetico
che poco dopo, cioè a partire dal IV sec. aC., sarà messo per iscritto dapprima con i testi di Enoch e molto più avanti
nella Qabbalah.
Mi preme qui fare un piccolo inciso su questa dottrina, la Qabbalah, che nel tempo tornerà nei miei
approfondimenti e su queste righe.
Questa disciplina ha saputo vedere e ricavare dalla Torah molte Verità importanti e straordinarie e ad
essa bisogna rivolgersi con rispetto ed attenzione.
Ma, anche, bisogna sapere oggi vedere quanto forse non raramente viene affiancato e proposto con
essa e che però ne vanifica ogni bontà : mi riferisco ad affermazioni quali quelle che qui riporto tratte
dal saggio di Alexandre Safran, “Saggezza della Cabbalà”, affermazioni ciecamente farisaicoseparatrici che chiudono ed annullano ogni corretto insegnamento:
< Gli israeliti sono chiamati “figli di Dio ed hanno una reale relazione da persona a Persona con il
Padre celeste, che li preferisce agli angeli celesti >(p.175)
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seconda parte
< La Cabbalà...fortifica la coscienza dell'ebreo, l'aiuta ad affermare la -sua identità- lo rende capace
di giungere fino al sacrificio della propria vita per difendere la propria fede >(p.16)
< Israele e l'ebreo, popolo e persona, personificano il mistero dell'uomo...le leggi della storia e della
sociologia non possono spiegare il “fenomeno soprannaturale” della vita, della sopravvivenza, del
popolo di Israele >(p.61)
Pensieri molto simili a questi, ma rivolti al popolo ed alle persone ariane sappiamo bene dove hanno
portato. Non conoscendo a fondo il peraltro molto variegato movimento cabbalistico spero solo che
queste siano posizioni isolatissime e condannate.
Tornando alla sopra citata proclamazione della “Legge”, farisaicamente interpretata, quale “regola sociale e civile e
insegnamento”, i Giudei così si porranno fuori da quelle Verità, dalle giuste strade di lettura ed esegesi della Torah,
ed è questo che Gesù cercherà di correggere: unicamente ad essi, Giudei-popolo ebraico, Egli si rivolgerà seppure
con parole che hanno certo validità universale ed unicamente ad essi tutta la sua opera fisica è rivolta.
Dirà Gesù ai suoi discepoli :
< non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele >(Mt 15.24)
< non andate fra gente straniera… andate invece fra la gente smarrita del popolo di Israele >.(Mt 10.5,6)
Gli Israeliti grazie agli insegnamenti dei sacerdoti “sadociti” prima ed a quelli, diversi ma nella sostanza uguali, dei
“farisei” ovvero dei “separati” (secondo la etimologia del termine) poi, grazie cioè ad insegnamenti ed imposizioni
di “separazione nell'io”, si porteranno perfino alla “separazione fisica” dal resto del mondo : i contatti con il
mondo “pagano”, ovvero il non giudaico che tutto era considerato impuro e contaminante, erano vietati ed avrà così
valore -religioso ed istituzionale- il più grave e primo degli errori : la “separazione-diabalein”.
La strada di questo “cambiamento”, di questa “separazione” che, umana tensione, pur non in quelle forme
interesserà larga parte dell'umanità, è certo lunga, non facilmente individuabile e certo non ai Giudei esclusivamente
attribuibile. Ma, per il popolo Giudaico, essa si vede anche in quel nome, Isra-El, che secondo ciò che afferma il
prof. Mario Pincherle ma non solo come ci dice anche Wikipedia, -etimologicamente- significa:
“che combatte Dio” “nemico-contrario a Dio” ovvero “nemico-contrario ad El, l’Altissimo, l'Assoluto”.
Dice peraltro anche Ezechiele :
< ..gli Isra-Eliti, un popolo di ribelli che si sono ribellati contro di me (Jhwh)..>(Ez 2.3)
Isra-El è, con quella lettura, tutti coloro che, universale popolo di Dio, con la loro “separazione nell'io” e quindi
separati da un “altro-prossimo”, sono “contrari” ad un Assoluto che solo è Uno ed Unità.
È universale popolo che proprio per questa “contrarietà” vedrà un divino, dell'Assoluto, massimo agire-operare in
suo favore, vedrà su di sé un divino sforzo impegno attenzione e cura, con termini impropri, grazie a quella Verità
profondissima che anche Gesù cercherà di fare comprendere con la parabola della “pecora smarrita”.
Quella parabola dice infatti della Verità assolutamente incompresa di un divino, Jhwh, abissalmente lontano da
quello compreso da Ebraismo, Cristianità ed Islam e dice di una “pecora smarrita” che è la universale < ..gente
smarrita..> delle parole di Matteo sopra citate.
Isra-El quindi è universale popolo cui divinamente si indirizza questo massimo agire divino ma assolutamente non
singolo popolo “prediletto” come normalmente visto e inteso.
Nome, Isra-El, che così segna e testimonia quella “separazione” psicologica, spirituale e poi anche fisica che i
Giudei opereranno, separazione vista e condannata, oltre che dai Profeti tutti, forse anche da quei popoli loro vicini
il cui dio era appunto El, l'Altissimo, e che, per primi come ipotizza il prof. Pincherle, conferiranno quel nome ad un
popolo-tribù che essi vedono entrato in tale Errore, in tale separazione. Il nome-appellativo di Isra-El non nasce
infatti con la Torah: testimoniato in una stele egizia del 1200 aC, la Stele di Merenptah che lo cita come una delle
varie tribù nomadi assoggettate dai faraoni, esso verosimilmente nasce molto prima di tale data.
Con questa visione si vedono poi non poco fondate le tesi di coloro che non trovano fondamento storico a quanto è
riportato nei testi di Esdra o Esra.
È un cammino, dicevo, che si istituzionalizzerà con quella “rivoluzione” Giudaica che creerà lo Stato Religioso:
l’errore dell’ “io” individuale, trasportato ed ingabbiato all’ “io comunità”, aprirà la strada anche all’ “io razziale” e
così isolerà e toglierà l’uomo dal Tutto finendo, su quelle e su altre infinite strade, col confinarlo al più buio degli
abissi ed alla più lunga, dolorosa e sanguinolenta delle lotte. Con parole non mie:
“la rivoluzione Giudaica ci ha portato dalla sacralità cosmica alla profanità della storia. La adesione dell’uomo
alla ierofania del mondo, ad un corpo, la sacralità dell’uomo nel mondo, terminerà”.
Questa Giudaica "paternità o primogenitura" della istituzionalizzazione e del radicamento dell'Errore del fariseismoseparazione, certamente era ben vista nel mondo pagano, stando anche a quanto, in allegoria come sempre è per è in
antichità per le verità più profonde, riportano Plutarco e Tacito. Paternità o primogenitura della istituzionalizzazione
di un Errore che, tensione umana, così si ingigantirà portando a quegli infiniti mali per l'uomo, gli sconvolgimenti le
guerre e i disastri, di cui dicono Gesù e le Scritture come pure la letteratura sapienziale, mitologia, di tutto il mondo
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seconda parte
antico. I disastri che procura la forza, pur divina e primordiale, titanica e di separazione, che sarà variamente detta
nelle varie culture, i Satana-Seth-Tifone ecc.. Disastri che vedranno la fine con la correzione-lotta che ciò che a tale
forza è opposto, per i citati nomi, tra i tanti, rispettivamente il Figlio-Horus-Zeus ecc. .
Plutarco (46-125 dC) nel suo bellissimo "Iside e Osiride" ci dice che <..c'è chi sostiene che Tifone...ebbe due figli,
Ierosolimo e Giudeo..>. Tacito (58-120 dC) pur in modo differente conferma la allegoria dicendo, in "Storie" (V, 24), che "gli Ebrei vennero dall'Egitto durante il regno di Iside, guidati da Ierosolimo e Giuda".
Gerusalemme e Giuda sono così visti e detti "figli" di quel Tifone forza di Errore, che Plutarco identifica all'egizio
Seth, che porta lontano dal luogo-condizione divina, lontano da Iside madre di Horus.
La ierofania, il “mostrarsi-sacro” che è il “vedere” la sacralità di ogni cosa indistintamente ed indifferentemente, di
quel Tutto-Uno di cui “anche” l'uomo fa parte, quella condizione, stato, consapevolezza e sentire, finirà.
E sarà questo “errore”, il fariseismo, che Gesù tenterà di correggere: tutta la sua opera è indirizzata a questo
obiettivo, opera che, incompreso e travisato, non potrà fare.
Quell’ “errore” che Gesù vuole correggere sarà anzi ereditato e continuerà, oltre che nell'Ebraismo odierno, proprio
in quella Cristianità che a Lui pensa di rifarsi assumendo però gli occhi e lo spirito dell'Isra-El-ita giudeo-farisaico
Paolo, base e fondamento principale della Cristiana lettura delle parole e della figura di Gesù. Ma è errore che
anche l'Islam erediterà : le sfumature ed i colori saranno diversi ma in tutte e tre i cosiddetti monoteismi quell'errore,
che -nasce- nella “visione di un uomo-io creato da un Dio”, sarà presente.
Con quell’ “errore” non si saprà più vedere quella unità ed identità di sentire religioso che si sostanziava nella
visione di un uomo universale, cosmico ed “uno” con tutto e tutti, non si saprà più vedere il perché, nel passaggio
della vita terrena l'uomo rischia di “morire alla Vita”.
LA MORTE SPIRITUALE NEL RICCO STOLTO
Di questa “morte” dell'uomo parla con evidenza Gesù con la cosiddetta “parabola del ricco stolto”, parabola che,
nel vangelo di G.D.Tommaso al logia- 63 così recita:
<... Gesù ha detto: C’era un uomo ricco, che possedeva una grande fortuna.
Egli si disse: utilizzerò questa mia fortuna per seminare, piantare, raccogliere, riempire i miei granai di grano
affinché io non manchi di nulla. Ecco ciò che pensava nel suo cuore e, quella notte morì.
Chi ha orecchie per intendere intenda.. >
Qui, anche grazie al monito ed indirizzo di Gesù con quel finale e non certo insolito <.. chi ha orecchie per
intendere, intenda...>, monito che mette in guardia rispetto ad una superficiale lettura, ci viene evidenziata la
coincidenza tra la nascita dell’ “io”, che è il pensare a “sé” come essere “diviso e separato” da proteggere e tutelare
riempendo granai per non mancare di nulla, e la “morte all’anima”, la morte alla “essenza spirituale propria ed
universale al contempo”.
Quella parabola ci dice che la nascita all’ “io”, che è "morte all'anima-Vita", avviene nel momento in cui l'uomo, e
non solo il ricco, pensa che possa esservi qualcosa di “proprio”: propri bisogni, granai, beni ecc .
Questo pensare di “essere in sè”, che ci porta a preoccuparci "di noi" e che anche ci fa vedere “nostre” le cose, è
separazione che ci “chiude al Tutto”, che ci chiude all’Assoluto, alla Vita ed nostra “essenza”, l’anima : così l'uomo
“muore”, non in senso fisico, dice Gesù.
Dice qui Gesù che l'uomo non muore, spiritualmente, per il fatto che è troppo ricco o per il fatto che si occupa e
preoccupa del buon andamento delle cose in generale e degli affari-lavori cui è tenuto badare in particolare; affarilavori che lo possono portare ad essere anche molto ricco. L’uomo “muore spiritualmente”, “muore alla sua animaessenza” quando inizia, ricco o no che sia, a preoccuparsi di sé quale -“io” da preservare-.
Della "morte dell'anima" che un po' segretamente vediamo nel testo di Tommaso, più chiaramente dice il parallelo
passo che in merito ci riporta Luca. L'episodio che Luca ci riporta, però, è dicotomico: se da un lato in alcuni passi
ci mostra meglio di Tommaso, e quindi convalida, la suddetta lettura, in altri finisce per negarla completamente.
Nella parabola del "Ricco stolto” di Luca infatti, parabola che è inserita in capitolo particolarmente caotico che vede
incerti legami ed affiancamenti, da un lato troviamo riferimenti all'anima che testimoniano di un preciso intento ma
che, si deve dire per quanto aggiungerà, è un intento a lui necessitato ma del quale non capisce a fondo il motivo :
<..dirò a me stesso: anima mia, hai a disposizione molti beni..riposati, mangia, bevi e datti alla gioia..>(Lc 12.19),
< Ma Dio gli disse. Stolto questa notte stessa “l’anima tua ti sarà richiesta”.. > (Lc 12.20 Nestle-Aland)
Luca infatti poi, come vedremo, contro questo paventa e mostra una “morte fisica” del Ricco portando così il senso
della parabola lontano dal suo vero e profondo senso e significato. Ma questa è una lettura della parabola che resta
ad una banalità e ad una materialità che, bisogna dire, sono addirittura offensive per la figura di Gesù.
La Cei, dico per inciso, sostituendo in modo inesatto "anima" con "vita" scriverà: <.. ti sarà richiesta la tua vita..>
in luogo di <..l’anima tua ti sarà richiesta..>, suggerendo così anch'essa quella materiale visione e lettura.
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Luca, vedendo e capendo come Paolo, nonostante i chiari riferimenti all'anima sopra visti ha inserito alcuni passi che
capovolgono, banalizzandolo come detto, il senso della parabola :
dapprima con un finale <.. E quello che hai preparato di chi sarà?.. > egli paventa una "morte fisica" del Ricco e
poi, con parole ancora accreditate come di Gesù, egli pur confusamente passa il messaggio non già di invito "alla
salvezza dell'anima" e di messa in guardia rispetto alla "caduta all'io-materialità", ma ci dice che :
- da un lato "non serve lavorare" : <...non datevi pensiero...di quello che mangerete.. di come vestirete..>
<..guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli
uccelli voi valete?..> <..di queste cose si occupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno,
cercate piuttosto il Regno..e queste cose vi saranno date in aggiunta..>(Lc 12.22-31),
- e dall'altro che "male" è la morte fisica cui, come punizione per la sua <..cupidigia..>(Lc 12.15) egli lascia così
intendere, è andato incontro il Ricco.
Ma la sola morte da cui sempre e solo nei vangeli Gesù ha messo in guardia è la “ alienazione-chiusura-morte
dell'Anima" ed in più occasioni Egli ha chiaramente mostrato di non tenere in alcun conto la morte “fisica”:
< ..non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'Anima; temete piuttosto
colui che ha il potere di far perire l'Anima e il corpo..>(Mt 10.28)
Ed anche a Pietro, che si preoccupa della possibile morte fisica di Gesù, Egli dirà: < via da me Satana, tu ragioni
come gli uomini >(Mt. 16.23);
Con la interpretazione lucano-paolina di una "morte fisica" del Ricco, il messaggio di Gesù come detto si banalizza,
perde ogni spessore e profondità, diviene una sorta di scontata storiella o proverbietto popolare, un messaggio che
solo chi non ha “orecchie” può percepire. Nessun "Dio", nessun "Messia" e nemmeno nessun "Sapiente" serviva per
un tale banale e scontato “insegnamento-messa in guardia": i nostri bar odierni come le taverne dei tempi di Gesù di
certo bastavano per un tale monito, per ricordare all'uomo che i beni materiali si possono perdere improvvisamente.
Come tale quella era storiella di saggezza popolare che certo era già raccontata e conosciuta ed altro, rispetto a
questo, necessariamente ha voluto dire Gesù con quella parabola.
E il solo profondo insegnamento possibile, il solo che chiede le <.. orecchie per intendere..> come dice Gesù in
Tommaso, è quello di una "morte spirituale": la "morte all'anima" che consegue alla "nascita all'io-materialità".
È esemplare, quanto qui si è messo in evidenza, di come sia facile sbagliare se non si cerca di capire “nel fondo” i
nascosti messaggi e le Verità che Gesù consegna alle sue parole.
Ma, e lo vedremo ancora meglio alla fine di questi scritti analizzando ciò che Luca riporta su Giona, quanto qui
evidenziato è anche esemplare di come, pur in buona fede, si possa stravolgere la comprensione del vero messaggio
di Gesù e di come, con poche ed apparentemente non importanti parole aggiunte o tolte a quelle da Lui pronunciate,
si induca a quello stesso errore e stravolgimento. Luca discepolo di Paolo, e Marco discepolo di un Pietro che ha
seguito e che è stato < vestito > teologicamente da Paolo, su questi aspetti sono gli evangelisti sui quali serve
maggiore e massima attenzione.
Che la parabola del Ricco Stolto voglia dire di profonde e non ovvie Verità è ragionevole pensarlo ma è anche Gesù
stesso che lo dice: <..chi ha orecchie per intendere intenda..> è, in Tommaso, la chiusura di quella parabola.
Con la corretta lettura, traduzione e comprensione di questa parabola si ripropone il tema molto importante e già
visto in precedenza e che meglio vedremo ed approfondiremo più avanti : quello dell'anima, quello della sua
“chiusura-alienazione-dimenticanza” che vede la conseguente “caduta-prostituzione-adulterio” di un uomo che
così “muore spiritualmente”.
Verso la fine di questi scritti vedrò, su questa Verità, su questa “caduta-morte”, le straordinariamente liriche e
sintetiche parole che, molto prima di Gesù, Eraclito (535-475 aC) esprimeva:
< E' difficile combattere contro il -proprio- animo : quello che vuole lo compra a prezzo della vita >
(C.Diano-G.Serra, Eraclito-I frammenti e le testimonianze, fr.93)
L'animo umano, ci dice Eraclito, o il suo <..fantasma dotato di respiro..vuoto miraggio..> creato dall'uomo secondo
quanto ci dice Euripide in Elena, ciò che desidera, i “suoi beni” dice Osea ovvero quanto l'uomo-adam desidera “per
sé” e considera “proprio”, li ottiene al prezzo della sua stessa Vita, con la “morte all’anima”: l'uomo “muore
spiritualmente”, ed è duro e difficile per lui combattere questo accadimento diceva Eraclito.
Ma, vedremo, parole altrettanto belle ma ben più liriche su questa “caduta-prostituzione” dell'anima che dobbiamo
correggere, sono quelle del Cantico dei Cantici.
Infine una ultima annotazione : la "stoltezza" che Luca addebita al Ricco con il suo “..Stolto, questa notte stessa...”,
una "stoltezza" che è assieme "Errore-Caduta", è la stessa di cui dicono gli Stoici con secoli di anticipo, Stoici per i
quali <..ad eccezione del saggio, tutti gli uomini sono stolti..>(Cicerone, Paradossi degli Stoici).
Ma è una "stoltezza" che, ci dice Zaccaria, tragicamente sarà anche di "pastori", di insegnanti religioso-spirituali
che, seppure "necessariamente" dice Gesù (Mt 24.6-8), porteranno l'uomo alla peggiore delle sue stagioni: <..io
(Jhwh) susciterò.. un pastore stolto..>(Zc 11.15,16) .
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seconda parte
DELLA REINCARNAZIONE
Ho già detto più sopra che tutte le antiche civiltà a fianco della credenza in una “resurrezione-rinascita-ritorno”, nel
corso della vita fisica, che porterà la cultura Indo-Aria ad indicare gli iniziati come < due volte nati > e Gesù ad
invitare similmente a <..rinascere...da Acqua e da Spirito,..da vecchi..>(Gv 3.2-5), vedevano poi anche la credenza
nella “reincarnazione” : il ritorno alla vita materiale di chi è fisicamente morto, dei defunti.
Anche nel mondo Giudaico in cui è nato Gesù, come abbiamo visto testimoniato anche nei Vangeli, la “credenza
nella reincarnazione” era viva e non era assente nemmeno tra gli apostoli:
< .. dicono che tu sei uno degli antichi profeti tornato in vita > (Lc 9.19) < dicono che sei Giovanni B., altri
Geremia o uno dei Profeti..>(Mt 16.14)
< Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi ? >(Gv 9.34)
< Maestro, chi ha peccato, quest'uomo o i suoi genitori ? >(Gv 9.2)
Preciso che quale “reincarnazione” io, anche per quei “ricordi” di cui ho detto in premessa, ho sempre inteso e
pensato, ed anche questo scritto è in tal senso disposto, quale il riportarsi dell'anima umana alla vita materiale e
fisica -in nuovo e diverso corpo umano-.
Faccio qui un breve inciso per sottolineare che la storia però ha visto nella antichità varie posizioni tra i
filosofi e non solo : posizioni dagli esperti discusse e non sempre chiarissime, anche nella terminologia,
che comunque vedevano, a fianco di credenze nella rinascita in “altro corpo umano”, anche la credenza
in possibili rinascite dell'animo umano “anche in corpi animali o vegetali”.
Questa importante differenza, che vede peraltro implicazioni che necessitano di approfonditi esami, è
differenza che comunque non ha rilevanza per le analisi che andrò a fare in questi scritti che si centrano
sulle parole di Gesù: l'approfondimento che faremo riguarderà unicamente il ritorno ad un fisico corpo
umano, da parte dell'animo dell’uomo, dopo la morte fisica.
I termini utilizzati nel mondo Greco, a partire dal V sec. aC, sono “metempsicosi, metemsomatosi,
ensomatosi”, ma la confusione con cui essi per molto tempo sono stati usati non permette con certezza,
ancora oggi a mio avviso, di vedere nei vari testi un univoco e certo significato per ognuno di essi e
questo nonostante la evidenza della differenza etimologica.
Con i distinguo sopra espressi, il termine “metempsicosi” sembra comunque essere quello più usato, nel
mondo greco ma anche oggi, per intendere l'evento di reincarnazione in un “altro corpo umano” che qui
come detto prenderemo in esame. Anche qui diremo "metempsicosi", assieme a "reincarnazione", per
dire di tale evento e possibilità.
Restando al mondo Giudaico vuole rilevato che la credenza nella “reincarnazione” sarà presente, nonostante le
odierne smentite, anche dentro alla Cristianità dei primi tempi : per “La reincarnazione nel mondo antico” di
E.Bertholet edito da Ed.Mediterranee, Origene (185-254) in una disquisizione su “uomo purificato-vaso d'onore” e
“uomo senza purificazione-vaso di disonore” che prende spunto da Rm 9.18-21, dice:
< ..ne risulta che la causa che opera e forma un vaso d'onore o di disonore
deve essere più antica (- preesistente – traduce Rufino) ..d'altra parte, è possibile che colui che, in conseguenza di
cause anteriori alla vita attuale, era qui un vaso di disonore, possa, dopo essersi migliorato, divenire, in una nuova
creazione, un vaso d'onore, consacrato, utile al suo Padrone e preparato per ogni buona opera..>
( Principi, da testo greco, libro III, cap.I, par.20-22)
Oltre a ciò che scrive Origene, sempre nello stesso testo troviamo queste altre parole di Giustino di Nablus :
< Alcune anime che si credono indegne di vedere Dio a seguito delle loro azioni
durante le reincarnazioni terrene, riprenderanno corpo in animali inferiori >
(Giustino di Nablus (100-168),Cfr E.Bertholet, La reincarnation)
Parole chiare qui, a me sembra, parole inserite in quella dolorosa, grande ed infuocata discussione e ricerca teologica
dei primi secoli detta “questione Cristologica”. Dottrina contrastata in quanto inconciliabile con la dottrina e la
teologia di Paolo e condannata solo nel 553, la credenza nella reincarnazione resterà, più o meno segretamente,
sempre insegnata da seguaci di Gesù. Gerolamo (347-420) nella sua "Lettera a Demetra" afferma che alcune sette
cristiane del suo tempo insegnavano la reincarnazione <..come una dottrina tradizionale che non doveva essere
divulgata..>. Solo intorno al 1000, con il movimento dei Catari, essa fu di nuovo apertamente insegnata.
Per la cultura Indo-Aria e le diverse sue odierne eredi, la reincarnazione è vista come ciò che l’uomo deve
scongiurare, ciò che deve cercare di evitare: l'interruzione del ciclo delle rinascite è infatti il solo fine di ogni
pensiero ed azione che l'uomo deve avere ed è credenza ancora oggi notoriamente mantenuta in tutto il mondo
Orientale. Il ciclo si deve chiudere poiché porta a condizioni sempre peggiori, condizioni peggiorative che servono
e si rendono necessarie alla "correzione", a far sì che si "veda" e quindi si agisca giustamente. Un peggioramento
che si vedrà e sarà detto, con una errata semplificazione, come punizione-espiazione di peccati.
Anche nel mondo Greco la reincarnazione-metempsicosi era vista come passaggio peggiorativo e da evitare: di essa
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seconda parte
così in vario modo diranno Orfici, Empedocle, Pitagora e Socrate. Di una bellezza straordinaria sono le parole
riportate su una lamina aurea del IV-III secolo a.C. da Thurii, nella Magna Grecia Calabra:
< (defunto:) io provengo dai puri, o pura regina degli inferi.. sfuggii al cerchio (delle rinascite),
che dà pesante dolore e aspro…
“( divinità:) oh beato e felicissimo, sarai un dio anziché un mortale” >.
In Grecia furono in particolare i seguaci delle tradizioni Orfiche a ricordare con i loro riti, feste ecc., la necessità di
evitare il “cerchio” del ritorno e, notoriamente, Pitagora (575-395 aC) in particolare, con Socrate e Platone che ne
dice nel “Mito di Er” ma non solo loro, insegneranno e diranno della reincarnazione.
Scrive Simplicio nel suo “Commento ad Aristotele-Del cielo” :
< dal cerchio del fato e della generazione, è impossibile distaccarsi, secondo Orfeo, a meno che non si abbia il
favore degli Dei: ai quali impose Zeus di liberare dal cerchio e di confortare dal male le anime degli uomini >
Pindaro (518-438) dirà anch’egli di quella dottrina e credenza nella sua Olimpiche (2,56-72):
<..E quali ebbero il coraggio di rimanere per tre volte nell’uono e nell’altro mondo, e di ritrarre del tutto l’anima
da atti ingiusti, percorsero sino in findo la strada di Zeus verso la torre di Crono: là le brezze oceanine soffiano
intorno all’isola dei besti..>
Erodoto ci riferisce di una credenza nella “reincarnazione-metempsicosi” presso gli Egizi e ritiene che da questi
essa si sia trasmessa ai Greci.
Nel PerEmRa Egizio al capitolo 93 viene riportata una “formula” per scongiurare questo ritorno al materiale, la
reincarnazione : essa è presentata come < formula per evitare di salpare verso l’est >.
Le parole di quella “formula” ovvero quella “conoscenza”, serviranno al fine di evitare il ritorno all’est, il ritorno al
punto da cui riparte la vita fisica, il luogo da cui riprende il ciclo della vita terrena.
Motivo principale di questi universali insegnamenti sul bisogno-necessità della “fine del ciclo” certamente per molte
culture è la volontà di evitare, nella visione karmico remunerativo-compensativa che accompagnava molte di quelle
culture, il ritorno ad una espiativa condizione fisica degradata, malata e sofferente.
Oltre a questo certo vi era anche una visione spesso negativa della vita fisica in sé a causa delle sofferenze e dolori
che spesso essa vede, ma non credo sia possibile generalizzare questo aspetto: in quelle coscienze religiose che
contemplavano un Tutto-Uno lontano e slegato da ogni “io” e sempre da festeggiare e celebrare, l'amore per la vita
fisica era certamente primario.
Sempre in Egitto parlano, ancora con straordinarie allegorie, della “reincarnazione” e della “resurrezione” i “Testi
dei Sarcofagi” al bellissimo “incantesimo 650”; qui l’ Aldilà, il Duat, è visto e descritto come crocevia di “tre
sentieri” sui quali l’anima” potrà incamminarsi, le strade sono:
il viaggio o “giaciglio del leone”; il ritorno o “giaciglio dell’ippopotamo”;
il fluttuare o “giaciglio della mucca”.
La strada del viaggio è quella della “resurrezione”, quella della Vita Eterna, l’approdo alla circolarità che è moto e
viaggio eterni dell’Assoluto; essa è “giaciglio del leone” poiché è la strada che vede “dormire-giacere” la forza e il
desiderio del ritorno alla materia; essa vede dormire il “leone” che questa forza e desiderio rappresenta.
La strada del ritorno è quella della “reincarnazione”, quella del ritorno alla vita terrena, “giaciglio dell’ippopotamo”
poiché è la strada che vede “dormire-giacere” la forza e il desiderio del ritorno alle “acque” della Vita Eterna,
all’Assoluto, forza e desiderio rappresentati dall’ippopotamo che desidera ed ha bisogno di “immergersi”, che vive,
nelle “acque”.
La strada della fluttuazione nel Duat è quella, provvisoria, di chi non imbocca alcuna strada, “giaciglio della mucca”
poiché è la strada che vede “dormire-giacere” la forza ed il desiderio della Vita in assoluto, sia spirituale che
materiale, rappresentata dalla “mucca celeste”, la Nut che vede assieme cielo e terra con la barca solare celeste che
riporta il movimento circolare della Eterna Vita.
E' opinione comune, nonostante le citate parole di Erodoto, che gli Egizi non credessero nella “reincarnazione–
metempsicosi”, ma questo è errato.
Questa opinione e convinzione viene sorretta dalla pratica Egizia della imbalsamazione dei corpi, una “pratica” che
viene vista come conseguenza della loro credenza di potere un giorno “riprendere” il proprio corpo.
Ora, se da un lato è corretto vedere nel corpo imbalsamato la credenza di quella cultura in una continuità della vita,
dall'altro il pensare che per essa fosse possibile pensare che un corpo mummificato potesse riprendere vita è
quantomeno azzardato : questa nostra visione e lettura di quella cultura è certamente figlia del concetto di
“resurrezione dei corpi” ma nulla ci autorizza a pensare che una simile credenza fosse anche patrimonio di quella
alta e profonda cultura religiosa.
Nessun testo Egizio ci parla di un proseguimento della vita, dopo la morte, rimandato nel tempo: il trapassato per
essi passa “subito” ad altra condizione di vita.
La continuità di vita che essi vedevano non era demandata ad alcun tempo futuro, il “giudizio” sulla bilancia di
Maat era immediato: la continuità in cui essi credevano era Spirituale ed i testi riportati nel capitolo precedente
dicono che quella continuità era vista, per l'uomo giustificato”, come “ritorno alla divinità”.
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seconda parte
Questa “chiara credenza” Egizia con evidenza contrasta, e non si spiega, con la interpretazione da noi normalmente
data alla imbalsamazione dei corpi: a chi spera di portarsi ad essere Osiride stesso, divino, a cosa poteva servire la
propria mummia ?. E' evidente che la nostra interpretazione della pratica di preservazione-mummificazione del
corpo non è quella corretta: quella pratica verosimilmente poteva invece essere messa in atto non già per
“riprendere” quel corpo ma, all'opposto, per “evitare la reincarnazione”!.
É plausibile, e non irrazionale, l'ipotesi che essi ritenessero che finché il loro corpo era sulla terra essi non avrebbero
“potuto” reincarnarsi: essi, in questa lettura, si costringevano, per la presenza di quel corpo mummificato, a non
seguire la strada della reincarnazione o metempsicosi, cammino che a causa del corpo mummificato poteva, per essi,
essere impedito.
Per la altissima spiritualità che il PerEmRa Egizio esprime e che ci mette in evidenza per quella cultura, ritengo
questa ipotesi più plausibile di quella, peraltro in contrasto con quei testi, sin qui, forse un poco ciecamente, vista.
Dopo questi approfondimenti sul “filo a piombo” delle parole di Gesù, sulla “resurrezione in vita” da Lui insegnata
e su alcune altre sue parole, ciò che vedevo ormai ben delineato, rispetto alla credenza di Gesù nella
“reincarnazione”, era a me sufficiente ma certo questo non era completamente risolutivo per sostenere la messa in
discussione di millenni di errate interpretazioni.
Continuavo a leggere i Vangeli canonici cercando qualcos'altro, cercando quelle parole che per me -non potevano
non esserci anche sulla “reincarnazione”-: la totale mancanza di Sue parole su di una credenza tanto viva e presente
ancora ai tempi in cui Egli è vissuto, mi continuava ad essere assurda ed impossibile.
Purtroppo la ermeticità delle parole di Gesù, e la complicità di “traduzioni” che “indirizzano” su strade incorrette
essendo piuttosto vere “interpretazioni”, mi faranno impiegare molto tempo per vedere le parole di Gesù anche sul
“preciso” argomento della “reincarnazione”.
Solo molto avanti nel tempo ed altri approfondimenti, finalmente come vedremo nella Settima Parte di questi scritti,
sono riuscito a vedere “nei vangeli ed incomprese” le parole di Gesù sulla reincarnazione. Una reincarnazione che,
come “già visto” millenni prima di Lui, anche per Gesù è possibile ma strada incorretta.
L'UNO-TUTTO
Continuo con qualche altro appunto su quella unità di fondo degli insegnamenti del mondo antico con alcuni passi,
di diverse culture, in cui troviamo un uomo parte del Tutto, dal cosmo creato e ad esso completamente legato.
Nell'ebraico Sfr Isirè III troviamo:
< Nell’uomo tre forze, energie cosmiche: la parte principale è creata dalla Energia Radiante,
i visceri sono creati dalla Energia Ondulatoria e la forma è creata dall’Energia Vitale,
Spirito che fa da mezzo equilibrante tra di loro...>
L’uomo che qui è detto “cosmico”, composto di energie cosmiche, è ben assimilabile a quello della cultura Vedica
(2000/1500 aC) dove troviamo già questo uomo parte dell’Uno-Tutto, cosmico quindi, poi sviluppato nelle
Upanishad ( 9-700 aC).
Uno-Tutto che è lo stesso che per la Grecia Plotino ben ci fa vedere. Dio cosmico è
anche l’Osiride degli Egizi: smembrato e sparso come anche è Prajàpati in India o Zagreo in Grecia.
Nella cultura Vedica questo Uno-Assoluto, il Brahma, come dicevo più sopra, è visto “portato” nel “cuore-loto”, il
“cuore nascosto” dell’uomo: è l’Essenza e il Tutto che si deve conoscere, “resuscitando”, per riportarsi, annullati
nell' “io”, all’eterno Assoluto. Troviamo nelle Upanishad:
“il cuore è la sede tutti gli esseri, il cuore è il fondamento di tutti gli esseri.
Il cuore perciò è il supremo Brahma”. ( Brihadàranyaka IV,1,7)
“Là dove c’è.. né Essere né Non-essere, lì è ..l’unico Tutto. …Il suo sembiante non è visibile, nessuno lo può
scorgere con l’occhio. Coloro che lo conoscono …come colui che dimora nel cuore,
costoro diventano immortali”. (Shvetàshvatara IV,18-20)
In Grecia Aristotele scriveva di un Assoluto, causa e fine, Tutto, “presente in tutte le cose”:
< (Zeus) è il principio, in quanto causa creatrice, fine in quanto causa finale,
mezzo in quanto è presente allo stesso modo in tutte le cose. > (Il mondo 7.401)
Eraclito l'Oscuro ( Efeso 535-475aC) , qui in verità non oscuro, sul Tutto in cui e di cui siamo, per le traduzioni a
cura di Diano e Serra nel loro “Eraclito- I frammenti e le testimonianze”; dirà:
< ..dando ascolto al Logos (Verbo), è saggio dire che tutte le cose sono Una >(fr.6)
<..da tutte le cose l'Uno e dall'Uno tutte le cose >(fr.19)
< Per i desti il mondo è Uno e comune, ma quando prendono sonno si volgono ciascuno al proprio >(fr 9)
In questo ultimo frammento non si può non vedere come sia l' “io”, che crea il “proprio”, ciò che, così in un sonnomorte, non ci permette di vedere il Tutto-Divino: un “io” che solo se negato permetterà di vedere la “sapienzasophia” di cui dicono Eraclito come anche i Proverbi nelle Scritture giudaiche :
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seconda parte
<..Una è la Sapienza, conoscere la mente che per il mare del Tutto ha segnato la rotta del Tutto..>(fr.13).
<..dall'eternità sono stata costituita, dal principio.. ..io sono intelligenza, a me appartiene la potenza...
quelli che mi cercano mi trovano.. ..chi trova me trova la Vita..>(Prv 23,14,17,35)
Del Tutto dirà similmente anche la Cristianità con il suo “Dio presente in tutte le cose”, affermazione che però,
dicotomicamente e confusamente, contrasta con la sua visione di un uomo singolarmente da Dio creato ed
eternamente ben separato dagli altri e da Dio.
Le parole di Gesù però, “filo a piombo” abbandonato ed incompreso, su questo argomento le troviamo nella risposta
alla domanda dei Farisei su quale sia il “principale insegnamento” della Scrittura, ovvero su ciò che vuole
“principalmente compreso” di quei testi : Gesù dice da un lato che il “principale comandamento” è :
< Amerai Jhwh tuo Elohim con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente >
(Mt 22.37; Mc 12.29)
e dall'altro Egli immediatamente dopo dice che il “secondo” comandamento, <..simile al primo..> ovvero che “dice
della stessa Verità”, è l'altro passo sempre della Scrittura che dice :
< Amerai il prossimo tuo come te stesso > (Mt 22.39; Mc 12.31)
Ora per potere leggere in questi due comandamenti-insegnamenti la stessa Verità si deve correggere una imprecisa
traduzione: dovrà essere sostituito < come te stesso > con < quale te stesso >. La differenza può essere enorme: il
“come te stesso” infatti è con facilità trasportato ad un “come se fosse te stesso” ma questa lettura non ha nulla a
che vedere con l' < Amerai Jhwh tuo Elohim..> sopra riportato, nulla di <..simile...> a tale primo comandamento
essa ci dice. Ben altra, profonda e in tutto uguale a quel “principale comandamento” è invece la lettura :
“Amerai il prossimo tuo -quale- te stesso”
Gesù così ci dice della necessità di vedere, con-prendere ed amare un “prossimo-noi” che, per quel Suo sottolineare
che si tratta di “parole simili”, è divino, l' “Uno-Tutto-Assoluto” che unicamente dovrà riempire cuore, animo e
mente: nessun “io” o “altri” potrà esservi ma solo “quel” Tutto-Uno che è “prossimo-noi”. Ci dice così Gesù di una
Scrittura che parla della necessità di non avere alcun “io da amare”, ovvero non vedere alcun “altro Dio o altro dal
Dio”, della necessità di vedere e amare solo quell'Assoluto che è il “prossimo-noi”, il Tutto :
< Voi siete dei > (Gv 10.34)
ricorda Gesù riportando Salmi 81.6 e sottolineando che :
< la Legge...ha chiamato “dei” coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio >(Gv 10.35)
significando quindi che “siamo tutti deità, in essenza”, e tutti “Vivi” -quando sappiamo ascoltare il Divino- ovvero
quando abbandonando l'ascolto dell' “io” recuperiamo il Noi-Prossimo-Tutto, l'Assoluto, Jhwh.
Un Assoluto-Tutto che è Uno, unico esistente del quale nel Vangelo di Filippo è detto:
<Luce e Tenebre, Vita e Morte, Destra e Sinistra, sono fratelli tra loro. Non è possibile separarli >
Anche questa Verità di Gesù e delle Scritture era “già vista” ed espressa nelle culture Egizia, Indo-Aria,
Mesopotamica, Greco-Antica ed altre ancora: Verità esposta in ogni cultura in modo articolato, sotteso e specifico,
che ha finito per confondere l’uomo, immaturo e cieco, con la complessità di cieli colmi di Dei, di Demoni ed altre
Forze. Sono culture e Verità certo sviluppatesi e trasformatesi autonomamente secondo le peculiarità delle proprie
tradizioni, ivi compresi gli errori, ma che le tante coincidenze di miti, termini e visioni, e sentire ultimo, comunque
legano.
Per tutte queste culture e civiltà si può dire ciò che troviamo espresso nel RgVeda Indo-Ario e cioè che:
“Dio è uno, ma i saggi lo chiamano con molti nomi”
Quindi non già tanti separati “Dei, Demoni e Forze” nei pantheon di tutto il mondo antico ma solo i molti “nomi”
delle “potenze” che sono Unico Dio: quelle stesse “legate potenze” tanto spesso evocate nelle Scritture con la
formula <..Jhwh delle potenze..> .
Nomi e divinità non già nel senso normalmente da noi inteso e secondo gli insegnamenti ricevuti ma, con termini
sempre inappropriati, energie operanti, aspetti, espressioni, forme e forze, potenze, sempre e comunque di un “UnoAssoluto” che vedeva l'uomo in condizione di “partecipazione-unione”, parte di un “Tutto” che invece sarà
cancellato nel Giudaismo Farisaico prima e nella Cristianità poi come anche nell'Islam.
Approfondirò verso la fine di questi scritti questa “pluralità del Dio unico di cui parlano con chiarezza Torah e
Profeti”, le Scritture, che Gesù unicamente ha voluto fare capire anche in questa loro Verità.
Quel mondo di “Potenze-Forze-Divine”, vive e presenti, era reso e spiegato, in Egitto in particolare ma non solo,
con “immagini e raffigurazioni” straordinariamente liriche che, se ben viste e ben comprese, possono meglio di ogni
parola fare intravedere e rendere la complessità di una Realtà a noi comunque impossibile da penetrare
completamente.
Sono immagini, quelle degli dei Egizi, che contrariamente alla parola non si fraintendono, al più possono non essere
capite, ma difficilmente fraintese. Quando però esse sono a fondo comprese possono rendere la Realtà meglio di
quanto non possa fare una teologia rigidamente e quasi unicamente legata e confinata nello stretto ed errato rapporto
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seconda parte
“Dio-uomo”. Questo infatti non fa che “ingabbiare” l’uomo isolandolo e separandolo dal Tutto, imbrigliandone la
mente che quindi non riuscirà più a vedere altro che questo stretto, asfittico ed incorretto rapporto.
Sono anche queste le “gabbie” ed i “lacci” di cui tanti Profeti parlano mettendoci in guardia. Certo quel richiamo al
fatto che “l’unico Dio solo i saggi sanno chiamarlo con molti nomi” suona, a mio avviso, come una dura e triste
verità per quell’uomo moderno che, anche spiritualmente, tanto evoluto rispetto agli antichi ritiene di essere.
Mi riporto ora nuovamente al messaggio di Gesù, un messaggio che, come dicevo, io vedo e trovo esattamente
identico a quello di tutto il mondo antico, con gli stessi argomenti che tornano a testimoniare di quella continuità
tragicamente non vista e riconosciuta.
I SEPOLCRI IMBIANCATI
Nello stesso senso delle parole del PerEmRa LXIV, dove si trova la condanna ed il biasimo per i <.. sepolcri
imbiancati..> secondo la sintesi di M. Pincherle sotto riportata ovvero per la <..putredine..> secondo la traduzione
di G. Kolpaktchy, parlano per me le seguenti parole di Gesù, parole pertanto “già viste” millenni prima di Lui:
<Guai a voi…che rassomigliate a sepolcri imbiancati…
fuori belli a vedersi.. dentro pieni di ossa di morti e di putredine...>( Mt 23.27)
< Vieni! Salta l’abisso! Prosciugheremo insieme la sorgente del pianto.
Travolgeremo insieme gli imbiancati sepolcri , tramatori di piani per annullarmi.. >.(PerEmRa LXIV)
Stessi sepolcri e putredini, qui vi sono, con lo stesso ammonimento nei confronti del grande “errore mortale” della
“separazione” nell’ “io” che con la sua illusione di “essere in sè” allontana dall'uomo la sua Vera essenza e lo lascia
nella “morte e nella putrefazione”.
Errore che porta e lascia nel marciume della “morte” perché priva l'uomo di quella “essenza”, l’Assoluto-Tutto,
l'Anima, il “cuore nascosto”, che è la sola Vita.
Errore che vede l’uomo trasformarsi al contempo in sepolcro ed in “sorgente del pianto”: poiché da quell’errore,
morte, nascerà ogni “dolore e pianto”.
Ma anche le tombe materiali, i sepolcri fisici, le “belle tombe”, possono essere veri emblemi dell’errore dell’ “io”
che pensa di “essere”, errore che così anch'esse istituiscono e procrastinano, anch'esse, così, vere “ sorgenti del
pianto”.
È chi pensa di “essere” infatti che si preoccupa del suo “io-fisico” fino a custodirne spoglie e memoria anche dopo la
morte fisica.
IL BATTESIMO
Anche la “immersione-battesimo”, e ricordo per inciso che “battezzare” etimologicamente è “immergere”, è un rito
che, con il significato simbolico della purificazione ed unione con le acque dell'Assoluto, era “già visto” con le
“immersioni sacre” dagli Egizi, dagli Indo-Ari ,dai Greci e da tanti altri.
I primi, ancora, a praticare la “immersione-battesimo”, sono forse gli Egizi: inizialmente riservata ai faraoni la
cerimonia si allargò ai sacerdoti, quindi ai dignitari e ufficiali ed infine a tutti, compresi i ceti più umili.
Molto presto, e forse già a quei tempi, la “immersione-battesimo” era praticata in Frigia, con il Dio Attis, a
Babilonia, con il Dio Marduk, e poi in Grecia, con Dionisio nei misteri Eleusini ed in Persia, con il Dio Mitra.
Recita il “PerEmRa” Egizio 2000 anni circa prima di Gesù:
“Io pure mi sono “battezzato” nelle stesse acque in cui Osiride, negli antichi tempi,si è purificato.”
e nello stesso periodo nel poema Mesopotamico Atrahasis o Grande Saggio, si poteva leggere:
< Enki (Dio)..: “..decreterò una purificazione con abluzione...gli dei si purificheranno con l'immersione...>
(Kramer - Uomini e dei.. 45)
In questo racconto mitologico-sapienziale protagonisti sono gli dei ma con evidenza quel gesto, quell'atto, anche
all'uomo era, in quella società, proposto.
Per tutte le antiche civiltà con la stessa rituale “immersione” viene evocata, auspicata e cercata la “ resurrezione in
corso di vita”: “puro” è l'Assoluto e colui che si “purifica” vuole portarsi a quella condizione : quel gesto nasceva
per esprimere e ricordare la perdita di ogni singolarità, la “morte” simulata con la completa immersione diceva
quella necessaria “morte dell' io” nelle Acque che vede al contempo la “rinascita-resurrezione”.
In Frigia mentre l'iniziato si immergeva il sacerdote recitava :
<..Tu sei rinato e da questo momento farai parte del mondo degli eletti
a cui sono aperte le porte della eternità..>( Wikipedia)
Battesimo, “immersione”, che per tutti è quindi simbolo di una “purificazione” che è il portarsi alla “purezza”
dell'Assoluto, il desiderio ed auspicio del ritorno al divino e non quel lavare i peccati che normalmente noi oggi vi
vediamo.
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seconda parte
L'oriente ancora oggi ci mostra la eredità Indo-Aria della abluzioni nelle acque sacre di fiumi o sorgenti : l'acqua
che, come per tutto il mondo antico, è acqua corrente o nascente: acqua viva simbolo del Vivente.
Anche il territorio giudaico vedeva questi riti di immersione e purificazione, erano riti di grande importanza, che
però non vedevano la figura dell'immergitore-battezzatore : essi si protrarranno a lungo nel tempo ed erano esercizi
svolti anche giornalmente, com'era per gli Esseni.
Questi riti di immersione certamente potevano vedere, nelle cerimonie più importanti, l'affiancamento della figura
sacerdotale, ma essa non era indispensabile.
Anche le abluzioni che ancora oggi compie il mussulmano sono chiaro ricordo di riti di questo tipo.
Nel mondo giudaico tra le figure più importanti, dal punto di vista della memoria storica ma certo anche da quello
religioso, vi sarà Giovanni Battista, figura estremamente autonoma rispetto a quella di Gesù, grande personalità che
storicamente sembra introdurre nel territorio giudaico la figura dell'“immergitore-battezzatore” e che aprirà così la
strada per la trasformazione di un atto intimo ed individuale nel Cristiano “atto sacramentale”.
Egli, ben prima della predicazione di Gesù, inizierà la sua opera di scuotimento delle coscienze, di invito al
“cambiamento di mentalità-conversione” similmente a ciò che farà poi Gesù, servendosi in particolare della
“immersione-battesimo” quale segno e simbolo di forza ed efficacia pratica.
< predicava una immersione di conversione..>(Mc 1.14)
< (diceva)..immergo per la conversione..>(Mt 3.11)
Giovanni anche dopo il famoso incontro con Gesù continuerà senza cambiamenti ed in completa autonomia e
distacco questa sua opera di “immersione-battesimo” e di invito alla “conversione-cambiamento di mentalità”.
Oggi sappiamo che eredi dei suoi insegnamenti si dichiarano i Mandei, un ristretto gruppo di origine giudaica che è
riuscito a sopravvivere, se pur molto marginalizzato, quasi esclusivamente in una area a ridosso tra Iraq ed Iran
meridionale.
Presso i Mandei la “immersione-battesimo” è praticata con grande frequenza, settimanalmente o anche più, ed il
fedele può compierla anche autonomamente : solo in occasione delle cerimonie domenicali egli viene
accompagnato, nel rito, dal sacerdote.
Come riportato da Kurt Rudolph nel suo trattato sulla religione Mandea in “Gnosticismo e Manicheismo” a cura di
Puech, ancora oggi per questa comunità, rimasta grazie al suo isolamento legata alle più originali tradizioni e
credenze, con la “immersione-battesimo” si ottengono, si auspicano e promuovono:
< la comunanza (laufà) >
con un Assoluto visto come <”mondo della Luce” o “Vita”>, una comunanza, unione, osmosi, ritorno, cui
conseguiranno :
< la conferma; la attitudine a vincere o equità (zakùtà); la guarigione (àsùtà) >.
Con quel gesto e rito quindi, con la rituale immersione che è figurata espressione di “morte alla singolarità dell'io”,
di ritorno alle Acque dell'Assoluto-Tutto e di ritrovamento della propria origine ed essenza, la “comunanza-laufà”
con l'Assoluto, si evocano e si trovano : la “conferma” nella Verità, la capacità di “vincere l'errore” della
separazione, ovvero la “equità-zakùtà” e la “guarigione-àsùtà”, guarigione da questo unico e primo “errore”.
Chiudo questo breve approfondimento sulla “immersione-battesimo” con una ultima notizia che ci fornisce il Padre
della Chiesa Ireneo di Lione (130-202 dC) in “Adversus Hereses I,21” .
Egli ci dice di un gruppo di Cristiani, di seguaci di Gesù da lui citati come “Marcosiani”, che nei loro “battesimiimmersioni” recitavano invocazioni alla < Verità-PadreSanto-Salvatore > al fine di ottenere:
<.. l'unione, la redenzione e la comunione alle potenze.. >.
Nelle loro orazioni, secondo Ireneo, essi recitano:
<.. Io sono un vaso prezioso... Io ho conosciuto me stesso: io so di dove vengo..>.
Anche queste immersioni-battesimi sono quindi, come tutti, di “resurrezione” : esse ci dicono di “profondità
spirituali”, alle origini, che vanno ben oltre il formalismo e la incomprensione in cui si è trasformato oggi sia il
“battesimo” visto e proposto nella Cristianità, svuotato di tali Verità, che molte ormai delle “immersioni” del mondo
Orientale, volte massimamente ad un lavaggio di peccati lontano anch'esso da quella Verità.
LA COMUNIONE
Anche il rito della “comunione”, da Gesù proposto in Sua < memoria > col “pane e vino” quali “Suo corpo e
sangue”, quale momento-atto di “ricordo” che per Gesù deve dirci ad un tempo di quel “cibo e bevanda dell'anima”
che è stata la Sua vita, le “sue parole” ed “insegnamenti” che conducono alla Vita eterna da un lato e dall'altro
ricordare e vedere la Verità della Sua e nostra natura che vede “assieme ed al contempo” il “corpo-materia ed il
sangue-anima”, anche questo rito è “già visto” ed ha origini molto lontane nel tempo.
Non vi è infatti alcuna differenza tra ciò che Egli propone e la comunione “vista” nel PerEmRa Egizio 2000 anni
prima:
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seconda parte
<..Io ho preparato per te pani consacrati con bianco grano e vino preparato con chicchi rossi.
Questo è il pane e questo è il vino della tua comunione.
Comunicandoti con questo cibo celeste potrai impossessarti della Vita eterna...>
Tutto poi similmente a quanto avveniva, sempre prima di Gesù, nel culto di Mitra secondo quanto ci dice Giustino
in Apologia I, 66:
< nei misteri di Mitra… ai riti di iniziazione… si offre pane ed acqua >
E la completa uguaglianza di queste lontanissime “comunioni” non è già quella del formale “pane e vino, o acqua”
ma bensì quella del loro profondo significato, esattamente identico : l'invito a “cibarsi” di ciò che viene dal “divino”
per portarsi ad esso, per portarsi all' Eterno-Eternità.
I TRE GIORNI
Anche i “tre giorni” necessari, al momento del trapasso, per la rinascita nell’altra dimensione sono “già visti” e
riportati nella cultura Indo-Aria delle Upanishad, in quella Mesopotamica ed in quella Greca come pure nella cultura
Giudaica dei primi profeti.
In Egitto sono tre i giorni che servono per la rinascita di Osiride; al 4° giorno, cioè dopo il terzo, è risuscitato anche
lo Zoroastriano Attis.
In Babilonia, sempre millenni prima di Gesù, si scriveva che alla morte, prima di riprendere il cammino:
<.. per tre giorni (si) riposa in cielo...>(Zeher,95)
Nelle Scritture Giudaiche troviamo:
<...dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare noi Vivremo alla sua presenza..>(Os 6.2)
In Grecia, nell’Alcesti di Euripide (450 aC), alla morte della protagonista troviamo questo colloquio che si svolge
nell’Aldilà:
< (Admeto:) Perché questa donna se ne sta lì muta?
(Eracle:) Non ti è ancora permesso di udire parole da lei, prima che sia stata
sciolta dal vincolo che la consacra agli dei degli inferi e siano passati tre giorni > (Alcesti 1145)
IL DIVENIRE BAMBINI
Ancora “già visto” poi è l'invito che Gesù ci fa a “divenire come i bambini”, invito che ci viene fatto nelle
Upanishad con 700 anni di anticipo:
“un Bramano …deve dimenticare il “suo” sapere e vivere come un bambino”( Briahdàranyaka III,5,1)
Lo stesso concetto esprimeva, ermeticamente al pari di Gesù e 1500 anni prima, anche il PerEmRa Egizio dove al
cap. XXXXII troviamo:
< ..Io sono il fanciullo, io sono il fanciullo, io sono il fanciullo… sono l’Uno che procede dall’Uno.. >
Questo “divenire bambini”, in modo ermetico sempre si esprimeva chi voleva parlare solo a chi aveva “orecchie per
capire”, ci dice del “ritorno all'ascolto innocente”, al “sentire” che è ascolto dell'Assoluto dentro di noi, ascolto
“innocente” -ovvero non condizionato da alcun “io”- che è il “kalos-onesto-bello” che già gli Stoici vedevano quale
“unico bene” : è la riscoperta ed il ritorno alla nostra più piena e Vera Essenza .
Della Verità della necessità per l'uomo di portarsi a quella “innocente-infantile” condizione diceva anche il mondo
greco del III sec. aC secondo una nota espressione di Menandro: <..muore giovane chi agli dei è caro..>.
E' caro agli dei chi, senza “io, sa “ascoltare il Logos-Verbo divino” come sa fare il “giovane-bambino” e così, in tale
coscienza, “giovane” arriva alla morte fisica.
Dice di questo necessario “ascolto-nutrimento”, di quella stessa voce, che non è che il “latte che scorre nella terra
promessa” di cui dice Genesi, questo passo di Gesù :
<..questi piccoli che succhiano il latte sono simili a coloro che entreranno nel regno...>
(vangelo di G.D.Tommaso, l. 22 = Mt 19.14).
Il “latte” di cui solo si nutre chi si riporta all'Assoluto è tema che era anche del mondo Orfico :
< ..capretto caddi nel latte..>,
recita una laminetta aurea del V-IV sec. aC di cui dirò più oltre, ma anche sul tema-allegoria del diventare bambini,
tema bello ed importante, altro più oltre in questi scritti vedremo.
L' ACCADERE
Anche quanto già detto in merito alla “umiltà” di Gesù, alle sue parole < io non giudico > ed alla sua completa
apertura agli avvenimenti, al “ciò che accade” sino a portarsi alla piena accettazione della sua morte in croce, sono
tutte esperienze ed insegnamenti “già visti” e che nascono da quella mancanza dell’ “io”, universale Verità, che
“unitariamente” ed universalmente porta a quella consapevolezza.
82
seconda parte
Socrate nel 450 aC anticiperà tutto questo, come certo tanti altri silenziosamente possono aver fatto.
Socrate infatti “non giudicherà” nemmeno chi lo condanna, ingiustamente, a morte; per lui come per Gesù la legge
sociale è, per la vita fisica, indiscutibile e comunque da accettare.
Socrate <.. sapeva di non sapere..> e < .sapeva di non essere nulla in sé..> ( Platone, Simposio 216 d,e) : sapeva
cioè come Gesù di non potere decidere cosa è bene e cosa è male per l'uomo e la loro condanna a morte vedrà per
entrambi lo stesso aspetto di accettazione : una “accettazione” dell'accadere cui sia Gesù che Socrate sono portati
dalla stessa Verità.
E questa Verità che entrambi hanno “visto” farà dire a Socrate parole che sembrano pronunciate da Gesù, egli dirà
infatti con impressionante “umiltà ed amore” a coloro che lo stanno condannando:
<.. è venuta l’ora!..> < ..O miei cittadini…, io vi sono obbligato, io vi amo..>
ABBANDONO-MORTE DELL' “IO”
Ed infine già visto è anche l’invito di Gesù a rinunciare all' “io-separato e separatore” ovvero a “non sentirsi
essenti in sé stessi”. Abbiamo già visto in precedenza come questo “invito-necessità” di togliere l' “io” sia da Gesù
insegnato ed espresso con varie allegorie :
< ..se qualcuno vuole venire dietro a me “rinneghi sé stesso”..>(Mt 16.24)
< ..la mano sinistra non sappia ciò che fa la destra >(Mt 6.3)
< ..la pietra che i costruttori hanno scartato, è divenuta pietra angolare...>
(Mt 21.42; vangelo di G.D.Tommaso l. 66)
Ma soprattutto abbiamo visto come questo insegnamento sia insito al suo fondante invito a “non giudicare”:
< Non giudicate e Dio non vi giudicherà..>(Lc 6.37) < Non giudicate per non essere giudicati >(Mt 7.1)
< Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno >(Gv 8.15)
Gesù, essendosi portato a tale condizione di mancanza dell' “io-separato, separatore e giudicante” così risponderà
ancora e sempre per chi ha orecchie per capire:
< O uomo, chi mi ha costituito giudice e divisore fra di voi ? >(Lc 12.14)
Vi è però un'altra importante allegoria, per dire di questa Verità, che Gesù usa e che come vedremo era proposta ed
utilizzata già migliaia di anni prima di Lui:
- l'abbandono di, “propri dell'io”, paesi, case, padri, madri, figli, vita ecc. –
Verità che troviamo in queste Sue parole:
< chi cercherà di salvare la “propria” vita la perderà, chi invece l'avrà perduta la salverà..> (Lc 17.33)
<..nemici dell’uomo saranno quelli della “sua” casa..
…chi avrà perduto la “sua” vita seguendo me ( i miei insegnamenti ndr), la troverà > (Mt. 10.36-39)
< Se uno … non odia “suo” padre, “sua” madre, la moglie, i figli, le sorelle … non può essere mio discepolo>.
(Lc 14.26)
< Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre o madre o figli o campi a causa del mio nome (dei miei
insegnamenti ndr) avrà in eredita la vita eterna > (Mt 19.29)
Questo infatti è lo stesso invito ed insegnamento che troviamo oltre 1000 anni prima nella cultura Indo-Aria e
riportate in Brahdaranyaka Upanishad IV.3,22:
<... allora il padre non è più padre, la madre non è più madre…>
La stessa Verità, sempre nella cultura Vedica, ci è poi ben mostrata in quella “uccisione di parenti e maestri” che
deve operare il “beato” Arjuna per potersi inoltrare al cammino di saggezza : opera alla quale egli è spinto ed
invitato da Krishna-Vishnu, dal divino che egli sa ascoltare :
<...guarda. Tutta la mia famiglia, padri, figli, nonni, zii materni,
suoceri, nipoti, cognati e anche i miei maestri, tutti pronti a sacrificare la loro vita e le loro proprietà, sono
schierati di fronte a me. Come potrei desiderare di ucciderli, pur sapendo che altrimenti ucciderebbero me ?
...non sono pronto a combattere contro di loro neanche in cambio di tre mondi..
come potremo essere felici dopo aver ucciso i nostri stessi parenti ?..> (Bhagavad Gita 1.32-36)
Replica Krishna :
< Mio caro Arjuna come hai potuto lasciarti prendere da una tale debolezza.
Non è affatto degna di un uomo che conosce i veri valori della Vita. In questo modo non si raggiungono i pianeti
superiori, ma si guadagna l'infamia....Ti affliggi senza ragione...
il saggio non si lamenta né per i vivi né per i morti.. l'anima realizzata non è turbata da questi cambiamenti..
Alzati dunque, e combatti con determinazione..combatti per dovere, senza considerare gioia o dolore, perdita o
guadagno, vittoria o sconfitta...>(Bhagavad Gita 2.32-36)
Senza quelle uccisioni si muore dicono quelle parole.
Per questi insegnamenti, quello di Gesù e quello delle Upanishad e dei Veda, “tutti i legami”, e quelli che nascono
nella “propria” casa sono i primi ed i più forti poiché dando “identità” creano e rafforzano l’ “io” che “separa”
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dall'Assoluto-Tutto, devono essere abbandonati per potere vedere l’unico legame ed “unione” possibile, quello con
l'Uno-Tutto, il solo che porta, inesistenti in sé ed in-esistenti ad essa, alla Vita Eterna ed universale, la meta che essi
così ci indicano, l'Assoluto stesso.
Ma questo insegnamento lo troviamo anche, sempre 800-1000 anni prima di Gesù, in quella Torah in cui Egli lo ha
visto e compreso, Torah alla cui comprensione Egli quasi esclusivamente dedicherà la sua opera, e nella Torah lo
troviamo, tra le altre, in queste prime parole:
< Jhwh disse ad Abram: vattene dal “tuo” paese, dalla “tua” patria e dalla casa di tuo padre.. >(Gn 12.1)
Quei testi poi ci dicono anche di un Melkisedek di cui, senza capire, così dirà Paolo :
< ..Melkisedek.. sacerdote del Dio Altissimo.. re di giustizia... re di pace.. senza padre, senza madre, senza
genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio >(Eb 7.1-3)
Anche i testi di Enoch poi, cui Gesù vedremo si lega, dicono allegoricamente della stessa Verità :
<..guai a coloro ..che si basano sull'inganno.. guai a coloro che si costruiscono le loro case col peccato..>
(EE XCIV.6)
Lontano da ogni -materiale- dire Enoch qui mette in evidenza che “peccato”, ma anche “inganno”, nell'uomo, è il
costruir-si dell'”io” che vede “proprie” case e cose : inganno per sé stessi e per gli altri.
Ma ancora prima, nel 1800 aC circa, la stessa Verità era detta, scritta ed insegnata dai testi Babilonesi del Gilgamesh
e dell'Atrahasis; anche qui troviamo le stesse parole:
< abbatti la “tua” casa...cerca la Vita..> (G.Pettinato La Saga di Gilgamesh Ep. Cl.t.xi,24-25)
La cultura Indo-Aria appena sopra citata vedrà, a partire dal VIII sec aC, un diffuso movimento di ascetismo
itinerante nelle foreste che al centro della sua filosofia vedeva il concetto di “uscita-pravrajyia dalla -propria
dell'io- casa” .
Questa “casa di separazione” nell'io-materialità, “casa” dei “separati-farisei” e < casa delle pecore perdute di
Israele >(Mt 15.24) ovvero di un popolo Isra-El contrario a Dio, è “casa” che Gesù invita ad abbandonare e che
Egli, quale Logos, dice distruggerà :
<.. Distruggerò questa casa e nessuno potrà riedificarla.. > (Vangelo di G.D.Tommaso l.71)
Questo “abbandono dell' io”, l”uscita alla luce” Egizia o “uscita dalla propria casa” Indo-Aria, era sempre dichiarato
e visto anche quale “morte” di un “io-materialità” che era visto anche qui quale condizione di “morte alla più piena
e totale Vita” dell'uomo. Per questo l' “abbandono-morte dell'io” è una “morte” cui segue e consegue la “rinascita”
al Tutto-Uno, al "maschio-femmina, yang-yin" che è natura di Jhwh e dell'uomo, di cui dice anche Gesù :
<..se uno non “rinasce” da Acqua e da Spirito ... non può entrare nel Regno..> (Gv 3.4,5),
Una “rinascita” che è un viaggio-ricerca interiore duro, che turba-spaventa dice Gesù in Tommaso con parole che,
quasi uguali, ci riporta anche Clemente Alessandrino che però non ne cita la provenienza:
<..Gesù disse: Colui che cerca non smetta di cercare finché non trova e quando troverà sarà turbato e,
così turbato, si meraviglierà e regnerà sul Tutto..>(Vangelo di Tommaso l.2).
<..Colui che cerca non cessi finché non ha trovato, quando avrà trovato si stupirà.. (e) regnerà.. e regnando si
riposerà..>(Clemente A., Stromati 5,96,3)
Questo “passaggio-morte all'io” è duro e difficile ci dice Gesù: si resta turbati-spaventati prima di giungere
meravigliati al Tutto-Regno che è Pace. Di questo stesso “passaggio-viaggio”, di questa “morte”, parleranno anche,
e specificatamente come “morte” o “esercizio filosofale”, il “melete thanatou-esercizio di morte”, in Grecia i primi
filosofi e tra questi Socrate che dice :
< ..in realtà è ( ai più ) ... sfuggito in che modo agli autentici filosofi “occorra-capiti di morire”,
e in che modo meritino la morte, e quale morte, poi..>(Platone, Fedone 64b)
La “morte” cui pervengono i “veri-autentici filosofi” , dice subito dopo Socrate è :
<.. l'anima che , staccatasi dal corpo.. ( si porta a) .. non darsi pena per i.. piaceri,.. cibi, bevande.. quelli amorosi..
i vestiti.. e altri artifici per abbellire il corpo..>(Platone, Fedone 64d,e)
ed in questo non si può non vedere la “morte” dell' “io-materialità”, il rivedere un'anima non più dimenticata e
soffocata nel corpo-materia : questo “capita” a coloro che si incamminano alla “vera Philo-Sophia” ovvero il “vero
Amore-Desiderio-Philo per la Saggezza-Sapienza-Sophia” !.
Plotino, seguendo Platone, dirà anch'egli di questa “morte”; con parole sue dirà che è necessario :
< .. non essere più in un corpo, ma un'anima in un corpo..
più vicini alla dimora dell'Anima universale nel Corpo dell'universo > (Plotino, Enneadi II,9)
Il suo “non essere più in un corpo” dice infatti della necessità di “morire all'io-materialità” ovvero di -non essere
più in quell' “io” esclusivamente materiale-, di compiere una <..exstasis ( una uscita fuori dall’io -ndr ) che è un
altro modo di vedere..>( Plotino, Enneadi VI,9,11), per vedersi infine “un'anima, universale, in un corpo
universale”, per vedersi “Spirito e Acqua” diceva Gesù.
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Con grande profondità ci dice della pericolosità dell'"io-materialità", di questo piacevole e gratificante pensare e
credere dell'uomo, anche un bellissimo passo riportatoci quale risposta di Omero ad Esiodo nella gara poetica tra
essi che ci è stata tramandata da autori incerti :
< Essere sé stesso misura di sé sarà il più bello dei beni e dei mali tutti il peggiore >
Ancora poi di questa “necessità” di -abbandonare un “io” che è morte- ci dirà Socrate con il Mito della Caverna
che Platone ci ha consegnato: in quel mito la “condizione di chiusura nella Caverna” dice solo della “condizione di
chiusura nell'io” che è necessario abbandonare, sciogliendosi dalle “catene-mondo”, per poter vedere finalmente il
“reale” nella sua corretta luce e non solo nella parte materiale di esso, le “ombre” . un “reale” che infine così si
mostrerà “Reale”.
Tornando a Gesù vi è un altro aspetto che vuole visto e sottolineato: Egli non pronuncerà mai l'aggettivo “io”.
Con la coscienza e consapevolezza che l' “io” è l' “errore dei figli dell'Adam”, l'errore da cui allontanarsi, ciò che
non esiste “in sè”, Gesù mai pronuncerà quell'aggettivo.
Questo vero insegnamento di Gesù passerà ai suoi apostoli: anche dai loro discorsi l' “io” praticamente scompare.
Marginalmente, in pochi passi, quell'aggettivo lo troviamo in funzione tecnica, mentre sempre la “singolarità
personale” si perde in un “noi” che è “vero abbandono del proprio io”, il grande e poco visto insegnamento di
Gesù. Farà eccezione, come vedremo più avanti, il “non-apostolo”, colui che non è tra i dodici, Paolo, il cui “noi”,
falsamente ed ipocritamente, sarà quasi sempre un “io mascherato”.
Ma per dire di questo “abbandono-morte dell'io” e della conseguente “rinascita”, per dire di questo “passaggiocambiamento”, mentale che così avviene all'uomo, oltre alla immagine-insegnamento dell'“abbandono di casepatrie-padri ecc.” molte altre allegorie, esotericamente, sono state nel mondo antico utilizzate.
Quella “morte” e la contemporanea “rinascita” saranno infatti dette e viste quali :
“passaggio nel deserto o nella selva”, “esodo”, “liberazione da catene, prigioni, lacci”, “extasis”,
“uscita dalla caverna”, “uscita alla luce”, “portarsi alla nudità”, “divenire servi”, “essere nessuno”
e ancora verranno citate quali :
“abbattimento della propria casa”, “abbandono del proprio paese, casa, padre, ecc.”,
“conversione”, “ritorno”, “risveglio”, “rinascita” , “resurrezione” .
Dirò ora qui sotto di queste ultime immagini mentre sulle altre nel seguito di questi scritti avremo modo di fermarci.
RESURREZIONE-RITORNO-CONVERSIONE-RINASCITA
Della “morte” evocata nella parabola del “Ricco stolto” ovvero la “morte-caduta nell'io-materialità” e della
necessaria “morte a tale morte” ovvero della “resurrezione-ritorno-conversione-rinascita” che riporta alla “Vita”,
Gesù parlerà continuamente ma, con particolare chiarezza, ne dice nel passo seguente :
<…chi ascolta la mia parola... è già passato dalla morte alla Vita..>(Gv.5.24)
In queste parole si mette in evidenza come per Gesù da quella condizione di “morte all'anima” messa in evidenza
sopra, condizione in cui l’uomo < di questa generazione > cade, egli può “-in vita- uscire” con un “esodo,
ritorno, rinascita spirituale, resurrezione o, anche detta, prima resurrezione” che è la “nascita alla Vita-salvezza
dell'anima” cui porta ed a cui è indirizzato tutto il Suo insegnamento :
“chi capisce la mie parole, chi ascoltandomi è in grado di capire, è già passato dalla morte alla Vita”
dice con evidenza Gesù nel citato passo di Giovanni a nulla servendo il sordo ascolto: chi “capisce” è già resuscitato
ma pochi sanno-possono capire, Lui ci dice spesso ripetendo quel Suo
<..chi ha orecchie per capire capisca...>.
La “morte” in cui è l'uomo < di questa generazione > dice Gesù, ovvero in cui è l'umanità-uomo di quel periodo
storico evolutivo che ancora noi oggi viviamo, è condizione che la vede lontana da Dio, adultera-datasi ad altro e
che la porterà a vedere quei durissimi passaggi di cui Egli dice, prima di portarsi alla propria “gloria-luminosità” :
< una generazione perversa e adultera cerca un segno...>(Mt 16.4)
< ..non passerà questa generazione prima che tutte queste cose (guerre ecc.) siano avvenute..>(Mc 13.30,31)
La condizione umana di “caduta nell'io-dimenticanza, sonno e cecità” conseguente e contemporanea alla caduta alla
“materialità”, e non alla “materia”, si badi bene, da Gesù e dalle Scritture cui sempre Egli fa riferimento è vista ed
indicata, come detto, con la espressione “figlio dell'Adam”, espressione malamente tradotta in “figlio dell'uomo”.
Per le Scritture, e per Gesù, i “figli di Dio” sono i Viventi, coloro che non sono “separati” dal Dio-Tutto "maschiofemmina materia -spirito", mentre come “figli dell'Adam” viene in particolare indicata l'umanità che, grazie all' “io-
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materialità”, si è separata ed è così “morta” spiritualmente, morta ad una Vita che solo è eterna, l'Eternità. Ma,
vuole visto, in Enoch sopratutto ma anche in alcuni passi dei Profeti e pure in frasi di Gesù, quello stesso appellativo
di “figli dell'Adam” è usato anche per l'uomo resuscitato-tornato alla Vita: si insegna così e si sottolinea il mantenersi
nell'uomo, pur in quel “cambio di mentalità-conversione-rinascita alla Vita”, di una stessa Natura.
Ma quella “nascita alla Vita” delle parole di Gesù sopra citate (Gv 5.24) ovvero la “rinascita al Regno” (Gv 3.4,5) e
il “duro passaggio al Tutto” (Vangelo di Tommaso l.2) delle sue parole riportate al capitolo precedente, il “passaggio
dalla morte alla Vita” che è la “rinascita-resurrezione” cui Egli ci invita, non è che il “ritorno all'Assoluto” già visto
in tutto il mondo antico prima di Lui.
È la “risurrezione-rinascita, in vita,” di colui che togliendo l' “io-creato”, separato, sempre diviso e materiale, esce
dalla materialità per perdersi in quel Tutto che solo è Vita, quel Tutto Cielo-Terra, Spirito-Acqua, MaschioFemmina, che “comprende” e va oltre la materia, quel Tutto che è Assoluto.
Ben altro rispetto alla “rinascita materiale” che verrà vista, capita ed insegnata, da Paolo e dalla Cristianità e ben
altro rispetto ad ogni tensione e proiezione che solo vede, anela e spera in un “mondo oltre il mondo”, con parole di
Nietzsche, e che vorrebbe cancellata “questa” materia.
È una “rinascita-resurrezione” che come visto Gesù così sottolinea, precisa e spiega:
<..se uno non “rinasce” da Acqua e da Spirito, da vecchio ( in vita ndr),
se non nasce dall’alto ( o -di nuovo- ndr), non può entrare nel Regno..> (Gv 3.4,5)
Il termine “anothen” che Cei traduce “dall’alto” può essere tradotto anche in “di nuovo” o “dal principio” ma in tutti
e tre i casi, si può dire, si vede un Gesù che dice che se non superiamo la nostra “nascita all'io-materialità”, quella di
“Figli dell'Adam” ovvero la nascita “dal basso” della “terra-adamà”, con quella “rinascita-resurrezione in vita” che
portandoci ad essere “Figli di Dio” è una nuova nascita , una nascita dall'alto, dal principio, che ci farà vedere infine,
“assieme”, quella “Acqua-Spirito” che è il “materiale e spirituale”, il "femmina-maschio”, "yin-yang", il TuttoAssoluto, Cielo e Terra assieme, se non operiamo questo cambiamento di mentalità-conversione non potremo, a quel
Regno-condizione, riportarci. E’ in quell’ “oggi” di tale “rinascita” che l’uomo si porta al Regno, dice Gesù.
Su questo “cambiamento” Gesù poi, con quel Suo < ..da vecchio..>, ci dice tre cose :
1) che esso deve essere compiuto “in vita” ;
2) che l'uomo “da giovane”, al suo nascere, è -sempre- in una condizione di “caduta” che necessita in seguito di
quel “cambiamento-passaggio” : questa Verità in Gesù si vede anche dal suo dichiararsi contemporaneamente “figlio
dell'adam” da un lato e “figlio del Padre -quello- che è nei cieli”, Egli precisa sempre come vedremo;
3) più sottilmente, indicandoci quel “periodo ultimo possibile”, il tempo della vecchiaia, Egli poi sembra dirci che
dopo la morte fisica quella “resurrezione” non è possibile e almeno diviene più difficile.
Conferma questa lettura il seguente passo del Vangelo di Tommaso, passo in cui il Vivente è ciò che l'uomo, rinatoresuscitato, trova in sé :
< Guardate il Vivente finché siete in vita, affinché non moriate e non cerchiate di vederlo
senza riuscirci >(Vangelo di G.D.Tommaso l.59)
Gesù dirà anche che una volta nati allo Spirito, che letteralmente è “Soffio-Vento-Pneuma-Ruah”, si è, in vita, simili
a quel Ruah-Vento ovvero in condizione paragonabile a quella del vento “fisico”: senza “proprie dell'io” volontà, è
divinamente che si andrà e si sarà portati ad agire, senza sapere come e dove :
< Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va:
così è di chiunque è nato dallo Spirito >(Gv 3.8)
Dirà ancora Gesù nella sua risposta ai Sadducei in cui chiarisce la “resurrezione biblica”:
< Nella resurrezione...si è come angeli nel cielo > (Mt 22.30; Mc 12.25; Lc 20.36)
La resurrezione, qui Egli dice, è quel cammino-ritorno a seguito del quale < ..si è ..> oggi per Gesù, e non “si sarà”
come vorrebbe la paolina Cristianità, lontani dall'errore dell' “io-materialità”, l' “io-creato”: si è “oggi” < come >,
ovvero “simili , al divino, agli angeli del cielo.
È una “resurrezione” che anche per tutte quelle antiche civiltà è il ritrovamento della propria “essenza spirituale”, il
“Sè” della tradizione Indo-Aria e di tanti altri, che è cammino ben distinto e diverso da quella “reincarnazione” che,
evento possibile e ben conosciuto ed accettato in tutto il mondo antico, può nascere nello stesso “errore e peccato”
della caduta.
Dicono di questa “resurrezione” anche queste parole di Pietro e di Giacomo :
< ...la meta della vostra fede (è) la salvezza delle anime.. > (1Pt 1.9)
< ..santificare le vostre anime...(significa) essere stati rigenerati... da seme... immortale > (1Pt 1.22,23)
< ..la parola..seminata in voi..può salvare la vostra anima > (Gc 1.21)
Nelle parole citate ed in quelle che più sotto riporterò, si trova la profonda convinzione, di Gesù e di tutto il mondo
antico, che solo con la “morte” definitiva ed inesorabile della “illusione di essere in sé”, dell’ “io-materialità”, si
realizzerà quella “resurrezione” che vede ed è Eternità e si eviterà, anche per Gesù vedremo, una erratamente nata
reincarnazione .
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seconda parte
Solo con la “morte” a quella “morte che è l' io” che induce alla materialità si può pervenire infatti alla “rinascita nel
Tutto” di un uomo che, solo allora, sarà “vera immagine e somiglianza” di quel Dio che è Eternità. Dice Gesù :
< .. quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della resurrezione…non possono più morire, …sono uguali
agli angeli….Sono figli di Dio...essendo figli della resurrezione >(Lc 20.34-36)
In queste parole, come in molte altre, i riferimenti sono tutti all’Anima: è l'Anima che non può più “morire
all'uomo” ovvero essere a lui < tolta >, dice Gesù nella parabola del “Ricco stolto”. Anima che “muore all'uomo” e
non già che “muore in sé” come a volte viene visto.
“Sono” -oggi, al presente- “figli di Dio” e portati -oggi- alla Eternità, giacché <..non possono (al presente) più
morire..>, coloro che operano la resurrezione ovvero <..sono (al presente) figli della resurrezione..> : questo dice
Gesù, nel passo di Luca, di coloro che sono usciti da una “caduta nell'io” che è “morte”, all'uomo e non in sé,
dell'anima.
Questa “resurrezione diversa” che nasce chiara nelle “parole di Gesù”, che nasce su quel “filo a piombo” delle Sue
parole cui don Fortunato Provvisorio ha invitato a restare, è una resurrezione “abissalmente” diversa, “antitetica”,
“contraria”, rispetto alla “materiale-corporale” -resurrezione finale- vista e spiegata dal “fariseo” Paolo di Tarso e
da una Cristianità che sulle sue parole ed interpretazioni, più che su quelle di Gesù, si fonderà.
Per portarsi a questo “ritorno-rinascita-resurrezione” serve quel “cambiamento-passaggio” cui Giovanni Battista
prima e Gesù poi ci hanno invitati con la loro esortazione:
< Convertitevi-Cambiate mentalità …> (Mc 1.15)
Questo termine infatti, “conversione” letteralmente appunto “cambiamento di mentalità” che oggi traduzioni,
interpretazioni e spiegazioni ci fanno erratamente vedere come invito ad abbracciare la Cristianità, per Gesù voleva
certamente dire altro.
Gesù, come Giovanni Battista prima di Lui, indicava così la “necessità” per l'uomo di “cambiare” il suo modo di
vedere sé stesso nel mondo, la necessità dell'abbandono dell' “io” e del conseguente “ritorno” all'Assoluto.
Questa “necessità”, come visto, era suggerita da tutto il mondo antico ma le parole usate da Gesù e Giovanni Battista
sono quelle stesse dell'invito fatto da Legge e Profeti : sono l'esortazione ad una corretta comprensione di una
Scrittura che gli insegnamenti Farisaici avevano stravolto e negato:
< ..nella conversione...sta la vostra salvezza..>(Is 30.15) <..l'empio..(che) non si converte, ..morirà..>(Ez 30.9)
< Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo >(Os 11.7)
< Jhwh gioirà...quando ti sarai convertito...con tutto il cuore e con tutta l'anima >(Dt 30.9,10)
Anche i testi di Enoch dicono della necessità di questa conversione, qui dichiarata anche “giudizio-sceltacomprensione” da parte dell'uomo, da fare “in vita” :
<..i peccatori che muoiono ...prima che il giudizio di loro sia fatto durante la loro vita..>(Enoch Et. XXII 9-13)
Vedremo più avanti che la lettura del “giudizio” come personale dell'uomo “scelta-innalzamento” sia anche di Gesù.
Nelle Scritture, e con evidenza nel giudaismo arcaico, questo passaggio, la “con-versione”, era citato anche quale :
<..circoncisione di cuore..> (Ez 44.7),
essa era ricordata con il gesto della “circoncisione fisica”, gesto ed atto formale che alla “circoncisione di cuore e
mente” invitava ma che, incompreso, lasciava molti <..circoncisi che rimangono non circoncisi..> (Ger 9.24).
Questa allegoria delle Scritture, questa "circoncisione" -che dice- della "resurrezione", in ambito cristiano sarà
chiaramente dichiarata da Origene. Una "circoncisione-resurrezione" che è, ripetiamo, "rinascita in corso di vita"
"con-versione", "cambio di mentalità", "rinascita da Spirito e Acqua" assieme dice Gesù: nello Spirituale e Materiale
assieme, il Maschio-Femmina, lo Yang-Yin.
Della "con-versione" dice con competenza Mons. G. Ravasi in suoi scritti: nelle sue versioni più antiche ed
originali, greca ed ebraica, il termine che viene tradotto in “conversione” indica, egli dice, da un lato una sorta di
<...torsione del nous...> e dall’altro un cammino di <...ritorno...>:
< ..il termine che le scritture Ebraiche avevano selezionato era “shùb”, cioè
“ritornare invertendo la rotta sbagliata” .. >
In queste “torsione del nous” e “ritorno” non è difficile vedere quel “cambio di rotta” o “cambiamento di
mentalità”, nuova visione della vita, che si rende necessaria per correggere il cammino che la nascita all' “io” ci ha
fatto imboccare. Scrive Ravasi :
< Metanoèite Kaipistèuete: Convertitevi e credete (Mc 1.15);
il verbo greco della conversione era significativo perché esigeva una sorta di torsione del nous, ossia della
mentalità che doveva optare per una nuova visione della vita e dell’ essere
( verbo e sostantivo sono presenti 56 volte nel N.T. ) >.
< Semanticamente analogo era il termine che le scritture ebraiche avevano selezionato:
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seconda parte
shùb, cioè “ritornare”, invertendo la rotta sbagliata, vocabolo reso dalla antica versione biblica greca dei Settanta
con un pregnante “epistrofè”, segno di una svolta radicale >.
< La parabola del “ figlio prodigo” è descrizione di una perversione del percorso della vita e del “ritorno” in sé
stessi e verso la casa paterna lasciata alle spalle. ( Lc 15.11-24 ) >
(Gianfranco Ravasi -Il sole 24Ore, Domenicale n.88-08).
Con molta più semplicità dice di tutto ciò la traduzione “puntuale e fedele” del termine originale, oggi sempre
tradotto in “conversione” : quella che sempre troviamo nella versione interlineare dei Vangeli dal greco NestleAland Edizioni S.Paolo 1999 :
< Fate dunque frutto degno di “cambiamento di mentalità” >(Mt 3.8)
Con “questa” più precisa traduzione la “conversione” cui le parole Gesù e Giovanni Battista invitano, che per i limiti
del termine se non fuorviante è almeno ambigua e nebulosa indicazione, si mantiene in un chiarissimo
“cambiamento di mentalità”. Un cambiamento di mentalità che è lo “stravolgimento di quanto normalmente l'uomo
pensa nei propri confronti”, è quella “torsione del nous” che è il passaggio:
- dal vedersi, sentirsi e pensarsi quali “essenti in sé – io”
al vedersi, sentirsi e pensarsi quali “non essenti in sé – nessuno in sé” ovvero è il passaggio
- dalla condizione di “caduta-morte” a quello che vede il “ritorno-Vita”
Il “cambiamento di mentalità-conversione” che Gesù ci chiede è quell' “annullamento dell'io-passaggio nel deserto”
che è “vittoria e controllo” su quella forza “separatrice-diabolica” che è “principe di questo mondo”; è l'uscita dalla
“caverna”, dal “buio dell'io” di cui ci dice il Mito della Caverna di Socrate che, per quella “uscita alla luce”, dice è
necessario il liberarsi dalle “catene” cui ci tiene il “mondo”.
È “cambiamento di mentalità-conversione”, passaggio e vittoria, da Gesù compiuta e di cui così Egli dirà
invitandoci all'ulìsseo “coraggio” di compierla :
< ..coraggio, io ho vinto il mondo..>(Gv 16.33)
< Siate transuenti (capaci di andare/passare oltre ndr) > (Vangelo di G.D.Tommaso l.42)
E' passaggio non facile, bisogna essere “capaci”, serve “coraggio” per produrre quel “cambiamento-passaggio” che,
vedremo meglio, è come detto "passaggio al deserto”.
E' solo nelle parole di Gesù, è solo sul “filo a piombo” di quelli che ci sono stati tramandati come Suoi discorsi, che
si ha risposta alla domanda su cosa consiste quel “cambiamento di mentalità” che Egli ci chiede.
Cercare un certamente “difficile e esoterico” Gesù usando le parole e le interpretazioni del “fariseo-separato” Paolo
è sicuramente stato, ed è, un grandissimo errore.
Gesù con quel suo invito alla “conversione” non fa che sottolineare ciò che la Scrittura ci dice anche con le parole
che qui riporto: niente di “nuovo” anche qui Egli voleva dare o dire:
< Tu ti convertirai, obbedirai alla voce di Jhwh e metterai in pratica tutti questi comandi che “oggi” ti do ..>
(Dt 30.8)
< Se ti convertirai a Jhwh.. e obbedirai alla sua voce...con tutto il cuore e con tutta l'anima..
Egli ti farà felice..gioirà..facendoti felice..>(Dt 30.2,5,9)
E la “voce di Jhwh” grazie alla quale ci si con-verte, si cambia mentalità, è la Ruah-Vento-Spirito Santa che solo può
parlare all'uomo dell'Assoluto: nessuno può farlo -in sua vece- ed unicamente quell'ascolto Gesù ha sollecitato col
suo “cercate" .<..(a) chi cerca ... sarà dato..>(Mt 7.8; 13.12).
Le parole citate dicono di una “conversione-cambiamento di mentalità” che è “l'ascolto dell'Assoluto” e “non dell'
io”: è “torsione del nous-ritorno” che apre all'ascolto del “Cuore-Anima-Assoluto” e che porta ad una “quiete e
pace piena di forza-potenza”, che porta a seguire quei “comandi” che, in quell' “oggi” della nostra conversione, noi
troviamo in noi. È la sola strada per una vita dell'uomo piena, materiale e spirituale assieme, per una vita che così,
fuori dalla “morte” spirituale, diviene Vita, l'Eternità dell'Assoluto, la “Pace”:
< Parola di Jhwh: Convertitevi e Vivrete >(Ez 33.11)
< Jhwh dice:”Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell' abbandono confidente sta la vostra
forza >(Is 30.15)
< (Gesù:) Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo..>(Gv 14.27)
Dello stesso cambiamento, delle stesse “calma, quiete e pace” e dello stesso “approdo”, dice tutto il mondo antico e
tanti più recenti maestri mistici: è ciò cui sempre si arriva quando si superano e si va oltre le religioni.
Lao-Tzu, nel Tao te King risalente al V-VI sec. aC, cap.IV dice:
“ ..colui che dimora nel non-manifesto...unito al Principio…conosce ogni cosa..”;
e ancora, ai cap.XVI e XI, è detto:
“ ritornare alla radice (al Principio ndr) vuol dire entrare nello stato di quiete,
è chiamato “ritornare al suo destino” e ritornare al suo destino è chiamato – eternità -”
“ la pace nel vuoto (in cui) si arriva a stabilirvisi ”
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seconda parte
Questa “pace nel vuoto”, ricorda Guénon, è la “Grande pace” dell’esoterismo musulmano, quella Es-Sakinah
identica alla Shekinah ebraica: è la divinità presente all'uomo, nell'uomo, dell'uomo.
L'esoterismo Islamico insegna che a quel traguardo si giunge grazie alla “estinzione”, “El-fana”, dell' “io” e delle
illusioni, estinzione che al suo culmine porta alla più radicale e completa “Fana el-fanai”.
Renè Guénon poi, nel suo “Il simbolismo della croce”, ci dice che questo “cammino-ritorno” è quanto la dottrina
Indù chiama “Liberazione”, la Moksha o Mukti : strada che porta a rivedere Brahma in sé, nel “cuore nascosto”
dell'uomo, strada che, così “Jivan-Mukti, può essere ottenuta “in vita”.
Identico, egli sottolinea ancora, è il “Paranirvana”, il cammino che per il Buddismo porta al “Nirvana”, letteralmente
“estinzione”, dell' “io”, della individualità in sé e per sé.
Questa necessaria “resurrezione” è “L'uscita alla luce” del mondo Egizio vista più sopra ma è anche quella del
“Corpus Hermeticus” di Ermete Trimegisto, testi che Giamblico pone antecedenti a Pitagora e Platone, testi che al
cap XI,20 dicono:
< Se tu non ti rendi uguale a Dio, non potrai conoscere Dio...
elevati al di sopra di ogni tempo e diventa eternità (aiòn) allora conoscerai Dio >
(A.Magris “La logica del pensiero gnostico”)
Nel “Libro dei morti” Egizio, il Per Em Ra o “Uscita alla luce”, troviamo:
< colui che pone Te (Ra) nel suo cuore incessantemente…( è) divino più di ogni dio >
(PerEmRa XV)
Parole che dicono che si arriva ad “essere-vedere” Assoluto-Tutto, Eternità, quando nel proprio Cuore-Anima non si
mette “altro” ovvero quando non vi è nessun “io” con le “proprie” cose-case ecc.
Nello stesso testo poi è riportata una iscrizione che è dichiarata “antichissima” e che era collocata ai piedi di una
statua di Thot : seppellita dal tempo e ritrovata durante degli scavi, ci viene detto, che vennero eseguiti nel 2700 aC..
Scritta in una lingua che si era ormai persa e tradotta casualmente solo grazie ad uno dei partecipanti agli scavi, essa
in alcuni versi estrapolati riassunti e tradotti da M. Pincherle, dice:
< Signore dai due volti, splendore dei risorti, immagine di luce Io sono l’oggi, lo ieri, il domani.
Muoio e risorgo giovane e vigoroso . Sono l’Anima divina misteriosa. Governale d’Oriente.
Vieni! Salta l’abisso! Prosciugheremo insieme la sorgente del pianto.
Travolgeremo insieme gli imbiancati sepolcri , tramatori di piani per annullarmi. (PeEmRa LXIV)
Questi incredibili passi di oltre 5000 anni fa, belli, lirici e commoventi come molti altri di quegli straordinari testi
Egizi, sono l’invito a riportarsi all’Assoluto, alla Vita Eterna, con quel “salto dell’abisso” con cui si devono
abbandonare tutte quelle “illusioni dell’ io”, il buio abisso, la morte che porta ad essere “imbiancati sepolcri”:
“errore” che solo pianto sa procurare.
È guardando ed ascoltando “questi” pianti, è con quella consapevolezza, che nasceranno le tante apocalissi che tutto
il mondo antico ha concepito e ci ha consegnato: nello stesso PerEmRa al cap. CLXXV si legge:
<.. Thot dice: Essi (dei-angeli-pensieri ndr) hanno provocato lotte, scatenato disastri,
commesse iniquità, creato demoni, causato rovine e distruzioni..>
Nelle parole che sotto riporto, come anche in quelle più sopra citate, parole che colpiscono per la straordinaria
profondità spirituale di testi di oltre 5000 anni fa, si vede chiaramente il riferimento alla “trasformazione interiore”
che operano coloro che “saltano l’Abisso”, il “buio dell’”io”.
Sono testi che ci fanno vedere una civiltà che, credendo e ritenendo possibile la “reincarnazione”, vedeva, auspicava
ed indicava quella “resurrezione e rinascita spirituale”, < giustificazione > era qui anche detta, che, vista come
trasformazione compiuta “in vita”, permetteva all’anima del defunto di evitare una “distruzione-annientamento”
che è la vera e definitiva morte. Una “giustificazione-rinascita in vita” che portava ad un “ritorno” che vedeva la
“piena unione-fusione” dall’anima il trapassato con l’ Assoluto.
Un “ritorno” che vede l'uomo così pienamente Assoluto, Dio stesso :
<..Oh Ra...sono venuto a te e rimango presso di te.. io sono uno di quelli che tu già sulla terra hai glorificato..>
(PerEmRa XV)
<..Onnos (il trapassato-ndr) è uno che ritorna.
Egli va ed egli viene con Ra,...egli distribuisce i Ka e ritira i Ka , egli spartisce danni e allontana danni..>
< ..e tu esci..,Onnos, al cielo e ti inerpichi su di lui in questo suo nome di “scala”..
Onnos è proprio quegli che ha creato e che ti crea..>
(Testi religiosi Egizi – Tea 1988- Testi delle Piramidi n.306,307-pag 26 + 40-43)
Anche nei testi che sotto riporto, parzialissimi e che necessiterebbero di grandi approfondimenti, testi tratti dal
PerEmRa Egizio tradotto e riportato nel suo “Il libro dei morti degli antichi Egizi” da G. Kolpaktchy, io trovo, con
stesse visioni e nomi, quella sostanziale unità di sentire religioso del mondo antico che non posso non vedere.
89
seconda parte
Unità di sentire che comunque non può non vedere differenze espressive ininfluenti e senza alcuna importanza: di
fronte al tentativo di spiegazione dell’inspiegabile quelle differenze non possono che scomparire.
< Io sono uno spirito santificato, uno di quegli Esseri divini creati… all’inizio dei mondi…
Tum fa loro percorrere tutta la gamma delle Metamorfosi e li rende perfetti e possenti..
Io sono uno di quei serpenti creati negli antichi tempi.. dall’Unico Signore..
Sono cresciuto, invecchiato fra gli esseri luminosi che, nel seno di Tum come me evolvevano >( CXXVIII)
< In verità, lungo fu il tempo del mio soggiorno fra le Ombre del Passato e
fra gli Spiriti delle Antiche Età… Dopo il sorgere del Tempo, senza posa, in seno al dio del divenire Khepra,
io ho percorso il ciclo delle Metamorfosi..
E (ora) subitamente, il mio volto si svela innanzi all’ Occhio fiammeggiante che lo contempla..
O voi, Anime Perfette, sappiatelo! Io sono una di voi. >( CXV)
< lasciate passare la mia Anima nell’Orizzonte orientale, dal Presente verso il Passato, lasciatemi proseguire
questo viaggio a ritroso >( VXXXIX)
< mio malgrado, (dovrei essere- ndr) trascinato verso l’Oriente attraverso
il temibile passo delle due Corna! ( la reincarnazione -ndr )..>(CXXXXIII)
< Guardiani delle soglie Salve! Voi che conducete la Verità-Giustizia verso l’Anima divina… non lasciatemi senza
protezione affinché non sia annientato! > (CXXVII)
< O tu, nefasta creatura di cera, tu vivi mediante la distruzione dei deboli e dei disperati >(VII)
< mi sia concesso, simile a fanciullo, rinascere alla Vita > (XII)
< io sono un fanciullo dello Ieri >(LXIV)
< Grande sarà il mio splendore al centro della meravigliosa Armonia
in questo Giorno di rinascita >(LXIV)
< Gerarchie divine.. venite ad incontrarmi! Guardate e gioite!
Ecco Osiride, il mio divino Padre.. In verità io sono Horus (ndr:figlio di Osiride)
.. (che) ha arrestata l’inondazione provocata da sua Madre, ha sbaragliato i suoi nemici, distrutto il disordine
e la violenza, rintuzzato gli attacchi del démone Nebt >(CXXXVIII)
< io distruggo la Menzogna >(CLXXXII)
< come Ra ogni giorno rinasce .. egualmente io rinasco dalla morte >(III)
< che io possa compiere, a volontà, multiple Metamorfosi e pervenire, alfine, ai Campi dei Beati >
< io mi elevo nel Cielo dell’universo Misterioso, simile all’Uovo Cosmico >(XXII)
< io sono il Nodo del Destino Cosmico celato nel bell’albero Sacro-Santo >(XXXXII)
< la Dea dell’Oceano celeste, Nut, tua Madre si prostra in adorazione dinnanzi a me.
L’Armonia e l’Equilibrio dei mondi emanano da me..>(XV)
Di questo “riportarsi” al divino, di questo “rendersi uguali” all'Assoluto qui descritto dal mondo Egizio, parlava,
come detto, un po' tutto il mondo antico: del mondo Indo-Ario è fin superfluo parlare, il Nirvana-Pace che ancora
oggi quelle culture indicano come meta dell'uomo è nella sostanza questo, ma anche l'area Mesopotamica, come
vedremo, ed anche la Grecia, hanno lasciato tracce di questa credenza.
In Grecia Platone, nel Teeteto riportando Socrate dice:
< ..bisogna..sforzarsi di fuggire .... E fuga è rendersi simili a Dio secondo le proprie possibilità :
e rendersi simili a Dio significa diventare giusti e santi, e insieme sapienti >
Ma la locuzione tradotta in “simile a Dio” è in origine un ben più significativo “omoiosis to theo” che ci dice
piuttosto del portarsi ad una “unità”, ovvero ad essere Uno, con la Divinità.
Socrate stesso si “sente” portato a “condizione divina” : egli ha la certezza che alla sua morte fisica potrà unirsi “agli
dei”, nel Fedone di Platone infatti parlando della propria imminente morte fisica dirà :
< ..sul fatto che (dopo la morte fisica -ndr) giungerò da dei...
sappiate bene che se c'è una cosa su cui potrei giurare è proprio questa..>
Espresso con parole della tradizione giudaica, della Torah e di Gesù, Socrate qui ci dice di sapere di essersi portato
alla condizione di “figlio di Dio”. Ancora nel Teeteto poi Socrate afferma che la sua
< arte .. è tale quale quella delle levatrici.. e il dio lo costringe a fare da levatrice..>
Socrate cioè, come Gesù, con la stessa similitudine ed espressione e con 500 anni di anticipo, dice così della
necessità per l'uomo di “rinascere” : con i suoi insegnamenti, egli dice, < l'anima ..genera...il Vero >: essi
trasformano l'uomo che così, con tale “opera quale quella delle levatrici”, “rinasce” e diviene Assoluto-Verità
anch'esso : diviene Figlio di Dio. Socrate dirà che affinché questo avvenga “l'anima deve staccarsi dal corpo”
ovvero l'uomo deve staccarsi-fare morire l' “io-materialità”.
90
seconda parte
Anche Plotino ci dice, ben più tardi e con la sua corretta lettura dei testi di Platone, di questa -necessaria- “rinascitaresurrezione” che è per lui il portarsi a :
< .. non essere più in un corpo, ma un'anima in un corpo..
più vicini alla dimora dell'Anima universale nel Corpo dell'universo > (Plotino, Enneadi II,9)
<..(giungere ad) un altro modo di vedere, una exstasis ( uscita fuori dall’io-materialità -ndr) ..
una semplificazione..> (Plotino, Enneadi VI ,9,11)
Dirà Plotino di un “altro modo di vedere” che altro non è che la “con-versione/cambio di mentalità” di cui aveva
detto Gesù, e dirà di una “exstasis-uscita dall’”io”/semplificazione” che anch’essa non è che il <..lasciare case,
fratelli, sorelle, padre.. madre .. figlio.. campi..>(Mt 19.29) di cui dice Gesù rifacendosi quanto già nella Torah era
insegnato.
E, anche, l’ <..essere un'Anima in un Corpo > di cui dice Plotino non esprime altro che quel -necessario- passaggio
di cui già aveva detto Gesù ovvero il:
<..rinascere da Acqua e da Spirito..> (Gv 3.4,5)
Si vede così che la “resurrezione” anche per il “rabbi-maestro” Gesù è la stessa che è vista e chiarita nelle righe del
PerEmRa Egizio, la stessa vista col “giaciglio del leone” dei Testi delle Piramidi e di cui dirò ancora più avanti, la
stessa testimoniata anche con lo Zed interno alla piramide di Cheope.
È la stessa che “vedeva” Enoch che poneva i “giusti” nel “luogo” dell’Assoluto, il luogo delle “acque della vita”, ed
è sempre la stessa, che è vista nella cultura Indo-Aria, con l’Atman dell'uomo che togliendosi da un “sonno-cadutadimenticanza” per la stessa via di “ritorno” si lega al Brahman.
Questa visione è poi la stessa vista in Grecia da Omero prima, più segretamente con il suo “viaggio di ritorno” di
Ulisse nella Odissea, e da Socrate poi che, pur dicendone più chiaramente, la dichiarerà <..segreto ..da non dire in
giro...> (Platone ,Teeteto 149-150). Visione quindi di secoli e millenni antecedente a Gesù.
Ma è anche la stessa “resurrezione” che, quale Giudeo convinto che ha speso la vita nella ricerca della corretta
lettura delle Scritture, ci testimonia il -contemporaneo- di Gesù Filone di Alessandria (20aC-50dC) con la sua così
detta “via regale”:
< Il cammino dell'anima si realizza in tre tappe: mondo sensibile, mondo spirituale, Dio..>
(Pascher cit.R.Radice in “Le origini del male”)
Cammino umano che Filone correttamente, come peraltro anche il grande teologo Cristiano Origene (185-254)
(Omelia su Esodo), vede allegoricamente detto e descritto nella Torah con il racconto dell' “Esodo”, racconto di una
“uscita fuori”, della umanità, dalla “caduta-prigionia” nel “sensibile-materialità” di “Egitto” per portarsi ad una
“terra promessa” che è l' “unione-camminare con Dio”.
Non si può qui non vedere tratteggiato lo stesso cammino di “resurrezione in corso di vita” da Gesù visto e
suggerito: nel mondo giudaico pertanto tale visione era presente, non era nuova ma anzi, nella corretta lettura delle
Scritture, quella cui indirizzavano i testi di Enoch che non ad esse si contrapponevano ma alla loro errata lettura
sadocita e farisaica, essa si vedrà quale insegnamento primo della Torah e dei Profeti.
Un insegnamento che in Genesi lo troviamo nascosto ma soprattutto cancellato da traduzioni che sono vere trasposizioni, sono errate interpretazioni:
< Vai a te, dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. >
(Gn 12.1)
< Vai a te..> recita infatti letteralmente quel passo che tutti, inducendo in errore, traducono con “Vattene...”.
“Vai a te (stesso), (fuori) dal tuo paese...verso il paese che io ti indicherò” recita quel passo invitando così alla
uscita dall'“io” che è la “nostra casa-patria ecc.”, l'uscita dalla “caduta” all'”io-materialità” che porta a quel PaeseTerra-Regno che non è che la propria essenza, “se stessi”. Un contemporaneo “conoscersi” e “conoscere il divino”,
un “portarsi al divino e ri-conoscersi” che non è altro che il delfico invito :“conosci te stesso” era l'ammonimento
rivolto a chi andava a cercare il dio.
Di questo “cammino-resurrezione in vita” segretamente diranno anche, secoli e millenni prima di Gesù, tutti i
cosiddetti “culti misterici”: quelli Mitra vedremo più oltre ma anche, vedremo alla fine di questi scritti, quelli greci
di Persefone/Demetra, di Dioniso, di Orfeo, e quello egizio di Iside/Osiride.
Anche dopo Gesù, sempre segretamente ma per motivi in gran parte lontani dalla segretezza voluta dei culti
misterici, dirà dello stesso “cammino-resurrezione in vita” tutto il movimento Alchemico.
Tutto ancora per una “unità di sentire e di visione” del mondo antico tutto, che una fuorviante parola, assieme alla
cecità dell'uomo, non farà vedere.
Ma soprattutto, e qui anticipo un importante tema che verso la fine di questi scritti meglio approfondirò, questa
“resurrezione dalla morte spirituale, in vita”, una resurrezione che porta l'uomo alla condizione di “Figlio di Dio” è
quanto ha compiuto Gesù secondo queste parole di Paolo : le -prime da lui scritte- che testimoniano di una “formulacredenza” in essere tra i primissimi seguaci e discepoli di Gesù :
< Gesù .. costituito Figlio di Dio...mediante la resurrezione dai morti.. >( Rm 1.1)
91
seconda parte
La “credenza” nel bisogno e necessità da parte dell'uomo nella “resurrezione in corso di vita”, meglio vedremo più
avanti, resterà a lungo nella Cristianità e di essa dirà in particolare, dichiarandola sulla base ed in linea con Ap 20.6
quale “prima resurrezione”, quel grande teologo Cristiano, sebbene la odierna Cristianità abbia poi dichiarato eretici
i suoi scritti, che è stato Origene (185-254).
Questi, per parole del suo discepolo Gregorio il Taumaturgo, vedeva :
<..obiettivo suo... lo stato di calma..(che ci vede ndr) equilibrati, simili alla divinità ..>
(Gregorio il Taumaturgo, Discorso a Origene, Città Nuova p.73,78)
ed è questo portarsi ad essere “simili a Dio” quella “prima resurrezione” di cui Origene soprattutto ci dirà quale
“liberazione dal peccato”, una risurrezione spirituale in vita quindi che permetterà all'uomo di evitare la “seconda
morte-stagno di fuoco” di cui dice Giovanni nel passo di Apocalisse cui Origene si rifà :
< Beati coloro che prenderanno parte alla prima risurrezione.
Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo
e regneranno con lui per millenni..> (Ap 20.6)
“Prima resurrezione” che è la “rinascita-conversione-cambiamento di mentalità” cui invitava Gesù e che Origene
vedrà simboleggiata, più forse che sacramentalmente consegnata, dal battesimo-immersione.
Ma di questo grande teologo Cristiano il nome e gli scritti, che pur contrastati avevano grande seguito e fortuna,
dopo 250 anni dalla morte saranno banditi e dichiarati eretici da quella che è la odierna Cristianità ; egli dirà poi
anche della “seconda resurrezione” ovvero della resurrezione della fine dei tempi ma vista e compresa in termini
lontanissimi dalla Cristiana “resurrezione dei corpi” di paolina derivazione.
Chiudo questo lungo paragrafo riportando parzialmente l' “Inno della Perla” datato ai primi secoli dC, testo che
descrive la “conversione-ritorno-resurrezione” e la “caduta-sonno” che la precede e la rende necessaria: inserito
negli apocrifi “Atti dell'apostolo Tommaso” e preso qui dal capitolo IV della importante opera “Lo Gnosticismo” di
Hans Jonas, è nominato anche come “Canto dell'apostolo Giuda Tommaso nella terra degli Indiani”.
“Canto dell'apostolo Giuda Tommaso nella terra degli Indiani”
< Quando ero bambino e abitavo nel regno della casa di mio Padre e mi dilettavo della ricchezza e dello splendore
di coloro che mi avevano allevato, i miei genitori mi mandarono dall'Oriente, nostra patria, con le provviste per il
viaggio delle ricchezze della nostra casa fecero un carico per me: esso era grande, eppur leggero, in modo che
potessi portarlo da solo..
Mi tolsero il vestito di gloria che nel loro amore avevano fatto per me, e il manto di porpora che era stato tessuto in
modo che si adattasse perfettamente alla mia persona, e fecero un patto con me e lo scrissero nel mio cuore perché
non lo potessi scordare:
“Quando andrai in Egitto e ne riporterai l'Unica Perla che giace in mezzo al mare, accerchiata dal serpente sibilante,
indosserai di nuovo il tuo vestito di gloria e il manto sopra di esso, e con tuo fratello, prossimo a noi in dignità, sii
erede nel nostro regno”.
Lasciai l'Oriente e m'avviai alla discesa.. Scesi in Egitto e i miei compagni mi lasciarono. Mi diressi deciso al
serpente e mi stabilii vicino alla sua dimora in attesa che si riposasse per potergli prendere la Perla.
Poiché ero solo e me ne stavo in disparte, ero forestiero per gli abitanti dell'albergo.
Pure vidi là uno della mia razza, un giovane leggiadro e bello, figlio di coloro che sono unti.
Egli venne e si unì a me, io lo accolsi familiarmente e con fiducia e gli raccontai della mia missione. Io lo avvertii
di guardarsi dagli Egiziani e di evitare il contatto con gli impuri.
Tuttavia mi vestii con i loro abiti, perché non sospettassero di me, che ero venuto da fuori per prendere la Perla, e
non risvegliassero il serpente contro di me.
Ma in qualche modo si accorsero che non ero uno di loro e cercarono di rendersi graditi a me; mi mescerono nella
loro astuzia (una bevanda), e mi dettero da mangiare della loro carne; e io dimenticai che ero figlio di Re e servii il
loro re.
Io dimenticai la Perla per la quale i miei genitori mi avevano mandato. Per la pesantezza del loro cibo caddi in un
sonno profondo. I miei genitori avevano notato tutto quello che mi accadeva ed erano afflitti per me....e mi
scrissero una lettera firmata da ciascuno dei grandi.
“Da tuo padre, il re dei re, e da tua madre, signora dell'Oriente, e da tuo fratello, nostro prossimo di rango, a te
nostro figlio in Egitto, salute.
Svegliati e sorgi dal tuo sonno..ricordati che sei figlio di re; guarda chi hai servito in schiavitù. Poni mente alla
Perla... Ricordati del “vestito di gloria”.. Come un messaggero era la lettera.. Al suono della sua voce mi svegliai e
mi destai.. Mi ricordai della Perla..e cominciai ad incantare il terribile serpente... Lo indussi al sonno.. Presi la Perla
e mi volsi a tornare a casa di mio Padre.
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seconda parte
Mi spogliai del loro vestito sordido e immondo..la lettera.. mi guidava con la sua luce che brillava dinnanzi a me. I
miei genitori..mandarono incontro a me..il vestito di gloria..e il manto..
Mentre ora osservavo il vestito, mi sembrò che diventasse improvvisamente uno specchio-immagine di me stesso:
mi vidi tutto intero in esso ed esso tutto vidi in me, cosicché eravamo separati eppure ancora uno per l'uguaglianza
della forma..E l'immagine del Re dei Re era raffigurata dappertutto su di esso..e vidi vibrare dappertutto su di esso i
movimenti della gnosi...lo presi, e mi avvolsi nella bellezza dei suoi colori..
Così rivestito salii alla porta della salvezza e dell'adorazione..adorai lo splendore di mio Padre..che aveva mantenuto
ciò che aveva promesso..egli aveva promesso che che avrei raggiunto la corte del Re dei Re e avendo portato la mia
Perla sarei apparso insieme a Lui. >
LA VERITÀ UNA
Quello che con tutti questi approfondimenti si vede, è un Gesù universale, un Gesù illuminato che indicava principi
e Verità già viste molto prima di Lui, presenti nelle Scritture e profeti che egli unicamente ha voluto fare capire, ed
insegnate in molte altre culture, se non in tutte: vere “fonti” a cui attingere ed immergersi, “fonti” di un principio
che era stesso per tutte.
È un Gesù che, come si è visto, si vede e trova anche nei Vangeli Canonici seppure a volte tra le pieghe della non
piena comprensione e/o traduzione del Suo messaggio, e soprattutto se sappiamo spogliarci di preconcetti e
convinzioni che falsano la comprensione. Se sappiamo "svelarci", toglierci i veli che ci impediscono di vedere la
Verità, la Aletheia. Una a-letheia (ἀ–λήθεια) che è appunto "non-ascosità".
Se sappiamo cioè soprattutto, con termini sia Egizi che Biblici, toglierci i “lacci e le reti”, ovvero uscire dalle
“gabbie”, in cui siamo caduti ed in cui ci siamo impigliati, lacci, veli e gabbie che in molti pongono sul nostro
cammino: solo così potremo vedere “quei” Principi.
Si vedrà allora Gesù parlare dell'abbandono dell' “io” con chiarezza ancora maggiore, quando dice:
< Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi sé stesso..>(Mt 16.24)
Egli dice qui che per per poterlo seguire “spiritualmente” è necessario “rinnegare il proprio io”, niente altro vuole
significare quel suo < rinnegare sé stessi >.
Gesù testimonierà il Suo -personale- “abbandono dell' “io” non pronunciando mai la parola “io”: Egli infatti sempre
dice di sé stesso quale generico “Figlio dell'Adam”, “ben Adam”, perché Egli non si vede e non si sente
“singolarità”. Egli vede sé stesso “generico figlio dell'Adam”, anche lui “figlio della caduta”: non si tratta di
sofisma o sterile falsa umiltà, si tratta della più profonda “consapevolezza” di fare parte, in modo “indistinto ed inesistente” di una umanità intera “figlia dell'Adam”.
Egli è Figlio dell'Adam con la stessa consapevolezza, e per dire della stessa Verità, che prima di Lui i profeti hanno
avuto e voluto dire: Ezechiele in particolare, come Gesù, ha detto di sé unicamente quale Figlio dell'Adam.
Tutto questo però è non visto e quindi negato dalla Cristianità: in Deus Caritas Est, a commento del passo già sopra
citato di Luca che dice:
< chi cercherà di salvare la “propria” vita la perderà, chi invece l'avrà perduta la salverà..>(Lc 17.33)
Benedetto XVI, così afferma:
< ..amore...come cammino, come esodo permanente dall'”io” chiuso in sé stesso
verso la sua liberazione nel dono di sé, anzi verso la scoperta di Dio >
Il Cattolicesimo, continua Benedetto XVI, in quel passo vede la < descrizione > che Gesù fa del “proprio”
<..cammino..(e) sacrificio personale..>. Ma nessun “io da abbandonare” si vede in queste parole: l' “io”, per
Cattolicesimo e Cristianità, unicamente deve spostarsi, deve compiere un < esodo > che essa vede quale
<..cammino .. verso la “sua liberazione” >, una “propria dell'io” liberazione, che vede un finale <..donare sé..>,
che non è “abbandono” o “morte” dell' “io” ma bensì la sua “apoteosi” :
è il “proprio” < scoprire > Dio, un “proprio” portarsi a Dio che non è che
l' “-io- nella sua più -gigantesca enochica- condizione”.
Ovunque e sempre e solo il sostegno, l'insegnamento ed il culto dell “io”, vero dio che è nel cuore e nella mente, nel
posto che dovrebbe occupare il Padre, Jhwh Elohim, l'Assoluto Tutto.
Si vede, con questi approfondimenti, che i termini e concetti usati da Gesù con i suoi:
“vivi morti e morti viventi – resurrezione – comunionesepolcri imbiancati – immersione battesimo- i tre giorni - il divenire bambiniperdono la loro “novità” e si rivelavano i termini e concetti utilizzati negli insegnamenti più o meno “nascosti” dai
maestri e sacerdoti di tutto il mondo antico centinaia e migliaia di anni prima della Sua nascita.
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seconda parte
Afferma Renè Guènon: < dobbiamo constatare il perfetto accordo di tutte le dottrine tradizionali, che sono
soltanto le diverse espressioni della Verità Una >.
Credo si possa arrivare a concordare con questa analisi e certo straordinariamente importanti sono i testi, da me
quasi alla fine di questi scritti scoperti, nei quali questo grande autore e religioso mette in evidenza queste “unità ed
accordi”.
Ma anche vuole sottolineato che per “dottrine tradizionali” di Cristianesimo, Ebraismo ed Islam egli in sostanza
intende rispettivamente una visione “Gnostico-Cristiana” oggi inesistente nella Cristianità, una visione Cabbalista
marginalissima oggi nell'Ebraismo e per l'Islam la altrettanto marginalissima visione e corrente teologica “esoterica”
espressa dal movimento Sufi.
Bisogna a quelle parole aggiungere, credo, che nelle “dottrine oggi dominanti” di Cristianesimo, Ebraismo ed Islam
a quella iniziale Verità Una nel tempo sono stati sovrapposti una tale quantità di veli ed errori che hanno finito per
nasconderla, soffocarla ed anche spesso negarla.
La negazione prima, e forse unica, di questa Verità nasce, come più approfonditamente vedremo più avanti,
nell'insegnamento-dogma-credenza dell' “io-creato”: insegnamento primo e quasi esclusivamente loro.
A quella Verità che solo può essere Una, nessun “io” può accedere: chi è nell'errore dell' “io” solo potrà avere
“doxa”, -personale dell'io- “opinione” pericolosa e fuorviante, insegnava il mondo Greco.
Mi fermo per una ultima considerazione sulla “caduta” dell’uomo nell’ “io”, sull' “io-creato”, su questo primo, vero,
unico “errore”.
Vorrei sottolineare il fatto che la eliminazione dell’”io”, questa sorta di “morte-suicidio” cui invitano tutti gli
insegnamenti primi dell’intero mondo antico, non apre assolutamente, come potrebbe sembrare oggi ad occhi che
non sanno vedere, ad alcuna prospettiva “negativa o devastante”: a quella “morte-suicidio” infatti sempre segue la
“rinascita-resurrezione” all'Assoluto.
Questa prospettiva resta infatti “negativa e devastante” solo per gli occhi dell' “io” che vede la “sua” fine e,
all'uomo che è in quell'errore, sembra che questa sia “la fine dell'uomo” ma non è così: quel cambiamentoconversione, è solo la morte di un “errato” pensiero.
E' una “eliminazione” che schiude le porte della più illuminata, edificante, completa e vivificante visione di “sé”,
apre al “Voi siete dei-deità”( Gv 10.34) di Gesù e delle Scritture, apre, “inesistenti in sé”, al “ritrovarsi dei” del
mondo Egizio, Indo-Ario, Mesopotamico, Greco ecc..: apre alla rinascita-risurrezione.
E' una eliminazione dell' “io” che permette di rivedere la “deità” di un uomo che così è in-esistente all'Assoluto, una
“deità” possibile solo se l'uomo “in sé” diviene inesistente, solo se perde l' “io” che si pone staccato e separato dal
Tutto-Assoluto.
Questa eliminazione dell’ “io”, se ben vista, porta al ritrovamento della propria più intima sostanza ed “essenza”,
quell’ Uno Assoluto in noi Vivente ed in cui noi Viviamo: l’Eterno circolare muoversi che Dante poeticamente così
descrive nei versi conclusivi della Divina Commedia : <.. quella circulazion .. pinta de la nostra effige >.
A quella “morte” che è il superamento dell' “io”, che è “morte” dell’”io”, segue infatti il vederci partecipi
“indistinti” di un Assoluto, pinto della nostra effige, che nulla ha a che vedere, e che anzi è l’esatto opposto, del
Cristiano <..scoprire Dio..> che, per come insegnato, non è che il “farsi altro Dio”.
Quella “morte” è processo razionalissimo, è vigile e razionale comprensione che nulla a che vedere e che è antitetica
a quello “smarrimento-stupore” a quella “contemplazione assente” che si incontra e si vede quando resta l’”io” che
“si porta” a <..scoprire Dio..>. Quella “morte” è antitetica alla “estasi” che si produce quando resta vivo un “io”
che, falsamente vedendosi e dichiarandosi inesistente, cerca di “scoprire Dio” per “salvarsi”.
Alle cieche accuse normalmente fatte agli insegnamenti che per la strada di quell’annullarsi invitano al “portarsi a
condizione divina”, accuse che affermano che questo è il modo per “farsi Dio” dell'ammonimento biblico che dice :
< non avrai altri dei di fronte a me >(Es 20.5),
credo sia bene sottolineare come la vera nascita di un “altro Dio” che si pone di “fronte a Dio”, è proprio quella
“nascita dell’ io” che essi predicano ed insegnano, l'“io-creato”, separato e diviso, “altro” dal Dio e quindi vero
“altro Dio”.
“Annullarsi” infatti, sebbene in un Assoluto-Tutto-divino, non è “farsi Dio”, è esattamente un “annullarsi”, opera
non facile e concetto certo difficile da comprendere per chi è e vuole restare “io”.
È invece il “porsi fuori” dall’ Assoluto, è la condizione e visione cui si giunge e cui ci si porta implicitamente grazie
al concetto e dottrina di “uomo-io creato dal Dio”, ciò che, inconsapevolmente ed inevitabilmente vedendo volontà
“proprie” alternative a quelle del Dio, fa nascere appunto un “altro Dio” ed “altri” Dei .
E questo “io” potrà solamente “giudicare” poiché solo chi “non è” non giudica, ma giudicando non farà che
confermarsi di “fronte a Dio” e “altro Dio”.
Le parole, come sempre, per confutare questa Verità, possono diventare molto sottili, confondere ed annebbiare
finendo al fine per lasciare l’ “io” alla propria esistenza, ma questa Verità resta con la sua forza, nonostante tutto.
94
seconda parte
Da un bassorilievo in Philae: la dea Iside versa
Acqua nel lago sacro, nel “campo dei giunchi” da
cui sorge l'anima di Osiride in forma di FalcoHorus.
Horus,
L'anima
del
defunto
95
seconda parte
96
TERZA PARTE
GESÙ E LA TORAH
SECONDA ANALISI DEI
VANGELI
Con gli occhi di queste Verità unitarie ed universali ho quindi riletto i Vangeli canonici e, come detto, in essi ho
trovato testimoniato, chiaramente, che “esse” unicamente Gesù, nella sua opera, ha voluto fare comprendere.
Nei vangeli canonici si ritrovano infatti gli stessi insegnamenti sino qui visti e tanto presenti nel mondo ai tempi di
Gesù, anche nei canonici quindi non si può fare a meno di vedere questo “nuovo” Gesù, profondo e vivificatore.
Non è più il maestro che ci parla di ovvietà dal sapore di buon proverbio popolare come avviene con le normali
interpretazioni e spiegazioni che delle Sue parole e parabole vengono date.
Non è più il maestro che parla di cose che “non possiamo capire”, in questo modo tutto il suo insegnamento si svela
e si “apre”, veramente profondo e vivificante.
Molto certo mi restava difficile da capire, non tutto ciò che essi riportano mi era da subito chiaro: era in particolare
nel IV vangelo, detto di Giovanni, che trovavo da un lato passi illuminanti e dall'altro altri molto più difficili.
Solo verso la fine di questi scritti anche quegli ermetici passi del IV vangelo si aprivano limpidi ed illuminanti ma in
una lettura che era lontanissima da quella Paolino-Cristiana.
Solo verso la fine la figura di quel Gesù “diverso” che lentamente si è delineata si aprirà completamente e si
confermerà in pieno.
Devo però aggiungere un fatto: il vedere questo Gesù “diverso”, un vedere che soprattutto è un “sentire” poiché le
“orecchie ed occhi” cui Gesù invita sono quelli dell'anima, non è facile a chi sia stato “in-formato” e “vestito” degli
insegnamenti Cristiani.
È difficile infatti uscire da quelle convinzioni-insegnamenti che sempre ci sono presenti e chiudono ogni “altra”
comprensione: lo è stato anche per me che pur non ho ricevuto che una ormai flebile dottrina parrocchiale, lo sarà
enormemente più per chi più a fondo di tali insegnamenti sia stato pienamente vestito.
Invito quindi il lettore a tenere ben presente questo sforzo che egli dovrà fare : non parlo di abbracciare ciecamente
queste tesi e visioni, parlo semplicemente del “capire-sentire” nel fondo ciò qui leggerà per poi così potere
liberamente, allora sì, valutare.
Riporto ora qualche passaggio dei vangeli canonici anticipandoli con ciò che, in quella rilettura dei vangeli di cui ho
detto, finivo col leggervi e vedervi.
-- Nei canonici Gesù afferma che coloro che “sanno ascoltare la voce dell'Assoluto” sono partecipi e partecipati
dall’Assoluto, sono della sua stessa sostanza ; dice Gesù:
< è scritto nella Legge: ..“voi siete Dei” e la Scrittura non può essere annullata.> (Gv 10.34)
-- Egli vede questa “presenza”, vera “ricchezza”, nel “cuore invisibile” visto dalle culture di tutto il mondo antico:
<..dove sono le tue ricchezze là c’è anche il tuo cuore.> (Mt 6.20,21)
-- Questa “ricchezza” che è nel Cuore, Atman, Anima, Loto ecc., Luce divina, è il Regno, il “luogo-condizione”
scoprendo-portandosi al quale “si trova” un Assoluto che quindi è “vicino”, “intimo all’uomo”, dell'uomo : è
condizione di vita odierna che solo cambiando mentalità, solo perdendo il proprio “io”, si potrà trovare :
< Convertitevi-cambiate mentalità, perché il regno di Dio è vicino >(Mt 4.17)
< Convertitevi-cambiate mentalità e credete a questo lieto messaggio >(Mc 1.15)
-- Gesù vede l'umanità intera “nella” condizione di “caduta”, nella condizione di “figli dell'Adam” in cui anche Lui
stesso si vede : sempre di sé dirà < Figlio dell’Adam >. Ma il vero “Padre” Suo e di tutti è Jhwh, l’ Assoluto, il
Padre, Egli afferma :
< Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro..>(Gv 20.17)
-- Il “cambiamento di mentalità-conversione” cui Gesù invita l'uomo che pensa di “essere in sé”, è quello di
abbandonare quell’illusorio “io”, la < propria vita > in cui l'uomo è sprofondato: solo perdendo tale vita l'uomo
potrà vedere l'Eterno, l'Assoluto :
< Chi è pronto a perdere la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.> (Gv
12.25)
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-- E la coscienza e necessità della “perdita di un io” necessariamente appropriante porta a considerare e rivedere
tutto ciò che ostacola questa perdita: padre, madre, moglie, figli, sorelle e fratelli tutti, se ci danno “identità”,
quando sono sentiti “propri”, portano alla costruzione ed al rafforzamento dell' “io”: solo chi ha questa “coscienza” è
suo discepolo.
< Se uno … non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, le sorelle … non può essere mio
discepolo.> (Lc 14.26)
-- Per chi penserà, grazie al proprio “io”, di vedere-possedere una “propria e sua vita”, vi sarà solo “morte” poiché
solo perdendo il proprio “io”, ovvero quella “propria-sua vita”, si potrà vivere nella Eternità Egli ci dice :
< Chi avrà trovato la sua vita, la perderà; e chi avrà perduto la sua vita…….la troverà.>
(Mt 10.39)
-- I Suoi inviti a perdonare sempre ed ogni offesa, a non decretare e a non giudicare, sono solo la conseguenza della
coscienza di “non essere in sé”: solo chi “non è” sa di non potere giudicare così come Lui stesso non giudica :
< Io non giudico nessuno..> (Gv 8.15)
-- Sono infatti coloro che, non essendo in sé, non “vedono” e non giudicano che potranno vedere-portarsi al Regno.
Coloro invece che restano nell’errore della separazione nell’ “io” come i “farisei-separati” e, così, pensano di “essere
in sé” e “vedere”, non vedranno l’Assoluto, l’Eternità :
<…quelli che non vedono vedranno e quelli (come i farisei-separati nell’”io” -ndr) che pensano
di vedere diventeranno ciechi.> (Gv 9.39)
-- Gesù ci ammonisce e ci invita a non essere come i farisei “separati e divisi” (anche per etimo), chiusi nell'“io” e
quindi figli della separazione-diabalein, figli del diavolo :
<..voi avete il diavolo per padre…> (Gv 8.42)
-- Solo chi saprà essere “aperto” a tutti e tutto, senza “proprie identità” come un bambino, anziché “chiuso” e
separato nel “proprio io”, potrà entrare nel Regno, potrà essere Assoluto :
< Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà.>(Lc 18.17)
-- E Gesù ci ricorda che, “non essendo in noi stessi”, nulla possiamo per “nostra” forza e capacità: solo il
ritrovamento del Padre, che segue la perdita di ogni “nostra” forza, ci consentirà di incamminarci verso l’ Assoluto–
Tutto :
< Nessuno si avvicina a me se non per la forza del Padre..> (Gv 6.65)
-- È un Gesù che ci invita a toglierci dalla materialità, il pane del corpo, per cercare il Regno, il pane eterno
dell’Assoluto e ritrovare quella “forza e potenza” :
<..non affannatevi di quello che mangerete o berrete……Cercate prima
il Regno…> (Mt 6.25-33)
-- Egli ci ricorda che è con ciò che non serve alla materialità ovvero la pietra scartata dai costruttori, che potremo
edificare la casa che reggerà in eterno, che potremo essere Assoluto :
< Nelle Scritture è detto: La pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta testata d’angolo.>
(Mt 21.42)
-- È un Gesù infine che ci invita a comprendere le sue parole, a capirlo e ad assimilarlo nel modo più profondo e
vero possibile, corpo e anima : questo è il suo invito a “mangiare-bere-vedere” i Suoi e nostri “corpo-materia e
sangue-anima”, quali Uno divino, per divenire eternità come Lui :
<..chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue ha la vita eterna.> (Gv 6.53)
-- E ci invita a farlo “cercando”, è chi cerca, Egli ci dice continuamente, che saprà trovare. È chi saprà essere senza
“proprie” certezze che, così portato a cercare, saprà trovare la “porta” per l’Assoluto :
<..chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto.> (Mt 7.8)
-- L’uomo possiede questa ricchezza ma essa gli è nascosta dai “suoi” averi. Una volta però trovato quel tesoro
l’uomo abbandona i “propri” beni ovvero perde il “proprio io” e così gode di quel nascosto tesoro :
< Il regno dei cieli è simile ad un tesoro in un campo. Un uomo lo trova..va, vende tutti i suoi
averi e compra quel campo.> (Mt 13.44)
-- Egli ricorda che le “verità profonde” delle Scritture sono “giuste e corrette” e dice con ciò che unicamente le sue
parole vogliono fare capire le Scritture, vogliono fare vedere quella “giustizia e correttezza” :
< Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti.> (Mt 5.17)
-- Con il “Discorso della Montagna” Egli infatti unicamente spiega ed approfondisce alcuni “comandamenti”
portandoli alla profonda Verità da cui nascono. Gesù in questa occasione corregge sì una norma data a causa della
<..durezza del cuore >(Mc 10.5) dei Giudei, ma nessuna “nuova legge” Egli vorrà dare :
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terza parte
< Avete inteso che fu detto…….Ma io vi dico:…> (Mt 5.21 seg)
-- L'uomo separato nell' “io”, il fariseo-separato come anche lo scriba-insegnante che porta a tale errore, non potrà
che finire, scomparire :
<..farisei e scribi..:“sono ciechi e guide di ciechi.. tutti e due cadranno.>(Mt 15.14)
-- E contro questi Egli si scaglierà con forza e durezza: i “farisei e scribi” dei suoi tempi, come i molti odierni,
annullano-chiudono la Voce-Parola-Logos divina che all’uomo sempre parla e, non in grado di vedere la “vera
dottrina”, gli insegnamenti delle Scritture, la trasformano in precetti ed obblighi di “uomini caduti”. Nessuna
“trasformazione-conversione”, alcun “innalzamento” può operare così all’uomo la Parola divina e per egli, senza
alcuna vera “con-prensione”, senza alcun “fare suo”, non potrà che seguire ciecamente perfino i comandamenti: le
dottrine divengono precetti per uomini che restano ciechi, in condizione di “caduta”:
<..avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione,
…insegnando dottrine che sono precetti di uomini> (Mt 15.6)
-- Egli ci invita ad annullare l’ “io” che sempre sorge protagonista: è con questo “spirito”, con questo “animo”, che
Egli ci suggerisce di mantenere la massima “segretezza” nel rivolgersi all’Assoluto: farsi vedere è un “porsi”, a sé
stessi ed agli altri, che vuole evitato :
< quando … fai l’elemosina,
non sappia la tua mano sinistra ciò che fa la tua mano destra...
...quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega…nel segreto> (Mt 6.5-6)
-- Ma non solo. A nulla, Egli dice, serviranno le preghiere e le invocazioni, a nulla serve “parlare in suo nome”, a
nulla serve “operare in suo nome” : l’ errore è l’ “io” col quale “per sé si vuole” tutto ciò e chi così è, non essendo
“uguale” a Gesù non potrà essere da Lui riconosciuto :
< Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli..
molti diranno……non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti
miracoli nel tuo nome ? Io però dichiarerò loro: non vi ho mai conosciuti…>(Mt 7.21-23)
Si conferma così, con questa ulteriore analisi, quel Gesù che già dalle prime letture seppur debolmente avevo
“sentito”, un Gesù che nessuno mi aveva mai prospettato, un Gesù “diverso” da quello della Cristianità.
Si confermava se pur ancora debolmente: molte altre Sue parole restavano da comprendere.
Tra le prime che si apriranno rivelandosi all'opposto di quanto insegnato dalla paolina Cristianità, vi sarà il
“Discorso della Montagna”: in apertura di quel discorso Gesù dice che Egli “non” è venuto per < abolire Legge e
Profeti > ed è “su quella base” che quel discorso si apre, limpido.
Ma molto altro restava da capire ed in particolare queste sono le parole che erano, a me, più difficili ed oscure :
< a chi bestemmia lo Spirito, quello Santo, non sarà perdonato.. né in questo secolo né in quello futuro >
(Mt 12.32)
< … non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di
Giacobbe” ? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi. > (Mt 22.31,32)
< Se dunque (il Messia) Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio >( Mt 22.45)
<.. Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio
lo voglia rivelare. Venite a me....imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete il ristoro per le vostre
anime...>(Mt 11.27-29)
< Ti benedico o Padre..perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti >(Mt 11.25)
< Non sono venuto a portare pace, ma una spada.>(Mt 10.34)
<..ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una..>
(Lc 22.36)
Oltre a questi passi che non capivo a fondo trovavo poi in apparente aperto contrasto con il Gesù “diverso” che pur
chiaramente si delineava, le seguenti parole :
< Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà
sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti ed egli separerà gli uni dagli altri..>
(Mt 25.31)
Mi interrogavo poi sul fatto che Gesù invitava a “capire”, senza spiegare, un Daniele che parla di “ Bestie” che
“distruggeranno l'umanità” :
< Quando.. vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele,
stare nel luogo santo – chi legge comprenda – allora...>(Mt 24.15)
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terza parte
Cosa si doveva “capire” in quelle terribili righe che vedono scenari a primo avviso di sapore mitologico o fantastico,
e perché anche quella mancanza di spiegazione da parte di Gesù ?.
Solo il tempo, vedremo, mi chiarirà a fondo tutto.
Alla fine quel Gesù “diverso” si mostrerà contrario ad ogni “religione-istituzione” e primariamente e sopratutto alle
tre che sul fariseismo-separatismo si fondano: Ebraismo, Cristianesimo ed Islam, in ordine di nascita temporale .
NESSUNA “NUOVA” LEGGE
Analizzo qui quel “Discorso della Montagna” che, come detto, si è rivela all'opposto di quanto visto ed insegnato
dalla Cristianità :
< Avete inteso che fu detto…….Ma io vi dico:…> (Mt 5.21 sg.)
Con queste parole da Gesù ripetute in quel ”Discorso” che solo Matteo ci riporta, la Cristianità infatti dice che:
“Nasce una Nuova Legge”
- Ma non è così Appena prima di pronunciare quelle parole e quel discorso Gesù dice chiaramente infatti:
< Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti >(Mt 5.17)
La volontà di Gesù di “non toccare, abolire, modificare Legge e Profeti” ed il Suo intento e scopo invece è quello di
“spiegare” a fondo, e non “superare” come afferma la Cristianità, quei testi. Oltre che dalle chiare parole di
Matteo sopra citate questo si evincono anche da un altro importante fatto :
– nelle non certo copiose parole di Gesù che i Vangeli ci riportano, sono ben circa 30 le citazioni delle Scritture da
Lui fatte “a sostegno” dei Suoi insegnamenti.
Anche questo ci dice e dimostra che per Gesù “Legge e Profeti” sono la “fonte” stessa dei suoi insegnamenti: tutta
la Sua opera sarà volta unicamente a “correggere” le letture e le interpretazioni che “scribi-insegnanti” e “fariseiseparati” ai Suoi tempi davano di quei testi:
< ..(solo) superando in giustizia scribi e farisei...entrerete nel regno dei cieli >(Mt 5.20)
Gesù poi dirà anche che :
< ..non passerà nemmeno uno iota o un segno della Legge senza che “tutto sia compiuto”..> (Mt 5.17,18)
In questo passo si vede un Gesù che conferma a pieno una Legge-Scrittura che -non- è la “fisica storia passata” che
gli scribi ed i separati-farisei insegnano ma è “insegnamento, visione e previsione” di un Accadere che “tutto si
compirà”.
La Legge, il Pentateuco, Genesi ed Esodo in particolare, per Gesù non è quindi né “Storia né RegolaComandamento”: è “rivelazione di un accadere” che vuole visto e compreso non già per “sapere cosa accadrà” ma
“per sapere -perché- accadrà” : con quella comprensione l'uomo capirà sé stesso ed è a queste profondità di lettura
che invita Gesù.
Anche con ciò che Egli dirà in riferimento all' “uccidere” Gesù non va al “sociale”, alla regola della comunità: il
profondo insegnamento che anche qui egli cerca di mostrare interessa l'animo umano e non il “Mondo”, non il
“Cesare”.
Le Verità di Legge e Profeti che Egli vuole spiegare sono poi Verità universali, divine e che tutti devono sapere
portarsi ad -ascoltare-, ma sono travisate dai “separati nell'io-farisei” dell'universale popolo di Dio che, a causa di
in tale loro condizione, non -possono- capire. “Separati-farisei” che Gesù vede, in particolare, tra i Giudei cui si
indirizza:
< non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele..>(Mt 15.24)
< non andate fra gente straniera…
andate invece fra la gente smarrita del popolo di Israele >.(Mt 10.5,6)
Nonostante tutto ciò la Cristianità, seguendo le parole di Paolo, vedrà una Nuova Legge: non capirà le parole di
Gesù e non capirà che quel Suo:
< Avete inteso che fu detto….Ma io vi dico..>(Mt 5.21 sg.)
non è altro che la apertura all'insegnamento della corretta lettura e comprensione dei passi che Egli cita: non capirà
cioè che quelle parole, in linea con la premessa che Gesù fa all'inizio del discorso, significano:
“ Avete inteso che fu detto...ma più giustamente e perché capiate correttamente io vi dico.. >
Questo solo può essere e significare, per un Gesù che precisa bene di non toccare una sola virgola di Legge e
Profeti, ciò che Egli ha inteso con quelle parole.
100
terza parte
Con parole più dotte e competenti delle mie Dovid Daube nel suo “The New Testament” dice:
< La relazione tra le due parti dello schema (Avete inteso..ma io vi dico..) non è di puro contrasto: il secondo
elemento dell'antitesi “rivela” il “senso racchiuso” nel primo, anziché sopprimerlo >
Gesù in questo discorso, prendendo in esame alcuni passi della Torah e ciò che in essi è stato “letto ed insegnato”,
spiega ciò che invece di essi vuole “letto e capito”: nessun “nuovo insegnamento o legge” egli dà o propone ma solo
mostra, per quei passi, la loro vera “profonda lettura”, una lettura che va oltre quella “unicamente letterale”, e così
errata, di sadducei e farisei. Solo mostra una lettura più completa che porta a comprendere nel fondo ciò che le
Scritture “vogliono insegnare e dire”, una comprensione che chiede quel “cambio di mentalità-conversione” cui
Gesù invita e che permette di fare propri quegli insegnamenti. Solo così essi possono non essere “precetti di
uomini”.
Vediamo, per i singoli punti di quel discorso, ciò che Gesù ha voluto fare intendere e meglio capire, ovvero quale è
l'insegnamento profondo che nella Torah andava e vuole colto:
1) < non uccidere > (Es 20.13)
Del “letterale” < non uccidere > di Es 20.13, sesto comandamento Biblico, Gesù ci dice che esso vuole letto e visto
“per” ciò che vi è “sotteso”, per ciò che è “principio e causa” di quel gesto, ed è proprio in questa sottesa natura,
nella sua fonte ed origine, che quel “non uccidere” si equipara all’< adirarsi > cui Egli lo affianca dicendo:
< Avete inteso … “non uccidere; chi uccide sarà sottoposto a giudizio”;
ma io vi dico: chiunque si adira… sarà sottoposto a giudizio > (Mt 5.21,22)
Per entrambi questi fatti e comportamenti, dice Gesù, vi sarà giudizio: entrambi seguiranno la stessa sorte poiché
figli dello stesso “errore” e quindi entrambi con la stessa colpa ovvero quell’ “io” che, pensando di esistere, “si”
porta, per le “sue” ragioni, ad uccidere o ad adirarsi: a giudicare.
Per Gesù “uccidere” e “adirarsi” non hanno differenze: sono atti che hanno la stessa natura ed origine, sono sullo
stesso piano e l’animo che arriva a dire <..pazzo..> al fratello, al prossimo, come quello di chi uccide, sarà destinato
alla consumazione, alla Geenna, non riuscirà a vedere l'Assoluto, Egli ci dice.
Gesù così ci porta ad una lettura profonda del comandamento biblico, una lettura che, anche, toglie l'omicidio dallo
status di più grave dei peccati per lasciarlo, come in realtà è nella Torah, -equiparato- a tutti gli altri.
In quel testo infatti per l'infrazione di questo quinto comandamento non si evidenzia nessuna “speciale” punizione,
esso è visto come tutti gli altri comandamenti con la sola esclusione del secondo.
Come ben ci sottolinea E. De Luca nel suo “E disse”, nella Torah solo il secondo comandamento viene dichiarato
“torto irreparabile”:
<...non solleverai il nome di Jhwh tuo Elohim per falsità,
perché non assolverà Jhwh chi solleverà il suo nome per falsità..>(Es 20.7)
De Luca poi evidenza anche la differenza tra la fedele traduzione che recita < sollevare il suo nome per falsità > e
quella Cei che dice < nominare il suo nome invano >.
La differenza non è piccola: è “massimo” peccato infatti non già il “nominare invano” bensì il “dire il falso” su
Jhwh Elohim, sul Dio: chi ne parla rifletta bene .
La traduzione normalmente conosciuta e proposta, non solo dalla Cei, non rende in nulla questo pericolo e dice
invece solo di un “vuoto rispetto” che per di più invita ad “antropizzare” l'Assoluto: indirizzo doppiamente errato.
Tornando però al “non uccidere” che Gesù ci mostra, il “non uccidere” che è errore simile all'adirarsi, errore del
singolo uomo che pensa di potere giudicare, un'altra considerazione vuole fatta : la trasposizione oggi normalmente
fatta di questo corretto vedere-comportarsi dell'uomo singolo a “regola sociale”, a “regola del Cesare”, è, vedremo
meglio più avanti, arbitraria ed incorretta.
2) < non commettere adulterio > (Es 20.13 ; Dt 5.18)
Nel passo successivo (Mt 5.27seg) Gesù, con la stessa tecnica della equiparazione usata prima, spiega la “sottesa
origine”, il perché ed il “senso profondo”, del < non commettere adulterio > di Es 20.13 e Dt 5.18, settimo
comandamento Biblico.
“Adulterio”, Gesù dice, è commesso anche da chi < guarda una donna desiderandola >.
L’adulterio, Egli dice spiegando l'insegnamento della Torah, è quell’ “ad-alterum”, quel darsi “ad-altro”, che vede
l'anima dell'uomo, la sua “essenza spirituale”, consegnata e sottoposta ad un “io-materialità-adam” che è “altro”
dalla “sua natura” e “destinazione: quella di Sposa divina.
L'adulterio, il “darsi ad altro”, giustamente da Gesù è visto anche nel “ desiderio”: ogni desiderio infatti è
conseguenza di un'anima consegnata e caduta alla materialità, consegnata ad un “io” che vuole “ per sè”, un “io” che
non può che “per sé desiderare”.
101
terza parte
L'adulterio che Gesù sottolinea è quello di colui che desidera grazie all' “io” che si è creato pensando di “essere in
sé”, mentre solo chi riesce ad annullare il proprio “io” non “essendo in sé” non desidera.
Questo concetto cui Gesù nascostamente, come sempre, si riferisce, è messo in evidenza anche in Mt 19.9 dove Egli
dice che si ha sempre adulterio quando si è mossi da “propri desideri e volontà”:
< chi ripudia la propria moglie … e ne sposa un’altra, commette adulterio >.
Chi ripudia la propria moglie per sposarne un'altra è “adultero” poiché in ogni caso è mosso a ciò dalla “volontà di
un io” cui l'anima, divinamente destinata, è invece stata consegnata; Gesù sottolineerà poi subito che questo non
facilissimo concetto:
< non tutti possono capirlo >(Mt 19.11)
e per cercare di chiarirlo Egli farà un “parallelo” che dice della stessa Verità, dirà:
< vi sono quelli che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli >(Mt 19.12)
Farsi “eunuco”, inteso con evidenza in senso “mentale”, è il porsi nella condizione in cui si evitano, in cui sono
inibiti, all' “io” i “propri” desideri e volontà.
Dice così Gesù della Verità che non commettono adulterio, non consegnano l'anima a quell'“ altro dal Dio” che è
l'“io” come fa invece chi ripudia per sposare un'altra donna, coloro che sono arrivati a far sì che quell' “io” possa
non desiderare: coloro che l' “io” hanno saputo neutralizzare, “evirare” in senso lato, riportandosi in quell'oggi ad
una condizione di vita che è quella del regno dei cieli, condizione che non vede alcuna separazione-io, alcun
“proprio” desiderio.
Queste frasi di Gesù dicono anche che Egli vede questa condizione “eunuca” dell'uomo “parallela”, entrambe
vedendo il Regno, a quella di “matrimonio” nella sua accezione più profonda, quella di unione spirituale di due
persone, unione che si riflette ai corpi.
Il matrimonio, per Gesù, è quella unità “divina”, nel Dio Uno, “Unità” spirituale e materiale assieme, che è il
ripristino di quella unità originaria, “divina”, di Jhwh < maschio e femmina >(Gn 1.27) in cui sono i “Figli di Dio”
che sono immagine di Dio.
Anche la mentale condizione di “eunuco”, ci suggerisce Gesù con quel suo parallelismo, è condizione che vede
questa unità, nel singolo, del “divino maschio-femmina o yang-yin”.
La “rottura” di “questa” unione è “contro l’Uno-Armonico”, è “dis-armonia” da evitare come Egli dirà
“correggendo”, questa volta sì, la “norma” Mosaica (Dt 24.1) che consente il <..ripudio della moglie..>: norma che,
Egli dice, <..in principio non fu così..> e che è nata <..a causa della durezza dei cuori..>(Mt 19.8), a causa di cuori
che non sapevano “sentire” né “ascoltare”.
Questo “senso” dell'adulterio, questo “concetto” che sottostà a queste parole pronunciate da Gesù, concetto mosaico,
si evidenzia bene anche in queste Sue parole:
<..una generazione perversa e adultera cerca un segno...>(Mt 16.4)
Gesù qui si rivolge alla umanità generata nella “adamica” caduta materialità cui porta la terra-materia “adamà”, si
rivolge ai Giudei dei suoi tempi ma anche all'odierno Occidente e non solo, si rivolge all'umanità che è “adultera”
ovvero “legata ad altro” dal Dio, legata alla “materia”, e che è “perversa” ovvero che opera “contro” un Dio-UnoTutto: umanità e generazione che non avendo “capito” cerca < un segno >.
Non ha alcun bisogno di cercare “segni” chi “conosce” la Verità: rifletta chi, pensando di conoscere la Verità, oggi
questi segni invoca chiedendosi del “perché” del “silenzio di Dio”.
Questa lettura dell' “adulterio” per come inteso da Gesù, lettura che dà finalmente profondità e senso vero a delle
parole che diversamente, in confronto, restano ben povere, trova piena conferma nella lettera di Giacomo e nel
recentemente ritrovato Vangelo di Filippo:
< Adulteri !, non sapete che l'amore del mondo è odio verso Dio?..
O forse pensate che invano la Scrittura dice :”Fino alla gelosia (Dio) pretende
per sé lo Spirito che ha fatto abitare in noi”? >(Gc 4.4,5)
< ..ogni associazione che si forma tra cose differenti l'una dall'altra è un adulterio >
(Vangelo di Filippo 42)
Commettiamo quindi “adulterio” quando ci “separiamo dall'Assoluto” consegnando la nostra “anima-spirito” ad un
“io-materialità” che è “cosa diversa ed altro” da un Assoluto-Tutto “in e di cui” siamo e che unicamente “Spirito e
Materia” assieme ed indistinti può vedere.
Per inciso poi sottolineo che il passo di Giacomo è tratto da “Il medio giudaismo” di Gabriele Boccaccini e vede
differenze forti rispetto a Cei che, forse non capendo, sostituisce il termine “Adulteri”, così tenuto anche da altri,
con un ben diverso “Gente infedele” e traduce poi il passo delle Scritture richiamato con un un ben poco
comprensibile, nel contesto, “Fino alla gelosia ci ama lo Spirito che Egli ha fatto abitare in noi”.
Le incomprensioni, e l'errore, così si trasmettono legando, se pur inconsapevolmente, l'umanità intera.
102
terza parte
3) “non spergiurare, ma adempi con Jhwh i tuoi giuramenti” (Nm 30.3 – Dt 23.22-24)
Proseguendo quel Discorso-chiarimento fatto in montagna, Gesù poi dice:
< Avete inteso …: “non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti”
(rif. a Nm 30.3 – Dt 23.22-24) >
< ma io vi dico: non giurate affatto… sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno > (Mt. 5.33-37)
Anche qui Gesù non scende al piano, cui mai si porta, della “regola”, neppure nuova, ma resta nella profondità dei
veri insegnamenti, da “vedere” ed “udire”, di ciò che è nel Pentateuco. Insegnamenti che se non compresi, possono
venire cancellati e stravolti.
Gesù ci dice in questo passaggio che l'atto del giuramento, fatto non “con” l'Assoluto, vede la presenza dell’ “io”
divisore-diabolico che < viene dal maligno >: solo chi si sente in una “propria” assoluta e separata identità, chi vede
un “proprio” io ed una “propria” vita, può sentirsi in grado di impegnarsi “in proprio” con un atto “assoluto ed alto”
quale il giuramento.
Per questo Gesù dice che non si deve giurare: chi infatti ha tolto l’ “io” non “potrà” giurare e dirà semplicemente
<..si..> o <..no..>, esprimerà un semplice impegno senza aggiungervi quella “assolutezza” che solo può essere
divina, che solo può essere < con > e “nelle mani” dell’ Assoluto-Tutto, di Jhwh, di un Accadere che unicamente
Esso può determinare.
Di questa Verità, di quel <..si-si ; no-no..> di colui che per Gesù non “riesce”, e non già non “deve”, giurare, dicono
secondo Gesù i passi della Torah che Egli cita in cui, secondo la Sua lettura, è detto:
< adempi “con il Signore” i tuoi giuramenti >(Mt 5.33)
Il riferimento è certamente ai passi di Numeri e Deuteronomio, passi che parlano del “giuramento” e che nelle
traduzioni Cei così dicono:
< Quando un uomo avrà fatto un voto a Jhwh o si sarà obbligato con giuramento ad una astensione, non violi la
sua parola, ma dia esecuzione a quanto promesso con la bocca >(Nm 30.3)
< Quando avrai fatto un voto a Jhwh tuo Dio, non tarderai a soddisfarlo, perché Jhwh tuo Dio te ne domanderebbe
conto e in te vi sarebbe un peccato.
Ma se tu ti astieni dal far voti non vi sarà in te peccato > (Dt 23.22-24)
Come si vede questi passi senza la importante precisazione di Gesù non sono facilmente comprensibili: se nel passo
di Numeri può essere visto un obbligo divino, morale ed anche sociale al rispetto del giuramento, non si comprende
molto l'ultimo periodo della frase citata di Deuteronomio, periodo nel quale sembrerebbe di potere vedere una
autorizzazione al non mantenimento di alcuna parola, impegno e promessa, qualora non legata ad alcun voto.
Tutto ciò avrebbe poco senso e solo la profonda spiegazione di Gesù chiarisce questo ultimo passaggio e meglio
precisa anche il resto di quanto riportato di Deuteronomio.
Ma vi è un altro aspetto che conferma l'analisi ora fatta: la lettura che Gesù fa verosimilmente di questi passi, quel
suo leggervi: <..adempi con il Signore i tuoi giuramenti > come Egli fa, mette infatti in evidenza un aspetto molto
sotteso e cioè l'insegnamento che può esservi “giuramento” solo se compiuto “nelle mani” dell’Assoluto.
Gesù interpreta, vede e dice che il “giuramento” può solo essere compiuto < “con” il Signore > ovvero può solo
essere affidato all'Assoluto e quindi non può essere compiuto e retto da alcun “io” .
Questo ci mostra poi ulteriormente come Gesù legga la Legge con “occhi e orecchie” che non sono la “lettera”
farisaica che ancora oggi, dopo 2000 anni, ci viene insegnata.
Non si può poi qui non ricordare che la astensione assoluta da ogni giuramento era fondamentale regola presso gli
Esseni e più tardi anche da quei Catari e Bogomili che alla prima apostolare cristianità si rifanno, regola nata certo
dalle stesse interpretazioni della Torah che faceva anche Gesù.
4) “occhio per occhio e dente per dente” (Es 21.23,25 ; Lv 24.19,20 ; Dt 19.18,21)
Nel passo successivo del Discorso della montagna, Gesù parla di quella “legge del taglione” che troviamo in Es
21.23,25; Lv 24.19,20; Dt 19.18,21. Egli dice :
< Avete inteso …: “occhio per occhio e dente per dente”;
ma io vi dico: non opponetevi al malvagio… >(Mt 5.33 sg)
Su questo passo sono stato a lungo tentato di ammettere che con esso Gesù abbia voluto modificare le parole della
Torah, ma altro penso sia stato anche qui il Suo intento.
In questo passaggio l'intento di Gesù è non già quello di “spiegare” ma quello di “evitare l'errore” in cui le parole
della Torah sulla norma data al popolo giudaico, possono fare cadere: qui Gesù non spiega l' “occhio per occhiodente per dente” ma nemmeno vuole contestare la -legge sociale- cui quelle parole hanno portato.
Vuole ricordato che mai Gesù è entrato in questioni di “regole sociali”, quelle cui Egli si riferisce dicendo: < ciò che
è di Cesare >(Mt 22.21).
103
terza parte
Sulle leggi e regolamenti “sociali” dei Romani, sugli obblighi imposti come anche sulle dure pene e punizioni, sulle
messe a morte per crocifissione ed altro che non certo sporadicamente l'Impero Romano compiva su quelle terre,
nessuna parola Egli ha mai alzato.
Eppure le crocefissioni “per rapina”, oggi vero orrore per la Cristianità, erano ai suoi tempi all'ordine del giorno
come dimostra il fatto che anche alla Sua crocifissione ben due condanne per tale reato sono state eseguite.
Le sue parole sono sempre e solo state per l'animo umano, per una una visione profonda della vita dell'uomo, per
una “salvezza” che andava “oltre ogni fisica contingenza”.
Le “leggi e regole sociali” che decide l'uomo di darsi poco interessano Gesù, ciò che a Lui preme è l'animo umano e
ciò che lo può falsamente condizionare.
Ecco perciò che si può verosimilmente pensare che anche qui Gesù non abbia tanto voluto correggere una “legge
sociale” ma abbia voluto, questo sì, contrastare e condannare la degenerazione che questa ha portato all'animo
umano.
Gesù cercherà qui infatti di dare un insegnamento che va oltre la regola sociale, essa può anche restare come tale
purché l'uomo comprenda quale è - l'errore a cui, da quella “regola”, egli potrebbe essere portato -.
E “questa” messa in guardia vede, nella risposta di Gesù, lo stesso profondo insegnamento già visto al punto
precedente: la necessità che nessun “io” sia giudice e giudicante.
Gesù qui ci dice di una Armonia, di un Divino-Accadere, cui nessun “io” si deve anteporre ed opporre anche quando
esso ci può sembrare “male”:
< non opponetevi al malvagio,
anzi se uno ti percuote la guancia tu porgi anche l’altra >(Mt 5.39)
Egli così ci dice che ciò che sembra malvagio è in realtà “divino accadere” se compreso nel fondo, se visto con gli
occhi di chi, senza “io”, non vede “bene o male”, e non “giudica”. Egli così ci ricorda ciò che sul “male” ci dicono
la Torah ed i Profeti:
< uno spirito maligno è venuto da parte di Dio (Elohim) >(Sam 18.10)
< è disceso il male dal Signore (Jhwh)..> (Mic 1.12)
< non c’è male…che Dio (Elohim) non abbia fatto >(Amos 3.6)
< io sono il Dio-Elohim che stabilisce la pace e fa il male >(Is 45.7)
< dalla bocca del Signore (Jhwh) non vengono forse la sventura e il bene? >(Lam 3.38)
Ecco quindi che nell' “Accadere” che pur l'uomo può promuovere e in certo senso determinare, si trova al fondo
quel “divino”, quell'Assoluto, che comprende anche ciò che l'uomo vede come “male”.
È per questo che, con parole che nascono in Legge e Profeti, Gesù ci suggerisce di non reagire “personalmente” a
ciò che ci può “sembrare male”, a ciò che, non dovendo noi giudicare, come “male” non dobbiamo e possiamo
vedere.
La legge sociale, la legge del Cesare, può prevedere l' “occhio per occhio e dente per dente” degli Israeliti così come
può prevedere la “morte in croce per rapina” la legge dei Romani, una”crocifissione” contro la quale mai Egli dirà
parola, nemmeno quando, crocifisso, si trovo a fianco due di -tali- condannati.
5) “ Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”
Anche l’ultimo passo di quel “discorso della montagna” di Gesù, forse il passo più ricordato e limpido, merita
qualche approfondimento; Egli dice:
< Avete inteso…: “ Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”;
ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori..>(Mt 5.43,44)
Il passo citato è quello di Lv 19.18 che però dice solo: <..amerai il tuo prossimo come ( quale -ndr ) te stesso..> e
non riporta quell’ < odierai il tuo nemico > che Gesù, se queste sono le sue esatte parole, invece cita.
Con evidenza Egli, nel caso queste siano appunto le sue esatte parole, si esprime così per riprendere ciò che, di quel
passo del Levitico, nella consuetudine e nella prassi tra gli Israeliti si era affermato travisando testi che invitano ad
“odiare” un “male” che è -ciò-, più che coloro, che ci “chiude” all'ascolto del Vero e quindi così è dell'uomo
“nemico e persecutore” :
< Temere il Signore è odiare il male..> (Prv 8.13)
È a “questo” sentimento erratamente nato, non norma o regola della Scritture, che Gesù risponde con la sua
spiegazione: Egli così dice che in quell'Uno che vede un “prossimo noi stessi”, noi possiamo unicamente “amare e
pregare” per -chi- ci induce all'errore.
Quel sentimento di “odio per il nemico” che era evocato e nato tra i Giudei era la conseguenza della visione di un
“prossimo letto farisaicamente”: quel “prossimo-altro” -circoscritto- ai “ figli del popolo giudaico” il quale vedeva
“nemico” ogni altro popolo: regola e tradizione che era rigidamente osservava.
104
terza parte
Era il sentimento che nasce, inevitabilmente, quale conseguenza di ogni “appartenenza” tutte essendo figlie
dell'errore dell' “io”.
Contro questo sentimento Gesù invita ad <..amare e pregare..> per -coloro- che si portano più o meno
consapevolmente ad essere, al fondo, nostri <..nemici e persecutori..> o che anche “ci vedono loro nemici”.
Gesù con questo insegnamento implicitamente dice, a tutti, che non vi possono essere “appartenenze” di qualsiasi
genere, e men che meno appartenenze “religiose”, poiché tutte creano “nemici” che non esistono e non devono
perciò essere “visti”.
Ma ogni “appartenenza” è figlia e conseguenza della “prima” delle appartenenze, quella dell’uomo a sé stesso,
quella dell’ “io” padrone di sé e separato dal Tutto che si “lega” a coloro che, in qualche accento e in qualche
aspetto, trova simili.
Anche in questo insegnamento quindi Gesù, al fondo ed implicitamente, non fa che confermare quella condanna
della “caduta” nell' “io”, primo ed unico vero “errore” di cui Legge e Profeti già dicevano.
Dopo queste prime considerazioni ho cercato, in testi di esegesi Cattolica dei Vangeli, possibili confutazioni o
correzioni a quella figura di un Gesù “diverso” che lentamente mi si svelava.
Purtroppo non ho trovato nulla di tutto ciò, quelle mie letture di testi cattolico cristiani pur anche ritenuti importanti,
di scuola, mi hanno profondamente deluso.
Non ho trovato altro che una esegesi che spesso non fa altro che ripetere le parole di Gesù senza spiegazioni, senza
perché, senza darne senso vero, una esegesi ferma sui miracoli, sulla “fisicità”, una esegesi che spesso non è già
delle parole di Gesù ma piuttosto di quelle di Paolo, una esegesi che, sempre sulla linea paolina, è principalmente
impegnata nell'ardua, instabile e poco certa “speciale e unica” investitura Cristologica della figura di Gesù.
Una esegesi che non tenta -mai- di vedere e capire quale potesse essere quel Gesù “diverso” che, contrapposto a
quello di Paolo, alcuni SuperApostoli insegnavano.
Strano destino questo, quello di una Chiesa che si rifà al Gesù che condanna aspramente i “farisei-separati” e che si
fonderà sulle parole, sulle “interpretazioni” e sulle conclusioni “teologiche” proprio di un “fariseo-separato”.
Quasi una tragica ironia di Greca memoria, tragica ironia che però è comunque Verità, un “Accadere” che è
comunque Armonia. Più avanti nel tempo e su queste righe cercherò di approfondire questo importantissimo “fatto”.
Ancor più deluso ed amareggiato sono poi rimasto nel vedere che non viene proposto alcun parallelo tra ciò che
“spiega” Gesù e ciò che “dicono” la Legge ed i Profeti.
Questo per me è determinante, senza la piena concordanza tra Gesù e le Scritture i rischi che si corrono, di errata
interpretazione, sono gravissimi.
Gesù sempre e solo ricorda la piena validità di quei testi e spesso li usa per confermare le sue parole, una esegesi
perciò che non veda questa “totale fusione tra Gesù e Scritture” rischia di essere in una visione di Gesù
“completamente errata”.
Come non vedere allora la necessità di rileggere e riconsiderare le parole di Gesù, e solo esse, in questa prospettiva,
e come non chiedersi anche con quanti opportunismi, necessità, frustrazioni, mancate comprensioni od altro ancora
sono state filtrate le parole di Gesù, a partire certamente da chi le ha riportate e da chi le ha tradotte?!
Sappiamo bene che “raccontare” e leggere è anche “interpretare”, tradurre poi oggi termini sconosciuti di lingue che
poco conosciamo aggiunge certo altra confusione.
Tornando alle “interpretazioni” dobbiamo poi aggiungere anche il fatto che per molti termini delle lingue in cui sono
stati originariamente redatti sia le Scritture che i Vangeli, ancora oggi non conosciamo con certezza il significato
preciso.
Le sfumature, anche importanti, che essi possono avere ci possono sfuggire ed i traduttori oggi come ieri, non hanno
potuto fare a meno di trasportare ciò che la loro “cultura” religiosa oltre che il loro “capire” ovvero “ vedere ed
udire”, gli suggeriva.
Nella ottica e prospettiva di tutte queste mie considerazioni ho poi riletto la Torah fermandomi in particolare sulla
Genesi ed Esodo, testi tutti che in passato avevo solo molto parzialmente letto, certamente senza capirne molto.
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QUARTA PARTE
APPROFONDIMENTI SU LEGGE E PROFETI
GESÙ E LA LEGGE
Approfondirò qui il tema della “Legge” cui Gesù fa riferimento.
Gesù nelle parole di apertura al “Discorso della Montagna” in cui conferma come visto la piena validità di <..Legge
e Profeti..> dirà anche:
< In verità vi dico che il cielo e la terra passeranno piuttosto che un iota o un segno
passi dalla Legge senza che tutto sia compiuto..>(Mt 5.17,18)
Queste parole di Gesù ci dicono che quegli “scritti” in ogni loro “iota e segno” sono “Legge” che parla e dice di :
“ciò che si deve compiere, di ciò che è stato e di ciò che verrà :
in quegli “scritti” cioè si deve vedere una - Legge che dice di ciò che avverrà, che si compirà -”
Nulla in questo senso è stato però visto: la Torah per tutti è unicamente “storia passata e consegna di
comandamenti”, nessuna traccia si trova nel Cristianesimo, come credo anche in Ebraismo ed Islam, che dica di
questo “insegnamento-premonizione” che Gesù vede in quei testi.
Ciecamente quei testi saranno unicamente visti “Legge” in quanto consegna di una “Legge divina-Comandamenti”,
che peraltro è contenuta in 2 pagine su circa 180 totali, da un lato e “storia” dall'altro.
“Legge” invece per Gesù è quel “Ciò che compie” che, “nelle e dentro” le Scritture quali “insegnamento
cattedratico mosaico”, sono ciò che si deve “vedere, capire ed ascoltare” con gli “occhi ed orecchie” che Egli ci
sollecita.
“Legge” è per Gesù quel “Ciò che compie” che non può essere, vedremo infine, che Jhwh stesso ed è di questo
Jhwh che -compie e regola e che bisogna saper ascoltare- che sempre le Scritture dicono quando parlano di Legge
da seguire. Legge lontana, seppur sommariamente ad essa coincidente, dalla Mosaica -legge sociale- ovvero i dieci
comandamenti e le altre leggi ebraiche : per Gesù la Legge è “Sapienza”, il divino che vuole in coscienza capito
sentito ed ascoltato, ciò di cui dicono i testi di Enoch con le sue < tavolette celesti >.
Questa identità ultima tra “Sapienza e Legge” è ben presente nelle Scritture: dagli studiosi è nel Siracide in
particolare che è vista, ma non solo lì, ad occhi aperti, essa si potrà vedere ed è identità che si allarga come detto a
Jhwh ed al Figlio-Logos-Principio eterno ed immanente.
Ma incomprese le Scritture ed incompreso Gesù non si saprà, ma già a partire dal periodo storico del Secondo
Tempio, che vedere quella parola riferita a “divine regole sociali” che, così incomprese al fondo, non divengono che
“precetti di uomini”: regole, comandamenti-precetti, di persone che restano così “uomini”, restano nel buio della
“caduta” non sapendo fare propri e portarsi ad essere essi stessi fonte di quei comandamenti.
Di questa Legge-Jhwh che va ben oltre le “parole scritte” della Torah e delle Scritture tutte ci dice con chiarezza il
“Vangelo Esseno della Pace” di cui qui riporto alcuni brani tratti dalla traduzione ed opera di E.Bordeaux Szekely .
Si tratta di un'opera arrivata a noi con un manoscritto del III secolo dC in Aramaico, lingua usata da Gesù; opera
salvata grazie a Sacerdoti Nestoriani e oggi conservata negli archivi, “segreti” e che spero tutti si aprano, della Santa
Sede.
È un testo che ci parla del giudaismo Esseno che si rifà alle tradizioni di Enoch, giudaismo così storicamente
riportabile forse addirittura al periodo in cui nasce la Torah, giudaismo Esseno ancora largamente presente, se pur
non dominante, non al potere, ai tempi di Gesù a fianco delle altre ad esso più recenti scuole e correnti : Farisei,
Sadducei, Zeloti. Dice quel testo:
< Non cercare la Legge nelle Scritture, perché la Legge è Vita mentre le Scritture sono parole..In ogni cosa ..è
scritta la Legge..Dio non ha scritto le Leggi sulle pagine dei libri ma nel nostro cuore e nel nostro spirito..>
< La Santa Legge è come un fiume.. tutte le creature dipendono da lei e lei non rifiuta nulla a nessuno.. nell'acqua
puoi annegare e nell'acqua puoi estinguere la tua sete. Così è la Santa Legge, è una spada a doppio taglio:
con la Legge puoi distruggerti e con la Legge puoi vedere Dio, Padre celeste. >
(Op.cit. pag.146 e 139)
E' con lo spirito e consapevolezza che negli “Scritti Giudaici”, nelle Scritture, nella Torah in particolare, si deve
“vedere questa così delineata Legge” che Gesù cita quei testi dichiarandoli “Legge”.
Gesù ha predicato un Dio/divino, che è lo stesso della rivelazione Mosaica: Jhwh. Ha predicato la stessa Legge, ma
non in quella sua comprensione farisaica che è del II° Tempio e contraria a quella enochica, non nella comprensione
in cui al fondo resterà un “mai convertito-cambiato di mentalità” Paolo e che la cristianità da questi erediterà.
107
TORAH, LE LETTURE E I NOMI DIVINI
Le letture di Scritture e Vangeli sono letture certamente difficili, oltre che lunghe, e non è un caso se le statistiche ci
dicono che una piccolissima parte dei “credenti” legge o ha letto quei testi, ed ancor meno sono certamente coloro
che riescono ad approfondirne e comprenderne a fondo temi ed insegnamenti.
Per Torah e Profeti in particolare il rischio di scivolare e restare ad una lettura “letterale” e “manualistica”, quella
stessa dei “sadducei” prima e “farisei” poi, lettura che può stravolgere il loro vero significato, lettura che Gesù coi
suoi ammonimenti a “scribi e farisei” ha tanto condannato, più che un rischio è una certezza.
Della Torah si può certo dire che in molte parti quelle righe sono molto belle e coinvolgenti, liriche, ma anche,
spesso, con il metro della comune logica e razionalità sono senza alcuna coerenza.
La lettura cui, come dicevo, con le considerazioni e prospettive prima accennate mi sono portato, si è centrata sui
primi capitoli di Genesi, quelli della “Creazione e Caduta”.
In questa pur “limitatissima lettura” tanti aspetti diversamente irrazionali e poco comprensibili di quelle righe, si
chiariscono mettendo in luce e delineando una razionalità, una organicità ed una levatura insospettate.
Questi primi capitoli della Genesi hanno una grande assonanza con i temi e la levatura spirituale dei libri di Enoch e
credo che, come il resto, Esodo in primis, debbano essere ben “compresi” per poterne vedere il “vero”
insegnamento.
La strada e gli studi che Filone Alessandrino, contemporaneo di Gesù (20aC-50dC), ci ha testimoniato con i suoi
scritti, la strada di una comprensione-traduzione “allegorica” e “profondamente” teologico-spirituale dei testi delle
Scritture dovrà certo essere ripresa.
Anche Paolo dice con chiarezza che quei testi < parlano in modo allegorico > e questo credo possa testimoniare di
una prassi e di una scuola, non proprio marginalissima, di cui si sono perse le tracce, praticamente abbandonata e
che nessuno ha tentato di ripercorrere: la esegesi di questi testi è rimasta incentrata su quella interpretazione
“letterale”, sadocita e farisaica, materiale, che quasi esclusivamente ancora oggi conosciamo.
Una lettura che, ciecamente, ci porta a vedere possibili “diluvi” che coprono tutta la terra, “giganti” che sono uomini
alti 4-5 metri, “mari” che si aprono e chiudono, “persone” che vivono fino a 900 anni ecc. ecc. : francamente, pur
con rispetto, una lettura poco seria.
Le Verità di cui Gesù ci dice e che ci mostra, tutte “provenienti” Egli dice da Torah e Profeti, sono Verità che
compaiono in una lettura “secondo spirito”, nascosta, che completa la prima e più immediata, letterale, lettura
“secondo la materia”.
Sono letture che si completano “solo assieme” : se si resta alla più immediata lettura, quella letterale di “fatti” che
non importa se reali o allegorici, si resta a delle “conseguenze”.
Si resta a “conseguenze”, reali o allegoriche, che lette da sole si trasformano in vere “cause e motori” facendo
apparire e vedere una verità -antitetica- rispetto a quella di cui i testi parlano.
Origene, nel 200 dC circa, nella sua “Filocalia” scriverà:
< Si sono commessi molti errori perché la maggior parte dei lettori non ha scoperto...
tre livelli (di lettura) delle Scritture: il più basso è quello letterale, il seguente.. è un livello allegorico
che edifica l'anima, l'ultimo livello... rivela la “gnosi” (= Conoscenza)...(con essa) l'iniziato ...
avanza dalla fede alla “gnosi”..>
Il livello letterale come già detto da solo può unicamente portare a “commettere errori” che però su questi temi sono
sempre drammaticamente gravi.
Gli ultimi due livelli di lettura sono difficilissimi da “vedere” :
- per quello allegorico che ci apre alla lettura “secondo Spirito”, Filone come detto può essere di grande aiuto se pur
non esaustivo,
- ma il terzo sarà il più complesso, esso sarà accessibile solo dal “ cuore” quando si saprà fondere e legare la
“allegoria spirituale” con lo svolgersi di “fatti materiali”, reali o meno in quel racconto non importa, per vedere così
una Armonia che “è” l'Assoluto, Jhwh, la Legge di cui quei testi parlano : su questa strada si giungerà alla GnosiConoscenza che è Sapienza.
Strettamente interconnesso e legato al tema della “lettura” è poi quello delle “ traduzioni” che sempre sono
“condizionate” dalla visione della lettura.
È, anche questo, un argomento di capitale importanza, argomento già visto e toccato in queste righe e su cui altro in
seguito vedremo ed evidenzieremo ma moltissimo certamente sarà ciò che, chi ha competenza potrà ancora vedere.
Sottolineerò qui di seguito solo alcuni aspetti utili, quale premessa, alle note a Genesi che poi seguiranno.
Si tratta degli arbitrari, poco motivati e nefasti cambiamenti dei nomi della divinità.
108
quarta parte
ELOHIM :
Una questione che si apre subito al primo passo di Genesi è quello della traduzione dell'originale Elohim
generalmente reso, come anche “altri termini”, con “Dio”, ma non solo : esso è anche tradotto, a piacere, in “dei” o
“angeli” ed altro ancora. Più avanti vedremo quanto drammaticamente fuorvianti siano queste prassi che generano
veri “cambiamenti” alle Scritture ed è per questo che riporterò spesso i testi biblici con i “nomi originali”.
Nelle note che ora andrò a fare ai passi di Genesi però, citerò il termine Elohim quale “Deità-Elohim” e vorrei qui
dare motivazione di tale decisione.
Da molti esperti il termine Elohim è ritenuto “plurale” e cioè è considerato “dei”, lettura che a mio avviso, poiché
dona estrema razionalità a quei testi, con ben necessarie precisazioni può anche vedersi corretta.
Questa lettura è contestata, praticamente, da tutte le religioni cosiddette “monoteiste”: essa contrasta con la loro
lettura di Torah e Profeti ma, in modo arbitrario ed ipocritamente, esse però si riservano di tradurre Elohim con il
plurale “dei” quando questo sia opportuno per la loro lettura e comprensione.
Uno dei più importanti passi della Torah che, come ci dice Erri de Luca in “E disse”, letteralmente così si esprime:
< Non ci sarà per te Elohim altro al di sopra dei miei volti >,
da Cei è infatti così tradotto:
< Non avere altri “dei” di fronte a me > (Dt 5.6).
E' qui doveroso poi notare come “arbitrariamente” un <..al di sopra dei miei volti..> sia tradotto con un
diversissimo e fuorviante < ..di fronte a me..> che toglie ogni pluralità al comunque unico ma pur anche
chiaramente plurale Jhwh che, spessissimo, è nelle Scritture citato proprio con un "Jhwh Elohim" che
fuorviantemente viene tradotto in "Signore Dio".
Ritorneremo più avanti su questo mentre su Elohim bisogna dire che la sua lettura plurale è peraltro -obbligata- in
più di un passo delle Scritture, passi in cui è evidente ed indispensabile la “pluralità” del termine:
< E Elohim disse: “Facciamo” l'uomo a nostra immagine..> (Gn 1.26,27)
< ..(l'uomo) l'hai fatto poco meno di Elohim ( in Cei: degli angeli )..> (Sal 8.6)
< ..Dio si alza nell'assemblea divina, giudica in mezzo a Elohim ( in Cei: agli dei )..> (Sal 81.1)
Pluralità, del divino, che altri passi confermano :
< (Jhwh:) Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua..>(Gn 11.7)
< ecco, l'uomo è diventato come uno di noi..>(Gn 3.22) < ..Jhwh vostro Dio è Dio degli dei..>(Dt 10.17)
Ora se la “certezza di pluralità” che per Elohim nasce nei citati passi non si vuole sia automaticamente trasportabile
a tutte le quasi 2500 citazioni è anche vero che questo trasporto non si può escludere. E resta in ogni caso anche la
verità che Elohim, strettamente, non è Dio che è invece esattamente riferibile ad “El”, termine anch'esso presente
circa 200 volte in quei testi.
Ma poiché da un lato per chi ciecamente non sa vedere e capire Jhwh, Dio unico, come “ legata ed unica pluralità di
forze e potenze” la traduzione in “Dei” è inaccettabile, mentre dall'altro una tale traduzione invita certo a cadere in
un errore politeistico da cui certo la Torah vuole restare lontana, ritengo che Elohim si possa abbastanza
correttamente leggere e tradurre, spesso, col termine “Deità” intendendo con questo le “Potenze di Jhwh” spesso
citate nelle Scritture : plurime “potenze divine” di un comunque Assoluto-Uno ben attestate in quei testi.
Così si eviterà la possibile caduta politeista cui il termine “dei” può certo indurre e, al contempo, si eviterà quella
“antropizzazione” che il termine “dei” porta con sé.
Una "Deità" che, vedremo più avanti, dice di Potenze di Jhwh che sono i "Padri" che vedrà l'uomo che, come
Abramo, dopo avere lasciato l’“io-materialità, casa, paese, padre ecc”, si porta al Paese-condizione cui Jhwh lo
indirizza:
< Jhwh disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese... e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò..”
..(e così -ndr) te ne andrai dai tuoi Padri in pace... dopo una buona vecchiaia..>(Gn 12.1; 15.15) .
JHWH :
Purtroppo il tetragramma, presente oltre 6000 volte in Legge e Profeti, scompare completamente nelle traduzioni sia
Cristiane che Ebraiche :
entrambe proporranno sistematicamente la traduzione in “Signore”, “Adonai” in ebraico: traduzione fuorviante che
“antropizza” anch'essa l'Assoluto come fa Dio per Elohim : traduzioni errate.
Jhwh, il tetragramma di cui con insistenza si cerca la sconosciuta perché impossibile pronuncia, è stato
verosimilmente voluto linguisticamente “impronunciabile” dovendo esso dire della “indeterminabilità”
dell'Assoluto ed è per questo che quel termine la tradizione Ebraica ancora oggi lo dichiara impronunciabile :
impronunciabile non per rispetto ma per dire della impossibilità di potere “determinare” l'Assoluto.
Ed esso, così e per questo, “non è nome” : “nome” infatti nelle Scritture sapienziali del mondo antico sempre
“determina”, dice delle caratteristiche, della funzione e sostanza .
Alla richiesta di Mosè di conoscere il suo “nome” Jhwh infatti risponderà, come meglio vedremo più avanti, dicendo
< Sarò ciò che sarò > :
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quarta parte
la Torah così ci dice di una indeterminatezza che non può avere “nome” se non forse quello di Vita, una Vita Eterna
che comprende vita e morte.
Aggiungo infine che purtroppo la “parola”, come più volte ricordato, è ampiamente inadeguata ad esprimere
l’Assoluto e nella rilettura che ora farò di alcune parti di Genesi, meglio delle mie sono certamente le parole
originali. Mi auguro solo che quanto dirò possa riuscire a fare intravedere una prospettiva di lettura che ognuno
dovrà sondare togliendo ai suoi “occhi” i “propri” veli.
NOTE A GENESI
Con tutto quanto sopra come premessa, inizio ora a riportare quanto, nel tempo e con la razionalità possibile,
riuscivo a cogliere.
In principio Elohim creò il cielo e la terra. (Gn 1.1)
In principio la Deità-Elohim generò Cielo e Terra ovvero lo Spirito e la Materia, l'Invisibile ed il Visibile.
Già in questo primo importantissimo passo troviamo due prime difficoltà e dubbi che interessano la sua
traduzione e che hanno prodotto molta letteratura e, ancora oggi, molte discussioni.
a) Le originali parole di inizio della Torah, < be-reshit..>, possono essere tradotte con:
< In principio ..>, < Per mezzo del Principio..> o, per alcuni, anche
< In principio del creare Elohim...>
Normalmente tradotto come “In principio” è un importante esegeta ebraico, Nachmanide (1194-1270),
che ci dice che una lettura molto antica è quella che legge “Per mezzo del Principio..” .
In una tale lettura ne deriva, in linea con alcune esegesi Qabbalistiche, un Principio, la Sapienza secondo
le Scritture primariamente esistente, <..dall'eternità sono stata costituita, dal principio..>(Prv 8.23), e
che emana o crea ogni ente o presenza.
Ma interessante è anche la terza, e pur non ultima, traduzione qui proposta: essa è vista
grammaticalmente corretta e, allargata al seguito del testo diviene :
< In principio del creare Elohim il cielo e la terra......Elohim disse:..>
b) Assieme a questi dubbi su un “be-reshit” che vede anche altre letture, credo sia giusto ed importante
prendere in esame anche quelli che interessano il termine < creò > che troviamo subito dopo nella frase di
Genesi.
Sul termine < creò > penso non sia corretto e possibile mantenere quella certezza di interpretazione,
traduzione e soprattutto visione che vedono le religioni legate, se pure in diverso grado e lettura, alla
Torah ovvero l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islam.
La questione è tra le più discusse ed approfondite da millenni e mi limiterò a dire, con il mio parere,
quelle poche cose che possono approcciare al tema.
Su ciò che sottostà a quel termine trovo estremamente interessanti le considerazioni e tesi, viste in René
Guénon, nelle quali si afferma che:
< “manifestazione” e “creazione” sono idee tra le quali non vi è alcuna incompatibilità, esse non si
oppongono ma si riferiscono semplicemente a livelli e punti di vista diversi di una stessa Realtà >.
Sul concetto di “creazione”, come si sa, si fondano i principi essenziali delle tre religioni monoteistiche
prima citate ed è un concetto che porta l’uomo a vedere sé stesso “separato” dal Dio, dall’Assoluto: lo
rende “altro”, “creato” a sé, separato e diviso dagli altri e dal Tutto.
Ora non si può non considerare che trarre e fondare sul solo termine “creò”, termine forse anche non
precisamente tradotto o inteso, una intera costruzione teologica a me sembra come minimo molto
imprudente.
Purtroppo però una lettura di quella parola che a mio avviso è stata limitata e condizionata dall'errore dell'
“io”, ha portato tutte quelle religioni a vedere come corretta una “creazione dal nulla” di separati-divisi
enti ed a rigettare come profondamente errata una possibile “creazione-manifestazione -in e dal- TuttoAssoluto-Jhwh”.
Quella lettura è con evidenza sorretta dalla visione dell' “io” che non può vedersi quale “momento di
trasformazione e movimento, inesistente in sé ” ma vuole essere “entità ed essenza in sé”
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quarta parte
A nulla servono, a chi così vede, le pur fondate obiezioni che si interrogano su una “creazione dal nulla”
che implica la problematica visione di un “nulla” alternativo, posto fuori ed “altro” dal Dio.
Personalmente, per le riflessioni fatte in queste righe ed in base soprattutto a ciò che oggi evocano i due
termini, credo che sia più giusto parlare di “manifestazione-generazione” piuttosto che di “creazione”
ma, se si toglie il “..dal nulla” oggi implicito al “creare” anche “creazione”, che così assume quindi il
senso del “prodursi di ciò che non era” resta validissimo. Tornerò su questo tema, con qualche altra nota
col tempo maturata, alla fine di questi scritti.
La Cristianità in particolare però, credo che potrebbe e dovrebbe riflettere a fondo sul fatto che Gesù
chiama il Dio, l'Assoluto, unicamente “Padre suo e nostro”: questo porta e sottende un concetto molto
lontano da quello odierno di “creazione”.
“Padre” infatti non è colui che “crea dal nulla”, padre è colui che “genera” infondendo sé stesso e, in
questa ottica, è più corretto ed appropriato parlare di “genesi o generazione”, termini che però lasciano
un “distacco” tra “padre e figli” che non deve e che non può essere visto essendo il distacco “diabalein”,
separazione. Gesù stesso sottolinea, ricordando un passo di quelle Scritture che solamente Egli vuole fare
comprendere, che a < coloro ai quali è rivolta la parola di Dio > e cioè a coloro che sanno “ascoltare”
l'Assoluto, Jhwh dice: < Voi siete dei > (Gv 10.34)
Con questa precisazione Egli sottolinea che quella condizione di “figli” che Egli dichiara, non implica
alcun “distacco” dall'Assoluto: “siamo figli e dei”, se pure pienamente tali solo in quella condizione di
“ascolto”. Il “distacco e la separazione”, comunque apparente, avviene solo con quella “chiusura” che è
la nascita del “nostro io”.
Da ultimo, su questo argomento, mi piace ricordare il pensiero di un gruppo di “cristiani” dei primi
secoli, gli Ebioniti, che molti oggi catalogano, con termine impropriamente reso troppo generico ed
infine erratamente dispregiativo, quali “gnostici”.
Gli Ebioniti erano una comunità di persone che in quei primissimi tempi che seguirono alla morte di Gesù
si allacciavano alla Sua figura.
Gruppo certamente di fede ebraica, o meglio legato alla Torah, e con alta probabilità in qualche modo in
contatto con la comunità apostolica di Gerusalemme, con Giacomo ed altri, ma anche sicuramente molto
lontani ed in rottura con Paolo e le comunità a lui legate, essi leggevano e si affidavano al Vangelo di
Matteo e non agli altri Vangeli.
Il Vangelo di Matteo che essi seguivano era in una versione forse più originale, e che certamente
comunque vedeva alcune differenze, rispetto a quello che noi oggi conosciamo.
Gli Ebioniti, che sottolineo ancora erano “seguaci di Gesù” dei primissimi tempi, riguardo al problema
“creazione-manifestazione/generazione” insegnavano, per gli scritti Pseudoclementini, quanto segue:
< La materia è eterna ed è “emanazione” della Divinità; anzi, essa costituisce, per così dire,
il corpo di Dio, la “creazione” pertanto, altro non è se non la trasformazione della materia preesistente.
Così Dio "creò" l'universo per mezzo della Sua Sapienza che veniva descritta come la "mano
demiurgica" (cheir demiourgousa) che produce il mondo.
Ma questo Logos (Verbo ndr), o Sophia non costituiva una diversa Persona
come è nella teologia Cristiana. Sophia produsse il mondo tramite una successiva evoluzione di
“syzygies”, in cui la femminile precedeva sempre la maschile, per poi esserne, infine, superata.>
(Wikipedia)
Appare evidente che gli Ebioniti seguivano un Gesù “diverso” da quello che esce dagli insegnamenti della
odierna Cristianità ovvero “diverso” da quello degli insegnamenti di un Paolo che essi, proprio per
questo, chiamavano “Apostata”:
< ...(gli Ebioniti) seguono unicamente il Vangelo che è secondo Matteo
e rifiutano l'apostolo Paolo chiamandolo apostata della Legge... >
(Ireneo Adv.Haer.,III,11)
Apostasia è letteralmente “allontanamento”: Paolo quindi da questi primissimi seguaci di Gesù era
considerato “colui che allontanava da una Verità da essi vista nelle Scritture e nella parola di Gesù”.
Sui possibili “perché” di una tale durissima ed allarmante posizione nessun approfondimento, nessuna
seria analisi credo sia mai stata fatta ma molto, più avanti nel tempo e su queste righe, su questo
argomento vedremo.
Da ultimo ancora sul tema “creazione” vuole ricordato quanto afferma quel grande teologo Cristiano che
è stato Origene (185-254): egli dice e sottolinea che il termine greco che nel cosiddetto Nuovo
Testamento è riportato, e che in italiano è stato tradotto in “creazione”, è termine che letteralmente è
“gettare giù” !. Perfino in quegli scritti quindi, che dovrebbero essere il massimo coronamento della idea
di “creazione”, non si trova altro che il concetto e l'idea di uno “spostarsi al basso” di qualcosa.
111
quarta parte
Origene poi, sottolinea Manlio Simonetti nel suo “Studi sull’arianesimo”, ha sempre considerato il
termine “creazione” equivalente a quello di “generazione”.
La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e
lo spirito (la ruah-vento ndr) di Elohim aleggiava sulle acque (Gn 1.2)
Tutto era in immobile potenza: la Materia era priva di Vita e la Non-Vita, l’abisso, era chiusa ed inoperante, era
nelle tenebre. La femminile ruah (vento-spirito) della “Deità-Elohim”, l'alito di Vita delle Potenze-Uno-Assoluto,
alito divino, muoveva sulle “acque” alimento di una Vita, che unicamente è Spirito e Materia assieme.
Le -allegoriche- “acque” della Genesi, come quelle del Corano che dice:
< e il Suo trono era posto sull’acqua >,
sono le stesse “acque celesti” della cosmogonia Egizia e di quella Vedica, sono quelle, anch'esse anteriori
di oltre un millennio rispetto alla Torah, dei miti Sumeri e del poema Babilonese cosiddetto “della
Creazione”, sono quelle Greche di Talete, Senofane e Parmenide, sono quelle persino del “mito della
Creazione” Inca.
Sono il primordiale Eterno elemento ed alimento di una Vita che è vista in quello “scorrere” di Spirito e
Materia che tutto il mondo antico unitariamente “vede”: scorrere e alimento simboleggiato nelle “acque
sacre” che “scorrono” dei vari fiumi divini, il Nilo, il Gange, il Giordano ecc., e nelle varie “fonti sacre”.
Scorrere della Vita “ciclico” come ben era visto in Grecia con Oceano le cui acque scorrevano
“circolarmente” attorno alla Terra.
Per tutte quelle antiche culture, per le loro classi sacerdotali, l’immersione rituale nelle acque di questi
fiumi e/o sorgenti verosimilmente esprimeva e figurava il desiderio e la volontà del ritorno alla più
completa natura ed origine dell'uomo, il ritorno alle “acque della Vita eterna”, acque Spirito e Materia,
Uno, le acque alimento di una Vita che è Assoluto, Tutto.
Elohim disse :“sia la luce”...e separò la luce dalle tenebre...
E fu sera e fu mattino del primo giorno. (Gn 1.3,4,5)
Il pulsare della vita inizia con la manifestazione del principio di Vita, la Luce, che si “separa” da ciò che chiude e
ferma la vita, le Tenebre: principi, Luce e Tenebre, che hanno la stessa natura, sono opposti complementari.
Con questa -separazione- inizierà la vita nel tempo: la vita che muore e rinasce, il giorno che diviene sera
per poi essere nuovamente mattino: tutto comunque in un Uno che non cambia e senza tempo.
Con questo principio di manifestazione-creazione-trasformazione, movimento circolare, il sera-mattino
od occidente-oriente, avranno origine, dice Genesi nei passi successivi, le “acque-forze” poste < sotto il
firmamento > ovvero ciò in e grazie a cui vivrà il sensibile, la materia, e le “acque-forze” < sopra il
firmamento > ovvero ciò in e grazie a cui vivrà il sovrannaturale, ciò che è oltre i sensi : tutto sempre e
comunque Uno.
E Elohim disse: “Facciamo” l'uomo a nostra immagine...Elohim creò l’uomo a sua immagine,
“maschio e femmina” li “creò”. (Gn 1.26,27)
Dalla Deità-Elohim, dall'Assoluto-Uno-Potenze-Vita, infine viene l’Uomo: egli è “maschio-femmina” ovvero è
immagine e somiglianza di queste Potenze, maschili-femminili, yang-yin, che in esso si riflettono.
< Facciamo..(e)..creò >, è scritto nel testo biblico, in quanto queste plurali forze, Elohim, sono comunque
Uno: per questo la Torah al “plurale facciamo” affianca il “singolare creò”.
L'Uomo è immagine e somiglianza delle potenze Elohim, della Deità: è cioè “maschio-femmina, yangyin”, i complementari opposti, come è la “Natura divina”. È un “Uomo-Genere umano-Uno”, e non
“uomini” individuali, è una “Unica entità” seppure formata di uomini e donne, ci viene così detto, che
riflette un Assoluto-Uno-Potenze che è Armonia di forze e nature “maschili-yang e femminili-yin” ovvero
rispettivamente di forze e nature “inseminatrici-centripete-unificatrici” e forze e nature “generatricicentrifughe-separatrici”, entrambe necessarie alla vita.
Questo “Uomo”, che è uomini e donne assieme, è quello che la tradizione orientale chiama “Uomo
trascendente” (Chen-jen) il quale, come René Guénon nel suo “Il simbolismo della Croce” ci sottolinea,
corrisponde all' “Uomo Universale” (El-Insànul-kàmil) dell'esoterismo Islamico ed è identico al LogosVerbo della tradizione Greca ed al Verbo-Logos-Cristo del IV vangelo, il vangelo di Giovanni.
È il “maschio-femmina” che la tradizione orientale ci mostra come “Purusha-Prakriti” e “Yang-Yin”: è
l'Uomo-Uno in cui sono forze che, divine e opposte, rispettivamente sono viste portate a :
– maschio, cielo, sole, giorno, luce, caldo, attività, sinistra, estroversione, drago, vita ...
– femmina, terra, luna, notte, buio, freddo, riposo, destra, introversione, fenice, morte..
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quarta parte
Con parole di Guénon:
<..allo stato totale..non vi è più nessuna distinzione tra “Yang-Yin”,
i quali sono allora..nell'indifferenziazione .. (e) non si può parlare in tal caso di “Androgino”, che
implica una certa dualità nella stessa unità, ma soltanto della “neutralità” che è quella dell'Essere...
di là dalla distinzione “Cielo-Terra”,
di “Purusha-Prakriti”...coppia che può essere identificata con l'Uomo Universale” solo con riferimento
alla manifestazione..> ( R. Guénon, Il Simb. della Croce, La grande Triade)
Sono forze e Nature tutte, plurale immagine dell'Assoluto, che sono ”bene” e che si rivelano e divengono
rispettivamente “bene e male” unicamente per chi, vivendo la separazione, non sa vedere l'Uno-Tutto.
Belle e profonde immagini di questo Uno “maschio-femmina” sono, oltre al simbolo dello “Yang-Yin”,
quello della “Stella di David” e quello del “Linga” della tradizione induista.
Con parole di Paolo Sacchi (Tra giudaismo e cristianesimo- pp 96,97) vorrei dire di un aspetto poco
conosciuto : <..nel più arcaico mondo giudaico, al tempo dei re di Israele e di Giuda, prima che la
Legge assumesse non solo la forma, ma anche i valori che anche noi oggi vediamo ad essa soggiacenti,
anche i re fedeli a Jhwh mantennero, salvo poche eccezioni, il culto delle “bamot” (1Re 22.44; 2Re 12.4;
14.4; 15.4; 15.35). Le “bamot” erano piattaforme più o meno elevate dal suolo sulle quali si celebrava il
culto di una divinità maschile e di una femminile..>.
Qui noi possiamo vedere il culto di un -divino Uno dal doppio aspetto-, un culto che verosimilmente
diverrà presto una doppia divinità : l'Unico < Jhwh e la sua Ashera >, come riporta una iscrizione
dell'VIII sec aC. sarà presto “Baal e Ashera”: si vedrà sdoppiato erratamente ciò che è Uno e così, per
questo errore, condannata e non vista una doppia ma unica sostanza ed essenza.
La doppia, ma in Uno, essenza del divino è poi ben chiara in Enoch LIV,8 che dice : <..le acque..
nell'alto dei cieli sono maschili mentre le acque sotterranee sono femminili..>.
Elohim plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici
un alito ( ruah ) di vita e l'uomo divenne un essere vivente. (Gn 2.7)
L'Uomo Trascendente-Universale, immagine dell’Assoluto, sarà vestito di una Materia, polvere di un suolo-terra
divino anch'esso, che grazie alla Ruah-Anima-Sposa che dà la Vita Eterna permetterà all'uomo di vivere la Vita
nella sua interezza: oltre che alla più alta spiritualità egli vivrà la materia, materia divina che però gli farà vivere
l'illusione del tempo.
Poi Jhwh piantò un giardino in Eden, a Oriente, e vi collocò l’uomo. (Gn 2.8)
L'uomo così, immagine della Deità-Elohim-Assoluto-Uno-Potenze-Vita,“maschio-femmina”, grazie alla RuahVento di Vita vive nello spazio-condizione migliore del manifesto: il giardino dell’Eden, la condizione che vede la
sorgente della Vita, l'Oriente.
Eden è la condizione ed il tempo in cui l'Assoluto < passeggia >(Gn 3.8) con l'uomo, la condizione e
tempo in cui l'uomo “vede” l'Assoluto-Uno ed in cui non vi è alcuna separazione-morte: è la condizione
spazio ed il tempo di Armonia Assoluta.
Eden è la condizione in cui l’uomo “vede” Dio, passeggiano
assieme, è cioè il tempo e la condizione nella quale l’uomo “conosce-capisce” l’Assoluto-Uno, lo vede: <
Jhwh Elohim...passeggiava nel giardino..> (Gn 3.8).
E' la condizione in cui Jhwh è all'uomo “sempre” presente, compagno “inseparato”: è il tempo-condizione
in cui l'uomo non dimentica il Tutto-Assoluto chiudendosi nel “proprio” -io-, è il tempo-condizione in
cui l'uomo ha coscienza di essere inesistente in sé e in-esistente al Tutto.
E' la prima “Età dell'oro”, primo tempo e condizione meravigliosa di cui dice Esiodo (700 aC) in Grecia e
di cui dicono altre millenarie tradizioni.
Elohim diede questo comando all’uomo:
..dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare,
perché …morendo morirai ( Cei : certamente moriresti ) (Gn 2.17)
Armoniosamente inserito nella meraviglia del manifesto, di esso partecipe indistinto con la “visione” dell'Assoluto
e cioè con la coscienza di una propria natura che è inseparata dal Tutto ed Una con esso, natura divina, l’uomo
“Vive”. Ha facoltà superiori a tutto, < domina su ogni essere vivente >( Gn 1.28), e può decidere.
Questa sua libertà comprende però anche la possibilità che egli si nutra di ciò che lo porta alla fine: cioè egli può
nutrire un “io-separato e diviso dal Tutto”, che è morte spirituale, -distinguendo- tra Bene e Male.
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quarta parte
Simboli-immagini dell'Assoluto Maschio-Femmina
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quarta parte
È pensando di “essere in sé” che l'uomo arriva a decidere cosa sia “bene” e cosa “male” ovvero che arriva a
mangiare dell'albero “della conoscenza” del bene e del male. Questa possibilità è nelle sue facoltà di “essere
pensante”, ma così egli si condanna alla morte: chiudendosi nell' “io”giudicante e quindi distinguendo e
decretando del bene e del male l'uomo si stacca da un Assoluto, Vita, Accadere, che non ha divisione alcuna.
Su questo importante e fondamentale passo della Genesi, passo che troviamo anche nei testi di Enoch, è
necessario un forte approfondimento e chiarimento che spesso riprenderò.
L’idea di potere conoscere-decretare del “bene e del male”, il passaggio dell’uomo a questa condizioneconvinzione mentale, nasce e si ha quando l’uomo “pone” sé stesso, quando si istituisce come essere
diviso ed autonomo rispetto all'Assoluto-Tutto e così dato della facoltà di “giudicare”: è il passaggio con
cui nasce l’ “io” che “giudica” decidendo appunto cosa è “bene” e cosa è “male”, contro gli insegnamenti
di Gesù che dice:
<..non giudicate per non essere giudicati >(Mt 7.1) <...io non giudico nessuno >(Gv 8.15).
É il passaggio, “caduta”, con cui l’uomo portandosi al separato “io-materialità” si “chiude-muore” alla
propria “essenza”, allo “spirituale”, alla Universale Anima-Ruah-Sposa Divina partecipe dell'AssolutoTutto, dell'Universale. Il passaggio con cui l’uomo si porta alla “morte” di cui dice Gesù con le parole:
<..lascia che i morti seppelliscano i loro morti (defunti) ..>(Mt 8.22)
Il “conoscere” il bene e il male, presunzione di un “io” che pensa di -essere in sé-, è quindi una “morte”:
il distacco dalla personale ma al contempo universale anima che prelude e porta, senza la necessaria
conversione-cambio di mentalità, alla “fine-chiusura” di quella esperienza umana. Prelude e può portare,
quella "morte-chiusura", alla <..seconda morte ..> di cui dice Giovanni (Ap 20.6): <..morendo
morirai..> dice poi anche Genesi, così sottolineando quella successiva definitiva fine.
Un “morendo morirai” che Teodoro di Mopsuestia (350-428 dC) traduceva in “morirete con la morte”
volendo con evidenza così dire di quella definitiva "seconda morte” alla quale, senza la necessaria conversione/cambio di mentalità-rinascita, l’uomo si porta a seguito di quella -“morte” che è la “caduta
all'io”-. Una “seconda morte” che l’uomo può evitare con la "rinascita da acqua e spirito, da vecchio", la
“convesione-cambio di mentalità” cui Gesù invita e che altro non è che la “morte alla morte-caduta
all’io”, la socratica "esperienza di morte o melete thanatou" che tutto il mondo antico vedeva necessaria.
L'uomo, come dice Gesù nella parabola del “Ricco stolto”, si porta alla “morte spirituale” quando fa
nascere l'"io" che sente "proprie cose e non solo", che si preoccupa di “sé”, un "io" che così giudicadecide del bene e del male: il passaggio che, ancora per le parole di Gesù, porta l’uomo a vedere quei
“propri” -beni, figli, genitori ecc.- che egli invita ad abbandonare-odiare. È solo “senza” questo
passaggio, è solo uscendo da questa condizione, che l'uomo, così “in-esistente all'Assoluto-Tutto” e
cosciente di essere "inesistente in sé”, riesce a non giudicare e a vedere gli accadimenti tutti come lo
“svolgersi” della Vita e non già, in Assoluto e fuori dal contingente fisico ed umano, come “bene” e
“male”. Un “accadere-svolgersi” della vita che sarà allora solo Armonico Assoluto e Vita.
Bene e Male nella Realtà dell'Assoluto non esistono, esiste un Accadere Armonico o Karmico: un
Accadere che diviene “bene e male” solo nella “realtà” fisica che l'uomo vive o in quella illusoria che
l’uomo grazie al proprio “io” vede.
L'uomo vede certo il dolore e la sofferenza, per lui sarà patimento e angoscia e prematura morte fisica ed
altro ancora. Questo certo sarà e largamente questo male avverrà a causa dell'Errore dell' “io”: quasi tutto
è "male-conseguente" e non “il Male”. L’Errore dell’”io-materialità” è il solo vero Male. Ciò che di
drammatico e doloroso si vive non è forza di opposizione al Bene-Dio, è ciò che avviene, è l’Accadere
del mondo fisico e materiale che si crea quando manca quell'equilibrio, il vero Bene, che è ArmoniaGiustizia tra quei “contrari”, tra “maschio-femmina, luce-tenebra, Yang-Yin” che sono l'Assoluto, la Vita.
Anche affermare che il “Male” è solo la mancanza di “Bene” è fuorviante: tutto è solo Accadere
Armonico, Fato/Necessità che, karmicamente e forse anche per un “magnetismo” di cui nulla sappiamo e
possiamo sapere, con una forza incontrastabile "che nessun dio può vincere", come diceva il mondo
greco, tende e porta alla Giustizia-Equilibrio.
Dicono di questo Assoluto, Armonia ed Accadere, sia i racconti della mitologia Greca che ci mostrano
uno Zeus “che fa ciò che vuole”, sia le parole Bibliche in cui Dio, Jhwh, dice:
< Farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò misericordia di chi vorrò..>(Es 33.19)
Dietro a queste parole non vi è alcuna “volontà” capricciosa o volitiva e così certo poco amorevole oltre
che assurda per un Assoluto che crea a propria immagine: sono parole che dicono solo di quelle
insondabili “regole”, Armonico Karmico Magnetiche, che sono Legge immutabile e divina e che sono
esse stesse Jhwh, Assoluto.
Resta comunque il fatto che nel "reale" che fisicamente, e pur non solo, tocca l'uomo, opere -corrette ed
incorrette- esistono, -bene e male- se si vuole, e su queste certo l'uomo decide ma solo può farlo
115
“affidandosi all'Assoluto, a Dio-Jhwh-Allah-ecc.” e non può essere lui, -io separato e diviso- a decidere:
le sue decisioni non possono essere caricate di alcuna "volontà-desiderio-pensiero dell'io".
Questo è il “non mangiare dei frutti dell'albero del bene e del male”: il decidere su ciò che va a fare,
stante la impossibilità di non farlo, senza il condizionamento, spesso nascosto e subdolamente
ingannatore, dell'"io". Ma per giungere a questo, per vedersi “in-esistenti all'Assoluto-Tutto” ed
"inesistenti in sé", serve "vedere-capire quell'Assoluto Tutto, serve il passaggio al deserto, serve la salita
al monte" per divenire portatori stessi di giusti comportamenti-comandamenti.
Ma questo è all'uomo dalle religioni cosiddette positive impedito: l'uomo da esse istruito quale "io
creato", di fronte a necessità di decisioni che esulino dalle dieci "regole-comandamenti-precetti di
uomini" impartitegli non può fare altro che decidere lui, "io-esistente in sé". E così egli prosegue ed
aggrava la sua morte, una morte spirituale che arriverà a toccare il fisico, con i disastri che le Scritture e
Gesù, come tutto il mondo antico, con sapienza hanno mostrato.
La nascita dell' “io” sarà la “morte” dell’uomo dicono i citati passi di Genesi come peraltro tutta la
letteratura antica è “distacco” dall'Uno-Vita, è distacco da quella sua stessa dell'uomo “Essenza”.
A nulla servirà, restando in “quella” separazione, sottolinea Gesù, pregare, invocare o pensare di
“disporsi” all’Assoluto: sono solo inganni della mente e dell’ “io” che solo servono a mantenere
l’“errore”, il distacco dal Vero che infine porta alla morte Vera.
Mi soffermo ancora su questo passo di Genesi per dire di ciò che in esso vede ed insegna la Cristianità ma
che anche, in modo del tutto simile, vedono ed insegnano l'Ebraismo e l'Islam .
Tutti vedono bene le limpide parole di Genesi, ma i loro insegnamenti finiscono per divenire
“diametralmente opposti” a quanto sin qui letto: la differenza è sottilissima ma abissalmente profonda e
porta l'uomo in pratica a “decidere continuamente sul bene e sul male”, a “mangiare continuamente i
frutti di quell'albero”.
Restando alla Cristianità essa afferma che quelle parole di Genesi vogliono dire che l'uomo non deve
<..determinare in proprio i valori morali > (G.Ravasi ) e quindi che deve -seguire- i valori < assoluti e
trascendenti > che sono definiti dalla Cristiana interpretazione delle Scritture. Una posizione questa,
precetti a parte, al fondo uguale a quelle di Ebraismo ed Islam.
Nella sostanza all'uomo viene insegnato che deve -seguire-, e non già -trovare in sé / portarsi a capire e
vedere l'Assoluto e così -essere- egli stesso quei dieci comandamenti” antico testamentari che invece,
così consegnati, divengono solo <..precetti di uomini..>(Mt 15.9) dirà Gesù. Essi divengono così -dettate
regole comportamentali-, precetti di “uomini-morti-caduti” ovvero regole che lasciano l'uomo all'Errore,
alla sua condizione di "caduta": regole che non lo aiutano ad andare oltre tale condizione ma anzi lo
ingabbiano maggiormente.
Nessuna "salita al monte" come Mosè e Dante e nessun “cercare” si insegna al fine di vedere-capire, se
pur di spalle, il divino; nessun "passaggio al deserto", nessuna "rinascita da Acqua-materia e Spirito
assieme". Solo terrene regole che sono invero compito del Cesare. Regole che così non possono che
lasciare l'uomo al buio della incomprensione di sé, della propria essenza: egli non è invitato a “cercare in
sé”, come invitava a fare Gesù, al fine "avere", Egli dice, visione e comprensione e Vita:
<… a chi ha sarà dato..a chi non ha sarà tolto..>(Mt 13.12)
Sono regole che lo lasciano imprigionato, e forse proprio a questo accennava Enoch dicendo che <..una
“legge” sarà data.. e sarà…come una prigione..> (EE.XCIII.6) : divinamente, per la divina Legge che
regola, l'errore di comprensione di sé e dell’Assoluto da parte dell'uomo, con e per sua stessa forza genera
un imprigionamento che aggravando la condizione umana arriverà, al culmine, a farlo correggere.
Divinamente, per una divina forza che come detto è perciò anche sua l'uomo, ci dicono le Scritture,
"guarderà ma non vedrà, ascolterà ma non capirà" secondo quanto dicono Isaia (6. 9,10) e Gesù (Mt
13.13-15).
Con quegli insegnamenti l'uomo è lasciato nel buio di una caverna che, per di più, è ben serrata dagli
errati insegnamenti che i tre monoteismi danno su di un uomo personalmente "da Dio creato".
Insegnamenti su di un “io-creato da Dio”, insegnamenti di un "io" che invece non esiste "in sé", che è
illusione. A questo si aggiunge poi ciò che per “tradizione, dogmi e scritti vari”, in ognuna delle tre
religioni, e stato normato. Il risultato è quello di portare l'uomo da un lato a seguire ciecamente “canoni e
regole” anziché -cercare l'ascolto del divino-, è dall'altro di invitarlo a “vedere, a determinare e decretare
-con il proprio "io"-.
Il ribaltamento è totale, il risultato è opposto a ciò che viene chiesto in Genesi e questo a causa di una
esegesi che, ferma alla lettera, manualistica, non arriva a capire il significato profondo e vero delle
Scritture come di Gesù che unicamente ha cercato di farle comprendere: verrà insegnato invece un Gesù,
errato, che porta una "Nuova legge": tragico e pur divino destino.
116
seconda parte
Il risultato di quel sottile ma spaventoso errore è la “morte chiusura ed alienazione dell'anima” di cui
Giacomo, fratello di Gesù ci è detto, nella sua “teologica” quanto incompresa lettera così dice: < Chi..
giudica il fratello, parla contro la Legge e giudica la Legge..>(Gc 4.11)
E Legge qui per Giacomo è, ben oltre la mosaica o anche del Cesare -legge sociale-, la legge “divina”,
dell'<..unico legislatore..>, che l'uomo deve in sé ascoltare, sentire e capire : è l'Armonico divino operare
che si scorge con una Sapienza che è, in uno, Verbo-Logos-Principio e Sophia-Anima-Ruah-Vento Santa.
Faccio ora un accenno ad altre considerazioni, cui più avanti tornerò, su questo “albero” del bene e del
male della Torah, su questo pensiero-forza che “falsamente nutre” visto che nella “Realtà” i suoi “frutti”
portano l'uomo alla morte.
Esso dall'Assoluto è posto nel < suolo > di quel luogo-condizione, il giardino di Eden, in cui vive l'Uomo:
<..Jhwh Elohim fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare,
tra cui l'albero della Vita in mezzo al giardino e l'albero della Conoscenza del bene e del male..>
(Gn 2.9).
Su questa frase ed aspetto si aprono temi importanti ed irrisolti per le tre religioni monoteiste:
- tutte vedono un Assoluto, Jhwh-Padre-Allah-Dio, che è “amorevole creatore” di un uomo “sua
immagine” ma che però al contempo, poco amorevolmente, crea ciò che porta l'uomo alla morte.
- ancora poi è da notare che i due alberi, quello della “Vita” e quello della -Conoscenza del bene e del
male- che porta alla “Morte”, sono posti entrambi < al centro > del “giardino” di Eden. Si vede così,
come giustamente dice René Guénon ne “Il simbolismo della croce”, una suggerita “unità” nell'Assoluto,
nel Regno, nel luogo-condizione in cui “l’uomo deve passeggiare-vedere-conoscere” Jhwh, di due
Principi-Verità-Forze: si vede una “doppia natura” di un comunque unico Regno-Jhwh.
Forze che a primo avviso sembrano antitetiche ma che tali sono unicamente per l'uomo che vive la
separazione dell' “io”.
Elohim...tolse (all’uomo) una costola, ..plasmò una donna...allora...l’uomo disse: ….
essa è carne della mia carne... si chiamerà donna. (Gn 2.21-23)
Elohim disse al serpente. ..io porro inimicizia tra la tua stirpe e la stirpe della donna…(Gn 3.14)
Dalla allegorica “carne”, dall'aspetto “sensibile” dell’archetipale Uomo “maschio-femmina” immagine
dell'Assoluto, da quel suo aspetto, forza e tensione che porta con sé la capacità, la pulsione ed il bisogno di
generare la sensibile materia, nasce la “donna”: la generatrice della carne e dei caduti figli dell' Adam.
Ma la stirpe-discendenza della “donna”, i figli dell' Adam, l' “uomo separato e caduto all'io-materialità”, questo
uomo, non potrà che vivere sempre in lotta con il mondo ovvero con la stirpe del serpente, ciò che induce alla
“illusione di essere in sé”.
I comportamenti e le azioni di quell'uomo "caduto all'io-materialità" portano alla rottura di quella Armonia che
deve essere rispettata tra uomo e natura.
Già nei miti babilonesi, anteriori di oltre un millennio rispetto alla Torah, troviamo la figura della
“Signora della costola”, Ninti, chiamata anche “colei che fa vivere”, sorte di Eva che testimonia di
continuità e contiguità, di credenze e di sentire, spesso dimenticate e che non possono non nascere e
portare alle “stesse” Verità: sempre più unità di “sentire e di insegnamenti” non visti e non compresi.
Interessante mistero ancora oggi è poi il perché della certo non casuale “costola”.
Vi è un altro aspetto molto importante da sottolineare qui: Gesù, che sempre usa “parole”, oltre che
concetti, delle Scritture, ha sempre chiamato sua madre fisica, Maria, “donna”.
Questo non è casuale e non viene, come vuole leggere la Cristianità, dalla volontà di Gesù di sottolineare
una sorta di “inferiorità di natura” di Maria rispetto a sé stesso: così piuttosto sorta di “strumento” della
sua incarnazione.
Anche con questo suo parlare Gesù invece “insegna” Verità che non abbiamo compreso a fondo, Verità
sulle quali più avanti vedrò e dirò.
Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna..
(Gn 2.24,25)
Non ancora fondatisi nel “proprio io”, non ancora separati e divisi dal Tutto ovvero “ancora nudi” cioè senza
“proprie” identità, entrambi divina unica essenza, l'uomo e la donna non “essendo in sé”, inesistenti “in sé” e
Uno, non “possono vedersi”, non “possono” <..provare vergogna..>.
Della “necessità-bisogno sacrale”, e non bisogno “formale o carnale”, di una unione tra “uomo e donna
– maschio e femmina” che potrà anche essere solamente la Armonica unione -nel singolo- di “Yang e
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quarta parte
Yin” e che altro non è che il ripristino della Unità di una Essenza umana che è Assoluto-Uno, Jhwh,
indistinto “maschio-femmina”, dirà anche Gesù con quel suo poco compreso monito in cui dice:
< Ciò che Dio congiunge uomo non separi >(Mt 19.6)
E' di questa “sacrale-divina” unione che Gesù parla con queste parole e solo la cecità “di uomini” può
qui far vedere un “sacramento” che “uomini impartiscono” e che Egli mai ha istituito.
Riguardo poi al bellissimo quanto incompreso concetto di “nudità”, su questa poetica allegoria che
ritroviamo anche in altre parti delle Scritture, è importante soffermarsi poiché esso conferma quanto sin
qui detto sulla caduta dell'uomo nell' “io”.
Servirà anche abbandonare le usuali, cieche, vuote e senza alcun senso, spiegazioni che di questo passo
normalmente vengono date.
“Nudo” allegoricamente è, ancora oggi, colui che è senza autorità “propria”, senza “forza propria”: “re
nudo” è colui che ha perso ogni “proprio” potere, che ha perso ciò che pensava di avere ed essere.
Con la stessa accezione “nudi” erano e sono l'uomo e la donna, l'umanità, che “passeggia con Dio”
ovvero che “vede-conosce” un Tutto-Assoluto in cui essa è senza “proprie” identità e che da Esso quindi
non si è ancora distaccata e allontanata con la costruzione appunto di “proprie” vestiti-identità o
autorità : “nudi” erano e sono coloro che non hanno alcun “proprio io” e Vivendo “in” Dio sono “nudi” di
ogni “propria” sostanza. In quella condizione, con quella nudità, senza alcun “io”, in-esistenti
all'Assoluto, nessuna “vergogna” può essere “provata”, solo l' “io” ovvero solo chi pensa di “essere in
sé”, può “provare” vergogna per -tale- “nudità”.
Questa allegoria della “nudità e vergogna” vedremo più oltre come si lega al tema del “diventare
bambini” e ad altro ancora.
Il serpente disse alla donna: ..non morirete affatto.. (Gn 3.4)
…anzi diventereste come …Elohim… conoscendo il bene e il male…(Gn 3.5)
(l’uomo)…vide che l’albero era buono da mangiare …e ne mangiò… (Gn 3.6)
Il serpente-mondo-materia, la Forza legata ed appiattita alla terra-natura-materia-adamà e che in essa vive, è ciò
che invita e porta alla caduta all'io-materialità, alla “illusione di esistere separato”: è ciò grazie a cui l’uomo
inizierà la sua opera di separazione dall’Assoluto arrivando a pensare di “essere in sé”, è ciò che suggerirà alla
<..donna..> aspetto e forza centrifuga e separatrice dell'uomo, quella strada.
L'uomo così, grazie a questo “serpente mortale”, “pone” se stesso, si “crea” quale autonomo essere giudicante,
vero Dio < come..Elohim > decretante e < conoscente > il bene ed il male.
E così, separandosi dall'Uno-Tutto, egli compie quell’atto d’origine che è il vero “peccato originale”, l’ “io”, la
“illusoria percezione di essere un sé-separato”.
Questo suo delirio è inebriante, < è buono da mangiare > e di esso egli in quella condizione si nutre.
Il serpente della Genesi, figura di quella forza che induce a restare agganciati “solo” alla materia
suggerendo così all’uomo l'errato cammino dell'“io”, è lo stesso serpente, la stessa forza, che è visto in
molte altre culture millenni prima della Torah.
È la forza che induce all' “io” e che suggerisce all' uomo che sulla strada dell' “io” che “è in sé”, la strada
che porta ai Giganti, agli “uomini famosi”, egli <..non morirà affatto..> mentre invece proprio quella è la
sua morte.
Nella cultura Indo-Aria il serpente è la forza che, come dicono gli splendidi racconti legati alla figura di
Ganesha, grazie alla mente, il topolino di quei racconti, fa cadere l’uomo che però, se saggio come
Ganesha, riuscirà a dominarla, afferrando questo serpente per farne la sua cintura, per utilmente usarlo.
È, anche, il serpente che Giacobbe alla fine vedrà in Dan e nella sua discendenza: coloro che errano
“giudicando”:
< Dan giudicherà....sia Dan un serpente..>(Genesi 49.16,17)
È, poi, lo stesso serpente che vediamo raffigurato in testa ai Faraoni Egizi, le figure che, “Re”, vicini
all’Assoluto, come tutti coloro che sono in quella condizione riescono a dominare e controllare quella
forza e spinta mortale.
È lo stesso serpente che, richiamando lo stesso errore e forza che è necessario controllare e che “quei” Re
controllano, è riprodotto “in pugno” al mitico Re Gilgamesh (2000 aC).
Sono i serpenti che in Grecia sono visti raffigurati in pugno alla Dea Madre, divinità femminile
rappresentante la natura, che così ci dice di questa sua forza.
È un serpente che vediamo anche in Echidna, la “dea” greca dal corpo “serpentiforme” il cui nome
significa “vipera”: figlia di Ceto e Forco, entrambi figli di Gaia (terra) e Ponto (mare), da essa e da Tifeo
nascono molti mostri, i “pericoli” per l’uomo: suoi figli sono infatti Orteo, Cerbero, Idra, Sfinge, Ladon,
Chimera e le Arpie.
118
quarta parte
Una bella immagine in cui ritroviamo “questo” serpente è quella di tradizione Orfica che ci dà Platone nel
Timeo: dice Proclo nel suo Commento a quel testo: < Ipta, essendo l’anima del Tutto,... ponendosi in
capo un canestro e circondandolo con un serpente, vi accoglie Dionisio avvolto in foglie di fico.. >
Anche queste “foglie di fico” sono naturalmente le stesse di cui dirà Genesi.
Ma lo stesso serpente, la stessa forza, è anche quella di cui dice Isaia: < Jhwh visiterà Leviathan,.. il
serpente guizzante…il serpente tortuoso.. e ucciderà il drago che sta nel mare>(Is 27.1)
Il serpente, forza di “in-equità” che infine, dopo quel processo e percorso ineludibile di cui dicono le
tante e varie “visioni-rivelazioni-apocalissi”, non sarà più mortale.
Ancora e sempre più unità di “sentire e di insegnamenti”, poco visti e tragicamente poco capiti.
Allora…si accorsero di essere nudi;
intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. (Gn 3.7)
L'uomo caduto all' “io”, separato dall’Assoluto e che si vede “esistente in sé”, non potrà che sentirsi “nudo”
ovvero privo della sua vera “forza ed essenza”, privo di un Assoluto suo Vero vestito e quindi cercherà vacuità,
foglie di fico, con cui vestirsi, con cui formare e dare forza a quella illusione che si è creata.
L’erroneo pensarsi come ente staccato, porta con sé la condanna alla morte: l’inesistente non può vivere e la
“fine” è la sola possibilità di una illusione, di quel miraggio che quell’uomo non sa distinguere.
Qui a fianco del tema della “nudità” troviamo quello, altrettanto espressivo, delle “foglie di fico” .
Viene in questa frase descritto ciò che avviene quando l'umanità mangia del frutto dell'albero di cui non
deve mangiare ( Gn 3.6), ciò che avviene cioè non appena nasce quell' “io”, inesistente in sé, grazie al
quale l'uomo giudica del bene e del male: in quel momento l'uomo nasconde e dimentica la sua nudità
vestendosi di vacuità, le foglie di fico, con le quali si “crea identità” .
Anche il divino Dionisio, similmente a ciò che Genesi ci dice per la nascita dell'Adam, secondo Proclo
nel suo Commento al Timeo sopra citato, viene detto essere “nato” <..avvolto in foglie di fico..>.
Sono “foglie di fico” anche per quella cultura quelle in cui la “divina” umanità, nel passaggio alla
materia, nasce.
Elohim .. passeggiava nel giardino di Eden..(Gn 3.8)
Nella condizione-tempo di Eden la Deità, l'Assoluto-Tutto, lo si “sente” e lo si “vede”, si <.. passeggia..> e si Vive
con Lui: uomo ed Assoluto sono Uno, una unità indivisa ed inseparata che finisce con l’ “errore” dell’uomo di
pensare di “essere in sé”, di essere un separato “io”.
La bellissima espressione del “passeggiare” con Dio, espressione di cui ho già detto in precedenza la
ritroviamo anche nei testi di Enoch che <..rapito..> arriverà proprio a <..passeggiare con Dio.. >.
E' espressione che indica la condizione dell’uomo che avendo coscienza di “non -essere- in sé”, di non
essere “che” all'Assoluto-Uno “in-esistente”, vive in e con, passeggia, conosce e vede, questo Dio-TuttoAssoluto ed Esso ha sempre e costantemente presente.
É condizione di chi è senza “proprie” identità e che dal Dio-Tutto non si è distaccato e allontanato con la
costruzione appunto del “proprio io”.autorità
È la condizione dell’uomo che vive “con” Dio, è la condizione dell’Eden ovvero del tempo in cui l’uomo
non è caduto nel distacco che implica la nascita dell’ “io”, la caduta nella materialità, la perdita di ogni
spiritualità.
Jhwh Elohim ..all’uomo disse: …polvere tu sei e polvere tornerai… (Gn 3.19)
Questo uomo, così illuso, persa la sua parte spirituale, è solo materia e può solamente “restare legato ad essa: solo
materia egli potrà essere.
Jhwh Elohim fece all’uomo e alla donna una pelle (o scudo o corazza). (Gn 3.21)
Questo “porsi” dell'uomo quale “io” è un chiudersi alla sua universalità, un isolarsi dal Tutto e così la sua parte
spirituale, il suo dolce ed innocente “cuore invisibile”, la sua Anima, o Chakra, Tiferet, Atman, sostanza
dell’Assoluto, non più operante, non più Viva, finisce nascosta ed imprigionata come in una corazza.
L’Anima dell'uomo, la sua parte spirituale, così, divinamente, per Jhwh, si chiude, si isola e si aliena a causa di
questo errore dell'uomo.
119
quarta parte
Gesù, nella citata parabola del “Ricco stolto”, ci dice che “l'anima è tolta”, è resa indisponibile all'uomo in quella
condizione.
Un parallelo di questo incompreso passo della Genesi lo si trova nel PerEmRa Egizio, al cap.145.7 che
dice: < Io invoco il tuo nome (Ammon): tu hai fatto per me una pelle ( o scudo o corazza) perché tu sai
che io ti conosco >. Anche per queste parole, come per quelle della Genesi, l’Assoluto “protegge e
custodisce” ciò che è a sua immagine, ciò che “conosce”, l’Anima, l’Atman, il Chakra o Tiferet o Falco o
altro.
Ora, egli … non prenda anche dell’albero della vita,
ne mangi e viva sempre. (Gn 3.22)
Questa condizione dell'umanità non può essere “eterna”, essa “inevitabilmente-divinamente” terminerà, questo
uomo e questa umanità, illusa, caduta e, con termine spesso usato nella letteratura sapienziale di tutti i tempi,
“immersa nel sonno” ovvero, con Socrate, “malata” o “legata a vedere ombre nella caverna”, non può accedere
alla Eternità.
Jhwh Elohim lo scacciò dal giardino di Eden…..(Gn 3.23)
L'uomo, l'umanità, in questo modo si è divinamente, per Jhwh e Legge, esclusa dal giardino dell’Eden, dal
meraviglioso giardino del Tutto, dalla condizione-tempo in cui solo è Armoniosa Vita.
Jhwh…pose ad Oriente del giardino di Eden i cherubini
e la fiamma della spada folgorante... per custodire la via dell’albero della vita. (Gn 3.24)
L'uomo, a causa della sua divisione e separazione, esce dalla condizione di Eden incamminato verso l’Occidente,
verso la morte, in direzione opposta all'Oriente di una Vita che sarà protetta con il fuoco che purifica: col fuoco che
ogni falsità ed errore distrugge.
La decisione di questo uomo è sbagliata e solo ritornando sui suoi passi, solo ripercorrendo a ritroso tutto il
cammino fatto egli potrà ritrovare la Vita Eterna, l'Assoluto. Tutti i passi fatti in direzione della divisione e della
materialità, dovranno essere fatti dall'uomo a ritroso in direzione della Unità tra materia e spirito, verso il mondo
dell’Uno e della Assoluta Armonia, verso l'albero della Vita.
L'uomo solo così, solo bruciando, solo annullando e dando la morte al proprio errore, potrà tornare, pur senza in
Realtà esserne mai stato staccato, alla Eternità, all’Assoluto, e così, non “essendo in sé”, “Essere”.
Anche nel PerEmRa, Il libro dei morti Egizio, per una unità di visioni sempre più evidente, si può leggere:
<….tanti passi tu avrai fatto verso Occidente, altrettanti ne farai verso Oriente…>
Quello “necessario” per potere giungere all'albero della Vita, è un “ritorno”, ben ci dice il già citato Renè
Guénon, che la dottrina Indù chiama “Liberazione”, la Moksha o Mukti, strada che porta a rivedere
Brahma in sé stessi, nel “cuore nascosto” dell'uomo, strada che, così “Jivan-mukti, può essere ottenuta “in
vita”.
Identico è il “Paranirvana” che per il Buddismo porta al “Nirvana”, letteralmente “estinzione”, dell' “io”,
della individualità in sé e per sé, passaggio che porta a quello che Lao-Tzu chiama “Pace nel vuoto”.
Sempre Guénon ci informa che anche nell'esoterismo Islamico si insegna un cammino di “estinzione”,
l'“El-fana” cui può anche seguire la più radicale e completa “Fana el-fanai”, cammino che porta alla
“Grande pace”, a quella Es-Sakinah identica alla Shekinah ebraica: la divinità presente all'uomo,
nell'uomo, dell'uomo.
Pace che è quella stessa che Gesù dirà che “lascia” a chi, comprese le sue parole, sarà come Lui:
< Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace>(Gv 14.27)
Il tema del “ritorno” di Genesi sarà ripreso e riproposto, con parole diverse che dicono della stessa Verità,
da Giovanni Battista, e da Gesù poi, con quelle loro frasi che dicono:
< Convertitevi-cambiate mentalità, perché il regno dei cieli è vicino> (Giovanni B. in Mt 3.1)
< convertitevi-cambiate mentalità e credete > (Gesù in Mc 1.15)
Purtroppo però in quel “convertitevi e credete” che oggi ci viene proposto ed insegnato nessun “ritornocambiamento di mentalità è mai detto, visto e compreso.
Ma il cammino di “ritorno” verso la Luce dell’Oriente, verso la Vita, dovrà vedere l’incontro con quella
“saggezza”, il Cherubino essere di saggezza, che con la sua fiamma brucia, purifica e dissipa ogni falsità
ed errore.
Il fuoco, come simbolo della “fiamma di saggezza” che brucia e dissipa le illusioni che sostengono la
separazione dell’uomo dal Tutto, lo troviamo ovunque nella antichità, ed anche oggi in molte parti.
120
quarta parte
In India ancora oggi lo vediamo nel disco infuocato con cui Schiva distrugge i demoni-separatori.
È lo stesso fuoco purificatore evocato e simboleggiato nei sacrifici come anche nelle cremazioni: con un
fuoco che brucia le illusioni sostenute da una materia non correttamente vista essi sono così invito,
auspicio e strumento per portarsi all’ Uno-Assoluto.
Per questo nelle Scritture i tantissimi “sacrifici” citati sono quasi sempre detti “sacrifici di com-unione”:
“unione” con un Prossimo-Assoluto-Uno-Tutto così testimoniata, invocata e dimostrata.
Sempre per questo in quasi tutto il mondo antico il “sacrificio” vedeva la distribuzione delle carni o i
banchetti comunitari ed in Grecia come nel mondo Indù, ma certo non solo, si affermava che la “divinità
scendeva a partecipare al banchetto”: in quei momenti cioè “vi era”, si creava, Assoluto.
Anche in prefazione ai testi di Enoch troviamo scritto che :
< ( i celesti)..ordini potenti ..(sono) nati dal fuoco >.
Questo “fuoco spirituale” e “fiamma di saggezza” che riporta al divino è lo stesso fuoco che Gesù ci dice
di avere “portato” sulla terra al fine di potere “bruciare l’errore”, le illusioni:
< Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso > (Lc 12.49)
L’intera vita di Enoch fu di 365 anni...
camminò con Elohim e non fu più perché Elohim l’aveva preso.(Gn 5.23,24)
Chi, come Enoch, saprà riportarsi all’Assoluto, chi saprà camminare con il Dio, saprà “vedere” l’inizio che
corrisponde alla fine: avrà vissuto i 365 giorni, l'anno-completo che vede l'uomo ritornare al Principio,
all’Assoluto.
In Enoch Slavo, XXIV troviamo:
<..Io solo (Jhwh) esistevo fra tutte le cose invisibili e mi muovevo come il sole da Oriente a Occidente e
da Occidente a Oriente.>
E' il ciclo completo del giorno e dell'anno, è il respiro dell'Assoluto, è il ritorno alla Deità che tutto muove,
ciò che sa fare il “giusto-giunto” al Dio di cui è figura Enoch.
Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra…i figli di Elohim videro che le figlie degli uomini erano
belle e ne presero per mogli quante ne vollero...(e) partorivano loro dei figli:
sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi. (Gn 6.1,2)
Quando nell'umanità la condizione di “caduta-dimenticanza e separazione nell'io”, la condizione di “uomo”,
cominciò ad essere diffusa e predominante allora anche i “figli di Dio”, coloro che sono indivisi dall'Assoluto-Tutto
sono stati attratti dalla bellezza del “sensibile” e naturale ovvero delle femminee-yin forze-opere-azioni-pensieri
“figlie” di quell'uomo nella condizione di caduta. È nel legarsi a tutto ciò, è con questa caduta alla materialità, che
si sono generati gli “uomini famosi”, i “giganti dell'”io”.
C’erano sulla terra i Giganti a quei tempi - e anche dopo –
quando i figli di Elohim si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli:
sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi. (Gn 6.4)
Quando, in tutti i tempi, <..anche dopo..>, i figli della Deità, i figli di Dio, l'Uomo edenico Universale e puro Tutto
si lega esclusivamente ai femminei aspetti e forze che porta in sé, le <..figlie degli uomini..>, nascono i Giganti,
uomini che grazie al -proprio- “gigantesco io” che solo può vedere se stesso, diventano eroi, uomini famosi. L’
“io” di questi uomini, antitesi e morte della “umiltà” che porta con sé la “coscienza di non essere in sé”, non può
che curare sé stesso facendosi “grande”: così nascono gli < uomini famosi >, i Giganti che, pur
inconsapevolmente, si ciberanno di “corpo ed anima-sangue degli uomini”.
In Enoch Etiopico, che ci aiuta a capire questo passo di Genesi sugli uomini famosi, troviamo:
<..gli Angeli, i figli del cielo, …presero delle mogli ed esse …partorirono i Giganti che
consumarono tutti i beni degli uomini…e divorarono l’umanità. E ..iniziarono a peccare contro gli uccelli
e gli altri animali… e a divorarsi reciprocamente e a berne il sangue.>
(M.Pincherle Enoch EtiopicoVII)
<.i Giganti non avevano nulla di spirituale...perciò la terra si è attirata una grande punizione..>
(M.Pincherle Enoch Etiopico CVI.14)
Lo stesso tema lo troviamo in Grecia dove si vedono gli Dei stuprare le donne e così fare nascere “Giganti
distruttori”. Sempre nella traduzione di Enoch Etiopico di Mario Pincherle troviamo questo “errore”
121
quarta parte
dell'uomo efficacemente dichiarato “peste psichica”. Il brano, che qui riporto, sintetizza il tema centrale e
Verità di tutte le Apocalissi che il mondo antico ci ha lasciato:
<..Jhwh disse a Raffaele… risana la terra che gli angeli troppo frettolosi hanno corrotto e proclama la
guarigione.. cosicché essi possano guarire la “peste psichica”...
e tutti i figli degli uomini possano non perire.> (M.Pincherle Enoch Etiopico X)
Quello succintamente così esposto nel brano di Enoch è un tema importantissimo che riprenderò in più
occasioni essendo centrale alla Verità per Gesù come per le Scritture Giudaiche e tutto il mondo antico, è
tema di cui Genesi ci dice con il racconto del Diluvio.
Noè (della discendenza di Set), era uomo giusto e integro e camminava con Dio. (Gn 6.9)
Elohim disse a Noè: E' venuta per me la fine di ogni uomo perché la terra , per causa loro, è piena di
violenza; ecco io li distruggerò...Fatti un'arca... Ecco, io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra,
per distruggere sotto il cielo ogni alito in cui è alito di vita (Gn 6.13-37)
Con questi passi si apre il grande tema della distruzione, divina, cui perviene l'umanità: la distruzione operata dalle
< acque del cielo >, quelle, non strettamente fisiche, che scorrendo dolcemente danno Vita ma che se impetuose e
violente portano la morte.
Da questa morte è immune, ci viene detto, la condizione di “giustizia”, il < giusto > giunto-legato all'Assoluto,
Noè.
Questa distruzione e “correzione dell'errore” è, come detto, tema di tutta la antichità per una unità di
visione e di sentire purtroppo ancora poco vista e seguita.
Dicono delle stesse distruzioni, ma con oltre 1000 anni di anticipo, il poema Babilonese del Diluvio,
l'Atrahasis, che vede anche qui “salvato”, dalle stesse “acque divine” di distruzione, il “giusto”
Utanapishtim.
Perfino le “parole”, di questo testo, si ritrovano nel racconto di Genesi ma, come vedremo più avanti, altri
importanti concetti di quel testo e cultura sono ripresi nella Torah.
Anche testi Egizi, forse antecedenti all'Atrahasis Babilonese, ci fanno intravvedere, come pure la
religione Mazdica ed i Veda, la stessa Verità.
In queste due ultime culture però la “distruzione”, con allegoria del tutto simile, avviene per
“glaciazione”.
Ci precisa infatti A. Alberti nel suo “Zarathustra” che nella tradizione Mazdica è Yima, il più grande dei
sovrani, dei Re, l' “eccelso maestro della età dell'Oro”, ad essere salvato dalla glaciazione assieme ad ogni
specie di piante e animali grazie all'invito da parte della Deità a portarsi in una caverna sotterranea.
Questo mito, prosegue Alberti, è riportato “quasi tale e quale” nel Rg Veda Indiano dove è Yama il
salvato.
Anche Platone, in Politico 269 ss, ci dirà con sue parole della stessa Verità, delle “distruzioni” cui segue
poi quella Età dell'Oro di cui la tradizione Greca ma non solo hanno parlato:
< questo universo..talvolta la divinità ..l'abbandona a sé stesso.. esso ri-comincia allora a girare in senso
opposto...> avvengono allora < le distruzioni più considerevoli sia fra gli animali che nel genere umano,
di cui, come è giusto, non sopravvive che un piccolo numero..>.
A tutto ciò segue poi una straordinaria “rigenerazione”: <.. nasce la razza dei “figli della terra”, gli
uomini non hanno né mogli né figli.. gli alberi danno loro frutti in abbondanza .. ed essi restano
“nudi”..> (M.Eliade-Il mito dell'eterno ritorno-p.156ss)
Il grande poema Babilonese detto “del Diluvio”, l'Atrahasis, che tradotto è “Grande Saggio”, è un testo
come detto risalente al 2000 aC che ci parla della “correzione dell’errore” da parte dell’Assoluto per
mezzo delle Sue acque con una narrazione che vede una eccezionale similitudine con quella, posteriore di
circa 1000 anni, della Genesi.
Come ben ci sottolinea G. Pettinato nel suo “La saga di Gilgamesh”, molti ritrovamenti archeologici
testimoniano che quel racconto a pochi secoli dalla sua nascita, attorno al 1600 aC, era conosciuto anche
in area Palestinese ed è perciò evidente il debito che le Scritture Giudaiche hanno, di concetti in
particolare ma anche di parole, nei confronti di questo testo.
Anche in quel testo gli Dei ordinano al “giusto”, qui Utanapishtim, di <..costruire una nave..> con precise
dimensioni per salvarsi dal Diluvio che essi <..nel loro cuore hanno bramato di mandare..>.
Anche qui ad Utanapishtim viene ordinato di <...fare salire sulla nave tutte le specie viventi...>, anche qui
al termine del Diluvio, secondo la versione inserita nella Epopea classica di Gilgamesh, Utanapishtim, in
modo praticamente uguale a quanto è nell'episodio di Genesi, dice :
<..feci uscire una colomba, la liberai, la colomba andò e ritornò,
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quarta parte
un luogo dove stare non era visibile per lei.. feci uscire una rondine, la liberai; andò la rondine e ritornò,
un luogo dove stare non era visibile per lei... feci uscire un corvo, lo liberai.
Andò il corvo...e non tornò>
Vi è poi nel testo Babilonese l'interessantissimo passaggio, concetto e Verità, che trova anch'esso una
precisa corrispondenza all'interno della Torah, in cui gli dei, l'Assoluto, si rivolgono al “giusto”
Utanapishtim-Noè dicendo:
<.. abbatti la tua casa , costruisci una nave, abbandona la ricchezza,
cerca la Vita! Disdegna i possedimenti, salva la Vita!.. Fai salire sulla nave tutte le specie viventi ..>
In questa frase si evidenza con chiarezza ciò che porta alla salvezza del “giusto”:
- l'abbattimento-abbandono della “propria casa”, dei “propri” averi ovvero come già visto l'abbandono del “proprio io”,
un abbandono che vede la contemporanea “unità” di tutte le “specie viventi” : alla “casa propria dell'io” ed
a ciò che con essa consegue si sostituisce il Tutto-Uno. Nelle Scritture Giudaiche questo concetto lo
vediamo con precisione riportato nell'invito fatto da Jhwh ad Abramo:
<..vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti
indicherò..>(Gn 12.1) ,
Similmente questo invito viene poi rivolto da Jhwh anche ad Isacco e Giacobbe ed è tema come visto
ripreso da Gesù con i suoi
<..Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre o madre o figli o campi a causa del mio nome
(dei miei insegnamenti ndr) avrà in eredità la vita eterna >(Mt 19.29) e
<..Se uno …non odia “suo” padre, “sua” madre, la moglie, i figli, le sorelle … non può essere mio
discepolo>(Lc. 14.26),
ma è tema già visto anche nella cultura egizia con la “uscita alla luce” ed in quella Indo-Aria che porterà,
a partire dal VIII sec aC, gli asceti itineranti nelle foreste per cercare la “uscita-pravrajyia dalla -propria
dell'io- casa” .
Sarà -abbandono- anche di “proprie” ricchezze e possedimenti: non già o non tanto il -“materiale”
abbandono- ma piuttosto e soprattutto la eliminazione di quel sentimento di “proprietà” che l'”io” fa
nascere, quel sentimento di cui Gesù ci dice con la parabola del Ricco Stolto.
Anche il tema della sostituzione della “casa dell'io” con quella “condizione” che vede il Tutto,
allegorizzato nell'imbarco con il giusto di “animali e piante di ogni specie”, è tema ripreso nella Torah
come pure quello delle “navi ben costruite”. Navi, ferma e solida condizione umana che salva da acque e
abisso, che troviamo con la stessa allegoria, oltre che nella Torah e nell' Atrahasis, anche nella Grecia di
Omero: nel viaggio di “ritorno” di Odisseo in particolare.
Assimilabili a questi Diluvi sono, nel loro anche qui nascosto messaggio, le “ inondazioni” di cui parla il
libro dei Morti o PerEmRa Egizio, al cap.97, dove si parla di :
< Lago (e canali) della Pacificazione e della Uguaglianza che produce le inondazioni >.
Non si tratta, come a volte viene detto, delle “materiali inondazioni” del Nilo, il testo in questione infatti si
occupa dell’aldilà e dell’Assoluto e queste sono inondazioni che producono < pacificazione ed
uguaglianza > e quindi sono quelle forze che correggono ed annullano l’“errore” dell' “io”, errore che a
“guerre e disuguaglianze” porta.
Al cap.61.1 degli stessi testi, quale auspicio ed augurio si dice, di un defunto che è visto ormai partecipe
dell’Assoluto, < giustificato >, e di Esso quindi ormai parte indivisa :
< Io sono colui che esce dall’ Inondazione che ha fatto straripare >
Con parole diverse dirà della stessa condizione e Verità anche Gesù con la sua affermazione:
< prima che egli fosse, io sono >(Gv 8.58)
Il “giusto” Gesù come ogni giusto, cerchi o meno di insegnare, e come anche il “giustificato” Egizio
salvatosi dalla distruzione dell’errore, tutti si riportano all’Assoluto eterno, da sempre esistente. E così,
fuori dal tempo finito di ogni “io” ovvero nell'Eterno Essere e Divenire del Logos cui questi si portano, il
giusto-giustificato è colui che procura la salvezza di se stesso ed al contempo, anche senza insegnarla,
indica la corretta strada per l'uomo.
Il “giusto” si porta così ad essere il “salvatore-salvato”: concetto che sarà riproposto, forse non
esattamente in termini così universali, dai Manichei dal secondo secolo d.C. in poi, concetto già presente
nella cultura Indo-Aria dei Veda ma anche nell'Ebraismo. Il Midras Tanhuma parla infatti della Sekinah
che, abbassatasi ad abitare il popolo, salvando questi salva sé stessa.
Nei testi di Enoch ciò che avviene dopo la Verità di questa “distruzione-conversione” viene descritto in un
modo singolarissimo e poeticamente profondo, in esso si dice che infine:
< Le montagne salteranno come arieti e le stelle del cielo torneranno a cantare
come in quel lontano giorno sul grande fiume…>.
123
quarta parte
Questo bellissimo passo testimonia la Verità del ritorno all'Età dell'Oro, età in cui l’uomo rivede l’Unità
che era nei lontani inizi: in quella Unità tutto è Vita e Vivente ed è “in quel” Tutto-Vivente, con quella
coscienza, che si possono vedere le montagne saltare e le stelle cantare.
In “quella” Unità era arrivato Francesco d’Assisi che diceva di questo ritrovamento con le sue parole
“fratello sole, sorella luna”: egli ormai era Uno con essi e con tutto il manifesto.
In “quella” Unità Tutto respirerà, tutto sorriderà e canterà in un abbraccio in cui:
< non vi è alcuna differenza, tutto è uguale >
come ha detto, con le ultime parole della sua vita terrena, Tiziano Terzani rispondendo, dopo due giorni di
meditazione, alla domanda del figlio che gli aveva chiesto cosa egli vedesse in quegli “ultimi momenti”
della sua vita.
TORAH ed ENOCH
Questa “lettura” fatta di Genesi, qui precaria, solo abbozzata e certo necessaria di approfondimenti e che in seguito,
nel tempo ed in questi scritti parzialmente riprenderò, oltre a dare “razionalità” a quei testi vede mantenuti e ripetuti
gli insegnamenti filosofico-religiosi di base che identici si vedono nelle culture e regioni dell’ Egitto, in quelle
Indo-Arie, in quelle della Mesopotamia e anche della Grecia: anche per questo, credo, essa può ritenersi plausibile.
È una lettura debitrice certo a varie fonti e che per la mia impreparazione si è resa in alcune parti anche imprecisa e
forse discutibile ma credo che la strada sia giusta e chi ha competenze e libertà, spirituali e non solo, potrà credo più
approfonditamente analizzare e vedere.
Gli insegnamenti che così nascono sono insegnamenti che a mio avviso, estremamente attuali per la loro Verità, per
la loro universalità e per la loro razionalità, sono quasi la contrapposizione e la negazione delle -istituzioni- religiose
quali oggi conosciute.
Sono infatti insegnamenti che lasciano la religiosità al singolo, essi dicono della necessità che l'uomo in sé,
autonomamente, ritrovi il rapporto e l'ascolto dell'Assoluto.
Sono gli insegnamenti che più chiaramente sorgono nei testi di Enoch, se letti con libertà, e sono gli stessi ed i soli
che ci ha consegnati il Gesù “diverso” che in questi scritti si mette in luce, il Gesù che non ha voluto fare altro che
confermare, ma nella corretta lettura, Legge e Profeti.
Sono insegnamenti che ancora oggi possiamo vedere soprattutto in Oriente, nell’Induismo ed in tutte le credenze
strettamente ad esso legate come Buddismo, Taoismo ed altro ancora, la stesse che, seppur oggi sempre più soffocate
da quel vero e proprio -assalto ed aggressione- che soprattutto dalla Cristianità con i suoi tanti volti e dall'Islam
viene perpetrato, possiamo ancora vedere in Africa, nelle sue grandi tradizioni orali, e forse in altre parti ancora.
Purtroppo questa unità di visione e di insegnamenti religiosi, sempre vista se pur nascostamente, è stata
colpevolmente negata, velata dimenticata e tradita da filosofi e religiosi dietro alle virgole, alle differenze verbali, a
personali interpretazioni ed enfatizzate discordanze colte in particolari senza senso e senza fondamento che così solo
hanno servito i personalismi e l'-errore dell' “io”-.
Molto va fatto nella rilettura dei testi di Legge e Profeti oltre che di Enoch, come anche di tutta la letteratura
mitologico religiosa ad essi contemporanea o antecedente come l’Iliade, l’Odissea o l'epopea di Gilgamesch, ecc..
Qui, ora, mi preme sottolineare alcuni importanti fatti in riferimento a quei “Testi-Libri di Enoch” a cui già ho fatto
cenno: libri sapienziali di una tradizione “iniziatica”, Enoch infatti in ebraico significa “iniziato”.
Sono testi, questi, della cui esistenza sappiamo da sempre ma che, ritenuti molto tardi e di scarso interesse, dichiarati
e detti, con altri scritti, quali “Apocrifi dell'Antico Testamento”, solo molto recentemente a seguito della scoperta tra
i testi di Nag Ammadi di frammenti risalenti al III/II sec. aC., sono stati dagli studiosi ripresi in considerazione,
tradotti ed ora studiati.
Quelli di Enoch sono ora scritti che si rendono particolarmente interessanti per il fatto che, come sottolinea il prof.
M.Pincherle, essi : < sono, dai critici, concordemente ritenuti opere e frammenti, di diversi autori, di letteratura
religiosa pre-Biblica >.
Questi scritti, mai inseriti tra i testi Sacri Ebraici nonostante la tradizione del “giusto” Enoch sia ben testimoniata in
Torah e Profeti, ed esclusi anche, benché essa sia ricordata anche nel Nuovo Testamento, dai testi Sacri cristiani
seppure con la sola eccezione del Cristianesimo Copto che ancora li annovera tra i suoi libri, sono normalmente oggi
visti dagli studiosi come testi indipendenti e, in diversi loro aspetti, -in contrasto- con la Torah .
Seppure a questa legati -per temi e situazioni- nei testi di Enoch dagli studiosi è solitamente vista una diversa
impostazione teologica rispetto a Torah e Profeti e questo sebbene ciò non sia affatto scontato :
si può infatti dire unicamente che in Enoch si vede una teologia -diversa- da quanto
noi oggi vediamo e capiamo, in linea con la -lettura Sadocita e Farisaica del 2°Tempio-, di Torah e Profeti.
124
quarta parte
Solo questo si può dire giacché non è certo che tali letture farisaico-sadocite siano effettivamente rispondenti
allo spirito ed a ciò che vogliono realmente dire quei testi.
Contrariamente a quanto normalmente visto, invece, Enoch, Torah e Profeti dicono la stessa Verità, -teologicamente
sono identici- e sono figli della stessa fonte originaria, della stessa tradizione pre-Biblica, e questo è evidente nella complementarietà- che essi ci mostrano: se i “giganti uomini famosi” della Torah, così come pure il “Figlio
dell'Adam”, si chiariscono solo grazie ad Enoch, dall'altro lato è solo grazie alla Torah che si chiarisce il tema dell'
“albero della conoscenza-sapienza” di cui dice Enoch. I redattori di Enoch, Torah e Profeti scrivono, in modo
diverso, di uno stesso vedere e sentire teologico-sapienziale, un sapere che si lega agli stessi temi allegorici, per
entrambi scontati al punto da arrivare ad ometterne a volte la chiara spiegazione.
Errore spaventoso è stato il non vedere e negare questa uguaglianza teologica, una stessa Verità che, appena
abbozzata da quanto sin qui visto, si vedrà sempre più attestata, detta e confermata, all'emergere ed al completo
svelarsi di un Gesù “diverso” che in questi testi si conferma e che farà vedere, pienamente alla fine, che :
la Torah è stata male interpretata a partire dal Secondo Tempio e -sino ad oggi-,
e Gesù non ha fatto altro che cercare di mostrarne la corretta lettura, una lettura in linea con i libri di Enoch e con
ciò che vedeva il Samaritanesimo che, all'inizio di quel periodo storico, decise di staccarsi con Tempio e Sacerdozio
da un popolo giudaico portato all'errore dai Sadducei prima e dai Farisei poi.
La “errata” lettura-interpretazione della Torah, Genesi ed Esodo in particolare, fatta nel periodo “Sadocita” ovvero il
periodo che seguì alla cattività Babilonese del popolo ebraico, il periodo della ricostruzione del Tempio di
Gerusalemme e dominato da sacerdoti Sadducei, periodo che si aprì con Giosuè nel 515 aC per finire con Giasone
nel 172 aC., è lettura-interpretazione che nella sostanza passò poi, nel cosiddetto Rabbinato, al Farisaismo.
E Gesù sappiamo che rimproverò ai Sadducei di <..non conoscere-capire le Scritture..>(Mt 22.29) e che
continuamente inveiva, per lo stesso motivo, contro i farisei, contro i “separatori” secondo il significato del termine.
Una “errata” lettura-interpretazione che è ancora oggi alla base, pur nelle differenze che conosciamo, sia dell'odierno
Ebraismo che della Cristianità e dell'Islam.
Il Gesù “diverso” che infine emergerà, pur sempre e principalmente rifacendosi a Torah e Profeti è pienamente
concordante e legato, vedremo più avanti, ai testi di Enoch; testi che sono la fonte di quegli Esseni che Gesù proprio
per questo mai contesta, né cita: nulla ad essi Egli -deve rilevare-, solo Sadducei e Farisei non avevano capito ed
erano in errore, solo questi Egli contesterà ed ammonirà.
Anche quel generico-universale “Figlio dell'uomo-adam” con cui sempre Gesù dirà di sé stesso ma non solo, è
termine che pur presente anche nelle Scritture è sopratutto in Enoch che lo vediamo utilizzato con quella doppia
accezione con la quale esso è usato anche da Gesù ovvero quale: “uomo caduto”, da un lato, ma dall'altro anche
“uomo rinato-resuscitato, uscito dalla caduta” e così uomo portatosi a condizione di “Eletto o Figlio di Dio”.
In Enoch le parti che -sembrano- “riassunti”, senza alcun accenno a “storia e personaggi”, delle vicende e dei
racconti della Torah in realtà sono ben altro : essi ci dicono piuttosto della “nascosta ed allegorica” Verità che è in
Genesi ed Esodo come forse in tutta la Torah e che certamente è nei Profeti.
Enoch porta e mostra tutti quei testi -fuori- dal ristretto mondo Giudaico cui la lettura farisaico-sadocita li ha posti,
ne mostra la universalità, la stessa universalità che si vede e si impone con la etimologica lettura di “IsraEl=Contrario a Dio”: una lettura che indirizza a vedere in quei testi il destino, più che la storia, di un -universalepopolo di Dio : <..per tutti i discendenti che vivranno sulla terra..> scriva Enoch (EE XCI.1)
I testi di Enoch quindi possono e devono aiutarci ed invitarci a togliere alla Scrittura quella “letteralità farisaicoseparatrice" con cui ancora oggi la leggiamo per riportarla a quella “mitologia-religiosa”, a quel “dire-nascosto del
Vero”, che la vedrà in sintonia, con gli stessi sentimenti, gli stessi insegnamenti ed argomenti, se pur con nomi e
parole diverse, di tutta la letteratura antica sia di quei tempi che antecedente. Possono aiutarci a vedere, nelle
Scritture, quel -secondo e quel terzo livello- di lettura cui con saggezza ci invitava Origene : la lettura “allegorica” e
quella della “gnosi-conoscenza”.
Le Scritture, Torah e Profeti, si vedranno allora a pieno nel filone di tutta la letteratura di quei tempi, quella del
“mitologico" -nascosto parlare della Verità-, ma con la -novità-, qui, di un “dominante inserimento storicomateriale” che innegabilmente è spesso dubbio ed incerto, a volte è altamente improbabile o anche che è
evidentemente impossibile a darsi: una -novità- forse tutt'altro che positiva visto che ha molto confuso e fuorviato .
Ma è anche vero però che la -novità- dell'inserimento “storico” è “funzionale” a quel “terzo” livello di lettura grazie
al quale, dirà Origene, si giunge alla “gnosi-conoscenza”.
Che le Scritture ci parlino “allegoricamente” della Verità lo si vede anche da quei “nomi parlanti” che sono
caratteristica di tutti i testi allegorico-mitologici-sapienziali, ma oggi purtroppo è inesistente ogni riflessione anche
su questo aspetto determinante.
Le lezioni preziose che in questa direzione, nei suoi molti scritti, ci ha lasciato il contemporaneo di Gesù Filone
Alessandrino (20aC-50dC) sono ancora poco seguite ed approfondite eppure egli ci sottolineava molte significative
ed “etimologiche”, a suo dire, traduzioni :
Abram=padre sublime, Abraam=padre eletto del suono,
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quarta parte
Adam-figli dell'Adam= schiavi del mondo dei sensi, Enoch=tua grazia, Gaidad=gregge, Rachele=Visione della
profanità, Maiel=lontano dalla vita di Dio, Rebecca=Pazienza, Isacco=Riso,
Giacobbe=Soppiantatore, Giosuè=salvato, Giuseppe=Aggiunta, Dan=Giudicante, Gerusalemme=vedrete la pace,
Agar=Soggiorno, Ismaele=Ascolto di Dio, Siro=Elevato, Egitto=Che opprime, Canaan=Sottomesso all'iniquità,
Sodoma=Accecamento, Gomorra=Misura, Lamech=umiliazione, Set=irrigazione, Noè=giusto ecc..
Tutto, anche quanto palesemente impossibile come il diluvio o il mare che si divide, con chiara incompetenza e con
colpevole cecità sarà visto ed insegnato come fatto “storico” !.
Saggiamente, ma senza andare oltre, uno dei maggiori esperti italiani di “Apocrifi dell'Antico Testamento” dopo
avere visto e prospettato un possibile legame tra Gesù ed i testi di Enoch, affermerà : < Legati come siamo alle
concezioni paoline, ci riesce difficile ritrovare nei testi giudaici... esaminati, la “giustificazione”, che nella nostra
mente è quella paolina >.
Quel “legame-gabbia” paolino, vedremo, va ben oltre il tema della “giustificazione” ma questa sua onesta e sincera
constatazione, pulita, non molti dei suoi colleghi hanno saputo, pur di essa coscienti, esprimerla ed indagarla.
A tanti il coraggio è mancato: la certezza di chiudere con ogni incarico, la certezza di restare esclusi da ogni cattedra,
anche pubblica, o spazio nelle infinite fondazioni associazioni ed altro Cristiane, li frenerà.
A quegli indiscutibili “legami-gabbie”, mancanti di libertà spirituali, si sommeranno “mancate libertà materiali ed
economiche”. È scritto in Enoch :
< E una Legge per tutte le generazioni verrà data e sarà per esse come una prigione >( Enoch Et. XCIII 6)
Se di Legge divina, di Natura, o di Legge intesa come Scrittura qui si tratti, non è facile vedere e dire. In ogni caso
comunque sembra certo che i testi di Enoch siano stati messi per iscritto intorno al IV sec. aC ovvero circa un secolo
dopo che la “sadocita” dominante e totalizzante errata lettura delle Scritture cui seguirà il “fariseismo”, si era
imposta -al potere e nell'insegnamento-. E non è un caso, forse, che i maestri che custodivano questa certamente
antichissima tradizione e sapere e lettura della Legge, segreta e nascosta come sempre era per una Verità che non si
può dire e che solo si può invitare a “sentire ed avere”, abbiano in quel tempo sentito il dovere di scrivere.
Verosimilmente essi vedevano che il sadocismo, anticipando il fariseismo, stava minacciando la sopravvivenza e
ogni possibile testimonianza delle vere, profonde ed universali Verità di cui dicono i testi di Torah e Profeti.
SULLA MITOLOGIA
Con queste considerazioni apro volentieri una breve parentesi con alcune riflessioni riguardo al “racconto
mitologico”, quello che vediamo nelle Scritture giudaiche come in Esiodo, Omero e, ben prima nei poemi
mesopotamici ma non solo. Questa forma di comunicazione, che sempre vuole "allegoricamente" dire della Verità,
non è facilmente comprensibile e per ciò verso di essa può facilmente nascere una certa insofferenza.
Possono infastidire di quei racconti, se incompresi ed è stato così anche per me, le figure e le costruzioni
immaginarie che finiscono per essere viste solo quali inutili fonti di possibili diverse interpretazioni, per uno sforzo
poi di comprensione che presto diviene solo senza senso e non meritevole di attenzione.
Vuole ammesso invece che ha buone ragioni chi sostiene la tesi che per dire della possibile Verità, della “Realtà” più
completa, comunque estremamente profonda e difficilmente penetrabile, il racconto “allegorico-mitologico” è tra le
poche forme comunicative che ci consentono di farlo anche se, vuole detto, può essere frainteso.
Ogni dire del Vero, scritto od orale, è comunque espresso con parole e logiche inevitabilmente connesse e legate al
“reale materiale” e questo limita la possibilità di comunicazione di Verità che vanno oltre quel "reale-materiale",
Verità toccabili forse solo con quel puro ed inesprimibile sentimento che il "fantastico" della mitologia può
stimolare.
La profondità e la intensità dei grandi sentimenti, e parlo di quelli che viviamo per le tante provanti vicissitudini che
la vita può farci incontrare, ben sappiamo quanto difficilmente siano esprimibili e riportabili. Per molte toccanti
situazioni siamo ben consci della impossibilità di trasmetterle e di farle a fondo comprendere. Ancor più è quindi
comprensibile la inesprimibilità di quel “sentire” che tocca corde ancor più intime ed alte e certo poco, logicamente,
esprimibili e forse anche “pensabili”.
Oggi mi sembra che il racconto mitologico-allegorico, quello che quasi sempre nella antichità è usato per dire della
Verità, quando compie quella fuga dalla “realtà storica e materiale” operata grazie alle costruzioni e figure che
necessariamente sono slegate da ogni schema e logica del “reale materiale”, sia uno dei pochi mezzi coi quali
possiamo tentare la apertura di quei canali del sentimento che soli possono, custoditi ed accuditi, far sentire prima e
capire poi, Verità a noi connaturate ed inesprimibili.
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quarta parte
Mito d'altronde viene dal greco Mithos che è “Parola” e questo forse per segnare la stretta relazione che quel tipo di
testo ha con il Logos-Verbo-Parola divino.
Il racconto mitologico una volta letto con gli occhi che sanno capirlo, che sanno leggere “dentro”, che sanno
“sentire” ciò che chi lo ha composto voleva esprimere più che dire, sempre si rivela come “poesia”, come versi
dell'anima; “teologia”, “discorso sul Dio” ci ricorda Eraclito ( I-II sec dC ), sono l'Iliade e l'Odissea di Omero
(Eraclito, Questioni omeriche 22.1).
Anche il racconto o il poema mitico-allegorico slegato dal reale-materiale certo comunque mantiene grandi limiti nel
suo obiettivo di dire della Realtà ultima, ma forse è la sola cosa che può fare l’uomo in questa direzione, quella di
tentare di dire, di fare percepire e sentire, Verità e Realtà comunque non riducibili in righe e parole.
Di questa irriducibilità a righe e parole della Verità ha parlato anche Dante in modo straordinario nel suo Paradiso:
< Nel ciel che più de la sua luce prende / fu’io e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là su discende, / perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto / che dietro la memoria non può ire >
Purtroppo però, come ho già detto, quando il racconto allegorico-mitologico sul Vero, come nella Torah si lega
troppo alla “realtà storico-materiale”, vera o parzialmente vera che sia, i rischi di una interpretazione che porti ad
errori gravissimi sono estremamente alti.
SCRITTURE E ALLEGORIA
Torno a Legge e Profeti, alla loro ardua “interpretazione” che è certamente difficile ma anche necessaria visto che è
Gesù stesso che ci apre a degli straordinari indirizzi di lettura con le sue parole tutte ed in particolare con il Discorso
della montagna. È una lettura o rilettura non facile ma indispensabile: ci ricorda anche Paolo in Galati 4-24 che:
< ..tali cose sono dette per allegoria..>
Le Scritture quindi, Torah in particolare, anche per Paolo parlano “allegoricamente”, in esse quindi si deve leggere
“altro”: lettura non facile che, come detto, dovrà vedere la osmosi completa tra Legge e Gesù.
Con questa coscienza continuo la lettura della Torah già prima riportata partendo da una doverosa analisi di alcuni
termini che sono veri concetti.
I TERMINI CONCETTO
Le possibili, e a mio avviso certe se pur inconsapevoli, incomprensioni del “vero” messaggio di una Legge e Profeti
che Gesù solo ha voluto confermare e spiegare, si evidenziano anche nel diverso “peso” che avranno alcuni terminiconcetto tra gli scritti, Vangeli Atti e Lettere, del Nuovo Testamento (NT), e le Scritture Giudaiche (SG) ovvero
quanto oggi dalla Cristianità è detto Antico Testamento.
A fronte di un rapporto tra il corpus complessivo di NT e SG che è di 2 a 10 circa troviamo infatti che:
-
la maggiore perdita si ha per il concetto di “empietà” che vede un rapporto di 0,6 contro 10 di SG,
ma anche per “iniquità” il rapporto è di 1 contro 10 di SG,
similmente è per “superbia” per cui troviamo un rapporto di 1,1 contro 10,
appena più ricordati e quasi con la stessa frequenza ripresi, sono i concetti di “ saggezza o sapienza o scienza” :
citate con un rapporto di 1,6 contro 10 di SG.
Sempre lontani dal rapporto 2 a 10 del corpus NT-SG ma in senso opposto a quello precedente di “perdita” e cioè
che vedono qui un maggiore accento posto, nel NT, rispetto a quanto in SG, sono i concetti di:
- “giustizia” che vede un rapporto di 2,8 contro 10 di SG
- e “peccato” che vede un rapporto di 5 contro 10 .
- ma più preponderante è il peso che nel NT avrà la “fede-fedeltà” che vede un rapporto di 25 contro 10 di SG .
Apro una parentesi per riportare ciò che etimologicamente, secondo il dizionario di “etimo.it”, i termini sopra citati e
più trascurati nel cosiddetto Nuovo Testamento, significano:
--- “Empio” è, etimologicamente, “non-pio”, con pio da puus, con radice “pu” per puro, e quindi empio è il “ nonpuro”, colui che ha perso la purezza della sua “essenza”.
--- “Iniquo” è “non-equo”, dove equo è dal latino aequus=unito, che si riporta al greco eikos=simile al vero,
termine che porta in sé la radice sanscrita èka=uno. Iniquo perciò è “non-unito”, non-uguale, non-Uno.
--- “Superbo” è riportato al greco yper-bus con bus da radice sanscrita bhu=essere.
Superbo quindi è colui che “si crea grande l’essere-io”.
127
quarta parte
--- “Saggezza” viene dal latino exigere=esaminare (una parte). Saggezza quindi è la“capacità di esaminare la parte
per comprendere e vedere il Tutto ed il Vero”.
--- “Sapienza”, dal latino sàpere=sentire sapore, ci riporta poi ad una “conoscenza” che è puro “sentire”.
Ma anche su quelle parole-concetto riportate nel NT con frequenze molto alte, o simili e paragonabili a quelle delle
SG, l’Antico Testamento, credo sia opportuno vedere cosa dice il dizionario etimologico:
--- “Giusto” viene dal latino jus che porta la radice yu=unire, legare; giusto quindi come colui che è “unito al
Divino”, colui che è Uno con l’Assoluto; giusto è, secondo quanto sopra, colui che è legato-giunto all'Assoluto
mentre “giustizia” è ciò che “porta ed “invita” a questa unione.
--- “Peccato” per il dizionario è di origini etimologiche sconosciute, ma una frase del Vangelo degli Egiziani ne
tratteggia bene il senso in cui era allora usato, senso che può vedersi ben confermato nella lettura delle Scritture.
Dice quel passo: < ..la morte dell’anima è detta peccato > e, ricordo, Gesù ci ha detto con chiarezza, nella parabola
del “Ricco stolto”, che la “ morte dell’anima” è “ la nascita dell’ io”.
--- “Fedeltà” viene visto legato al sanscrito bandh ovvero fid=legare; quindi fedeltà come il restare “legati”
all’Assoluto, uniti all’Uno-Assoluto senza alcun “io” separatore, concetto ben lontano dall’odierno “credere
individuale” con cui è vista la “fede”.
Riporto alcuni brani, per me esemplari, che spero aiutino a capire la profondità dei termini sopra citati:
- Ez 18.26: < se il giusto.. commette l’iniquità,.. per questo muore >; - Lv 19.15: < Non commetterete iniquità
giudicando >; - Sal 14.4: < operatori di iniquità.. mangiano il mio popolo>;
- Ger 33.8 : < le iniquità con le
quali hanno peccato >; - Gb 13.23: < quante sono le mie iniquità, quanti i miei peccati >;
- Sir 10.12,13: <..principio della superbia umana è allontanarsi da Jhwh, è il peccato >
- Prv 21.4: < il
peccato..è il cuore superbo >;
- Sal 139.6: < i superbi mi tendono lacci, stendono funi come una rete >.
Qui si vede con chiarezza che “peccato” è l' <allontanamento da Jhwh>, la “non-unione” con Esso o “mortealienazione dell’anima”, cui si portano gli empi, gli enpii-non puri come anche gli iniqui ed i superbi cioè coloro che
si creano un grande “io” con la in-equità, la non-uguaglianza-separazione dall’Assoluto.
E ancora:
- Sap 8.17: < nell’unione con la Sapienza c’è l’immortalità >;
- Prv 2.5,10: < comprenderai il timore di Jhwh e
troverai la Scienza di Dio..la Sapienza entrerà nel tuo cuore..>
- Prv 8.35 : < chi trova me (Sapienza) trova la
Vita >;
- Sal 118.130: < (Jhwh)..nel rivelarsi…dona Saggezza ai semplici >; - Prv 28.26: < chi si comporta
con Saggezza sarà salvato >;
- Gb 4.20,21: < periscono sempre.. muoiono, senza Saggezza >;
- Gb 36.7,13: <(chi non) si allontana dalla in-equità .. perirà.. senza neppure saperlo>.
Questa “saggezza” è ciò cui si arriva con il “cuore” dei tanti inviti a “cercare” di Gesù, quel cuore che ha le
“orecchie e gli occhi” da Lui tanto evocati, è quella Saggezza-Sapienza-Sentire-Scienza che porta ad essere “equouno” con l’Assoluto e “giusto-unito” ad Esso, in-esistente ad Esso.
FILONE ALESSANDRINO
Anticipo l'analisi dei pochi temi che toccherò di una Legge che in ogni frase e parola è invece ricca di profondi
significati, dicendo due parole sul più importante allegorista antico di cui abbiamo testimonianze e scritti: Filone
Alessandrino (20 aC - 50 dC)
Contemporaneo di Gesù, Filone ha cercato di leggere “dentro” la Torah per una strada, quella della allegoria, che è
la stessa cui Gesù ha indirizzato con la sua vita e le sue parole, strada che, come già detto, anche Paolo testimonia
come “primaria ed unica”: <..tali cose sono dette per allegoria..>(Gal 4.24).
Sulle interpretazioni allegoriche di Filone A. devo dire che più di una mi trovano perplesso e anzi alcuni degli
approfondimenti allegorici che farò seguire sono opposti a quelli di Filone. Ma egli resta importante perché
testimonia uno sforzo di comprensione allegorica che ai suoi tempi era tutt'altro che isolato, egli ci dice.
E resta importante, Filone, nonostante il fatto che la teologia che egli presenta, come sottolinea F.A.Staudenmaier
secondo R.Radice in "Filone-Tutti i trattati..", è asistematica ed incoerente.
Il suo evidente sforzo in direzione di una comprensione e lettura filosofica dei testi giudaici si scontra infatti e si
infrange contro la sua incapacità di sganciarsi completamente da alcuni concetti-letture e visioni prettamente giudeofarisaiche. Il creazionismo resta uno degli assi portanti del suo pensiero ed il suo Dio è il "Dio personale" <..buono
e misericordioso > (Quod deterius...XXV.93) che interviene nel corso degli avvenimenti e che punisce o remunera :
<..l'uomo..riceve biasimo per le sue cattive azioni...e lode invece per le azioni rette..>(Deus 47). Ed anche, con
questo, egli resta farisaicamente legato ad un Israele "popolo ebraico da Dio prediletto”.
Un altro aspetto non condivisibile di Filone è il suo forte accento sulla negatività della materia: negatività di un
corpo che anche per lui come per Platone è "prigione" dell'anima, e negatività di "tutto ciò che è terrestre".
A fianco di questo, cui ripeto egli resta al fondo legato, Filone però mostra anche un "divino" -entità filosofica ed
impersonale che sfugge ogni definizione e non entra in rapporto con l'uomo se non attraverso il Logos e le Potenze-.
Scrive :
128
quarta parte
<..Dio..riempie e comprende tutte le altre cose che sono isolate..egli è Uno e Tutto..> (LA I 44)
<..Dio..per quanto possiamo cogliere col pensiero è...l'anima dell'universo..>(LA I 91)
<..anime, demoni e angeli sono, sì, nomi differenti, ma la realtà che vi soggiace è una sola e identica cosa...>
(De Gigantibus IV.16)
E troviamo poi in Filone forti tracce di una teologia mistica, di un cammino che egli chiama Via Regale:
< ..colui che procede senza impedimenti per la “Via Regale” non si stanchi mai di avere incontrato il Re..>(Quod
Deus..XXXIV.160) dice, una Via Regale che R.Radice, riportando Pascher, in “Le origini del male” così riassume:
"cammino dell'anima che si realizza in tre tappe: mondo sensibile, mondo spirituale, Dio".
Scrive Filone di un : “abbandono della contemplazione e adorazione del cosmo per rientrare in se medesimi al fine
di conoscere se stessi e vedere la ingannevolezza di corpo-sensi-parola, di un allontanarsi da esse, di un porsi sopra
di esse e riconoscerle non nostre e infine poi, egli dice, <..come hai abbandonato tutte le altre cose, abbandona
anche te stesso, esci da te. Cosa significa questo? non usare come fossero tuoi l'intelletto, la conoscenza e la
comprensione, ma portali e consegnali a Colui che è la causa..>(Her 74a) .
Come già detto in precedenza si può qui vedere tratteggiato il cammino di “resurrezione in corso di vita” da Gesù
visto e suggerito, il cammino che egli, richiamandosi a quanto dice Abramo in Gn 18.23,27, vede anche così
caratterizzato : <...il momento giusto per la creatura di incontrare il suo Creatore viene quando essa ha
riconosciuto la propria nullità..>(Her 30).
Il saggio, dice Filone, <..uomo di valore, occupa una posizione intermedia...non è né Dio né uomo bensì un essere
legato ad ambedue..>(I sogni..)
Ed anche, Filone, parla di un <..Logos ...che -vive ed è presente- nell’anima..>( De Fuga 117) di chi si porta alla
Saggezza-Sapenza, di <..coloro che fanno filosofia in modo autentico, anime che si preoccupano dall’inizio alla
fine di morire alla vita vissuta insieme al corpo per giungere a partecipare alla vita immortale incorruttibile a
fianco dell’ingenerato..>((De Gigantibus).
E questi sono < ..quelli che sono in sé ( e ) dichiarano i loro successi...sottomessi all'intelletto come ad una guida
superiore: se..arrivano li accettano, ma se restano lontani non cercano di avvicinarli.>(De Gigantibus I.37), mentre
<..gli empi...( sono coloro che ) antepongono...i frutti dei loro progetti a ciò che è nato spontaneamente ed è a
disposizione..>(De Fuga)
Importantissima, vedremo più avanti, è la lettura che seppure ancora alquanto condizionata Filone fa dell’invito
biblico (Gn 12.1) che Dio fa ad Abramo come pure, con parole diverse, ad Isacco e Giacobbe. Il passo-invito che
viene rivolto ad Abramo, Filone, in modo non letterale, lo traduce in <..vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e
dalla casa di tuo padre, verso la terra che ti mostrerò..>. Dice in merito Filone :
<..la terra è simbolo del corpo, la parentela della sensazione e la casa del padre della parola...vattene dunque da
tutto ciò che è terrestre e ti circonda, lasciando l’infamante prigione del corpo...(affinché) l’intelletto cominci a
conoscere se stesso e ad avere familiarità con la visione intellettuale..>( De Migrat.).
<.."vattene da queste cose" ..significa "assumi una mentalità da straniero" ...in ogni momento conosci te stesso,
come anche Mosè insegna ..dicendo "veglia su te stesso"..Vattene, dunque, da tutto ciò che è terrestre e ti
circonda..>(De Migrat. II)
E per andarsene dalla "casa del -proprio- padre" <.. bisogna ...che tu migri verso la terra dei padri, la terra del
sacro Logos ... questa terra è la Sapienza, la dimora ideale delle anime che amano la virtù..>( De Migrat. III)
Andando dentro a queste parole, si vede che Filone legge quell’abbandono di terre parentela e padre come un invito
all’abbandono di ciò che qui abbiamo chiamato e detto “io-materialità”, abbandono che si sostanzia in una
"assunzione di mentalità da straniero”, egli dice, che non è altro che la "conversione-cambio di mentalità" cui
invitava Giovanni Battista prima e Gesù poi.
Ritorneremo qui più sotto su questo aspetto, ma non senza prima sottolineare ancora una volta che la strada di
“lettura allegorica” dei testi biblici che Filone ci ha testimoniato e consegnato, è strada “indispensabile” se pur
difficile. E, pur con la prudenza che si impone per gli aspetti critici dei suoi scritti cui più sopra abbiamo accennato,
in Filone si trovano comunque letture illuminate ed illuminanti.
Un altro aspetto che bisogna sottolineare di Filone A. è quello della sua credenza nella reincarnazione. Scrive infatti,
secondo quanto riporta E.Bratina nel suo "La Reincarnazione":
<..Le anime disincarnate sono distribuite in vari ordini. Il dovere per alcune di queste è di entrare in corpi mortali e
dopo un certo tempo sono nuovamente libere. Quelle dotate di una struttura più divina sono sciolte dai vincoli
terreni..>(De Sommiis I /22- De Gig. 2)
Quasi tutto ciò che qui abbiamo sottolineato di Filone, sul divino, sul portarsi al divino-resurrezione e sulla
reincarnazione, si troverà, come vedremo più avanti, nella dottrina del grande teologo cristiano Origene (185-254).
129
quarta parte
TERRA PROMESSA e ABBANDONO DI “PROPRI” PAESI, CASE, PADRI ECC.
Alla lettura appena sopra vista sull’-abbandono-, prima forse per importanza delle letture cui accenna Filone,
abbiamo già anticipato nella II Parte al capitolo “Abbandono-morte dell'io” e, più approfonditamente, in questa IV
Parte nelle analisi di Gn 6.9 e 6.13-37. Lettura che Gesù con chiarezza in più occasioni conferma.
Abbiamo visto come, anche per Filone, nelle parole che per la Torah Jhwh rivolge ad Abramo dicendo:
< Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. >(Gn 12.1)
vuole visto l'invito divino ad abbandonare quell' “io-materialità” che vede “propri” paesi, “proprie” patrie e
“propri” padri ecc., per dirigersi verso quel “paese-regno”, quella “condizione” mentale, spirituale e, quindi, anche
fisica, in cui solo l'Assoluto-Tutto esiste.
In quel “paese”, in quella condizione di vita, scorrono il < latte e miele >(Es 3.8) dolce nutrimento divino visto
anche dalle culture Indo-Aria e Greca, ed è il “paese-condizione” che solo può dare la Vita Eterna ovvero che solo
può dare “discendenze”, viene detto. È questa Verità che ci dicono allegoricamente quei testi, ed è una Verità che
dona ad essi una razionalità impensabile, illuminante ed insostituibile.
E' con le stesse parole della Torah e con lo stesso spirito allegorico ben sottolineato dal Suo contemporaneo Filone
Alessandrino che Gesù dirà della necessità di “non sentire propri-abbandonare padre, madre, fratelli e casa”, della
necessità abbandonare l'“io” che sente “proprio”:
< Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre o madre o figli o campi
a causa del mio nome (dei miei insegnamenti ndr) avrà in eredità la vita eterna >(Mt 19.29)
< Se uno …non odia “suo” padre, “sua” madre, la moglie, i figli, le sorelle … non può essere mio discepolo>
(Lc. 14.26)
Gesù sembra usare le stesse parole allegoriche, nascoste, anche in un'altra occasione ovvero quando al discepolo che
gli dice < Maestro, io ti seguirò dovunque andrai > Egli risponderà:
<...il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo > (Mt 8.20)
Gesù qui non sembra dire di luoghi fisici di riposo, luoghi che sempre Egli avrà a disposizione. Qui piuttosto Egli
sembra parlare della sua “condizione di morte all' io”: condizione che vede la conseguente inesistenza di “propri”,
dell'io, luoghi, case, cose ecc. Scrive Filone in merito: <..tutti quelli che Mosè ritiene Sapienti sono descritti come
uomini senza fissa dimora...>( Confus 77)
Legge e profeti in molte parti riprendono questo tema e una è quella di Deuteronomio in cui si dice che il “paese” in
cui Jhwh fa entrare,
< ..(il) paese che ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe avevo giurato di darti >(Dt 6.10),
è il paese in cui Jhwh “condurrà” dopo avere portato-mostrato, ovvero dopo che si saranno viste :
<..città grandi e belle che “tu” non hai edificato... case piene di beni che “tu” non hai riempito.....
cisterne scavate non da “te”, ...vigne che “tu” non hai piantato..>(Dt 6.10,11)
chiarissimi riferimenti tutti alla necessità, per arrivare a quella condizione-paese, oggi, in vita, di abbandonare l'io
che fa “proprio” ogni atto o cosa.
E' dopo avere “visto” questa “propria inesistenza”, dopo essere passati da ciò che “nessun io personale” ha
costruito, fatto e piantato, è dopo aver visto l'Assoluto in ogni opera, cosa, accadere ecc., ovvero è “alla morte
dell'io”, è in quell'oggi, che si entra nella Terra Promessa-Regno in cui la Deità, Dio-Assoluto-Tutto, è con noi, con
noi passeggia e sempre la vediamo.
Questa importantissima allegoria, fondamentale come vedrò nel tempo e come vedremo più avanti, è stata purtroppo
rifiutata, più che non vista, da una umanità Isra-El chiusa nell' “io” e contraria al Dio : si vorrà vedere quale Terra
promessa un arido “materiale” terreno e territorio.
Ma soprattutto non si vedrà la Verità, si produrranno le “religioni” e si creeranno indicibili sofferenze, guai e disastri.
Si avvererà, vedremo meglio, quanto le Scritture, Gesù, la apocalisse di Giovanni e molta altra letteratura .
Ma, serve ancora precisare, il “Vattene..” di Genesi 12.1 sopra citato, letteralmente è < Vai a te..>, un “vai a te
stesso” che non è che il “conosci te stesso” delfico: quella uscita quindi da ciò che è “proprio”, quella uscita dalla
“caduta” all'”io-materialità” che vede e porta all'ingresso alla Terra Promessa-Regno, non è che un contemporaneo
“conoscersi e conoscere il divino”, un “portarsi al divino e ri-conoscersi”.
Avremo modo più avanti di riprendere questo aspetto della Verità largamente visto in tutto il mondo antico, come già
abbiamo detto al capitolo “Resurrezione...” nella 2° Parte di questi scritti.
RICCHEZZA E DISCENDENZA
Si dovrà vedere come la < numerosa discendenza e ricchezza in armenti >(Gn 24.35) di Abramo, sia lontana da
ogni materialità e sia in tutto simile a quella di coloro e colui che, secondo le Upanishad e con parole quasi
identiche, si riportano all'Assoluto:
130
quarta parte
< a lungo vive, diventa ricco di discendenza e di armenti,
ricco di gloria (colui che si riporta all'Assoluto)>(Chandogya II.11,2)
Queste ricchezze, discendenze e armenti, sono la Vita stessa, sono ciò cui “arrivano” coloro che sanno portarsi
all’Assoluto, alla “lunga vita”, all’ Eternità che è ricchezza, fecondità e potenza al contempo.
Sono le ricchezza-Vita di cui dicono gli Stoici per i quali : < soltanto il sapiente è ricco..>
LA NULLITÀ DI ABRAMO
Un altro esempio di questa nuova lettura che dovrà vedere il recupero di concetti e Verità spesso negati o stravolti da
inesatte traduzioni-interpretazioni anche di singoli termini, traduzioni nate da vere incomprensioni di fondo del
messaggio mosaico, si ha per la frase di Abramo che nella traduzione CEI dice:
< ..vedi come “ardisco” parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere..>(Gn 18.27)
Secondo quanto riportano Giovanni Reale e Roberto Radice in “L’erede delle cose divine”, la stessa frase è letta e
tradotta in modo “diverso” da Filone d'Alessandria. Filone di Gn 18.27 dice:
< Abramo disse “Ora mi sono “accinto” a parlare con Jhwh, io che sono terra e polvere” giacché il momento
giusto per la creatura per incontrare il suo creatore viene quando essa ha riconosciuto la sua nullità >
Una "nullità" che è "nudità" : <..Abramo si spoglia quando si sente ordinare "separati dalla tua terra e dalla tua
parentela..>( All.delle Leggi, II 59), scrive Filone poiché <..l'anima amante di Dio, toltosi di dosso quanto al corpo
è legato, fuggita fuori da queste realtà, acquisisce solidità, stabilità e saldezza..>(All.delle Leggi II 55).
Di questa “nullità”, che è l'uscita dalla “illusione” Indo-Aria e che è madre della “umiltà” di Gesù come di Socrate e
tanti altri, “nullità” grazie alla quale si arriva a “parlare” con Dio, ad averlo vicino, a “camminare” con Lui, non si
vede traccia nell’ “ardire” dell'Abramo “gigante” che la versione Cei ci propone.
Quella razionalissima lettura del passo della Genesi che Filone già ai tempi di Gesù ha fatto, una lettura profonda,
vivificante e totalmente in linea con il messaggio di Gesù stesso, rimarrà falsata, dimenticata ed incompresa.
Nella traduzione Cei invece si trova un Abramo non già “nullo” ma “grande” al punto di “ardire”, di sentirsi
all'altezza, nonostante sia < terra e polvere >, di parlare con Dio.
Nessuna traccia del profondissimo messaggio allegorico cui il testo invita e cui ci indirizza Filone, nella lettura Cei
vediamo solo la mitizzazione dell'”io” eroico di una figura quasi certamente mai fisicamente esistita: la “nullità in
sé” dell'uomo qui si perde e si trasforma nella esaltazione dell' “ardire dell'io”.
La “nullità” che Filone ci sottolinea in quella lettura è quella scoprendo la quale noi troviamo quella “nudità senza
vergogna” di Gn 2.25, quella che vedono ed hanno coloro che “passeggiano con Dio” ovvero ciò che avviene per
coloro che sanno portarsi a “non giudicare”, che sanno vedere di “non essere in sé”.
I FIGLI DELLA SPOSA E QUELLI DELLE SCHIAVE
Approfondirò qui, con una visione allegorica diversa e lontana dalla analisi, sempre allegorica, che arriva a farne
Paolo in Galati 4.22-26, il tema interpretativo dei diversi destini dei figli di Abramo: quelli della “sposa” e quelli
delle “schiave”, destini in cui anche Paolo vede una “allegoria” dei diversi cammini umani.
< Abramo diede tutti i suoi beni a Isacco. Quanto invece ai figli delle concubine...li licenziò mandandoli lontano da
Isacco suo figlio, verso il levante, nella regione orientale >(Gn 25.5,6)
In questi passi che dicono del “figlio della Sposa” che “erediterà tutto” e dei figli delle “schiave” che “non hanno
eredità”, si dovrà vedere il cammino degli uomini che “vedono”, o “non vedono”, la “unione” tra la propria
“incontaminata” anima, così Sposa, e lo Sposo ovvero Dio, l'Assoluto :
--- nel destino del figlio di Sara, si vede il destino degli uomini che si sono portati ad essere “figli della unione” tra
la, unica, “Sposa” e lo “Sposo” ovvero coloro che, senza “io”, vedono l'Anima, personale ed universale al
contempo, consegnata-legata allo “Sposo”, Padre-Assoluto-Jhwh, anziché all' “io”.
Questi sono i figli che “erediteranno” i “beni” del “Padre”, ovvero l’ Eternità dell'Assoluto.
--- nel destino invece dei figli delle, non uniche, “schiave” Agar e Chetura, si vede il destino degli uomini che,
separati nei propri “io”, con “proprie” e così “diverse anime”, non vedono quella “unità”.
Questi sono i figli di quella “schiavitù” che nasce col “peccato dell’ io” e che vede le anime, con parole bibliche,
non già “Sposa” unica ma “prostituta” consegnata alla materia, agli amanti, ai falsi idoli, e non allo “Sposo”.
Questi non avranno eredità alcuna dal Padre, non vedranno l'Eternità dell'Assoluto.
LA DOLCE SPOSA-VERGINE
Quella “essenza” spirituale, Anima, Loto ecc., che le Scritture ci dicono deve essere -Vergine- Sposa del Padre
Sposo e che è dolce come “miele e latte”, in questa nuova lettura la si vedrà anche, oltre che in Veda, Upanishad ed
131
quarta parte
in Esiodo, nelle parole di Sansone, di cui più sotto dirò, come pure nel Cantico dei cantici ed in Osea, testi tutti che a
“quella” Sposa in allegoria sono dedicati:
< quel miele…fece bipedi..fece quadrupedi; facendosi uccello egli penetrò.. in loro.
Nulla esiste che da lui non sia avvolto e riempito > (Brhad-aranyaka Up. 2.IV.18)
< sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto (dalla schiavitù spirituale- ndr)
e farlo uscire verso un paese bello e spazioso…dove scorre latte e miele..
dove si trovano Cananei, Hittiti, Amorrei, Perizziti, Evei, Gegusei > (Es 3.8)
< le tue labbra stillano miele vergine, o Sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua > (Ct 4.9)
< sulla sua lingua bontà e dolcezza, suo marito non è più dei comuni mortali > (Sir 36.23)
< (l'empio, il perverso)..non vedrà più ruscelli d'olio, fiumi di miele e fior di latte >(Gb 20.17)
Come già detto quel “paese promesso” lontano da ogni fisicità in sé, è condizione, se pur anche fisica, conseguente
all'esodo-conversione-resurrezione che ci vede partecipare di un Assoluto di cui anche la fisicità tutta, i “sensi” e ciò
cui essi portano, fa parte. È un “paese” che è l’ Eden “condizione” mentale e spirituale prima, ma anche appunto
fisica, in cui ci si ritrova se liberi dalla schiavitù dell’ “errore”, l'Egitto: è la “condizione” in cui scorre il latte ed il
miele della “Sposa” divina, la condizione nella quale si “passeggia con l’Assoluto”.
È al ritrovamento di quella “Essenza”, di quella anima che così, a quel punto, sarà Vergine e Sposa, è a questo
“cambiamento di mentalità-esodo-conversione”, vera “resurrezione”, ciò a cui tutti i Profeti, in vario modo,
inviteranno Isra.El, l’universale popolo “contrario al Dio”:
<.. formatevi un cuore nuovo e una Ruah (spirito) nuova. Perché volete morire o Isra-El-iti > (Ez 18.31)
GIACOBBE - ISRAEL
Il doppio cammino umano più sopra visto della allegoria “figli della Sposa-figli delle schiave”, viene riproposto poi
o forse continuato con la doppia discendenza di Isacco, cioè con Esaù e Giacobbe; cammino e destino che vedrà
Giacobbe, figlio “minore”, aiutato da una “madre-donna” che ci dice di una “natura” che così porta a prevaricare,
soppiantare e marginalizzazione il figlio “maggiore” Esaù.
Dei due figli, Giacobbe ed Esaù, che Rebecca sposa di Isacco porta in seno dice la Torah:
< Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli…
uno sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo> (Gn 25.23).
Si rende qui necessaria una importante precisazione: Giacobbe, come sappiamo e come vedremo, sarà poi dichiarato
Isra-El ed è importante ricordare che, come già detto in precedenza, il termine Israel “etimologicamente” è “nemico
di Dio, contrario al Dio”, colui che combatte Dio”.
Lettura etimologica questa che è confermata da un indubbio esperto in materia quale il prof. Mario Pincherle ma
anche da altri secondo quanto si legge nel merito anche su Wikipedia. Una lettura purtroppo poco o per nulla
seguita e ricordata ma che invece ritroveremo spesso in queste righe.
Tornando alle parole sopra citate di Genesi, esse ci dicono che i figli “più grandi”, più vicini all'Assoluto, saranno
coloro che, per molto tempo, finiranno col restare sottomessi e nel servizio di coloro che sono “piccoli”, lontani e
“contrari a Dio” come è Giacobbe che sarà appunto Isra-El.
Nel solco degli stessi insegnamenti di tanti passi delle Scritture e di tante Apocalissi-Rivelazioni, queste righe ci
dicono che i figli “maggiori”, quelli “più vicini” dal Padre, sono quelli che finiranno per “servire” i più forti ma più
piccoli, “minori” e “lontani” da Lui .
E i “maggiori” saranno umili servitori sino al giorno del riscatto; dice infatti Jhwh agli Esaù:
< Ecco, lungi dalle terre grasse sarà la tua sede e lungi dalla rugiada del cielo dell’alto…
servirai tuo fratello…ma poi.. spezzerai il suo giogo dal tuo collo >(Gn 27.39).
In questa “nuova” lettura rientra perfettamente la lotta di “questo” Giacobbe con Dio, lotta che non può che avvenire
in una “buia e senza Luce notte”, lotta e tempo che vedrà vincere l'umanità Isra-El:
< Lasciami andare…non ti chiamerai più Giacobbe ma Isra-El
poiché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto >(Gn 33.27).
Non vi è Luce in quei tempi, è notte, ci dicono quei passi della Genesi, quando l'umanità “contraria al Dio” è in lotta
con l'Assoluto. Potrebbe sembrare assurdo questo quadro di un Dio che è, se pur momentaneamente, vinto, ma
quelle frasi sono chiare.
Il tema della possibilità, da parte di una grande forza-volontà umana, personale o collettiva, di condizionare
l'“Accadere”, di modificare il corso Armonico dell'esistenza, vincendo momentaneamente ed apparentemente
l'Assoluto-Uno, è tema peraltro visto anche in Grecia nei poemi Omerici e forse anche altrove.
132
quarta parte
Ritornando alla “traduzione etimologica” di Isra-El possiamo, in questo passo di Genesi, vedere con chiarezza una
conferma alla poco nota traduzione di cui ho detto: in essi si evince che quel “ nome”, Isra-El, è dato “per dire,
segnare” una umanità che < combatte Dio > ovvero quindi la umanità che è: “contraria-nemica di Dio”
Poco spazio a me sembra che resti per ogni diversa lettura o interpretazione: Genesi parla con molta chiarezza ed
anche il fatto che questo “universale” popolo contrario al Dio, lontano dal Dio, sia nella Torah dichiarato “popolo
prediletto” ben si spiega con le parole che Gesù ci dice nella parabola “della pecorella smarrita”: è festa al suo
ritorno-correggersi.
Con altrettanta chiarezza poi Genesi ci dirà di ciò che avverrà più avanti, quando anche l'umanità Giacobbe-IsraEl
saprà “ascoltare” l'Assoluto in quell'invito, già fatto ai tipi di Abramo ed Isacco, di dirigersi al “paese-condizione”
che Egli gli indica : un ascolto che -seguirà- la “visione-comprensione” di un nuovo Assoluto-Jhwh :
< (Giacobbe) ..fece un sogno: una scala poggiava sulla terra,
mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa.
Ecco Jhwh gli stava davanti...> (Gn 28.12,13)
E a quel punto la contrarietà all'Assoluto, la progenie di Isra-El, non sarà più, vedrà Jhwh, l'Assoluto :
< ..allora anche la progenie di IsraEl cesserà di essere un popolo davanti a me per sempre..rigetterò tutta la
progenie di IsraEl per ciò che ha commesso..>(Ger 31.36,37)
Ma, vedremo che ci dicono unanimemente le Scritture, Gesù e tutto il mondo antico, durissimo sarà il passaggio
perché si arrivi a compiere tutto ciò.
LE DODICI TRIBÙ
Continuando su questa strada di lettura degli “allegorici” significati, si potrà poi vedere nelle dodici tribù di Isra-El,
ciò che dovrà vedere il cammino dell'universale popolo di Dio.
Le dodici, cosmologiche e zodiacali, “caratteristiche” che nascono nella contrarietà all'Assoluto, nell'universale
popolo Isra-El contrario al Dio, sono “figli” che sono “sentimenti, pensieri e forze” che permeeranno una umanità a
lungo lontana dall'Assoluto.
Sono dodici diversi modi di opporsi all'Assoluto che si allargano a tutta l'umanità, sono ciò di cui ci dice la Scrittura
in Dt 32.8 :
< Quando l'altissimo divideva i popoli, quando disperdeva i figli dell'uomo-adam,
egli stabilì i confini delle genti secondo il numero degli IsaEliti >
C'è Giuseppe che sarà < germoglio …presso una fonte >, sarà “germoglio” e non ancora “pianta” alla fonte delle
acque della Vita.
Tra quei dodici vi sarà Giuda, < giovane leone > forza che guiderà correttamente ma senza “mostrare e fare vedere”,
guiderà < con il bastone del comando >, forza e leone destinato a scomparire quando < verrà colui al quale esso
appartiene >, quando l'umanità Isra-El saprà vedere il Vero di cui quella forza deve essere strumento.
Vi saranno Simone e Levi che < sono strumenti di violenza > che < con “ira” uccidono uomini... e con “passione”
storpiano i tori >.
Vi sarà soprattutto Dan che dice dell'errore di colui che “giudica” e pensa quindi di “essere in sè”: sarà l'errore più
grave, terribile e pericoloso al punto che Giacobbe, alla fine del suo cammino, arriverà ad “augurare” a Jhwh che lui
stesso, Jhwh, possa salvarsi nella lotta che Dan, quell'errore, inevitabilmente produrrà:
< io spero nella tua salvezza, Jhwh >(Gn 49.18)
Anche questo passo della Torah ci dice che proprio contro “questo errore” l’Assoluto lotterà, lo stesso errore che
ritroviamo come “causa”, per una similitudine tragicamente non vista, di quelle lotte e disastri di cui tutta la
letteratura Apocalittica, anche non Giudaica, ci dirà.
Quell’errore così diviene quell' “uomo iniquo” (2Ts 2.3-8) che Paolo nelle Scritture vedrà ma non comprenderà.
Anche nelle dodici tribù di Israel poi come nei dodici apostoli di Gesù o nei dodici compagni di Mitra, non si può
non vedere quel legame “cosmico” che l'umanità porta in sé, una umanità che “al” cosmo legata è da esso anche
“caratterizzata”.
Legame che si vede anche, secondo quanto insegna R. Guénon nei suoi testi, nella tradizione culturale Indù che vede
dodici Aditya che :
<...(sono) dodici forme del sole che dovranno tutte simultaneamente
comparire alla fine del ciclo, rientrando in quel momento nell'unità essenziale della loro natura comune, poiché
sono altrettante manifestazioni di un'unica e indivisibile essenza, Aditi, la quale corrisponde all'essenza una
dell'Albero della Vita...mentre Diti corrisponde all'essenza dell'Albero della Conoscenza del bene e del male ..>
(R.Guénon, Il Simbolo della Croce, L'Albero di Mezzo)
Una cosmicità, quella cui è legato l'uomo-umanità, che nella Torah così espressa era ben dichiarata ed evidenziata
anche nei paralleli testi di Enoch.
133
quarta parte
ESODO ed EGITTO
In questa nuova lettura si dovrà vedere, nei racconti sulla schiavitù in Egitto, che “Egiziani” sono allegoria di ciò e
coloro che “opprimono” rendendo “schiave” le anime con l'induzione all’ “errore”: allegoria di ciò e coloro che
creano “disarmonia”, una disarmonia che sempre, divinamente, procura disastri e malanni, “flagelli”.
Questa visione allegorica degli Egiziani, di cui limpidamente dice anche Filone A., è chiarissima in Ezechiele
quando, parlando del suo popolo che ha perso ormai la Verità con la caduta nell'errore della “materialità-io” cui
induce la “carne” e i “grandi”, i “giganti”, egli dice:
< (Gerusalemme)..ti sei prostituita con i figli d’Egitto, quelli che ti sono vicini, uomini “Grandi nella carne” >
(Ez 16.26)
<.i Giganti non avevano nulla di spirituale...perciò la terra si è attirata una grande punizione..> (Enoch Et.CVI.14)
Andando poi oltre in questa lettura, cercando di toccare quel “terzo” livello di lettura delle Scritture di cui ci dice
Origene, livello difficilissimo e profondissimo, si potrà anche vedere come quei racconti mostrino e propongano un
accadimento storico, il passaggio in schiavitù del popolo ebraico in Egitto, come legato ed in certo senso
conseguente all' “errore dell'io” in cui quel popolo Isra-El è caduto: legame e conseguenza che si produce per quella
universale ed in-individuale forza Armonica, Karmica, che è forza di correzione, Legge, Jhwh.
L' “errore dell'io”, è detto nel passo di Ezechiele, porta l'Anima umana Sposa dell'Assoluto Tutto a “ prostituirsi”
con la “materia”, con la < carne >.
Apro un piccolo inciso per ricordare che quello della “prostituzione” dell'anima o, seguendo Euripide,
di quella -immagine- di essa che l'uomo si crea, <...fantasma dotato di respiro... vuoto
miraggio...>(Euripide, Elena), è una delle molte figurazioni, assieme ad “adulterio”, “schiavitù”
“malattia” e “sonno”, che ci dicono della condizione dell'uomo che è “nella caduta all'io-materialità”.
È tema di cui ci parla anche, in modo straordinariamente limpido quanto incompreso, Osea con le sue
liriche immagini della “Sposa”, Anima individuale ed universale al contempo, che quando si lega alla
materia, quando si stacca dallo Sposo Assoluto, quando, “adultera” o “prostituta”, cade nella
materialità, insegue < amanti > che le danno “suoi-propri”, di lei così separata, < beni >.
Nel passo riportato di Ezechiele si mostra con chiarezza, seppure in modo sotteso, che l'avvenimento dell' “esodo” è
allegoria della “uscita dell'uomo” da ciò che lo mantiene in condizione di “prostituzione” dell'Anima, da ciò che fa
restare nella condizione di “caduta alla materialità” uscita che gli permetterà di arrivare e portarsi alla condizione di
“figli di Dio” :
< Quando Isra-El era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio..>(Os 11.1)
Egitto è condizione dalla quale l'umanità < giovinetta > ovvero immatura deve passare, sembrano dirci quelle
parole, ma è condizione che anche l'uomo “giovane”, ovvero nella prima parte della sua vita, necessariamente vede
stando anche alle parole di Gesù :
<..se uno non “rinasce” ...da vecchio ...non può entrare nel Regno..> (Gv 3.4,5)
E i vangeli poi ci dicono, con la cosiddetta “fuga in Egitto”, che anche Gesù è stato portato, da giovanissimo, alla
condizione di Egitto, condizione dalla quale Egli uscirà con quell' “esodo-passaggio nel deserto” in cui ha
combattuto e vinto il “demone-separatore”, la forza che porta alla separazione nell' “io”.
L'esodo è un passaggio, deserto, che vede la morte, la fine, dell'Egitto, di Faraone e dei suoi uomini e la fine anche
della condizione di “schiavitù-prostituzione-adulterio”.
Questo è l' “esodo” che ci descrive il Pentateuco, ma sulla importante allegoria del “deserto”, lo stesso da cui passò
Gesù, più avanti avrò modo di ritornare.
La incomprensione e la non visione che il racconto dell' “Esodo” è allegoria dell'“esodo dell'uomo dalla condizione
spirituale di schiavitù e prostituzione”, come chiaramente ci è detto nelle Scritture e come Filone ci ha sottolineato,
nelle varie tra-duzioni farà diventare un “mare sof” ovvero il “mare della fine”, dapprima un “mare suf” o “mare di
canne” ed infine il “mare suph” cioè “mar rosso”.
L'uscita della umanità da quella condizione, ci dice ancora Esodo, non potrà vedere l'immediata “comprensione”
della Verità :
< Quanto Jhwh ha detto noi lo faremo e lo ascolteremo >(Es 19.8)
questo è quanto dice il popolo Isra-El a Mosè che presenta loro i “comandamenti-insegnamenti-principi-Verità”.
Non capace di comprendere, non capace di “ascoltare”, l'umanità contraria a Dio prima unicamente potrà e dovrà
ciecamente, duramente e forzatamente, “fare-ubbidire” a quei “principi-comandamenti” : solo dopo, solo più avanti,
essa sarà in grado di “capire-ascoltare” la voce di Jhwh.
Non vedere tutto questo è “non comprendere” ciò che quei testi vogliono, al fondo, dire e fare capire.
134
quarta parte
I TEMPI DELLA CORREZIONE
Apro queste poche righe che sono unicamente una sottolineatura ricordando che le Acque di Vita che ritroviamo in
tutto il mondo antico sono le stesse acque del Diluvio: sono Acque di Vita che cancellano l’ “errore”, che annullano
la “morte spirituale” e che portano quindi la Vita.
Qui, solo accennando al capitolo per me osticissimo di una numerologia di cui sono colme Legge e Profeti come
tanta altra letteratura sacra antica, vorrei dire dei “tempi della correzione”.
La correzione dell' “errore”, ed anche il racconto del Diluvio di questo ci dice, avviene in tempi che sempre vedono
un enigmatico “quattro” che sembra perciò, ricordando anche la non inusuale nefasta nomea che fino ai nostri giorni
accompagna quel numero, il tempo necessario per la “morte”, qui morte dell' “errore”.
Tempi di una morte che vede conseguentemente la Vita in cui sfociano: il ritrovamento della Verità.
Vediamo infatti nelle Scritture che sono:
-- < quaranta giorni e notti > quelli in cui scendono le acque del Diluvio,
-- < quaranta anni > quelli che passa nel deserto il popolo Isra-El per ritrovare Dio,
-- < quattrocento anni > quelli della lontananza dei discendenti di Abramo dalla “terra in cui scorre latte e miele”,
-- < quattro generazioni >, quelle che servono, una volta prodotto l'errore-peccato, per liberarsi di esso, per farlo
morire;
-- < quaranta giorni e notti > quel tempo di lotta passato da Elia e da Gesù in un “deserto” che permetterà loro di
vincere il demonio, ovvero di vincere la spinta alla diabalein-separazione e così annullare, ovvero “fare morire”, la
“morte spirituale”.
BABILONIA
Nel racconto-mito della Torre di Babele che troviamo in Genesi si potrà forse vedere che il:
< parlare una sola lingua, e avere le stesse parole >(Gn 11.1)
ci dice di una umanità che, quando è vicina all'Assoluto, nell'Eden ovvero vicino all'Oriente della Vita, ha “una sola
coscienza” e nessun separato “io” ovvero ha “una sola” lingua e le “stesse parole”.
Dicono quelle righe che < Emigrando dall'oriente >(Gn 11.2) ovvero nell'allontanarsi dalla sorgente della Vita per
avvicinarsi quindi alla “morte”, l'uomo comincerà ad edificare una “propria” < città e torre >, e cioè a costruirsi
l'“io”, con < mattoni >(Gn 11.3) fatti con le “proprie” mani e non già con quella < pietra grezza > che è quanto è
Assoluto , ciò che non vede alcun “io”.
Egli così finirà per fortificarsi in quell'errore : si costruirà < una città >(Gn 11.4) ovvero ciò che protegge e fortifica
quell' “io” che quindi costruirà < una torre la cui cima tocchi il cielo > (Gn 11.4) ovvero vorrà, in quella
condizione ,“far-si” Assoluto, “portar-si”, quale “io”, all'Eterno-Eternità.
Quella condizione è pericolosa: pensando e parlando in -tale- “unico ma errato” modo l'umanità, su quella strada e
condizione, potrebbe restare in “eterno” ovvero potrebbe :
prendere <.. dell'albero della Vita.. >, <.. opera..(e) progetto.. > che in quelle condizioni
<..non sarà loro impossibile >(Gn 11.6).
Affinché l'uomo non arrivi a tanto, affinché non resti in quella condizione in eterno, l'Assoluto < confuse la loro
lingua >(Gn 11.7): i sentimenti umani non saranno più unanimi, le lingue ovvero la capacità dell'uomo di “dire,
sentire e capire”, non saranno più identici, l'umanità prenderà strade varie e diverse, le doxa-opinioni lontane dalla
Verità :
< ..si disperderanno su tutta la terra.. cessando di costruire la città ..>(Gn 11.6).
In Babilonia così, “divinamente”, sorgeranno “ideologie e religioni, la separazione”, ciò che si ha con il “farsi io”
che è “darsi ad altro” rispetto al Dio.
Ma quella condizione non è più “città”, non è più protetta: la forza di quell'errore non sarà più -inespugnabile- città,
la correzione potrà avvenire.
É di questi ultimi aspetti, di quella forza e allegorica “città”, che, vedrò più avanti nel tempo e vedremo alla fine di
queste righe, Giovanni, nascostamente quanto la Torah, nella sua Apocalisse cercherà di dirci.
IL DIO VOLITIVO
Questa nuova lettura delle Scritture ci riconcilierà finalmente con tante frasi che “letteralmente” non possono essere
da alcun Dio, sarà così che la frase:
< ..userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà con chi vorrò averla.. >( Es 33.19)
diviene l’invito ed insegnamento ad accettare quell’Accadere, Karma o Armonia, che è parte, forza e principio dello
stesso Assoluto; insondabile ed in-comprensibile se non con i “suoi” occhi ed orecchie.
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quarta parte
E con questa coscienza la frase di Gesù :
<.. colui che di spada uccide di spada muore..> ( Mt 26.52)
diviene il profondo insegnamento che dice che colui il quale con la “forza-spada dell' io” nel corso della vita finisce
per “uccidere”, spiritualmente più che fisicamente, per la “forza-spada divina” forza dell'Assoluto, per la sua Legge,
egli morirà ovvero non potrà vedere l'eternità dell'Assoluto.
L'INDOVINELLO DI SANSONE
Si spiega e si apre, con queste letture, anche il cosiddetto “indovinello di Sansone”, che in Giudici 14.18 dice:
< Dal divoratore è uscito il “cibo”, e dal forte è uscito il dolce.>
affermazione che è confermata nello stesso passo con questo interrogativo che chiude l'indovinello:
< Che c’è di più dolce del “miele”? Che c’è di più forte del leone? >.
Non si può non vedere in queste righe la assonanza ed il ripetersi degli stessi termini sia con la cultura Indo-Aria che
con quella Egizia, ma non solo.
La dolcezza di “latte e miele” della Sposa delle Scritture Giudaiche che nella cultura dei Veda e delle Upanishad è
dolcezza di “miele ed amrita”, per entrambi caratteristica che sostanzia da un lato l’Anima individuale, che
“personale” non è, e dall'altro dell’Anima universale di cui la prima non può che partecipare.
È la stessa dolcezza che, vista in allegoria anche quale “bevanda”, “Latte e miele” della Terra promessa nel
Giudaismo, “Soma” per la tradizione Indù, “Rugiada di Luce” emanata dall'albero della Vita per la Qabbalah
ebraica e “Vino dolce di Marone” per Omero, sono ciò che porta alle “grandi ricchezze e prosperità”, ovvero
all'Eterno, nelle tradizioni Giudaica ed Indù, alla resurrezione dei “morti allo spirito” per la Qabbalah e infine ad
effettuare il difficile viaggio di “ritorno” alla Sposa per l'Ulisse Omerico.
Tutte allegorie della stessa Verità.
Il “Leone” poi, in particolare nella cultura Egizia rappresenta la “potenza”, vista anche nella forza della natura, che
“viene ed è” di un Assoluto che, nella sua massima espressione, in quella cultura viene figurata con due leoni
contrapposti: la massima potenza immobile o forse anche potenza fisica e spirituale assieme.
E ancora con l’espressione “cibo” le culture Egizia ed Indo-Aria designano, come anche questi passi di Torah
dell'episodio di Sansone, tutto ciò che, incorporeo e corporeo, sovrannaturale e naturale, è destinato ad “alimentare”
la Vita, l'Eterno riproporsi.
Sansone dice, con quelle parole, di queste Verità e cioè:
- La prima frase ci dice di quell'Assoluto, Sposo, Jhwh che “emana” ed anche “divora” ogni ente-cibo; ci dice di un
Assoluto da cui tutto è uscito e a cui tutto ciclicamente ritorna che è anche quell'Assoluto, unico “forte”, da cui
“esce” la dolcezza, la “Sposa-Anima”.
- La seconda frase dell'indovinello non è poi che la conferma, in forma interrogativa, alla prima affermazione : in
essa si dice e si sottolinea che è l'Assoluto-Jhwh soggetto della prima frase ciò che è “ massima dolcezza” e
“massima forza” -al contempo-.
Una conferma data con un indovinello verosimilmente per non dire di Verità che sono indicibili a chi non le conosce.
IL SACRIFICIO DI ISACCO
E ancora in questa lettura, come già detto, anche la richiesta fatta dal Dio ad Abramo di sacrificare il proprio figlio
Isacco può divenire non già la generica, immotivata ed assurda “prova di fedeltà” oggi vista, bensì l’invito, fatto al
giusto, di dimostrare di avere ben compreso, nel profondo, di “sentire”, la propria inesistenza in sé, il suo non
sentire “proprio” nemmeno il figlio : la in-esistenza al Tutto-Assoluto di ogni essere e cosa.
Prova di “fedeltà” sarà solo nel senso, oggi mai visto, di “attestazione di totale affinità-legame” con l’Assoluto,
attestazione di quella “unione sostanziale” che solo è la vera “fedeltà” e “fede”, quella “unione-giustificazione” che
“vede” l’Unico Essere e la in-esistenza sostanziale ad Esso di ogni esistenza.
Nulla a che vedere con la immotivata e generica, e cieca, “fede-credenza-ubbidienza” oggi vista.
Ad Abramo viene chiesto di dimostrare di avere compreso che nulla e nessuno è di alcuno fuorché di Dio,
dell'Assoluto; di avere compreso che nessuno può sentire o vedere “proprio” alcuno ed alcunché.
Abramo deve dimostrare di avere compreso che nessun “io”, che solo “proprie” cose può sentire e vedere, deve
esistere.
E la inesistenza e vacuità che Abramo dimostra di avere compreso è quella dell’ “io” auto-costruito e rafforzato con
tutti i “suoi beni”, i suoi figli, appunto, ma anche la sua proprietà, sua moglie o suo marito, suo padre o sua madre
ecc.
Tutto ciò si dovrà “amare” senza nulla sentire “proprio”, senza alcun “io” che se ne “appropri”. Questo è, come già
visto, l'abbandono di “padre, madre, casa” di cui parla Gesù.
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quarta parte
GLI IDOLI
In questa lettura di Legge e Profeti anche i tanto citati e deplorati “idoli fatti dagli uomini” divengono certo le statue
ed immagini fisiche dell'Assoluto di ogni tempo, anche di oggi, e di ogni forma ed origine, compreso le immagini
del Gesù-Dio della Cristianità, ma divengono al contempo anche ciò che esse riflettono e di cui sono figura ovvero
ciò che l’uomo “si crea” come idoli: le “sue” cose, pensieri, desideri ecc..: “idoli” tutti che gli servono per mantenere
l’unico e solo “errore” possibile: il proprio “io” - il primo degli “idoli” -.
Gli “dei” cui non bisogna prostrarsi, i Baal ecc., nelle Scritture sono ciò che fa cadere l’uomo nella materialità, sono
gli “amanti” della Sposa-Anima di cui ci dice Osea, Anima che, lontana dallo Sposo-Padre, prostituitasi dice:
< seguirò i “miei” amanti, che mi danno
il “mio” pane, la “mia” acqua, la “mia” lana, il “mio” lino ecc. >( Os 2.7)
Sono quegli “amanti” che l’uomo stesso costruisce grazie al “proprio io” e per il “proprio io”; sono “amanti-dei”
costruzioni dell’uomo che in questo senso sono al contempo:
< lavoro delle proprie mani >(Ger 1.16) e < esseri inutili e vani > (Ger 2.11)
<..Idoli di cera..> con una bella immagine li descrive il PerEmRa nella ben più antica cultura Egizia con mille anni
di anticipo sulle Scritture Giudaiche, ancora e sempre una unità tragicamente non vista o negata.
I DESERTI
Anche sui “deserti” poi molto vi è da dire: essi sono i “luoghi-condizione” in cui “si vede e si ha la morte dell'io”,
sono “condizioni” mentali e spirituali in cui la in-equità, la non-uguaglianza/morte, la condizione di distacco
dall’Assoluto, finisce : i “morti o cadaveri” spirituali qui “cadono”:
<..i vostri cadaveri cadranno in questo deserto... in questo deserto saranno annientati e qui moriranno.. >
(Nm 14.29-35)
“Deserti” sono le condizioni mentali e spirituali in cui si portano e da cui passano coloro che, ascoltando una
“coscienza-voce del Dio” libera da ogni “io-sonno”, compiono quella “traversata-conversione”, -esodo -, che dalla
schiavitù della materialità e dell'“io” li porterà alla Eternità, all'Assoluto, la Terra-Regno in cui scorre “latte e
miele” .
“Deserti” sono luoghi in cui muore “il –proprio- io”, sono le condizioni mentali e dello spirito in cui l'illusione
dell' “io” non può più nutrirsi, “finisce”: sono le condizioni in cui si salva chi “uccide” ogni “propria” cosa, chi:
<..uccida ognuno il –proprio- fratello, ognuno il –proprio- amico,
ognuno il -proprio- parente..>(Es 32.27)
Sono perciò i luoghi da cui, dopo la caduta nell' “io-materialità”, si passa per riavvicinarsi al Dio/divino, in cui si
<..rinasce...da Spirito...dall'alto..>(Gv 3.4,5), quelli in cui grazie alla “con-versione o cambiamento di mentalità” si
“rinasce-risuscita”, si “rivede” la Vita allontanando la “separazione-diabalein”: sono il “deserto-condizione” da
cui passerà anche Gesù come Elia.
È da queste “condizioni mentali e spirituali”, e non da un fisico deserto, che passerà Gesù per allontanare la
“tentazione separatrice e diabolica”, il “pericolo ed errore” che porta all’ “io divisivo e possessore”, lo spirito-forza
che:
< ..gli mostrò tutti i regni del mondo e disse: “tutte queste cose io ti darò”.. >(Mt 4.8,9)
Deserti sono ciò da cui passa la Sposa di Osea per rivedere lo Sposo, quelli cioè da cui, fuori d'allegoria, deve
passare l’Anima caduta nell' “io-materialità”, per rivedere l’ Assoluto:
< la attirerò a me, la condurrò nel deserto..>( Os 2.16)
Deserto è il luogo-condizione mentale e spirituale da cui si passa, per Legge, per Profeti e per Gesù, quando si lotta
per arrivare infine al < monte di Dio > e così “ascoltarlo, conoscerlo e vederlo” :
< ..(Elia).camminò nel deserto per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio..>(1Re 19.8)
< Balaam...voltò la faccia verso il deserto..allora lo spirito di Dio fu sopra di lui
(e così fu ndr) uomo dall'occhio penetrante..che ode le parole dell'Altissimo..che conosce la scienza
dell'Onnipotente..e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi..>(Num 24.1-4)
Questa “condizione” è luogo difficile e duro ed è luogo a cui l' “io-materialità” -non vuole- portarsi sapendo che è
luogo della sua “morte”, della fine della “caduta”: è questo che ci dice Numeri quando, parlando dell'allegorico
racconto di Esodo, ci dice di coloro che dopo avere esplorato per “quaranta” giorni il paese in cui “ scorre latte e
miele” :
< Screditeranno..il paese..dicendo: “..è un paese che divora i suoi abitanti.”.>(Nm 13.32)
Di questo stesso “passaggio-morte che è Vita”, duro e difficile, dirà anche Socrate, nel Mito della Caverna, parlando
di una necessaria “faticosa liberazione” dalle “catene” che ci fanno vedere l'illusione, il parziale, le ombre;
liberazione a seguito della quale si potrà uscire dalla “caverna” della -sola- materialità, dal “mondo” dirà Gesù, da
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quarta parte
ciò che ci induce alla “chiusura nell'io”, per portarsi alla Verità più completa, il materia-spirito assieme , il TuttoDivino, il Sole-Assoluto fonte di ogni cosa . E’ primo necessario e indispensabile passo, questa “liberazione dalle
catene” o “passaggio al deserto” o anche alla “selva oscura” dantesca, per potere “avere le orecchie” che Gesù invita
a cercare e quindi potere vedere il Vero socratico, il Padre per Gesù, il divino di Dante.
Tornerò ancora più avanti su questi importanti aspetti allegorici della Verità.
NUDITÀ E PROSTITUZIONE
A quanto già detto su questo punto, sulla nudità, nelle “Note a Genesi 2.24,25 E 3.7” dell'inizio di questa quarta
parte, aggiungo volentieri quanto segue.
Questo bel concetto, la “nudità”, è anche straordinariamente messo in evidenza, sempre nel Pentateuco, quando ci
viene detto di come “portarsi” al Dio e come deve essere quel “Suo” altare a cui andare :
< Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini,
perché là non scopra la tua nudità.>(Es 20.26)
All'Assoluto, dicono quelle parole, si arriva “nudi”, privi di ogni “io”, con quella coscienza di “propria” inesistenza
che unicamente ci consente di avvicinarci ad Esso, che unicamente ci apre alla in-esistenza all'Assoluto-Tutto.
Rafforza questa lettura, la sola possibile, questa frase posta a ridosso di quella sopra citata:
< se tu mi farai un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata, perché alzando la tua lama su di essa tu la
renderesti profana> (Es 20.25)
Anche in queste frase è espresso il concetto, la Verità, che Jhwh, l'Assoluto, qui visto nel “Suo” altare, non può
vedere alcun “io” con “proprie” volontà: il taglio o la squadratura della pietra dicono di tali volontà “proprie”
dell'uomo, dicono di una “contaminazione”, quella dell' “io”, che toglie ogni possibilità di “vedere” là l'Assoluto:
nessun “altro”, nessun “io” vi è nei luoghi dell'Assolto-Uno-Tutto.
Ciò che l'uomo tocca con quei “propri” strumenti che dicono della “sua-propria” volontà, volontà del “suo io”,
diviene impuro, è profanato: si sporca ciò che è Assoluto, incontaminato, con ciò che è “contrario” all'Assoluto, l'
“io”. Per lo stesso concetto il mondo antico vedrà “reso impuro” il pane, simbolo primo di ciò che l'uomo riceve
dall'Assoluto per la propria Vita spirituale, qualora esso sia “tagliato” con coltello.
Il pane sarà sempre “spezzato” quando ciò si capiva e si voleva dire e come Gesù fece nell'ultima cena proprio per
riconoscere simbolicamente la necessità di non sporcare, di non rendere impuro, per la nostra Vita, ciò con cui il Dio
ci nutre e che il pane simboleggia.
Il tema della “nudità” che l'uomo deve mantenere come abbiamo visto anche in Genesi è poi affiancato e legato al
“vestirsi” dell'uomo: Adamo ed Eva infatti si “vestono” di foglie di fico, di vacuità che costruiscono e sostengono
l'errore dell”io”, quando , per quell'errore, si vergognano della propria “nudità-inesistenza in sé”.
Un passo molto interessante che parla di questo “vestirsi” e di questo “vergognarsi”, passo che chiarisce a fondo il
tema del “divenire bambini” visto da Gesù e da tutto il mondo antico, è il passo del vangelo di G.D.Tommaso che
qui riporto:
< I suoi discepoli dissero: “Quando ti manifesterai a noi e quando ti vedremo?”
Gesù rispose:
“Quando vi spoglierete senza provare vergogna e vi toglierete le vesti e le porrete sotto i vostri piedi come i bambini
e le calpesterete, allora voi vedrete il Figlio di Colui che è Vivente e non avrete più paura” >
(vangelo di G.D.Tommaso l.37)
Vediamo qui come la allegoria del “ritornare bambini” nasca, oltre che nel già visto “nutrirsi-ascoltare” unicamente
dell'Assoluto ovvero del “latte” che scorre nella Terra Promessa-Regno, dalla Verità della necessità per l'uomo di
rivedere una “innocenza”, la “onestà” Stoica, che, “mancanza dell'io”, è il togliersi le “vesti-foglie di fico” che
coprono la purezza della nostra essenza, per -calpestarle- vedendone la negatività.
È il ritorno alla condizione “prima” dell'uomo, quella del giardino di Eden in cui si non provava “vergogna”, dice
anche Gesù nelle parole sopra riportate, per la “nudità-non essenza in sé” dell'uomo.
Una “nudità” che con l'”io”, che di essa invece si vergogna, sarà coperta, vestita, una “nudità” cui l'umanità ritornerà
tutta quando la Verità si svelerà come diceva quel “vangelo degli Egiziani” che ci riporta e di cui ci dice Clemente
Alessandrino:
< quando Salomè interrogò sul tempo in cui le cose da lei domandate sarebbero state rese note, il Signore rispose:
“ Quando calpesterete l'abito della vergogna...> (Clemente A.-Strom. 3,13)
Torno alla “nudità” biblica per sottolineare come, in altre parti ed allegoriche situazioni, nelle Scritture venga detto
che questa “nudità in sé” dell'uomo, nudità che bisogna vedere e riconoscere, debba poi essere “vestita” di ciò che
“è dall'Assoluto”, di ciò che Egli ci mette a disposizione al fine di evitare la caduta nella prostituzione-adulteriodarsi ad altro, la caduta nell' “io-materialità” :
< Jhwh disse a Mosè:..(ad) Aronne, tuo fratello, e ai suoi figli..farai … calzoni di “lino”,
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quarta parte
per coprire le loro nudità... li indosseranno quando entreranno nella tenda del convegno o quando si avvicinano
all'altare, perché non incorrano in una colpa che li farebbe morire > (Es 28.42,43)
<..tornerò a riprendere il mio grano...vino e lino che dovevano coprire le tue nudità >(Os 2.11)
< (Gerusalemme) ..le tue ricchezze sperperate..la tua nudità scoperta nelle prostituzioni coi tuoi amanti >(Ez 16.8)
< Gerusalemme ha peccato gravemente...la disprezzano perché hanno visto la sua nudità >(Lam 1.8)
Gli aspetti che vengono messi in evidenza in questi passi sono da un lato quello della necessità che l'uomo “vesta”
solo di ciò che viene dall'Assoluto e dall'altro del pericolo che, senza tali vesti, egli corre di esporsi alla
“prostituzione”, al “darsi ad altro” rispetto al Dio.
Il tema della prostituzione, a primo avviso relativamente semplice ed immediato in una Legge e Profeti che dicono
di quella “prostituzione” che è il “darsi ad altro” rispetto a Jhwh di una Gerusalemme figura del luogo-cittàcondizione “celestiale” dell'uomo, la condizione di una umanità che vede l'Anima personale-universale, la Sposa,
riportata all'Assoluto, è tema ripreso anche da Simon Mago.
Simon Mago infatti, del quale poco e con poca magnanimità ci dicono unicamente le testimonianze Cristiane, poco
dopo la morte di Gesù percorrerà le strade del Mediterraneo parlando, anch'egli come Gesù, di una “resurrezione”
che lo vedeva portato al “Dio”, all'Assoluto.
Questa “resurrezione”, dicono quei testi, era ottenuta grazie alla “redenzione”, alla salvezza, di una “sposa”, Elena,
“prostituta” lontana da ogni realtà fisica e che era, invece, figura dell'Anima umana che si “prostituisce”, si “dà ad
altro” rispetto al Dio, allo Sposo, e deve essere “redenta”. Con questa Elena, egli precisava, lui voleva dire degli
stessi concetti e Verità di cui parlava nella Iliade la più nota figura Omerica.
Il tema allegorico della “caduta-prostituzione” dell'anima umana, tema che si vede in tutto il mondo antico, si pone
però in modo originale ed interessante nella Iliade di Omero dove si vede un' Elena figura dell'Anima universale non
già “portarsi” all'abbandono dello Sposo, ma “portata” a quella condizione, “rapita” a questo dal “Mondo-Re di
Troia”, a causa della sua “impareggiabile ed irresistibile bellezza”.
Elena-Anima personale ed universale che quindi non già “si porta” all'adulterio ma che a tanto è nell'uomo
“portata”. Il tema Giudaico presente nella Torah della “caduta-allontanamento-prostituzione-adulterio” dell'Anima
o della sua immagine, tema da Simon Mago già dottamente correttamente ben visto anche nella Iliade, diviene
quindi in Omero un “rapimento-legame-unione” a sé che la materia opera a causa della attrazione irresistibile della
“bellezza” dell'anima.
In Grecia autori successivi ad Omero, in particolare Eschilo intorno al V sec.aC, proporranno anch'essi una figura di
Elena-Anima quale “prostituta”, mentre appena prima Stesicoro, per non infangare l'Anima divina, raccontava che a
Troia era andata solo una “immagine” di Elena. Euripide, sempre nel V sec.aC, dopo avere nelle “Troiane”
presentato un'Elena “prostituta”, ispirandosi a Stesicoro nel suo “Elena” ci presenta la figura di una Sposa-Anima
che rimane fedele ma triste per la lontananza dello Sposo : il dio Ermes infatti aveva, in Egitto, nascosto lei, Elena, e
aveva poi creato un <..fantasma dotato di respiro..un vuoto miraggio..> ed era questo che, all'insaputa di tutti, era
andato con Paride a Troia.
Come ultima nota sul tema vuole sottolineato che della “prostituzione” dell'Anima, o del suo fantasma-immagine
dall'uomo creato, ovvero del “darsi ad altro dell'uomo rispetto all'Assoluto”, parla in modo straordinario quanto
difficile la Apocalisse di Giovanni. Qui però le allegorie si complicano e si sommano e solo alla fine di questi
scritti cercherò e saprò avvicinarmi a quei testi.
L'ALTARE DI DIO
La chiamata in causa, fatta nel capitolo appena chiuso sulla “nudità”, delle caratteristiche che deve avere l'altare del
Dio, delle indicazioni che Jhwh dà a Mosè secondo Esodo 20.22 e seg., mi danno l'occasione per aprire una
parentesi che oltre a constatare e riflettere sul fatto che gli odierni altari sono molto lontani da tutto ciò, vuole
soprattutto dire di uno straordinario monumento, altare, quasi dimenticato che solo verso la fine di questi scritti ho
avuto modo di scoprire e vedere. Si tratta dell'altare di Monte Accoddi in Sardegna.
Credo che sia un monumento di una importanza grandissima, mondiale, importanza forse non vista a pieno,
monumento purtroppo non valorizzato e non debitamente protetto, dalle intemperie in particolare: spero che le
autorità competenti riescano ad occuparsene con particolare attenzione.
Questo altare è “costruito con le prescrizioni che il Dio, Jhwh, dà a Mosè”: esso è fatto con <terra> e <pietre non
tagliate> e vi è una bellissima lunga rampa di accesso che evita di <scoprire la nudità > che “deve” avere chi vuole
avvicinarsi al Dio.
< Farai per me un altare di terra e, sopra, offrirai i tuoi olocausti e i tuoi “sacrifici di comunione”,
le tue pecore e i tuoi buoi. Se tu mi farai un altare di pietra, non lo costruirai
con pietra tagliata, poiché alzando la tua lama su di essa tu la renderesti impura.
Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini...(Es 20.22-26)
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quarta parte
L' altare di monte Accoddi è un altare su cui venivano offerti < olocausti e ..sacrifici di comunione,..le pecore e i
buoi >(Es 20.24), sempre come prescriveva Jhwh, sacrifici testimoniati dalla bellissima pietra sacrificale posta a lato
della rampa.
Questo monumento, del 3500 aC circa, testimonia e dice che quel sentire e quelle Verità e credenze che ci sono dette
nella Torah sono universali ed ancestrali e qui sono testimoniate con le “parole” degli oggetti e dei manufatti come
solo era prima della parola scritta, con 2500 anni di anticipo rispetto a quei testi.
Ma quel monumento è ricchissimo di altre informazioni che, per l'epoca in cui nascono, aumentano la sua
straordinaria importanza.
In esso infatti ai piedi dell'altare dell'Assoluto troviamo i “due principi-caratteristiche” che in esso sono, il
“maschile” rappresentato dal Menhir in granito posto “a sinistra” ed il “femmineo” rappresentato da uno
straordinario Omphalos posto “sulla destra” all'inizio della rampa.
Ma ancora non sono certo casuali i “tre” massi su cui poggia la pietra sacrificale, ed i “sette” fori che sulla stessa
pietra permettevano di tenere gli animali sacrificati e che al contempo facevano defluire il sangue.
Il sangue dei sacrifici poi veniva “riportato alla terra-polvere” grazie ad una apposita “camera di dispersione” posta
centralmente sotto la pietra sacrificale, camera a cui il sangue affluiva grazie ad un foro nel terreno.
Anche questo ci verrà detto dalle Scritture Giudaiche dopo 2500 anni:
< ..il sangue lo spargerai a terra..>(Dt 12.23)
Ripeto, l'importanza di questo monumento, qui sotto ricostruito in una bella figurazione, è enorme e spero che chi di
competenza riesca a rendersene conto ed a proteggerlo e mantenerlo a dovere.
Altare di monte Accoddi (disegno Francesco Carta)
140
quarta parte
IL FEMMINEO-DONNA
Nella Torah, con “Eva-donna” che porta l’uomo-umanità-Adam a mangiare-nutrirsi di ciò che gli provoca la
“morte”, troviamo un concetto, visione e Verità, che, ripreso dai Profeti ma male interpretato ed incompreso dalle
tre religioni monoteiste, ciecamente riverserà colpevolezza sul genere femminile, sulle donne.
Le Scritture con Eva che ascolta il serpente ma anche con l’immagine della “donna” che nasce dalla “costola”
ovvero dalla “parte materiale-yin dell’uomo”, dicono della “femminea Forza”, legata alla materia-mondo-serpente,
che induce e porta l'uomo dalla condizione “edenica-Una” di “Figlio di Dio-Logos” alla “separata” condizione di
“io-materialità”, alla condizione di “caduta-uscita dall’Eden”. Una condizione che diviene causa delle inaudite
distruzioni spirituali prima e fisiche poi di cui dicono i tanti e vari testi apocalittici lasciatici dal mondo antico.
Eva, figura riportabile anche alla parte “bassa-sensibile” dell’animo umano, legata e condizionata da una “materiamondo” che “invita alla separazione”, è “Forza” che induce l'uomo a “farsi io”, a vedersi “essente in sé” e a
“giudicare del bene e il male” portandosi così alla “morte spirituale-separazione”, alla perdita della condizione
divina, alla perdita del Regno in cui “si vede”, in cui <..passeggia..>(Gn 3.8), Dio, il divino.
E questo procurerà i dolori e disastri che descrivono Torah, Profeti ed i tanti testi apocalittici del mondo antico tutto:
comprensioni “filosofiche”, tutte, delle quali dirà anche Giovanni nella sua Apocalisse, con la “femminea” Grande
Prostituta, oltre a Gesù che li dichiarerà “necessari” ovvero “fatale-necessario accadere-portarsi umano”.
Un accadere del quale nell’VIII-VII sec. aC diceva pure Esiodo, come meglio vedremo più avanti, con Pandora,
“donna”, che porta i “mali” all’uomo e con il terribile Tifeo, “forza umida” egli dice, figura quindi della
“femminea-yin forza distruttrice” della quale, ancora in Grecia, dirà pure la Dea Echidna dal corpo “serpentiforme”
dalla quale nasceranno “mostri pericolosi per la vita dell’uomo”: Cerbero, Idra, Sfinge, Chimera le Arpie ed altri.
La Torah esprime lo stesso concetto e parla di quello stesso accadere, abbiamo visto, anche dicendo che è quando:
<...i Figli di Dio videro che le “figlie degli uomini” erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero...>
ovvero: è quando l'umanità “figlia di Dio”, figlia-legata ad un Assoluto assieme “maschio e femmina, spirito e
materia”, si unisce-lega con le belle-piacevoli-materiali-femminee opere e volontà “generate-figlie” di “caduti
uomini-adam”, che iniziano a nascere i <..Giganti...gli uomini Famosi..> per la cui <..malvagità..> si avrà,
divinamente-fatalmente-necessariamente, la <..distruzione..diluvio..>(Gn 6.2-17).
E identicamente dice Enoch che afferma:
<...gli angeli che hanno lasciato... il luogo santo eterno, e si sono contaminati con donne, e hanno (quindi ndr)
agito come fanno i figli della terra.. hanno portato grande distruzione sulla terra..>(Enoch Et. XII 4).
E, parlando di questa “donna - forza di separazione”, Enoch dirà che essa è “forza” che a causa del suo stesso agire
ed operare finirà per essere improduttiva ed inoperante:
<..la sterilità non è stata data alla donna, ma, a causa delle azioni delle sua stesse mani essa muore senza figli..>
(EE XCVIII.5)
L’uomo-umanità caduto all’io-materialità, “figlio” di quella “femminea forza-donna”, a seguito dei disastri che
quella sua condizione produrrà giungerà infine a capire il proprio errore ed a correggersi rendendo così sterile quella
“femminea forza donna”.
Questa visione e raffigurazione in una “figura femminea” di ciò che porta l'uomo all' “io-separato”, a quei “figli
degli uomini o della terra” che porteranno disastri e distruzione, ci dice di una “ femminea-yin forza divina”, giacché
<..maschio e femmina..> è Jhwh-Elohim, che lasciata sola, non equilibrata con il “maschile-yang” ed esasperata, è
deleteria: una “femminea forza divina” che è insita alla natura sia dell'uomo che della donna anche se certo è nella
donna che essa generalmente si esprime con più forza. Senza opposizione quella “ femminea-yin forza” finirà per
produrre disastri terribili ma essa, forza“divina”, è necessaria al genere umano, al suo buon vivere: dovrà solo
essere vista, capita e -messa in equilibrio- con quella “maschile forza divina-yang” anch'essa a tutti, uomini e donne,
presente.
Essa è “forza” che è legata ad un“serpente”,“mondo-natura-sensibile-materia”, del quale René Guénon dice:
< Questo Nahash non è affatto una causa esteriore all'uomo, è in lui... istinto di separatività, in virtù della sua
natura, che è di provocare la divisione, spinge l'uomo ad assaggiare il frutto dell'albero della Conoscenza del Bene
e ed Male, ovvero a creare distinzione fra il Bene e il Male >(R.Guénon, Il Demiurgo e altri saggi)
Tutto ciò incompreso si produrrà una errata e fuorviante con-fusione tra “sensibile-materia” e “materialità-io”.
Il “sensibile-materia”, il corpo umano generato dalla donna, già con Pitagora ed Empedocle prima e poi Platone sarà
visto quale “prigione dell'anima”, una connotazione forte che porterà ad una errata visione del corpo ma, qui solo
accennando ad un tema che esula da questa analisi, connotazione che, si può forse dire, non era in origine espressa
ed intesa secondo quella sua negativa visione e lettura che oggi è vista ed insegnata. Avverrà che un “sensibilemateria-femmineo-yin” che è “divino” quanto l'“intelligibile-spirito-maschio-yang” sarà confuso con la negativa,
questa sì, “materialità-io-separazione” in cui l’uomo-umanità cade a causa della non visione e dimenticanza della
propria indivisa, Una ed unica, natura “spirituale e materiale”.
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quarta parte
Il tema sarà non capito e strumentalizzato: l'incompresione del “sensibile-corpo” e di quella natura “femminea-yin
donna” che uomo e donna indifferentemente, assieme alla “maschile-yang”, portano in sé, ha portato alla
discriminazione della donna. Avverrà che parole quali quelle che seguono, che solo dicono della pericolosità di
quella “femminea-yin forza”, saranno viste, e questo fino ad oggi, contro le donne :
<..la donna che tu mi hai posto accanto, mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato..>(Gn 3.12)
< trovo che amara più della morte è la donna: essa è tutta lacci, una rete il suo cuore,
catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge, ma chi fallisce ne resta catturato > (Qohelet 7.26)
<..uccidete ogni donna che si è unita con un uomo..> (Nm 31.17)
La storia purtroppo ci dice che lentamente e drammaticamente, in modo ineludibile quanto diffuso nel mondo intero,
crescerà una in-connotata negatività della donna che si è trascinata sino ad oggi, sorretta anche da una Cristianità
che, oltre alle Scritture giudaiche, non ha saputo capire nemmeno Gesù.
Come meglio vedremo più avanti, al capitolo “La donna e la Madre per Gesù” della 11° Parte di questi scritti,
Gesù, infatti se pur nascostamente e per chi ha orecchie come sempre, ha detto tutto ciò: “donna” nella accezione
biblica qui vista di “femminea-yin forza”, forza-Eva che induce e porta l'uomo all' “io-materialità”, Egli infatti
dichiarerà sempre sia sua madre Maria, alla quale si rivolge dicendo <.. Cosa a me e a te, donna ?..>(Gv 2.3;
Nestle-Aland) e <..Donna, ecco tuo figlio..>(Gv 19.26,27), che la maternità di Giovanni Battista:
<..tra i nati di “donna” non è sorto uno più grande di Giovanni Battista...>(Mt.11.11)
E “donne” nella stessa accezione sono anche quelle delle quali, parlando di quegli ultimi tempi in cui finalmente
capiremo, dei tempi in cui si svelerà <..l'abominio della desolazione..> ovvero i tempi in cui l'orrore in cui cadremo
ci porterà a vedere l'errore di quella incontrollata forza-yin, Gesù dirà :
<...guai alle “donne” incinte e che partoriranno in quei giorni...>(Mt 24.19)
< Alla domanda di Salomè : “Fino a quando avrà potere la morte?”, Gesù rispose: “Fino a quando voi “donne”
partorirete” > ( Vangelo degli Egiziani – Clemente Alessandrino, Strom. 3,6)
Gesù, come meglio vedremo al capitolo sopra menzionato, con quell'appellativo e con quelle parole non diceva certo
di alcuna “non generazione” umana : Egli voleva dire ed insegnare quanto è nelle Scritture per come sopra appena
visto: dice della fine del generarsi di “uomini caduti-figli dell’Adam”.
Quale nota finale rileviamo poi che le Scritture tutte, e non solo, a questa “donna-femmineo-yin”, forza archetipaledivina che è del genere umano tutto, di maschi e femmine, vedono contrapposta la altrettanto archetipale-divina
femminile “Ruah-Spirito Vento Santa”, la “Madre” dei “Figli di Dio”, ciò che porta l’uomo ad uscire dalla
condizione di “caduta all’io-materialità”. Su questo tema, qui solo accennato, vedremo e diremo più avanti, al
relativo capitolo nella 6° Parte del testo.
I GIGANTI
Una grande incomprensione che dice a mio avviso di una colpevole cecità, è quanto già in precedenza in “Note a
genesi 6.1,2 e 6.4” anticipato sui “giganti” di Genesi, figure totalmente incomprese.
La incomprensione di quelle figure, e delle Scritture, porterà ad un cammino umano che vedrà il mondo, ma
l'Occidente forse in particolare, colmo di “giganti dell’ io”. Dicono le Scritture:
< C’erano sulla terra i giganti a quei tempi- e anche dopo- …Sono questi gli… uomini famosi >(Gn 6.4)
< I figli di Agar, che cercano sapienza terrena,..i narratori di favole, i ricercatori dell'intelligenza non hanno
conosciuto la via della sapienza...(similmente ai ndr ).. famosi Giganti dei tempi antichi, alti di statura,
esperti di guerra; ma Dio non scelse costoro..: perirono perché non ebbero saggezza,
perirono per la loro insipienza>(Bar 3.23-27)
I testi di Enoch parlando di una: < visione...che non è per questa generazione, ma per una remota che deve
venire..>(EE cap.I), ci dicono:
<..gli Angeli, (i Vigilanti) figli del cielo.. scelsero.. figlie degli uomini.. che..
partorirono (loro) grandi Giganti. Essi consumarono tutti i beni degli uomini e quando gli uomini non poterono
più sopportarli, i giganti si volsero contro di loro e divorarono l’umanità. Ed essi iniziarono a peccare contro gli
uccelli e gli altri animali e i rettili e i pesci e a divorarsi reciprocamente la carne e a berne sangue >
(Enoch Et. I, VI-VII)
<.i Giganti non avevano nulla di spirituale...perciò la terra si è attirata una grande punizione
che la libererà da ogni male..> (Enoch Et. CVI.14)
Genesi ci sottolinea che i “giganti” sono “uomini” di tutti i tempi e quindi anche e forse soprattutto di oggi, sono gli
< uomini famosi >, i grandi nell' “io” ovvero alti di “statura”:
con parole di Gesù essi sono gli “alti di Vento” coloro che non sono “abbassati di Vento” come egli ci invita ad
essere con quelle sue parole malamente tradotte in “poveri di Spirito”. Sono coloro che vedendo il “primato” di una
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quarta parte
“propria” < intelligenza >, ci dice Baruk, pieni di <..sapienza terrena..> e lontani da ogni Sapienza-Sentire,
raccontano così < favole >, errate Verità.
Sono coloro che, come meglio chiarito e sottolineato in Enoch, con il proprio “io”, che unicamente può difendersi ed
irrobustirsi, distruggeranno ogni bene.
Enoch, abbiamo visto anche al capitolo sopra, come la Torah ci dice che i “Giganti” nascono grazie ad “ angeli-figli
del cielo-figli di Dio” che si “uniscono” alle “donne-figlie degli uomini” ovvero con le “belle-piacevoli-femmineeyin opere, volontà, pensieri ecc.” che sono “generate-figlie” di “caduti uomini-adam”.
Conferma questa lettura anche il fatto che il termine ebraico utilizzato in Genesi è “nefilim”, parola rara che la
versione greca renderà con “gigantes” ma l'unico rapporto possibile, sottolinea Aldo Magris ne “La logica del
pensiero gnostico” p.215, è col verbo “napal” che significa “cadere”: “Giganti” quindi che anche in questo aspetto
per la Torah sono uomini -grandemente- “caduti all'io”, alla “materialità”, alla condizione che non ha <..nulla di
spirituale..>, dice Enoch, una condizione che non vede, conosce, sente, lo spirituale, l'immateriale.
Sono “Giganti”, ovvero “uomini famosi”, che vedendo e preoccupandosi unicamente del proprio gigantesco “iomaterialità”, distruggono le anime che sono sul loro cammino, consumano ogni bene, divorano il creato e
distruggono infine sé stessi. Questo dicevano le tradizioni di Enoch ed anche, sicuramente, Legge e Profeti nel
riferirsi ad essi: ben altra cosa rispetto a quanto capito ed insegnato, ben altro rispetto alle nebulose ipotesi di esseri
primordiali misteriosamente imponenti nel fisico.
Sono parole e scenari visti in Enoch ed in molte altre righe di Profeti, come anche nei miti Mesopotamici ed in quelli
Greci, pienamente apocalittiche e che quasi descrivono, a mio avviso, anche la realtà odierna.
A me infatti sembra, come detto, che oggi il mondo intero, e particolarmente l’Occidente, sia gremito di “Giganti”,
io primo, e certamente a tutto ciò hanno contribuito i tre cosiddetti monoteismi con il loro insegnamento, univoco,
dell' “io personale creato dal Dio”, un “io” che solo a “sé” può pensare: a nulla servono i “distinguo”, i “ma”, ed i
“però” come anche i “precetti” ed i “comandamenti”: sono solo ipocrisia, stante quell'insegnamento.
È pur vero che per tutte e tre queste “religioni” si può dire che nelle loro dottrine ed aspetti “mistici” esse finiscono
per allontanarsi, se pur con molto varie sfumature, da questo insegnamento, ma è anche vero che questi aspetti
“mistici” sono talmente marginali, isolati e sempre dalle rispettive istituzioni contrastati, che a buon titolo essi
possono non essere ascritti né alle religioni da cui partono né ad alcuna “religione”.
È grazie a questo “errore”, all' “insegnamento dell'io-creato-personale” che, oggi in particolare e per le conseguenti
implicazioni sociali e politiche, il mondo è gremito di persone che pensando unicamente al proprio “io” finiscono
inconsapevolmente col distruggere ogni cosa proprio come era previsto in Enoch ed in tutte le Apocalissi.
Le anime sono le prime ad essere ingabbiate ed alienate ma inevitabilmente ogni altro bene spirituale prima e
materiale poi seguirà questo destino: questo dicevano con straordinaria preveggenza i tanti testi Apocalittici che
praticamente tutto il mondo antico, già millenni prima di Gesù, ci ha lasciato.
Ed Enoch, oltre che dei “Giganti”, diceva anche di AzazEl, Vigilante, Angelo o pensiero, divino, dice il suo El, forza
operante descritto come < caprone nero > ovvero ciò e colui che genera la “diversità-separazione”: le “pecore nere”
quando tutte sono bianche.
E, diceva lo stesso Enoch, è proprio grazie a questo AzazEl pensiero e volontà di difformità, ovvero di
“separazione”, che nasceranno < .spade, pugnali, corazze, braccialetti ed ornamenti.. >, oggetti che divengono forze
che rafforzano e difendono l’”io”, l' “errore”, la separazione, portando ai disastri descritti :
< ..Azazel (Angelo incarnato) .. insegna agli uomini
a fare spade, pugnali, scudi, corazze, braccialetti ed ornamenti..>(EE I, cap.VIII)
Quei testi ci parlano così di un “caprone nero” che non è altri che l’ “uomo iniquo”(2Ts 2.3-8), da Paolo incompreso,
che le Scritture così descrivono :
<..l'iniquità renderà deserta tutta la terra e la malvagità rovescerà i troni dei potenti..>(Sap 5.23)
Una in-equità, in-egualianza o uomo-iniquo che è al contempo ciò che genera se stessa e la separazione nell’“io”:
forza che si avvarrà anche di “quegli” strumenti ed oggetti di cui dice Enoch, se non ben visti, per la sua opera di
separazione dall’Assoluto.
Ma tutto sarà spesso inconsapevolmente e forse ineluttabilmente, non visto, trascurato ed ignorato.
Termino queste note con la considerazione che molto lungo è il cammino sulla strada della corretta lettura delle
Scritture Giudaiche, dei Vangeli e pure del Corano che, non vuole dimenticato, nasce -negli insegnamenti- che il
profeta Mohamed ha ricevuto da monaci della cristianità del deserto, seguaci di Gesù, ma forse del Gesù “diverso”,
lontano da quello di Paolo, che qui vedremo.
Per tanti passi e termini di quei testi si dovrà “vedere” ciò che in “Realtà” essi volevano dire. Lungo cammino e
lunga strada che è tempo ormai che venga imboccata, strada che ci porterà a vedere i veri significati e concetti di
quei testi. Significati e concetti che ci vengono dati, in modo simile se pur con quella “poesia” o “prosa” che deve
essere “sentita e capita” assieme, anche da Esiodo e da Omero in Grecia come dai poemi mitologici Mesopotamici o
dai testi Indo-Ari di Veda ed Upanishad ma non solo: concetti e Verità che ritroviamo puntualmente anche nelle
“figure” e “scritti” del mondo Egizio.
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quarta parte
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quarta parte
QUINTA PARTE
LE MOLTE ALLEGORIE DELLA STESSA VERITÀ
ALLEGORIA E VERITÀ
Riprendo il discorso dalle ultime righe del capitolo precedente con riferimento ai fondanti “concetti e credenze” sul
senso della vita in generale e di quella dell'uomo in particolare.
Consideravo ed affermavo che possiamo trovare gli stessi concetti credenze e Verità di cui dicono le Scritture
Giudaiche, proposti e declamati, se pur altrettanto nascostamente ed allegoricamente, in tutto il mondo antico.
Credenze, concetti e Verità, spesso ripeto identici, che erano "allegoricamente" esposti e dichiarati con i linguaggi
della “poesia o prosa” mitologica o con quelli delle “immagini” o anche dei “manufatti”.
Queste importanti differenze di linguaggio, che per la loro intrinseca e voluta ermeticità non sono di facile
comprensione, ci hanno fatto vedere “diversità di sostanza” dove spesso vi era invece "diversa espressione”.
Il linguaggio delle -immagini e dei manufatti-, proprio delle culture più antiche ma che certo nella comprensione del
Divino non sono le più arretrate, quali quelle Egizia ed Indo-Aria in particolare, è certamente il linguaggio che oggi,
dopo gli approfondimenti condotti, trovo quasi il più preciso, il più neutro e perciò forse il più corretto.
Questo linguaggio infatti ha il grande pregio, forse anche cercato da chi lo ha espresso, di non potere confondere.
È il linguaggio delle tante per noi strane figure e volti delle divinità Egizie o Indo-Arie ma anche quelli di
monumenti come la Sfinge e forse anche le Piramidi: questi sono linguaggi che al più non si comprendono, ed in
larga parte infatti ancora oggi lo sono, ma molto difficilmente possono essere male interpretati, difficilmente
possono creare degli errori che in questo campo sono veri disastri interessando la “sostanza” della vita umana.
La stessa cosa non si può dire degli scritti sapienziali mitologico-religiosi o puramente religiosi: essi possono
diventare molto pericolosi, possono essere travisati al punto di rovesciarne le Verità che esprimono e su questi è
perciò necessario fare importanti differenze.
Se per testi quali Veda e Upanishad la esposizione della Verità è sufficientemente precisa e poco fuorviante, seppure
per natura non semplice da comprendere e a volte anche un po' celata, per i testi cosiddetti “mitologici", testi
"allegorico sapienziali” come è per i testi di Omero o Esiodo o per i mesopotamici Gilgamesh e Atrahasis, ma anche
come è per le Scritture giudaiche, che tali sono, le cose stanno diversamente.
In Omero, Esiodo, Gilgamesh e nei testi ad essi simili, i molti inserimenti nel racconto di elementi “fantasiosi ed
irreali” evitano al lettore ogni “caduta” alla materia, alla storia ed alla materialità, essi così condizionano: o non si
capisce nulla e tutto resta lirica fantasia e prosa, o si arriva alla comprensione della “ Realtà alta” di cui quei testi
dicono, Verità che anche qui è e resta sempre solamente “allegoricamente suggerita”.
Senza la decisa, curiosa, libera ed attenta “ricerca” di una mente che qui unicamente può attingere al “sentire”, alle
profondità dell'anima, quei testi restano poco più che favole ben scritte.
E' pur vero purtroppo che i tanti “dei” che in Omero come in Esiodo troviamo, “dei” che comunque sono “nomiaspetti-potenze” di un Unico Assoluto, hanno finito col portare anche quella società alla visione di un divino
separato in sé stesso: hanno finito per portare ad un “politeismo” che certamente non poteva non influire e non
indurre al processo di lenta e sottile “separazione” dell'uomo dal Tutto.
L'errore politeistico che seguirà, errore che poco o nulla ha a che vedere con la religiosità “pagana” pienamente
compresa, errore cui hanno certamente contribuito quei pur massimi testi, porterà purtroppo a non vedere più alcun
Uno-Tutto e un Assoluto così visto “diviso e separato in dei” preparerà la strada per la separazione dell'uomo dal
divino.
All'opposto nelle Scritture giudaiche invece, Pentateuco e Profeti, l'eccesso di “realismo” narrativo che in essi
vediamo finirà per lasciare centrata e ferma al “reale materiale”, ed allo “storico”, la “Realtà alta” di cui quei testi
invece parlano, una Realtà che pur comprendendo “materia e storia” è da esse lontanissima: la “caduta” del lettore
alla materialità qui era, ed è stata, molto facile. Nelle Scritture giudaiche la visione della Realtà Unica, del Tutto
legato, visione in esse ben presente e visione identica a quella ovunque vista nel mondo antico, sarà molto difficile
da vedere: come già sottolineato si deve qui passare dalla “lettera” alla “allegoria” per riuscire poi, legate e fuse
infine queste due letture, arrivare alla “gnosi-conoscenza”, a vedere il Vero, la Realtà o Natura.
La differenza tra i due modi di scrivere della Realtà ultima, quello mitologico che sempre il mondo ha visto e quello
Giudaico di Legge e Profeti, è solo discorsiva: la Verità, di cui entrambi parlano, della immanenza di un Assoluto
che permea e forma il “reale”, di un Assoluto-Uno-Tutto che lega ed intreccia ogni “materiale” ed ogni “spirituale”,
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è la stessa. Purtroppo però, e forse inevitabilmente, entrambi questi diversi modi di esprimere l'Assoluto non hanno
prodotto i risultati cercati o forse solo sperati.
Se le formule mitologiche Egizie, Indo-Arie e della Grecia di Omero e di Esiodo faranno vedere e porteranno ad un
“politeismo” in esse inesistente, la formula Giudaica indurrà ad un “antropomorfismo” dell'Assoluto che, ben
presente in tutte e tre le religioni che fanno riferimento a quei testi, arriverà sino alla Cristiana “incarnazione di Dio
nel Figlio Unigenito” con la conseguenza, per tutte, di una nefasta separazione dell'uomo dal Dio.
Gesù, Socrate, Ammonio e tanti altri, hanno certamente “visto” i grandi “errori” cui una incorretta lettura dei testi
Sacri può portare: anche per questo tutti non scriveranno nulla.
L'opera di Gesù infatti è principalmente intesa proprio a correggere l'errore nato dalla lettura farisaica di una
Scrittura che Egli vorrà solo spiegare e confermare. Socrate da parte sua, come altri, sarà molto critico su vari
passaggi Omerici particolarmente, per incomprensione, fuorvianti.
RACCONTI MITI E RITI DI VERITÀ
Vorrei ora tentare, in modo marginale e per le mie competenze, di approfondire ancora quella unitarietà di concetti e
Verità che il mondo antico, con le sue prime tradizioni scritte mitologico-allegoriche, religiose o sapienziali, ha
cercato di consegnarci.
Prima di cominciare mi preme sottolineare che i testi di cui dirò sono infinitamente ricchi: ogni sfumatura, ogni
particolare di quegli scritti, di quelle poetiche prose tutte toccanti e commoventi, ci dice di aspetti straordinariamente
profondi della Verità e per questo mi amareggia il fatto di doverne parlare, non potendo dirne che così
sinteticamente, come ne parlerò.
Non posso naturalmente che invitare alla lettura diretta ed alla comprensione più profonda e piena di quegli
edificanti testi.
GILGAMESH
Del complesso ed importante mito-epopea assiro-babilonese del “Gilgamesh”, opera di cui si hanno tracce già nel
2000 aC circa, cercherò di sottolineare alcuni aspetti e concetti-verità, ma molto altro resta certo da approfondire.
Questo testo è certamente da annoverare tra quella“letteratura sapienziale”, largamente però vista quale un
fantastico-mitologico-religioso arcaico ed oggi inutile, che tutto il mondo antico ha prodotto. Una sapienziale
letteratura allegorica cui appartiene anche la Torah assieme a tanti testi mitologici Greci ed Indo-Ari o Norreni ecc..
Troviamo in questo testo molti dei “termini-concetti-allegorie-verità” che si vedranno poi riportati, dopo circa 1000
anni, nella Torah ebraica ovvero: il diluvio-correzione, la resurrezione-abbandono dell' “io”, la Sposa e la camera
nuziale, il sonno-oblio, la morte spirituale-prigione, la Prostituta, la reincarnazione, il divino Accadere, la nudità,
la segretezza da tenere sulla Verità.
Tutto questo è esposto segretamente ed allegoricamente oltre che sinteticamente, come solo poteva essere in un
mondo agli albori della scrittura, e serve perciò “disposizione” alla comprensione: a chi si appresta alla lettura delle
gesta di Gilgamesh viene infatti data questa raccomandazione ed ammonimento:
< ..apri la porta che cela i segreti, solleva la tavoletta di lapislazzuli e leggila..> (Ep.Cl. t.I,24-25)
Vedrò ora nello specifico, traendo le notizie ed i testi, non le riflessioni, dall'ottimo “La saga di Gilgamesh” di
G.Pettinato, questi “concetti-verità” sopra elencati: essi sono quelli più chiari e si possono vedere con sufficiente
facilità, molti altri certamente sono da approfondire quali ad esempio la “Foresta dei Cedri”, ben chiaramente
ripresa anch'essa nelle Scritture, ed altro ancora da vedere e trovare.
Diluvio - correzione dell'umanità
Per dire della Verità questo testo si avvale della narrazione di allegorico-mitologiche gesta e fatti che vedono
protagonista un Re, il Re di Uruk-ovile, Gilgamesh. Gesta e fatti si chiudono con l'impresa che Gilgamesh compirà
per cercare l'immortalità, impresa che lo porterà ad incontrare il “saggio” Utanapishtim colui che, similmente al Noè
biblico, si è salvato dal Diluvio ed ha raggiunto la condizione di “deità”.
Nel “diluvio”, in questo precisissimo richiamo allo stesso “tema” mitologico-sapienziale, si vede chiara la volontà di
due testi ciecamente sempre presentati come lontanissimi, il Gilgamesh e la Torah ebraica, di dire delle stesse Verità.
Ricordo poi che il racconto del Diluvio, trattato in modo sintetico nel Gilgamesh, è tema centrale del poema
Atrahasis (lett. “il grande saggio”), anch'esso assiro-babilonese e documentato a circa il 1800 aC., dove esso è
riportato con termini e situazioni straordinariamente simili a Genesi, similitudine già sottolineata in precedenza nelle
“Note a Genesi”.
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quinta parte
Tutti gli studiosi riconoscono la “non-originalità” del racconto biblico del Diluvio ed il suo debito alle tradizioni che
hanno prodotto i testi di Gilgamesh e dell' Atrahasis, testi di cui si sono trovate copie e frammenti in un'area
vastissima, compresa la Palestina del 1200 aC. Ma il debito va ben oltre il racconto, è debito di Verità.
Con la allegoria del Diluvio queste tradizioni dicevano della Verità del destino di una umanità che non sapendo
“ascoltare” l'invito intimo e divino all' “abbandono dell'io-materialità”, “muore” spiritualmente aprendo la strada a
quelle “acque” di “distruzione-cambiamento” che sono “forza divina” ed “acque di Vita”.
Sono “acque di Vita” che allegoricamente sgorgano ed inondano “per forza stessa di quell'errore” portando a
distruzioni che, con lo “Spirito”, toccano anche la “materia, il fisico”, ma distruzioni che servono soprattutto al
ripristino della Vita più piena, “materia e spirito assieme”.
La Torah, come già visto, dal Gilgamesh e dall' Atrahasis babilonesi riprenderà anche la immagine della
“costruzione dell'Arca e dell'imbarco di tutte le specie animali e vegetali”, allegoria della Verità che l'uomo, per
salvarsi, deve sapere vedere ed essere il “Tutto”.
Resurrezione-abbandono dell'io
Nel Gilgamesh troviamo un'altra grande ed importantissima Verità; più nascosta rispetto alla precedente anche
questa sarà ripresa, dopo quasi 1000 anni e con parole quasi identiche dai testi Giudaici: la Verità dalla necessità dell'
“abbandono dell'io-materialità”:
- al “saggio” Utanapishtim (letteralmente: “colui che ha trovato la Vita”) la divinità, affinché egli possa salvarsi dal
Diluvio e portarsi quindi alla “eternità”, alla condizione “divina”, suggerirà :
< abbatti la tua casa ...abbandona la ricchezza, cerca la vita..>(Ep.Cl. t.XI,24-25)
- ad Abramo Jhwh, con la stessa allegoria, per giungere al Regno-Terra Promessa in cui scorre il “miele e latte”
divino, in modo del tutto simile dirà:
< Vai a te, dal paese di tuo padre, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre..>(Gn 12.1)
Userà la stessa espressione-allegoria-simbolismo anche Gesù, come già detto, una allegoria che come visto si
chiarisce anche grazie ai suggerimenti di Filone A. e che dice della necessità per l'uomo di “resuscitare-rinascere”,
in vita, grazie all'“ascolto” dell'invito divino, di coscienza, ad “abbandonare l'io” che rende “propria” ogni cosa.
Parole tutte che consegnano lo stesso insegnamento: la necessità dell'ascolto di quelle “intime-divine-nostre” parole
che ci fanno “cambiare mentalità-convertire-resuscitare”.
Sarà grazie all'ascolto di quell'invito che <..Utanapishtim e sua moglie..> saranno: < simili a dei > (Ep.Cl. t.XI,194).
Con queste ultime parole verosimilmente si apre poi un altro tema anch'esso ripreso, come visto, nei testi Giudaici
ed Omerici: la “Sposa figura dell'anima incorrotta e non prostituita” che indispensabilmente deve accompagnare
l'uomo a questo traguardo : lo Yin-Femmineo deve equilibrarsi con lo Yang-Maschile.
Sposa e camera nuziale
Utanapishtim non perviene alla deità “solo”, egli arriva a quella condizione con la “moglie” :
< Prima “ Utanapishtim” era uomo, ora “Utanapishtim e sua moglie” sono simili a dei..>
(Ep.Cl. t.XI,193-194)
Assieme ad un “uomo-maschile-yang” che mostra anche qui una condizione di “caduta” e lontananza dal divino
simile all' "adam / figlio dell'adam" giudaico, si vede qui il tema della necessità, affinché si possa giungere ad essere
Vita Eterna stessa, del ritrovamento dell'equilibrio con una “anima-principio femminile-moglie” che, lontana da ogni
“prostituzione” o “adulterio” con la materia, diviene immagine della Anima Universale-Sposa che unicamente si
lega ad un divino “Sposo” e crea così quella “camera nuziale” che è feconda di Vita.
Una Anima-Sposa che, immagine largamente usata nelle Scritture e non solo, qui nel Gilgamesh è poco evidenziata
seppur sia visibile nella dichiarata “deità” di quella “moglie-Sposa”.
Una minore evidenza che però lascia più spazio e porta in sé l'aspetto, che nella figurazione teologico-filosofica di
Anima-Sposa delle Scritture giudaiche pur implicito rischia invece di perdersi, dell'interessamento del fisicomateriale e del necessario equilibrio maschio-femmina, yang-yin.
Equilibrio di cui con chiarezza ci dice Gesù nel vangelo di G.D.Tommaso al n.114 :
<..(Mariza) la terrò con me affinché io possa completarla in mascolinità...
e similmente (sia ndr) per voi maschi ! ….per (potere ndr)entrare nel Regno dei cieli.. >
Se le righe sopra citate nel dire tutto ciò sono particolarmente ermetiche, tutto meglio si chiarisce e si comprende
con le parole di Gilgamesh che seguono, quelle che egli pronuncia dopo che Utanapishtim gli avrà detto, dimostrato
e fatto capire, che lui non potrà accedere a quella “propria” eternità cui voleva finire.
Gilgamesh capirà -in quel momento- quale è la sua “condizione”, capirà dove egli si è portato a causa di forze che a
quella condizione lo hanno consegnato:
< Ahimè! Come ho potuto fare ciò Utanapishtim ! I rapinatori mi hanno intrappolato,
nella mia “camera da letto” alberga la morte; dovunque io ponga il mio piede, là c'è la morte >(Ep.Cl. t.XI)
Gilgamesh si rende conto in quel momento che la sua “camera da letto”, anziché essere “nuziale” e vedere la Vita
vede la Morte: la sua è una “camera” senza la “Sposa-Anima-moglie” che unicamente permette all'uomo di vedere
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quinta parte
ed essere “Vita” generatrice, che unicamente gli permette di riportarsi all'Assoluto: unica possibilità di evitare quella
“seconda e vera morte” che Giovanni cita in Apocalisse (Ap 20.6).
Ed a questa condizione, ci dice il brano sopra riportato, Gilgamesh è stato portato come in “prigione”,
<..intrappolato..> ed a causa di <..rapinatori..> : tutto similmente a quanto dicono le Scritture Giudaiche con le
“prigioni, i tiratori di lacci, ecc.”, ed Enoch con quella “legge che sarà data e sarà come una prigione”.
Dicono poi la stessa cosa anche le parole che Enkidu, il fedele compagno di Gilgamesh, rivolgerà nei suoi ultimi
giorni alla prostituta Shamkhat che lo ha sedotto: egli, mai unitosi in matrimonio, dirà:
< ...tu hai sedotto me, il puro, all'insaputa di mia moglie..>(Ep.Classica)
Dove la “moglie” con evidenza, come detto, non è che altro modo, profondamente filosofico, di dire di una giusta,
divina e non “prostituita-centrata sulla materialità” “Anima-Sposa” che permette all'uomo-umanità di vedere il
perfetto e corretto equilibrio tra il “maschile-yang”ed il “femmineo-yin”.
Il sonno-oblio
Alla triste constatazione e visione, sopra citata, di essere “intrappolato nella morte”, Gilgamesh arriverà dopo una
prova-dimostrazione che il saggio Utanapishtim gli imporrà: Gilgamesh è incredulo, non vuole credere alle parole
di Utanapishtim che gli dice della impossibilità per lui di giungere alla “immortalità” che desidera, quella “propriapersonale”. Utanapishtim allora per -provargli- questa impossibilità gli dimostrerà che egli è schiavo del “sonno”.
Allegoricamente così, anche nelle Scritture, in Enoch, nei testi Indo-Ari ecc., è detto di coloro che “sono nell'oblio”,
nella dimenticanza di una “Realtà” che è materia e spirito assieme.
Gilgamesh, sollecitato in questa prova a restare sveglio, dormirà sette giorni ed è alla fine di quella dimostrazione
che a lui si evidenzierà quella “condizione di morte-sonno” che lo porterà a dire:
< Ahimè ! I rapinatori mi hanno intrappolato,.. dovunque io ponga il mio piede, là c'è la morte >(Ep.Cl. t.XI)
Gilgamesh è un < eroe >, dicono quei testi, ed anche a lui, come ad Achille tra gli “eroi” Omerici, la strada per la
deità è sbarrata: da Omero Achille è lasciato a vagare nell'Ade, in un Aldilà lontano dai divini Campi Elisi, mentre
ciò che spetterà a Gilgamesh è delineato, con parole agghiaccianti quanto liricamente belle, da Enkidu, il suo fedele
amico e compagno di vita.
Enkidu così descriverà a Gilgamesh il luogo in cui egli, in un sogno premonitore, si è visto approdare dopo la morte,
lo stesso luogo a cui anche Gilgamesh sarà destinato :
< .. mi condusse alla Casa buia,..dalla quale chi entra non può più uscire..
in cui gli abitanti sono privati della luce, dove il cibo è polvere, il pane è argilla..
sollevai il mio sguardo e vidi le corone che vi erano ammucchiate ..
le corone di coloro che avevano governato la terra da tempi immemorabili > (Ep.Cl. t.VII, 184 ss)
L' eroe
Riprendo qui il tema, sopra appena accennato, di Gilgamesh “eroe”: egli è semidio, <..due terzi dio e un terzo
uomo..>, destinato divinamente a “condurre ed accudire” il suo popolo ma non potrà vedere l'eternità dell'Assoluto.
La “eroicità” della figura è tema centrale di questo testo, egli è Re:
<..superiore agli altri Re...
..egli come un duce precede tutti, egli segue tutti, per prestare aiuto ai suoi fratelli..>,
<..destinato alla gloria dalla nascita. Per due terzi egli è dio e per un terzo uomo>(Ep.Cl. t.I, 27ss), è
<..scelto ..dandogli un cuore cui non è concessa quiete..>(Ep.Cl. t.III, 45) e per lui
<.. un trono è stato deciso dall'assemblea degli dei >(Ep.Cl. t.X, 271).
Questa sorta di “divina” destinazione ad un'opera di “fisica direzione e guida dell'umanità” ed al contempo però
anche di “inevitabile morte e preclusione del ritorno all'Assoluto”, così infatti si chiude l'epopea, è apparentemente
uno strano, ai nostri occhi, “destino”. Esso vede un pur “divino” -compito e forza- dovere senza scampo perire-finire
e questo, verosimilmente, quando sia divenuto superfluo ed inutile quel suo compito e necessità : quando cioè
l'umanità sia uscita dalla sua triste condizione e veda la sua gloria, la apocatastasi, il ritorno al suo primo stato.
Il tema è interessante poiché si avvicina a quello della -condizione- degli “eroi” che Omero destina a “vagare” nel
regno dei morti :
ad Odisseo che sceso nell'Ade lo ammonisce dicendo : <.. adesso tu signoreggi tra i morti, quaggiù, perciò d'esser
morto non t'affliggere, o Achille” >(Odissea XI,482-486), Achille, che seppur <..caro a Zeus..>(Iliade XXIV, 472)
era costretto a quella condizione, risponderà: <..preferirei vivere come ultimo dei servi agli ordini di un povero
diavolo piuttosto che regnare sovrano sulla massa senza numero dei morti...>.
Condizione lontanissima da quella < via di Zeus > o “portarsi alla deità” che Pindaro (500 aC) così descrive :
< E quanti, per tre volte dimorando nei mondi alterni,
resero da colpe aliena l'anima, fanno la via di Zeus fino alla torre di Crono, e là c'è l'isola dei beati..>
(Pindaro, Ol.2 vv68-72 trad. Pontani)
E' tema interessante poiché il solo modo per dare ad esso “razionale” spiegazione è quello di portarsi a vedere un
Assoluto lontano da ogni “errato” residuo “antropologico” di Giudeo-Farisaica inevitabile eredità per vedere un Dio
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quinta parte
Accadere-Divenire-Karmico-Armonico che “è” Legge, Regola, lontano da ogni “volontà divina” umanamente
delineata, lontano da ogni “divino vedere-udire-ascoltare-parlare- ecc.” comunque sempre antropologicamente
pensati.
Solo in un tale Dio-Assoluto, vedremo meglio più avanti, si spiegano e si motivano “accadimenti ed enti” che divini,
ed inesistenti in se, solo servono e sono funzionali all'Accadere-Divenire stesso.
La morte spirituale e la prigione
Utanapishtim, < saggio per eccellenza >(Ep.Cl. t.XI,187), amaramente dirà a Gilgamesh che l'umanità intera non sa
vedere la “morte” che l'attanaglia:
< L'umanità è recisa ..(dalla) morte, eppure nessuno vede la morte, nessuno vede la faccia della morte, nessuno
sente la voce della morte … Il prigioniero e il morto come si somigliano l'un l'altro >(Ep.Cl. t.X,303ss)
Nella “prigionia simile alla morte” si vedono le stesse “prigioni e morti” tanto evocate nelle Scritture, come pure da
Eraclito ed altri, e si vede una morte che pervade l'umanità che è la stessa di cui dice Gesù col suo <..lascia che i
morti...>(Mt. 8.22), così come le “cecità e sordità” sono poi le stesse da Gesù condannate ma anche le stesse messe
in luce nel Mito della Caverna di Socrate.
Utanapishtim subito di seguito dirà poi che < l'uomo primordiale è un uomo prigioniero >, e uomo primordiale il
testo dichiara essere Enkidu, il compagno cui si “legherà” l'eroe Gilgamesh.
Il “legame” tra Gilgamesh, tra chi è divinamente destinato all' “indirizzo e guida” della società civile, alla “guidaordinamento” della < città Uruk-Ovile > ma destinato anche ad essere “intrappolato nella morte”, ed Enkidu, uomo
< prigioniero e primordiale > che sarà suo inseparabile ed amato compagno, sembra dirci della condizione di quei
biblici “Principi della terra” che sempre vedono la “compagnia inseparabile” della “fisica grande forza”, tale essendo
Enkidu, che è propria dei “Giganti-uomini famosi” che <..non hanno nulla di spirituale..> dice Enoch, i
“prigionieri-morti spiritualmente” <..sedotti..> come lui dalla prostituta Shamkhat.
La Prostituta
Enkidu, creato dagli dei per contrastare ed attenuare l'opprimente atteggiamento e forza di Gilgamesh, che erano
ormai divenuti non più sopportabili dal suo popolo di Uruk-Ovile, così nasce :
< .. non conosceva né la gente né il Paese; ..indossava una pelle di animale.. con le gazzelle bruca l'erba, con i
bovini sazia la sua sete nelle pozze d'acqua, con le bestie selvatiche, presso le pozze d'acqua, egli si soddisfa.>
(Ep.Cl. t.I, 91ss)
Da questa condizione l'uomo “primordiale” Enkidu esce divenendo <..diverso..>, ma senza potere raggiungere
alcuna “saggezza”, grazie all' <.arte della donna..>. Grazie alla unione con la <..prostituta..> Shamkhat <..il suo corpo- era stato purificato..> ma egli resterà <..prigioniero..>, non saprà vedere la “morte” che comunque lo
attanaglia.
Enkidu sarà “diverso” e non potrà più tornare, non potrà rivedere, la condizione di vita precedente: da allora in poi
egli sarà visto “nemico” ed allontanato da quella “natura”, <..gazzelle, bovini, bestie selvatiche..> in cui era
cresciuto ed in cui gli dei lo avevano posto.
La unione con la archetipale “prostituta-donna”, unione lontana da quella con la “Sposa-moglie” che lo stesso
Enkidu abbiamo visto riconoscerà poi “così e per questo” tradita, è un “passaggio” che questo testo implicitamente
presenta come “necessario quanto ineludibile” all'uomo. Solo così l'uomo viene portato ed indotto ad “ entrare nella
città, ad Uruk-Ovile”, ovvero è così, grazie a ciò che è “femmineo-yin”, che l'uomo-umanità si porta da una natura
bestiale al vivere sociale: diviene individuo, entra alla comunità umana ovvero diviene a pieno Uomo.
È un passaggio, movimento-voluzione, che gli è possibile, dicono quei testi, grazie alla <..intelligenza..> che egli
acquisisce per merito di Shamkhat, prostituta-donna-yin, divina forza legata e che lega alla sola materia.
Una < intelligenza > che è lontana dalla < saggezza > che è di un Utanapishtim legato alla Sposa-Anima come è per
tutti i “giusti-giunti”. Una "intelligenza" in tutto uguale a quella che Legge e Profeti ci dicono rischia di “ chiudere
ed inibire” la voce del “cuore”, la “voce divina” che unicamente può portare alla “saggezza”.
Di nuovo, ancora con oltre 1000 anni di anticipo, si può vedere qui proposto, seppure con una apparente diversità,
un tema ben presente nelle Scritture Giudaiche: il tema della “anima-prostituta” che unendosi al “primordiale” ma
anche < puro > uomo-Enkidu lo < sedurrà > senza che di ciò si renda conto quella “anima-moglie-Sposa” che è
indispensabile per raggiungere la Vita:
< (Enkidu :)...tu (Shamkhat) hai sedotto me, il puro, all'insaputa di mia moglie..> ( Epopea classica )
Nelle Scritture Giudaiche, come nelle parole di Gesù sull'adulterio, è piuttosto evidente che la “prostituzione” è
condizione dell'Anima “caduta”, abbiamo visto, ma anche nel Gilgamesh il tema si può leggere negli stessi termini:
non deve ingannare il fatto che in questi scritti le due figure, moglie e prostituta, sembrano dichiarate diverse e
lontane, i racconti allegorici possono ben portarsi ad un tale dire.
“Moglie e Prostituta” sono figure che possono infatti benissimo essere “aspetti archetipali” della stessa Anima,
aspetti corrispondenti a quelli Giudaici, ben evidenti in Osea, di “Anima-Sposa-Prostituta” e “Anima-SposaRiscattata”.
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quinta parte
Ma, vuole rilevato, quella negatività della “prostituzione-caduta” con la materialità che nelle Scritture resta
imperativa, assoluta e mai attenuata né tanto meno prospettata in lettura positiva, qui, nel testo del Gilgamesh, pur
restando tale, negativa, è stemperata da quell'aspetto di “assoluta necessità” per l'uomo di tale legame-accadere: solo
così, solo grazie al femmineo-yin l'uomo-umanità si porta ad essere individuo sociale e quindi a pieno -uomo-, ci
viene qui detto.
Qui si mostra quindi un aspetto importante ed alto, che più sotto vedremo: quello della divina necessità anche di quel
passaggio-legame, la prostituzione o caduta alla materialità, dalla quale bisogna però sapere uscire. Una uscita, qui
viene detto, che non è il rinnegamento cui potrebbero portare le scritture giudaiche ma è la visione unica, l'equilibrio
che si deve mantenere tra quei doppi opposti aspetti, azioni e proprietà dell'anima.
Una uscita-riconoscimento che però anche nella tradizione giudaica possiamo vedere: vuole sottolineato infatti che
quella necessità, quell'obbligato e naturale passaggio dalla “caduta-prostituzione”, anche nelle parole di Gesù
traspare e si nota, soprattutto, nel Suo dire del bisogno di “rinascere-resuscitare” - da vecchi - ovvero “dopo” quel
naturale-necessario legame-accadere che è la caduta all' “io-materialità”. Ed è un rinascere che anch' Egli dichiara
deve vedere assieme "acqua e spirito", materialità e spiritualità.
Divina è anche la Prostituta vedrà poi Enkidu: in una bella preghiera che più oltre vedremo egli dirà infatti:
< Vieni, o Shamkhat....le mie parole di maledizione contro di te possano mutarsi in parole di benedizione..>.
Una “caduta-prostituzione”, ci dice l'epopea di Gilgamesh, dalla quale si esce più agevolmente grazie al dolce
inebriamento del “vino”, se si è capaci di assaggiare-sentire la dolcezza della finale condizione divina: quando
Gilgamesh decide di affrontare il viaggio per capire-vedere come portarsi all'eternità, il viaggio per cercare
Utanapishtim e la "saggezza" che porta al divino, troverà all'ingresso di quel cammino Siduri, la donna della vigna,
la“fanciulla che fa il vino”, da lei tenuto in tini d'oro e servito in coppe d'oro.
Tutto poi similmente a quanto detto nella Grecia di Omero con il “vino dolce” di Marone che è necessario al viaggio
di “ritorno a casa ed alla Sposa” di Ulisse o nella tradizione Giudaica con la “vigna del Signore” e con quella
<..cella del vino..> del Cantico dei Cantici in cui l'anima incontra lo Sposo o, ancora, per la tradizione Indo-Aria
con il Soma, la bevanda sacra che porta alla deità :
"Abbiamo bevuto il soma, siamo diventati immortali, giunti alla luce, abbiamo trovato gli dei..
Oh Soma .. bevanda che è penetrata nelle nostre anime, immortale in noi mortali" (RgVeda VIII, 48).
Il Divino Accadere
Enkidu avrà parole di fuoco contro la prostituta che gli ha precluso la possibilità di quella “unione” con la “moglieSposa” che porta al divino, all'Assoluto :
<..Colui che penetra la tua vulva possa prendere la sifilide,
la sifilide che alberga nella tua vulva possa essere il suo dono, perché tu hai sedotto me, il puro,
all'insaputa di mia moglie, e poiché tu hai peccato contro di me, il puro, nella mia steppa..>
Ma poi egli, prossimo alla morte fisica, sarà costretto dalla “divinità guerriera” Shamash a ricredersi:
< “Perché, o Enkidu, stai maledicendo la mia prostituta Shamkhat ?
È lei che ti offrì.. pane adatto agli dei;..birra adatta al re;..lei che scelse per te come compagno Gilgamesh;..
ora..il tuo amico amato.. ti deporrà per riposare ..in un letto destinato all'amore.. in un luogo di pace.. alla
sinistra.”. Udì Enkidu le parole del guerriero Shamash; la sua ira si placò, il suo cuore si calmò..>
Enkidu sarà così portato a vedere “divinamente necessaria” l'opera di questa “forza-prostitutzione”, di quel
sensibile-materiale femmineo-yin, forza per la quale egli infine non potrà che pregare che possa anch'essa essere
condotta alla “Casa degli dei”. Dirà:
< Vieni, o Shamkhat, voglio cambiare il tuo destino, le mie parole di maledizione contro di te possano mutarsi in
parole di benedizione. I governanti e i principi possano amarti; l'uomo di una lega.. possa colpire la tua coscia;
l'uomo di due leghe possa scuotere la tua chioma; il comandante non arretri davanti a te..
che ti porti in dono ossidiana, lapislazzuli e oro; ..e per lui possa (in compenso) scendere la pioggia e i suoi
magazzini essere stracolmi: il divinatore possa condurti nella Casa degli dei;
e a causa tua possa venir trascurata la madre di sette figli, la moglie..>
Prospettano così quei passi una certa equiparazione, pur nella forte differenza, tra questa “prostituta” e la “moglie”:
quel doppio aspetto-azione-proprietà dell'anima, entrambi indispensabili, che l'uomo deve sapere assieme vedere,
considerare per tenere in equilibrio senza "cadere" preda dell'una o dell'altra. Un doppio aspetto-azione-proprietà
dell'animo che tenuto in equilibrio-armonia apre all'uomo la strada per la "saggezza" che porta al divino, all'eterno.
Un doppio aspetto-azione-proprietà dell'anima che, vedremo verso la fine di queste righe, una cristianità "diversa e
filosofica" soffocata e spenta dalla romana Chiesa paolino-petrina, nel X-XII sec. segretamente ci mostrerà con le
tante figure di "Sirena bicaudata" da essa poste sulle mura e sui pavimenti di Chiese e Pievi.
Anche qui però, come per il “divino” destino di morte del pur divino Gilgamesh, l'occhio educato ad un Assoluto
Jhwh-Dio-Allah comunque “antropomorfi”, non sa capire e comprendere.
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quinta parte
Anche qui, come pure per molti passi delle Scritture, vedremo, tutto si capisce razionalmente quando si veda un
Assoluto-Divenire-Karma-Armonia lontano ed antitetico ad ogni antropomorfismo.
La reincarnazione
Il “saggio” Utanapishtim dopo avere confermato, con la prova-dimostrazione del “sonno”, che l' “eroe” Gilgamesh
non può giungere alla Vita, all'Eternità, stava per congedare Gilgamesh quando la “moglie-femmineo” lo invita a
rivelargli un'ultima Verità: la < ..pianta della irrequietezza..> ovvero la possibilità e strada della “reincarnazione”.
Utanapishtim nel congedare Gilgamesh gli aveva appena detto che egli unicamente poteva e doveva cercare di
vivere fuori dalla condizione di sbandamento e mancanza di punti fermi, dalla condizione di < vagabondo >,
spirituale e materiale, cui egli si era ormai portato a seguito della sconfortante presa di coscienza del suo destino di
morte, della impossibilità per lui di portarsi alla Eternità.
Per il “saggio” Utanapishtim quindi Gilgamesh, eroe, unicamente poteva e doveva riportarsi al ruolo-condizione di
Re della terra ovvero di guida ed ordinatore del popolo-gregge di Uruk-Ovile a lui affidato.
Dopo il citato invito, che non casualmente verrà dalla “moglie” ovvero dal “sensibile”, dal “divino yin-femmineo”,
Utanapishtim rivelerà a Gilgamesh una possibilità a cui può tentare di indirizzarsi: la conquista della < pianta della
irrequietezza > che è anche < rovo pieno di spine >: pianta quindi che non vede la “pace” ed è pena di “dolore”.
È una strada che Utanapishtim non voleva con evidenza rivelare e questo verosimilmente perché egli sa che è strada
non risolutiva e non consigliabile: sarà la “moglie” infatti, il femmineo legato alla materia, a spingerlo a mostrarla.
Quella pianta di “irrequietezza e rovo di spine” porta un nome che, come sempre in questi testi, ci dice della sua
“essenza”, di ciò che è :
<..il suo nome sarà : “ un uomo vecchio si trasforma in uomo nella sua piena virilità, anch'io
voglio magiare la pianta e così ritornerò giovane” >(Ep.Cl. t.XI)
E', questa, la -desiderata e voluta-, dall’uomo caduto all’io, strada di “reincarnazione”, strada che con difficoltà, ci
dice Utanapishtim, si trova sul fondo del < mare di morte >, una strada dolorosa, le “spine” di quella pianta non si
evitano: il passare di nuovo alla vita materiale non è la migliore delle strade sembra dirci quella allegoria.
Gilgamesh tenterà di mangiare-godere di quella “pianta” ma, come ben sapeva Utanapishtim, questo nella sua
condizione non gli sarà possibile: egli compirà un difficilissimo cammino e coglierà quella pianta-Verità ma l'istinto
e l'animo suo lo porteranno a cercare di consegnare quel supposto bene con il suo popolo-gregge ma a questo
progetto un “serpente” si opporrà rubandogli la pianta: è il “serpente-mondo-materia” infatti che alla fine mangerà
quella pianta e si rigenererà, <..cambierà la pelle..>: sarà questi che si rigenererà e cambiando si manterrà vivo.
Sembra così dirci il testo che a chi arriva a portarsi con capacità e forza al compito di terrena guida, di sociale
ordinatore del popolo-gregge, a chi si porta ad essere Re, si renda impossibile la strada di eternità ed inutile quella
della reincarnazione.
Potrebbe confermare questa lettura sia quanto più sopra abbiamo visto sulle <..corone ammucchiate..> della “Casa
Buia” che quanto ora qui sotto vedremo.
Giganti e prostituzione
Il tema dei “giganti” enochici e biblici è, nel Gilgamesh, anch'esso anticipato fin nella “parola” seppur in modo
molto limitato ma anche molto preciso. Dei giganti, qui Grandi, ci viene detto unicamente che essi sono dediti alla
“prostituzione”:
< ..ad Uruk, l'ovile,...le prostitute mostrano tutte le loro grazie...nel letto, di notte, i Grandi giacciono (con loro)..>
(Ep.Cl. t.I, 208ss)
Ci viene così detto che essi, immersi nella prostituzione, non vedono alcuna “ unione nuziale”: restano lontani da
quella unione, Anima-Sposa con Assoluto-Sposo, che unicamente può vedere la nascita della Vita eterna.
Segretezza e divieto di dire della Verità
Anche in questo testo sapienziale, come poi nei racconti mitologici Greci e come anche nella Torah ebraica, della
Verità viene detto in modo “allegorico e nascosto”: è chi ha “già compreso” che può capire questi scritti in
profondità. Nel Gilgamesh questo tema, implicito come in tutti i testi “mitologici”, è con chiarezza esposto quando
Enlil, il dio che ha ordinato il Diluvio per distruggere l'intera umanità, mostra “irato” la sua riprovazione per il fatto
che Utanapishtim e la moglie si sono salvati.
Il dio Ea, artefice di questa salvezza, dopo avere contestato la decisione troppo drastica ed ingiusta dell'invio del
Diluvio, si difenderà così dicendo:
< Per quanto mi riguarda, io non ho tradito il segreto dei grandi dei! Ho fatto avere soltanto un sogno...al saggio
per eccellenza! Così egli comprese il segreto dei grandi dei! >(Ep.Cl. t.XI, 186ss)
E' un segreto, quello della Verità, quello della “conoscenza che porta alla deità”, che gli dei, l'Assoluto-Divenire,
l’Essere, non rende apertamente disponibile all'uomo : solo “voci in sogno” che devono essere capite sono permesse.
151
quinta parte
Destino e nudità
L'argomento della nudità non è qui trattato in modo aperto e diretto, ma credo che di esso si possa ben leggere in
una bella quanto ermetica immagine che nasce nella descrizione dell'aldilà, descrizione estremamente interessante.
Abbiamo già visto che Enkidu, ormai vicino alla sua fine, ha un sogno che gli prefigura ciò che avverrà alla sua
morte, quando sarà portato all'aldilà; di quella visione egli dirà:
<..mi trasformò in una colomba, ricoprì le mie braccia con piume di uccello..
..mi condusse nella Casa buia, l'abitazione della dea degli Inferi..
per una via che non si può percorrere indietro..in cui gli abitanti sono privati della luce,
(e)..il cibo è polvere..essi sono vestiti come gli uccelli, ricoperti di piume..
Nella Casa della polvere.. vidi le corone di coloro avevano governato la terra da tempo immemorabile..
(qui)..abitano i Sommi Sacerdoti e i loro accoliti, abitano gli unti dei grandi dei..> (Ep.Cl. t.XII, 180ss)
Nella poetica descrizione qui riassunta si vedono alcuni aspetti degni di attenzione.
Il primo è quello che alla “Casa della polvere” sembrano destinati i “potenti o giganti” della terra, i Grandi : < teste
coronate e governatori > ma anche < Sommi Sacerdoti e i loro accoliti .. gli unti dei grandi dei >.
Dei potenti della terra, dei “grandi o giganti” come anche degli “eroi” si è già detto a sufficienza mentre
sicuramente nuovo qui è l'inserimento di < Sommi sacerdoti con i loro accoliti >.
Naturalmente anche qui, come per il “divino” destino di “Gilgamesh” e della “prostituta Shamkhat”, il nostro
occhio non sa capire e restano tutte le considerazioni per quei casi già fatte.
Difficile naturalmente qui vedere negli < unti dei grandi dei > che in questi luoghi sono posti, gli “unti-messia”
della tradizione Giudaica, più verosimilmente questa espressione vuole solo rimarcare quella “speciale” condizione
di cui “si sentono” portatori i < Sommi sacerdoti con i loro accoliti > appena prima nel testo citati.
Un secondo aspetto degno di nota è quello che coloro che arrivano alla “ Casa della polvere” sono “rivestiti di
piume”. Questa stranissima immagine non facilmente spiegabile ha però a mio avviso un possibile profondo
significato, anch'esso in linea con la mitologia sapienziale che seguirà questi testi ed è legato al tema della “nudità”
o “nullità in sé” dell'uomo. Ricordo che Genesi ci dice che l'uomo, l' Adam, caduto nell' “io” di cui dice la decisione
di giudicare lui del bene e del male, si accorse della “propria nudità” e si “vestì di foglie di fico”, ovvero delle
vacuità che sostengono l' “io” così nato.
Ora il “rivestire di piume” coloro che nel corso della vita, -Re, Potenti, Sacerdoti o Grandi-, non hanno che
irrobustito ed ingigantito il proprio “io” “vestendosi” di vacuità, non può che dirci della massima correzione o
punizione possibile: il rendere loro impossibile ogni “vestito-nutrimento” dell' “io”.
Così vista quella strana e diversamente poco spiegabile immagine della “piumagione”, troverebbe una
razionalissima, oltre che poetica, spiegazione.
Con riferimento a quella “Casa della polvere” in cui <..il cibo è polvere..> credo che sia corretto poi notare che
“polvere” è certamente simbolo della “terra-materialità” con cui, chi non ha saputo portarsi all'Assoluto, vorrebbe
continuare, ma inutilmente, a nutrirsi. Questa allegoria “materialità-polvere” è la stessa usata nella Torah in cui,
Daniele ed Isaia, così si esprimono con riferimento a coloro che, fisicamente vivi, sono caduti nell' “io-materialità” :
< ..giacciono nella polvere..>(Is 26.19) <..dormono nella polvere..>(Dn 12.2)
Un ultimo aspetto da notare è il fatto che la “Casa della polvere”, ovvero la “condizione” terribile in cui appunto si è
< rivestiti con piume di uccello.. Casa buia.. via che non si può percorrere indietro..in cui gli abitanti sono privati
della luce, (e)..il cibo è polvere >, è però anche luogo-condizione che ci è detto essere < di riposo... letto destinato
all'amore.. luogo di pace.. alla sinistra >. E in questa apparente antitesi si potrà forse vedere la affermazione che
anche in quella terribile “condizione di sinistra” nulla di eternamente irreparabile vi è.
MITO SUMERO della CREAZIONE
Resto alle Verità di cui dicevano, già 4000 anni fa circa ed in forma mitologica i poemi Mesopotamici per dire di un
altro testo che narra della “creazione dell'uomo” e che da questo prende nome.
In questo testo la dea che ha il compito di < levatrice degli dei > viene dagli dei stessi incaricata di < produrre >
l'uomo e queste sono le modalità di tale opera-creazione:
< “.. Allora, si immolerà un dio,..con la sua carne e il suo sangue Nintu mescolerà dell'argilla (creando l'uomo):
così saranno legati dio e l'uomo...vivrà inoltre, nell'uomo, uno “spirito”,
che lo manterrà sempre vivo anche dopo la morte, e questo “spirito”, esisterà per preservarlo dall'oblio..>
(testo Kasap-Aya per J.Bottero, S.N.Kramer in “Uomini e dei della Mesopotamia”,pp570,571)
Non si può non notare come in questo mito si trovi, in modo del tutto simile a Genesi, la “creazione dell'uomo” con
< argilla > e con uno < spirito >, soffio-vento e quindi ruah, che va oltre la morte fisica, ma in questo testo viene
però meglio precisata la natura “divina” dell'uomo: egli ha in sé “carne e sangue di un dio”.
152
quinta parte
Ma vi è un'altra interessante, se pur più nascosta, similitudine: Genesi, ricordo ancora 1000 anni dopo questi testi, ci
dirà, se pur tra parentesi, che l'uomo è stato creato per “lavorare la terra” ovvero “con tale compito all'interno della
creazione-manifestazione” :
< … Jhwh Elohim non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno la lavorava
allora Jhwh Elohim plasmò l'uomo con polvere del suolo...>(Gn 2,4-7)
Anche il testo Mesopotamico ci dice dello stesso “compito divino” per l'uomo, il compito di “sostituzione” degli dei
Igigi nel duro lavoro di “cura del creato”, lavoro che essi non vogliono più fare:
< Ebbene! Crea il prototipo umano: che porti il nostro giogo...che l'uomo si carichi del lavoro degli dei !..>
Questo “compito” di un uomo “immagine di Dio”, con “carne e sangue della deità”, compito non certo casualmente
“identico” in questi due testi, ci induce a vedere l'uomo come “continuatore-coadiuvante” della creazionemanifestazione. Questo ruolo “attivo”
“attivo” che per l'uomo nella creazione viene così sottolineato, è un ruolo “divino”
che verosimilmente non può che venire dalla componente “divina” dell'uomo.
OMERO - ODISSEA
Non potendo, qui, riassumere questa imponente, bellissima e complessa opera, mi limiterò a riportare su di essa
pochi appunti nella speranza di far vedere come anche in questo lavoro vi sia quella sostanziale unitarietà di
“sentire” e di temi di cui tanto qui ho detto.
Con il viaggio di Ulisse-Odisseo, Omero ci parla del “ritorno”, del viaggio per tornare alla “casa” che vede il
ritrovamento della “Sposa”: ci parla del difficile e pericoloso viaggio col quale l'uomo si riporta alla “casa”, al
Regno, in cui è l’Anima-Sposa non prostituitasi-datasi ad altro ovvero che non ha ascoltato i Proci, Anima-Sposa
dalla quale l'uomo si allontana con la nascita-caduta all' "io-materialità". Plotino, in Enneadi I,6,80, interpreta
infatti il viaggio di ritorno di Ulisse come “ritorno all'Uno”, la "resurrezione", "in vita," cui ha invitato Gesù.
Nel proemio della Odissea, poeticamente così ci sono descritte e la figura di Ulisse e il racconto omerico stesso:
<.. L'uomo ricco di astuzie raccontami, o Musa,
che a lungo errò dopo ch'ebbe distrutto la rocca di Troia ; di molti uomini le città vide e conobbe la mente,
molti dolori patì in cuore sul mare, lottando per la vita e pel ritorno dei suoi.
Ma non li salvò, benché tanto volesse, per loro propria follia si perdettero, pazzi!, che mangiarono
i bovi del Sole Iperione, e il Sole distrusse il giorno del loro ritorno.. >
Omero ci parla così del “ritorno-resurrezione” che anche il mondo Greco presocratico, come tutto il mondo antico
e come Gesù poi, vedeva, e ci dice così anche del tragico destino di una umanità che non sa ascoltare il "filosofo" di
cui dirà poi Socrate con il Mito della Caverna ovvero colui che invano cerca di salvare i propri simili.
Sono viaggi che si compiono, ci dice Omero, con “navi ben costruite” su quel “mare”, della vita materiale, che porta
in sé il pericolo “mortale”, l' “abisso”: sono viaggi che i Ciclopi, giganti Enochici anch'essi, non possono fare
poiché, dice Omero, < non hanno navi...ben costruite, in grado di fare ogni cosa toccando luoghi abitati> (Od
IX125 es) come invece è in grado di fare il Sapiente-filosofo.
Sono i viaggi cui ci porta < l’animo (che) spinge… a salpare quando “soffino i venti”...fino ai porti in cui si può
rimanere> (Od IX136 es). Sono cioè quei “ritorni” che l'Animo, essenza umana, farà ascoltando quel “Vento, Ruah,
Spirito” che ci accompagna per tappe in porti sicuri, fuori dai pericoli dell'abisso-morte e dagli altri che si
incontrano: i pericoli della morte spirituale.
Sono viaggi che si intraprendono con successo potendo bere di quel < vino nero dolce…che ci dà Marone (pronipote
di Dionisio) sacerdote di Apollo >(Od IX196); < (vino) che è una goccia di ambrosia e di nettare >(Od IX359).
Viaggi quindi che si compiono facilmente se sappiamo sentire, gustare, di quella dolcezza che in noi è stessa
sostanza dell’Assoluto: la stessa dolcezza che vediamo nel “miele e latte” che scorrono nella “terra promessa”, il
Regno delle Scritture Giudaiche, ma che vediamo anche nell' Atman Vedico <..più dolce del miele e dell'amrita..>.
Gustando di questa “dolcezza divina”, dolcezza “inebriante” che quale vino ci porta a dimenticare noi stessi, l' “io”,
si ha la certezza di < vincere la mente >(Od IX454), ovvero di arrivare a quel “cambiamento di mentalitàconversione” a cui anche Giovanni Battista e Gesù inviteranno: con esso si annulleranno le illusioni di una mente
che l’ “io” sempre propone.
Omero dice di un viaggio che infine porterà a vedere <..dolori, uomini prepotenti che ti divorano i “beni”,
corteggiando la sposa divina, facendole doni >(Od XI115) similmente a quanto ci dice Osea, e non solo, nelle
Scritture: si vedrà e ci si accorgerà cioè di tutto ciò che insidia la Sposa-anima che custodisce il vero bene.
Egli ci dice anche di una < terra … che alleva in gran copia costruttori di “false storie” che uno non riesce a
vedere > (Od XI364) dicendo così, in questo modo, di quanto le Scritture esprimono parlando di ciò e coloro che
“tende lacci , imprigiona ed incatena”, il “mondo” da vincere, per Gesù e Scritture.
Omero, con i suoi “Ciclopi” ci dice poi dei < non giusti >(Od IX.175), degli “in-giusti” “non-giunti-legati”
all'Assoluto che vedendo con < un solo occhio >, vedendo cioè senza alcuna “profondità”, vedendo solo la prima
153
quinta parte
realtà, quella materiale, e non sapendo cogliere quindi la Realtà nella sua interezza, finiscono per < non curarsi di
Zeus egioco e degli altri beati > < sentendosi molto più forti (di essi) >(Od IX.275).
Ancora, per quella grande unità di “sentire” di “temi e concetti” del mondo antico, Omero ci dice di Ciclopi che
sono < distruttori di uomini > come anche i < forti Lestrigoni,..non simili ad uomini ma come Giganti divoratori di
uomini >: sono cioè tutti “Giganti distruttori” come quelli di cui identicamente ci è detto in Enoch ed in Genesi, qui
"giganti-uomini famosi", ed in tanti testi della mitologia antica.
Omero poi con Ulisse che “salva la vita” accecando il “gigante” Polifemo, ci dice di come si debba fuggire alla
“morte”, spirituale, con “l’accecamento” della forza “in-giustizia” che vede con il “solo occhio” della materialità.
Egli ci dice poi anche di come, per liberarci da questa “prigionia”, ci si debba portare ad essere “nessuno”, ovvero
di come si debba “non-essere in sé” e, annullando l’ “io”, essere “nessuno”.
Egli dice così, con il racconto della prigionia di Ulisse nella grotta del “gigante” Polifemo, della forza “gigantesca
della materialità” che tiene “imprigionato” un uomo destinato così alla morte: forza e destino a cui si sfugge con la
consapevolezza di “non essere in sé”, di essere “nessuno” ed accecando quella “forza” che non vede che la materia.
Per inciso ricordo che il tema della liberazione dalla prigionia e morte grazie a questo dichiararsi-portarsi ad essere
“nessuno”, è un tema comune a diversi altri antichi racconti mitologici.
Ancora poi splendidamente nella Odissea Omero ci dice, con l’episodio dei Lotofagi, di un Loto “mangiando” il
quale arriviamo a perdere e < dimenticare il luogo da cui veniamo ed a cui siamo destinati >. In questo modo
poeticamente egli ci parla del Loto Indo-Ario ed Egiziano, il “cuore invisibile” o “cuore jb” nostra e pur non
“nostra” “Essenza”, Anima che se < mangiata > ovvero annientata, persa ed ignorata, ci fa perdere e dimenticare ad
un tempo la nostra “origine e la nostra meta” , l'Assoluto.
Infine a commento del noto episodio che vede trasformati in porci alcuni compagni di Ulisse, Omero ci sottolinea
che solo < una mente che vince gli inganni, (posta) nel petto> (Od IX.329), può farci evitare quella fine.
Egli ci dice cioè che solo una “mente” portata al “cuore”, < nel petto >, solo una "mente asservita all'Anima", saprà
vincere gli “inganni” che portano la nostra vita ad una materialità di cui i < porci > allegoricamente e molto
espressivamente dicono.
Questo ricchissimo e straordinario testo, del 8-600 aC , è certamente, penso di poter dire, ricolmo di altre mille
allegorie belle e poetiche quanto queste poche qui sottolineate.
PROMETEO
Sempre in Grecia e negli stessi tempi di Omero (8-700 aC), con il sapienziale mito di Prometeo, Esiodo, e in seguito
poi Eschilo e Platone ma con alcune difformità, ci ha detto allegoricamente di Verità di cui anche le Scritture
giudaiche negli stessi tempi diranno.
Esiodo ci dice che il tempo dell'Eden, il tempo che vede assieme banchettare l'uomo e gli Dei, ovvero il tempocondizione in cui, è detto nel giudaismo, l'uomo "passeggia" con Jhwh, termina quando grazie al titanico Prometeo,
forza che induce l'uomo a mangiare le carni lasciando a Zeus, con un inganno che questi ben vede, le ossa.
Dice poi il sapienziale mito che "dopo-in seguito" di questo episodio-portarsi umano, dopo il cosiddetto “inganno
del bue”, l'uomo sarà privato del "fuoco divino" ovvero diventerà “mortale”: ci viene detto così della “caduta
dell’uomo ad un io-materialità" che lo porta alla “morte spirituale”. L'uomo facendo nascere un “io” che si nutre di
“materialità”, le carni, si condanna alla morte similmente ad Adamo. Non vi è eternità per tale uomo che perde,
"divinamente" ovvero per Zeus", la spiritualità, il "fuoco divino". Il "fuoco-spirito" che ci mostra Platone il quale
nella sua esposizione del mito dichiara l'uomo creato da <..fango e fuoco divino..>.
Prometeo, Titano, forza primordiale, <..ingannatrice scaltrezza..> che per amore dell'uomo lo porterà a quell'errore,
è <..pensiero.. balenante..> e, sembra dire il suo nome, "viene prima - troppo presto", giunge “anzitempo”.
Infatti egli, forza amica dell'uomo ovvero che lo aiuta, dopo quei fatti si porterà a rubare a Zeus il fuoco divino ed a
riconsegnarlo, ma "troppo presto", all'uomo. Quel fuoco, che porta in sé <..intelligenza e memoria..>, all'uomo così
portatosi è <..pericoloso > dice Platone: intelligenza e memoria possono nuocere all’uomo "caduto". Con esse
l'uomo, impreparato, rischia di sostenere e rafforzare il suo “errore mortale”.
Ci viene detto infatti che è dopo questo fatto, è dopo avere acquisito “intelligenza e memoria”, che l'uomo si “prese
gioco” Zeus, di un Assoluto che egli non sa più vedere.
Breve inciso. In modo del tutto simile, seppure con parole ed immagini diverse, Enoch diceva di
<..stelle..che non apparvero nei loro tempi stabiliti..>(Enoch Et. XVII 15) e di “angeli” che < insegnarono
agli uomini a far spade e pugnali..i metalli e l'arte di lavorarli..e incantesimi..e a sciogliere gli
incantesimi..e l'astrologia..l'astronomia..e i segni della terra..del sole..e i corsi della luna >, tutto anzitempo
anche qui, a causa di “angeli” < troppo frettolosi > dice Enoch < ed allora sorse molta infamia..>(Enoch
Et. VIII). E nelle Scritture poi, sempre identicamente, ci viene detto di ciò che consegue a quell'errore:
così come Zeus toglie all'uomo il < fuoco divino > anche Dio toglie, ad un uomo nella errata presunzione
154
quinta parte
di decidere-mangiare del bene e del male, la possibilità di accedere all’ “albero della vita”, gli toglie la
possibilità di essere “eternità”, Assoluto.
Gli uomini, ci dice poi il mito greco, manterranno quel < fuoco divino > ma per < volere > di Zeus, un divino volere
che è Accadere, Armonia e Legge, essi ne potranno godere ovvero, potranno portarsi al divino-Eternità, solo
attraverso, solo vivendo, dei < mali > che gli giungeranno nascosti nel vaso di Pandora. E nessun aiuto essi
potranno avere da quella forza Prometeo la quale divinamente, ovvero sempre per Zeus-Legge-Natura, sarà in quel
tempo inoperante, legata e sofferente.
I mali, divino Accadere che sono < fatica, malattia, vecchiaia, pazzia, passione e morte (ecc.)..> sottolinea Platone,
liberi e liberati da Epimeteo che, ci dice il suo nome, è ciò che “viene-avviene dopo” e <..mente che sgarra..>, sono
ciò attraverso cui, dopo appunto la caduta all' "io-materialità", l'uomo potrà “capire” il proprio errore.
È infatti sapendo “guardare” quei “mali”, è vedendo fatiche, malattie, vecchiaia, pazzia, passione e morte che l'uomo
può vedere la nullità di quell'“io” che si è costruito, ed è a seguito del pieno dispiegarsi di quei mali, del loro
drammatico e apocalittico svilupparsi che l'uomo, ci dice quel mito sottesamente, potrà rivedere, assieme a quella
"nullità", la propria deità, il "fuoco divino", l'Eternità.
Quella infelice condizione dell'uomo non è eterna, Prometeo <..il benefico..> dovrà essere liberato, dovrà essere
sciolta la <..forte catena di Necessità..> che <..per quanto di molto sapere..> lo tiene fermo, dice Esiodo nella sua
Teogonia. Eracle lo libererà, il semidio che quindi aiuta l'uomo, e lo libererà <..non contro il volere di Zeus
Olimpio.. (che lo vorrà) perché ad Eracle... fosse gloria più copiosa di quanta già avesse, sulla terra nutrice..>.
Quel mito ci dice anche di un'altra grandissima ed incompresa Verità. Ci dice che dei doni che conteneva il vaso di
Pandora la sola cosa, male anch'essa, che resta -nella disponibilità- dell’uomo “caduto” all' “io-materialità”, è la
<..speranza..>, la sola che è rimasta nel vaso.
Sottilmente e profondamente ci viene detto così che all'uomo “caduto”, all'uomo che non sa più “vedere” la Verità,
l'Assoluto "materia e spirito" , a quell'uomo resta a disposizione e solo può “vedere” quella sorta di “male” che è la
“speranza” : sentimento “vuoto” di ogni “Conoscenza, Sapienza e Verità”.
La “speranza” è -male-, anch'essa, poiché “chiude ad ogni “cercare” : chi ad essa si ferma, chi ad essa si affida, non
“cerca” più non ha più alcun mezzo per arrivare alla “Sapienza", a quella "conoscenza di sé" che è assieme
"conoscenza del divino”. Egli non “cerca” come insistentemente hanno invitato a fare sia Socrate che Gesù.
EDIPO RE e TIRESIA
Nel tanto discusso quanto incompreso allegorico mito di “Edipo”, riportato da vari autori, l’ “incesto” del
protagonista con la propria “madre” di nuovo non dice altro che della “caduta” dell'uomo alla materialità, al
femmineo-sensoriale-yin: caduta che qui è narrata come “unione”, l' “incesto” appunto, con una “madre" allegoria
della "materia”.
In questo mito ci viene poi detto che questa “caduta-incesto” dell'uomo con la materia, la caduta all' “iomaterialità”, è “conseguente alla uccisione”, seppur “inconsapevole”, del “Padre”, del maschile-spirituale-yang.
L'uomo cioè, cade alla materialità in conseguenza ed a seguito della “non visione-dimenticanza”, pur inconsapevole
da parte sua, di un Assoluto che è assieme maschio-femmina, yang-yin, spirito-materia : equilibrio tra opposte forze
e condizioni.
Sofocle nel suo "Edipo Re" ci dice che a questo misfatto seguono disgrazie, carestia e deformità, che possono finire
solo conoscendo-scoprendo quella uccisione e caduta. Solo una “lunga ricerca” personale, quella stessa cui invita
Gesù, può portare, con la scoperta della Verità, alla fine dei disastri : Edipo infatti cercherà a lungo ed ostinatamente
prima di riuscire a scoprire-capire cosa involontariamente ha fatto. Serve all'uomo una forte volontà per conoscere e
capire come avviene la sua caduta all'io-materialità. Tutto ciò è anche quanto, su questo mito e con altre parole, ci
dice anche Omero in Odissea XI, 271-280.
Sofocle a questo mito-insegnamento di base aggiunge, nel citato testo, un interessante epilogo: Edipo dopo avere
capito-scoperto della uccisione del padre e della unione con la madre, si acceca. Verosimilmente Sofocle vuole così
dire di come, una volta “vista” quella Verità, deliberatamente e consapevolmente ci si “acceca al mondo” ovvero si
sarà ciechi alle sollecitazioni della materia “andando solitari”, ci viene detto in quelle righe. E lo strumento col
quale il protagonista si dà quella cecità infine voluta, è la fibbia-cintura che tiene le “vesti”, qui della “madremateria” con cui Edipo si è unito. Con questa bella e certo non casuale immagine si deve vedere che il portatisi al
Vero ed essere "ciechi al mondo" è un liberarsi delle vesti-veli della materia cui ci leghiamo, vesti-veli grazie ai
quali l'uomo si fonda e si crea quale "individuale io-materialità”. Sono vesti-veli infatti, anche per Gesù secondo il
vangelo di Tommaso 37, quelle che vanno tolte per potere vedere una Verità che è A-letheia, letteralmente "nonascosità, non-nascondimento".
Per inciso questa stessa “allegoria” di “cinzione delle vesti” sarà utilizzata da Gesù, secondo il IV vangelo, per dire
del condizionamento che Pietro subirà ad opera di Paolo :
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quinta parte
<...In verità in verità ti dico: quando eri giovane ti cingevi la veste da solo...ma ...un altro ti cingerà la veste e ti
porterà dove tu non vuoi..>(Gv 21.1-18).
Cieco e mendico al mondo Edipo poi, lasciata la città, vagabonderà accompagnato dalla figlia Antigone e infine in
un boschetto sacro vietato ai mortali scomparirà per volontà degli dei.
Una interessante conferma, a mio avviso, della lettura qui fatta del mito di Edipo, ci è data da uno straordinario
affresco rinvenuto in Egitto nella necropoli greco-romana di Tuna El-Gebel nel 1934, affresco oggi custodito al
museo del Cairo.
L'affresco è datato al 100-150 dC e quindi è abbastanza tardo ma resta una preziosa testimonianza di una lettura ed
interpretazione del mito che ancora oggi è poco o nulla vista : qui infatti in due dei tre episodi tratti dal mito qui
figurati, ci vengono mostrate delle figure, identificate con i rispettivi nomi, che non fanno parte del mito e che con
chiarezza sono inserite per rendere il significato filosofico-religioso che era dato al mito. Per mostrare la letturaesegesi che di esso qui era fatta. L'affresco non ripercorre il mito nella sua interezza ma lo sintetizza riuscendo
comunque così a mostrare e fare trasparire il vero senso ed insegnamento che, per chi ha realizzato questa opera,
inesso si deve vedere. Tre sono le scene qui dipinte :
a) la scena principale, quella centrale nell'affresco (fig.2) e che dice della interpretazione qui fatta del mito, riporta
la figura di Zetema, cioè la Ricerca, posta in evidenza alle spalle di Edipo mentre in secondo piano, in alto, una
scritta indica una celeste Tebe invisibile dentro una sorta di nube: verosimilmente la celeste divina città, Tebe o
Gerusalemme, luogo-condizione che la filosofica Ricerca-Zetema finisce col mostrare. Con Zetema viene quindi
posto qui come messaggio centrale del mito il compito e la necessità, per l'uomo, della “ricerca filosoficoreligiosa”, di quel “cercare” che si deve attuare al fine di "conoscere se stesso” e la propria "vera natura-patriacittà". Un "cercare" cui ha invitato anche Gesù col suo <..chi cerca trova.. (e) a chi ha sarà dato..>(Mt 7.8; 13.12).
b) a destra della suddetta scena centrale troviamo, particolarmente bella, una scena (fig.3) che mostra l'uccisione
del padre da parte di Edipo, una uccisione cui qui assiste la figura di Agnoia, la Ignoranza. Questa ci è mostrata
ritrarsi con le braccia al cielo in un gesto che sottolinea la gravità e la tragicità di quello scandaloso e tragico
accadere. Si vede così sottolineato il fatto che è per “ignoranza-non conoscenza del Vero” che l'uomo compie la
“uccisione-dimenticanza” di ciò da cui egli viene, del vero Padre. Una uccisione-dimenticanza che è il più grave e
nefasto errore dell'uomo. In questa figura si vede quindi che il padre ucciso non può essere, come invece molte
esegesi vedono, il padre-Adamo, il padre di quella "caduta" che Edipo poi supererà con la conoscenza della Verità:
nessuno scandalo vi è nella necessaria uccisione di tale padre-Adamo, e non è certo Ignoranza che ad essa conduce.
fig 1
156
quinta parte
fig. 2
fig. 3
c) più difficile da interpretare la prima scena, a sinistra di quella centrale, che mostra Edipo all'ingresso della città
di Tebe (fig.1) mentre risolve l'enigma della Sfinge indicando la testa a sottolineare la intelligenza da lui qui usata.
Verosimilmente qui, in simmetria con la scena di destra che mostra l'errore umano, si vuole mettere in evidenza la
intelligenza che serve per vincere la Sfinge, la femminea leonina forza divina, alata, che porta l'uomo alla morte.
Tornando al testo dell’Edipo Re di Sofocle troviamo poi anche la bella figura di Tiresia, l'uomo che, secondo le varie
versioni del mito che lo riguardano, è reso “cieco” e poi “indovino” per avere visto la “divinità”: le “bellezze” della
dea Atena o, per altre versioni, il “piacere” della “sposa reale, Era”. Tiresia cioè ci dice dell'uomo che “vede” o
“scopre” l'Anima divina, universale.
157
quinta parte
Il figura di Tiresia ci mostra poi che andando oltre la condizione di “ciecità al mondo” che è di Edipo, oltre il reale
per come esso è visto-creato da “uomini-figli dell'Adam-caduti alla materialità”, qualora si possa riuscire a “vederecapire il divino”, si passa ad uno stato di “conoscenza” che oltre che “ciechi” ci vede “indovini”: si potrà vedere la
Realtà più completa e vera e si saprà quindi scrutare quel “divenire-accadere” che è lo stesso Assoluto.
Sommi “ciechi” di tale cecità, ciechi -sin dalla nascita- in allegoria ci viene detto, erano ritenuti in Grecia i grandi
“poeti” che sapevano dire e cantare della Verità, Omero per primo e Stesicoro poi che solo da cieco, al mondo, seppe
scrivere di una Elena-Anima divina senza infangarla con l'accusa di essere “prostituta”.
Della stessa verità di condizione-passaggio al divino era detto, nella tradizione giudaica, con le figure di Enoch e di
Elia: Enoch fu < rapito in cielo >(Gn 5.24) ed Elia < salì nel turbine verso il cielo >(2Re 2.11), entrambi quindi
“fuori dal mondo, ciechi ad esso” sono portati a condizione divina, al <..passeggiare con Dio..>.
Ma di questa Verità le Scritture parlano anche in un altro modo : esse dicono che il vedere Dio “porta alla morte”, si
ha cioè a quel punto la “morte” della condizione umana di caduta, la “morte” dell'“io”, del “figlio dell'adamcaduto” :
< ..certo morremo, perché abbiamo visto Dio..>(Giudici 13.22)
Isaia poi quando percepisce la presenza di Dio dice :
< Ahimé ! Sono morto >(Isaia 6.3)
Tornando al tema della “cecità” vuole però detto anche che, come spesso avviene nelle allegorie, essa vede anche
l'esatto opposto di quanto sopra detto : per Gesù, che alla Torah si rifà, “ciechi”, oltre che sordi, sono sempre quelli
che non sanno vedere altro che la materia, coloro che non vedono-colgono il Vero nella sua interezza.
IL MINOTAURO
Nel complesso mito del Mino-tauro, il “re=minos-toro=tauro”, l'essere con corpo umano e testa di toro che essendo
“re” è anch'esso “divino”, a grandi linee e perdendo certo anche qui molte sfumature allegoriche, possiamo
verosimilmente notare le seguenti stesse Verità.
La decisione di Minosse, “Re” di Creta, di < trattenere per “sé” > il toro che il Dio Poseidone gli aveva inviato
perché lo “sacrificasse”, ci dice della “nascita dell' io”, del pensare “a sé-per sé” e della dimenticanza dell'Assoluto.
A questo “errore” seguirà, nel mito, la “unione” carnale della moglie di Minosse, Pasifae, con il toro di cui essa si
innamorerà per “volontà del Dio” Poseidone che così punirà la decisione di Minosse.
Ci viene così detto che, alla nascita dell' “io”, segue il distacco dell'anima, della “moglie-Sposa”, qui Pasifae, che
finisce per “unirsi”, accoppiarsi, con la “materia” che il toro rappresenta.
Da quella unione poi, il racconto ci dice, nasce il Minotauro, nasce quella “forza” mostruosa ma pur “divina”,
Minos=Re, che si ciba di carne umana, i sette giovani maschi e le sette fanciulle che perpetuamente Atene darà per il
suo nutrimento.
Nasce così cioè una “forza” che distrugge l'uomo, la forza che Enoch vede posta nei Giganti, la forza che è vista
gigantescamente svilupparsi in tutte le Apocalissi.
Teseo, figlio del re di Atene, figlio del “Re” il cui popolo è sacrificato e ucciso da quella forza, riuscirà ad uccidere
il Minotauro “legandosi”, con il famoso filo, ad Arianna, figlia del re di Creta, a cui ha promesso che si sarebbe
unito in matrimonio.
Si può anche qui verosimilmente vedere che la uccisione, l'annullamento, di quella forza, sarà possibile all'uomo
solo se resterà ancorato, “legato”, all'Anima-Sposa-Regale.
Quel mito poi ancora sembra dirci che il cammino dell'uomo però non termina con quella vittoria, egli, come Teseo,
deve “ritornare” fino al “padre”, all'Assoluto, ma questo non potrà essere se egli lascia la “Sposa regale”, l'Anima
universale, Arianna, per seguire altre unioni.
Così facendo l'uomo, come capiterà a Teseo dopo avere abbandonato Arianna, finirà per fare morire a sé il proprio
“padre”, l'Assoluto.
MITO della CAVERNA
Anche questo mito, tra i più efficaci ma ma le cui allegorie necessitano comunque di profonda comprensione, ci
parla della condizione di “caduta” dell'uomo nell'“io-materialità” e di ciò che avviene alla uscita da questa
condizione con il ritrovamento dell'Assoluto : la “resurrezione-conversione-cambiamento di mentalità”.
Esso ci dice poi infine delle conseguenze e rischi che corre colui che, dopo essersi portato a tale condizione, voglia
dire e far partecipi di ciò che ha visto e conosciuto a degli uomini ancora “chiusi e legati” all' “io”.
Devo dire che è grande errore vedere in questo mito, come oggi avviene, una sorta di vademecum comportamentale
per quella presunta speciale categoria di uomini, gli -odierni-“filosofi”, che spesso invece nulla di tutto ciò sanno
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quinta parte
vedere ed insegnare. Quel mito dice sì del “filosofo” ma di quello “amante della Sophia-Sapienza UniversaleLogos-Verità” secondo quanto intendeva Socrate che quel temine ha coniato, un filosofo lontano da quello odierno.
Nel “mito della Caverna” l'umanità chiusa nell'abisso del proprio “io-materialità” è ben descritto con l'immagine di
uomini che, chiusi nel buio della caverna sono forzati, da ciò che li “lega”, dalle “catene-mondo”, a vedere solo una
parziale e quindi falsa realtà: le loro ombre che si muovono sulla parete della caverna, ciò che non è che un
inconsistente riflesso, seppur reale anch'esso, della Realtà vera.
L'uomo-umanità che sempre si trova in quella condizione, ci dice quella metafora, è -forzato- a vedere una “realtà
falsa ed incompleta”, una “illusione”, da delle “catene”, in tutto eguali ai “lacci e prigioni” di Torah Profeti e tanta
altra letteratura, che altro non sono che i legami e le necessità che gli vengono dal vivere la “separata condizione”
della materia e dagli errati insegnamenti che esso riceve: la forza del “mondo”, tutto ciò che lo portano alla
convinzione di “essere in sé” e di potere “giudicare” del bene e del male.
La Verità però, la più completa ed unica, si scorgerà solo se lentamente si riuscirà prima a “guardare-vedere” in
direzione della “uscita” e poi ad “andare” fuori da quella buia caverna, fuori da quella limitata condizione-visione di
“vita puramente fisica” in cui ci lascia quell' “io-materialità” che, grazie ai tanti “legami” che lo “creano e
mantengono” ci impedisce ogni altra visione, ci lascia vedere solo le ombre, le illusioni.
Una “uscita dalla caverna” che è un “girarsi liberandosi di lacci e catene”, il liberarsi dell'“io” e di ciò che lo
alimenta per cambiare lo sguardo, “volgersi”: “con-vertirsi” ovvero, letteralmente, “cambiare mentalità” dirà Gesù
500 anni dopo.
Iniziato quel cammino-uscita, prima di potere vedere la Verità più completa si scorgerà ciò che in Realtà sono le
“ombre” da noi unicamente viste e percepite: si vedrà che il reale materiale è “Vivo”, che il sensibile si muove -con
e per- ciò che è a noi nascosto, le forze immateriali che con esso interagiscono: le figure nascoste dietro al muro.
Si scorgerà un Reale materiale più Vero: che si muove interagendo con quelle forze-deità che non possiamo vedere
con gli occhi della vista materiale.
Continuando il cammino di “uscita dall' io”, l' “uscita dalla caverna”, l'uomo toccherà un altro livello di questa
comunque unica Realtà che è il Vero, saprà vedere il “Fuoco” che Tutto, il Reale ed il materiale, anima.
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quinta parte
Ma ancora oltre, completamente fuori da quella caverna-mondo e ormai a questa cieco, egli arriverà finalmente a
scorgere quel “Sole”, Luce, Principio, Assoluto, che è la stessa Vita.
Questo cammino-conversione, ci dice sempre quel mito, è “difficile” da iniziare ed è anche molto difficile da portare
a termine: è un duro passaggio al “deserto” dice anche la Torah e poi ripeterà Gesù, è il duro passaggio alla Selva
Oscura di cui dirà Dante.
Le prime visioni di quella Realtà, è detto in quel testo, si dovranno vedere solo “ riflesse”, si dovranno intravvedere e
solo un lento avvicinamento, a quel “Fuoco” prima ed a quel “Sole-Luce” poi, ci permetterà di poterli vedere senza
accecarci, senza restarne sconvolti e non potere-volere più continuare quel cammino verso l'Assoluto.
Ci dice poi ancora quel mito che dopo avere visto il Sole, arrivati alla “saggezza-sapienza” del “vero-autentico
filosofo”, arrivati a vedere l'Assoluto, correrà gravi rischi colui che voglia impegnarsi a togliere dall'errore dell'“io”,
dalle catene e dalla caverna, il genere umano. E questo sia che egli tenti di farlo dicendo della condizione in cui essi
si trovano, sia che lo faccia cercando di spiegare loro la luminosa Verità che egli ha visto.
Nel primo caso egli sarebbe “ucciso” poiché, non creduto, sarebbe ritenuto pericoloso per l'umanità che non può che
cercare di continuare a vedere le “certe e sicure” ombre, le illusioni che ha sempre visto. Nel secondo caso egli non
avrebbe sorte migliore: sarebbe deriso, creduto pazzo.
Nella tragica conclusione di quel mito, che vede l'uccisione di colui che voglia parlare ad una umanità immatura
della Verità, giustamente, ma con lettura parziale, viene vista la descrizione della morte di Socrate.
Lettura parziale perché quel mito dice molto di più, dice di ciò che sempre si è compiuto e si compirà, dice di ciò
che è stato per Socrate come di ciò che poi avverrà per Gesù o Giordano Bruno e tanti altri.
Quella condizione umana di “legame” e visione di “ombre” cambierà solo quando “i tempi saranno passati”, ci ha
detto Gesù, e “senza intervento di mano d'uomo” ci hanno detto Daniele (Dn 8.25) e tutte le Apocalissi.
Un'ultima precisazione mi sento di dover fare: il Reale di cui ho detto, ciò che il mito ci descrive con l'immagine
degli “oggetti mossi-portati dalle figure nascoste dietro il muro”, sovente viene identificato delle “Idee-Forme”, di
cui ci dice Platone, viste quali archetipali distaccate copie del reale materiale ma quella immagine non ha niente a
che fare, a mio avviso, con tale fantasiosa e deleteria posizione e supposizione.
Quel Reale non è qualcosa di staccato ed altro dal fisico-materiale, esso non è che la “realtà materiale” stessa vista
però nella sua piena Luce e Realtà -con- quanto di immateriale con essa si relaziona, condizionata e condizionante
allo stesso tempo: la “realtà” che così diviene “Realtà” ovvero il “materiale fuso con l'immateriale”.
MITO DI ER
Platone nel suo “Repubblica” ci riporta, di Socrate, il “Mito di Er”, un racconto, più che un mito-allegoria come è il
Mito della Caverna, nel quale si figura e si descrive con molte sfumature una storia e dei fatti di fantasia coi quali ci
viene detto delle Verità della “vita dell’anima dopo la morte fisica” e della “reincarnazione”.
In questo racconto troviamo che:
- è affermata la continuità, dopo la morte fisica, della vita di un animo umano <..che può soffrire ogni male e
godere ogni bene..>,
- è dichiarato un destino di <..godimenti celesti e ..visioni di straordinaria bellezza..> per le anime dei <..giusti..>
mentre per le anime degli <..ingiusti..> un destino di <..patimenti..castighi..> e pianti proporzionati al grado di
ingiustizia cui erano giunte in vita,
- per le anime dei “giusti” che, in conseguenza del fatto che hanno vissuto sì vite virtuose ma solo <..per abitudine
e senza filosofia..> o anche per qualche altro motivo, desiderino sperimentare condizioni di vita non vissute in
precedenza, è qui dichiarata, quando queste vogliono, la “possibilità” di portarsi ad una nuova vita fisica, alla
reincarnazione, dopo avere dimenticato ogni cosa bevendo dal fiume del Amelete, l’acqua <..che nessun vaso può
contenere..>. Una reincarnazione qui vista possibile sia verso un corpo umano che animale ed anche sottoposta ad
Ananke, a Necessità,
- le anime degli “ingiusti” invece, e solo dopo <..un cammino millenario..> di patimenti, avranno la “necessità”, per
potere uscire da quella condizione, di reincarnarsi dopo avere dimenticato tutto come detto nel passaggio dal Lete, in
un corpo anche qui umano o animale. Sebbene nel mito non sia direttamente dichiarata, sembra di potere dire che in
questa “necessità” si possa sottesamente vedere espressa la Verità, largamente affermata nel mondo antico intero ed
anche greco, del “bisogno di fuggire-chiudere tale forzato ciclo di reincarnazione”.
- assieme a quanto sopra le anime tutte qui vengono poi dette in grado di scegliere il tipo di vita cui andare
incontro: una vita che <..le porti a farsi più giuste..> ma anche che <..le porti ad essere più ingiuste..>. Il racconto
vede quindi, bisogna dire, un muoversi continuo dell’animo umano tra vita materiale ed immateriale finalizzato al
raggiungere, grazie ad esperienze-conoscenze, alla Sapienza, alla “filosofia” che permetterà di <..essere felice in
questo mondo ma anche di compiere il viaggio da qui a lì e da lì a qui non per una strada sotterranea e aspra ma
liscia e celeste..>, per <...vivere felici ..nel millenario cammino.. descritto..>.
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quinta parte
- questo relativamente libero, seppure condizionato come sopra, muoversi dell’animo umano tra la vita fisicoterrena e quella non fisico-materiale che nel racconto ci viene mostrato, sembra chiudersi però eternamente per le
anime che si erano macchiate di gravi <..empietà..>. Per queste sembra terminare e chiudersi per sempre la singola
relativa esperienza umana: esse dal Tartaro <..non vengono fuori né potrebbero uscire..>.
- il <..millenario cammino..> qui prospettato per l’animo umano, un cammino che così è Vita stessa, Eternità, il
racconto ci dice essere condizionato da Ananke, dalla “necessità-fato”, dentro al canto, nella presenza viva, al
contempo “del passato, del presente e del futuro”, di Lachesi Cloto e Atropo Moire sorelle di Ananke, e assieme a
questo anche il canto-presenza delle deleterie-mortali Sirene.
Si può infine dire, per chiudere questo approfondimento, che si vede qui una Eternità in e di cui è l’uomo, l’animo
umano, un uomo che ha il compito di portarsi, per un cammino che lo vede protagonista di molte vite fisiche, ad una
“Conoscenza-Sapienza” che è la piena completa “Filosofia”. Parole diverse e diverse immagini per dire, si può
vedere, delle stesse universali Verità che, sappiamo, l’uomo comunque non può pienamente penetrare.
LAMINETTE ORFICHE
Allacciandoci a quanto sopra detto per il Mito di Er rispetto all’insegnamento sul “bisogno di fuggire-chiudere il
forzato ciclo di reincarnazione”, vedremo qui ora le bellissime testimonianze delle “Laminette” in oro dette
solitamente “auree” o “orfiche” ovvero accreditate agli arcaici insegnamenti di Orfeo per la Grecia, insegnamenti
che saranno seguiti e riproposti anche da Pitagora.
Di Orfeo, dei miti e culti ad esso legati e che dicono di Verità che sono con quelle Egizie ed Indo-Arie tra le prime
credenze-conoscenze “misteriche” della umanità, non farò qui che uno scarno accenno: di essi, dei Misteri Greci
tutti, più approfonditamente vedrò e dirò alla fine di questo testo e di queste riflessioni.
Delle credenze ed insegnamenti che hanno portato alla nascita dei Misteri greci, Misteri interessanti e belli quanto
difficili ed per di più pervenutici in varie e diverse versioni, abbiamo pochissime testimonianze e mai dirette, tra
queste riporto qui due note lasciateci da Platone ed Aristotele, due brevi appunti:
<.. già nella antichità forse alludevano a cose vere, affermando che chi giunge
nell'Ade profano e non iniziato starà nella melma, (e) chi invece vi arriva puro e iniziato starà con gli dei..>
(Platone-Fedone)
< Orfeo: costui dice...che l'anima entra dall'universo in coloro che respirano, portata dai venti >
(Aristotele-Sull'Anima,410b19)
Per inciso su Platone non si può non notare qui, in quel suo <.. forse alludevano a cose vere..>, una strana prudenza:
egli così ci fa dubitare che nemmeno lui sia riuscito a portarsi a quella condizione che invece porterà Socrate, come
lui stesso ci riporta, ad affermare di essere “sicuro di finire fra dei”.
Ciò detto passiamo ora a vedere ciò che, pur carente, ci ha lasciato chi quegli “insegnamenti e credenze” li ha
seguiti: le “Laminette” auree.
Si tratta di piccoli documenti che accompagnavano chi passava all'altra vita, documenti che non portano alcuna
indicazione di nomi “propri”, sono preghiere e testimonianze discrete di persone quindi senza “propria” identità, di
persone ormai portatesi alla “in-esistenza” all'Assoluto.
Sono “Laminette auree” ritrovate soprattutto in tombe orfiche, in quelle particolari sepolture collettive dette “a
tumulo”, o “timpone”, sepolture familiari o di piccole confraternite rinvenute nella Magna Grecia Calabra, a Petelia,
vicino alla attuale Strongoli e a Thurii attuale Terranova di Sibari, oltre che a Creta ed anche a Roma.
Sono queste le terre che vedono il greco Pitagora insediarvi, nel 500 aC, quella sua “scuola filosofica” che tanta
influenza e seguito avrà sul territorio italiano, fino a Roma, per lungo tempo.
Le “lamine”, di alcune delle quali qui riporterò le iscrizioni, sono piccoli fogli in lamina di oro che venivano
ripiegati come pezzetti di carta e consegnate al defunto al momento della sua cremazione in questi tumuli datati al
IV, III sec. aC.
Le lamine, come detto, non riportano alcun nome “proprio” ad eccezione di una, che è però molto tarda, risalente al
2° secolo dC ,e proviene da Roma. Sono lamine il cui contenuto era sostanzialmente identico, e sono una sorta di
“libro dei morti” ma di poche righe, Riporto quella di Petelia, conservata al Museo Britannico:
< E tu troverai a sinistra della casa di Ade una fonte e ritto ivi presso un cipresso bianco;
a questa fonte tu neppure ti accosterai da presso; un'altra ne troverai scorrente fresca acqua dal
lago di Mnemosine; guardiani vi stanno dinnanzi.
Dirai: “Figlio di Gea son io e di Urano stellato, e celeste è la mia stirpe, e ciò pur voi sapete.
La sete mi arde e mi consuma; or voi datemi subito della fresca acqua scorrente dal lago di Mnemosine”.
Ed essi ti lasceranno bere alla fonte divina ed allora tu in seguito regnerai con gli altri eroi. >
Quelle che seguono, conservate al Museo di Napoli, sono tra quelle rinvenute a Thurii, rispettivamente nel
“timpone” grande e in quello piccolo:
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quinta parte
< Ma quando l'anima ha abbandonato la luce del sole bisogna che vada da un tale,
di sagace intelligenza, che osserva bene ogni cosa. Salve! Col sopportare questo patimento tu non più oltre hai
patito, da uomo sei diventato dio: capretto caduto nel latte.
Salve. Salve o tu che hai preso la destra verso i sacri prati e boschi di Persefone >
< Io, pura fra i puri, vengo a voi o regina degl'inferi o Eukles o Eubuleo, e voi altri dei immortali!
Poiché io mi pregio di appartenere alla vostra stirpe beata.
Ma la Moira e il balenare del fulmine mi abbatté inaridendomi. Ma io me ne volai via dal cerchio luttuoso e duro e
con rapido piede raggiunsi la bramata Corona, e discesi nel grembo della signora regina infernale.
“Felice e beatissimo te che da uomo divenisti dio”. Capretto, io caddi nel latte >
Sono testimonianze che ci parlano di un aldilà, l'Ade, in cui si trovano due sentieri e fonti, a <..sinistra..> quello da
evitare che porta al <..cerchio luttuoso e duro..> della reincarnazione, a destra la <..fonte divina..di Mnemosine..>,
la fonte del “ricordo-rimemorazione” della nostra vera e completa natura, fonte presso la quale sono i <.. sacri prati
e boschi..> della Eternità, ovvero l'Assoluto. Sono testimonianze che ci parlano di un “riportarsi” a condizione
divina ovvero all'Assoluto, <..da uomo divenisti dio > è detto, che è in tutto identico a quella “resurrezione” che
tutto il mondo antico ha visto, la “rinascita-resurrezione” che Gesù invita a compiere già in vita e che, compiuta in
vita, Giovanni chiamerà “prima resurrezione” (Ap 20.6).
È un “ritorno” qui allegorizzato nella figura di un uomo che si porta alla condizione di “capretto” ovvero,
verosimilmente, alla condizione di colui che da un lato è pronto a “sacrificar-si” e dall'altro è “desideroso” di quel
“latte” nutrimento divino che anche Genesi vede scorrere nel “paese-Regno” promesso.
E l'uomo così portatosi, “capretto” che anela il “latte”, infine “diviene” egli stesso quel “latte”, diviene egli stesso
Vita : <..capretto, io caddi nel latte..> qui è detto, e in modo del tutto simile Gesù dirà:
<..i piccoli che succhiano il latte sono simili a coloro che entreranno nel regno...>
(vangelo di G.D.Tommaso, l. 22).
< ..quelli che sono come loro (i bambini) entreranno nel Regno..>(Mt 19.14)
Solo a chi è in una -tale- condizione di “capretto”, solo a chi “immola il proprio io” e così si porta alla condizione di
-innocenza- del “bambino” di cui dicono Gesù ed altre tradizioni, sarà possibile compiere l'ultimo passo verso
l'Assoluto: questo ci dicono quei <..guardiani..> e quel <..tale di sagace intelligenza..> che impediranno
quell'ultimo passaggio “al latte” a coloro che non siano nella condizione di poterlo compiere.
Faccio un breve inciso per dire qualcosa in più di queste per me belle quanto poco conosciute opere
funerarie che sono i “Timponi” presenti sul territorio calabro.
Questi “Timponi” sono dei grandi “tumuli” conici, una quarantina circa, sorta di collinette con base di
diametro tra i 10 e i 30 mt e altezze variabili da 8 a 10 mt che si snodano per chilometri, in Calabria,
nella pianura tra la fiumara di S.Mauro ed il fiume Crati fino al mare, nei territori che furono Sibari e
Crotone nella magna Grecia Pitagorica.
Queste collinette, “Timponi” con nome derivante dal greco Tympos=Tomba, si sono formate a seguito di
successive incinerazioni di defunti: sopra ad una prima sepoltura, a volte anche una molto semplice
tomba, che era ricoperta di terra, si effettuavano in fasi successive varie cremazioni ricoprendo di volta in
volta ossa e ceneri con un altro strato di terra.
Sono sepolture probabilmente famigliari o di piccoli gruppi o sodalizi datate, come dicevo, al IV-III sec.
aC e testimoniano di comunità con credenze riconducibili alla teologia orfica.
Le lamine ritrovate erano poste al collo o a portata di mano di alcuni dei defunti ed un particolare
interessante è quello che in genere, nei vari strati di cremazione vi erano una buona quantità di “cocci di
vasi”.
Questo non certo casuale fatto può essere con probabilità legato a quel concetto di uomo che, per la sua
parte materiale, è visto come “vaso”: concetto che ritroviamo dagli Egizi agli Indo-Ari ai Greci.
In questa lettura quei “vasi rotti” sono l'auspicio e il desiderio di vedere interrotto, rotto, terminato, il <
cerchio luttuoso e duro > della “reincarnazione”, il “riportarsi” appunto al “vaso”.
Infine una ultima riflessione mi viene di fare per dire che questi Timponi, sorta di tombe o sepolcri che
non sono certo “imbiancati”, Gesù forse li avrebbe apprezzati ben più di tante sontuose tombe “papali”.
Tornando alle “Laminette auree”, in quelle poche parole sopra riportate si può scorgere poi un altro aspetto, molto
interessante, che nasce nelle parole:
< Figlio di Gea son io e di Urano stellato, e celeste è la mia stirpe..>
Qui si vede come in queste credenze, in questo che è tra i primi sentire religiosi della antichità Greca, 'uomo sia visto
parte di un Tutto che lo vede come la stirpe degli Dei figlio “assieme” della “materia”, Gea, la madre terra, e dello
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quinta parte
“spirituale” Urano stellato.
Un Tutto che è una “unica” “stirpe celeste” di cui l'uomo è, “inesistente in sé”, parte: dice anche Socrate, secondo
Platone, che è vergognoso ostentare presunzione <..come se fossimo qualcosa..>(Gorgia 527)
In quelle parole si vede un uomo che è Armonicamente inserito in un Tutto, materia e spirito, che tutto comprende,
un uomo Uno, Assoluto ed inesistente “in sé”.
Ancora poi bisogna da ultimo notare che non vi è traccia, in quella visione di Tutto orfica, di quella “negatività
della materia” che sempre in Grecia troveremo nella posteriore epoca Classica, una negatività nata forse travisando,
più da parte nostra forse che greca, la caduta all' “io-materialità”, una caduta tutta psicologica e mentale che, pur
incentivata dalla materia, nulla con essa materia-corpo ha a che vedere: divina è infatti anch'essa dicono chiaramente
quelle parole.
RITO D’INIZIAZIONE MITRAICA
Il culto misterico di Mitra o Mythra, figura divina che troviamo già nei Veda e nel mondo persiano dal 1300 aC, si
sviluppa nel mondo greco-romano tra I sec. aC ed il V sec. dC circa e si è diffuso in particolare nella penisola e nelle
regioni nordiche del''impero. Figura divina legata al Sole sia nei Veda che nello Zoroastrismo, anche nel culto
misterico egli mantiene questo aspetto di Luce-Verità, di una“Verità contraria all’Errore”che porta all “prosperitàVita” della quale ci dicono le “spighe di Grano” che gli sono affiancate.
Mitra, per quanto riporta Armando Cepollaro ne’ “Il rituale Mitriaco”, è detto anche “il Salvatore, “Colui che
conduce in porto”, “l’Ancora dell’anima”, “il Compagno”, “l’Aiuto”, “l’Amico” ecc. ed è visto “vittorioso” e
“invincibile” come la simile ed analoga figura del “Sole invitto”.
Mitra è, possiamo dire, figura che richiama il Logos della tradizione filosofica greca ma anche, nella sua giusta
comprensione, il Logos-Verbo giudaico e giovanneo.
Ci conferma in questa lettura un “Rituale Mitriaco”, il “Papyrus Anastasii” oggi alla Biblioteca Nazionale di Parigi e
risalente alla fine del III sec. dC, che Arnaldo Cepollaro riporta nel sopracitato testo. In quelle righe, che vedono
anche una inflessione “magica” oggi a noi lontana, nella “formula propiziatoria” dello scrivente vediamo il richiamo
al <..Dio Sole Mithra..> e, nella “preghiera invocatoria” dell’iniziando, troviamo:
< Origine prima della mia origine, Principio del mio primo Principio..Spirito dello Spirito...se a voi piace fate che
io..sia elevato alla Nascita Immortale ..che io possa rinascere all’intelligenza, affinché io mi inizi e respiri in me il
Santo Spirito..che io passi subito oltre l’inesorabile e pressante bisogno..poiché io sono il Figlio..>
Strettamente legato ai Misteri greci, Misteri che solo alla fine di questi approfondimenti e righe arriveremo a vedere,
il Mitraismo è stato, come quelli, un culto-insegnamento sapienziale che portava per “gradi” ad un “cambiamento”.
Come per tutte le credenze-insegnamenti misterici, anche nel Mitraismo si vedeva la ammissione al culto segreto
previa una adeguata preparazione e con il giuramento di segretezza.
Ancor più che per i Misteri greci, per il Mitraismo non abbiamo fonti scritte ma, assieme al testo sopra ricordato,
molto si può vedere e ricavare dai resti archeologici, dalle decorazioni e dalle figure, che troviamo nei “Mitrei”, i
piccoli templi generalmente sotterranei in cui si praticavano le cerimonie di insegnamento-iniziazione e che
vedevano anche, sappiamo, un banchetto-comunione a base di pane e acqua.
Nel testo sopra citato i “gradi-passaggi” di un “cambiamento di mentalità” che è vera “con-versione/rinascita”, sono
“nove” ed il fine-traguardo indicato è quello di un distacco dalla materialità che vede l’iniziato quale “Figlio”, la
terrena condizione divina. Generalmente invece nei romani Mitrei in particolare si vede una sequenza di “sette/otto”
gradi-cambiamenti che portano infine l’iniziato alla condizione di “Padre”.
È interessante la ricostruzione, reperita in internet con fonti in “Roma Mitraica” di C.Pavia e “Roma sotterranea” a
cura di R.Luciani, delle fasi-gradi di iniziazione, passaggi segnati spesso nei Mitrei con i mosaici pavimentali che
descrivevano questo cammino con i relativi “simboli”:
1° grado: Corvo
Il primo grado simboleggiava la morte del neofita, la morte alla vecchia condizione, morte in
cui è ben ravvisabile la morte all' “io-materialità”. Al neofita veniva assegnato un mantra da
ripetere e veniva battezzato con acqua.
2° grado: Crisalide Rappresenta il primo stadio della rinascita, lo stato larvale in cui non si vede la luce.
3° grado: Soldato
4° grado: Leone
5° grado: Persiano
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Rappresenta la battaglia. Il neofita “nudo”, inginocchiato, bendato e a mani legate veniva
incoronato e, dopo il taglio delle corde alle mani e tolta la benda, segni di inizio -nella
“nudità”- di una “liberazione dura e di battaglia” da ciò che lega, egli si toglie la corona e la
pone sulla spalla dichiarando “Mithra è la mia corona”.
Rappresenta la nuova forza che il neofita trova e deve assumere per entrare nell'Oltre,
dell'incommensurabile.
Il pastore con torcia abbassata vestito secondo l'uso Persiano, Cautopates, è colui che merita
le rivelazioni di saggezza del Magio. All'iniziato era offerto il “miele” ed era sotto la
protezione della “luna”.
quinta parte
6° grado:Heliodromo La figura di Cautes che solleva la torcia è figura e preannuncia il sorgere del Sole cui è legato
Mitra: il sorgere della Luce ovvero del chiaro vedere-capire del’iniziato.
7° grado: Pater
Rappresenta, tramite Saturno, il Tempo dell'Oro; l’adepto giunto a tal punto era divenuto e si
era portato ad essere il rappresentante di Mitra sulla terra e poteva a questo punto svolgere la
funzione di insegnante della congregazione: colui che ormai ha tutto appreso e con-preso.
Mitra quindi, possiamo dire, è figura di ciò che l’uomo deve fare per portarsi a divina, seppur terrena, condizione.
Il rito-culto di Mitra vede, in ambito Romano in particolare, la rappresentazione della Tauroctonia, la uccisione da
parte di Mitra del Toro: si vede qui un Mitra che grazie alla Luce del Dio Sole cui egli si rivolge e che vede assieme
il suo opposto, la Luna, uccide un Toro figura verosimilmente della forza che porta alla materialità: la forza del cui
sangue-essenza si nutrono il serpente-mondo e un cane che qui dice di ciò che porta eventi funesti. Più difficile, ma
certo con significato simile ai due precedenti, è motivare le figura dello scorpione che del Toro aggredisce i testicoli.
Tauroctonia
FIGURE DI VERITÀ
LA SFINGE
Inizio da uno dei più belli ed importanti monumenti lasciatici dalla cultura Egizia: la Sfinge. Le tante riflessioni sin
qui fatte, assieme alla nuova luce che il prof. Mario Pincherle ha acceso sulla grande Piramide con le sue parole su
quello Zed-Eternità interno ad essa da lui così ben visto, fanno dire infine che sul significato o funzione della Sfinge
potremmo forse aprire nuove ipotesi e letture.
È difficile pensare che il popolo Egizio, con una profondissima cultura spirituale, abbia prodotto questo enorme
monumento senza qualche, per noi ancora nascosto, legame con le sue credenze.
La Sfinge, questo strano ed irrisolto monumento, potrebbe forse finalmente trovare senso e spiegazione in un
contesto religioso che veda nella piramide di Cheope la descrizione, fatta con il linguaggio delle forme,
dell’Assoluto Tutto-Eternità; lettura e descrizione già anticipata e vista in queste pagine.
In tale visione e contesto ciò che qui vedremo sulla Sfinge finisce per rafforzare il quadro completandolo e certo
giustificando così anche quella vicinanza fisica, tra questi due monumenti, certamente non casuale.
La Sfinge mi è comparsa alla mente alla prima lettura del vangelo di G.D.Tommaso dove, al loghia 7, Gesù afferma:
< E’ nel giusto il leone che divora l’uomo: è il leone che diventa uomo.
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quinta parte
Sbaglia l’uomo che mangia il leone: è sempre il leone che diventa uomo >.
Riprendere qui la similitudine allegorica di “Leone=Assoluto” fatta per l'Indovinello di Sansone porterebbe ad una
lettura difficile ed anche incongruente.
Tutto invece si risolve con chiarezza e razionalità ricollegandoci a quanto ci dice, come visto, il “giaciglio del leone”
dei “Testi dei Sarcofagi” all'incantesimo 650 : vedendo cioè il “leone” quale figura di forza del “materialesensibile” mentre l' “uomo” porta chiara in sé la dichiarazione biblica di “immagine di Dio” ovvero ci dice
dell'uomo partecipe del “soffio divino”.
Così lette quelle sono righe che parlano del grande ed universale tema che è il solo passaggio possibile : il ritornoresurrezione-rinascita, in vita, dell'uomo, il passaggio dalla “caduta alla materialità” alla condizione di “immagine
di Dio” ovvero del passaggio dell'uomo da “figlio dell'adam” a “figlio di Dio”.
È per questa Verità che è nel giusto colui che “leone”, legato unicamente al sensibile, immerso nell'io-materialità,
vorrà “nutrirsi” dell’ “Uomo” immagine-figlio di Dio e così riportarsi all’Assoluto.
Sarà invece in errore colui che, “Uomo” immagine-figlio di Dio, si nutra unicamente del materiale-sensibile, di
fisicità, del “leone”.
Dicono così quelle righe che sempre e solo l'unico passaggio che può vedere la Vita, è il passaggio che dalla
condizione di caduta nell' “io-materialità”, di “leone”, porta, in vita, alla condizione spirituale e corporale assieme
di “uomo-figlio di Dio”: inseparato e Uno con Esso.
In questa prospettiva di lettura, quella cioè della necessaria “conversione-cambio di mentalità-resurrezionerinascita” ovvero del “ritorno” ad un Assoluto-Tutto-Uno che vede assieme spirito e materia ovvero il ritorno al Re
dei Re, la Sfinge può quindi essere vista come un monumento legato alla Verità della “resurrezione in vita”.
Essa verosimilmente, con lo stesso “linguaggio delle forme” che vediamo nelle immagini Egizie delle varie forzedivine, come anche nello Zed della piramide di Cheope e come in tanti altri monumenti ed opere, non solo Egizi,
può essere figura di quel “giaciglio del leone” che i Testi dei sarcofagi (incantesimo 650) ci indicano e ci fanno
vedere appunto come “via” di “resurrezione”.
Il “volto” della Sfinge infatti, volto di “Re”, ci dice dell’Uomo che “nel riposo del leone”, trasformato, convertito,
resuscitato, si è portato al “Vero Re”, all’Assoluto, alla Vita Eterna che ad Oriente è vista sorgere.
E proprio ad Est, all’Oriente della Vita, guardano e sono rivolti tutti i monumenti Egizi della Sfinge dimostrando
così che la Vita eterna è ciò che unicamente vede l’uomo in quella condizione.
Questo monumento -posto all’ingresso dei luoghi dell’aldilà- ricorda così la strada che, nel PerEmRa Egizio, Thot
indica come “resurrezione”, la morte dell’”io”, il salto dell’Abisso che porta ad essere Re, divino come Thot e,
insieme a lui, a combattere l’ “errore” della separazione, la “sorgente del pianto” :
< (Io, Thot,) splendore dei risorti..sono l’oggi, lo ieri, il domani …
vieni salta l’Abisso! Prosciugheremo insieme la sorgente del pianto... > (PerEmRa)
Sfinge quindi che, posta “all'ingresso” del complesso delle piramidi, l'altra sponda del Nilo che è da sempre visto e
considerato quale sacro “luogo dei trapassati”, è monumento che rappresenta e ricorda l’unica strada che l’uomo
deve seguire “al suo ingresso all'aldilà” : la strada del ritorno all’Assoluto, perso in Esso : la strada di Eternità.
Potrebbe così anche avere senso preciso il legame suggerito tra le piramidi ed Orione : Orione per gli Egizi è infatti
sede dell'Assoluto, di Osiride.
Implicita conferma a quanto detto su questo monumento-simbolo è il suo nome, il nome egizio della Sfinge è infatti
Shespankh che significa “Statua Vivente”, ed è “Vivente, Eterno”, l’uomo “resuscitato” che essa così raffigura:
colui che la strada di “ritorno-rinascita-conversione”, la “resurrezione in vita”, ha compiuto.
LOTO-SCARABEO-VASO GRAAL
Continuando con le considerazioni sul significato di quanto ci hanno lasciato gli Egizi, vediamo ora di altre figure ed
immagini, altri “simboli”: sono immagini che, come la Sfinge, sono concetti, discorsi e Verità, non contaminati dalla
parola.
Anche per queste figure, come sempre nel “linguaggio delle forme”, bisogna “cercare” le loro Verità: esse si
possono non capire, possono con facilità non dirci nulla ma, contrariamente a quanto facilmente avviene con la
parola, difficilmente esse possono essere fraintese, difficilmente possono confondere e nuocere.
Parlerò qui di tre immagini-simboli che dicono della stessa segreta verità e che per me sono, come peraltro tanti altri,
particolarmente belle : il “Loto”, lo “Scarabeo” ed il “Vaso” sacri.
Quale premessa a queste considerazioni devo ricordare che la tanto citata “caduta”, quel condizionato, dalla natura,
vedere dell’uomo che si ferma e si chiude alla materialità è, anche, “perdita di memoria”, è il -non ricordo- degli
altri spazi e sostanze da cui è passato e venuto, un “non ricordo” che si sostanzia e si aziona nella chiusura, vera
“auto-fagia”, di quel “cuore nascosto-anima” nostra “essenza spirituale”.
A questa “perdita di memoria” che per la cultura greca orfico-stoica si produce sempre al momento del passaggio
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alla vita terrena per le acque del Lete, e si deve poi dopo la morte pienamente recuperare grazie a Mnemosine, grazie
alla dea “Memoria” ed alle acque di Vita del lago omonimo alle quali gli Orfici invitavano ad abbeverarsi. Ma,
soprattutto, ci viene detto che quella memoria si deve riprendere già in vita, grazie alle Muse.
Mnemosine è infatti anche la dea “madre delle Muse”, madre della Musica, del Canto, della Poesia ecc. che tutte
portano a “ricordare-rimemorare” il divino.
Tradizione però, quella del “ricordo”, che non è solo Greca : è la “mnémé theou-memoria di Dio” che Filone
Alessandrino dichiara essere < il bene più grande > e sulla quale scrive:
< ..la -vergine memoria-, da cui apparve il genere dei musici e dei cantori,
è una delle Potenze (di Dio), la quale, cambiando il nome, molti chiamano Mnemosine..> (Plant 127-29)
– LOTO SACRO
Il Loto che troviamo presso gli Egizi è lo stesso Loto che vediamo, in particolare, nella antica cultura Indo-Aria dei
saggi Vedici ed anche oggi in quasi tutti gli insegnamenti religiosi orientali.
Esso dice di quella nostra “essenza spirituale” che è portata al “cuore nascosto”, quel “cuore” che in Egitto vediamo,
oltre che nel loto, soprattutto simboleggiato e figurato nello “Scarabeo” e nel “Vaso” sacri.
Scarabeo e Vaso infatti erano posti entrambi, alternativamente ed indifferentemente, al centro del petto dei defunti,
sotto le fasciature, mentre il Loto che comunque dice della stessa “sostanza”, era posto nella tomba assieme ad
oggetti ed alimenti : tutti unicamente erano “auspicio ed augurio di Vita Eterna”.
Ricordo, con una breve parentesi, che come visto dello stesso Loto troviamo traccia anche nella parte più antica
della cultura Greca ovvero in Omero, nei Lotofagi che vediamo nella sua Odissea.
La “auto-fagia” di cui dicevo sopra, la perdita di memoria cui va incontro l’uomo nella “caduta”, è ciò di cui dice
Omero con l'allegorico racconto di quanto avviene nel paese dei “Lofagi”: mangiando il “loto” i compagni di Ulisse
“dimenticano” sia il luogo di provenienza che il cammino che devono percorrere.
Così in quel testo Omero parla e dice di ciò che avviene quando l’uomo “mangia”, nasconde e chiude, la propria
“essenza spirituale”, il Loto, l'Anima divina: l'uomo così non vede più ciò che egli è dimenticando così, al
contempo, ciò da cui è venuto e ciò a cui deve andare.
Con parole della cultura Indo-Aria è solo “conoscendo” il “piccolo Loto” che è nell'uomo, la cui sostanza è la stessa
del “Grande Loto” Assoluto-Vita Eterna, che si saprà da dove si viene e dove si deve andare.
Il fiore di Loto è citato quale simbolo del “cuore nascosto-anima spirituale” dell'uomo verosimilmente per il fatto
che questo fiore “vive nelle acque” come l'anima vive nelle eterne divine “acque di Vita” della “Anima universale”,
e dalle acque egli si erge ed esce come l'uomo che, con la nascita, vive la separazione della materia. Solo alla morte,
ancora come l'uomo che muore al proprio “io-materialità”, quel fiore ritorna alle “acque”.
E ancora da notare poi il fatto che il “cuore” di quel fiore è “giallo-oro”: il colore che universalmente è visto per
l'Assoluto come anche per quel “cuore-anima”, chakra Anahata, Tiferet, sua stessa sostanza.
È infine interessante sapere che il Loto “contribuisce e serve” a mantenere limpide e pulite le acque in cui vive e in
questa lettura di similitudine non si può non ricordare che il “riportarsi all'Assoluto” dell'uomo è sempre visto, nella
antichità, quale “contributo” alla lotta contro l'errore, contro ciò che contamina e sporca.
– SCARABEO SACRO
Un altro simbolo che, in Egitto in particolare e con grande frequenza, dice della stessa Verità è soprattutto lo
“Scarabeo”, figura-simbolo che era in quella cultura mostrato alternativamente al “Vaso”, sacro.
Entrambi, come detto, rappresentano il “cuore nascosto” ma è in particolare il Vaso ad essere usato e figurato sulla
bilancia di Anubi nella cerimonia della cosiddetta “pesatura del cuore”, “cuore” che dovrà essere “leggero”,
“svuotato”, per evitare la distruzione.
Questo “cuore spirituale”, lo Scarabeo o Vaso, dovrà essere senza la pesantezza della materialità, dovrà essere puro
Spirito per potere accedere alla Eternità: esso dovrà essere leggero come la piuma di Maat per potere proseguire il
cammino e avere accesso all’ultima “porta” quella che, lasciando alle spalle anche gli Dei tutti, lo vedrà entrare
nell’Aaru, lo vedrà Vita Eterna, Motore Immobile di ogni cosa, persino degli Dei.
Egli solo così, leggero, perverrà all’ Aaru che è collocato ad Oriente, l’Oriente in cui nasce la Vita, Aaru che è
descritto come una infinita distesa di acque in cui gli Dei si immergono ogni mattino, acque di Vita anche per essi.
Un Aaru, luogo delle “acque che sono sopra il cielo” in espressione biblica, che è visto a volte come <.. campo dei
giunchi..> ma anche, in altre raffigurazioni, come il luogo in cui viene coltivato il <..grano..> divino: lo stesso
grano da cui nasce quel <..pane quotidiano..> di Vita Eterna che Gesù ci ha invitato a chiedere con il Suo “Padre
nostro”.
Lo Scarabeo, e molto più raramente il Vaso, ho già detto che venivano in Egitto posti al “centro” del petto dei
defunti: posizione che è quella stessa del “piccolo Loto” Indo-Ario come del Chakra-Anahata Indù o del Tifheret
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quinta parte
della Cabala Ebraica. Posizione che a me naturalmente ricorda l'esperienza vissuta del “cuore nascosto”: percepito
appunto al centro del petto.
Queste considerazioni, legate a quanto già prima esposto su Egizi e non solo, porta ad intravedere una possibile
risposta alla irrisolta domanda sul perché della figura dello Scarabeo.
Il paragone e la similitudine fatta in Egitto tra il “cuore nascosto” essenza spirituale-anima dell’uomo, e lo Scarabeo,
può infatti verosimilmente nascere dal fatto che questo coleottero nasce e cresce nutrendosi di “sterco”.
Lo sterco di cui si nutre lo scarabeo alla sua nascita diviene, in questa allegoria, immagine della materialità di cui si
nutre l’uomo grazie all'errore della nascita all’“io-materialità”: vero sterco se unico nutrimento.
Dicono gli Egizi, con quelle figurazioni, che di questo nutrimento immondo, la materialità assunta in sé e per sè,
l’uomo si deve liberare “svuotando” il proprio “Cuore-Scarabeo” da questo sterco: per potere accedere all’Eterno
l'uomo deve avere questo “cuore” senza la “pesantezza” dello sterco-materialità, esso dovrà essere “leggero” come
la piuma di Maat.
Lo Scarabeo sacro era poi raffigurato quasi sempre “assieme” al Sole, immagine dell’Assoluto cui esso, “cuoreanima” è “legato” così come il “piccolo Loto” Indo-Ario è legato al “Grande Loto”.
Egli inoltre è quasi sempre raffigurato “alato” di speciali ali, ali che lo vedono “falco”, divino come Horus, capace
cioè di volare in “alto” in cielo ed “ogni cosa” vedere.
– VASO-GRAAL SACRO
E' apparentemente strana ma in realtà è bellissima l'equivalenza tra Scarabeo Sacro e Vaso, anch'esso Sacro.
Per dirne comincio, scusandomi, prendendo nuovamente spunto da un personale episodio.
Mentre, in un primo e superato poi tentativo di chiudere questi scritti cercavo il modo migliore per dire e rendere ciò
a cui ricordi e riflessioni mi avevano infine portato, mentre cercavo ciò che infine pensavo e ciò che avrei voluto di
“me stesso”, un “me stesso” che però non doveva “essere in sé”, di nuovo improvvisa alla mente ho ritrovato,
incredulo e sbalordito, la mia prima e cara compagna: “la brocca, il vaso, -vuoto-”.
Di nuovo essa si era presentata e proposta a me ancora, come allora appena nato, improvvisamente nel momento in
cui mi accingevo a cercare e riflettere su “me stesso”.
Questa bella e cara anfora dei miei ricordi, quel vaso che quasi attonito improvviso di nuovo ho ritrovato alla mia
mente, ora però non era più la triste verità che fu alla sua prima comparsa, ora si era trasformata e si presentava a me
come il felice ultimo traguardo a cui, forse, potevo dedicarmi.
Mentre nell’episodio dei miei “ricordi” essa è stata per me immagine di quel mio sconfinato vuoto interiore che mi
aveva portato al desolato e terrorizzante sentimento di frustrante impotenza per ciò che in me “non avevo” più, per
quel “mio sapere” che non ritrovavo più in me ed avevo perso, oggi essa si presentava come un dolce suggerimento,
una felice indicazione: oggi essa si proponeva come quel “punto di arrivo”, che è anche inizio, che in quei momenti
stavo cercando di esprimere. Questa nuova luce in cui ora essa si poneva, inaspettata per me sebbene così evidente
ora io la vedessi, le donava il posto di “verità ultima”.
È stato stranissimo, quasi frastornante è stato per me il ritrovamento di questa immagine, mia vecchia intima
compagna di vita, che ora si presentava come la migliore raffigurazione possibile di ciò a cui infine ormai vedevo
era giusto portarsi : il “non essere in sé”, l'essere “nessuno”.
Questo fine, traguardo e Verità, erano ora talmente chiari ed evidenti che mi è sorto il dubbio che anche quella
immagine forte e chiara dei primi momenti della mia vita potesse anche non essere la “mia” raffigurazione di quella
che io allora sentivo come la mia disperante e limitata condizione. Essa, in questa luce, potrebbe forse essere stata
anche in quella occasione, appena nato, una suggerita, saggia e quasi illuminata risposta alla mia domanda di allora
su “cosa io fossi” senza quelle “mie” conoscenze e sapere che più non avevo.
Ripeto questo inaspettato ritrovamento mi lasciava allibito, ero e resto, al riguardo, quasi senza parole, imbarazzato
al dirne ma ugualmente dirò ciò che, infine, vedevo.
L'uomo, in sé, è vaso vuoto !.
È un “acquaio vuoto” che egli stesso riempie con l’ “io” che pensa di “essere” e di “avere” ma che poi deve cercare
di svuotare affinché si possa riempire di “acqua di vita eterna”, di quell’ Assoluto che egli ha tolto nel “porsi” in
esso. Compito certamente non semplice, compito poi che non si esaurisce in questo “svuotamento” e che, oltre
questo limite, non potrà più essere “suo” o “nostro”.
Compito difficile è infatti il dovere riversare tutto, dopo che per una vita non si è fatto altro che riempire questo
“Vaso” o “Scarabeo” col nostro “io” e con tutto ciò che pensiamo “nostro”.
Sull'anfora o vaso, non si può poi fare a meno di ricordare che per gli Egizi, cultura che sempre più si presenta con
profondità spirituali inimmaginabili, il dio Khnum, dalla testa di “montone”, ha il compito della procreazione
dell'uomo, che è visto quindi così quale “pecora”, ed a questa opera lavora con la ruota del “vasaio”.
Lo stesso Vaso, come ricordato in precedenza, era visto e raffigurato indifferentemente e alternativamente allo
Scarabeo sulla bilancia di Anubi nella “pesatura del cuore”.
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quinta parte
Era un Vaso quindi che anch’esso, come lo Scarabeo, doveva essere “vuoto di materialità” per essere leggero come
la piuma di Maat.
Di questo Vaso-Scarabeo, cuore, dice il PerEmRa al cap.15.17 :
< colui che pone tè (Ra- Assoluto) nel suo cuore..(è) divino più di ogni Dio >.
Porre l’Assoluto in quel “vaso-cuore” significa mettervi il Tutto togliendovi l’ “io” e la materialità con cui, quella
illusione, si copre e si nutre.
Anche altri miti mediorientali riportano la creazione degli uomini con la ruota del vasaio così come nella cultura
Indo-Aria delle Upanishad troviamo, in Miaitrayaniya II e in Brahadaranyaka II.II,3 quanto segue:
< Da un aureo “Vaso” è celato il volto del Vero: rimuovilo…per (scorgere) Visnu..>
< C’è un Vaso con la bocca in basso e il fondo in alto…>
Vaso quindi “Aureo”, dorato e divino tutto, sia la materia del vaso che ciò che deve portare in sé ovvero quella
nostra essenza spirituale che unicamente, vista, ci permetterà di cogliere l’Assoluto-Vero-Tutto : vaso che viene visto
capovolto forse per dire di quella condizione cui si arriva quando nessuna materialità può più “riempirci”, quando
così “vuoti”, “nudi”, di null'altro che di Assoluto possiamo essere riempiti e coperti.
Troviamo queste Verità anche nella Cabala Ebraica dove uno dei cardini della dottrina è il < punto del cuore >
chiamato anche < vaso spirituale >.
L'immagine del Vaso oltre che parlarci, col “vuoto”, della “inesistenza in sé” dell'uomo e della necessità di vedere
quell'anima-spirito che unicamente deve riempirci, è immagine che dice anche della “terra-polvere” da cui l'uomo
viene, ci dice della sua parte materiale, quella legata alla natura, alla materia, alla “terra-madre”.
Come ultima considerazione sul “Vaso” vorrei ricordare che anche il Sacro Graal, “coppa o vaso” tanto misteriosa il
cui ritrovamento, secondo coloro che ne parlano, sembra così “fondante ed importante” per l’uomo, può facilmente
non essere altro che “questo” Vaso: il “cuore nascosto”.
Quel “cuore nascosto-anima” che, ritrovato, ci parlerà di una “Essenza spirituale” che ci mostrerà la Vita, l'Assoluto.
Le leggende e tradizioni sul Graal dicono che con il suo “ritrovamento”, da parte di ciascuno, si avrà accesso alle
“rivelazioni segrete” di Gesù ed a “grandi poteri”.
Queste “rivelazioni segrete” di Gesù altro forse non sono che, almeno in parte, quanto sin qui visto come pure
quanto ancora , più avanti, cercherò di mostrare: quanto “si rivela” con quella “diversa” lettura delle Sue parole.
Lettura, sul “filo a piombo” delle Sue parole e della Sua vita, che mette in luce il “Gesù diverso” che Paolo non ha
saputo vedere.
Ed i “grandi poteri” cui accennano le tradizioni sul Graal saranno quelli stessi dell'Assoluto cui l'uomo così si porta.
In quella condizione l'uomo sarà, inesistente in sé, stessa Vita-Assoluto ed è in quella condizione che quel “vasocoppa-graal sacro” sarà “fonte” stessa di quella “acqua di Vita” che è l'Assoluto.
Di questa Verità dicono con estrema bellezza alcune figure Sumere del III e II millennio aC di cui più oltre parlerò.
Di “coppa-vaso” che porta l'anima diceva anche un dotto e sapiente “pagano”, Celso, secondo quanto ci testimonia
Origene : < .. la sola anima è opera di Dio, e che ... vien fuori da una coppa ..> (Origene, Contra Celsum IV 61)
Egitto: La pesatura del cuore
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quinta parte
Tutte queste considerazioni e riflessioni su “Sacro Loto”, Scarabeo Sacro” e “Vaso sacro o Graal”, mi fanno
ricordare che ora stiamo entrando nell’era zodiacale di quel “vaso” che è l’Acquario, ovvero, forse e spero, l’era in
cui finalmente i “Vasi-Cuori nascosti-Loti-Scarabei” dell'umanità riusciranno tutti a riempirsi unicamente delle
Acque dell'Assoluto, le Acque dell'Acquario divino: l'era in cui l' “errore-apostasia” finirà.
Da tempo immemorabile, ricorda il prof. M.Pincherle, il periodo storico dell’Acquario è stato visto come l’ “ età
dell’oro”: il periodo della più grande felicità per l’uomo, il periodo del ritrovamento dell’Assoluto.
Lo stesso professore ricorda poi la nostra “ignoranza” su quei segni zodiacali di cui nulla sappiamo riguardo a chi
ce li ha consegnati e sul perché quelle sequenze di stelle cui essi sono legati siano state lette e tradotte nei simboli
dello Zodiaco.
Letture e traduzioni che ai nostri occhi appaiono arbitrarie e senza senso logico, ma che certo avevano, già in uno
sconosciuto antichissimo tempo, senso e razionalità.
GANESCHA
Un altro dei simboli e figure che, concetti e Verità quando compresi e capiti nei loro sottesi e spesso plurimi
significati, divengono immagini illuminanti e poetiche, è la complessa figura Indù di Ganesha, il dio con figura
d’uomo e testa d’elefante di cui ho piacere di dire con l’aiuto di Wikipedia.
Ganescha è il dio Indù della “prosperità e fortuna”, esso rappresenta ciò che, fatto nostro ed assunto a pieno, porta
alla più grande delle “fortune”, la Vita, eterna ed assoluta.
In questa “figura-simbolo” la “testa” di elefante, che è “fedele servitore”, ci indica la “ umile servitù” che si deve
avere nei confronti dell’Assoluto; le grandi “orecchie aperte” indicano invece la necessità dell’ “ascolto interiore”.
Sono queste le stesse “orecchie” e la stessa “umiltà” che tanto spesso anche Gesù ci suggerisce di trovare ed avere.
La “zanna spezzata” indica la capacità di “superare i dualismi”; la “proboscide leggermente sollevata” vuole
sottolineare la costante attenzione al “discernimento tra Reale ed irreale”.
La “gamba sollevata” indica la capacità di partecipare al contempo della “vita materiale e spirituale”, la capacità di
<vivere nel mondo senza “essere” del mondo>; il “ventre obeso” rappresenta la “equanimità”, la capacità di
assorbire ogni cosa con sereno distacco.
Gli strumenti per operare, che Ganescha tiene nelle mani, sono l’“ascia” per “recidere i desideri”, il “lazo” per
“legarsi all’Assoluto”, il “loto”, simbolo della “essenza spirituale” e della evoluzione umana.
Egli poi cavalcando il topo che, con il piatto di dolci posto davanti a sé mentre tiene tra le mani un boccone, guarda
Ganescha aspettando il suo benestare per potere mangiare, ci dice della capacità, del dovere e della necessità di
“controllare la mente”, il topolino, sempre pronta a farsi tentare.
Nelle storie che narrano di questa figura, il topo è quella mente che, incontrando sul sentiero, sul cammino della vita,
il “serpente-mondo-materia” che induce alla materialità ed all’ “io”, fa “cadere” al suolo l’ Uomo, Ganescha; la
“saggezza” però, propria di quella immagine e dell’uomo “giusto”, gli permetterà di rialzarsi e di catturare il
serpente facendone una cintura, ovvero gli permetterà di controllare ed usare quella “forza”.
Infine il tridente che Ganescha porta in fronte lo vede anche padrone del tempo, ovvero colui che, ormai oltre il
tempo, possiede il passato, il presente ed il futuro, l’eternità.
Ganescha è una figura per me straordinaria, bella ed illuminante, piena di poesia, simbolo e sintesi di ciò cui deve
aspirare l’uomo e che, nella tradizione Indù, viene anche vista come divinità, forza, che è a capo delle schiere celesti
e “distruttore delle vanità”: per questo poi è visto portatore di prosperità e fortuna.
Il racconto o episodio di Ganescha che sul sentiero cade incontrando il serpente è, come sottolineano molti esperti,
straordinariamente simile a quanto si trova in Genesi dove si parla dell’errore più grave, quello cui porta Dan ovvero
l'errore in cui cadrà una parte del popolo Isra.El contrario a Dio.
Con Dan la Genesi ci parla dell'errore di una parte dell’universale popolo dei figli di Dio: l'errore di coloro che come
Dan “giudicano” ritenendo, grazie all' “io” costruitosi, di “essere in sé”:
< Dan giudicherà il suo popolo come ogni
altra tribù di Israele, sia Dan
un serpente sulla strada, una vipera cornuta sul sentiero che morde i garretti
del cavallo e il cavaliere cade all’indietro..>
(Gn 49.16,17)
Tra l’episodio di Ganescha e questo passo si ritrova una rispondenza che diviene impossibile senza ammettere una
sostanziale unità di concetti e Verità: “unità di sentire religioso” del mondo antico anche qui evidente.
Non si può poi non constatare che quelle parole di Genesi si aprono e si possono comprendere, con pulita
razionalità, solo con una lettura che resta nel solco delle Verità che si vedono nella figura e nel citato racconto su
Ganescha.
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quinta parte
FIGURE SUMERE
Dirò qui di “figure” che per me sono ora tra le più belle conferme di quanto sin qui sostenuto.
a) La prima è la statua di un principe Sumero della fine del III millennio aC, Gudea, rinvenuta a Tello, oggi Tell
Luh in Iraq. È una statua, prodotta in diversi esemplari variamente simili, che raffigura questo Principe-Re che è
descritto, nei testi antichi che lo vedono coinvolto, come particolarmente “giusto ed equanime”, un riconosciuto
“capo” con particolari doti di saggezza e di superiorità morale. Gudea dagli esperti è con certezza ritenuto
personaggio storicamente esistito ma è comunque figura nella quale personalmente, anche per quel “nome” Gudea
che etimologicamente è “Il chiamato”, vedo richiamato quell’universale archetipo di “giusto-eletto-unto”
simbolicamente-mitologicamente espresso in modo vario e che troviamo anche nel biblico Re-Vero, Melchisedek re
di Salem, etimologicamente “Re di giustizia”, “Re di Pace” .
In questa statua la figura di Gudea è riprodotta con un importante vaso tenuto “al petto”, vaso che si vede zampillare
di abbondanti acque.
Qui io non posso non vedere, limpidissima, la raffigurazione di una “condizione” che, per le qualità che nelle
testimonianze vengono a Gudea riconosciute, è quella del “Re” nella accezione allegorica di tutto il mondo antico: la
figura di chi si è portato all'Assoluto, di colui e coloro il cui “cuore nascosto”, il “vaso-graal”, “piccolo loto” o
“scarabeo” ecc., l'“animo” umano, si è riportato a quella unione con l'Assoluto che rende lui stesso “fonte di Acque
di Vita”, emanatore di beni superiori, spargitore e stessa fonte di “acque dell'Assoluto”.
Anche Gesù, richiamando le Scritture, parla con chiarezza di questa “condizione” umana quando dirà di coluicoloro che sapranno seguire e capire il suo insegnamento:
< ...come dice la Scrittura : fiumi di acqua sgorgheranno dal suo seno >(Gv 7.38)
o quando dice:
<..l'acqua che darò a lui diventerà in lui sorgente di acqua zampillante per la vita eterna >(Gv 4.14)
Anche un bel passo dei Salmi descrive, per il mondo Giudaico, questa stessa “condizione” e Verità di cui dicono
quelle due belle testimonianze, condizione e Verità che necessita ed a cui si giunge per quella “valle” di cui dice
anche Isaia, per quel duro viaggio che ci vede passare dai “deserti” biblici e di Gesù, per le “selve oscure” di Dante :
< Beato chi...decide nel suo cuore il santo viaggio.
Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente..> (Sal 83 6,7)
b) La seconda statua è quella di una divinità della antica città di Mari, nei pressi della odierna Tell Hariri ai confini
tra Siria ed Iraq, città scomparsa intorno alla metà del II millennio aC.
È una statua, alta circa 1,40 mt, di una dea con mammelle plurime e con al capo una sorta di elmo che porta un
doppio serpente, verosimilmente simbolo del doppio aspetto del divino che vediamo anche nel “caduceo” di Ermete,
doppio aspetto che è il “maschio-femmina” della Torah e lo “Yang-Yin” o il Linga della tradizione Indù: bene e male
solo agli occhi dell'uomo cieco.
Nelle mani essa, similmente a Gudea, regge un importante vaso, tenuto leggermente sotto il petto, dal quale grazie
ad un singolare ed ingegnoso meccanismo, sgorgava un abbondante fiotto d'acqua.
In modo anche qui limpido si può vedere in questa statua la “Sposa” biblica, Anima universale, divina Madre fonte
di Vita Eterna, sorgente di Acque dell'Assoluto.
Nel “Vaso” che essa tiene tra le mani si mette anche in evidenza, come pure nella statua di Gudea, il legame tra
Anima e “Vaso-Graal” o “Cuore nascosto”, “piccolo Loto” o “Scarabeo”.
c) Il terzo di questi per me impressionanti e straordinari reperti archeologici è quello di una coppia di statue, un dio
e una dea di circa 50 cm di altezza, risalenti all'inizio del III millennio aC e ritrovate nella stessa area geografica
delle precedenti, più precisamente sono state rinvenute sepolte sotto il “tempio di Abu”, ad Escnunna, oggi Tell
Asmar, a 50 Km ad est di Bagdad.
Anche qui una della due figure ha un “vaso” tenuto al petto con le mani, è un vaso meno importante ed evidente
rispetto ai due prima descritti ma chiaramente esso ha lo stesso valore e significato.
In queste due figure poi si trova un altro elemento di straordinaria bellezza ed efficacia: gli occhi sono
impressionanti per la loro grandezza, spropositati, non umani.
Quegli occhi, per quel legame che tutto il mondo antico vede tra occhi ed anima, dicono del divino e di coloro che in
Esso sono: dicono della divinità, dell'uomo che “resuscitato in vita” ad Essa si è riportato, “condizione” che
necessariamente vede la presenza Viva di un' Anima “universale” che qui è mostrata riflessa negli “enormi occhi”.
Occhi enormi che fanno vedere, con facilità a chiunque, la “grandissima”, divina e universale, Anima che è dietro di
essi.
Felicemente stupefatto sono rimasto poi nel vedere questi stessi straordinari “occhi divini”, in una serie di grandi
statue rinvenute in Sardegna sul monte Prana, ritrovamenti ancora oggetto di studio e trattenuti nei sotterranei del
museo archeologico di Sassari.
170
quinta parte
Gudea III millennio aC
Dea II millennio aC
Dio Sumero III millennio aC ( rinvenuto a Tell Asmar)
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172
sesta parte
SESTA PARTE
ERRORI, CECITÀ, INCOMPRENSIONI
INTERPRETAZIONI E TRADUZIONI
Le incomprensioni causate da quelle “letture letterali” di tanti testi che l’antichità ci ha consegnato, sono
incomprensioni spesso inconsapevoli e forse anche ineluttabili: da un lato la parola forse non può dire dell’Assoluto
e dall’altro forse anche, con termini biblici, “i tempi dovevano passare”.
La non univocità e la limitatezza della parola nel suo tentativo di esprimere l’Assoluto si evidenzia però, oltre che
nelle “interpretazioni” errate e fuorvianti, anche nelle “traduzioni infedeli” oppure solo “imprecise” ma che poche
volte solamente nascono dalla mancata conoscenza del significato dei termini.
Più spesso queste “imprecise” traduzioni semplicemente tendono a “sorreggere” la lettura-comprensione di chi
traduce e questo non solo per i testi mitologico-sapienziali, anche per Vangeli e Scritture Giudaiche.
Non possiamo poi non considerare il fatto che di Gesù come di molti altri, compreso Socrate, siamo costretti ad
argomentare lavorando su “interpretazioni” di altri, di coloro che di essi ci dicono; finiamo perciò così con
l’interpretare una interpretazione con alte possibilità quindi di gravi errori.
A fianco poi delle errate interpretazioni e traduzioni a volte si sono aggiunti anche gli errori di “trascrizione”.
Ricordo qui il più innocente e divertente di questi errori, quello che si vide nella prima traduzione delle Scritture,
quella detta Vulgata: in essa un < canuta > fu trasformato in < cornuta > ed è grazie a questo errore che ancora oggi
vediamo nella Cappella Sistina un Mosè appunto “cornuto”.
È quindi un compito veramente difficile quello di leggere “dentro e dietro” i testi che abbiamo a disposizione,
compito che poco abbiamo avuto voglia di compiere sino ad ora: non vedo infatti, per restare alla figura di Gesù,
dove siano i tentativi di vedere e capire quel < Gesù diverso> che dei < Grandi Apostoli predicavano> (2 Cor.11).
Purtroppo, per quanto concerne le parole di Gesù, bisogna constatare come, sino ad ora, ci siamo limitati ad
approfondire una sola interpretazione: quella di Paolo.
Con riferimento ai temi di Vangeli e Scritture, sulle incomprensioni già molto abbiamo sin qui visto ma qui dirò di
alcune altre grandi incomprensioni prima però di queste analisi elencherò, qui di seguito, alcune delle “traduzioni
infedeli” , dei Vangeli, che si possono notare.
Ciò che esporrò è indicativo di come e cosa può avvenire a chi legga senza sufficiente attenzione e cautela; sono
“errate traduzioni” che dolorosamente ho visto, sono errori importanti nonostante la apparente esiguità delle
differenze. Il confronto che farò è tra il testo Cei e quello Nestle-Aland già ricordato.
Forse tutto, come dicevo, è stato inevitabile, ma continuare ancora oggi in questi errori è certo molto grave.
Mt 10.32
Cei
: <...davanti al Padre mio che è nei cieli..>
Nestle-Aland : <..davanti al Padre mio quello in i cieli..>
Il passo riportato è solo un esempio di quanto praticamente sempre troviamo scritto in Matteo, ma non solo.
Gesù sempre, si può dire, nel dire di Jhwh “precisa” che egli è il Padre “quello dei cieli”: con evidenza Egli così
sottesamente dice che, -anche per Lui-, “altri possibili padri” vi sono. E quello fisico non è tra questi visto che per
Lui <..nessuno.. sulla terra..>(Mt 23.9) deve essere chiamato “padre”.
Gesù con quella precisazione mette in evidenza che varie sono le “condizioni mentali-spirituali” cui l’uomo, come
anche Lui, può portarsi: egli può essere “figlio di Dio”, del padre dei cieli, o al contrario “figlio del demonioseparazione”, <..avete per padre il diavolo..>(Gv 8.44) dirà Gesù infatti a Scribi e Giudei nel tempio, e infine
l’uomo può essere “figlio dell’Adam”, figlio di un Adam “primo uomo-uomo primordiale” che dice della
condizione, archetipale e naturale in quanto legata alla vita sulla terra-adamà, di “caduta”, di caduta all’iomaterialità.
Niente o quasi di tutto ciò, a causa di quella soppressione, è possibile scorgere con la lettura dei testi Cei.
Vari
Cei
: <...Spirito Santo..>
Nestle-Aland : <..Spirito quello Santo..>
La stessa cosa appena sopra messa in evidenza per il "Padre" avviene spesso per la “Spirito-Ruah Santa”: qui la
imprecisione ha implicazioni meno importanti di quelle sopra dette, ma tolgono comunque a chi legge la visione e
consapevolezza della presenza di "altri", e "non Santi", Spiriti-Ruah.
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sesta parte
Mt 5.45
Cei
: <...perché siate figli del Padre vostro celeste....>
Nestle-Aland : <..così che diveniate figli del padre di voi “quello” in i cieli..>
Qui le parole da Gesù pronunciate subito dopo avere invitato ad “amare i nostri nemici e pregare per i nostri
persecutori” nel Nestle-Aland mostrano chiaramente che “con quel comportamento” si < diviene >, oggi , figli di
Dio. In Cei invece il “divenire oggi” scompare, resta un “siate” che è funzionale alla “futura”, quella cristianopaolina “fisico-materiale” e della fine dei tempi, assunzione a figli di Dio.
Mt 4.1
Cei
: < Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto...>
Nestle-Aland : < Allora Gesù fu portato “su” in il deserto da la Ruah-Spirito....>
Questa “mancanza”, questa eliminazione da parte di Cei di un “su” che ci dice del “deserto non fisico” che qui bene
abbiamo visto, è gravissima: solo il fisico e materiale deserto sabbioso da lei capito, essa invita e porta a vedere.
Ma oltre a questo anche fra “portare e condurre” vi è importante differenza: il “portare” Nestle-Aland ci lascia
intravvedere la possibilità di una azione-cambiamento non fisico mentre il “condurre” Cei ci fa vedere e ci
suggerisce, immediatamente, il trasporto corporale di Gesù al deserto che è l'insegnamento, di derivazione paolina,
della Cristianità tutta.
Mt 9.15
Cei
: < E Gesù disse loro: “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con
loro?” ..>
Nestle-Aland : < E disse loro Gesù: “Forse possono i figli della camera nuziale fare lutto per quanto ( tempo )
con loro è lo Sposo ?”..>
Qui il passo, dalla Cei incompreso, è poi tradotto in una incomprensibile, anche per lei, frase in cui nulla si può
rintracciare della Verità espressa da Gesù.
Nel Nestle-Aland invece si vedono le limpide parole di Gesù che, a chi chiedeva conto del non digiuno osservato da
lui e discepoli, afferma che chi come loro è figlio della “camera nuziale” ovvero vede-contempla-ha l'Anima-Sposa
legata a Dio-Sposo e non prostituita-datasi ad altro, chi così porta in sé l'Assoluto-Sposo ovvero "è con lo Sposo"
non è in lutto e non deve digiunare.
Gv 5.29
Cei
: < usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una
risurrezione di condanna.>
Nestle-Aland : < usciranno gli le cose buone aventi fatto - a - risurrezione di vita, gli invece le cose cattive
aventi fatto - a - risurrezione di giudizio. >
Anche qui differenze importantissime che meglio vedremo e capiremo più avanti. Anticipiamo unicamente un
considerazione: la traduzione-assimilazione di "giudizio" a "condanna" è arbitraria ed errata: essa nasce dal dogma e
visione, di origine paolina, di un "giudizio della fine dei tempi" nel quale la entità Figlio, unica sarà detto, dovrà
"condannare o premiare". Ma non è così, vedremo, e la "resurrezione-rinascita di giudizio" del testo originale non è
quindi una "resurrezione-rinascita di condanna". Altro qui Giovanni fa dire a Gesù.
Mt 13.15
Cei
: < Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli
occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere col cuore e
convertirsi, e io li risani...>
Nestle-Aland
: < Si è ingrassato infatti il cuore del popolo questo...e col cuore comprendano e ritornino e risani
loro >
Le differenze qui sono due ed entrambe importanti :
– L'originale “ingrassato” rende l'idea di colui che, caduto nell' “io-materialità”, pensa unicamente a sé, mentre con
l' “indurito” di Cei non si evoca per niente questa Verità.
– Anche la sostituzione di un “ritornino” che ben ci dice del concetto di “ritorno-rinascita-resurrezione in corso di
vita” con la sostituzione in un incompreso ed erratamente spiegato “convertirsi” è estremamente fuorviante.
Gc 3.6
Cei
: <...la lingua è un fuoco...infiamma il corso della vita..>
Traduzione letterale : <...la lingua è un fuoco..infiamma la ruota della nascita...>
Gravissima questa sostituzione delle filosofiche parole “ruota della nascita-generazione” della lettera di Giacomo
che aprono alla possibilità che egli accenni alla reincarnazione. Evidentemente incomprensibili ed impossibili
secondo la cristiano paolina lettura teologica della figura di Gesù, esse sono sostituite con un poco comprensibile
“corso della vita”.
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sesta parte
Dicevo che mantenere ancora oggi questi errori è grave e purtroppo l'annunciato “Cambiamento della Bibbia”, la
modifica in varie parti dei testi fin qui “accettati” dalla Cristianità Romana, non corregge nessuno dei punti qui
citati, anzi aggiunge, a mio avviso, almeno un altro -grave- errore. Mi riferisco alla modifica fatta in Mt 3.36,
modifica che sostituisce il precedente:
< Che giova all'uomo... se poi perde la propria anima ? >
con un
< Che giova all'uomo... se poi perde la propria vita ? >
Questa sostituzione di “anima” con “vita” è naturalmente perfettamente logica per una Cristianità che “al fondo”
unicamente la “personale ed eterna propria dell'uomo” -vita fisica- vede, proclama ed insegna.
La triste spiegazione che Antonio Pitta del “Pontificio Istituto Biblico di Roma” dà su questa modifica è che:
<..L'anima...( è ) sostantivo oggi più che mai etereo..> e quindi tanto vale eliminarlo sostituendolo.
Ma anziché eliminare quel “sostantivo” che è invece Verità, vorrebbe piuttosto capito perché oggi questa Verità è
così incompresa !.
Più corretta e fedele vedo e trovo la traduzione, e non parlo però di “comprensione”, che di quel passo fa la
Traduzione Nuovo Mondo (TNM) che dice: < Che giova all'uomo... se poi perde l' “anima sua” ? >
Qui, a parte il corretto “anima”, si vede il mantenimento di un originale “sua” che invece Cei ha trasposto in
“propria”, trasposizione e traduzioni che portano ad un "propria vita" che “insegna, promuove e così anche induce”
alla costruzione dell' “io” che “possiede” e fa “propria” ogni cosa ad iniziare dalla vita.
L' UNIGENITO
Una delle grandi “incomprensioni-interpretazioni” è quella che si svilupperà nella Cristianità per il termine
“unigenito”.
Questo termine prima di essere inserito tra i “dogmi” cristiani grazie anche, ma non solo, alle incomprese parole del
IV vangelo, detto di Giovanni, era stato utilizzato con ben altro significato, “sostanzialmente opposto”, da Platone
nel Timeo circa 500 anni prima. Proclo dice nel suo Commento a Platone:
<.. il termine “unigenito” sta a significare la “causa monadica” e
indica l’ essenza che sovrasta tutte le cose, infatti Platone usava chiamare Kore l’ “unigenita”.. >
Paolo poi si aggiungerà all'incompreso IV vangelo e dirà di un Gesù “primogenito” (Rm 8.29; Col 1.18; Eb 1.6)
riprendendo un termine già visto in quelle Scritture di cui egli è buon conoscitore seppur farisaicamente, Scritture
che però con quel termine parlano della “figura archetipale” del “servo-messia” Davide. Dice Jhwh:
< ho innalzato un eletto...Davide..mio servo..
...Io lo costituirò mio “primogenito”, il più alto tra i Re della terra > (Sal 88.20,29)
Davide è figura tipo, si deve quindi vedere e dire per le Scritture, di tutti coloro che, in quell' < oggi > in cui si
portano a < servi > dell'Assoluto, sono “divinamente” portati alla condizione di “primogenitura-unigenitura”.
Con buona pace delle “parole” di Gesù in cui Egli dice di un Padre che è < Padre mio e Padre vostro >(Gv 20.17) e
del Suo riferirsi a sé stesso dichiarandosi < figlio dell'Adam >, figlio anch'Egli dell'archetipale “uomo caduto” Adam,
oggi la Cristianità dichiara Gesù “unigenito e primogenito” nel “dogma” che afferma :
“ Gesù è l'unigenito e primogenito figlio di Dio, Uno con il Padre e con lo Spirito Santo”
Ma ciò che il dogma Cristiano finisce con l'insegnare è l'opposto di ciò che i termini “primogenito e unigenito”,
nella loro originale accezione Giudaica e Greco Antica, ma anche Indo-Aria, vedevano ed indicavano:
< Ciò che si trova nell'uomo e ciò che si ritrova nel Sole è unico.
Chi conosce ciò...vaga attraverso i mondi, mangiando a suo piacere, rivestendo l'aspetto che vuole e canta..:
“Evviva, evviva, evviva..Io sono colui che congiunge insieme le due cose..
Io sono il primogenito della legge cosmica; anteriore agli dei io risiedo nel grembo dell'immortalità.
Chi mi dona, costui mi ristora. Io sono il cibo e mangio il mangiatore del cibo ! Io ho superato tutto l'universo”.
Aureo splendore possiede colui che questo sa >
(Taittiriya Upanishad 3.10 – Hinduismo Antico-I Vol.- Mondadori)
Ciò che il dogma Cristiano mostra è una condizione di “separazione-individualità” contraria a quella “universale”
Greca ma anche Giudaica, Indù e non solo.
175
sesta parte
Anche nel contemporaneo TaoTheKing (600 aC) della tradizione orientale troviamo con chiarezza questa stessa
“primogenitura-unigenitura” e “causa monadica”, troviamo un Figlio divino che “è prima di ogni cosa” come
peraltro dirà anche Gesù con il suo < prima che egli fosse, io sono >(Gv 8.58); dice il Tao The King :
<..l'Uno si divide in due aspetti opposti (il Due),
il Due dà vita a un altro (il Tre), l'appena nato Terzo produce una miriade di cose...>
(Tao The King 42 )
Il verso più sopra citato di Salmi ci parla della “elevazione-uscita dalla condizione di caduta”, dell'uomo “servo” di
Dio: elevazione-assunzione ad una condizione che è “oltre e sopra” ogni terrena forza agente nel sensibile, oltre e
sopra ogni “Re della terra”.
Ci dice cioè quel passo che coloro che si portano alla condizione di “servitù e di giustizia”, condizione < eletta >,
sono < alzati > e ritornano alla condizione “prima” di “manifestazione-creazione”, la condizione e stato di “primagenerazione” o “primogenitura”. Condizione di “causa monadica” secondo le parole di Proclo.
Molti altri sono i passi biblici che, senza legami a Davide, ci dicono della “servitù” a Jhwh quale “condizione di
elezione”, passi che così confermano nella sostanza questa lettura.
Platone, secondo il commento di Proclo, con quel termine indicava, in modo del tutto simile, un’Anima “causa”
Universale, “essenza e sostanza spirituale” di tutte le cose, sola generata che a tutto si infonde ed a cui gli “eletti” si
riportano.
Si vede così che “unigenito o unigenita” è, sia per Scritture Giudaiche che per tutto il mondo antico, ma non solo, la
“condizione prima” della manifestazione-creazione, condizione “Unigenita” poiché sola dal Principio emanata e
“causa monadica” poiché “essenza di tutte le essenze infuse al materiale”.
È la “essenza” che l'uomo può rivedere e ritrovare nella “servitù all'Assoluto”, dopo avere vissuto quel “volgersidistacco” cui lo porta l’errore della caduta nell' “io-materialità”.
Lontana da tutto ciò la Cristianità assumerà le parole delle Scritture secondo le tesi “cristologiche” di Paolo e
mostrerà così un “Gesù separato e -unico-primogenito” che diverrà, nella sostanza, l'opposto di quella “universale
causa del tutto e primogenitura” sopra vista .
E di questa stessa “universale causa del tutto” parlava anche, come già visto e seppur forse senza usare i termini
“primogenito-unigenito”, il mondo Egizio nel PerEmRa o Libro dei Morti in cui colui che ha saputo portarsi a quella
speciale condizione così recita :
< Io sono uguale al Gran Dio che produce la Luce del Giorno! Ecco che io sorgo dalle Viscere dell’Universo,
e per la seconda volta io vengo al mondo.. Io ritorno piccolo fanciullo, senza padre > (CLXX)
< Divenuto Spirito santificato, io percorro tutte le Forme del Divenire,
il mio magico Verbo mi dona la Potenza > (LXXII)
< Io sono il dio Tum che creò il Cielo e chiamò alla vita gli esseri della Terra,
io avanzo e genero gli esseri, partorisco gli dei, miei Figli, generando pure me stesso >(LXXIX)
Passando alle parole del IV vangelo esse dicono:
<..il Logos era presso Dio… tutto fu fatto per mezzo di lui.. egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui..
e....si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi..> (Gv 1.1-14)
Queste parole, contro la lettura cristiana, esprimono la visione di cui ho detto sopra: esse dicono di una “divina
essenza prima-unigenita-creatrice, Logos” che è, che abita, in ogni carne-uomo. Un “divino” che l’uomo, che cade
all’”io-materialità”, deve ritrovare-riconoscere per riportarsi al divino:
<..a quanti lo hanno accolto, (il Logos) ha dato il potere di diventare Figli di Dio..>(Gv 1.12).
É errato, in tutte queste parole di Giovanni, vedere come fa la cristianità degli accenni ad un “personale singolo ed
unico” portarsi del “Logos divino” alla persona di Gesù.
A questa lettura ed errore, farisaica-separatrice-personalistica, la cristianità è portata dalle parole, dal vangelo e dalla
teologia paolini che essa ha assunto a Verità ma, tale lettura, in realtà si scontra col fatto che è in contrasto con tutto
ciò che dice il vangelo di Giovanni. Torneremo, più avanti, su questo tema e su questo vangelo.
Lo stesso discorso vale poi anche per le parole che Gesù, sempre in Giovanni, esprime parlando di Giovanni
Battista:
< ..prima che egli fosse, io sono..> (Gv 8.58)
Anche questa frase, che è uno dei principali sostegni della Cristiana visione “materiale” dell'incarnato “figlio-di-Dio
Uno con Esso e con lo Spirito Santo”, può essere letta secondo la visione di Salmi e di Platone:
chiunque infatti, con questa visione ed anche oggi, abbia “coscienza” di essersi “riportato” inesistente in sé ed inesistente a quella originaria Essenza Unigenita, può dire senza scandalo le stesse parole che il IV vangelo ci riporta
di Gesù, può affermare quella Verità come Gesù fece e può, in questo senso, essere appellato Unigenito e sola
Essenza.
Quell’ “io sono” indica unicamente la condizione a cui Gesù è pervenuto: la Essenza Principio che è prima di ogni
“nascita all’ io”, prima di ogni “coscienza di sé”, prima e stessa Essenza di ogni cosa.
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sesta parte
Quella affermazione di Gesù non vede, così, alcuna rivoluzione, nulla di nuovo, essa è solo una diversa espressione
di Verità già viste, conosciute e suggerite da millenni. Tutto così in linea con quanto sin qui visto ma soprattutto in
linea con molto altro che, nel IV vangelo soprattutto, più avanti vedremo.
Ricordo infine qui di seguito quanto hanno visto, in merito, altre tradizioni.
Questo “Unigenito” può essere visto quello che la tradizione orientale chiama “Uomo trascendente” (Chen-jen) il
quale, come René Guénon ci sottolinea, corrisponde all' “Uomo Universale” (El-Insànul-kàmil) dell'esoterismo
Islamico ed è identico al “Logos” della tradizione Greca ed al “Logos-Verbo-Cristo” del vangelo di Giovanni.
É l'Uno senza dualità cui l'uomo arriva quando riesce a portarsi :
<..allo stato totale..(dove) non vi è più nessuna distinzione tra “Yang-Yin”,
i quali sono allora..nella indifferenziazione ..(e) non si può parlare in tal caso di “Androgino”,
che implica una certa dualità nella stessa unità, ma soltanto della “neutralità” che è quella dell'Essere...di là dalla
distinzione “Cielo-Terra”, di “Purusha-Prakriti”...coppia che può essere identificata con l'Uomo Universale ( o
“Uomo trascendente” o “Logos” o “Verbo-Cristo” ndr) solo con riferimento alla manifestazione..>
( R. Guénon, Il Simb. della Croce, La grande Triade)
< Quando ...ridurrete il maschio e la femmina ad un unico essere così che il maschio non sia solo maschio
e la femmina non resti solo femmina,….allora troverete l’entrata del Regno.> (vangelo di G.D.Tommaso, l.22)
Ma purtroppo l’interpretazione prenderà una via sola, per me completamente travisata, e tutta “materialmente”
separatrice: si separa il Dio dal Tutto, si separa Gesù da tutti, si separa l’uomo dall'Assoluto e si finirà,
inconsapevolmente e farisaicamente, “fariseo” significando “separato”, col “separare l'uomo dall'uomo”.
L’ANIMA E LO SPIRITO
Tema importante del quale in diverse occasioni Gesù parla, tema non facile anche a causa di imprecise traduzioni e
che ha visto e vede molte letture e interpretazioni sia nel mondo filosofico che religioso, tema qui già toccato nella
2° Parte al capitolo “Il cuore invisibile”, è quello dell’“anima” genericamente intesa come ciò che, dell’uomo e non
fisica materia, va oltre la morte corporale e può passare alla Vita eterna, alla “Eternità”, o “perire, finire”. Dice nel
merito Gesù:
<.. temete piuttosto chi ha il potere di fare perire l’anima e il corpo nella Geenna..>(Mt.10.28)
<..chi ama la sua anima la perde, ma
chi odia la sua anima in questo mondo la conserva per la Vita eterna..>(Gv 12.25)
<..per questo il Padre mi ama: perché cedo la mia anima per potere poi averla di nuovo..>
(Gv 10.17 -TNM)
E’ questo un tema che, abbiamo visto in precedenza, si “incontra” in Gesù anche con la corretta traduzione e lettura
della parabola del “Ricco stolto” che “muore” nel senso che si chiude ad una Vita che è “oltre” quella fisicomateriale e quindi che è “spirituale”, portandosi a quella condizione di “caduta-morte a tale Vita”, cui incorr
l’uomo, della quale Gesù dice anche con il suo <..lascia che i morti seppelliscano il loro morti..>(Mt 8.22).
E’ tema che anche, sempre in Gesù, si incontra in quella “rinascita-risurrezione-conversione”, già in precedenza
sottolineata, che Egli invita a fare “in vita”, “da vecchio” come dice Nicodemo:.
<..rispose Gesù: “..se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno..”.
Gli disse Nicodemo: “come può un uomo nascere quando è vecchio?.”.. Rispose Gesù: “..non ti meravigliare…
dovete rinascere dall’alto.. per vedere il Regno di Dio.. ” >(Gv 3.3-7).
Tema di una “anima”, dobbiamo dire e vedere, che si lega, anche etimologicamente, a quello di uno “spirito” che è
ad essa affine e vicino vediamo infatti che:
a) il termine “anima” è traduzione:
– sia del greco “psyché” che troviamo nel Nuovo T. e nella tradizione filosofica greca, termine che il quale
richiama l’idea di “soffio-alito”,
– e sia dell’ebraico Antico T.rio “nefesh”, legato a “nàpas” il quale è “soffiare-esalare”
b) similmente, il termine “spirito” traduce:
– sia il greco “pneuma” che troviamo sempre nel Nuovo T. e nella tradizione filosofica e che è “soffio-aria”,
– e sia l’ebraico “ruah” dell’Antico T. e che è “vento”.
Si vede così dichiarata, per lo stesso richiamasi di tutti i termini a quella sorta di “immaterialità”, seppure apparente,
ed assieme di “universalità ed impersonalità” di cui dicono i “soffio-alito-aria-vento” dai quali originano i due
termini, la piena affinità e vicinanza tra “anima e spirito”.
177
sesta parte
Bello in merito è un interessante frammento di Anassimene (586-528 aC) che, anticipando Platone e in linea con
tutto il mondo filosofico e mitologico greco, dice:
< Come la nostra anima ( psiché ) essendo aria ci tiene uniti, così lo spirito ( pneuma )
e l’aria abbracciano il mondo intero >(DK 13 B2)
Tornando a Gesù, sul tema troviamo queste altre sue parole da lui pronunciate sul Getsemani prima di andare
incontro alla crocifissione:
<..La mia anima è triste fino alla morte… lo Spirito è pronto ma la carne è debole..>(Mt 26.38-41)
L’anima di Gesù, che come per tutti è legata alla “carne”, ad una vita fisica che Egli vede prossima alla fine, è per
questo triste nonostante lo Spirito sia stato preparato e quindi sia ora <..pronto..> a quel passaggio.
Quello di “anima-spirito” quindi anche per le parole di Gesù qui viste è il tema di ciò che -dell’uomo- con una
Natura che “altra” rispetto alla materia ma che con questa è in piena relazione, una Natura “non materiale” che non
è toccata dalla morte fisica, è ciò che vede la -possibilità-, determinata dall’uomo stesso e già nel corso della vita:
-- sia di essere “chiusa-inibita” alla Vita eterna, all’Assoluto come è per il Ricco stolto e per i “morti” di cui Gesù
dice nel citato Mt 8.22, e quindi avviata alla “Morte-fine”,
-- e sia di essere, sempre da parte dell’uomo stesso, “aperta-avviata” a quella “Vita eterna” Assoluto-Regno di cui
Gesù dice con la risposta a Nicodemo.
Una “Vita eterna” o una “Morte-fine” che, bisogna vedere, sono “possibilità” che nascono e si sviluppano entrambe
da “proprietà, facoltà e potenze” dell’animo-spirito stesso”, da quella sua “doppia natura” che è la “Natura”
dell’uomo di cui dice, abbiamo visto, Genesi: il “maschio-yang-spirito-Vita ecc.” e “femmineo-yin-materialitàMorte ecc”,
Una doppia Natura dell'anima dell’uomo che la porta a vedere in essa una doppia tensione: verso il “materialeterreno” e verso lo “spirituale-divino”, e quindi la possibilità, con termini-allegorie largamente utilizzati nel mondo
antico tutto, di portarsi ad essere "Prostituta-Adultera” o “Sposa".
E l’uomo “determina-cagiona” la Morte della propria anima-essenza, quando “non vedendo-capendo” la necessità
di un equilibrio che è Vita tra quella due forze-potenze si porta, a questo indotto dalla vita nella materia-corpo, a
vedersi “essente in sé”: quando si porta ad un ”io-materialità” che è separazione-divisione dal Tutto-Assoluto.
Una “separazione-fariseismo” che è, e che unicamente vede, il “femmineo-yin-Morte”.
Anche Gesù, con le parole qui viste in apertura, conferma questa “doppia tensione” dicendo che essa da un lato
vuole “salvata-conservata” e dall’altro che vuole “persa-odiata”: si deve “odiare-controllare” la sua tensione alla
materialità poiché solo così, solo con l’equilibrio tra questa tensione e quella che invece anelando lo spirituale invita
l’uomo a nascere dall’alto, a capire-vedere il “divino-eterno”, essa potrà accedere a tale Eternità.
Di “doppia e opposta natura e tensione” dell’animo umano sappiamo che ha largamente detto anche il mondo greco
sia filosofico che mitologico, come meglio vedremo in seguito, e in particolare Platone ne dirà affermando l’anima
essenzialmente bipartita: di natura assieme “razionale” e “irrazionale-concupiscibile”.
Di "doppia tensione natura ed aspetto" di ciò che dell’uomo va oltre la morte fisica, parlava anche il primissimo
cristianesimo come si vede testimoniato anche in un testo, la “Pistis Sophia”, che è stato a lungo seguito ed
insegnato nei primi tempi della comunità di Aquileia. In quel testo infatti si dice di un " antimimon pneuma", uno
"spirito contraffatto-avverso", che appare come una controfigura ingannevole dell'anima e che <...spinge di
continuo l'anima a perseguire le proprie passioni e ingiustizie..>.
Questo "doppio aspetto e natura", questa visione al fine “filosofica” dell’animo umano, si è mantenuta molto a
lungo nella cristianità: è solo con la sua esplicita condanna avvenuta nel Costantinopolitano IV dell’ 870 che essa
non potrà più avere posto, che non potrà più essere vista o discussa, nella cristianità. Si decretò infatti in quel
Concilio:
<..alcune persone... affermano spudoratamente come dogma l’esistenza di due anime nell’uomo, cercando di
provare la propria eresia.. (condanniamo) con anatema gli autori e i fautori di una tale empietà e i loro seguaci...>.
Dopo queste prime considerazioni cercheremo ora di approfondire il tema allargando l’analisi a quella Legge e
Profeti che sono il faro degli insegnamenti di Gesù e quindi che sono ciò da cui non si può prescindere se si vuole
cercare di capire a fondo Gesù.
Nelle Scritture, Pentateuco e Profeti, oltre al “corpo” ed alle sue varie parti fisiche peraltro poco menzionate,
dell'uomo vengono citati tre fondamentali aspetti non specificamente fisici che lo interessano. Troviamo:
“nefesh”, “ruah” , “neshamah-nismat”,
Assieme a questi, con chiara funzione di ricapitolazione dei tre precedenti e quindi indicante un unicum che
contempla in sé differenti caratteristiche-poteri, vediamo poi il “lev”, il “cuore”.
Sono termini citati numerose volte, “nefesh” circa 750, “ruah” circa 400 volte, “lev” circa 730 volte e solo
“neshamah” lo vediamo meno di 30. Tutti aspetti non materiali, in modo largo possiamo vederli quali parti, “aspetti
o stati e stadi”, con differenze che comunque si dovranno vedere, di ciò che oggi intendiamo normalmente per
“anima” ovvero di ciò che, nell'uomo, non è fisica materia.
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sesta parte
Vuole poi infine precisato che a fianco di “nefesh” troviamo un “nefesh haiiah-vivente” e che a fianco di “ruah” si
trova la “ruah santa”.
Faccio qui un breve inciso per ricordare quanto già detto nella Seconda Parte al capitolo “Uscita alla LuceRitorno all’Assoluto”: nelle speculazioni che sul tema la Qabbalah Ebraica con il trattato Raaya Meheimna
ha fatto, vengono messe in campo due ulteriori stadi-aspetti dell'anima umana, “chayyah” e “yehidah” i
quali, è detto, < sono considerati i livelli più sublimi della cognizione intuitiva > a cui giungono in pochi
eletti:
– “chayyah”, “vivente”, parte dell'anima che permette la consapevolezza della forza della Vita divina,
– “yehidah”, “unico”, livello più elevato dell' anima-spirito, quello nel quale si raggiunge la più intima
Unità con l'Assoluto.
Speculazione e considerazione che si somma a tante altre fatte da filosofi e religioni su questo tema, questa
visione che porta a cinque i livelli di potenzialità, di stati e/o stadi dell'animo umano, ricorda, pur senza
certezze, i “cinque alberi sempre verdi del Paradiso”, verosimilmente cinque aspetti “eterni” dell'Assoluto,
che Gesù nel vangelo di G.D.Tommaso log. 19 ci dice si devono conoscere per <..non assaporare le morti..>
ovvero per essere, senza “essere in sé”, Eternità.
Cinque potenzialità divine, cinque passaggi-stati dell’uomo, dell’animo umano, che, come sottolineato nel
capitolo suddetto, erano visti anche dal mondo Egizio ed Indo-Ario millenni prima di Gesù. Personalmente,
restando ai termini che troviamo nelle Scritture giudaiche fonte e faro di Gesù, questi “cinque alberi”
sempreverdi credo, per quanto ora vedremo, che si potrebbero forse piuttosto individuare in:
“nefesh; nefesh vivente; ruah; ruah santa; neshamah”.
I termini “nefesh”, “ruah”, “neshamah” e “lev”, sono stati generalmente tradotti rispettivamente in “anima”,
spirito”, “alito-respiro” e “cuore” ma i primi tre in particolare hanno visto traduzioni diverse ed anche sovrapposte
e questo, assieme al ripetersi per essi in modo quasi indifferenziato di molte “caratteristiche e funzioni”, ha creato
una certa confusione. Vediamo quindi ora, più in dettaglio, ciò che per essi tutti, per “nefesh-anima”, “nefeshanima hajjah-vivente”, “ruah-spirito”, “ruah-spirito santa”, “neshamah-alito-respiro” e “lev-cuore” è detto nelle
Scritture e di loro si può dire.
LA NEFESH e la NEFESH HAJJAH
Per “nefesh”, in particolare, si ripropone il penoso discorso delle buie tra-duzioni, tanto spesso veri tra-sporti e tradimenti secondo il senso etimologico, di cui sono disseminati i testi che abbiamo a disposizione: discorso che molto
lungo con evidenza sarà a chi voglia approfondirlo.
Il termine “nefesh” oltre alla più comune traduzione in < anima > troviamo infatti anche quelle di:
“ essere, desiderio, brama, vita, respiro, alito, appetito, gola, palato, collo, cuore”,
termini tutti che senza alcun cenno e richiamo al legame con “nefesh”, possono fuorviare.
Il primo “aspetto” che si incontra di “nefesh” è quello che essa è -comune sia agli uomini che agli animali- e quindi
è, dell’anima, ciò che porta gli istinti-impulsi-nature del “vivere fisico animale” comune a uomini e bestie: essa
infatti è “data, portata e consegnata” a “uomo ed animali” dalla < terra-adamah >, ci viene detto, da una “natura
terrena” che si dimostra così anch'essa “forza-potenza divina”:
<.. Elohim disse: la terra produca nefesh viventi secondo la loro specie.. E così avvenne: Elohim fece le bestie
selvatiche secondo la loro specie... Elohim disse: facciamo l'uomo..>(Gn 1.24-26)
Per l'uomo però il processo così iniziato in comune con il mondo animale grazie ad una “nefesh” consegnata dalla
“adamà-terra”, da subito si integra e completa, portando la sua nefesh ad una condizione diversa e più alta ovvero
con potenzialità che esulano dalla pura animale fisicità della sua originaria “nefesh” , grazie all'“ alito-nishmat” a lui
consegnato da Dio, da Jhwh Elohim:
<..Jhwh Elohim plasmò l'uomo con polvere del suolo, soffiò nelle sue narici una
“nishmat hajjim” (nishmat di Vita) e l'uomo divenne una nefesh hajjah (nefesh vivente) >(Gn 2.7)
Nei testi delle Scritture la “nefesh-anima” dell'uomo, che quindi è sempre “hajjah-vivente”, è vista con “aspetti”
che dicono di sue, e quindi dell’uomo, diverse “condizioni-stati e facoltà” :
essa può infatti consapevolmente essere <..oppressa, affranta, inquieta..o esultare..> ma, anche, essa vede più “alte”
facoltà e capacità, verosimilmente il “pensiero” in particolare, che le sono date e portate dal divino-del Dio “nishmat
hajjim-alito di Vita”, facoltà che con evidenza possono condizionare la vita fisica ma anche essere da questa
condizionate. Ci viene detto infatti che la “nefesh-anima” può <..amare e odiare..>, può essere portata a
<..desiderare..> -il bene o il male-, e può <..aspirare-anelare ..>.
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sesta parte
Un aspetto importante, che ci porta a vedere anche in questi approfondimenti un Assoluto che è Uno in cui e di cui è
anche l’uomo, è quello che anche per Jhwh, per l’Assoluto, per Dio, è vista una “nefesh” che < ama > e che
<.odia >.
Si può poi vedere, in un poco compreso Nm 5.43 in cui si è rintracciabile un indizio di quella “doppia natura” di cui
abbiamo sopra detto, che la “nefesh”dell’uomo può rendersi “immonda-impura” e “perdere la Vita”, rendersi
“morta” alla Vita eterna:
< Jhwh disse a Mosè: ordina agli Israeliti che allontanino dall'accampamento ... (gli ) impuri per
il contatto con anime morte...perché non contaminino il loro accampamento in mezzo al quale io abito >
In questo passo viene detto che anche chi sta uscendo vive dalla condizione mentale “di caduta”, chi sta uscendo
dall’Errore-Egitto-Faraone dice il racconto, è bene non rischi di “contaminarsi”, è bene non “viva accanto-non
ascolti” chi è in condizione di < nefesh met >, di “morte dell’anima”: accanto a coloro che mancano di Verità
ovvero che mancano, abbiamo visto, della visione e comprensione di una Vita che è Una e Tutto -in e di cui- è
anche l’uomo e che è spirituale-yang e femmineo-materiale-yin assieme.
L'espressione < nefesh met > sarà dalla Cei tradotta in “cadaveri” portando così il passo ad una materialità che
stravolge e rende incomprensibile la corretta lettura di quelle righe.
Lo stesso ammonimento ci viene dato anche dal seguente passo, incompreso anch’esso e nella traduzione Cei a mio
avviso stravolto. Dice il testo:
< Quando siedi a mangiare con un potente considera bene cosa hai davanti; mettiti un coltello alla gola
-se sei proprietario dell'anima (nefesh)- le sue ghiottonerie sono cibo fallace..>(Pr 23.2,3)
La Cei sostituisce <...se sei proprietario dell'anima (nefesh)..>(TNM) con un <.. se hai molto appetito..>(Cei) che
non permette la giusta lettura. Con la più fedele traduzione di TNM si vede evidente l’invito a fare attenzione a ciò
che, idee-visioni-comprensioni, ci viene proposto “dai potenti”, gli “uomini famosi-giganti” di Torah ed Enoch: si
vede l’invito a fare attenzione a ciò che da questi, dalla loro vita ed insegnamento, si potrebbe “assumere-mangiare”,
portare alla propria “anima-nefesh”. E sono pericoli, ci viene qui ancora detto con una bella metafora che
approfondisce e completa l’insegnamento, che li corre in particolare chi, grazie al proprio io, grazie al sentirsi
“essente in sé” ovvero al vedersi <..proprietario dell’anima..> è, così, desideroso, pronto e predisposto a
consolidarsi in quell’errore nutrendosi di quelle “errate” idee-interpretazioni-comprensioni.
Ma, si deve ancora vedere, nel consiglio che viene dato a chi è in quella condizione di “errore-caduta”, nel consiglio
di “mettersi un coltello in gola” al fine di eliminare quella errata disposizione dell'anima-cuore-nefesh, si conferma
una relazione tra “anima-cuore invisibile” e “gola-trachea-stomaco”, relazione che in altre parti è vista con “collo”
e “palato”. Nel merito naturalmente a me tutto ciò non può non evocare la mia esperienza del “cuore invisibile” in
precedenza già ricordata e riportata nella “Ultima parte di questi scritti.
Altri passi che in modo interessante allegoricamente parlano dell'anima-nefesh dell’uomo sono i seguenti:
<.. vagavano nel deserto.. non trovavano.. città da abitare.. affamati e assetati
veniva meno la loro nefesh .. gridarono a Jhwh ..(che) li condusse sulla via retta..verso città dove abitare..>
( Sal 107.5-9)
Nel “deserto”, si dice qui, nella dura condizione-passaggio che si incontra quando si è “sulla via di uscita-fuga”
dall’Errore dell’io, dal Faraone-Egitto, e si è nel luogo-condizione in cui l’anima-nefesh non ha ancora divino
nutrimento, è rivolgendosi all’Assoluto-Jhwh che l’uomo può vedere la < giusta via >, mentale, che porta alla Vita,
che porta alle “città-condizioni” in cui “abitare-Vivere”.
Sempre con senso allegorico vediamo anche detto:
< La nefesh del lavoratore lavora per lui, perché la sua bocca lo stimola >(Prv 16.26)
Anche per questo passo la Cei, ancora con opera di trasposizione più che traduzione, così riporta:
<..l'appetito del lavoratore lavora per lui, perché la sua bocca lo stimola >.
Essa riporta < appetito > in luogo di “nefesh-anima” portando così il passo alla piena materialità e facendogli
perdere ogni possibile senso profondo.
Verosimilmente infatti quel passo, nella giusta traduzione, seppure con un materiale parallelo ci dice dello “stimolo”
procurato dalla “nefesh-cuore-anima” all'uomo affinché “lavori-cerchi” il “cibo” a lui necessario, affinché cerchi la
“conoscenza-saggezza” di cui si deve nutrire per portarsi alla Vita.
Una Vita della quale ci dice anche 1Sam 25.29 dove vediamo affermato che la nefesh-cuore-anima del “giusto”, qui
nella archetipale figura di Davide, alla morte fisica è vista portata allo
<..scrigno della Vita di Jhwh suo Elohim..>
ovvero è vista riportarsi al luogo-condizione in cui e grazie a cui nasce eternamente la Vita, è portata all’Eternità,
all’Assoluto-Jhwh che è Padre-generatore di Vita.
Un altro appunto e considerazione sulla nefesh-cuore-anima viene con questa lettura di Deuteronomio :
< ..astieniti dal mangiare il sangue, perché il sangue è la nefesh;
non devi mangiare la nefesh insieme con la carne... il sangue lo spargerai a terra.. >( Dt 12.23 )
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sesta parte
Anche qui la tra-duzione di nefesh con “vita” come fa Cei, non aiuta: si perde il senso profondo di un insegnamento,
e di una prescrizione nata per quella società arcaica, che dice della necessità, con il “consapevole” spargimento nel
terreno del sangue del bestiame sacrificato, di “riconoscere e ricordare” che gli animali fanno parte di un AssolutoTutto di cui è parte anche la materia-terra.
È questo che il testo con quella prescrizione invita a capire: invita così, e condiziona, a vedere il divino in ogni
forma di vita ed a rispettarla anche in quella “necessità” alimentare per l'uomo che vede il “sacrificio-uccisione” del
bestiame.
Ricordo che questa visione-insegnamento era largamente presente in tutto il mondo antico e, in Italia, già 2500 anni
prima che quelle righe della Torah fossero scritte era testimoniata nel tempio, di cui abbiamo detto già in
precedenza, di Monte Accoddi in Sardegna: la camera qui creata nel terreno sotto la pietra sacrificale serviva
proprio a riconsegnare il “sangue-nefesh” alla “Terra-madre”.
LA RUAH e la RUAH SANTA
La Ruah
Con il femminile “ruah”, letteralmente “vento-soffio” abbiamo detto, i traduttori sono stati apparentemente
clementi: quasi esclusivamente, seppure non solo, esso è infatti tradotto con “spirito”, quasi unica traduzione che
però vede la grande insidia del travisamento cui si è indotti con un termine che:
-- da un lato porta al maschile una “ruah” che è femminile e questo inibirà la sua piena comprensione,
-- e dall’altro venendo a meno il richiamo all’ “universale” che porta in sé il termine “vento-ruah”, induce alla sua
“personalizzazione”. Insidia e travisamento questo che si ripete peraltro con il greco Nuovo T.rio e filosofico
“pneuma-soffio”, anch’esso tradotto in “spirito”.
La “ruah-pneuma-spirito”, vento-soffio, è quindi ciò che, impersonale, universale-divino, interessa l’uomo ed è,
dobbiamo vedere, “parte e stato-stadio” della sua “anima”. Parte che alla morte fisica ritorna all'Assoluto:
< la polvere ritorna alla terra.. e la ruah ad Elohim che l'ha data..>(Ec 12.7)
Ed anche in questo “riportarsi” della “ruah-soffio” all'Assoluto si vede una “universalità” che si perde con gli
insegnamenti che dicono di un “uomo-io” con un’anima individualmente e personalmente “creata”, un uomo così
separato e diviso e dotato di “propria anima”.
Continuando nelle analisi si vede che la “ruah-vento” è Assoluto-divino che tocca l’uomo, è “forza divinauniversale vivificante” come queste parole, con altre, ci dicono:
< (il creatore)..gli inspirò un’anima attiva e gli infuse una ruah (spirito) vitale..>(Sap 15.11);
Nell’uomo la “ruah”, confermando così anche per essa la “doppia natura e tensione” di cui abbiamo detto, è poi
vista portarsi ad essere:
“ santa, di giustizia, intelligente, di sapienza, di conoscenza, consigliatrice, di timore e di fortezza”, ma anche:
“cattiva, immonda, di menzogna, di prostituzione” ed è vista
< agitata, angosciata, altera, infedele, depressa > ed anche < irritarsi, interrogarsi >.
E “buona-santa” o “dura-cattiva”, ci viene detto, può anche essere la “ruah-spirito” con la quale il divino,
l’Assoluto, investe l’uomo:
<.. (Jhwh).. pose nell'intimo ( di Mosè) la sua “santa ruah”..>(Is 63.11)
<..veniva atterrito da una “ruah cattiva” da parte di Jhwh..>(1Sam 16.14)
Questa -divina di Jhwh- “Ruah-Vento-Spirito di Vita” nell'uomo oltre ad assumere-portarsi a tutti gli aspetti sopra
citati, può essere, ci viene detto, “lunga” o “alta” :
< (è) buona ruah lunga (più che) ruah alta..>(Ecl 7.8)
Questo brano di Ecclesiaste, qui riportato letteralmente secondo il testo Ebraico, è tra-dotto da Cei e da altri con un:
< è meglio la pazienza della superbia >, ma con questa traduzione il messaggio più profondo sottilmente, a mio
avviso, si perde infatti:
– “ruah alta” ci dice, più profondamente di “superbia”, di ciò che “ergendosi” si “personalizza” staccandosi dal
Tutto: ci dice di colui che si porta ad essere Gigante enochico.
– “ruah lunga” invece, lontano da quella sorta di rinuncia-debolezza che evoca il “pazienza” in cui è tradotta, ci
dice di una “ruah” che, consapevolmente “lunga-forte”, resta “uguale”, senza ergersi, senza separarsi dal Tutto.
Ed è di questa “ruah-spirito-lunga” che dirà, poco compreso, Gesù con queste parole:
< beati gli “abbassati di ruah” perché di essi è il Regno..>(Mt 5.3)
passo tra-dotto in un poco comprensibile e fuorviante: < Beati i “poveri di spirito” perché di essi è il Regno...>.
Ma non sono “poveri” -in nulla- coloro cui si riferisce Gesù, non sono “limitati” in nulla, essi unicamente vedono la
“forza e potenza” di un a Ruah Spirito che si esprime senza “ergersi”, che resta unito al Tutto. Ancora e sempre
inconsapevoli cattive tra-duzioni che portano “ad altro”.
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sesta parte
La Ruah Santa
Importantissime sono le analisi cui ci accingiamo in questo capitolo sulla Ruah-Spirito Santo.
Citato circa 90 volte nel Nuovo T.to, lo “Spirito Santo” compare invece pochissime volte nei testi dell’Antico T.
dove essa, Ruah-Vento Santa, è menzionata, si deve dire, nella sua più “pura-divina” condizione ovvero quando non
è contaminata dall’uomo.
Quale “Ruah Santa” ci viene in particolare indicato ciò che, “santo-puro-divino” tutti tocca ed a ciascuno in ogni
momento e situazione -parla- “ammaestrando, alzando e dando pace”, è detto, ma che l’uomo è in grado di
ascoltare solo quando “nessun “o” e nessuna “altra voce” in esso o ad esso parla sovrastando e chiudendo quella
“Voce spirito-vento” che è Sapienza. Dicono le Scritture:
< La (ruah) Spirito di Jhwh parla in me >(2Sam 23.2)
<.. chi ha conosciuto il tuo pensiero, se tu non gli hai concesso la Sapienza e non gli hai inviato il tuo
Santo Spirito dall’alto ?..>(Sap 9.17)
Essa è “Voce” dell’Assoluto che parla a tutti, che a tutti è disponibile nel silenzio dell’io e di errati insegnamenti e a
tutti insegna ma, con Paolo vedremo più avanti, essa diverrà lo “Spirito”, divino” che una “speciale-separata”
categoria di uomini, i sacerdoti della Cristianità, avrà l’esclusivo “potere di infondere” e la “facoltà di concedere”.
Ed è così che si concretizzeranno le parole di Gesù che dice:
< a chi bestemmia lo Spirito..Santo, non sarà perdonato..né in questo secolo né in quello futuro >(Mt 12.32),
Incomprese le Scritture ed incompreso Gesù, anche queste parole perderanno ogni sostanza: la “bestemmia” cui si
riferiva Gesù, quel Suo profondissimo insegnamento su quanto vi è di più grave per l’uomo, si dissolverà in un
“ammonimento contro una parola sprecata”, contro il fiato speso male.
Ma Gesù si riferiva ad altro, Egli parlava, come le Scritture, di quella “Ruah-Vento Santa” di Jhwh che sempre tocca
e parla-insegna all'uomo, a tutti gli uomini nella pulita loro “mente e coscienza”, e la “bestemmia” a quella “Voce” è,
nelle sue parole, tutto ciò che “non permette quell'ascolto”: sono soprattutto, Egli dirà, gli “scribi farisei ipocriti”
classe sacerdotale dei suoi tempi ma anche di tutti i tempi. Sono coloro che “coprono e chiudono” quella Voce e
insegnano la “separazione”, il “fariseismo”, errore ipocrita.
Le Scritture chiaramente dicono:
< La Ruah-Vento Santa che ammaestra, rifugge dalla finzione >(Sap 1.5)
E Gesù di questa stessa Ruah-Vento-Spirito Santa dice :
<..lo Spirito santo vi insegnerà...ciò che bisogna fare..> (Lc 12.12)
< Lo Spirito santo che invierà il Padre nel mio nome vi insegnerà ogni cosa..>(Gv 14.26)
< ..vi guiderà alla Verità..>(Gv 16.14) <..( ai discepoli Gesù dice )..se non vado,
( lo Spirito ) Consolatore non verrà a voi, ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò >(Gv 16.7-9)
La “voce che ammaestra”, la Ruah-Spirito Santa, la Consolatrice che dona “pace”, che porta alla Verità, secondo le
parole di Gesù è ciò che porterà anche gli apostoli a comprendere e capire: perfino le Sue parole non sono state
sufficienti a fare capire loro “a fondo” la Verità, ci dice Egli stesso. Alla Verità cui porta quella “ Voce che
ammaestra” dando così “consolazione e pace” l’uomo può giungere, dice così Gesù, solo ascoltando dentro di sé.
Essa è “Voce di Sapienza”, la stessa Sapienza cui giunge chi si porta ad essere “Figlio di Dio” ed è per questo, si
deve vedere, che Gesù, Figlio-Sapienza ormai, potrà dire che “manderà” quella Voce consolatrice e di pace, di
serenità interiore.
Ma, i Vangeli, nel merito dicono molto altro, essi dicono infatti che la Ruah-Vento Santa voce divina di Sapienza che
“ammaestra, insegna, guida”, è quella “ascoltando” la quale -Gesù stesso- si porterà < sù > è detto, “in alto”, fuori
dal basso della “caduta-separazione” nell’io-materialità, in quel <.. deserto..> che è l'esperienza-passaggio, la
“iniziazione” del modo greco e non solo, che vince la forza della separazione-diabalein, il diavolo, e così, come è
stato per Gesù, fa nascere i “Figli di Dio”:
< Allora Gesù fu condotto “dallo Spirito” - sù - nel deserto..>(Mt 4.1)
Ma vedrà altro una cristiana classe sacerdotale che biblicamente tira lacci e mette in prigione, non saprà vedere altro
che uno Spirito Santo che, “solo da lei” dato-consegnato all'uomo, è dichiarato < caparra > della futura
“risurrezione materiale” (2Cor 1.22-5.5). Quel Vento Santo non potrà più “parlare, ammaestrare, consolare e dare
pace” ad uomini a tutto ciò educati.
E la stessa Verità e lo stesso ammonimento di cui diceva Gesù con le sue parole su chi “bestemmia” la Ruah Santa,
erano già visti e dichiarati nei testi di Enoch:
< ..ogni rimedio sarà impossibile..a voi falsi testimoni..che pronunciate anatemi...>(Enoch Et. XCV.4-6)
Quali mortali responsabilità ahimè si sono presi tutti coloro che, non solo cristiani, hanno voluto e vogliono parlare
“per conto”, “vicari”, di un Assoluto che “direttamente” parla di sé all'uomo!. Sono durissimi gli ammonimenti di
Gesù ed Enoch.
Gesù, vedremo meglio più avanti, di questa Ruah-Vento divina dirà che essa, Voce di Jhwh, all'uomo parla
manifestandogli l'impersonale e archetipale “Figlio di Dio” che -egli stesso è-, ma che ha dimenticato per quel suo
“errore-dimenticanza-caduta” che è “il peccato”:
182
sesta parte
<..il Consolatore... convincerà il mondo quanto al peccato..( un ) peccato.. (che è il ) non credere in me >
(Gv 16.7-9)
L'uomo è in una condizione di “peccato-dimenticanza-caduta” che si esplicita nel “non ascolto” della Ruah Santa e
quindi nel non <..credere..> in quell'archetipale “Figlio di Dio-Sapienza” cui l'uomo stesso si apre ed a cui,
rivistolo e ritrovato, si porta nel momento in cui, grazie a quell’ascolto, “rinasce, resuscita-cambia mentalità”. Un
Figlio-Sapienza cui Gesù stesso si è portato, Egli ci dice con quelle parole come anche nelle seguenti:
<..Quando avrete innalzato il (vostro caduto -ndr) “figlio dell’uomo” allora saprete che io sono e non faccio
nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo..>(Gv 8.28)
La condizione di Figlio di Dio è “innalzata” condizione di < pace >, ci dice Gesù come anche ci dicono gli
insegnamenti Indù o il Buddismo con il suo “nirvana” da raggiungere, ma come insegna anche l'esoterismo islamico
assieme alla mistica speculativa cristiana e certo altri.
È la stessa condizione di cui dicevano, prima di Gesù, le varie figure-archetipe di “Unti-Messia” come Enoch, che è
<..rapito in cielo..>(Gn 5.24) e come Elia che < salì nel turbine verso il cielo >(2Re 2.11). E tutto ciò era ben visto
già in Enoch a cui l'Antico dei Giorni dice: <...proclama la pace..per tutta l'eternità..e questo sarà il destino eterno
di chi è “unito” al Figlio..>(Enoch Et. LXXI 15-17).
Quella “alta-innalzata” condizione di “pace” cui si giunge con quell’ascolto che ci porta ad essere Figlio, dice
ancora Gesù, è lontana da quella che si ha se si resta legati all’ io-materialità, a ciò cui porta il “mondo” ed il suo
“principe” ovvero la separazione-fariseismo da cui bisogna fuggire “alzandosi-innalzandosi”, portandosi cioè a
quella conversione-cambio di mentalità che ci vedrà fuori da quella condizione di “caduta” in cui vive l'uomo :
< Vi do la mia pace...non come la dà il mondo...viene il principe del mondo…
Alzatevi, andiamo via di qui.>(Gv 14.26-31)
< Disse ..il Signore: “ Alzatevi, ed io vi rivelerò che cosa c'è al di sopra dei cieli,
ed il vostro riposo che si trova nel regno dei cieli > (Lettera degli Apostoli-testo copto- 11.12)
< L'apostolo (Tommaso)...vide che per poterlo vedere si alzavano l'uno sull'altro...(e) disse :
“..prendete l'esempio.. da questa scena.. come potrete.. vedere colui che è in alto e ...nelle profondità se non vi
sollevate di sopra delle vostre opere precedenti..al di sopra del corpo..>(Atti di Tommaso III,37)
Allegoria, quella dell' “innalzarsi”, già utilizzata, per dire dello stesso passaggio-cambiamento necessario all'uomo,
perfino nel mondo Egizio:
< Tu appartieni N.N. a questo dio. Han detto i due figli di Atum :
“Alzati - han detto – nel tuo nome di Dio. Così diverrai completamente tutti gli dei..>
(Testi religiosi Egizi – Tea 1988- Testi delle Piramidi n.215-pag 11)
Ascoltando quella Voce, < Ruah-vento di Verità >, < Ruah Santa > e < Consolatrice > che dà “pace” e divinauniversale ovvero <..che non sai di dove viene e dove va..>, dice Gesù, l'uomo saprà scoprire in sé e portarsi ad essere- “Figlio di Dio”: perderà l'“io” che “giudica” e come Socrate “saprà di non sapere”, sarà “servo” strumento
dell'Assoluto:
< ...non ti meravigliare se ti ho detto: dovete rinascere dall’alto. Il vento.. non sai di dove viene e dove va :
così è ognuno nato da la Ruah-Vento-Spirito >(Gv 3.7-8, Nestle-Aland)
Torniamo, prima di chiudere questo capitolo sulla Ruah santa, all’episodio in cui, apparso dopo la morte agli
Apostoli, Gesù parla dello “Spirito-soffio-Santo”, la Voce “del Padre” che, Sapienza-Figlio, è Lui stesso: <..vado e
tornerò da voi..>, dice. Portatici a “Figli” come è stato per Gesù, vedremo che quello Spirito Santo parla di ciò che
è “nostro”, di un “divino” che è di chi è Figlio. Troviamo infatti:
< Queste cose vi ho detto essendo ancora tra voi. Ma il Consolatore, il Pneuma Santo
che il Padre manderà…vi insegnerà ogni cosa, vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto ..
Vi ho detto : - Vado e tornerò a voi -..>(Gv 14.25-28)
< Quando..verrà il Pneuma di Verità esso vi guiderà alla Verità tutta intera..non parlerà da sé..
prenderà del mio..(poiché) quello che il Padre possiede è mio ..>(Gv 16.13-15)
Ancora in Giovanni ci viene poi riportato questo altro:
<.. Dopo..alitò su di loro e disse: “Ricevete il Pneuma (Spirito) Santo,
a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi ..>
(Gv 20.22,23)
Dice questo passo che quando si “riceve-ascolta-comprende” la Voce dello Spirito-Ruah-Santa e quindi si è portati a
condizione di “Figli”, si fa e si dice solo ciò che dal Padre-Assoluto riceviamo e sentiamo ed è -per questo- che -con
il Padre- e senza “nostra” volontà o potere si possono rimettere o meno i peccati.
Questa difficile dottrina e insegnamento non sarà capita da tutti ed una “altra visione-comprensione” del SoffioPneuma-Spirito Santo nascerà, abbiamo visto, e assieme nascerà una “altra versione” di quanto accaduto:
< ..(I dodici apostoli) si trovavano tutti insieme...all'improvviso..apparvero loro lingue come di fuoco…
e si posarono su ciascuno di loro; ed essi tutti pieni di Spirito Santo cominciarono a parlare in altre lingue..
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sesta parte
Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei..di ogni nazione che è sotto il cielo..
e..ciascuno li sentiva parlare la propria lingua.. >( At 2.1-6)
Atti degli apostoli è testo unanimemente attribuito a Luca, il discepolo di Paolo che certamente da lui, oltre che da
un Pietro “vestito” da Paolo, prenderà questa “diversa” versione dei fatti ma soprattutto diversa sarà come visto, per
una Cristianità che sulle parole di Paolo oggi si fonda, la “visione” della Ruah, dello Spirito Santo.
La “visione” e comprensione della Ruah Santa che nasce dalle parole di Gesù correttamente lette, non è visione e
comprensione né nuova né strettamente giudaica: largamente nel mondo antico troviamo aspetti “mistico-misterici”
che possiamo affiancare a questa dottrina e filosofia, ed anche vuole ricordato che essa prima di spegnersi si è
mantenuta viva a lungo all'interno della Cristianità dei primi tempi.
Era posizione sostenuta da una delle due correnti, della “due fonti della cristianità” di cui dice Ireneo, ed è sempre
stata considerata “ortodossa” ovvero “originale”, delle origini. Era posizione insegnata specialmente dalla scuola
teologica di Antiochia, scuola e corrente cristiana costretta al silenzio, con violenza anche fisica, dall’altra, ormai
“potente ed imperiale”, fazione cristiana erede, questa, degli insegnamenti di Paolo e Pietro.
Anche di questo grandissimo e poco conosciuto aspetto e fatto legato alla prima Cristianità, della secolare lotta che
fu la cosiddetta “Questione Cristologica”, parlerò meglio più avanti.
IL NESHAMAH-NISHMAT
Il termine “neshamah” e l’omonimo “nishmat” sono normalmente tradotti in “alito” e “respiro”, ma anche
“soffio”: termini tutti che, correttamente in questo caso, rendono conto di un “divino-universale”, mai “personale”,
del quale l'uomo, come per l’aria che si respira, può godere.
Con la premessa che, come detto, con i termini qui in esame e riassumibili tutti nei concetti odierni di “anima e
spirito” si parla di realtà che si compenetrano in modo diverso e vario, neshamah-nishmat, si può dire, è soprattutto
assimilabile alla Ruah Santa, è da vedersi quasi come “fonte” stessa di quella “Ruah-Voce” essendo esso neshamahnishmat ciò che ha in sé, ciò che è, Vita Eterna, Assoluto-Jhwh:
< Jhwh Elohim plasmò l'uomo con polvere della terra, soffiò nelle sue narici una
nishmat-hajjim e l'uomo divenne una nefesh Vivente >(Gn 2.7)
< ..La ruah di Jhwh mi ha fatto.. e la nishmat dell'Onnipotente mi ha dato la Vita >(Gb 33.4-Tnm)
< La neshamah dell'uomo è una fiaccola di Jhwh che scruta tutti i recessi oscuri del ventre..>(Prv 20.27)
<.. non sono i molti anni a dare la sapienza.. ..essa (Sapienza) è un nishmat (soffio) nell’uomo;
l’ispirazione dell’Onnipotente lo rende intelligente..>(Gb 32.9; 32.8)
Questi ultimi passi riportati ci fanno vedere un “divino” neshamah-nishmat che è ciò che ci permette di scrutare, di
vagliare e vedere la nostra più nascosta e buia intimità, ci permette di “intelligere - guardare dentro” al nostro
pensare, al nostro mentire-ingannarci e, qui, possiamo forse ciò che la caratterizza maggiormente rispetto alla Ruah.
Si può qui vedere in neshamah-nishmat la fonte e l’origine di quella “razionalità”, di quel Logos-Figlio, che la Ruah
Santa ci mostra ed a cui, abbiamo visto, quale Madre ci porta.
Interessanti al riguardo sono i versi che riporto di Eraclito:
<..L’anima possiede il Logos, che si accrsce da sé..>(DK 22 B 115)
<..I confini dell’anima, procedendo,, non li potrai trovare neppure percorredo l’intera via;
così profondo Logos essa possiede..>(B 45)
IL LEV
Il “lev-cuore” pur portando il nome di un organo fisico, per ciò che di esso viene detto nulla di materiale è o porta.
Spesso assimilato per caratteristiche e ruoli agli aspetti tutti sin qui visti ed in particolare a quelli di “nefesh e ruah”,
il “lev” si può dire che li ricapitola e riassume ed è ciò che più ricorda l’odierno generico concetto di “anima”.
Ancora oggi d'altronde “cuore”, non inteso in senso fisico, è sinonimo di anima e nei testi di Legge e Profeti
piuttosto chiaramente si vede che “lev” porta in sé le caratteristiche di nefesh e ruah; che è loro sinonimo:
< .. il suo lev si insuperbì, la sua ruah si ostinò nell'alterigia..>(Dn 5.20)
Dà forza alla lettura di “lev” quale riassuntivo di “nefesh e ruah”, ciò che in Legge e Profeti di esso è “visto” :
“ pieno di invidia, esultante, desideroso, meditare la propria via, generoso, pieno di odio,
ostinato, retto, perfetto, perverso, superbo, saggio, puro ecc. “
Il “Lev-cuore-anima” dell'uomo caduto-allontanatosi dalla Verità viene poi citato come:
“ di carne, di bestia o di pietra”
Una funzione riassuntiva, quella di “lev-cuore”, che verosimilmente vuole anche dire e mostrare una loro, di
“nefesh, ruah, neshamah”, unità di azione e di agire reciprocamente condizionato.
Ma, assieme a questo, nella scelta del termine “lev-cuore” si può forse vedere anche la volontà di dire e richiamare
una “fisica” collocazione, nell’uomo, di questo suo “centro focale”, di quella sua “essenza” che è “nefesh-ruahneshamah”.
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Una fisica collocazione che per “nefesh” abbiamo peraltro visto essere indicata in un “gola-stomaco” ed anche
“palato e collo”, che verosimilmente ci dicono del “centro” del petto. Questa visione peraltro non è nuova, essa è
nota ed antica: l'abbiamo vista nella quarta parte di questi scritti, nelle righe sul “cuore invisibile”, analizzando ciò
che del “cuore” dicevano il mondo Egizio, quello Indo-Ario e quello Greco di Omero.
Un Lev-Cuore-Anima che, come visto in queste pagine, nel mondo antico Indo-Ario ed Egizio ma non solo, sarà
anche “Loto, Vaso, Scarabeo”: termini tutti che sono ad un tempo “allegorie” e “sinonimi” di quella “essenza”
umana non fisico-materiale che va oltre la morte fisica e non può essere che divino-universale.
Un “lev-cuore” che, a me come già detto, non può non ricordare quel “cuore invisibile-nascosto” della mia
esperienza di cui ho detto in precedenza e che è riportata nella Ultima Parte.
CAPIRE DANIELE PER CAPIRE GESÙ
Particolarmente importanti sono, nelle Scritture, le righe che dicono delle “visioni” del profeta Daniele (Dn 7.8),
quegli enormi strazi ed urla che egli ha predetto e che Gesù, in Mt 24.15, ci invita a “cercare di capire”.
In quelle visioni si trovano quattro “Re e Bestie” che < salgono dal mare >, dal luogo in cui è l'abisso, la notte : la
seconda <..divora molta carne..> e la quarta e ultima <...divora.. stritola..calpesta..>, <.. diversa da tutte le altre
bestie precedenti.. > questa è un Re-Bestia <.. spaventoso e terribile.. > che causerà inaudite rovine fino al giorno in
cui :
< il regno…sarà dato al popolo dei santi dell’Altissimo >(Dn 7.22)
< senza intervento di mano d’uomo > (Dn 8.25)
“Re”, per questi scritti e per tanta letteratura mitologico-allegorica e religiosa, è ciò che rappresenta, ciò che viene,
porta e si lega, all’Assoluto, al Divino: “potenza” divina, Re, è , in una visione larga che spazi da “forze all'uomo
non percepibili” fino alla “umana forza autorità ed insegnamento”, ciò che porta, indirizza e condiziona al giusto.
“Re dei Re” è l’Assoluto, Dio, che quelle forze vede e comprende mentre “Regno” è, per le Scritture e Gesù, il
“luogo-condizione divino ovvero in cui -si vede/è a noi presente- l’Assoluto”, il luogo-condizione del Re dei Re cui
Gesù sempre invita a portarci.
Anche per la etimologia “Re” deriva dalla radice sanscrita “rag” che è “essere chiaro, luminoso”.
“Re” quindi, nell'ambito umano, sono le persone, i fenomeni, le Verità, le autorità ed insegnamenti che, caricati di
queste forze-potenze, al giusto indirizzano l'uomo.
E espressioni di Re o Regni in tal senso pertanto possono quindi essere viste e considerate anche le istituzioni
religiose, istituzioni che dovrebbero indirizzare l'uomo all'Assoluto, al Re dei Re, al divino, al giusto.
Dovrebbero portare, dico, poiché i loro insegnamenti possono ben essere in direzione opposta a quella che porta al
Dio seppure sempre e comunque non altra diviene e può essere la meta.
Istituzioni religiose quindi come Re, seppure “auto-investitesi tali”, che per le righe di Daniele possono diventare
giganteschi ed inconsapevoli distruttori di anime : inconsapevolmente esse, sostituendosi a quella Ruah-VentoSpirito Santa che direttamente all'uomo parla del Vero e del giusto, possono chiudere l’animo umano al “VerboLogos-Figlio” dell'Assoluto. Esse così possono essere ciò di cui Gesù così dice :
< Guai a voi..(dottori della legge)
che chiudete il Regno dei cieli davanti agli uomini..., così voi non vi entrate,
e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci > (Mt 23.13)
< .. sono.. simili a un cane che dorme nella mangiatoia dei buoi,
perché non può mangiare e non lascia mangiare i buoi >(vangelo di G.D.Tommaso l.102)
È dai religiosi, è da coloro che affermano di conoscere la Legge e consegnano “dogmi” e “comandamenti” che,
inspiegati “precetti” che non possono cambiare la natura dell'uomo, che non possono “con-vertire” e che pertanto
restano regole e non “divina comprensione”, restano“regole d'uomo”, regole per persone che rimangono nel buio
della “caduta”, è da “questi religiosi” tutti che Gesù ci mette in guardia quando, condannandoli, dice:
< Ipocriti….bene profetava Isaia dicendo…
“ insegnano dottrine che sono precetti di uomini” > (Mt.15.7)
Ed è per questo accadere che inesorabilmente si compie ciò che Gesù, con il suo forte invito a “capire” Daniele,
implicitamente vedeva ed indicava : ciò di cui dicono i testi apocalittici di tutto il mondo antico, di cui dicono quasi
tutti i profeti e di cui dicono anche i testi di Enoch che, per questo, non citano e non propongono i dieci
comandamenti mosaici sottolineando che :
<..una “legge” sarà data.. e sarà…come una prigione..> (EE.XCIII.6)
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sesta parte
Questa “legge” di cui dice Enoch è naturalmente un “accadere” che, pur vedendo in esso anche la “stolta-cieca”
consegna dei “dieci comandamenti, è un ben più vasto portarsi dell'umanità, è un ingigantirsi dell'errore dell' “iocreato” che toccherà infine ogni ambito dell'umano e civile.
Una “legge-forza-portarsi” che sempre più chiuderà l'uomo nella “propria” prigione, che dilaterà errore e falsità,
“legge divina” che l'uomo stesso attiva, “legge-necessità” di riequilibrio e correzione, “divino” male, infine positivo,
che attraverso strazi e dolori riporterà l'uomo alla Verità.
Impedire, come quasi sempre fanno religioni e religiosi, all’animo umano di ricevere quel “pane del Dio” che è il
suo solo nutrimento e cioè impedirgli di “ascoltare in sé” la “Ruah-Vento Santa” parola di Dio che “ammaestra” e
quindi impedirgli di trovare-portarsi al Regno, significa distruggere la vita spirituale dell'uomo e conseguentemente
sconvolgere quella materiale sua e di tutto ciò che lo circonda, ogni essere ed ogni cosa.
Sono scenari apocalittici quelli di Daniele in particolare ma anche quelli che troviamo pure in molte altre tradizioni,
culture e scritti, scenari che si “vedono” e si “sentono” quando si comprende “a fondo” ciò che dicono tanti testi
sapienziali antichi e non solo le Scritture e Gesù.
Le apocalittiche righe del profeta Daniele, così lette, con i Re-religioni che distruggono l'umanità, sono spaventose e
lascio qui a chi le legge ogni considerazione su quella che, in questa lettura, è la conseguente identificazione della
bestia più grande, quella dalle < dieci corna >, i < dieci Re > ovvero dieci “strumenti” che dovrebbero indirizzare
all’Assoluto: dieci vessilli, dieci mezzi, forse “dieci regole-comandamenti” che, dice Daniele, sono forza ed autorità
di quel < grande Regno >, di quella :
< ..grande bestia, spaventosa, terribile, d'una forza eccezionale.. >(Dn 7).
Le < prime > tre corna, dice ancora Daniele, le più importanti, i suoi più fondanti strumenti ma anche Verità ovvero
<..Re..> che portano all’Assoluto, sono annientate da ciò che < cresce > in questa < grande bestia >: una petulante
< voce umana > che parla con < alterigia > e che ha <..occhi..di un uomo..>(Dn 7) ovvero che non sa “vedere
divinamente” ma solo erratamente !.
Altro da ciò che qui ho adombrato potrà forse essere visto in quelle righe, ma a chi voglia criticare questa lettura
chiedo di sostituire ad essa una altrettanto “razionale” lettura ricordandogli che chi segue Gesù e pensa di averlo
capito, e magari vuole insegnarlo, -non si può esimere- dal dare “chiara spiegazione a Daniele” : è Gesù stesso,
nell’invitarci a leggere i suoi passi, che ci ammonisce dicendo:
< ..chi legge comprenda...! > (Mt 24.15)
E “capire” significa dare “razionale spiegazione” ma ad oggi le spiegazioni di quei passi che ci vengono da chi si
pone quale “insegnante” sono sempre fumose, tutte rivolte ad un futuro probabile ed inconnotato o ad un passato
imprecisato.
Ma per Gesù quelle parole erano comprensibili e da comprendere già 2000 anni fa e ancor più oggi se non si
comprende e spiega -con precisione e razionalità- Daniele, come pure l'apocalisse di Giovanni che a Daniele si lega
e le apocalissi tutte poi, non si può dire e pensare di avere capito Gesù.
Duemila anni fa Gesù vedendo e pre-vedendo, come Legge, Profeti e molti altri, quegli ineludibili orrori, strazi e
disastri, sarà portato quasi a discolparsene: come a togliersi da ogni possibile corresponsabilità chiuderà il suo invito
-a capire- Daniele aggiungendo:
< …io vi ho avvisati.. > (Mt.24.25)
Oggi invece si mette in causa il “mistero-inspiegabilità” qui come si mette in causa il “mistero” quando si parla
della natura del “Padre”, del Dio: ma degli inspiegati ed inspiegabili -misteri- non danno per niente la “certezza”
che invece sottende e che impone il “capire” delle parole di di Gesù. Un “capire” che non consegna e non fa
appello ad alcuna “speranza”: spera chi non capisce, chi non vede.
In Daniele, come in molte parti delle Scritture, io vedo una chiarezza di scenari che mi lasciano esterrefatto ed
annichilito, scenari su cui mai ho avuto modo di leggere od ascoltare razionali spiegazioni, scenari di fronte ai quali
posso solo, ammutolito, rabbrividire.
E il silenzio diviene poi ancora più profondo con la coscienza che, come dice Daniele, “la forza” del :
<..Re..(che) causerà inedite rovine..(e) distruggerà il popolo dei santi.. >(Dn 8.24)
<.. si rafforzerà, ma non per potenza propria.. >(Dn 8.22)
La potenza “non propria” di ciò che rovina e distrugge è, come tutto, potenza dell'Assoluto, di Jhwh:
<.. io (Jhwh) susciterò.. un pastore che non avrà cura di quelle (pecore) che si perdono,
.. mangerà invece le carni delle più grasse e strapperà loro perfino le unghie..( un ) .. pastore stolto .. >
(Zc 11.15,16)
E' potenza “non propria” che si svolge in un Accadere che è conseguenza di un “errore” che solo al suo pieno
compimento, per effetto del suo svelamento, vedendolo saremo in grado di correggere.
Questo aspetto è tra i più difficili da vedere ed accettare e lascia ad uno sbigottito silenzio, solo avanti nel tempo, e
più oltre su queste pagine, vedrò ed approfondirò l'aspetto, già più sopra richiamato, della ineludibilità di un tale
accadere, di un tale “male divino”.
186
sesta parte
Giusto de Menabuoi (1320-1391)
La Grande Bestia della Apocalisse con tiare papali.
Battistero di Padova
187
sesta parte
In quella identificazione da me sopra fatta della “grande bestia” spero naturalmente di sbagliarmi ma, se così
veramente fosse, spero almeno che possano essere ormai quasi passate le < ..duemilatrecento sere e mattine.. >, il
tempo forse anni, che per Daniele dovevano passare perché <.. il santuario sia rivendicato..> (Dn 8.14).
Dicevo più sopra dei grandi “strazi ed urla” che si odono nel con-prendere quei testi. Sulla soglia di quell'immenso
dolore a lungo io mi sono fermato e non ho saputo andare oltre spaventato di me stesso, di ciò che vedevo o mi
sembrava di vedere.
Non sono visioni che nascono da stati d’animo insanamente alterati, sono solo la lucida visione della conseguenza
obbligata e appunto inevitabile del cammino di una umanità che resta nell’errore dell’“io”.
In pochissime occasioni però, non fermandomi di fronte a quel vedere, mi sono ritrovato con cuore ed occhi
incredibilmente lacrimanti e mi sono impaurito di me stesso rimproverandomi per quanto mi accadeva.
Più avanti nel tempo ho trovato parole che mi hanno tolto quella paura e che mi hanno riconciliato con me stesso:
sono le parole di Gesù che, per il frammento PO XIII 420-421,97, così dicono:
< colui le cui intuizioni sono torrenti di lacrime, costui è simile a me >
Torrenti di lacrime che prima di Gesù erano state anche, vedremo, di Eraclito e di Empedocle, tutti lontanissimi da
me naturalmente.
LE APOCALISSI
Mi preme in apertura di questo capitolo ricordare che il termine “apocalisse”, ormai divenuto quasi esclusivamente
sinonimo di “disastro o catastrofe”, letteralmente significa “dis-velamento”, “rivelazione”: tutti questi testi sono
quindi nati e considerati quali “visioni-rivelazioni” di futuri, segreti e celati accadimenti e certamente meritano un
rispetto ed uno sforzo di comprensione che non vedo più da nessuna parte.
Eppure devo qui ripetere ciò che ho detto sopra con Daniele: non si può dire di avere compreso Gesù se non si
“capiscono” le apocalittiche parole Sue e di tutte le Apocalissi, compreso quel Daniele che Egli ci ha invitato a
leggere esortandoci a “capirlo”.
Il tempo mi farà dire che le innegabili difficoltà di comprensione e spiegazione, che ben vediamo, non si
supereranno fino a che non si riuscirà a compiere quella “conversione-cambiamento di mentalità” che arriva a
mostrarci un divino, un Dio, un Assoluto, lontano da ogni antropizzazione, da ogni entità e figura: fino a che non si
vedrà “diverso” anche il Jhwh Padre che Gesù, quello anch'egli “diverso” che qui emergerà, ci ha indicato.
Non si può non vedere uno “stretto legame” tra i vari testi “Apocalittici” che la storia più antica ci ha consegnato:
quelli che si vedono in Enoch, nella Genesi, in tanti passi di Legge e Profeti, nelle parole di Gesù sugli “ultimi
tempi” e quelle della apocalisse di Giovanni, ma anche, seppure con qualche differenza, nei testi che ci hanno
lasciato molte altre culture: quella Mesopotamica, la Greca, la Norrena, quella Indo-Aria con il suo mito del
Shambhala, quella Egizia e non ultima la lontanissima cultura Inca.
Quasi costante in tutti questi testi è l’avvertimento, la premonizione e la “visione”, di guasti e sofferenze inenarrabili
causati dalle “forze dell’errore” agli uomini, diversa è però la caratterizzazione che di queste forze viene fatta: più
decisamente dichiarate di natura “femminea”, e con una visione quindi più filosofica, nei testi giudaici e greci
rispetto al resto dove questo aspetto, quando presente, è più nascosto, come nel Gilgamesch.
Guasti e sofferenze, spirituali e materiali, che spesso in quei testi Apocalittici vedono chiudersi con lotte finali,
spirituali ma che sul materiale si riflettono, tra l’ “in-giustizia” e la “giustizia”, tra il cosiddetto e presunto “male” ed
cosiddetto e presunto “bene”: lotte che terminano sempre con il ristabilimento dell’Armonia, il ritorno alla
condizione di Regno dell’Assoluto, l’Eden o il Shambhala o i Campi Elisi ecc., la nuova Età dell'Oro.
Sono guasti e sofferenze causati da “errori” che divengono “forze”, le “bestie” o altro, in cui sempre ed
unitariamente si trova ciò che, spesso con maggiore chiarezza, viene detto in Enoch.
Sono le forze che Paolo, riprendendo farisaicamente senza comprendere le Scritture, chiamerà “uomo iniquo”(2Ts
2.3-8), sono ciò che avverrà e che “dovrà” avvenire. Dice in merito Gesù:
< ..finché i tempi...siano compiuti.. > (Lc 21.24)
< Una generazione perversa e adultera cerca un segno! Ma nessun segno le sarà dato
se non il segno di Giona profeta >(Mt 12.39)
Sono “guasti e sofferenze” che devono giungere a “compimento”, devono finire i “tempi” del loro prodursi ed
accrescersi perché quella “iniquità-errore” possa essere dall’uomo visto e quindi chiuso. E, dice poi Gesù, alla
umanità perversa-contraria al Dio e adultera-consegnatasi ad altro da Dio, ovvero alla generazione dei “figli
dell'Adam”, degli uomini legati all' “io-materialità” che continua a non capire vedere quell’errore-iniquità e cerca
“segni”, è riservata la sorte di Giona, è riservata, come vedremo nel capitolo “Il Segno di Giona..” della 11° Parte, la
“fine ultima”.
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sesta parte
Il testo di Sapienza poi così descrive ciò che deve avvenire:
< ..l'iniquità renderà deserta tutta la terra e la malvagità rovescerà i troni dei potenti..>(Sap 5.23)
La in-equità non uguaglianza che è il non vedere l'Uno ovvero la materia-spirito ed il prossimo-noi, produrrà, dice
Sapienza, aridità spirituale e disastri fisici mentre la malvagità farà soccombere ogni regno-spazio delle positive
forze, ogni trono di terrena giustizia e potenza.
Questi enormi “guasti e sofferenze” sono ciò cui porta “inesorabilmente” e finché non si compiano i tempi, la caduta
dell’uomo nell’abisso dell’”io”, l’ “errore”, la “separazione-diabalein” o in-equità : l’errore che crea quei “giganti”
che finiscono per “divorare” ogni cosa con sofferenze, lacerazioni e sangue che infine portano l'umanità a “capire” e
correggersi e quindi a rivedere così l' “Età dell’Oro”, il ritorno del Regno o della Armonia dell’Eden, il ritorno del
Shambhala per il mondo Indo-Ario.
Tutti i testi cosiddetti Apocalittici che il mondo antico ci ha consegnato, ci dicono degli stessi fatti, seppure con le
diverse allegorie e con le differenze che ogni persona, cultura e scritto porta con sé.
Nei testi Apocalittici Indo-Ari del Shambhala, che tradotto significa “fonte della felicità”, andando oltre i rituali e le
pratiche in esso riportati, si vede un < Regno >, così anch'esso è infatti chiamato, che opera per sconfiggere
l’“errore” e che combatterà una battaglia finale che lo vedrà vittorioso riportare “felicità”.
É un Regno che in quelle righe è “visto” oltre il “fiume”, oltre le “acque” della Vita, sulla “montagna” che quel
fiume alimenta.
Il fiume vede naturalmente “scorrere” le stesse acque Eterne di Vita di tutto il mondo antico, acque oltre le quali, pur
senza esserne oltre, è il Principio.
Anche la montagna è la stessa montagna sacra e simbolica di tante altre tradizioni, sono il luogo in cui, per questo
mito, regna Sanat Kumara “figura” in tutto simile e della stessa natura del “Re del mondo” della tradizione Norrena
e del Melchisedek, ovvero il “Re Vero”, delle Scritture Giudaiche.
Di straordinaria similitudine a quei testi e visioni è anche il mito Norreno, Nordico-Scandinavo, del Ragnaròk che
tradotto è: “destino degli Dei”. Anche qui gli Dei dimorano sulla sommità del “monte circondato dalle acque”,
evidentemente stesse acque e stesso monte.
Anche il Norreno Ragnaròk è un mito apocalittico che dice della battaglia finale fra Luce-Ordine e Tenebre-Caos:
dopo avere visto la distruzione dell’intero creato esso vede la Vita, senza <..errore..>, ricominciare da capo il
proprio ciclo. In questa mitologia, pur di origini geografiche Nord Europee molto distanti dalle altre, ritroviamo poi
anche la Mucca cosmica, già presente in Egitto e fra gli Indo-Ari, ed i <..giganti..> potenze della distruzione.
Anche gli Egizi dicevano di questa lotta e vittoria finale con le parole del PerEmRa:
< Io sono tra quelli che massacrano gli avversari dell’ Essere dal cuore Immobile,
che imprigionano per lui i Sebau ( spiriti maligni )> (PerEmRa 1.2,3)
Sempre nel PerEmRa, al cap.17.25 si parla del < combattimento tra Horo e Set >, il combattimento tra “luce e
tenebre”.
<...Disastro della terra...> si esclama in quel testo al cap.60.2 mentre al cap.87.T,1 l’ “errore”, il <.. serpente
Sa.Ta...>, letteralmente “figlio della terra”, viene dichiarato <...ampliato dagli anni...>. Anche per gli Egizi quindi l’
“errore” ed il disastro che ad esso si lega, si ingigantirà nel tempo. Ed è indispensabile questo “ingigantirsi”, poiché
solo al suo culmine potrà avvenire la correzione, come bene ci dice anche Ezechiele :
< mentre tu fai false visioni e ti si predicano sorti bugiarde, la spada sarà messa alla gola
degli empi perversi, il cui giorno è venuto, al colmo della loro malvagità..>(Ez 21.34)
E le “false visioni e sorti bugiarde” di Ezechiele altro non dicono, con evidenza, che di chi cade nella “illusione”
dell' “io”.
Anche la cabala Ebraica vede uno < sviluppo > dell’essere umano, in circa 6000 anni, che finisce al < termine della
correzione > e che vedrà al più alto livello possibile all’uomo: quello della <..conoscenza e saggezza..>.
In Enoch poi con chiarezza si dice che, quando il male sarà sconfitto, < gli eletti saranno “saggi…e umili” >
(EE.V.8) e gli Egizi, molto prima, con una stupenda immagine dicevano:
< Apep, che è il Male o Uno di cera…e incatena.. avvelena e paralizza..
-si combatte con la-“conoscenza”> (PerEmRa 7.2,3,4)
Chiudo ricordando ancora che la costante fondamentale che notiamo in tutti gli scritti Apocalittici è quella della
visione e consapevolezza degli “orrori” cui porterà, obbligatoriamente ed inevitabilmente, l’“errore” in cui è caduto
l’uomo; una ineluttabilità connessa, spesso, alla ciclicità cosmica e che terminerà con l'annullamento dell'errore.
Tutto ancora e sempre più per una sostanziale “unità” di visioni teologico-religiose di tutto il mondo antico.
CRISI DELLA UMANITÀ
Ripensando alle distruzioni viste in Enoch, a quei “giganti”, gli stessi di cui dicono tante culture e che “divorano
l’umanità”, ripensando a quello spaventoso scenario che in quelle righe si trova, non si può fare a meno di riflettere
su quanto vicino a tutto ciò oggi sia il mondo intero. Sono scenari che oggi forse più di ieri si possono vedere
incombenti, gravi e cupi a quegli orizzonti verso cui siamo incamminati.
189
sesta parte
Credo che forse solo il grande sforzo di “capire” a fondo la storia ed il cammino spirituale della umanità, quello
sforzo che è la “con-versione o cambio di mentalità” che Gesù ci invita a fare anche chiedendoci di “capire”
Daniele, solo quello sforzo potrà correggerci facendo sì che si possano imboccare strade diverse, nel profondo, da
quelle sin qui seguite.
I forti allarmi che sempre più spesso autorità ed organismi importanti lanciano sulla crisi di adolescenti ed adulti,
con gli impressionanti e spaventosi numeri di depressioni, di drogati, di suicidi ed omicidi, come anche di violenza
gratuita e di incapacità di ascolto che anche nel numero di crisi matrimoniali si evidenzia, tutto con numeri che
lasciano esterrefatti, mi sembra che soprattutto vedano tutti incapaci di “capire”.
Questa crisi spesso, dalla Cristianità, viene messa in relazione con la crisi partecipativa e vocazionale che le
“religioni”, tutte credo, stanno soffrendo.
Con questo accostamento si vuole vedere e sottolineare, almeno da parte Cattolica, che la mancanza di aspirazione e
fede “religiosa” è causa ed origine di queste crisi: legittima convinzione che però ha il difetto di presentarsi come un
interessato, e come tale facilmente cieco, tentativo di chiamata ad una partecipazione religiosa ormai ridotta ai
minimi termini. Ma le cose stanno esattamente all’opposto: sono invece la inadeguatezza, le carenze e gli “errori”
di fondo degli insegnamenti delle cosiddette religioni monoteiste, che hanno come conseguenza quelle lacerazioni
sociali ed umane sopra ricordate.
Mi confortano in questa analisi sulle cause di questa immane e drammatica condizione personale e sociale che sta
vivendo l'uomo oggi, le parole di Gesù che invitano a
< ...riconoscere gli alberi dai frutti che danno..> (Mt 7.16)
Sarebbe bene che chi si sente “pianta” preposta e capace di dare buoni frutti, chi si sente buon profeta, rifletta bene
sulla propria natura: 2000 anni dovrebbero bastare per ben fruttificare !.
Credo che si possa ben vedere oggi che la risposta ed il contributo che le religioni monoteiste hanno dato e danno a
quella spiritualità dell'uomo che non può che sfociare e portare alla costruzione di una società in cui egli riesca a
vivere bene ed in pace, oggi si dimostrino, infine, ampiamente inefficaci e forse controproducenti.
In questa visione e lettura diviene indotta e “salvifica” la mancanza di “partecipazione” religiosa, mancanza che
nulla ha a che vedere con la spiritualità dell’uomo, che è innata e sempre viva e che solo momentaneamente potrà
essere accantonata o confusa, con le religioni appunto o con altro.
Oggi l’uomo in questo suo “liberarsi” spesso non riesce, purtroppo, a “vedere” le strade da seguire e da percorrere, il
cammino poi forse sarà ancora lungo, la correzione e la presa di coscienza di quel grande errore dell’ “io” non sarà
facile poiché molti sono, con termine biblico, i “lacci” che gli vengono tesi e che lo legheranno forse ancora a lungo.
Spero solo che questa strada, inevitabile, non sia troppo traumatica, spero che non sia troppo sofferta e
sanguinolenta, spero che non siano molti coloro che, impauriti per la perdita di quella illusione che è il proprio “io”,
finiscono col rifugiarsi in un radicalismo che solo peggiora la loro ed altrui condizione.
Spero che le religioni sappiano fermare radicalismi e fondamentalismi: spero che sappiano fermare sé stesse prima
della irreparabilità.
Spero che l’uomo oggi riesca a liberarsi delle gabbie in cui il suo animo è stato a lungo dalle religioni rinchiuso.
La grande critica che faccio alle “religioni”, in particolare oggi a tutte quelle cosiddette “monoteiste”, forse le sole
“religioni”, è anche il riflesso di una grande sofferenza che provo nel pensare a quali -chiusure- esse hanno inflitto
all’animo umano impedendo all’uomo di vedere quel Regno-condizione a lui così “vicino”, come diceva Gesù, da
essere in sé, di sé ed intorno a sé:
<... il regno di Dio è in mezzo a voi ..>(Lc 17.21)
< ..il regno è dentro e fuori di voi. Quando vi conoscerete allora sarete consci e saprete che siete voi i figli del
Padre Vivente >(vangelo di G.D.Tommaso, l. 3)
È un grande dolore ed una fortissima pena che provo per tutte le anime che, nel tempo, sono state
inconsapevolmente bendate, chiuse, imbavagliate e così immolate.
Mi sforzo di pensare che tutto sommato, complessivamente, queste religioni abbiano svolto un ruolo non proprio
completamente negativo, ma sempre mi diventano più forti ed importanti gli strazi e le urla.
SILENZIO, DESERTI
E
SELVE
SILENZIO
Riguardo al “silenzio” la prima cosa da sottolineare è il silenziarsi che è implicito alla nota affermazione di Socrate
che dice :
“ la vera saggezza è sapere di non sapere “.
190
sesta parte
Il “sapere di non sapere” di Socrate non è quello dell’ “io erudito” che constata di mancare di tanta altra
“erudizione” o “conoscenza terrena”: è l’ esatto contrario di questo.
Socrate infatti così dice che “saggezza” è la “coscienza di non potere dire-giudicare” che consegue alla “coscienza
di non essere in sé” e che porta a considerare vacuo e limitato qualsiasi pur importante ed all'uomo necessario
“sapere-erudizione”.
Anche nel “Tao The King”, la “Via interiore”, opera del IV-III sec. aC attribuita alla incerta figura di Lao Tze, al
p.71 troviamo scritto:
< E' la miglior cosa sapere di non sapere..>
Tutto ciò, si noti bene, non significa che “sapere ed erudizione” non servono all'uomo: essi contano e sono
importanti purché legati a questa consapevolezza, purché non siano sostegno all' “io” che per quella “erudizione”
pensa di “essere in sé”.
La “Saggezza-Sophia” di cui dice Socrate, è la -coscienza- di una “inesistenza-in-sé” dell'uomo che porta a quel
“silenzio dell'io” che apre alla “conoscenza-ascolto” del Logos-Verbo-Parola di Verità ovvero del “demone-divino in
noi” ed induce a non prendere posizione, a non “giudicare”, similmente a quanto suggerirà Gesù.
È il neutralizzarsi nei confronti di ogni cosa ed accadimento sino al punto di non potere parlare di alcun ché, sino a
portarsi al silenzio.
Certo questo per me oggi condivisibile concetto, espresso in questo modo conciso e limitato è particolarmente
estremizzante ma ciò non toglie ad esso tutta la Verità che porta con sé : è infatti chi “sa di non sapere” che,
biblicamente, “non mangia dell'albero del bene e del male, non decide cosa è bene e cosa male”, è chi accetta,
inesistente “in sé” e in-esistente al Tutto, l'accadere come Armonia Divina .
Anche Eraclito (535-475 aC), i cui scritti Socrate ha dichiarato “eccelsi”, al riguardo dirà :
< Non giudichiamo, come capita, delle cose più grandi >
(C.Diano-G.Serra; Eraclito-I frammenti e le testimonianze, fr.77)
Un Eraclito che peraltro già prima di Socrate diceva di “non sapere” ma diceva anche che è solo grazie a quel “non
sapere”, è solo restando in quel “sapere di non essere in sé” che si arriva “sapere tutto” : chi arriva al -silenzio
dell'io- non può che finire per ascoltare il < Logos unico >, diceva, e così egli arriva a “conoscere tutto”, a
conoscere il Vero, l'Assoluto :
< Eraclito...da giovane diceva di non sapere nulla, fatto adulto sostenne di sapere tutto..>
(D. Laerzio -Vite dei filosofi IX.5)
Vedremo, più oltre, come la stessa cosa dicesse Gesù.
Oltre a queste considerazioni invita poi al silenzio quanto in precedenza detto sulla parola e sul discorso logico: essi
possono, col loro intrinseco ed irrinunciabile legame con la divisione del materiale, inibire e chiudere i canali di quel
“sentimento alto”, fuori dal materiale, che solo può accedere e ri-volgersi agli spazi dell’Assoluto.
Questi canali, strade e percorsi, sono quelli che Mistici ed Iniziati di ogni religione desiderano e cercano portandosi
appunto al silenzio, della parola e dell'isolamento fisico.
Ed anche Gesù piuttosto esplicitamente ci invita al silenzio quando dice:
< è ciò che esce dalla bocca che rende (può fare diventare -ndr) impuro l’uomo > (Mt.15.11)
< io non giudico nessuno > (Gv.8.15)
A questo silenzio si arriva solo grazie ad una mente che tace e non genera parole “proprie” che obbligatoriamente
“giudicano e separano”: solo grazie ad una mente che, tacendo, non ripropone sempre e dovunque l’”io”, solo una
mente “silenziosa” che “sa di non sapere” riesce a non giudicare, riesce a “dire parole non proprie”, giuste.
Sul silenzio volentieri riporto una bellissima preghiera del periodo egizio ramessideo rivolta a Thot, Dio sorgente
della saggezza e taumaturgo: parole che dicono come già quella cultura vedeva, e forse alle altre insegnava, queste
Verità sul silenzio dell' “io”:
< Tu sei l’oggi e lo ieri e sei il domani, silenzioso Thot,
dolce sorgente di vita che doni acqua abbondante ai silenziosi e ti dissecchi ai ciarlieri>
( M. Pincherle, La Grande Piramide e lo Zed )
Sono parole di una profondità spirituale per me inimmaginabile migliaia di anni prima di Gesù, profondità che gli
Egizi per primi “vedono” e forse infondono, come già ho sottolineato, agli Indo-Arii, ai Greci e forse a tutte le altre
antiche culture.
Anche i Veda e le Upanishad vedono infatti il ritrovamento dell’ Atman, il “cuore invisibile”, la parte spirituale
dell’uomo della stessa natura dello spirito del Brahman, dell’ Assoluto o Grande Anima o Regno, aiutato e
coadiuvato dal silenzio.
Un silenzio che in quella cultura ed insegnamento si viene poi invitati ad abbandonare, dopo avere ritrovato quella
“essenza”, per dire di Essa ma del tutto similmente faranno mistici e sapienti di ogni cultura : arrivati al Vero di Esso
decideranno di parlarne, ma segretamente con allegorie o miti o parabole.
191
sesta parte
DESERTI E SELVE
Questi aspetti del “silenzio” sono quelli che sono richiamati e sottesi nelle allegorie dei passaggi ai “deserti” e
“selve”.
Del “deserto” come allegoria della “conversione-cambiamento di mentalità-resurrezione”, del “passaggiocondizione” che l'uomo deve “vivere” per potere vedere-portarsi all'Assoluto, ho già in precedenza parlato ma è
tema che qui cercherò di approfondire partendo da ciò che ci dicono i vangeli su quanto vissuto da Gesù.
Gesù, ci dicono quelle righe, è “passato” dal “silenzio del deserto” per riuscire a combattere contro la forza della
separazione-diabalein-demonio: un deserto, condizione di “deserto interiore” in cui l' “io”, separato, non riesce più a
nutrirsi e vivere.
I passi dei Vangeli ci dicono che il “demonio-istinto di separazione” tenterà Gesù, come tenta ogni uomo,
facendogli vedere che < adorando lui >, ovvero ascoltando la voce della separazione-diabalein che porta a vedersisentirsi “io”, si ottengono <..i regni del mondo e il loro splendore >(Mt 4.1-11).
In modo del tutto simile già 500 anni prima di Gesù, Gautama Buddha descriveva questo stesso, suo, cammino e
passaggio : egli ci dice infatti di Mara, il “demone” che cercò di distoglierlo dal raggiungimento del “Risveglio”,
ovvero la “Conversione-Cambiamento di mentalità” per le parole di Gesù, sia spaventandolo con un esercito di
esseri mostruosi sia con la visione di bellissime donne.
Mara in quella tradizione rappresenta la “Morte”, gli ostacoli ad una “Vita” che è spirito e materia assieme ed è visto
come un tentatore che “distrae” gli uomini rendendo e mostrando la vita materiale e mondana quale unica Realtà e
portando così ad una negativa e parziale visione, all'“io”.
Anche per questa cultura tale cammino è quindi duro e necessita di coraggio: Boddhisattva è colui che è sulla strada
di quel risveglio-rinascita e quel nome viene infatti dalle radici Budh=Risveglio e Sattva=Coraggio.
Tornando a Gesù può anche darsi che Egli sia passato dal deserto fisico, l'isolamento aiuta quel passaggio-rinascitarisveglio, ma certamente Egli con quelle parole ed immagini, tutte di Torah e Profeti, ci dice di quel “ deserto
interiore” che è < sù >, fuori dalla materialità, condizione a cui si è “portati” ascoltando l'invito della Ruah-VentoSpirito Santa di Verità e di Vita:
< Allora Gesù fu condotto dalla Ruah-Vento-Spirito Santa “sù” nel deserto..>(Mt 4.1)
E' “condizione” che inizia il “cambiamento di mentalità-conversione e ritorno” e che anche per Gesù richiede
ulisseo “coraggio” :
< ..coraggio, io ho vinto il mondo..>(Gv 16.33)
< Siate transuenti (capaci di andare-passare oltre ndr)> (Vangelo di G.D.Tommaso l.42)
E' condizione-passaggio che infine ci vedrà essere, senza essere in-sé, “transuenti”, al contempo <..movimento e
quiete..come il Padre nostro che è in noi..>(Vangelo di G.D.Tommaso l.50), al contempo pieni di “potenza e pace”.
È passaggio duro e difficile che provoca “sofferenza, angoscia e paura” ma è solo grazie ad esso che l'uomo va oltre
la condizione di “adam” e si porta, in quell'oggi, in vita, alla Vita :
< beato l'uomo che ha sofferto. Egli ha trovato la Vita >
(Vangelo di G.D.Tommaso l.58)
È un “deserto interiore” che, con quel “silenzio della mente” che allontana un ”io” che nella mente sempre si
ripropone, inizialmente vede l'uomo nella più completa desolazione di riferimenti, di certezze, di valori e punti
d’arrivo: un “deserto” appunto, ma solo per l' “io”, per i “suoi propri” riferimenti, le “proprie” cose, patrie, figli
ecc. , ogni certezza, ogni valore e punto d'arrivo.
E' un passaggio momentaneo, ma durissimo e paralizzante: sono mesi terribili e che sembrano infiniti ma è
passaggio necessario. E' strada e condizione cui ci si porta solo con forte “coraggio”, solo così ad essa si “accede"
ed in essa "resta” : i primi passi terrorizzano, sembrano l'ingresso ad una morte che si percepisce come quasi fisica.
È passaggio che è “uscita” dal peccato d'origine, dall' “io”, è il riconsegnare all'Assoluto una Vita che è unicamente
sua, è un passaggio che si potrà verosimilmente compiere anche dopo la vita fisica ma che non a tutti sarà forse
possibile.
In quel “luogo-condizione-deserto” lentamente scompare tutto ciò di cui si nutre l' “io”, ciò che “ci” dà “personale”
identità, ogni < foglia di fico > di cui ci si è coperti : ogni “propria” falsa veste scompare, si resta “nudi”, inesistenti
“in sé”.
E il silenzio della parola e soprattutto il silenzio della mente, cercato anche con l’isolamento fisico, aiuta ad entrare
in quel duro passaggio-condizione.
É un “passaggio” che spaventa e terrorizza ma è l' “io” che vive tutto ciò e che tenacemente lotterà per evitare di
farci compiere il passo di ingresso a quel deserto: l'uomo avrà paura fisica e sarà spaventato e terrorizzato e difficile
sarà la decisione di “rischiare”, la decisione di “abbandonare” i “propri”, ma tutti dell' “io”, riferimenti e certezze.
La scomparsa e l’annullamento dell’”io” spaventa : appena coraggiosamente si imbocca quella strada ci sembra di
metterci a rischio, anche fisico : viene a meno il respiro e l’aria che sempre abbiamo respirato, terminano le strade
sempre percorse e ci sembra di entrare nel buio esistenziale più pesto.
192
sesta parte
In quel deserto a lungo non si vede più alcuna motivazione di vita, nessuna meta, nessun traguardo, nulla da
raggiungere più per l' “uomo-io”, nessuna “cima e nessuna valle” dice Isaia nel passo che sotto riporto.
Tutto però è solo frutto dell”io” che vuole mantenere “sé” e le “proprie” illusioni ma infine, su quella strada, la
nostra “essenza-Sé” si aprirà, luminosa e Viva, sarà “voce di Jhwh”.
< Preparate nel deserto la via di Jhwh,
appianate nei luoghi aridi una strada per il vostro Dio! Ogni valle sia colmata, ogni monte ed ogni colle siano
abbassati,i luoghi sconnessi siano livellati, i luoghi accidentati diventino pianeggianti.
Allora la gloria del signore sarà rivelata, e tutti, allo stesso tempo, la vedranno,
giacché la bocca del signore l’ha detto >(Is 40.3,5)
In questo passo il profeta sottolinea che solo entrando e percorrendo quel “deserto interiore” in cui ogni “propria
meta”, ovvero monti colli e valli ostacoli al giusto cammino, scompare per quella strada che vede ogni cosa livellata
e spianata, che vede solo l'Uno-Tutto: sottolinea Isaia che solo là si potrà costruire la strada per l’ingresso
all’Assoluto, solo là, a tutti, il Regno in quel momento si rivelerà.
In quel deserto lentamente l’ “io” muore, vengono a meno i “propri desideri”, le “proprie mete” e si resta “nudi” ma
la vita resta con le sue regole e necessità ed è in questo che si comincia a vedere poi un Assoluto-Tutto che, all'inizio
debole e fioca luce, lentamente poi si apre forte e luminoso e di esso ci si “vestirà”, sempre più forti in-esistenti ad
Esso e, al contempo, inesistenti in sé.
Per inciso: è di questi “monti e colline”, è di questi “impedimenti”, e non di “fisiche” colline e montagne che
generazioni di ciechi e sordi hanno paventato muoversi, che Gesù parla quando dice :
< ..se avrete fede pari ad un granellino di senape, potrete dire a questo monte: spostati ...ed esso si sposterà..>
(Mt 17.20)
Basta poco, dice Gesù, per evitare di cadere nelle trappole-impedimenti che il mondo fisico, non giustamente visto,
può presentare. Non si può poi non vedere come questa allegoria, e questa lettura, nasca chiara nei testi di Enoch
confermando anch'essi la vicinanza di Gesù a quei testi ed interpretazioni :
E queste montagne..., la montagna di ferro,..di rame,..di argento,..d'oro,..
di metallo tenero,..e..di piombo, tutte saranno in presenza dell'Eletto (Figlio di Dio ndr)
come cera davanti al fuoco...e giaceranno inerti e inutili davanti ai suoi piedi ..>
(Enoch Et. LII 6)
Parla poi di quello stesso “duro deserto-passaggio”, di questa “grande lotta-sforzo”, anche l'Islam nella sua
tradizione mistica in particolare, con il “Grande Jihad”, il “grande sforzo, fatica, impegno” interiore e personale
dell'uomo. Jihad infatti non è battaglia o guerra violenta e fisica ma “guerra e battaglia interiore”.
Lo Jihad, maschile, è il “duro, faticoso ed impegnativo” percorso che l'uomo è chiamato ad intraprendere per
avvicinarsi al suo scopo finale ovvero la sua ascesa a Dio.
Scopo dello Jihad è quello di superare e vincere il Nafs, l' “istinto di base” tradotto a volte come “ego”, ciò che in
queste pagine è citato come “io” o “io-materialità”.
Del Nafs, dell' “io-materialità” da combattere con il “Grande Jihad”, il Profeta Mohammad in un hadith dirà:
< Il peggior nemico che tu possa avere è dentro di te >
Parlerà di questo duro cammino anche Dante con la sua Selva Oscura, come ben sottolinea Giuseppe Pastina nel suo
“Interpretazione di Dante”:
< Dante con la “Selva oscura” dice della angoscia e della paura dell’ esperienza del nulla >
Con espressioni che ritornano Dante, ne l' Inferno Canto I, dice che prima di quel passaggio, che lo porterà alla
<..verace via..> e cioè al Vero, prima di quel passaggio che <..non lasciò già mai persona viva..> ovvero in cui
sempre l' “io” muore, egli era <..pieno di sonno..>, caduto, addormentato come sempre è alla nascita l'uomo Adam.
Anche Dante alla fine di quella <..valle..> che gli <..avea di paura il cor compunto..>, in lontananza, in alto sul
colle che si trova di fronte, intravvede la luce divina, i <..raggi..>, di un Divino che <..mena dritto altri per ogni
calle..>, che mantiene ogni uomo retto per ogni strada percorsa.
È passaggio, “Deserto o Selva e pauroso nulla-silenzio”, passando il quale per Dante come per Isaia, Elia, Gesù e
tante altri uomini e culture, si troverà l'Assoluto: è “grazie” al passaggio in quel “silenzio-nulla”, in quella “selva
oscura”, che Dante troverà la strada per il Paradiso, per Dio, l'approdo del suo viaggio.
Anche i testi di Enoch ci dicono dello stesso viaggio: ci dicono di un viaggio verso l’Est, verso la sorgente della
Luce-Vita, verso l’Assoluto, che inizia passando da un:
< deserto…solitario pieno di alberi e di piante ed acqua vi scorreva solo dal di sopra >.
Dice Dante di quel “passaggio”, di quel “deserto” :
Ah quanto a dir qual era è cosa dura / esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura ! / Tant’è amara che poco è più morte ;
Di quella selva, di quel passaggio, di quel “deserto interiore”, alla fine, dice Dante, resta solo il ricordo della
spaventosa paura vissuta: la morte dell' “io” è dura, è una vera morte e il raccontarla è impossibile quando quella
“condizione” è ormai superata.
193
sesta parte
Arrivano a “questa” morte gli “autentici-veri filosofi” di cui ci dice Socrate: questo è il “melete thanatou”
l'“esercizio di morte sconosciuto ai molti” che questi sanno vedere, sperimentare e superare.
Arrivano a questa “condizione”, vedremo meglio più avanti, gli “iniziati” ai Misteri, Greci e d Egizi.
Questo “deserto interiore” in cui ci si porta ed in cui si arriva quando si inizia a fare morire l' “io”, è una condizione
terribile, è un deserto pieno dei frastuoni di una tempesta ineludibile : quando le illusioni sostegno dell' “io” cadono
il frastuono è assordante, lo smarrimento è totale, è un vero temporale apocalittico che lascia annichiliti ed
impaurisce per il buio e la desolazione cui si va incontro.
Ed è questo ciò di cui ci dice Elia con quei passi nei quali racconta di una tempesta che termina col “fuoco” che
brucia le illusioni e che permette infine di udire la voce del Dio:
<..Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce …ma Jhwh non era nel vento.
Dopo il vento ci fu un terremoto, ma Jhwh non era nel terremoto.
Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma Jhwh non era nel fuoco.
Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Ed ecco si sentì la voce di Jhwh >
(1Re 19.11-13)
Della durezza di quel passaggio ci parla anche la Genesi con le parole di Giacobbe che dopo quella <.. notte..>,
dopo quel “buio” momento e passaggio in un “isolato e solitario” < luogo terribile > in cui “udirà-capirà” le parole
di Jhwh, potrà dire:
<..Jhwh è in questo luogo e io non lo sapevo…quanto è terribile questo luogo!
Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo >(Gn 28.16).
Infine non posso non dire che di questo “deserto” e del “silenzio della mente” parlano in modo molto interessante le
“comunicazioni” del “Cerchio Marina” nel testo da esso pubblicato: L’esperienza del Deserto.
In quelle trascrizioni delle comunicazioni di alcune entità sono ben delineati i tratti caratteristici di fasi, passaggi o
cammini critici che portano l’uomo fino a quella < vigile apatia > causata dal venir meno delle normali, ma errate
dell' “io”, motivazione di vita.
Viene in quel testo descritto questo passaggio che vede condizioni di vera sofferenza ed in cui resta comunque la
impossibilità di rinunciare al prosieguo della vita pur vedendo ogni azione e condotta estremamente difficili e
sofferte. Inizialmente infatti ogni atto della vita, ogni gesto ed ogni comportamento appare senza valore e senza
spessore, tutto è indegno di coinvolgimento.
In quelle righe del Cerchio Marina, assieme alla messa in guardia rispetto al fatto che questa “vigile apatia” nulla ha
a che vedere con la “depressione” normalmente conosciuta, viene poi tratteggiata la conseguente naturale strada che
farà superare quello stato di angoscia e patimento, quel “deserto”.
LA SERVITÙ-AMORE
In quelle comunicazioni del Cerchio Marina la strada di uscita da quella “apatia” e da quel buio viene indicata
nell’Amore più completo e profondo per un “prossimo” che solo sarà manifestazione, espressione ed immagine
dell’Assoluto, vera “essenza” di quel Divino che in ogni dove si potrà vedere.
È la strada di un “amore per un Prossimo-Assoluto” visto da colui che, non “essendo in sé”, si renderà “strumentoservo” della Eterna Vita: senza “propri voleri” ma consapevoli di “essere” Tutto si arriverà alla profondità ed alla
altezza dell’ Amore che Gesù ci ha suggerito con la Sua lettura della Torah.
Un Amore non “dato”, giacché non può “dare” chi -non è in sé-, ma un Amore visto e sentito.
Solo così sarà Amore per un “prossimo-te-stesso”: non già un “amare il prossimo -come- te stesso” ma un “amare il
prossimo -quale- te stesso”. Questo, come visto, è quello che ha detto e letto Gesù in quel passo da lui richiamato
che oggi leggiamo così tradotto:
< ama il prossimo tuo come te stesso > (Lv 19.18)
ma che in corretta traduzione credo debba essere :
“ ama il prossimo tuo -quale- te stesso”
Nessun Amore, ho già sottolineato in precedenza, è infatti possibile se è “qualcuno” che decide e pensa di “darlo”,
in quel caso sempre vi è, piccola o grande, nascosta o meno, la componente che porta alla gratificazione del
“proprio io”, vero suggeritore e destinatario dell’atto.
In quel cammino, in quel deserto, si può invece ritrovare quell’Amore che solo è “Servitù”, l’Amore di chi Ama
senza “proprio” volere, di chi è strumento, “servo” appunto, senza nome e senza “proprie” volontà.
Un Amore che è “sostanza” dell’Assoluto come sa vedere anche Dante alla fine del suo viaggio verso l’Assoluto :
<..l’Amor che move il sole e l’altre stelle ..>.
194
sesta parte
È la “condizione” che si riflette nella “servitù” senza “proprie” volontà che le Scritture dicono “di Davide” e che è
stata di tutti i Profeti, “servitù” che anche Gesù ci ha indicato con il simbolico gesto del lavaggio dei piedi ai suoi
compagni: segno profondissimo di una umiltà e amore senza fine, gesto da alcun “io” “dato”, gesto non motivato e
compiuto senza alcun agente.
Quell'Amore è Amore immotivato e puro, condizione lirica e sublime, unica nostra possibilità per “toccare”
l’inesprimibile Assoluto. È una Servitù-Amore che solo può e deve essere “libero sentire”, intimo, del “cuore”: è
una “servitù” all'Assoluto, al Tutto-Divino che potrà anche suggerire azioni, reazioni, atti e parole perfino in
apparente contrasto con quell'aggettivo e con quelle parole per come oggi viste.
Questa Servitù-Amore, Agapé, nulla ha a che vedere con la lacrimosa e malata compassionevolezza di una errata e
spesso interessata-dell'io “carità” quale è quella cui, inconsapevolmente, tanto spesso ci portano i paolini
insegnamenti.
È Servitù-Amore che nobilmente rispetta un -divino Accadere- che vede ciechi e sordi ad ogni dire: ciechi e sordi
amati di un amore che li può anche vedere lasciati al loro divino destino.
Mai vogliono dimenticati su questo argomento gli insegnamenti delle “dure”, se non capite, parole di Gesù : parole
che sono scostanti ma che in realtà nascono in un Amore-Agapé che vede la profonda comprensione, nella “servitùnon giudizio-rispetto-amore”, di un Assoluto-Jhwh-Tutto che è Prossimo-Noi ed Accadere-Armonia-Karma al
contempo. Un “Amore-Agapé” che porta Gesù ad essere ciò che vedeva già 1000 anni prima la tradizione IndoAria:
<..il saggio non si lamenta né per i vivi né per i morti..
l'anima realizzata non è turbata da questi cambiamenti.. >(Bhagavad Gita 2.32-36) ,
Dice Gesù :
< lascia che i morti seppelliscano i loro morti >(Mt 8.22)
< non è bene dare il pane dei figli ai cagnolini >(Mt 15.26), < ..via da me Satana..>(Mt 16.23)
<...non gettate le vostre perle ai porci...>(Mt 7.6)
Queste dure assimilazioni del “prossimo” a “morti spirituali”, “cagnolini” e “porci”, assimilazioni fatte da un
Gesù il cui Amore per il “prossimo noi” è indiscutibile e che con evidenza però nessuna lacrimosa
compassionevolezza vede, possono essere capite e comprese unicamente in un Jhwh-Divenire che, più avanti,
meglio approfondiremo.
È una comprensione che porta a vedere e capire quale “prossimo-noi” da Amare, rispettare e non giudicare, anche i
“morti spirituali, i cagnolini, i porci ed i satana”: “divinamente” infatti essi sono.
Comprensione non facile che ci mostrerà “giuste”, e non -dure-, anche le seguenti parole di Gesù:
< ..guardino ma non vedano, ascoltino, ma non comprendano..>(Mc 4.10-12)
<..a chi ha sarà dato..>(Mc 4.25),
<..meglio..non fosse mai nato..>(Mc 14.21)
< Non sono venuto a portare pace, ma una spada...>(Mt 10.34)
<..chi non è con me è contro di me..>(Mt 12.30)
< Andate...ed imparate ..>(Mt 9.13)
< Se uno..non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, le sorelle… non può essere mio discepolo>(Lc 14.26)
< scuotete la polvere dai vostri piedi >(Mt 10.14)
e, tante volte, <..guai a voi..> e <..chi ha orecchie per capire capisca..>.
Anche queste parole nascono nella Servitù-Amore-Agapé di Gesù, una Servitù “coscientemente” piena di Saggezza,
piena della comprensione di un divino Accadere-muoversi-divenire che vede caduto-addormentato, e non ancora
giunto al risveglio, un prossimo che pur è <.. noi stessi..>.
Servitù-Amore-Agapé senza “proprie” volontà: non il “darsi o dare” che sempre vede la presenza dell’”io” ma il
fermo e sicuro affidarsi al “ciò che accade”, l'affidarsi ed il capire un Assoluto di cui così si è “figli” ed in cui
comunque -si è-.
Una Servitù-Amore che vedendoci “nel fondo” vera Unità-Uno, Tutto e Assoluto, ci vedrà in una condizione che
non ha bisogno gli sia da uomini dato alcun comandamento, regola o principi: tutto sarà “parte” stessa di quella
“coscienza”.
Tutto ci sarà connaturale, si avranno-vedranno regole e principi-comandamenti-verità, in quel momento, in quel
<..oggi >, come li ebbe Mosè: essi si “conosceranno”, come egli li ha conosciuti, quando ci si porta all'Uno-Tutto,
quando, seguendo la voce dell'Assoluto come Mosè si arriva al <..monte di Dio..>, si arriva a vedere se pur di spalle
l'Assoluto-Tutto, quando si arriva come arrivò Dante a vedere la “circulazion che della nostra effige pare pinta” .
Terminato quel passaggio-deserto si avrà modo di vedere la vita, anche fisica, ad un livello più alto e pieno, essa sarà
“divina”: si riavranno “valori ma non più propri”, “regole e comandamenti ma non propri”, si riavrà “pieno amore
per una vita non più propria e che è Vita”, si riavrà “forza e potenza, non proprie”: si sarà “oltre” la condizione
sempre vista e vissuta: si sarà l' -Oltre uomo- dirà Nietzsche.
195
sesta parte
DESERTO e NICHILISMO
Faccio ora un inciso con qualche altra considerazione sul “deserto” cui si arriva quando si capisce che l' “io” è solo
“illusione”, quel deserto che sembra annichilire, che toglie tutte le motivazioni di vita normalmente viste e seguite.
É molto facile chiedersi e anche pensare che questa sia la porta di ingresso al “nichilismo” per come esso oggi è
inteso: i primi passi in quel deserto possono certo somigliarvi. In quel cammino, e non solo nei primi passi, sembrerà
certo di essere entrati in quel “vuoto di valori” ed in quella “indifferenza e rinuncia a sé ed al mondo senza sbocchi”
né voluti né cercati che è il nichilismo quale oggi esso è visto, inteso e suggerito.
L'approccio a quel “deserto” o anche a quella “selva oscura” di cui ci parlano Legge, Profeti, Enoch e Gesù come
Dante e certo molti altri, i primi passi lungo quel cammino, sono forse anche esattamente gli stessi : la “desolazione”
ed il “buio” che si scorgono nei primi momenti, quando si percepisce solamente la “nullità” di un “io” che sempre e
solo è contato e di ogni “sua e propria” meta o monte o valle, certamente possono essere visti così.
Vi è però una caratteristica di quel “deserto” che va sottolineata, una caratteristica importante e certamente non
presente al buio di quel citato nichilismo che può nascere nella mancanza di Verità e quindi di giustizia.
Questa caratteristica è la presenza di un “cercare”, di un bisogno che, vero motore e stimolo di quel cammino,
permette infine di scorgere ferma e luminosa la presenza di un Assoluto-Tutto che, arrivo pur senza essere meta,
lentamente si apre in quel buio che sorge con l'abbandono dell' “io”, di ogni “propria” e sempre dell' “io” cosa, casa,
patria, ecc.. . È una -presenza- che si scorgerà dopo un poco di tempo passato nel frastuono di quella condizione :
inizialmente debole, fioca e lontana, quasi un miraggio che “si accende” quando si riesce a spegnare completamente
la falsa luce che sempre ci propone il nostro “io”, quando si riesce ad accettare la sfida del soffocamento dell' “io”,
quando si trova l'“ulisseo vigile coraggio” di un viaggio che è “ritorno”, quando si riesce a decidere di provare a
camminare “nudi” in quel buio spaventoso.
Quella -presenza- lentamente lega l’uomo ad Essa, lo rende Sua parte, l'uomo gradualmente si “ volge” per ritrovarsi
infine “inesistente in sé ma in-esistente al Tutto” e così finalmente Vivo in questa Vera e ritrovata “Essenza e
Potenza”: “resuscitato-rinato” sarà così fuori dalle illusioni e fuori da quella morte-sonno che sempre egli ha
“visto”. Una “Essenza e Potenza”, quella del “Figlio” che -al contempo- in quell'oggi si vede e conosce, di cui così
diceva Enoch :
< ..fin dall'inizio il Figlio dell'uomo era nascosto, e stava accanto alla potenza dell'Altissimo
e la rivelò agli eletti..>(Enoch Et. LXII 7)
È un passaggio che così infine Vivifica l'uomo nel senso più profondo ed alto del termine, lo porta a fianco
dell'Assoluto e, inesistente ma ad Esso in-esistente, Vivo nel più alto dei termini.
Tutto ciò, e nonostante i primi passi in quel deserto e molti suoi aspetti possano essere visti quali nichilismo, ha poco
a che fare ed è anzi l'esatto opposto del nichilismo per come oggi visto: nel vuoto di un -tale- “nichilismo” nessuna
Voce può essere udita, nessun Dio-Assoluto visto e capito.
Ho parlato di nichilismo “per come oggi visto” ovvero di un “vuoto di valori” e di una“rinuncia al mondo” che
portano con sé -senza sbocchi- indifferenza e distruzione ma, mi preme sottolineare, un tale nichilismo pur essendo
normalmente associato a Nietzsche poco ha a che fare con lui.
Nietzsche ha infatti parlato e voluto mostrare un “nichilismo”, per lui in arrivo, che egli vede indotta condizione,
duro e sanguinoso passaggio umano sì, ma passaggio grazie al quale l'uomo e l'umanità si portano a rivedere il Vero.
Su Nietzsche, su “questo” Nietzsche lontano da tante analisi e letture, più oltre farò un breve approfondimento.
IL MESSIA, ELIA E ZACCARIA
Le archetipali figure del Messia e di Elia sono figure che saranno viste quali “ singole-uniche” figure dal fariseismo
giudaico dei tempi di Gesù e ancora oggi come tali, “singole-uniche” entità, diffusamente sono viste, se pur con
grandi differenze, da Ebraismo, Cristianità ed Islam.
Entrambe invece, pur “forze” che nel loro aspetto archetipale-universale sono “singole-uniche”, sono infatti al
contempo anche “plurime umane esperienze”, diverse tra di esse ma in tutto vicine, di “illuminazione” e “divina
con-prensione” assolutamente non esclusive e di tutti i tempi seppur rare.
Sono condizioni e stati, simili, a tutti disponibili ed auspicabili che operano pur differentemente allo stesso fine,
sono condizioni cui si arriva grazie a quel cammino di “resurrezione” all'Assoluto-Vita che porta, comunque ed in
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ogni caso, chi così sia a partecipare attivamente a quella opera di “compimento” dell'uomo che è l'uscita dell'umanità
dalla condizione di caduta: l'opera di annullamento dell'errore che vedrà l'umanità-adam portata alla propria Gloria.
MESSIA
Il Messia, archetipale forza a tale opera di “compimento” destinata, è vista e dichiarata al contempo anche dell'uomo
chi si è portato al più alto livello spirituale a lui possibile, l'uomo che al fondo si è portato ad essere -servodell'Assoluto : chi -inesistente in sé- è strumento e collaboratore di un assoluto che è Vita.
Messia è forza-salvezza che per la tradizione giudaica è di colui che “è discendenza” ovvero di chi replica e si porta
alla condizione di cui è immagine Davide Re dei Giudei, Re dell'universale umanità “Giudaica giusta” che si
contrappone a quella “Isra-El contraria a Dio”, un Re che le Scritture dichiarano “servo” di Jhwh.
È per questo dire e vedere che Gesù affermerà :
< La salvezza viene dai Giudei..>(Gv 4.22)
Messia è forza che salverà una -universale umanità- Isra-El lontana-contraria al Dio-Assoluto, è forza che “verràsapremo vedere chiaramente” quando avrà annullato definitivamente quella condizione umana <..casa di pecore
perdute..>(Mt 10.5,6) che in allegoria è la “casa di Isra-El” : <..Distruggerò questa casa e nessuno potrà
riedificarla..>(Vangelo di G.D.Tommaso l.71) .
Vale qui la pena fare un piccolo inciso per dire di ciò che afferma un esperto di lingue antiche, il
Prof.Mario Pincherle, in merito al termine Messia.
Egli ci sottolinea che la parola ebraica Messia, MSA, non significa come normalmente ritenuto “Unto”,
Cristo nella italianizzazione del corrispondente greco Christòs, ma significa “Uomo Sigillato”, “Uomo
che porta in sé il sigillo Reale”, il sigillo dell'Assoluto ovvero la lettera “S”, la “scin”.
É l'uomo che ha visto la Scekinà, parola aramaica derivata dalla lingua accadica e qui formata dalle tre
lettere SKN che significano “viene, penetra, trasforma”: la Scekinà, Shekinah in lingua ebraica, è
l'avvenimento-fenomeno che dice del “totale perfezionamento-trasformazione” dell'uomo.
Il termine ebraico Messia, MSA, vede poi la similitudine con il termine MSHA che è “olio d'oliva” ed è
verosimilmente per questo che Messia ed Unto sono oggi sinonimi.
Su questo ultimo punto però il prof. Pincherle dissente vedendo non già analogia e derivazione ma errata
confusione di “diversi” aspetti e condizioni, vuole però a questo aggiunto che di fatto la tradizione
cristiana in particolare ha visto e reso sinonimi i termini Messia-Unto-Cristo-Figlio-Signore-Eletto, con
questo ultimo termine che, ereditato in particolare dalla tradizione enochico-essena, sarà più frequentato
dal cristiano-giudaismo gerosolomitano.
Ricordo poi che la “unzione sacra”, atto sacerdotale che per le Scritture Giudaiche è impartito all'uomo
ma anche agli altari (Gn 31.13; Nm 7.10,84,88) e pratica già vista e praticata nelle culture Egizia ed
Ittita e non solo, è un atto di “divina purificazione”: l'Unto da Dio perciò, Cristo in greco, come il
Messia che vede la Shekinah delle parole di Pincherle è colui che è “divinamente purificato”.
Con questa visione già Omero nella Iliade dirà : < ..via tutte le impurità, si unse di pingue olio per la
veste immortale, che era fragrante..>(Iliade 14.171,172).
Sulla archetipale figura del Messia inizierò con la analisi di passi Biblici per poi arrivare alle parole di Gesù :
< ( Jhwh al suo Messia): “Io l'ho costituito mio sovrano sul...mio monte santo”..
(Messia :)..( Jhwh ) mi ha detto: “Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato..”>(Sal 2.6,7)
Dicono queste parole che allo stato e condizione di Messianicità-Unzione si perviene, grazie a Jhwh, all'AssolutoTutto, in quell' “oggi” che dopo la difficile e dura salita della rinascita-resurrezione ci vede < sul monte santo >
legati, <..Figli..>, inesistenti in sé ed in-esistenti ad un Assoluto che è Tutto, < sovrani > di quello stesso Tutto.
E' condizione di massima “vicinanza” all'Assoluto-Tutto, si è -sua stessa- “forza-destra”:
< dice Jhwh al mio Signore: siedi alla mia destra > (Sal 109.1)
A questa massima vicinanza si perviene grazie a quel “ritorno-rinascita”, a quella “con-versione” dall'“errore” della
separazione nell'“io”, che vede portati sotto il nostro controllo, al nostro uso, a < sgabello dei nostri piedi >, le forze
tutte che a quella “caduta-dimenticanza” invitano e portano e che si pongono “contro” quel passaggio :
< ..le genti congiurano,..cospirano i popoli.
Insorgono i re della terra e i principi.. contro Jhwh e il suo Messia > (Sal 2.1,2)
<..finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi > (Sal 109.1)
E' un cammino che vedrà infine la trasformazione ed elevazione dell'uomo figlio dell'Adam e la fine dei Giganti:
< Certo non prevarrà l'uomo malgrado la sua forza. Jhwh...abbatterà i suoi
avversari.. eleverà la potenza del suo Messia >(1Sam 2.9,10)
<(il Messia) lungo il cammino si disseta al torrente e solleva alta la testa >(Sal109.7)
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< (Messia):Egli ( Jhwh) mi ha detto:..ti darò in possesso le genti..
come vasi di argilla (re e principi che insorgono) li frantumerai..>(Sal 2.8,9)
Messia-Re è “stato, condizione, forza”, che travalica ogni individualità-io e che per la Scrittura è propria del :
< .. “servo” Davide (Re) .. e la sua discendenza > (2Sam 7)
e di questo “stato, condizione e forza”, Re-Messia, sarà anche scritto:
< Jhwh...darà forza al suo Re ed eleverà la potenza del suo Messia >(1Sam 2.10)
Nessuna individualità quindi ma “tutta la discendenza” ovvero tutti coloro che “eredi” di quel Re-Forza-Potenza,
sapranno, senza “io”, essere “Servi” dell'Assoluto: tutti coloro che, senza “proprie” volontà come i “Servi”, con
animo perciò “innocente” che solo “ascolta e si nutre” dell'Assoluto, come allegoricamente è detto avvenire in chi è
“bambino” ovvero solo chi resta “kalos-onesto” senza inganni verso sé stesso come dicevano gli Stoici, saprà
abbattere la forza che porta ad essere “Giganti” enochici, la forza di separazione nell' “io”.
Dice di questo, la Scrittura, con il racconto del “bambino” Davide che abbatte il “gigante” Golia.
Messia è, per le Scritture e per Gesù, colui e coloro che, nella stessa “regale umiltà” di Gesù, viene e vengono visti e
considerati come gli “ultimi” degli esseri da quell'universale popolo Isra-El staccatosi dal Dio e nemico di Dio, con i
suoi “potenti e giganti”:
<..colui la cui vita è disprezzata, il reietto delle nazioni, il servo dei potenti..> (Is 49.7)
<..era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'adam..>
(Is 52.14)
<..disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire..e non ne avevamo alcuna stima >
(Is 53.3)
Messia-Unto-Re e Servo, senza “proprie volontà”, per la Scrittura e per Gesù, è colui e coloro che sono in quella
condizione di “nobilissima” e pur “disprezzata umiltà” che Gesù unicamente ci ha voluto suggerire: nobile-regale
umiltà che agisce “con volontà divina” e non “propria” e che da nulla più è turbata come anche la saggezza Vedica
insegna :
< Il saggio non si lamenta né per i vivi né per i morti.. l'anima realizzata non è turbata..>
(Bhagavad Gita 2.11-13)
É umiltà “nobile e forte” ed in nulla “debole e malata” come quella che giustamente Nietzsche rimprovererà alla
Cristianità di insegnare. È umiltà “nobile e forte” nella consapevolezza che l'Uno-Tutto in cui e di cui siamo vede
umane necessarie differenze che nascono in un -ineluttabile divenire ed accadere- il cui aspetto fisico-materiale è, in
sé stesso, senza importanza. Solo una tale “umiltà-mancanza dell'io” permette all'uomo di portarsi al regno :
<..entrerà nel regno dei cieli .. colui che fa la volontà del Padre mio..>(Mt 7.21)
E' ascoltando l'Assoluto e non l' “io” che si è “beati-santi” dice Gesù:
< Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano..>(Lc 11.38)
Si diviene così al contempo “servi, strumento e collaboratori” di Dio, dell'Assoluto, in quell'opera-forza di
“cambiamento-conversione” che infine prevarrà : archetipale opera-forza, Messia-Messianicità, che correggerà
l'errore dell'allontanamento e distacco dell'universale popolo Isra-El separatosi dall'Assoluto, e lo porterà alla sua
finale ed ideale condizione : alla Gloria :
< Ecco, il mio servo avrà successo, sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente >(Is 52.13)
<...braccio di Jhwh...E' cresciuto come un virgulto davanti a Lui come una radice in terra arida >(Is 53.1,2)
< ( Jhwh) ha reso la mia bocca come spada affilata..all'ombra della sua mano.. mi ha reso freccia appuntita..nella
sua feretra....mi ha plasmato suo servo.. per ricondurre.. e riunire a lui IsraEl >(Is 49.2-5)
Forza che dovrà soffrire e morire ovvero non esser vista per potere vivere giustificare-portare al Vero l'umanità:
<..si è caricato..dei nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio..
è stato ..schiacciato per le nostre iniquità. Maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca..come pecora
muta...con oppressione..fu tolto di mezzo.. fu percosso a morte..a Jhwh è piaciuto prostrarlo con dolori...
offrirà sé stesso in espiazione..vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà di Jhwh...
il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità > (Is 53)
Le armi dei “servi di Dio” di coloro che sono in quella Forza-messianicità-Messia, sono le armi della più indifesa
ma regale e non umiliata delle “umiltà”, sono quelle che vedono solo nobile accettazione e che “amorosamente”,
con divina “agapé”, si caricano delle iniquità e delle sofferenze:
<..i giusti..anche se agli occhi degli uomini subirono castighi..
la loro speranza è piena di immortalità....(per) una breve pena riceveranno grandi benefici..>(Sap 3.4,5)
Concetti anche questi di sempre e affatto nuovi se già migliaia di anni prima in Egitto il Libro dei Morti, qui
riportato per la traduzione di G.Kolpaktchy, diceva:
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< Io (Osiride)..esalto il debole dileggiato >( cap.182)>
< In verità gli infelici che non avevano conosciuto la gioia di vivere, la gustano attualmente (nell'aldilà) >(cap.136)
Questa Messianicità, in-esclusiva, atemporale e di ogni luogo, dello ieri come dell'oggi e del domani, è ben visibile
nei martìri di Socrate e di Gesù come in quelli di Giovanni Battista e di Giordano Bruno e certo di molti altri, ma è
Messianocità che si deve anche vedere nei tanti martìri delle umili e silenziose sofferenze dei miseri causate
all'uomo dell'errore Isra-El della umanità.
Questa non esclusiva Messianicità-Unzione che certo è “unico archetipale Messia”, unica forza, sarà invece vista in
una “unicità”, quella dell' “unico” individuale Messia errore Giudeo-Farisaico che la Cristianità erediterà, che nasce
dalla lettura limitata e -farisaico separatrice- delle Scritture, lettura che in quelle righe non sa vedere alcuna
universalità.
Anche Gesù in uno dei due soli passi in cui accenna alla propria condizione di “Figlio”, con una attenta analisi
chiaramente dice, appoggiandosi alle parole della Torah, che tale condizione non è per nulla “individuale” :
< ..non è forse scritto “voi siete dei”...(di) coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio !
...e voi dite “tu bestemmi” perché ho detto “sono figlio di Dio”? >(Gv 10.34-36)
Qui Gesù assimila la “condizione di deità” che la Torah dichiara essere di <..coloro..>, al plurale, che “ascoltano”
la parola di Jhwh, alla condizione di “Figlio” in cui egli diceva essere: condizione quindi la Sua che così Egli
dichiara essere la stessa di tutti “coloro” che ascoltano Jhwh, il Padre, secondo gli insegnamenti della Torah.
Ma avverrà invece che con le righe dei testi di Isaia sopra riportati si darà forza a quella “ Cristologia” che vorrà,
con questi e con altri passaggi biblici, “dimostrare” che “unicamente” di Gesù avevano parlato i profeti 700 anni
prima: visione ed interpretazione teologico farisaica, di Paolo lungamente seguito da Pietro, che si trasferirà, come
d'altronde tutto l'insegnamento paolino, ai “padri della Chiesa” e quindi alla odierna Cristianità.
Trasferimento aiutato anche dalla violenza: le tanti voci che a partire da subito, da Gerusalemme, sostenevano ed
insegnavano un Gesù “pienamente uomo” che “in vita”, con l'ascolto di quella Ruah-Vento-Spirito Santa che a tutti
parla era riuscito a portarsi alla condizione di “Unto-Cristo-Messia-Figlio”, queste molte voci, scuole e comunità
monastiche dopo secoli di dura lotta furono, con violenza, uccisioni, esili ed anatemi, definitivamente soppresse.
Più avanti meglio vedremo questi inizi e questa nefasta lotta cammino ed Accadere, che è stata la cosiddetta
“Questione Cristologica”.
Visto con chiarezza come Gesù, in Gv 10.34-36, veda non esclusiva ma universale la condizione di un Figlio che è
Unto-Messia-Cristo-Eletto ecc., serve ora considerare l'altro passo evangelico sul quale poggia la Cristiana visione
di Gesù “unico individuale” Messia, visione Cristiana che deriva da quella, errata, dell'ebraismo :
< Gesù...disse ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il figlio dell'uomo?”
Risposero: “Alcuni Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti,”
Disse loro: “ Voi chi dite che io sia? ” Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio Vivente”
“Beato te, Simone..perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli >
(Mt 16.13-17)
Qui vuole visto che Gesù “non confuta” ciò che la gente pensa, non dice che la gente “sbaglia” a pensare che Egli
sia qualcuno dei Profeti, tace su questo nel complimentarsi per la risposta di Pietro.
In questo modo Gesù sottilmente, con quel “silenzio” che vede la Sua risposta a Pietro, ci dice del legame, qui già
visto, tra le figure di Profeta-Messia-Figlio.
Egli dice che la condizione cui Egli è pervenuto, la condizione di “Figlio del Dio Vivente-Messia” è vicina e simile a
quella, in-esclusiva ed universale, cui anche Giovanni Battista, Elia, Geremia ed altri sono pervenuti : è condizione
Messianica che vede “anche” Gesù, come tutti i figli dell'Adam che si portano alla condizione di Viventi, a < figli
del Dio Vivente > come dirà Pietro.
Ed è proprio dopo queste parole che Gesù dirà di quel Suo destino “ineludibile” e anche <..necessario..> che è lo
stesso, in-esclusivo ed universale, di cui ci dice la Scrittura con i suoi “Pastori e Messia percossi e uccisi” :
< E cominciò ad insegnare loro che il Figlio dell'Adam doveva molto soffrire...
e...poi venire ucciso >(Mc 8.31)
Ma ciò che Gesù pensa della Messianicità lo si trova anche in altre Sue parole che è importante analizzare :
ai Farisei, che per Gesù non hanno compreso la Scrittura, dopo aver loro chiesto chi per essi sia il Messia, Egli dirà
che :
“Messia non è, come essi pensano, alcun - fisico figlio di Davide - da venire” !.
Egli infatti ricorderà ai Farisei il testo biblico che dice:
< (Davide :) Ha detto Jhwh al mio Signore: siedi alla mia destra >(Sal 110.1)
e di seguito farà loro questa domanda e riflessione :
< Se dunque (il Messia) Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio >
( Mt 22.45; Mc 12.37; Lc 20.44)
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Gesù con queste parole, nascostamente come sempre e solo per chi ha orecchie per comprendere, dice che il Messia,
qui < Signore > di Davide e destinato a sedere alla destra di Jhwh, è quel “figlio del Dio vivente” che ri-scoprono in
sé stessi tutti coloro che “si portano”, come Davide, nella condizione di “servi dell'Assoluto”.
Messia è quell'universale “Signore-Figlio di Dio-Logos-Sapienza-Principio” che tutti i figli dell'Adam trovano in sé
quando, convertiti-cambiati di mentalità, “senza alcun -proprio- io”, servi del Dio, sono “resuscitati” :
<..chi trova me trova la Vita.. dall'eternità sono stata costituita, dal principio..>(Prv 8.35,23)
È questo “Signore-Messia-Figlio del Dio Vivente” che si pone alla destra dell'Assoluto: “Sapienza” suo braccio
destro e forza dicono le Scritture Giudaiche e Gesù; Sapienza destra e forza “creatrice”:
< io (Sapienza) sono intelligenza, a me appartiene la Potenza..>(Prv 8.14)
E' da notare poi che le sopracitate parole di Gesù sono da Lui pronunciate subito dopo avere parlato, rispondendo ai
Sadducei, della “resurrezione in corso di vita-ritorno-rinascita”, biblica, da Lui vista ed insegnata.
Egli pertanto pone quella domanda ai Farisei, presenti e destinatari anch'essi del chiarimento da Lui fatto,
“rimanendo nel solco dello stesso argomento e spiegazione” appena toccato: Egli non cambia argomento, continua
ed approfondisce la “resurrezione-ritorno” appena spiegata, “resurrezione-ritorno” che che vede l'uomo FiglioUnto-Messia ecc., e questo conferma la lettura appena fatta delle Sue parole.
Gesù, che conosce bene le Scritture e le righe che in esse parlano del Messia e che ne ha compreso, secondo la
lettura Enochica, il suo “universale ed archetipale” significato, vede anche che la sua vita terrena rientra fortemente
in ciò che quei passi descrivono : in questo senso e con questa consapevolezza della universalità ed in-individualità
di tali cammini Egli farà riferimento a quelle profezie nel parlare di sé e di ciò che lo attende.
Egli non vede “unicità”, sa bene che molte altre vite, passate e future, sono descritte in quelle righe.
Di questa messianicità in-esclusiva ed in-individuale che vede il ritorno all'Assoluto di un uomo “inesistente in sé”,
ovvero di quella “perdita in Esso, suo braccio destro” vista come affiancamento all'Assoluto in quella “lotta”
all'“errore” che unicamente è la sua correzione, di questo processo, ritorno, avvento, concordemente ci dicono gli
scritti religiosi di tutta l'antichità e in particolare quella universale letteratura cosiddetta “apocalittica”, “rivelatoria”.
Restando alla Messianicità, al Messia, due sono le figure che sono vicine e collaborano con quella forza-condizione:
Elia e Melchisedek.
< Melchisedek >, il <..Re di Giustizia e di Pace..>, “Re Vero” e <..sacerdote per sempre dell'Altissimo..>(Gn 14.18
; Sal 109.4 ; Eb 7) e quindi archetipo del vero sacerdozio è figura raramente citata, la troviamo nei testi sacri e poi in
Paolo che la piegherà però alla sua “farisaico-separatrice” visione “Cristologica”.
Molto più importante e citata è la figura di Elia.
ELIA
Elia, l' “Elia che ritorna” di Malachia 3.23 che anche Gesù cita, è figura di una condizione più specificamente di
“messaggero-profeta”, anche questa non esclusiva e che sempre si vede tra gli uomini :
< Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile di Jhwh,
perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri..>
Dicono con chiarezza della forte vicinanza tra “messianicità” e “profezia”, tra queste condizioni di grandi iniziati e
profeti di tutti i tempi che al contempo sono archetipali forze, le parole che Gesù pronuncerà in risposta alla
domanda dei discepoli che gli chiedono perché gli < scribi dicono che prima deve venire Elia > : Egli così risponde:
< Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico:
Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi lo hanno trattato come hanno voluto.
Così anche il figlio dell'adam dovrà soffrire per opera loro >(Mt 17.11,12)
Elia, dice infatti Gesù, “ristabilisce ogni cosa” e quindi contribuisce a quell'opera, il riportare al Vero-correggere
l'errore, più specificamente riservata al Messia ma opera alla quale gli Elia-Profeti contribuiscono e questo in “tutti i
tempi” : essi saranno ancora, < verrà Elia >, ma sono anche già stati, < Elia è già venuto >, dice Gesù.
La condizione di Elia è “non esclusiva” come già era per quella di Davide che è vista da tutta la “sua, serva,
discendenza”. È condizione di tutti i profeti che Isra-El ha < trattato come ha voluto >, di tutti i Profeti “uccisi nei
loro insegnamenti” ed inascoltati.
Tutto per un Accadere che porterà lo stesso Gesù “figlio dell'adam”, ma anche la intera -caduta umanità- “figlia
dell'adam”, a < dovere soffrire per opera loro >.
Gesù nel citato passo di Matteo ci dice con evidenza che Egli si vede in una condizione di Messianicità-Unzione che
è -vicina- a quella di altri Profeti come Giovanni Battista, che Egli dichiara Elia, “figura generica” di un
Messaggero a cui segue, legato ad esso, il Signore-Messia:
< ( Jhwh :) Ecco io manderò un messaggero a preparare la via davanti a me
e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate, l'angelo dell'alleanza...>(Ml 3.1)
< Ecco, io invierò il profeta Elia prima che venga il giorno grande e terribile di Jhwh >(Ml 3.23)
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< Sì, verrà Elia.. Ma io vi dico: “Elia è già venuto.. Allora i discepoli compresero che egli parlava di G.Battista >
(Mt 17.11-13).
<..egli (G.Battista) è quell'Elia che deve venire...chi ha orecchi intenda >(Mt 11.14)
e, di Giovanni Battista-Elia Gesù dirà anche :
< In Verità vi dico, tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista;
tuttavia il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui >(Mt 11.11)
Con questi ultimi passi Gesù ci mostra la differenza, tutta come sempre scritturale, tra le pur molto vicine figure di
Figlio-Messia-Unto-Signore ed Elia-Profeta nella quale egli vede Giovanni Battista : la condizione di Elia è quella,
alta, giusta e profetica cui si portano coloro che comunque restano “nati di donna” ovvero coloro che ancora non si
sono portati al Regno, che ancora non sono Figli: coloro che non sono ancora “nati dalla vergine”.
Per portarsi al Regno, per essere Figli-Unti-Signore infatti, vedremo, alla allegorica “donna” alla madre-mentalità
legata alla “natura-materia”, si deve sostituire la Madre-Ruah Santa, la Sposa-Vergine non prostituita.
Ma le “orecchie” che Gesù in Mt 11.14 chiedeva mancheranno e molto a lungo, la incomprensione sarà totale e
quella visione “farisaica” di Gesù quale Unico Messia atteso dai Giudei dei suoi tempi farà stravolgere e modificarefalsificare, da parte dei tre sinottici, la frase di Malachia: essi riportano infatti:
( Gesù dice :) <.. Egli (Giovanni Battista) è colui del quale sta scritto :
- Ecco io mando davanti a “te” (“me” in Malachia ndr)
il mio messaggero che preparerà la via davanti a “te” (“me” in Malachia ndr) -.. >(Mt 11.10).
Erroneamente e spero inconsapevolmente i “me” del testo di Malachia sono sostituiti con dei “te” fuorvianti che
solo servono a sostenere la “farisaico-separatrice” visione paolina di un Gesù -unico- Messia.
Stranamente questo “errore” è riportato in tutti e tre i sinottici, Matteo, Marco e Luca, che lo attribuiscono a Gesù
ma non è possibile pensare che tale errore sia stato fatto da Gesù che certamente ben conosceva la Scrittura.
Se per Matteo e Luca sicuramente vicini a Paolo si può capire quella falsificazione, si modifica la frase per portarla
alla “propria” comprensione di Gesù, strano tutto ciò è per Matteo. Matteo è, in una versione persa che presentava
qualche differenza rispetto a quello attualmente conosciuto, il vangelo che usano quei primi cristiani, gli ebioniti,
che accusano Paolo di eresia, cristiani che vedono un Gesù “diverso” dal suo e per quel testo quindi, per Matteo, non
è difficile pensare ad una sua paolina correzione-modifica.
Certamente, comunque sia, questo “errore” come altri simili aiuterà a nascondere la vera figura di Gesù a coloro che,
anche oggi, leggeranno quelle righe, errore forse inconsapevole ma continuare oggi in tutto questo è poco
“scusabile” e forse grandemente “colpevole”.
Se poi anziché evidenziare queste inesattezze e correggere le imprecise traduzioni si propongono, come ha fatto Cei
e come visto, nuove imprecise ed inesatte traduzioni sarà ancor peggio.
ZACCARIA
Un altro passo piegato ad una “cristologia" "messianico-farisaica”, “unica e separatrice” che cambia e falsa il senso
evidente e spesso chiaro delle frasi originali della Scrittura richiamate, è quello seguente:
< Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti:
“Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge” >(Mt 26.31)
La Cristologia paolina, la odierna Cristiana difesa del Gesù visto dal fariseo Paolo, vorrà qui vedere nelle parole che
Gesù riferisce di Zaccaria, la “premonizione” di ciò che “unicamente a Gesù” dovrà avvenire.
Ma di quella “unicità” di futuro accadere che dalle frasi di Matteo e di Marco può anche trasparire, non vi è
assolutamente traccia nelle parole di Zaccaria e nemmeno nelle intenzioni di Gesù che certamente quelle parole
richiama solo per dire “ciò che il Profeta con esse dice”: i passi di Zaccaria parlano di una Verità molto complessa
e profonda che non vede alcuna singolarità e parlano della “inevitabilità” di un “universale cammino” che è
assolutamente non esclusivo. Una Verità cui qui solo accenniamo ma che ritornerà spesso in questi scritti e che, per
le parole di Zaccaria, approfondiremo nella Decima Parte al capitolo "Jhwh, i mali ed il male".
Parlano quei passi, centrali e fondanti per la comprensione di Gesù assieme a Daniele come altri Profeti e poi
Giovanni ma non solo, di ciò che rivela una "apocalittica" della quale tutto il mondo antico ha detto. Parla di un
tema che approfondiremo anche nella Undicesima Parte al capitolo "La ascensione di Isaia" in particolare.
Una "apocalittica-rivelazione" che parte dalla constatazione, vista anche in Grecia nel Mito della Caverna di Platone,
della “difficoltà-impossibilità di dire e parlare” della Verità. Zaccaria così inizia il suo racconto e visione:
< Io (Zaccaria)...mi misi a pascolare.. ma esse (le pecore) erano tediate di me.
Perciò...dissi “Non sarò più il vostro pastore”..>(Zc 11.7-9)
Zaccaria poi rivela-dice che a questo conseguirà : dice di tempi futuri nei quali a quel “difficile ed inutile e superfluo
dire e parlare del Vero" seguirà un “divino volere”, che è “divino Necessario accadere", che vedrà immani guerre e
disastri, come dirà anche Gesù. Per la stessa filosofica Necessità-Fato di cui dicono Eraclito e gli Stoici,
divinamente, dice Zaccaria, sorgerà <..un pastore insensato.. che abbandona il gregge..> con la conseguenza ed al
201
sesta parte
fine che la umanità per <..due terzi saranno sterminati e periranno..> e così possa avvenire che Jhwh <..passerà
per il fuoco per purificarlo (l'altro) terzo..>(Zc 13 8-9).
Dovranno tacere i giusti profeti, che l'uomo non sa ascoltare-capire dice Zaccaria, affinché l'umanità possa ascoltare
solo lo "stolto insensato" pastore e giungere a quella correzione, affinché per un divino volere che è necessità-fato, si
giunga al Vero, si sveli e si sani l'Errore : <..i nomi degli idoli non saranno più ricordati..>, solo il Vero a quel punto
si vedrà.
<(DiceJhwh) ... insorgi, spada, contro il mio pastore !...Percuoti il pastore e sia disperso il gregge >(Zc 13.7)
Gesù quindi, che quelle parole ha compreso nella loro essenza e verità, vede e dice che anche la sua morte è parte di
quel destino che vedrà il gregge disperso, senza meta e frastornato in mano a stolti pastori . Questo dicono quelle sue
parole.
ARMONIA - CASO - FATO - NECESSITA'
La “resurrezione-cambiamento di mentalità” porta l'uomo alla accettazione del “corso-svolgersi della vita” quale
azione Armonica di un Assoluto che noi unicamente possiamo vedere e percepire quale Armonia operante.
Una Armonia che è “necessità fatale” e tale era chiamata e dichiarata da Eraclito e Parmenide nel V sec. aC ma
anche da Gesù che di questa stessa “necessità-armonico-fatale” parlerà quando con riferimento alle visioni di
Daniele dirà :
< .. è necessario che tutto ciò avvenga... si solleverà popolo contro popolo, vi saranno carestie e terremoti..
ma tutto questo è solo l'inizio dei dolori...> (Mt 24.6-15)
Una Armonia che, nostra stessa azione operante, sempre e solo ci invita e porta a comprendere e capire grazie ad un
accadere “casuale” o “fatale” che, chiusi nell' “io”, non sappiamo vedere.
Una Armonia che, “senza volontà” e per sua “intrinseca natura” con ogni fatto, ogni opera ed accadimento, ogni
“caso” o “fatalità” di quella vita fisica che la greche Parche filano indicherà, a chi vorrà “vedere”, la strada per
capire, comprendere e correggersi.
E ognuno degli interessati allo stesso fatto o accadimento ne potrà e dovrà ricavare e trovare la “propria” indicazione
o insegnamento, qualcosa per ognuno diverso e “suo” come ci mostra questo passo di 2Maccabei dove i sette
fratelli, che saranno uccisi dal Re, con questo spirito e saggezza diranno allo stesso :
< Non illuderti stoltamente; noi soffriamo queste cose per causa nostra,
perché abbiamo peccato..perciò ci succedono cose che muovono a meraviglia.
Ma tu non credere di andare impunito..>(2Mac 18,19)
Alle indicazioni, poi, non accettate o non capite e che quindi vedono continuare azioni, indirizzi, pensieri ed
atteggiamenti sempre più sbagliati, potranno seguire accadimenti, singoli o collettivi, più forti e traumatici ma
sempre e comunque, viste nel Tutto e fuori del tempo, Armonia o Necessità o Karma.
È una Armonia, quindi, che vede anche traumi o catastrofi, personali o collettivi, che solo e sempre sono il frutto del
non ascolto, il frutto della cecità di un uomo chiuso nel proprio “io” e così incapace di vedere l’Assoluto, l’Armonia,
la Verità.
Traumi e catastrofi personali e collettivi che sempre operano per riportare e ricreare Armonia ad un uomo che è
infine stessa forza di quella Armonia: per questo tali pur duri traumi e catastrofi vogliono “capiti”: solo “capiti” essi
possono “non turbarci” come invita a fare sempre 2 Maccabei: < Io prego coloro che avranno in mano questo libro
di non turbarsi per le disgrazie..>(2Mac 6.12)
Si vedrà e si avrà consapevolezza di una Armonia-Fato-Necessità già vista da tutte le antiche culture e di cui ci
hanno parlato in particolare i Greci e, prima ancora, gli Indo-Ari con quel “Karma” per il quale ogni azione ha una
causa e ad ogni azione corrispondono conseguenti eventi, per un Tutto unico anelito.
È di questo che parlano anche le Scritture Giudaiche in molte loro parti tra cui questa di Ezechiele 16.43:
<.. farò ricadere sul tuo capo le tue azioni, parola di Jhwh ..>
È una Armonia che è anche questo “ricadere sul nostro capo delle nostre azioni” ovvero, se vogliamo, Karma
purché nulla sia visto in forma strettamente individuale o particolaristica ma tutto sia visto solo in una universalità
che comprende l'individuale: Armonia Universale, cosmica, Assoluto.
È una Legge Armonica, Caso o Fato, che opera e si manifesta in quel “ciò che accade” che, quale azione
conseguente al nostro muovere, è anche “nostra” stessa forza a quella Legge portata.
È una Armonia, percepibile nel Caso o Fato, che riporta all'Uno ogni “separazione-divisione”, ogni “io-separato”, e
che dissolve nella -complementarietà- ogni “opposizione”: riporta ad un Assoluto-Uno-Legge inseparato, “maschiofemmina” o “yang-yin” :
<..vi farò passare sotto il mio bastone e vi condurrò sotto il giogo dell'alleanza (unione ndr).
202
sesta parte
Separerò da voi i ribelli e quelli che si sono staccati da me...Allora saprete che io sono Jhwh..>(Ez 20.37-44)
<..l'Uno si divide in due aspetti opposti (il Due), il Due dà vita a un altro (il Tre),
l'appena nato Terzo produce una miriade di cose. La miriade di cose contiene lo yin e lo yang dentro di sé come
forze opposte. Entrambe sono unificate con l'Armonia nell'invisibile respiro.. >(TaoTheKing 42 )
<...tutto accade seguendo la legge della Contesa (tensione fra opposti-complementari ndr)
e della Necessità ( fato-forza armonica ndr) >(Eraclito fr. 15)
“Caso” è, anche etimologicamente, “accadere”: ciò che la Vita, per un assieme indistinto di spirito e materia, ci
presenta e ci fa incontrare. Non già “caso” come “causa irrazionale degli accadimenti” secondo ciò che la chiusura
all’Assoluto dovuta al nostro “io” ci ha portato a vedere e capire, ma Caso-Armonica Forza-Legge che tutto muove
ed ordina per “nostra” stessa azione.
E il “Caso” è spesso Armonia anche quando noi lo neghiamo rivestendolo di presunte “nostre” volontà o decisioni
mentre invece queste nascono e si generano, sottilmente ed inevitabilmente, su altri “casi-armonia”.
E “nostra”, per “essenza”, questa forza Armonica è ; “nostra” e “non propria”, “universale” ovvero operante ed
attiva solamente nel “cosmico”: forza che solo “in e con” il Tutto opera, in quella “Unità-Legge” articolata e
reticolata che non vede alcuna singolarità, alcun “io”.
E questo Armonia-Caso-Necessità con forza riporta tutto, come il mare anche attraverso le tempeste più burrascose,
i mali, personali o collettivi, alla più dolce delle quieti. Armonia-Caso che, con questa ultima immagine del mare,
ricorda gli abbagliati sguardi e riflessioni che Plotino, alla fine della sua vita terrena, rivolgeva meravigliato e stupito
appunto al mare.
IL GESÙ DIVERSO
Dopo questi approfondimenti si mette in evidenza un Gesù però lontanissimo dalla Cristianità, un Gesù “diverso”:
un uomo come tutti che è “resuscitato nello spirito” ben prima della sua morte fisica e così, in vita, si è portato alla
Vita, all’Assoluto, all'Eternità. Per questo Egli, all’approssimarsi della crocifissione, dirà:
< ..lo spirito è pronto...> (Mc 14.38)
Ho già detto che queste Verità erano posizioni e convincimenti sostenuti da alcuni gruppi di “primi cristiani”, ma
anche molti odierni “addetti ai lavori” sono su questa linea secondo quanto dice l'ex sacerdote cattolico Eugen
Drewermann. Riporto alcune delle sue affermazioni, parole che gli hanno procurato una scomunica da lui vissuta
come <..liberazione..> :
< E' la Sua persona che è resuscitata, non il corpo..> <..la sua resurrezione ha avuto corso nel corso della sua
vita.. > < Egli si è liberato da un “io” che trae i suoi strumenti dal dominio, dal potere,
dal denaro, dalla pretesa di possedere la verità..> < Quello che dico, lo dice la maggior parte dei teologi che
trattano la medesima questione. Solo che non lo fanno se non servendosi di proposizioni subordinate limitative che
dovrebbero garantire da una eventuale persecuzione dall'alto >
Ma questo Gesù “diverso” che sin qui si è presentato non avrà solo questo primo e quasi evidente “diverso” aspetto:
è un Gesù che, vedremo, al fondo si rivelerà “opposto” al Gesù che prospetta ed insegna la Cristianità.
E' un Gesù < diverso >, ci informa lo stesso Paolo, di cui parlavano alcuni <..Superpostoli..>, verosimilmente alcuni
dei “veri apostoli” ovvero alcuni di coloro che hanno “vissuto” con Gesù o al più loro strettissimi compagni. Alcuni
di coloro che erano quindi primi e diretti testimoni di Gesù per avere udito e “sentito” le Sue parole, mentre Paolo, al
contrario, non ha mai “vissuto” Gesù e non ha mai “sentito” le Sue parole.
Un Gesù "diverso" che, come vedremo in seguito e come ancora ci informa Paolo, era "filosofo", nel senso socratico
della parola, ed insegnava Verità che il mondo filosofico aveva sempre visto e che Egli ha cercato di mostrare anche
nelle Scritture giudaiche. Scritture e Profeti che il Farisei e Sadducei, gli Scribi-insegnanti del periodo storico del
2°Tempio -e non gli Esseni che Egli infatti non ha mai criticato-, non avevano capito.
Queste, nel merito, sono le parole di Paolo:
< .. io provo per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo..
temo però... che i vostri pensieri (siano).. traviati .. è un Gesù diverso da quello che vi ho predicato io...
uno spirito diverso.. un vangelo che non avete ancora sentito..
(quello insegnatovi da) questi “Superapostoli”.. > (2Cor 11.2-5)
<..badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con i vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana.>
(Col 2.8)
Paolo “combatterà” aspramente e con veemenza l'insegnamento di quel “Gesù diverso e filosofo” che egli non
capisce, quello che sicuramente almeno qualcuno dei dodici discepoli, insegnava. Pietro però, sul Gesù
<..predicato..> da Paolo e sul <..suo..> di Paolo < vangelo > arriverà a dire:
203
sesta parte
< Paolo.. nelle sue lettere.. tratta.. alcune cose difficili da comprendere
e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per la loro propria rovina > (2Pt 3.16)
Cosa sia degli insegnamenti di Paolo che può portare alla “rovina”, alla “morte spirituale”, non credo sia mai stato
approfondito né spiegato, e quindi mai capito, dalla Cristianità!
Una Cristianità che, al contrario, senza occuparsi minimamente di questa gravissima allerta di Pietro, assumerà in
pieno tutti gli scritti e le conclusioni-interpretazioni teologiche di Paolo: la sua esegesi ed i suoi insegnamenti
saranno la base per delineare la figura di Gesù e diverranno preminenti perfino rispetto alle stesse parole di Gesù.
Quel Gesù “diverso” che in parte è emerso ma che più a fondo in queste riflessioni e pagine vedremo, è un Gesù
profondo e vivificante che, per quanto visto fin qui e per quanto ancora vedremo, la Cristianità così ha
inconsapevolmente allontanato e tra-dito, secondo il senso etimologico di “consegnato ad altro” di quel termine:
essa ha largamente incompreso i Suoi più fondanti insegnamenti, insegnamenti che non sono solo “Suoi”, sono in
larga parte universali e già visti e suggeriti in tutto il mondo prima di Lui.
Sono insegnamenti, per restare al Giudaismo, che sono gli stessi che oggi sappiamo erano espressi dalla tradizione
enochica che gli Esseni seguivano ma sono anche quelli, uguali, della Torah correttamente letta, dei Profeti in
particolare apocalittici come Daniele, Zaccaria ed Isaia cui Gesù fa riferimento e sono quelli visti ed insegnati nello
“Zohar”, il testo accreditato al II-III secolo che sarà la base della futura Qabbalah ebraica.
Gesù peraltro è nato, vissuto e morto da ebreo: Egli, fedele alla Torah prega in sinagoga, frequenta il Tempio, si reca
a Gerusalemme a celebrare le feste ebraiche; in nulla è “cristiana” la sua vita religiosa.
È un Gesù “diverso” che profeticamente andrà molto oltre la contingenza o il momento quando, rivolto ai discepoli,
diceva sconsolatamente:
<.. perché non “capite” le mie parole..? >(Gv 8.43)
La “chiusura” ad una analisi delle parole di Gesù profondamente “libera” dagli insegnamenti di Paolo porterà a non
fare “leggere dentro” a quelle Sue parole e non permetterà nemmeno di vedere le parole in cui Gesù,
“nascostamente” ma pur con chiarezza,
- ammette ed accetta la reincarnazione Anche a me è stato difficile trovare queste righe che pure ho molto e primariamente cercato.
Quella domanda che mi ha mosso a questo non facile lavoro, la domanda che all'inizio del mio “cercare” senza
risposte mi ponevo chiedendomi perché Gesù vivendo in un mondo che largamente accettava e credeva nella
reincarnazione non aveva mai parlato di quell'evento, è una domanda che non mi ha mai lasciato e che non dovrebbe
lasciare nessuno !.
È infatti razionalmente, logicamente e praticamente impossibile, ancor più che inverosimile, che così potesse essere,
impossibile che nulla, in positivo o in negativo, Egli abbia detto in merito a questo argomento così vivo e presente in
tutto il mondo ai suoi tempi ed anche nella società Giudaica in cui Egli ha vissuto.
La reincarnazione infatti era evento a cui, come è testimoniato nei Vangeli, prestavano credito anche gli Apostoli ed i
dottori del Tempio:
< .. dicono che tu sei uno degli antichi profeti tornato in vita > (Lc 9.19)
< Maestro, chi ha peccato, quest'uomo o i suoi genitori? >(Gv 9.2)
< Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi? >(Gv 9.34)
E' impossibile ed assurdo che un argomento di tale importanza ed in merito al quale Egli era stato con chiarezza
sollecitato dagli Apostoli non fosse “mai” stato toccato dalle sue parole.
Impossibile, e infatti quelle parole Egli le ha pronunciate:
Tutto è scritto in quei passaggi dei vangeli di Matteo, Marco e Luca che sono riportati con il titolo improprio di
< I Sadducei e la resurrezione > ed il cui titolo più correttamente dovrebbe essere :
< Sulla resurrezione e sulla reincarnazione >.
In quella risposta alla domanda dei Sadducei Gesù, dopo avere detto come nascono i loro errori ed
incomprensioni, spiegherà ai Sadducei ed ai Farisei, presenti anch'essi, la “resurrezione-conversione” spirituale e
mentale e dirà poi ciò che Lui vede e pensa della “reincarnazione”.
Affronterò questo grandissimo e fondante argomento nella prossima parte di questi scritti, per continuare poi
ulteriori approfondimenti su questo “incompreso”, “diverso” e filosofico Gesù.
204
sesta parte
Le Parche
205
206
settima parte
SETTIMA PARTE
LA REINCARNAZIONE NELLE PAROLE DI GESÙ
Quale premessa a ciò che andrò ad esporre sul tema “reincarnazione” vorrei fermarmi su un aspetto poco noto, poco
evidenziato ma storicamente importante, della società Giudaica dei tempi di Gesù: le varie correnti o fazioni
religiose.
I Vangeli ci parlano esclusivamente di due gruppi o fazioni religiose presenti sul territorio Giudaico: e cioè i Farisei
ed i Sadducei ma un altro gruppo o movimento importante si affiancava a questi seppure con un carattere più
filosofico, gli Esseni, e poi ancora, sebbene più marginali, su posizioni religiose diverse vi erano i Samaritani e,
gruppo questo molto residuale e di natura violenta, gli Zeloti.
Sugli Esseni, gruppo molto importante e numeroso, è necessario sottolineare che Gesù non li cita mai, ma
soprattutto non li cita quando mette in guardia dai falsi insegnamenti :
<...guardatevi dal lievito dei Farisei e dei Sadducei...>(Mt 16.11)
Questa mancata citazione fa presupporre, come sostengono molti esperti, una certa vicinanza, se non concordanza,
tra gli insegnamenti di Gesù e quelli degli Esseni. Questa importante considerazione ed aspetto si rafforza
naturalmente con la lettura del Gesù “diverso” sin qui vista e proposta ed è pertanto necessaria anche la conoscenza,
per quanto possibile, delle credenze di questa fazione Giudaica.
Vediamo quindi cosa si può dire sulle credenze di queste principali fazioni religiose: i Farisei, i Sadducei e gli
Esseni
LE CREDENZE DEI GIUDEI
< Dai tempi più remoti i Giudei hanno tre filosofie che fanno parte delle loro tradizioni;
quella degli Esseni, quella dei Sadducei e in terzo luogo quella detta dei Farisei > (Antichità G. libro XVIII:11-2)
Una nota su questa frase: poiché certamente la fazione dei Farisei nasce dopo quella dei Sadducei, l'ordine di
citazione fa pensare che Giuseppe Flavio metta gli Esseni temporalmente prima di tutti, in quei “tempi remoti”.
Prima di iniziare l'impegnativo studio delle parole di Gesù sul tema della “reincarnazione” vale la pena conoscere il
quadro delle credenze delle “tre filosofie e o tradizioni religiose” giudaiche dei Suoi tempi, ma anche vale la pena di
analizzare ciò che ha portato la Cristianità a non capire le parole di Gesù su quel tema.
Alla base della errata lettura Cristiana vi è anzitutto la assunzione a Verità della paolina “resurrezione corporale
della fine del mondo”: errore di cui, come Gesù aveva predetto, sarà “vestito” anche Pietro.
La “reincarnazione”, che vedremo era comunque vista nella prima Cristianità, era concetto difficile da elaborare,
rientrava e rientra in una difficile e soprattutto dura da accettare lettura filosofica dell'uomo, della sua esistenza: ben
più facili ed appaganti erano e sono le comprensioni e gli insegnamenti paolini.
A questa “assunzione” a Verità si è poi aggiunto l'errore, sulla base del passo di Atti che qui riporto, di dare per certo
che i Farisei credessero nella “paolina resurrezione”:
< I Sadducei infatti affermano che non c'è
risurrezione (rinascita), né angeli, né spiriti; i Farisei invece professano tutte queste cose.. > (At 23.8)
Queste parole, vuole ricordato, sono pronunciate da Luca discepolo di Paolo e non possono darci la storica certezza,
che vuole vedervi la Cristianità, della credenza, esclusiva, da parte dei farisei nella “resurrezione fisico-corporale
della fine del mondo-tempi” che insegnerà Paolo.
Il termine oggi tradotto con “resurrezione” è infatti, vedremo meglio oltre, più correttamente traducibile in
“rinascimento” e, generico e slegato da quanto oggi noi leggiamo in quella espressione, a seconda del contesto in
cui era usato indicava sia la “resurrezione-rinascita in vita” qui vista che la “rinascita-reincarnazione” che, come
visto nella Prima Parte di questi scritti al capitolo “I Ritorni-Reincarnazioni”, è attestata quale credenza anche dagli
apostoli nei vangeli ed era quindi possibilità che, anche se non sempre certa credenza, il giudaismo vedeva e sulla
quale si interrogava. Si legge infatti :
< .. dicono che tu sei uno degli antichi profeti tornato in vita > (Lc 9.19) < dicono che sei Giovanni B., altri
Geremia o uno dei Profeti..>(Mt 16.14) < Maestro, chi ha peccato, quest'uomo o i suoi genitori ? >(Gv 9.2)
< ..Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi ?..>(Gv 9.34).
207
settima parte
Torah e Profeti in pochi passi sembra possano accennare alla “reincarnazione” mentre ciò che più chiaramente ci
viene in essi testimoniato è che gli ebrei credettero sempre, come tutti i popoli e come sempre con anche delle
eccezioni, nella sopravvivenza di qualcosa dell'uomo: questo, detto “ov” e tradotto con “ombra-larva” e simili, era
ciò che alla morte fisica era visto scendere nello “sheol”, nel mondo sotterraneo: non vi sono qui tracce dei cristiani
-inferno e paradiso-.
A questa credenza si affiancava certamente quella della futura “pace-felicità-vita” per i -giusti- o del “doloresofferenza-morte” per gli -empi-: letto poi tutto ciò quale “premio-punizione”, confusamente questi si vedranno dati
sia esclusivamente in vita che anche dopo la morte.
Vediamo più dettagliatamente, con alcune testimonianze, ciò che si può dire e vedere in merito.
I FARISEI
Ci dice, in merito ai Farisei, Giuseppe Flavio :
< Per essi (i Farisei) ogni anima è imperitura, ma soltanto quella dei buoni passa in un altro corpo,
mentre quella dei malvagi è punita con un castigo eterno.>(Guerre G. II,163).
Questo “passaggio in un -altro- corpo” in cui credevano i Farisei non dice con sicurezza di alcuna paolina
“resurrezione dei morti alla fine dei tempi” ; si può invece con maggiore certezza pensare :
a) ad una possibile loro credenza in un immediato (“passa” dice Flavio e non “passerà”) passaggio al momento
della morte fisica e per i <..buoni..> che così sarebbero premiati, ad un “corpo” presumibilmente “spirituale”:
passaggio-prosecuzione variamente e largamente testimoniata nelle Scritture come ad esempio nel passo di
Maccabei (II sec. aC.) qui riportato: <.. La madre..diceva loro: “Non so come siete apparsi al mio seno; non io vi
ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il creatore.. di
tutti, ...vi restituirà lo spirito e la vita..> (2Mac 7.20-23),
qui la “forma e le membra” sembrano escluse da quella -restituzione- di spirito e vita che è preannunciata ai “giusti”
al momento della loro morte.
b) ad una possibile “reincarnazione” che escluda i -malvagi-. Questa lettura sembra supportata da un altro
passaggio di G.Flavio nel quale egli ricorda, ai giudei suoi interlocutori, quelle che con evidenza per lui sono le
riconosciute e primarie credenze di quel mondo:
<..non sapete che quanti lasciano la vita secondo la legge naturale...le loro anime restano pure e benefiche...
in cielo.., donde nel volgersi degli evi tornano ad essere ospitate in corpi puri.. ? >(Guerre G. III, 374)
Ma il quadro è complesso e deve vedere anche una possibile credenza dei farisei, testimoniata nei Vangeli, in una
“nascita o reincarnazione karmico-espiativa” di peccati commessi :
< ..Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi ?..>(Gv 9.34)
replicano seccamente i farisei della Sinagoga al “nato cieco” che Gesù aveva guarito e che mentre lo interrogavano
tentava di difendere Gesù. Qui infatti, è possibile vedere sia una “nascita” legata a quegli “errori-peccati dei
genitori” che per la Torah ricadono sui figli, anche se in tal caso sarebbe stato più corretto un “dai peccati” piuttosto
che il “nei peccati” che invece è usato, e sia una “reincarnazione” espiativa. Evento, la reincarnazione, che come
visto sono gli apostoli stessi a confermare quale credenza viva e presente in quei territori :
< .. dicono che tu sei uno degli antichi profeti tornato in vita > (Lc 9.19) < dicono che sei Giovanni B., altri
Geremia o uno dei Profeti..>(Mt 16.14) < Maestro, chi ha peccato, quest'uomo o i suoi genitori ? >(Gv 9.2)
Ed anche infine si deve vedere che la “espiativo-karmica” -nascita o reincarnazione- che esce chiara dalle parole
dei farisei sopra ricordate, che ci riporta Giovanni, non è conciliabile con la credenza nel “castigo eterno dei
malvagi” che consegue alla Cristiana -resurrezione della fine dei tempi- .
Dare quindi -per certo- che le parole di Atti attestino la credenza dei farisei nella cristiano-paolina “resurrezione
della fine dei tempi” -è un errore-.
I SADDUCEI
Poco conosciamo del gruppo dei Sadducei che sembra vedesse principalmente la adesione della aristocrazia politicosacerdotale; nel merito comunque ci viene detto che essi :
< ..affermavano che non c'è resurrezione, né angeli, né spiriti..>(Mt 23.8)
e questo è ben confermato da G.Flavio:
< I Sadducei credono che le anime periscano come i corpi >(AG libro XVIII:16-4)
Un quadro che lascia intravvedere per questo gruppo una visione esclusivamente materiale della vita umana e
valgono naturalmente, con riferimento alla “resurrezione” citata da Matteo nel passo sopra, tutti i dubbi sin qui
espressi.
GLI ESSENI
Per gli Esseni infine, eredi o legati alla tradizione Enochica, ricordo anzitutto ciò che dice G. Flavio :
< Si tratta di un gruppo che segue un genere di vita che ai Greci fu insegnato da Pitagora >(AG libro XV:371)
208
settima parte
Su questo gruppo, gli Esseni, serve un più approfondito esame.
Negli ultimi 20-30 anni gli studi sui rotoli ritrovati a Nag Hammadi e Qumran hanno riportato luce nuova su questa
comunità religiosa : in essa ormai la maggior parte degli studiosi trova i segni di molti degli insegnamenti di Gesù.
Gruppo non residuale e che vedeva adepti in molte città, tra gli studiosi non vi è pieno accordo riguardo al
significato del suo nome che da alcuni è tradotto in “puri, pii” ; studiosi che non danno certezze nemmeno sulla sua
nascita temporale che viene fatta risalire almeno al II secolo aC ma che più recentemente da importanti studiosi è
data molto antecedente a tale data.
Gli Esseni sono seguaci o forse eredi di quella scuola di pensiero Giudaico che, come hanno recentemente messo in
luce i professori Gabriele Boccaccini e Paolo Sacchi, nasce, si riporta e si lega alla cosiddetta tradizione Enochica,
quella che produrrà infine i cosiddetti testi di Enoch.
Tradizione e scuola -lontana- da quella dei giudaismi Sadocita e Farisaico tanto condannati da Gesù: tradizione
lontana da quella lettura delle Scritture, “farisaica-separatrice”, che ancora oggi è alla base delle interpretazioni e
degli insegnamenti, pur diversi, delle tre le religioni cosiddette monoteiste, Ebraismo, Cristianesimo ed Islam.
Quella Enochica è tradizione che nasce nelle Scritture e non fuori di esse, è una “diversa” lettura rispetto a quella
cosiddetta del Secondo Tempio o Rabbinica, dei Farisei, una “diversa e filosofica” lettura che, si deve infine
ammettere, è la stessa che compie il Gesù “diverso” che qui si è messo in luce: un Gesù quindi così legato alla
tradizione Enochica, misterica e profetica, ancor più che agli Esseni.
Un altro aspetto messo in luce dagli studi di Sacchi e Boccaccini e che ritengo giusto ricordare, è il fatto che essi
ritengono la Comunità di Qumran un gruppo su posizioni più severe e radicali rispetto al più vasto ed esteso
movimento Esseno che si trovava in tutta la Palestina.
Sugli Esseni, nel già citato manoscritto del III sec. dC detto “ Vangelo Esseno della Pace”, per la traduzione ad
opera di E.Bordeaux Szekely, leggiamo:
< Noi invochiamo Enoch il maestro di vita, il fondatore della nostra comunità,
l'uomo della Legge..>(Op.cit.pag.147)
Hartmut Stegemann, nel suo “Gli esseni, Qumran, G.Battista e Gesù” (pp201-203), con autorevolezza ci fa questo
quadro:
< Secondo la descrizione fatta dallo storico ebreo G.Flavio... gli Esseni avevano più di 4000 membri, i Farisei più
di 6000...i Sadducei e gli Zeloti...rispettivamente poche centinaia di membri.>
< il fatto che la popolazione ebraica della Palestina abbia designato questo gruppo come “esseni”, nel senso di
“i veri devoti”, mostra di quale grande stima essi abbiano
allora goduto...anche G.Flavio li ha ripetutamente presentati come i migliori tra gli ebrei >
I non pochi aspetti degli insegnamenti di Gesù che si ritrovano negli scritti degli Esseni, come detto portano molti
studiosi ad ipotizzare una Sua frequentazione, forse anche temporalmente limitata, di questa corrente religiosa.
Certo è che anche queste parole del “Vangelo Esseno della Pace” tradotto da E.Bordeaux Szekely fanno molto
pensare:
< Lo spirito della Santa Legge è su di me... per annunciare la buona notizia all'umile... fasciare il cuore spezzato...
annunciare la libertà agli schiavi... spalancare le prigioni ai reclusi..> (Op.cit.pag.149)
Nessun “fisico” riferimento naturalmente in queste parole come in quelle quasi uguali di Gesù.
Per alcuni studiosi poi rafforzano queste convinzioni di stretto legame tra Gesù ed Esseni il fatto che nei Vangeli
questi non siano citati: si può infatti pensare che ad essi Gesù non ritenesse di dovere insegnare nulla o anche che la
società Giudaica intera li ritenesse spiritualmente elevati ed indiscutibili.
La conoscenza che abbiamo di questa comunità ci viene da poche fonti: ci dicono di essi Filone d'Alessandria e
Plinio il Vecchio ma soprattutto ci parla di Esseni Giuseppe Flavio, giudeo romanizzato nato a Gerusalemme nel 37
dC, storico che, per queste notizie in particolare, è ritenuto molto attendibile.
Con riferimento al tema “reincarnazione” questo ci dice sugli Esseni G. Flavio che a lungo ha vissuto in quegli stessi
territori:
< Considerano l'anima immortale e credono di dovere lottare soprattutto per avvicinarsi alla giustizia >(AG libro
XVIII:18-5) ; < Si tratta di un gruppo che segue un genere di vita che ai Greci fu insegnato da Pitagora >(AG libro
XV:371)
Ricordo che Pitagora è stato in Grecia forse tra i primi, seguendo le precedenti dottrine Orfiche ed Egizie, a credere
e dichiarare la Verità della “reincarnazione” e, poiché soprattutto -per questo- filosoficamente conosciuto e
ricordato, è certamente a questo aspetto che Flavio si riferisce con quelle sue parole.
Altro, nel merito, lo troviamo nei testi di Enoch, i testi nei quali si vede la tradizione di lettura e comprensione delle
Scritture in cui gli Esseni si riconoscono ed a cui essi si rifanno : <.. fondatore della nostra comunità..> Enoch è
dagli Esseni dichiarato. Dicono quei testi :
<..Enoch scrisse, .. per coloro che verranno dopo di lui e osserveranno la Legge..:
“Voi aspettate gli ultimi giorni ...aspettate finché il peccato sarà scomparso..>(Enoch Et. CVIII.1)
209
settima parte
Sono parole queste che possono unicamente dire di una credenza nella “reincarnazione”, nel ritorno alla vita terrena,
al luogo in cui si dovranno vedere indicibili disastri fino a che, ed affinché, non vi sarà più il male-peccato. É per
evitare quelle sofferenze che Enoch consiglia ai giusti di non reincarnarsi che -dopo- la eliminazione di quell'Errore.
Del tutto similmente dice, per le Scritture canoniche, Daniele che per Gesù è tra i Profeti più da capire e seguire :
<..Tu (Daniele), va pure alla tua fine : ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni..>(Dn 12.13)
Ancora, approfondendo meglio le credenze di questo gruppo, vediamo che di esso G.Flavio ci dice :
<..presso di loro (Esseni) è salda la credenza che...i corpi sono corruttibili, e che non durano gli elementi di cui
sono composti, invece le anime sono immortali e, venendo già dall'etere ..restano impigliate nei corpi come dentro
carceri quasi attratte da una sorta di incantesimo naturale >(GG libro II:154-8,11)
< Mandano offerte al Tempio, ma compiono i loro sacrifici seguendo un rituale di purificazione diverso. Per questo
motivo sono allontanati dai recinti del Tempio frequentato da tutto il popolo e compiono i loro sacrifici da soli. Per
il resto sono uomini eccellenti che si dedicano unicamente all'agricoltura. Sono ammirati da tutti per la loro
giustizia..mantengono i loro averi in comune sia chi è ricco..sia colui che non possiede nulla..> (AG libro
XVIII:19,20)
< Essi respingono i piaceri come male, mentre considerano virtù la temperanza e il non cedere alle passioni.
Presso di loro il matrimonio è spregiato, e perciò adottano i figli degli altri... non è che condannino il matrimonio e
l'avere figli, ma si difendono dalla lascività delle donne perché ritengono che nessuna rimanga fedele..>(GG libro
II:120.121)
< Vi è un altro gruppo di Esseni, simile..nella vita, negli usi, nelle leggi, ma diverso per la concezione del
matrimonio. Ritengono infatti che chi non si sposa è come se amputasse la parte principale della vita...>
(GG libro II:160-8,13)
<.. presso di loro è salda la credenza che mentre i corpi sono corruttibili, e che non durano gli elementi di cui sono
composti, invece le anime vivono in eterno e vengono già dall'etere più leggero... essi ritengono che alle anime
buone è riservato di vivere..in un luogo..ricreato da un soave zefiro che spira sempre.. invece alle anime cattive
attribuiscono un antro buio e tempestoso, pieno di supplizi senza fine > (GG libro II:154-155)
< Sono...custodi di lealtà, promotori di pace. Tutto ciò che essi dicono vale più di un giuramento, ma si astengono
dal giurare considerandola cosa peggiore dello spergiurare..> (GG libro II:135)
< Erode teneva in onore gli Esseni e aveva di loro una considerazione più alta della (semplice) natura mortale >
(AG libro XV: 372)
Certamente, da quanto è sopra riportato, si comprende che la interpretazione e lettura, da parte degli Esseni, di
Legge e Profeti, interpretazione e lettura non coincidente con quelle dei Farisei e dei Sadducei, ha fortissime
analogie con il Gesù “diverso” sin qui visto.
Sono interpretazioni e letture che, come già sottolineato, i più recenti studi hanno messo in diretto collegamento con
la tradizione Enochica : tradizione, ripeto, non in contrasto ma anzi identica a quella Mosaica di una Torah e di
Profeti correttamente interpretati.
La grande vicinanza tra Gesù e gli Esseni ed il fatto che G.Flavio ci dica che questi ultimi avevano una visione
“pitagorica” della vita ovvero che, con ogni probabilità, credevano nella “reincarnazione”, porta a rafforzare la tesi,
che qui vedrà ben altra conferma, che anche Gesù credesse nella possibilità della reincarnazione.
Sugli Esseni Flavio ci informa poi anche, è bene sottolinearlo, di rigide regole che disciplinano la vita comunitaria
ed altri curiosi particolari che indubbiamente non ritroviamo in Gesù.
CONCLUSIONE
A quanto ora detto in merito alle credenze dei gruppi, correnti o fazioni giudaiche, vuole aggiunto ciò che abbiamo
visto sul filosofo e giudeo Filone Alessandrino. Questi, come detto nelle righe a lui dedicate, rigidamente collegati
alle Scritture vedrà, assieme ad un Dio lontano da ogni antropomorfismo, la necessità per l'uomo di un abbandono
dell'"io" che è un portarsi al divino e, con questo fine e meta, vedrà possibile, oltre che spesso necessaria, la
"reincarnazione" dell'uomo.
Il quadro quindi delle credenze sul destino dell'uomo nel Giudaismo, ai tempi di Gesù, era complesso, ed è un
quadro che peraltro si riflette ancora oggi -pienamente- nelle credenze dell'odierno Ebraismo:
<.. all'interno del giudaismo si sono sviluppate molte credenze sulla vita dopo la morte che continuano ad esistere
fianco a fianco, e ciascun Ebreo è libero di scegliere. Queste credenze rientrano in quattro categorie principali:
1- sopravvivenza attraverso i propri discendenti,
2- resurrezione fisica,
3- un'anima immortale in Paradiso,
4- reincarnazione ..>
(Y.Gershom- La vita dalle ceneri)
210
settima parte
Quadro complesso che le Scritture aprono e non chiariscono in modo limpido, come si è visto, e che Gesù, secondo
la lettura Cristiano-paolina delle Sue parole, avrebbe trascurato limitandosi ad una precisazione ai soli Sadducei
senza curarsi di altro, precisazione tra l'altro che, in quella lettura, è straordinariamente “povera” limitandosi a dire
che essi non conoscono la “potenza” di Dio quale “resuscitatore di corpi fisici”.
Una lettura che così mostra una risposta di Gesù tesa a sottolineare una “potenza materiale di Dio”, risposta “vuota”,
materiale, superflua e che nulla dice, in sostanza, data la ovvietà che chi “crea” può ben anche “ricreare”.
Con questa lettura, ripeto, si addebita a Gesù una “povertà” di parola e pensiero che è francamente offensiva nei
Suoi confronti !.
Complice della “incomprensione” del messaggio di Gesù anche sulla “reincarnazione” è la “incomprensione delle
Scritture”: la stessa “incomprensione” che Gesù rimprovera ai Sadducei in quella “risposta” al loro quesito sui sette
fratelli con una sola moglie, la stessa “incomprensione” che è alla base di tutta la Sua imponente critica ai Farisei
oltre che ai Sadducei. Farisei che sono presenti all'episodio della “risposta ai Sadducei” e che sono anch'essi
destinatari, come vedremo, delle Sue severe parole.
Tutta l'opera di Gesù sarà unicamente indirizzata alla correzione di quella incomprensione delle Scritture, una
incomprensione che fa ancora oggi vedere “resurrezione della fine dei tempi” nei testi di 2Maccabei in cui invece si
parla unicamente di ripristino, -rinascita all' Eterno Spirito Vitale- o Vita, per i sette fratelli, in contrapposizione ad
una <..rinascita non.. per la Vita..> del Re che <..ha potere sugli uomini, e sebbene mortale, fa quanto gli piace..>
ovvero agisce ascoltando l'”io” e non Dio: Re condizione umana e forza che non potrà che, divinamente, finire,
chiudersi, estinguersi : < Dio..strazierà te e la tua discendenza >(2Mac 7.14-17).
Non si può poi infine trascurare il fatto che la credenza nella “reincarnazione” sarà presente anche dentro alla
Cristianità dei primi tempi e questo fatto conferma che il mondo Giudaico, almeno in parte e come ci testimoniano
anche i Vangeli come visto al capitolo “I Ritorni-Reincarnazioni” della Prima Parte di questi scritti, vi credeva.
Per la Cristianità dei primi tempi come detto oltre a ciò che in merito scrive Origene, non si può non vedere che
questi altri “Santi”, secondo quanto dice Wikipedia, parlavano di “reincarnazione”:
< Alcune anime che si credono indegne di vedere Dio a seguito delle loro azioni durante le reincarnazioni terrene,
riprenderanno i corpi > (Giustino di Nablus (100-168),Cfr E.Bertholet, La reincarnation)
< E' una necessità di natura per l'anima immortale essere guarita e purificata, e quando questa guarigione non
avviene in questa vita, si opera nelle vite future susseguenti >
(Gregorio di Nissa (335-395), Grande discorso catechetico, tom.III)
Dopo tutto ciò vediamo ora dove, perché e come, Gesù primariamente ha parlato, ritenendola possibile, della
reincarnazione. Ma non solo nei passi che qui sotto analizzeremo Egli ne ha detto: alla fine di queste lunghe
riflessioni vedremo infatti, nella Undicesima Parte, che anche altrove, citando Giona, Gesù parla di quell'evento
confermando così ulteriormente, e per me in modo definitivamente indiscutibile, la verità di questo Suo, ma così
anche delle Scritture, insegnamento.
Mi preme precisare che ho lasciato le analisi e considerazioni sulla “reincarnazione” a queste avanzate parti del
presente scritto, senza portarle alle pagine in cui in precedenza avevo detto di questo argomento, perché mi è
sembrato più corretto lasciare per quanto possibile intatto lo sviluppo temporale delle riflessioni in queste pagine
esposte. Così è anche per le riflessioni sul Libro di Giona e sulle parole di Gesù su di esso.
Quanto infatti qui e più avanti esporrò è ciò che è maturato ai miei occhi molto avanti nel tempo, in avanzata e poi
finale fase di stesura di questi scritti.
LE PAROLE DI GESÙ SULLA REINCARNAZIONE
Tutto, dicevo, è scritto in quei passi dei Vangeli di Matteo, Marco e Luca che sono riportati con il titolo improprio de
< I Sadducei e la resurrezione >, passi il cui titolo più correttamente dovrebbe essere invece “La resurrezione e la
reincarnazione”, passi che in Matteo così dicono:
<.. Sadducei :...
“Alla resurrezione, di quale dei sette essa sarà moglie? Poiché tutti l'hanno avuta”. E Gesù rispose loro:
( 1 periodo :) Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio.
( 2 periodo :) Alla resurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo.
( 3 periodo :) Quanto poi alla resurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio:
“Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” ?
( 4 periodo :) Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi > (Cei, Mt 22.28-32)
211
settima parte
Ma non solo in questi passi Gesù parla di reincarnazione, come detto infatti, e come vedremo nella Undicesima
Parte di questi scritti al capitolo "Giona, Gesù e la reincarnazione", Egli ha detto di quell'accadere e possibilità
anche con la sua lettura ed esegesi del testo di Giona che ci è riportato, in modo particolare, da Matteo.
--- Considerazioni preliminari
Questo episodio della predicazione di Gesù è riportato dai tre Vangeli sinottici in modo “straordinariamente
unisono”, con parole che si ripetono e si riprendono in modo molto uniforme e quasi unico nel contesto dei tre
vangeli sinottici.
Unica eccezione, unico passo che resta più isolato e che al primo aspetto sembra, ma erratamente vedremo, non
rientrare a pieno in questa considerazione è il terzo periodo della risposta di Gesù che troviamo esposto in Luca.
La straordinaria uniformità che si riscontra nei tre evangelisti fa dire che questo episodio sia da essi esposto in modo
verosimilmente fedele a quella fonte Q che gli esperti mettono ad origine dei sinottici.
Ma soprattutto quella uniformità porta a ritenere che in quelle righe con altissima probabilità, se non forse con
certezza, vi sono le “parole realmente pronunciate da Gesù” nel corso di quell'episodio.
Episodio che però, è importante sottolineare, non si limita a quello scambio di battute coi Sadducei: presenti e
anch'essi destinatari dello stesso chiarimento erano anche i Farisei e proprio con i Farisei Gesù, di seguito, subito
dopo la risposta ai Sadducei, interloquisce “restando nel solco delle stesse considerazioni” fatte appena prima.
Questo grande insegnamento di Gesù quindi vuole letto, compreso e risolto, in un unico indirizzo con ciò che
immediatamente segue la risposta ai Sadducei ovvero con ciò che dalla Cei è titolato : <..Il primo
comandamento..>, in Matteo, e <..Il comandamento più importante..> in Marco.
--- Primo esame
Un primo esame del brano di Matteo sopra riportato deve vedere e dire che :
- sul primo periodo della risposta di Gesù è facile sbagliare: è facile vedevi solo una poco influente precisazione e
quindi non darvi peso; esso invece non è di scarso interesse.
- nel secondo periodo è certo possibile vedere una conferma della “resurrezione” Paolino-Cristiana ma bisogna
dire che quelle stesse righe possono benissimo sostenere anche quella “resurrezione in corso di vita” qui vista e
pertanto quelle parole non possono da sole essere decisive.
- nel terzo periodo si nota da subito che verbalmente in esso stride un < Quanto poi > che è grammaticalmente
sbagliato ed incorretto nella lettura fatta dalla Cristianità: per continuare a parlare dello stesso argomento, la
resurrezione quale essa fosse, non si riprende infatti il discorso con un “Quanto poi a...”. Questa apertura si fa
solo quando si inizia a parlare di un “altro” argomento.
Un “altro” argomento che le traduzioni oggi proposte dalla Cristianità, assieme alle ermetiche e nascoste parole di
Gesù, non rendono facile vedere.
- sul quarto periodo con le esegesi ad oggi proposte non si può trovare alcuna chiarezza: perché mai Gesù mette in
campo quella enigmatica frase della Torah sulle antiche figure di Abramo, Isacco e Giacobbe a sostegno, secondo
la lettura Cristiana, di una “resurrezione della fine dei tempi” e perché, ancora, essi erano Vivi per Gesù secondo
la citazione della Torah, Esodo 3.6, che Egli richiama ?
In merito la Cei dice:
< I patriarchi vivono nell'aldilà, perciò il loro Dio è il Dio dei viventi > (Cei-Ueci 1974)
< Nel contesto dell'Esodo la frase significa che Dio è fedele all'uomo che egli ama;
Gesù si fonda su questo per affermare che il Dio della vita non può abbandonare nella morte coloro che egli ama >
(Cei 2008)
Entrambi i commenti non “spiegano” alcunché, essi non spiegano perché “loro”, ovvero Abramo Isacco e Giacobbe,
sono citati quali Vivi e non altri come Enoch o Noè che ben prima di loro per le Scritture erano stati “assunti” al
cielo.
Nulla di tutto ciò è razionalmente accettabile e la sola lettura che dona a questo passo dei Vangeli “razionalità
discorsiva, correttezza verbale e coerenza espressiva” è quella, vedremo, che “spiega” ed apre il richiamo di Gesù
ad Es 3.6 grazie alla lettura della figura di Abramo, e per conseguenza di Isacco e Giacobbe, di cui ci danno
testimonianza sia Filone Alessandrino che Gesù, lettura qui in precedenza già approfondita e che si allarga alle
figure di Isacco e Giacobbe:
“ tutte e tre sono figure che ci dicono di chi -sa ascoltare la Voce divina- nel suo invito
ad -abbandonare il proprio “io”-, ovvero il -proprio- paese o patria, la -propria- casa, il -proprio- padre e,
aggiungerà Gesù, madre, fratello ecc.”
Verità ed allegoria questa che, come visto universalmente diffusa nel mondo antico, è come vedremo fondamentale
per una piena e razionale comprensione della risposta di Gesù ai Sadducei. Fondamentale Verità ed allegoria che
Gesù, riprendendola come Filone dalla Torah, esprime e dichiara con queste, ma non solo queste, parole :
< Chiunque avrà lasciato
212
settima parte
case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli o campi....avrà in eredità la vita eterna.> (Mt 19.28)
É grazie a questa allegorica Verità che la lettura dei passi di Gesù diventa improvvisamente sconcertante,
straordinaria e luminosa come sempre. Questo infatti, con chiarimenti al testo di Matteo posti tra parentesi, è ciò
che, in questa lettura e comprensione, Egli ha detto con quelle parole:
-la resurrezione e la reincarnazione“Gesù rispose loro:
- Voi vi ingannate non avendo compreso né le Scritture né la potenza di Dio - Quando infatti si RESUSCITA ( rinasce [in vita]) non si prende né moglie né marito,
ma si è come angeli in cielo ( Le Scritture, che voi non avete compreso, dicono che quando si “resuscita”, ovvero quando si arriva a rinunciare
ed a perdere l'io-materialità, si è “deità”, si è come gli angeli in cielo
e questa è la potenza dell'Assoluto: il far sì che chi vive la materia possa essere Figlio di Dio, Vivo, Eternità )
---------------- Quanto poi alla REINCARNAZIONE ( rinascita dei morti )
non avete letto quello che vi è stato detto da Dio:
“Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” ( quanto alla reincarnazione non avete letto quello che vi è stato detto da Dio ?
-Io sono il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbeovvero Dio, l'Eternità, è di coloro che sono come Abramo, Isacco e Giacobbe e cioè è di chi
come loro sa ascoltare quella Voce-Parola-Verbo-Logos di Dio che invita ad abbandonare
il “proprio-io-casa-paese ecc.” per portarsi alla “condizione-regno-paese divino” )
--------------Ora - non è il Dio dei “morti” ma dei “Vivi” ( perciò Dio, l'Eternità, anche nella reincarnazione non è dei “morti”
ovvero di coloro che si reincarnano restando nell'errore-morte dell' “io materialità”.
Dio, l'Eternità, è unicamente di coloro che si portano ad essere “Vivi” grazie a quella
“resurrezione-abbandono dell' io”
di cui ci dicono le figure bibliche di Abramo, Isacco e Giacobbe )
Ho qui così anticipato il risultato di una analisi molto approfondita che più sotto farò, analisi complessa ma
necessaria alla quale è opportuno anticipare alcune premesse che sono indispensabili ad una lettura liberamente
critica :
--- Premesse
- a) Il primo fatto incontrovertibile è la verità, da Gesù stesso confermata e precisata, del suo modo di “parlare in
parabole”: è un modo di parlare che è “nascosto” ma non volutamente.
É solo perché si è nel buio dell'io che non si capisce ciò che Egli dice: questo, vedremo, espressamente ci dice Gesù.
Gesù poi, con espressione di Legge e Profeti ben in uso tra i primi Suoi discepoli e seguaci, è per antonomasia colui
che parla < in lingue > : veniva così detto di chi, ormai ad una visione superiore, profeta, si esprimeva con modalità,
termini sillogismi ed allegorismi che erano di ardua comprensione ai non iniziati, una difficoltà simile appunto a
quella di chi debba ascoltare discorsi “in lingua” diversa dalla propria.
È, questo, ciò che anche Socrate con il “Mito della Caverna” diceva avvenire a colui che dopo avere visto la Luce e
camminato fuori dalla caverna volesse parlarne a chi legato contempla le ombre: non sarebbe capito prima ancora
che creduto.
Dice Isaia di colui e coloro che, visto l'Assoluto, si accingono a parlarne quali suoi “inviati” :
< ( l'inviato di Jhwh )... con labbra balbettanti e in lingua straniera parlerà a questo popolo >
(Is 28.11)
Troviamo parole su questo concetto anche in Atti e in molte parti di 1Corinzi dove Paolo ne parla diffusamente:
< ..si fecero battezzare ..(e subito) parlavano in lingue e profetavano >(At 19.5,6)
< (ad) alcuni Dio...(ha dato) il dono..della lingue..>(1Cor 12.29,30)
< fratelli miei...quanto al parlare con il dono delle lingue non impeditelo.. >(1Cor 14.39)
Poco umilmente poi, Paolo dirà anche:
< Grazie a Dio, io parlo con il dono delle lingue molto più di voi..>(1Cor 14.18)
Gesù su questo argomento, riprendendo parole di Isaia, dirà :
< per questo parlo loro in parabole, perché pur vedendo non vedono
e pur udendo non odono e non comprendono > (Mt 13.13)
Gesù qui, richiamando una Verità espressa nella Torah, dice cioè che il suo parlare, che sembra nascosto, in
parabole, ovvero “in lingue”, è tale solo perché è chi ascolta e vede che non sa né comprendere né vedere.
213
settima parte
Ricordi bene questa frase di Gesù anche chi legge queste Sue particolarmente difficili righe: serve uno sforzo
particolare e non è certo immediato l'arrivare a comprendere.
- b) Il secondo fatto altrettanto incontrovertibile è quello, come visto, che nella terminologia sapienziale e profetica,
non solo Giudaica, il termine “morti” era usato per indicare sia i “morti fisicamente” che coloro che, pur “vivi
fisicamente”, erano da considerare “morti alla propria essenza spirituale”.
Analogamente poi i termini “vivi” e “viventi” erano utilizzati, oltre che per coloro che sono “fisicamente vivi”, anche
per coloro che sono “resuscitati, rinati, convertiti-cambiati di mente”, nulla rilevando il fatto che questi siano
“fisicamente vivi o morti”.
- c) In questa analisi si assume e si pone in ipotesi quanto qui ampiamente visto ed approfondito ovvero il fatto che
la “resurrezione-rinascita” di cui Gesù ha parlato è una “resurrezione in corso di vita”, la “prima resurrezione” di
cui ci dice Giovanni in Ap 20.6 come molti altri, quella “rinascita da vecchi che porta al Regno”, dice Gesù, ovvero
la con-versione che fa sì che < non abbia potere la seconda morte >(Ap 20.6).
Non avrà potere, dice ancora Giovanni, quella <..seconda morte..stagno di fuoco..> -fine ultima- che toccherà
invece a <..morte ed inferi..>(Ap 20.14), all’ “Errore-morte spirituale ed a ciò che a tanto porta”.
Questa lettura come detto non è nuova : è Verità sostenuta internamente alla Cristianità ed è alla origine della lunga
disputa “Cristologica” dei primi secoli, Verità che, vedremo, anche in questa analisi finirà per vedersi -confermata-.
- d) Nei testi di Matteo e Marco che riporto più sotto le precisazioni poste fra parentesi tonda, precisazioni
redazionali, nascono da quanto segue:
I termini che la Cei, ma non solo, traduce con “resurrezione”, “risorgeranno” e “risorgono”, come anche
“risorgerà” ecc., nei testi originali sono termini che, in modo indifferentemente alternativo, derivano dai verbi
grechi “anastrofé=ritornare” e/o “egeiro=suscitare-svegliare-destare”.
Essi quindi sono tutti alquanto generici e, “in sé”, -non- precisano quello specifico accadimento cui invece oggi le
relative “traduzioni ed insegnamenti” inducono “inequivocabilmente”.
Essi, “in sé”, non dicono della Cristiano-paolina “resurrezione dei corpi della fine dei tempi-mondo”.
Certamente la stessa genericità che vi è nei citati termini grechi si trovava anche nel vocabolario aramaico in cui si
esprimeva Gesù e forse anche nei testi originali degli evangelisti non più a disposizione.
Conferma poi, come vedremo, questa “genericità intrinseca” il fatto che in alcuni passi quei termini sono stati
“caratterizzati e precisati” grazie a parole “legate” al termine stesso.
- e) La prima parte di queste analisi ed approfondimenti si fermerà ai passi di Matteo e Marco lasciando a dopo
alcune considerazioni su ciò che ci dice l'altro dei tre sinottici, Luca, il riconosciuto discepolo di Paolo e quindi il
più influenzato dalle interpretazioni “Paoline” di Gesù.
- f) I testi che saranno utilizzati in questa analisi sono quelli, qui sotto riportati, del Greco Nestle-Aland nella
traduzione presa dal “Nuovo testamento versione interlineare” ed. S.Paolo 1999 e le importanti e non trascurabili
differenze tra questa traduzione e quella della Cei saranno qui analizzate. Le parti che, nei testi qui riportasti, sono
sottolineate, sono quelle che vedono tali “differenze” tra la traduzione “puntuale e letterale” Nestle-Aland e quella
proposta dal Cattolicesimo secondo quanto riportato nel testo ufficiale della Cei del 1989.
Infine si precisa che la parte del testo di Marco che è posta tra parentesi quadra è come tale ripresa dal citato NestleAland dove viene specificato che essa è così rimarcata in quanto oggetto di discussione tra gli esperti riguardo alla
sua originalità; essa in ogni caso non cambia senso alle parole di Gesù comunque la si voglia considerare.
------- MATTEO e MARCO
Matteo 22
--- domanda dei Sadducei --< ( 28) In la “risurrezione”(=ritorno), di quale dei sette essa sarà moglie?
--- risposta di Gesù: --( 1 Periodo :)
( 29) E Gesù rispose loro:
Voi vi ingannate non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio
( 2 Periodo :)
( 30) In la “risurrezione”(=ritorno ) infatti non si prende né moglie né marito, ma si è
come angeli in cielo.
( 3 Periodo :)
( 31) Quanto poi alla “risurrezione(=ritorno) dei morti”, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio:
( 32) “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” ?
( 4 Periodo :)
Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi. >
214
settima parte
Marco 12
--- domanda dei Sadducei --< ( 23) In la “risurrezione”(=ritorno), [ quando risorgono ],
a chi di loro apparterrà la donna?...
--- risposta di Gesù: --( 1 Periodo :)
( 24) Rispose loro Gesù:
non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?
( 2 Periodo :)
( 25) Quando infatti “da morti risorgono”(=ritornano), né si ammogliano né si maritano,
ma sono come angeli nei cieli.
( 3 Periodo :)
(26) A riguardo poi “dei morti che risorgono” (=svegliano-rinascono),
non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo:
“Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”
( 4 Periodo :)
( 27) Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore. >
--- Analisi
1) Sulla domanda dei Sadducei
(Mt 22.28) < In la “risurrezione”(=ritorno), di quale dei sette essa sarà moglie?>
(Mc 12.23) < In la “risurrezione”, quando risorgono(=ritornano) , a chi di loro apparterrà la donna?...>
Qui il termine tradotto con “resurrezione”, uguale per Matteo e Marco e derivante dal greco “anastrofé-ritorno”, è
lasciato senza “specificazioni” e, sostanzialmente “generico”, qui evidentemente esso è utilizzato nella sua più
usuale e consueta, per Gesù, accezione.
I Sadducei verosimilmente pensando che Gesù nelle sue predicazioni parlasse di un “generico proseguimento della
vita”, “proseguimento” in cui, come è sotteso alla domanda e come abbiamo visto, essi non credono, chiedono a
Gesù come, in tal caso, si risolva il problema da essi esposto dei sette fratelli con una sola moglie.
2) Sul 1° Periodo della risposta di Gesù:
(Mt 22.29) < E Gesù rispose loro:
Voi vi ingannate non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio >
( Mc 12.24) < Rispose loro Gesù:
non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?>
Gesù con questa premessa alle sue successive spiegazioni, premessa in cui dice ai Sadducei che essi <..si
ingannano...> e < sono in errore > poiché < non conoscono né le Scritture né la potenza di Dio >, ci dice cose
fondamentali :
a) Egli ci dice che le Scritture, che i Sadducei non potevano non conoscere, contengono, quando giustamente
<..conosciute..> e lette, delle Verità “nascoste”: le Verità che Gesù andrà poi ad esporre.
Sia in Matteo che in Marco Gesù dice poi che è un “ingannarsi” e un “essere in errore” il fatto che non si
“capiscono giustamente” le Scritture.
b) Egli poi ci dice che grazie a quelle Verità “nascoste” di cui le Scritture dicono si arriva alla “conoscenza” della
<..potenza di Dio..> : una “potenza” quindi che non può essere la “scontata ed ovvia” possibilità, da parte di un
Dio che crea, di “ricreare” nuovamente, dopo la morte fisica, alla “paolina resurrezione finale”, ciò che fisicamente
è già stato. La “potenza” che Gesù rimprovera ai Sadducei di non “conoscere” è certamente “altro” rispetto a
questo.
Nessuno che, come anche i Sadducei, creda in un Dio “creatore” può dubitare che Egli possa anche “ricreare”: come
è possibile pertanto che Gesù potesse rimproverare ai Sadducei di non “conoscere quel tipo” di “potenza” Divina !.
Sulla “potenza” di Dio la Cristianità vede materialmente: vede infatti proprio questa “capacità” di Dio di “ricreare”
il corpo fisico decomposto, ma questa è una visione cieca, limitata e, appunto, materiale.
3) Sul 2° Periodo della risposta di Gesù:
(Mt 22.30) < In la “risurrezione”(=ritorno ) infatti non si prende né moglie né marito,
ma si è come angeli in cielo.>
215
settima parte
Nel passo qui riportato di Matteo, come nei due passi riportati al punto 1) ma come anche in Luca, troviamo la stessa
espressione: vediamo un letterale < “In la” risurrezione > che portato a lingua corrente è un -atemporale - “Nella
resurrezione”.
Correttamente la Cei in questo modo, “in la = nella”, traduce i passi di Marco e Luca mentre il sopra citato passo di
Matteo è tradotto, in modo fuorviante, con < Alla resurrezione >. In questo modo infatti l'avvenimento evocato
sotterraneamente assume una temporalità futura e da venire che non esiste nella sua versione originale.
Nella espressione “In la-Nella risurrezione” non vi è senso di temporalità: ciò che viene evocato può darsi ad
avvenire in qualsiasi momento, ieri, oggi, in futuro, e può quindi verificarsi anche nel “corso della vita” mentre
invece l'espressione “Alla resurrezione” induce a pensare al “futuro” evento Cristiano-paolino della fine dei tempi.
L'espressione “In la”, ovvero “nella”, in quanto riportata da tutti i sinottici ci porta a dare per altamente probabile
che essa derivi fedelmente dalle parole di Gesù: anche questo seppure non certo risolutivo può confermare che per
Gesù la resurrezione non era l'avvenimento della fine dei tempi insegnato da Paolo.
Più giusto, più logico e corretto sarebbe stato infatti, in quel caso, per Gesù dire “ Alla resurrezione” o “Quando si
resusciterà”: è innegabile che per la visione Cristiano-paolina l'espressione “In la-nella resurrezione” stride.
4) Ancora sul 2° Periodo della risposta di Gesù :
(Mt 22.30) < In la “risurrezione”(=ritorno ) infatti non si prende né moglie né marito,
ma si è come angeli in cielo.>
(Mc 12.25) Quando infatti “da morti risorgono (=ritornano)”, né si ammogliano né si maritano,
ma sono come angeli nei cieli.
Gesù, subito dopo avere detto perché i Sadducei si sbagliano, spiega la “resurrezione” cui Egli si è sempre riferito
ovvero quell'avvenimento che, “quindi”, è visto nelle Scritture e che i Sadducei non hanno compreso.
Gesù dice qui, nei due passi citati, del “ritorno-rinascita-resurrezione” cui si perviene, “in vita”, grazie alla
“conversione-cambiamento di mentalità-torsione del nous” che ri-porta l'uomo, spiritualmente “morto” per la
caduta all' “io”, ad una “condizione” mentale e di vita che lo vede “simile-uguale” a quella degli angeli del cielo: lo
vede <..come..> essi, ed i legami, alti e spirituali, di chi si porta a quella condizione non bisogneranno della terrena
istituzione matrimoniale.
La versione di Marco ci aiuta, meglio di Matteo, a vedere questo aspetto; Marco dice infatti:
< Quando ...da morti risorgono >
Gesù qui dice di “morti che risorgono” nell’oggi della vita fisica, e non “che risorgeranno” alla fine del mondo.
Dice quindi di “morti” che sono coloro che, fisicamente “vivi”, sono “caduti”, “sono nella morte spirituale”: Gesù
qui usa il termine “morti” con lo stesso spirito di quando disse : < lascia che i “morti” seppelliscano i loro morti
>(Mt 8.22) o anche <..chi ascolta la mia parola...è passato dalla “morte” alla vita > (Gv 5.24).
La frase di Marco ci fa perciò vedere un Gesù che dice :
“ Quando...dalla condizione di morte spirituale si ritorna-risorge-rinasce...”.
5) Sui verbi
--- domanda dei Sadducei --(Mc 12.23) < In la “risurrezione (=ritorno)”, [ Quando risorgono (=ritornano)],
a chi di loro apparterrà la donna?...>
--- risposta di Gesù --(Mc 12.25) < Quando infatti “da morti risorgono (=ritornano)”, né si ammogliano
né si maritano, ma sono come angeli nei cieli.>
(Mc 12.26) A riguardo poi “dei morti che risorgono” (=svegliano-rinascono)
Assieme a quanto visto al punto precedente, vuole sottolineato come, nella fedele traduzione dall'originale Greco
citato, i verbi sono tutti in un presente “atemporale”, Gesù infatti dice:
< quando risorgono; da morti risorgono; si ammogliano ; si maritano; sono come angeli..;
dei morti che risorgono >
E' quindi un accadimento, quello della “resurrezione” cui Gesù si riferisce, che può avvenire in qualsiasi momento:
oggi, ieri, domani. Nella versione Cei invece, con una tra-duzione che è vero tra-sporto, tutti i verbi sono portati al
“futuro” e le parole di Gesù sono divenute:
“...da morti risorgeranno..; ..non prenderanno moglie né marito..; ..saranno come angeli..; ..dei morti che devono
risorgere..”.
Viene così portato ad un “sicuro e certo futuro” ciò che invece il testo originale lascia senza temporalità.
Gli originali Nestle-Aland dicono infatti di eventi che, per chi ascolta le parole di Gesù, possono anche essersi già
verificati o possono avvenire e prodursi in qualsiasi momento, oggi o domani. Certamente se Gesù si fosse riferito a
qualcosa che poteva avvenire “solo” dopo la morte fisica e nel lontano tempo della fine del mondo, avrebbe usato i
verbi al futuro come ha tradotto, con visione paolina, la Cristianità: ma così non è !
216
settima parte
Da notare che dicono dello stesso -possibile- “presente” anche il < si è come angeli in cielo > di Mt 22.30 e il
<..sono uguali agli angeli..> di Lc 20.36.
Valgono poi anche qui, naturalmente, le considerazioni fatte al punto 3).
6) Sul 3° Periodo della risposta di Gesù:
(Mt 22.31) Quanto poi alla “risurrezione (=ritorno) dei morti”,
non avete letto quello che vi è stato detto da Dio >
Il termine qui tradotto in “risurrezione” è identico a quello usato negli immediatamente precedenti righi 28 e 30
sempre di Matteo e nasce, come detto, dalla neutrale radice del greco “anastrofé-ritorno”.
Qui però esso, a causa di questa sostanziale neutralità e “confondibilità” del termine, esso da Gesù viene
caratterizzato e “precisato”, con la specifica “dei morti”. In questo modo quel termine assume e dice di un evento
“diverso” da quello di cui dice il termine, identico ma non “precisato”, usato nei precedenti righi 28 e 30.
In questo rigo così Gesù ci parla di un “ritorno dei morti” e non più del “ritorno-resurrezione in vita-conversionecambiamento di mentalità”:
Gesù qui precisa e parla di un “ritorno dei morti” che è la “reincarnazione”;
egli dice : “quanto poi alla reincarnazione dei morti fisici..”.
Se Gesù avesse voluto parlare della stessa “resurrezione-conversione” di cui aveva appena parlato non aveva alcun
bisogno e necessità di aggiungere quel “dei morti” e avrebbe usato solo il termine, imprecisato, che aveva appena
usato. Egli qui “modifica”, specificandolo, quel termine perché “cambia” ciò di cui Egli sta parlando ed è da
sottolineare il fatto che questa “modifica-specificazione” è riportata da “tutti e tre i sinottici” ed è quindi essa
certamente riferibile alle originali parole di Gesù.
Egli qui “precisa” il termine “anastrofé”appena prima utilizzato, termine neutro con evidenza da Lui solitamente
usato per dire del “ritorno-resurrezione in vita”, allo scopo di chiarire di quale “anastrofé-ritorno” Egli ora parla.
7)
Ancora sul 3° Periodo della risposta di Gesù :
(Mc 12.26) < A riguardo poi “dei morti che risorgono” (=ridestano-rinascono, ndr ),
non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo:
“Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” >
Le conclusioni appena tratte per Mt 22.31, si ripetono anche per il parallelo terzo periodo di Marco sul quale però
serve una precisazione in più.
Marco, abbiamo visto, ha già utilizzato nel suo periodo precedente il termine “morti” ( Mc 12.25 : Quando infatti
“da morti risorgono=ritornano” ) con riferimento ai “morti spirituali” ed è per questo che ora, al fine di mantenere
la diversità di evento di cui dicevano le parole di Gesù, egli affianca al nuovo “morti” un termine che nasce dal
greco “egeiro=destare-suscitare-svegliare” e non più quello da lui utilizzato al precedente rigo 25 che nasceva da
“anastrofé-ritorno”.
Questo fatto, il cambiamento del termine da Marco appena prima usato, già da solo denota, dice ed evidenzia con
decisione, la “diversità” dei due eventi-fenomeni-temi da Gesù trattati.
Anche qui poi il termine usato derivante da “egeiro=destare-suscitare-svegliare”, come quello derivante da
“anastrofé-ritorno” mantiene una intrinseca “genericità e confondibilità” ed è per questo che nonostante il cambio
di verbo anche in Marco vediamo la stessa “precisazione-specificazione” già vista in Matteo : il termine qui viene
anticipato e legato allo stesso “dei morti.”, ora intesi come in Matteo morti fisici, e le parole di Gesù divengono:
“A riguardi poi dei morti fisici che si reincarnano..”.
Anche qui in Marco, come detto per il parallelo rigo di Matteo, non si vede perché, nella ipotesi che Gesù avesse
voluto parlare dello stesso evento-fenomeno, abbia modificato il termine e la formula appena prima usata.
8) Sui 3° e 4° Periodi della risposta di Gesù:
Matteo 22
( 31) Quanto poi alla “risurrezione(=ritorno ) dei morti”, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio:
( 32) “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” ?
Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi. >
Marco 12
(26) A riguardo poi “dei morti che risorgono” (=rinascono ),
non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo:
“Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”
( 27) Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore. >
217
settima parte
Ai punti precedenti abbiamo visto che Gesù prima parla e precisa del “ritorno-rinascita-resurrezione in vita-prima
resurrezione” ovvero di quel “portarsi al divino” di cui dice tutto il mondo antico e che abbiamo sin qui
sottolineato e visto, e poi, nel terzo periodo, parla della “reincarnazione”.
L'argomento “ritorno-rinascita-resurrezione in vita” Egli lo ha “precisato e tratteggiato” dicendo quali sono le
“caratteristiche” di quella “condizione dell'uomo”: l'essere “come” gli angeli in cielo. E vuole visto poi che allo
stesso modo e parallelamente sull'argomento “reincarnazione” di cui dice nei passi successivi qui riportati, Gesù
“precisa e tratteggia” questo altro argomento-evento-condizione di cui dice ma, come sempre, Egli lo farà con
parole delle Scritture ed “in lingue” ovvero difficili: per capire servono, come Lui spesso ci dice, “orecchie per
capire”, orecchie che non siano chiuse.
Per portarsi a “capire” queste ultime ermetiche parole di Gesù e di Esodo 3.6 che Egli qui richiama, per tentare di
arrivare vicino a quelle “orecchie” che ci permettono di arrivare a comprendere quella Sua “Risposta ai Sadducei”
qui in esame, servirà, in particolare su questi terzo e quarto periodo, una lettura che possa dare il massimo delle
certezze e quindi che deve vedere al contempo le più complete ed esaustive: “correttezza verbale”, “razionalità
discorsiva”, “coerenza e chiarezza espressiva”.
Vediamo allora, per portarci a quella “comprensione ed orecchie”, cosa, in merito a questi 3° e 4° Periodo della
Risposta di Gesù, si vede e si può dire rispetto a questi tre aspetti.
Correttezza verbale:
Una vera e propria “scorrettezza verbale”, già prima sottolineata, si pone ben evidente
“nella esegesi ed interpretazione Cristiana”: è quella dell'inizio del terzo periodo dove Gesù dice:
< Quanto poi …. >(Mt), < A riguardo poi …..>(Mc);
Questa è una apertura di periodo che, stessa per Matteo e Marco, si ritrova, se pur tra le righe della sua paolina
visione, anche in Luca che dice : < Che poi …..>.
E il fatto che i tre evangelisti che riportano questo episodio citino “tutti” questa “apertura” del terzo periodo della
risposta di Gesù, dona la massima certezza possibile sulla sua fedeltà alle parole realmente pronunciate da Gesù ma
questa apertura di periodo, < Quanto poi a ...>, è apertura che “può solo introdurre ad un argomento diverso da
quello precedente”.
Nella “lettura Cristiana” quindi, che vede Gesù continuare a parlare dello stesso argomento di cui aveva detto nel
periodo precedente ovvero “la resurrezione in vita”, questa apertura è con evidenza “incorretta”, verbalmente “non
corretta”.
L' espressione < Quanto poi a ..> diviene invece precisissima e “verbalmente corretta” solo se Gesù, come detto,
intendeva parlare di un diverso argomento.
Per precisare meglio, come sostiene la interpretazione Cristiana, l'argomento di cui Egli aveva appena parlato nel
precedente periodo del suo discorso, sarebbe stato corretto iniziare la frase con le sole parole che seguono quel
“Quanto poi...” che, in tale lettura, è così scorretto ed inesatto: Gesù avrebbe cioè dovuto dire unicamente: <...Non
avete letto quello che...>(Mt) e <...Non avete letto nel...>(Mc).
Razionalità discorsiva: Nella interpretazione che la Cristianità fa del terzo periodo, la razionalità del discorso è
assolutamente assente.
Gesù qui, secondo la lettura Cristiana, va a “chiarire”, a “confermare” ed a “motivare” una “resurrezione corporale
che verrà”: la paolina “resurrezione alla Vita eterna della fine dei tempi-mondo”, ma per fare questo, per dire quindi
di un passaggio lontano e da venire, Gesù “indica e pone ad esempio” di tale evento tre figure che “in passato e
senza quell'evento sono risorte-giunte alla Vita”. Con questa lettura ed interpretazione il passo di Gesù diviene
irrazionale e senza alcun senso.
Per fare un banale paragone è come se qualcuno oggi dopo avere detto che “fra dieci anni tutti, a causa di un
fenomeno da venire, diventeremo luminescenti”, per “spiegare e motivare” quanto affermato dicesse “non vedete
quei tre che già tempo fa e senza quel fenomeno da venire sono divenuti luminescenti ?”. Completa irrazionalità
dicevo.
Coerenza e chiarezza espressiva: Affinché si possa sostenere che le frasi qui in oggetto siano “chiare
espressivamente” non si può fare a meno di dare “chiara” risposta al “perché” Gesù si appelli, nel terzo periodo
della sua risposta, al passo della Torah che dice:
“Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” (Es 3.6)
La interpretazione Cristiana, abbiamo visto, ci dice che questo passo è richiamato per “ indicare e mostrare” coloro
che “già” sono “Vivi o Viventi”, “resuscitati” -ovvero che sono “come angeli”.
Ma quel passo, oltre alla “irrazionalità” di cui abbiamo detto al punto precedente, bisogna vedere che “in sé” non
esplicita affatto il riferimento a questa “condizione” in cui Abramo, Isacco e Giacobbe dovrebbero essere.
Non si può poi non considerare il fatto che per parlare di figure che le Scritture dichiarano “ Vive-Viventi” Gesù
aveva ben altre possibilità: -molto prima- di Abramo di Isacco e di Giacobbe la Torah ci dice che Enoch, Elia e Noè
passarono a quella condizione di “Vivi e Viventi”.
218
settima parte
Enoch fu < rapito in cielo >(Gn 5.24) ed Elia < ..salì nel turbine verso il cielo.. >(2Re 2.11). Noè poi addirittura
era < uomo giusto..> che già fisicamente “in vita” <..camminava con Dio..>(Gn 6.9), già in vita era “Vivo e
Vivente”.
Per quale ragione allora Gesù ha parlato, in questo contesto, di “quella” frase della Torah in cui sono indicate
“quelle” tre figure? . Non vi è “chiarezza” in riferimento a questo richiamo di Gesù, nella lettura cristiana.
Ancora poi, per avere una totale “coerenza espressiva”, è logico vedere un “legame coerente” tra gli addebiti fatti da
Gesù ai Sadducei in apertura della sua risposta, quelli di “errare” e di “mancare di conoscenza” della Scrittura, ed il
passo che qui nella risposta Egli cita della Scrittura stessa.
Quell' “errore e mancata conoscenza” per Gesù con evidenza sono, anche e qui, la mancata “comprensione” di
questo passo della Scrittura: comprensione che però certamente non può essere la “palesemente evidente e chiara”
elezione a “Vivi-Viventi”, che ben vediamo in quei testi, di Abramo, Isacco e Giacobbe da parte di Jhwh.
Questo “non poteva non essere capito” anche dai Sadducei”.
Abramo, Isacco e Giacobbe nella Torah sono “chiaramente” < benedetti > da Dio, con essi “chiaramente” in quei
testi Jhwh pone la Sua “alleanza-legame”, perché allora Gesù dice ai Sadducei che non hanno capito la Torah anche
su questo punto ?.
Evidentemente non è questa “chiara” lettura quella a cui Egli si riferisce dicendo che essi non la < conoscono >.
Alla luce di queste considerazioni nella lettura fatta dalla Cristianità il rimprovero di Gesù ai Sadducei diviene
incoerente: Egli infatti non avrebbe dovuto accusarli di “incomprensione” sapendo bene che “non potevano non
avere compreso” quella “chiara evidenza” .
La corretta interpretazione e lettura del terzo e quarto periodo
La risposta a queste ultime domande sulle figure di Abramo, Isacco e Giacobbe, risposta importantissima, risposta
chiara ed evidente una volta vista, risposta che risolve tutte le perplessità fino ad ora esposte e chiarisce l’intera
risposta di Gesù ai Sadducei, passa dalla interpretazione allegorica delle Scritture, cui rimando, qui vista ed
approfondita in particolare nella II Parte al capitolo "Abbandono-morte dell'io" e, nella IV Parte, alla analisi su Gn
6.9 e Gn 6.13-37, ed al capitolo su "Filone Alessandrino".
Passa, la risposta a quelle ultime domande, per quella allegoria della Scrittura spesso richiamata anche da Gesù e che
il suo contemporaneo Filone A. mette in luce. Una allegoria che, abbiamo visto, -identicamente- era espressa già nel
2000-1500 aC nelle culture Egizia, Sumera ed Indo-Aria, ma forse non solo, e che è quanto qui riassumo :
La “particolarità e la peculiarità” delle “figure bibliche” di Abramo, Isacco e Giacobbe, ciò che la Torah ci dice
“con” essi, ciò per cui Gesù le cita, sta, per tutti e tre e pur dentro a differenze da indagare e spiegare, nel “ loro
ascolto” di quella “voce divina” che :
“ invita ad abbandonare “proprie” patrie, paesi ecc. ovvero che invita ad abbandonare la “ condizione di caduta
all' io”, per entrare nel “paese-condizione” che essa ci indica, conoscendo se stessi.”
Dice la Torah :
< Jhwh disse ad Abramo: “Vai a te, dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre,
verso il paese che io ti indicherò..”> (Gn 12.1)
< Jhwh ...disse (ad Isacco): “non scendere in Egitto, abita nel paese che io ti indicherò. Rimani in questo
paese...”> (Gn 26.2,3)
< Jhwh disse (a Giacobbe): “...torna al paese dei tuoi padri nella tua patria ed io sarò con te ...”> (Gn 31.3)
Gesù, abbiamo visto, per dire della stessa Verità, per dire dell'abbandono dell'“io-materialità”, aveva già usato la
stessa allegoria-simbolismo :
< Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre o madre …. avrà in eredità la vita eterna >(Mt 19.29)
< Se uno...non odia “suo” padre, “sua” madre...non può essere mio discepolo >(Lc 14.26)
Ora è evidente che il “paese” che Jhwh indica non è alcun “fisico territorio promesso”, come dice Filone ma anche
Origene e come già sottolineato in precedenza: è invece “il Regno-Condizione” a cui si arriva grazie all'“abbandono
dell'io-materialità” ovvero “uscendo da ogni propria dell'io” cosa, casa, terra ecc.”: cui si arriva con la
<..conversione-cambio di mentalità-rinascita-resurrezione in vita..> di cui dice Gesù: la <...assunzione di mentalità
da straniero..>(Migrat II) ovvero il <..rinunciare al falso concetto che si ha di se stessi e del creato..>(Migrat
XXIV), identicamente diceva Filone A. ma anche, vedremo più oltre, Origene.
Quel “paese” è il “Regno-condizioe” -in terra, simile a quello celeste-, di cui ci dice Gesù con il suo < venga il tuo
Regno.. come in cielo così in terra >(Mt 6.10).
E' Paese-Regno-Condizione cui si arriva “Vivi” come Abramo, Isacco e Giacobbe, nell'oggi dell'ascolto di quella
voce che a tutti in coscienza parla, voce “divina” che invita ad andare “fuori dall'io-propria casa” per entrare nella
“Condizione Paese-Regno del Tutto-Assoluto-Jhwh-Eternità-Vita”.
La particolarità quindi di Abramo, Isacco e Giacobbe è quella di essere diventati “Vivi”, di essere usciti dalla
condizione di "morte spirituale" in cui è l'uomo "caduto", grazie a quell'“ascolto” che induce alla “rinuncia all' ioseparato-diviso-farisaico” e cioè quell’”ascolto” che induce :
219
settima parte
alla “conversione-cambio di mentalità”, la “torsione-ritorno”, la “resurrezione”, la “rinascita da vecchi”,
indicata da Gesù. La sola strada per riportarsi, divini, Vivi appunto, all'Assoluto, la sola strada che evita la “morte”.
Ed è grazie a questo "abbandono-conversione" che essi, dice Jhwh, potranno portarsi ai "Padri", alle "Potenze-DeitàElohim": vedersi Figli di un tale Assoluto-Vita: <..Tu (Abramo) te ne andrai dai tuoi Padri in pace..dopo una buona
vecchiaia..>(Gn 15.15) ; <..(Giacobbe), torna al paese dei tuoi Padri nella tua patria..> (Gn 31.3).
Questo dice la Torah in quei passi e questo dice un Gesù che, qui in linea peraltro -seppure forse senza precise
sovrapposizioni- con la lettura del suo contemporaneo Filone, ha voluto unicamente fare “comprendere” a coloro
che non l'hanno “capita” una Scrittura che ovunque, come anche nel bel passo che segue, dice di tutto ciò:
< ...chi vede la visione dell' Onnipotente... "cade" ed è tolto il velo dai suoi occhi >(Nm 24.4,16)
Il “cadere” qui è allegoria di un “annullamento dell'io” che vede la concomitante “chiara”, ovvero senza “veliillusioni”, visione-comprensione dell'Assoluto, di un Vero-Verità che è appunto "svelamento", è Aletheia, una aletheia che è “non-ascosità”.
Di questo "cambiamento" di mentalità-sostanza/nome, anche Origene dirà: <..Abramo..portava il nome della
nascita carnale.. ma quando uscì dalla sua terra e dalla sua parentela,...chiamato Abrahamo.. allora ricevette il
patto di Dio.. la circoncisione "segno" della fede.. la circoncisione carnale ..figura della circoncisione
spirituale..>(Omelia III su Genesi 3,4).
Abbiamo visto e detto, in merito alle figure di Abramo, Isacco e Giacobbe, di una loro lettura di Gesù certamente
"in linea" con quella di Filone ma non possiamo sapere se alcune sottolineature che questi compie siano state da
Gesù condivise. Per Filone infatti <..Abramo e Giacobbe...(simboleggiano) le virtù (che) si acquistano con
l'insegnamento e la virtù cui si perviene con l'esercizio...> mentre Isacco <..al contrario è il tipo dell'autodidatta
che trae da sé l'insegnamento..>(Mutat. 88, e cfr pure Agric 157 ss). Personalmente credo che le tre figure
vogliano piuttosto dire di tre momenti-fasi cui andrà incontro l'umanità ma l’argomento resta certamente aperto.
Tornando alla analisi, le figure bibliche di Enoch, Elia e Noè, abbiamo visto, non potevano essere citate nel contesto
della spiegazione di Gesù poiché esse non hanno avuto “bisogno e necessità” di alcun “ascolto” e di alcun “ritorno”:
sono figure che dicono di chi non ha visto mai la condizione di “morte spirituale-caduta”.
É per questo che Egli, come anche Esodo 3.6, porta gli esempi di Abramo, Isacco e Giacobbe: è solo di essi che Egli
poteva qui servirsi come anche, più sottilmente, è per la stessa allegoria di “ascolto e uscita dal paese-io che porta
al Regno” di cui quelle figure dicono che Gesù le cita anche in queste altre Sue parole:
< ..molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe
nel regno dei cieli..mentre i figli..saranno cacciati..>(Mt 8.10-12).
Nel terzo periodo della “Risposta ai Sadducei” quindi, abbiamo visto, Gesù parla della “reincarnazione” ed a questa
strada-evento egli affianca il portarsi alla Vita, l’ “ascolto” che invita alla “morte all’io” ovvero al “ritornoresurrezione e in vita” di cui dicono le figure di Abramo, Isacco e Giacobbe.
Ma è solo con il quarto periodo che Gesù infine sottolinea, precisando l’affiancamento appena prima fatto, che la
“reincarnazione”, di cui ora sta parlando, “può essere”, e non “è sempre” vedremo meglio più sotto, strada sbagliata
ovvero strada lontana dalla Vita di cui dice Esodo con le figure evocate. Essa può essere strada, Egli dice, di chi
resta nella “morte dell'io, nella morte allo spirito” e così quindi essa è strada errata giacché “Dio non è dei morti”
bensì “Dio è dei Vivi”: l’Eterno-Eternità è di chi si rende Vivo, come Abramo, Isacco e Giacobbe, seguendo la strada
dell’ “ascolto” di un divino che invita alla “resurrezione, all’abbandono-morte all'io” che rende Vivi.
--- Conclusioni sulla Risposta ai Sadducei
Questa “lettura” delle parole di Gesù e della Scrittura toglie alla intera frase di “Risposta di Gesù ai Sadducei” ogni
“incorrettezza”, ogni “irrazionalità” ed ogni “nebulosità ”.
Questa lettura è la “mancata conoscenza della Scrittura” che Gesù rimprovera ai Sadducei, è una “lettura” che
certamente si lega agli Esseni ed a quella più antica tradizione Enochica recentemente messa in luce dai professori
Gabriele Boccaccini e Paolo Sacchi: tradizione soffocata da quel “farisaismo-separativismo” che Gesù tanto ha
criticato.
Sono una tradizione ed una lettura, allegorica, che al tempo di Gesù è studiata ed approfondita da diversi maestri,
come ci riporta Filone nei suoi scritti, tradizione e lettura ben riconosciuta giacché anche Paolo pur non capendo
dirà, riferendosi alle Scritture, che <...tali cose sono dette per allegoria..>(Gal 4.24).
Con la lettura qui fatta di quei passi dei vangeli tutto si chiarisce e la risposta di Gesù ai Sadducei, così finalmente
bella, chiara e luminosa, spiega a tutti, anche ai Farisei che erano allora in ascolto come a noi oggi, la sostanza di
quel Suo insegnamento e credo che tutto è nelle Scritture.
Così letta la “Risposta di Gesù alla domanda dei Sadducei”, che come detto più correttamente andrebbe titolata
“Sulla Resurrezione e sulla Reincarnazione”, con termini che aprono quel parlare “in lingue e parabole” e
sintetizzata rispetto alla formulazione fatta in apertura di capitolo, diviene la seguente:
220
settima parte
“Sulla resurrezione e sulla reincarnazione”
E Gesù rispose loro:
Voi vi ingannate non conoscendo né le scritture né la potenza di Dio.
Nella “resurrezione” infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come gli angeli in cielo.
Quanto poi alla “reincarnazione”, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio:
“Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” ?
Ora, non è Dio dei morti, ma dei Vivi
e la reincarnazione perciò -non deve- vedere l’uomo restare nella morte spirituale, nell'“io”, nella “caduta” .
Qui solo ciò che ho sottolineato non è nel testo del Vangelo di Matteo e parimenti si potrà fare con il testo di Marco.
Si vede bene così come questo inserimento, che non è che la precisazione di un “sotteso”, da Gesù che sempre parla
“nascostamente”, “in lingue” e “per chi ha orecchie”, può ben essere stato evitato: esso era “sottinteso” e chi aveva
“orecchie per capire” poteva capire !.
Si vede anche, così, che le parole della risposta di Gesù, una volta “comprese”, anche da sole sono chiarissime e
luminose.
Prima di portarci alle “Riflessioni Finali” delle parole di Gesù qui in oggetto, prima di vedere ulteriori ed
interessanti approfondimenti su tali parole e tema, passiamo come detto alla analisi di ciò che ci riporta Luca.
------- LUCA
LUCA
La analisi del testo riportato in Luca prende un aspetto particolare per il fatto che, come ben noto, Luca è discepolo
di Paolo, egli ha ascoltato ed assorbito il “suo” vangelo, è stato, biblicamente, “legato-vestito” dalle sue parole e
questo non si può dimenticare ed in diversi punti del suo vangelo questo condizionamento si vede.
Al contempo però, come Luca stesso ci dice in apertura del suo vangelo, egli nel cercare < come molti hanno fatto di
stendere un racconto degli avvenimenti successi >(Lc 1.1), decide < di fare ricerche accurate su ogni circostanza
fin dagli inizi >(Lc 1.3), e questo certamente lo ha portato, almeno per questo capitolo, sulle stesse fonti di Matteo e
Marco. Fonti che egli lascerà intatte per tutte quelle parole e frasi che potevano, allora come oggi, essere lette
secondo la paolina visione e insegnamento, ma fonti che egli come vedremo si porterà a correggere quando in
evidente contrasto con la sua formata, ma paolina ed errata, lettura e comprensione.
Il fatto poi che Luca si senta necessitato a < fare ricerche accurate > da un lato ci conferma che le discussioni, e le
contestazioni, rispetto agli insegnamenti paolini, si sono aperti prestissimo, e dall'altro questo ci consente di vedere,
anche in Luca, importanti conferme a quanto fin qui detto per Matteo e Marco.
Luca 20
(33) Questa donna dunque, nella (in la) risurrezione, di chi sarà moglie?...
(34) Gesù rispose: I figli di questo mondo prendono moglie e marito;
( 35) ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione quella dai morti,
non prendono moglie né marito;
( 36) e nemmeno possono più morire perché sono uguali agli angeli e,
essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.
(37) Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto,
quando chiama Jhwh: “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”.
(38) Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui. >
--- Analisi
Il passo di Luca, qui riportato nella versione Cei salvo la parentesi che riporta il citato Nestle-Aland, si sviluppa in
modo simile a Matteo e Marco e ci impone le stesse considerazioni, per quelli già fatte, con riferimento alla
“correttezza”, “razionalità” e “coerenza”: le conclusioni restano sostanzialmente le stesse, ma alcune precisazioni
sono opportune ed interessanti:
- a) Luca trascura la prima parte della risposta di Gesù ai Sadducei per come essa ci è riportata da Matteo e Marco:
non riporta il rimprovero per la loro “non conoscenza” della Scrittura.
Questo fatto, che può sembrare trascurabile, lascia invece aperta la possibilità che non capendo il motivo di un tale
rimprovero, egli abbia deciso, anche non con pieno volere, di superare quel passaggio incoerente secondo la sua
lettura.
Nella sua “lettura” di questo episodio, che è lettura paolina certamente uguale a quella Cristiana odierna, quel passo
era poco comprensibile: i Sadducei non potevano non conoscere, per come anche lui Luca -letteralmente- le
conosceva, le Scritture, e questo anche con riferimento alla “Potenza”, creatrice e ri-creatrice di Dio.
Per questo egli può avere trascurato quel passaggio.
- b)
221
Lu 20.34,35 :
< (34) Gesù rispose: I figli di questo mondo prendono moglie e marito;
settima parte
( 35) ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo
e della risurrezione quella dai morti non prendono né moglie né marito >
Questo passaggio è diverso da quanto in Matteo e Marco: qui quella che appena prima, nella domanda dei Sadducei
da lui riportata era citata genericamente come “resurrezione”, con termine ancora anche qui derivante da “anastroféritorno”, viene da Luca precisata come “resurrezione quella dai morti”.
Ora se è vero che da un lato con questa precisazione le parole di Luca si possono accordare con la paolina
“resurrezione della fine dei tempi” che egli certo accoglie, ma restano in tale visione interrogativi che lascio al
successivo punto d), dall'altro esse si accordano altrettanto pienamente, o anche meglio poiché quegli interrogativi
scompaiono, con la visione del “ritorno-rinascita-resurrezione in vita”, o meno, sin qui vista e sostenuta.
Luca infatti riporta un inedito e significativo “figli di questo mondo”, dove “mondo” è traduzione del greco “aiòn”
che dice di “condizione di un certo periodo-era” e non del “fisico luogo terrestre”.
I “figli di questo mondo” quindi, in quelle parole sono i “morti” allo spirito di cui dice Gesù con il suo <..lascia che
i morti seppelliscano...>(Mt 8.22), sono i “figli dell' io-separazione-materialità”, i figli dell'Adam, e le righe di
Luca confermano così in pieno la “diversa” resurrezione, in vita, sin qui vista.
Lu 20.35,36 :
<( 35)..quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione quella dai morti,
non prendono moglie né marito;
( 36) e nemmeno possono più morire perché sono uguali agli angeli e,
essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio >
Troviamo anche qui in Luca, nelle parole sottolineate, quella atemporalità dell'avvenimento di “resurrezione” che
già avevamo notato per Matteo e Marco: atemporalità che sicuramente pone forti dubbi e toglie certezza alla tesi
Cristiana della resurrezione “da venire e lontana”, della “fine dei tempi”.
- c)
Lu 20.35 :
<..quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo
e della risurrezione quella dai morti..>
Nel rigo citato troviamo la espressione “.. della risurrezione quella dai morti..” dove la precisazione fatta con il
termine “quella” ci impone di vedere come fossero effettivamente in campo delle incomprensioni legate a quei
termini e concetti di “ritorno-anastrofé”, anche qui usato, o di “egeiro-destare-suscitare-svegliare”: possibili
incomprensioni che imponevano e rendevano opportuno specificare di cosa si parlasse. Se fosse stato pacifico e
chiaro che con quel termine si intendesse la paolina “resurrezione finale dei corpi”, non aveva certo senso il
precisarla dicendo “..quella dai..”.
Ma non solo: per dire della paolina resurrezione della “fine dei tempi-mondo” si deve dire “resurrezione..dei morti”
e non certo “resurrezione..dai morti”. Questa ultima espressione dice infatti della resurrezione “dalla condizione”
di morte, della “diversa” resurrezione, quella “in corso di vita” qui vista.
Luca quindi, bisogna dire, verosimilmente giunge nelle sue “ricerche” ad un testo o a parole corrette e che parlano
della “resurrezione in vita”ma, non rendendosi conto del vero significato, lascerà un <..quella dai..> che però non
si accorda con la resurrezione, paolina, da lui compresa. Quelle parole infatti solo malamente ed in modo incorretto
possono vedersi accordate con tale “resurrezione”.
- d)
Lu 20.36
< .. e nemmeno possono più morire perché sono uguali agli angeli e,
essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio >
Anche questo passo può essere letto con gli occhi di Paolo o con quelli del Gesù “diverso” sin qui visto.
Il <.. nemmeno possono più morire..> si può infatti riferire ai resuscitati nel fisico, nella materia, alla fine dei tempi,
come anche si può riferire a coloro che si sono portati, in vita, ad essere Vivi grazie a quel “ritorno-resurrezione in
vita” : anche questi “non muoiono più”, non già nel “fisico” ma in quello “spirito-anima” il cui ritrovamento tanto è
stato sollecitato da Gesù all'uomo.
- e)
Lu 20.37
< Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto,
quando chiama il Signore: “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe” >
In questo rigo si può trovare una implicita conferma a quanto sostenuto nelle analisi di ciò che riportano Matteo e
Marco: Luca nel riportare, con la sua paolina lettura, le parole di Gesù, opera un cambiamento significativo.
E' un cambiamento importante perché mentre il “Quanto poi ..” presuppone e sottolinea il “cambio del soggetto”, il
“Che poi..” di Luca nasconde questo fatto portando la frase ai limiti della correttezza verbale con un “poi” che
così è solo un “superfluo ed incorretto” rafforzativo.
La chiusura che provoca a Luca, ed alla Cristianità oggi, la visione paolina delle parole di Gesù, inconsapevolmente
lo porta a questa modifica sostanziale e fondamentale dell'originale cui ha avuto accesso : il “ Quanto poi” per la
- f)
222
settima parte
“comprensione” di Luca era errato ed egli, non potendone vedere alcuna “altra lettura”, lo trasforma ambiguamente
in un “Che poi” che verosimilmente per lui doveva valere quale “E poi che ..”.
Quel “poi” però, lasciato in quel modo, ambiguo, da Luca, non ha senso né motivo ed è quindi solo indice che esso
“certamente” faceva parte della frase originale di Gesù con tutto quanto detto quindi in precedenza in merito al
“cambio di soggetto” che con esso Gesù ha operato, cambio di soggetto che Luca, da Paolo istruito, non vede.
Lu 20.38
<.. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per Lui >
In questo passo, da Luca certamente riportato pensando alla “resurrezione” del suo maestro Paolo, egli aggiunge un
chiarimento, mancante a Matteo e Marco, che verosimilmente doveva nelle sue intenzioni “spiegare il perché” Gesù
ha tirato in ballo la frase biblica su Abramo, Isacco e Giacobbe.
Egli dice < perché tutti vivono per Lui >, ma queste parole non spiegano nulla, niente dicono del “perché” -quelle
tre figure- sono Vive per Gesù e Torah: esse unicamente mostrano la paolina trasposizione al fideistico, irrazionale
ed inspiegato concetto per cui si “vive grazie a Gesù”, di una Verità e “formula”, giudaica ma non solo, che in realtà
dice il contrario: afferma che per tutti la Vita nell’Assoluto-Eterno si ha grazie al ri-conoscimento del Logos.
Ma quella aggiunta di Luca, per come è da lui intesa in particolare, non ha alcuna attinenza e legame al contesto
delle precisazioni di Gesù. Non vi è razionalità, non logica spiegazione, nulla che possa con-vertire menti e cuori
in quella sua precisazione: solo una buia fede “cieca” può essere mossa da quelle parole.
- g)
----- RIFLESSIONI FINALI
E' difficile oggi, in un mondo largamente “formato, vestito e legato” da insegnamenti cristiani ed islamici, ma anche
ebraici, che vedono la reincarnazione quale arcaica ed assurda ipotesi e credenza, dire e sostenere che essa è
possibile. Ma è vero che non pochi, nei primi secoli e richiamandosi agli insegnamenti di Gesù, hanno visto
“possibile” la reincarnazione ed è altrettanto vero che, se pur rare sono le testimonianze fino a noi giunte, anche
nella Chiesa vi sono state importanti voci che ammettevano la reincarnazione. E' solo nel 553 peraltro, con il
giustinianeo ed imperiale Concilio Costantinopolitano II, che la credenza nella reincarnazione è stata condannata,
bandita dagli insegnamenti cristiani e così soffocate quelle voci.
Di queste voci interne alla Cristianità dei primi tempi, voci certamente spesso sopite e poi nascoste poiché viste
eretiche e quindi aspramente combattute nella Cristianità paolina, ricordo quelle già in precedenza riportate di
Giustino di Nablus e di Gregorio di Nissa ma, vedremo più avanti e qui solo anticipo, soprattutto Origene
internamente alla Cristianità credeva e diceva della reincarnazione quale insegnamento di Gesù.
Restando alle parole che di Gesù abbiamo qui sopra visto, è comunque necessario fare alcune importanti riflessioni:
1/Rf ) La prima importantissima riflessione e considerazione è il fatto che le parole di Gesù non vogliono viste,
poiché tali non sono, (a) né quali -negazione- della “reincarnazione” e (b) né quali -critica, disapprovazione e
condanna- “in sé” di quel “ritorno dell'uomo alla vita fisica”. Gesù, vuole visto invece, condanna unicamente la
“errata” disposizione con la quale si -può compiere o pensare a quel passaggio- :
- condanna unicamente la possibile volontà o desiderio e bisogno, dell' “io”,
di questa illusione, di mantenersi vivo “con” quel passaggio -.
Egli infatti con le parole che abbiamo visto ha unicamente ripreso e rimarcato la differenza tra la condizione di
“Vita-resurrezione-rinascita in corso di vita” e quella di “morte spirituale-caduta” per ricordare così che il -vero
fine- cui l'uomo deve tendere non è la rinascita fisica.
Ma assieme a questi due punti rResta però anche da valutare (c) se “sempre” per Gesù la reincarnazione nasca -dal e
nel- errore dell' “io-materialità”. Vediamo nel dettaglio i tre punti e riflessioni.
a) -negazione della reincarnazione- : questa prima ipotesi è chiaramente fuori luogo e senza fondamento: per
“negare” la possibilità della reincarnazione Egli non avrebbe dovuto “argomentare” su di essa, come fa, ma
semplicemente dire, e molte sono state le occasione in cui avrebbe potuto farlo, che essa è -impossibile ed assurda-.
b) -disapprovazione e condanna, in sé, della reincarnazione- : su questa seconda possibilità da un lato bisogna dire,
anche qui, che per condannare la reincarnazione -in sé- Gesù avrebbe più semplicemente potuto dire che “quella era
strada sbagliata”: non aveva la necessità di -spiegarla-, simmetricamente a quanto aveva fatto appena prima per la
resurrezione in corso di vita, tirando in ballo le figure di Abramo, Isacco e Giacobbe.
D'altro lato poi una tale condanna porterebbe a dire che Egli vedeva “negativamente” la vita fisica ma questo è
lontano da tutto il Suo insegnamento!.
Gesù non svilisce e non degrada mai la “vita fisica” e nemmeno poteva farlo qui : Egli è “mangione e beone” (Mt
11.19), dice < Guai alla carne che è schiava dell’anima...>(vangelo di G.D.Tommaso logia 112), condanna
duramente il “personale sacrificio-privazione-martirio”(Mt 9.13) e ai discepoli che Gli chiedono < Vuoi tu che
digiuniamo...> risponde < ..non dite sciocchezze..>(vangelo di G.D.Tommaso logia 6).
223
settima parte
E ancora, il regno-conversione cui Egli invita è, come detto, Regno in terra : “venga il tuo Regno...in terra come in
cielo” ci insegna a pregare che sia.
Nei suoi incontri, cene e banchetti con dignitari, riscuotitori di tasse, signori, potenti ecc., Egli invita certamente alla
“conversione-rinascita-cambiamento di mentalità, la resurrezione in corso di vita,” ma mai mette in discussione i
rispettivi ruoli nel mondo civile: la vita fisica ha la sua validità e le sue regole, quelle di un “Cesare” che Egli mai
contesta e che sempre rispetterà.
Possiamo poi vedere il rispetto e considerazione che Gesù aveva per la -vita- in genere, anche dal fatto che Egli non
ha mai invitato all'abbandono “eremitico” della vita mondana, non ha mai suggerito di seguire la vita “ascetica” o
lontana dal “sociale”: non ha mai invitato a seguire la via, da Lui comunque rispettata, di Giovanni Battista.
Anche nell'incontro con il “giovane ricco” di Mt 19.16 Egli, rispondendo alla sua domanda che chiedeva <..cosa
devo fare di buono per ottenere la vita eterna? >, dirà unicamente < osserva i comandamenti >: solo dopo che
questi gli dice che li ha sempre osservati aggiungerà:
< Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri... poi vieni e seguimi >(Mt 19.21)
Per giungere all'Eterno, al regno, l'uomo quindi non ha bisogno di “sacrificio”, di “ripudiare, degradare o svilire
una vita fisica che così diviene negativamente vista”: per Gesù la vita deve essere normalmente vissuta, Egli dice in
quell'episodio, “osservando” però, e -osservare- qui è il “vedere-comprendere e seguire”, quei comportamenti che
nascono non già da un libro ma dall'ascolto della Vento-Ruah Santa e dalla conseguente comprensione-visione del
Verbo-Logos : “essi” ci devono guidare e non già la “nostra, dell' io”, volontà e doxa-opinione.
Il capire e seguire quella “voce-principi-comandamenti” sarebbe bastato, secondo Gesù, a quel giovane ricco che
tale quindi, ricco e materialmente privilegiato, poteva restare per potersi portare all'Eterno, al Regno.
La “perfezione” che Gesù alla fine suggerisce a quel giovane è solo il -portare all'esterno-, è la “ di-mostrazione” o
“messa nel lumiere” della “lampada-luce” che una volta trovata è bene fare in modo che altri illumini:
< Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto ?
O non piuttosto per metterla nel lumiere? Non c'è nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato
e nulla di segreto che non debba essere messo in luce. Chi ha orecchi per intendere intenda ! >
(Mc 4.21-23)
La “perfezione” che Gesù suggerisce è quella che fa sì che l'uomo non -resti- colui < che riceve il seme tra le
spine ..(e che, pur in sé ) ascoltando la Parola ( il Logos-Verbo divino )... ( fa che) questa rimane senza frutto ( per
gli altri ).>: con quella “perfezione” il giovane ricco si porterà infatti ad essere tra coloro < che portano frutto >
(Mc 4.18-20) poiché mostrerà, farà vedere, "farà luce” .
Gesù non entra mai nel merito del tipo di vita che fisicamente si conduce e non ne sminuisce mai l'importanza: ogni
scelta e tipo di vita sociale può essere portata avanti senza l'errore dell' “io-caduta”.
Così come tutte le strade e tutte le scelte di vita possono vedere questo “mortale” errore, anche una vita “eremitica
ed ascetica”, come quella “sacerdotale”, può nascere in quell'errore: non è difficile infatti su quelle strade, e
nonostante le parole, mantenere ed anche rafforzare un grandissimo “io” che così, in cercati isolamenti e sofferenze
o in alti compiti, spera di “salvar-si” e “meritar-si” una “individuale”, e quindi dell' “io”, vita eterna.
Chi, anche senza rendersene conto, quelle scelte compie seguendo il proprio “io” solo “morte” potrà vedere e quasi
solo “morti allo spirito”, quasi solo “uomini-adam”, quasi solo “ubriachi” e “dormienti” Gesù vede attorno a sé :
<..vegliate-state svegli dunque (voi)..>(Mt 24.42), <..li ho trovati tutti ubriachi..>(V.di Tommaso l.31).
Concludendo si può quindi dire che per Gesù la vita fisica vuole vissuta pienamente e fisicamente bene ma
assolutamente fuori da quell'errore, l'“io-materialità”, che l'uomo mantiene “se con la volontà di tener-si -quale ioin vita”, si reincarna.
Ed è proprio questo, e non la reincarnazione in sé, che Gesù con quelle parole vuol far capire che è errore da evitare.
Ben altre e ben più chiare e forti sarebbero state le Sue parole anche nelle varie occasioni in cui gli è stata
prospettata la credenza nella reincarnazione, se questo passaggio egli avesse voluto, “in sé”, condannare :
anche ciò che Gesù -non ha detto- in quelle occasioni, infatti, conferma la lettura qui fatta.
Da ultimo su questo aspetto vuole detto che una lettura del passo < Ora, non è Dio dei morti, ma dei Vivi > che veda
in esso la -condanna- della reincarnazione è un errore facile da compiere: là si è portati da quanto ci arriva, spesso
imprecisamente, con riferimento agli insegnamenti delle filosofie Orientali oltre a quanto è normalmente detto e
visto sulle dottrine Orfico Pitagoriche.
Ma il “fuggire il ciclo delle reincarnazioni” degli Indo-Ari, come anche quello Orfico, non dice necessariamente di
quell' -anelito e brama- del “mondo oltre il mondo” che nasce in una tale lettura, -anelito e brama- in cui tanto
facilmente cade chi è nell' “io”, chi è stato fondato sull' “io creato” e ipocritamente così in tal “mondo” vorrebbe che
quell' “io” si salvasse. Quel “fuggire” dice infatti unicamente del cercare di evitare le pene e dolori cui una
reincarnazione voluta dall’ “io” va necessariamente incontro per potersi correggere.
c) -reincarnazione che "sempre nasce" dal e nel “errore dell'io-materialità”- : anche questa ipotesi sembra sia da
scartare. La possibilità che anche l'uomo “resuscitato-rinato in corso di vita”, senza “io” e quindi ormai Figlio,
224
settima parte
Eletto ecc., ormai “Logos universale”, dopo la morte fisica possa riportarsi alla vita fisica, sembra da Gesù
testimoniata ed accettata.
Può attestare questa possibilità la sostanziale accettazione, nulla Egli avendovi mai obiettato e replicato, della
ipotesi di “ritorno-reincarnazione” di Profeti prospettatagli dai suoi discepoli :
<..dicono che tu sei uno degli antichi profeti tornato in vita > (Lc 9.19).
Ma anche un altro passo sembra dire di questa possibilità che, pur personale, a quel punto non è più individuale: alla
vita fisica, al -bere il vino “frutto della vite”-, Gesù dice che anche Lui e gli apostoli suoi, tutti, si riporteranno :
<.. questo frutto della vite ... lo berrò nuovo con voi ...> (Mt 26.29) .
Vi sono poi almeno due passi di Daniele e di Enoch, testi entrambi fondamentali per Gesù, che attestano questa
Naturale possibilità :
<..Enoch scrisse.. per coloro che verranno dopo di lui e osserveranno la Legge fino alla fine dei tempi :
voi aspettate gli ultimi giorni...aspettate finché il peccato sarà scomparso..>(EE CVIII.1)
<..tu (Daniele) va pure alla tua fine : ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni..>(Dn 12.13)
In queste parole infatti non si può vedere altro che l'invito, fatto ai giusti, di aspettare la “fine dei tempi e/o dei
giorni” ovvero la fine del lungo periodo di lacerazioni e distruzioni umane apocalitticamente viste e predette da
Daniele come da altri nel mondo antico tutto oltre che da Gesù e Giovanni, prima di riportarsi alla vita fisica: l'invito
ad evitare quei duri ed orribili tempi.
2/Rf ) Il secondo aspetto da sottolineare, aspetto legato a quanto sopra, è quello che nelle parole di Gesù non vi è
“condanna” nemmeno della pur “errata”, quando così nell'"errore dell'io-materialità" nasca, reincarnazione.
La reincarnazione in sé non è “male” e anche quella cercata dall' “io”, quella -errata- che Egli qui paventa, Gesù
sembra piuttosto vederla e mostrarla quale “necessità” oltre che, evidentemente, quale opportunità di correzione :
il “Regno” che Gesù invita a trovare, il portarsi ad essere Vivi, è -fisica condizione umana-, è “regno -in terracome in cielo” e non è quindi possibile, anche in queste Sue parole, vedere una condanna del “ritorno” ad una vita
fisica che, “deve” correggersi e portarsi ad essere “divina-edenica-regno”.
Per Gesù quindi la reincarnazione, pur compiuta in quell'errore, è divina possibilità e necessità al contempo, è strada
che pur nata in quell'errore, che -esso- è da condannare, può portare e servire al compiersi di quella “correzioneconversione-cambiamento di mentalità” che è il fine umano.
È strada di “possibile ma dura correzione”, secondo le Sue parole che vedremo più avanti sia su Giuda che, queste
più puntuali e specifiche, su Giona, ma strada che si intravvede anche in queste altre Sue parole :
d) anzitutto tale strada si intravvede in quelle parole, riportate nel IV vangelo, da Lui pronunciate in occasione della
guarigione del paralitico <..malato da trentotto anni..> avvenuta presso la piscina di Betzata o Betzaeta.
Incontrando questa persona dopo l'episodio della guarigione Gesù gli dice:
< Ecco che sei guarito, non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio >(Gv 5.14)
Con queste parole Gesù ci mostra -l'accadere-, qui le malattie fisiche ma certo anche -ogni altro- accadimento, quale
“karmico-armonico divino muovere” che è “il prodotto”, più ancora che “la conseguenza”, di “comportamenti ed
errori” qui nostri ma certo anche altrui, che tutti ci devono mostrare, fare capire e portarci -in vita- al “giudizioscelta-innalzamento”: Gesù ci mostra con quelle parole un accadere “prodotto” di quei “peccati” che sempre
seguono al solo vero peccato che è la nascita all' “io”.
E le malattie-accadere, dice qui Gesù, possono essere “prodotto”, di quell'unico peccato che si presenta produce e
mostra nel corso della vita ma anche, come potrebbe essere in questo caso in cui la malattia sofferta sembra esistere
dalla nascita o almeno da molto giovane età, quel “prodotto-malattia-accadere” potrà presentarsi e prodursi alla
reincarnazione a nuova vita.
Vedremo più avanti come Enoch, cui Gesù si lega, attesti questa prospettiva.
e) un altro passo che questo legame "malattie-peccato-errore" lo può attestare è il passo che ci riporta Marco del
paralitico cui sono rimessi i peccati e viene guarito.
In quell'episodio Gesù dapprima dice < Figlio, ti sono rimessi i peccati > e poi, rivolto al perplesso uditorio,
chiede :
< Che cosa è più facile dire al paralitico : “Ti sono rimessi i peccati ?” O dire “Alzati, prendi la tua barella e
cammina?”. Ora, affinché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, “Ti ordino
-disse al paralitico- alzati, prendi la tua barella e va a casa”..> (Mc 2.1-12 )
Gesù anche qui, come nell'episodio della piscina di Betzata, lega seppur qui più nascostamente, peccati-errare ed
infermità: con queste parole ed episodio Egli vuole affermare, dire e -mostrare-, che il -vedere e portarsi- alla
condizione di “Eletto-Figlio dell'uomo-Figlio di Dio”, alla universale-unica ed in-individuale condizione cui anche
Lui è pervenuto, permette e consente all'uomo, a ciascun uomo, sulla terra, di eliminare i peccati-errori come anche
le infermità-malanni che, anche non direttamente e linearmente, a quelli conseguono.
225
settima parte
Togliere i peccati-errori non è facile, dice Gesù, ma portatisi alla condizione di “Eletti-Figli” essi si tolgono e con
essi si possono togliere anche i malanni.
Gesù, è indubbio, aveva poteri speciali, aveva la facoltà di compiere miracoli, facoltà che nella storia altri avranno e
tutti, anche Gesù che come ci dice Pietro fece <..miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò ... per opera
sua..>(At 2.22), dicono chiaramente che -non sono loro- ad operare quei prodigi: quella facoltà e capacità qui servirà
a Gesù, ancora una volta, per fare -capire cosa è- il “Figlio dell'uomo-Figlio di Dio-Unto-Cristo” sin qui visto.
Faccio qui un piccolo inciso.
Per la Cristianità in questo passo gli interrogativi sono forti: se Gesù non giudica e se è solo al giudizio
finale che saranno giudicati i peccati, quel “sulla terra” e quella “remissione” non si spiegano: solo un
fideistico, non razionale e cieco affidarsi chiude quelle domande, come tantissime altre, ed è solo con una
lettura che contempli quanto qui visto e detto sul Gesù “diverso” che quel passo vede razionalità e si può
capire.
La credenza in una “reincarnazione” karmica-correttiva-peggiorativa era visione che certamente non
mancava nel giudaismo, era chiaramente dichiarata e sostenuta, come visto, dal contemporaneo di Gesù
Filone Alessandrino. Era certo anche discussa e messa in dubbio ma pure fortemente presa in
considerazione: questo ci dice la domanda rivolta a Gesù dagli stessi apostoli quando, incontrando il
cieco dalla nascita, gli chiedono: < chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco ? >(Gv
9.2) .
Ma è possibile, se pur senza certezze, vedere una forte credenza nella reincarnazione anche nelle parole
<..sei nato tutto nei peccati..>(Gv 9.34) pronunciate dai sacerdoti del Sinedrio allo stesso nato cieco che
Gesù aveva guarito. E a questo proposito come già detto non si spiega, se non in queste letture, come mai
Gesù non si sia mai sentito in dovere di contestare e parlare contro quella credenza forte e
indubbiamente anche larga.
Vedremo più avanti, nel capitolo su Giuda ma soprattutto in quello su Giona, altre parole di Gesù che
testimoniano che Egli pensava e vedeva un tale, karmico, reincarnativo-espiativo processo umano.
Da ultimo poi, e non ultimo, bisogna dire e sottolineare che Origene, come vedremo, sosterrà proprio la
reincarnazione karmico compensativa-correttiva e, con evidenza, non come sua personale visione ma
quale “dottrina di Gesù” .
Tra parentesi poi, su questo tema, anche l'insegnamento Orfico-Pitagorico sulla necessità di “fuggire dal
cerchio delle rinascite” è certo da vedere in questa luce: si vede una -necessità di fuggire- dal -bisogno
dell'“io”- di reincarnarsi, una necessità di fuggire una reincarnazione che, così cercata e voluta, può
solo portare a quel peggioramento di condizioni che vedono il fisico patire e la sofferenza dell'uomo .
Questo peraltro è quanto dice la dottrina dell'Induismo che vede nella casta degli intoccabili proprio chi
ha seguito un tale destino, una dottrina che oggi vede però, per me, assurde norme e regole sociali,
norme e regole che finiscono col confliggere con le Verità di quella stessa dottrina.
f) infine un importante passo che vuole visto, anticipando qui il più profondo esame che più oltre faremo sulle
parole che Gesù pronuncia, per Matteo, su Giona, è il seguente :
< Quando uno spirito immondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando sollievo,
ma non ne trova. Allora dice: “Ritornerò alla mia abitazione, da cui sono uscito.
E tornato la trova vuota, spazzata e adorna. Allora va, si prende sette altri spiriti peggiori
ed entra a prendervi dimora; e la nuova condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima.
Così avverrà anche a questa generazione perversa..>(Mt 12.43-45)
Molte qui sono le lacune e i mancati chiarimenti della lettura proposta dalla Cristianità: perché mai deve uscire,
dall'uomo in vita, lo spirito immondo e perché una volta uscito non trova che -luoghi aridi- che lo fanno soffrire
mentre la terra è dichiarata il regno del demonio?. Ma ancora perché al suo rientro in quella casa-uomo questa è certamente- spazzata ed adorna e perché infine quella nuova condizione dell'uomo -deve- diventare peggiore di
quella precedente ?. E infine, perché questo accadere deve essere per l'umanità-generazione, intera, che Gesù vede
quale <..perversa e adultera..>(Mt 12.39)?. Il passo invece diviene lineare e chiaro nella prospettiva della
reincarnazione che, nel caso sia fatta mantenendo poi lo stesso spirito “perverso ed adultero”, di "errore", diviene
sempre peggiorativa ovvero karmico-compensativa e correttiva.
Come detto all'inizio di questo capitolo Gesù dice della reincarnazione anche nella sua invettiva, da cui sono tratte le
parole sopra riportate, contro chi cercava da lui un "segno". Qui infatti, richiamandosi in Matteo al testo di Giona,
Gesù confermerà in modo per me definitivo la Sua, ma anche delle Scritture giacché è in Giona così Egli la vede
espressa, credenza nella possibilità-necessità della reincarnazione.
La dettagliata analisi di quelle parole e testo la vedremo come detto al capitolo su Giona, nella Undicesima Parte di
questi scritti. Qui anticipiamo unicamente il fatto che anche in quella occasione Gesù, parlando nella breve
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settima parte
parabola lì esposta di una <..nuova condizione di quell'uomo (che) diventa peggiore della prima..>(Mt 12.45),
conferma un "peggioramento" fisico e spirituale che è visto in chi, reincarnatosi, resta nell'errore.
3/Rf )
La terza riflessione è quella che, come dicevo, con queste analisi e lettura finisce per confermarsi
pienamente, aggiungendosi alle tante altre conferme qui viste, la “diversa” resurrezione insegnata da Gesù: la
“resurrezione-conversione-cambiamento di mentalità” -in corso di vita- .
Insegnamento che tutto il mondo antico ha sempre dato e “resurrezione-conversione” che Socrate accredita ai
“veri-autentici filosofi-amanti della Sapienza” ovvero a chi, inesistente in-sè per quella “morte-melete” cui “pochi
giungono”, ha saputo -portarsi- ad una “Sapienza” che è uno con il Vero, con il Logos-Principio, con l'Assoluto.
Una resurrezione-conversione “in vita” che ancora altre importanti parole di Gesù, vedremo in seguito, confermano.
4/Rf ) Gesù parla qui quindi della “reincarnazione” ma non si può negare il Suo scarsissimo dire su questo
argomento. Questo fatto forse non nasce solamente da quel tanto richiamato e generalizzato, per Gesù e per tutto il
mondo antico, “parlare nascosto” e per chi “ha orecchie”, delle Verità. Un'altra considerazione possiamo fare credo,
nel merito.
In ogni ambiente e cultura, quale l'ambiente Giudeo-farisaico cui Gesù si è rivolto, che sia stato formato sugli
insegnamenti dell' “io-da un Dio-creato”, dell' “io-separato”, parlare della possibilità, pur fuori dall'errore visto, di
reincarnarsi, può essere pericoloso.
Senza una adeguata preventiva preparazione sul “ritorno-resurrezionecambiamento di mentalità” necessario in vita, la reincarnazione è immediatamente vista quale “eternazione dell'iocreato” e così non fa che approfondire la “caduta e l'errore”.
Forse in questo si può vedere la causa della scarsità di Sue parole sulla reincarnazione.
5/Rf ) Una ultima considerazione infine si può fare : con questa lettura così piena e completa del passo di Gesù
oggi ricordato come "La resurrezione e i Sadducei", passo mai convintamente ed esaustivamente spiegato, si -riapre
pienamente- e per me anche -definitivamente si chiude-, la questione “Cristologica”: si rivede e si conferma così
pienamente la Verità del Gesù -uomo come tutti-, seppur speciale, che “in vita” si è portato a “condizione divina”, a
“figlio di Dio”, Verità che è stata a lungo all'interno della Chiesa sostenuta, studiata ed insegnata.
In linea con quanto sin qui visto infatti vari maestri cristiani dei primi secoli ed una importante scuola teologica,
quella di Antiochia, vedevano ed insegnavano Gesù quale “uomo come tutti gli altri” che si era portato in vita a
quella condizione “divina” che le Scritture, e Gesù, dichiarano essere condizione di "figli di Dio”.
Simbolo orfico della reincarnazione
227
228
ottava parte
OTTAVA PARTE
CHI HA ORECCHIE PER INTENDERE INTENDA
Dopo quanto sin qui visto sulle parole di Gesù in merito a “resurrezione e reincarnazione”, riprendiamo la lettura di
altri importanti passi dei Vangeli.
Sono passi per i quali non è facile, da subito, dalle prime letture, vedere i legami con il Gesù “diverso” qui
presentato ma sono passi problematici anche e soprattutto per la visione paolino-Cristiana. Alla fine essi però, in
questa “diversa” lettura, si vedranno finalmente pieni, luminosi e senza più alcun punto interrogativo: senza più i
forse e perché che invece, nella lettura Cristiana, essi mantengono. A questo molto di quanto seguirà nelle altre parti
di questi scritti è dedicato.
Quale premessa ai nuovi aspetti della incomprensione delle parole di Gesù che qui vedremo vorrei ritornare, per
approfondirlo, a quanto detto in introduzione alla terza parte sulla opportunità di scrivere ed anche forse di parlare
della possibile Verità. Il tentativo di spiegazione della ritrosia che tanti maestri nel corso del tempo, e tra essi anche
Gesù, hanno mantenuto nei confronti della comunicazione“scritta”, in particolare, delle Verità da essi viste e
percepite, vorrei allargarlo qui anche alla “parola”.
Una parola che da sola, senza l’aiuto della comunicazione sensibile e perciò lasciata unicamente allo “scritto” ad
esso evidentemente trasporta i propri limiti: limiti che quindi la parola contiene in nuce.
La parola ed il discorso hanno infatti insita in essi la “divisione”, la separazione-diabalein che sempre esse creano
con la necessità, legata alla loro comprensibilità “logica”, di avere il “soggetto”: soggetto che è “naturalmente ed
implicitamente separato e diviso”.
Questa caratteristica e limite è ciò che porta la parola, nel dire della Verità ultima, ad essere ambigua e fuorviante, ad
offuscare ed anche a nascondere la Verità stessa seppur giustamente affermata.
Come non ricordare anche le parole di Gesù che ancora ci invita a “sforzarci di capire” dicendo:
<Ascoltate e intendete… (è) quello che esce dalla bocca che rende impuro l’uomo.> (Mt.15.10,11)
e ancora nelle Scritture Giudaiche troviamo:
< molti periscono per colpa della lingua. Il suo giogo.. è di ferro e le sue catene sono….di bronzo >( Sir 28.18,20)
< ..la lingua dell'uomo è la sua rovina..>(Sir 5.13)
< saranno eliminati quanti, con la parola, rendono colpevoli gli altri..rovinano il giusto >( Is 29.21)
< la lingua è un fuoco, è il mondo della iniquità,…contamina tutto il corpo e incendia il corso della vita traendo la
sua fiamma dalla Genna… (essa) è piena di veleno mortale > (Gc 3.6)
< le parole sono “giuste”… per chi possiede la scienza >( Prv. 8.9)
< Signore... coloro che ti temono... li metti al sicuro... lontano dalla rissa delle lingue>(Sal 31.21)
Gesù dirà poi :
<(Io) parlo in parabole poiché...ascoltano e non capiscono>(Mt 13.13)
riprendendo le parole di Isaia e di Daniele che dicono:
“Ascolterete e non capirete (dice Jhwh)” >(Is 6.9) < (dice Jhwh)..queste parole sono nascoste e sigillate...
nessuno degli empi intenderà queste cose ma i saggi le intenderanno >(Dn 12.10)
Le parole di Isaia e Daniele che Gesù ripete ci dicono della -inevitabilità- del “non ascolto” e della “non
comprensione” della Verità da parte della umanità: un “non-ascolto non-comprensione” dichiarato nelle parole di
Profeti e Gesù per il mondo Giudaico ma visto anche in tanti altri maestri e culture del mondo antico e non solo.
Ciò che, implicito, consegue alla Verità di tale inevitabile “non comprensione” è il fatto che, come sempre era
raccomandato nelle antiche culture, si deve, serve ed è opportuno, parlare del Vero solo con “ chi già sa: quel dire
con certezza diviene deleterio poiché fuorviante per chi non sia già sulla strada della comprensione o non venga
adeguatamente preparato.
Come per tragica ironia infatti sarà su incomprese parole di Verità che l'errore dell' “io”, il “peccato” per Gesù, finirà
per rafforzarsi ed ingigantirsi: processo necessario e divino che, ci viene detto e vedremo, dolorosamente infine
porterà alla comprensione del Vero.
Per Gesù e per i Profeti, abbiamo visto, della parola si deve diffidare poiché essa rischia di consolidarci nell'errore,
rischia di continuare a velare e nascondere, per i propri limiti, quel “cuore” nostra “essenza spirituale” che
dobbiamo ritrovare ed “ascoltare” e che invece, con la parola, sarà inascoltato, soggiogato ed incatenato.
La pericolosità del dire della Verità senza avere “iniziato-preparato” chi ascolta è testimoniata, come abbiamo visto,
in tutto il mondo antico. Ed è una pericolosità che può essere veramente altissima !.
Questi limiti della “parola” e del “discorso logico” evidentemente si accentuano e si marcano nelle rigidità dello
scritto ed è per questa consapevolezza che si consoliderà una grande tradizione filosofico-spirituale che vietava lo
229
ottava parte
scrivere della Verità: così farà Socrate, così Gesù, così faranno per molti secoli, prima e dopo la nascita di Gesù,
grandi pensatori, sacerdoti e filosofi, così faranno molto più recentemente vari iniziati della Cabala Ebraica .
Sullo “scritto” drammaticamente dicono anche i testi di Enoch che vedono come “conseguenza” dello scritto la
morte spirituale e fisica dell’uomo :
< tra gli angeli che hanno rovinato gli uomini uno insegnò all’umanità a scrivere con carta e inchiostro
e di conseguenza molti peccarono nel corso dei secoli…., a causa di queste loro conoscenze, l’uomo sta morendo.>
( EE LXIX.9,11)
Sarà solo partendo dal “cuore-anima”, solo con il suo ascolto, con la sua apertura, che anche la parola e lo scritto
potranno a fondo servire anziché fuorviare. Già in Enoch Etiopico XIV,2 veniva ricordato che gli uomini hanno :
“ lingua di carne…per parlare…(ma devono) comprendere con il cuore.”
Anche Gesù diceva di questo quando inveiva nei suoi discorsi contro < ciechi e sordi > di cuore, contro gli < stolti >
e contro gli < scribi > che portano all'errore con parole che “contaminano”.
E gli occhi che, per Gesù, bisogna aprire, sono gli stessi che per Omero servono a quel “sapere superiore-saggezza”
che egli chiama < noein >: avere “noein” è infatti per lui il <..vedere con gli occhi..>, con gli occhi del “cuore
invisibile-anima” che, essi unicamente, possono “vedere-capire e dare certezza” all'uomo sulla Verità e portalo
quindi, con una “razionalità” lontana dalla “cieca-irrazionale speranza”, a contemplare-capire “passato, presente e
futuro” assieme: il Vero che tutto è e comprende.
Ecco allora che quelle strane ed improbabili moltitudini di “ciechi” e di “malati” che Gesù incontra, verosimilmente
sono i “ciechi, malati e prigionieri nel cuore e nello spirito”.
Sono queste persone che Egli è venuto a cercare di “liberare” e “guarire”, come Lui stesso dice, -ripetendo- ciò che
anche Isaia diceva di sé stesso:
< ..Jhwh....mi ha mandato…per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà
gli oppressi > (Lc. 4.17,18-Is 61.1,2)
< ..strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino, guarite gli infermi, resuscitate i morti, sanate i lebbrosi,
cacciate i demoni >(Mt 10.7,8)
< C'erano...donne..guarite da spiriti cattivi e infermità..>(Lc 8.2)
In queste parole non vi è nessun riferimento ad alcunché di materiale, ciechi, prigionieri, oppressi, infermi, morti e
lebbrosi anche per Gesù come per Isaia sono l'umanità prigioniera dell' “io”, prigioniera della separazione-demonio
ed il “regno vicino” è l'uscita da quella condizione: uscita vicina-a portata di mano.
Gli “occhi ed orecchie” che si devono avere e trovare sono quelle che ci fanno capire che Gesù nella sinagoga,
insegnando a “capire” la Torah, subito dopo avere letto Isaia che dice :
<..Jhwh....mi ha mandato…per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà
gli oppressi > (Lc. 4.17,18),
potrà aggiungere :
< Oggi si è adempiuta questa Scrittura..>(Lc 4.21)
Sono “occhi e orecchie” che ci fanno capire che quella affermazione chiunque, in “quell'oggi” in cui sappia portarsi
alla stessa “risuscitata condizione” di Gesù, potrà arrivare a “dire” .
Gesù, ormai universale ed archetipale Unto-Messia, Logos-Verbo di Verità, messaggero come tanti altri, in -quel
momento- infatti in cui cercava di “liberare prigionieri ed oppressi nell'anima” e di “dare la vista a ciechi di cuore”
ha adempiuto, come altri prima e dopo di Lui, a quelle parole.
E con quegli “occhi ed orecchie” si saprà anche che chiunque in quella stessa archetipale “condizione” constati che
chi lo ascolta “pur vedendo non vede e pur udendo non ode” potrà dire come Gesù :
<...si adempie per loro la profezia di Isaia che dice:
“Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete, ma non vedrete >(Mt 13.14)
Nei capitoli che qui seguiranno, ancora ed in modo particolare, servirà aprire occhi ed orecchie di quel “cuoreanima” che unicamente lui può farci capire.
LA MISERICORDIA
Un importante tema, concetto e Verità, che Gesù tocca e di cui dice, sempre a modo suo ovvero per chi ha orecchie
per capire, è quello della “misericordia”. Anche qui sarebbe bello conoscere la esatta espressione usata da Gesù, le
traduzioni forse anche qui non ci hanno molto aiutato ma con attenzione e con la volontà di un “ libero cercare” che
mai deve mancare, si arriva comunque a capirne il vero significato.
Diceva Gesù ai farisei, di tutti i tempi, che non hanno capito le Scritture:
230
ottava parte
< Andate...ed imparate cosa significhi: “misericordia io voglio e non sacrificio” >(Mt 9.13)
< Se aveste compreso cosa significa: “misericordia io voglio e non sacrificio”,
non avreste condannato individui senza colpa >(Mt 12.7)
La “misericordia” da “capire” di Gesù è una “misero-cordia” che per le parole di Gesù “contrasta” con il
“sacrificio-martirio personale” che, come visto, Egli condanna.
É una misericordia cioè che nasce all'opposto di dove nasce questo “sacrificio” ma questo resterà incompreso e
quella incomprensione porterà al rovesciamento di quanto suggerito da Gesù.
La “misericordia” di Gesù per la Cristianità sarà infatti il “sacrificio-martirio personale” !. Essa dice:
< Gesù richiama le parole del profeta Osea:
“misericordia io voglio e non sacrificio”...l'unico sacrificio perfetto è quello di Cristo...
unendoci al suo sacrificio, possiamo fare della nostra vita un sacrificio a Dio >(CCC 2100)
< Le opere di misericordia sono le azioni caritatevoli...>(CCC 2447)
La totale incomprensione e rovesciamento di quanto ci dice Gesù si mette in evidenza anche con le Sue parole che
dicono che “senza” la “misericordia” di cui Lui dice si arriva a < condannare individui senza colpa > e certo senza
le < azioni caritatevoli > della “misericordia Cristiano-paolina” non si arriva a “condannare” alcuno.
Totale incomprensione di Gesù appunto.
La profondissima < misericordia > di Osea che Gesù cita anche qui senza volere dire nulla di “nuovo”, quella
“misero-cordia” o “modestia-umiltà di cuore” che altro non è che l' < abbassarsi di vento > delle parole di Gesù,
concetto che solo parla della mancanza dell' “io”, dalla Cristianità sarà trasformato in materiali <..azioni
caritatevoli..> -proprie di quell' “io”- che Gesù invece invita a togliere.
Si danno così “precetti” che, pur non biasimevoli in sé giacché il bene fatto al prossimo bisognoso non è certo di per
sé un male, se “non al fondo spiegati”, se solo norma e precetto appunto, confondono e finiscono col lasciare
nell'errore, portano anzi a rafforzarlo ed anche, con facilità, a quell'errore portano chi in esso non sia.
Si “raccomanda” così infatti, pur nascostamente, quel “sacrificio personale” che Gesù condanna severamente ai
Farisei, quel sacrificio che può far nascere l' “errore dell'io”, quel sacrificio, e non olocauto, falsamente ed
ipocritamente -cercato dall' “io”- che unicamente serve il rafforzamento di quell'errore: totale antitesi della “ miserocordia” cui Egli invita.
La “misero-cordia” di Gesù è quella che nasce, che si “incontra” e si “trova”, quando si abbandona l'”io” per
“ritornare”, servo, all'Assoluto, ed è la stessa di cui parlano le Scritture Giudaiche non solo in Osea:
< Jhwh: egli annuncia la pace...per chi ritorna a lui con tutto il suo cuore...
misericordia e Verità si incontreranno >(Sal 84.9,11)
< Chi “segue” la giustizia e la misericordia troverà Vita e Gloria >(Prv 21.21)
Misericordia e Verità, dice il passo di Salmi, si < incontrano > poiché sono della stessa natura, sono nella
“sostanza” uguali e sono il “Dio-Misericordioso” tanto citato nelle Scritture.
Essa non è “azione” che si “compie”, dicono i Proverbi, ma sentimento che vuole < seguito > e perseguito al pari di
quella “giustizia” che vede il “giusto-giunto a Dio”: in quel momento si <..trova la Vita e la Gloria..>, l'Eternità
dell'Assoluto, lo Splendente-Glorioso punto di arrivo.
Lontano da tutto questo è ciò che invece vede oggi la Cristianità, ciò che vedeva, uguale, farisaicamente Paolo.
Del legame tra Paolo e la Cristianità parlerò approfonditamente più avanti, qui però vorrei sottolineare una traccia
importante e trascurata della “misericordia” di cui qui ho appena detto, traccia che si trova nel solo documento che
abbiamo di Giacomo, apostolo che con Gesù ha a lungo vissuto contrariamente a Paolo:
< La Sapienza che viene dall'alto è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia...>
< La sapienza che non viene dall'alto: è terrena, carnale, diabolica >(Gc 3.15,17)
Anche qui si vede la “misero-cordia” umiltà di cuore-abbassamento di vento che ha la natura della divina e nobile
mitezza e con-prensione, “misero-cordia” che nasce all'opposto, dall'alto e non dalla terra e dalla carne, di ciò che
vede e porta con sé la “diabolica separazione” nell' “io”.
Anche per Giacomo quindi è ben altro la “misericordia” rispetto al “precetto” di “terrene” <..“opere e azioni”
caritatevoli..> (CCC 2447); opere e azioni “sante” in sé ma che si trasformano in “errore mortale” quando compiute
dall' “io”, separato e separatore, diabolico.
E, con riferimento alle pur sante "opere e azioni caritatevoli", oggi troppo confuse con la "misericordia" insegnata
da Gesù e divenute anzi quasi il principale Suo insegnamento, non si può non vedere e ricordare che Gesù, con le
parabole "Di Lazzaro e del ricco epulone" e "Del buon samaritano", invita ad essere caritatevoli e aiutare chi,
bisognoso, -bussa alla nostra porta- oppure -troviamo sulla nostra strada-.
L'opera di Gesù non ha infatti riguardato direttamente il materiale-sociale, niente di ciò vi è in quel <.. i ciechi
riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è
annunziata la buona novella..>(Lc 7.22) con cui Egli stesso definisce la sua opera.
Sono infatti “ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi e morti -sprituali-”, quelli che Gesù dice di guarire e sono i “poveri di
spirito-abbassati vento” coloro ai quali Egli annuncia la buona novella della loro “gloria”.
231
ottava parte
In Gesù è piuttosto marginale e secondario l'insegnamento della "carità" materiale: è con Paolo, è per le sue parole
che questa diverrà, in modo errato, fondante ad una cristianità che così ha perso Gesù. Dirà infatti Paolo:
<..tre le cose che rimangono, la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di tutte è la carità..>(1Cor 13.13).
LA EKKLESIA DI GESÙ
Una complessa, molto discussa e mai esaustivamente chiarita questione è quella della “volontà” di Gesù di fondare
una “Chiesa Corporale”, così specificata da Paolo e dalla Chiesa Cattolica:
<.. il corpo (di Cristo)..è la Chiesa..>(Col 1.24)
< La Chiesa è il Corpo di Cristo. ..Cristo, morto e risorto, costituisce la comunità dei credenti >(CCC 805)
Inizierò questo approfondimento e analisi partendo dall'imprescindibile “filo a piombo” delle parole che Gesù,
citando Isaia, così rivolge a “scribi e farisei”:
< Avete annullato la parola di Dio in nome della vostra “tradizione”
,...insegnando dottrine che sono precetti di uomini > (Mt 15.6)
Vedere in queste parole, come fa la Cristianità, unicamente una critica ad imprecisate“norme e precetti” e non
leggere che queste accuse vanno ben oltre gli Scribi-Insegnanti religiosi giudaici del suo tempo è, a mio avviso,
leggere con colpevole cecità. Gesù in questo passo ci dice una doppia Verità :
– da un lato Egli così mostra la Sua contrarietà alle “istituzioni religiose” tutte e di ogni tempo: esse, sottende
Gesù, organizzazioni umane che vivono di “riti-formule-tradizioni” si portano così a sostituirsi alla voce divina,
si portano ad <..annullare..> la Ruah-Spirito Santa che a tutti parla ed il Logos-Verbo-Parola divino che è in
ognuno”. La loro dottrina quindi resta sterile, resta “norme e precetti” e così, senza l’ascolto della Viva Parola
divina, che le religioni <..annullano..> dice Gesù, l’uomo resta in condizione di “caduta”, resta uomo materiale,
“io-materialità”.
– dall'altro lato però Gesù ci dice anche, come già visto, che i “dieci comandamenti”, che sono certamente insegnamento dottrinale- degli “Scribi-Insegnanti farisei” da Lui accusati e messi in guardia con quel suo duro
iniziale <..Guai a Voi..>, senza la necessaria profondità di comprensione si trasformano anch'essi in semplici
prescrizioni, “precetti” di “uomini-adam” che restani “caduti-morti”, morti allo Spirito. Tutto, poi, secondo
quanto già era visto e detto secoli prima nei testi di Enoch:
<..una “legge” sarà data.. e sarà…come una prigione..> (EE.XCIII.6).
La Cristianità non saprà vedere che dietro e prima di quegli “irrilevanti precetti” che essa erratamente vede
condannati, Gesù condanna la “dottrina” che porta ad essere tali perfino i dieci comandamenti: la farisaicoseparatrice comprensione di Legge e Profeti, una non comprensione che stravolge gli insegnamenti di Verità di quei
testi.
L'uomo dalle -religioni dell' “io creato”-, dagli “scribi e farisei-separatori di tutti i tempi”, è, nonostante parole
“apparentemente” opposte, invitato a “separarsi-diabolicamente” dal prossimo, ad ingigantire il “proprio io” e così
a non ascoltare la “voce” Ruah Santa di Jhwh della loro “coscienza innocente”, ovvero non contaminata dall'“io”: la
loro coscienza “Kalos-onesta” dicevano gli Stoici.
Voce che, abbiamo visto, sapranno ascoltare le figure simbolo di “Abramo, Isacco e Giacobbe”, “voce di Dio” cui
nessuna intermediazione è possibile e “voce” che così invece viene soffocata da quegli errati insegnamenti.
Gesù con quelle parole rivolte a Scribi e Farisei separatori vuole condannare coloro che pretendono, in tutti i tempi,
di “parlare e di porsi” < sulla cattedra di Mosè > ovvero “al posto” di colui che, per il popolo giudaico, ha invitato
unicamente ad “ascoltare” un Unto-Figlio-Logos-Verbo-Parola che unicamente Lui è “insegnante” per l'uomo:
< Gesù si rivolse alla folla..dicendo:
“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti Scribi e Farisei...amano..sentirsi chiamare – maestro ..Ma uno solo è il vostro maestro, l'Unto-Cristo (Figlio-Logos ndr) > (Mt 23.1,2-8,9)
e che sia -solo- l'insegnamento-ascolto del “divino” ciò che deve istruire ed innalzare l'uomo, è ben confermato
anche in molti altri passi :
<..a quanti lo hanno accolto, (il Logos) ha dato il potere di diventare Figli di Dio..>(Gv 1.12)
< “E il Signore ci ha fatto uscire dall'Egitto..” (Deut 26.8): non per mezzo di un angelo.. non per mezzo di un
inviato (salva ndr)...ma da sé stesso..>(Haggadah di Pasqua)
< Lo Spirito santo che invierà il Padre nel mio nome vi insegnerà ogni cosa..>(Gv 14.26)
Gesù condanna quindi tutti coloro che, in ambito “morale”, danno -regole- insegnando così una Legge, un Assoluto,
Jhwh, che proprio “per” questa loro pretesa non possono avere a fondo compreso.
232
ottava parte
Sappiamo che faro per Gesù sono anche i Profeti, ce lo ricorda anche Pietro : < ...tenete a mente le parole dette dai
santi profeti..>(2Pt 3.2) <..(alle) parole dei profeti...volgete attenzione, come a lampada che brilla in luogo
oscuro...> (2Pt 1.19) e tra questi Ezechiele è, per il suo uso della immagine-figura del “figlio dell'uomo-adam” tra i
più importanti. Ma Ezechiele fa dire a Jhwh :
< Eccomi contro i pastori : ..non li lascerò più pascolare il mio gregge...non pasceranno più sé stessi,..le mie pecore
non saranno più il loro pasto... Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura...
susciterò per loro Davide mio Servo ...egli sarà il loro pastore...sarà principe in mezzo a loro..>(Ez 34.10-25)
Queste parole sono contro ogni “organizzazione religiosa” e contro ogni “umano vicariato”, è unicamente il MessiaSignore di Davide e di tutti gli uomini, è il Figlio che è sua destra, dice Jhwh come ha insegnato Gesù per le parole
di Marco (Mc 12.35,36), che sarà pastore e principe della umanità, e non è possibile che Gesù, che appunto per
questo tuonava contro gli Scribi-insegnanti religiosi del suo tempo, pensasse di fondare una religione.
Ma la analisi della supposta “volontà” di Gesù di fondare una Chiesa non può certo prescindere dal considerare le
frasi di Gesù nelle quali la Cristianità vede appunto questa volontà.
La principale è quella in Mt 16.15ss di cui dirò più sotto, un'altra è quella di Gv 21.15ss che farò seguire ma da
vedere sono anche le frasi di Mt 28.19 e Mc 16.15 con la quale inizio.
--- Mc 16.15
Partirò dalla frase che a mio avviso è la meno determinante, quella in cui secondo Marco Gesù dice:
< Andate in tutto il mondo...>(Mc 16.15),
essa infatti perde enormemente forza, e addirittura è quasi messa in dubbio, dall'altra frase del vangelo di Matteo in
cui Gesù dice :
< Non andate tra i Pagani e ..(i) Samaritani, rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele >
(Mt 10.5,6)
La vita di Gesù, ho già detto, è tutta rivolta a correggere gli errori dei Giudei, o meglio quelli dei Sadducei e dei
Farisei nulla Egli avendo pronunciato contro i Giudeo Esseni, ed è quindi verosimile che anche ai suoi discepoli Egli
abbia voluto “soprattutto”, e forse unicamente, suggerire quanto “aveva fatto Lui”.
Certamente le Sue sono Verità universali, se pur già largamente viste, ma le probabilità che agli apostoli Egli abbia
dato un compito “universale” -lontano- da quello che è stato il compito e la missione della Sua vita, tutta rivolta al
mondo Giudeo farisaico del 2° Tempio sono, se pur possibili, a mio avviso piuttosto scarse. In ogni caso anche le
frasi ora citate, contrastanti, non ci danno certezza di alcuna Sua volontà di “fondare” una religione.
--- Mt 16.15 ss
La frase quindi, e l'episodio, fondamentale da cui ricavare quella “presunta” volontà di Gesù resta questa:
<(Gesù) disse loro: “Voi chi dite che io sia? ”
Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Messia, il figlio del Dio Vivente”. E Gesù:
“Beato te Simone..., poiché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato ma il Padre mio
che è nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” >(Mt 16.15-18)
Ora, bisogna chiedersi, quale era quella “pietra” sulla quale Gesù dice che “fonderà” la Sua Chiesa-Dottrina ed
anche cosa sia Chiesa. Chiesa, o meglio la parola greca da cui nasce tale traduzione ovvero “Ekklesìa”,
etimologicamente è “richiamo-invito” !. Solo in senso traslato e secondario, in Grecia, indicherà la “assembleariunione” pubblica che a seguito del “richiamo-invito-ekklesìa” aveva poi luogo, “assemblea” che più propriamente
era a Sparta “apella”, nelle città doriche “alia” e in altre città “agorà” qui prendendo nome dalla “piazza” in cui
essa si teneva. “Pietra” invece, per tutto il mondo antico ed anche per quelle Scritture cui sempre Gesù si riferisce,
è simbolo, con le “steli”, i “tabernacoli” ecc., dell'Assoluto come Verità Eterna: Verità eterna che la pietra
simbolicamente appunto ricorda.
Pietra è la Verità che Gesù cerca di insegnare e “pietra-verità” sono per Lui le “Sue parole” : in un'altra occasione
questo allegorico dire è testimoniato da parte di Gesù :
< ..se diventate miei discepoli a ascolterete le mie parole, queste -pietre- vi serviranno..>
(vangelo di G.D.Tommaso l.19)
Questo passo infatti solo in questa lettura e traduzione trova razionalità e comprensione : è per questo che tra i vari
traduttori di quel vangelo c'è chi riporta il termine “pietre” originale del testo copto con un “parole”, di Verità, di cui
il “pietre” è simbolo ed allegoria.
La Cristianità dirà che Gesù invece decreterà “pietra” un Simone che già da tempo, ci sembrano dire i Vangeli, era
chiamato Pietro: non vi è perciò certezza che sia da tale presunta assunzione che egli assume quel soprannome.
Essa, sappiamo, ha visto in questa frase la elezione a “capo” di una mai esplicitata “Sua” Chiesa l'uomo Simone,
Cefa-Pietro, il pescatore < senza istruzione e popolano >(At 4.13) che più degli altri apostoli “fatica a capire” le
parole di Gesù : non vuole dimenticato che anche “dopo questo episodio”, verso la fine dei suoi giorni, Gesù dovrà
apostrofarlo con un severissimo e duro:
< Via da me Satana ...>(Mt 16.23)
233
ottava parte
Ben strana questa Cristiana interpretazione della frase di Gesù, una interpretazione che vede la “elezione” di un
Pietro che -dopo quella presunta elezione- sarà da Gesù allontanato come Satana.
Ricordiamo poi che Pietro, alla morte di Gesù, non sembra godere di quella “esclusiva e speciale” considerazione
che una “elezione diretta di Gesù” come vista dalla Cristianità imporrebbe: in Gerusalemme, ci dirà Paolo, tra gli
apostoli:
< Giacomo, Cefa e Giovanni (sono) ritenuti le colonne >(Gal 2.9)
Si tratterebbe quindi di una “elezione” a “capo” non vista o riconosciuta dagli Apostoli, ben strano !.
Vorrei trascurare se possibile l'argomento, messo in campo dalla Cristianità, del soprannome di Simone: Cefa=pietra,
durezza-aridità pietrosa, poi portato a Pietro: a chi insiste nel vedere in questo una supposta investitura a “capomassima autorità” della nascente “solida” Chiesa-organizzazione religiosa, vorrei riferire di ciò che, non sollecitato,
volle dirmi quel vero “servo di Dio” che è stato Don Fortunato Provvisorio. Mi disse:
“ Ma quale Pietro e Pietro! Quel soprannome gli è stato dato perché era “duro di testa”, perché aveva una “testa di
pietra”: perché era un “testone” !.
Naturalmente, allora, a quelle parole sbigottii ma quelle parole le ho viste confermate, molto tardi, da R.Pesch nel
suo “Simon Pietro, Storia e..” dove sottolinea : <..secondo Marco quell'appellativo è stato dato da Gesù..come
anche è stato per i figli di Zebedeo per i quali senza dubbio l'appellativo sottolinea un loro singolare tratto
caratteriale..>. Pesch si domanda se <..possiamo dire che analogamente sia stato per Simone ?..> e a questa
domanda si può aggiungere la considerazione che sempre gli appellativi sono nati e sono stati dati richiamandosi a
tratti caratteristici dell'interessato. Ma molto altro più oltre, sulla figura di Pietro e quindi anche sulla supposizione
che il suo soprannome indichi una investitura, vedremo.
Restando nel merito alla fondamentale frase di Matteo sopra riportata, essa è frase la cui corretta lettura è, non solo
per me, molto distante da quella Cristiana: Gesù infatti con quelle parole dichiara <..Pietra..>, “Verità”, non già
Simone detto Pietro ma ciò che Egli, Gesù, ha appena detto: le Sue parole ovvero la Sua sottolineatura a quanto
detto da Simone:
“...né la carne né il sangue te lo hanno rivelato ma il Padre mio
che è nei cieli. E io ti dico: ….su questa pietra-verità edificherò il mio invito-urlo-ekklesia-insegnamento ...”
Pietro ha appena detto che Gesù è “..Messia..(e) figlio di Dio..”: egli ha quindi dichiarato che Gesù vive quella
“Messianicità” e quella condizione di “Figlio di Dio” o “Figlio dell'adam resuscitato” che fin qui abbiamo visto e
Gesù gli risponde affermando che questo egli, Pietro, lo ha detto perché ha saputo qui uscire da un “io” che sempre
condiziona l'uomo ed ha così ascoltato quella “Voce-Ruah-Vento Santo” che è Assoluto, il Padre che parla in noi
nella “coscienza-cuore”: Verità-richiamo-urlo-ekklesia, questa, sulla quale, dice Gesù, si fonda il suo
insegnamento.
Simon Pietro qui è per Gesù “esempio” di coloro che sanno “ascoltare l'Assoluto e non la < carne o il sangue >: in
questo frangente egli è la dimostrazione della Verità che l'Assoluto “parla” all'uomo quando egli riesce a non
“sentire” né la “carne-materia” né il “sangue-anima nefesh”, l'anima allo stadio inferiore.
Simon Pietro qui è “esempio” anche di chi è in quella “umiltà” che è la “semplicità-innocenza” di chi non “si
sente” -io sapiente o intelligente- :
< Ti benedico o Padre.. perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti >(Mt 11.25)
Gesù qui dichiara lontani da Dio i “sapienti” di sapienza che viene dal basso e gli “intelligenti” ed anche la Sua
frase nei confronti del “semplice” Simone vuole sottolineare il fatto che per Gesù solo nella “semplicità di cuore”,
solo nella umiltà senza alcun “io-sapiente-intelligente” vi è la “possibilità dell'ascolto di Dio che Si rivela”.
Ed è questa la “Pietra-Verità” sulla quale Egli dice di fondare il Suo “richiamo-invito-ekklesia” di “conversionecambiamento di mentalità”.
Ma assieme a questa Verità-Pietra, “ekklesia-richiamo-grido-declamazione” di Gesù vediamo anche, in quelle
parole, una conferma implicita, giacché non la smentisce, della affermazione di Pietro: Gesù quindi -si sentiva
giunto- alla condizione di “Messia-Unto-Cristo”, di Figlio di Dio.
Nonostante questo Gesù però, rispondendo alla affermazione di Simon Pietro, non intende affatto sottolineare la
dichiarazione che Egli è “Messia e figlio di Dio” né tanto meno Egli pensa ad alcun “Unigenito Figlio Uno e Trino”.
Gesù non dice a Simone “bravo, hai capito chi sono”: gli dice “beato te” poiché le giuste parole da lui pronunciate
le ha sapute ascoltare dal Padre, dal Dio che “parla all'uomo” : è per questo che Pietro in quella occasione è in una
condizione “beata”, dice Gesù.
Il “richiamo-invito-grido-declamazione”, Ekklesia, di Gesù, Egli ci dice con quelle parole, è quello dell'invito all'
“innocenza-assenza dell'io” che permette l'ascolto dell'Assoluto.
Nulla a che vedere con quella “Chiesa organizzazione religiosa”, Chiesa Corporale qui vista dalla Cristianità, Chiesa
lontanissima dalla spiritualità di questo messaggio di Gesù.
Ed è agli “umili di cuore”, agli “abbassati di vento-servi”, ovvero a tutti coloro che, come Pietro in quel momento,
in una coscienza “innocente-onesta” e senza “alcun io”, “servi”, riescono ad “ascoltare l'Assoluto” che Gesù dirà
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ottava parte
che tutto ciò che “in-ad essi” sulla terra essi “legheranno-uniranno” sarà anche nei cieli, nell'Assoluto, “legatouno”, mentre ciò che “in-da essi” sarà “sciolto-separato” resterà lontano anche dal Dio-Uno.
È a tutti costoro, a tutti gli “umili-abbassati di vento-servi” che in quel momento Pietro rappresenta, che Gesù
“riconosce”, e simbolicamente consegna ancora una volta rifacendosi ad una Verità delle Scritture ovvero ad Isaia,
una “chiave” che di quella loro “divina impronta-facoltà” dice :
< (Gesù :) A te darò la chiave del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra
sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli >(Mt 16.19)
Il tema della “chiave” è con evidenza da Gesù ripreso dalle scritture:
< (Jhwh :)...chiamerò il mio servo...gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide;
se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude , nessuno potrà aprire..>(Isaia 22.20-22)
Ma quell' <..a te darò...> non ha nulla di “esclusivo” per Gesù come è per Isaia e per le Scritture tutte : essa è di
chiunque è “servo figlio di Davide” e tutti questi hanno quella stessa “chiave-accesso” al Regno, la chiave che
“legando e unendo” apre alla condizione di “regno”:
< ..Veramente vi dico: “Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo e tutto quello che
scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo..> (Mt 18.18)
Pietro quindi non è qui “eletto” ad alcun ché : la frase da lui pronunciata è utilizzata da Gesù solamente per dire di
una Verità profondissima, la Verità che quando si crea “legame-unione” -nella- “servitù”, ovvero fuori da ogni “io”,
si ha accesso al Regno essendo nella “in-individuale, universale ed archetipale” condizione di Figli di Dio.
Della condizione-capacità di “legare-unire” dicono le parole, sotto riportate, che subito seguono quelle sopra citate
di Mt 18.18:
< ..perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro ..> (Mt 18.20)
Essere “riuniti nel Suo -del Figlio- nome” è infatti l'unirsi senza “io personale” ed è in quel momento che si “crea
Figlio, che si “crea Spirito” , è in quel momento che avviene la “meraviglia delle meraviglie” :
<..se lo Spirito nasce dalla carne è la meraviglia delle meraviglie..> (VdT 29)
<..se saprete trasformare il due in uno, diventerete figli dell'adam (diventerete me stesso ndr)..> (VdT 106)
--- Gv 21.15 sg
Passo ora ad analizzare un altro discorso di Gesù che per la Cristianità è costituzione di un “primato” che
implicherebbe la volontà, pur inespressa da parte Gesù, di “fondare” una Chiesa Corporale : discorso riportato nel
vangelo di Giovanni. A commento di tale passo la Cei scrive che in esso si trova il :
< conferimento a Pietro del primato promessogli in Mt 16.17-19, dopo che il discepolo
ha riparato al triplice rinnegamento durante la passione con una triplice profferta d'amore >.
Non si vede però in quei passi nulla del genere ed anzi, ad una libera e profonda lettura, non vi si trova altro che una
“previsione” -sostanzialmente opposta-.
Riporto ora le righe più significative di questo passo, episodio verificatosi nel periodo di “apparizione” di Gesù dopo
la sua morte:
< ..sul mare di Tiberiade...si trovavano assieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo
(ed altri cinque ) discepoli. (Andarono a pescare).. ma in quella notte non presero nulla. ..all'alba Gesù si presentò
sulla riva, ma i discepoli non si accorsero che era Gesù...disse loro “gettate la rete..dalla parte destra... La
gettarono e non potevano tirarla per la gran quantità di pesci..Allora quel discepolo che Gesù amava disse a
Pietro: “E' il Signore” ..
Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro:“Simone..mi ami tu.?”
Gli rispose: “Certo, Signore..”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo: “Simone..mi ami ?”
Gli rispose: “Certo, Signore..” Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”.
Gli disse per la terza volta: “Simone, mi ami ?” Simone...gli disse: “..tu sai che ti amo”.
Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle. In verità in verità ti dico:
quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue
mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” >(Gv 21.1-18)
Queste parole di Gesù non dicono di alcun “conferimento o conferma” : Gesù con quella triplice richiesta e quel
triplice invito a < pascere le sue pecorelle >, vuole “allertare” Simone:
Gesù sa che così non sarà, sa che Pietro non pascerà per Lui !.
Ma Simone “non capisce” e Gesù allora, se pur nascostamente come sempre, così meglio gli precisa il motivo di
quel suo insistente invito :
dirà Gesù a Simone che fino ad allora, < da giovane > egli, < da solo > senza che altri intervenisse ha saputo
formarsi ovvero <..cingersi le vesti..>, ha saputo cercare e seguire in libertà la propria “strada spirituale”, ha saputo
cioè < andare dove voleva > ma più avanti nel tempo, < quando sarà vecchio >, egli “ascolterà altri”, < tenderà le
235
ottava parte
mani > e < un altro > lo “formerà e condizionerà mentalmente”, < gli cingerà la veste >, portandolo a “vedere, dire
e fare ciò che egli al fondo non vuole” : < ti porterà dove tu non vuoi > sono le parole di Gesù.
Con quella frase Gesù dice di ciò che accadrà ad un Pietro che non riuscirà, nonostante quella triplice invocazione e
nonostante quella allerta, a non farsi portare “lontano” da ciò che sapeva a volte essere <..da giovane..>, lontano da
quella “innocenza” che gli aveva permesso nella occasione sopra citata di ascoltare la voce del Padre.
Sarà Paolo colui che < da vecchio .. gli cingerà la veste >, colui che lo porterà dove voleva lui e non dove avrebbe
voluto andare Pietro : sarà Paolo che “si servirà” del <..popolano e senza istruzione..> Pietro come ci confermano,
vedremo più avanti, importanti “cristiani” documenti.
Non di “conferimento di primati” o “elezioni a capo di Chiese” si legge nelle righe di Giovanni ma piuttosto della
“allerta e previsione” di un “accadere” che vedrà la “semplicità di cuore” e la “umiltà d'animo” di Pietro portate ad
altro, “vestite di altro” e da altri.
Il tema allegorico di “vesti-foglie di fico-nudità” in cui nascono queste parole di Gesù, tema in queste pagine ben
visto, tema di Scritture e non solo, conferma in pieno la lettura ora fatta.
Faccio notare poi un altro particolare significativo : in questo episodio è sottolineata per “ben tre volte” la presenza
“assieme” a Gesù, Pietro ed altri, del < discepolo che Gesù amava >.
Ora a me sembra strano che Gesù abbia qui potuto “conferire un primato” al discepolo che, pur apprezzato per
quelle “vesti-umiltà d'animo” che “da solo, e da giovane” ha saputo mettersi, Egli aveva poco prima allontanato da
sé con quel durissimo < via da me Satana >.
Ben più comprensibile e logico sarebbe stato dare quel primato al discepolo < che amava >.
Ma anche l'enigmatico prosieguo di quel discorso di Gesù non fa che confermare quanto sin qui visto:
< ... detto questo (Gesù) aggiunse: “Seguimi”.
Pietro allora, voltandosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava...vedutolo, disse a Gesù:
“Signore e lui ?”. Gesù gli rispose:
“ Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi” (Gv 21.18-22)
Queste parole infatti non hanno alcuna logica e sensata lettura e spiegazione se non, credo, quella che vede un Gesù
cosciente del fatto che le Verità comprese da quel discepolo “che Egli amava” si sveleranno solo con il ritornosvelamento di quel Logos-Figlio in cui Gesù ormai si vede portato: le Verità che quel discepolo che Egli “amava”
ben conosceva avrebbero dovuto “aspettare” per rivelarsi assieme a quel “ritorno-svelamento”.
Tutto sarebbe avvenuto quando i tempi sarebbero stati maturi, al culmine dell'errore.
Questa, se pur molto sottile, sembra la corretta lettura di quelle altrimenti incomprensibili parole : quell' <..egli
rimanga..> non ha molto senso rivolto ad uno che “segue” ed anche <..finché io venga..> non è giusto : <..finché io
vada..> avrebbe dovuto dire Gesù per parlare della azione -fisica- che avrebbe dovuto svolgere per unirsi a lui.
Non merita commenti, per me poi, ciò che la Cristianità in merito a quell'episodio insegna ovvero il fatto che in
quell' <..un altro ti cingerà la veste..> - si deve vedere la prefigurazione della futura vestizione cerimoniale
vescovile -, la vestizione, con quei paramenti peraltro ben lontani da Gesù, del vescovo e delle altre autorità :
“vestizione” che per questo oggi la cristianità dice “deve” appunto essere compiuta da altri, non dal vescovo.
Lettura che non merita commenti, dicevo, lettura sempre e solo materiale e peraltro di scarsissimo conto ed
importanza : “esegesi” che con un -Dio che a tanto si porta- non può suscitare che una profonda, penosa, sconfortata
e dolorosa amarezza.
Sono parole molto importanti invece queste ultime che ci riporta il vangelo di Giovanni, esse sono “ripetute”, unico
caso nei Vangeli, proprio per sottolinearle e per fugare una errata voce, è detto, che in riferimento a quell'episodio
era nata tra gli apostoli : anche questo fatto ci fa dire che, poiché nulla al riguardo è detto da Marco discepolo del
Pietro che era presente, il redattore del vangelo detto di Giovanni fosse molto vicino a Tommaso, solo altro apostolo
presente citato e quindi probabilissima “fonte” per questo passo.
Questo ci farebbe dire anche che il “ritorno” del Figlio di Dio, del Logos, il ritorno di quella “Luce-Vita” che da
tanto tempo sta mancando all'umanità, quella Luce di cui Gesù dirà <..ancora per poco tempo la Luce è con voi >
(Gv 12.35), è un ritorno che vede anche quello del Tommaso-gemello “crocifisso” anch'egli come Gesù se pur non
fisicamente.
E ritrovamento di Tommaso, se non quel ritorno, è oggi la casuale-fatale scoperta che da pochi anni ci ha messo a
disposizione quel suo vangelo-annuncio che era andato perso e distrutto: ritrovamento forse non casuale che
speriamo apra anche a quella “venuta”.
--- Mt 28.19
Ancora poi, continuando, si dovrà da ultimo prendere in esame un'altra frase di Gesù nella quale Egli dice:
< ..ammaestrate tutte le nazioni,
immergendole nel nome del Padre e del Figlio e della Ruah-Spirito Santa..>(Mt 28.19)
Qui Gesù raccomanda e dice, fuori da ogni altra interpretazione, che serve ed è importante <..ammaestrare..>,
insegnare, portare, immergere nel senso di fare capire, “ciò che sono” il Padre, il Figlio e la Ruah-Spirito Santa.
236
ottava parte
Gesù -non chiede- di immergere-battezzare con acqua ed evocando “formalmente i nomi” del Padre, Figlio e Spirito
Santa; Egli chiede di insegnare “ciò che Essi sono”, chiede di “immergere spiritualmente” nelle Verità Mosaiche da
Lui ricordate. Nessuna “formula” salvifica egli poteva dare: “precetto” sarebbe stato anche questo. Gesù con quelle
parole ci ha voluto dare, come sempre, una profondissima raccomandazione di “insegnamento” o
<..ammaestramento..>.
Da ultimo, un'altra conferma al fatto che Gesù non può avere pensato ad alcuna “umana istituzione” nasce poi dal
fatto che Egli nessun “uomo”, nemmeno sé stesso, ritiene in grado di “farsi vicario” e sostituirsi, insegnante, alla
“voce dell'Assoluto, alla Ruah-Vento-Spirito Santa, al “Consolatore”:
<..è bene che per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore....
(poiché è lui ) che convincerà il mondo in quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio > (Gv 16.7,8)
E' questa una conferma che, se pure indiretta, nel quadro tracciato assume forte rilievo: qui Gesù, come rilevato da
qualche studioso, dice agli apostoli che perfino le “Sue” parole rischiano di essere nocive.
< E' bene che io me ne vada > Egli dice, poiché le sue parole, come tutte quelle che l'uomo può dare, rischiano di
impedire la “ricerca” in sé stessi, rischiano di impedire quel “cercare” cui sempre Egli invita e che è al fondo il
“personale cercare” che infine porta a sapere “ascoltare” quella voce divina che “unicamente lei” può “convincereconvertire” l'uomo, e l'umanità intera, in merito alla corretta via da seguire.
< ..chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto..>(Mt 7.8) ; <..cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto..>(Mt 7.7)
Questo dice Gesù riprendendo Proverbi che afferma che la “Sapienza” ovvero la “Sophia, Principio, Potenza,
Logos”, solo chi “dentro”, nell'intelletto”, sa cercare saprà vedere e conquistare-avere :
<.io (Sapienza) sono intelligenza, a me appartiene la Potenza..> ; <..quelli che mi cercano mi trovano..> ;
<..dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio..> (Prv 8. 14,17,23)
Difficile trovare un ruolo per dei “vicari” di Dio anche nelle citate parole di Gesù : il “cercare e bussare” cui Egli si
riferisce non è assolutamente l'invito a rivolgersi ad altri “uomini”.
Se è vero che l'uomo che è arrivato ad “accendere” la propria luce può e deve, con parole di Gesù, “tenere alta tale
candela” è altrettanto vero che “limitate e nascoste” come le Sue devono essere, e non possono che essere, le parole
e gli insegnamenti che egli può dare: solo la ricerca personale e libera da voci umane, compresa la propria, può
servire all'uomo, voci che infatti solo possono “contaminare” e chiudere quel canale di comunicazione che
direttamente e divinamente all'uomo “parla ed insegna”.
IL QUARTO VANGELO
La citazione appena sopra fatta del IV vangelo, attribuito a Giovanni, mi aiuta ed invita a dire alcune cose su questo
importante testo.
Questo vangelo è in piena sintonia con quanto è nella apocalisse di Giovanni, ma è lontano per me dall'autore delle
tre lettere di un Giovanni, che si dichiara <..presbitero..>, che sono invece spesso attribuite dalla cristianità allo
stesso autore Vangelo.
Il Giovanni autore del IV Vangelo, testo scritto ad Efeso e datato quasi unanimemente intorno al 100 dC, per la
cristianità è il Giovanni “apostolo” ovvero uno dei dodici ed è identificato con il < discepolo che Gesù amava >
citato unicamente nello stesso vangelo di Giovanni. Faccio, su questa identificazione, un breve inciso:
Nonostante la indubbia grandezza e profondità spirituale del redattore del IV vangelo, ritengo più probabile
che quel “discepolo amato” fosse Giuda detto Didimo e Tommaso ovvero detto, rispettivamente in greco ed
aramaico, “gemello”: verosimilmente il “gemello spirituale” di Gesù.
Non è difficile infatti vedere la altissima possibilità, quasi certezza, che l'episodio della “apparizione sul lago
di Tiberiade” in cui è detto del “discepolo amato” sia stato al redattore del vangelo “consegnato” proprio
da Giuda Didimo Tommaso: questi era tra i pochi presenti all'episodio, secondo quanto in quei passi è
riportato, mentre l'apostolo Giovanni, voce del vangelo in questione, non è citato anche se è vero che di due
partecipanti il testo non cita i nomi.
Ritengo poi debole la tesi che Giovanni abbia qui voluto “umilmente nascondersi” e non citarsi: egli ha
messo infatti ben in evidenza il suo nome già alle prime righe e non si capisce perché in seguito non avrebbe
dovuto citarsi apertamente senza portarsi a nascondersi dietro parole che così diverrebbero piuttosto “falsa
ed ipocrita” umiltà.
Di Giuda Didimo Tommaso è attestata la presenza ad Efeso, la città in cui sembra essere nato il IV Vangelo,
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ottava parte
l'unico vangelo peraltro che vede una importante presenza di episodi che interessano da vicino l’apostolo
G.D.Tommaso e che riportano parole che con altissima probabilità solo lui poteva, come verosimilmente è
stato, averli rivelati al redattore del vangelo.
Gli altri sinottici, ricordo, riferiscono di G.D.Tommaso unicamente nel loro rispettivo elenco dei dodici
apostoli (Mt 10.3; Mc 3.18; Lc 6.15).
Ci si potrebbe certo chiedere per quale motivo, in tale ipotesi, il redattore del vangelo non abbia chiaramente
fatto il nome di G.D.Tommaso, ma questo non è difficile da spiegare. Tommaso infatti, non dobbiamo
dimenticarlo, per quanto oggi ci dice quel “suo vangelo” recentemente ritrovato con molta facilità era uno di
quei “SuperApostoli” oggetto di dura lotta e contrasto da parte di Paolo, dura lotta che lo stesso Paolo ci
attesta nelle sue lettere:
< ..(è) un Gesù diverso .. un altro vangelo (quello che predicano).. quei SuperApostoli ..> (2 Cor 11.4)
<..badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana..>
(Col 2.8)
Questo fatto può avere portato il redattore del vangelo a nasconderne l'identità, se lo avesse fatto con molta
probabilità anche al vangelo di Giovanni, già di per sé piuttosto contrastato nel tempo, sarebbe toccata la
sorte avuta dal “vangelo di G.D.Tommaso” fino al 1945 : sarebbe andato perso!.
Tornando al vangelo di Giovanni vuole detto che esso è “distante” dai vangeli di Marco e Luca in particolare, e
presenta da sempre grossi problemi interpretativi alla cristianità. Problemi mai limpidamente e chiaramente risolti.
Quello di Giovanni è un vangelo importante che, vedremo, conferma quanto sin qui detto in merito al Figlio di Dio,
al Figlio dell'Adam ed anche alla Resurrezione, è un vangelo che parla di “mistica”.
In esso, nota correttamente Gaetano Lettieri, non si trova alcun riferimento al miracoloso concepimento di Gesù nel
seno della Vergine Maria. Giovanni pare dare per scontato che Gesù è stato concepito naturalmente e in più
occasioni Egli infatti è citato quale <..figlio di Giuseppe..> (Gv 1.45; 6.42).
Nessun accenno ancora Giovanni fa al battesimo di Gesù e unicamente accenna alle parole del Battista che afferma
di avere <..visto scendere lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di Lui..>(Gv 1.32).
Manca poi in questo vangelo, con parole di Lettieri, “il riconoscimento del valore salvifico dell’incarnazione, della
passione e della morte redentrice dell’uomo Gesù, a causa della identificazione della redenzione con la conoscenza
della natura divina di Cristo, atto gnostico di ricezione dello Spirito e intimità mistica con Dio stesso”.
Del vangelo di Giovanni, un vangelo-annuncio largamente esoterico, nascosto, difficile da capire e così ampiamente
lontano fino ad essere in contrasto con quanto è in Marco e Luca come detto, ma soprattutto in contrasto con quanto
dice Paolo nelle sue lettere, si può pensare e dire che sia un vangelo che nasce proprio per contrapporsi alle letture
ed esegesi paoline che in quel periodo, al 100 circa, si stavano consolidando e diffondendo.
Esoterico e nascosto, il messaggio di quel vangelo a lungo non sarà capito a fondo e forse solo questo lo salverà.
Approfondiremo qui di seguito, ma anche nei capitoli che subito seguiranno, quanto Giovanni nel suo fondamentale
vangelo ci dice in merito a temi importantissimi: “Peccato, Giustizia, Giudizio, Figlio, Padre e Logos”.
IL PECCATO, LA GIUSTIZIA, IL GIUDIZIO
Una delle frasi di Gesù più interessanti riportate dal vangelo di Giovanni è quella in cui, pur se molto sinteticamente
come spesso Gesù si esprime, Egli ci dice di “Peccato, Giustizia e Giudizio :
< (la Ruah-Vento-Spirito Santa) convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.
Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia perché vado dal Padre e non mi vedrete più;
quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato >(Gv 16.8-11)
Analizzerò i tre concetti che questa frase vuole chiarire fermandomi in particolare sul non facile tema del
“giudizio”.
- Quanto al “peccato”, perché non credono in me :
in queste parole, fuori dalla “cieca ed irrazionale -credenza-” normalmente in esse vista ed insegnata, si vede che
Gesù considera “peccato” la “condizione di caduta-dimenticanza-io” nella quale resta che non Gli crede: resta nel
peccato, Egli dice, chi non “crede-capisce” le Sue parole, chi non “capisce” il Suo invito ad uscire dalla condizione
di “caduta nell'io-materialità, di morte,” con la “conversione-cambiamento di mentalità-innalzamento-resurrezione”
da fare “in vita” che Egli suggerisce ed a cui invita. É “peccato” il non “credere-ascoltare” l’universale LogosFiglio che, a tutti presente e disponibile, porta l’uomo a quella stessa “condizione” cui Gesù con evidenza, per le Sue
parole, si sente giunto. Questo è il “peccato, dice Gesù, assieme al dire, pensare e fare che ad esso consegue.
Ben lontano è questo concetto dal “peccato-atto materiale” che è oggi insegnato dalla Cristianità: è la “condizione
mentale” dell'uomo caduto all’ “io” il “peccato-errore” come dicono anche queste altre Sue parole:
< ..poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato..>(Mt 12.36)
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ottava parte
- Quanto alla “giustizia” perché vado dal Padre e non mi vedrete più :
anche qui è solo con le visioni e letture sin qui proposte che si comprende razionalmente questa affermazione: è per
la “giustizia-giustificazione”, è in virtù della “giustizia-giunzione-unione” di Gesù, uomo come tutti, con l'Assoluto
che non sarà più possibile “vederlo”.
Ed è, ricordo, per la stessa “giustizia-giustificazione” che già migliaia di anni prima nel mondo Egizio, nel
PerEmRa o Libro dei morti, il defunto è sempre presentato quale < giustificato > e come tale portato ad essere e
citato egli stesso quale Assoluto-Osiride.
- Quanto al “giudizio”, perché il principe di questo mondo è stato giudicato :
anche qui le parole di Gesù non dicono affatto del cristiano-paolino “giudizio universale della fine del mondo”:
dicono piuttosto di un “giudizio” che, per il “demonio-separazione principe di questo mondo” è fatto “già
avvenuto”. Un giudizio e Verità di cui, per l’uomo, dicono anche queste altre parole di Gesù:
< ..chi non crede...è già stato condannato..>(Gv 3.18)
Nessun “giudizio della fine del mondo” quindi vede Gesù ma, pur con ciò, il tema “giudizio” come dicevo è
complesso e servono molte altre parole dei vangeli e di Gesù per potere penetrare la Verità di cui ha detto Gesù.
Ricordo nel merito che Gesù ha sempre detto < io non giudico nessuno >(Gv 8.15) ma, in modo antitetico, afferma
anche che: <..il Padre... ha rimesso ogni giudizio al Figlio..>(Gv 5.22) e < Per giudizio io in questo mondo sono
venuto..>(Gv 9.39-Nestle-Aland). E, ancora antiteticamente rispetto a queste ultime affermazioni di Gesù, Giovanni,
con parole qui sue e non di Gesù, dice:
< ..Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo..>(Gv 3.19)
Cosa fondamentale se si vuole sperare di avere compreso Gesù, è il dare piena razionalità a queste apparenti antitesi
e questo si può fare unicamente, come vedremo nella analisi che faremo nel capitolo relativo a pag. 250,
abbandonando quella falsa e farisaica immagine e comprensione di Gesù quale “fisico-materiale unico figlio del
Dio” che Paolo e la sua cristianità ci hanno consegnato.
Qui invece cercheremo di mettere meglio a fuoco il Suo concetto di “giudizio-giudicare” riprendendo il passo ultimo
citato di Giovanni che prosegue con queste parole:
< Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui.
Chi crede..non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce ....chiunque
infatti fa il male odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere
ma chi opera la Verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio >
(Gv 3.17-21)
Queste parole dicono di un “giudizio senza giudici”: è l'uomo stesso che “si giudica” con il suo “scegliere e
portarsi”: a) al cammino e condizione che vede una “salvezza-eternità” cui egli giungerà “seguendo-ritrovando in
sé” il “Figlio-Luce”, oppure b) alla condizione e cammino che lo vede nel buio della “chiusura nell'io-caduta”.
Il “giudizio” qui, fatto dall'uomo stesso, è quindi quella sua“valutazione-scelta” che forma e determina la sua
“condizione”. Questo dicono queste altre parole riportateci di Gesù:
< Per giudizio io in questo mondo sono venuto,
affinché i non vedenti vedano e i vedenti ciechi diventino >(Gv 9.39-Nestle-Aland)
Dicono queste parole di un “giudizio” che, primario invito ed insegnamento di Gesù ed assieme fulcro della opera
terrena dell’archetipale Figlio-Logos, è “discernimento-scelta”, è il decidersi dell'uomo a quella “conversionecambio di mentalità” che porterà a “vedere”, il Vero, sia chi è “senza -io-” e quindi “non sa-vede” le illusioni che
questo procura e sia chi, caduto all’io, “sapendo-vedendo” solo tali illusioni dovrà, a queste, “divenire cieco”.
Dice quindi Gesù di un Giudizio, valutazione-scelta, che è il “decidersi” dell’uomo, aiutato dalla Voce-Ruah Santa, a
seguire-vedere-capire il “Logos-Figlio di Dio” universale che è presente in ciascuno e che è nostra sovraindividuale intima natura, un “Logos-Figlio di Dio” universale che è ciò cui Gesù si è portato.
Un “giudizio” che è il decidersi a morire all’io-materialità per chi in essa è caduto come pure è il parallelo seguirevedere-capire quel “Logos-Figlio di Dio” anche da parte di chi non è in quella condizione di caduta.
E, dicono anche quelle parole, l'archetipale Figlio-Logos-Parola è in <..questo mondo..>, è in ciascun uomo, per
permettere e far sì che giungano a vedere il Vero sia coloro che non sono nell’errore-caduta dell’io che coloro che
invece sono in quell’errore.
L'opera e le parole-indicazioni di quel Figlio-Verbo sono anche quanto ha fatto e detto Gesù ma è soprattutto ciò che
in noi stessi, in una innocente-onesta coscienza, possiamo vedere ascoltando anche quella Ruah-Voce Santa che è,
come il Figlio, Sapienza. Di Gesù, come di chiunque altro si sia portato alla stessa Sua condizione, quelle opere ed
insegnamenti sono unicamente in quanto portatosi ad “essere” archetipale e stesso universale Figlio.
Anche per le parole di Gesù in Gv 9.39 perciò il “giudizio” è “valutazione-discernimento-comprensione” che l'uomo
arriverà a fare grazie all'ascolto di quella Voce, di quegli insegnamenti e di quanto da questi operato.
239
ottava parte
Infine, sul giudizio, un'altra importante frase di Gesù, già vista, è quella che dice:
<..chi ascolta la mia parola.... non va incontro al giudizio ma è già passato dalla morte alla Vita >(Gv 5.24)
Anche qui si vede un “giudizio” che è momento di “valutazione-comprensione” di una Verità che è Vita stessa,
Assoluto: si è “giusti-giudicati”, si è fuori dalla morte dell’ “io” e quindi si è Vita-eternità, quando si comprendono le
parole di Gesù: l'uomo che riesce a “capire” le parole di un Gesù ormai Figlio archetipale non va incontro al alcun
altro “giudizio-valutazione”, è già nella Verità, è <..già passato..> alla Vita, alla condizione di Regno-Eternità che
in nessun “io” può in sé vedere.
Infine non si può non rilevare che anche i testi di Enoch ci mostrano questo stesso “auto-giudizio-decisione”:
< e quando i malvagi avranno riconosciuto che ciò (disastri e distruzioni ndr)
è avvenuto per le ingiustizie che essi hanno portato sulla terra, allora, a causa di ciò, periranno >
(Enoch Et. LIII 10)
<... fatta per i peccatori che muoiono... prima che il giudizio su di loro sia fatto
durante la loro vita..>(Enoch Et. XXII 9-13)
La drasticità qui del “perire” può naturalmente essere riferita alla “condizione caduta” dalla quale, chi valutacapisce-comprende”, esce: essi “periscono” a tale condizione i caduta-morte.
Con questi due punti fermi ovvero da un lato la necessità di vedere razionalità nelle antitetiche parole sopra viste, e
dall'altro la certezza che per Gesù il “giudizio” non veda alcun “giudicante” se non l'individuo stesso, passiamo a
vedere ciò che si trova, nel vangelo di Giovanni, in riferimento all’importate concetto del “Figlio di Dio”.
IL FIGLIO, IL PADRE E COLUI AL QUALE
Uno dei passaggi delle parole di Gesù più difficili da comprendere a fondo è il seguente:
< In quel tempo Gesù disse:....
“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio
e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me....imparate da me, che sono mite e umile di cuore,
e troverete il ristoro per le vostre anime” >(Mt 11.25-29)
La lettura Cristiana è, ancora anche qui, molto debole oltre che povera: si dovrebbe con essa vedere un “personale
ed unico” Trino Figlio di Dio Gesù che, dopo avere detto che solo Lui può rivelare il Padre, la Verità, a chi Lui
voglia, invita ad imparare da Lui ma questo “invito ad imparare” da Lui così è incongruente stante il fatto che
comunque si è sottoposti alla Sua “volontà” e decisione di “rivelare” a chi Egli < voglia rivelare >!. Gesù, peraltro,
a tutti indistintamente ha sempre voluto ed inteso parlare ed insegnare.
Questa lettura così è inaccettabile, non razionale ed illogica è lontanissima da quella correttamente razionale che qui
cercherò di esporre sottolineandone i vari aspetti di quella frase:
a) il < venite e me > di Gesù non è il “portarsi” a seguire ed ascoltare alcuna Chiesa ed alcuna classe Sacerdotale.
A maggior ragione poi quel < venite e me > di Gesù non è invito a seguire una Chiesa e classe Sacerdotale Cristiana
che Egli non ha istituito e che si fonda invece sulle interpretazioni e parole del fariseo Paolo.
Il < venite e me > di Gesù, secondo le sue stesse parole, è l' “imparare da lui-portarsi alla Sua condizione”: è
compiere e perseguire quel “cambiamento di mentalità-conversione” che porta ad “essere come Lui”, Egli dice,
<..miti ed umili di cuore..>: senza cioè alcun “io” che, all'opposto, mai può essere autenticamente “mite-umile”.
b) è con questa coscienza e Verità, che è nel “filo a piombo” delle parole di Gesù, che bisogna vedere ciò che Egli
dice in apertura : < Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio >.
Con “quella” coscienza e Verità si vedrà che qui Gesù non parla “specificatamente” di sé stesso quale personale
unigenito figlio di Dio, Lui che peraltro secondo i vangeli si è “sempre e solo” dichiarato “figlio dell'Adam”.
Gesù parla qui di quel “Figlio di Dio-Logos” archetipale ed impersonale che “tutti arrivano in sé stessi a scoprire”,
quello che anche Lui ha scoperto-conosciuto in sé grazie a quella strada e cammino, a quel passaggio nel desertoconversione e -conoscenza- da Lui compiuto e che tutti Egli invita a fare :
<...Quando...vi conoscerete...saprete che siete .. Figli del Padre Vivente.. >(vangelo di G.D.Tommaso l.3)
E in quella condizione, ci dice Gesù per le sopra citate parole di Matteo, quando cioè si < conosce il Figlio > ovvero
l'universale Logos-Verbo che è in noi, è allora che, anche e contemporaneamente, si “conosce il Padre”, il Tutto.
Solo quindi il “conoscere” ovvero il “riportarci” alla condizione di “figli di Dio”, fuori dalla condizione di
“separazione nell'io-materialità”, ci permette di conoscere anche quel Padre-Assoluto-Tutto in cui, così, siamo.
Solo il giungere a -questa- “conoscenza”, che è Sapienza, ci permetterà di “vedere il Vero”.
c) conferma la lettura appena fatta il passo successivo della frase di Matteo, frase esattamente corrispondente a
quella riportata da Luca; Gesù dice :
<.. nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non
il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.. >(Mt 11.25)
240
ottava parte
Ora è importante sapere e sottolineare che questa frase è pronunciata da Gesù < in quel tempo >, ci dicono i
Vangeli, in cui Egli era deluso ed inveiva contro ciò che aveva portato Corazin, Betseida e Cafarnao a non ascoltarlo
nonostante i molti “miracoli” da Lui là compiuti :
< Se a Tiro e Sidone (città pagane ndr ) fossero stati compiuti i miracoli che sono stati
fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza > (Mt 11.21)
Gesù quindi dice ed ammette di avere “voluto e cercato” di rivelare la Verità, il Padre, alle popolazioni di Corazin,
Betseida e Cafarnao ma senza riuscirci e questo chiaramente nega la lettura Cristiana secondo la quale Egli, subito
dopo quelle parole, affermerebbe che Lui, personalmente, - può rivelare - < a chi lo voglia rivelare >.
Ancora incongruenze, come si vede, ed è quindi scontato che Gesù, che fa riferimento a quanto in quelle città è
avvenuto, non parla di sé in una “esclusiva personalizzazione” quando dice del Figlio che rivela il Padre “a chi lui
vuole” !.
Le cose quindi non sono come le vede la Cristianità e per una esatta comprensione serve vedere che è il mancato
ascolto riservatogli in quelle città, è quel fatto e la delusa constatazione da parte di Gesù di quell'Accadere, ciò che
lo porta a riflettere sulla Verità, relativa a “Figlio e Padre”, che esporrà.
E' vedendo “il perché” ed il “contesto in cui Gesù matura quella frase” ovvero da ciò che è avvenuto a Corazin,
Betseida e Cafarnao, che quella frase ed insegnamento si svela a fondo, profondissima come sempre:
Gesù “vede e constata” che nemmeno i “miracoli” servono se l'uomo che è caduto nell' “io-materialità” non si
“porta” alla “conoscenza” se non parte dalla conoscenza di quella “sua e pur non-sua” parte, il Figlio di Dio che
egli “porta ed è in sé”, che esclusivamente può portarlo al Padre ovvero a conoscere il Vero.
Con queste sottolineature e considerazioni la frase di Gesù qui in esame, frase come sempre ermetica ovvero per chi
ha orecchie per capire, si apre limpidamente; Egli dice:
- < nessuno conosce il Padre se non il Figlio > ovvero:
non si conosce quel Tutto-Uno spirito e materia, maschio e femmina, Vita ed Accadere che è il Padre se non si
scopre, vede e ri-conosce in noi la Immagine-Figlio-Logos universale, una conoscenza e Sapienza che ci porta ad
“essere” Figli di Dio-Logos.
- < e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare > ovvero:
nessuno conosce l'Assoluto, il Padre, se non si è riportato alla impersonale condizione di Figlio di Dio, fuori dalla
“caduta nell'io” ma anche, in tale condizione, quel Figlio-Logos universale mostrerà contemporaneamente
all'uomo quel < colui > che è l'uomo stesso “caduto”, l' “io-figlio dell'Adam” ovvero la condizione sua stessa
“precedente e ormai lontana”. Un “colui” che è ciò e quanto così si è superato e abbandonato, condizione
dell'uomo che, anche qui, è al contempo impersonale ed archetipale condizione: il, caduto, Figlio dell'Adam.
È così che ad un tempo l'uomo “conosce il Padre, il sé stesso Immagine del Padre-Figlio di Dio-Vivente ed il sé
stesso, ormai superato, Figlio dell'Adam”.
La Verità si svela tutta assieme, quando “si vede” si vede e conosce, in quell’oggi, tutto contemporaneamente: la
propria condizione di caduta, il Figlio che noi siamo ed il Padre, l' Assoluto, Tutto e Uno.
Gesù a Corazin, Betseida e Cafarnao, ha constatato che senza la “volontà” dettata da una “innocente coscienza”,
senza quel limpido desiderio di “cercare” che porta a vedere una “coscienza” in cui è il Figlio che tutto mostra, a
nulla serve sollecitare con prodigi la “conoscenza” : è da questa considerazione che Egli ha tratto quella frase,
quella Verità ed insegnamento che abbiamo visto.
Verità pulita e luminosa che vede la frase di Gesù pienamente razionale e logica, pienamente in linea con tutte le
Sue parole, su quel “filo a piombo”.
Una importantissima conferma di quanto sin qui detto e di altro ancora sul “figlio di Dio” delle parole di Gesù viene
poi da altre parole, che qui sotto vedremo, dei testi di Enoch e del fondamentale vangelo di Giovanni.
IL FIGLIO-VERBO-LOGOS UNIVERSALE
Giovanni dirà parole, e riporterà discorsi di Gesù, che con facilità possono essere incomprese.
Egli correttamente, in linea con la visione di “universale ed archetipale di Figlio di Dio-Logos-Verbo” che -nascenelle “parole di Gesù” come anche in Legge, Profeti ed Enoch, mostrerà un Gesù quale universale-archetipale Figlio
di Dio e cioè quale “forza” che riassume e porta in sé chiunque, uomo, arrivi a portarsi a quella condizione “prima”:
alla condizione di “prima generazione-apocatastasi” .
Dicono chiaramente di tutto ciò i testi di Enoch, testi che pur mai esplicitamente richiamati da Gesù si vedono, nel
Gesù “diverso” qui visto, a Lui molto legati :
< E gli spiriti di coloro che hanno invocato il mio glorioso nome (Jhwh)
si rafforzeranno quando vedranno il mio Eletto. Allora Io farò in modo che il mio Eletto dimori fra loro...
(Eletto) il cui sembiante ha -l'apparenza- di uomo...è il “figlio dell'adam” che ha in sé la giustizia..
241
ottava parte
e che rivela tutti i tesori nascosti..>(Enoch Et. XLV, XLVI)
< prima che il sole e le costellazioni venissero create... il Suo (dell'Eletto-Figlio dell'adam -ndr)
nome fu nominato in presenza del Signore degli Spiriti (Ruah -ndr)..
(ed) è stato...nascosto davanti a Dio...prima della creazione del mondo e per l'eternità.
E la Saggezza del Signore degli Spiriti lo rivela ai santi e ai giusti..>(Enoch Et. XLVIII 2-7)
< vi era gran gioia fra i giusti ..perché era stato rivelato loro il segreto del Figlio dell'uomo >
(Enoch Et. LXIX 26)
< Io (Jhwh) e il Figlio mio (l'Eletto figlio dell'uomo, eterno e nato prima della creazione -ndr) saremo per sempre
-uniti- a coloro che durante la loro vita hanno seguito la via della Verità.. (ed essi) avranno la pace >
(Enoch Et. CV 1)
Ci dicono queste parole che sono coloro che “cercano”, ovvero che <..che invocano..> l'Assoluto, coloro che sanno
<..vedere.> in sé il <..nascosto..> Figlio-Eletto di Dio, coloro che così si <..rafforzano..> essendo <..uniti..>
all'Assoluto e che quindi, ormai solo < apparenza di uomo>, avranno la < pace >.
Questa visione di -archetipicità e di prima generazione- è corretta nel senso che è vero che una volta “ portatisi” alla
condizione di Figli di Dio si è in una dimensione che è fuori da ogni singolarità, si è in condizioni di universalità e
questa non può che essere la stessa e di tutti coloro che così si portano.
È “condizione divina” nel senso di universale e non dell'uomo quale “personale adam-caduto”, ma è condizione che
è anche perfettamente umana, dell'uomo perfetto, “glorioso”: non condizione di sola ed unica “altra dimensione” ma
condizione di pienezza e perfezione umana, materiale e spirituale assieme.
È condizione di un uomo che, nel corso della vita fisica, ma forse non solo, riesce a “rinascere” dalla “caduta”
condizione di “adam-uomo” grazie ad un' “Anima” che non più “prostituita” con quegli amanti che le danno
“propri” beni, come recita Osea, sarà Anima “Vergine” e “Sposa”.
È da questa “Verginità-Sposa” che nasce infatti anche Gesù e non già da una fisica Maria -vergine-, una Maria che
Egli peraltro sempre dichiarerà “donna” ovvero “non Sposa-Madre”.
“Vergine e Sposa divina” è infatti la “Madre, Ruah Santa” che Lo ha “portato” in quel “deserto” in cui si combatte la
“separazione-divisione” ed in cui si “rinasce” a Figli morendo all' “io”: deserto in cui, dalla stessa “Vergine”, rinasce
chiunque come Gesù si sappia portare a quella condizione.
Il dire di questa Verità con facilità può essere mal compreso: molte delle parole e dei discorsi di Gesù, che si sente in
quella non-esclusiva condizione, possono essere interpretati secondo la visione di una -esclusiva ed unica“incarnazione”, nella “persona” Gesù, di un Figlio di Dio che “ascolta ed è parola del Padre”, -personalizzandocosì un concetto che è invece lontano da ogni “singolarità”.
Male interpretato è stato ad esempio il Suo :
<..lasciate che i bambini vengano a me, perché è di questi il Regno dei cieli..>(Mt 19.14)
Gesù mette in guardia qui e chiede di non portare ed indurre i bambini alla “caduta nell'io-materialità”, all'errore con
insegnamenti ed esempi: chiede Gesù di lasciare che i bambini, che vivono la condizione di innocenza-onestà
abbiamo visto, siano lasciati ascoltare e vedere l'universale Logos-Figlio divino che è in essi.
É di questi il Regno, dice Gesù, di loro, così lasciati, come pure di tutti coloro che a quella condizione di Logos-Figli
sapranno portarsi come Lui ha saputo fare a come Lui è divenuto.
In egual modo -male interpretate- sono state le seguenti parole che tutte però si devono leggere, così essendo nate
dato che solo così il vangelo di Giovanni, e non solo, ha coerenza e razionalità, vedendole riferite invece al “VerboLogos-Unto-Cristo” di natura universale che tutti gli uomini devono in sé vedere e ascoltare ed a cui si devono
portare :
< E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi..>(Gv 1.14)
< A quanti l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare Figli di Dio..>(Gv 1.12)
< Chi ha sete venga a me e beva...come dice la Scrittura, fiumi di acqua sgorgheranno dal suo seno.. >(Gv 7.37,38)
Alle incorrette letture di quei passi contribuiranno alcuni passaggi di Giovanni in cui egli fa dire a Gesù che egli “è
Figlio di Dio”, affermazione e dichiarazione forse non impossibile a chi sia e si senta in quella in-individuale
condizione di cui abbiamo detto, anche se pure quella condizione “deve” anche vedere una “umiltà” che dovrebbe
far tenere lontani da tanto dichiarare.
Ricordo a questo riguardo che nei sinottici, in Marco e Luca che pure chiaramente presentano Gesù quale unico
Figlio di Dio “divinamente” concepito, ma anche in Matteo, “mai Gesù si dichiara figlio di Dio” e non troviamo
traccia di tali affermazioni, come vedremo, nemmeno nelle lettere di Pietro, di Giacomo e di Giuda.
Quelle che seguono sono esempi di altre parole di Giovanni che, aggiunte alle prime, confonderanno:
< Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me ed io Vivo per il Padre,
così anche colui che mangia di me vivrà per me..>(Gv 6.57)
< Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado >(Gv 8.14)
<..a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto :
Sono figlio di Dio ? >(Gv 10.36)
242
ottava parte
<..da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso..>(Gv 8.42)
< Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, Vivrà..>(Gv 11.25)
Ma tutte queste parole, si potrà meglio vedere dopo quanto più sotto preciserò, si possono leggere, e si devono
leggere se non si vogliono dichiarare ambigui gli scritti di Giovanni, come espressioni riferite a quella “ universalearchetipale figura di Messia-Unto-Cristo-figlio di Dio” cui si porta e -diviene- chiunque ritrovi in sé il divino
“Verbo-Parola-Logos”.
Universale figura che Enoch, saggio per eccellenza, ben ci mostra: Enoch, < rapito in cielo >(Gn 5.24) come
peraltro l'altra figura tipo di Elia che < salì nel turbine verso il cielo >(2Re 2.11), < venne assunto presso il Figlio..e
il Signore..e un angelo.. gli disse: Tu sei il Figlio..nato nella rettitudine..>(Enoch Et. LXX 1; LXXI 14).
Di questo Logos universale, < comune .. e cui dare ascolto >, con sue parole ha detto, vedremo più oltre, in modo
molto forte e preciso Eraclito l'Oscuro già cinque secoli prima di Gesù: anch'egli suggeriva ed invitava a “quel tipo”
di “ricerca-ascolto-comprensione-conversione”.
Più nascostamente di Eraclito dirà della stessa Verità anche Socrate: il “demone” che egli ascolta e che invita tutti ad
ascoltare non è che il Logos “comune” che prima di lui già Eraclito, ben più chiaramente, insegnava.
Un “divino-demone” Logos-Verbo, in noi, che porta a vivere con “virtù” e che, per le parole di Socrate, visto e
assunto in noi è quanto porta l'uomo alla “deità”.
Ma soprattutto più chiare rispetto a quelle dei vangeli canonici sono le parole di Gesù che sono riportate nel vangelo
di Giuda Didimo Tommaso: qui ben si vede la “universale ed archetipale” figura del “Figlio di Dio che è, nascosto,
in ogni uomo”, la figura del Vivente “immagine dell'Assoluto” :
< Guardate bene il Vivente finché siete in vita, affinché non vi capiti di morire e cerchiate di vederlo senza
riuscirvi..> (G.D.Tommaso l.59)
< Se vi domandano : “ Di dove venite?”, rispondete loro: “ Siamo usciti dalla luce, di là dove la luce si origina da
sé stessa. Essa è sorta e si manifesta nelle “Immagini”. Se vi domandano : “ chi siete?”, dite:
“ Noi siamo i Figli e gli Eletti del Padre Vivente”..> (G.D.Tommaso l. 50)
<...Quando...vi conoscerete...saprete che siete .. Figli del Padre Vivente.. >(G.D.Tommaso l.3)
Figura e visione, quella dell' “universale ed archetipale Figlio di Dio che è in ogni uomo” che qui, come in Giovanni
correttamente letto, esce con una chiarezza ed una forza che, pur dicendo le stesse cose, non troviamo nei sinottici.
Ma tornando a Giovanni molte sono le parole, nel suo vangelo, che confermano l'invito di Gesù a cercare quel
“Figlio di Dio -universale Immagine- Verbo-Logos-Parola del Padre” che ognuno deve vedere “in sé”, invito di cui
più chiaramente dicono queste parole da lui riportate :
< Io dico quello che ho visto presso il Padre;
anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro !.>(Gv 8.38)
< Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna >(Gv 6.40)
< Chi crede nel Figlio ha la vita eterna..>(Gv 3.36)
E' chi sa vedere quel < Figlio > che è in sé che saprà portarsi, ma senza alcuna identità e quindi non sarà in Realtà
un portar-si, alla condizione di Vita eterna.
Quella del “Figlio-Logos” immanente a ciascun uomo è insegnamento che testimoniato in Tommaso e Giovanni
ma anche in Matteo e Giacomo ma non solo, vedeva altre voci tra i primi seguaci di Gesù: ne vediamo una
testimonianza anche in un breve testo, “A Diogneto” che gli esperti collocano tra il primo secolo e la prima metà del
secondo. È un testo che non cita la “resurrezione” di Gesù né il “giudizio finale” e che anche però si mostra
incamminato, almeno in parte, sui sentieri teologici di Paolo, già qui < Apostolo >, ma a fianco di queste sue paoline
letture, ed in contrasto palese con esse, quel testo ci riporta, evidentemente riferendo e riportando una tradizione ben
consolidata, quanto segue :
< Colui che è l'unico Signore onnipotente, il creatore di tutte le cose, l'Iddio invisibile, proprio lui, Dio,
ci ha inviato dall'alto dei cieli la Verità, il Logos santo e incomprensibile,
e l'ha fatto dimorare tra gli uomini, dandogli una stabile sede nei loro cuori .. >(A Diogneto)
Il nome di Gesù in questo testo non compare mai ed è significativo che in un testo tra i più vecchi a nostra
disposizione Egli sia citato sempre e solo quale “Logos” o “Figlio”: Logos che è, nelle parole sopra riportate,
archetipo divino che “dimora stabilmente nei cuori di tutti gli uomini”.
Ma questa Verità, oggi confusa, sottesa e dimenticata al punto da essere quasi negata, nella Cristianità sarà ben
presente, seppure instabilmente adattata alla teologia paolina, fino a molto avanti nel tempo: dice in merito il Padre
della Chiesa Gregorio di Nissa :
< ..era necessario che entro la natura umana venisse mescolato qualcosa che fosse
connaturale a Dio...per questo motivo fu ornato con la Vita, con il Logos, con la Sapienza...
la eternità..> (Grande discorso catechetico, 5.4-6)
< ..il Logos di Dio non deve essere inferiore al nostro Logos..>( idem 2.2)
243
ottava parte
Tornando a Giovanni ed alle parole che egli ci riporta di Gesù con il suo insegnamento riguardo al fatto che chi vede
il “Figlio-Logos” che ha in sé si porta all'eterno, dice di quella Verità anche questo passo :
< Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato
il Figlio dell'Adam, perché chiunque crede in lui abbia Vita eterna > (Gv 3.14)
Qui Gesù ci dice che è “mostrando-facendo capire” -cosa è- l' “innalzato figlio dell'Adam”, e cioè è mostrandofacendo capire cosa è la condizione di “Figlio di Dio” cui l'uomo caduto-figlio dell’adam deve portarsi, che chi in
questo crede e giunge ha Vita Eterna.
È il paragone chiaro con l'episodio della Torah che ci conferma questa lettura contro quella errata e ancora tutta
materiale vista dalla Cristianità.
Nell'episodio della Torah infatti avviene che saprà -scampare alla morte-, spirituale, chi, votato a tale morte a causa
di quei “divini” serpenti mortali che Jhwh manda ad un popolo che non vuole seguire i suoi inviti, sappia “vedere
capire” cosa essi sono e cosa sia e perché avvenga quella morte e come riuscire a scampare ad essa.
Queste altre parole poi Giovanni fa pronunciare a Gesù :
< Noi...testimoniamo quel che abbiamo veduto..vi ho parlato di cose della terra
e non mi credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo ? Eppure nessuno è mai salito al cielo se non il
Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo >(Gv 3.11-13)
Gesù qui dice ed afferma che l'uomo “figlio dell'Adam”, l'uomo nella condizione di caduta nell'io-materialità, non
può capire la Verità, una Verità che “spiega terra e cielo”.
Gesù può parlare della Verità, che ha < veduto >, perché, similmente a quanto è nel Mito della Caverna, è
<..salito..> prima e poi <..disceso..>: Egli cioè ha saputo “portarsi” a vedere una Realtà che è Verità e, come
chiunque sappia e possa portarsi a quella condizione, condizione di chi < vede > e sa portarsi ad essere < Figlio di
Dio >, può parlarne.
Il “salire al cielo”, il “portarsi” di Gesù a quella condizione che rende possibile il “vedere” la Verità, è un “salire e
portarsi” possibile ad ogni uomo e da Gesù a tutti sollecitato sia con il suo invito alla “ conversione-cambiamento di
mentalità”, che con queste altre Sue parole che ci ricordano la stessa Verità, quella della “uscita dalla cavernamondo” già vista nel Socratico Mito della Caverna:
<..coraggio, io ho vinto il mondo..>(Gv 16.33)
Gesù dice qui che quella esperienza e visione del Vero, del Padre e del Figlio e di ogni altra Verità cui Egli, uomo, ha
saputo giungere grazie a quel “passaggio al deserto” che è “conversione” e che è la vittoria ed il controllo di quella
“forza di separazione”, forza etimologicamente diabolica e dominante e connaturata al “mondo” materiale, è
esperienza e visione a tutti possibile e da fare con “coraggio”, il coraggio che Omero ci mostra con la figura di
Ulisse.
L'uomo che sa vedere il “Figlio-Logos-Verbo” che è in sé passa, dirà Gesù con un'altra allegoria ancora presa dalla
Torah, dalla condizione di vita legata alla “terra-adamà” ovvero dalla condizione di “io-materialità”, alla
“innalzata” condizione di vita “sulle nubi”: condizione che vede e vive il “cielo e la terra assieme”, l'Assoluto,
l'Eternità.
E' in “questo” Figlio-Logos Archetipale e Reale, < unigenito > e Uno col Padre, “mandato” in ogni uomo perché si
salvi, < mandato nel mondo..non...per giudicare il mondo >, che Gesù dice si deve credere e che così Giovanni
chiarisce :
< Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché si salvi per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede in lui è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome
dell'unigenito Figlio di Dio >(Gv 3.17,18)
Nessuna condanna futura e da venire infatti qui si vede comminata: è l'uomo stesso che si condanna con quel suo
mancato ascolto-ritrovamento in sé del Figlio-Logos-Verbo.
L'uomo che si è portato alla condizione di “Figlio di Dio” è, ci dice sempre Gesù secondo Giovanni, colui che
“ascolta nella propria coscienza la voce dello Spirito Santo”, voce di Dio a cui l'uomo non deve dare “propri”
indirizzi :
<.. se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio.
Quel che è nato dalla carne è carne, e quel che è nato dallo Spirito è Spirito.
Non vi meravigliate se ho detto : dovete rinascere dall'alto.
Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene né dove va :
così è di chiunque è nato dallo Spirito >(Gv 3.5-8)
E per il passaggio alla condizione di < vita eterna >, alla condizione archetipale ed in-personale di Figlio di Dio,
condizione di colui che < produce molto frutto >, è necessaria una morte, la morte del Figlio dell'Adam ovvero il suo
passaggio, il suo < innalzamento >, alla sua “luminosa” condizione: la sua <glorificazione>.
Questo spiegherà Gesù ad < alcuni Greci > che cercarono di Lui:
< E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell' Adam.
244
ottava parte
In verità in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo;
se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la “sua” vita la perde e chi odia la “sua” vita in questo mondo,
la conserverà per la vita eterna >(Gv 12.23-26)
E a Nicodemo < maestro in Israele > che non conosce e non ha capito la “resurrezione-rinascita”, l'“urlorichiamo-ekklesia” di Gesù, la strada che Egli indicava quale via per giungere in vita al Regno-Vita Eternità, ad un
Nicodemo che incredulo ed attonito chiedeva a Gesù :
< Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta
nel grembo di sua madre e rinascere ? >,
questi risponderà con le parole già prima viste che dicono:
< ..bisogna che sia innalzato il figlio dell'Adam perché chiunque crede in lui
abbia la Vita eterna > (Gv 3.14,15)
Dice qui Gesù che bisogna che il figlio dell'Adam sia tolto dalla condizione di “caduta nell'io-materialità”, bisogna
che sia “innalzato” da quel “basso” stato e portato a “credere” in quella “sua stessa”, se pur non personale ma
archetipale, condizione di Figlio di Dio, condizione che è la sola che dona Vita eterna e il Regno in terra.
Questa Verità, qui particolarmente nascosta, meglio si comprenderà dopo aver “visto” quanto ora farò seguire.
Passo ora infatti alla analisi di uno dei passi più importanti di Giovanni: è una risposta di Gesù ai Giudei e sono
parole che possono ben essere lette, e per me sono, una conferma e precisazione di quanto sostenuto in queste pagine
rispetto al Gesù “diverso”.
Riporterò ora quelle righe mettendo tra parentesi alcune mie precisazioni che aiutano a leggerle. Premessa alla
lettura che farò è il fatto che Gesù mai, per le parole dei sinottici, ha parlato di sé quale “Figlio di Dio”: < Sei tu che
lo dici..>(Gv 18.37; come pure Mt 27.11; Mc 15.2; Lc 23.3) risponderà al Sommo Sacerdote che gli chiede se egli
sia <..il Re dei Giudei..>.
Questo è ciò che riporta Giovanni :
< (19)…il Figlio (di Dio) da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre:
quello che egli fa anche il Padre lo fa. (20) Il Padre infatti ama il Figlio (di Dio),
gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati.
(21) Come il Padre risuscita i morti (spirituali) e dà la Vita, così anche il Figlio (di Dio)
dà la Vita a chi vuole;
(22) il Padre infatti non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio (valutazione) al Figlio (di Dio) ...
Chi non onora il Figlio (di Dio) non onora il Padre che lo ha mandato.. .
(24) In verità in verità vi dico: chi ascolta la mia parola..., ha la Vita eterna e non va incontro al
giudizio (valutazione), ma è passato dalla morte alla Vita.
(25)...è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti (spirituali) udranno la voce
del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno.
(26) Come infatti il Padre ha la Vita in sé stesso, così ha concesso al Figlio (di Dio)
di avere la Vita in sé stesso; (27) e gli ha dato il potere di giudicare perché è Figlio dell'adam.
(28) Non vi meravigliate di questo poiché verrà l'ora in cui tutti coloro che sono
nei sepolcri (della morte spirituale) udranno la sua voce e ne usciranno:
(29) quanti fecero il bene per una resurrezione di Vita e quanti fecero il male
per una resurrezione di giudizio....
(37)..Ma voi (farisei) non avete mai udito la sua (del figlio di Dio) voce, né avete visto il
suo volto, (38) e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete
a colui che egli ha mandato...>(Gv 5.19-38)
La lettura Cristiana, paolino-agostiniana, che vede nel < Figlio di Dio > di queste parole la “fisica persona” di Gesù,
l'Unigenito “generato da Dio, Uno con Esso in trinità con lo Spirito Santo”, il Dio portatosi alla carne nella persona
di Gesù, ha con evidenza difficoltà a spiegare razionalmente alcuni punti di questo passo :
1)
< (19)…il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre:
quello che egli fa anche il Padre lo fa >
Queste parole nella lettura Cristiana sono in pieno contrasto con ciò che dice lo stesso Giovanni : <..e il Verbo era
presso Dio e il verbo era Dio.. tutto è stato fatto per mezzo di lui >(Gv 1.1)
2)
< (20) Il Padre infatti ama il Figlio,
gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste,
e voi ne resterete meravigliati.
Qui, sempre nella lettura Cristiana, non si capisce perché a questo “Figlio Uno col Padre” debbano essere dal Padre
“manifestate in futuro opere” più grandi di quelle che egli gli manifesta.
245
ottava parte
Il Gesù Trino “Figlio Uno col Padre” non dovrebbe avere piena conoscenza della Verità, del Padre e delle sue
opere ?.
3)
(21) Come il Padre risuscita i morti e dà la Vita, così anche il Figlio dà la Vita a chi vuole;
Sempre in quella lettura la contraddizione qui sorge con quelle altre parole di Gesù che, poco dopo, affermano: < Io
non posso fare nulla da me stesso >(Gv 5.30).
4)
< (22) il Padre infatti non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio >
Qui il problema, nella lettura cristiana, si fa ancora più complesso: il Figlio che da solo non può fare nulla e che fa
solo ciò che vede fare dal Padre qui si dice che “giudica” mentre il Padre “non giudica” !
Ma anche: come si coniuga questa affermazione con il “fatto” che Gesù ha sempre detto, non solo nel vangelo di
Giovanni : < io non giudico nessuno >(Gv 8.15) ?!.
5)
< (24) In verità in verità vi dico:
chi ascolta la mia parola..., ha la Vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla Vita >.
Il contrasto qui sorge insormontabile con la “resurrezione della fine dei tempi” .
6)
< (25)...è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce
del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno.>
Perché qui Gesù dovrebbe dire che i morti < udranno >, “in quel momento”, la voce del Figlio: udranno è al futuro,
deve avvenire, mentre è “ora”, è nel < momento...questo > in cui Lui, Figlio di Dio parla, che il suo messaggio è
udito e consegnato.
7)
<(26) Come infatti il Padre ha la Vita in sé stesso, così ha concesso al Figlio
di avere la Vita in sé stesso; (27) e gli ha dato il potere di giudicare perché è Figlio dell'uomo.>
Qui si trova un altro interrogativo: cosa significa che il “potere di giudicare dato al Figlio”, potere che pone i
problemi sopra visti, gli è stato dato < perché è Figlio dell'uomo> ?
8)
(37)..Ma voi (farisei) non avete mai udito la sua (di Padre e Figlio ) voce, né avete visto il
suo volto, (38) e non avete la sua parola che dimora in voi..>
Perché ancora se è la Sua voce che si deve ascoltare, ed “ubbidire” aggiungono Agostino e la Cristianità, Gesù qui
rimprovera ai farisei di non avere mai sentito quella del Padre, di non averlo mai visto e di non avere in essi la sua
parola-verbo ?
Agostino, il “maestro di parola”, maestro di una parola che contamina e “rende impuri” ci dice Gesù, maestro di
una parola che ancora oggi è scuola e faro per la paolina Cristianità, risponderà a questi interrogativi senza
“chiarire”, senza “dare luce”, risponderà in modo confuso e contraddittorio, con discutibilissime soluzioni ed
alchimie . Un esempio per tutti: all'interrogativo posto sul punto 2) Agostino così terminerà la sua disamina :
< Quindi è a noi che (il Padre) le mostrerà, queste opere maggiori, non a lui (Gesù).
E' perché il Padre le mostrerà a noi che egli dice: “affinché ne siate meravigliati”. Ha spiegato che cosa voleva
dire con la frase: “Il Padre mi mostrerà …”. Perché non ha detto: “il Padre mostrerà a voi”, ma ha detto:
“mostrerà al Figlio”? Perché noi pure siamo membra del Figlio; e come membra impariamo:
e anche lui, in qualche modo, impara attraverso le sue membra >(Omelia 19.7)
Un “Figlio-Dio-Unigento-Uno-Trino” invero molto “limitato” e con eco quasi pagane esce da queste parole visto
che, per esse, Egli, Dio, “impara-si forma grazie all'uomo, attraverso la esperienza umana”. Contro queste confuse
alchimie la lettura del passo di cui al punto 2) in esame qui da parte di Agostino che veda invece un Figlio di Dio
inteso quale -condizione dell'uomo resuscitato in vita-, ci porta a vedere un messaggio molto pulito e semplice, esso
dice infatti che: “molto altro l’uomo che a quella condizione si sia portato, alla sua morte fisica potrà vedere e
comprendere e scoprire, fino a meravigliarsi”.
Agostino poi ancora, nella stessa “Omelia 19”, rispetto al punto 5) dovrà convenire ed affermare che nelle parole di
Gesù non si può vedere altro che una < resurrezione dell'anima >, e la “resurrezione spirituale in vita”, di cui qui
abbiamo tanto detto, è la sola -resurrezione dell’anima- che in quelle righe può essere vista, resurrezione che egli
giustamente sottolineerà essere insegnamento di tutte le religioni del mondo antico.
Questa “resurrezione in vita” Agostino ci dice poi che avviene se si “ubbidisce” alle parole di Gesù e non già per la
loro “comprensione”: ben strana lettura di quell' “ascolto e cercare” cui invita Gesù !.
246
ottava parte
Ancora poi nella sua esegesi del testo sopra riportato di Giovanni, Agostino opera uno strano salto, qui salto mortale
in tutti i sensi, quando dichiara che nelle parole di Gesù la < morte > del rigo 24 si riferisce ai “morti spirituali”
mentre i < morti > citati al rigo 25 come quelli del rigo 21 e come coloro di cui al rigo 28 in cui sempre è detto che
< sono nei sepolcri >, sono tutti “morti fisici”.
Egli infatti, grande “difensore” dell' “io-proprio e materiale” e conseguentemente della “resurrezione della carne”
insegnata dalla paolina Cristianità cui ha infine aderito, ci dirà che poiché prima è scritto :
< è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio..>,
e poi si dice :
< verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno >,
si deve concludere che queste parole ci informano su :
<..una resurrezione dell'anima (che avviene -ndr) prima di quella della carne
e quella della carne dopo quella dell'Anima >(Omelia 19.10)
Agostino in questa conclusione si appoggerà all'assunto di una differenza “temporale” tra il <..momento...questo..>
ed il <..verrà l'ora..> delle parole di Gesù che Giovanni ci riporta ma tale differenza temporale non è affatto certa:
quel “verrà l'ora” infatti può benissimo dire di un accadere di quel tempo < momento..questo > che Gesù appena
prima cita. Agostino, su queste strade arriverà infine alla conclusione che:
<..il giudice ..apparirà in modo da potere essere visto sia da quelli che viene ad incoronare,
sia da quelli che dovrà condannare. Apparirà nella forma di servo, e rimarrà occulta la natura di Dio.
Rimarrà occulto nel servo il figlio di Dio e apparirà il Figlio dell'uomo >(Omelia 19.16)
Agostino è stato certo un ottimo avvocato della “propria e Cristiano-paolina causa” ma non è stato, ai miei occhi,
un esigente, rigoroso e scrupoloso “esegeta” delle “parole di Gesù” che Giovanni e tutti i vangeli ci riportano.
Gesù invece, anziché tutto ciò e per quanto abbiamo più sopra visto del “Figlio di Dio”, con le parole di Gv 5.19-38
ci dice, con precisazioni nostre messe tra parentesi, quanto segue:
< (19)…il Figlio (di Dio che è nell'uomo) da sé non può fare nulla se non ciò che
vede fare dal Padre: quello che egli fa anche il Padre lo fa.
(20) Il Padre infatti ama il Figlio (di Dio che è nell'uomo),gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà (alla
morte fisica dell'uomo) opere ancora più grandi di queste,
e voi ( sapendo vedere quel Figlio di Dio in voi ) ne resterete meravigliati.
(21) Come il Padre risuscita i morti (spirituali) e dà la Vita, così anche il Figlio (di Dio che è in voi ) dà la Vita a
chi vuole;
(22) il Padre infatti non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio (ogni valutazione
e scelta ) al Figlio (di Dio che è in voi) …
Chi non onora (capendolo) il Figlio (di Dio) non onora (e conosce) il Padre che lo ha mandato.. .
(24) In verità in verità vi dico:
chi ascolta la mia parola...( chi capisce queste parole e, vedendo il Figlio di Dio in sé, ascolta e vede il Padre ) , ha
la Vita eterna e non va incontro (ovvero non dovrà fare) alcun giudizio (valutazione scelta),
ma è (già) passato dalla morte alla Vita.
(25)...è venuto il momento, (l'era, il tempo umano) ed è questo, in cui i morti (spirituali) udranno la voce del Figlio
di Dio (che è in essi ), e quelli che l'avranno ascoltata vivranno.
(26) Come infatti il Padre ha la Vita in sé stesso, così ha concesso al Figlio (che è in voi)
di avere la Vita in sé stesso;
(27) e gli ha dato il potere di giudicare ( le opere di ciascuno) perché è Figlio dell'uomo ( perché è legato a ciascun
figlio della caduta).
(28) Non vi meravigliate di questo poiché verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri
(e cioè nella morte spirituale, fisicamente vivi o morti) udranno la sua (del figlio di Dio che è in essi) voce e ne
usciranno (da quella condizione) :
(29) quanti fecero il bene per una resurrezione(-rinascita) di Vita e quanti fecero il male per una resurrezione
(-rinascita) di condanna (di dolore) ....
(37)..Ma voi (farisei) non avete mai udito la sua (del Padre) voce, né avete visto il suo volto,
(38) e non avete la sua Parola(Verbo-Logos) che dimora in voi, perché non credete
a colui che egli ha mandato ( perché non credete a quel Figlio di Dio che in voi vi fa udire la voce del Padre ...>
(Gv 5.19-38)
Tracce, pur molto nascoste come sempre anche qui, di questo “Figlio di Dio-Figlio della Luce” le troviamo nel già
citato manoscritto del III sec. dC detto “Vangelo Esseno della Pace”, testo qui tradotto ad opera di E.Bordeaux
Szekely, dove leggiamo :
< Noi veneriamo il Fuoco della Vita e la Santa Luce dell'Ordine Celeste per i molteplici doni della vita.
Noi veneriamo il Figlio della Luce che è in comunione con l'Angelo della Vita...>
(Op.cit. pag.147)
247
ottava parte
Ma, restando agli Esseni, sempre di questa figura “archetipale” di “Figlio-Logos-Verbo”, qui “Figlio della Luce”,
che l'uomo deve vedere e ascoltare dicono, parlando di “Maestro di Giustizia”, i testi rinvenuti a Qumran.
Come giustamente rileva il prof. P. Sacchi questa “Comunità” era su posizioni più estreme, e quindi anche specifiche
e culturalmente più profonde rispetto al molto vasto movimento Esseno che era sparso in tutta la Palestina: essa può
quindi ben avere così caratterizzato quella figura ed insegnamento.
Poco senso ha infatti la visione normalmente cercata o suggerita del riferimento, per il “Maestro di Giustizia”, ad
una “singola persona”; è debole poi ed al pari ha poco senso la visione di “personali e umani” riferimenti visti anche
per la figura dell' “Uomo di Menzogna”.
In un importante passo del testo “Commento ad Abacuc”, riportato da F.G.Martinez in “ Testi di Qumran”, con
riferimento ad Abacuc 1.1-5 essi ci dicono :
< L'interpretazione del passo si riferisce ai traditori che sono
con l' “Uomo di menzogna” dal momento che non diedero ascolto alle parole
del “Maestro di Giustizia” (da lui ricevute ) dalla bocca di Dio >
Abacuc racconta, nel suo breve scritto, della sua visione apocalittica; racconta delle sofferenze cui è e sarà
sottoposta l'umanità, ed è questo un Accadere, che dagli Esseni ci viene detto verificarsi a causa di un archetipale
“Uomo di Menzogna-Errore”, i “Caldei” in Abacuc, che lo stesso Jhwh <..farà sorgere..> - a causa - del “non
ascolto” da parte dell'uomo dell'archetipale “Maestro di Giustizia-Figlio di Dio” che a lui, uomo-umanità, parla con
parole che sono di Dio.
Tutto molto in linea con quanto sin qui visto, tutto molto in linea con le parole di Gesù che i vangeli canonici tutti,
ed anche il vangelo di G.D.Tommaso, ci riportano.
Dopo tutto ciò si potrà allora vedere che le parole già in precedenza analizzate di Gesù che dicono :
< Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre
se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.. >(Mt 11.27)
sono parole che ci parlano al fondo di ciò che René Guénon così descrive parlando di una molto profonda tradizione
Orientale che egli vede similmente riportata anche nella tradizione Indù e nell'esoterismo Islamico:
< ..è in virtù della conoscenza dell' Identità dell'Essere,
permanente attraverso tutte le modificazioni indefinitamente multiple dell'Esistenza unica,
che si manifesta, nel centro del nostro stato umano, ...
quell'elemento trascendente e informale, quindi non incarnato e non individualizzato,
che è chiamato il “Raggio celeste” ; ed è tale coscienza, superiore per ciò stesso a ogni facoltà di ordine formale,
quindi essenzialmente sovra-razionale, e comportante l'assentimento alla legge d'armonia che ricollega e
unisce ogni cosa nell'Universo, è -diciamo- questa coscienza che, per il nostro essere individuale,
ma indipendentemente da esso e dalle condizioni alle quali è soggetto,
costituisce veramente la “sensazione di eternità” >
( In Nota al testo è messo :
..“sensazione”... è assunto per trasposizione analogica...e deve essere inteso ...quale
facoltà intuitiva atta ad afferrare in modo immediato il suo soggetto così come avviene per la sensazione nella sua
sfera propria; senonché fra le due vi è tutta la differenza che separa l'intuizione intellettuale dall'intuizione
sensibile, il sovra-razionale dall'infra-razionale )
(R. Guénon, Il Simbolismo della Croce-La grande Triade)
Ancora per Guénon questa esperienza umana, l'unione < dell'essenza e della sostanza, del “Cielo” e della “Terra”,
di Purusha e di Prakriti >, porta ad un < Uomo trascendente (Chen-jen) o Uomo Universale (El-Insànul-Kamil) o
Liberazione (Moksha) > che egli identifica con il < Logos-Verbo-Cristo > della tradizione Giudaica:
< L'unione tra “Cielo” e “Terra” equivale
all'unione delle due nature, divina e umana, nel Cristo, in quanto questi sia considerato “Uomo Universale” >
(R. Guénon, Il Simbolismo della Croce-La grande Triade)
Per la tradizione Indù questa unione si compie tra “Purusha-Uomo divino” e “Prakriti” che è il manifesto o ciò che
produce il manifesto, e si può quindi vedere, se pur largamente data la almeno apparente maggiore specificazione
della dottrina Indù rispetto agli insegnamenti Giudaici, un parallelo tra “Purusha” e “Figlio di Dio”.
Di questo “portarsi al divino” diceva, come già visto, in Grecia anche Socrate :
< ..bisogna..sforzarsi di fuggire da qui a lassù al più presto. E fuga è rendersi simili a Dio
secondo le proprie possibilità: e rendersi simili a Dio significa diventare giusti e santi, e insieme sapienti >
(Platone, Teeteto)
La locuzione tradotta in “simile a Dio” è in origine un ben più significativo “homoiosis to theo”, termine che ci dice
piuttosto di un portarsi ad una “osmosi-compenetrazione-uguaglianza” ovvero ad essere Uno con la Divinità.
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ottava parte
Socrate, come Gesù, si “sente” portato a “condizione divina”, -sa- di potersi unire “agli dei” al momento della sua
morte fisica:
< ..sul fatto che (dopo la morte fisica ndr) giungerò da dei...
sappiate bene che se c'è una cosa su cui potrei giurare è proprio questa..> (Platone, Fedone)
E a questa condizione egli ci dice che si giunge quando si riesce a “morire” di una “ morte” che però pochi sanno
capire : la morte all' “io-materialità” cui, come abbiamo visto, invita Gesù.
Identicamente poi diceva, sempre con parole sue, la poco conosciuta tradizione “Ermetica”.
Dell'Ermetismo, o filosofia o religione Ermetica, sappiamo grazie ad un gruppo di testi, il Corpus Hermeticum, che
per gli esperti vedono la luce tra il I ed il III secolo.
Poco o nulla conosciuti in Occidente in epoca rinascimentale essi furono scoperti da un monaco in un suo viaggio in
Macedonia e nella regione di Costantinopoli e quindi tradotti, grazie a Cosimo dè Medici, da parte di Marsilio
Ficino intorno al 1470.
Sono testi in cui troviamo alcuni elementi della cultura Egizia, molti della cultura Greca, con platonismo,
aristotelismo e stoicismo, ma anche con tracce di giudaismo e pure, probabilmente, della cultura religiosa Iranica.
Riporterò alcuni brani tratti tutti dal testo Corpus Hermeticum a cura di Ilaria Ramelli ed Bompiani 2005:
< Il Logos luminoso proveniente dal Nous è il Figlio di Dio...Sappi che quanto in te vede e ode
è il Logos del Signore e che il Nous è Dio Padre:essi non sono separati l'uno dall'altro >
(Tratt.I - Di Ermete Trimegisto:Pimandro 6)
< ..sono degni di morte coloro che si trovano nella morte... colui che ha compreso sé stesso va verso sé stesso...
o popoli, uomini nati dalla terra, voi che vi siete consegnati all'ebbrezza, al sonno e
all'ignoranza di Dio ..(e) vi siete consegnati alla morte pur avendo la possibilità di partecipare
all'immortalità...Convertitevi...voi che vi siete accompagnati all'Errore...
abbandonate la distruzione ...>
(Tratt.I - Di Ermete Trimegisto:Pimandro 20,21,27,28)
< ..ti interrogai sulla -rigenerazione-, (palingenesi)..ora io sono pronto..il mio pensiero è sottratto all'inganno del
mondo.., insegnami il processo di rigenerazione... che caratteristiche ha la creatura generata ?.
“La creatura generata sarà diversa, sarà un figlio di Dio, un tutto nel Tutto, costituito da tutte le potenze...(ma) le
verità di questo tipo..non si possono insegnare.. è Dio stesso a farle ricordare...non ho da dirti che questo:
vedendo in me una visione immateriale...sono uscito da me stesso per trasferirmi in un corpo immortale e adesso
non sono più quello di prima...non ho più colore né tatto né misura..
tu mi vedi con gli occhi...ma...non è con questi occhi che ora mi si può vedere..>
(Tratt.VIII - Di Ermete Trimegisto al figlio Tat, “discorso segreto” sulla montagna
relativo alla -rigenerazione- e sulla regola del silenzio 1,2,3 )
Aggiungo una precisazione tratta dalla prefazione del citato testo : < l'Ermetismo non implicava né purificazioni, né
cerimonie che lavassero il peccato, e nemmeno pratiche destinate a produrre un'epifania divina...i misteri ermetici
sono - misteri del Logos- >.
Sottolineo infine che il “processo di rigenerazione”, la “resurrezione” sin qui vista e citata come “palingenesi” nel
Trattato VIII sopra riportato o come “anabasis”, è visto come <..risalita verso Dio..> nel Trattato X.
Termino questo lungo ma importantissimo capitolo fermandomi su quell'invito che Gesù ha fatto di “ricordarlo”, a
Sua < memoria >(Lc 22.19) Egli dice, -mangiando e bevendo assieme”: invito ad un sacro e divino momento di
convivialità umana che la Cristianità ha trasformato in atto -umano da essa dato- : la “eukarestia-comunione”.
Gesù qui non fa che invitare a quei “banchetti di comunione o sacrificali” ben presenti al mondo Greco, e forse non
solo, nei quali ci viene detto che “partecipava anche Zeus” : sui quali scendeva il “Divino” ovvero -nei quali si
creava- il Divino !. Perfino un antico detto-proverbio Sardo ancora oggi ricorda questa Verità : “sul boccone
condiviso scende l'angelo”, è detto.
Qui però oltre a questa innegabile Verità vorrei fermarmi nuovamente sul -pane e vino- che Egli in allegoria dichiara
“Suo corpo e sangue”.
Gesù dice in quella occasione, secondo Giovanni : < se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il
suo sangue, non avrete in voi la Vita..>(Gv 6.53) e <.. colui che mangia di me vivrà per me..>(Gv 6.57)
Lontano da quell'atto di simulato cannibalismo che oggi vede la Cristianità, per la quale è il “vero corpo fisico” di
Gesù ciò che noi troviamo nell'ostia consacrata, Egli altro voleva dire:
Gesù ci dice che solo “mangiando e bevendo”, assumendo-assorbendo in noi stessi -ciò cui Egli si è portato-, la sua
“carne e sangue”, ovvero solo “capendo, assumendo in pieno e stabilmente” una coscienza che veda un “corpo
materiale lontano da ogni singolarità e quindi divino”, assieme unito e legato ad un “sangue-anima-spirito
universale”, solo così portatisi a quella condizione di “Eletto-Figlio dell'uomo che è Figlio di Dio” cui Egli si sente
giunto, -si è- Vita.
249
ottava parte
L’ UNIVERSALE GIUDIZIO–SCELTA-INNALZAMENTO
Ancora “inesatte ed errate” traduzioni, sempre indotte da una incomprensione “di fondo” del messaggio di Gesù, si
trovano -nelle Sue parole- sul cosiddetto “Giudizio finale”.
Tutte le parole di Gesù riportateci sono importantissime ma, assieme al “Discorso della Montagna” ed a quanto
visto su “Resurrezione-Rinascita-Ritorno, in vita” e sul “Figlio di Dio”, una importanza speciale hanno certo le Sue
parole su ciò che oggi è insegnato quale “Giudizio finale”.
Questi tutti poi, in particolare, sono i cardini della Cristianità: punti fondamentali della “sua” lettura e visione degli
insegnamenti di Gesù, lettura e visione di eredità paolina.
É con questa eredità che, inconsapevolmente, si produrranno importantissimi “cambiamenti” nelle traduzioni:
apparentemente possono sembrare ininfluenti modifiche atte ad attualizzare il discorso ma in realtà sono differenze
che “modificano” nella sostanza le parole di Gesù. É sulla base della esegesi e comprensione paolina di Gesù che
le parole che ora vedremo, riportateci anche queste solo da Matteo, saranno lette come “rivelazione della futura
venuta”, in una poco comprensibile “fine dei tempi”, di un Gesù “giudice e giudicante”.
Partirò dalle parole, sempre per chi ad esse dona la dignità di essere lette, del messaggio di Medjugorie del settembre
1984 :
< .. ciò che rende triste Gesù è che.. gli uomini.. lo vedono come giudice.. >
Anche senza ricorrere a questi messaggi, sappiamo comunque bene che le parole di Gesù riportate nei Vangeli molte
volte invitano a “non giudicare” sottolineando che Lui stesso “non giudica”: come conciliare allora quelle Sue
ripetute parole con quelle che Matteo ci riporta e che sono alla base della dottrina Cristiana del cosiddetto “ giudizio
universale o finale” ?!. Questo dice Gesù in Matteo secondo la Cei :
< Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria.
E saranno riunite davanti a lui tutte le genti ed egli separerà gli uni dagli altri..
Allora il Re dirà a quelli che stanno alla sua destra: venite, benedetti del Padre mio..
Poi dirà a quelli posti alla sua sinistra: via, lontano da me..nel fuoco eterno..
preparato per il diavolo e i suoi angeli > (Mt 25.31-40)
Questa è come detto la traduzione Cei, ma nella più fedele traduzione riportata in “Nuovo testamento versione
interlineare” edizioni S. Paolo 1999 su testo Greco Nestle-Aland, vediamo una differenza importantissima, che ne
trasforma e ribalta il senso, dice questo testo:
< Quando poi sia venuto il figlio dell'Adam in la gloria di lui e tutti gli angeli con lui,
allora siederà su trono della gloria di lui: e saranno riunite...(ecc) >(Nestle-Aland- Mt 25.31-40)
Qui ciò che si legge non è quello che ci dice Cei ma, in una più corretta attualizzazione, è questo:
< Quando poi il figlio dell'Adam sia pervenuto alla
sua gloria, assieme a tutti gli angeli, allora siederà sul trono della sua gloria ...(ecc) >
La differenza è abissale, così si leggono parole totalmente “diverse” dalla traduzione-traslazione, farisaico-paolina
della Cei.
Ricordando quanto si è visto in merito al “Figlio dell'Adam” quale figura archetipale e di genere per la “Umanità
caduta”, la fedele traduzione del Nestle-Aland apre con chiarezza ad una lettura che vede Gesù parlare del momento
della “fine dell'errore”, del momento della universale “nuova nascita-palingenesi”, il momento in cui -l'umanità
caduta- “perverrà” alla sua “condizione finale” di “gloria-luminosa”: il momento in cui l'uomo vedrà l'“età dell'oro”
che tutto il mondo antico poneva quale traguardo dell'umanità. Dice Gesù in questa lettura:
“ Quando poi l'umanità figlia della caduta sia pervenuta ed arrivata alla sua gloria,
al suo compimento e momento finale ..”
È, questo, il momento della “palingenesi-nuova generazione", la "resurrezione di tutta l'umanità" ovvero
la“apocatastasi–ritorno allo stato originario-reintegrazione-rinascita” che il mondo Greco e non solo già molto
prima di Gesù ben vedeva ed insegnava ma di cui è detto anche in Atti degli Apostoli (At .21). L'Avesta, il testo sacro
fondamentale della religione mazdea antico Iranica di Zarathustra e risalente al IX-VII sec aC, così descrive quel
momento :
<..quando... la prospera creazione del Santo Spirito crescerà immortale, la Falsità-Male perirà,
sebbene...possa .. uccidere i santi.. questa è la volontà del Signore..> ( Avesta, Yast Zamyad 19.12)
Anche qui è condizione “divina”, <..immortale..>, quella che deve infine vedere l'umanità intera grazie alla Spirito
Santo, una palingenesi-condizione cui si perverrà passando dal martirio, divinamente voluto, di santi, di giusti ci
dicono queste parole come anche le Scritture.
È una “palingenesi” che Gesù riprende perfino -nel termine- stesso, come si vede nella traduzione interlineare:
<... voi che mi avete seguito, nella palingenesi, quando il figlio dell'Adam siederà sul
trono della sua gloria, anche voi siederete su dodici troni..> (Mt 19.28)
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ottava parte
Il termine “palingenesi” qui usato da Gesù per la Cei naturalmente è troppo “filosofico” e per evitare questo
possibile legame, ma non solo per questo, ella tradurrà con un non corretto “nuova creazione”: “nuova generazione”
doveva al più essere, la umana e universale “nuova nascita-rinascita-risurrezione” qui ben vista.
Rafforza poi la lettura sopra esposta il fatto che nell'originale Nestle-Aland citato non vi è traccia di quei <..suoi..>
angeli che ci mostra la Cei: <.. in la gloria di lui e tutti gli angeli con lui..> ci dice il testo Nestle-Aland.
Ciò che qui si legge è che la condizione di “gloria” cui perverrà l'uomo-umanità è la stessa che vedono gli “angeli”,
è condizione “simile” agli angeli: lettura rafforzata dalle altre parole di Gesù che dicono: <..alla resurrezione...si è
come angeli...>(Mt 22.30).
La condizione di “gloria” è quella che vede l'umanità intera “resuscitata-convertita” nel senso che abbiamo visto
ovvero quella condizione in cui si vede un Assoluto che è Cielo-Terra e Spirito-Acqua in un unisono che è il TuttoUno. È solo così che si spiegano anche quelle enigmatiche parole di Gesù che dicono:
< I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno >
(Mt 24.35-Mc 13.31-Lc 21.13)
<..finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà nemmeno uno iota...dalla Legge,
senza che tutto sia compiuto >(Mt 5.18)
Fuori da ogni fantasmagorica e pirotecnica distruzione simultanea del pianeta terra e del firmamento intero, e fuori
da ogni ipotesi di annientamento di ogni cielo-spirito e terra-materia, è al momento in cui l'umanità saprà
“annullare-fare passare” un “cielo-spirito diviso e separato dalla terra-materia” per vedere infine l' Uno, è questo
momento quello cui Gesù fa riferimento.
E a quel momento di Verità che farà “passare-terminare” ogni separazione, “cielo e terra” Egli ci dice, le “paroleinsegnamenti-inviti” che Egli pronuncia, parole dell'universale ed archetipale “Figlio di Dio” che -ripete- quanto ode
nel Padre, resteranno, non passeranno diceva anche Enoch nelle sue visioni parlando di quello stesso momento:
<..è apparso il Figlio dell'Uomo e si è assiso sul trono della gloria,
ed ogni malvagità scomparirà dalla sua presenza e la parola di quel Figlio dell'uomo resterà..>
(Enoch Et. LXIX 29)
Ma, in questa lettura, anche queste altre parole di Gesù a fondo si spiegano e rivelano:
< Quando innalzerete il figlio dell'uomo-adam, allora conoscerete che io sono, e da me stesso (non) faccio nulla,
ma come mi ha insegnato il Padre così io parlo...anche voi fate quello che avete udito dal Padre >
(Gv 8.28-38 Nestle-Aland)
In questa frase la lettura solitamente fatta della espressione “che io sono” ovvero quella che vede in tale espressione
una “affermazione di assolutezza”, < che Io Sono > scrive la Cei, affermazione pur in sé non certo errata, in questo
contesto è però discutibile: dopo avere detto “Io Sono” Gesù infatti contraddittoriamente motiva quella
affermazione dicendo che “nulla fa da solo”!.
Un poco strano, più che chiarire in questa lettura Gesù confonde, ma tutto cambia con le letture sin qui fatte e
proposte: Gesù così dice:
“ Quando uscirete dalla condizione di “caduta”, di figli dell'Adam, ovvero quando vi innalzerete,
allora conoscerete -che cosa- è la condizione di figlio di Dio in cui io sono, e saprete capire e vedere che io non
faccio nulla da me, non faccio nulla grazie ad alcun “io-me stesso”,
ma parlo ed agisco secondo ciò che dall'Assoluto apprendo... anche voi portatevi a quella condizione e fate la
volontà del Padre e non quella del vostro “io”
Faccio notare da ultimo che l'espressione “che io sono” nella lingua con cui Gesù si esprimeva, e lo si vede bene
nelle traduzioni interlineari ovvero non attualizzate, con altissima probabilità e forse certezza può essere il “che cosa
io sono” qui usato, ma in nulla la lettura cambierebbe anche vedendo in essa la affermazione assolutizzante,
comunque come detto strana e contraddittoria, del “che Io Sono”.
Un'altra conferma a questa lettura la troviamo poi nei seguenti passi:
< Allora la folla ..rispose (a Gesù):
“(perché)...dici che deve essere innalzato il Figlio dell'uomo-adam ? Chi è questo Figlio dell'uomo-adam? ”
Disse...Gesù:
“ ...Camminate mentre avete la luce...Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce” >
(Gv 12.34-36 Nestle-Aland)
Alla richiesta della folla di chiarimenti sulla “identità” del Figlio dell'Adam e su cosa sia l'“innalzamento” che Gesù
dice “deve essere compiuto”, Egli risponde infatti parlando “di loro” e “del cammino” che essi, la folla, devono fare:
“essi”, dice qui Gesù, sono i figli dell'Adam, i figli della caduta, e l'innalzamento è il -loro- portarsi ad essere “figli
della luce”, figli di Dio. Chiarissime parole per chi ha orecchie per intendere!.
Ritornando alla analisi iniziale di Matteo 25.31ss, naturalmente anche le restanti parole di quel passo, su cui molto
poggia la dottrina del “giorno finale del giudizio”, trovano, in questa lettura, spiegazione; esse dicono:
< ..saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri...
allora il “Re” dirà a quelli ..alla sua destra: “venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno...”
..poi dirà a quelli alla sua sinistra:
251
ottava parte
“via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”
(Mt 25.32-41)
Nella lettura fatta queste parole non dicono altro che di quell'allontanamento, chiusura, in-operatività eterna che in
quel giorno l'umanità, arrivata alla sua “gloria-luminoso compimento”, compirà nei confronti della separazionediabalein, di tutti i suoi messaggeri-angeli, di ciò che è di e porta a, quell'errore.
In quel giorno la estremizzata e incontrollata “forza Yin di separazione” assieme a ciò su cui essa poggia ed assieme
a chi è in quell'errore-peccato, “finirà” per una forza-fuoco di chiusura-distruzione che è eterna, divina.
A questa “forza diabolica-separatrice” viene spesso assimilato-affiancato l'uomo, la persona, che è nell'errore ma
questo dire non deve confondere, si è quasi sempre in questi testi, e nonostante le parole, oltre ogni individualità.
Su questo tema, sulla distruzione-chiusura eterna, troviamo in Enoch, nei passi-visioni-previsioni che si esprimono
con la allegoria uomini-pecore, parole che meglio chiariscono e che riportano a quel filosofico vedere, la salvezza
anche del demonio, che Origene riprenderà ed insegnerà.
In Enoch, subito dopo avere detto che <..le pecore accecate.. vennero tutte giudicate e riconosciute colpevoli e
gettate in quell'orribile abisso ed esse bruciarono..> si dice, parlando del momento finale di “palingenesiapocatastasi”, che : <.. le pecore erano tutte bianche... e tutte quelle che erano state distrutte, disperse..si riunirono
in quel Tempio.. e gli occhi di tutte si aprirono ed esse videro il bene..>(Enoch Et. XC 26-35).
Ed è di questo che parla Gesù: le Sue parole, dalla Cristianità viste erroneamente come annuncio del -paolino“Giudizio finale”, unicamente dicono del momento in cui l' “uomo figlio dell'Adam”, figlio della caduta, perverrà al
suo ultimo traguardo: una “gloria” che è “fine del mondo” intendendo per “mondo” ciò di cui Gesù così dice:
< ..la consolatrice...la Ruah-vento di Verità...convincerà il mondo circa al peccato,
circa alla giustizia e circa al giudizio..(Gv 16.7,8) <..coraggio, io ho vinto il mondo..>(Gv 16.33)
Con parole bibliche, oltre che di Gesù, sarà la “fine” del “mondo-tempo terreno” di “questa”, attuale e nostra,
“generazione” caduta in una “materialità-yin” che è forza “da vincere” capendo, grazie all' “ascolto della RuahSpirito Santo” e nello stesso momento, cosa è, di quali conseguenze è portatrice e come evitarle.
Sarà la fine di quella < perversa generazione > di cui Gesù così dice :
< una generazione perversa e adultera cerca un segno...>(Mt 16.4)
< ..non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute..>(Mc 13.30,31)
Sarà “fine dei tempi-éschaton”, e “disoccultameto-apocalisse” nel senso che l'uomo rivedrà e prenderà coscienza,
quando “tutte le cose saranno avvenute”, della sua natura originaria : sarà il tempo della “pienezza” dell'uomo : il
tempo in cui egli “passeggerà con Dio”. Sarà il tempo dell' “eternità” e quindi, sebbene non come tale
esplicitamente espresso, sarà il tempo in cui si saprà vedere una “circolarità” che è Vita, Eternità che non vede
“tempo”.
Solo quella “condizione gloriosa” avrà Vita, sarà Re, mentre ogni separazione, ogni forza separatrice-diavolo e
pensiero-angelo, di divisione, saranno annullati. In quei tempi la morte sarà sconfitta, ma non la morte fisica che è
solo “passaggio”: sarà sconfitta e finirà la “alienazione-morte della parte spirituale dell'anima”, l'uomo finalmente
si vedrà e sarà “Yang e Yin” assieme e “divina eterna circolarità”.
Nelle parole che ci riporta Matteo si vede un “momento ultimo” che si può anche forse definire -in senso lato“giudizio finale”, ma è un momento per il quale, secondo Matteo, Gesù “non” usa il termine “giudizio”.
Emerge quindi piuttosto un “momento ultimo” della “prima delle illusioni”, quella dell'uomo di “essere in sé,
separato e diviso”: come conciliare infatti con il “giudizio finale” insegnato dalla paolina Cristianità anche queste
parole di Gesù:
< ..ma il non credente (nel Figlio) già è stato giudicato..>(Gv 3.18)
Chi non crede-vede-conosce in sé il Figlio di Dio ha già compiuto la “scelta-giudizio”, dicono queste parole.
“Giudizio” quindi unicamente come termine ultimo di una strada senza giudicanti e pure senza alternative,
“giudizio-valutazione-scelta” che è il momento ineludibile ed obbligato cui l'uomo singolarmente e l'umanità infine
pervengono all'esaurirsi dell'errore della separazione-diabalein.
Tutto ciò purtroppo ma inevitabilmente avverrà in quel traumatico modo che ci è descritto nelle varie “rivelazionidisvelamento-apocalissi” e che anche Gesù ci mostrerà: opera di un Assoluto-Tutto, di un “divino”, cui l'uomo è inesistente ed indistinta parte.
Dicono tutto ciò, giustamente lette, le parole del discorso che Pietro, per Atti, farà ai Giudei dopo la morte di Gesù :
<..pentitevi perciò e cambiate mentalità perché i vostri peccati siano cancellati,
affinché vengano da Jhwh stagioni di ristoro e affinché mandi...il Cristo, ..che il cielo deve..trattenere
fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose..>(At 3.19-21)
Anche queste parole dicono che -serve e basta- il cambiamento di mentalità dell'uomo “caduto all'io”, <..affinché..>
si -realizzino- le “stagioni di ristoro-regno” per l'uomo e <..affinché..> l'umanità -riveda- la iniziale “età dell'ororegno” e sia di nuovo a tutti presente il Figlio-Cristo-Signore, ovvero, sia la Sua “parusia-manifestazione”.
La lettura più sopra fatta di Mt 25.31-40 spiega, razionalmente e meglio di ogni altra, anche le altre parole dei
Vangeli di Matteo, Marco e Luca secondo le quali Gesù dopo avere annunciato, ripetendo ciò che diceva il profeta
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ottava parte
Daniele, la Apocalittica <..tribolazione quale mai è stata dagli inizi della creazione.. >(Mt 24.21), ancora con
parole di Daniele afferma :
< Le potenze dei cieli..saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e
gloria grande >(Lc 21.26,27)
E' solo in quel giorno, al culmine della devastazione spirituale e materiale, che le < potenze dei cieli >, Elohim,
potranno vedere il figlio dell'Adam, l'umanità figlia della caduta, “venire-arrivare” alla sua “gloria”, alla sua
condizione “luminosa”. Daniele, la cui “visione” sottolineo ancora Gesù riprende, della condizione cui in quel
“momento ultimo” l'umanità perverrà ci dice con queste parole :
<..i santi dell'Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per secoli e secoli..>(Dn 7.18)
Di questo “momento ultimo” lontano dal “Giudizio universale” visto ed insegnato dalla Cristianità, momento già
visto in tutto il mondo antico, “fine dei giorni” nel senso sopra precisato, Daniele, così ancora ci dice:
< (dice Jhwh a Daniele:) ..sarà eretto l'abominio della desolazione (per) 1290 giorni.
Beato chi aspetterà con pazienza e giungerà a 1335 giorni.
Tu, va pure alla tua fine e riposa: ti alzerai alla fine dei giorni >(Dn 12.11-13)
Queste parole, con numeri che restano comunque per la Ghematria credo tutti da spiegare, possono confermare
quanto sopra detto. Esse dicono di un tempo che verrà, “necessariamente ed obbligatoriamente”, dopo
<..l'abominio della desolazione..>, dopo che la desolazione spirituale, e materiale assieme, avrà raggiunto il
culmine.
Jhwh suggerisce a Daniele che alla sua morte fisica, < alla sua fine >, si < riposi >: gli suggerisce di fare come
quelli che, “beati”, sapranno aspettare la fine della “desolazione” prima di ritornare alla vita fisica, sapranno
aspettare per reincarnarsi solo quando l'umanità avrà raggiunto la “condizione-regno” del “Padre che è nei cieli” e
sarà fuori da quella “condizione di caduta-dimenticanza” che figlia dell'Adam e della “separazione-diabaleinfariseismo”. Solo alla < fine dei giorni >, solo quando l'uomo finirà di vedere il “tempo lineare” che inizia e
finisce, che nasce e muore, solo quando l'umanità saprà vedere l'eternità, il tempo circolare di una Vita Eterno-Tutto,
solo allora l'illuminato e giusto Daniele, come l'umanità intera finalmente nella “Gloria, nella Luce”, troverà il suo
posto, la sua < sorte > la Vita eterna, in-esistente all'Assoluto.
Anche Gesù verosimilmente dirà, parlando di sé stesso, di questo “aspettare il tempo ultimo-regno sulla terra”
prima di “reincarnarsi” e portarsi alla vita fisica : ne dice forse quando, nel gustare il fisico buon “vino-frutto della
vite”, affermerà :
< Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui
lo berrò nuovo con voi nel regno del padre mio..> (Mt 26.29)
E' “fisico vino” quello che Gesù “fisicamente” tornerà a bere con tutti coloro che, come i suoi discepoli, Vivi
potranno come Lui riportarsi alla vita fisica al momento della “finale” “nuova generazione-palingenesiapocatastasi” della umanità, al ritorno della condizione Edenica, del Regno “in terra così come in cielo”.
Tornando a Matteo 25 ciò che Gesù ci dice, parlando della figura archetipale del <...figlio dell'uomo-adam che
arriverà alla sua gloria..>(Mt 25.31), è ciò che da Daniele e da Enoch ci era stato descritto con queste parole:
< Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno
simile ad un “figlio dell'uomo-adam”; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere,
gloria e regno..>(Dn 7.13,14)
< E vidi l'Antico dei giorni.. e con lui era un altro essere, il cui sembiante aveva
l'apparenza di uomo.. pieno di grazia..(era) quel Figlio dell'uomo..> (Enoch Et. XLVI 1,2)
L'immagine di Daniele è la stessa che Gesù ci consegna con queste Sue parole che Marco ci riporta:
< Allora vedranno il figlio dell'uomo-adam venire sulle nubi con grande potenza e gloria..
manderà i suoi angeli e riunirà i suoi eletti..> (Mc 13.26,27)
Ma le parole di Daniele, che Gesù riprende “per dire della stessa Verità”, non dicono affatto ciò che la Cristianità
insegna, non dice di una “-venuta dal- cielo e -dal- Padre sulle nubi”: dicono di una “-andata alle- nubi ed -alPadre”.
Dicono quelle parole del “portarsi” del''uomo, e della umanità anche qui vista nella archetipale figura di “figlio
dell'adam”, ad una “nuova” condizione che sarà solo < simile > alla precedente, solo in < apparenza > essa sembra
quella stessa di chi è nella “caduta”: la vita dell'uomo, fisica e materiale, resta con gli stessi gesti, bisogni, problemi
ecc, ma cambierà nella sostanza.
Particolarmente bella ed interessante è la collocazione < sulle nubi > di questa figura ormai solo “simile” ad un
figlio dell'Adam: verosimilmente essa potrebbe dire di un uomo-umanità che non è più appiattita alla materialità,
alla terra-adamà, che non è più figlio dell'Adam ma finalmente si è posto tra “cielo e terra” equidistante tra i due,
finalmente partecipe e consapevole di entrambe le dimensioni e divine Realtà.
Anche la “nube” che per la Torah “si forma” sulla Dimora della Testimonianza, così come la “nube” che l'animauomo, Mosè, trova dopo essere salito al monte della conoscenza di Dio, potrebbero poi essere viste in una tale
253
ottava parte
allegoria. Allegoria che, forse e secondo una lettura proposta da Gregorio di Nissa (335-400), vuole anche dire della
“non chiara e perfetta conoscibilità”, da parte dell'uomo, dell'Assoluto (Marco Vannini-Il Volto del Dio nascosto).
Gesù, abbiamo visto, ci dice che quel momento avverrà solo < dopo la grande tribolazione >, dopo quei terribili
scenari di cui dicono tutte le apocalissi, ed anche ci dice:
< In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute.
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno >(Mc 13.30,31)
La “generazione” che non termina prima che quella “grande tribolazione” venga abbia termine è, con evidenza, la
umanità nella attuale, di allora ma anche di oggi, condizione, la“umanità generata nella condizione di caduta”.
È questa che deve portarsi a vedere quel “passare del cielo e della terra” che, abbiamo visto non dice di alcuna
“fine del mondo”. Sarà, abbiamo visto, in quella “condizione di gloria e potenza” dell'uomo, il “superamento” di
ogni divisione e separazione tra “spirito e materia”, “cielo e terra”.
Del “giudizio-valutazione-scelta” qui messo in luce, del “momento ultimo” in cui, secondo tante dottrine del mondo
antico, l'umanità tutta saprà finalmente “vedere e valutare” il suo unico errore, quello della “separazione-diabalein”,
dice con sufficiente chiarezza anche Ezechiele:
< Oracolo di Jhwh Elohim: “Vuoi giudicarli (gli anziani di IsraEl ) ?
Li vuoi giudicare, figlio dell'uomo (Ezechiele) ? Mostra loro gli abomini dei loro padri. Dì loro:
“Dice Jhwh Elohim : ....vi condurrò nel deserto dei popoli e lì faccia a faccia vi giudicherò come
giudicai i vostri padri nel deserto del paese d'Egitto... vi farò passare sotto il mio bastone e vi condurrò sotto il
giogo dell'alleanza. Separerò da voi i ribelli e quelli che si sono staccati da me; li farò uscire dal
paese in cui dimorano ma non entreranno nel paese di IsraEl …A voi dico: Andate, servite pure i vostri idoli, ma
infine mi ascolterete...quando vi condurrò nel paese...che giurai di dare ai vostri padri...
là vi ricorderete della vostra condotta, di tutti i misfatti di cui vi siete macchiati,e proverete disgusto per voi stessi.
Allora saprete che io sono Jhwh..”> (Ez 20.3-44)
Si vede qui come il “giudizio” sia il “prendere coscienza”, il “vedere-valutare-scegliere”: lo si vede dapprima
quando Jhwh invita Ezechiele, al fine di portare “al giudizio-comprensione” gli “anziani-guide” di IsraEl, a
<..mostrare loro gli abomini dei padri..> e poi lo si vede nella dichiarazione di Jhwh che sarà grazie all'apocalittico
passaggio <..nel deserto dei popoli..> in cui Egli <..condurrà..> l'umanità Isra-El che essa entrerà nel “paese-terra
promessa-regno” in cui saprà “giudicare-vedere-valutare” i propri errori.
E tutti, sembra dire Ezechiele con quel < servite pure i vostri idoli ma infine mi ascolterete >, saranno “giustificati”.
Solo quanto induce e porta all'errore, solo le -forze- < ribelli ..che si sono staccate dall'Assoluto-Tutto >, ci dice
Ezechiele, non si salveranno ovvero finiranno: non sarà ad esse possibile continuare a restare in quel “ paesecondizione”, legato alla materialità ed all'“io”, in cui “dimorano-operano” e nemmeno portarsi ad operare nel
“paese-condizione” cui si sarà portata l'umanità Isra-El: quelle forze saranno inoperanti, termineranno.
Enoch, come anche Origene vedremo, questa “in-operatività” la vedrà come “reintegrazione” :
<... in quei giorni la terra restituirà ciò che le è stato affidato, e anche lo Sheol restituirà
ciò che ha ricevuto, e l'inferno restituirà ciò che deve..>(Enoch Et. LI 1).
Tornando a Gesù altre Sue parole sul tema del Giudizio sono queste, da Lui rivolte ai “fariseo-separati”:
< ..Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi ?
..la bocca parla dalla pienezza del cuore...dal (vostro) cattivo tesoro (=cuore) traete cose cattive.
...io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio;
infatti dalle tue parole sarai giustificato e dalle tue parole sarai condannato > (Mt 12.36 Nestle-Aland)
Anche qui mi preme far notare una interessante differenza tra l'ultimo rigo qui riportato nella traduzione NestleAland ed il corrispondente tradotto da Cei che dice :
<..poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato >
Si vede in questo raffronto che mentre la traduzione Cei impone ed evoca una -figura- che <..in base a.. > giudica,
la traduzione Nestle-Aland mostra piuttosto l' “auto-giudizio” sin ora visto.
Un “auto giudizio-valutazione-scelta” che sarà universale “visione-comprensione” anche per Enoch :
< ..il giusto giudizio verrà rivelato a tutto il mondo..il grande giudizio universale..>
(Enoch Et. XCIII.14,15)
e sarà questa “comprensione” dei disastri e delle sofferenze da essi provocati alla umanità che porterà patimento,
pena e tormento ai peccatori: < ..il ricordo loro ricadrà su di voi..>(Enoch Et. XCVII.7) dicono i testi di Enoch e
<..Guai a voi..> dice Gesù pensando a quei tormenti.
Sarà grazie a questo che chi è stato in quell'errore potrà capire e rivedere la Saggezza o anche finire:
< ..allora i figli della terra incontreranno di nuovo incolume la Saggezza e comprenderanno tutte
le parole di questo libro..>(Enoch Et. C.6); <..tutti coloro che camminano sulle vie dell'ingiustizia, periranno per
l'eternità..>(Enoch Et. XCII.19); <..il peccato scomparirà per sempre..e non sarà più visto per l'eternità...
le radici dell'ingiustizia e quelle dell'inganno verranno distrutte..>(Enoch Et. XCI.5, XCII.8).
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ottava parte
GESÙ ED ENOCH
Abbiamo sin qui visto come il Gesù “diverso” che si è mostrato sia straordinariamente vicino ai testi di Enoch, come
sia vicino a quella tradizione enochica di comprensione delle Scritture che si contrapponeva alla -errata lettura e
comprensione- nata, o meglio rafforzatasi ed istituzionalizzatasi, durante il periodo storico del cosiddetto “Secondo
Tempio”. Istituzionalizzatasi quindi, religiosamente e socialmente, tra il V sec. aC. ed il I dC, con i sacerdoti
Sadociti prima e la supremazia dei Farisei poi.
Una -errata lettura e comprensione- che tradisce il senso e gli insegnamenti, universali e largamente già visti in tutto
il mondo antico, di quei testi, testi difficili che forse solo per evitarne il facile travisamento una vecchia tradizione
consigliava fossero letti solo da chi era opportunamente preparato. Una -errata lettura- che il Gesù qui visto ha
cercato di correggere con le sue parole e con la sua condanna espressamente indirizzata a Sadducei e Farisei, una
”errata lettura ed insegnamento” che ancora oggi purtroppo continua e prosegue nell'opera delle tre religioni
cosiddette monoteiste : Ebraismo, Cristianesimo ed Islam.
Alla tradizione enochica, abbiamo visto, restarono legati gli Esseni che infatti mai Gesù ha coinvolto nelle Sue
critiche ed invettive, come poi anche, fino ad oggi, i Mandei. Vuole poi visto che per il Giuda della epistola,
“apostolo” che ha vissuto a fianco di Gesù, i testi di Enoch sono “scrittura ispirata”, ma pure i Samaritani non erano
lontani da quella comprensione ed ancestrale Verità universale di cui la Torah unicamente dice e voleva dire.
Ma Gesù, abbiamo visto, pur mostrandoci sostanzialmente una lettura enochica delle Scritture, riprende solo in
pochi casi, seppur molto significativi, le specifiche ed esclusive immagini e parole dei testi di Enoch:
prevalentemente Egli userà parole, citerà e si rifarà a Torah, o Pentateuco, ed ai Profeti; a Gesù quindi unicamente
interessava mostrare a Farisei e Sadducei, alle -pecore perdute della casa di Israele-, quale fosse il corretto modo di
leggere-comprendere le Scritture.
La vita di Gesù, ricordo ancora, nonostante la grande e profonda critica a Farisei e Sadducei è stata pienamente
ebraica e quindi radicata in una tradizione e visione diversa sì dalle due citate che Egli critica aspramente, ma
pienamente ebreo-giudaica: Egli frequenta il Tempio, le sinagoghe, le feste giudaiche: “ben poco di cristiano vi è
stato nella Sua vita” si può, con Paolo Sacchi, dire. Gesù si lega quindi ad una tradizione e visione filosoficoreligiosa, apocalittico-rivelativa comune ai testi sia di Torah e Profeti che di Enoch, tradizione e lettura tradita da
Sadducei e Farisei ma ancora mantenuta ai suoi tempi dagli Esseni oltre che da alcune figure di insegnanti quali
Giovanni Battista.
È legittimo chiedersi il motivo del mancato accento, verbale almeno, posto da Gesù nei confronti di quei testi di
Enoch cui tanto Egli si lega. Il motivo più plausibile è quello che già ai Suoi tempi, come peraltro ancora oggi
largamente è, la tradizione enochica non fosse vista quale -diversa- lettura delle Scritture ma fosse invece
considerata visione ed insegnamento -alternativo ed opposto- ad esse. Richiamarsi esplicitamente ad Enoch
avrebbe, in tal caso, fatto perdere forza ad una predicazione che era e voleva restare centrata sulle Scritture.
Prima di vedere quali sono gli specifici legami di Gesù con l'enochismo vediamo, pur sinteticamente e per temi, cosa
dicono e cosa si ricava dai testi di Enoch, qui ripresi dalla versione Etiopica nella traduzione di Mario Pincherle :
– Errore-Inganno-Malvagi :
<..guai a coloro che creano ingiustizia e oppressione e si basano sull'inganno..>(XCIV.6) <..non hai seguito i
comandamenti del Signore ma ti sei rivolto altrove ed hai pronunciato parole superbe e dure..>(V.4); <..spiriti nati
sulla terra..>(XV.10 ); <..anime -dalla cui carne- gli spiriti maligni sono derivati..>(XVI.1) ; <..empi ...potenti ed
esaltati..>(XXXVIII.4); <..(hanno) fede negli dei ..costruiti con le proprie mani..>(XLVI.7); <..hanno rinnegato
il Signore degli Spiriti ed il loro Unto (Messia e Diletto)..>(XLVIII.10); <.(il loro destino è) condanna (tormento
ndr) fino al tempo in cui la loro luce si sia consumata..>(XVIII.14-16).
Si vede qui come l'Errore-Male per la tradizione Enochica sia “l'ingannarsi” dell'uomo che anziché ascoltare la
Voce-Verbo o Comandamenti-Tavole celesti e divine, segue “dei” che costruisce con il proprio, falso e che inganna,
“io-materialità-terreno-carnale” che insuperbisce. É interessante notare poi l'immagine del “consumarsi o autospegnersi energetico” del malvagio e ingiusto. Enoch dice parole che curiosamente vedono uno straordinario
parallelo in Dante, nella figurazione quali “fiammelle che si consumano” che per i dannati egli ci mostra.
Parlando del “viaggio”, anche questo quasi dantesco, cui pure lui viene accompagnato, dice Enoch :
<..ed essi mi portarono in un mondo i cui abitanti erano come fuoco fiammeggiante e, quando volevano,
apparivano come uomini..>(XVII.1) .
Difficile, per la evidente uguaglianza tra i due testi, che questa tanto specifica immagine non fosse a Dante
pervenuta quale tramandato ricordo, da parte forse di tradizioni Catare o Templari, delle parole di Enoch.
– Giustizia-Giusti :
<..i saggi sono umili..>(V.8); <..spiriti del cielo..>(XV.10); <..giusti .. Eletti..>(XXV4,5); <..eletti e santi
bambini..>(XXXIX.1); <..coloro che non dormono..>(XXXIV.12); <..avranno pace..>(XLV.6)
255
ottava parte
Si vede qui come per il giusto, dichiarato anche Eletto, siano richiamate le caratteristiche di “umiltà”, di
“similitudine ai bambini” e di “vigilanza-non sonno” già ben viste.
– Fine dell'errore-inganno
<..giorno della consumazione..>(XVI.1); <..(empi)..non avrete pace...>(XVI.4); <..(per gli) angeli.. uniti con le
donne e i loro spiriti.. nel giorno del grande giudizio.. è decretata la loro scomparsa..>(XIX.1); <..il male
commesso nei giorni della afflizione si accumulerà sui peccatori..>(L.2); <..la terra restituirà ciò che le è stato
affidato e anche lo Sceol restituirà ciò che ha ricevuto..>(LI.1); <..non vi sarà più alcun ostacolo nel nome del
Signore degli Spiriti, davanti alla sua giustizia perfino le montagne si inchineranno e le colline diverranno una
sorgente d'acqua..>(LIII.6,7); <..voi avete compiuto il bene e dovete aspettare gli ultimi giorni quando sarà posto
fine a coloro che compiono il male.. aspettate, finché il peccato sarà scomparso..>(CVIII.2,3); <...l'armata di
Azazel ..divenuta soggetta ad errore satanico ha portato fuori dal retto cammino coloro che dimorano sulla terra.. e
quando.. avranno riconosciuto che ciò è avvenuto per le ingiustizie che essi hanno portato sulla terra, allora, a
causa di ciò, periranno..>(LIV.5-10) ; <..gli angeli (pensieri-forze ndr) che si sono uniti con le donne e i loro
spiriti, assumendo molti aspetti differenti.. esisteranno fino al giorno del grande giudizio in cui è decretata la loro
definitiva scomparsa..>(XIX.1)
Giorno del grande-completo giudizio, si vede qui, è visto come la fine definitiva e per consumazione dell'erroreinganno a seguito del suo riconoscimento da parte dell'uomo.
– Assoluto
<...Signore degli Spiriti...>; <...fulmini e lampi..brillano per una benedizione o per una maledizione secondo la
volontà del Signore degli Spiriti.. e il frastuono..fa capire le sofferenze che avvengono nella terra sia che esse
accadano per benevolenza e benedizione, o per una maledizione, in conformità della parole
del Signore degli Spiriti..>(LIX.1,2); <...l'azione benefica del sole può cambiare spesso per una benedizione o
per una invettiva, e così pure il corso del cammino della luna è luce per i giusti e oscurità per i peccatori..>(XLI.8)
<...vidi..come alcune stelle danno luogo a stelle cadenti e non possono rinunciare a questa loro nuova
forma..>(XLIV.1);
Vediamo qui l'aspetto, presente anche questo alle Scritture e che più oltre approfondiremo, di un divino che infligge
e porta e il bene e il male.
– Eletto del Signore degli Spiriti
<..essere che è con L'Antico dei Giorni.. che ha l'apparenza di uomo, ( ovvero è un -ndr) Figlio dell'Uomo che ha in
sé la giustizia..>(XLVI.1); <..l'Eletto starà di fronte al Signore degli Spiriti, e la sua gloria è per l'eternità, e la sua
potenza è per tutte le generazioni... e in lui dimora lo spirito della saggezza, che dona la preveggenza, e lo spirito
dell'amore e lo spirito della volontà per coloro che si sono addormentati nella giustizia e giudicherà le cose
segrete..>(XLIX.2-4); <..Enoch, vivente, venne assunto presso il Figlio dell'Uomo e il Signore degli Spiriti..
elevato in alto.. e un angelo lo salutò..: “tu sei il Figlio dell'Uomo. Nato nella rettitudine.. la pace su di te.. sarà per
tutta l'eternità.. questo è il destino di chi è unito al Figlio dell'Uomo..>(LXX.1; LXXI.14,15,17);
<..Egli (Eletto-Figlio) ..la Saggezza del Signore degli Spiriti lo ha rivelato ai santi e ai giusti...(che) saranno
salvati..>(XLXIII.6-8)
Si vede qui il tema del dell'uomo-adam, caduto, che può e deve portarsi alla archetipale condizione di Eletto unito
all'assoluto.
In conclusione possiamo quindi dire che nella tradizione Enochica troviamo temi ed insegnamenti tutti chiari e
primari anche nel Gesù “diverso”, come visto, ma che sono chiari e primari anche nelle Scritture correttamente
lette. Restando invece agli aspetti che più esclusivamente legano Gesù ed Enoch possiamo vedere :
a) un tema concetto e Verità specifico di Gesù e di Enoch è quello della “spada” di cui l'uomo deve munirsi per la
lotta contro il dilagante errore : <..chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una..>(Lc 22.36); <..una
grande spada veniva data alle pecore.. che avanzarono contro tutti gli animali dei campi per distruggerli..>(XC.19)
in allegoria dice Enoch. Tema questo non presente alle Scritture dove sempre la “spada” è brandita solo dal divino,
da Jhwh.
b) altro importante tema concetto e Verità specifico di Enoch e Gesù è quello della assimilazione del “giusto-santo
eletto” alla condizione dei bambini. Tema anche questo praticamente assente alle Scritture, se si esclude il nascosto
accenno che ne fa Isaia (Is 9-11), si vede che le parole di Gesù sul <..diventare come bambini..per potere entrare nel
regno..>(Mt 18.3) sono le stesse di Enoch che parla dei <..eletti e santi bambini..>(XXXIX.1).
c) Gesù ed Enoch mettono bene in luce l'importante “doppio aspetto”, di “uomo caduto” e di “Figlio-Eletto”, della
allegoria del “Figlio dell'adam-uomo”, doppio aspetto che resta invece poco o nulla visibile nelle Scritture.
Un fondamentale “doppio aspetto” allegorico che nasce dalla consapevolezza e Verità che -ogni uomo- può, e
soprattutto deve, portarsi in vita ad essere “Eletto-Figlio”: in Gesù ed Enoch meglio che nelle Scritture si vede che
il “caduto figlio dell'adam-uomo” è visto destinato a portarsi ad essere, innalzandosi, “Eletto-resuscitato-unito al
Padre”.
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ottava parte
d) altra Verità che più chiaramente si vede in Enoch e Gesù è quella di un “giudizio” quale “scelta-innalzamento”
che l'uomo stesso deve compiere preferibilmente -in vita-, dicono entrambi, Gesù con il suo <..se uno non rinasce..
da vecchio..> (Gv 3.4,5) ed Enoch con il suo <..giudizio... fatto durante la loro vita..>(XXII.9-13)
e) tratto -peculiare- di Gesù ed Enoch, assente alla Torah e nascosto e implicito in molti Profeti, è la critica della letterale e manualistica-, parziale ed incompleta, lettura farisaico-sadocita dei “dieci comandamenti”. Sia in Gesù
che in Enoch vediamo la denuncia che questa incomprensione ha trasformato quegli insegnamenti in “precetti di
uomini”:
- Enoch non parla mai delle mosaiche “Tavole dei dieci comandamenti” ma dice solo di “Tavole celesti” che
devono essere ascoltate e comprese ovvero di ciò che a tutti gli uomini è divinamente e direttamente rivelato. Con
questo presupposto facilmente si può pensare che quando Enoch dice <..una legge sarà data e sarà come una
prigione..>(EE.XCIII.6) il riferimento sia, pur nel contesto di ben più largo Accadere divino, anche a quella legge
mosaica che, priva della giusta comprensione, diviene “precetto e prigione” al contempo.
- Gesù, parimenti, sostanzialmente ridurrà ad uno solo quei “dieci comandamenti”: <..questo è il mio
comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati..>(Gv 15.12) . Ben poco o meglio quasi mai Egli
indirizzerà ai dieci comandamenti: praticamente solo nell'episodio del “Giovane ricco” Egli farà ad essi riferimento.
Non è il “dare regole-precetti” ciò che interesserà e farà Gesù quanto piuttosto far capire, come ha fatto nel
“Discorso della Montagna”, che quei dieci comandamenti sono “norme civili” date da Mosè che, ad esclusione di
quella data per assecondare la “durezza di cuore dei giudei”, nascono in quella “Voce-Verbo” divina che in e ad ogni
uomo, nel silenzio dell'”io”, giustamente insegna ed indirizza.
f) un tema di nuovo più chiaramente evidente in Gesù ed in Enoch rispetto a quanto non lo sia in Torah e Profeti, è
quello della “fine dei tempi-fine dell'errore-apocatastasi”. Per Gesù abbiamo già visto in precedenza in questa
ottava parte, mentre per Enoch piuttosto chiare sono le frasi riportate più sopra alla voce “Fine dell'errore-inganno”,
frasi che parlano di una “fine-consumazione dell'errore-inganno in cui l'uomo è caduto, che avviene grazie al
riconoscimento e presa di coscienza di esso da parte dell'uomo stesso”.
g) il legame di Gesù con i testi di Enoch, e con -la conseguente- lettura e comprensione delle Scritture, si mostra
però anche, significativamente seppure più marginalmente, in alcune espressioni verbali esclusive dei due :
prima evidenza è quella, anche se non troppo significativa, del verbale molto ripetuto da entrambi, < Guai a
voi..>; espressione che, almeno così, non è presente alle Scritture.
un'altra espressione, ben più significativa e non presente alle Scritture, è quella che, nel dire di chi e coloro che
sbagliano, vede Gesù ed Enoch rispettivamente dire: < ..meglio per quell'uomo se non fosse mai nato !.>(Gesù in
Mc 14.21) e <..Sarebbe stato meglio per loro non essere nati..>(Enoch Et. XXXVIII 2).
- ancora una “formula” non presente alle Scritture e che rivela la totale unità di visione tra Gesù ed Enoch, è quella
che parla di quell'evento, incompreso allora come oggi, di cui Enoch dice: <..l'Eletto (Figlio dell'Uomo ndr)
siederà sul trono di gloria..>(XLV.3) o anche <...vedranno che Egli (mio Eletto) siede sul trono della sua
Gloria..>(LXII.3). Gesù, di questa verità, in modo identico dice : <.quando il Figlio dell'Uomo sarà seduto sul
trono della sua gloria..> (Mt 19.28).
Ma su Enoch è interessante vedere anche la sua figurazione dell'aldilà, quella cui ho accennato nella seconda parte di
questi scritti alla voce “Zed l'Eternità” per la estrema similitudine fisica tra ciò che dice Enoch e le quattro
inspiegate “stanze” dello Zed interno alla Grande Piramide egizia.
Quella figurazione di Enoch infatti, piuttosto singolare, conferma nella sostanza quanto fin qui detto su quella
tradizione anche in relazione ai legami tra essa e quanto detto ed insegnato da Gesù, quello “diverso” qui visto.
Dice Enoch :
<.. Quattro cavità vuote, profonde, ampie e molto levigate: tre di esse sono buie e una luminosa e in essa vi è una
vasca di acqua proprio nel mezzo …Una cavità è.. per gli spiriti dei giusti ed è quella nella quale vi è la vasca di
acqua chiara... quest'altra è stata fatta per i peccatori che muoiono e vengono sepolti nella terra prima che
il giudizio su di essi sia fatto durante la loro vita. E quest'altra cavità è fatta per gli spiriti dei martiri che chiedono
vendetta...e quest'altra (ultima ndr) è fatta per gli spiriti degli uomini che non furono giusti, ma peccatori..., empi :
saranno in compagnia con i trasgressori della Legge, ma i loro spiriti non verranno puniti nel giorno del giudizio
né saranno tolti di là.. > ( XXII. 9-13)
Alle Acque della Vita, all'Assoluto che circola tra Oriente ed Occidente, alla stanza “aperta” su quei due lati come è
nello Zed, vanno coloro che -in vita- sono divenuti “giusti”, sono “resuscitati”. Destino separato ma che li vedrà
portati comunque al giudizio-innalzamento dice Enoch, sarà invece quello sia di coloro che, peccatori, muoiono
senza avere compiuto la resurrezione e sia quello di coloro che, non peccatori ma anzi martiri a causa di quelli, non
hanno saputo perdonare e cercano vendetta.
Destino invece di consumazione, con l'errore-inganno come abbiamo visto sopra, è quello invece di “empi” che
sembra essere ciò che “ostacola e chiude la Voce-Verbo” divina: ciò, andando oltre ogni pur citata singolarità, di cui
Gesù dirà <..a chi bestemmia lo Spirito, quello Santo, non sarà perdonato.. né in questo secolo né in quello
futuro..>(Mt 12.32).
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ottava parte
Nella relazione tra Enoch e Gesù non deve ingannare, come solitamente è, il fatto che sembra mancare in Enoch lo
stesso accento che Gesù invece pone sull'“amore”.
Su questo aspetto vuole detto che la “umiltà” sulla quale Enoch molto insiste, umiltà che non è che l' “abbassamento
di vento” indicato e suggerito oltre che pienamente seguito nella sua vita da Gesù, riporta ed è anzi la fonte stessa
dell'”amore” cui Gesù invita e chiede.
Un “amore” che non ha, come abbiamo visto, l'accento “malato” che oggi ci viene insegnato: Gesù è maestro di un
amore che gli lascia vedere attorno a sé un “prossimo e fratelli” in cui sono comunque “morti, porci, cani, gente
incapace di capire dalle quali è bene allontanarsi scuotendo la polvere dei sandali”.
L'amore che Gesù vive quindi non è quel lacrimevole rivolgersi al prossimo che spesso nasconde e serve in realtà
piuttosto l' -amore per l' “io” donante-, l’amore per un “io” che con quell’amore dato vuole salvarsi.
LA VITA TERRENA, LA RICCHEZZA E IL CESARE
Siamo abituati a pensare, secondo quanto ci è insegnato su Gesù, che al Cesare, alle regole sociali, sia da demandare
e da attribuire potere e competenza in riferimento al denaro soprattutto e ad altri mondani ambiti ma non certo in
riferimento alla vita fisica: il potere di vita o di morte che deve essere sacralmente riconosciuto nelle mani di Dio.
Ma per quanto si può leggere nelle parole e nella vita di Gesù per Lui così non era: per Gesù anche la vita fisica è
nelle mani del Cesare che ha quindi il diritto di mettere a morte.
Questa importante verità non vista e sottolineata della vita di Gesù la si trova dapprima velata ed incerta nelle parole
di Gesù che testimoniano dello scarso se non nullo peso e rilevanza che Egli attribuisce ad una “morte fisica” che
con evidenza per Lui non era che un momento, importante, di una Vita che pur individuale è oltre ogni singolarità.
<..lascia che i morti seppelliscano i loro morti >(Lc 9.60) < ..la carne non giova nulla..>(Gv 6.63) < Non temete
coloro che uccidono il corpo..>(Lc 12.4) < Perché avete paura (di morire -ndr), uomini di poca fede? >(Mt 8.26)
Oltre che in questi passi poi tale verità si vede e si pone con la considerazione e constatazione che “ mai” nella Sua
vita, e “mai” anche nel momento della sua crocifissione con i due ladroni, Gesù “condanna una pena di morte” che
oltretutto ai suoi tempi era quasi quotidianamente dai Romani comminata, ed anche per reati di rapina.
Una importante conferma che per Gesù era perfettamente legittima la messa a morte operata dal Cesare in base alle
“leggi sociali”, si ha infatti anche dai colloqui che Egli avrà, secondo il vangelo di Luca, con i due “ladronirapinatori” assieme ai quali sarà messo a morte. In quel momento ed occasione infatti Gesù ben avrebbe potuto dire
“parole di condanna” per la uccisione di quei due ladrii: ogni cristiano di oggi avrebbe tuonato contro la
soppressione di quelle “vite umane”, uccisioni compiute peraltro per una “colpa” quale il ladrocinio-rapimento.
Lui no !. Questo è quanto ci viene riportato di quei momenti nei quali Gesù ad uno dei due ladroni, solamente, ha
detto che avrebbe visto il < paradiso >, il Regno, assieme a Lui :
< Uno dei due malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi !” Ma
l'altro lo rimproverava : “Neanche tu hai timore di Dio benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente,
perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, Egli invece non ha fatto nulla di male. E aggiunse: “Gesù, ricordati
di me quando entrerai nel tuo Regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” >
(Lc 23.38-43)
Constato qui con amarezza che oggi si pensa ed insegna la “povera” visione di un Gesù-Cristo-Dio di “bontà” che
oltre a non dire incomprensibilmente nulla su quelle “soppressioni di vita umana” fatte anche per reati oggi non
certo gravi, addirittura “premia” chi lo “ossequia e supplica” mentre abbandona chi, nel difficile momento della
propria morte, molto umanamente e giustamente e senza “insultare”, come invece suggerisce Luca, non avendo mai
visto prima Gesù si pone dei dubbi sulla non certo evidente Sua “deità”: tutto ciò non merita commenti.
Il premio conseguente all'ossequio, all'omaggio e adulazione, è riprovevole sempre ancor più poi dovrebbe esserlo
se compiuto da un Gesù-Cristo-Dio !.
Ma purtroppo oggi in quelle parole di Gesù sappiamo e possiamo vedere solo un “bigotto premio” o una
“compiaciuta benevolenza” e tutto sembra essere secondo quanto previsto nel “Tao The King”, p18, che dice:
<Quando il Tao (Verità ndr) sarà abbandonato la dottrina della benevolenza e della bigotteria verranno alla luce>
Ma le cose non stanno come vuole vedere la cristianità e nessuna “supplica” Gesù premia e nessuna “benevolenza”
vi è nel Suo comportamento e nelle Sue parole. Le parole di Gesù sono infatti “predizione” e non già
“premiazione”: nelle parole pronunciate da quel malfattore Gesù vede una “disposizione d'animo-condizione
spirituale” -in virtù della quale-, e non già per una Sua “concessione”, “anch'egli andrà al Regno”.
Non sono le considerazioni che i due hanno fatto “nei confronti” di Gesù che hanno determinato la Sua risposta e
non vi è ombra di “premio” nelle Sue parole come non vi è ombra di implicita“condanna o punizione” nella Sua
mancata risposta nei confronti di chi sarcasticamente lo invitava a salvare se stesso e loro due assieme.
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ottava parte
Una libera analisi di quell'importante episodio che miri a capire il vero senso e motivo della risposta di Gesù, deve
partire dalla constatazione che il secondo malfattore dichiara “giuste” le loro due crocifissioni, le “messe a morte”
che essi, ladroni, stanno subendo, mentre dichiara “ingiusta” quella di Gesù.
Ora, nelle parole e nello stato d'animo di quel condannato non vi è traccia di “pentimento”.
Al più si può forse intravvedere un labile “rammarico”, e non può essere pertanto nemmeno questo che ha mosso
Gesù a quelle Sue parole: ciò che lo ha portato a quella considerazione è stato il vedere nelle parole di quel ladro la
“piena accettazione” di una “giusta condanna a morte”.
E' questa “accettazione dell'Accadere”, sono quelle parole che mostrano il completo “distacco dall'io-materialità”,
parole che non vedono più alcuna “singolarità” che conti, alcun “io” da salvare, è questa accettazione, in tutto
uguale a quella che ha visto la morte di Socrate come pure quella stessa di Gesù, che farà vedere a Gesù che
quell'uomo è fuori dalla condizione di “caduta” alla materialità, è “rinato-resuscitato”. È per questo, è perché Gesù
vede e capisce che quell'uomo è “resuscitato” che gli potrà dire che sarà assieme a Lui nel Regno.
Mentre il primo malfattore cerca la salvezza del fisico “io personale-creato” come fece Pietro quando da Gesù
venne allontanato con quel duro <..Via da me Satana, tu..pensi..secondo gli uomini..>(Mt.16.23), il secondo con
quell'abbandono dell' “io” ha aperto la strada verso una Realtà che va oltre quella “materia” che “ giustamente”, egli
dice, per la legge sociale comunque da accettare e nel mondo giusta del “Cesare”, egli dovrà abbandonare.
E questo è l'altro aspetto che mostra quell'episodio: Gesù non corregge quelle parole, anche per Lui sono “giuste” le
messe a morte dei due ladroni, il cui reato prevede, per la legge del Cesare, tale condanna.
Legge di un Cesare comunque da accettare, legge che dispone della vita fisica, “civilmente giusta” per quanto
prevede e qui “giusta messa a morte fisica” che, come il ladrone che sarà con Lui in paradiso, Gesù accetta.
Ma anche questo aspetto di Gesù, questo suo grande rispetto ed obbedienza per le decisioni del Cesare, di chi è
predisposto, giuste o meno le sue decisioni, al regolamento della vita “fisica”, dell'ordine civile, era già stato
anticipato, quattro secoli prima, da Socrate. Socrate infatti si rifiuterà di evitare la condanna a morte, come i suoi
amici gli avevano suggerito di fare proponendogli di corrompere alcuni funzionari, e difenderà così una autorità che
pure lo aveva ingiustamente condannato: anche per Socrate le decisioni delle istituzioni civili -devono- essere
comunque rispettate !.
Ma queste innegabili verità, tengo a ripetere, sia per Gesù che per Socrate non dicono di alcuna “non
considerazione” rispetto alla vita fisica: essa, al contrario, per entrambi è da vivere pienamente.
Socrate ha vissuto una vita piena, normale e senza alcun rimpiattamento: ha fatto campagne militari, ha avuto
moglie e figli, era sempre presente alla vita civile come ai banchetti.
Gesù viene dichiarato < mangione e beone > (Mt 11.19) ed anche Egli dirà : < Guai alla carne che è schiava
dell’anima...> (vangelo di G.D.Tommaso 112). Guai cioè, dice Gesù, a chi non vive a pieno la vita fisica, a chi
passerà una vita fisica senza forza in quanto solo posta ad attendere un compimento nell'aldilà, guai a chi cioè, con
parole di Nietzsche, vive da “ammalato pensando al -mondo oltre il mondo- alla vita oltre la vita”.
Gesù, come Socrate, assieme ad una vita materiale importante vedono una “morte fisica” che è solo “passaggio e
tappa”: è continuazione di Vita, passaggio di un cammino che per essi può vedere anche il ritorno alla vita fisica,
può vedere la reincarnazione. A questa vicinanza tra Gesù e Socrate dedicherò il prossimo capitolo.
Qui, con riferimento alla visione di Gesù rispetto alla vita fisica, approfondirò l'aspetto del denaro, delle ricchezze.
Ricordiamo tutti i proverbiali:
<..è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei cieli...>(Mt 19.24)
<..non potete servire dio e mammona..>(Lc 16.13) <..quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno
nel regno di Dio..>(Mc 10.23)
Sappiamo che certamente non di cammello si trattava ma di "gomena", grossa corda, e questo errore è indicativo
anche di uno spirito di negatività rispetto alle ricchezze che, invece, non si riscontra nelle parole di Gesù.
Gesù certo constata, soprattutto, e dice, che la ricchezza ed il denaro "possono essere" un grande ostacolo e pericolo,
"possono" rendere <..difficilissimo..> entrare al Regno, ma non dice che sono in assoluto un male.
La sua vita peraltro dimostra che egli ha sempre vissuto a fianco anche di persone ricche, non ha mai tuonato contro
di esse: <..un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe,..diventato anche lui discepolo di Gesù..>(Mt 27.57).
Anche quanto interrogato sui tributi da versare dirà, rispetto al denaro, il celebre <..date a Cesare quel che è di
cesare..>(Mt 22.21), non dice che il denaro è da buttare, da non usare.
Il denaro quindi, e le ricchezze, per Gesù servono e sono necessarie alla vita fisica e civile, ma è la loro errata
visione, errore estremamente facile all'uomo, che può portare alla rovina. Al ricco Zaccheo a casa del quale Gesù si
era recato e che aveva detto che avrebbe donato metà dei suoi beni, Gesù dice <..oggi la salvezza è entrata in questa
casa..>(Lc 19.9): non è stato il liberarsi di metà dei suoi beni che ha portato Zaccheo a salvarsi, ma la nuova e
"diversa" considerazione che di essi, con quel gesto e decisione, egli ha dimostrato di avere maturato.
Dice al riguardo ancora Gesù: <..la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola (il
Logos divino) ed essa non dà frutto..>(Mt 13.22).
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ottava parte
Le ricchezze per Gesù "ingannano" quindi ma servono la buona e giusta vita fisica e civile, servono il Cesare, ma
non solo, per Gesù esse, come tutto, possono e devono essere prodromiche alla vita eterna, al Regno.
Gesù afferma questo nella poco compresa parabola sull' "Amministratore disonesto" che riporta Luca. In questa
parabola Luca, come anche in altri punti del suo vangelo, si vedrà, non capendo bene confonde e mette assieme frasi
di Gesù non attinenti. Qui la frase non attinente è quella finale su "Dio e mammona", frase che Matteo riporta in
altro, e lì attinente, contesto. Al netto di questa frase non attinente la parabola, che racconta di un amministratore
che, esonerato dal padrone, si procura amicizie abbuonando parte dei debiti a coloro che dovevano olio, grano ecc.
al padrone, conclude con queste parole, esplicative, di Gesù:
<..I figli di questo mondo .. verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene io vi dico:
procuratevi amici con la disonesta (ingannevole ndr) ricchezza, perché, quando essa verrà a mancare, vi accolgano
nelle dimore eterne..>(Lc 8,9)
La terrena ricchezza, dice Gesù, è bene che i "figli della luce" ovvero chi -non è- "figlio di questo mondo", chi non è
"figlio del'Adam", figlio della "caduta", sappia giustamente considerarla e trattarla e così quindi trovarsi già pronto a
proseguire quel cammino che si deve compiere dopo la morte. Un avvantaggiarsi-prepararsi che, non certo alla
maniera "ingiusta" dei "figli di questo mondo", rispetto alla ricchezza si attua considerandola sia per la sua
importanza materiale che per il suo aspetto di "inganno-disonestà". Dice infatti ancora Gesù:
<..Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto e chi è ingiusto nel poco è ingiusto anche nel molto.
Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stai fedeli nella
ricchezza altri chi vi darà la vostra ?(Lc 16.10-12)
Pur essendo pericolosa, "disonesta-ingannevole", dice quindi Gesù, la ricchezza, "il poco", ciò che serve solo per la
vita fisica e sociale, da parte dell'uomo deve vedere assieme la fedeltà e l'onestà: la considerazione per il suo aspetto
e servizio fisico e sociale ed il distacco da essa. Un distacco che porta l'uomo, sempre sì ma in particolare nelle
società dei suoi tempi, quelle a cui egli parlava e che non vedevano la protezione sociale delle società moderne,
l'aiuto diretto a chi, "bussando alla nostra porta o trovato sul nostro cammino" dice Gesù con le sue parabole, ha
bisogno. Un aiuto cui oggi, nelle moderne società, con il welfare l'uomo comunque partecipa.
L'insegnamento di Gesù, ancora, non è regolamento, non è il "precetto sociale" che è compito di un Cesare che
dovrà essere Nobile-Giusto, ma è insegnamento filosofico che resta all'uomo pur nel cambiare, nei secoli, delle sue
diverse condizioni e doveri sociali.
Le ricchezze, per Gesù, vogliono viste, considerate e rispettate quali importante bene e strumento della vita fisica ma
con la coscienza di una "pochezza" che porta a -sapere- che "non serve accumulare tesori sulla terra" ma che
bisogna <..accumulare invece tesori nel cielo...cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia..>(Mt 6.20,33).
SOCRATE, GESÙ E IL VERO FILOSOFO
Dirò qui della vicinanza delle figure di Gesù e Socrate ma prima vorrei sottolineare che tanti punti in comune
Socrate ha anche con Eraclito l'Oscuro: sul rapporto tra questi due oltre a rimandare a quanto sin qui visto vorrei
riportare quanto ci dice Diogene Laerzio nel suo “Vita di Socrate” :
< Pare che Euripide, dopo avere dato a Socrate l'opera di Eraclito, gli chiese cosa ne pensasse; egli rispose :
“Ciò che sono riuscito a capire, è eccelso; penso che lo sia anche quello che non ho capito, anche se ( per
comprenderne fino in fondo il significato ) occorre un palombaro di Delo” >
Conferma, tutto ciò, una grande vicinanza tra i due e, avendole lui viste, bisogna dire che quelle “profondità da
palombaro di Delo” anche da Socrate siano state ben colte e frequentate.
La figura di Socrate, abbiamo visto, da subito si avvicina a quella Gesù per il loro comune “non volere scrivere
nulla” da un lato e dall'altro per la “mancanza dell'io” che porta a “non giudicare”: aspetti chiari per Gesù e che per
Socrate entrambi si mostrano, come visto, nella sua affermazione che dice: “saggezza è sapere di non sapere”,
affermazione e coscienza che già fu peraltro anche di Eraclito:
< Eraclito..da giovane diceva di non sapere nulla, fatto adulto sostenne di sapere tutto..>
(D. Laerzio -Vite dei filosofi IX.5)
< Non giudichiamo come capita delle cose più grandi > (Eraclito- Diano-Serra; fr.77)
Ma ben altra vicinanza si arriva a vedere quando si scopre -cosa è “filosofia”- e -cosa accade al “vero-autentico
filosofo”- per Socrate che quel termine sembra avere coniato: tutto non è che quanto ha fatto in vita e quanto a noi
ha indicato il Gesù “diverso” qui messo in luce !. Quasi tutto, arrivati fin qui, su quella vicinanza abbiamo visto ma
ritengo valga la pena meglio dirne. Su Socrate e sulla “philo-sophia” ricordo che per lui:
Vero filosofo, vero-amante della Saggezza/Sapienza-, è colui che, grazie ad una <..melete thanatou..> che è
“esercizio di morte o morte all'io-materialità”o “liberazione dalle catene" e "conversione-inversione dello
sguardo” che consente all'uomo di <..contemplare la Verità..> e <..giungere al bello in sé..>,
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ottava parte
si porta a condizione divina , si rende <..simile al divino..> ed alla morte fisica, che egli a quel punto <..non
reputerà un male..> : con parole della tradizione greca, alla morte fisica sarebbe <.. finito fra dei ..>.
In modo del tutto uguale per Gesù: all'uomo, per vedere la Saggezza-Sapienza, è necessaria la “morte all'iomaterialità o conversione-cambiamento di mentalità-resurrezione” , allegoricamente il “passaggio nel deserto”,
per potersi come Lui stesso portare a condizione divina, per essere “figlio di Dio” e, con parole della tradizione
giudaica, così essere “alla destra di Dio”, ovvero - essere divina destra potenza Diceva Socrate, con parole ancora oggi valide, su ciò che è “philo-sophia” :
< sono...veri filosofi..quelli che amano contemplare la Verità.. coloro che riescono a giungere al bello in sé e a
vederlo nella sua essenza..(ed essi, nel cui) intelletto alberga la magnanimità e la contemplazione di ogni tempo,
non reputano un male neanche la morte..> (Platone, Repubblica libri V e VI)
< ..(ai più) è sfuggito in che modo agli -autentici filosofi- “scappi-capiti di morire”,
e in che modo meritino la morte, e quale morte, poi > (Platone, Fedone 64b)
Questa “morte” cui pervengono meritatamente i “veri filosofi” per Socrate infatti è la “morte all'io-materialità” che
egli, poco oltre, descrive così: <.. l'anima che, staccatasi dal corpo.. ( porta a) ..non darsi pena per
i ..piaceri,..cibi, bevande.. quelli amorosi..i vestiti… e altri artifici per abbellire il corpo..> (Platone, Fedone 64d,e)
Una “morte” che, egli dice, è un “coraggioso sforzo di fuga dal -qui- dell' “io” ad un -lassù- che è -fisica
condizione- di “similitudine a Dio”, è il portarsi in vita ad essere “giusti-sapienti” :
< ...(bisogna) sforzarsi di fuggire da qui a lassù ...
e fuga è rendersi simili al divino secondo le proprie possibilità: e rendersi uguali al divino
significa diventare giusti e santi, e insieme sapienti >(Platone, Teeteto)
Il processo “filosofico” sarà da Socrate detto “fuga da qui a lassù” volendo dire della “uscita” dal “basso-caverna”
dell' “io-materialità” e significando così quanto Gesù dirà, come visto, anche con il suo: <...Alzatevi, andiamo via di
qui..>(Gv 14.31). E quella condizione di “similitudine al divino” in cui con evidenza Socrate si sente, condizione
in tutto uguale all'intimo sentirsi Figlio da parte di Gesù, lo porterà con solida “certezza” a dire:
< ..sul fatto che (dopo la morte fisica) giungerò da dei... sappiate bene che se c'è una cosa su cui potrei giurare è
proprio questa..> (Platone, Fedone 63c,d)
Riepilogherò ora tutte le uguaglianze tra Socrate, che “vero filosofo” si considerava, ed un Gesù che infine si
mostra, nella accezione socratica, quale “vero-autentico filosofo” e tale può e deve essere dichiarato e considerato.
E quale “filosofo” infatti Egli, secondo le parole di Paolo sotto riportate, era insegnato da quei Grandi Apostoli,
poiché non può essere diversamente, che sempre Paolo, come visto anche in 2Corinzi, combatterà :
<..camminate nel Signore Gesù Cristo come l'avete ricevuto..come vi è stato insegnato...
(e) badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia... ispirata alla tradizione..>(Col 2.8 )
– a) In tutto uguali Socrate e Gesù sono nella loro decisione di non lasciare alcuno scritto. Già abbiamo visto le
profondissime motivazioni che hanno portato entrambi a quella decisione.
– b) Del tutto uguali sono l’invito di Socrate a “conoscere se stessi” e quello di Gesù che invita a “trovare se
stesso” con un “cercare”, Egli dice, che evidentemente è un cercare -in sé-: per entrambi è invito a “cercaretrovare-conoscere il divino in sé”, è invito a “portarsi” a condizione divina. Dice Gesù:
<..Il mondo non è degno di ospitare colui che troverà se stesso..>(V.Tommaso 111)
– c) In tutto uguali Socrate e Gesù sono nella loro consapevolezza ed invito a “non giudicare” :
< io non giudico nessuno > dirà Gesù mentre per Socrate questo era implicito nel suo < sapere di non sapere > che
è anche “sapere di non potere giudicare”.
– d) In tutto uguali Socrate e Gesù sono nel loro vedere l'uomo sempre e comunque in una condizione di “caduta”
dalla quale deve uscire nel corso della vita terrena. Di Gesù ricordo alcuni dei suoi passi :
<..lascia che i “morti” seppelliscano i loro morti > (Lc 9.60) <.. viene il principe del mondo...Alzatevi, andiamo
via di qui.>(Gv 14.28-31) < ..coraggio, io ho vinto il mondo..>(Gv 16.33)
<..se uno non “rinasce” ...da vecchio...> (Gv 3.4,5)
In Socrate la condizione umana di “caduta” si vede anche da lui dichiarata quale “morte” ma pure ne dice quale
“malattia” come pure farà Nietzsche; una malattia sulla quale così egli si esprime:
< ..l'anima ...(nella) sua discesa nel corpo umano segna il principio della sua fine ed è come l'inizio di una
malattia..> (Platone, Fedone XLIV).
Questo aspetto, che a me sembra chiaro, si rafforza poi con la lettura, in tale ottica, di quella discussa e problematica
sua ultima frase in cui egli al momento della morte dice: < Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio, dateglielo, non
ve ne dimenticate.. > (Platone, Fedone LXVI)
Qui Socrate parla al plurale e quindi quella offerta sacrificale per Asclepio, il dio che “guarisce dalle malattie”, non
era riferita alla offerta per la “sua morte fisica vista come guarigione”, non era ciò che tanti in essa hanno visto,
compreso Nietzsche che contro quella frase userà parole veementi nonostante la incongruenza che una tale lettura fa
nascere rispetto alla intera vita di Socrate, tutta vissuta pienamente e con forza.
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ottava parte
Quella offerta invece era ricordata in riferimento alla “guarigione dalla malattia-caduta” di cui erano stati
protagonisti lui e Critone, e forse anche quei suoi amici e compagni che, come loro giunti ad essere “ veri filosofi”,
“risanati-rinati-resuscitati”, gli furono a fianco nella vita ed in quegli ultimi momenti.
La frase di Socrate peraltro arriva proprio alla fine di un lungo discorrere, con amici e compagni, che riguardava e
riassumeva le sue “verità filosofiche”: un lungo discorrere nel quale egli dice di avere:
< ..messo in buon ordine, per benino, i suoi pensieri..> (Platone, Fedone LXIV).
Conferma poi questa lettura il fatto che quanto capito o paventato da Nietzsche e tanti altri è, dicevo, incongruente
rispetto alla vita che egli ha trascorso, una incongruenza che fu ben vista anche da Nietzsche stesso che di Socrate,
ammirato, saprà dire:
< Se tutto va bene, verrà il tempo in cui, per promuovere il proprio avanzamento spirituale e morale, si
prenderanno in mano i “memorabili” di Socrate...A lui si riconducono le strade delle più diverse maniere
filosofiche di vita.. Socrate ha...(una) gioconda forma di serietà e quella saggezza piena di birbonate che costituisce
per l'uomo lo stato d'animo migliore...> (Nietzsche, Umano troppo umano - Il viandante e la sua ombra)
– e) In tutto uguali Socrate e Gesù sono nel loro vedere la necessità da parte dell'uomo di “uscire”, con una nuova
“nascita” nel corso della vita terrena, dalla condizione di “caduta-morte-malattia” per portarsi ad essere “ simili al
Dio” dirà Socrate ovvero “figli di Dio” dirà Gesù sulla base di una Torah correttamente compresa.
Questa “uscita” dalla condizione di “caduta-morte-malattia-sonno-illusione”, nel mondo antico, Sumero, Egizio,
Indo-Ario, Greco presocratico e Giudaico della Torah, è stata allegoricamente in vario modo detta :
“abbattimento della propria casa”, “uscita alla luce”, “fine delle illusioni”,
“dichiararsi nessuno”, “rivedere la Sposa”, “liberarsi da catene, lacci e prigioni”, “ circoncisione”,
“passaggio al deserto”, “abbandono di paese, casa, padre ecc.” .
Da Gesù quel cambiamento sarà detto quale “conversione-cambiamento di mentalità”, “innalzamento” e
“rinascita-resurrezione in vita” mentre da Socrate sarà detta e vista quale “liberazione dalle catene e uscita dalla
caverna”, “guarigione”, “staccarsi dell'anima dal corpo” e “traguardo filosofico”, come abbiamo visto, ma
anche, identicamente a Gesù, sarà detto da lui e visto quale “nuova nascita”, una “rinascita-resurrezione” che
Socrate si sente particolarmente, e divinamente, dotato a far compiere. Nel Teeteto egli afferma infatti che la sua :
< arte .. è tale quale quella delle levatrici.. e il dio lo costringe a fare da levatrice..>
Socrate, con la stessa similitudine ed espressione e con 500 anni di anticipo su Gesù che dice <..se uno non
rinasce..>(Gv 3.3) , diceva così della necessità per l'uomo di “rinascere” : con i suoi suggerimenti, con i suoi inviti
a “cercare” il vero fondamento di ogni asserzione, con il suo portare a scavare ciò che si dichiara, pensa e crede, che
altro non è che il razionale smascheramento delle “doxa-convinzioni” -proprie- dell' “io”, egli dice che
<..l'anima ..genera...il Vero..>.
I suoi suggerimenti trasformano l'uomo che così quindi “rinasce” e, così staccatosi dall' “io”, diviene e si scopre
“simile a Dio” ovvero “uguale al divino”, con parole della Torah e di Gesù : diviene Figlio di Dio .
Un'altra “allegoria” , che dice anch'essa di questo “rinascere”, è quella dello “staccarsi-innalzarsi” che vede Socrate
invitare a <..staccare (l'anima) dal corpo..>(Platone, Fedone 64d,e) e Gesù dire <..Alzatevi .. via di qui..>(Gv
14.31) e <.. bisogna che sia innalzato.. il Figlio dell'Adam >(Gv 3.14).
Parole diverse, e diversi approcci, per lo stesso fine : la “guarigione, morte all' io-materialità”, la “melete thanatouesercizio-esperienza di morte” che trasforma e porta a condizione divina.
– f) In tutto uguali Socrate e Gesù sono nel loro invito all'ascolto della “voce” divina, la Ruah-Vento santa per Gesù
e il “Daimonion-Demone” per Socrate: “voce” divina che è in ciascuno e di ciascuno e che si può ascoltare quando
l'“io” tace . Il “demone” che Socrate “ascolta” infatti non è alcun “personale ed esclusivo” divino accompagnatore,
egli invita tutti all'ascolto di quel tipo di “voce” :
< ..a te Socrate gli dei indicano in anticipo quello che devi e quello che non devi fare !..
( Socrate :) “ Che io dica la verità, potrai capirlo anche tu, se non starai ad aspettare di vedere comparire
gli dei in forme sensibili..> (Senofonte- Memorabili IV.3.12,13)
– g) In tutto uguali Socrate e Gesù sono nella serena accettazione di un Accadere che è sempre e comunque divino,
accettazione che vedrà il suo culmine, per entrambi, nella accettazione della loro morte fisica, una morte imposta da
un Cesare che per entrambi era assolutamente da rispettare pur nelle sue errate decisioni e “leggi”.
– h) In tutto uguale è poi ancora la loro “serenità” di fronte ad una morte fisica che per entrambi solo è “passaggio”,
una serenità che solo gli “autentici-veri filosofi”, secondo la accezione socratica, riescono ad avere : serenità
indubbia anche se rotta in Gesù da quel Suo ultimo < Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ? >(Mc 15.34)
non pienamente comprensibile se non nell'ottica della Sua constatazione, in quei momenti, di non possedere più
quei “superiori poteri” che indubbiamente ha avuto.
Esclamazione comunque, va' riconosciuto, lontana dal gesto con cui Socrate si dà la morte cui è stato condannato.
“Serenità” di entrambi, comunque, che è lontanissima dagli -odierni- filosofi tutti invece impegnati a chiedersi
ancora per quali vie possa svanire quella < angoscia > che al contrario loro sentono e che li affligge, al pensiero
appunto della morte fisica.
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ottava parte
Serenità cui inviterà anche Nietzsche con la sua “morte che compie e che deve essere una festa” .
– i) Ancora poi, infine e inevitabilmente, si vede che entrambi, Socrate e Gesù ritengono possibile la
reincarnazione.
Per Gesù abbiamo già approfondito nell’apposito capitolo della Parte Settima come, perché e dove egli dichiara la
reincarnazione possibile ma non strada corretta. A quanto visto e detto in quella sede si aggiunge ciò che, più tardi e
più avanti, al capitolo “Il segno di Giona” dell’Undicesima Parte come già detto, vedremo nella analisi delle parole
da Lui pronunciate su Giona. In quelle sue parole infatti oltre a trovare una conferma della Sua credenza nella
reincarnazione, Egli dirà di una “reincarnazione correttiva-espiativa”, del passaggio ad una vita e condizione
<..peggiore della prima..>(Mt 12.45).
E non dice altro che questo Socrate, sia con il “Mito di Er” che con il “Mito del Giudizio dei Morti” riportati da
Platone rispettivamente in “La Repubblica” ed in “Gorgia”. Qui, in Gorgia, si legge infatti che -dopo il giudizio
che segue alla morte fisica-, <..le pene (si scontano) sia qui (in terra a seguito della reincarnazione -ndr) sia
nell’Ade, poiché non è possibile liberarsi dell’ingiustizia in altro modo..>. E, seppur esposta in modo più
complesso, sostanzialmente la stessa dottrina per Socrate si vede nel “Mito di Er”.
Ma ancora in Gorgia Socrate, nel proseguire, si porterà a dire che a quelle eventualità, a quella necessità di liberarsi
dall’ingiustizia con pena, sfuggono i “filosofi”: <..all’Isola dei Beati ( vanno ) soprattutto le anime dei filosofi che
nella vita abbia fatto ciò che gli compete e non si sia intromessa in troppe faccende..>.
E ciò che compete ai filosofi, abbiamo visto, per Socrate è -l’esperire ed insegnare- quel “conosci te stesso” che
implica la “rinascita in vita” e la simmetrica “morte all’io-melete thanatou” ma anche, come è per lui vero-autentico
filosofo, implicitamente compete al filosofo il “sapere” della verità della possibilità di reincarnarsi.
A tale filosofo, ancora similmente a quanto insegnato da Gesù che dice che chi lo segue-capisce godrà della “pace”,
Socrate sempre in Gorgia dice: <..là (nella condizione di filosofo) una volta giuntivi si è felici, sia mentre si è vivi
sia dopo morto..>.
Di -questa- “filosofia” di Socrate e di Gesù, sarà ancora discepolo ed insegnante un temporalmente lontano Origene
(185-254) il quale, per parole del suo discepolo Gregorio il Taumaturgo, vedeva :
<..obiettivo suo...l'alta filosofia...lo stato di calma..(che ci vede) equilibrati, simili alla divinità ..>
ed < ..educava...a concentrarsi nel proprio spirito ed a volerne conoscenza .. a tutti i costi.
Attività questa propria della filosofia e che si risolve nel sapiente imperativo “conosci te stesso”..>
(Gregorio il Taumaturgo, Discorso a Origene, Città Nuova p.73,78)
Un Origene che criticherà sì la filosofia ma quella, cui deriverà quella odierna, che <..ingiuriava il nome della
filosofia...>(Gregorio il Taumaturgo, Op.Cit., p.75)
Lontanissimo infatti da tutto ciò è quanto la -odierna filosofia- propone, insegna e persegue, una filosofia che ancora
largamente si chiede, senza capire, quale fosse il tipo di “morte” in cui al vero-autentico filosofo “capitava” di
incorrere: ancora si chiede cosa fosse questa “melete thanatou-esercizio di morte” di cui parlavano Socrate come
pure altre figure cui essi intendono rifarsi. Lontanissimo da tutto ciò è una -odierna filosofia- che arriva a vedersi e
sentirsi quale multidisciplinare “formazione culturale”.
Lontanissimo da tutto ciò è una -odierna filosofia- che è soprattutto “amore di una conoscenza-erudizione”: tutta
“propria” dell' “io-conoscente” e della “sua” cerebrale intelligenza, una “conoscenza-erudizione” che pur positiva
per la vita fisica e pur positiva “in sé” purché non sentita “propria dell'io”, pochissimo o nulla ha a che vedere con la
“Conoscenza-Saggezza-Sapienza” della socratica “autentica filosofia” .
Questa “Conoscenza-Saggezza-Sapienza” solo può essere il “sentire-vedere” del “cuore-anima” cui nessun “io” può
pervenire: la stessa “Sapienza” della Torah che Gesù, quello qui “diversamente” visto, unicamente ha voluto
mostrare. Dice di queste Verità un bel passo di Baruc:
< I figli di Agar, che cercano sapienza terrena,..i narratori di favole, i ricercatori dell'intelligenza non hanno
conosciuto la via della sapienza...(similmente ai ).. famosi giganti dei tempi antichi, alti di statura, esperti di
guerra; ma Dio non scelse costoro... >(Bar 3.23-26)
Anche Eraclito, per i testi in “Eraclito- I frammenti e le testimonianze” di C.Diano- G.Serra; dirà di questa
“sapienza-saggezza”:
< ..nessuno giunge a intendere che la sapienza è cosa che sta a sé ed è distinta da ogni altra..> (op.cit fr.80)
<.. di molte cose devono acquistare la scienza quelli che dicono di cercare la sapienza ..> (op.cit fr.81)
Capire a chi ed a cosa è dovuto questo allontanamento, tra-dimento, trasporto ad altro, di una “filo-Sofia” che ha
perso ormai la sua -vera autentica- natura è compito non facile e a me certamente non possibile, principalmente due
però, in questa direzione, credo siano le figure da osservare: Platone ed Aristotele .
A Platone, cui dobbiamo certo riconoscenza per il suo dirci di Socrate, si possono però addebitare almeno un paio di
concetti, veri errori più forse che induzioni all'errore. Errori e concetti che egli ingiustamente, come ormai da buona
parte della critica è accertato ed accettato, addebita alla figura socratica ovvero:
– da un lato la deleteria “separazione-divisione” di un “divino” che per Socrate invece è un Uno assieme
umano/divino e materiale/spirituale. Una “separazione-divisione” che Platone pone ed insegna con la sua teoria
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ottava parte
delle Forme/Idee -separate- dai loro corrispettivi fisico-materiali,
dall'altro la parimenti deleteria messa in campo di un Demiurgo -creatore- che per di più non crea le Forme/Idee
di cui sopra.
Ad Aristotele invece credo si debba addebitare la dannosa sostanziale trasformazione della “filoSofia” -vera
autentica- qui vista in “scienza delle scienze”:
– con il suo “filosofia prima” egli pone infatti la ricerca filosofica al livello della fisica e della matematica ma la
filosofia è solo indagine compiuta dall'anima, è il “cercare”, personalissimo e di ciascuno, con gli “occhi” e la
“vista” dell'anima, occhi e vista, e fuga, che Plotino, più avanti, così ben descriverà:
< ..Fuga.. è non guardare. Come chiudendo gli occhi.. dovrai cambiare la tua vista con un'altra, risvegliare la
vista che tutti possiedono, ma che pochi usano..> (Plotino, Enneadi)
Ritengo sia importante, all'occidente, riflettere ed indagare su quell'allontanamento e tradimento della “vera
filosofia”, di quell'invito e indirizzo al “portarsi-rendersi simili al divino” che è essenza, oltre che fine, della “philoSophia”. E si dovrà anche vedere che a quel fine-traguardo del portarsi “ simili al divino” nessun “insegnamento”
può servire: l'uomo può solo essere “sollecitato all'intimo ascolto ed al cercare” come indicavano sia Gesù che
Socrate: un ascolto ed un “cercare in sé”, domandarsi, mettersi in discussione, che è ciò che indicava la scritta
Delfica ed a cui sollecitava Eraclito: “conosci te stesso” .
La sola cosa che potrà “insegnare-istruire” e quindi far “rinascere l'uomo” è il “Demone-Voce divina-Logos” che
Socrate sapeva ascoltare: “voce” che per la Torah e Gesù è la Ruah-Vento-Spirito Santo, e Madre, che fa “scoprire in
sé-nascere” quel Figlio di Dio che dice e fa quanto ascolta e vede nel Padre, “voce” che nella coscienza di ciascun
uomo sempre parla, se puramente ascoltata.
Il “demone” che Socrate ascolta e che invita tutti ad ascoltare infatti non è che il Logos “comune” di Eraclito e dello
Stoicismo :
<..la Legge comune, ossia il retto Logos, è diffuso nel tutto e si identifica con Zeus che presiede alla
direzione della realtà..> (Zenone di Cizio 333-263 aC Diogene L. VII,88).
Un “divino”, questo è “demone”, che è il Logos-Verbo che porta l'uomo a vivere con “virtù-giustizia” e che assunto
in noi ed a tanto portatici è, per le parole di Socrate, la “deità” che vivremo anche dopo la vita fisica.
Ed è questo il senso del Delfico “conosci te stesso”: chi andava a quel tempio a cercare il Divino veniva ammonito
così che egli doveva “cercarlo in sé stesso” .
Conoscenza che non si insegna, che solamente potrà essere “sollecitata”, per la quale solamente si potrà “indicare la
strada”: così ha fatto Socrate che con le sue discussioni tutte volte a fare andare al fondo dei “propri dell'io”
convincimenti e pensieri che, smascherati e smantellati, lasciano posto e voce a ciò che in noi è “divino”.
Socrate “invitava” ad un “vedere diversamente” che altro non è che il “cambiamento di mentalità-conversione” cui
invitava Gesù.
E anche Gesù non ha che “indicato la strada”: quella del “cercare”, evidentemente -in sé-, è tra le Sue più grandi
raccomandazioni assieme al “grido-richiamo-ekklesia” che, come visto, è stato l'invito all'ascolto del Figlio, della
voce divina, voce del Padre-Jhwh.
–
Da ultimo infine, sul “vero-autentico filosofo” vale la pena di considerare seppur sommariamente il perché questi,
per Socrate secondo Platone, ci venga additato ed indicato quale -ideale- uomo politico. In merito certamente si può
dire che la vita pratica dell'uomo, la civile convivenza umana, dovrebbe idealmente vedere una Istituzione civile-ReGiustizia che si pregni di quella divina-universale Legge-Armonia-Karma-Jhwh che tutto sovrasta e regola.
Socrate ci dice che il “vero-autentico” filosofo, essendo questi colui che maggiormente, “simile al Dio”, si avvicina,
con-prende ed ascolta quella Legge-Armonia-Karma-Jhwh, è colui che di conseguenza è da considerare l'ideale uomo politico - .
LA INIQUITÀ
Ritorno alle citate, inconsapevoli e forse anche ineluttabili, lontananze e tra-dimenti che, quale “albero” così nato e
gigantescamente cresciuto, sono albero i cui frutti mi fanno “vedere” ciò che Gesù già “vedeva” nell’invitarci a
leggere Daniele. Gesù, secondo Marco e Matteo, ne parlerà in questi termini :
< sentirete parlare di guerre vicine e lontane,...i popoli combatteranno l'uno contro l'altro,
...ci saranno terremoti e carestie,... ci sarà chi tradirà un fratello per farlo morire, i padri faranno lo stesso verso i
figli, i figli si ribelleranno contro i genitori e li faranno morire, ...ci saranno giorni di tribolazione, la più grande
che ci sia mai stata, ...vedrete colui che commette l'orribile sacrilegio..
dove non dovrebbe mai entrare > (Mc 13.7-19) < bisogna che ciò avvenga >(Mc 13.7)
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<...per il dilagare della iniquità, l'amore di molti si raffredderà..>(Mt 24.12)
Anche Paolo, se pur senza capire, saprà vedere nelle parole di Gesù che dicono di tante sofferenze, quella ineludibile
“iniquità” di cui diffusamente parla tutta quella Scrittura che lui, se pur farisaicamente, ben conosce:
<..l' iniquità..conduce alla morte..(Tb 14.11)
< L'iniquità renderà deserta tutta la terra e la malvagità rovescerà i troni dei potenti. >(Sap 5.23)
Gesù nelle righe sopra riportate parla, accreditandovi una ineluttabilità che nasce con chiarezza anche in Legge e
Profeti, di una in-iquità che porta a quei disastri e distruzioni di cui dice anche Daniele con la visione della quattro
bestie; “visione” che Gesù invitava a capire ma che ancora oggi è largamente incompresa.
Disastri e distruzioni che sono le stesse di cui, tra i tanti, ci parla Enoch come conseguenza “inevitabile” della
nascita dei “giganti”, i giganti dell' “io”. Similmente, con l'immagine del Diluvio, ci dice la Torah e prima di essa il
PerEmRa Egizio ed il poema paleobabilonese Atrahasis, ma stesse sono anche le distruzioni di cui ci dicono, pur con
altre immagini, le tante Apocalissi-Rivelazioni di tutto il mondo antico.
Ciò che “vedeva” Gesù e di cui dice Daniele, come Isaia, Zaccaria, Geremia e tutta la Scrittura, è solo ciò che,
unitariamente, tanti altri testi di tutto il mondo antico hanno detto prima di Gesù, ed è ciò che anche Paolo, come
detto senza capirne la vera natura, così riassume in 2Tess. 2 :
< il giorno del Signore non è imminente…prima dovrà avvenire l’apostasia …l’uomo iniquo…colui che si
contrappone e s’innalza sopra ogni essere…che viene detto Dio…che è oggetto di culto… che siede nel tempio di
Dio additando se stesso come Dio… (e) il mistero dell’iniquità è già in atto.. >.
Il “mistero” della “in-equità” è l'“uomo iniquo”, “l' Anti-Cristo” ovvero “il contrario del Messia-Unto-Cristo”, e
cioè quanto porta all'opposto di ciò cui invita la voce Messianica. È “mistero”, incompreso, ancora oggi per la
paolina Cristianità mentre Gesù ci diceva che era da capire già 2000 anni fa.
La tradizione islamica chiama questa figura-accadere, questa “iniquità-uomo iniquo”, “Dajjal”.
Flavio Cuniberto, ne “Il cedro e la palma”, ci informa che questa parola nasce dalla radice semitica “dgl=vessillo”
e con prestito aramaico essa è in stretta parentela con il sumerico “daglu=lucente”; tutto ben si accorda con la
tradizione del cristiano “Lucifero”.
Se ne ricava quindi una “Iniquità-Dajjal-Lucifero” come “potenza che abbaglia”, come ciò che “abbagliando non fa
vedere la Verità” portando ed inducendo alla “lontananza dal Vero”.
Paolo non capirà questa “in-equità”, non saprà vedere che da questa forza nasce l' “io” divisore che illude e abbaglia:
un “io” che è infine quella stessa forza.
Lontano da quella singola personalità dell’ “uomo perverso” spesso dalla Cristianità evocata, la “in-equità” delle
Scritture, e di Gesù, altro non è che quella “forza ed opera” che porta ed invita all’ “errore dell’io”, errore personale
che finisce per riflettersi, svilupparsi e rafforzarsi nel collettivo.
Errore personale di un “io” che pertanto poi diviene sovra-individuale: di gruppo, di movimento, di razza o di
nazione o di religione ecc..
È questo, aldilà di chi fisicamente lo ha espresso e lo esprimerà o che, aiutandolo, lo ha incarnato e lo incarnerà,
l’“uomo iniquo”, ciò che creerà le Grandi Bestie di Daniele, ciò che porterà ad una enorme sofferenza e distruzione
di spirito ancor più che di materia. Questo è ciò che dicono e vedono le tante tradizioni apocalittiche del mondo
intero, una forza contro la quale sempre si vede lottare, per vincere alla fine, la Verità.
Di questo momento “finale” di un “errore” che è ineludibile ed inevitabile, di questa fine che è “inizio ad una nuova
vita” parlerà Gesù come detto con le sue parole sul < giorno del giudizio >(Mt 12.36) o del < giorno della fine del
mondo > (Mt 13.49), la < nuova nascita > ( Mt 19.28): il giorno che seguirà alla <..tribolazione grande quale mai
avvenne dall'inizio del mondo..>(Mt.13.14).
E' il tempo luminoso, e in tal senso < giorno >, che vede la “nuova nascita-palingenesi”, è il tempo che rivedrà
l’uomo vicino all’ Assoluto, il tempo della “fine del mondo attuale”, il tempo del “cambiamento di mentalitàconversione” in cui l'uomo sarà di nuovo <..sulle sponde del fiume..> dice Enoch.
Giovanni dirà che a quel tempo <..sarà “Dio-con-loro” > (Ap 21.3): Jhwh di nuovo “passeggerà” con l'uomo, sarà
“visto” dall'uomo come agli inizi mentre < la “morte” e gli “inferi” saranno gettati nello stagno di fuoco > (Ap
20.14). L' “uomo iniquo” è una forza che si è sviluppata non solo in Occidente grazie anche e forse soprattutto, se
pure inconsapevolmente, alla rovinosa e deleteria dottrina dell’ “io-creato”, dottrina cardine di quei tre nonmonoteismi che sono Ebraismo, Cristianesimo ed Islam.
Cosa è infatti se non l'“io”, con la forza e gli insegnamenti che lo sostengono, ciò che < si contrappone e si alza
sopra ogni essere >, che si cura di sé come < oggetto di culto >, cosa se non l'“io-materialità” finisce per sentirsi
“solo e unico” e così anche < sedersi nel tempio di Dio additando sé stesso come Dio > !.
Termino queste dolorose ultime righe con l’augurio e la speranza che la “vittoria” della Verità, che quella “Età
dell’Oro o dell’Assoluto” che tutte le Apocalissi vedono, stia ormai arrivando.
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NONA PARTE
I PRIMI TEMPI
Le ricerche ed analisi sin qui condotte, “ferme” soprattutto al “filo a piombo” delle parole di Gesù, hanno portato
spesso se non sempre a contestare le Cristiane visioni ed interpretazioni.
Poiché tutte o quasi queste diverse visioni nascono dalle parole di Paolo, è necessario ed importante un
approfondimento su questo grande “interprete” di Gesù e “vero padre” della Cristianità, una indagine che qui
affiancheremo a quella delle diverse e lontane “letture-visioni” della figura di Gesù che duramente si scontreranno
all'interno soprattutto, ma anche fuori, dalla ufficiale Cristianità.
Prima di tutto ciò però, e per una maggiore completezza del quadro, esamineremo con alcuni appunti quei “farisei”
da Gesù tanto criticati ma poco però, credo, approfonditi.
I FARISEI
È vero che della fazione dei Farisei non abbiamo notizie particolarmente dettagliate ma è pur vero che le fonti di cui
disponiamo ci permettono la costruzione di un profilo sufficientemente esaustivo. Tra le fonti principali vi sono le
parole di Gesù riportate nei Vangeli e gli scritti di Giuseppe Flavio (37-100 dC), storico giudeo nato a Gerusalemme
e vissuto a lungo in quei luoghi che assume questo nome a seguito della sua romanizzazione.
Già il nome, “farisei”, ci dice molto, esso significa “separati” e ci dice quindi di coloro che sono nella qui tanto
citata “separazione-diabalein” dell’ “io” ma ci dice anche della vera e profonda critica di Gesù ai farisei: i tanti Suoi
< guai a voi farisei > infatti altro non sono che dei “guai a voi separati”, guai a voi che, in tutti i tempi, pensate di
essere separati dal resto della umanità, essenti in sé, e siete caduti all’”io-materialità!.
I farisei anche come gruppo sociale era, e si riteneva, “separato” dal resto della umanità: sappiamo che essi
vietavano, imponendolo a tutti i giudei, le relazioni con chi non era giudeo, con i pagani.
Qualche altra caratteristica di questo gruppo si ricava da queste annotazioni di Giuseppe Flavio:
< i farisei...non fanno alcuna concessione alla mollezza. Seguono quanto
la loro dottrina ha scelto e trasmesso come buono, dando massima importanza a quegli ordinamenti che
considerano adatti e dettati per loro >(AG libro XVIII:12-3)
< ..i farisei avevano passato al popolo certe norme trasmesse dalle precedenti generazioni e non scritte nelle leggi
di Mosè, per tale motivo sono respinte dal gruppo dei sadducei i quali sostengono che si debbano considerare
valide solo le norme scritte >(AG libro XIII:297)
< Su questa materia nacquero controversie e differenze profonde tra i due partiti: i sadducei si curavano soltanto
dei ricchi e non avevano seguito tra le masse mentre i farisei avevano il sostegno delle masse >(AG libro XIII:298)
< (i farisei) Credono nella immortalità delle anime, e che sotto terra vi siano ricompense e punizioni per coloro che
seguirono la virtù e il vizio: eterno castigo è la sorte delle anime cattive, mentre le anime buone ricevono ...(e
vanno).. a una nuova vita >(AG libro XVIII:14)
< Per questi (insegnamenti i farisei) hanno un reale ed estremamente autorevole influsso
presso il popolo; e tutte le preghiere e i sacri riti del culto divino sono eseguiti conforme alle loro disposizioni >
(AG libro XVIII:15)
I “farisei” quindi hanno grande seguito tra le masse “per la loro dottrina” ci sottolinea G.Flavio: essi insegnano che
“seguendo precise regole e precetti”, compresi i “comandamenti” che tali sono se visti ciecamente, l'uomo vivrà in
eterno, < ricompensato..(e) in nuova vita > vivrà perciò verosimilmente in beatitudine mentre chi non segue tutto
ciò andrà in < eterno castigo >.
Abbiamo già visto nella settima parte di questi scritti come su questa “ nuova vita ricompensata” non vi possano
essere certezze totali: essa poteva essere vista, e verosimilmente così era, non già come “risurrezione universale
della fine dei tempi” ma quale “proseguimento della vita nell'aldilà”, nel “mondo oltre il mondo” ci dice Nietzsche.
Non possiamo a questo riguardo non ricordare che la critica di Gesù ai farisei è stata totale, continua, devastante e
senza riserve e non si spiega quindi come, nella lettura cristiana, dentro a tale critica Gesù non abbia pensato a
salvare quella supposta loro credenza e dottrina della “resurrezione corporale” che essi condividevano e che è
caposaldo della Chiesa che, secondo Paolo e la Cristianità odierna, Egli avrebbe voluto e fatto nascere.
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Per la durezza della critica fatta ai farisei da parte di Gesù, la Cristiana visione che questa fosse limitata ed
indirizzata unicamente alle “norme e precetti”, agli “atti fisici” da essi chiesti ed imposti è, ancora, “visione povera”
e quasi offensiva per un Gesù visto anche solo quale profeta: inimmaginabile poi una tale povertà per un Dio.
La critica di Gesù quindi non poteva non interessare le “credenze di fondo” dei farisei, ciò che li aveva portati a
quella “separazione”, evidente in quel nome di farisei, che partendo dall' “io” personale si era portata all' “io” etnico
razziale: io-giudaico qui, ma errore universale.
E certamente per quel Gesù che fino ad ora abbiamo visto questo era il principale motivo di critica : quel < lievito
dei farisei e dei sadducei > che vuole evitato è proprio l' insegnamento e la dottrina “separatrice” dell'“io”, è l'errore
della “separazione” al fondo “identico”, nonostante le diversità di dottrina: continuazione della vita per i farisei,
nessun proseguimento della vita per i sadducei. Gesù non dice di fare attenzione “ai lieviti” di ciascuno ma “al
lievito” di entrambi, lievito di tutti coloro che quell'errore-separazione insegnano e seguono.
Gesù poi non poteva, in quella Sua critica, non comprendere tutto ciò che da quell'errore-peccato discendeva ivi
compreso quel quadro di insegnamenti che vede < ricompense o castighi >: insegnamenti lontanissimi da quel
“regno da trovare” come anche dalla “destinazione al fuoco eterno” di cui Egli diceva.
L' insegnamento della “ricompensa-castigo” non fa che rafforzare un “io” che finisce per vedersi “singolarmente e
personalmente” eterno, eternamente “separato”.
Altro, abbiamo visto, insegnava Gesù: insegnava un “giudizio-valutazione” dell'uomo che deve “alzarlo” dalla
condizione di morte-caduta per portarlo, “inesistente in sé”, al Tutto-Assoluto-Eterno, alla Vita che non può vedere
“singolarità-separazioni”. Fuori da questa Vita resta solo una lontana “illusione” che si spegne:
< via lontano da me.. nel fuoco eterno...preparato per il diavolo e per i suoi angeli > (Mt 25.41)
E quel fuoco, lui eterno, per le Scritture “chiuderà” definitivamente quell'errore e forza ma non già per “castigo”
ma “per conseguenza” di quel “porsi nell'io” separato ed illusione senza futuro: per quella Legge che è Jhwh.
Storicamente sappiamo che i Farisei esercitarono il loro potere e la loro maggiore influenza religiosa e di costumi
sul popolo ebraico a partire approssimativamente dal 300 aC fino al 70 dC, ma certo le loro idee di fondo andranno,
come vedremo, ben oltre.
Ai tempi di Gesù sono Farisei la maggior parte degli Scribi ovvero coloro che “insegnavano” a capire le Scritture
limitando così ogni possibile “diversa” interpretazione di quei testi ed il loro grande seguito tra le masse, che Flavio
ci testimonia, non deve fare dimenticare che questa fazione pur maggioritaria e col maggior seguito vedeva al suo
fianco un'altra numericamente molto importante corrente: gli “Esseni”.
Questi, contrariamente ai Farisei, non suscitano aperti fervori tra il popolo, la loro religiosità è vissuta in modo
intimo e personale: essi non cercano “proseliti”, per essere da loro accettati e per partecipare a fondo delle loro
credenze e della loro “sapienza-sentire” serve un lungo periodo di “iniziazione ed istruzione”.
Da essi sono completamente trascurati “riti e cerimonie” pubbliche in quanto non condivise e la loro conduzione di
vita è certamente molto umile.
Sulla consistenza delle fazioni-gruppi religiosi del tempo di Gesù, scrive Hartmut Stegemann :
< ..per G.Flavio.. gli Esseni avevano più di 4000 membri,
i Farisei più di 6000.. i Sadducei e gli Zeloti...rispettivamente poche centinaia di membri...>
(H.Stegemann, “Gli esseni, Qumran, G.Battista e Gesù” pp201-203) .
Ora, vuole visto che l'influenza della “farisaica scuola di lettura delle Scritture” ancora oggi è dominante: la odierna
più importante scuola ebraica di interpretazione di Legge e Profeti, il cosiddetto “ebraismo rabbinico” detto anche
“moderno”, per unanime riconoscimento degli esperti ha le sue radici in quel periodo storico ed in quella cultura.
Ma non solo, anche nella Cristianità troviamo insegnamenti che erano dei Farisei: un primo esempio lo vediamo nei
passi sopra citati di G. Flavio sulle loro credenze riguardo alla immortalità dell'anima e sui premi e castighi che per
essi vengono comminati nell'aldilà: quei passi possono descrivere, pur con limitatezza, anche la dottrina Cristiana.
Diverse erano le convinzioni di Sadducei ed Esseni dei quali, sempre G.Flavio ci dice:
< I Sadducei credono che le anime periscano come i corpi >(AG libro XVIII:16-4)
<..presso di loro (Esseni) è salda la credenza che...i corpi sono corruttibili, e che non durano gli elementi di cui
sono composti, invece le anime sono immortali e, venendo già dall'etere ..restano impigliate nei corpi come dentro
carceri quasi attratte da una sorta di incantesimo naturale >(GG libro II:154-8,11)
Sui rapporti tra Fariseismo e Cristianità riporto ciò che nel documento della Pontificia Commissione Biblica del
24.05.2001 dal titolo “Il popolo Ebraico e le sue Sacre scritture nella Bibbia Cristiana”, l'allora Card. J.Ratzinger,
in prefazione, scriveva:
< la lettura giudaica della Bibbia, che è in continuità con le scritture ebraiche dell'epoca del 2° Tempio (450 aC -70
dC ndr) è analoga alla lettura Cristiana, che si è sviluppata parallelamente a questa >
Anche per le parole dell'odierno Papa Emerito Benedetto XVI quindi la Cristianità legge le Scritture Giudaiche,
<..analogamente >, ovvero con gli stessi “occhi ed orecchie” dei Farisei quella essendo la lettura delle scritture
predominante nell'epoca del 2° Tempio.
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Ma già Dante aveva ben visto, sembra, tutto ciò quando, riferendosi al Papa ed alla gerarchia ecclesiastica dei suoi
tempi scriveva: < Lo principe de' nuovi Farisei...>(Inferno 85)
Ed è per questo, perché pensa, legge e vede come i Farisei del tempo di Gesù, che la Cristianità non saprà fare altro
che vedere nel “formalismo” di < norme e precetti > visti “in sé”, l'origine della grande e ben più profonda critica
che Gesù farà alla corrente di interpretazione dei Farisei.
I Farisei, è vero, si caratterizzarono per un formalismo estremo e paranoico nella osservanza integrale e minuziosa di
prescrizioni, precetti, riti ecc. che ricavavano sia dalla Torah secondo la loro lettura, sia da alcune tradizioni che i
Sadducei contestavano.
È vero che essi ritenevano che questi loro comportamenti li rendessero migliori agli occhi di Dio (Lc 18.12) e che
essi chiedevano ed imponevano che tutti si lavassero le mani prima di prendere cibo (Mt 15.2) e tanto altro.
E' vero che essi decretano che il giuramento per l'altare non vale mentre al giuramento per l'offerta che vi sta sopra si
resta legati (Mt 23.18).
E' vero pure che essi curavano i loro filatteri e frange, che amavano i posti d'onore ed il farsi chiamare “maestri”
( Mt 23.5-7), anche questo è vero sebbene tutto ci suoni anche oggi molto familiare: quante vesti ridondanti, quante
croci ed anelli dorati, quante prime file porporate, quanti inchini e riverenze di oggi vengono alla mente con quelle
parole !.
Ma “non è” il formalismo in sé che Gesù critica, niente di tutto questo ha “vera” importanza; nessuna analisi sarà
fatta “sul perché e sul dove” nascono quelle “formali regole e comportamenti”, quegli “errori”, che in sé sono solo
vuota forma e conseguenza, e nessuna domanda sarà possibile sulla natura della “misericordia” che Gesù rimprovera
ai farisei di non avere. Nella “ipocrisia” che Gesù addebita ai farisei si vedrà solo un errato, intemperante e forse
incongruente atteggiamento comportamentale, mentre nella “misero-cordia” che Gesù chiedeva loro sarà vista una
“materiale” mancanza da parte loro di “opere misericordiose”.
La “ipocrisia” che Gesù invece contesta e condanna ai farisei, lontano da tutto ciò e lontano dall'essere critica ad un
minuscolo e marginale gruppo dell'umanità dei suoi tempi, è l'universale :
“parlare ed agire pensando che sia secondo Dio mentre in realtà, seppur inconsapevolmente, è parlare e agire
secondo la materia, seguendo il “proprio io-materialità”.
È l'ipocrisia che, ben nascosta a chi è nell'errore dell' “io”, Nietzsche vedrà ancora quasi 2000 anni dopo e che gli
farà dire:
< In verità non a mondi dietro il mondo e gocce di sangue redentrici: bensì al corpo credono..e il loro corpo per
essi è la cosa in sé..> (Così parlò Zarathustra- di coloro che abitano il mondo dietro il mondo)
Gesù rimprovera, a tutti costoro, di essere < ipocriti > con lo stesso spirito con cui allontanò Pietro dicendogli < via
da me Satana, tu ragioni come gli -uomini- >: “ipocrita” è l'-uomo caduto- che pur parlando di spirito in realtà
vuole salvare la materia come Pietro, “ipocrita” è chi insegna pensando di salvare gli uomini ma in realtà volendo
salvare se stessi.
Ipocrita è volere insegnare ed anche imporre strade e visioni senza vedere che vero motore di questo suo agire è
l'errore dell'”io” che così vuole per sé, ipocrita è il < proselitismo >(Mt 23.15) che Gesù condanna ai farisei,
atteggiamento che nasce sempre dalla gratificazione e soddisfazione “propria” di quell' “io”.
Tutto ciò, dalla Cristianità, è stato ed è poco o nulla visto, pochissimo approfondito e molto marginalizzato.
LE DUE FONTI DELLA CRISTIANITÀ
La cristianità ha visto per molto tempo tesi teologiche molto vicine a quelle del Gesù “diverso” sin qui sottolineato
ma la dura lotta che nei primi secoli si svilupperà, oggi citata quale “Questione Cristologica”, vedrà infine la visione
< specialmente di Pietro >, ci dice Ireneo, vincere ed annullare anche con i successivi millenari roghi e persecuzioni,
l'altra visione. Dice Ireneo, Padre della Chiesa vissuto dal 130 al 202 dC :
< Ci sono due fonti di tradizione...ma solo una deriva da Dio, quella che la Chiesa riceve tramite...gli apostoli,
specialmente Pietro ...l'altra viene da Satana e risale al maestro gnostico Simon Mago...il padre di tutte le eresie >
La Cristianità non sa spiegare queste parole: per essa infatti sono tante e varie le “eretico-diverse comprensioni” che
si sono confrontate nella Chiesa e il fatto che proprio Ireneo il quale con il suo “Contro le Eresie” dettagliatamente
su di esse ci informa faccia poi questa affermazione, non sa appunto spiegarselo.
Ma Ireneo su quelle “due fonti di tradizione” sapeva ciò che diceva ed è solo la cecità che non fa vedere: sotto ed a
monte della maggior parte delle varie “voci e tesi -dette- eretiche” si trovano infatti, modificate o anche snaturate nel
tentativo spesso più o meno conscio ed evidente di mediazione, l'una o l'altra delle due fonti che cita Ireneo.
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Sempre in "Contro le eresie", in I.17 ss, Ireneo poi parla della : <..presenza, anche nella Grande Chiesa, di gnostici
che pronunciano le stesse formule ma non intendono le stesse Verità..> . Due letture e visioni delle parole di Gesù e
stesse “formule” nelle quali, pertanto, si possono intendere cose diverse, opposte.
Ireneo ha certo detto correttamente nel parlare di “due fonti di tradizione”, ma le attribuzioni che egli ne fa sono
molto discutibili.
La “fonte” infatti che egli dichiara quale < tradizione...specialmente di Pietro > sottolineando così una certa
distanza di Pietro dal resto degli Apostoli, in realtà è visione “specifica di Paolo”: dietro al Pietro < senza istruzione
e popolano >(At 4.13), a < cingere le sue vesti >, a fargli “vedere” ed anche a farlo pensare come lui vedeva e
pensava, vi era Paolo.
L'altra “fonte” e visione, da Ireneo impropriamente fatta risalire a Simon Mago, è quella che vedeva quel Gesù
“diverso”, uomo come tutti che si è portato a “filosofica condizione divina”, uomo “convertito-rinato-resuscitato in
vita” che certo Simon Mago insegnava ma come lo insegnavano, prima di lui o con lui, quei “SuperApostoli” di cui
ci informa Paolo nelle sue lettere: tra questi il Filippo che per i vangeli insegnava assieme a Simon Mago. Un Gesù
“diverso” che, vedremo, anche Giacomo e la Chiesa in Gerusalemme, si deve dire, insegneranno.
Queste due visioni, letture e comprensioni di Gesù e dei suoi insegnamenti, sono presenti infatti da subito dentro al
“largo” movimento dei primi seguaci di Gesù e questo ci è ben testimoniato nelle neotestamentarie lettere di
Giovanni datate al 100 dC. circa ma senza certezze dato i forti dubbi che l’autore sia lo stesso del Vangelo canonico.
Questo Giovanni come detto è abissalmente lontano dal redattore del IV vangelo: nelle sue lettere egli
sostanzialmente riepiloga la teologia paolina, dalla quale si distacca invece il IV vangelo, e la conferma dicendo di
<..concupiscenza della carne..>, di <..unzione Santa che dona scienza..>, del <..rimanere in Gesù..> perché <..chi
ha il Figlio ha la (personale ndr) vita eterna >, dicendo ancora che <..Egli (Gesù) è vittima di espiazione per nostri
peccati ..(e di) quelli di tutto il mondo..> ecc. ma anche, però, questo Giovanni nelle sue lettere critica e delinea, più
esplicitamente di Paolo, alcune caratteristiche di quei “diversi” insegnamenti, annunci-vangeli, che alcuni “cristiani”
davano. Tra questi vi erano certamente, si deve dire, quei Grandi-Super-Apostoli, <..usciti di mezzo a noi..> li
dichiara infatti Giovanni, che Paolo ed i suoi seguaci hanno combattuto. Dicono quegli scritti :
<..molti Anticristi sono apparsi... sono usciti di mezzo a noi ma non erano dei nostri ..menzognero ...(è) colui che
nega che Gesù è il Cristo. Anticristo è colui che ...nega che Gesù è il Cristo..> (1Gv 18.23ss )
<..non riconoscono Gesù venuto nella carne..>(2Gv 7.10)
Dentro la primissima Cristianità quindi, e tra i Grandi ovvero tra i Dodici Apostoli, vi era chi non vedeva in Gesù il
“Figlio incarnato di Dio, Cristo” che insegnava Paolo e cioè la figura che ancora oggi è vista dalla cristianità: vi era
chi insegnava un Gesù “uomo come tutti” e non l'unigenito Figlio di Dio e Dio stesso portatosi alla carne.
É questa “diversa” visione ed insegnamento, da cui deriva molto altro, che Ireneo più tardi, 120-140 anni dopo i
contrasti che Paolo ci testimonia, in modo impreciso, ma non casualmente, attribuirà a Simon Mago.
Una imprecisa attribuzione che si nota anche dal fatto che Ireneo dichiara quella fonte “di tradizione”, fonte quindi
di origini importanti ci dice, ma questo non si accorda con la attribuzione ad un Simon Mago che già ai tempi di
Pietro era, da questi come da Paolo e dai loro seguaci, considerato “blasfemo” ancora più che “eretico”.
Ma ho detto che questo “non è casuale”: quella precisazione ci dice infatti che Ireneo ha coscienza che quella fonte è
“di tradizione” ovvero legata ai primi Apostoli, ma l'aspra lotta tra quelle “due fonti” si era già portata a quella
“opera di diffamazione” che affiancherà ed assimilerà quegli Apostoli ad un denigrato, quale blasfemo, Simone.
Opera di diffamazione che per secoli consisterà nella accusa, per ogni fatto valida, di “simonianesimo”, opera e
prassi già consolidata ed alla quale Ireneo non poteva che attenersi.
Con partenza dalle informazioni che ci dà un altro Padre della Chiesa paolina, Giustino di Nablus (100-168) nel suo
“Dialogo con Trifone” cap.X/VII , informazioni quindi di parte che non potevano dirci di quei Grandi Apostoli, oggi
Carcione F. nel suo -Le eresie- così elenca nel tempo i principali insegnanti di quella “diversa fonte” :
< Annas, Caifas, Simon Mago, Ebion, Artemone, Paolo di Samosata,
Diodoro di Tarso, Teodoro di Mopsuestia, Nestorio, Teodoreto di Cirro, Ibas >
(Carcione F.-Le eresie-Trinità e incarnazione nella chiesa antica)
L’elenco termina al 460 circa: nulla sappiamo di Annas e Caifas mentre è dubbia la esistenza di Ebion, che viene
posto da Giustino quale iniziatore della corrente degli Ebioniti. All’elenco certamente mancano molti nomi e le
condanne di eresia ci hanno privato di moltissime opere che furono distrutte ma, bisogna ricordare, il seguito e la
adesione a quella -diversa- “fonte” e “visione” su Gesù e sui suoi insegnamenti non sono certo stati residuali.
A questo elenco certamente manca Fotino di Sirmio (300-376), allievo di Marcello di Ancira e vescovo il cui
pensiero in Occidente, ben più che in Oriente dove soprattutto si noterà l’opera ed insegnamento di Paolo di
Samosata, ebbe forte risonanza.
Ed anche Origene e Valentino, seppure qui i tratti di pensiero siano meno decisi e netti, si possono inserire in questo
elenco assieme anche, vedremo nel seguito perché, ai nomi di quei Grandi-Veri Apostoli, con Giacomo in testa, che
rimasti a Gerusalemme, legati al Tempio e interni a quel gruppo che oggi è definito Giudeo-Cristiano, erano
certamente fautori di questa “diversa fonte di tradizione”.
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Simon Mago quindi, certamente si affiancherà, negli insegnamenti sul Gesù “diverso”, ad altri e tra questi alcuni
“SuperApostoli” ma non da lui “nasce” questa “altra fonte di tradizione”.
Giuda Didimo Tommaso, i “discepoli ellenisti” con a capo Stefano ed il Filippo che insegnerà assieme a Simon
Mago, erano certamente tra questi primissimi altri come anche lo sarà, più tardi, il redattore del vangelo di Giovanni
e come lo saranno gli Ebioniti ed i Nazarei ma anche, ripeto, Giacomo assieme al Giuda della lettera
Neotestamentaria ed a tutta la comunità di Gerusalemme con in prima fila gli “ellenisti”.
Naturalmente tra quelle figure più sopra citate, che vedono secoli separare le prime dalle ultime, la comprensione del
messaggio di Gesù ha trovato sfumature e profondità diverse e le riflessioni e le discussioni si rendevano certamente
frequenti: niente era ancora dogmatizzato ed indiscutibile.
Ma ciò che certamente, come vedremo, accomunerà nei secoli tutti costoro era la chiara consapevolezza che Gesù
era un “uomo come tutti” che si era portato in vita o, per alcuni, a cui era stata data, una “condizione divina”.
Nei primissimi tempi in particolare, poi, essi vedevano possibile ed auspicabile per tutti quel “passaggioconversione” insegnato da tutto il mondo antico compreso quello giudaico iniziale “mosaico-enochico” e dei
Profeti, insegnamenti “filosofici” secondo l'originario ed ellenico-socratico senso del termine.
Chiamerò quella “diversa fonte”, perciò, “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica” così sottolineandone la
natura culturale ed anche la varietà delle figure che -dagli inizi- la insegnano e promuovono.
A Paolo e Pietro unicamente, invece, si può e deve fare risalire l'altra “fonte di tradizione” di cui dice Ireneo: quella
che oggi ben conosciamo, quella della Cristianità odierna e che nasce, dice giustamente se pur imprecisamente
Ireneo, da Pietro, ma un Pietro che però “segue” Paolo. Fonte che nasce ed ha le sue radici nella lettura e
comprensione delle Scritture affermatasi nel “Secondo Tempio”, quella Farisaica e Sadocita che, come giustamente
ha sottolineato Josef Ratzingher, è la stessa lettura e comprensione seguita dalla odierna Cristianità.
Citerò questa come “fonte farisaica paolino-petrina ”
Una importante testimonianza, generalmente poco sottolineata e considerata ma “formula” che nella sua originaria
formulazione è certo attribuibile alla citata “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”, la troviamo perfino nelle
parole che Paolo scrive in apertura della sua “lettera ai Romani”. È “formula” che, pur piegata da Paolo alla sua
lettura e visione di Gesù, con evidenza testimonia il fatto che ben radicata era la visione del “ Gesù uomo” portatosi
alla condizione divina. Scrive Paolo:
< il Vangelo di Dio, promesso già nelle Sacre Scritture per mezzo dei Profeti, riguardante il figlio suo
nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, e costituito “Figlio di Dio” con potenza secondo lo Spirito di santità,
mediante la risurrezione dai morti, Gesù Signore nostro..> (Rom 1.1-4)
Dice con ogni verosimiglianza la formula originaria che Gesù è:
“nato.. carne (=uomo).. e da Dio.. costituito Figlio ... mediante la resurrezione (in vita) dalla morte-caduta..”
Concetto questo, e “formula”, come correttamente sottolinea Wilhelm Schneemelcher nel suo “Il cristianesimo delle
origini”, che è certamente -precedente-, oltre che abissalmente lontana, a quanto poi Paolo e la Cristianità a seguire
diranno e svilupperanno: è lontana dal Gesù “Dio incarnato Uno e Trino” cui confusamente intende piegarla Paolo.
Quelle parole infatti, quella “formula”, lette secondo quanto dice la Cristianità si rivelano in pieno contrasto con gli
stessi insegnamenti cristiani: per esse Gesù dovrebbe “divenire” Figlio di Dio solo al momento della sua
“resurrezione dalla condizione di morte fisica”: fino ad allora non sarebbe tale !.
A questa palese incongruenza, ed eresia per la odierna Cristianità, si aggiunge poi il fatto che lo Spirito Santo che ha
operato <..con potenza..> questo passaggio e < costituzione > a Figlio di Dio, avrebbe nella lettura Cristiana
operato solo alla morte fisica di Gesù.
Quella “formula” invece ha pieno senso e razionalità se letta nella visione del Gesù “diverso” sin qui visto, sebbene
in essa si possano comunque già vedere i segni di ciò che avverrà: il trasporto farisaico al -Gesù Unico Figlio-, di
quel necessario ed universale “portarsi ad essere Figlio” che è stato l'invito ed insegnamento di Gesù.
Le lettere di Paolo sono colme di questo genere di confusa trasposizione, sono colme di “parole, citazioni,
frammenti e formule” di Scritture e Gesù, di “concetti” verosimilmente insegnati dai veri Apostoli che da lui sono
sporcati, piegati e portati alla sua “farisaica ed errata” visione di Gesù e dell'uomo. Trasportati a quel "suo"
vangelo che egli largamente cita in contrapposizione con quello dei Grandi-SuperApostoli che insegnavano un Gesù
"diverso" dal suo.
Un esempio per tutti : il <..non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me..>(Gal 2.20) che nella teologia di Paolo
trova solo spazio emozionale e non razionale, è invece formula perfetta per dire di quella “morte filosofica-morte
all'io”, il “passaggio al deserto” giudaico, che apre alla scoperta in sé del “Logos-Unico” greco e di tutte le antiche
tradizioni, ovvero che apre alla vita -nel- “divino”, -nel- “Logos-Sè-Atman”, -nel- Regno per le parole di Gesù e
della tradizione giudaica: una apertura che porta l’uomo ad essere “Unto-Cristo”.
La “divinità” di Gesù, per come ci è oggi insegnata, è stato, dicevo, tema molto controverso e molto a lungo
discusso dentro la prima Cristianità.
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Che Gesù fosse un uomo come tutti il quale, nel corso della vita, si era portato alla speciale “ condizione di Figlio di
Dio-Messia-Unto-Discendenza di Davide” era tesi sostenuta nella Cristianità in modo -ufficiale- ed era visione
dichiaratamente “ortodossa” ovvero “conforme a primi ed originali insegnamenti”.
I citati Artemone, Paolo di Samosata, Diodoro di Tarso, Teodoro di Mopsuestia, Nestorio, Teodoreto di Cirro, Ibas di
Edessa, come anche Valentino, Origene e Fotino di Sirmio, sono stati infatti tutti eminenti personalità della Chiesa
Cristiana, Vescovi anche di importantissime capitali religiose come Antiochia e Costantinopoli.
Non pochi di essi, “morti in pace con la Chiesa”, sono stati condannati solo dopo decenni o secoli dalla loro morte,
alla definitiva svolta verso la teologia ispirata ed insegnata da Paolo.
Questa “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”, fonte “di tradizione”, era visione che, pur con varie ed anche
non trascurabili sfumature nate spesso anche se non solo da desideri di conciliazione, sarà viva e presente almeno
fino al 553 dC, fino al Concilio Costantinopolitano II. Dopo quella data di quella eredità, già molto smussata negli
ultimi suoi esponenti, si vedranno solo echi prima di essere pienamente ripresa da grande movimento dei Catari.
Anche sul fronte della “fonte di tradizione farisaica paolino-petrina ” le posizioni teologiche hanno visto sfumature
e posizioni che varieranno: come per la prima i personalismi si sommeranno a tentativi di mediazione teologica.
Alle controversie sulla natura di Gesù si aggiungeranno poi quelle, ad esse legate, sulla natura e relazione delle tre
figure del Padre, del Figlio e del Pneuma-Spirito Santo: le discussioni sulla natura “Trinità”.
Nel tempo le varie posizioni che, in entrambe le “fonti”, andranno a sostenere specifiche comprensioni e
sottolineature, saranno evocate e citate con nomi specifici perdendo però così quella “doppia origine” sottolineata
da Ireneo. Si vedranno adozionisti, sabelliani, marcioniti, montanisti, millenaristi, monarchiani, modalisti,
apollinaristi, pneumatomachi, patripassiani ed altro ancora, si vedranno confusamente schierati nel tempo
“duofisiti” e “monofisiti”: le originarie “due fonti” che sempre erano alla base ed origine delle varie posizioni, si
perderanno.
La “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”, bisogna poi sapere, sarà testimoniata anche fuori dalla “Chiesa
ufficiale” da vari movimenti oggi tutti compresi in quella larga e confusa voce che è lo “ gnosticismo”: movimenti
che si rifaranno anch'essi alla figura di Gesù ed alle Scritture.
Internamente alla Cristianità tale tradizione sarà studiata, insegnata e testimoniata principalmente dalla cosiddetta
“Scuola di Antiochia”, scuola che venne poi costretta alla chiusura dopo “fisiche e violente” sopraffazioni ed esili
che porteranno anche a prematura morte di più di un suo esponente. Dopo gli “importanti testimoni” sopra citati,
dopo Ibas di Edessa, internamente alla Cristianità come detto si vedranno solo “echi” della “fonte filosofica
giudaico-enochico-ellenica”: resterà il malumore per gli esiti del Concilio Costantinopolitano del 553 di quelle
province ecclesiastiche, in Italia, a oriente ed in Istria, che si legavano a quella “fonte e scuola”, malumore che nel
568 arriva a sfociare nella costituzione, e separazione dalla Chiesa di Roma, del “Patronato autonomo di Aquileia”.
Ma i fondamenti veri del contrasto teologico tra Antiochia e la Cristianità paolina, fondamenti già peraltro non
pienamente testimoniati nella esperienza di Aquileia, si persero poi largamente e nel 698 Aquileia rientrò sotto la
Chiesa Romana. Di quella “fonte e scuola” in Europa torneranno di nuovo forti presenze solo negli importanti
movimenti “cristiano-eretici” dei secoli XI-XIII quali i Catari e i Valdesi e poi ancora nelle grandi figure di filosofi e
mistici che fino al secolo XVI la Chiesa romana ha portato al rogo.
Fuori dall’Europa quegli insegnamenti sono invece sempre rimasti vivi nella Chiesa Bogomila, presente nei territori
di Bosnia e dintorni, una Chiesa cui almeno inizialmente sarà strettamente legato, oltre che pienamente affine, il
Catarismo. Entrambi, bogomilismo e catarismo, come sappiamo dalla Chiesa di Roma sono stati sanguinosamente
perseguitati, come peraltro i Valdesi, e infine annientati assieme a tanti altri movimenti e personalità.
Grazie alle epurazioni, ai roghi, agli stermini ed alla insensata lotta che contro tutti questi ha fatto la Chiesa di
Roma, anche quelle ultime voci andranno perse.
La “visione di Paolo e Pietro” sappiamo dove è arrivata, la -loro- Cristianità grazie anche a queste epurazioni roghi
e stermini, è divenuta il “pastore” del mondo Occidentale.
Quale tipo di pastore è lecito chiederselo: Gesù, Zaccaria, Isaia, Daniele e Geremia ci dicono tutti di “pastori e
sacerdoti stolti ed insensati” che dovevano sorgere!. E di “stoltezza”, ovvero di “non comprensione”, era poi
accusata la Cristianità dai cosiddetti Pagani, una stoltezza inconsapevole. Gesù aveva detto :
< ..molti verranno nel mio nome....e molti inganneranno..>(Mc 13.26) < …io vi ho avvisati ..> (Mt.24.25)
ma altri testi, vedremo meglio più avanti, diranno di questo accadere, tra questi il seguente:
<..Verrà un'altra dottrina...uno scandalo mortale : insegneranno e distoglieranno quegli
stessi che credono...sottraendoli dalla vita eterna..> (Lettera degli Apostoli-testo copto-50,2)
Certo tutto doveva succedere ma tutto è successo anche perché la Scuola di Antiochia non seppe vedere e mostrare
le parole di Gesù che parlavano di “reincarnazione”. Il tema della possibile reincarnazione era rimasto vivo
soprattutto nelle scuole “gnostiche”, all'interno della Cristianità fu tesi e dottrina molto presto trascurata: ne dirà,
come vedremo ma piuttosto segretamente anch’egli, Origene assieme ad altri ma di essa vediamo tracce già in
Giacomo, il “fratello” di Gesù che con la sua lettera mostra Gesù nelle vesti di “grande maestro”.
272
nona parte
Qui come visto troviamo scritto che <...la lingua è un fuoco..infiamma la ruota della nascita...>. Una filosofica
“ruota delle rinascite” provocata da una lingua che trae forza dalla Ghenna forza di distruzione, dice Giacomo.
Dichiarata solo da pochi e spesso nascostamente, la dottrina della “reincarnazione” ha finito per lasciare spazio e
non contrastare la più efficace, ai fini di una diffusione della cristianità a lungo vista positiva “in sé”, alla dottrina
tutta paolina della “corporale resurrezione finale”.
Queste prime concessioni e nascondimenti sono stati però fatali a quella “fonte di tradizione”: la lettura “filosofica”
di Gesù e dei suoi insegnamenti, così monca ed incompleta, perderà forza e non si ritroverà più.
Grazie anche alla complicità, alla forza ed alla volontà dell'Impero Romano, a lungo vero timoniere della Cristianità,
prima furono messe a tacere le scuole gnostiche e poi le voci interne alla Chiesa stessa che non poterono, dopo quei
nascondimenti e concessioni, trovare validi e forti argomenti per contrastare la “tradizione” che era nata con Paolo e
Pietro.
SUI PRIMI SEGUACI E SCRITTI
È opinione comune, per gli indottrinamenti ricevuti, che primi seguaci e propagatori degli insegnamenti di Gesù
siano stati unicamente i dodici apostoli con alcuni loro discepoli, variamente sparsi in territori più o meno lontani da
Gerusalemme, assieme al Saulo-Paolo che ad essi, dopo la morte di Gesù, si affiancherà.
Ma non è così.
Altre figure e gruppi furono da subito, nei primissimi tempi, seguaci di Gesù e sostenitori di quelle Verità che essi,
sulla base delle Sue parole, avevano compreso.
Altre figure e gruppi o aggregazioni insegnavano le Verità, su Gesù, che le loro “orecchie” gli avevano permesso di
capire. Verità che per molti erano lontanissime da quelle che Paolo insegnerà.
Già prima infatti di tutto ciò, secondo quanto ci riporta Atti 6.1-7 ma non solo, serve sottolineare, tra coloro che
seguirono Gesù in vita nelle sue predicazioni e tra i suoi primi apostoli, vi erano due gruppi: gli “ebrei” e gli
“ellenisti”.
Come bene sottolinea Wilhelm Schneemelcher, che così li qualifica nel suo “Il cristianesimo delle origini”, sono due
< gruppi che si distinguono anche da un punto di vista teologico...(fra di essi) sussistono differenze anche
nell'interpretazione della persona e dell'opera di Gesù >.
Di queste “differenze”, dei primissimi tempi, ci dice anche il Giovanni delle Lettere canoniche il quale, nella 1°
lettera ci dice di “Cristiani”, di <..usciti di mezzo a noi..> da lui dichiarati “Anticristi”, che considerano Gesù un
uomo come tutti e non Dio, Figlio, incarnato.
Quelle differenze si evidenziano poi anche nel fatto che il contrasto che nascerà tra Stefano, che faceva parte degli
“ellenisti” ovvero dei discepoli di cultura e formazione ellenica, ed i membri della sinagoga, contrasto che porterà
alla lapidazione di Stefano, è un contrasto che, ci viene detto, terminerà con una <..persecuzione contro la Chiesa di
Gerusalemme..> che interesserà <..tutti ad eccezione degli apostoli..> (At 8.1).
E' una persecuzione che porterà l'intero gruppo degli “ellenisti” a fuggire da Gerusalemme e che invece “non
interesserà” il gruppo degli “ebrei”, ovvero il gruppo dei discepoli-apostoli di cultura e formazione strettamente
giudaica che, nei loro insegnamenti su Gesù, non si ponevano “fuori” dal giudaismo.
Gli “ellenisti” invece, compreso a fondo poiché culturalmente più preparati la natura filosofica degli insegnamenti
di Gesù come anche di quella “diversa” Torah e Profeti che Egli solo ha cercato di fare capire, portavano
argomentazioni che rappresentavano un vero pericolo per i Sacerdoti e certo non solo. Nascerà da questo fortemente
sentito pericolo, un pericolo che ben sappiamo il fondamentalista sente come attacco alla propria vita, la
persecuzione che Paolo, fondamentalista appunto, porterà avanti contro Stefano fino a quella lapidazione di cui egli
è stato totalmente responsabile. Vedremo meglio questi aspetti più avanti.
Anche per quanto riguarda gli scritti lasciatici dai primi seguaci di Gesù solitamente si ritiene che i testi del
cosiddetto “Nuovo Testamento” siano le sole testimonianze ricevute dai “dodici apostoli”, o da chi era a loro vicino,
assieme alle lettere di “Paolo” detto “l'Apostolo”, per eccellenza, anche se non ha mai “seguito” Gesù.
Ma ancora anche qui non è così.
Oggi soprattutto, grazie ai ritrovamenti più recenti, di essi si “deve” dire che sono solo una “ voce limitata”, a quei
testi si deve aggiungerne altri: il “vangelo di G.D.Tommaso apostolo” è certamente il più importante oltre che il più
certo in quanto a provenienza da “uno dei dodici”, ma anche il “vangelo di Filippo” e quello di “Giuda” non si
possono in questo senso trascurare. Molti altri comunque sono gli scritti che, se pur non precisamente legati ad
alcuno dei dodici, sono riferibili a tempi non lontanissimi dalla morte di Gesù.
Restando ai quattro vangeli canonici, e per una loro giusta valutazione, dobbiamo poi sapere e ricordare che quelli di
cui noi disponiamo sono diretta derivazione di una revisione fatta su precedenti versioni latine dette
273
nona parte
complessivamente “Vetus latina” -vecchia traduzione latina-: mancando una versione ufficiale si erano infatti
prodotte varie stesure: del vangelo di Luca ad esempio sembra si contassero 27 versioni.
Di tale lavoro fu incaricato Girolamo, il segretario personale dell'allora papa, che svolse il suo compito, che
comprendeva anche la traduzione dagli scritti originali del Vecchio Testamento, tra il 390 ed il 405 dC.
Girolamo però svolse il suo compito su basi molto discutibili per non dire errate; in una sua lettera egli scrive:
< Io...non solo ammetto, ma anche proclamo che nel tradurre i testi greci...
non rendo la parola con la parola, ma il senso con il senso > (Epistulae 57,5, trad. R.Palla)
Il “senso” era naturalmente ciò che lui, Girolamo, capiva ma vi erano in quei tempi ancora, come visto, grandi
tensioni e divisioni interne alla Cristianità, la cosiddetta “Questione Cristologica” era ancora aperta ed egli quindi
non ha potuto che rendere la sua, “latina” e “Paolino-Petrina”, visione.
Queste differenze di visione e forse anche un più onesto e rispettoso desiderio di lasciare il più possibile intatti i
primi e più originali scritti, hanno portato la cristianità Siriana ad una sua versione dei quattro vangeli, detta
“Peschitta” o “semplice traduzione”.
Vuole notato che la cristianità Siriana fu, nella disputa Cristologica, più vicina alla Chiese Orientali di Antiochia e
Costantinopoli che si opponevano, ma nel tempo si siano viste a volte posizioni invertite, ad Alessandria e Roma,
anche se quest'ultima spesso in forma più defilata.
Dice Peter Kawerau nel suo “Il cristianesimo d'Oriente”:
< Nell'ambito della cristianità Siriana sull'Eufrate ed il Tigri, derivata dalla Cristianità
palestinese di lingua aramaica, veniva inizialmente usato, presumibilmente, un solo vangelo in aramaico, il vangelo
di Matteo, vicino a quello attuale ma con differenze, detto vangelo degli Ebrei. A questo seguì la più antica
traduzione Siriaca dei quattro vangeli, il Diatessaron (150-170) persa in originale ma conservatasi in molte
traduzioni.. In seguito venne utilizzato un tetra-vangelo ( a partire dal I secolo ) detto Vetus Syra o vangelo dei
separati. Vetus Syra che, riveduto più volte, ha portato infine alla Peschitta o “semplice traduzione” >
Come già ampiamente detto la Cristianità, tutta, grazie anche ma non solo a Paolo, resterà infine legata alla visione
“giudeo-farisaica dell'unico Messia” ma dal desiderio di vedere compiuta in Gesù la venuta del giudaico “unico”
Messia, dalla ambizione di poter dichiarare con i testi Biblici alla mano Gesù quale l'atteso Messia, non sembrano
immuni gli evangelisti tutti. Solo per Matteo, come vedremo, qualche dubbio sorge.
In questa opera sarà maestro e forse ispiratore Paolo: è con lui in particolare, grande conoscitore delle Scritture, che
nascerà la Cristologia ovvero il tentativo di dimostrare, sulla base di dubbi ed incompresi passi di Legge e Profeti, la
giudeo-farisaica “Unica” Messianicità di Gesù.
Nei quattro vangeli “canonici”, scritti in epoca paolina, si vedrà questo “desiderio e volontà” proprio in apertura dei
vangeli con la proposta, inconsapevolmente errata e piegata a questo intento, di un passo di Isaia: parlando di
Giovanni Battista quale “annunciatore” di Gesù troviamo :
< Una voce grida nel deserto : “preparate la via del Signore, spianate i suoi sentieri !” >
(Mt 3.3- Mc 1.2,3- Lc 3.4- Gv 1.23)
Ma la frase di Isaia è diversa, essa -non dice- di una voce che “viene dal deserto”, luogo di predicazione di Giovanni
il Battista, essa dice una cosa “completamente” diversa: parla di una voce che “invita a preparare -nel deserto-” la
strada del Signore:
< Una voce grida: “ nel deserto preparate la via del Signore (Jhwh), spianate i suoi sentieri !” >(Is 40.3)
Isaia con quella frase, dagli evangelisti evidentemente incompresa e che nasce lontano da quella Cristologia cui essi
la piegano, voleva dire di quelle profonde Verità su “deserti” e “silenzio”, qui viste in precedenza, che sono Verità
molto lontane da ciò che invece essi con quegli errori vedono e fanno vedere.
Abbiamo visto come anche Gesù, che certo aveva ben compreso quelle parole, ha preparato nel deserto, grazie
all'ascolto della “Voce-Vento-Ruah santa”, la propria strada per l'Assoluto !.
Marco poi anticiperà quella frase con una di Malachia anch'essa presa da un contesto “completamente differente”.
Errori grossolani, peraltro colpevolmente mantenuti senza le opportune precisazioni anche oggi, errori compiuti
stranamente da tutti e quattro gli evangelisti, errori che invitano ed impongono di ricordare sempre che in più
occasioni, come già visto in precedenza, Gesù si è rivolto ai suoi discepoli dicendo:
<..perché non capite?..>(Mt 15.17; 16.11)
< Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo ? >(Gv 14.9)
<..anche voi siete ancora senza intelletto ? >(Mt 15.16) < Via da me Satana..( rivolto a Pietro) >(Mt.16.23)
< rispose (ai discepoli): ho da mangiare un cibo che voi non conoscete..>(Gv 4.22)
Ancora poco prima di morire Gesù non potrà fare a meno di rispondere all'ennesima incomprensione dei discepoli
con uno sconsolato e disperato: < basta !!! >(Lc 22.38)
Sempre più si vede che ciò che “particolarmente” vale dei Vangeli è il “filo a piombo” delle sole parole “ben lette e
filtrate” di Gesù, e fra esse quelle maggiormente certe.
274
nona parte
Nei tre vangeli sinottici anche un altro passo della Torah, Malachia 3.23, è riportato in modo inesatto e per i redattori
di quei testi dovrebbe addirittura averlo così citato Gesù !; dicono :
< Egli ( Giovanni B. ) è colui del quale sta scritto: “Ecco, io mando davanti davanti a “te” (anziché “me”)
il mio messaggero che preparerà la via davanti a “te” (anziché “me”) >(Mt 11.10)
Ma anche qui, come già visto al capitolo “La Messianicità”, Gesù certamente non si è sbagliato.
Monsignor Ravasi, nel suo “La buona Novella” giustamente ci sottolinea che “insigni” neotestamentaristi ritengono
<..che i quattro evangelisti sono “autori” in senso stretto, capaci di compiere sui dati tradizionali vere e proprie
operazioni redazionali, pronti ad offrire “profili originali (cioè proprie visioni ndr) di Gesù e del suo
messaggio”..>.
Ma qualche dubbio sulla “incomprensione” legata agli errati “richiami Cristologici” inseriti nei vangeli, almeno per
Matteo come vedremo in seguito parlando degli Ebioniti, sorge. La “originalità” degli inserimenti “Cristologici”
posti in quel Vangelo può infatti essere messa in forte dubbio.
Si deve poi ricordare che i Manichei, secondo ciò che ci riporta Agostino, sostenevano ed affermavano che tutti i
Vangeli erano stati corretti e sostanzialmente falsati:
< (i Manichei) sostengono che gli scritti del Nuovo Testamento erano stati falsati...
col proposito d'innestare la Legge dei Giudei sulla fede Cristiana..> (Confessioni V 12.21)
Se per Marco e Luca, seguaci e discepoli rispettivamente di Pietro e Paolo, per “falsificazione” si può intendere
unicamente il “piegare” Gesù, le sue parole e le Scritture, alla paolina farisaica visione di Gesù e per essi quindi e
difficile parlare di “correzione” dei testi originali, per Matteo il discorso si fa più complesso.
Marco e Luca sono redatti in piena epoca paolina e sono pienamente influenzati da quello che Paolo dichiara “il mio
vangelo”, da quello che è il “vangelo-annuncio” che è la “visione e comprensione” di Gesù fatta dai loro maestri
Paolo e Pietro.
Per Matteo invece, che se non è il primo vangelo ad essere scritto è certo redatto agli albori della influenza paolina,
il discorso potrebbe essere diverso; qui per il testo che conosciamo vi potrebbe essere stata una vera opera di
“inserimento e correzione”: ipotesi che si può vedere confermata come vedremo dalle “credenze” di quegli Ebioniti
che facevano uso solo del vangelo di Matteo, ma anche da varie testimonianze.
Discorso molto a parte è invece quello sul vangelo di Giovanni : certamente il più “esoterico” ed incompreso tra i
canonici in esso, pur appunto “nascostamente”, si ritrova con maggiore evidenza quel Gesù “diverso” sin qui messo
in luce. Ma oltre a tutto ciò, con riferimento ai quattro vangeli, vuole ancora ricordato che:
- Matteo è il solo vangelo dagli esperti pressoché unanimemente accreditato quale opera di uno dei dodici; pur
senza certezze assolute è ritenuta altissima tale probabilità.
- Marco è il vangelo scritto da un “allievo-seguace di Simon-Pietro” ovvero discepolo del Simone <..senza
istruzione e popolano..>(At 4.13) che sarà allontanato da Gesù con quel severissimo <..Via da me satana..>.
- Luca è il vangelo scritto da un “allievo-seguace del fariseo Saulo-Paolo” ovvero del “giudeo-fariseo”
fondamentalista responsabile delle “prime persecuzioni” dei seguaci di Gesù che, poi, si è “dichiarato” cambiatoconvertito e che diverrà “primo esegeta delle parole di Gesù” senza mai averlo assiduamente udito ed ascoltato.
- Giovanni, tra i canonici, è il vangelo con identità più incerta. La Cristianità lo accredita quale opera di uno dei
dodici ma la estremamente tarda datazione di quel testo, redatto oltre il 100 dC, ha ormai portato la maggior parte
degli studiosi a dire che esso è opera di un Giovanni testimoniato tra i primissimi vescovi cristiani e vissuto ad Efeso
in quegli anni.
Il quadro quindi, anche per questi quattro scritti, non è dei più fermi ed indiscutibili: almeno tre di questi evangelisti
scriveranno secondo quanto ad essi riportatogli da altri e tutti poi, compreso Matteo almeno per la versione del suo
vangelo che conosciamo, sono stati redatti in piena epoca paolina e quindi con la piena influenza di questi che è
stato il vero “costruttore” della attuale Cristianità, oggi divisa-separata nelle sue oltre trecento “Chiese”.
Per tutti questi scritti quindi appare chiaro che solo le più condivise e certe “parole di Gesù, solo il “filo a piombo”
delle Sue più sicure e vagliate parole, come ha detto don Fortunato Provvisorio, può essere seguito ed approfondito:
ed è quanto ho tentato di fare in questi scritti.
Riassumendo quanto si può e deve dire rispetto ai “primi seguaci di Gesù” essi possono pertanto essere suddivisi, se
pur genericamente, in questi filoni o categorie che qui elenco per poi approfondirne appena gli aspetti:
a) Gli Ellenisti
b) Comunità di Gerusalemme
c) Comunità Paoline
d) Ebioniti e Nazarei
e) Simon Mago
f)
Gnosticismo
GLI ELLENISTI
Premetto a ciò che andrò di nuovo a dire su questo gruppo, ciò che sottolinea Giorgio Jossa nel suo Il Cristianesimo
antico :
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nona parte
< Le dominazioni straniere su Israele..hanno portato nei secoli precedenti l'era cristiana a una “disseminazione”
continua del popolo giudaico fuori della Palestina e, all'epoca di Gesù,
esisteva perciò nelle grandi città dell'impero romano un giudaismo della diaspora più numeroso di quello
palestinese...giudei di lingua greca e di cultura ellenistica (ellenisti) si trovavano anche in Palestina e anzi, dopo
secoli di dominazione greca, la Giudea, e Gerusalemme in particolare, possono essere in un senso molto reale
considerate regioni elleniste ..>
In questo quadro si capisce come, tra coloro che hanno seguito Gesù nella sua predicazione, vi fossero due gruppi
ben distinti l'uno come detto di lingua greca e cultura ellenistica e l'altro di lingua e cultura giudaica; gruppi che,
come bene sottolineano le già citate parole di Wilhelm Schneemelcher, sono :
< gruppi che si distinguono anche da un punto di vista teologico...(fra di essi)
sussistono differenze anche nell'interpretazione della persona e dell'opera di Gesù >.
Testimonia questa netta separazione il fatto, documentato in Atti, che la dura repressione aperta da parte delle
autorità giudaiche alla morte di Gesù nei confronti dei suoi seguaci interessò solo quelli legati a Stefano,
martirizzato, che era di chiara cultura ellenistica. Restò in Gerusalemme senza problemi invece il gruppo dei
seguaci legato a Giacomo e Pietro.
Gli Atti degli Apostoli è uno scritto di Luca, discepolo di Paolo che scrive quel testo in particolare per testimoniare
l'opera del suo maestro. Ma, per ciò che egli ci dice in apertura del suo vangelo dove parla della sua <..decisione..
di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi..>, se da un lato gli vuole riconosciuto questo intento di
accertare ed approfondire "gli inizi", dall'altro è evidente che questa esigenza gli nasce dalla presenza viva, tra i
seguaci di Gesù, delle due voci e posizioni, “fonti”, di cui abbiamo detto. Due voci e letture sulle quali, seppur non
apertamente poiché teologicamente egli resterà fermo alla visione del suo maestro Paolo e seppure anche non
volutamente, egli finirà per informarci.
La differenza “teologica” tra le due visioni egli non saprà comprenderla e quindi rimarcarla, e questo si vede sia nel
suo vangelo che nel resoconto che in Atti Luca ci fa sulla lapidazione di Stefano.
Ma qualcosa, in queste sue righe sul martirio di Stefano, si può vedere. Nel lungo discorso che egli ci riporta, fatto
da Stefano davanti al Sinedrio per rispondere all'accusa di avere detto che < Gesù distruggerà quel luogo e
sovvertirà i costumi tramandati da Mosè > (At 6.11), si nota che non vi è alcuna difesa da parte di Stefano che infatti
non dice nulla in merito alla accusa: per Luca quel discorso è stato un semplice riassunto di fatti ed episodi della
Scrittura, un riassunto della “lettera” della Torah.
Come poteva, un tale riassunto, che si chiude con la accusa ai sacerdoti di “non capire”, essere una difesa della
accusa di sostenere e quindi invitare ad un “sovvertimento-cambiamento di quanto era insegnato dagli scribi
farisei” ?
E' evidente che Stefano, che rispondeva ad una accusa precisa, con il discorso riassuntivo della Torah che ci riporta
Luca intendeva mostrare la sua -più piena conferma- dei testi Sacri ma, con evidenza, visti in quella letturacomprensione,“propria, e degli ellenisti”, che verosimilmente egli avrà forse anche esposto al Sinedrio anche se non
ci è riportata da Luca. Una “diversa” lettura ed interpretazione che unicamente “motiva e spiega” quel
“sovvertimento dei costumi-tradizione farisaica” oggetto della accusa.
Un sovvertimento, la giusta e non farisaica comprensione delle Scritture, cui anche gli insegnamenti di Gesù suo
maestro evidentemente per lui portavano, ma un sovvertimento che superava la figura di Gesù che infatti mai
Stefano cita: è altro da Gesù infatti, seppure anche in Lui visto, il "figlio dell'Adam" che egli alla fine evoca. Danno
forza a queste considerazioni le parole con le quali Stefano, secondo Luca, chiude il suo lungo discorso (At 7.51):
< Salomone gli edificò una casa.... Ma l'altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d'uomo...
O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo;
come i vostri padri così anche voi... io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'Adam che sta alla destra di Dio..>
E' evidente qui che Stefano reagisce così al fatto che la lunga esposizione e/o spiegazione fatta non aveva trovato
alcun ascolto. Egli infatti accusa “anziani e scribi” di “non capire”, di non “capire la corretta interpretazione” delle
parole della Torah da lui ricordate, una interpretazione che anche Luca, non capendo, non ha saputo renderci.
Stefano poi afferma che la mancata profonda comprensione di quei passi ed episodi che egli ha appena esaminato, è
dovuta al fatto che essi "non si lasciano guidare dallo Spirito Santo". Egli accusa quindi ai membri del Sinedrio il
mancato “ascolto di quella Ruah-Vento-Spirito Santa” che sempre parla all'uomo e che lo invita al deserto-lotta
interiore, come è stato per Gesù, che porta all'abbandono della “propria casa-padre-paese”.
Li accusa di restare chiusi e fermi ai condizionamenti dell' "io” e di fermarsi così ad una errata -letterale- lettura e
comprensione "farisaico-separativa" di quei testi. Li accusa in sostanza di non sapere compiere quella “rinascitaresurrezione in vita-cambio di mentalità-conversione” che porta al Regno, ad una "casa-paese" divina che non vede
alcun "io".
Una "casa-paese-divino" che egli invece <..contempla..>, dirà alla fine, che egli comprende e che vede in un
<..altissimo..> senza alcun "io-mano dell'uomo" in cui questi, il "caduto" secondo Enoch Torah e Profeti "figlio
dell'uomo", infine così senza "io" si porta, si mette al suo fianco, alla destra sua forza.
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nona parte
Si vede quindi così dal discorso pronunciato da Stefano che per lui e per gli "ellenisti" ma non solo, per quei primi
Apostoli e seguaci di Gesù che hanno letto e compreso "filosoficamente" il suo messaggio e così dato vita alla citata
“fonte filosofica giudaico-enochico ellenica” del cristianesimo, la "diversa", non letterale ma allegorico-sapienziale
lettura delle Scritture si può fare solo abbandonando l'"io", per una via di ricerca e riflessione che non è che la
individuale strada della mistica.
Come ultima nota di questa voce "ellenisti" vorrei ricordare nuovamente che di Giuda Didimo Tommaso, ascrivibile
per i contenuti del suo vangelo al gruppo degli “ellenisti”, non sappiamo molto rispetto alla sua vita ma il fatto che
gli sia stato dato un soprannome, quello di “Gemello”, che ci viene riportato sia in aramaico, “Taumà-Tommaso”,
che in greco, “Didimo”, verosimilmente ci dice, ad ulteriore conferma di quanto qui detto, che egli aveva buona
conoscenza del greco e, quindi, della cultura ellenistica.
COMUNITÀ di GERUSALEMME
Giacomo, < fratello > di Gesù, ci viene detto forse intendendo anche “fratello spirituale” come “gemello
spirituale” fu Giuda Didimo Tommaso, è stato esponente di grandissima influenza in quella comunità di seguaci di
Gesù che, con alcuni dei dodici ed altri adepti, alla diaspora del gruppo degli “ellenisti” restò in Gerusalemme.
Quasi tutti gli esperti ormai concordano nel vedere in Giacomo il “capo morale”, di fatto, di quella comunità:
comunità che era considerata, alla morte di Gesù, “depositaria, garante e testimone dei Suoi insegnamenti”.
Per quanto si evince infatti dall'episodio di Atti 15 che ci parla della riunione, per questo portata in seno alla
comunità di Gerusalemme, nella quale venne discusso il problema sollevato da Paolo della circoncisione dei Pagani
e dei loro obblighi nei confronti delle leggi Mosaiche, è Giacomo che, quale “capo morale” appunto, dopo avere
sentito Pietro, Barnaba e Paolo, dirà le autorevoli parole di chiusura della discussione, parole che saranno accettate
ed approvate dalla assemblea.
La comunità di Gerusalemme quindi, con la quale -pochissimi contatti- avrà Paolo, era con evidenza considerata da
quella parte del variegato movimento di seguaci di Gesù dei -primissimi- tempi che si legava ai Dodici, come la
comunità più autorevole, una sorta di “autorità prima” in merito a quelli che erano stati gli insegnamenti di Gesù.
La Chiesa di Gerusalemme è la “comunità apostolare” che più precipuamente cercherà di continuare l'opera di Gesù:
quella dell'insegnamento e testimonianza, “internamente alla comunità Giudaica” come aveva fatto Gesù, della
lettura di Legge e Profeti secondo quanto da lui insegnato.
Non abbiamo grandi notizie in merito al loro operato ma certamente, lo si evince da Atti degli Apostoli, sappiamo
che essi frequentavano il Tempio e partecipavano alla normale vita religiosa: nella loro opera, per quanto ci è
testimoniato, nulla fa pensare che quella comunità abbia voluto o tentato di far nascere una “nuova religione”; il
Giudaismo, seppure con l'indirizzo che essi avevano visto in Gesù, era la loro religione.
É una comunità che verosimilmente vedrà al suo interno posizioni particolarmente rigide: Paolo nelle sue lettere in
modo dispregiativo dirà di loro “quelli della circoncisione” escludendo solamente <..Giacomo, Cefa e Giovanni
ritenuti le colonne >(Gal 2.9), facilmente i meno intransigenti coi quali -esclusivamente- egli vorrà rapportarsi.
Sulla importantissima ed alta figura di Giacomo detto “il Giusto”, capo morale di quella comunità “madre”, sono da
ricordare due testimonianze, importanti e non trascurabili, di Girolamo e di Giuda Didimo Tommaso:
< Dopo la risurrezione del Salvatore, anche il vangelo detto secondo gli Ebrei,
recentemente tradotto da me in lingua greca e latina e del quale fa spesso uso Origene, afferma :
... “(il Signore) Prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e diede a Giacomo il Giusto, dicendo:
-Fratello mio, mangia il tuo pane, poiché il figlio dell'uomo è risorto dai dormienti-”
(Girolamo, De viris ill., 2)
< I discepoli dissero a Gesù: “Sappiamo che tu ci lascerai. Chi sarà la nostra guida?” Gesù disse loro:
“Dovunque siate dovete andare da Giacomo il Giusto, per amore del quale nacquero cielo e terra” >
(vangelo di G.D.Tommaso l.12)
Di straordinaria importanza deve essere quindi vista l'unica lettera di Giacomo che abbiamo a disposizione, è un
testo fondamentale ma pur poco considerato: è evidente che Giacomo non aveva la attitudine a scrivere e questo ci
autorizza a pensare che questa lettera sia stata scritta per forti e seri motivi.
Motivi che, vedremo, in attenta lettura e analisi si possono ben trovare e vedere.
Questa analisi non facile ma possibile, questa ricerca della Verità che in quella lettera il “capo morale” della
comunità “madre” di Gerusalemme esprimerà, sarà qui vista e sviluppata dopo l'approfondimento della figura di
Paolo e non senza avere prima accennato alla straordinaria figura di Giovanni Battista ed alla realtà della Cristianità
Orientale.
COMUNITÀ PAOLINE
E' ben noto che tutti i territori fuori da Gerusalemme sono stati “affidati a Paolo” in seguito alle decisioni della
riunione, sollecitata dallo stesso Paolo, tenutasi con gli apostoli e con gli anziani discepoli rimasti in Gerusalemme:
riunione tenutasi quindi con il gruppo di discepoli, considerato autorità prima, degli “ebrei”.
277
nona parte
È stato un atto importante, con una comunicazione -scritta- indirizzata “alle comunità di Antiochia, della Siria e
della Cilicia provenienti dalla paganità” e rivolta principalmente al problema della circoncisione di coloro che non
erano giudei. Nella sostanza quel documento ha conferito a Paolo, come lui dichiara, il compito di diffondere gli
insegnamenti di Gesù nel mondo fuori dalla città di Gerusalemme :
<..perché noi (Paolo e Barnaba) andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi >(Gal 2.9)
Fu un atto importante poiché diede la possibilità a Paolo di presentarsi “quale maggiormente legittimato interprete
ed insegnante” presso coloro che già erano entrati in contatto con il messaggio di Gesù grazie all'opera, iniziata
prima della sua, dei discepoli “Ellenisti”, quelli che erano stati costretti ad abbandonare Gerusalemme a seguito
della repressione nei loro confronti da parte del Sinedrio e dello stesso Paolo.
Le prime comunità di adepti al messaggio di Gesù sono infatti state organizzate e create proprio dagli “ellenisti”
fuggiti a seguito dei fatti nati con la messa a morte di Stefano, messa a morte che vede Paolo con importatissime
responsabilità. Wilhelm Schneemelcher nel suo “Il cristianesimo delle origini” dice:
< nel periodo primitivo ci fu un grande numero di apostoli, profeti, missionari, che portarono avanti l'opera degli
Ellenisti espulsi...Efeso è un esempio di una fondazione di missionari Ellenistici precedenti e contigui a Paolo...a
Roma già esisteva agli inizi degli anni 40 una comunità Cristiana sorta dalla missione degli ellenistico-cristiani >
Gerusalemme, affidando a Pietro l'opera di controllo su Paolo cercò invano, come testimoniano -vedremo- le lettere
di Giacomo, Giuda e la 2Pietro, di controllare la sua opera: Pietro <..senza istruzione e popolano..(At 4.13) finirà col
subire e seguire Paolo senza vederne errori e conseguenze ed anche gli altri inviati a quell'opera non saranno alla
altezza né avranno la necessaria, per quel compito, autorevolezza.
Paolo quindi organizzerà ed istruirà l'intero Occidente sulla base della propria visione e comprensione del
messaggio di Gesù, lottando con forza -contro- quel “Gesù diverso” e “altro vangelo-annuncio” che, in contrasto
con il suo Gesù e vangelo-annuncio, dei Grandi-Super Apostoli insegnavano.
EBIONITI e NAZAREI
Sappiamo che due tra le primissime sette Cristiane, quelle oggi note col nome di Ebioniti ovvero “poveri”, e Nazarei
o Nazorei, gruppi molto simili e forse anche non così chiaramente distinti, usavano -unicamente- il vangelo di
Matteo. La solida presenza di un gruppo seguaci di Gesù detti Nazorei, ci è testimoniata in Atti 24.5, da parte dei
sacerdoti del Tempio, al tempo del secondo viaggio di Paolo a Gerusalemme.
Su cosa distinguesse questi due gruppi non abbiamo notizie precise, possiamo solo ipotizzare una loro origine, più
evidente per i Nazarei o Nazareni ma che anche in quel “poveri” di Ebioniti è pur visibile, in quel “ voto di
Nazireato” che è citato nelle Scritture e già visto in precedenza: sono gruppi quindi “seguaci” di Gesù ma, così,
“legati” alle Scritture, e possiamo oggi definirli giudeo-cristiani come la comunità madre di Gerusalemme.
Ricordo che al tempo di Giustino di Nablus (100-165) gli Ebioniti facevano ancora parte della comunità Cristiana
come ricorda M. Simonetti in “La teologia degli antichi cristiani”(p.53).
Ebioniti e Nazarei o Nazareni o Nazorei seguivano quindi “esclusivamente” il Vangelo di Matteo, un vangelo che
però aveva qualche differenza rispetto a quello attualmente conosciuto e che essi, e forse non solo, consideravano
l'originale di Matteo. Ci viene detto in merito :
< La tradizione unanime della Chiesa antica attribuisce il “primo” vangelo a Matteo,....
la stessa tradizione afferma che Matteo scrisse originariamente in aramaico,
la lingua comune in Palestina ai tempi di Gesù > (introduzione al vangelo di Matteo, Cei 1974)
< nel Vangelo che essi (Ebioniti) usano, detto “secondo Matteo”, ma non interamente completo, bensì alterato e
mutilato, e che chiamano “Ebraico”... hanno tolto la genealogia di Matteo...>(Epifanio, Haer.XXX,13,6)
< Se uno accetta il vangelo secondo gli Ebrei (Matteo ndr), resterà perplesso, giacché, qui lo stesso Salvatore
afferma: “Poco fa mia madre, lo Spirito Santo, mi prese per uno dei miei capelli e mi trasportò sul grande monte
Tabor” (Origene, In Johan.,2,6 e In Jerem.,15,4)
< Nel vangelo ebraico di Matteo, così si legge: “ Dacci oggi il nostro pane di domani ”
e cioè dacci oggi quel pane che ci darai nel regno >(Gerolamo -Tract. in Ps.,135)
Girolamo, nel suo “De viris illustribus” del 392 dC, ci dice anche che nella biblioteca di Cesarea Marittima esisteva
un libro, composto da Panfilio martire e che i Nazareni di Aleppo gli permisero di copiare, che egli definisce
“l'originale ebraico”. Anche Girolamo afferma poi che il vangelo usato da Nazareni ed Ebioniti era considerato da
molti “l'originale di Matteo” :
< nel vangelo che usano i Nazarei e gli Ebioniti, che recentemente io ho tradotto
dall'ebraico in greco e che i più considerano il Matteo autentico..> (Girolamo, Comm.in Matt.XV.14)
Quali fossero le “alterazioni” esattamente non lo sappiamo e poche, se pur importanti, sono le differenze che si
conoscono tra questo vangelo di Matteo utilizzato da Ebioniti e Nazarei e quello poi adottato dalla Cristianità, ma
non possiamo escludere che il testo che oggi conosciamo non fedele all'originale anche in ben altri punti.
278
nona parte
Da un lato infatti si vede che tra i sinottici Matteo e quello in cui grazie ad una una maggiore “fedeltà e
completezza” alle parole di Gesù, si vede quel “Gesù diverso”, filosofo, mentre dall'altro vediamo che più di ogni
altro esso sembra perseguire il tentativo di “dimostrazione”, sulla base di passi di Legge e Profeti, che le Scritture
hanno parlato di un “unico Messia” e che questi è Gesù.
Matteo è infatti colmo di richiami, con tale funzione, alle scritture ma pure esso è al contempo tra i sinottici quello in
cui si mette maggiormente in luce quel Gesù “diverso” che certo non pensava di essere “unico Messia”.
Qualche perplessità quindi rimane e se da un lato si può pensare che egli, legato alla tradizione Giudeo-Farisaica,
abbia voluto presentarlo quale “unico Messia” di quella tradizione, dall'altro però non si può non notare che in quei
richiami alle Scritture egli compie errori tutti stranamente uguali agli altri sinottici.
Vale anche la pena il ricordare, come ho detto, che poco più avanti nel tempo i Manichei, secondo ciò che ci riporta
Agostino, sostenevano ed affermavano che tutti i Vangeli erano stati corretti e sostanzialmente falsati :
< (i Manichei) sostengono che gli scritti del Nuovo Testamento erano stati falsati...
col proposito d'innestare la Legge dei Giudei sulla fede Cristiana..>(Confessioni V 12.21)
Essi sostenevano cioè, sembrano dire quelle parole, che i richiami alle Scritture fatti a sostegno della “messianicità
unica” di Gesù sono stati inseriti con uno scopo e secondo una visione precisa di Gesù: la visione farisaica, e
cristiano paolina, del Messia Unico. Si potrebbe pertanto ipotizzare che se non tutti i vangeli almeno il Vangelo di
Matteo in origine non avesse tutti quei riferimenti al “Messia atteso” che in esso oggi noi vediamo.
Rafforza questa tesi ed ipotesi il fatto che certamente questo aspetto del Vangelo di Matteo non si coniuga con quelle
che erano le “credenze” di quegli Ebioniti che “solo quel Vangelo” seguivano: dice infatti Eusebio di Cesarea (265340 dC) , in “Storia Ecclesiastica”, su questi temi:
<..essi (gli Ebioniti) lo consideravano (Gesù)
un uomo semplice e comune, che è stato giustificato solo a causa della sua superiore virtù, e che era il frutto di una
relazione tra Maria e un uomo. Nella loro opinione era anche necessaria l'osservanza della legge mosaica, poiché
non potevano salvarsi tramite la sola fede in Cristo e vita condotta corrispondente a questo principio >
Epifanio (315-403 dC) poi ci informa che:
< La loro narrazione (degli Ebioniti) afferma che Gesù fu generato da seme umano, e scelto poi da Dio: fu per
questa elezione divina che fu chiamato “figlio di Dio”, dal Cristo che entrò in lui dall'alto in forma di colomba.
Essi negano che sia stato generato da Dio Padre ma affermano che fu creato come uno degli angeli >
(Epifanio, Haeres.,30,16,4A5)
Queste parole ci confermano la visione, da parte degli Ebioniti, di una “universale”, e non “unica”, “Messianicità”
che contrasterebbe con i richiami Cristologici di quel vangelo di Matteo che è l'unico che essi seguono. Confermano
questa visione, che potrebbe vedersi in linea con il movimento Enochico-Esseno, anche le seguenti parole del
vangelo degli Ebioniti che ci riporta Epifanio :
< Mentre era battezzato il popolo, venne anche Gesù e fu battezzato da Giovanni.
E salito che fu dall'acqua si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito Santo, in forma di colomba,
che scese ed entrò in lui. Ed una voce disse dal cielo: “Tu sei mio figlio diletto. In te mi sono compiaciuto”
E ancora: “Oggi ti ho generato” (Epifanio Haer.30.13,7-8)
Abbiamo già visto infatti come nelle Scritture quell' <..io oggi ti ho generato..>(Sal 2.6,7) dica del momento in cui
l'uomo giusto, nella figura del Servo Davide e discendenza, è portato alla condizione di “Figlio-Messia”.
Quella di un Gesù pienamente uomo che “si porta” ad una divina condizione, è visione e credenza confermata per
l'originale di Matteo da quanto ci dice Origene(185-254) ma anche dal vangelo di Filippo ritrovato a Nag Hammadi
nel 1945 :
< E se qualcuno consulterà il vangelo secondo gli Ebrei, nel quale il Salvatore in persona dice:
“Poco fa mia madre, lo Spirito Santo, mi prese per uno dei miei capelli e mi trasportò sul grande monte Tabor”,
si domanderà perplesso come possa essere madre di Cristo lo Spirito Santo generato dal Verbo.
Ma anche così, queste cose non sono difficili da spiegare > (Origene, In Jo.2,6)
< Taluni hanno detto che Maria ha concepito dalla Ruah Santa. Essi sono in errore. Essi non sanno quello che
dicono. Quando mai una donna ha concepito da una donna...e il Signore non avrebbe mai detto
“ mio Padre che è nei cieli” se non avesse avuto un altro padre..> (vangelo di Filippo 17)
Chiudo queste parole su Matteo e vangeli con la riconferma della grande “prudenza” che serve nel leggere quei testi:
si leggono spesso in essi “conclusioni” che sappiamo “proprie” degli evangelisti ma perfino le parole che ci sono
riportate quali di Gesù è bene che siano con prudenza “vagliate”.
Sottolineo ancora che Ebioniti e Nazarei, come anche gli apostoli e discepoli che resteranno in Gerusalemme legati
in particolare a Giacomo, e come forse anche Matteo, restano “legati” al giudaismo, alle Scritture, a Legge e Profeti.
Tutti sono e si sentono pienamente Giudei, non fondano né vogliono fondare alcuna “nuova religione”: essi
resteranno “legati” alle Scritture ma sulla base delle, giustamente comprese, riflessioni, discorsi e insegnamenti di
Gesù: non leggeranno quei testi con occhi “farisaici”.
279
nona parte
Nasce anche da questo, ma si fonderà però sulle rispettive profonde e quasi divergenti differenze di visione della
figura di Gesù, il fatto molto importante che alcuni di questi primissimi cristiani rinnegavano Paolo e lo
consideravano “apostata”:
< (gli Ebioniti) seguono unicamente il Vangelo che è secondo Matteo e rifiutano l'apostolo Paolo, chiamandolo
apostata della legge...>(Ireneo, Adv.Haer.I,26)
< ..(i Nazareni) accettano unicamente il Vangelo secondo gli Ebrei e chiamano apostata l'apostolo (Paolo).>
(Teodoreto, Haer.Fagul.Comp.II)
Paolo sarà da essi considerato “apostata” perché, lontano dalla Verità che è Una, proporrà una “propria” farisaica
religione, questo è l'apostasia: l'allontanamento e l'abiura della Verità a favore di un'altra credenza.
SIMON MAGO
Con piacere parlo ora di un altro “sostenitore” della prima ora delle Verità proclamate da Gesù: Simone il
Samaritano, detto Simon Mago.
Sì ho detto “sostenitore” di Gesù e delle Sue Verità: Simon Mago è stato infatti “seguace”, “ammiratore e fautore” di
Gesù, ma del Gesù “diverso” sin qui visto e non certo di quello insegnato da Paolo e, dietro di lui, da Pietro.
Con Simon Mago da parte della Cristianità si avrà, non so se si possa dire in modo pienamente inconsapevole, una
straordinaria operazione: quella della costruzione di quella sorta di “mostro-nemico supremo-etichetta negativa” che
sarà il “Simonianesimo”, operazione e costruzione che avrà principalmente lo scopo di chiudere ogni discussione,
ogni tentativo di comprensione, ogni misericordia.
È opera questa, umana evidentemente e negativa per me, che io vedo oggi ripetuta con alcune nuove formule troppo
“genericamente negative” quali “Terrorismo” e “Relativismo”: entrambi anche questi da combattere solamente,
come fu per Simonianesimo e tanto altro, senza fermarsi alla possibile discussione e comprensione reciproca.
Si costruiscono così “etichette denigratorie” che ottundono cuore e mente e solo servono il mantenimento acritico di
posizioni “altre” da quelle che, non per forza senza qualche legittimità, vengono in tal modo nascoste dietro tali
formule e negate di alcun possibile ascolto.
Ricordo qui ciò che ho detto in precedenza: Ireneo in sostanza dichiara di < Simon mago > la fonte <..di
tradizione..> contraria a quella, di < Pietro > dice, che è però al fondo di Paolo. Egli così fa “opera di diffamazione
e demonizzazione” nei confronti di una dottrina che non poteva essere di Simon Mago essendo, come lui dice, < di
tradizione >, consolidata, importante, accettata.
Ma oltre a questa affermazione di Ireneo vuole anche sottolineato che nel corso dei primi secoli, in quella
discussione e lotta interna alla Cristianità che prenderà il nome di “questione Cristologica”, saranno molti i
cosiddetti “eretici” che saranno accusati e condannati per “Simonianesimo”: tutte accuse che nulla hanno a che fare
con quel “comprare-vendere per denaro il Sacro” cui noi oggi pensiamo con quel temine: quasi per nessuno fu
questo il motivo della condanna, sempre ne erano causa le differenze di visioni teologiche.
Di Simon Mago, di questa figura, è vero che sappiamo molto poco e molto di ciò che sappiamo ci viene da coloro
che lo consideravano avversario: da quelli cioè che seguiranno le orme di Paolo e di un Pietro “portato dove lui non
voleva” dice Gesù, portato allo stesso errore di Paolo.
Simone il Samaritano, secondo queste fonti, si delinea come uno dei tanti personaggi che in modo indipendente,
come Gesù e Giovanni Battista, in quel periodo storico in Medio Oriente andavano predicando le Verità da loro
sentite e capite.
Egli è Samaritano ovvero fa parte di quella comunità Giudaica che, come ed ancor più della tradizione Enochica,
non condivise le letture, e le imposizioni, che dalle Scritture furono tratte dai Sadducei e dai Farisei.
Essi contrariamente a chi seguiva i sapienti legati alle interpretazioni Enochiche, si staccarono dal giudaismo con la
fondazione di un loro Tempio, loro Sacerdoti e loro conseguenti istituzioni ma le loro interpretazioni di Torah e
Profeti erano molto vicine a quelle del cosiddetto Enochismo come testimonia peraltro la affinità ed il legame che
Simon Mago vedrà e dichiarerà con il Gesù “diverso” che come visto ad Enoch fortemente si lega.
I tardi ma in questo attendibili scritti cristiani Pseudo Clementini, qui ripresi da “I ritrovamenti” a cura di Silvano
Cola, di lui riportano :
<..fondo le mie affermazioni unicamente sulla Legge dei giudei..>(I ritrovamenti III.39)
Le prime predicazioni di Simon Mago sono quasi contemporanee a quelle di Gesù: poco dopo la morte di Gesù a
seguito delle persecuzioni che in Gerusalemme vedevano Paolo in prima linea contro i discepoli di Gesù,
persecuzioni che porteranno alla uccisione di Stefano ed al prudenziale allontanamento da Gerusalemme di vari
discepoli ellenisti e forse non solo, Filippo, uno di questi discepoli, recatosi in Samaria qui vide che:
< Vi era da tempo in città un tale di nome Simone ...il quale mandava in visibilio
la popolazione...A lui aderivano tutti, piccoli e grandi..>(At 8.9,10)
Le sue sono predicazioni quindi ben seguite ed anche per lui, come per Gesù e per alcuni apostoli, ma come per altri
pure, ci vengono presentati “prodigi” e “miracoli”:
< Simone...dedito alla magia..> (At 8.9) <...miracoli ... egli compiva. Da molti indemoniati uscivano spiriti
immondi emettendo alte grida e molti paralitici e storpi furono risanati >(At 8.6,7)
280
nona parte
Piccola parentesi: a prendere tutto alla “lettera” certo tra ciechi, sordi, indemoniati, paralitici e storpi, tutti in gran
numero, non erano certo messe molto bene quelle aree e popolazioni !. Speriamo che non fosse proprio così
drammatico, ma certo almeno potevano contare su molti “miracolatori” e non solo i ben noti Gesù, Simon Mago o
qualche Apostolo: Tacito, morto nel 120 dC, ci narra con dovizia di particolari di due “miracoli” compiuti
dall'imperatore Romano Cesare Vespasiano ad Alessandria:
“un cieco riacquistò la vista e uno storpio guarì dopo che egli li toccò con un dito bagnato della propria saliva” !.
(Hist.IV,81 trad.A.Arici-Utet1970-pp491)
Si conferma così che la prudenza nel dare valore ai miracoli, anche di Gesù, è indispensabile e che comunque essi
non possono essere né di supporto, né decisivi, per alcuna conclusione teologica.
Tornando a Simon Mago questa “apparente concorrenza ed antitesi” rispetto all'opera di Filippo, si trasformò in
fretta in una “forte unione” di vedute e di insegnamenti tra i due.
Questa unione ci verrà, con parole di parte, così descritta:
< Simone credette in lui (Filippo) e, dopo essere stato battezzato, stava sempre con Filippo > ( At 8.13)
La scoperta recente, tra i documenti ritrovati a Nag Ammadi nel 1945, di un interessantissimo “vangelo di Filippo”
assieme a ciò che, se pur di parte, ci viene detto in Atti sulla predicazione di Simon Mago, ci fa vedere su quali basi,
verosimilmente, quella confluenza ed unione tra Simon Mago e Filippo unicamente può essersi creata.
Nel Vangelo di Filippo, anche se non abbiamo la certezza che esso sia attribuibile al nostro, troviamo il Gesù
“diverso” qui visto, il Gesù che invita alla “resurrezione in corso di vita” ed al conseguente “riportare alla deità”
un'anima che nell'uomo sprofonda nella “materialità” con quella sorta di “adulterio” o “prostituzione” che è tema
delle Scritture. Riporto alcuni passi di questo Vangelo:
< ...ogni associazione che si forma tra cose differenti l'una dall'altra è adulterio.>(VdFilippo 42)
< Coloro che dicono che il Signore prima è morto e poi è risuscitato, si sbagliano,
perché egli prima è risuscitato e poi è morto. Se uno non consegue prima la resurrezione non morirà, perché
come è vero che Dio vive egli sarà già morto >(VdFilippo 21)
< O si è nel mondo o nella resurrezione o nei luoghi intermedi...l' “intermedio” è la morte.
Mentre siamo in questo mondo, è necessario acquistare per noi la resurrezione, cosicché quando ci spogliamo della
carne, possiamo essere trovati nella “quiete” e non andiamo errando nell'intermedio > (VdFilippo 63)
< Coloro che dicono che prima si muore e poi si risorge, si sbagliano. Se non si riceve prima la resurrezione,
mentre si è vivi, quando si muore non si riceverà nulla. Così pure si parla riguardo al battesimo, dicendo che il
battesimo è una grande cosa, perché se si riceve si vivrà.>(VdFilippo 90)
Le righe del Vangelo di Filippo si inoltrano poi in una “spiegazione teologico strutturale”, oggi detta di carattere
Gnostico, di non facile comprensione, forse discutibile, sicuramente, a mio avviso, non indispensabile ma che nulla
però toglie alla visione del Gesù “diverso” che ben viene delineato.
Simon Mago, ci dicono confusamente le poche righe, di autori Cristiani, che su di lui abbiamo a disposizione,
vedendo anche sé stesso in una tale condizione, predicava un uomo che -si deve- “riportare” al Tutto, alla < potenza
di Dio >. Con queste parole egli diceva di una “resurrezione” che, incompresa profonda dottrina e Verità anche di
Gesù, così ci viene presentata e quasi stravolta negli Atti degli Apostoli:
< tutti... lo seguivano e dicevano: ”costui è la potenza di Dio, quella che è detta la Grande” >(At 8.10)
Nei citati Pseudo Clementini si dice :
<..Simone..si è creduto d'essere il Cristo e si fa chiamare “stante”..>(I ritovamenti II.7)
Simon Mago diceva così quanto, più nascostamente, affermava di sé Gesù; mostrava la strada per portarsi all'eterno:
“stante” è “ciò che sta = ciò che è immutabile ovvero eterno” ovvero è il Logos-Cristo-Signore.
Come Gesù, e come chiunque arrivi a vedere, capire e sentire come Lui, Simon Mago si vedeva, sentiva e dichiarava
giunto a quella condizione di Logos-Figlio.
Sempre da quelle fonti apprendiamo che a questo risultato egli, con evidenza in senso allegorico, era pervenuto con
il riscatto di Elena “prostituta” in Troia, ovvero riscattando-risollevando l'Anima-Sposa o anche la sua immaginefantasma (Euripide) caduta ovvero “rapita” alla “prostituzione con la materia”, caduta-rapita alla “materialità”.
Questa Elena, ci viene detto, ha un collegamento con la figura della Iliade Omerica, opera che quindi Simone
chiaramente interpreta dandole spessore teologico ovvero di mitologia allegorico sapienziale.
Questa opera e lavoro di paragone, di avvicinamento e di sottolineatura di “sostanziale unità” tra la cultura Greca e
gli insegnamenti di Legge e Profeti secondo una loro lettura “non letterale” quale quella fatta e sin qui vista per il
Gesù “diverso”, opera e lavoro di Simon Mago ma soprattutto oggi vista in Filone Alessandrino, dagli addetti ai
lavori è quasi sempre vista e descritta quale lavoro “sincretico” ma esso non è, a mio avviso, tale.
Queste opere non sono “sincretismo” inteso quale più o meno felice fusione o con-fusione e combinazione di
“diverse e lontane” credenze: non sono commistione più o meno pasticciata, esse sono invece illuminata
comprensione e messa in evidenza di “stesse Verità” espresse in parole ed immagini diverse.
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nona parte
È lavoro ed opera a cui ormai da troppo tempo siamo “impediti”: ognuno sempre e solo si trova a vedere e sostenere
“proprie” radici non vedendo uguaglianze mai.
Questa Elena che nelle varie letture e culture diviene (come ben ci sottolinea R.M.Grant in “Gnosticismo e
Cristianesimo primitivo”) “Sophia, Iside, Kore, Luna, Inanna, Nania, Afrodite, Astarte, Ishtar, Sapienza” e forse
altro ancora, da Simone è detta anche “Primo Pensiero” dicendo con ciò quanto in Grecia era detto con l'immaginemito-allegoria, tra le altre, di Atena che nasce dalla testa di Zeus.
Altrettanto varie diverranno, a partire dai poetici racconti su Inanna del 2000 aC circa, le figurazioni e motivazione
di quella che sarà vista come “caduta o prostituzione o prigionia o rapimento”.
Figura simile alla Elena di Simone e di Omero non si può non notare che sia stata per Gesù la Maddalena,
“prostituta redenta” anch'essa, con cui Gesù visse in una profondità tale da suscitare la gelosia di alcuni apostoli.
Con un tema a questo laterale e corrispondente vedremo, alla fine di questi scritti, che Gesù in linea con le Scritture
ma non solo, vedeva nella “figura” della -donna- “la madre dell’uomo-caduto” la quale deve giungere a portarsi ad
essere -Madre-, “Madre dell'uomo-figlio di Dio” ovvero deve portarsi ad essere “Ruah-Vento-Spirito Santa”.
La “unità” tra Simon Mago e Filippo non fu una unione formale ed essi con evidenza restarono completamente nel
solco degli insegnamenti del Gesù “diverso” da essi “visto e compreso”: questo forte e “sentito” legame con la
figura di Gesù ci è testimoniata ancora oltre un secolo dopo nelle predicazioni ed insegnamenti dei discepoli di
Simon Mago.
Simone, ed i suoi seguaci nel tempo, affiancheranno sempre infatti ai loro insegnamenti il nome di Gesù, essi lo
vedono in sintonia con i loro insegnamenti ed è evidente che è il Gesù “diverso” sin qui visto che essi, come Filippo
e Giuda Tommaso Didimo e verosimilmente altri “SuperApostoli”, dirà Paolo, hanno saputo vedere:
< ..(i) discepoli e successori di Simon Mago...mettono avanti, effettivamente,
il nome di Gesù Cristo come una specie di esca...>(Ireneo Adv.Haeresis)
< Ci sono due fonti di tradizione...ma solo una deriva da Dio, quella che la Chiesa riceve tramite…
gli apostoli, specialmente Pietro...l'altra viene da Satana e risale al maestro gnostico Simon Mago…
il padre di tutte le eresie > (Ireneo)
Nelle parole dure quanto cieche di Ireneo, Padre della Chiesa vissuto dal 130 al 202 dC, una volta superata la
visione chiaramente di parte e quindi miope del <..come..esca..> si vedono e sono riconosciute “due visioni” della
Verità insegnata da Gesù: lontanissime ed opposte esse si presentarono da subito, dai primissimi tempi.
Continuando con Simone il Samaritano, di lui ci viene detto e testimoniato che arrivò, nella sua predicazione, fino a
Roma dove, secondo gli “Atti dei beati Apostoli Pietro e Paolo”, trovò molto seguito ma, subito dopo, trovò anche il
contrasto di Pietro soprattutto e Paolo.
Dubbie sono le cause della morte di Simon Mago, morte su cui vi sono oltretutto due fantasiose versioni, e non si
può non prendere in esame anche i testi, pur tardi, qui riportati in cui si può vedere Nerone addebitarne a Pietro la
responsabilità.
Le successive “esecuzioni” di Pietro e Paolo potrebbero così anche essere nate dal risentimento di Nerone per la
morte di Simon Mago, figura che egli, sappiamo, teneva in grande considerazione e rispetto:
< Quando venne riferito ciò a Nerone, mentre si rammaricava di essere stato ingannato e deluso, indignato perché
era stato tolto un uomo utile e necessario allo Stato, cominciò a ricercare dei motivi per uccidere Pietro >
(Memorie apostoliche di Abdia-I,18)
< Nerone gli domandò: “Chi ti ha permesso di compiere un tale misfatto ?”. Pietro rispose:
“La sua contenzione, la sua mentalità malvagia e le sue bestemmie lo hanno condotto alla rovina”.
Nerone disse: “Mi siete persone sospette, perciò vi farò morire malamente >
(Atti dei beati Apostoli Pietro e Paolo)
Ma ancora una cosa mi preme sottolineare di questo duro contrasto tra Simone il Samaritano e Pietro soprattutto,
contrasto che sembra quasi avere, da parte di Pietro, motivazioni “personali” ancor più che di dottrina: è quanto si
può evincere da ciò che dicono gli Atti degli Apostoli:
< Simone, vedendo che lo Spirito Santo veniva conferito con la imposizione delle mani degli apostoli,
offrì loro del denaro dicendo: “Date anche a me questo potere perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo
Spirito Santo”. Ma Pietro gli rispose: “ Il tuo denaro con te vada in perdizione, perché hai osato acquistare
con denaro il dono di Dio.... Pentiti dunque....e prega il Signore che ti sia perdonato...”
Rispose Simone: “Pregate voi il Signore, perché non mi accada nulla di ciò che avete detto.>(At 8.19-24)
Salto qui la discussione, fatta in altro spazio, sulla volontà di Gesù di dare questa “concessione-capacità-potere”,
agli apostoli e futuri seguaci, di “infondere con le mani” lo Spirito Santo.
Mi fermo invece alla risposta di Pietro che io vedo poco affine agli insegnamenti di Gesù: egli si sente in grado di
“augurare la perdizione” a Simone: è lontanissimo da ciò ogni sentimento d'amore incondizionato, è lontanissimo
da ciò il “non giudicate” di Gesù: Pietro qui sembra piuttosto “ragionare come gli uomini”, ovvero come coloro che
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nona parte
sono nell'errore dell' “io” separato, diviso e materiale, errore che Gesù già contestò a Pietro quando lo allontanò
quale “Satana” !.
Ben più profonda e “piena d'amore” è invece la risposta di Simone: in essa non vi è alcuna minaccia e nemmeno,
Simon Mago, è preoccupato di ciò che a sé stesso può accadere come ad una superficiale lettura potrebbe sembrare:
quella risposta di Simone invece evidenzia la sua “preoccupazione ed attenzione” per ciò cui va così incontro
Pietro. In quella risposta egli, incompreso, dice a Pietro che solo rivedendo e lavando via dall'animo ciò lo aveva
portato a quella “maledizione ed anatema”, solo riconsiderando ciò che diceva e faceva, egli si sarebbe salvato: per
questo si augura, ed invita, a “pregare piuttosto che non accada quanto auguratogli” .
E ancora poi si deve dire che certamente Simon Mago, ancora oggi incompreso, con quella “offerta di denaro” non
cercava alcun “potere di conferire la Ruah-Vento-Spirito Santa” ma voleva invece “sarcasticamente contestare” e
fare capire la assurdità ed ignoranza di “quell'umano gesto ed istituto”.
Il samaritano Simone ben sapeva che la Ruah-Vento-Spirito Santa è “Voce divina” che parla all'uomo senza
intermediazioni e che sempre e costantemente da esso può essere ascoltata.
È con questa consapevolezza che Egli fece quella incompresa “provocazione-insegnamento”: ciò che essi “davano”,
egli ha detto con quella “ironica e materiale offerta”, era “cosa che poteva essere comprata con danaro” e perciò
“non era nulla di divino”. Quel gesto che Pietro compiva, seguendo Paolo, quelle sue parole e quelle sue
affermazioni, per Simon Mago erano “blasfemia”, opera “diabolico-separatrice”, di “uomo” e comprabile quindi con
del “denaro”.
Questa disputa quindi tra Simone e Pietro, quel duro confronto che così evidente è nelle parole di Atti ma non solo,
fu ben più profondo di quanto si evince restando alla superficie delle parole riportateci: il contrasto fu sulle basi, su
ciò che poteva avere detto Gesù e su cosa aveva capito un Pietro ormai già al seguito di Paolo, da questi < cinto > e
forse ormai già dove “non voleva andare”, un Pietro di nuovo ancora “ragionante come gli uomini”, divisore e
separatore: “satana”.
Riporterò ora alcuni a mio avviso significativi brani tratti dai pochissimi testi, presi da “Testi Gnostici in lingua
greca e latina” di Manlio Simonetti, che ci parlano, se pur tardivamente, della dottrina di Simon Mago. Da
“Confutazione VI 9-17” di Ippolito, vissuto dal 170 al 235 dC, il Simonetti riporta:
< Simone afferma che il principio di tutte le cose è Potenza infinita..
egli dice che la dimora è questo uomo generato dal sangue e che in lui abita la Potenza infinita che è radice del
tutto. E la Potenza infinita, cioè il fuoco,...(ha) duplice natura, un aspetto nascosto ed uno manifesto...la parte
nascosta è nascosta nella parte manifesta ..e la parte manifesta..è nata da quella nascosta.>
< ..il mondo generato..ha cominciato a nascere..prendendo dal principio di quel fuoco sei radici..in queste si trova
tutta insieme la forza infinita, in potenza e non in atto..se questi che si trova nelle sei..diventa immagine egli sarà in
essenza potenza grandezza perfezione una sola e identica potenza con la Potenza ingenerata e infinita..
ma se nelle sei potenze egli resta solo potenza e non diventa immagine,
allora viene distrutto e scompare.. ..la settima potenza dopo le sei..è la Potenza di cui parla Mosè: “E lo spirito di
Dio vagava sopra l'Acqua”(Gn 1.2) cioè lo Spirito..di cui Simone dice: “Immagine da forma incorruttibile, che
dispone da sola tutte le cose”..: se l'uomo non diventa immagine, sarà annientato ..
Questa..Potenza unica, divisa in alto e in basso, che genera sé stessa, aumenta sé stessa, cerca sé stessa, trova sé
stessa, che di sé stessa è madre padre sorella consorte figlia figlio: madre e padre unità radice del tutto.>
(Op.cit. Pp19-31)
Il sistema di pensiero Simoniano è, come anche Simonetti sottolinea in nota 18 del I cap. riferendosi a quanto
esposto nel testo “La Grande Rivelazione”, “monistico” e completamente privo della distinzione fra Dio sommo e
Demiurgo che è tipica dello Gnosticismo per come oggi catalogato ed inteso.
In queste poche righe si vede infatti una Potenza Tutto che, per quel suo aspetto manifesto che è nell'uomo, vede la
necessità che questi si “riporti” ad “immagine” per essere < una sola identica potenza con la Potenza ingenerata e
infinita >, quella potenza e passaggio di cui anche Enoch diceva con queste parole :
< fin dall'inizio il Figlio dell'uomo era nascosto, e stava accanto alla potenza dell'Altissimo
e la rivelò agli eletti..>(Enoch Et. LXII 7)
Tutto molto in linea, parole a parte, con ciò che sino ad ora abbiamo visto: necessità di quella “conversione-cambio
di mentalità-resurrezione”, dicevano Giovanni Battista e Gesù come tutto il mondo antico, che mostra in sé all’uomo
il nascosto “Figlio” che è nel Padre.
GNOSTICISMO
La dottrina che Simon Mago come pure Giovanni Battista, Gesù ed il mondo antico tutto, quello Egizio, l'Indo-Ario,
il Mesopotamico, il Greco di Esiodo ed Omero ma anche quello Giudaico di una Torah correttamente letta,
insegneranno, è dottrina che correttamente si può definire “gnostica”.
È “gnostica” secondo la corretta lettura del termine che deriva dal greco “gnosis=conoscenza” e ci dice quindi di
una “dottrina della salvezza tramite la conoscenza” lontana dalle dottrine degli attuali “monoteismi, che tali non
283
nona parte
sono” e che vedono una “salvezza data dal cieco e fideistico seguire comandamenti, dogmi, obblighi e
prescrizioni”. Quella antica e, pur con tante diverse parole e immagini, sostanzialmente unica e largamente diffusa
dottrina sapienziale che il Gesù “diverso” qui visto ancora unicamente volle mostrare, tra il V secolo aC ed il III-IV
dC lentamente perderà ogni sua sua forza e voce.
Sarà a causa di mille motivi e sarà per un “necessario”, ha detto anche Gesù, divino accadere che questo avverrà ma,
con riferimento agli insegnamenti di Gesù, sarà anche a causa di approfondimenti dottrinali che, in modo sempre più
complesso, si concentreranno in una sorta di poco chiare e fantasiose “spiegazioni meccanicistiche” dell'Assoluto.
Questo accadrà in alcune correnti, gruppi e scuole, del cosiddetto gnosticismo ma accadrà anche tra i diretti
discepoli di Simon Mago e si finirà così lentamente col nascondere, o anche dimenticare, quella iniziale pulita e
filosofica lettura di Gesù fatta da Simon Mago.
Purtroppo alle già in sé, come dicevo, difficili parole si è aggiunta una speculazione che, con “Demiurgo, Arconti,
Eoni ecc.”, tentando di vedere e spiegare meccanicamente, renderà queste dottrine difficili da capire, spesso anche
fantastiche e sempre comunque faranno loro perdere quella sana Verità da cui erano partite.
Oggi purtroppo con la voce “gnosticismo”, che come detto è “dottrina della salvezza tramite la conoscenza”, si
intendono normalmente, ma impropriamente, soprattutto queste ultime snaturate espressioni di quel primordiale ed
universale “sentire-insegnamento-dottrina”.
Ho detto “soprattutto” perché ormai questo termine si è colpevolmente trasformato in un “calderone negativamente
connotato” in cui viene inserito tutto ciò che non concorda con la lettura di Gesù fatta dalla paolina Cristianità :
anche il vangelo di uno dei dodici apostoli di Gesù, quello di Giuda Didimo Tommaso, finisce spesso così
negativamente catalogato con una comoda e sprezzantemente superficiale etichettatura.
Tornando a quella lenta trasformazione, ai tanti maestri, scuole, espressioni e costruzioni oggi dette “gnosticismo”,
in esse resteranno comunque qua e là, in quel poco di cui siamo venuti a conoscenza e con i rari testi originali
salvatisi dai roghi cristiani e con le molte “confutazioni” di “santi e padri” della paolina Cristianità, tracce delle
pulite prime visioni ed interpretazioni da essi fatte sulla base degli insegnamenti del Gesù “diverso” da essi
insegnato e visto. Il Gesù “diverso” che può ben essere detto “gnostico”: il suo continuo invito a “cercare” non è
altro infatti che invito alla “salvezza tramite la conoscenza”, invito alla “gnosi”.
Testimonia ad esempio di insegnamenti che dicevano della visione di un Uno-Tutto ed Eterno Divenire ciò che
Ippolito (170-235) ci riporta su Ofiti e Sethiani:
< (su Es 3.14) dicono poi ... e si esprimono così: “ Divengo ciò che voglio e sono ciò che sono” >
(Ippolito, Confutazione V 7.25)
In questo passo si vede che la lettura ed esegesi del Passo biblico Esodo 3.14, il letterale < Sarò ciò che sarò >, da
questi “seguaci di Gesù” era già straordinariamente ben vista: non sarà così per le tre religioni cosiddette
“monoteiste”, queste saranno costrette per la loro visione e comprensione a sovvertire la frase tras-portandola e traducendola in < Io sono colui che sono >. Più avanti in queste pagine riprenderò questo “enorme” argomento.
Ancora Ippolito, in “Confutazioni” VII,32, riportando Ireneo “Contro le eresie” I,25 dove dice della dottrina di un
Carpocrate che pur portatosi ad insegnare una difficile dottrina che vede “arconti creatori del mondo”, sulla
“resurrezione-conversione” scrive quanto segue:
< Carpocrate dice che..Gesù..nato uguale agli uomini è stato più giusto degli altri.. l'anima.... è risalita a Dio e
ugualmente ogni altra che abbraccia lo stesso modo di vita.. sono giunti.. ad affermare che alcuni sono simili allo
stesso Gesù..(e) che le azioni buone e cattive sono tali nell'opinione solo degli uomini..> (Op.cit. Pp192,193)
Ma un altro passo interessante, sempre Ippolito, ci riporta in “Confutazioni” VIII,15, 1-2 accreditandolo ad un certo
Monoimo :
< Abbandona la ricerca di Dio e della creazione e di simili cose. Cercalo prendendo “te stesso” come punto di
partenza. Impara chi è che “in te” fa “propria” ogni cosa e dice :
- il “mio” Dio, la “mia” mente, il “mio” pensiero, la “mia” anima, il “mio” corpo Impara le fonti del dolore, della gioia, dell'amore, dell'odio.
Impara come accade che uno stia desto senza volere, riposi senza volere, si adiri senza volere, ami senza volere.
Se tu investigherai attentamente queste cose ( Dio -ndr ) lo troverai in te stesso >
In queste parole si vede come, nel largo fiume dello gnosticismo, assieme a tante superflue se non errate
elucubrazioni siano rimaste parole e voci che dicevano limpidamente delle Verità che abbiamo sin qui ben visto.
Plotino, per le Enneadi che Porfirio ci ha lasciato, criticherà particolari aspetti delle tesi sostenute da -alcuni“gnostici”, che Porfirio chiama -correttamente- <..cristiani, nonché eretici..> ovvero “cristiani che seguono una
visione e lettura propria degli insegnamenti di Gesù”, che erano dei frequentatori della scuola filosofica romana da
lui tenuta tra il 250 ed il 270:
< C'erano..numerosi cristiani, nonché eretici, che provenivano dalla filosofia antica...insegnavano che
Platone non era penetrato sino in fondo all'essenza intelligibile. Perciò Plotino ne fece parecchie confutazioni..>
(Porfirio, Vita di Plotino, XVI)
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nona parte
A -questi- “cristiani gnostici” Plotino fa appunti pertinenti e al suo testo molti odierni cristiani indirizzano quando
vogliono confutare un sempre troppo generico e confuso “gnosticismo”.
A questi tuttavia andrebbe ricordato che alla discussione manca quel “Contro i cristiani” che Porfirio, discepolo
primo e filosoficamente vero “figlio” di Plotino, ha scritto e che la cristianità ha distrutto lasciandoci solo pochi
brani di recente raccolti in una limitatissima ricostruzione necessariamente povera ed insufficiente.
Senza voler fare, perciò, l'analisi delle confutazioni di Plotino, di esse sottolineerò alcuni aspetti che nascono in
queste righe delle Enneadi :
< Essi, disprezzando il mondo demiurgico e questa terra, dicono che c'è per loro una terra nuova
nella quale essi andranno..>
< Essi ...rendono simile la natura intelligibile a quella sensibile e inferiore..biasimano quest'universo, considerando
una colpa l'unione dell'anima con il corpo... non disdegnano di dichiarare fratelli gli uomini più vili;
ma...non degnano del nome di fratelli il sole, gli astri del cielo e l'anima del mondo..(ora) non è giusto che i
malvagi abbiano diritto a questa parentela..che dev'essere propria di coloro che sono diventati buoni e non sono più
in un corpo, ma un'anima in un corpo.. più vicini alla dimora dell'Anima universale nel Corpo dell'universo.
.. degli uomini (che da essi ndr) si lasciano persuadere..(è) grande è la presunzione, fossero anche dapprima umili,
modesti e semplici, quando odono: “Tu sei figlio di Dio; gli altri.. non lo sono, nemmeno gli astri che i padri hanno
onorato..(e) sei superiore allo stesso cielo > (Plotino, Enneadi II,9)
Plotino qui giustamente critica il “disprezzo e degradazione della vita fisica” che viene insegnata, giusto è criticare il
< disprezzo... ( di ) questa terra... (e il ) biasimo di quest'universo >, giusta e corretta è la critica, che Nietzsche
peraltro giustamente in modo identico farà alla odierna Cristianità, nei confronti della estraniante aspirazione ad una
<.. terra nuova nella quale essi andranno..> .
Se può sembrare poi fuori luogo la critica di Plotino al loro < chiamare fratelli gli uomini più vili >, vuole anche
ricordato che quella critica, stante quella dottrina dell'Uno che Plotino insegna e conferma, non può essere altro che
il dichiarare la necessità di vedere, pur in quell'Uno, importanti, grandi e innegabili personali differenze.
È un errato senso di fratellanza, senso e concetto poi ereditato dalla Cristianità, che Plotino qui critica come poi farà
anche Nietzsche per la Cristianità.
Ma ciò che è qui interessante vedere è soprattutto il fatto che questi “cristiani gnostici” insegnavano che ogni uomo
è Figlio di Dio : mancava, sembrano dire questi passi, la necessaria e dovuta preparazione e sottolineatura di cosa sia
e come ci si debba portare a tale condizione, sebbene mai si sia fuori essa. E questa mancanza genera certo l'errore
di una negativa e stupida <..presunzione..>.
Ma anche, di quelle parole di Plotino, mi piace sottolineare ciò che egli auspica ed indica come necessario all'uomo
ovvero il portarsi ad essere < non...più in un corpo, ma un'anima in un corpo...più vicini alla dimora dell'Anima
universale nel Corpo dell'universo > : ovvero quanto dice il Gesù “diverso”, qui visto, che si rifà agli insegnamenti
della Torah.
L'invito-insegnamento di questo Gesù, e della Torah correttamente letta, che invita a “morire all'io-materialità”
sono il < non essere più in un corpo > di Plotino mentre il conseguente vedersi-essere “figlio di Dio”, “resuscitatorinato da acqua e spirito” di Gesù e Torah è condizione che Plotino illustra con il suo < ..(essere) un'anima in un
corpo .. vicini alla dimora dell'Anima universale nel Corpo dell'universo >.
GIOVANNI BATTISTA E I MANDEI
Le considerazioni più sopra fatte sul passo di Isaia piegato, nei vangeli e con un evidente errore, alla visione di un
Giovanni Battista secondario e di supporto a Gesù, mi danno la opportunità di parlare di questa meravigliosa figura.
Sulla supposta funzione di “annunciatore” di Gesù non si può non notare che Giovanni stesso non aveva certo le
convinte sicurezze che gli evangelisti ci suggeriscono visto che poco prima di morire, tormentato dalla domanda,
dalla prigione in cui era rinchiuso mandò a chiedere a Gesù:
< Sei tu il Messia che deve venire o dobbiamo attendere un altro ? >(Mt 11.3)
Ora a me sembra abbastanza inverosimile che un Dio mandi un “annunciatore” che “annuncia”, sottolineo “con
precise parole”, senza che lo stesso abbia “alcuna coscienza” di questo compito, ma certo tutto ciò non è impossibile
purché si veda in quella figura un “incosciente attore” assoggettato ad un non modificabile “destino”: cosa
evidentemente poco Cristiana !.
Giovanni il “battista”, o “immergitore” in corretta traduzione, è figura ben più alta di quanto la Cristianità abbia
mostrato a causa di quel “secondario”, se pur posto importante, compito di “annunciatore” che essa gli ha
accreditato. Eppure Gesù, seppure con un “nati da donna” che sottolinea comunque la distanza di Giovanni dalla
condizione di “Figlio-Messia-Cristo” ovvero dalla condizione di chi nasce da “Sposa-Ruah Santa”, aveva detto:
285
nona parte
< tra i nati da donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista >(Mt 11.11)
Giovanni più che “annunciatore” è stato “anticipatore”, come i Profeti e moltissimi altri, di Gesù: egli dirà cioè,
prima di Gesù, della stessa Verità. Prima di conoscere Gesù, Giovanni Battista infatti :
<.. predicava una immersione di “con-versione ( cambiamento di mentalità )..>(Mc 1.14)
< (diceva)... immergo per la con-versione ..>(Mt 3.11)
< (diceva):..fate dunque frutti degni di conversione ...>(Mt 3.8)
< Dopo che Giovanni fu arrestato Gesù..predicando..diceva : con-vertitevi ..>(Mc 1.14,15)
Giovanni era personalità profondamente ossequiata e rispettata dal popolo e tenuta per questo in grande rispetto
anche dalla classe sacerdotale:
< .tutti consideravano Giovanni come un vero Profeta.>(Mt 11.32)
< ..sommi sacerdoti e anziani.. riflettevano tra sé dicendo: ...abbiamo timore della folla, perché tutti considerano
Giovanni un Profeta >(Mt 21.26)
< (G. Flavio:) Erode, di fonte alle schiere di persone che andavano dal Battista, temette che Giovanni potesse
condurre il popolo alla sommossa..>(R.Bultmann-Gesù-pp120)
L'incontro con Gesù, la Sua immersione-battesimo da parte di Giovanni, non causerà alcun cambiamento nell'opera
di Giovanni: egli infatti continuerà con la “sua” predicazione ed invito alla “conversione-cambiamento di
mentalità”, quella stessa che Gesù dopo di lui predicherà, senza rimandare o invitare a seguire Gesù come avrebbe
ben potuto fare se fosse stato il suo “annunciatore”.
Sulla bella ed illuminata figura di Giovanni Battista, figura che certamente fu storicamente autonoma rispetto a
Gesù, oggi poi, grazie alla riscoperta della purtroppo ormai ristretta popolazione dei religiosi Mandei possiamo
vedere qualcosa in più rispetto alle non certo imparziali parole dei Vangeli.
Dai Mandei infatti Giovanni B. è considerato il loro illuminato profeta, <..l'inviato del Re della Luce..> e, grazie ai
loro pur tardi testi ed ai loro riti e credenze possiamo verosimilmente meglio penetrare questa figura cui essi da
sempre si rifanno.
Di questo ormai ristretto gruppo, i Mandei, abitanti nel basso Iran, è ormai quasi unanimemente accettata l' ipotesi,
da essi peraltro sostenuta, di una loro origine Giudaica: nel corso del I e II secolo, con ogni probabilità in seguito a
persecuzioni, essi si sono progressivamente spostati da quella regione per portarsi ai luoghi oggi abitati.
Con l'aiuto di quanto dice Kurt Rudolph in “Gnosticismo e Manicheismo”, sottolineerò alcune cose su questo
interessante gruppo religioso.
Essi non posseggono alcun “testo rivelato” e si sentono membri di una iniziale e “primigenia religione” data, e
derivante, dallo stesso “Mondo della Luce”: dal “divino” anche detto “Vita”.
Per essi la morte fisica è <.il giorno della liberazione..> dell'anima dal corpo, e l'anima inizia un difficile cammino
prima di “penetrare nel Regno della Luce”, alla sua patria d'origine:
< La Vita ha protetto la Vita, la Vita ha ritrovato quel che è suo >
recitano i loro testi in riferimento al momento del trapasso.
Il felice ritorno dell'anima alla sua origine è la “redenzione” cui tutto l'insegnamento o rivelazione da essi insegnata
mira.
La “immersione-battesimo” è per essi il fulcro degli aspetti rituali della loro religione, essa è praticata spesso
giornalmente ed individualmente dai fedeli ma sempre poi ogni domenica con un rito che prevede la presenza del
sacerdote e che contempla :
- la triplice immersione completa in acque che sono delle “acque Viventi” ;
- la ingestione di tre sorsi d'acqua ;
- la incoronazione e unzione ed infine il pasto di pane e acqua.
Tutto, almeno ai miei occhi, molto simile od uguale a tanto altro visto nel mondo antico e con alcuni particolari che
ritengo siano da sottolineare:
- in primo luogo è da notare che le acque della “immersione-battesimo” sono chiamate “Acque di Vita o Viventi” e
quindi considerate immagine di un Assoluto-Vita al cui “ritorno” pertanto quel gesto di immersione-battesimo invita
ed induce.
- un altro aspetto è quello che essendo compiuta infinite volte ed anche dal diretto interessato senza ausili, questa
immersione perde ogni aspetto “sacramentale”; anche quando vede la presenza del sacerdote è quindi solo rito
rafforzato ma non “sacramento” quale invece esso sarà portato da una Cristianità che così arroga e riserva “a sé”
esclusivamente la facoltà e possibilità di “concedere” un “gesto-umano” che per essa ha divina efficacia.
Per indicare poi ciò che si auspica con il gesto di “immersione”, i Mandei parlano di < comunanza, con il mondo
della Luce o con la Vita >, una “comunanza” che vede il porsi e nascere implicito di questi altri aspetti da essi
sottolineati:
la < “conferma nella credenza”, la “attitudine a vincere o equità” > e la < “guarigione da colpe e peccati” >.
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nona parte
Se questo al fondo era la “immersione-battesimo” di Giovanni Battista, essa è ben altro rispetto allo svilito
“battesimo di acqua” che esce dai Vangeli: è una cerimonia che chiede e sollecita uno “spiritualissimo”
coinvolgimento del partecipante, cerimonia che non fa che confermare le qui suggerite ipotesi sulle origini di quel
rito. Nel merito le parole di Giovanni Battista che ci riportano i sinottici, parole di grande profondità, sono queste:
< ...Io vi immergo in acqua, per la “conversione”,
ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non sono degno neanche di portargli i sandali;
egli vi immergerà in Spirito Santo e Fuoco. Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il grano
nel granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile >(Mt 3.11)
Anche qui solo una lettura con occhi “condizionati” farà vedere nella “figura” evocata da Giovanni con quel suo
<..chi viene dopo di me..>, la -persona- di Gesù !.
Come vedere un Gesù che ha sempre detto “io non giudico” nella figura invece “giudicante” di cui dice Giovanni? :
colui o ciò che Giovanni evoca, infatti, solo dopo avere “giudicato” può o “immergere” in “Spirito-Ruah Santa”
che dona eternità o portare al “Fuoco eterno” della morte !.
Certamente Giovanni Battista così diceva della giudaica figura di “Messia” ma nulla ci dice che di Gesù egli
parlasse, come ci dicono le parole sopra viste di Mt 11.3 ma anche la sua vita: come spiegare il suo completo
distacco dalla vita partecipata di Gesù se avesse pensato che egli fosse l'atteso Messia?
Quelle parole di Giovanni, invece, ricordano quelle che Gesù pronuncia sul “giudizio-scelta-ultimo” per l'uomo:
momento in cui un < Re > Assoluto-Legge-Jhwh porterà al suo definivo approdo l'umanità : il giusto alla Vita
Eterna che dona la Ruah-Spirito Santa e l'errore al Fuoco della dispersione.
Giovanni con quelle sue parole parla quindi piuttosto di un tale momento ultimo per l'umanità, momento che egli
sembra accreditare al Messia che deve venire degli insegnamenti giudaici ma su Gesù-Messia, come visto, egli è
rimasto dubbioso fino alla fine.
Infine un'altra annotazione sulle citate parole di Giovanni : esse dicono anche di una sua “vicinanza” alla tradizione
Enochica, la sola che, con la eccezione di Abdia, ci dà la stessa immagine di punizione, la “pula/paglia che brucia” :
< come paglia nel fuoco, così essi bruceranno al cospetto dei santi..>(Enoch Et.XLVIII 9)
Tornando ai Mandei, deve essere ricordato infine che la loro tradizione ed alcuni loro testi dicono di una sorta di
“pericolosità” e di “negatività” del Cristianesimo.
I loro racconti e ricordi inoltre parlano poi dell'intervento, a Gerusalemme ai tempi di Gesù, di una delle loro
massime figure messianiche, Anos, forse ravvisabile nell'Enoch biblico, citato a volte anche come Manda d'Hayè,
figura questa “archetipale” vista a volte incarnata nello stesso Giovanni Battista.
Quell'intervenuto invio o discesa aveva lo scopo e la finalità di “combattere” un “falso Messia”.
Non molto di più si sa su questi strani ed un po' confusi ricordi-affermazioni, e non si ha certezza che di precise
figure fisiche parlino quegli enunciati: verosimilmente infatti il “falso Messia” non è altri che quella “iniquità-uomo
iniquo” non certo legato ad alcuna “singola persona” di cui tanto è detto nelle Scritture e da Gesù: iniquità che è
“forza” che con evidenza in quel momento storico da essi è vista divenire dominante.
È da notare per finire che la cultura religiosa Mandea è, al fondo e nonostante alcune apparenti similitudini, agli
antipodi rispetto al Cristianesimo Paolino mentre è molto vicina, se non uguale, al Gesù “diverso” che in questi
approfondimenti unicamente è emerso.
DA ANTIOCHIA A ROMA
ANTIOCHIA, TEODORO DI MOPSUESTIA E L' ARIANESIMO
Sin dai primissimi tempi all'interno della strutturanda Cristianità, abbiamo già sottolineato, si sono
fondamentalmente contrapposte, pur con tante diverse sfumature nel tempo nate, due letture e comprensioni della
figura e degli insegnamenti di Gesù. Straordinarie tracce, datate al III sec., della "filosofica" lettura e comprensione
del messaggio di Gesù fatta internamente alla Cristianità, in Italia le troviamo ad Aquileia. Tracce antichissime cui si
sommano, come vedremo meglio più avanti, quelle dei secoli X-XIII sparse in moltissime Chiese cristiane e non
solo, tracce sempre molto nascoste a causa delle feroci repressioni messe in atto da parte di Roma.
Ireneo di Lione, padre della Chiesa vissuto tra il 130 ed il 202, così, ricordo, ci parla di quelle due letture e visioni:
< Ci sono due fonti di tradizione...ma solo una deriva da Dio, quella che la Chiesa riceve tramite...gli apostoli,
specialmente Pietro...l'altra viene da Satana e risale al maestro gnostico Simon Mago...il padre di tutte le eresie >.
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nona parte
La precisazione che una delle due risalisse a Simon Mago è, come visto, inesatta: Simon Mago si affiancherà certo
agli insegnamenti sul Gesù “diverso” che molti altri, tra cui alcuni “SuperApostoli”, facevano, ma non da lui
“nasce” questa “altra fonte” di tradizione. Giacomo, il Giuda della lettera Neotestamentaria [Giuda (N) d'ora in poi],
Giuda Didimo Tommaso e i discepoli “Ellenisti” con a capo Stefano erano certamente tra questi ultimi come anche
lo sarà, più tardi, il redattore del vangelo di Giovanni. Ma lo saranno anche come abbiamo visto gli Ebioniti ed i
Nazarei e più tardi molti altri, compresi Valentino e Origene.
Tutti costoro, compresa -vedremo perché- quella comunità di Gerusalemme “casa madre” della prima Cristianità in
cui era Giacomo e forse Giuda (N) ed altri, ritenevano che “Gesù fosse un uomo come tutti” il quale, nel corso della
vita, si era portato alla filosofica condizione di “Figlio di Dio-Messia-Discendenza di Davide-Unto/Cristo”.
Questa tesi e Verità, che è una delle due “fonti di tradizione” citate da Ireneo, fu a lungo sostenuta -internamentealla Chiesa Cristiana in modo ufficiale e dichiaratamente “ortodosso” ovvero “conforme a primi ed originali
insegnamenti”. Fu in particolare in Oriente che essa si radicò e si sviluppò poi e, come detto, il grande centro di
Antiochia fu il fulcro di studio e di propagazione, con una importante scuola Teologica, di tale visione e lettura della
figura di Gesù. Una visione che vide i suoi albori anche nella allora capitale mondiale della filosofia, Alessandria, in
continuità qui con gli studi legati al giudaismo già avviati da Filone A. e non solo, oltre che in Gerusalemme e nel
suo monachesimo del deserto in particolare.
Era tesi e comprensione che, se pur con molte sfumature nel tempo nate anche, se pur non solo, dal desiderio di
conciliazione e unità del movimento, sarà viva e presente almeno fino al 553 dC .
In quella data il Concilio Costantinopolitano II, dall'imperatore Giustiniano opportunamente preparato con la
deposizione dei vescovi dissidenti, “recepì un editto dello stesso imperatore” di alcuni anni prima e, dentro alla
cosiddetta “Condanna dei Tre Capitoli”, così decretò sancendo la definitiva vera fine, sostanziale, di quella
comprensione e lettura della figura di Gesù , la “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica” della Cristianità :
< Se qualcuno difende l'empio Teodoro di Mopsuestia, il quale dice essere
altro il Verbo di Dio ed altro il Cristo ( Gesù ndr ), sottoposto alle passioni dell'anima e ai desideri della carne,
che si è liberato a poco a poco dai sentimenti inferiori, è migliorato col progresso delle opere,
ed è divenuto perfetto nella vita;
che è stato battezzato come semplice uomo,....e attraverso il battesimo, ha ricevuto la grazia dello Spirito Santo ed è
stato stimato degno dell'adozione di Figlio, e che, a somiglianza di una immagine dell'imperatore, viene adorato
nella persona del Verbo di Dio,
e dopo la risurrezione è divenuto immutabile nei suoi pensieri e del tutto impeccabile...
Teodoro ha anche detto che l'unione del Verbo di Dio con il Cristo (Gesù) è tale, quale l'apostolo
afferma per l'uomo e per la donna: Saranno i due in una sola carne....(e che)
dopo la resurrezione il Signore quando soffiò sui discepoli dicendo:
“Ricevete lo Spirito Santo”, non diede ad essi lo Spirito Santo, ma soffiò solo simbolicamente..
lo stesso Teodoro..(che) ha paragonato il Cristo a Platone, a Mani, ad Epicuro a Marcione...
- sia anatema ! - >
Gli “anatemi-maledizioni” nella storia della Chiesa non si contano e ad ognuno di essi facilmente seguivano
sequestri, esili, roghi e quant'altro !. Sappiamo bene, citando due tra le migliaia di casi, quale sorte toccò a Michele
Serveto (1553) che contestava il concetto di Trinità ed affermava che: < la natura dell'umanità...è di qualità tale
che Dio può conferirle divinità > , e quale -stessa- sorte toccò a Giordano Bruno (1600) che anch'egli proprio
“quella” stessa Verità al fondo dichiarava sostenendo che: “ la luce divina prende possesso dell'anima, la eleva e la
trasforma in Dio”.
Ma oltre agli “anatemi” e ciò che ad essi seguiva, anche le non certo “spirituali” -decisioni imperiali- ratificate come
sopra visto con solerzia dalla Chiesa Cristiana, sono state molte ed altrettanto deleterie: esse servivano le necessità
dell'impero o di singoli gruppi ed individui e non erano certo portatrici di Verità teologica.
In quello stesso concilio con Teodoro di Mopsuestia ed altri anche Origene e le sue dottrine, assimilate per temi ai
condannati “Tre Capitoli”, vennero, vedremo, bandite e condannate.
Teodoro di Mopsuestia (350-428 dC) è vissuto, all'interno della Cristianità e con posizioni che come già sottolineato
sono sempre state ritenute “ortodosse” ovvero “corrette, legittime e degli inizi”, etimologicamente “strade diritte”,
molto prima, 130 anni circa, di quella sentenza e condanna che lo riguardava : con terminologia ecclesiastica, egli è
“morto in pace con la Chiesa”, una “pace” che però in quel concilio fu rigettata in modo definitivo.
Arcivescovo, Teodoro ha insegnato ad Antiochia che allora era uno dei quattro influenti “patriarcati” cristiani
assieme a Costantinopoli, Alessandria e Roma, ed è stato un importante e come tale riconosciuto teologo.
Oltre a ritenere Gesù uomo normalissimo che < poco a poco > si è portato alla condizione di “immortalità-divinità”,
egli ha combattuto energicamente l'idea di un peccato originale trasmesso per eredità da Adamo.
Peter Kawerau nel suo “Il cristianesimo d'Oriente” ci sottolinea come questa dottrina sia da Teodoro ritenuta un
nuovo dogma “eretico”: Gesù non avendo mai parlato di peccato originale. Conseguentemente, continua Kawerau,
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nona parte
< ..la morte, insegna Teodoro, non è una punizione per il peccato ma una cosa assolutamente naturale ..>.
Questa scuola e tradizione, per la natura stessa della sua visione ed insegnamento fu sempre piuttosto lontana dalla
Chiesa organizzata e di potere nata con Paolo, Chiesa organizzata che sempre sarà nel tempo più vicina alla sua, di
Paolo, lettura e comprensione di Gesù. Vuole ricordato infatti che chi era legato alla “fonte filosofica giudaicoenochico-ellenica”, “fonte-insegnamento” che era già dei GrandiApostoli che Paolo combatterà, chi insegnava il
Gesù “diverso” sin qui visto, un Gesù “enochico-apocalittico” difficile da trasmettere e capire, era certo portato ad
insegnare a chi poteva capire piuttosto che a svolgere una opera missionaria troppo generica se non pericolosa.
Quegli insegnamenti sono stati dominanti nella Scuola Teologica di Antiochia anche se qualche periodo alterno e di
discussione pure in quella sede vi sono stati, e sono posizioni che hanno visto a lungo Costantinopoli ad essa
allineata ma contrastate entrambe da Alessandria e Roma che, sintetizzando e saltando le varie sfumature ed accenti
di questa fondante contesa, con la lettura paolina ritenevano Gesù unico “Figlio”, unico “Cristo” e unico “LogosSignore”, <..della stessa sostanza del Padre, generato e non creato..> e quindi -Dio incarnato-.
Le posizioni teologiche antiochene ovvero, meglio, della “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”, erano
posizioni che come visto e detto venivano da una lunga tradizione teologica che, si deve dire, risaliva agli Apostoli :
dopo questi e prima di Teodoro di Mopsuestia, seguendo Franz Courth nel suo “Il mistero della Trinità” possiamo
dire che principalmente troviamo:
--- Paolo di Samosata (200-275), che è stato vescovo di Antiochia carica dalla quale fu deposto da un sinodo
tenuto ad Antiochia nel 268 ; per quanto ce ne dice Eusebio di Cesarea e secondo quanto riportato da F. Carcione nel
suo “Le Eresie”, insegnava che Gesù : <..(era) un uomo come tutti gli altri ..>(Hist.Eccl. VII,27) < ..(Paolo di
Samosata).. si rifiuta di confessare con noi che il Figlio di Dio è venuto dal Cielo...dice che Gesù Cristo è nato dal
basso..>(Hist.Eccl. VII,30) e ancora, Paolo di Samosata, diceva che : < Maria non partorì il Verbo-Logos...ciò che
ella diede alla luce fu un uomo uguale a noi...> (Atti del sinodo del 268 : Fragmenta Syriaca, 26)
--- Teodoto di Bisanzio circa nel 180 dC, secondo quanto ci riporta Ippolito, insegnava che: < Gesù sarebbe un
uomo, nato dalla Vergine per volontà del Padre, avrebbe vissuto come tutti gli altri uomini e sarebbe stato
eccezionalmente pio; più tardi, durante il battesimo nel Giordano, Cristo sarebbe disceso su di lui nella forma di
una colomba...(ed è) diventato Dio con l'effusione dello Spirito..> (Reft.VII,35,2). Teodoto, detto il pellaio o
cuoiaio, intorno al 190 era a Roma e qui insegnava questa stessa dottrina. Ci dice in proposito M. Simonetti (La
teologia degli antichi cristiani, p.70) : < da Eusebio apprendiamo che Vittore di Roma, vescovo-papa dal 189 al
199, condannò la sua dottrina che però venne continuata da Artemone. I suoi sodali sostenevano che questa
dottrina era insegnata già dagli apostoli...>(Elenchos 5,28,3)
--- Cerinto, che per Ireneo di Lione è stato contemporaneo del Giovanni cui è attribuito il IV vangelo (100 dC),
< sosteneva le stesse cose, aggiungendo che la colomba, Cristo superiore,
abbandonò Gesù prima della crocifissione >.
Di Cerinto, contestato da Gaio (a cavallo tra II e III sec.) che come detto lo riteneva il vero autore del Vangelo e
della Apocalisse di Giovanni che egli quindi rifiutava, vuol notato che Dionigio bar Salini (morto nel 1171), citando
Ippolito, ci dice che egli considerava traditore Paolo e i suoi discepoli. Lo stesso dice anche Epifanio (Panarion
28.5.3).
A Teodoro di Mopsuestia seguì Nestorio (381-451) e, con lui, Teodoreto di Cirro (393-458) e Ibas (+457)
arcivescovo di Edessa il quale dichiarava:
“Io non invidio Cristo che è divenuto Dio, e fu chiamato Dio, perché era un uomo come me e della mia stessa
natura” ( Silvia Acerbi in “Conflitti politico-ecclesiatici in oriente...”, Revista de ciencias de las religiones )
A questo sommario elenco sono poi certamente da aggiungere, come già detto, Fotino vescovo di Sirmio (300-376),
che anch’egli secondo le fonti che abbiamo “considerava Gesù un uomo come tutti”, ma anche, ben prima di lui, i
più noti e con importanti seguiti Valentino (125-165) e Origene (185-254) dei quali diremo più oltre con anche uno
specifico approfondimento per il secondo.
Gli insegnamenti che Fotino portava avanti furono condannati nel Concilio di Sirmio del 351 nel quale, come riporta
M.Simonetti nel suo “Studi sull’arianesimo”, all’anatemismo n.9 si dichiarava:
<..Se uno afferma solo uomo il nato da Maria, sia anatema..>.
Sostanzialmente su queste stesse posizioni, pur con differenze che non infrequentemente nella lunga diatriba su
questi temi erano ingenerate da verbali confusioni ed incomprensioni, dopo Paolo di Samosata e prima di Teodoro di
Mopsuestia e del suo più noto discepolo Nestorio, era poi anche il grande e profondo movimento “cristiano”
dell'Arianesimo nato con Ario (256-336), un presbitero che studiò ad Antiochia alla scuola di Luciano (235-312).
E' in questo periodo che la convivenza tra le due visioni della figura di Gesù, inconciliabili e che nel frattempo
vedevano molte sfumature e variazioni, sfociano in un duro conflitto ed in una vera e propria lotta che, nel tempo,
non risparmierà colpi soprattutto ed in particolare da parte di quella che risulterà la parte vincente.
È stato ai tempi di questo movimento infatti che la questione della “natura di Gesù” e del Figlio di Dio furono poste
alla decisione del primo concilio, il Nicea I del 325 -voluto, indetto e diretto- dall'imperatore Costantino, concilio
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nel quale venne da questi imposto, più che definito, quel “Credo Niceno” che ancora oggi è alla base, con alcune
non secondarie aggiunte fatte nel concilio Costantinopolitano I nel 381, del credo Cristiano.
E continuerà, con un nuovo inizio, la lunga serie di condanne reciproche e di anatemi, esili, repressioni fisiche e non
solo.
L'Arianesimo, condannato in quel concilio, ebbe naturalmente strascichi e quelle posizioni e convinzioni non
scomparvero da subito : ripensamenti e capovolgimenti si vedranno anche da parte di Costanzo, figlio di Costantino
e imperatore che, di rigida fede Ariana, nel 359 fece deporre il romano vescovo-papa, Liberio, per sostituirlo con
uno di fede Ariana.
Ma poi dopo 30-40 anni dalla morte dei principali sostenitori e propagatori del movimento Ariano, Ario morto nel
336 ed Eusebio di Nicomedia morto nel 341, tutto, almeno ufficialmente, sembrerà molto sopito anche se la scuola
teologica di Antiochia, alla quale la visione Ariana se pur non strettamente ed appiattitamente si legava, restava viva
e vivace continuando la sua influenza sui territori Orientali.
Ho detto che l'Arianesimo nasceva sostanzialmente dalle posizioni e visioni della “fonte filosofica-giudaicoenochico-ellenica”. Delle possibili e quasi certamente specifiche sfumature di questa voce -cristiana- che è stato
l'Arianesimo, non possiamo avere certezze assolute visto che quasi tutti gli scritti autentici dei suoi “esegeti e
teologi” sono stati distrutti e quindi soprattutto oggi disponiamo delle non molte righe riportateci dai loro avversari.
Riporto, tratte dal testo “Alessandro e Ario - Un esempio di conflitto tra fede e ideologia - Jaca BooK”, poche righe
di Atanasio di Alessandria (295-373) vescovo di Alessandria che accennano, dimostrando però anche la sua scarsa
comprensione dei temi, ciò che era sostenuto dagli Ariani:
<..Dio.. conoscendo in precedenza che (Gesù Cristo) sarebbe stato buono,
gli ha dato in anticipo questa gloria, che ebbe come uomo e in conseguenza della sua virtù...>
(Atanasio, Contro gli Ariani I,5:pg 26,21C; Bardy, pp225,226)
< Molte sono le potenze. L'una è propria di Dio per natura ed eterna. Cristo però non è la vera potenza di Dio,
ma anch'egli è una di quelle che sono denominate potenze, una delle quali sono anche la locusta e il bruco;
egli non è chiamato soltanto potenza ma anche Grande (potenza). Tuttavia le altre sono molte e simili al Figlio..>
(Atanasio, Contro gli Ariani I,5:pg 26,218C; Lettera ai vescovi dell'Egitto e della Libia 12.p25,565; Bardy, p225)
Si intravvede qui, pur nella confusa polemica, la visione di un Assoluto “cosmico” e di “potenze” cui si affianca la
visione di un Gesù che, nella condizione di Unto-Cristo alla quale da -uomo come tutti- Egli ha saputo portarsi, è
considerato una di tali “potenze”. Questa visione come detto sarà condannata a Nicea nel 325 ma con una
dichiarazione di fede, il “Simbolo e Credo Niceno”, che, “verbalmente non chiaro e risolutivo”, lasciò aperte
interpretazioni diverse mantenendo quindi intatte le discussioni teologiche e le sotterranee lotte che,
sostanzialmente, si rifacevano alle citate “due fonti di tradizioni”.
Sempre Atanasio, in una sua lettera del 336 di cui troviamo tracce in Enchiridion Symbolorum di H.Denzinger,
lettera in cui egli informava di quanto, in merito ad Ario, era occorso nel Concilio di Nicea, scriveva:
< Anzitutto venne presa in esame, in presenza del piissimo imperatore Costantino, l'empietà e la pervasività
di Ario e dei suoi seguaci. All'unanimità abbiamo deciso di condannare la sua empia dottrina e le espressioni
blasfeme con cui si esprimeva a proposito del Figlio di Dio: sosteneva infatti che questi
…. prima della nascita non esisteva, che era capace di bene e di male,
insomma che il Figlio di Dio è una creatura. Il sommo concilio ha condannato tutto ciò, non volendo nemmeno
ascoltare questa empia e folle dottrina, né le parole blasfeme. >
L'Arianesimo ebbe particolare presa tra le popolazioni germaniche, Goti, Vandali e Longobardi, che con evidenza
trovavano qui affinità con il loro storico sentire religioso ed a questa influenza ed espansione in area danubiana, cui
si affiancarono i vasti territori italici da quei popoli conquistati e governati, certamente ha contribuito Fotino di
Sirmio (300-376), vescovo cristiano più influente in queste aree nord occidentali che, come Paolo di Samosata farà
invece in quelle sud orientali, sosteneva la piena umanità di Gesù. Queste stesse posizioni, quelle che sostenevano
la piena natura umana di un Gesù comunque dichiarato e venerato quale “divino” cioè portatosi a condizione divina,
si vedranno poi con Acacio (+489) patriarca di Costantinopoli il quale, dato il contrasto con la dottrina romanopaolina, diede vita al primo scisma d’oriente, lo “scisma acaciano” del 484.
Tornando all’Arianesimo, che primariamente vede quale "Salvatore" la figura dell'Arcangelo Michele, esso con le
varie invasioni dei su citati popoli nordici si diffuse largamente sul territorio italiano e qui rimase vivo fino al VII
secolo. Sono ancora oggi grande testimonianza di quel credo e di quella teologia le grandi Chiese, Cattedrali e
Monasteri europei, questi ultimi in larga parte Benedettini, dedicati a San Michele Arcangelo.
IL CREDO NICENO E LA SUA DUPLICE LETTURA
Il “credo-simbolo” di Nicea è stato sempre, nelle lotte della “Questione Cristologica” che si sono mantenute anche
successivamente alla sua decretazione, la “formula” cui si farà appello e ritorno non potendo trovare altro accordo,
un credo cui sempre si ritornerà ma con “conferme” che ne vedranno sempre una lettura lontana ed opposta da parte
di contendenti che avevano posizioni sempre riferibili e riportabili alle citate “due fonti di tradizione” :
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nona parte
“ ognuna delle parti confermava il Credo per quello che era la sua interpretazione”.
Vale quindi la pena di vedere da vicino questa “formula credo” che scontentò tutti e, per quanto possibile, dire di
quel Concilio del 325 in cui essa nacque.
Del Concilio bisogna sapere che esso, primo Concilio “universale” giacché prima vi sono state solo riunioni limitate
ai vescovi dei singoli Patriarcati, è stato “voluto, indetto, finanziato, diretto e mediato” dall'imperatore Costantino:
<..con-servo..> dei partecipanti egli si dichiarerà, cioè “servo di Dio” come i vescovi intervenuti.
Costantino dai maggiori storici è giustamente visto e dichiarato un imperatore “laico” il cui primo impegno e scopo
era la “pace” dei suoi sudditi: egli fece terminare le persecuzioni contro i cristiani e rese libera quella fede al pari
delle altre tutte e tutte avevano giuridicamente pari dignità.
Ed è con lo spirito e la volontà di porre “pace” anche nelle dispute tra i cristiani, e non certo per dare “sentenze
teologiche”, che egli indisse e partecipò come detto a quel concilio e vigilò su quanto ne seguì: i pochi coraggiosi
vescovi che in modo aperto furono critici o non condivisero quel documento furono da lui esiliati ed emarginati.
La tensione e preoccupazione totale di Costantino per la “pace” dei suoi sudditi è ben testimoniata in questo “editto”
che egli emanò riferito agli eparchi d'Oriente:
< Io desidero che il tuo popolo viva in pace e rimanga nella tranquillità
per il bene comune di tutto l'impero e di tutti gli uomini >
Eusebio di Cesarea, Padre della Chiesa suo grande amico, ammiratore, sostenitore e con ogni probabilità anche
consigliere, nel suo “Vita di Costantino” ci dice del suo volere e preoccupazione a che:
< nessuno procuri molestia all'altro; ognuno abbia ciò che il suo cuore desidera e di questo
faccia l'uso che crede ...godiamo ...e partecipiamo tutti insieme al beneficio che ci è stato concesso, al bene della
pace cioè manteniamo la nostra coscienza lontana da tutto quello che alla pace si oppone....nondimeno la fede di
cui ognuno è profondamente persuaso non offra il pretesto per recare offesa agli altri..>
Personalmente non posso non ammirare queste “laiche” e piuttosto illuminate parole. Costantino ai padri conciliari
si rivolgerà dicendo: <..ognuno di voi conceda perdono all'altro da pari a pari e accolga i consigli che con senso
di giustizia vi darà il vostro conservo Costantino .. >
Ma questi suoi “consigli di giustizia” bisogna sapere che non erano discutibili, egli era autorità massima, -supremo
regolatore di tutte le religioni lecite dell'impero- e duro repressore di ogni forma di dissenso rispetto alla sua -quasi
divina-, per Eusebio, autorità.
Con queste premesse vediamo ora quel “Credo Niceno” che anche Eusebio sottoscrisse ma che -da subito- lesse ed
interpretò in modo lontano ed antitetico rispetto a quella “scuola Alessandrina”, maggiore sostenitrice della “fonte
farisaica paolino-petrina ” ed a cui apparteneva il vescovo Atanasio di Alessandria, che aveva partecipato al
Concilio e vescovo che egli, Eusebio, a seguito di questo contrasto, fece deporre.
Da subito i malumori e la messa in discussione di quel risultato e compromesso furono forti, scriveva Atanasio :
<..(gli Eusebiani) non fanno altro che parlare male di quel concilio..> (Atanasio, Il credo di Nicea)
Mentre Eusebio, in una lettera ai fedeli della sua diocesi in cui giustificava la sottoscrizione di quel Credo, scriveva:
<..che cosa (gli Alessandrini) intendessero dire con le espressioni “dalla sostanza del Padre” e “consustanziale
(Homooùsiios) al Padre”, non glielo lasciammo passare senza averlo
sottoposto a esame...essi furono d'accordo nello spiegare che “dalla sostanza” significa che (il Figlio) è “dal
Padre”...ma non è una parte della sua sostanza. Perciò..non ricusammo il termine “consustanziale”, avendo
davanti agli occhi il fine di mantenere la pace...>
(lettera di Eusebio.., in Atanasio, Il credo Niceno, Città Nuova ed.)
Dice la “formula Nicena”:
< Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre (Dio da Dio) Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero, generato, non creato, consustanziale al Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state
create . Per noi uomini e per la nostra salvezza discese si è incarnato e si è fatto uomo,
mori, il terzo giorno è risuscitato, è salito al cielo, verrà per giudicare i vivi e i morti.
Credo nello Spirito (Pneuma-Soffio ndr) Santo.
Difficile capire come tale “formula” potesse essere letta ed accettata da parte di chi era erede di quella “ fonte
filosofica giudaico-enochico-ellenica” di cui in queste pagine abbiamo detto: poco spazio vi è e con non poco sforzo
in essa si può vedere il Gesù “uomo” che -si è portato ad essere-, nella sua condizione di Gesù Cristo-Unto, l’unico
ma universale e archetipale Signore-Figlio di Dio, e poco spazio in essa resta per vedervi una “salvezza” che è la
strada a tutti indicata dall’uomo Gesù portatosi ad essere Unto-Cristo: la “salvezza” quale conoscenza del divino,
quale Sapienza, che porta l’uomo ad essere “Figlio”.
Si deve certo ricordare che quella “formula” è stata una costantiniana -imposta- mediazione ma è evidente che in
quel concilio i sostenitori della originaria “fonte filosofica” rinunciarono alla -chiara- dichiarazione che quel
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nona parte
processo ed evento da Gesù compiuto era a tutti disponibile ed auspicabile, Verità questa che però il -Vescovo
Cristiano- Teodoro di Mopsuestia professava chiaramente ancora circa 80 anni dopo quel concilio.
Ma anche per coloro che sostenevano la “fonte farisaica paolino-petrina”, visione e comprensione che a quei tempi
era evidentemente ormai pienamente maggioritaria, le rinunce furono importanti: in quel credo non vi è alcun
accenno sia alla “resurrezione finale dei morti” che alla “incarnazione nel seno della vergine” ed al “battesimo per
il perdono dei peccati”. Sarà con le intervenute precisazioni in merito a tali punti, oggi “dogmi di fede” aggiunti alla
formula nicena con le modifiche a quel Credo apportate nel Concilio Costantinopolitano I del 381, che nessuno
spazio resterà più per quella possibile, seppur difficile, lettura “filosofica” sopra accennata.
Quella di Nicea quindi è stata formula “verbalmente compromissoria”, insoddisfacente per tutti ma che
nell’immediato permetterà a tutti, anche se forzosamente data la imposizione imperiale, di sottoscriverla ciascuno
però intendendo leggerla secondo la propria “visione” ovvero secondo una delle “due fonti di tradizione” cui si era,
se pur variamente, legato. Certamente per entrambe le fazioni il compromesso fu deludente e le critiche e i
malumori si svilupparono quasi immediatamente dopo il concilio ma furono da Costantino messe al silenzio,
rapidamente e con durezza, con allontanamenti ed esili.
Ciononostante, morto Costantino nel 337, la Questione Cristologica e la formulazione del “Credo Cristiano”
tornarono ad essere disputate e contese in molti Concili prima della conferma ultima della “formula NicenoCostantinopolitana del 381”. Come ci informa il Prof. Claudio Pierantoni in un suo articolo postato sul web dal
titolo “La crisi Ariana e la controversia…”, prima saranno infatti approvate varie altre e diverse “formule”:
dapprima con il Concilio di Antiochia del 341 si concordò il Credo detto “della Dedicazione”, poi nel 343 il
Concilio di Serdica, che non vide accordi fra le due fazioni, finì col produrre “due diverse formule di fede”. Di
nuovo si avranno altre “formule di Credo” nei Concili di Sirmio del 341 e poi del 357, ed ancora nel Concilio di
parte Occidentale di Rimini del 359 che con interventi da parte dell’imperatore Costanzo sottoscrisse il cosiddetto
“Credo Datato”, citato anche come “Quarta formula di Sirmio”. Formula questa di Rimini che poi, da parte dello
stesso imperatore, fu fatta forzatamente sottoscrivere nel parallelo Concilio di parte Orientale di Seleucia. La stessa
“formula”, ma di nuovo con importanti correzioni, fu poi da Costanzo fatta approvare nel Concilio da lui indetto a
Costantinopoli nel 360 e quindi si giungerà con le ultime modifiche del 381, alla formula attuale.
Tornando alle piuttosto chiare posizioni teologiche, in merito alla figura di Gesù, di Teodoro di Mopsuestia sopra
riportate per le parole del Concilio Costantinopolitano II, posizioni che erano tutte anche dei suoi citati predecessori,
con il suo allievo Nestorio (351-451), che nel 428 dall'imperatore Teodosio II fu nominato Patriarca di
Costantinopoli, esse nella sostanza “cambiarono”: con l'intento di una conciliazione con Alessandria e Roma, che
rifiutavano di accettare l “autonoma natura umana” di Gesù, conciliazione che è stata un cedimento ulteriore
rispetto ad una già compromissoria formula del 325 aveva praticamente portato promuovere la visione della “unicità
in Gesù” di un passaggio a “Figlio” che invece era “universale” e a tutti disponibile e necessario, Nestorio cercò di
fermare la questione a questo assunto:
<.. colui che è nato da Maria era consustanziale a noi per la natura umana ma, congiunto a Dio, era ben lontano
dalla nostra sostanza..>.
Ma con questa posizione egli certificava la negazione della possibilità e necessità per l’uomo di seguire l'esempio ed
esperienza di Gesù e consolidava ulteriormente l'errore e cedimento già compiuto : così impediva di vedere che gli
“uomini tutti”, come Gesù, potevano “liberarsi a poco a poco dai sentimenti inferiori, e migliorare col progresso
delle opere per divenire perfetti nella vita” per così portarsi alla Sua stessa condizione : essere Figli di Dio.
Anche la posizione di Nestorio diveniva così lontanissima da quella “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”
che ancora in Paolo di Samosata, come pure nel suo maestro Teodoro di Mopsuestia, restava integra.
Fatta questa sua grave concessione e negazione, o incomprensione, la discussione si infiammò e si avviluppò poi in
modo insolubile intorno al termine con cui definire la natura di Maria: il “Theotokos=Madre di Dio” del quale si
faceva ormai molto uso, era fermamente rifiutato e condannato da Nestorio ma sostenuto e voluto da Cirillo
patriarca di Alessandria. Fu “Christotokos=Madre di Cristo” la definizione che Nestorio era arrivato ad accettare.
Ma anche qui per Nestorio Maria, non più “madre-generatrice dell'uomo Gesù” come fu per i suoi insegnanti, viene
proposta quale “madre di Cristo” ovvero “madre di un uomo Gesù cui, poteva essere inteso e visto, era già
pienamente manifesto alla coscienza il Logos divino- .
Nestorio così aveva portato le posizioni del suo maestro Teodoro di Mopsuestia e degli altri suoi predecessori ad un
compromesso tale che gli sarà fatale: produrrà un avvicinamento alle posizioni opposte che nella sostanza
stravolgerà quella “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica di tradizione” che invece in modo chiaro e pulito
diceva, come abbiamo visto è riportato, che Gesù :
<.. fu ..battezzato come semplice uomo,....e attraverso il battesimo ha ricevuto la grazia dello Spirito Santo ed è
stato stimato degno dell'adozione di Figlio >
Una posizione teologica compromissoria ed ambigua come quella di Nestorio non poteva che perdere la propria
forza ma certo non solo questo ha contato in quella disputa: i tentativi di mediazione infatti porteranno a sottigliezze
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e complessità teologico verbali che frequentemente non permettevano agli stessi contendenti di comprendere a pieno
le posizioni della parte avversa. Era frequentissimo, anche per questo, vedere le posizioni dei vescovi cambiare
completamente campo nei vari sinodi e concili che si terranno, e a questa realtà si sommavano sempre, vuole
ricordato, gli interessi dell'impero e dei suoi vari faccendieri ma anche di ecclesiastici personalmente interessati:
tutto per un intrigo impossibile oggi da sciogliere e chiarire con precisione.
Tutto con buona pace di una Verità che non può mai, nemmeno oggi, trovarsi in una “istituzione” ovvero in un
organismo “temporalmente” condizionato e costretto.
Non si può e deve dimenticare anche che ai tempi di Nestorio la Cristianità era ormai -religione imperiale- e
l'esigenza di addivenire ad unità e sopprimere ogni dissenso e ogni possibile fonte di lotta e disordini era esigenza
sentita indispensabile dall'imperatore romano. In merito al potere dell'imperatore ci dice Peter Kawerau nel suo “Il
cristianesimo d'Oriente”:
<..l'imperatore reggeva l'impero e la chiesa dell'impero...Costantino I fu chiamato
“vescovo universale, ordinato da Dio, pari agli apostoli, anzi 13°apostolo..l'imperatore di Bisanzio stabiliva i
confini delle diocesi e dei patriarcati..nominava i missionari e li dotava dei mezzi necessari...
al decesso di un patriarca..nominava il nuovo sulla base di una triplice proposta del metropolita...anche per la
nomina dei metropoliti occorreva la sua approvazione....
aveva il diritto di traslazione dei vescovi...soltanto l'imperatore convocava i concili ecumenici...conferiva vigore di
legge alle deliberazioni dei sinodi... a Bisanzio.. la difesa della ortodossia era il fondamento dello stato >
Ed anche :
< L'imperatore non solo convoca il concilio ma stabilisce il numero dei partecipanti,
nomina la commissione che dirige i lavori, impone l'accettazione di una formula riconoscendola vincolante dal
punto di vista giuridico e commina punizioni a chi rifiuta di firmarla...
solo dopo Efeso II ( nel 449) il vescovo di Roma Leone sottolineerà all'imperatore
che la sede primaziale deve conferire il suo “assenso-consenso” alla convocazione dei concili >
(Silvia Acerbi- Conflitti politico-ecclesiastici..)
Le dure repressioni e lotte di quei secoli sono quindi conflitti interni alla Chiesa sì ma che, essendo questa
pienamente “imperiale”, saranno complessi “conflitti politico-ecclesiastici” pesantemente condizionati, e a volte
d'autorità decisi, dal volere dell'imperatore. Su queste complicate realtà si innestava poi una vera e propria lotta tra i
citati quattro principali Patriarcati cristiani per la “supremazia”: fu lotta accesa alla metà del IV secolo, in
particolare, da parte di Alessandria con Cirillo e con il suo successore Dioscoro che misero in atto imposizioni e
prevaricazioni su territori non a loro competenti, ma fu una lotta ed obiettivo che, più sottilmente, porterà avanti
anche Roma che già da prima si riteneva, quale sede “Pietrina”, con diritti superiori.
Solo con il concilio di Calcedonia del 451, grazie ad una “formula teologica” che mediava le posizioni in lotta tra
Alessandria da un lato e Antiochia e Costantinopoli dall'altro, ma soprattutto grazie alle -necessità personalidell'imperatore d'Oriente Marciano, Roma riuscì a fare valere il suo predominio su tutta la Cristianità.
In questo clima sono state risolte controversie teologiche fondanti e sono stati definiti i principali pilastri ed
argomenti di fede, quelli che ancora oggi hanno piena validità ma quale validità abbia una così nata Verità è
doveroso, più che lecito, chiederselo.
Quei “Conflitti politico-ecclesiastici” videro il loro culmine, seppur non la fine, con Nestorio ed in vicissitudini che
vale la pena di conoscere e che più sotto riassumerò e sintetizzerò purtroppo perdendo tanti importanti aspetti.
Prima di passare a quelle vicende vorrei dire ancora della “formula Nicena” ancora oggi faro della vittoriosa “ fonte
di tradizione farisaica paolino-pietrina” che detterà ed imporrà infine la sua personale lettura: teologicamente però
la massima “razionalità” possibile, su tale lettura di quel “credo”, non può essere altro che quella cui arrivò Agostino
che così recita :
< ...nostro Signore Gesù Cristo (è) Figlio di Dio ed uguale al Padre secondo la natura divina nella quale sussiste,
ed inferiore al Padre secondo la natura di servo che assunse;
nella quale natura è divenuto inferiore non solo al Padre, ma anche allo Spirito Santo e perfino
a sé stesso, tenuto conto che è uomo; non però inferiore a sé stesso per quello che era prima, cioè per quella
natura di Dio che ha conservato nell'assumere la natura di servo..>(Agostino – Trin.2,I,2)
Devo dire che personalmente, e accetto i miei limiti, fatico a spiegarmi una “natura uguale ma inferiore al Padre” e
poi “inferiore a sé ma al contempo non inferiore a sé” !.
LA FINE DELLA SCUOLA DI ANTIOCHIA
Ciò che farò seguire, come anche molto di quanto appena detto, vede il prezioso contributo di limpide opere, in
bibliografia e reperibili in internet, di Silvia Acerbi.
Nonostante l'ammorbidimento della posizione di Nestorio, ammorbidimento che come visto fu in realtà lo
stravolgimento di quanto professato ed insegnato alla origini della “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica” e
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ancora dal suo maestro Teodoro di Mopsuestia (350-428) secondo quanto ci documenta il Concilio
Costantinopolitano II, non si trovò intesa tra Antiochia e Costantinopoli da una parte e Alessandria e Roma dall'altra.
Il vescovo-papa romano Celestino, che peraltro < mai giunse a rendersi conto della natura del dibattito teologico e
politico che aveva diviso le chiese orientali >(Silvia Acerbi op.cit.), in un sinodo dell'agosto del 430 condannò
Nestorio per la sua “bestemmia” ma, questi non accettando tale decisione, dovette intervenire l'imperatore Teodosio
II che convocò, per una decisione, il concilio plenario di Efeso del giugno 431, il concilio Efeso I.
Questo concilio si trasformò in una vera e propria battaglia: in “Storia del Cristianesimo” Vol.I a cura di G.
Filoramo e D. Menozzi ci viene riportato quanto segue:
< si sarebbero dovute confrontare e discutere le due tesi in contrapposizione, di Nestorio e di Cirillo, in realtà non
ci fu nessuna discussione...Cirillo presiedette e pilotò il Concilio...non senza intimidazioni e corruzioni...estromesso
il legato imperiale e constatato che Nestorio rifiutava di presentarsi, il giorno successivo all'apertura...Cirillo lesse
le proprie tesi...(e) alla fine della giornata Nestorio, patriarca di Costantinopoli, fu condannato e deposto. Il giorno
dopo gli fu recapitata una notifica nella quale veniva apostrofato quale “nuovo Giuda” >
Per reazione il nestoriano patriarca di Antiochia, Giovanni, dopo quattro giorni convocò una riunione di vescovi in
cui venne affermata la irregolarità delle decisioni del Concilio e decretata la deposizione di Cirillo e del suo alleato
Memnone vescovo di Efeso. Questi risposero scomunicando Giovanni ed i vescovi suoi seguaci.
Tutto ciò generò confusione e sommosse ed i lavori terminarono solo nel mese di ottobre quando un inviato
dell'imperatore d'Oriente Teodosio chiuse il Concilio decretando l'arresto di Nestorio, Cirillo e Memnone.
Una volta poi, poco tempo dopo, i tre in vario modo liberati, Nestorio si ritirò in convento mentre Cirillo, anche con
atti di corruzione tali che portarono la Chiesa di Alessandria ad indebitarsi per 750 Kg d'oro, riuscì a portare dalla
sua parte diversi sostenitori di Nestorio ed indusse infine l'imperatore Teodosio II a confermare la delibera di
condanna di questi. La condanna dell'imperatore, legge imperiale, non si limitava a colpire Nestorio: così infatti
recita quell'editto emanato nel 435 :
< Decretiamo inoltre che nessuno osi possedere, leggere o copiare, gli empi libri dell'empio e sacrilego Nestorio
relativi alla religione pura degli ortodossi e contro i dogmi del santo Concilio di Efeso. Tali libri devono essere
cercati con solerzia e bruciati in pubblico. D'altro canto in nessun sermone pubblico questi uomini siano chiamati
con un nome diverso da quello di Simoniaci. Ordiniamo che questi uomini siano privati di ogni possibilità di
riunirsi, restando chiaramente stabilito che chi trasgredisca questa legge o imiti Nestorio verrà punito con la
confisca dei beni > (Silvia Acerbi op.cit.)
Nestorio fu quindi dall'imperatore definitivamente condannato ed esiliato nell'oasi di El Kharga, vicino a Tebe
nell'Alto Egitto, dove morì nel 451. Con quella conferma della imperiale condanna di Nestorio la teologia
antiochena era così dichiarata “eresia”, in senso negativo, nell'ambito dell'Impero Romano: i suoi seguaci potevano
vivere ed operare solo fuori dall'Impero.
Sempre sulle questioni riguardanti la natura e/o sostanza di Gesù, prima della morte di Nestorio si era tenuto, ancora
ad Efeso nell'agosto del 449, un altro concilio ecumenico, il concilio Efeso II.
L'intento era il dirimere la stessa annosa controversia che, nelle parole e nei documenti, era divenuta controversia tra
“monofisiti” che vedevano in Gesù la sola sostanza divina e “duofisiti” che, qui semplificando, vedevano in Esso
sostanza divina e sostanza umana. Posizioni, questa ultima in particolare -ma anche la prima-, che hanno visto nel
tempo molte sfumature e sottolineature.
Anche questo concilio fu contrassegnato da gravi violenze al punto da essere definito, dalla autorità ecclesiastica
romana, “ladrocinio-brigantaggio di Efeso”:
i vescovi, sotto la fisica minaccia, e non solo minaccia, delle bande di monaci e parabalani, furono costretti a
sottoscrivere da un lato la condanna delle posizioni “duofisite” di Flaviano patriarca di Costantinopoli vicino alle
posizioni residuate della teologia Antiochena e dall'altro la conferma di “ortodossia” delle posizioni “monofisite”
Alessandrine sostenute da Eutiche rettore, archimandrita, di un importante convento nelle vicinanze di
Costantinopoli e risoluto difensore, con Dioscoro successore ad Alessandria di Cirillo, della “theotokos” e quindi
nemico di Nestorio il quale così lo descrive:
< Non essendo vescovo, grazie al potere imperiale si attribuì un altro ruolo : quello di vescovo dei vescovi. É lui
che dirige gli affari della chiesa e utilizza Flaviano come un servitore per eseguire gli ordini della corte. Allontana
dalla chiesa come eretici tutti coloro che non appoggiano le sue opinioni ... > (Silvia Acerbi op.cit.)
Flaviano in questo concilio fu malmenato e morì dopo pochi giorni.
I legati del vescovo-papa di Roma, Leone I, fuggiti, informarono questi dell'accaduto e Leone I annullò il concilio
dichiarandolo appunto “ladrocinio di Efeso” ma l'imperatore d'Oriente Teodosio II lo ritenne valido e fece
accogliere i suoi atti.
Presiedeva i lavori di questo concilio del 449 Dioscoro che era il vescovo di Alessandria succeduto a Cirillo, morto
nel 444, e che da arcidiacono di quella chiesa aveva accompagnato lo stesso Cirillo al concilio di Efeso I nel 431.
294
nona parte
Dioscoro si auto-promuoverà < guardiano della fede > condannando coloro che :
< ..hanno osato diffondere una dottrina sbagliata, e tentato d'introdurre una seconda volta, come se si fosse
all'inizio della controversia, i dogmi impuri di Nestorio...>
Personaggio duro ed intransigente Dioscoro, come anche il suo predecessore Cirillo, < cercò di imporre la (propria)
teologia e di esercitare, in nome della ortodossia, il -proprio diritto di intervento- nella giurisdizione delle diocesi
d'Oriente > (Silvia Acerbi op.cit.).
Prima di questo concilio di Efeso II, nel 448, in Costantinopoli si era tenuto un sinodo nel quale il vescovo Flaviano
aveva ottenuto la condanna di Eutiche : < Flaviano … gli chiese di affermare le due nature dopo l'unione, e la
consustanzialità di Cristo con il Padre secondo la divinità e con la madre e con gli uomini secondo l'umanità...>
(Silvia Acerbi op.cit.), ma Eutiche si rifiutò.
Nello stesso anno del secondo concilio di Efeso, nel 449, Teodosio II con un nuovo editto ratificava e faceva entrare
in vigore le risoluzioni del concilio stesso :
< ..ordiniamo che assolutamente nessuno che aderisca alla dottrina di Nestorio e di Flaviano, nessuno di coloro che
siano sedotti dall'opinione della medesima eresia, venga ordinato vescovo...e.. (chi) d'ora innanzi si faccia strada
con la simulazione, costui sia respinto con un decreto dei vescovi ortodossi...che nessuno possegga, legga o
trascriva o diffonda la dottrina di Nestorio...neppure i libri nocivi, specialmente quelli che Porfirio pubblicò contro
le sole opere cristiane...nessuno... accolga coloro che seguono queste dottrine religiose o i loro maestri, né permetta
loro di sedersi con lui in assemblea, altrimenti, confiscati tutti i suoi averi, lui pure sia relegato in perpetuo esilio.
Chiunque...abbia posseduto testi contenenti la condannata teoria di Nestorio e di Teodoreto o le sue interpretazioni,
o anche discorsi divulgativi...sia sottoposto agli stessi castighi..> ( Silvia Acerbi op.cit. )
Il successore di Teodosio II, l'imperatore Marciano, dopo avere messo a morte nel 450 Crisafio, potente ed intrigante
eunuco di corte che, secondo una testimonianza dell'epoca, l'imperatore Teodosio < amava come se fosse bello in
ogni senso > ( Silvia Acerbi op.cit.) e che era legato al filo-alessandrino Eutiche suo padrino, nel 451, stesso anno
in cui morì Nestorio, convocò un concilio a Calcedonia.
La scelta della città fu fatta, dall'imperatore, per non allontanarsi dai territori in cui egli era impegnato militarmente.
In questo concilio le posizioni “intermedie” di Roma furono imposte alle due parti in lotta e fu decretata la
riammissione dei teologi della scuola di Antiochia alle loro sedi ma così sancendo anche, di fatto, la definitiva
supremazia della sede romana su tutta la Cristianità.
Ma la frattura in seno alla Cristianità continuò ancora : fu quindi con Giustiniano I che, con un editto prima ed il
concilio poi che dovette ratificarlo, il già citato concilio del 553, il Costantinopolitano II, la “fonte di tradizione”
legata, se pur labilmente ormai, alla visione della “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”, venne nuovamente
condannata.
Ma la parte più orientale dell'impero, fino alle province ecclesiastiche di Milano e Aquileia, restarono relativamente
lontane, seppur con le normali eccezioni, dalle posizioni romano-alessandrine. Nel 568 la Chiesa di Aquileia si
staccherà da Roma, che nel frattempo dall'imperatore Giustiniano era stata ufficialmente dichiarata maggiore
autorità ecclesiastica, e darà quindi vita ad un “autonomo Patriarcato”.
É da notare che questo “distacco” non fu solo una questione che interessò “prelati e carte”, anche le popolazioni di
quei territori sostennero fortemente questa separazione di Aquileia e dei tanti altri territori che ad essa si legarono.
Sappiamo infatti che quando il Patriarca Severo, dopo essere stato portato a Ravenna e costretto ad una abiura ed
alla sottomissione alla autorità di Roma, rientrò a Grado, qui trovò estrema ostilità da parte della popolazione che
non volle riceverlo finché non avesse ritrattato l'abiura.
Egli, era il 590, convocò un sinodo cui parteciparono i vescovi di Altino, Concordia, Sabiona, Trento, Verona,
Vicenza, Treviso, Feltre, Asolo, Belluno, Pola, Trieste, Parenzo, Lubiana, Cissa (vicino a Rovigno), Celje.
In tale concilio egli dichiarò che la abiura delle posizioni relative ai Tre Capitoli, ovvero la accettazione della
“Condanna dei Tre Capitoli” decretata nel Costantinopolitano II, gli era stata strappata con la forza e che intendeva
invece perseverare nella posizione “Tricapitolina” di non condanna oltre che nella separazione da Roma.
Il tempo però riportò tutto a differenze di “forma e verbali” più che “teologiche” e nel 698 a Pavia un sinodo tra i
vescovi Cattolico romani e quelli Tricapitolini decretò di nuovo la loro “comunione dottrinale e gerarchica”.
Vuole infine anche detto e ricordato che a fianco di quanto qui esposto, seppur più laterale e defilata restava ancora
viva la fede Ariana dei popoli e governanti germanici ed i larghi territori italiani ad essi anche lungamente sottoposti,
con i Goti ed i Longobardi in particolare, non potranno che essere da ciò condizionati.
Grazie a quanto sin qui esposto, cui molto però manca, grazie alla costrizione e soppressione di ogni -religioso
libero pensare e vedere-, grazie al “martirio” durato millenni di innumerevoli anime costrette e forzate a non potere
“ascoltare” quella voce della Ruah-Spirito Santo che ad ognuno parla, sarà così completamente dimenticato ed
oscurato il fatto che, come sottolineato da Ireneo vi erano:
< ... due fonti di tradizione...ma solo una deriva da Dio...>
295
nona parte
L'innato bisogno di un “cercare” dell'uomo, la possibilità di pensare e “cercare” come suggeriva Gesù ascoltando la
voce della Ruah-Spirito Santa, della Madre che ci porta a scoprire in noi il Figlio di Dio, sarà così soffocato.
Ritorno alle penose e poco conosciute vicissitudini cui ho sopra appena accennato, per dire che, dimenticata la
umana pochezza che vi trasuda, ciò che deve restare per gli scopi di questo scritto è la verità che, come testimonia il
documento del Concilio Costantinopolitano II, le posizioni di chi vedeva Gesù quale “uomo” che si era portato -in
vita- alla “condizione” di “figlio di Dio”, sono state a lungo presenti -nella Cristianità-. Su tale questione anche
Pietro, secondo Atti 2.22, agli inizi insegnava che Gesù era un :
< … uomo -accreditato- da Dio presso di voi
- per mezzo- di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua.. >
Ma la strada intrapresa è stata un'altra, è stata strada di lotte, uccisioni e dure repressioni, violenze che andranno ben
oltre quei primi secoli giungendo fino alla fisica soppressione dei Catari, dei Valdesi, dei Borgomili e di molti altri:
nel 1215 con un Concilio e vari decreti e inviti a nuove Crociate, così la Cristianità a tanto invitava:
< I cattolici che … si armeranno per sterminare gli eretici, godono delle indulgenze
e dei santi privilegi che sono concessi a coloro che vanno in aiuto della Terra santa >
VALENTINIANESIMO E ORIGENISMO
Nel contesto della panoramica qui fatta, non possiamo non accennare ai più noti ed importanti personaggi di
Valentino (circa 125-165) e Origene (185-254). Entrambi infatti, pur nelle forti differenze che si evidenziano tra
loro sono ascrivibili alla “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”, la “fonte di tradizione” legata come detto
alla apostolare Chiesa Madre di Gerusalemme e che in particolare fu insegnata ad Antiochia.
Da essi nasceranno due importantissimi e grandi “movimenti e correnti cristiane”, correnti e movimenti che assieme
all’Arianesimo avranno insegnamenti che, pur con differenze spesso più verbali che sostanziali, nascevano in quella
lettura e comprensione di Gesù e Scritture che erano della citata “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”.
Ad entrambi, Valentino e Origene, pur cristiani ed importanti teologi, toccherà come ad Ario la stessa sorte: varie
condanne per eresia comminate da parte di una Chiesa ormai pienamente controllata da chi era nell’errore della
“fonte farisaica paolino-petrina”.
-- Valentino e il Valentinianesimo:
Valentino è stato, già da giovanissimo, diacono a Roma. Riporta Tertulliano di una sua mancata elezione a vescovopapa di Roma a seguito della quale, evidentemente in contrasto teologico con la Chiesa che si stava formando, egli si
è allontanato da questa subendo poi una prima scomunica nel 143 cui ne seguiranno molte altre.
Filosofo e gnostico, Valentino è ricordato oggi per una discutibile costruzione cosmologica, sulla quale criticamente
ci informa Clemente A., particolarmente complessa, per come ci è stata riportata, e difficile quindi da comprendere.
Essa, vuole comunque visto, si basa sia sugli insegnamenti della “resurrezione in vita” da un lato, con negazione
della “resurrezione dei corpi”, e dall’altro quello di un “Gesù quale uomo come tutti” al quale si è portato, sotto
forma di colomba, il Salvatore celeste, Logos impassibile, che lo abbandonerà prima della morte assieme, ci viene
riportato, alla “divina” parte femminea dell’uomo.
Quasi nulla abbiamo ricevuto direttamente, ma tra i ritrovamenti di Nag Hammadi vi sono alcuni testi, tra questi il
“Vangelo della Verità” ed un breve “Trattato sulla resurrezione”, che ormai per quasi tutti gli esperti attestano le
sue più autentiche dottrine, dottrine che qui non presentano i discutibili aspetti cosmologici sopra citati. Aspetti che,
quindi, si svilupperanno forse in particolare internamente al movimento che a lui seguirà.
Riporto alcuni brani del “Vangelo della Verità”, tra i più significativi, che testimoniano che anche Valentino era sulla
linea di quella “fonte di tradizione”, opposta a quella di Paolo e Pietro, che vedeva ed insegnava il Gesù “diverso” :
1- < Il vangelo della Verità è gioia per coloro che hanno ricevuto dal Padre della Verità
la grazia di conoscere Lui per mezzo della potenza del Logos...questi è colui che è chiamato “il Salvatore”.. >
4- < ..questo è il vangelo...che Gesù Cristo ha rivelato ai perfetti, mistero nascosto..>
8- <..Gesù..spogliandosi di ..cenci corruttibili, si è rivestito di incorruttibilità..Penetrato nei luoghi vuoti a causa
del terrore e passato attraverso quelli spogli a causa dell'oblio, è divenuto conoscenza e perfezione, proclamando
ciò che era nel cuore del Padre, per istruire..>
9- <..la perfezione del Tutto si trova nel Padre ed è necessario che il Tutto risalga a lui..>
11- < ..chi possiede così la gnosi-conoscenza sa di dove viene e dove va..>
18- <..ogni cosa, che pure è nel Padre, proviene da Lui che esiste e che l'ha fatta esistere...e ..(chi) dovesse pensare
a proprio riguardo -io sono stato fatto..- scomparirebbe per sé stesso .. >
-- Origene e l’Origenismo:
Origene, sottolinea molto bene il prof. Gaetano Lettieri in alcune sue lezioni rintracciabili sul web, pur
polemizzando con i valentiniani del suo tempo, su alcuni punti e aspetti della loro prima e più autentica dottrina e
lettura esegetica di Gesù e Scritture, sarà ad essi vicino.
296
nona parte
Di Origene, che oggi vede un rinnovato interesse da parte degli studiosi, diremo più avanti in modo approfondito,
seppur per gli spazi qui possibili, e ci limitiamo perciò ora ad esporre i capi di accusa dei quali era, verosimilmente
già in vita, accusato. Nove erano le accuse, secondo quando ci dice Panfilo (+306), che gli erano formulate:
1) Di considerare il Figlio innato; 2) Di considerarlo “emanato” alla maniera di Valentino;
3) Di considerarlo ( Gesù -ndr) un semplice uomo, come fanno Artemone o Paolo di Samosata;
4) Di ritenere le sue gesta umane solo in apparenza; 5) Di predicare due Cristi;
6) Di negare il valore letterale delle azioni dei santi nelle Scritture;
7) Di negare la resurrezione dei morti e le pene dei peccatori ; 8) Di sostenere la preesistenza;
9) Di sostenere la metempsicosi (reincarnazione -ndr)
(Emanuela Prinzivalli -Origene, dizionario- p.326)
E così si espresse sinteticamente ma duramente a 300 anni dalla sua morte, il Concilio Ecumenico
Costantinopolitano II del 553 al suo XI° anatemismo :
< Chi non scomunica Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Nestorio, Eutiche, e Origene, insieme ai loro empi
scritti, e tutti gli altri eretici, condannati e scomunicati dalla Santa Chiesa cattolica e apostolica e dai quattro
predetti santi concili; inoltre, chi ha ritenuto o ritiene dottrine simili a quelle degli eretici che abbiamo nominato, e
persiste nella propria empietà fino alla morte, sia anatema >.
Origene ebbe un vastissimo seguito, in ambito monacale in particolare, e pur molto contrastato dalla gerarchia
ecclesiastica alla sua morte fu seppellito con tutti gli onori dietro l’altare maggiore della cattedrale di Tiro.
In lui molti esperti vedono un precursore dell’Arianesimo ma la sua è una voce importante anche, se non soprattutto,
per quanto al succitato punto 9) ovvero per la sua “credenza nella metempsicosi-reincarnazione”. Una credenza
oggi erratamente, a mio avviso, messa in dubbio dalla critica.
Aspetti tutti che meglio, come detto, vedremo più oltre con un approfondimento specifico sulla sua figura.
LA FORZATA CONVERSIONE
Dopo avere visto quale fu la lotta che si è svolta internamente alla Cristianità con riferimento alla diversa visione e
comprensione, e quindi insegnamento, delle parole, della figura e degli insegnamenti di Gesù, vale la pena di
ricordare come avvenne la conseguente, ormai pienamente paolina, -cristianizzazione-, ovvero la “forzata adesione”
a quel Cristianesimo, di tutte le genti, ampiamente pagane, che vivevano in quello che era l'impero Romano: le genti
d'Europa e del medio Oriente Romano che dovettero vedere la distruzione di migliaia dei loro monumenti e luoghi
di culto oltre che delle credenze, tradizioni e culture.
Una cristianizzazione che, per quanto visto qui sul Gesù “diverso”, in realtà è stata una vera “scristianizzazione”.
Ne parlerò sinteticamente citando ed attingendo quasi unicamente a quanto ottimamente Pier Franco Beatrice dice
nel suo “L'intolleranza cristiana nei confronti dei pagani”.
Vuole anzitutto detto e ricordato che bersagli di queste repressioni ed annientamenti storici sono stati al contempo :
a) i -pagani-; b) i -cristiani- che si legavano alla cristiano-apostolica “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”
di visione e comprensione di Gesù; c) quei -seguaci di Gesù- che decisero di restare fuori dalla nascente Cristianità
ovvero quel variegato e vasto movimento detto, ancora oggi un po' troppo genericamente, “gnostico”.
Dopo l'alternarsi delle localizzate lotte e violenze cui abbiamo più sopra accennato, tutto si compirà con una
impressionante accelerazione, metodicità, universalità e virulenza, e per “imperiale volere”, nel giro di pochi
decenni : dal 380 al 415 circa. Anche prima e dopo tali date si vedranno atti e disposizioni Imperiali a quello scopo
indirizzati ma, soprattutto, prima non furono sempre scrupolosamente e sistematicamente eseguiti e certamente mai
essi vedranno sviluppata la violenza fisica e morale che in quei pochi decenni il mondo dovrà vedere.
Prima di quella data, ci viene riportato dal Codice Teodosiano, i figli dell'imperatore Costantino, Costate e Costanzo,
promulgheranno cinque costituzioni che, comminando la pena di morte, condannano ogni < superstitio > ovvero
ogni -pratica pagana-, vietando i sacrifici e il culto degli idoli e decretando la chiusura dei templi.
Al padre Costantino, che come visto nonostante abbia posto il proprio imprimatur e sigillo su quel credo Niceno
ancora oggi base della Cristianità ha comunque mantenuto ai suoi sudditi la piena libertà religiosa, secondo Eusebio
è da addebitare la distruzione di un unico tempio pagano, quello eretto sul famoso sito della quercia di Mambre in
Palestina. Nel 354 Costanzo II, ormai imperatore unico, decreta : < che i templi siano chiusi dappertutto e che il
loro accesso venga vietato a tutti > (C.Th 16,10,3).
Sempre nel Codice Teodosiano (C.Th 10,11,8) troviamo, a nome dell'imperatore Valentiniano (364-375) ma sospetta
di Gioviano (363-364), la prescrizione della confisca dei beni dei templi a favore del < patrimonio privato > dello
stesso imperatore. Tutto comunque fin qui, come detto, blandamente perseguito e con poche violenze.
Tutto cambia quando, con l'editto di Tessalonica nel 380, l'imperatore Teodosio I (379-395) da una sostanzialmente
tollerata, pur nella decretazione sopra vista, libertà di culto, si passerà a dichiarare il Cristianesimo “religione di
Stato”: la repressione a quel punto sarà condotta, durissima verso tutte le categorie sopra dette, in tre direzioni :
“contro le pratiche culturali, contro il patrimonio e contro le persone”.
297
nona parte
E la azione ed impegno persecutorio, volti al rafforzamento in tutto l'impero di quella che a quel punto era stata decretata- quale “ortodossia cattolica”, ovvero la visione di Gesù della “fonte di tradizione farisaica paolinopietrina”, fu rivolta come detto sia ai pagani che ai -cosiddetti- “eretici”: sia i cristiani appartenenti alla Chiesa ma
ormai considerati -non ortodossi-, che quei seguaci di Gesù, gli gnostici, che erano fuori dalla Chiesa.
Anche i funzionari imperiali, evidentemente ancora in larga parte legati a culti, tradizioni e religione pagana, furono
presi di mira : con pene pesanti viene loro vietato di entrare nei templi. Più avanti poi tale questione fu risolta più
drasticamente : nel 408 infatti per legge venne vietato a chi era pagano di rivestire funzioni ufficiali imperiali.
(Beatrice op.cit.p.184)
E' da sottolineare che questa azione ed intervento persecutorio oltre ai funzionari imperiali, che dovevano dare
esecuzione alle leggi, vedrà attivamente impegnati, pur se ancora non ufficialmente a questo autorizzati, i monaci
cattolico “ortodossi” : sono questi che saccheggiano e distruggono i templi, soprattutto in campagna, con lo scopo
esplicito di convertire il popolo. (Beatrice op.cit.p.47)
E' solo nel 407 che troviamo una ufficiale autorizzazione data alle gerarchie Cattolico “ortodosse” per intervenire
direttamente nella lotta di repressione e distruzione : in quella data Stilicone trasferisce ai bisogni dell'esercito le
sovvenzioni accordate ai templi, ordina che gli altari siano demoliti e le statue, < se ne rimangono ancora >, siano
distrutte; egli decreta poi che -Vescovi- e funzionari romani devono fare osservare tali ordini. (Beatrice op.cit.p.29)
In questo periodo agli atti di distruzione dei templi pagani compiuti da Vescovi e monaci seguì una forte reazione da
parte dei pagani con incendi, uccisione di sacerdoti cristiani e distruzione di chiese. (Beatrice op.cit.p.28)
Gli ordini e decreti imperiali contro la paganità nel tempo saranno molti; oltre a quelli già visti, questi:
- nel 382 l'imperatore Graziano priva le vestali e i collegi sacerdotali pagani di Roma delle loro immunità e
confisca i loro beni. (Beatrice op.cit.p.29)
- nel 399 Arcadio dà l'ordine di < demolire i templi che possono ancora esservi nelle campagne >
- nel 415 infine Onorio decreta la confisca dei luoghi di culto pagani e/o la loro attribuzione alla Chiesa. (Beatrice
op.cit.p.28)
Tornando al deciso impegno, normalmente ben poco autorizzato, di Vescovi e monaci cristiano “ortodossi”
nell'opera di violenta distruzione e repressione svolta nei confronti di “paganesimo ed eresie”, una figura in
particolare spicca : quella del già citato Cirillo, Santo, vescovo di Alessandria dal 412 al 444.
Prima però di venire a Cirillo in merito a queste violente distruzioni e repressioni riporto qualche notizia ancora
tratta dal citato Beatrice:
- Martino, Santo, Vescovo di Tours a partire dal 371, e i monaci suoi compagni distrussero sistematicamente i
templi e i centri di culto pagani nella Gallia settentrionale;
- Vittricio, Santo pure lui e Vescovo di Rouen a partire dal 390 fece lo stesso sulla costa della Manica;
- Giovanni Crisostomo, circa nel 400 arcivescovo di Costantinopoli, ci riferisce Teodoreto, < scelse alcuni asceti
ripieni di zelo fervente e li inviò a distruggere i templi in Fenicia >; ricche signore eminenti per la loro fede
pagarono le spese.
Cirillo diviene Vescovo succedendo allo zio Teofilo malgrado la contrarietà di molti che lo ritenevano autoritario e
violento come era lo zio: a questi è infatti fatta risalire, dallo storico della Chiesa Socrate Scolastico, la distruzione
di tutti i templi pagani di Alessandria:
< per sollecitudine di Teofilo, l'imperatore ordinò di distruggere i templi degli elleni in Alessandria e questo
avvenne per l'impegno dello stesso Teofilo >. (Storia ecclesiastica V,16)
Fu risparmiato solo il tempio di Dionisio che l'imperatore Teodosio concesse a Teofilo per la sua trasformazione in
Chiesa. Una particolare resistenza opposero, in questo frangente, gli elleni alla distruzione del Serapeo, il tempio
più antico e prestigioso della città, < così adorno di atri con amplissimi colonnati, di statue che sembrano vive e
d'opere d'arte di ogni genere, che nulla vi è sulla terra di più fastoso all'infuori del Campidoglio> (Ammiano
Marcellino, Res gestae xxii.16) . Oltre al culto di Giove Serapide, vi erano celebrati i culti di Iside e delle divinità
egizie e vi erano custoditi i loro “misteri”. (Wikipedia)
Teofilo anche in quella occasione < fece tutto quello che era in suo potere per recare offesa ai misteri degli elleni >
(Socrate Scolastico) e questi non poterono non reagire a tanta violenza ferendo ed uccidendo molti cristiani ma
senza alcun esito visto l'appoggio imperiale di cui godeva il Vescovo.
A fianco del vescovo Teofilo e del suo successore e nipote Cirillo, e a fianco poi del loro successore Dioscoro come
anche delle fazioni cristiane che a Costantinopoli erano come questi fervidi ed intransigenti sostenitori della
cosiddetta “ortodossia” cristiana, erano i “parabalani o parabolani”.
Questi, setta e confraternita che nasceva nel tempo quali barellieri che in periodi di pestilenza liberavano le città dai
morti, e quindi arditi ed ardimentosi, si erano trasformati in vere e proprie guardie del corpo di questi Vescovi.
Ad Alessandria essi erano circa 500 mentre a Costantinopoli se ne contavano quasi il doppio.(Wikipedia)
Essi formavano l'ala attiva, condizionandola, del “plethos-plebe”, del popolino. In Alessandria erano sotto la diretta
autorità del Vescovo che li sceglieva e nominava e godevano dei privilegi e delle immunità del clero: un vero esercito- asservito alla volontà vescovile.
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nona parte
Il primo atto di Cirillo, Santo oggi tra i più venerati da una Cristianità paolina che molto gli deve, fu quello, con
l'aiuto di tali forze, volto contro i cristiani Novaziani : egli fece chiudere le loro chiese, confiscare i loro beni ed
arredi con un atto ed iniziativa che -nessuna legge- gli consentiva. (Beatrice op.cit.p.59)
Dopo questo primo violento atto e a seguito di una imboscata, probabilmente istigata dallo stesso Cirillo, fatta da
parte di alcuni ebrei a danno di cristiani, San Cirillo fece invadere le sinagoghe e scacciare da Alessandria l'intera
comunità ebraica lasciando saccheggiare le loro ricchezze.
Questi fatti portarono ad una forte tensione tra San Cirillo e Oreste, prefetto imperiale di Alessandria, che comunque
non intervenne. Questa tensione infine culminò con un atto di aggressione nei confronti di Oreste da parte di un
grande numero di monaci di Nitria, cui Cirillo era legato avendoli a lungo frequentati, che si affiancarono ai
parabalani: Oreste, fortunosamente salvatosi per intervento della cittadinanza, fece poi arrestare e torturare uno dei
principali responsabili, certo Ammonio, che mori in seguito alle torture.
Oreste era figura con ammirazione legato ad Ipazia, notissima filosofa, matematica e astrologa che: <..era giunta a
tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica riportata in vita
da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tutte le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da ogni
parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico..> (Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica VII.15)
Il culmine delle violenze e repressioni operate da San Cirillo, come da più fonti testimoniato, fu la uccisione di
questa grandissima figura: Ipazia fu uccisa, fatta a pezzi e bruciata in piazza.
Qui chiudo, con non poco orrore, queste doverose parole sulla natura della “conversione” alla Cristianità.
La diabolica forza di quel Tifone che il filosofico paganesimo vedeva crescere e proliferare nel e dal mondo giudeofarisaico, secondo ciò che segretamente ci dice Plutarco (46-125 dC) che nel suo bellissimo "Iside e Osiride" riporta
che <..c'è chi sostiene che Tifone...ebbe due figli, Ierosolimo e Giudeo..>, quella terribile e distruttrice forza TifoneSeth di cui diceva Eraclito e di cui variamente dicono tutte le apocalissi del mondo antico, non avrà più freni.
Soffocate le più alte voci della più autentica filosofia, non resterà in suo luogo che un cieco e vuoto parlare che
nessun argine porrà a quella deriva ed orrore.
SAULO-PAOLO DI TARSO
Prima della indagine che ora qui esporrò, tutte le letture e gli approfondimenti fin qui fatti e riportati erano rimasti
relativamente “lontani” dagli scritti di Paolo, scritti che solo occasionalmente e parzialmente avevo letto. Ed è forse
anche questa “relativa libertà” da Paolo che mi ha permesso di “vedere” parole di Gesù tanto “diverse” da quelle da
lui viste e che la Cristianità ha assunto: quasi tutto, quanto fin qui visto, è nato infatti prima di questa indagine su
Paolo. Naturalmente quella mia “lontananza” era con evidenza relativa poiché le nozioni religiose che io ho
ricevuto, Cattolico Cristiane, nascono proprio da Paolo.
Ma quel mio quasi necessitato, e certo “casualmente-fatalmente determinato”, cammino-non cammino in cui sono
occorso, mi ha fatto vedere, lentamente e poi sempre più fortemente, che le discrasie e le antitesi tra quel “Gesù
diverso” che lentamente ai miei occhi si svelava e ciò che invece la Cristianità insegnava, nascevano proprio dagli
insegnamenti di Paolo. Nascevano da Saulo di Tarso poi San Paolo.
Due cose, come già anticipato, si mettono in evidenza, grandi ed enigmatiche, alle prime letture delle lettere di Paolo
e di Pietro. La prima è che Paolo, in 2Cor 11.5 e 12.11 ma anche in Galati 1.7,8, dice apertamente che :
--- alcuni <... SuperApostoli ..> predicavano un <.. "altro" Vangelo-Annuncio.. > ed insegnavano
un <.. Gesù “diverso”.. > da quello che insegnava lui --La seconda riguarda Pietro che, contrariamente a Paolo, con Gesù ha vissuto: Egli in 2Pt 3.16 ci dice che :
--- le lettere di Paolo possono essere travisate e possono portare alla <.. rovina.. > chi le legge --A queste due allarmanti affermazioni si affiancano poi, vedremo più avanti, sia la enigmatica lettera di Giacomo che
la lettera di Giuda, lettera questa che Pietro riprende ampiamente e quasi letteralmente nella sua citata 2°lettera.
Dicono esattamente gli scritti di Paolo e Pietro:
<..( è) un Gesù “diverso” da quello che vi abbiamo predicato noi ( io ndr)...
...un “altro vangelo” che non avete ancora sentito...(vi predicano ndr)... questi “SuperApostoli”...>(2Cor 11.4-5)
< (nelle lettere di Paolo).. ci sono alcune cose
difficili da comprendere e gli incompetenti e gli incerti le travisano, al pari delle altre Scritture,
per loro propria rovina. Voi..avvisati prima, state in guardia..> (2Pt 3.16,17)
Un Gesù “diverso” da quello insegnato dalla Cristianità paolina certo qui si è ben evidenziato in quel “ filo a
piombo” delle “sole Sue parole” in cui queste analisi sono rimaste, ma quale era il Gesù “diverso” che quei
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nona parte
SuperApostoli andavano insegnando, in cosa consisteva questa diversità, e ancora perché ed a cosa si riferiva Pietro
con quelle sue preoccupatissime e gravi parole ?.
Queste domande non possono essere trascurate, la Cristianità è nata “con” la “interpretazione” della figura di Gesù
fatta da Paolo e nulla è stato corretto o scartato dei suoi insegnamenti, nessun possibile travisamento essa ha visto né
ha invitato ad alcuna cautela rispetto alla lettura delle esegesi "paoline" lasciando così inascoltata ed al vuoto più
completo la grave ed allarmata messa in guardia di Pietro.
Quale poteva essere e dove poteva nascere, nei testi di Paolo, quell'errore che, per Pietro, può portare chi legge alla
“propria rovina” ? Quel “filo a piombo” delle parole di Gesù suggerito da don Fortunato si dimostrava nel tempo
sempre più indispensabile, ma anche approfondire Paolo diveniva infine a me importante: è così che infine sono nate
le considerazioni su Paolo e sui suoi scritti che ora farò seguire.
Ma non si esaurirà qui ciò che si deve vedere e dire su Paolo: altro e molto importante trattandosi delle accuse che,
ci dice lui stesso, gli erano rivolte verosimilmente da altri cristiani di <..(insegnare) menzogne..(e) fare il
male..>(Rm 3.7-8) e, assieme, della natura e origine di tali accuse. Altre e molto importanti analisi che solo più
avanti nel tempo farò e che, qui, approfondiremo al Capitolo “La Ascensione di Isaia” della 11° Parte anche grazie
all’omonimo testo Cristiano del 120 dC circa. Ma una riflessione, nel merito, la faremo anche più sotto al Capitolo
“Del bene al servizio del male” in questa 9° Parte.
IL PADRE DELLA CRISTIANITÀ
Il “fariseo-separato” Saulo di Tarso, ovvero San Paolo, dopo essere stato “grande persecutore” dei primi discepoli e
seguaci di Gesù è poi diventato, per unanime ammissione di tutti gli studiosi e della Chiesa stessa, il “ teologoesegeta” sulle cui parole, pensieri ed interpretazioni, si è fondata e costituita la religione Cristiana: più che sulla vita
e sulle parole di Gesù, parole che invero ben poco sono state “liberamente da ciò che ci dice Paolo” analizzate, è
sulle parole di Paolo che nasce la Cristianità.
Quasi esclusivamente con le parole di Paolo si cercherà infatti di comprendere la figura di Gesù: i “padri della
chiesa” tutti ed Agostino in particolare, più che Gesù spiegheranno Paolo. Non si può infatti non ricordare e vedere
che l'opera teologica di Agostino, di cui M. Vannini in linea con tutti gli studiosi dice che < Di fatto ... è il fondatore
della teologia Occidentale >, è opera prevalentemente centrata sulla esegesi di Paolo: sono le sue parole che egli
analizza, riprende e spiega col fine di “spiegare Gesù”. Sulla vera motivazione poi di questo suo impegno ed opera
più avanti dirò ciò che a me è sembrato.
Ma questa quasi esclusiva attenzione alle parole di Paolo non è stato il solo errore della Cristianità nel cercare Gesù
ed i suoi insegnamenti: se le parole di Gesù passeranno quasi in secondo piano rispetto a quelle di Paolo, la Sua vita
reale, il suo comportamento in vita, sarà letteralmente obliato, se ne vedranno solo i miracoli.
Ma di prodigi e miracoli molti altri nel tempo, oltre a Gesù, sono stati accreditati fino ai giorni nostri: oltre ai “magi”
persiani ai tempi di Gesù Simon Mago ed Apollonio di Tiana erano accreditati di fare prodigi, ma nei primi secoli di
un altro ci viene detto che in vita ha compiuto molti miracoli: Gregorio il Taumaturgo (213-270) :
“ un giorno piantando il suo bastone riuscì a fermare la piena di un fiume che stava rovinando sulla sua città, un
altro suo miracolo narra di un monte miracolosamente spostatosi al suo comando per poter edificare una Chiesa ” .
Tornando a Paolo le sue parole non sono né semplici né chiare: molti suoi passi su argomenti anche importanti ad un
primo approccio possono anche essere letti in sintonia con il Gesù “diverso” sin qui evidenziato.
Ricordo che perfino il tema, prettamente suo, della “resurrezione dei corpi”, è tema che non vede ancora oggi
unanimità tra gli esperti in merito alla “natura” che per Paolo aveva il “corpo” che deve risorgere.
Ma la grande e profonda differenza che esiste tra quel Gesù “diverso” qui visto e quello insegnato da Paolo, nel
tempo finirà col nascondersi in particolare dietro a quei pochi passi delle Scritture che, con lettura “farisaica”,
saranno messi a supporto delle esegesi paoline. Questa grande e profonda diversità si scopre solo con una analisi
che veda il completo accordo tra le Scritture, appunto, che Gesù peraltro sempre e solo conferma dicendo anche che
"non un solo iota" di quegli scritti Egli vuole cambiare, ed il “filo a piombo” delle parole di Gesù.
Paolo confonderà anche un Pietro che, certamente grazie a forti ed autorevoli inviti, solo in quella grande ed
allarmata messa in guardia, la sua seconda lettera, sembra da Paolo cautamente distaccarsi.
Gli scritti di Paolo sono straordinariamente ambigui: Antonio Pitta, esegeta biblico presso il Pontificio Istituto
Biblico, in “Come cambia la Bibbia” sottoscriverà con l'altro coautore queste parole:
< Paolo … e chi lo capisce ? Fra i testi più difficili e complessi da rendere in italiano risultano le lettere
dell'apostolo Paolo: le sue argomentazioni sono spesso serrate e contorte..>
E ci si dovrebbe chiedere, nel merito, quanto su queste contorsioni e complessità possa avere inciso il <..male
oscuro..>, l'epilessia -non curata-, di cui egli soffriva: la riduzione della facoltà cognitiva oggi è ben riconosciuta.
Ma la grande pericolosità di Paolo, mai messa in evidenza, è nel fatto che egli fa un ampio uso di parole e frasi
prese da Scritture, Salmi e Profeti, e di “formule” che verosimilmente erano nel vocabolario di molti dei primi
seguaci di Gesù e degli apostoli, della gerosolimitana "fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica", che sono frasi,
formule e parole che sono corrette se giustamente lette ma che da Paolo sono piegate alla sua "farisaica ed errata"
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nona parte
lettura di Gesù e del suo vangelo-annuncio. E solo chi -non è- <...incompetente e incerto..>, ovvero solo chi già
conosca ed abbia capito a fondo il vero messaggio delle Scritture giudaiche e di Gesù, quelle lettere e parole e frasi
non le <..travisa... rovinandosi..>, ci dice Pietro pur senza capire ancora.
Allo studio delle parole di Paolo in particolare si dedicheranno per secoli, come detto, i “padri della Chiesa”: una
analisi che purtroppo sarà corretta ma “cieca”: essi vedranno correttamente il Gesù del “vangelo-annuncio” di Paolo,
ma non si accorgeranno che esso era l'antitesi di quel Gesù “diverso” che nasce dal “filo a piombo” delle Sue parole
e nella giusta comprensione di tante delle parole frasi e formule che egli utilizza.
Personalmente sono rimasto impressionato nel constatare che nel Catechismo della Chiesa Cattolica si trovano circa
1300 citazioni da Paolo, cui si sommano circa 2000 citazioni da Concili, Documenti, Riti e scritti Ecclesiastici
mentre le citazioni delle parole di Gesù sono, se pur anche certo inevitabilmente, poche centinaia e quindi nel
complesso molto residuali.
Saulo-Paolo sarà “padre vero” della Cristianità perché questa ha pienamente assunto la “sua” interpretazione
“teologica” di un Gesù che egli non ha mai incontrato, senza badare minimamente sia alle allarmate parole di Pietro
e senza dare alcun peso al fatto che egli, ci dice lui stesso, era accusato di <..(insegnare) menzogne..(e) fare il
male..>(Rm 3.7-8).
Ma Paolo sarà “padre” della Cristianità anche per sua capacità, tenacia ed abilità nel dotare la nascente religione di
una “struttura” organizzata e verticistica di cui egli sarà il primo capo: struttura mediata e copiata dalla struttura
militare romana più ancora che da quella sacerdotale giudaica. Quelle militari sono strutture infatti che egli conosce
bene, suo padre è fornitore di tende all’esercito romano e la sua famiglia è quindi sempre stata in contatto con i più
alti ambienti militari romani.
Con Paolo forse per la prima volta nella storia, un organismo religioso si struttura con organigrammi e regole
“militari”, i sacerdoti di tutti i tempi hanno sempre goduto di una sovranità limitata ad solo tempio-città o poco più e
sono sempre stati riconosciuti e legittimati al loro compito, per la loro riconosciuta qualità morale e spirituale, dalle
popolazioni con cui erano in contatto e che seguivano.
Con Paolo invece sarà l'apparato organizzativo, con i vari livelli di competenze, compiti e controllo scalare, a
legittimare. Sarà “questo” motore in particolare, assieme alla “raccolta organizzata del denaro” prima ed
all'appoggio imperiale romano poi quando essa diverrà per legge la sola “religione dell'impero”, a dare alla nascente
Cristianità quella forza che nessuna altra religione avrà per millenni.
Conterà certo moltissimo anche la presa sociale di una dottrina facile ed immediata e soprattutto che gratificava
sostenendo un “io fisicamente eterno”, ma ha contato anche il fatto che con l'appoggio imperiale la “Nuova
religione” ha cercato e voluto il silenzio, ottenuto con tutti i mezzi e forze possibili, di ogni altra voce, di ogni
scritto, di ogni persona o corrente che presentasse una visione del Divino diverso dal suo. Uccise e bruciati saranno
per millenni anche le persone, oltre agli scritti, che cercheranno di mostrare un messaggio di Gesù “diverso” dal suo.
Solo molto tardi arriverà una richiesta di “perdono” purtroppo vuota e che a nulla servirà, anche se sentita, poiché
essa non ha compreso “il perché” tutto ciò è avvenuto: un perdono chiesto per colpe <..di alcuni uomini di
Chiesa..>, un perdono cieco che non ha visto e non ha voluto vedere i possibili errori di fondo che tutto ciò hanno
prodotto ed altro certamente produrranno.
Nella Cristianità ancora oggi possiamo vedere le stesse “interpretazioni” come anche le stesse “strutture
organizzative” e gli efficaci “strumenti di raccolta di denaro” che Paolo e Pietro hanno impostato: tutto certamente
più affinato. La “raccolta organizzata del denaro” ed il preteso diritto ad essere mantenuti per il compito di
insegnamento e proselitismo, vale la pena di ricordare, fu da subito iniziata e portata avanti sistematicamente da
Paolo e da Pietro:
<..io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? E chi mai presta servizio militare a proprie spese? ..Chi fa
pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? .. è la Legge che dice così. > (1 Cor 9.6-8)
Prassi che fu da subito oggetto di critiche e accuse da parte di alcune comunità, come Paolo stesso ci dice :
< In (questo) siete stati inferiori alle altre Chiese...: io non vi sono stato di aggravio...
vi ho forse sfruttato per mezzo di quelli che ho inviato tra voi ?..>(2 Cor 12.13-17)
a questa prassi della “richiesta” di denaro e accettazione solerte e compiaciuta di donazioni sono ben testimoniate
anche in Atti 5.1-11: in quell'episodio Pietro rimprovera, fino a causarne la morte, Anania prima e la moglie poi
perché avevano trattenuto per sé stessi, anziani, una parte del ricavato dei loro beni da essi venduti per donare il
ricavato alla Chiesa. Una prassi che nel tempo si aggraverà e, oggetto di forti critiche da parte di Porfirio (233-305),
viene sostanzialmente confermata da vari autori cristiani nel collegarsi a tali critiche:
< Dunque facciamo attenzione...affinché non diventiamo nel popolo gli esattori..> < Ti concedo, o Porfirio,
che essi (seguaci di Paolo) hanno compiuto prodigi...al fine di raccogliere le ricchezze di donnette danarose che
essi avevano ingannato...>(Porfirio, Contro i cristiani, a cura G.Muscolino, fr.97; fr.4)
La “decima”, istituzione che nasce per i Giudei nella Torah, sarà mantenuta quale obbligo anche dalla paolina
Cristianità che pure ritiene quel testo “superato”: nel V e VI secolo, quando essa sarà religione imperiale, questo
obbligo si estenderà e rafforzerà; le scomuniche, le censure e la emarginazione sociale che per coloro che non
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nona parte
erano Cristiani e non volevano pagare, erano certamente insostenibili.
Tutto questo oggi non è più ma, almeno in Italia, la “certezza” piuttosto forzata di quegli introiti per il Cattolicesimo
non sono affatto cambiati, introiti peraltro di un denaro che Gesù ben chiaramente dice essere del Cesare; ma più
importante sarà il seguitare l'opera di Paolo.
E, anche e soprattutto, questo “pagamento” per una pretesa “Santa opera” viene chiesto, cercato e preteso
nonostante che Gesù, altrettanto chiaramente, ai suoi discepoli di tutti i tempi dica :
< Gratuitamente avete ricevuto e gratuitamente date >(Mt 10.8)
La “Parola” dell'Assoluto, del Logos-Cristo, la Ruah-Santa che “gratuitamente” parla ad ognuno, non può che essere
“data gratuitamente” e chi così non fa certamente “quella Parola” non ha, e non può avere, compresa e capita.
Tutto ciò nasce con Paolo ma poco ha a che fare però con Gesù !.
L' ESEGETA FARISAICO
Saulo, romanizzato Paolo, non ha mai smesso di “vedere e sentire” farisaicamente, di “separare” uomini da uomini,
uomini da donne, Dio dagli uomini.
Egli, fariseo “zelante e rigido”, resterà sempre in quell'errore di “separazione” che è la vera critica di Gesù ai farisei:
non più “io-separato” appartenente al giudaismo egli sarà “io-separato” appartenente alla “sua” Chiesa tra i pagani.
Egli resterà “ipocrita” come i farisei che Gesù così ammoniva, una ipocrisia che Nietzsche ben saprà vedere in
quella Cristianità che è figlia di Paolo: pur parlando di “mondo oltre il mondo” < al corpo credono...più di tutto (e)
il loro corpo è per essi la cosa in sé > scriverà. Inconsapevole, nascosta e sottile, ma profondissima e tragica
ipocrisia. Saulo-Paolo era un “fariseo” zelante, oggi diremmo “integralista”, egli dirà di sé:
<..oltre ogni misura perseguitavo la Chiesa di Dio, cercando di distruggerla, superando nel giudaismo
la maggior parte dei miei connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri >(Gal 1.13,14)
< io..sono stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento..>(1Tm 1.13)
In Atti ci viene detto che egli era in grado perfino di portare il Sommo Sacerdote a legittimare la “sua” opera di
violenta persecuzione: <..si presentò al sommo sacerdote e “gli chiese” lettere...al fine di essere autorizzato a
condurre in catene uomini e donne seguaci..di Cristo..>(At 9.1,2)
Egli è, tra i Farisei, un riconosciuto grande esperto dei testi Giudaici e della Scrittura ed è pertanto uno dei principali
“accusati” dalle parole di Gesù, sempre durissime nei confronti di “farisei e scribi”.
Ma la Scrittura da lui, come da tutti i “farisei”, non è capita: questo ci dice Gesù la cui principale opera, come visto,
sarà quella di confermare e spiegare, diversamente rispetto a loro, quei testi.
La rigida e formale educazione prima e la rigorosa, fervida e totalizzante osservanza poi di una Legge che,
incompresa, diviene vuota osservanza di regole, norme e precetti, provocherà a Saulo una vera frustrazione.
La Legge, farisaicamente così trasformata in parole sterili, a Paolo infine resterà lontana.
Egli pur arrivato ad un “sentito” e corretto “rifiuto” di ciò cui portava quella vuota lettura delle Scritture non andrà a
cercare di capire quei testi con le parole di Gesù ma resterà nello stesso errore arrivando a dichiarare le Scritture
quali “fonte e causa”, “a prescindere”, di peccato:
< il peccato non dominerà più su di voi poiché non siete più sotto la Legge > (Rm 6.14), < io ho conosciuto il
peccato per mezzo della Legge...ho conosciuto la concupiscenza perché la Legge dice “non desiderare”>(Rm 7.7),
<..la Scrittura..ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato > (Gal 3.22)
Argomentazioni che più che di analisi “teologiche” sembrano avere bisogno di analisi “psicologiche”!.
Gesù peraltro ha ben chiaramente confermato quel “non desiderare” delle Scritture che Paolo, in una tutta personale
interiorizzazione, così duramente condanna.
Ma contemporaneamente a questo, con una dicotomia impressionante, schizofrenica e pericolosa, egli, come
vedremo in modo incorretto ed arbitrario, userà alcuni passi proprio di quei testi da lui tanto degradati, -portandoli a
sostegno- delle “proprie” tesi e delle “proprie” deduzioni :
< Cristo morì per i nostri peccati “secondo le Scritture”(la Legge) e fu sepolto.
È risorto il terzo giorno “secondo le Scritture” e apparve..>(1Cor 15.3,5)
Estrarre però da quei testi un poco frasi qua e là e ritenere valide solo quelle è irrazionale e pericolosamente subdolo.
Infatti proprio nella “validità” di ciò che si dichiara “non valido” si cerca e si ottiene il sostegno a ciò che si afferma.
Niente di ciò che così esce si dovrebbe tenere in alcuna considerazione ma invece quelle tesi e deduzioni di Paolo
così avranno, grazie alla sua asserita profonda “conoscenza” di una -degradata ma in quei passi valida- Scrittura,
una maggiore forza e diverranno fondamento della Cristianità.
Giustamente, ma tragicamente dato quanto sopra, Mons. Ravasi in “La buona Novella” dirà che:
< in queste righe ( Paolo 1Cor 15.3,5) è raccolto il cuore dell'intero Nuovo Testamento...
( in esse) la.. morte (di Gesù) è “interpretata” come segno di redenzione alla luce dell'Antico Testamento >
E giustamente ma tragicamente si avrà così grazie a Paolo la cristiana dottrina di un Gesù quale "Cristo Redentore",
una "dottrina della salvezza etero-redentrice" contro quella "auto-redentrice" vista nel mondo intero e che è
insegnamento anche di Gesù: l'insegnamento di quella "conversione-cambio di mentalità" che Egli rintraccia, come
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nona parte
il suo contemporaneo Filone, nelle Scritture, in ciò che queste, come visto, dicono con le figure di Abramo, Isacco e
Giacobbe.
Giustamente Mons. Ravasi dice che queste “interpretazioni” di Paolo, come tante altre sue, sono “alla base” di un
Cristianesimo che è quindi più di Paolo che di Gesù. Ma, ancor più giustamente, Mons. Ravasi poco oltre
sottolineerà che insigni neotestamentaristi ritengono < che i quattro evangelisti >, e Paolo ad essi può a maggior
ragione essere aggiunto, <..sono “autori” in senso stretto, capaci di compiere sui dati tradizionali vere e proprie
operazioni redazionali, pronti ad offrire “profili originali (cioè non autentici ndr) di Gesù e del suo messaggio”..>.
Solo perciò nel cercare di leggere all'unisono Gesù e le Scritture, interamente e con Profeti in particolare come
sottolinea Pietro nella sua seconda lettera, si poteva trovare il Gesù più vero. Ma una “paolina” Cristianità non potrà
e non sarà capace di farlo e così in quella Legge che Gesù ha solamente voluto “spiegare” anche essa finirà per
vedere ciò che vedeva Paolo:
< l'Antico Testamento...contiene cose imperfette e temporanee ..(esso) era soprattutto ordinato a preparare..
l'avvento di Cristo > CCC122;
è per questa errata visione che finirà incompresa la frase di Gesù, riportata in Matteo, che dice:
< non sono venuto per abolire (Legge e Profeti); ma per dare compimento >(Mt 5.17)
Quella locuzione, “dare compimento”, ha ben altro significato rispetto a quel “modificare e correggere” che la
Cristianità vede. “Dare compimento”, per un Gesù che sempre e solo “conferma” le Scritture, le “spiega” e le mette
a “supporto” dei suoi insegnamenti, non può avere altro significato che “fare sì che si compia” quanto in essa era
visto e scritto. Gesù ci dice che è < venuto a portare un fuoco > che dice < vorrebbe che fosse già acceso >:
è un fuoco che dovrà “rischiarare il buio in cui è l'umanità caduta” e che dovrà “bruciare l'illusione dell'io”, l’errore
diabolico di separazione ma, dirà, prima dovrà “compiersi” < l'abominio della desolazione > e:
< ..vendetta ...calamità..(vi saranno) finché i tempi...siano compiuti >(Lc 21.22-24)
Il “dare compimento-far sì che si compia” di Gesù dice della stessa Verità di cui dicono queste altre Sue parole:
<...non passerà nemmeno uno iota dalla Legge senza che tutto sia compiuto.. >(Mt 5.18),
ci dice quindi di un futuro prevedibile e che si compirà, un futuro di cui Egli è attore in-esistente ed inesistente in sé,
che vive la Sua parte: un futuro “armonicamente o karmicamente destinato” che “tutto si compirà” in quei “tempi
che devono passare”, un futuro già scritto nelle pagine della Legge dice Gesù .
Un futuro che, quando quelle parole furono scritte, era, ma anche oggi è, visto da chi ha “sapienza e conoscenza”, un
futuro di cui dicono le apocalissi-rivelazioni di tutto il mondo antico, un futuro di cui hanno detto i Profeti come le
Sibille, giustamente affiancati da Michelangelo negli affreschi della Cappella Sistina con una assimilazione della
quale ancora non sappiamo vedere il pur chiaro motivo. Un futuro visto dalla Sapienza pagana, le Sibille ma non
solo esse, come era visto da un Gesù pienamente apocalittico, ma come tale oggi negato, che ha detto:
<..è necessario che...avvenga..l'abominio della desolazione.....una tribolazione grande.. >(Mt 24.6)
< ..non passerà ( non sarà superata ndr) questa generazione ( di morti allo spirito,
di umanità caduta nell'io-materialità ndr) prima che tutto questo accada..> (Mt 24. 34)
Solo con quegli accadimenti, armonicamente-karmicamente, quell'errore si correggerà dice Gesù, eventi che nessuno
può però temporalmente prevedere: < Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli
del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre.> (Mt 24.36)
Nessuna volontà di “nuova Verità” vi è anche in queste affermazioni come in tutte le parole di Gesù.
Ma una incomprensione che stravolgerà le Sue parole farà infine nascere una “Nuova Legge” che in realtà non è mai
esistita nelle parole di un Gesù che invece sarà visto come colui che:
<..( dà ) compimento alla legge Antica, la purifica, la supera, la porta alla perfezione > CCC1967
LA LEGITTIMAZIONE CRISTOLOGICA
Nascerà soprattutto grazie all'esperto in Scritture Paolo, arbitrariamente agganciata alle Scritture giudaiche, la
cosiddetta “legittimazione Cristologia” ovvero la legittimazione del Gesù “visto” da Paolo sulla base di supposte
“dirette ed uniche” relazioni tra Lui, il Gesù “fisico” visto quale unico Messia-Unto-Cristo-Logos-Parola-Figlio, ed
alcuni passi di una Legge e Profeti che però è al contempo dicotomicamente dichiarata “da superare”.
Per “legittimazione Cristologica” si intende infatti il processo e lo sviluppo del tentativo di “dimostrazione”, sulla
base di alcuni incompresi passi di Legge e Profeti, che “le Scritture hanno parlato di un “unico e fisico” MessiaUnto-Cristo-Figlio-Logos-Parola e che questi è Gesù”. É così che, al nome di Gesù, si affiancherà il titolo di
“Unico Cristo-Figlio”: sarà a causa della farisaico-separatrice comprensione, vera incomprensione, da parte di un
Paolo che influenzerà gli evangelisti Marco e Luca e che come visto forse porterà a “correggere” lo scritto di
Matteo, che sarà “Unico Cristo-Figlio” un Gesù che invece è in una “messianicità” che è lontanissima da ogni
“singolarità ed unicità”.
E su quella strada di totale incomprensione non potrà succedere altro: finiti sempre più lontani ed evanescenti il
Padre la Santa Ruah-Vento-Spirito-Madre e l' “universale” Figlio-Cristo-Logos, non resterà che un “materiale”, se
pur di natura divina, “unico” Dio-Figlio.
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nona parte
Nascerà soprattutto con Paolo, sulla scia della giudeo-farisaica errata lettura delle Scritture, una Cristologia cieca e
limitata, “personalizzante e separatrice”, che vedrà in Gesù la “personificazione unica” di una esperienza di
“illuminazione” e “divina con-prensione” che invece per le Scritture e per Gesù era ed è assolutamente “inesclusiva
e di tutti i tempi”, era ed è “condizione e stato” a tutti disponibile ed auspicabile, strada di tutti.
Esperienza, stato e condizione, forza divina, cui “tutti” si arriva e perviene per la strada che la Scrittura e Gesù, ma
non solo, segretamente ed unitariamente, indicano.
< ..(il Signore) mi ha detto: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato..”>(Sal 2.7)
A quello stato e condizione, già approfonditi in precedenza, a quella “con-versione”, si perviene in quell' “oggi” che
ci “rivede”, “rinati”, visceralmente legati, inesistenti in sé ma in-esistenti al Tutto, figli di un Assoluto che è Tutto.
Chi ha orecchie per capire capisca: così con parole di Verità, se pur in apparenza sbrigative, chiudeva spesso le Sue
spiegazioni Gesù.
Paolo, invece vedrà in Gesù unicamente il giudeo-farisaico “Unico Messia” che ancora oggi gli Ebrei, nello stesso
errore, aspettano, e si compirà così il “trasferimento” nascosto ed involontario, alla Cristianità, di quel ben più largo
“ipocrita errore farisaico” condannato da Gesù.
IL CRISTO REDENTORE
Nascerà solo grazie a Paolo, e ancora arbitrariamente agganciata alle Scritture giudaiche, la credenza e tesi, fondante
per la Cristianità, di un Gesù quale "Cristo Redentore" della umanità, di un Gesù Figlio unico di Dio che col suo
sangue si è caricato dei peccati dell’uomo:
< Cristo morì per i nostri peccati “secondo le Scritture”(la Legge)..>(1Cor 15.3)
<.. tutti hanno peccato... ma sono giustificati ... in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù...>(Rm 3.24,24).
<... Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è divenuto per noi sapienza, giustizia, santificazione e
redenzione ...>(1Cor 1.30)
<...Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo... suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione
mediante il suo sangue, la remissione dei peccati....>(Ef 1.3-7)
<...(Cristo Gesù) ... per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati..>(Col 1.13,14)
Mons. Ravasi in “La buona Novella” come visto dirà che:
< in queste righe (Paolo 1Cor 15.3) è raccolto il cuore dell'intero Nuovo Testamento...
( in esse) la.. morte (di Gesù) è “interpretata” come segno di redenzione alla luce dell'Antico Testamento >
Tragicamente si avrà così grazie a Paolo, e senza alcun accenno o parola nel merito da parte di Gesù, ma -necessario
completamento e sostegno-, alla luce della umana vicenda di Gesù, della sua farisaica visione di un Gesù “Unico
Messia”, la cristiana dottrina di una “Salvezza” che all’uomo viene dal sangue della crocefissione di Gesù.
Nessun impegno a portarsi a “capire e vedere”, nessun bisogno di “cercare” come invece indica Gesù, nessuna
“Saggezza” da raggiungere e all’uomo non resta quindi che il seguire ciecamente, per “fede”, dei comandamenti che
pur divina saggezza così divengono “regole” comportamentali, “precetti per uomini”, precetti per chi, forzatamente
così, resta nella “caduta”.
Un disastro, si cancellerà così per l’intero Occidente quel necessario sforzo di ricerca, q uella filosofica dottrina
pagana ma anche della prima cristianità, oltre che di Gesù, che insegnava ed invitava alla personale elevazionesaggezza. Una dottrina che vedeva, e non può non vedere come vedremo con Origene in particolare, prefigurata la
possibile reincarnazione, dottrina e insegnamento questo inconciliabile con il Gesù ed il vangelo di Paolo, come
conferma la cristiana Commissione Teologica Internazionale:
<...(nella dottrina della reincarnazione) l'anima si salva solo attraverso il proprio sforzo. In questo modo si
sostiene una soteriologia autoredentrice, del tutto opposta alla soteriologia eteroredentrice cristiana. Ebbene, se si
sopprime l'eteroredenzione, non si può più parlare di Cristo Redentore. Il nucleo della soteriologia del N.T. è
contenuto in queste parole:
"E questo a lode e gloria della sua grazia che (Dio) ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la
redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia" (Ef 1,68).
Con questo punto centrale -sta in piedi o cade- tutta la dottrina sulla Chiesa, i sacramenti e la grazia..>
( Commissione teologica internazionale. Documenti 1969-2004 pag 462)
E' solo grazie a Paolo, alla sua incongruente, farisaica e assurda e pericolosa "interpretazione" di Antico Testamento
e Salmi e Profeti, che la cristianità "sta in piedi", conferma la su citata Commissione Teologica. Niente di peggio si
poteva dare e si può accettare.
PAOLO E GLI APOSTOLI
A Paolo, occorre ricordare, è certamente riconducibile in larga parte se non completamente la responsabilità della
uccisione di Stefano: a quanto già detto in precedenza al capitolo "ellenisti", si deve aggiungere il fatto che i mantelli
di coloro che lo lapidarono sono stati a “lui” consegnati:
< deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane chiamato Saulo >(At 7.58)
< Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione >(At 8.1)
304
nona parte
Questo gesto, il “tenere i mantelli”, in una società arcaica quale quella dei tempi di Gesù, è certamente chiesto e
cercato, da parte di coloro che “eseguono” un verdetto, col fine di sollevarsi dalla responsabilità dell’assassinio,
dalla responsabilità di una “decisione non loro”: responsabilità che chi i mantelli custodisce, chi loro permette e
quindi “autorizza” quel gesto, chiaramente così si assume. Paolo, fondamentalista fariseo, sarà attivo promotore ed
esecutore della morte di Stefano, bisogna dire e vedere dopo anche le considerazioni fatte al citato capitolo
"ellenisti", verosimilmente perché come sempre avviene il fondamentalista vive come un attacco personale, un
attacco quasi alla sua fisica vita, la messa in discussione di ciò su cui egli ha creato la propria identità, ciò che è
fondante per lui e senza il quale egli si sente morire e quindi teme, anche fisicamente.
Questo, bisogna sapere e dire, è ciò che con altissima probabilità ha mosso Paolo a questa come alle altre
persecuzioni da lui ammesse e dichiarate e ciò che, anche, lo ha portato ad una rottura dei rapporti con i Sacerdoti e
la sua esclusione ed allontanamento da essi. Allontanamento e rottura che genererà in Paolo un astio ed un bisogno
di ritorsione e rivincita che sono palesi nei suoi scritti, e che molto conteranno nel suo operare, nella sua missione.
Paolo è un uomo dalla personalità complessa, egli è astuto ed abile come pochi, l'opera di infiltrazione, spionaggio e
delazione che egli ha svolto nei confronti dei primissimi seguaci di Gesù esigeva queste capacità, ma soprattutto egli
è un vero “gigante” biblico-enochico:
egli fa, dispone, è capace organizzatore, sa convincere e sa far fare ciò che egli vuole, gli obiettivi che si dà li
persegue e li ottiene con rigore e caparbietà: egli è Grande, un “gigante”, ma enochico.
La sua opera di evangelizzazione dei pagani, opera che ha visto soprattutto la costruzione di una “sua” rete di
relazioni, di adepti e di fedeli, è un'opera che egli svolgerà, oltre che senza avere mai conosciuto Gesù, senza
nemmeno avere mai parlato, per ben tre anni, con alcuno degli apostoli che hanno vissuto con Gesù e che hanno
udito le Sue parole:
< subito, senza consultare nessuno..senza andare ..da coloro che erano apostoli prima di me..
(annunziai Gesù)..in Arabia e Damasco.. dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa...>
(Gal 1.16 e seg.)
Egli quindi inizierà a spiegare Gesù, dirà delle Sue parole, dei suoi sentimenti e della Sua Verità senza avere mai
udito in merito né Gesù né chi aveva vissuto con Lui.
Dopo questi <..tre anni..> resterà poi solo < quindici giorni > con Pietro per “informarlo del suo lavoro” e solo
dopo altri < quindici anni > passerà con gli apostoli alcuni altri giorni per < esporre loro il vangelo da lui predicato
tra i pagani >: “esposizione” che era però riferita in particolare alla controversa questione della, fisica, sembra,
"circoncisione dei pagani”.
Tempi insufficienti, credo, per potere comprendere e capire quel Gesù “diverso”, profondo e “nascosto”, secondo le
stesse parole di Gesù, che avrebbe invece “umilmente” dovuto cercare.
Tutta l'opera di Paolo sarà svolta sotto il “suo rigido e fermo controllo” ed egli non tollererà alcuna critica o
discussione liberandosi o imponendosi a tutti coloro che, spesso inviati dalla chiesa di Gerusalemme per verificare il
suo operato, potevano essergli di intralcio.
É stato così per Pietro che, inviato da Gerusalemme anch'egli con < ...disposizioni, da Giacomo, che ogni anno
doveva inviargli per iscritto quanto lui aveva detto ed operato..>(I Ritrovamenti, I.17), fu messo subito da Paolo in
condizioni di inferiorità con la accusa di inaffidabilità, di < simulazione ed ipocrisia >:
< ..mi opposi (a Cefa) a viso aperto..e altri lo imitarono nella simulazione, al punto che
anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia..>
Più tardi poi è stato così anche per Barnaba, un altro inviato da Gerusalemme che “seguirà” molto Paolo in un
rapporto di certa dipendenza : < era lui (Paolo) il più eloquente >(At 14.12) .
Barnaba, che per due volte accompagnerà Paolo a Gerusalemme facendosi così “garante” della sua figura ed opera,
sarà infatti allontanato da Paolo assieme a Giovanni detto Marco, discepolo della chiesa di Gerusalemme che aveva
manifestato dissenso rispetto all'operato di Paolo:
< Barnaba voleva prendere anche Giovanni, detto Marco, ma Paolo riteneva
che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro...e non aveva voluto partecipare alla loro opera.
Il dissenso fu tale che si separarono..Barnaba.. (andò) con Marco.. Paolo invece scelse Sila..>(At 15.37-40)
Paolo riterrà di avere capito e compreso Gesù e vorrà imporre la “sua” visione e versione:
< ..Così avverrà...secondo il “mio vangelo”.. >(Rm 2.16) <.. Ricordati di Gesù...(che) è risuscitato dai morti,
secondo il “mio vangelo”.. >(2Tim 2.8) <..il vangelo da me annunciato...che io predico..>(Gal 1.11; 2.2)
<..il nostro ( mio ) vangelo..> (2Cor 4.3; 1Ts 1.5; 2Ts 2.14)
E quando alcuni <..Super Apostoli..> andranno a parlare, fuori da quei territori Giudaici “a cui egli li voleva
relegati”, di un Gesù che contrasta con la “sua” visione ed insegnamento, Paolo dirà:
<..vi predica un Gesù “diverso” da quello che vi abbiamo predicato noi..
( vi consegna ) uno spirito diverso da quello che avete ricevuto..un “altro vangelo” che non avete ancora sentito...
(ma) io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi “SuperApostoli”...non lo sono nella dottrina,
come vi abbiamo dimostrato... >(2Cor 11.4-6)
305
nona parte
< vi sono..alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il ( mio ) vangelo di Cristo >(Gal 1.7)
Paolo con il termine SuperApostoli, che per come da lui è espresso assume un tono dispregiativo teso ad esautorare
oltre che essere irrispettoso, indica con evidenza qualcuno di coloro che hanno vissuto con Gesù o al più qualche
loro diretto “incaricato o discepolo”: sono questi che Paolo combatterà e contrasterà, duramente, quando vanno a
predicare nei territori che egli “arrogava a sé” dicendo:
<..colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo per i circoncisi (Giudei),
aveva agito in me per i pagani..> (1 Gal 2.8)
IL DISSENSO SULLA RESURREZIONE
Tra gli argomenti, di cui siamo stati informati, oggetto di discussione con gli apostoli rimasti a Gerusalemme, vi è il
problema della osservanza o meno di tanti precetti Giudaici: problema “formale” se non si capisce “perché e dove”
nascono questi contrasti. Questi episodi peraltro ci attestano e testimoniano che la riconosciuta “comunità madre” di
Gerusalemme, con a capo Giacomo, è sempre rimasta saldamente “legata” ed “inserita” nel Giudaismo.
Ma un ben più importante argomento di “differenza” tra gli insegnamenti di Paolo e ciò che altri, a fianco dei citati
SuperApostoli, vanno insegnando, sarà proprio la “resurrezione” che Paolo va predicando:
< ..Imeneo e Fileto i quali...deviano...sostenendo che la resurrezione è già avvenuta >(2Tm 2.18)
Paolo qui, parla con chiarezza di un accadimento riguardo al quale egli non ritiene necessario alcun dettaglio:
l'argomento con evidenza era la “resurrezione dei morti” da lui insegnata ed in cui sopra a tutto egli -spera- :
<..quale ..riammissione..se non la resurrezione dai morti..>(Rm 11.15)
<..verrà..la resurrezione dei morti..>(1Cor 15.21) <..perché io possa... con la speranza di giungere alla
resurrezione dei morti..>(Fil 3.11)
Una resurrezione che però gli era contestata :
<..se non esiste la resurrezione dai morti, neanche Cristo è resuscitato..>(1Cor 15.13)
Paolo, nel passo citato di 2Tm 2.18 , “contesta” ad Imeneo e Fileto la loro affermazione-tesi-convinzione che la
resurrezione, per Paolo evento della fine del mondo, “sia già avvenuta”.
È evidente qui che il riferimento specifico è ai Cristiani, ai seguaci del Cristo Gesù, a coloro che per Paolo sono i
destinatari primi del “premio” della “resurrezione fisica” della fine dei tempi che egli insegna mentre Imeneo e
Fileto sostengono, dicendo che la resurrezione è già avvenuta, la “resurrezione-conversione-cambiamento di
mentalità” -in vita- da essi compiuta, la resurrezione in queste pagine approfondita: quella insegnata da Gesù,
abbiamo visto.
Una “resurrezione in corso di vita”, simbolizzata nelle Scritture con la “circoncisione”, che è necessaria all'uomo e
compiuta anche da Gesù come visto ma “rinascita” che Paolo contesta e rifiuta, che non sa capire: una resurrezione
che è vista anche nel Vangelo di Filippo, forse proprio uno dei “SuperApostoli”, che dice infatti :
< Coloro che dicono che il Signore prima è morto e poi è risuscitato, si sbagliano..>(VdF 21)
< Coloro che dicono che prima si muore e poi si risorge, si sbagliano..>(VdF 90)
Paolo invece vede e può vedere solo la “continuità” anche fisica dell “io-creato”: il suo desiderio di vivere
“personalmente” in eterno gli renderà impossibile il capire ed accettare questa “resurrezione” che è “morte dell'io e
rinascita, in-esistenti, al Tutto”.
Lo straordinario desiderio di quel “gigante dell' io” di continuare a “vivere eternamente” porterà Paolo a vedere
possibile tale conquista in una “adesione sacramentale”, “cieca, inspiegata e vuota” al Gesù “fisicamente” risorto.
<.. come Cristo fu risuscitato dai morti anche noi possiamo camminare in nuova vita...
uniti a lui... lo saremo anche con la sua risurrezione ..>(Rm 6.4)
< E se ..colui che ha resuscitato Cristo dai morti abita in voi, (egli)..darà la vita anche ai vostri corpi mortali..>
(Rm 8.9-11)
< Voi..siete morti..quando si manifesterà Cristo .. anche voi sarete manifestati con Lui nella gloria..>(Col 3.3,4)
<.. i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati..il corpo corruttibile si (deve) rivestire di incorruttibilità
e il corpo mortale..di immortalità ..>(Cor 15.52,53)
Tornando ad Imeneo e Fileto ed alla “resurrezione in vita” da essi vista, quella che essi dichiarano <..già
avvenuta..>, vuole notato che evidentemente tale dottrina, visione ed insegnamento, non poteva nascere con i quasi
sconosciuti Imeneo e Fileto. Vale la pena allora qui ricordare che Paolo ha avuto un forte contrasto con la casa
madre di Gerusalemme, contrasto durissimo che i testi neotestamentari mascherano dietro la diatriba, rapidamente
peraltro risolta, sulla “fisica circoncisione” dei pagani ma che certamente non si limitava a quello.
Dietro alla discussione sul segno “fisico”, e ne è spia il fatto che nonostante fosse stato risolto in quella visita a
Gerusalemme avvenuta “dopo quindici anni” nella quale si era deciso di esentare i pagani dall’obbligo della “fisica”
circoncisione, il tema è quasi ossessivamente ripreso da Paolo nelle sue lettere, c'era quella sulla “circoncisione
spirituale” ovvero sulla “resurrezione spirituale-cambiamento di mentalità-conversione” -in vita- di cui abbiamo
detto: quella citata dallo stesso Paolo, ma senza capirne a fondo il significato, con queste parole: <..la circoncisione
è quella del cuore..>(Rm 2.29).
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I contrasti con la casa madre di Gerusalemme sono stati forti: questa non si fidava di Paolo, lo esigeva controllato
ma questa opera non gli riuscirà a pieno, gli sfuggiranno a lungo, complice un Pietro soggiogato da Paolo, le sottili
deviazioni teologiche che egli compirà.
Sfuggiranno a lungo perché parole e scritti di Paolo sono colmi di inserimenti, quale quello sopra di Rm 2.29, -in sécorretti e giusti ma che sempre, sottilmente, Paolo trasporta e piega al “suo” errato vangelo-visione, ma conterà
anche il fatto che Paolo cercherà di eludere quel controllo, che non accettava, allontanando chi non lo seguiva
incondizionatamente.
E conteranno le sue lettere che nascono tutte per ribadire il “suo” vangelo -contro- quello che altre evidentemente
importanti figure insegnavano, e per mettere in guardia più o meno velatamente da quei “circoncisi”,
sprezzantemente dice, che insegnano un Gesù “diverso” dal suo. Dice Paolo, con acredine e disprezzo, degli
Apostoli, della Chiesa gerosolimitana e di coloro che questi invia per verificare gli insegnamenti da lui dati :
<..quello che possono essere stati un tempo ( gli Apostoli ndr), a me non importa..>(Gal 2.6)
<..intrusi, falsi fratelli infiltratisi fra noi per spiare la libertà che abbiamo..>(Gal 2.4)
<..ci sono molti ribelli, cialtroni e seduttori, specialmente quelli della circoncisione..>(Tit 1.10)
<..costoro (missionari ostili a Paolo) sono zelanti nei vostri riguardi ma per fini non onesti.. >(Gal 4.17)
<..rivolgete preghiere per me a Dio, perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea..>(Rm 15.30,31)
E non dobbiamo pensare che le voci dei veri Apostoli, dei dodici, che a Gerusalemme e fuori erano in contrasto con
Paolo, fossero quelle di pochi elementi.
Certamente Giacomo, il capo della comunità, volle evitare una rottura troppo frettolosa, temporeggiò abbagliato dai
“successi” che riportava loro Pietro e certo anche dagli importanti aiuti finanziari che Paolo gli faceva arrivare.
Ma nessun “vero” Apostolo, non si può dimenticare, a parte Pietro, è mai stato a fianco di Paolo: questo dice
moltissimo.
IL GIGANTE DELL' IO
Dicevo che Paolo è un vero “gigante” biblico-enochico: gigantescamente grande è l'”io” che farisaicamenteseparatamente si è costruito e che sempre lo ha accompagnato nella vita: nonostante quell'inconsistente mantello di
umile bontà che egli mostrerà, sempre il “proprio io” sarà al centro di ogni volontà e parola di questa figura:
< io ho autorità datami dal Signore >(2Cor 10.8);
< io non sono un profano nella dottrina >(2Cor 11.6); <fatevi miei imitatori >(1Cor 11.1)
< io non ritengo di essere in nulla inferiore ai “Superapostoli” >(2Cor 11.5); <(si) deve riconoscere che quanto
scrivo è comando del Signore > (1Cor 14.37); <..la nostra (mia) capacità viene da Dio..>(2Cor 3.5)
Paolo, gigante dell' “io” che nulla ha compreso dell' “abbassamento di vento” suggerito da Gesù come anche delle
Sue parole in cui invita a “non chiamare nessuno -Padre- su questa terra”, arriverà ad autoeleggersi “Padre” dei
nuovi cristiani :
< Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché
sono io che vi ho generato in Gesù Cristo ..>(1Cor 4.15)
Il “gigante dell'io” Saulo arriverà a sentirsi colui che “completa l'opera incompleta di Gesù”, lavoro che con
farisaica ipocrisia dirà di fare “per quei -suoi- discepoli” che egli vuole fare “corpo di Gesù”, Chiesa Corporale:
< sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e
completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo ... >(Col 1.24)
Ma non solo, il suo “gigantesco io” arriverà ad attribuirsi il “potere di Gesù” per fare addirittura ciò che Gesù ha
sempre invitato a non fare: “ giudicare” e, quindi, condannare:
< io (vi dico): nel nome del Signore nostro Gesù ( e)
con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balia di Satana..>(1Cor 5.45)
<.. Imeneo e Alessandro, che ho consegnato a Satana..)(1Tim 1.18)
L'errore “farisaico dell'io” che “separa” e “si separa”, errore in cui Paolo resta sempre in pieno, si trasporterà
interamente ad una Cristianità che vede, insegna, proclama e sostiene, sempre e solo l' “io”.
Un “io” che, essa dice, deve “salvar-si”, “amare un prossimo altro da sé” e “perdonare”: ma “perdonare” implica
un “giudicare” che Gesù condannava: “non giudicate” Egli diceva.
Una Cristianità che, seguendo quel S.Agostino che nel suo “compito di difensore” della Cristianità assorbe
interamente e solamente Paolo, insegnerà un “io” che anziché “perdersi-annullarsi” in Dio, “si riempie” di Esso
con il fine di lenire i “propri” dolori e pene :
< unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena. Sarà vera vita la mia, tutta piena di Te >
(CCC 44- S.Agostino-)
La “conversione” di Paolo, quella caduta da cavallo di cui sappiamo solo per le sue parole ed alla quale forse non fu
completamente estraneo quel < male oscuro >, l'epilessia, che egli stesso ci dice di tanto in tanto coglierlo, non
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nona parte
arriva a cambiare “al fondo” la sua natura.
Egli nell'animo rimarrà l' “uomo di lotta” che è sempre stato, un “uomo di battaglia”: la “sua” opera ha solo
cambiato direzione, prima combatteva a morte i seguaci di Gesù, poi la lotta di quel suo “ gigantesco io” che deve
così “sentir-si vivo” e che deve potere “vivere in eterno”, si è rivolta ad una diversa “battaglia” :
< Ogni giorno io affronto la morte...ed ho combattuto ad Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe?
Se i morti non risorgono...>(1Cor 31.32)
< ..noi (io) ..non militiamo secondo la carne… le armi della nostra (mia) battaglia… hanno da Dio la potenza..>
( 2Cor 10.3)
< ..combattete unanimi.. senza lasciarvi intimidire..dagli avversari..>(Fil 1.27)
<.. vi ho.. mandato.. Epafrodito..mio compagno di lavoro e di lotta >(Fil 2.25)
La “nuova battaglia” del “gigante dell' io” Paolo sarà rivolta alla conquista di adepti “da presentare” al Signore, egli
infatti riferendosi alla “sua” opera di evangelizzazione dirà :
< .. perché i pagani divengano una oblazione gradita…
questo è il mio vanto...di fronte a Dio..> ( Rm 15.15),
<.. voi siete la mia opera..> (1Cor 9.1),
<..voi siete la mia speranza, la corona di cui mi potrò vantare davanti al Signore..> (Col 2.19)
<...mi sono fatto un punto di onore.. per avere annunciato il vangelo..>(Rm 15.20)
<..la vostra fede cresce rigogliosamente.. così noi (io) possiamo gloriarci di voi..>(2Ts 1.3)
E, gigante travolgente, scriverà parole piene di livore mal celato quando qualche “Super-Apostolo” avvicinerà i
“suoi” seguaci: la “sua” arguzia e scaltrezza gli suggerirà la strada della falsa dolcezza per “ contrastare” quegli
“avversari”.
Con parole sottili e piene di acredine infatti egli dirà che costoro non avrebbero dovuto dire, “vantarsi” Paolo dirà,
che erano “testimoni diretti” delle parole di Gesù.
Quella ben legittima credenziale di questi, o questo, SuperApostolo ma “avversario” di Paolo, da questi sarà
prontamente presentata, con intento denigratorio, come “vanto” e Paolo, dichiarandosi “divinamente geloso” di quei
“suoi” discepoli che ascoltano i Super-apostoli, dirà, non certo umilmente, che egli non è “in nulla inferiore a loro” :
< Io provo...per voi una specie di gelosia divina,
avendovi promessi ad un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo.....>( 2Cor 11.2)
< ..in quello in cui qualcuno osa vantarsi...oso vantarmi anch'io...>(2Cor 11.21)
< ..non sono per nulla inferiore a quei Super-apostoli..>(2Cor 12.11)
E a fianco di queste parole egli, con “orgoglio vestito di sofferenza”, elencherà tutti i “propri”, del suo “io”, meriti:
“ fatiche, prigione, percosse, viaggi e pericoli, fame e sete, freddo e nudità (ecc.)”(2Cor 6.5)
Infine per ribattere alla accusa, di cui con evidenza era oggetto, di “vivere sulle spalle dei fedeli”, egli sottolineerà ai
Corinzi di non essere stato di aggravio ad alcuno “di loro” avendo accettato il “necessario di cui vivere” dai fratelli
Macedoni: accusa non certo superata !.
Cercando poi, sicuramente in buona fede, di trasmettere le parole di un Gesù che ha insistentemente detto e
predicato < non giudicate > < io non giudico >, Paolo, dopo avere ancora con falsa modestia affermato:
< io non giudico nemmeno me stesso > (1 Cor 4.3),
giudicherà e decreterà del bene e del male:
< ..io...ho già giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione..>(1Cor 5.3)
< sono pronto a punire qualsiasi disobbedienza >(2Cor 10.6), < quando verrò di nuovo non perdonerò più >(2Cor
13.2), < potrei fare valere la mia autorità di apostolo! > (1Tes 2.6)
< Imeneo e Alessandro che ho consegnato a Satana perché imparino a non più bestemmiare >(1Tm 1.20)
< Dovrebbero farsi evirare coloro che vi turbano > (Gal 5.12)
A fondate critiche ed a non ligi comportamenti non saprà rispondere che con minacce:
<..non avvenga che io debba mostrare...quell'energia che
ritengo di dovere adoperare contro alcuni che pensano che noi (io) camminiamo secondo la carne >(2Cor 10.2)
< che volete? Debbo venire a voi con il bastone..? >(1Cor 4.21)
e condannerà poi il “giudizio” altrui solo in quanto “ipocrita” e non in sé in quanto “giudizio”, in quanto “errore
dell'io” che “giudica”:
< ...sei dunque inescusabile...o uomo (peccatore) che giudichi, poiché...fai le medesime cose >(Rm 2.1,2)
Paolo, gigante dell' “io” come qui ben visto, non poteva capire e comprendere la “conversione-cambiamento di
mentalità-rinnegamento e morte all'io” che Gesù ha sollecitato e suggerito, solo -gloria- “propria dell'io”, suo e dei
suoi discepoli, egli saprà vedere :
<..una Sapienza divina, misteriosa,..nascosta.. che Dio ha preordinato .. per la nostra Gloria..>(1Cor 2.7)
Ma vi è un altro aspetto che si può vedere e sottolineare in Paolo: nelle sue lettere egli quasi esclusivamente parlerà
di sé stesso usando il “noi”.
Abbiamo già visto in precedenza come l'aggettivo “io” fosse, nella sostanza, abolito dal linguaggio di Gesù e dei
suoi apostoli. Paolo conosce questo aspetto ma “al fondo” egli non capisce da cosa “nasce” questo fatto: per lui sarà
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nona parte
solo una buona “regola o norma” cui attenersi. Egli infatti userà il “noi” solamente quale “formale” sostituzione di
un “io” che tutte le sue frasi e discorsi portano in sé implicito.
Con quel “noi” egli non invita mai a “non vedere sé stesso”, non proporrà mai l'annullamento di un “io” che anzi
egli predica potrà essere “materialmente eterno”: quel suo “noi” sarà solo “farisaicamente ipocrita” !.
LA UMILTÀ - STOLTEZZA
La “farisaica” comprensione di Paolo del messaggio di Legge e Profeti da un lato, ovvero la loro comprensione
“letterale” vera incomprensione che è anche incomprensione di un Gesù che invece vuole solo confermare il
messaggio profondo e non letterale di quei testi, e dall’altro lato le forti e gravi accuse che il mondo filosofico grecopagano rivolgerà ad una dottrina e predicazione cristiana, quella del “vangelo paolino” che da esso era ritenuta
completamente “irrazionale” ovvero “favolistica” e “stolta” giacché per essi “mistero” era ciò che pur -nascostosi poteva capire, sono ciò che porterà Paolo a vedere e dichiarare, con l’intento di rispondere e al contempo così di
ripararsi da quelle accuse, quale <..stoltezza..> la strada per l'Assoluto:
<... la parola della croce è stoltezza... sta scritto:
“distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti (Is 29.14)”..
a Dio è piaciuto salvare i credenti con la stoltezza della predicazione > (1Cor 1.19).
Ma il passo di Isaia qui richiamato come già visto non è, come dice e come intende Paolo, contro “intelligenza e
conoscenza” in sé e nemmeno voleva o cercava alcuna “stoltezza” Gesù che tanto spesso invita ad “avere orecchie”
per capire il suo messaggio.
Quel passo di Isaia è contro coloro che “ritengono di -essere- sapienti ed intelligenti”: è per quel loro “sentir-si”,
sapienti e intelligenti, un “sentirsi” che mette in luce “l’errore dell’io”, che in quel passo sono condannate la
“sapienza dei sapienti” e l' “intelligenza degli intelligenti”. Ancora un incompreso passo di Scritture, considerate
peraltro da superare, che viene portato come tanti altri a “prova” della bontà dell’insegnamento di Paolo, della
“sua” teologia, della “sua” interpretazione del messaggio di Gesù.
La -umiltà di cuori o abbassamento di vento o semplicità d'animo e mancanza dell’ “io”- che sono “necessari” per
capire e spiegare Gesù, da Paolo, fondamentalmente incompresi, nel ripararsi e rispondere alle gravi accuse che
razionalmente il mondo pagano filosofico gli rivolgeva, saranno portati a “necessarie” -stoltezze di insegnamento ed
ascolto- : ancora ed ulteriore assurdità, irrazionalità e stoltezza.
Delle accuse che il mondo pagano farà al “cristianesimo di Paolo” abbiamo notizie soprattutto da parte di personalità
cristiane, Origene tra queste, che nel II-III sec. le confuterà ma una prima notizia la troviamo già da Atti 17. 22 e sg.
dove ci viene detto del discorso che Paolo cercò di fare all’Aeropago di Atene. Ci è detto qui infatti che:
<..Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dissero:
“Ti ascolteremo su questo un’altra volta”..>.
Le accuse qui solo implicite di “irrazionalità e stoltezza” indegna di ascolto, sono state con evidenza da subito, da
parte del mondo filosofico, molto forti ed il rispondere e ripararsi di Paolo dietro ad una “ parola della croce che è
stoltezza” le conferma, a mio avviso, ma non le fermerà.
E, certamente, ancor più che nella dottrina della resurrezione dei corpi era difficile, per il mondo filosofico trovare
razionalità nella credenza di un Dio che genera un figlio carnale con il fine di farlo morire in croce per risuscitarlo
dopo tre giorni e così salvare l’umanità.
Solo una “fede cieca” ovvero senza alcuna razionalità e quindi “stolta” essi potevano vedere, ma di “stoltezza, vuole
ricordato il mondo filosofico ha rivestito il Tifeo che impegnerà Zeus nella sua ultima grande battaglia. E come non
ricordare anche la parole di Zaccaria che ci dice di un <..pastore insensato..un pastore stolto che abbandona il
gregge!..>(Zc 11.7-16) che sarebbe giunto !.
Tra le varie personalità che faranno accuse di “rozzezza” e “irrazionalità”, e quindi di “stoltezza”, al cristianesimo
di Paolo, oltre ai più noti filosofi Celso (II sec.) e Porfirio (233-305) troviamo anche, come ci informa M.Zambon
nel suo “Nessun dio è mai sceso quaggiù”, il medico Marco Minucio Felice (II-III sec.).
Questi nello scritto “Octavius” al suo protagonista pagano Cecilio fa dire di “strabiliante stupidità”, di “enormi
assurdità”, di “idee deliranti”, di “doppia follia” e di “invenzioni di un pensiero malato” che costituivano la dottrina
dei cristiani.
Erano, le accuse che il mondo filosofico farà alle dottrine cristiano paoline, accuse serie e non infondate bisogna dire
alla luce di quel “diverso” Gesù e Vangelo che in queste pagine sono emersi.
Erano accuse delle quali troviamo testimonianza anche, a mio avviso, in un incompreso mosaico che si vede nella
città romana di Volubils (a pag. 331) nel quale è figurato un uomo che cavalca un Asino al contrario, ovvero senza
“vedere” dove va, e tenendo alzata una coppa-trofeo sul quale è incisa una croce.
Messo in un contesto di mosaici che, nella varie case e ville di quella città, propongono unicamente figure di
Sapienza pagana misterico filosofica, con raffigurazioni di Orfeo, Dioniso, Ercole, Diana, Ippocampo-Neridi-Delfini
ecc., quel mosaico non può infatti essere visto, come si è ipotizzato, quale figurazione -completamente fuori
contesto peraltro- di un atleta, acrobata di una disciplina-gioco della quale non si hanno notizie e tracce, che
festeggerebbe la sua vittoria.
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nona parte
Ben più sensatamente quella immagine può essere invece Sapienza anch’essa come le altre: in essa si può leggere
infatti la denuncia di un legame tra il filosofico e apocalittico Tifeo-Asino eracliteo e la stoltezza e cecità, ben
denunciata dal mondo pagano filosofico-sapienziale abbiamo visto, del cristianesimo paolino.
I DOGMI PAOLINI
La paolina teologia, così nata e supportata, fonderà la Cristianità: è dalle “parole di Paolo” che nasceranno tanti
“principi stabiliti”, i “dogmi”, etimologicamente “qualcosa da credere”! :
--- I) La resurrezione dei corpi e l'anima individuale
E' da Paolo, dai suoi insegnamenti, dalle sue lettere assunte quale “indiscutibile” esegesi delle parole di Gesù, dalle
sue lettere lungamente studiate ed indagate da quei “padri della Cristianità” primo dei quali come detto è Agostino,
che nasce il dogma-verità della resurrezione dei corpi alla fine dei tempi.
Il personale “io-creato” che farisaicamente Paolo insegna, “io separato-farisaico”, diabolicamente secondo il senso
etimologico della parola, naturalmente non può che veder-si “personalmente eterno” secondo queste parole di Paolo:
< ..noi saremo trasformati..il corpo corruttibile si (deve) rivestire di incorruttibilità
e il corpo mortale..di immortalità >(1Cor 15.52,53)
Parole di Paolo che per la Cristianità dicono, seppure non proprio in modo limpido, di:
“ resurrezioni in cui l’anima riprende la materia ricostruendo il corpo” (CCC 990)
Le parole di Paolo sulla “ripresa-ricostruzione della materia” non sono chiare e molti sono stati e sono gli esperti
che vogliono vedere altro in quelle parole e parlano di un “corpo immateriale” o altro di simile, la sostanza
comunque in ogni caso non cambia: l'errore è sempre quello di un “io” che, separato, “si cerca” eterno.
Con questo “dogma” poi oltre a proporre una “eterna” separazione dal Tutto, dall'Assoluto, da Dio, si renderà
definitivo ed indiscutibile il principio, ed errore, di “anima individuale e separata”.
Difficile vedere “spiritualità” in tutto ciò e le parole che “spiegano” spesso solo confondono chi spiega; difficile
ancora è vedere tutto ciò in unisono con le parole di un Gesù che dice:
< Io.. prego.. affinché tutti siano una cosa sola.
Come tu, o Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi “una cosa sola” > (Gv 1.17-20)
Questa < sola cosa > che Gesù prega avvenga, è la “Unità” del “ri-conoscimento”, da parte dell’uomo, di un
Assoluto Uno e Tutto: condizione cui Gesù, ci dicono quelle sue parole, si sente pervenuto.
Non “unione di singoli” è quella < cosa sola >. Solo chi “si sente” orgogliosamente e diabolicamente, in senso
etimologico, separato dall'Assoluto, “altro da Dio” e quindi “altro Dio”, solo chi si sente separato e chiuso in sé,
natura e spirito, solo questi in quelle righe non sa leggere altro che un Padre ed un Figlio legati in sé ma separati
dagli altri !.
--- II) Il peccato originale
Nascerà dalle parole di Paolo il dogma del “peccato originale” :
< Per la disubbidienza di uno solo, tutti sono stati costituiti peccatori >(Rm 5.19)
< Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte,
così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato..>(Rm 5.12)
Così recita il Catechismo della paolina Cristiana Chiesa Cattolica:
< Sulle orme di S.Paolo la Chiesa ha sempre insegnato che l'immanente miseria che opprime gli uomini e la loro
inclinazione al male e alla morte..(sono) il legame con la colpa di Adamo... >(CCC 403)
Il “peccato d'origine” che è la “nascita all'io”, incompreso con Paolo così si trasformerà in una assurda
“trasmissione per nascita” della naturalissima “morte materiale” e, impossibilitati a chiarire e spiegare tutto ciò, con
dubbia “biblica sapienza” si “certificherà” che:
< Tuttavia, la trasmissione del peccato originale è un mistero che non possiamo comprendere appieno..> (CCC.404)
E questo', ci viene detto, un fatto che non si capisce, che razionalmente non ha spiegazione ma che <..tuttavia..> si
deve, sulla base di Paolo, insegnare e sostenere!.
--- III) L'unigenito
Nascerà dalle parole di Paolo il dogma di “Gesù unigenito fisico-materiale figlio di Dio”:
< Generato prima di ogni creatura… per mezzo di Lui sono state create tutte le cose > ( Col 1.15 ).
Con parole che ancora confondono e piegando al “suo vangelo” “formule corrette” ma da capire, Paolo così
trasporterà alla “materia”, al Gesù che la “materia” appunto vive, quello “spiritualissimo” concetto di “Sapienza”
che vediamo in Proverbi ma che similmente troviamo anche nel mondo Greco e non solo :
< ( la Sapienza fu)...creata prima di ogni Sua ( del Dio ) opera..>(Prv 8.22)
Una “Sapienza” che a lui, ed alla -sua- Cristianità resterà incompreso “mistero”: <..una Sapienza divina,
misteriosa..>(1Cor 2.7)
--- IV) La fede e la grazia
Nascerà dalle parole di Paolo il dogma della “giustificazione per fede”; egli dirà:
<..è con la fede che l’uomo sarà giustificato..>(Rm 5.28) , poiché <..sta scritto:
“il giusto vivrà mediante la fede”..>(Rm 1.17).
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nona parte
Il passo di Abacuc 2.4 richiamato nella lettera ai Romani mette in luce ed evidenzia la “fede” come “base” della
“giustizia” o “giustificazione”. Abacuc quindi qui usa il termine “fede” in una accezione molto precisa, accezione
che, in quel termine in sé, non è scontata e automatica: nelle Scritture infatti il termine “fede” è usato, oltre che nei
confronti di Dio (Salmi e Maccabei), anche in riferimento ai più disparati soggetti :
i profeti (Sir 36.41); la spiegazione dei sogni (Dn 2.45); il re Demetrio (1Mac 19.46);
gli anziani giudici (Dn 13.41); il sovrintendente ai tributi (1Mac 1.30) ; la Legge (Sir 33.3);
Il termine tradotto con “fede” nelle Scritture è quindi utilizzato in modo molto vario e largo che arriva sino ad
esprimere una “fiducia” lontana dalla “credenza” cui oggi invita a pensare il termine “fede” ma ancor più lontana sia
da ciò che esprimeva Abacuc che dalla origine etimologica del termine stesso.
La etimologia del termine “fede” infatti, derivante dal sanscrito Bandh=legare, esprime e manifesta una
condivisione, un “legame”, di profondità tali che non si trovano nel termine “credenza” ed ancor meno in quello di
“fiducia”. Sia “credenza” che “fiducia” lasciano i soggetti ben divisi e distaccati mentre la fede che riflette il senso
etimologico ed originario del termine, ed anche quella di cui Abacuc ci dice, “lega” in una con-partecipazione e
com-unione che è Vera Unità.
Abacuc ci dice quindi che è grazie alla “fede-legame” con l'Assoluto che il giusto “Vive”: è grazie a quel “legame”
che si ha quando l'uomo si “con-verte” e, “servo” dell'Assoluto ovvero senza “proprie” volontà, si porta ad Esso, che
l'uomo diviene, inesistente in sé, Vita ed Eternità. La “fede-legame” di Abacuc, è dunque lontanissima da quel:
< atto esterno alla creatura, “teofania” > (G.Ravasi)
atto arbitrario ed irrazionale che Paolo e la Cristianità vedranno.
Essa è atto “consapevole, cercato e voluto”, è la “unione” con Dio, con l'Assoluto, che passa dalla “rinuncia all'io” o
“circoncisione”, è il “ritorno al Regno”. È il “ritrovamento”, la “resurrezione” cui invitavano Gesù e tutto il mondo
antico. Paolo, che “non vede e non può vedere” questa fede si meraviglierà di una frase del Profeta Elia che lui non
sa e non può comprendere:
< Isaia arriva ad affermare (in Is 65.1 ): “(Jhwh:).. mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano,
mi sono rivelato anche a quelli che non si rivolgevano a me” ..>(Rm 10.20)
Egli allora, come la Cristianità oggi, non può capire che “quel farsi trovare da chi non lo cerca” e quel “rivelarsi a
chi non si rivolge a lui” non sono altro che la “immanente presenza divina” che vivono quegli “umili” ed
“abbassati di vento” che non “cercano” e non si “ri-volgono” perché, “senza io”, inseparati dal Tutto in Esso,
nell'Assoluto, già sono e mai da questo si sono “volti”.
Solo ai < ribelli >, sottolinea lo stesso passo di Isaia, solo a coloro che “si separano”, a coloro che così, al fondo,
<..dicono: “ Sta’ lontano! Non accostarti a me, che per te io sono sacro..>, ai divisi-farisei, ai separati e “chiusi” nel
proprio “io”, solo a loro, < in-equi >, Jhwh < calcolerà la loro paga > (Is 65.7)
È di “questa” fede-legame degli inseparati che parla il passo biblico di Abacuc citato da Paolo, una fede che è “ non
separazione”, una fede che non vede alcun “io”, diviso, che “crede”: solo l’annullamento ed il silenzio dell’ io
permette quella “unità-fede” nell’Assoluto che “è” la Vita, dice Abacuc.
Ma Paolo, e la Cristianità oggi, non possono vedere Unità, essi vedono solo <..assemblea di fedeli..>, “unione” fra
diversi e separati: “unione” fisica oggi e spirituale domani:
< il cielo è la beata “comunità” di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in Cristo >(CCC 1026)
Solo “unione e assieme” di “io” e “separate entità” essi possono vedere, “io separati” che pertanto possono solo
essere distintamente “creati”, e la “creazione”, questo irrinunciabile puntello e sostegno dell' “io” non potrà che
essere dichiarato “dogma”:
< La...“creazione” è il fondamento della vita... Cristiana > (CCC 282)
La “profondità” di quella “unità”, e non “unione-assieme”, che la parola “fede” per Abacuc ed etimologicamente
evoca, non ha nulla a che vedere con la “impotenza” di un uomo “giustificato per fede -mediante- una grazia divina
di cui Dio dispone a piacere” essendo le capacità umane <..doni diversi secondo la grazia data ( da Dio ndr) a
ciascuno..>.
E questa “indisponibilità” di una “grazia che è da Dio data”, si riflette sulla “fede” giacché <..per grazia si è
salvati...mediante la fede..>(Ef 2.5-8), e così per la Cristianità, che segue Paolo, essa diviene :
“ una fede che può solo essere data ”.
Questa “fede con grazia” in cui l'uomo può solo essere “cieco”, si contrapporrà, per quella totale eliminazione della
“scelta di unione” dell’uomo all’Assoluto che essa vede, a quelle “saggezza, sapienza e scienza” tanto presenti
nelle Scritture come in tutto il mondo antico, “saggezza, sapienza e scienza” che non più comprensibili finiranno
rimosse e cancellate.
La “fede con grazia” paolina e Cristiana si contrapporrà, annullandoli, a qui principi poiché questi vedono, al
contrario di essa, la ricerca, la volontà e la “razionale” decisione dell’uomo per quel “ritorno” che deve seguire al
suo distacco dall’Assoluto o “caduta”.
Per Abacuc, per tutto il mondo antico e per Gesù che dice <..chi cerca trova.. (e) a chi ha sarà dato..>(Mt 7.8;
13.12) , l’uomo morirà senza quella “fede-legame” che “vedendo lega”, fede Viva nella umiltà servitù e semplicità
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nona parte
di colui che è “inseparato” dall'Assoluto; fede che nasce, dopo il distacco, grazie a quella cercata e voluta
“saggezza, sapienza e scienza” che unicamente “riporta” il “separato” all'Assoluto :
<..(Sapienza:)..quelli che mi cercano mi troveranno..(e) chi trova me trova la Vita..> (Prv 8.14,35)
Per Paolo e la Cristianità invece l’uomo morirà se resterà senza una “fede e grazia” che solo da Dio gli potrà essere
data e consegnata :
<..per mezzo suo (di Gesù ndr) abbiamo.. ottenuto, mediante la fede, di accedere alla grazia..>(Rm 5.2)
<..grazia di Dio che ci è stata data in Gesù Cristo..>(1Cor 1.4)
E non umilmente Paolo dirà di una <.. grazia nella quale (i cristiani ndr) si trovano e di cui si vantano..>(Rm 5.2).
Una grazia citata da Paolo circa 100 volte ma assente sia in Matteo che in Marco e presente solo 7 volte in Luca e 4
in Giovanni.
Ma questa “fede” così condizionata da una “grazia data” che unicamente lei “giustifica” l'uomo, <..giustificati dalla
sua (di Dio) grazia diventiamo eredi..>(Tt 3.6,7), è morte di ogni pur proclamato “libero arbitrio” e, per rimediare
a questa irrazionalità, si dirà che nell’uomo:
< il..libero arbitrio..-dovrà “muoversi”- ad accettare il dono della Grazia - che porta alla fede -,
Grazia che Dio infonde > (Summa Teologica I,2 q113 a3).
Ma chi “si muove ad accettare” non è nella stessa condizione di “ colui che cerca” come chiede invece Gesù, a
lui manca la “ricerca”, “intima e personale”, che è la base di ogni <..sapienza, scienza, saggezza..>.
L’uomo, in questa triste condizione, resta così senza alcuna possibilità di con-prensioni spirituali, resta
inevitabilmente ed unicamente un “io che si muove” ma che spiritualmente nulla può, resta sempre più
“materialmente legato”, resta solo la “fisica” < immagine di Dio >.
È di “questa” fede, cieca, senza “saggezza, sapienza e scienza”, che Kierkegaard potrà dire: <..la fede comincia
dove la ragione finisce..>.
“Questa” fede si potrà giustificare solo con la visione Cristiana di un Dio che “mette alla prova”: Abramo prima,
con la richiesta del sacrificio del figlio, e poi l’intera umanità senza però farle capire, o dirle, il “perché” di questa
prova, prova che, inconnotata e buia, finirà con l'essere la stessa vita umana.
Ultima triste condizione questa prospettiva terrena è senza alternative: la vita sarà solo “prova”, senza alcun Dio che
possa “ passeggiare con l'uomo”.
Ho già detto che una tale visione vede un Dio inaccettabilmente lontano e certo, per me, anche molto distante dal
Dio Amore che pure, ancora antiteticamente, viene comunque proposto.
Il solo Amore che Paolo, e la Cristianità ad egli legata, riescono a vedere è un “amore-dato”, la “carità”.
Amore dato da un “io” che ne rimane il vero protagonista anche quando questo gesto, comunque auto gratificante, si
dichiara < incondizionato > come vuole suggerire la Cristianità dimentica che nessuno può, in questo gesto, “non
essere condizionato” dall' “io-creato” che essa insegna.
--- V) La Carità
Il termine greco usato da Paolo e tradotto in “Carità”, Agapé, è un termine che in origine, quale Agapé, designa un
“Amore di carattere spirituale, cosmico, divino”, esso “è in sé” e solo si può con-prendere : è diverso e lontano dal
Philia “amore di carattere umano quale quello visto verso persone vicine e care”, e diverso anche dall'Eros che è
amore come “pulsione sensuale e sessuale”, carnale, fisica.
Della Agapé ben ci dice la prima lettera di Giovanni :
< Dio è Agapé-Amore >(1Gv 4.8)
Anche l'ebraico “ahav” delle scritture giudaiche, tradotto in greco quale “agapé”, dice di un sentimento che travalica
i confini umani e si spinge verso l'Assoluto richiedendo da parte dell'uomo uno sforzo che lo investe in tutta la sua
persona:
< .. Amerai Jhwh con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le tue forze..>(Dt 6.5)
Secondo i Vangeli sinottici Gesù parlerà di Agapé-amore praticamente quasi solo nel ricordare il verso della Torah
che dice: < amerai il tuo prossimo come (quale -ndr) te stesso...>(Lv 19.18)
Qui, come già visto, il sentimento che viene chiesto è travolgente e tale da fare perdere all'uomo ogni “identità”: il
prossimo deve “essere noi stessi”, si deve andare oltre ogni singolarità, verso l'Assoluto.
Il termine Agapé usato da Paolo, termine che mal si prestava per la sua natura cosmica, universale e divina, a parlare
di un sentimento che doveva, per Paolo appunto, essere “dato” dall'uomo, giustamente, credo, seguendo il pensiero
di Paolo sarà tradotto non già in “Amore” ma in “Carità”. Le parole di Paolo, un po' ambiguamente, dicono :
<..tre cose rimangono: fede..speranza..agapé, ma la più grande è agapé >,
ed esse saranno così tradotte:
<.. tre cose rimangono: fede..speranza..carità, ma la più grande di tutte è la carità >.
L'ambiguità di queste parole nasce dal fatto che la visione di una Agapé “cosmica, universale e divina” non può
prevedere al suo fianco né la “speranza” né la “fede” nel senso, prima approfondito, con cui sono intese da Paolo.
Per questo ritengo corretta la traduzione di “quella” Agapé con Carità: la Agapé-Amore di Paolo, ricolma dell'”io”
che “dà”, non è “cosmica, divina e spirituale”, non è Agapé, ma “personale, umana e materiale” Carità e diverrà
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nona parte
infine: < .. il più grande comandamento sociale >(CCC1889).
Ma non solo, il percorso della incompresa Agapé di Legge e Gesù continuerà per sfociare infine in una Carità
proposta quale “Eros-Agapé” assieme: legame tra l' “amore sensuale-sessuale” ed il cosmico e divino “Amore
spirituale”, componenti, termini e fattori che, in questa nuova < Eros-Agapé >,
< non si lasciano mai separare completamente l'uno dall'altro > ( Deus Caritas Est, Benedetto XVI)
Gesù ci insegna e ci invita ad un “amore-umiltà-servitù” che “vede” la eliminazione dell’ “io” mentre la “carità” in
cui cadono Paolo e la Cristianità è solo l’ultima illusione, quella che vede l’“io” mantenersi in vita con l’inganno di
una “carità-data” dallo stesso ”io”.
Carità che subito, così, si trasforma in una “materiale-beneficenza” che Gesù però dice “sacra” solamente se non
mossa da alcun “io”, solo se la “destra non sa quello che fa la sinistra”, e “quella” carità così non è.
Quella carità si trasforma subito in un “pietismo patetico e bigotto” che nasce e si alimenta della totale mancanza di
Verità, di solidità e di Saggezza dell'uomo, un “pietismo lacrimevole e spesso mieloso” che solo è “malattia” dirà
Nietzsche ovvero “non solidità-salute-Verità”, spirituale e materiale assieme.
Una “malattia” che è della stessa natura di quella da cui si sentirà “guarito” Socrate, un “pietismo compassionevole”,
erratamente -abbiamo visto- detto “misericordia”, di cui Dionisio di Eraclea (361-306 aC) così diceva:
<..il saggio non è soggetto a turbamento..al saggio non capita di sentire invidia.... e neppure di
provare misericordia...>.
Un pietismo poi che è lontanissimo dalla vita di un Gesù che pur dicendo “ama il tuo prossimo -quale- te stesso”
dirà anche, nella visione di un Assoluto che è divino Accadere e con parole “dure” che per chi ha orecchie restano
piene di divina “Agapé” :
<..che i morti seppelliscano i loro morti >(Lc 9.60), <.. cagnolini..>(Mt 15.26),<..Satana...>(Mt 16.23),
<.. porci..>(Mt 7.6), < Andate...ed imparate..>(Mt 9.13) <..chi ha orecchie per capire capisca..>,
ed anche, sempre insegnando:
<. non vedano !...non comprendano !..>(Mc 4.10-12), <..a chi ha sarà dato..>(Mc 4.25), <..meglio..non fosse mai
nato..>(Mc 14.21), < Non sono venuto a portare pace, ma una spada.>(Mt 10.34), <..chi non è con me è contro di
me..>(Mt 12.30) < Se uno … non odia “suo” padre, “sua” madre, la moglie, i figli, le sorelle … non può essere
mio discepolo >(Lc 14.26) e, tante volte : <..guai a voi scribi e farisei..>(Mt 23.13)!.
Un pietismo che Gesù quindi non ha mai visto come ben si può vedere anche in un altro fatto ed episodio già
sottolineato: Egli infatti pur continuamente passando da quella piscina di Bezaeta che era piena di <..un gran
numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici..>(Gv 5.3) una sola volta decise di guarirne uno, e non più, ma per di
più lo guarì -non già per carità cristiana-: < vuoi guarire ? > gli domandò e non prevede certo una simile domanda
un atto di carità, ma lo guarì “solo per insegnare” come è per ogni Suo gesto e parola e seppur insegnamento come
sempre limitato, anche questo senza alcun cristiano pietismo, a chi aveva “orecchie ed occhi”.
Un pietismo che anche nell'episodio della Cananea ben si vede che Gesù non aveva:
<..una donna Cananea ..si mise a gridare: “Pietà di me Signore..” Ma Egli non gli rivolse neppur una parola..>
(Mt 15.22,23)
Solo la supplica dei Suoi discepoli fece sì che Egli la ascoltasse !.
L'amore-umiltà-servitù che Gesù e le Scritture ci indicano è “condizione” spirituale e mentale e non già quell' “atto
materiale” che diviene, poiché tale nella sua sostanza è, la cristiano-paolina “carità”.
--- VI) La Preghiera
Non “dogma” ma cardine della religione Cristiana che nasce con Paolo è la “preghiera comune, la preghiera dei
fedeli riuniti assieme", la S.Messa.
É ancora per la incomprensione “nel profondo” della “umiltà-abbassamento di vento” di Gesù che si pregherà
assieme per “distinguersi” dal resto della comunità con un forte atto di demarcazione e separazione, tutto sempre a
rafforzare un “io personale” che così si fortifica nell' “io appartenenza”: si apre così la strada per ogni altro “io”,
categoriale, societario, etnico, razziale ecc..
E tutto ciò dimenticando, perché non si capisce e non si può capire in quanto si resta nel farisaico errore dell' “io”,
che Gesù invece così invitava a fare:
< .. quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta chiusa, prega nel segreto >(Mt 6.6)
Anche con queste parole Gesù insegna profondamente quanto sopra evidenziato: nessun accenno qui Egli fa ad
alcun superficiale e generico “mettersi in mostra-distinguersi”.
Altrettanto grave, e non di Gesù, è poi la “prescrizione-obbligo” alla preghiera, alla S.Messa: Gesù è molto cauto e
sospettoso quasi dicendo di un senso di inutilità del “pregare”:
< ..pregando.. non sprecate parole.. credendo di venire ascoltati a forza di parole..
il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima che gliele chiediate..>(Mt 6.7,8)
In quel “Padre nostro” che egli insegna dopo queste parole, non vi è infatti alcun accenno alla “personale” preghiera,
solo, quelle parole, dicono dell'augurio-invito a che termini la condizione di “caduta” della umanità.
La preghiera che cerca “personali dell'io” aiuti ed attenzioni, preghiera oggi nella Cristianità ben diffusa, certo si
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nona parte
può dire che anche per Gesù non fosse lontana da ciò che era per Omero il quale vede le “Preghiere” figlie di Zeus
<..zoppe, raggrinzite e con gli occhi di traverso..>(Iliade 9.502,503): non possono fare strada, non sono guardate
volentieri e non vedono giustamente.
L' EREDITA' PAOLINA
a) L' “io” e la mortificazione della vita
Ho già sottolineato la mancata comprensione, da parte di Paolo, degli insegnamenti di Gesù su quella Sua “ umiltàservitù” che unicamente nasce nell'annullamento dell’ “io”.
Con questo errore di base la lettura che egli saprà fare della “umiltà-abbassamento di vento-povertà di Spirito” di
Gesù sarà obbligata: l'uomo-io per seguire quella strada dovrà soffrire, mortificare la sua vita, pentirsi ad ogni passo.
Visione completamente errata: l'annullamento dell' “io” cui Gesù invita e cui Egli si è portato, la sua “ umiltàabbassamento di vento-povertà di Spirito”, è piena di Vita e di piacere di vivere: ogni atto e comportamento è
gioioso, nessuna costrizione, nessuna sofferenza si vede in quella “condizione”, tutto è fatto, colto e vissuto, senza
alcun patimento o costrizione.
Paolo, non certo umilmente, inviterà a comportarsi come “lui”:
< Fatevi miei imitatori...guardate a quelli che si comportano..(come me)>(Fil 3.17)
Egli inviterà ad imitare quella “sua” vita che, per sue parole, è piena di “fatiche, fame, digiuni, freddo, repressione
sessuale ecc.”, vita però lontanissima da quella di Gesù: nel pur breve periodo di vita “conosciuta” di Gesù non
troviamo nulla di tutto ciò e “nessuna Sua parola inviterà a questo”.
Gesù, ci dice lui stesso, era chiamato “beone e mangione”: Egli, pur nella “semplicità di vita” cui era portato dalla
Verità cui era giunto, viveva la vita con piacere e godendone, non “soffrendo né costringendosi”, non con
<..sacrificio..>(Mt 9.13) dirà, ma “mangiando e bevendo” volentieri e piacevolmente.
Certo devo dire che “in questo” molti seguaci di Paolo, pur non capendo il Gesù “diverso” mangione e beone qui
visto, e per motivi esattamente opposti a quelli di Gesù, Lo seguiranno bene: “mangioni e beoni” io ne ho visti
abbastanza in quelle alte e meno alte schiere.
b) L'anima-intelligenza-io
Dalle parole di Paolo si passerà poi ad una inesatta lettura delle parole di Origene d'Alessandria (185-254 dC), uno
dei più grandi teologi e filosofi .
Con questa lettura si trasporterà il “divino ed universale” -intelletto- greco, così infatti era visto e compreso in
quella cultura, ad una “materiale e personale anima-mente-io”, un' “anima-intelligenza” che solo diverrà, nella
Cristianità, il mascheramento dell' “io” :
< -vedere Dio col cuore- (secondo le parole di Gesù in Mt 5.8: “beati i puri di cuore perché vedranno Dio”)
significa conoscerlo e comprenderlo con l’intelletto.. grazie ad una mente che sarà affinata con lo studio e
l’esercizio..>.(Origene,“Principi” I.1)
La lettura “materiale” di queste parole, lettura che non saprà vedere che quello <..studio ed esercizio..> è lontano da
ogni “sapienza dei sapienti” e non è altro che il < cercare > di cui dice Gesù, porterà ad una visione lontanissima ed
antitetica rispetto a quell' “essere come i fanciulli” cui invitava Gesù e lontana ed antitetica anche da quei passi delle
Scritture in cui Jhwh dice:
< Mi sono fatto trovare da coloro che non mi cercavano..)(Is 65.1)
Lentamente ma inesorabilmente si ribalterà quella Verità da cui nascono le parole di Gesù, Verità che così chiara è
anche nelle parole di Baruc che dicono:
< I figli di Agar, che cercano sapienza terrena,..i narratori di favole, i ricercatori
dell'intelligenza non hanno conosciuto la via della sapienza...Là nacquero i famosi giganti dei tempi antichi, alti di
statura, esperti di guerra; ma Dio non scelse costoro..:
perirono perché non ebbero saggezza, perirono per la loro insipienza>(Bar 3.23-27)
Su quella strada si finirà, ancora senza capire, alle sconsolate parole di Paolo VI che, in una sua “ Preghiera a
Sant'Agostino”, con una affermazione che è domanda senza risposta, dice:
< Abbiamo conquistato il mondo e abbiamo perduto la nostra anima > (Paolo VI)
Giustamente quelle parole sono indirizzate ad Agostino, all'interprete di Paolo per eccellenza, al “maestro dell'io”
sebbene tale non sia visto dai suoi eredi e figli.
Seguendo la materiale ed errata lettura delle sopracitate parole di Origene, Agostino, grandissimo “scriba” che
lascerà diluvi di parole, <..decine e decine di titoli, un corpus imponente il cui studio richiede tutta una vita..> dice
M. Vannini in “Invito al pensiero di Agostino”, così scriverà senza più vedere alcun “cercare e sentire col cuore” ma
solo l’”intelligenza degli intelligenti”:
< L'uomo è stato creato a immagine di Dio per la sua intelligenza, e per merito della sua intelligenza…
è più vicino a Dio..>(Città di Dio XI 2) < L'uomo è stato creato in tal modo che riesca ad attingere l'unico sommo
bene con la facoltà dell'intelletto (=intelligenza ndr), la sua eccellente caratteristica >(Città di Dio XIII 4)
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nona parte
c) La morte corporale da vincere
Di quel buio abissale che non fa vedere, di quella “morte spirituale”, di quel “peccato d'origine” prima ricordato,
dicono le Scritture :
< La “morte” fu contraria ai disegni di Dio...entrò nel mondo come conseguenza del peccato >(Sap 2.23,24)
Qui la “morte” di cui si parla con evidenza non è quella “fisica”: la materia non pecca e perciò non perisce a seguito
di alcun peccato, la “morte” è invece quella “spirituale” conseguente al solo peccato ed errore che è la “nascita dell'
io” che “decide del bene e del male”, che mangia di quell'albero. Ma una Cristianità immersa nell' “io” Paolino,
creato e materiale, nel suo Catechismo riporterà questo brano di Sapienza spiegandolo con questa frase:
< la morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato..
è l'ultimo nemico..da vincere >CCC1008
Essa qui porta a vedere, e propone, la visione di una “eternità materiale ed individuale” dell'uomo: a poco o nulla
serve la sottolineatura che per “corporale” la Chiesa intende “spirito e materia”, è la materia separata dell' “io”, al
fondo, ciò cui si guarda. A nulla serviranno le parole di Gesù che ci dice:
< Non temete coloro che uccidono il corpo..>(Lc 12.4)
Gesù in questo passo non fa alcun invito al martirio come vuole vedere la Cristianità, Egli “insegna” come sempre e
qui ci dice che la “morte fisica” è appuntamento senza alcuna importanza.
E a nulla serviranno anche le parole che Egli dirà ai suoi discepoli che hanno paura di morire sul mare in burrasca:
< Perché avete paura, uomini di poca fede ? >(Mt 8.26)
Si penserà che essi dovevano avere fede in Lui perché anche se dormiva li avrebbe “salvati materialmente” ma è
un'altra la fede che Gesù rimprovera ad essi di non avere: è la mancata credenza nella continuità della vita, è la
coscienza e consapevolezza degli altri spazi e destini cui l'uomo deve portarsi alla morte fisica: è la certezza che solo
“passaggio” è la morte fisica, certezza che toglie ogni paura, ciò che ad essi mancava ancora, mancanza che Gesù
rimprovera loro.
È la mancata coscienza e consapevolezza che <..il saggio non si lamenta né per i vivi né per i morti..(e che) l'anima
realizzata non è turbata da questi cambiamenti.. >(Bhagavad Gita 2.32-36) ciò che Gesù rimprovera.
La Cristianità vedendo, nonostante le parole, “sostanzialmente materia”, non potrà che finire con l'occuparsi di
“Cesare, delle sue regole e dei suoi denari”, finirà cioè con l'occuparsi della materia.
Gesù però, vuole sottolineato, non toglie certo validità ad una vita fisica che deve essere ben vissuta: ai Farisei che
chiedevano: < perché il vostro maestro mangia insieme a pubblicani e peccatori ?>, Egli rispose dicendo:
<..imparate cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrificio >(Mt 9.13)
La vita fisica per Gesù è bella, importante e da godere, senza “sacrifici-martìri” la “vita fisica” da Lui è vista come
“aspetto” di una “Vita” che essa comprende ma che è anche oltre la stessa: una vita fisica che non può che vedere la
“normalità” della “morte” quanto quella della “nascita”.
Ci dicono di questa “normalità, naturalità” e dello scarso peso ed importanza che Gesù accredita alla morte fisica
anche le Sue parole :
<..lascia che i morti seppelliscano i loro morti >(Lc 9.60)
Qui, se pure nella profondità del vero insegnamento di queste parole che, lontano da ciò che vede la Cristianità,
affermano la condizione di “morte spirituale” di una umanità “caduta nell'io”, si vede comunque la scarsa
considerazione che Egli ha per quel “passaggio” che è la morte fisica: le parole ed il comportamento di Gesù in
quella occasione, agli occhi dell'occidente Cristiano rasentano il cinismo ma, ben letto e visto, tutto ciò è solo la
evidenza della Sua “consapevolezza” che la morte fisica è “semplice passaggio” ad altra condizione, che è
“proseguimento” della vita.
Passaggio e proseguimento da non piangere, vedrà bene anche Nietzsche.
Certo anche per Gesù la morte fisica è comunque sempre un doloroso distacco ed anch'Egli si commuoverà nel
vedere la sofferenza e le lacrime dei suoi compagni alla morte di Lazzaro, ma questo nulla toglie a ciò che qui
abbiamo detto.
Ma la paolina Cristianità non vedrà alcun “semplice passaggio” e vivrà una “angoscia” della morte dalla quale non
sa uscire se non con un ben poco comprensibile < morire con Cristo >(1Cor 15.18; Rm 6.8,9; Col 2.10) che porta
alla Vita. Un < vivere la morte del Cristo, per non morire mai >(Cacciari, Morte fine o passaggio?) che però,
inspiegato, almeno a me è incomprensibile.
Sulla non secondaria posizione di Gesù rispetto alla vita materiale, su ciò che Egli dice e pensa della “vita e morte
fisica” e della “malattia fisica”, vi sono poi anche altre constatazioni che devono essere fatte e che faccio qui di
seguito.
d) La salvaguardia della vita fisica
Si avrà, nel cristiano occidente ma non solo e qui grazie alla totale incomprensione di Gesù da parte di Paolo, una
“custodia e difesa ad oltranza” della -vita fisica in sé- che le parole di Gesù non attestano assolutamente, anzi.
Oltre al freddo passo appena citato e commentato:
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nona parte
<..lascia che i morti seppelliscano i loro morti >(Lc 9.60)
anche in un altro passo Gesù ci dice della Sua scarsa considerazione per una vita fisica che sia unicamente vista e
considerata “in sé” :
< ..la carne non giova nulla..>(Gv 6.63)
La vita fisica per Gesù da sola non serve, da sola, vista “in sé”, essa all'uomo non “giova”: essa deve essere vista e
vissuta in un Uno con lo Spirito tale da perdere ogni singolarità e centralità e pure, come detto, essa deve restare da
vivere pienamente.
Abbiamo visto poi, nella ottava parte di questi scritti, al capitolo “La vita fisica e il Cesare”, come Gesù lasci la vita
fisica nelle mani della “regola sociale”, del Cesare, una vita fisica che quindi “in sé” non vede alcuna “divinocristiana salvaguardia” ed abbiamo visto anche come Egli “mai nulla abbia detto contro” le certamente frequenti
“esecuzioni capitali” che i Romani, “Cesare”, compivano anche in quei territori.
Lontano da tutto ciò, drammaticamente, si arriverà invece a cercare di “imporre” la vita fisica anche quando l'uomo
sia in condizioni di vita che solo “artificialmente” può essere mantenuta.
e) La Verità rivelata
Grazie al grande e per Gesù “farisaico-separatore” errore dell' “io-materialità”, si costruirà il “dogma” della “Verità
rivelata” partendo dalle parole, del Vangelo di Giovanni, che dicono:
<.. (a chi Gli diceva) tu dai testimonianza di te stesso!… Gesù rispose:
“io non sono solo, ma sono io e il Padre che mi ha mandato” >(Gv 8.13,16)
Ma è chiunque si senta - nel fondo - “unito” all’Assoluto, ad Esso in-esistente ed inesistente in sé, senza “proprie”
identità e volontà, che a quella domanda così risponderebbe, razionalmente e senza con ciò affermare alcun che di
“esclusivo” come in quelle parole vuole invece vedere la Cristianità.
Chiunque là si sia portato così sa e può dire, ma i “ciechi e sordi” che Gesù tanto ammonisce anche questo non
vedono e non sentono.
Gesù qui vuole solo dire che avendo Egli perso ogni “personale e propria” identità e volontà ovvero essendosi
portato ad essere “figlio di Dio”, le Sue parole ed i suoi atti sono ora quelli del Padre-Assoluto.
Egli, morto all'“io” e “resuscitato-rinato” all'Assoluto, ci dice che le sue parole non sono più “proprie”, non sono più
dell' “io” ma sono di quel Padre che le suggerisce: condizione cui Egli è arrivato < mandato > ovvero ancora senza
“proprie” dell' “io” capacità e volontà ma grazie ad un Accadere che è stesso Assoluto.
Ben altro da quella “verità rivelata” che vorrebbe qui vedere una dichiarazione di “unigenitura divina”.
f) Lo spirito e la carne
Si continuerà per millenni a leggere la cosiddetta “lettera”, restando così nella “carne”, e non si riuscirà a vedere ed
a portarsi ad uno “spirito” che pure si predica e si suggerisce ma che sempre resterà “io” materialmente condizionato
e legato e, per me, confusamente visto : dice il Catechismo della Chiesa Cattolica:
< si deve considerare l'anima come “forma del corpo”..(il quale è) “spirito e materia”..
non due nature congiunte ma la loro unione forma un'unica natura>(CCC365)
<(tale anima distinta dallo spirito) non introduce una dualità dell'anima. Spirito significa che sin dalla sua
creazione l'uomo è ordinato al suo fine soprannaturale e che l'anima è capace di essere gratuitamente elevata alla
comunione con Dio>(CCC367)
Concetti non semplici da capire, almeno a me, ma non è tutto, a “questo spirito-materia unica natura la cui forma è
l'anima”, si deve aggiungere un “cuore” che dovrà arrivare “a capire” quanto sopra esposto per compiere il suo
compito:
< “cuore” (è quella) profondità dell'essere dove la persona si decide o no per Dio> (CCC368)
Anche la “coscienza” però poi si aggiunge ed avrà molto da fare per capire il suo compito: essa infatti dovrà da un
lato seguire questi indirizzi :
< la coscienza morale, presente nell'intimo della persona, ingiunge di compiere il bene e di evitare il male...
ascoltandola l'uomo può sentire Dio che parla>(CCC1777)
< in tutto quello che dice e fa l'uomo ha il dovere di seguire fedelmente ciò che (così) sa essere giusto e retto >
(CCC1778)
< l'uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà per prendere personalmente le decisioni morali ..> (CCC1782)
ma anche, antiteticamente, all'uomo sarà detto :
< l'educazione della coscienza è indispensabile...(per coloro che) preferiscono il loro proprio giudizio e ..rifiutano
gli insegnamenti certi > (CCC1783) ; < all'origine della deviazione del giudizio morale..(vi è) la pretesa di una
malintesa autonomia della coscienza, il rifiuto della autorità della Chiesa..(ed altro) > (CCC1782)
< accade che la coscienza morale sia nell'ignoranza e dia giudizi erronei > (CCC1790)
Anche nelle parole sopra citate si vede come l'uomo che nasce nella visione Paolino-Cristiana, l'uomo “creato”, è un
uomo “sostanzialmente materia-carne”:
“spirito ed anima” restano in queste spiegazioni evanescenti e sussidiari alla materia al punto di scomparire quasi.
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E' un uomo poi che è confusamente dotato di un “cuore”, che chissà come deve < decidersi o no per Dio >, e ancora
poi di una “coscienza” che da un lato unicamente egli ha il dovere e diritto di ascoltare ma che dall'altro dovrà
essere “educata”, senza “rifiutarsi”, dalla “autorità della Chiesa”.
E' un uomo che così, con verità che sono senza razionalità, dovrà “trovare” una “fede” che però solo gli può essere
“data”.
Ad un tale uomo servono forti auguri poiché non gli resta che la “speranza”, quella, “male”, del greco Prometeo !.
g) La speranza
A “questo” uomo “sostanzialmente” materia “inevitabilmente” può solo restare la “speranza”, quella in cui Paolo
confiderà, “speranza” che mai Gesù ha visto e di cui mai ha parlato.
“Questo” uomo tenuto così ancorato ad una “propria” nascita-creazione, non può uscire dal “proprio io”, dalla
“caverna di Socrate” o “peccato d'origine” o condizione di “caduto figlio dell'Adam” in cui così è portato e tenuto:
egli rimane in quella condizione nonostante tanti giusti pensieri e parole che, poi variamente contraddetti e negati o
solo “vestiti” di giustizia, lo ingannano.
Sono lacci, catene e prigioni poiché al fondo, e nascostamente, non fanno che sostenere l' “io” e la materialità.
Ad un uomo così, a questa umanità, unicamente si può consegnare la “tragica speranza”, quella stessa speranza
“tragica fine” ben vista e delineata secoli prima di Paolo dal mondo Greco di Esiodo ed Omero.
Inevitabilmente Paolo, con quella “sua” costruzione teologica, con quel “suo” Vangelo-annuncio, con quel “suo”
Gesù, non può che arrivare a questa “speranza vuota”: una speranza che non può aprire alla Vita Viva, una
“speranza” che “non è” la:
< speranza piena di immortalità (dei giusti) >( Sap 3.4)
E' una speranza “vuota” e non piena di “Vita” secondo le parole di Gesù che invece diceva :
< chi ascolta la mia parola..è “già” passato dalla morte alla Vita > (Gv 8.22)
A nessuna “speranza” qui invita Gesù: Egli dice che chi -capisce- le Sue parole è -già- Vivo! , nessuna “speranza” di
potere corporalmente, dopo la morte fisica, essere vivi qui si trova: è in quell'-oggi- in cui lo si capisce che si è Vivi.
Della “speranza”, purtroppo “vuota”, ultimo triste traguardo e tragica fine di “questo” uomo, Paolo parlerà
diffusamente (Rm 5.5; Eb 6.19,20; 1Ts 5.8; Rm 12.12): descrivendo la “sua” condizione egli tratteggerà l'uomo che
egli istruisce: un uomo che ondeggia tra “fede cieca” e “speranza vuota” “vantandosi e gloriandosi” di tutto ciò e
delle “tribolazioni” che continuamente tutto questo alimentano.
Condizione che è la sola possibile, il limite, di quell'uomo, condizione che non potrà che passare ad una Cristianità
figlia del “suo” insegnamento che infatti dirà:
< noi fermamente crediamo e “speriamo”... che i giusti vivranno per sempre..e che (Cristo) li risusciterà nell'ultimo
giorno >(CCC 989)
A quella < speranza ..piena di immortalità > di Sapienza 3.4 che unicamente ci dice di una “cosciente
consapevolezza di partecipare della Vita Eterna”, la Cristianità sostituisce una <..ferma credenza-speranza..>
lontanissima da ogni “consapevolezza”.
E, ripeto, a tutti, ai tanti che anche oggi parlano di “speranza”, Esiodo con il suo Prometeo intendeva certo parlare
ammonendoli che essa è “male” poiché chi ad essa si ferma, chi ad essa si affida, non ha più alcun mezzo per
arrivare alla “conoscenza” : non “cerca” e non “ascolta” più.
h) La nuova immersione-battesimo
Con Paolo, ma qui grazie anche a Pietro, si avrà lo stravolgimento del senso profondo e della natura di ciò che la
immersione-battesimo era per Gesù.
Delle origini delle “immersioni-battesimo” ho già parlato in precedenza ed è certamente sulla scia di quelle
lontanissime origini spirituali che Giovanni Battista praticava una immersione che, gesto, pratica e rituale ancora
molto in uso e praticato anche ai suoi tempi nei territori giudaici ma non solo, era assieme “simbolo, invocazione e
testimonianza” di un “cambiamento di mentalità-con-versione”:
< (Giovanni B.) predicava un battesimo di “conversione” > (Mc 1.4)(Lc 3.3)
< ..io (Giovanni B.) vi immergo “in” acqua, per il cambiamento di mentalità..
..ma colui che viene dopo di me...egli vi immergerà in Spirito santo e Fuoco Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la
sua aia e raccoglierà il grano nel granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile >
(Mt 3.11-Mc 1.8-Lc 3.16- testo Nestle-Aland)
Sono parole pulite queste, che dicono di un umile invito, da parte di Giovanni B., al “cambiamento-con-versione”,
ma sottilmente ed inconsapevolmente nella traduzione Cei esse saranno modificate con il risultato di sostenere la
errata e di parte visione della “impotenza” del gesto di Giovanni contrapposto così a quanto farà la Cristianità di
Paolo e Pietro. Dice la traduzione Cei:
< ..io vi battezzo “con” acqua per la con-versione..
colui che viene dopo di me....egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco...>
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nona parte
Portando un < immergere in acqua > ad un < battezzare con acqua > sottilmente il senso delle parole di Giovanni
sarà spostato. Quel profeta che, per le parole di Gesù, < fra i nati da donna non ve ne era mai stato uno più
grande>, diverrà così la “impotente figura” che nulla può solo egli potendo usare una impotente acqua.
Ricordo che Giovanni Battista, che mai ha invitato a seguire Gesù e che ha invece continuato sempre la sua
autonoma predicazione, negli ultimi suoi giorni di vita, ancora dubbioso, farà chiedere a Gesù “se è lui il Messia che
i Giudei stanno aspettando”: tutto questo ci dice con evidenza che egli poteva avere sempre avuto questo dubbio e
perciò in quelle parole che ci riportano gli evangelisti egli “poteva benissimo non parlare di Gesù”.
Egli, anche sulla base di quanto oggi di lui ci dicono i suoi seguaci Mandei, più che di un carnale Messia che
peraltro egli non cita, “colui” egli dice e non “Messia”, sembra dire di ciò che sarebbe avvenuto in quel “ momento
ultimo” cui l'uomo sempre arriva: ciò che sarebbe avvenuto ed avviene in quella “personale fine del tempo” che
vede o la eternità dell'Assoluto o la dissoluzione-morte.
Giovanni dice che ben altro rispetto a quella sua immersione “gesto-invito” al “cambiamento-conversione” l'uomo
doveva vedere: lo aspetta infatti quel “giudizio” che è o “immersione” in Ruah-Vento-Spirito Santa che dona Vita
eterna o “immersione” in Fuoco che dissolve e fa morire.
Questo diceva Giovanni B. con quelle parole.
La frase di Giovanni poi mal si presta a parlare di un Gesù che sempre ha detto “io non giudico nessuno” e che ha
invitato ad una “immersione” di “insegnamento” su ciò che sono Padre, Figlio e Ruah Santa.
Di certo alcuni dei primissimi discepoli di Gesù, coloro che operarono temporalmente assieme a Pietro e Paolo e tra
questi Apollo (At 18.25) e verosimilmente anche il Filippo di cui è detto in At 8.13, non si staccheranno dalla
“immersione” Giovannea di invito alla “conversione-cambiamento di mentalità”.
Anche Pietro, in queste sue righe, ci conferma “quel” tipo di atto e rito:
< ..il battesimo (immersione ndr)...non è rimozione di sporcizia del corpo, ma invocazione di salvezza
rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù > (1Pt 3.21)
Ma, subito dopo la definitiva “ascensione al cielo” di Gesù, al suo primo discorso pubblico, Pietro, secondo quanto
ci riporta Luca in Atti, sembra dire qualcosa di diverso.
In quella occasione Egli, rivolgendosi ai Giudei rei della crocifissione di Gesù disse:
<... “Uomini d'Israele, ascoltate… Gesù, uomo accreditato da Dio
presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni che Dio stesso operò
fra di voi per opera sua...voi l'avete ucciso. Ma Dio lo ha resuscitato...innalzato alla (sua) destra
(e gli ha dato) lo Spirito Santo che gli aveva promesso..”
All'udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli:
“che cosa dobbiamo fare..?” E Pietro disse:
“Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati ; dopo
riceverete il dono dello Spirito Santo.. Allora quelli che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno
si unirono a loro circa tremila persone > (At 2.22-41)
E' grazie a questo episodio ed a questo “successo” di nuovi adepti legato certamente a quel “riceverete la RuahVento-Spirito Santa”, è grazie ad una immersione che anziché “istruire” come ha chiesto di fare Gesù -cosa sonoPadre, Figlio e Ruah Santa, “permetterà di ricevere” la Ruah-Vento Santa: è grazie a ciò che nascerà una -nuova
immersione-.
Ha detto Gesù:
< .. ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole, nel nome del Padre, del Figlio e della Ruah Santa..>(Mt 28.19)
Nessun “ammaestramento-insegnamento” su cosa siano il Padre e il Figlio che dobbiamo trovare in noi stessi così
vedendo al contempo il Padre e la nostra precedente condizione di “caduta”, e nessun “ammaestramento”
sull'ascolto della voce Madre divina che è la Ruah Santa.
Cefa-Pietro, il < senza istruzione e popolano > allontanato da Gesù con quel severo < via da me Satana >,
verosimilmente aprirà qui la strada ad una “concessione-consegna” della divina Ruah-Vento, qui peraltro da lui
almeno non con questo spirito fatta, che potrà essere effettuata solo -tramite- la “imposizione delle umane mani” di
auto eletti e incaricati uomini che si “sentono discepoli” di Gesù.
In Pietro come visto troviamo ambiguità di visione sul battesimo e sarà con Paolo, affiancato però da Pietro, che si
avrà la definitiva trasformazione:
“ l'immersione diverrà sacramento < per mezzo > del quale si esce dalla condizione di un inspiegato“peccato
d’origine”.
La immersione con-versione-cambiamento cui Giovanni Battista, il più grande tra i nati da donna ha detto Gesù, sarà
sostituita con un “atto sacramentale”.
Il Battesimo-immersione che testimonia, invita ed “invoca” la “morte dell'io” e la “rinascita-resurrezione in vita”,
non compreso si trasformerà in una sorta di “prenotazione-promessa di resurrezione corporale dopo la morte fisica”
che avviene grazie ad un indeterminato e poco comprensibile processo di <..sepoltura...morte con Cristo..> :
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< Paolo.. ad Efeso..trovò alcuni discepoli e disse loro “avete ricevuto lo Spirito Santo? quale battesimo avete
ricevuto? ”, “il battesimo di Giovanni” risposero..Paolo..disse “Giovanni ha amministrato un battesimo di
penitenza..” dopo..questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù > (At 19.1,5)
< Per mezzo del battesimo siamo..stati sepolti insieme a lui (Cristo) nella morte...Ma se siamo morti con Cristo,
crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo è risuscitato dai morti..> (Rm 6.4,8)
< per mezzo del battesimo...anche noi possiamo camminare in vita nuova >(Rm 6.4,11)
< siete stati sepolti insieme (con Gesù) nel battesimo >(Col 2.12)
Null'altro più potrà “valere” se non il “battesimo con la concessione dello Spirito Santo per mezzo della imposizione
delle mani” e sembrerà strano che qualcuno riesca a parlare santamente e non conosca “quel battesimo”:
< Apollo...parlava e insegnava esattamente...sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni > (At 18.25)
Fondamento di questo nuovo “battesimo in Gesù” è, dicono le parole di Paolo, la convinzione-speranza che l'uomo
possa garantirsi una “propria dell'io” vita “fisicamente” eterna: vero fulcro della “conversione” paolina .
E la “personale immortalità” garantita dal battesimo Paolino si trasporterà nella Cristianità, pur se con parole non
facili da capire:
< Fin da ora noi (battezzati) partecipiamo alla Risurrezione del Signore mediante lo Spirito Santo che agisce nel
sacramento del corpo di Cristo. La Trasfigurazione ci offre un anticipo della venuta gloriosa di Cristo il quale
trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso >(CCC 556)
Parole non facili da capire o meglio parole che si prestano a varie sfumature di lettura ma che nella sostanza, fuori
dalle chiuse stanze di dottrinali incerte spiegazioni, dicono ciò che l'umanità capisce ed il mondo sacerdotale spiega:
“ Il sacramento del battesimo prepara e ci dispone al “nostro” futuro “corpo glorioso”.
E ancora si insegna un “io” che dovrà essere “in sé” eterno.
Chiudo questo lungo capitolo su Paolo ricordando e ripetendo quanto detto all’inizio: non si esaurisce qui ciò che si
deve vedere e dire su Paolo, altro e molto importante si deve vedere. Restano infatti da vedere le accuse che, ci dice
lui stesso, gli erano rivolte di <..(insegnare) menzogne..(e) fare il male..>(Rm 3.7-8) e, assieme a questo, resta da
vedere quale fosse la natura ed origine di tali accuse. Analisi che, come detto, solo più avanti nel tempo farò e che,
qui, approfondiremo al Capitolo “La Ascensione di Isaia” della 11° Parte grazie, anche, all’omonimo testo Cristiano
del 120 dC circa. Ma una riflessione, nel merito, la faremo anche più sotto al Capitolo “Del bene al servizio del
male” in questa 9° Parte.
AGOSTINO
Agostino d'Ippona, 340-420 dC, è unanimemente considerato il “padre Teologico” dell'Occidente ma la sua immane
opera teologica è “centrata” su di una “esegesi” e spiegazione delle parole di Gesù che è fatta “sulla base” degli
scritti di Paolo.
Agostino pertanto è colui che “interpreterà” le spesso non facili parole di Paolo ed è su quella “paolina
comprensione” di Gesù che egli si porrà quale “padre teologico dell'Occidente”.
Con Agostino in particolare, ma anche con tanti altri “Padri” della Chiesa, il farisaico “errore dell'io” eredità di
Paolo si farà sottile ma profondissimo e si nasconderà dentro e dietro a parole che, come sempre d'altronde,
sembreranno giuste ma che sempre sostengono l'errore dell' “io” individuale come queste:
< ..quando cerco Te, Dio mio, cerco la (mia ndr) vita beata...>(Conf. 10,XX,29) ; < “voglio..andare”..oltre
questa parte della mia natura, salendo per gradi verso colui che “mi” ha creato..>( Conf. 10,VIII,12)
< Quando un giorno sarò unito a te “con tutto me stesso”, non ci sarà più “per me”
dolore e fatica. Allora la “mia vita” sarà viva, perché tutta piena di te >(Conf. XXVIII,39)
<..l' Apostolo (Paolo) disse queste parole che tanto amo: “tutto “posso” in colui che mi rende forte” (Fil
4.13)..>(Conf. 10,XXXI,45)
Agostino, come il suo maestro Paolo, è un vero “gigante enochico”, un gigante dell' “io”:
< le lodi mi danno gioia..(e) non mi sento veramente lodato quando la mia opinione non coincide con la lode
a mio riguardo > (Conf. 10,XXXVI,61)
< ..si vorrebbe essere lodati, si mendicano e si accolgono applausi, per porre il caro “io” sul piedistallo. Questo
amore di sé rimane anche quando è biasimato in me e per ciò stesso che lo biasimo > (Conf.10, XXXVIII,63)
Agostino sarà completamente condizionato, nello studiare e nel fare le sue requisitorie e confutazioni, da questo
bisogno e spinta : sarà il bisogno insopprimibile del suo “io” di “vincere e con-vincere”, quello di dimostrare a sé ed
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agli altri le “sue” invincibili ed indubbie capacità oratorie, ciò che a lui premerà in primis. Ma su queste basi
nessuna Verità può nascere : solo vittorie verbali si possono così avere.
Queste parole di lode e di amore per un “io” che Gesù solo condanna, questo culto imponente ed incontrollato per il
“proprio io”, Agostino, vero maestro di “parole che offuscano il vero”, in altri passi cercherà di nasconderlo con
parole all'apparenza opposte ma che in realtà sono sottilmente identiche:
< (Paolo) dice:” Non sono più io che vivo”. É chiara la sua rinuncia all'io; ma ecco seguire una trionfale
testimonianza di Cristo: “ma Cristo vive in me”. Che vuol dire allora “rinnega te” ? Non essere tu la tua stessa
vita. E che si vuol dire col -non essere tu la tua stessa vita?- Non fare la tua volontà, ma la volontà
di colui che abita in te..>(Discorso 330.4)
< ..“chi ama la propria vita la perderà”. Chi intende ricavarne frutto la semini. In questo, quindi, consiste il
rinnegamento di sé in modo da non andare in perdizione a causa di un amore deviante..> (Discorso 330.2)
Nessuna < rinuncia all'io >, nessuna “morte all'io” vedono in realtà Paolo ed Agostino e la Cristianità che li segue:
quella < chiara rinuncia all'io > declamata da Agostino in realtà è solo un “riempimento dell'io” con Cristo, < la
mia vita sarà....tutta piena di te >. Riempimento che ha il fine di “garantire la propria” sopravvivenza eterna, e che
è solo un “seminare l'io”, < la propria vita ...chi intende ricavarne frutto la semini >, con l'unico fine e scopo che l'
“io” possa “ingrandire fruttificando”. Quella inesistente “rinuncia all'io” di Paolo e del suo cultore Agostino, è il
subdolo gioco dell'io che finge, anche a sé stesso, di immolarsi mentre in realtà solo si rafforza:
è l'ipocrisia tanto condannata da Gesù ai Farisei.
Sull' “io” altre ambigue ed ingannevoli parole Agostino le pronuncerà parlando della “pericolosità mortale dell'io”
con riferimento all' “io” che Paolo possedeva quando era instancabile e crudele persecutore dei seguaci di Gesù.
Agostino, come Paolo, vedrà senza profondità : vedrà quale “io-mortale” unicamente quello che porta a compiere
fatti che per lui, qui giudice giudicante, sono “male”.
Egli non andrà oltre in questo esame, non saprà vedere che l' “io è sempre errore mortale”, che esso non si divide in
“buono e cattivo”, non ha due facce: “cattiva” quella del Paolo “io persecutore” e invece “buona” quella del
successivo Paolo “io predicatore” di “sue-proprie” verità.
Agostino, come Paolo, non saprà passare nel deserto come Gesù, non vorrà fare alcuna “grande Jiadh”, non saprà
abbandonare, come Abramo, quella “propria casa” che è il “proprio io”, non saprà scalare quel duro monte in cima
al quale, in quell'oggi che ci vede ormai inesistenti in sé, si trova e si vede Dio e le sue Leggi, non saprà salire, nudo
senza “proprie” vesti, la rampa che porta al tempio-casa di Dio: il suo “io” non si annulla nell'Assoluto ma,
ipocritamente, afferma di rinunciare a sé ma in realtà “si riempie” di Cristo:
<.la (cosa) più mirabile è che l'uomo possa raggiungere la natura divina,
e che possa portarla in sé >(Città di Dio VIII 24,1)
Agostino come Paolo non può vedersi che “spirituale” ed “alto” e potrà così “giudicare il prossimo” senza
considerare le parole di Gesù che dice di “non giudicare” :
< ..l'uomo spirituale.. giudica approvando ciò che trova giusto e disapprovando
ciò che trova sbagliato nelle azioni e nei costumi dei credenti...( che dovranno essere da lui )
..controllati nella castità, nei digiuni, nelle pie riflessioni ..>(Conf. 13,XXIII,34)
Agostino, come Paolo, e come tutta la Cristianità legata anche in questo alle loro incomprensioni, riterrà che il “non
giudicate” di Gesù sia riferito alla “cieca” adesione ad una Legge vista nei “dieci comandamenti”:
< l'uomo...deve essere uno che adempie la Legge e non la giudica >(Conf. 13,XXIII,33)
Ma su questa strada Agostino, come Paolo e l'Occidente Cristiano e molti altri pure, troverà solo amarezze:
< La vita, per l'uomo, è una realtà più difficile che la morte >(Comm.V.Giov.,tr.LXIV)
< L'amore è come una ferita >(Serm. CCXCVIII 2) < L'amore non può esistere senza sofferenza>(Sul Salmo 37,2)
Una strada che, irrazionalmente, porterà però a non vedere altro che un:
< Dio! Buono e bello, in cui, da cui e per cui tutto è buono e bello ciò che è buono e bello >
(Soliloqui, preghiera di introduzione)
Un Dio -umanamente- “bello e buono” che è all'opposto,che è “antitetico”, all'Assoluto “bello e buono” di Socrate.
E su quella strada si troverà solo un Gesù che non “insegna” più: si troverà solo un Cristo-Dio che dona all'“io”
dell'uomo la “fisica vita eterna”: < Ecco perché crediamo in Cristo: perché “ci dà” la vita eterna >(Su Salmo 40.3)
IL GRANDE INCOMPRESO ALLARME TEOLOGICO
In apertura al capitolo su Paolo, quando sottolineavo il passo allarmante della seconda lettera di Pietro che mi aveva
scosso per il suo dirompente potenziale, ho detto che più avanti nel tempo avrei poi visto in altre due lettere lo stesso
potenziale e, se pur più nascosto, lo stesso allarme.
320
nona parte
Si tratta, dicevo, delle due lettere, uniche per entrambi, di Giuda, non meglio identificato, e di Giacomo.
Sono lettere, quelle di Giuda, Giacomo e la II Pietro, che sono quasi contemporanee e denotano una “unità” di
intenti che con evidenza fa dire che esse nascono con il “comune e concordato” fine di “correggere” indirizzi
profondamente sbagliati tra le comunità della nascente Chiesa dei seguaci di Gesù.
In esse si vorrà leggere la volontà di una “correzione comportamentale” senza riuscire a capire e vedere che sotto e
dietro a questa, ma neppure tanto sotto e dietro, vi è primariamente e fondamentalmente una enorme “messa in
guardia teologica” che nasce dal dubbio, fondato, che le comunità che nascevano lontano da Gerusalemme fossero
in un “grave errore”, teologico appunto.
“Indice, spia e dichiarazione” di quale fosse il “dubbio teologico” in discussione fra i tre, quantomeno, è ciò che
leggiamo in Pietro dopo quella prima parte della sua lettera in cui egli copia e ripete quanto scrive Giuda.
Pietro, con questa lettera infatti, ricalcherà quasi copiandola in larga parte la lettera di Giuda ed anche questo ci dice
certamente di un “comune e concordato” fine, ma ci dice anche forse di un da lui quasi “subìto” invito, a quella
lettera, da parte di Giacomo e Giuda.
Potrebbe dare forza a questa ipotesi quanto si trova nella lettera che Clemente, primo vescovo di Roma eletto
secondo Tertulliano proprio da Pietro e quindi suo “figlio spirituale”, scrisse ai Corinzi certamente prima del 70.
Questa lettera dice che:
< Pietro, per iniqua -invidia-, non uno o due, ma molti travagli sostenne...e Paolo,
per -uguale invidia-, sostenne il combattimento del silenzio >.
Di quale -invidia- poteva parlare il -fedele a Pietro e Paolo- Clemente è dubbio ma certo egli può avere visto quale
“invidia” una forte messa in discussione, interna alla Cristianità, dei loro insegnamenti: difficilmente può essere
chiamata “invidia” una possibile se pur improbabile disapprovazione da parte dell'imperatore come anche è da
escludere che tale -invidia- fosse il possibile, ma anche qui improbabile, “antagonismo” di una “paganità” sempre
invero molto libertaria e tollerante almeno nei suoi sacerdoti ed insegnanti.
E poi, in tali pur remote eventualità, ben altre reazioni avrebbero avuto quei due “giganti”: non certo chiusi in
“travagli e silenzi” sarebbero stati.
Le lettere citate di Giacomo e Pietro sono scritte pochi anni prima della loro prematura morte e questo ci dice da un
lato che essi non hanno avuto modo di aggiungere molto altro a questi scritti e dall'altro che il progredire della
paolina opera, siamo intorno agli anni 60 dC, stava già mettendo in evidenza le deficienze di alcuni suoi indirizzi.
Deficienze sulle quali forse fino ad allora la “comunità madre” di Gerusalemme aveva con leggerezza, almeno da
parte di Pietro, sorvolato volendo certo vedere nell'opera di Paolo primariamente la grande diffusione del nome e
dell'opera di Gesù.
Tutte e tre le lettere sembrano indirizzate alla universalità delle comunità Cristiane: Giacomo si rivolge in modo
esplicitamente universale e giudaico < alle dodici tribù sparse nel mondo >, Giuda scrive in modo parimenti
universale < agli eletti che vivono nell'amore di Dio Padre...e Gesù Cristo >, mentre Pietro non indica destinatari
ma verosimilmente essi sono gli stessi della sua prima lettera: < i fedeli dispersi nel Ponto, nella Galizia, nella
Cappadocia, nell'Asia e nella Bitinia...>.
Tutte e tre le lettere allertano contro “errori e deviazioni” e tutte sono intese a ricordare ciò che veramente conta e
vale, ma in particolare da esse, pur nascosto e pacato, traspare un “comune e concordato allarme ed intento” :
--- da un lato in esse troviamo il richiamo alla “piena validità di Legge e Profeti” ovvero di quanto sulla base di
Paolo oggi la Cristianità ritiene “superato” e viene marginalizzato quale “antica tradizione Jawista”.
--- dall'altro lato si trova nelle tre lettere una imponente critica a comportamenti, nella nascente Cristianità, che
vengono dichiarati lontani dagli insegnamenti di Gesù.
Su questo ultimo punto le lettere sono piuttosto generiche e non entrano che con pochi esempi e precisazioni nel
merito di quali siano gli “errori comportamentali” che stanno insorgendo nelle comunità: pur importanti non troppo
possiamo ricavare da queste critiche ed allerte se non il fatto e certezza che gli indirizzi che stava assumendo la
Chiesa che stava nascendo “fuori da Gerusalemme” erano ritenuti lontani da ciò che avrebbe dovuto essere.
Indirizzi comportamentali che hanno resistito a lungo, ci dice la storia della Cristianità e, per l'oggi, ci dice anche il
card. Martini, indirizzi che però nascevano da qualcosa di profondo e generalizzato che mai è stato analizzato ed
approfondito.
A questo riguardo però vuole sottolineato che Pietro -nel contesto di queste critiche comportamentali- fa la
importante “messa in guardia” rispetto a possibili e facili “rovinosi errori” in cui si può incorrere nel leggere Paolo
e questo fa dire che nella fase in cui i tre hanno concordato l'invio “comune” e quindi autorevole di questo
“allarme”, proprio questo facilmente può essere stato l’argomento della discussione: esso può verosimilmente essere
stato il principale dubbio, preoccupazione e vero motivo di quelle lettere-allarmi.
Diverso e più certo è invece quanto si può e si deve dire rispetto al primo punto, su quella triplice “comune e
concordata” - conferma della piena validità della fede in Jhwh e delle Scritture tutte compreso Enoch -.
Con evidenza con la loro conferma della “piena validità di Legge e Profeti” i tre apostoli dimostrano di avere scritto
con il preciso fine e scopo di correggere gli insegnamenti di un Paolo che invece “rigetta, condanna e praticamente
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nona parte
annulla le Scritture”.
Questa piuttosto “chiara evidenza” è confermata anche dal “preciso” allarme che Pietro farà in merito alle parole e
lettere di Paolo, un allarme che però va molto oltre la volontà di confermare le Scritture quando dice del “ rischio
della propria rovina” che può correre chi legge Paolo: si assimila così il “non capire le Scritture” e quel “rischio di
rovina” che non può che essere l’allontanamento-incomprensione del messaggio di Vita di Gesù.
Questo gravissimo allarme viene fatto solo da Pietro: è lui che ha sostanzialmente avvallato e garantito
Gerusalemme sull'operato di Paolo ed è quindi lui che moralmente più sente, ed ha, la responsabilità di “deviazioni
ed errori” dottrinali nelle comunità che si legano a Paolo.
E non deve ingannare il fatto che Giuda e Giacomo nelle loro lettere non facciano cenno al possibile “erroredeviazione teologica” di Paolo: essi, data la ferma difesa che Pietro non può non avere fatto del proprio operato e di
Paolo e vista la -principalmente sua- obiettiva responsabilità in merito a tale deviazione, non potevano che astenersi
dal condannare apertamente Paolo e lasciare a lui, a Pietro, il compito di correggere e mettere in guardia. Egli infatti
dirà solo di una -possibilità di errore- nell'interpretare Paolo, così difendendo con Paolo anche il proprio operato:
non “errore-deviazione” dottrinale vi era in Paolo, egli così sottintenderà, sbagliando, ma in una “errata e rovinosa
interpretazione” si poteva incorrere nel leggere le sue lettere.
Ma Pietro sbagliava: Paolo infatti usa frasi e formule corrette se giustamente lette ma egli le piega e le porta a
sostenere il “suo”, lontano da quello di Gesù e Scritture, nuovo e farisaico vangelo-annuncio: egli opererà un vero
capovolgimento che Pietro non arriverà mai a capire: troppo sottili sono per lui le deviazioni che pure egli denuncia
con il suo allarme.
Egli resterà nell’errore paolino ma poco dopo questa lettera, alla sua condanna a morte, Pietro chiederà di essere
crocifisso “capovolto” dichiarando così la sua volontà e desiderio di potere finalmente capire in modo corretto.
Analizzerò più in dettaglio qui di seguito queste tre lettere.
GIUDA
Giuda si dichiara < servo di Gesù Cristo > e preciserà subito con un enigmatico < ma >, di essere < fratello di
Giacomo >:
< Giuda, servo di Gesù Cristo ma fratello di Giacomo, agli eletti che vivono
nell'amore di Dio Padre e sono stati preservati per Gesù Cristo >(1.1)
Quel < ma > enigmatico sarà incorrettamente tolto dalla traduzione Cei che con evidenza non ne sapeva vedere il
senso ma Giuda implicitamente sottolinea invece così che, tra chi si dichiara “servo di Gesù Cristo”, vi sono
“indirizzi dottrinali diversi” ed egli così precisa di seguire quegli insegnamenti che sono portati avanti ed insegnati
da Giacomo ovvero dalla comunità madre di Gerusalemme. Questo poi risulta ben chiaro anche dal testo della
lettera che è nella sostanza, se pur non apertamente dichiarata, una contestazione alla paolina “dottrina del
superamento delle Scritture Giudaiche”.
Ma di notevole importanza è anche il fatto che qui, confermando in sostanza quanto detto in queste pagine in merito
al legame tra Gesù e la tradizione enochica, Giuda dichiara i testi di Enoch quale scrittura ispirata.
L'autore di questa molto breve lettera non è Giuda Didimo Tommaso e naturalmente nemmeno Giuda l'Iscariota: la
Cei giustamente lo identifica con il Giuda citato in Mt 13.55 dove sono riportate le parole con le quali fu accolto
Gesù in occasione del ritorno al suo paese natale, <..nella sua patria..>, dalla gente che lo aveva visto nascere e
crescere e che non accetterà le spiegazioni delle Scritture da Lui fatte in Sinagoga:
<..non è forse il figlio del carpentiere? Sua madre non è forse Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe,
Simone e Giuda ? E le sue sorelle non sono tutte tra noi ? >(Mt 13.55)
Per inciso sottolineo che è difficile non vedere qui dei “carnali” fratelli e sorelle, ma questo è argomento di poco
conto e che nulla porta a questa analisi.
Oltre a quanto già detto sulla conferma della validità delle Scritture, Legge Profeti ed Enoch, è importante vedere
come Giuda dichiari che era suo < desiderio scrivere riguardo alla nostra salvezza >, e questo desiderio non può
che nascere dalla coscienza che quella strada si sia smarrita !.
Egli per questo dice subito che quel desiderio è stato < costretto > a tramutarlo in una < esortazione > a seguire la
corretta strada poiché < si sono infiltrati infatti ...individui ...empi ..>.
Abbandono della “via di salvezza” ed “infiltrazione di empi” sono evidentemente legati e, se pur non
esplicitamente, i successivi richiami tutti fatti a Jhwh, Mosè, Scritture ed Enoch ci fanno dire che -è l'abbandono di
queste Verità che è criticata-. Anche in questa lettera, come in quella di Giacomo, pochi sono i riferimenti a Gesù e
nulli quelli alla “resurrezione finale” .
Giuda invece sottolinea quale “errore mortale” la “ribellione dell'anima” ed è interessante notare il fatto che egli,
riferendosi alle Scritture, chiama l'anima < Kore >: < ..sono periti nella ribellione di Kore..>
Giuda quindi usa un temine greco che ci fa vedere una chiara “unitarietà” di vedute che egli ha con la cultura greca
su tale importante argomento. Kore, in uno dei miti Greci, è la figlia di Zeus che è “rapita agli inferi” dal fratello
Ade e qui, in Giuda, di essa viene a pieno confermata la visione di “anima universale e personale” che di essa ci dà
322
nona parte
Proclo nel suo Commento a Platone :
<...la “causa monadica” e ... l’ essenza che sovrasta tutte le cose, ...Platone usava chiamare Kore ...>
Dice Giuda parlando di quanto avveniva nella Cristianità paolina lontana da Gerusalemme e ormai lontano anche
dalle Verità di Gesù:
< Guai a loro! Perché si sono incamminati per la strada di Caino e, per sete di lucro, si sono impegolati nei
travagli di Balaam e sono periti nella ribellione di Kore. >(Gd 11)
In queste parole poi oltre a vedere quanto già sottolineato sopra, si vede come la “morte” anche da Giuda, certo in
unisono con Giacomo, è vista quale “morte spirituale” legata alla “ribellione-prostituzione” dell'Anima-Kore
ovvero alla caduta dell'uomo nella materialità di cui dicono la figura di Balaam simbolo di avidità ovvero di chi
pensa “per sé”, per l' “io”, assieme alla figura di Caino simbolo dell'uomo “em-pio” ovvero non puro-unito.
Un'altra conferma della validità di quanto sin qui visto e sostenuto.
SIMONE detto PIETRO
Pietro scrive :
< (nelle lettere di Paolo).. ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli incompetenti e gli incerti le travisano,
al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina. Voi..avvisati prima, state in guardia..> (2Pt 3.16,17)
Pietro, appena prima di queste sue allarmanti parole, sottolinea che “ciò che” vuole salvato e “visto ed assunto”
come <..salvezza..>, delle parole di Paolo, è l'invito a quella < magnanimità >, o “amorosa umiltà-bontà d’animo”,
che Gesù ha insegnato:
< La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche Paolo..ha scritto..in tutte le lettere..>
(2Pt 3.15)
Simone è persona semplice e, come già ricordato, < senza istruzione e popolano > (At 4.13) egli fatica a capire le
parole di Gesù che infatti lo allontanerà dichiarandolo <..Satana..che ragiona come gli uomini..>, un Gesù che,
secondo il vangelo di Giovanni, dovrà dirgli <..quello che io faccio tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo..>(Gv
13.7) e che lo inviterà per tre volte a <..pascere le Sue pecore..>, senza comunque essere capito.
Ma sono vari anche i testi, qui riassunti in parte da “Simon Pietro, Storia e..” di Rudolf Pesch, che testimoniano
questi aspetti di Pietro :
- la Apocalissi di Pietro lo presenta come discepolo ottuso (3.16) al quale <..gli occhi devono essere dischiusi e le
orecchie aperte..>(16)
- la Pitis Sophia lo presenta come bisognoso di tempo per capire: Gesù lo esamina e lo mette alla prova per vedere
se ha capito,
- gli “Atti di Pietro e dei Dodici Apostoli” lo presentano come interlocutore tardo di comprendonio che, per non fare
la seconda volta una obiezione, manda avanti Giovanni: <..parla tu questa volta..>.
- sui testi che rappresentano la sua maggior difesa e che sono uno straordinario elogio della sua figura e capacità, gli
scritti Pseudo Clementini qui riportati da “I Ritrovamenti” a cura di Silvano Cola, troviamo:
< ..(Pietro) affermava di avere avuto disposizioni da Giacomo che ogni anno doveva inviargli
per iscritto quanto lui aveva detto ed operato..>(I Ritrovamenti, I.17)
Attendibili per questo tipo di informazioni, quei testi ci dicono di qual grado di fiducia aveva la Chiesa madre di
Gerusalemme nei suoi confronti. Ma Gesù oltre a quanto sopra riportato da Gv13.7, in altre due occasioni prevederà
il tradimento involontario di Pietro:
<..Simone, Simone.. Satana vi ha cercato.. io ho pregato per te.. e tu, una volta ravveduto conferma i tuoi
fratelli..>(Lc 22.31-33)
<.. Simone.. in verità in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi;
ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi.. >
(Gv 21.1-18)
Ciò che si ricava quindi è un Pietro a cui i due anni passati con Gesù non sembra siano bastati ad una piena Sua
comprensione ma certamente, per ciò che più strettamente riguarda il suo rapporto con Paolo, quei due anni non lo
hanno certo reso “padrone della Legge”.
Egli quindi, nel suo rapporto con Paolo, non potrà che rispettare le dotte elucubrazioni, fatte apparentemente a
favore di Gesù, di un grande conoscitore delle Scritture quale è considerato e quale si considera un Paolo che però le
conosce ed interpreta “farisaicamente”; ricordiamoci le parole con cui, autorevolmente ponendosi, Paolo
ammonisce i suoi discepoli:
< ..non sono (profano) nella dottrina, come vi ho dimostrato in tutto e per tutto davanti a tutti >(2Cor 11.6)
Pietro non sa valutare né discutere le conclusioni di Paolo e pertanto quelle parole di allarme da lui scritte senza
spiegazioni, senza motivarne il come ed il perché, verosimilmente nascono da argomentazioni che egli non può che
avere ascoltato da chi, con capacità di analisi superiori alle sue, glie le ha poste di fronte.
Difficilmente quell'allarme nasce solo da una sua analisi di ciò che avveniva lontano da Gerusalemme né poteva
nascere dalla sola “presa di visione” delle lettere di Giacomo e Giuda.
323
nona parte
Non si può di conseguenza non considerare questi altri aspetti:
--a) questa lettera di Pietro nasce col fine di sottolineare, anche da parte sua, le gravi preoccupazioni di Giacomo e
di Giuda. Questo si evince con chiarezza dal fatto che egli “copia” praticamente temi e parole di Giuda.
--b) il fatto che egli per larghi tratti riproduca così ciecamente Giuda ci dice però anche della sua “debolezza” nel
valutare, considerare ed analizzare le situazioni, ma oltre a questo si potrebbe perfino intravvedere in questo un
timore, ed al contempo l'intento, di “evitare altri errori”, errori a lui imputati se non direttamente da Giacomo e
Giuda certo da altri a questi vicini.
A questo riguardo è interessante la “Epistula Petri 2,4 ; Pseudoclementine” (Simon Pietro.., Rudolf Pesch), datata
alla prima metà del II secolo, in cui Pietro dice :
< Alcuni hanno cercato, quand'ero ancora in vita, di distorcere con delle interpretazioni le mie parole, come se io
avessi insegnato l'abolizione della Legge...Ma lungi da me una cosa simile ..>
Confermano, queste parole, la possibilità che sia proprio a causa di una messa in discussione del suo operato, poco
attento alle fondamenta di insegnamenti, quelli di Paolo, che si erano allontanati dagli insegnamenti di Gesù.
--c) non si deve a questo proposito dimenticare che Pietro ha molto seguito Paolo e mai ha criticato o messo in
discussione i suoi indirizzi come mai egli prima di questa ultima sua lettera, aveva detto di possibili incomprensioni
degli insegnamenti paolini.
Vuole ricordato infatti che, anche secondo gli esperti, la prima lettera di Pietro è <..somigliantissima alle lettere di
Paolo > e il suo principio è < una copia letterale delle parole con cui Paolo comincia la sua agli Efesini > (Aurelio
Bianchi-Giovini , Storia dei Papi da SPietro a PioIX ).
Ma la sudditanza agli insegnamenti di Paolo e la incapacità di Pietro a distaccarsene e ad avere “suoi” pensieri e
parole si evincono anche dal fatto che questa lettera egli ci dice l'ha fatta scrivere da quel Silvano, “fedele suo
fratello” egli afferma, che, chiamato anche Silas, è < sempre stato un intimo amico e compagno di viaggi di Paolo
ed autore con lui delle due epistole ai Tessalonicesi>( op. citata)
--d) lo strano inserimento da parte di Pietro, in una lettera che chiaramente segue i temi delle missive di Giacomo
e Giuda, di quell'avvertimento riguardo alle parole di Paolo, si giustifica solo col fatto che alla base delle critiche
contenute nei testi di Giacomo e Giuda vi siano state delle discussioni sulla bontà di ciò che Paolo stava insegnando.
Ed è il combinato tra la forte messa in discussione da parte di Giacomo e Giuda di quanto stava avvenendo fuori da
Gerusalemme da un lato, e il palese tentativo da parte di Pietro di salvare Paolo dall'altro, che ci conferma il fatto
che nella Comunità Madre di Gerusalemme erano nate forti domande e perplessità sull'opera di Paolo.
Ma ci conferma questo anche il passo in cui Pietro dice che Paolo <..ha scritto ..secondo la sapienza che gli è stata
data..>(2Pt 3.15) : questa considerazione nasce da una messa in discussione di quanto scrive Paolo e, poiché questi
ci è presentato di “difficilissima comprensione” da un Pietro che come detto è dubbio sia arrivato a cogliere gli
aspetti di quella pericolosità da lui peraltro non spiegata, tutto non può che essere nato e visto nell'ambito della
comunità gerosolimitana.
Dobbiamo ricordare che altri “giudaici” seguaci di Gesù, altri discepoli di Gesù legati alla religione giudaica come
lo era la Comunità di Giacomo, ovvero gli Ebioniti e/o Nazarei, poco tempo dopo, sembra, arriveranno a dichiarare
Paolo quale “apostata” :
< (gli Ebioniti).. rifiutano l'apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge...> (Ireneo, Adv.Haer.I,26)
< ..(i Nazareni) ...e chiamano apostata l'apostolo (Paolo) >(Teodoreto, Haer.Fagul.Comp.II)
Tali riflessioni e discussioni, a Gerusalemme e tra i seguaci di Gesù, non potevano non essere fatte, non avere eco o
forse anche essere nate, nella Comunità Madre apostolare con a capo Giacomo.
--e) Della messa in discussione degli insegnamenti di Paolo da parte di Gerusalemme troviamo conferma in un
altro fatto: Pietro afferma, in conclusione del suo scritto, che solo chi è molto “ fermo e competente” potrà non
fraintendere gli scritti di un Paolo che così per Pietro “non è in errore” e non è da condannare.
Ma, per arrivare a dire ciò serve riuscire a sganciare, in quelle lettere paoline, il “non errore” delle corrette “formule”
apostolari e dei brani e passi delle Scritture che egli usa, da ciò a cui, “errato” invece, Paolo le porta. E questa è
operazione impossibile a Pietro “senza istruzione e popolano”.
Questa operazione ed analisi, necessaria per arrivare a dire, come Pietro fa, che in quei testi vi sono cose corrette ma
facilmente queste possono essere fraintese con <..rovina..> di chi legge, è operazione ed analisi possibile solo a chi
abbia capacità che non possono avere <.. gli incompetenti e gli incerti..>.
Origene è stato tra quelli che hanno saputo vedere e separare, negli scritti paolini, le “corrette formule apostolari e i
passi di Scritture” dall'errore interpretativo dello stesso Paolo, egli ha giustamente visto ma non denuncerà gli errori
di interpretazione che già vedeva. Prima di lui nel 130circa, vedremo più oltre, hanno giustamente visto i “giudeocristiani” redattori de “La Ascensione di Isaia” ed anche Giacomo e Giuda e certo non solo, per quanto si vede si
erano accorti di errori di comprensione e deviazioni. Ma Origene oggi è eretico e gli altri sono dimenticati.
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nona parte
--f) Pietro, vuole poi visto, in quella discussione che si era aperta non poteva fare altro che quanto farà ovvero
cercare di “salvare” Paolo addebitando ogni errore a chi legge: così egli cerca soprattutto, se pur anche
inconsapevolmente, di “salvare” sé stesso che, incaricato di vigilare sugli insegnamenti di Paolo, non si è accorto di
nulla e lo ha -seguito ed avvallato-: è stato “portato dove non voleva” come predetto da Gesù.
--g) Pietro, che nei confronti del “dotto” Paolo ha certamente un rapporto di “inferiorità psicologica”, con questa
lettera sostanzialmente dirà che i gravi fatti che avvengono nelle comunità che Paolo segue e controlla potevano solo
essere nati dalla “incomprensione” delle sue parole ed insegnamenti. Ma in questo si sbagliava, ancora una volta non
capisce e sono state molte le occasioni in cui Gesù ha rimproverato gli apostoli, e Pietro in particolare, di non capire:
< Non capite ancora? >(Mt 16.8) ; < ( Pietro)..tu ragioni come gli uomini.. >(Mt 16.23)
< (ai discepoli che non capiscono :)..questa cosa vi scandalizza? >(Gv 6.61) < Simon Pietro..quello che io faccio,
tu ora non lo capisci..>(Gv 13.7) < Dov'è la vostra fede ? >(Lc 8.25) < anche voi non riuscite
ancora a capire? >(Mt 15.17) < Lo Spirito Santo.. quello insegnerà a voi tutte le cose..>(Gv 14.26)
I forti rimproveri ricevuti da Gesù, <..via da me Satana..>(Mt 16.23), <..prima che il gallo canti mi rinnegherai tre
volte..>(Mt 26.34), la sua “non piena comprensione” di Gesù, assieme alla sua “mancanza di istruzione”, renderanno
Pietro in certo modo “succube” di un Paolo che oltretutto da subito, dai primi loro incontri come abbiamo visto in
precedenza, ha trovato il modo di porlo in condizioni di inferiorità mostrandolo incoerente e poco affidabile.
Paolo scientemente in quella occasione ha tolto da subito a Pietro ogni possibilità di essergli di ostacolo, di discutere
le sue parole, di porsi al suo fianco con pari autorevolezza, di fare ombra alla propria figura.
Stando a quanto Pietro esprime nella sua lettera si deve dire che è lontano da lui il pensiero di potere mettere in
discussione il colto Paolo: egli resta comunque convinto che le sue elucubrazioni, che male comprende, siano giuste.
Quel “grande pericolo” che perciò altri gli hanno di fatto paventato e/o mostrato nelle lettere di Paolo, quella
possibilità di “perdizione” o < rovina>, Pietro la addosserà unicamente a “chi legge”, alla possibile
“incompetenza” di coloro che leggeranno quegli scritti, alla loro possibile ignoranza e non conoscenza delle
Scritture da un lato ed alla loro “incertezza” o mancata solidità nella Verità dall'altro.
Pietro non entra nel merito di tali possibili errori, non è in grado di farlo e si limita, ripetendo ciò che tanto spesso
diceva Gesù, ad indirizzare al “solo faro” che egli sa essere -guida sicura- : i Profeti :
< ...tenete a mente le parole dette dai santi profeti..>(2Pt 3.2)
<..(alle) parole dei profeti...volgete attenzione, come a lampada che brilla in luogo oscuro...>(2Pt 1.19)
Come non considerare e riflettere sul fatto che poco o nulla, e spesso in modo sbagliato, la odierna Cristianità spiega
i Profeti che Pietro dice devono essere <..lampada che brilla..>, il faro per capire Gesù: Daniele in particolare che
Gesù espressamente invita a “capire”, ma anche Zaccaria e tutti gli altri.
Pietro non sa dire per quali strade si possa “cadere in rovina” nel leggere Paolo, egli indirizza alle parole di Verità
dei Profeti, che così quindi dichiara, come tutta la Scrittura, in linea con le parole di Gesù, ma subito dopo chiarisce
ciò che non deve succedere:
< Voi dunque.. essendo..preavvisati, state in guardia.. (perché non siate) travolti..dall'errore degli empi > (2Pt 3.17)
L'errore in cui non si deve cadere, l'errore che Pietro invita a non fare nel leggere quei testi, è l' “ errore degli empi,
dei non-pii”: l'errore di coloro che -non sono- nella “umiltà-senza io”, l'errore della caduta all' “io-materialità”.
Pietro, abbiamo visto, precisa poi che ciò che degli insegnamenti e scritti di Paolo bisogna tenere conto e che vuole
< giudicato come salvezza > è la “magnanimità” di Gesù.
Egli quindi ci dice che -fondante e fondamentale insegnamento-, di cui < anche Paolo > scrive, è una
<..magnanimità..> di Gesù” che, stante ai Vangeli, non si può vedere che nella “umiltà-abbassamento di ventomancanza dell'io” in cui Gesù era e cui ha fortemente invitato !.
Pietro terminerà la sua lettera esortando a <..crescere..nella “conoscenza”..di Gesù..>(2Pt 3.18), ma la storia ci
dice che non si vedrà alcuna possibilità di errore negli scritti di Paolo, né si vedranno possibili errate interpretazioni:
tutto sarà acriticamente assunto ed accettato quale appariva e così, anziché <..crescere..nella “conoscenza”..di
Gesù..> seguendo le Sue parole, l'Occidente Cristiano soprattutto “crescerà nella conoscenza di Paolo”, seguirà le
sue parole.
Ma oltre a quanto detto, si deve anche rilevare il fatto che la lettera di Pietro, come pure quelle di Giacomo e Giuda,
contiene riferimenti quasi esclusivamente alle Scritture; nulli o quasi sono i riferimenti alle “parole di Gesù” :
impostate tutte a raccomandare “umiltà, fedeltà a padroni re e governatori, fratellanza” e ad evitare “passioni,
dissolutezze, culto degli idoli”, nessun accenno in quelle tre lettere troviamo con riferimento a “Nuove Leggi” o
“Resurrezione dei morti” o “Salvezza della Croce” ecc..
Seppure non determinante questo è un aspetto non certo trascurabile considerato anche le larghe disamine di principi
che i tre fanno: il fatto che nessuno dei tre abbia toccato nemmeno uno di quei “paolini” argomenti verosimilmente
non è un “caso”. Nella seconda lettera Pietro parlerà sì di “ultimi giorni” (2Pt3.3), ma questi sono solo quelli,
apocalittici, di Daniele e di tutte le Scritture: non vi è alcuna “evidenza” di “resurrezione corporale”.
325
nona parte
Pietro in questa lettera, in linea con Giacomo e Giuda, più che la “resurrezione corporale”, che egli mai cita, ci
indica quale scopo e meta dell'uomo, meta che egli dichiara “già raggiunta” dai fratelli cui scrive, la “salvezzasantificazione dell'anima”, la “resurrezione in corso di vita”:
<..avete santificato le vostre anime...essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale >
(2Pt 1.22,23)
Egli dice unicamente, in linea con Legge e Profeti, che : < Jhwh...non vuole che alcuno perisca..>(2Pt 3.9)
prevedendo poi, piuttosto paolinamente, che così come un tempo: <..il mondo...sommerso dall'acqua, perì.. >
avverrà che: < ... i cieli e la terra attuali sono..riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli
empi.. la terra con quanto c'è in essa sarà distrutta.. >(2Pt 3.6-10)
Le vite di Pietro e di Paolo si affiancheranno fisicamente in molte occasioni, da ultimo in Roma dove entrambi
vedranno la condanna a morte dopo essere stati <..esodati..>, dice Ireneo, ovvero dopo essere stati allontanatiemarginati dalla Chiesa, e questo non può che essere stato per opera della comunità madre di Gerusalemme,
comunità che però, con la distruzione nel 70 di quella città, perderà poi ogni forza e supremazia. Vedremo più oltre
come e dove si evince quanto qui ora anticipato.
GIACOMO, fratello di GESÙ
Ho già sottolineato che Giacomo, detto “fratello” di Gesù, è unanimemente considerato il “capo morale” della
comunità di Gerusalemme, comunità con la quale pochissimi contatti diretti avrà Paolo.
La comunità di Gerusalemme è considerata, lo si evince dai documenti, una sorta di “Casa Madre” della Cristianità:
suo sarà il compito di dirimere controversie, qui quasi certamente si concentrano il maggior numero di -direttiapostoli di Gesù, del gruppo dei dodici.
Ma questa comunità continuerà l'opera e parola di Gesù restando “interna alla religione giudaica”: gli appartenenti
alla comunità frequentano il Tempio come peraltro ha sempre fatto Gesù, come Gesù certamente vanno in Sinagoga
e celebrano le feste ebraiche e niente ci fa dire che essi abbiano tentato di “fare nascere una -nuova- religione”.
Nella lettera di Giacomo vediamo bene tutto ciò: in essa i riferimenti a Gesù sono minimi, Egli è citato due volte,
mentre tutta la lettera è centrata su Jhwh citato 12 volte ed Elohim citato 13 volte.
Con evidenza Giacomo, che si dichiara < servo di Dio -e- del Signore Gesù Cristo >, mostra, dichiara e
continuamente richiama alla “conoscenza di Jhwh”, del “Padre” e di Scritture Giudaiche che quindi, per lui, Gesù
unicamente ha voluto fare comprendere. Nella sua lettera le frasi che si ricollegano a parole di Gesù sono due,
mentre quelle che citano e riprendono le Scritture sono una decina.
È una lettera quindi, la sua, che è centrata sulla Torah in particolare, con accenti sulle figure di Abramo, Isacco e
Giacobbe oltre che sui profeti Elia e Giobbe: molti sono gli esperti vedono in questo una non velata presa di distanza
da Paolo, che invece rinnega le Scritture.
In essa si trova evidente una Scrittura, “Legge e Profeti”, fortemente posta quale “fonte di insegnamento”, anche di
Gesù, continuamente mostrata ed indicata; oltre a questo si trovano poi accenni ad alcuni temi precisi quali la
“misericordia”, la “carità” e la “pericolosità della parola” sopratutto, ma non solo.
Nella lettera di Giacomo, capo della Cristiana comunità madre di Gerusalemme, Gesù appare poco e, seppure in una
riconosciuta grandezza e venerazione, egli sembra qui assumere quasi il ruolo di “grande insegnante”, di uno
speciale illuminato e non certo quello del Dio Trino incarnato.
Non è infatti comprensibile, per chi sia stato istruito al Gesù-Dio Trinitario Cristiano, una tale irrilevanza della
figura di Gesù in un documento di un apostolo detto Suo “fratello”: la figura di Giacomo a causa di ciò è infatti oggi
marginalizzata, quanto incompresa, dalla Cristianità.
La lettera di Giacomo, universalmente e giudaicamente indirizzata <..alle dodici tribù della diaspora..>(Gc 1.1),
sembra destinata a tutte le comunità esistenti e sembra motivata soprattutto da un intento di “correzione e disciplina”
di comunità che non possono che essere quelle fuori Gerusalemme, in territorio pagano seguite da Paolo.
Giacomo ammonisce a :
< non farsi maestri in molti >(3.1), dice che è < vana la religione di chi non frena la lingua
e inganna così il suo cuore >(1.26) mentre < religione pura e senza macchie.. è soccorrere gli orfani e le vedove
..e conservarsi puro da questo mondo >(1.27) ed ammonisce che: <..saggio tra voi..(è chi) mostra con la buona
condotta...le sue opere ispirate a saggia mitezza..>(3.13).
Giacomo ancora poi spiega, con chiari toni di ammonimento, che non ci vuole < gelosia ..contesa..vanità..> e che
bisogna essere <..pacifici ..miti..arrendevoli .. misericordiosi..senza parzialità..senza ipocrisia >(3.13-18)
Egli poi continua dicendo :
< Da cosa derivano le guerre e liti che sono in mezzo a voi ?
Bramate ...uccidete...invidiate...combattete e fate guerra..>(4.1,2), <..purificate le vostre mani, o peccatori..>(4.8)
Subito dopo nuovamente preciserà che è l' “io”, che sempre “giudica”, l'errore :
< (chi) giudica il fratello parla contro la Legge..: chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo! >(4.11,12)
326
nona parte
<..che è mai la “vostra” vita. Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare..>(4.14)
Queste parole mi fanno dire che questa lettera dovrebbe arrivare anche oggi a molti Cristiani, esse dovrebbero fare
riflettere chi -è e si sente- “io-personale creato da Dio”, che “si sente” eternamente destinato.
Ma ben altro in questa lettera di Giacomo si può trovare oltre a quanto qui esposto ed a quanto più sopra detto:
--a) anche Giacomo, come 2Pietro e Giuda, non accenna ad alcuna “Nuova legge” ma anzi, per i richiami continui
alle Scritture che egli fa si può confermare quanto già detto ovvero che nessuna “Nuova legge” la comunità
apostolare di Gerusalemme, la più autorevole, ha mai inteso propagare ma solo, seguendo Gesù, ha voluto
indirizzare alla giusta lettura di Legge e Profeti.
Su questo punto il dissenso con Paolo è fortissimo: questi, che non ha compreso il profondo significato delle
Scritture, ammonisce riferendosi con evidenza ai “comandamenti” e sulla base di Dt 27.26, che è <..maledetto
chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della Legge mettendole in pratica..>(Gal 3.10) mentre
Giacomo conferma la sostanza delle parole di Deuteronomio, che dicono unicamente che anche il singolo peccato
dell'uomo evidenza il fatto che egli non è “convertito-giustificato-rinato-resuscitato” e quindi è ancora -nel pienodell'errore della caduta. Ed è questo che Giacomo rimprovera ai seguaci di Paolo:
<..se.. a colui che è vestito splendidamente.. gli dite : “Tu siedi qui”, e al povero dite.. “Siedi qui” ai piedi del mio
sgabello” non siete -giudici dai giudizi perversi-? Se fate distinzione di persone, commettete un peccato e siete
accusati dalla legge come trasgressori. Poiché chiunque trasgredisce anche in un sol punto, diventa trasgressore di
tutto..>(Gc 2.3-12)
Giacomo qui è chiaro e ammonisce: chi ha tali comportamenti è persona che ancora “giudica”, che ancora
“perversamente giudica”, e per questo -è trasgressore totale-: non ci sono gradi di peccato o di errore, non c'è
venialità, o si è nel Vero o si è nell'errore. E le parole che seguono poi quel passo, interpretate chissà come da alcuni
quali negazione della chiara affermazione ed ammonimento sopra riportata, dicono altro da questo.
--b) in Giacomo vi sono parole che confermano, se pur sottilmente, quanto detto in queste righe sulla “Legge che è
prigione”, se incompresa, se farisaicamente compresa, di cui dicono i testi di Enoch come anche, abbiamo visto e
qui si conferma, Gesù. Continua infatti Giacomo il discorso riportato dicendo :
< Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una -legge di libertà-,
poiché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non ha usato misericordia;
la misericordia ha sempre la meglio nel giudizio..>(Gc 2.12,13)
Queste parole vanno risolte con queste altre ad esse precedenti:
< Chi fissa lo sguardo sulla -legge perfetta-, la -legge della libertà-, e le resta fedele, non come ascoltatore
smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla..>(Gc 1.25)
La -legge di libertà- non è libero comportarsi, ad essa si deve “restare fedeli” dice Giacomo e quindi è Legge, quella
stessa della Torah che disattesa in un punto è tutta trasgredita, che -deve- essere capita e che porta a “liberare” dal
peccato-errore dell’“io” l''uomo che ad essa -aderisce per comprensione-, la fa -propria- e così non può
“smemoratamente” dimenticarla né in nulla trasgredirla.
--c) Giacomo, come 2Pietro e Giuda, non accenna ad alcuna “resurrezione dei morti” e parla invece di
“giustificazione”: < ..che giova... se uno dice di avere la fede ma non (fa) le opere?.. l'uomo viene giustificato in
base a opere e fede..>(Gc 2.14-24)
--d) a fianco di questo qualcosa di importante sia 2Pietro, più centrato su Gesù, che Giacomo tutto centrato su
Jhwh, ci dicono in merito, verosimilmente, a tale “giustificazione”: entrambi scrivono che “compito dell'uomo e sua
prima sollecitazione deve essere la salvezza dell'anima” :
< ..meta della vostra fede..(è) la salvezza dell'anima..>(1Pt 1.9)
<..la Parola (Verbo-Logos ndr)...seminata in voi...può salvare la vostra anima >(Gc 1.21)
E' la “morte-alienazione dell'anima”, ci dicono quindi entrambi, che deve essere evitata, una “morte-alienazione
dell'anima” che si eviterà se non si “giudica” e se non si vede “propria” una vita che non è che < vapore.. che
scompare..>, dice Giacomo.
Pietro nella 2° lettera si limiterà a ricordare la necessità di portarsi ad una “ magnanimità-grandiosità dell'anima”
che però, vuole visto, nasce proprio nella “umiltà-abbassamento di vento” che non è che “mancanza dell'iomaterialità”.
Ma anche Giacomo sottolinea che <..la pazienza..>, che nasce nella “misericordia-umiltàabbassamento di vento che è magnanimità”, è ciò che la < fede produce > all'uomo ed è al contempo ciò che <..lo
rende perfetto..>(Gc 1.3,4). Giacomo così, e anche Pietro in questa sua seconda e ultima lettera, dottrinalmente non
fanno che confermare quel Gesù ben evidente nei Vangeli che insegna solo “umiltà -senza io- e conseguente amore
da -alcun io- dato”, un Gesù così di “grande animo-magnanimo” che indica poi nelle Scritture l'origine di tutti i
suoi insegnamenti. Paolo invece insegnerà altro.
--d)
327
da ultimo, ma forse primo, vuole visto e sottolineato poi un altro importante punto e passo. Scrive Giacomo:
nona parte
< ..la lingua è un fuoco…infiamma la ruota della nascita, ed è infiammata dalla Ghennà..>(Gc 3.6)
Come già visto e detto, la cristianità, incapace di comprendere una “ruota della nascita-reincarnazione” che non si
spiega ed è in antitesi con la dottrina e col vangelo-annuncio creati e dettati da Paolo ovvero con la paolina farisaica
lettura e comprensione di Gesù e dei suoi insegnamenti, nelle sue traduzioni sostituirà quelle parole con un
diversissimo, ed errato, “corso della vita”. Questa traduzione, vero tradimento e quindi errore in sé, è poi errata
anche perché toglie alla frase la necessaria e indispensabile razionalità.
Giacomo, in linea con la tradizione giudaica, con il richiamo alla Ghenna intende dire della forza, archetipale ma che
è anche dell’uomo, della natura umana, che induce e porta l’animo dell’uomo alla distruzione. Ora, perfettamente
logico e razionale è dire, come fa Giacomo nella corretta lettura, che questa forza “infiamma-condiziona” una
lingua-parola umana che è strumento grazie al quale l’uomo, giusto l’insegnamento di Gesù che dice che <..è
quello che esce dalla bocca che rende impuro l’uomo..>(Mt 15.11), si conferma nel mortale Errore di un “iomaterialità” che, per Gesù abbiamo visto come per tutto il mondo antico, induce e porta ad -incorrette“reincarnazioni”.
Gesù, preciso brevemente, ha detto di questo errore nella cosiddetta sua “Risposta ai Sadducei” di cui abbiamo detto
nella 7° Parte di questi scritti, ma, vedremo più oltre, Egli ripeterà ed approfondirà questa Verità con le parole che
dirà in riferimento al “Segno di Giona”.
Tornando alla frase di Giacomo, essa nella traduzione Cei perde ogni razionalità giacché trasporta al piano della vita
fisica dell’uomo una distruzione, quella della Ghenna, che non interessa e tocca il piano fisico della vita.
Termino queste righe sul “grande incompreso allarme teologico” contenuto e sollevato dalle tre lettere esaminate,
ribadendo e riconfermando quanto dice, in specifico, Pietro: grandissima, rovinosa e mortale, è la pericolosità delle
lettere di Paolo.
Una prima chiara conferma della messa in discussione degli insegnamenti di Paolo e addirittura della accusa a lui
rivolta di insegnare <..menzogne..> e generare il < male.> ovvero di “non insegnare la Verità” e così “fare il male
pur volendo il bene”, la si ha nelle stesse lettere di Paolo oltre che, vedremo più avanti, con la analisi che faremo sul
testo giudeo-cristiano de “La Ascensione di Isaia”. In quella analisi approfondiremo bene anche le parole con le
quali Paolo, in Romani, denuncia la forte accusa di cui era oggetto, mentre della Verità apocalittica in cui quella
accusa nasce, della Verità di un “Bene che può essere al servizio del Male”, diremo nel capitolo che segue.
DEL BENE AL SERVIZIO DEL MALE
Nelle lettere esaminate di Giuda, 2Pietro e Giacomo, l’allarme teologico, con la sola eccezione di Giacomo dove più
chiaramente si vede delineato il vangelo-annuncio “diverso” da quanto insegnato da Paolo, è un allarme che resta
piuttosto nascosto, ma ben altro scenario si vede in quanto ci dice nel merito lo stesso Paolo.
Paolo infatti nella sua “lettera ai Romani” datata al 56/58 ci dice che egli era accusato di “dire menzogne e fare il
male”: era accusato cioè di -non insegnare il Vero- e così “fare-generare-creare il male”. Scrive Paolo:
<.. a motivo della mia menzogna ... io sono ancora giudicato come peccatore …
come… dicono alcuni (che) noi ... facciamo il male...>(Rm 3.7,8)
Sono accuse importanti e visto che egli le lamenta, e ad esse risponde, in una lettera indirizzata alla più importante
comunità di fedeli e seguaci di Gesù dei suoi tempi, quella di Roma, numericamente più grande anche di quella di
Gerusalemme, certamente erano accuse a lui fatte da qualcuno dei massimi esponenti della comunità cristiana di
quei tempi ovvero da membri della Comunità Madre gerosolimitana cui era a capo Giacomo, la più autorevole.
Come detto vedremo più avanti nella 11° Parte, assieme alla analisi che faremo del testo “cristiano” del 120 circa de
“La Ascensione di Isaia, i termini della denuncia paolina e la natura, la origine e motivazione, della accusa di cui
Paolo era oggetto.
Qui invece approfondiremo l’importante aspetto “tema e Verità”, con radici apocalittiche, che si mette in evidenza
anche nelle parole di Paolo, un “tema e Verità” importante soprattutto perché ha molto da dirci anche rispetto
all’oggi, a noi:
il “tema Verità” di un “Male” inconsapevolmente prodotto e generato nella convinzione di fare il Bene,
un “Male” procurato con parole gesti ed atti che in sé stessi sono bene e quindi facendo ed invitando a fare opere
di bene; il tema quindi di un “Bene che può essere portato al servizio del Male”.
Paolo infatti, che era accusato di <..fare il male..>, fuori da quel suo “Errore” teologico che lo vedrà insegnare un
“suo” farisaico vangelo-annuncio che era, abbiamo visto, “contrario ed opposto” a quello insegnato da Gesù, e fuori
pure dalle sue intemperanze, non possiamo dire che non abbia “fatto e promosso del bene”: egli ha certamente usato
grandi parole di fraternità e di amore ed ha anche sollecitato e promosso l’aiuto materiale di bisognosi ed il soccorso
328
nona parte
dei sofferenti. Anche il suo attivo operare presso i fedeli delle raccolte di denaro da destinare alle “vedove” di
Gerusalemme ed ai più bisognosi, ne è testimonianza.
Non possiamo quindi dire che egli non abbia invitato a fare ciò che, oggi come allora, è universalmente considerato
“bene” e che, piuttosto manifestamente peraltro, è “bene” -in sé-. Pietro peraltro, nel merito, cercando nella sua II°
lettera di salvare la figura di Paolo dalle gravissime accuse di cui era oggetto, dopo avere detto che le lettere di Paolo
potevano “portare alla rovina” chi le leggeva, sottolineerà che era in ogni caso da considerare “salvezza” la
<...magnanimità ..(della quale).. Paolo.. ha scritto.. nelle sue lettere..>(2Pt 3.15).
Ma nonostante questa evidenza Paolo veniva accusato di “fare-generare il Male” e, pertanto, per chi lo accusava
ogni sua “buona e giusta parola ed azione” e ogni “carità” da lui promossa e fatta, era “cancellata” da ciò che
derivava dalle <..menzogne..> di cui era accusato, “menzogne” che non possono essere altro che l’insegnamento di
quel “suo” vangelo-annuncio nato nella errata e farisaica sua comprensione del messaggio e della figura di Gesù.
Paolo quindi era visto quale fautore di quel “sovvertimento del Vero”, di quella “Menzogna”, che è Anti-Cristo, che
è quanto è contrario-opposto al Verbo-Logos, e Unto-Messia, e che è la causa prima degli “apocalittici disastri” di
cui hanno detto Gesù, le Scritture e, largamente, anche il mondo antico pagano “filosofico sapienziale”.
Apocalittici “disastri e male” che porteranno infine l’uomo al “Bene”, ci dice anche Paolo senza però capire, con
quel suo “..facciamo il male affinché venga il Bene..”.
Apocalittici “disastri e male” che porteranno l’uomo a capire il Vero e quindi ad eliminare una “Menzogna” che è il
vedere-sentire ed insegnare e credere in una “falsa Verità”.
La “menzogna-errore” di Paolo, il “suo” vangelo e la “sua” visione della figura di Gesù, è “errore farisaico” che
nasce per e nella “caduta all’io-materialità”, abbiamo detto e visto, è “errore” dell’uomo-umanità e sarà quindi
errore non solo “suo” di Paolo e della Cristianità che con lui nasce, ma è “errore” che, per le religioni, sarà anche di
Ebraismo ed Islam. E’ “errore umano” che, si può dire, nelle religioni variamente si sviluppa e sostiene attorno a
due visioni-insegnamenti e cioè:
– 1) la visione-insegnamento di un Dio, al fondo antropomorfico, farisaico-separato-altro dall’uomo e dal mondo,
un Dio “creatore” di ogni “singolo uomo”, un uomo che così sarà quindi visto ed insegnato come “esistente in sé”.
Tutto ciò contro il filosofico Padre-Jhwh, “maschio-femmina, spirito ed acqua” dicono le Scritture, generatore,
poiché Padre e non Creatore, di un “uomo-genere umano” che anch’esso è maschio-yang-spirito e femmina-yinmateria”. Contro, tutto ciò, il Padre-Jhwh che ha insegnato anche Gesù, che unicamente infatti ha cercato di
spiegare le Scritture giudaiche, ed il filosofico -stesso- “divino” insegnato largamente dal mondo antico;
– 2) la visione-insegnamento, conseguente alla prima, di una futura “individuale e personale vita eterna del
singolo uomo”, variamente vista e proposta.
Questi insegnamenti sono, ribadiamo, contrari-opposti a quelli di Gesù, contrari a quelli del “Gesù diverso” in
queste pagine messo in luce, il Gesù che era insegnato da Super-Grandi Apostoli e che Paolo negherà e combatterà
come lui stesso ci dice in 2 Corinzi e non solo.
Sono insegnamenti-visioni che nascono e si sviluppano “nell’errore del fariseismo” ovvero nell’errore di un uomo
che si sente e si vede e considera quale “ente in sé”, quale “io esistente in sé”.
Grazie a questo “errore” farisaico-diabolico, ovvero di separazione, grazie all'insegnamento dell' “io-creatopersonale”, nel mondo, nella vita sociale delle persone, si è generata una “separazione di fondo, ontologica, di
essenza” che ingigantisce i problemi di relazione interpersonali e sociali che all’uomo nascono a causa della sua
natura fisico-materiale, per i bisogni e condizionamenti che tale -natura- porta con sé.
Con quell’insegnamento l’uomo non può che vedersi e sentirsi quale “io-progenie, io-paese, io-terra, io-patria , ionazione, io-religioso ecc.”. Non può che vedersi tale e sempre sarà -contro altri e diversi- “io-progenie, paese,
terra, patria, nazione, religione ecc.”: quell’uomo non potrà che tendere a salvaguardare, a rafforzare ed a fare
grandi quei “propri io” -contro- ogni“altro-diverso”, non potrà che, Gigante, con questi lottare sempre ed
immancabilmente. Tragica e terribile mancata visione.
L’insegnamento dell' “io-creato-personale”, infatti, anziché correggere questa negativa “naturale tensione e visione”
dell’uomo, la aggrava, la approfondisce e l’uomo, così confermato in quell’errore, solo a “sé” può pensare e a nulla
servono i “distinguo”, i “ma”, gli “inviti a fare il bene” e perfino i “comandamenti” che, stante tale insegnamento,
sono solo “precetti di uomini”: diventano inefficaci disposizioni-regole per un uomo che resta nella condizione di
“morte-spirituale-caduta-separazione”, dice Gesù, per un uomo che resta in una condizione che unicamente può
portarlo a vedere disastri e sofferenze.
Nel contesto degli insegnamenti che si fondano su di un “io-creato-personale” che vivrà in eterno, nel contesto di
tali “menzogne”, ci dicono le accuse fatte a Paolo, ogni “buona parola, ogni invito a fare il bene ed anche ogni
buona azione” si desertifica, si rende sterile: questo è ciò che vedevano i cristiani che accusavano Paolo e con lui la
Cristianità che dalle sue parole nasceva.
Ma non solo questo. Quelle “buone parole inviti ed azioni”, vuole infatti visto, portando l’uomo a vedere “buoni e
giusti” anche gli invece “errati e mortali” insegnamenti farisaici, “menzogne-non Verità” che “con essi vengano
329
nona parte
dati”, si portano per questo ad essere “buone parole inviti ed azioni che -servono- il Male”: si portano ad essere,
quindi così in quel contesto, come ci dicono anche le accuse a Paolo, esse stesse “male”.
Pur essendo “bene in sé”, la parole e azioni di fraternità, di amore e di altruismo quando vengono poste “dentro e
nel contesto” di “errati insegnamenti-menzogne” sulla Verità, “si portano a servire il Male”, un male che, seppure
una volta al suo culmine permetta e porti l’uomo di capire e correggersi, resta comunque un male.
Stravolgimento ed accadere apocalittico, profondissima Verità cui abbiamo accennato nella 6° Parte ai capitoli su
Daniele e sulle Apocalissi e che qui si vede implicita in accuse fatte a Paolo alle quali cui non si è dato mai il alcun
rilievo. Accadere invero difficile da capire finché si resta nell’ “errore farisaico-separatore”, accadere su cui
ritorneremo in altri approfondimenti.
Anche Paolo, in quell’ “errore” immerso, non capirà: egli infatti nel replicare alle accuse di cui era oggetto non saprà
fare altro che tentare la sua assoluzione dicendo:
<..perché non dovremmo fare il male affinché venga il bene?..>(Rm 3.8 -Cei).
Parole gravissime: egli non saprà fare altro che cercare di vedere e suggerire una positività ultima in quel “fare il
Male” di cui era accusato. Un “fare il Male” che restava invece, allora come oggi, un grandissimo “Male”.
Egli non capirà che il “suo vangelo-insegnamento” procrastinava, ingrandiva e portava agli estremi l’Errore
farisaico connaturato all’uomo e quei conseguenti, così ineludibili, mali che lo porteranno a capire e correggersi.
Ma procrastinare ed ingrandire un male fino a che giunga il bene non è certo il “fare il bene” che egli tira in ballo.
E neppure Pietro capirà.
Nonostante la sua forte e scioccante messa in guardia rispetto alle parole di Paolo, Pietro, secondo la tradizione, al
momento della sua condanna a morte si porterà a chiedere di essere crocifisso a testa in giù: gesto e richiesta fatta
per dire così del suo grande desiderio di poter vedere e capire finalmente in modo giusto e corretto, di potere vedere
e capire in modo contrario a quello, di matrice paolina, suo precedente di cui anch’eglòi era accusato.
Di queste Verità, di questo tema, di un “necessario ed ineludibile Male che porta l’uomo al Bene”, un male che
ineluttabilmente si accrescerà fino a portare e far giungere l’uomo a quella sua consapevolezza-condizione ultima
che è il Regno in Terra, la sua finale condizione che è Bene, di questo Errore e apocalittico Accadere e Legge che
vede “ciò che è bene al servizio del male”, prima di Gesù nel mondo giudaico avevano detto, mettendoci in guardia,
i Profeti e in particolare Daniele come già visto e come ancora vedremo al capitolo “La Ascensione di Isaia”.
Un Daniele che per questo suo dire Gesù ci ha infatti invitato e raccomandato di “capire”, ma della stessa Verità
parlerà poi anche Giovanni con la sua Apocalisse, come vedremo meglio al capitolo “Babilonia e l’Anticristo”.
Tema e Verità del quale, come visto in queste pagine, ha detto anche Gesù con il suo ancora oggi largamente
incompreso:
<..è necessario che tutto questo avvenga.. popolo contro popolo… carestie e terremoti ...dolori ..>(Mt 24.6-8).
Tema che Paolo, senza arrivare a comprenderlo, nella sua lettera ai Romani cita e richiama, nel tentativo di
giustificare la sua opera, con le gravissime parole già sopra riportate: <..E (perché) non (dire), come veniamo
oltraggiati.. : facciamo il Male affinché venga il Bene ?..>(Rm 3.8).
Gesù oltre che con le parole appena riportate di Matteo, di questo stesso tema e Verità dirà, seppure più lateralmente,
anche con queste altre Sue parole:
<..chi non è con me è contro di me e chi non raccoglie con me disperde..>(Mt 12.30,31).
Dice infatti qui Gesù, che parla con la consapevolezza di essersi portato al Verbo-Logos divino Unico ed Unificante,
che non vi sono vie intermedie: fuori dalla Verità, fuori dal divino Logos Unico di cui ha detto anche Eraclito come
tanta parte del mondo antico, fuori da ciò che insegna e invita al Vero ovvero fuori da quella filosofica
“consapevolezza umana” che è Sapienza, vi è solo ciò che ad esso è “contrario” ed anche ciò che è “bene”, se posto
fuori da tale Logos e consapevolezza, diviene “male”.
Concludendo si deve dire che il legare parole ed opere sul bene morale e materiale dell’uomo a insegnamenti
religiosi, a insegnamenti sul Vero, sulla Verità, è pericoloso e sarebbe necessario scindere le due cose.
E sarebbe necessarie, a tal fine, “religioni” che si incontrino con quella “vera-autentica filosofia” di cui ha detto
Socrate e tanti altri prima di Gesù e si portino così a quel filosofico-religioso insegnamento che invita al “conoscere
se stessi” attraverso quel “melete thanatou - passaggio al deserto - iniziazione” che è “esercizio-esperienza di morte
all’io”, la “uscita dalla caverna” che è “conversione-cambio di mentalità-risurrezione da compiere in vita”, che è il
portare l’uomo a quel Logos che è consapevolezza del Vero, Sapienza.
Religioni-filosofiche largamente però oggi mancanti e compito e strada, per le odierne religioni positive tutte,
difficile ma unica strada.
Senza di questo tutto continuerà come sempre e la fine per esse, attuali religioni, arriverà credo comunque ma solo al
pieno compiersi dei “disastri e Mali” che l’umanità, per loro prima responsabilità, così continuerà a vedere.
330
nona parte
Crocifissione di
san Pietro,
Filippino Lippi,
1481 circa,
Firenze, S.Maria
del Carmine,
Cappella
Brancacci.
Volubilis, II-III sec.
Uomo con brocca-trofeo con su incisa una croce che è portato, senza vedere-capire dove, da Asino-Stoltezza-Tifeo.
331
332
decima parte
DECIMA PARTE
DA JHWH A NIETZSCHE
Quale premessa ai temi di questa decima parte mi fermerò, per alcune riflessioni, sulla “inevitabilità” di quel
doloroso percorso umano che è “male divino”: i disastri che “divinamente” l'uomo finirà “necessariamentefatalmente” per incontrare secondo ciò che dicono i racconti apocalittici che tutto il mondo antico ci ha consegnato,
ciò che -doveva accadere- anche per Legge e Profeti e che Gesù si è premurato di sottolineare invitatoci a “capire”,
Daniele ma non solo.
Anche dopo avere compreso e maturato il Dio-Assoluto-Uno-Armonia, Accadere e Fato, non è facile accettare
quella “inevitabile necessità” del male e del dolore, spirituale e fisico, che con chiarezza si evidenzia spesso, in
quelle testimonianze, come “divinamente dato”. Ma questo avviene perché, e fino a che, quel Dio-Assoluto-UnoArmonia rimane “qualcosa di altro”, avviene perché e finché esso resta comunque ancora “Entità” ed è questo
residuo di “caratteristiche antropomorfiche”, questa visione ancora se pur flebilmente e nascostamente legata ad “Un
Essere” che resta in qualche modo “distaccato, altro ed ordinante”, che non permette di comprendere a fondo quella
“necessità ed ineluttabilità”.
Sono residui di antropomorfismo che a lungo, nonostante le parole, restano al Jhwh-Dio Padre-Allah insegnato e
spiegato da Ebraismo, Cristianità ed Islam.
Ma tutto, assieme alla -comprensione- cui invitava Gesù, deve trovare piena razionalità ed a questo scopo
principalmente, ed al fugare quei “residui”, si porteranno queste ultime analisi e riflessioni.
Grazie ad esse sarà possibile una più precisa “delineazione” del Dio di Torah e Profeti, di Jhwh, il Padre cui
insistentemente si riferisce Gesù, portando ad un Dio che andando oltre quanto sopra detto, finirà con l'essere
anch'egli “diverso”.
E sarà possibile anche capire a fondo, spiegare ed accettare quella ineludibilità divina.
Queste ultime riflessioni e questo nuovo aspetto dell'Assoluto porteranno infine ad alcune considerazioni su Eraclito
l'Oscuro, Zarathustra e Nietzsche.
JHWH I MALI ED IL MALE
GLI INELUDIBILI E NECESSARI MALI DIVINI
Prima di tentare una spiegazione e dare la razionalità possibile alla “ineludibilità e necessità dei mali”,
all'ingigantirsi di quei disastri e dolori che “Dio infligge” secondo Torah, Profeti e Gesù, mali quindi che così
diventano “divini” testimonierò, se pur in modo limitato, di questa visione di ineluttabilità e divinità dei mali.
Della “ineluttabile necessità” dice Gesù ma di essa, prima, avevano parlato i poemi Sumeri ed Accadici, la Torah ed
i Profeti, Esiodo in Grecia con le sue “Età”, e tanta altra mitologia apocalittica, compreso quella Maya coi suoi
“cicli”. Gesù ci parla diffusamente di questa ineluttabile necessità-fatalità :
< Sentirete parlare di guerre... è necessario che tutto ciò avvenga..
si solleverà popolo contro popolo, vi saranno carestie e terremoti...ma tutto questo è solo l'inizio dei dolori...
vedrete l'abominio della “desolazione”...stare nel luogo santo, chi legge comprenda >(Mt 24.6-15)
Gesù in questo discorso invitava a leggere Daniele, che abbiamo già approfondito in precedenza, ma dirà anche :
<..parlo in parabole perché guardano e non vedono, ascoltano e non capiscono e si realizza per loro
la profezia che è scritta nel libro del profeta Isaia >(Mt 13.13)
Il testo di Isaia cui qui Gesù fa riferimento, lontano dalla immotivata ed inspiegata “profezia-sogno-visione” da noi
oggi vista e di cui forse volevano dire anche sia Matteo che Marco e Luca, dice e mette in campo una precisa e
decisa “volontà divina” che fa sì che l'umanità “resti” nel buio dell'errore e della non conoscenza:
< (Jhwh) dice: “ Va e riferisci a questo popolo: Ascoltate pure ma non comprenderete, osservate pure
ma senza conoscere. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d'orecchio e acceca i suoi occhi..
né comprenda col cuore, né si converta in modo da essere guarito >(Is 6.9,10)
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decima parte
Un altro passo di Profeti richiamato da Gesù, che abbiamo già visto in precedenza, parla della ineluttabilità del
Divino accadere:
< Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti (in Zaccaria):
“Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge” >(Mt 26.31)
Le parole di Zaccaria da cui Gesù trae questo breve passo sono diverse da quelle di Isaia, di Daniele e di Ezechiele
ma parlano dello stesso accadere e della stessa ineludibilità di tanti altri passi delle Scritture Giudaiche e di tutta la
letteratura apocalittica del mondo antico. In Zaccaria però si trova una interessantissima precisazione :
< Io (Zaccaria)...mi misi a pascolare...Presi due bastoni : ..Benevolenza...e Unione..,
ma esse (le pecore) erano tediate di me. Perciò...dissi “Non sarò più il vostro pastore”. ..
il bastone..Benevolenza..lo spezzai...feci a pezzi il...bastone..Unione.
Mi disse Jhwh : “Prenditi gli attrezzi di un pastore insensato”, poiché ecco io susciterò..un pastore che non avrà
cura di quelle che si perdono, non cercherà le disperse, non curerà le malate, non nutrirà le affamate;
mangerà invece le carni delle più grasse e strapperà loro perfino le unghie.
Guai al pastore stolto che abbandona il gregge!..>(Zc 11.7-16)
Anche altri Profeti diranno, con loro parole, di questo “male divino” :
< ..un re sfacciato ed intrigante,....si rafforzerà ma non per potenza propria...(e)
causerà inaudite rovine,...distruggerà...il popolo dei santi >(Dn 8.23,24)
< allora io (Jhwh) diedi loro ( figli di Isra-El ) perfino statuti non buoni e leggi per le quali non potevano vivere..>
(Ez 20.25)
< Eccomi contro di te (Isra-El)...sguainerò la spada e ucciderò in te il giusto e il peccatore... > (Ez 21.8)
< (Jhwh :)..Ecco, io faccio sorgere i Caldei, la nazione feroce ed impetuosa... è spaventevole e tremenda..viene
nella sua interezza per semplice violenza.. avanzerà ( come) il vento e passerà..>(Abacuc 1.6-9)
< ..Jhwh si è ritirato da te (Saul) ed è passato al tuo rivale..Elohim darà nelle mani dei filistei
te e tutto Isra-El..>(1Sam 28.15-19)
Tutto ciò poi per Zaccaria avverrà a seguito del fatto che gli uomini:
< Indurirono il cuore... per non udire le parole che il Signore... rivolgeva loro
mediante il suo Spirito (Ruah-Vento) , per mezzo dei profeti del passato >(Zc 7.12)
Più oltre in quelle righe Zaccaria ci dice poi di ciò che avviene “con e per” ovvero “grazie a” quei dolorosi
passaggi, quelle morti e quei disastri spirituali e materiali che vedono coinvolti anche coloro che hanno saputo “ben
nutrirsi” all'Assoluto, le carni delle < pecore più grasse >.
Con, per e grazie a tutto ciò, “opera divina” poiché < Io susciterò...un pastore che...non cercherà..non curerà...con
nutrirà..> dice Jhwh, avverrà che dalla “farisaico-separata” condizione umana di “caduta” all'io-materialità, tutto
sarà riportato, dice Zaccaria, alle < delizie > dell'Eden: si vedrà il ritorno di un uomo che “passeggia con Dio”.
Ma oltre alla “ineludibilità divina” del cammino umano nelle righe di Zaccaria, come dicevo, compare una
importante precisazione e peculiarità :
quel cammino vedrà la “necessaria” e “divina” sostituzione dei “profeti di saggezza” con altre guide,
con guide <..stolte...>, con <..pastori insensati..> che portino il dolore e la distruzione, spirituale e fisica,
ai suoi massimi livelli, al suo ultimo compimento.
E, dicono più avanti le parole di Zaccaria, al ripristino infine della < Benevolenza-Misericordia > e della < Unione >
con l'Assoluto, ovvero al ripristino dei due < bastoni > su cui l'uomo deve reggersi e che il pastore < stolto > non
saprà insegnare, quando sarà di nuovo dall'uomo abitata la < terra delle delizie >(Zc 7.14), quando l'uomo
nuovamente “passeggerà con Dio”, nessuna voce “umana”, che solo confonde, si potrà più alzare per parlare di Dio,
dell'Assoluto. Dice infatti Zaccaria:
< Se qualcuno oserà ancora fare il Profeta il Padre e la Madre che l'hanno generato gli diranno:
Tu morirai, perché proferisci menzogne nel nome del Signore...>(Zc 13.3)
Questa “divina volontà” di rendere l'umanità “sorda alla Verità” e così portarla ad “ineludibili e divini” mali è,
normalmente, poco o nulla comprensibile: Dio, per come normalmente esso è inteso dalle cosiddette religioni
monoteiste, Ebraismo, Cristianesimo ed Islam, il “Dio creatore” comunque nominato e precisato sia, un tale Dio
che “infligge” all'uomo sua creatura prediletta, “ineludibilmente” senza scampo e forzatamente ogni sorta di orrori,
dolori e morte, non è sensatamente concepibile né ammissibile: mai poi se Esso è visto come l'agostiniano “Dio
bello e buono”.
Ma anche quando non si veda più il Dio agostiniano, finché si resta al “Padre-Allah-Jhwh creatore” non si possono
trovare risposte razionali a tale domanda ed i soli rifugi e conclusioni restano quelli di una vita umana quale “ dura
prova” che non può che vedere la “cieca credenza”.
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decima parte
Ancor meno razionalità si può vedere poi nella visione di un Gesù-Dio “salvatore” che invece, evidentemente
impotente, non sarebbe venuto che a ribadire quella così “Divina-Sua” voluta, terribile ed ineludibile, condanna !.
Tutto invece si comprenderà e tutto diverrà profondamente razionale quando si uscirà da quel concetto di DioAssoluto che, nella “farisaica” lettura del “Dio creatore”, ha comunque “in sé” un “antropomorfismo” intrinseco:
“ciò che crea” è subito “colui che crea”, ha subito caratteristiche che ci sono familiari, quelle che “conosciamo” di
chi “fa, dispone, crea, pensa ecc.” mentre invece il suo nome impronunciabile, Jhwh, ci dice che non è “definibile e
conoscibile” .
Vedremo più oltre cosa si deve e si può dire di questo Jhwh-Dio Padre-Allah che sarà anch'esso “diverso” .
L' AMICO GIUDA
Si legano alle riflessioni che qui faremo sui “mali divini” voluti dal Jhwh-Dio-Padre-Allah, le considerazioni che
ora farò sulla identità del “traditore” di cui Gesù non fa il nome: su Giuda che Gesù dichiara “amico” ma oggi è
visto come colui cui Egli si riferiva, e su Pietro che invece Gesù allontana quale “satana” ma oggi è visto primo tra
gli apostoli.
Gesù ci fa vedere la “ineluttabilità” del tragico accadere cui andrà incontro l’umanità ricordandoci, come abbiamo
visto, Daniele, Isaia e Zaccaria, ma anche parlando del “compito” di Giuda Egli ci mostrerà questa ineludibilità:
<(Giuda Iscariota) lo baciò. E Gesù gli disse: “Amico, per questo sei qui ! >(Mt 26.49,50)
Giuda in queste parole è < amico > che “compie” un destino ineludibile, divino e necessario assieme: destino che è
“parte” degli ineludibili mali, dolori e disastri sopra visti e ricordati, duro destino sul quale Gesù dirà anche:
< Non sono venuto a portare pace, ma una spada.>(Mt 10.34)
<..ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una..>
(Lc 22.36)
E' -divina- la “spada” che Gesù consegna a chi lo ha compreso, una spada che Egli invita ad impugnare
abbandonando la condizione, con “mantello”, di riparata tranquillità inattiva contro i cattivi venti, contro ciò che
induce all'errore. Gesù chiede a chi lo ha compreso ed -è- quindi al riparo dai rischi dell'“errore”, di tenersi pronto
ed in allerta, con <..borsa e bisaccia..>, munendosi della “spada divina”, della spada di Jhwh, per combattere
quell'“errore” che solo mali e disastri porterà. Per combattere ciò che porta, induce ed insegna l' “io” che sente
“propri” figli, padri, madri ecc.. Dirà subito di seguito Gesù:
< Non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre,
la madre dalla nuora: i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa..>(Mt 10.34-36)
La spada che Gesù vuole consegnare è dunque quella che permette di vincere quei “nemici dell'uomo” che sono ciò
che si oppone alla “con-versione”: all’ “annullamento dell' io-materialità” cui si oppone tutto ciò che l'uomo si
porta a vedere come “suo-proprio”: i nemici che <..sono della “sua” casa..>. È una spada, divina, che Gesù invita
ad impugnare solo al momento dalla sua morte: Egli vede, comprende e sa che -da quel momento- l' “errore”,
Satana, la diabolica separazione, si ingigantirà, “ineludibilmente” esso permeerà l'umanità intera.
Giuda, abbiamo detto, è < amico > che contribuisce a quel cammino “ineludibile” che passa, anche, “dalla
crocifissione, dal silenzio della croce e dallo stravolgimento del messaggio di Gesù”: tutto necessario anche se
evitabile, non indispensabile. Giuda nelle parole di Gesù è “amico” ed è quindi figura che non ha quella totale
negatività con cui è visto ed insegnato dalla Cristianità: egli, come i “mali” d'altronde, diviene strumento
“necessario se pur non indispensabile” al compiersi di quell’apocalittico destino che è stato previsto-profetizzato,
ed è quindi difficile vedere in questo “amico Giuda” il destinatario di queste altre parole di Gesù :
< Il Figlio dell' Adam se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell' Adam
è tradito! Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato !>(Mc 14.21)(Lc 22.22)(Mt 26.24)
E' infatti impossibile capire un Gesù che per infinita “saggezza-amore” dichiara “amico” Giuda, e poi lo condanna
alla dannazione: nessun senso vi è in tutto ciò. E persino una lettura che nel -ripetuto- “ mangiare con lui”
pronunciato da Gesù che dice:
<...uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà... Uno dei dodici, colui che intinge con me nel piatto..>(Mc
14.18-20), <..ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me sulla tavola..>(Lc 22.21)
voglia vedere il riferimento ad un Giuda cui, per questo “amico”, stava “toccando” una parte nel e dello “stesso
ineludibile compito-destino-piatto”, nel e dello stesso “Accadere” che toccherà anche a Gesù, lettura peraltro che
Giovanni sostiene scrivendo che <..dopo quel boccone (che Gesù gli porse) satana entrò in Giuda..>(Gv 13.27), è
lettura che si scontra e rende poco comprensibile, come detto oltre che cristianamente inaccettabile, quel successivo
<..meglio non fosse mai nato..> della frase di Gesù.
Breve inciso per una annotazione: come possono nascere e dirsi le parole <..Meglio per quell'uomo se
non fosse mai nato !..>(Mc 14.21)(Lc 22.22)(Mt 26.24) nel cristiano contesto di un -Dio creatore-, un Dio
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decima parte
responsabile quindi della creazione di tale uomo ed anche poi misericordioso e che perdona ed ama
visceralmente ?.
In tale visione quelle parole subito sono “meglio per quell'uomo non fosse mai stato creato”: subito sono
blasfemia !. Ma Gesù era lontano da quel Dio e Padre.
Questo passo e frase è infatti assente in Giovanni, il quale vede un Giuda “invitato e spinto” da Gesù a fare
<..quello che doveva fare..>(Gv 13.27), ed è invece presente in Matteo, Marco e Luca. Ma, vuole visto, per Marco
e Luca Gesù non fa, in questo contesto, alcun riferimento preciso a Giuda mentre è dubbio, in Matteo, che quel
<..Tu lo dici..> con cui Gesù risponde a Giuda che gli ha chiesto se è lui il traditore confermi come traditore Giuda:
non vi è certezza che questa risposta di Gesù sia un assenso, essa può benissimo essere, come peraltro è stato con
Pilato, un distaccarsi e prendere le distanze da tale affermazione e comprensione.
Con queste considerazione si deve quindi dire che nei Vangeli non vi è certezza che Gesù abbia dichiarato che il suo
traditore fosse Giuda. Non vi è certezza che con quell’<..uno di voi .. mi tradirà..>(Mt-Mc-Gv) o con il <..chi mi
tradisce è con me sulla tavola..>(Lc) riportatici, Gesù si riferisse a Giuda.
Ciò che ha tratto in inganno, nel leggere questi passi, è il fatto che i passi su “quell’uomo traditore che meglio non
fosse nato” (Mc 14.21)(Lc 22.22)(Mt 26.24) Gesù li ha detti in concomitanza con il gesto di Giuda, un gesto che
peraltro ha forse solo risparmiato inutile sangue.
Ma anche qui tutto si comprende e diventa razionale cercando di andare “dentro” a quelle parole di Gesù: Egli
infatti può certo avere preso spunto dall'imminente gesto di Giuda ma, in linea con quanto spesso capita nelle Sue
parole e discorsi, quanto sta accadendo a Lui serve per esprimere un concetto ed una Verità che va oltre l'episodio in
sé, episodio che resta così unicamente un puro spunto di riflessione e di insegnamento. Gesù, cogliendo spunto da
ciò che farà Giuda, dice di “quell'uomo”, e di tutti coloro, che lo tra-diranno, che porteranno “ad altro” se pure
involontariamente le Sue parole, i suoi insegnamenti e quella universale Verità che Egli unicamente ha voluto
confermare.
Giuda, che per le parole che i vangeli ci riportano da Gesù è dichiarato “amico” e che Giovanni addirittura ci dice
portato-invitato da Gesù a quel “bacio”, a quel gesto di identificazione, difficilmente poteva essere da Lui visto
quale “traditore”: Giuda assolve ad un compito e il suo gesto, poi, ineriva ad una vita “fisica”, quella di Gesù, che da
questi è sempre stata vista sì da vivere pienamente ma anche senza alcun valore in sé e per sé: <..è lo spirito che dà
la vita, la carne non giova a nulla..>(Gv 6.63) e, ancora, “lascia che ...seppelliscano i loro morti” Egli dice non
certo con affranto a chi stava seppellendo i propri cari. E “..via da me Satana..” addirittura Gesù dice a Pietro che si
preoccupava di evitargli la morte fisica, che considerava importante la vita fisica.
Il destino e cammino di Giuda, “amico” che favorendo la “fisica morte” di Gesù finisce col compiere un “divino”
Accadere, resterà quello, duro, di comprendere una Verità che con evidenza non ha capito, ma ben altro, dice Gesù
prendendo spunto da quel gesto di Giuda, sarà ciò che spetta a tutti coloro che -tradiranno- la Verità, a coloro che
insegneranno altro rispetto alla sola universale Verità che Gesù unicamente ha voluto ribadire e confermare: a questi
spetterà un futuro che fa dire a Gesù <..meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!..>(Mc 14.21).
Ben altro sarà ciò che dovrà vedere chiunque, nell'errore e pur inconsapevolmente, “tradirà” la Verità e il LogosVerbo-Cristo-Figlio che la mostra all'uomo, insegnando altro e così portando l'umanità alla più buia e dura delle
notti: è destino “duro e difficile”, dice Gesù con parole che non sono comunque di definitiva condanna, ciò che
aspetterà loro. Egli qui solo ammonisce e tristemente si rammarica per quel duro futuro cui essi andranno incontro,
quel duro futuro che tanto spesso gli ha fatto dire “guai a voi”, saranno guai per voi, scribi e farisei-separatori.
Questo duro e difficile cammino, che può vedere anche la “reincarnazione”, cammino karmico-armonico,
“compensativo” e destinato a riprendere “equilibrio-armonia” più che “retributivo”, è ben visibile nel già citato
“Papiro di Ossirinco 840 (IV sec.dC)”. Gesù qui dice :
< Ma voi state in guardia, affinché non dobbiate soffrire anche voi le stesse cose di loro,
poiché i malvagi tra gli uomini non solamente vengono ricambiati tra i vivi, ma subiscono anche ( dopo ndr)
punizione e grande tormento... > (I vangeli apocrifi – M.Craveri op.cit)
Un futuro che sarà di travaglio e sofferenze non solo tra i vivi, ovvero nella reincarnazione, nella/nelle prossime vite
giacché quella presente li vede invece, come ben dicono le Scritture, appagati e contenti. Ad essi comunque non è,
almeno immediatamente, preclusa la strada per il Regno, la “con-versione”. Nell'apocrifo “Vangelo di Giuda” si
legge che Gesù dice, rivolto a Giuda:
< E' possibile per te raggiungerlo (il Regno), ma dovrai soffrire molto >
Per queste considerazioni, ma anche per altro che vedremo in seguito, le parole di Gesù che per Marco dice:
<...uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà... Uno dei dodici, colui che intinge con me nel piatto..>
(Mc 14.18-20)
parole che sempre sono state viste in diretto riferimento a Giuda, si dovrà dire che -non sono- invece a lui dirette.
Sembra peraltro difficile, lasciando a parte Giovanni che come visto dice altro, che Gesù parli di un Giuda che
“fisicamente” in quella occasione abbia mangiato e preso cibo, e lui solo poi sembra sia detto, dal piatto di Gesù:
gli altri apostoli avrebbero cercato di fermarlo. Quelle ripetute espressioni “mangia con me ...intinge con me nel
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decima parte
piatto” verosimilmente ci dicono piuttosto di un “apostolo”, uno dei dodici, che è stato particolarmente vicino ed a
fianco di Gesù nel suo cammino di predicazione, e tra questi sicuramente c'è Pietro.
Un Pietro che, vedremo approfonditamente più avanti, un testo Cristiano del 120-130, “La Ascensione di Isaia”,
dichiara chiaramente, pur senza citarlo, come colui dei dodici che ha tradito la -dottrina- di Gesù: una accusa
pesantissima che vede confermate le analisi su Gesù qui fatte e che obbligano ad una ben diversa considerazione e
lettura del passo citato come anche di queste altre parole da Gesù pronunciate, anch'esse vuole sottolineato, in
occasione dell'ultima cena :
<..Simone, Simone .. Satana vi ha cercato..e io ho pregato per te .. e tu, una volta ravveduto..>(Lc 22.31,32)
<..dove io vado per ora tu ( Pietro ) non puoi seguirmi..>(Gv 13.36) <..mi rinnegherai tre volte..>(Mc 14.30)
Il tradimento, fisico, di Giuda, come detto diviene in quel frangente per Gesù spunto per dire di tutti coloro che,
primo Pietro che Gesù proprio nel contesto di questo Suo discorso -dichiara- che <..deve ravvedersi..>, non hanno
compreso la Verità da Lui mostrata e insegnando stravolgeranno la Sua dottrina così tradendo Lui, ciò cui Egli si è
portato ovvero il Logos-Figlio.
JHWH, DIO PADRE, ALLAH , UN DIVINO FILOSOFICO
Torno, dopo questa parentesi su Giuda, alla difficile comprensione di quella apparente inconciliabilità tra la
“ineluttabilità del male” e la sua “natura divina”, legame che nei passi sopra riportati già ben si evince.
Su tale legame, sulla “divinità di un ineludibile male”, riporto ancora queste altre righe:
< ... tutte queste cose che io (Jhwh) ti ho poste innanzi, la benedizione e la maledizione ...>(Dt 30.1)
< Dice Jhwh:..ho pietà del male che vi ho arrecato..>(Ger 42.9,10)
< Jhwh ha vegliato su questo male, l'ha mandato su di noi..>(Dn 9.14)
< Io (Jhwh) manderò contro di loro quattro specie di mali: la spada per ucciderli, i cani per sbranarli, gli uccelli..
e le bestie..per divorarli..>(Ger 15.3)
< Io scatenerò la maledizione, dice Jhwh..>(Zc 5.4)
< ..Saul...veniva atterrito da una Spirito Cattivo, da parte di Jhwh..>(1Sam 16.14)
< Io formo la luce e creo le
tenebre, faccio il bene e provoco le sciagure: io, Jhwh, compio tutto questo ! >(Is 45.7)
Ma anche per Giobbe si può dire la stessa cosa: le disgrazie ed i lutti con cui Satana su di lui inferirà sono concessi
ed approvati da Jhwh e quei passi dicono infatti:
< ..lo consolarono di tutto il male che Jhwh aveva mandato su di lui..>(Gb 42.11)
Ora, ritengo che non sia corretto fermarsi a considerare “mali divini” unicamente quelli spirituali e fisici che
nascono nel piuttosto inconnotato e doloroso “destino” umano visto nei disastri apocalittici.
Sono mali e scenari che si sviluppano nei millenni e ritengo inopportuno escludere dalla riflessione quei “mali” che
quotidianamente affliggono da sempre l'uomo quali il dolore fisico, la morte immotivata e tutti i mali che
quotidianamente ci angustiano e ci assalgono, fisicamente e non solo, senza alcun apparente od evidente motivo e
fuori da ogni naturale normalità.
Anche per questi quotidiani “mali fisici e spirituali” che ci opprimono e che rompono il sereno e naturale trascorrere
e finire della vita dell'uomo credo che si debba parlare di “divina” provenienza.
Ma, si è detto, è impossibile dare razionale spiegazione a dei “mali che vengono da un Dio-Amoroso creatore”.
Irrazionale è a mio avviso la nota “spiegazione” Cristiana che dice di una “libertà dell'uomo di errare e peccare”
volutamente data quale “atto di amore” da un Dio creatore che poi si riserva la libertà di “punire” per ogni
“inconsapevole” errato uso di tale libertà. Totale irrazionalità che si affianca poi a quella della “necessaria grazia”
divina cui, come visto, l'uomo unicamente può “disporsi” nella speranza che Dio, a suo piacere e volere, la conceda.
Visto e constatato tutto ciò la sola cosa che resta da fare, per cercare la razionalità che mai può mancare, è il
riconsiderare Dio Padre-Jhwh, e quindi anche Allah: resta da riconsiderare -l'Essere creatore-.
Resta da fare, a questo punto ed a questo scopo, un approfondimento “centrato sulle caratteristiche” che si
esplicitano, per l'Assoluto, nelle Scritture e nelle parole di Gesù: resta da approfondire cosa, conseguentemente e
coerentemente a ciò che entrambi dicono, sia da intendere per “Dio o Divino”.
E' un approfondimento che dovrà arrivare a vedere “coerenza e razionalità” in quei “mali divini ineludibili” e
“necessari” se pur forse non “indispensabili”. Un approfondimento che dovrà vedere come conciliare, nel “cuore” e
nella razionale “ragione” dell'uomo, quel “duro destino” che così diviene “imposto ed obbligato” benché a causa di
una “caduta” che a quel punto è anch'essa tutta da analizzare: essendo essa “inconsapevole” come non vedere anche
questa “divina e necessaria” quale quella dell' “amico” Giuda ?.
In uno scenario di “ineluttabile destino-necessità” infatti come si può pensare che all'uomo resti solo la
“responsabilità” di “errare”, la responsabilità della inconsapevole “caduta” nell'”io-materialità”?! : se tutto è
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decima parte
“divinamente” dato anche quella caduta, quella separazione, non può che essere tale: divinamente, dall'Assoluto
insondabile, da Jhwh, data, voluta nel senso di “necessitata”. E così infatti sembra potere essere.
A questo punto però ogni mente educata e cresciuta nell'insegnamento di un “uomo che è in sé”, certezza che per
Ebraismo, Cristianesimo ed Islam nasce nel loro “uomo creato”, ma convinzione che è oggi anche di una cultura
“atea e laica” che nasce in una filosofia che tale non è più, ogni mente così in quell'errore portata, non può che
giustamente ribellarsi e trovare quelle conclusioni assurde ed improponibili. Tutto però si scioglie, tutto si spiega e
tutto acquista piena razionalità una volta che ci si liberi da quell'insegnamento di un “uomo essente in sé” che è
vincolo, che è velo e gabbia: una volta tolti, con coraggioso sforzo esplorativo, i paraocchi che così abbiamo e che
ci fanno guardare con cieca, e sorda, limitatezza: una volta tolte le “catene” del socratico “mito della Caverna”.
Tutto si scioglie, tutto si spiega e tutto acquista piena razionalità, a quel punto, semplicemente con la lettura ed
interpretazione più razionale e conseguentemente possibile delle Scritture e delle parole di Gesù.
Tutto si scioglie, tutto si spiega e tutto acquista piena razionalità, quando si trova il “Jhwh” che è “il Dio” e non
“Dio”: il “Jhwh” che è il Dio-divino del prologo del vangelo di Giovanni che dice < ..il Logos era presso il
Dio..>(Origene, Com.Gv II, 8-9).
Quando si trova il Jhwh dal nome che non si pronuncia perché esso è
inconnotabile e per questo indicibile, “il Dio” e “Padre-generatore” assieme di Scritture che Gesù solo invita a
capire, il solo, razionalissimo, che quegli scritti volevano e potevano cercare di esprimere: un Divino-Assoluto-Jhwh
“diverso”, anch'esso, da quanto sino ad oggi visto ed insegnato da Ebrei, Cristiani e Mussulmani. Un Assoluto-Jhwh
che solo si potrà vedere con l'uccisione di Adonai o Dio o Allah.
Dice a questo riguardo, parlando di “misticismo”, Marco Vannini in “Il volto del dio nascosto” :
<..il superamento dell'oggettività e dell'alterità...non avviene se, insieme all'annichilimento dell'“io”,
non vi è anche l'annichilimento di Dio...concetto speculare all' “io” e punto di forza dell' “io” stesso.
Qualora questo annichilimento non abbia luogo, l' “io” viene potenziato, non distrutto, ma insieme dilacerato dalla
presenza sempre altra di Dio..>
A questo Jhwh Gesù si rivolge chiamandolo “Padre quello che è nei cieli” ma dichiarandosi al contempo “figlio
dell'Adam”, figlio quindi anche di un altro padre, l'Adam-Uomo, che non è “nei cieli”: Gesù così implicitamente e
segretamente ci dice che Egli è “figlio di una condizione-adam” che è comunque all’Assoluto-Jhwh ascrivibile.
Ma Gesù dirà anche che i “cieli” in cui è questo Jhwh, in cui ha Regno quel “Padre nostro”, non sono in alcun
“luogo determinato” :
< Se chi vi guida vi dice: sì, il Regno è nei cieli, allora gli uccelli del cielo saranno in vantaggio,
se vi dicono che è nel mare , allora i pesci saranno in vantaggio.
Ma il Regno è dentro di voi e fuori di voi... >(vangelo di G.D.Tommaso l.3)
Quei “cieli” in cui è il Regno di Jhwh sono ovunque e sono la “condizione” cui si arriva con la “conversionecambiamento di mentalità-rinnegamento di se stessi quali io-separati”, Egli ci dice.
E perché tutto si sciolga, tutto si spieghi e tutto acquisti piena razionalità, bisogna entrare -a fondo- in quella “conversione-cambio di mentalità” che infine ci mostra l'Assoluto come Tutto che la Vita fisica “comprende”: bisogna
uscire dal Dio distaccato, “altro”, per vedere un Dio che -E'- un Tutto fisico e spirito “nostro” e che quale “altro” è
solo nella accezione che mai -Esso- è pienamente “dicibile” e “com-prensibile”.
Trova così spiegazione, in questa lettura e comprensione del Dio Padre-Jhwh, Assoluto, anche quel difficile passo di
Genesi in cui si dice che :
< Jhwh Elohim plasmò...dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche...e li condusse all'uomo,
per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello
doveva essere il suo nome >(Gn 2.19)
“Nome” è ciò che designa le caratteristiche come si vede con grande chiarezza nei i “nomi” della Torah: tutti nomi
“parlanti”, che “dicono” di specificità proprie di chi porta quel nome. Si potrà vedere quindi, nel citato passo di
Genesi, come all'uomo viene riservato un “compito divino”, quello di dare il “nome”, quello cioè di “ caratterizzare,
dare posto, funzione e qualifica”. Questo compito di “indirizzo ed ordinamento” del manifesto è compito che è
“divino” ed è quindi di un uomo che è “in-esistente” alla divinità, all'Assoluto, al Tutto-Uno, “sua immagine”.
E questo compito dell'uomo di “nominare”, di “caratterizzare” la vita fisica, è suo compito continuo nel tempo,
eterno.
È con questo “Dio diverso in e di cui è l’uomo” che la “ineludibile necessità” dei mali si trasforma in “conseguenza
inevitabile” dovuta ad un Jhwh che è Legge armonica, Uno che è Tutto e Divenire in cui l’uomo è.
È con questo Dio che il “destino e la volontà divina” si trasformano in una “Legge che interessa il materiale e lo
spirituale assieme”: il Jhwh-Elohim supremo ed immutabile generatore ed ordinatore.
Sarà un Dio “diverso” certo comunque sempre “non pienamente raggiungibile” nel senso di “spiegabile
scientificamente”; moltissimo resta sempre, in tal senso, a piani a noi non aperti e raggiungibili: questi si potranno
ancora solo “intravvedere”, non potremo “vederli direttamente” ma solo “di spalle” ci dice la Torah.
E potremo vedere di spalle questo Jhwh-Dio-Allah “diverso”, unicamente grazie a ciò che di Esso, nascostamente
ma fattualmente, arriva a toccare il nostro piano: solo grazie ai segni di quelle interferenze ed interconnessioni che
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decima parte
tutto legano ma che non possono trovare umane, misurabili e scientifiche, spiegazioni e prove.
Ma, pur con questi limiti “naturali”, resterà un Dio completamente “razionale”, "filosofico", e, nel dirne, i limiti
della parola ancora lasceranno ogni espressione inadeguata quando non inopportuna e pericolosamente fuorviante; le
mie soprattutto.
Sono molte le parole che dicono di questo Dio “diverso e filosofico” sia nelle Scritture che in quel Gesù che ho
cercato di mettere in evidenza, un Gesù che, ricordo ancora, “storicamente” sempre e solo al Jhwh biblico si è
rivolto, sempre e solo Jhwh ha voluto spiegare e fare capire. E le parole delle Scritture, ben lette, ma questo spesso è
stato impedito da errate e condizionate tra-duzioni, testimoniano come vedremo di questo Jhwh “diverso”: un
Assoluto finalmente “razionale”.
Vediamo quindi ora di approfondire questo -diverso- “Jhwh-Dio-Allah”.
PREMESSA
Prima di passare ad analizzare questo Assoluto “diverso”, prima di considerare quelle sue caratteristiche che “ di
spalle” ci è possibile vedere e capire, caratteristiche e comprensione importanti se pur non suo “volto”, non sua
“piena visione-intellezione”, devo fare alcune fondamentali premesse e precisazioni che si sommano alle tante altre
errate “traduzioni-interpretazioni” di Legge e Profeti in queste pagine viste.
1)
Impediscono una corretta lettura e sono fuorvianti e pericolose le traduzioni normalmente fatte di un
“impronunciabile” “Jhwh” con “Signore”, “Adonai” in ebraico.
Rimando su questo argomento a quanto già detto in apertura al capitolo “Torah, letture e nomi divini” della IV
Parte, ricordando qui solamente che questi “trasporti”, e non traduzioni, “personalizzano” il divino: inducono
all'opposto esatto di ciò cui vuole portare l'impronunciabile “Jhwh” biblico.
Un tetragramma,“soffio puro” senza alcun “delimitato” suono, che è l'indicibile indeterminato ed indeterminabile:
quel “sarò ciò che sarò” che invece quelle traduzioni “determinano” e, soprattutto, “antropizzano”.
2)
Impediscono una corretta lettura e sono fuorvianti le traduzioni, quasi tutte in “ Dio”, dei termini: El, Eloah, Elohim
ecc., termini diversi che così tradotti “perdono” ogni specificità.
El, Eloah, Elohim sono oggi tutti nomi-caratterizzazioni scomparsi, come quello di Jhwh, nella maggior parte delle
traduzioni di Legge e Profeti:
-- El, citato circa 200 volte nelle Scritture giudaiche, è il termine con cui la massima divinità era indicata in quasi
tutto il mondo Mesopotamico già nel 2500 aC, tra questi popoli ricordo: Eblaiti, Egizi, Ittiti, Hurriti, Amorrei,
Ugarriti e, ancora nel VI sec aC Fenici e Cananei.
Per El la traduzione in Dio non è forse particolarmente “fuorviante” anche se bisogna dire che quel senso di comunione tra popoli a cui, per quanto sopra, ci riporta il termine El, con la tra-duzione in Dio è andato perso.
-- Eloah, citato circa 50 volte, con buone probabilità è traducibile in “colui che è”, ma se pur manca una certezza
assoluta non è certo corretto il trasportarlo a Dio uniformandolo così ad El.
-- Elohim, invece, pone problemi importanti ad iniziare dalla frequenza con cui è citato: 2500 volte e quasi sempre
esso è tradotto in Dio.
Rimando, anche su questo punto, a quanto già esposto in apertura del capitolo “Torah, letture e nomi divini” della IV
Parte, ma aggiungerò qui altre riflessioni .
Ricordo che, come già visto in quel capitolo si può concludere che Elohim è con sufficiente precisione traducibile in
“deità”, termine largo ed esteso che dice di "Dei" o " Potenze", i "Padri" cui si porta l'uomo che come Abramo
ascoltando Jhwh abbandona il "padre" e potrà così tornare ai suoi "Padri":
< Jhwh disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese... e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò..”>
<..(e così -ndr) te ne andrai dai tuoi Padri in pace... dopo una buona vecchiaia..>(Gn 12.1; 15.15) .
Termine largo che comunque non intacca la -certa- “unicità” di Jhwh ma assieme contempla quella “plurale
unicità” che le Scritture, non si può dimenticare, ci attestano :
< E Dio (Elohim) disse: “Facciamo l'uomo a nostra immagine..> (Gn 1.26,27)
< ..(l'uomo) l'hai fatto poco meno degli angeli (Elohim) > (Sal 8.6)
< Dio si alza nell'assemblea divina, giudica in mezzo agli dei (Elohim) > (Sal 81.1)
La traduzione in “deità” pur forse non perfetta ma a mio avviso sicuramente migliore, più corretta, coerente e meno
condizionata e condizionante rispetto a quella di “Dio”, apre in qualche modo una prospettiva che come vedremo
dona a tutto una razionalità inaspettata. Dà forza a questa traduzione-lettura anche il fatto che, essendo impossibile
come visto la sistematica traduzione in Dio, il termine Elohim è stato tradotto in “vari modi” sostituibili tutti con
“deità”; esso è infatti diventato :
“Angeli (Sal 8.6 +138.1) ; Giudici (Sal 82.6) ; Profeti (Es 4.16+7.1) ; Esseri potenti (1Sam 28.13);
Re, Messia (Is 7.14+9.5; Sal 45.7) ; Casa di Davide (Zac 12.8)
Con questa traduzione-lettura di Elohim si apre la prospettiva di un Jhwh che si mostra così nell'aspetto di :
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decima parte
“Unico ed unanime operare e muovere di forze e potenze, dei, che sono spirito e materia, il Tutto-Uno Jhwh” .
Jhwh così si apre nell'aspetto di “Legge” che “ordina-muove-condiziona”: è per questo che i libri sacri della Torah
sono detti Legge : in essi, correttamente letti e visti, si comprende la Verità di una Legge che tutto tiene, tutto
condiziona ed ordina, una Legge che, vista comunque solo di “spalle” ovvero che non si comprende ma non si arriva
a vedere-spiegare a pieno.
3)
Ma ben altro ancora è “enormemente fuorviante”: sbigottisce e lascia increduli e frastornati vedere che il
relativamente celebre passo in cui Mosè chiede a Jhwh, all'Assoluto, quale è il suo “nome”, ovvero quale è la sua
“essenza-sostanza-caratteristica”, Jhwh, secondo le tra-duzioni comunemente proposte, risponde:
< Io sono colui che sono >(Cei- Es 3.14),
a volte anche tradotto in < Io sono colui che è > con un < colui > assolutamente incorretto e che sostituisce un
“ciò” che al più quindi porta la risposta a < Io sono ciò che è >.
Ma la traduzione letterale, come ci sottolinea anche Erri De Luca nel suo “Esodo”, è esattamente:
< Sarò ciò che sarò > (Es 3.14)
La differenza è abissale ed antitetico è il risultato: a “ciò che è divenire, accadere, movimento continuo” con quella
traduzione, cieca e sorda, si sostituisce “colui che è immutabile ed immobile”.
Ho detto che lascia sbigottiti questa “diversa” lettura che De Luca peraltro precisa essere stata fatta anche da altri
prima di lui : è chiaro ed evidente che con questa traduzione le prospettive di analisi ed esegesi della Scrittura
cambiano profondamente.
Ma, in traduzioni che certo sempre divengono discutibili, quelle prospettive profondamente sarebbero cambiate
anche se semplicemente si fosse lasciato il “ciò”, come è nella versione dei Testimoni di Geova, in luogo del
fuorviante “colui” : se si fosse lasciata la frase ad un < Io sono ciò che sono >.
Confermano poi “nella sostanza” la fedele traduzione letterale, anche questi due passi canonici di Gesù ed Isaia:
< Il Padre mio che opera ancora..>(Gv 5.17) < Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra..>(Is 65.17)
Lettura, quella del Jhwh Legge-Divenire, che come abbiamo visto era correttamente fatta da alcuni gruppi di Giudei,
oggi catalogati quali gnostici, che secondo quanto ci dice Ippolito in “Confutazioni V 7.25” così leggono il brano di
Esodo 3.14 : < Divengo ciò che voglio e sono ciò che sono >.
ANALISI
Dopo queste premesse, torno a quelle “caratteristiche, qualità, proprietà” che si possono evincere dai testi sacri di
questo Dio Padre-Allah-Jhwh-Assoluto: a ciò che è e può essere solo “visione di spalla”, non “volto”, non “piena
visione-intellezione” come ci viene detto nella Torah: < ..vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può
vedere..>(Es 33.23)
----- a) ----Da quanto ci dicono i testi sacri si evince e ricava, vedremo qui, che Dio, o Jhwh, Padre nostro, Allah, l'Assoluto:
“ è Potenza che opera quale Unità indistinta di diversi Aspetti e Forze ovvero di Potenze, Padri”
Jhwh è Unicità, o Dio Unico, ma quale pluralità di Aspetti e Forze che “mai in modo separato” agiscono: sempre
esse sono interagenti ed Uno. E' per questo che il suo nome è “impronunciabile”: quella complessità mutante di
legate “forze o potenze” agenti sia al materiale che allo spirituale, Uno, non può essere “definito”.
Jhwh è Unità di Forze, Potenze e Realtà che “unicamente assieme sono”, è il solo Reale, è il Tutto plurimo agire e
manifestarsi in un mutante unisono che è Uno.
Questo ci dice con chiarezza la Torah nella sequenza di passi di Genesi che riporto e dove l'Assoluto, qui Elohim, si
dice indifferentemente ora plurale ed ora singolare poiché “è entrambi”:
< E Elohim disse: “Facciamo l'uomo, a nostra immagine, a nostra somiglianza...>(Gn 1.26)
< Elohim creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Elohim lo creò >(Gn 1.27)
< Jhwh Elohim disse allora:“Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi..> (Gn 3.22)
Queste “prime” parole della Torah, nelle quali vengono ciecamente visti degli improbabili “plurali maiestatis”, ci
dicono invece di una “Realtà divina pluralmente ma unitariamente operante”.
Realtà e Verità invero difficile da capire finché si resta legati al “Dio comunque antropomorfo” che ci è stato
insegnato, ma Verità razionalissima che ben si vede anche nei passi qui di seguito riportati con traduzioni letterali e
“non interpretate”:
< Il popolo di Te... che avete redento..>( 2Sam 7.23)
< Jhwh, il Dio (Elohim-Deità) dei cieli e il Dio (Elohim-Deità) della terra, che mi fecero vagare..>(Gn 24.7)
< Chiamò il posto El-Betel, perché là Dio (Elohim-Deità) furono rivelato..>(Gn 35.7)
Questi passi ci dicono con chiarezza che è supposizione cieca quella del “plurale maiestatis” per l'importante passo
di Genesi 1.26: ci dicono di un Jhwh-Padre nostro-Assoluto che è “Unica Pluralità”.
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decima parte
Ancora questo aspetto lo possiamo vedere nei numerosi passi delle Scritture, circa 300, in cui Jhwh viene citato
come < Jhwh Elohim degli eserciti >(Is 1.9).
“Eserciti” qui significa “potenze”, le forze, aspetti e Realtà che “in Jhwh-Uno” operano ed agiscono: dirà in
sostanza questo anche Ireneo di Lione (130-202) che traducendo l'espressione di Isaia scriverà: < Jhwh Dio delle
potenze >.
Una efficace immagine per figurasi, molto approssimativamente, questa “Unità”, di potenze ma non solo, che vede
Jhwh, è come detto quella che la scienza odierna ci offre con la cosiddetta “teoria delle Stringhe”: allargare questa
ipotesi fatta dalla scienza per la materia aggiungendo uno o più livelli immateriali in un tutto comunque interagente,
può essere un modo per non restare nella vaghezza totale. Figurazione che comunque dovrà vedersi come vaga ed
insufficiente immagine.
Ma molto altro si potrà vedere quando si potrà disporre di traduzioni più puntuali e meno interpretate, ovvero più
corrette, oneste e morali, quali quella che riporto grazie alla “Traduzione interlineare di Genesi” fatta da
Piergiorgio Beretta. Queste sono le differenze che per Genesi 7.1 nascono tra ciò che riportano Cei, Tnm, e la
traduzione fedele ripresa in quel testo:
(Cei) < Il Signore disse a Noè: “...perché ti ho visto giusto dinanzi a me in questa generazione >
(Tnm) < .. Geova disse a Noè: “..perché tu sei quello che ho visto giusto dinanzi a me fra questa generazione >
(interlineare P. Beretta) < Jhwh disse a Noè: “... ché te vidi giusto a facce di me nella generazione la questa >
Il plurale “facce”, gli “aspetti, potenze” di Jhwh, è un plurale che testimonia che la “Unicità” indiscutibile di Jhwh è
al contempo “Pluralità”. Il plurale “facce” nelle Scritture viene poi utilizzato anche nei riguardi delle “persone”,
dei singoli uomini, giacché anch'essi, quali “immagini” di Jhwh, sono in quella “condizione”: vedono quella stessa
pluralità di “aspetti e potenze”.
Tutte queste fedeli traduzioni sono scomparse come d'altronde è scomparso lo stesso Jhwh, il tetragramma che non
si pronuncia: i “lacci e le corde” da cui veniamo messi in guardia nelle Scritture qui prendono anche l'aspetto di
vere e proprie “trappole”.
----- b) ----Da quanto ci dicono i testi sacri si evince e ricava poi, vedremo qui, che Dio, Jhwh, Padre nostro, Allah, l'Assoluto è:
“Unità Plurale, di Forze o Potenze Spirituali e Materiali, che toccano e formano, comprendendolo, l'uomo”
Jhwh è Uno di complementari “forze e potenze fisiche e spirituali e maschili e femminili” che -tutte- nell'uomo
“agiscono e sono”: l’uomo per questo è “Figlio di Dio” e sua “immagine e somiglianza” e sempre per questo egli è
dichiarato, nelle Scritture e da Gesù, “deità”:
<... “Facciamo l'uomo, a nostra immagine, a nostra somiglianza...>(Gn 1.26)
< ..Rispose..Gesù: “Non è forse scritto nella...Legge:-Io ho detto: voi siete dei (Elohim)- Ora .. essa ha chiamato
-dei- coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio..> (Gv 10.34)
E' “Deità-Elohim”, abbiamo largamente visto e dicono anche i passi citati, chi ascoltando la parola dell'Assoluto sa
uscire dai “propri dell'io” -casa, paese, padre ecc.- per portarsi al Regno-Terra Promessa, chi così “servo” fa <..la
volontà del Padre..>(Mt 7.21;12.50, Mc 3.35), chi con la con-versione “resuscita-rinasce” e ritrova in sé quel
Figlio di Dio che non è che “immagine e somiglianza” di quelle plurali Forze-Potenze-Padri, maschio e femmina,
che non sono che l'-unico ma plurale- Padre-Jhwh che quindi -è natura stessa- dell'uomo.
“Deità-Elohim", Forze-Potenze, che sono "Padri" di un un uomo che -ad Esse- si potrà portare grazie all'abbandonomorte all'io-materialità: dice infatti Genesi che Jhwh dopo avere detto ad Abramo <..vattene.. dalla casa di -tuo
padre-..>(Gn 12.1) gli annuncia ciò che avverrà grazie all'ascolto di quel suo invito:
<..(così ndr) tu te ne andrai dai -tuoi Padri- in pace..dopo una buona vecchiaia..>(Gn 15.15)
Deità-Elohim, Forze-Potenze che il vangelo di Tommaso sembra dire "Immagini":
< ..Quando vedrete le vostre -immagini- che sono nate prima di voi che non muoiono né si manifestano, quanto
grande sarà la vostra meraviglia !..> (Vangelo di G.D.Tommaso l.84)
< All'uomo si manifestano le -immagini- ma la luce che è in esse le fa rimanere nascoste. Nelle forme la luce del
Padre si manifesta e le sue -immagini- sono cancellate dalla Sua luce > (Vangelo di G.D.Tommaso l.83)
Dicono di questo Dio-Jhwh-Elohim, di queste Forze-Potenze-Immagini che “comprendono ed insistono” all'uomo,
in modo mirabile e sostanzialmente identico, le visioni di Dio che ci consegnano Lucia di Fatima e Dante:
< Vedemmo in una luce immensa che è Dio:
“qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti”>(III segr. di Fatima)
< Quella circulazion che sì concetta / parea in te lume reflesso da li occhi miei alquanto circunspetta, /
dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige > (Dante-Divina C.,Paradiso 127,131)
Ma diceva di questa stessa Verità, di una “deità”, di un Assoluto, che “vede anche il volto dell'uomo”, già 4000 anni
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fa circa, in forma mitologica, il già citato poema Mesopotamico che narra della “creazione dell'uomo” : in esso la
dea < levatrice degli dei > incaricata dagli stessi di <..produrre..> l'uomo, così dice:
< “.. Allora, si immolerà un dio,..con la sua carne e il suo sangue Nintu mescolerà dell'argilla (creando l'uomo):
così saranno legati dio e l'uomo...vivrà inoltre, nell'uomo, uno “spirito”, che lo manterrà sempre vivo anche dopo
la morte, e questo “spirito”, esisterà per preservarlo dall'oblio..>
(testo Kasap-Aya per J.Bottero, S.N.Kramer in “Uomini e dei della Mesopotamia”,pp570,571)
----- c) ----Da quanto ci dicono i testi sacri si evince e ricava poi, vedremo qui, che Dio, Jhwh, Padre nostro, Allah, l'Assoluto è:
“Legge che regola e condiziona”
Jhwh “comanda e determina” l'Accadere per quella “Regola”, o Legge, che è ciò che “lega” e condiziona l'agire di
ogni “forza e potenza”, di ogni “deità-elohim”: Legge poiché “lega a sé” come dice la etimologia del termine.
I libri sacri come già detto sono dichiarati, anche da Gesù, “Legge” poiché dicono, esprimono e fanno vedere la
Verità-Legge-Jhwh.
Jhwh è Legge dell'accadere, è l'Unitario Armonico-Karmico muoversi di forze naturali e sovrannaturali assieme: è
questo che l' < integro e retto > Giobbe alla fine saprà vedere.
Giobbe esclamerà infatti <..ora i miei occhi ti vedono >(Gb 42.5) quando, dopo avere sofferto tutti i mali cui viene
sottoposto, avrà compreso che Jhwh è unicamente Accadere-Necessità e che è “bene e male” unicamente per chi è
cieco come era lui stesso prima di saperlo “vedere”.
Giobbe allora smette di chiedersi il “perché” del male, smette di vedere “ingiustizie”, di “veder-si” oggetto di quanto
accade e, capendo di avere <..oscurato il consiglio di Jhwh con parole insipienti..>(38.2), toglierà l' “io” sempre
“giudicante” per disporsi, servo, unicamente all'“ascolto” dell'Assoluto:
< Ho esposto senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non comprendo.
Ascoltami e io parlerò, io ti interrogherò e tu istruiscimi.. >( Gb 42.3,4)
É a quel punto, è < in mezzo ad un turbine >(38.1) che è la stessa condizione in cui entra Elia che dice : <..ci fu un
vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce … dopo il vento ci fu un terremoto ..dopo il
terremoto ci fu un fuoco > (1Re 19.11-13), è nel deserto o selva, che Giobbe “sente la voce di Jhwh”, come Elia, ed
arriva ad una consapevolezza, ad una < nuova condizione >(Gb 42.12).
“Nuova condizione” che è il vivere la consapevolezza che segue quella “conversione-resurrezione” che egli in quell'
“oggi” saprà fare, “nuova consapevolezza” che sarà migliore di quella, pur buona, sua precedente di uomo < integro
e retto (che) amava Dio ed era alieno dal male >(1.1).
Dice infine quel testo: < Jhwh benedisse la nuova condizione di Giobbe più della prima >(Gb 42.12)
Bene e male sono Accadere che supera ogni “io” e che muove oltre ogni individualità pur esso toccando ogni
singolo individuo.
Bene e male sono ciò che “accade” per quella Legge che unitariamente ordina e muove ed insegna <..istruisce..>
chi, così giunto, sa ascoltare e quindi vedere quelle forze e potenze di cui l'uomo è parte, forze e potenze materiali e
spirituali che, “Armonicamente o Karmicamente legate”, Uno, “assieme” agiscono e che sono il Dio-Jhwh.
E a Giobbe, che ha saputo ascoltare, quell'Accadere insegnerà e grazie a questo egli “vedrà” Jhwh.
Bene e male, positivo e negativo, sono tali agli occhi dell'uomo lontano da Dio e caduto nel buio dell' “io” come
anche agli occhi dell'uomo < integro e retto > ma che “ciecamente” comunque non sa vedere Dio.
In Realtà bene e male unicamente sono Accadere: sono < ciò che sarà >, come dice di sé Jhwh, per una Legge -che
è Jhwh- ed Eterna Vita.
----- d) ----Da quanto ci dicono i testi sacri si evince e ricava poi, vedremo qui, che Dio, Jhwh, Padre nostro, Allah, l'Assoluto è:
“ Unità dinamica di forze complementari : maschio e femmina ”
E' questa la prima “immagine ed espressione” che la Scrittura ci propone di Elohim-Dio, della Deità che è Jhwh,
forse la sola descrizione possibile ed appropriata:
<..a immagine di Elohim... maschio e femmina..>(Gn 1.27)
La Deità, le legate forze e potenze che “sono Jhwh” e che agiscono ed operano nell'uomo, sono “maschili e
femminili”, opposte e complementari:
forze centripete le maschili e forze centrifughe le femminili, sono Yang-Yin”, rispettivamente sono :
- maschio, cielo, sole, giorno, luce, caldo, attività, secco, vita ecc.
- femmina, terra, luna, notte, buio, freddo, riposo, umido, morte ecc.
Sono forze che “avvicinano” ed “allontanano” in un dinamico “contrapporsi” e “muovere” che nulla muta benché
arrivi a presentarsi quale “fine o inizio” : “fine e inizio” che al contempo rispettivamente sono infatti “inizio e fine”,
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decima parte
“respiro divino” che “è” Jhwh, la Vita.
Una Vita che muove restando a sé stessa uguale, Vita quale fiamma che non consuma come ci mostra la Torah con
l'episodio del roveto, ma scalda e dà luce, rende vivi in questo muovere tra Yang e Yin, Maschio e Femmina .
Una Vita che è continuo alternarsi di sempre diversi inizi e fini, allontanamenti ed avvicinamenti e viceversa: Vita
che solo agli occhi di chi è chiuso nell' “io”, e vive il tempo, per alcuni suoi aspetti diviene “morte e vita”.
Una Vita cui l'uomo si riporta quando saprà ridurre Yang e Yin, Maschio e Femmina, < allo stesso essere > come
insegna Gesù nel vangelo di G.D.Tommaso al l.22 :
Gesù ha detto: <….Quando farete di due cose una unità e farete l’interno uguale all’esterno
e l’esterno uguale all’interno e il superiore uguale all’inferiore, quando ridurrete il maschio e la femmina ad un
unico essere così che il maschio non sia solo maschio e la femmina non resti solo femmina,
….allora troverete l’entrata del Regno.>
Sempre nel vangelo di G.D.Tommaso al n.114 Gesù, rispondendo ad un Simon Pietro che afferma che <..le donne
non sono degne della Vita..>, dice:
<..(Mariza) la terrò con me affinché io possa completarla in mascolinità.. e similmente (sia ndr) per voi maschi !
Le donne che si completano in mascolinità possono entrare nel Regno dei cieli >
La donna quindi, femmina figura ed espressione, prevalentemente, della femminea spinta centrifuga e separatrice,
completandosi in mascolinità ovvero di forza centripeta ed unificatrice per un processo di “ completamentounificazione-matrimonio” che similmente deve essere per l'uomo maschio, si porterà al regno, a Jhwh.
CONCLUSIONE
A conclusione di quanto in questo capitolo sin qui visto si può quindi dichiarare che il Dio Padre-Allah-Jhwh
“diverso e filosofico” che così nelle Scritture si è messo in evidenza, è:
“ Potenza che opera quale -Unità indistinta di diversi Aspetti e Forze- ovvero di Potenze,
spirituali e materiali, che agiscono come -Legge che regola e condiziona- in una Unità armonico dinamica.
Forze o Potenze complementari che sono -maschio e femmina o yang e yin- e -spirito e materiain una Unità che tocca e comprende l'uomo ” .
Ma, vuole detto, questo Dio Padre-Allah-Jhwh “diverso” non può e non deve essere visto quale “freddo
meccanicismo” che muove: si dovrà e potrà vedere unicamente quale Reale che “caldamente-generativamente” nella
più completa interazione con l'uomo, muove.
Un Reale che nella Ruah-Vento Santa rivela sé stesso e parla, senza parole, ad una “libera coscienza umana” che,
essa unicamente, ne può cogliere col proprio -sentire- la “Verità, i Principi e la Essenza” senza comunque poterlo
completamente, “di viso”, “vedere”.
L'uomo sulla strada di quel “sentire”, sulla strada della visione dell'Uno-Assoluto e dell'abbandono dell' “io”,
arriverà a vedere in “sé” un Figlio di Dio-Logos che al contempo -svela e rivela- il Padre-Allah-Jhwh, la divinitàdeità di cui egli è parte in-esistente ma inesistente “in sé”.
Egli così si vedrà in una “Potenza” che è “divina e che anche da lui è condizionata”, una Potenza sua sempre purché
mai egli la veda “propria” ovvero di un “io” che non è e non deve essere.
Di questo Assoluto oltre alla Torah e Gesù e, come visto, tutto il mondo antico fino ad Eraclito e Socrate, dirà anche
lo Stoicismo: Zenone di Cizio (333-263 aC), secondo ciò che riporta Hans Von Arnim nel suo “Stoici antichi - tutti i
frammenti”, diceva :
<.. Zenone sosteneva che il Logos è il forgiatore della realtà naturale
e ordinatore dell'universo e gli dà il nome di Fato, Necessità degli eventi, Dio, Anima di Giove..>
( op.cit. A 160.1 – Lactantius, De vera sap. c.9)
< Zenone definisce Dio come una Legge divina e naturale ..>
( op.cit. A 161.2 – Lactantius, Inst.dir. I5)
Un Assoluto Legge ed Unità anche qui, Unità filosofica che sa vedere e trovare spazio alle innegabili diversità
umane e non cade così nell'errore del gratuito buonismo:
< Raccontano che una volta (Zenone) prendeva a frustate un servo che aveva rubato e quello urlava:
“E' scritto nel destino che io rubi”. E lui in risposta : “E anche che tu sia battuto” >
( op.cit. A 298 – Diogenes Laert.VII 23)
Un Assoluto Legge ed Unità che è Eterno Ritorno di una Vita sempre a sé stessa uguale, un Ritorno ben visto e
testimoniato nella Torah ed anche da Gesù messo in luce secondo la testimonianza, in particolare, di Giuda Didimo
Tommaso:
< (Giacobbe) ..fece un sogno : una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo;
ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa...> (Gn 28.12)
< Se vi dicono: “Di dove venite?” rispondete loro: “Noi siamo usciti dalla luce, di là da dove la luce si forma
uscendo dall'Uno stesso..> (vangelo di G.D.Tommaso l. 50).
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decima parte
< Il Regno dei cieli si può paragonare a “lievito impastato con...farina”..perché tutta si fermenti..> (Mt 13.33)
< ..il Tutto esce da me e il Tutto ritorna in me...>; <..ciò che è prima diviene ciò che è dopo
e tutto si unisce..> (vangelo di G.D.Tommaso l. 77; 4)
< Se la carne si forma dallo Spirito è una meraviglia ma se lo Spirito nasce dalla carne è
la meraviglia delle meraviglie..> (vangelo di G.D.Tommaso l. 29)
Circolarità e trasformazione ben vista e testimoniata in tutto il mondo antico con i primi universali ed ancestrali
simboli di quel Dio Tutto-Armonico Divenire che sono, come già visto, le figure della “croce” e della “svastica” o
anche i tanti simboli a forma “circolare o di ruota” quali il cosiddetto “Sole delle Alpi”.
IL SOLO MALE
Dopo tutte queste considerazioni, si potrà allora dire che:
è solo grazie a questa visione di un Dio Tutto-Jhwh, “Materia e Spirito” assieme,
“Legge-Armonia che ordina”, Legge inafferrabile ed inesprimibile che “lievita” ovvero che “cambia”, Dio
“divenire ed accadere” che è continua “separazione ed unione” e “tensione fra opposti” come insegna Eraclito,
è solo così, che diviene “razionale” la “divinità ed ineluttabilità dei mali” di cui sopra abbiamo detto.
Solo con un Dio Tutto-Jhwh che così muovendo tra l'Oriente del nascere e l'Occidente del morire, con questo suo
respiro che porta tutto comunque a “Vivere” si potranno vedere dei “mali” che sono “parte e funzione” di tutto ciò.
Solo con la visione del Dio Tutto-Armonico Divenire, Materia e Spirito assieme, ci si mostra un Accadere “moto
Vitale” e si comprende che quanto, senza questa visione, può sembrare “male” unicamente è anch'esso divino
portarsi ed Accadere.
Male diviene non già e non tanto la “caduta in sé” dell'uomo all'“io-materialità”, una caduta-prostituzione che Gesù
mostra connaturata all'uomo quando dice che <..da vecchio..> bisogna rinascere (Gv 3.2-5), e in quanto connaturata
è una caduta-prostituzione entro certi limiti necessaria ci dice anche il testo sapienziale sumero del Gilgamesh cui
tanto devono le Scritture.
Male diviene il non uscire da quella condizione di “caduta” che è “fariseismo”, male diviene il non vedere, a fianco
di ciò che di positivo tale connaturale all'uomo caduta ovvero il godere delle meraviglie della vita fisica e sociale, i
disastri cui la esasperazione di quella “caduta-separazione”, che è “menzogna non-Verità”, arriva a portare.
Il “solo male” è il mancato “cambio di mentalità-conversione”, la mancata “visione” da parte dell'uomo della sua
non-esistenza in-sé, “visione e comprensione” che lo apre alla consapevolezza della “sua e non propria” natura
“divina”, alla coscienza di essere “figlio di Dio”: una mancata “visione” che è il “solo male” poiché e l'origine di
tutti i “malanni e disastri” umani, una mancata “visione” che è il restare nel -buio- dell' “io”, ci dice Gesù:
< ..il non illuminarsi è il male ! > (vangelo di G.D.Tommaso l.24)
Solo agli occhi dell' “in-esitente al Tutto ed inesistente in sé” “servo dell'Assoluto”, solo agli occhi di colui che,
senza “io”, vede ogni “propria” azione-decisione trasposta all'Assoluto, un Assoluto che pur com-prendendola come
tale, dell'uomo, la vede e la pone “oltre l'uomo stesso”, solo a questi occhi “ogni” accadere potrà apparire Armonia
ed Assoluto e non più “bene o male”. E male a quel punto sarà unicamente il non portarsi a quella condizioneconversione, sarà quella mancata conversione che porta ad una distruzione, ad un dolore e ad una sofferenza
inaudite per l'uomo.
Ma l'Assoluto-Armonia in quel suo “respiro” che è Vita che vede la centrifuga “caduta-rapimento-prostituzione”
dell'uomo con la dimenticanza della sua dimensione spirituale, vedrà poi, grazie a quei dolori e sofferenze, il suo
riequilibrio con la centripeta “con-versione”.
Conversione che, di nuovo divinamente per la Legge-Jhwh, cambierà : quando quella forza “centrifuga di caduta”
arriverà al suo culmine, alla sua estrema conseguenza, essa stessa, divina, farà “cambiare-convertire” l'umanità.
Di questo dirà Paolo, senza capire ma riportandoci, -piegata- alla sua teologia, la testimonianza che questa visione
era anche in ambito giudaico pienamente vista, in 2Tessalonicesi:
<..Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna ..>(2Ts 2.11)
LA CREAZIONE-MANIFESTAZIONE ETERNA
Con quanto sopra visto sul Dio Padre-Allah-Jhwh che, per come esce dalle Scritture e nella sua figura “di spalle”, è
come detto:
“ Potenza che opera quale -Unità indistinta di diversi Aspetti e Forze- ovvero di Potenze
che sono -maschio e femmina o yang e yin- e -spirito e materia- in una Unità che tocca e comprende l'uomo ”,
si vede un Dio Padre-Allah-Jhwh assolutamente fuori da ogni possibile confusione antropomorfica ed è così che si
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decima parte
possono meglio comprendere le parole di Guénon che sulla “creazione” dicono:
< “manifestazione” e “creazione” sono idee tra le quali non vi è alcuna incompatibilità, esse
non si oppongono ma si riferiscono semplicemente a livelli e punti di vista diversi di una stessa Realtà >
Con questo Dio Padre-Allah-Jhwh infatti da un lato è evidente che nessuna “creazione” può esservi -per come essa
è intesa- da Ebraismo, Cristianesimo ed Islam che sono legati ad un Assoluto che umanamente “pensa”,
umanamente “parla”, umanamente “giudica e punisce” ecc. e che, divinamente ma sempre umanamente al fondo,
“dal nulla crea”, porta all'esistenza.
Ma anche, dall’altro lato e nello stesso tempo, quel termine in questa nuova visione è profondamente corretto: tutto
è “creato e manifestato” al contempo nel senso che tutto in continuazione “si crea e si manifesta” -in, per e grazie- a
quella Unità di Potenze, Spirito e Materia, Maschio e Femmina, Legge, Assoluto, Jhwh, Dio Padre e Allah che è allo
stesso tempo “creatore-creato e generatore-generato” che si “porta all'esistenza” .
Su questo “crearsi-manifestarsi”, su questo “movimento circolare-eterno ritorno”, su questa “scala di Giacobbe” di
cui come visto Gesù ha implicitamente detto con la Sua conferma della Torah ma anche esplicitamente secondo
quanto ci riporta Giuda Didimo Tommaso , un'ultima nota si può arrivare a fare:
l'Assoluto che così si presenta è al fondo Vita di cui è “superfluo” dire: sempre è essa che regola-giustifica e -siregola-giustifica.
ERACLITO L'OSCURO
Eraclito l'Oscuro, filosofo greco vissuto ad Efeso tra il 535 ed il 475 aC, è figura nel cui pensiero troviamo
anticipato molto di quanto dirà il Gesù “diverso” qui messo in evidenza, come pure tanti aspetti del Jhwh “diverso”.
Eraclito dirà nascostamente, come sempre era in antichità, ma, di nuovo come sempre, sarà un parlare nascosto
soprattutto a causa della incapacità di una umanità “dormente o sorda” di capire: <..pur ascoltando, non capiscono e
sono come i sordi..>(fr 34 Diels-Kranz) egli dice con parole in tutto simili a quelle che userà Gesù e dicendo così di
una incapacità di capire che, come visto, Gesù con il suo richiamo alle Scritture dichiarerà “divina”.
Fin qui abbiamo visto in particolare che Eraclito è stato il più grande maestro, ovvero quello che più intensamente e
decisamente ha detto, prima di Gesù, del “Logos-Verbo divino-universale” che l'uomo deve in sé vedere e trovare
ma anche egli ha detto della grande, grave e generalizzata condizione umana di “sonno-sordità-ubriachezza” ovvero
di “morte spirituale, caduta all'io”.
Richiamerò più sotto alcuni passi su questi aspetti mentre ora dirò di quel suo grande insegnamento cui appena
sopra ho accennato: quello di un “Tutto-Divino e Movimento circolare” in tutto simile al “Dio Padre-Allah-Jhwh
diverso” sopra visto e cioè in tutto simile alla già citata :
“ Potenza che opera quale -Unità indistinta di diversi Aspetti e Forze- ovvero di Potenze,
spirituali e materiali, che agiscono come -Legge che regola e condiziona- in una Unità armonico dinamica.
Forze o Potenze complementari che sono -maschio e femmina o yang e yin- e -spirito e materiain una Unità che tocca e comprende l'uomo ”
Con testi e traduzioni di C.Diano e G.Serra, “Eraclito-I frammenti e le testimonianze”, e di H.Diels e W.Kranz , “I
presocratici”, tutto questo era meglio così detto da questo grande filosofo :
< Esiste una sola Sapienza : riconoscere l'intelligenza che governa tutte le cose attraverso tutte le cose >
(fr 41 Diels-Kranz)
< Il più di quello che fanno gli dei (potenze ndr), gli uomini non lo conoscono per la loro incredulità >
(fr. 68 Diano-Serra)
< Questo ordine, che è identico per tutte le cose, non lo fece nessuno degli dei (potenze ndr)
né degli uomini, ma era sempre, è e sarà, fuoco eternamente vivo, che secondo misura (armonica necessità ndr)
si accende e secondo misura > (fr 30 Diels-Kranz)
< La stessa cosa sono sono il vivo e il morto, il desto e il dormente, il giovane e il vecchio :
questi mutano trapassando in quelli e quelli ritornano a questi > (fr. 22 Diano-Serra)
< La via in su e la via in giù sono una sola e medesima via > (fr 60 Diels-Kranz)
< Nel circolo principio e fine fanno Uno > (fr. 30 Diano-Serra)
< Per la divinità tutte le cose sono belle e buone e giuste : gli uomini (sbagliando ndr ) alcune le considerano
giuste, altre ingiuste > (fr. 69 Diano-Serra)
< I dormienti sono operatori e cooperatori degli eventi del mondo > (fr.11 Diano-Serra)
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E, dice questo ultimo passo, di questo “Tutto-Divino e Movimento circolare-Dio Padre-Allah-Jhwh” l'uomo è forza
attiva anche quando “dormiente”, anche quando immerso nel “sonno-dormire” ovvero nella “morte spirituale,
caduta” in cui quasi esclusivamente egli, come Gesù, lo vede e che pur “Divino-Tutto” anche per Eraclito è cieca,
negativa ed auto rafforzantesi “morte”:
< una volta nati vogliono vivere a avere il loro destino di morte,e lasciano figli che diano essere a destini di morte>
(fr.50 Diano-Serra)
< si purificano con altro sangue e insieme si contaminano, come se uno, dopo essersi immerso nel fango,
si lavasse con il fango..> (fr 5 Diels-Kranz)
Anche del “maschio-femmina” o “Yang-Yin” Eraclito dirà parlando di “secco-umido” come già faceva prima di lui
Esiodo, e dicendo di una “morte dell'anima” che è il suo “inumidirsi”.
Ma sul “movimento circolare” o “via in su e via in giù” in tutto uguale alla “scala” che infine l'umanità GiacobbeIsraEl arriverà a vedere, non posso non riportare questo frammento straordinario nella sua lirica sintesi :
< Immortali mortali, mortali immortali:
viventi la morte di quelli, morenti la vita di questi > (fr. 21 Diano-Serra)
Qui, come già detto, egli dice che -nel- “movimento circolare” che per natura è, in sé, “immortalità”, vediamo una
doppia condizione umana :
– la condizione di “immortale mortale” ovvero -di caduta-: è questa la -condizione di chi “vive la morte” della
propria immortalità-, dice Eraclito,
– la condizione di “mortale immortale” ovvero -di resurrezione-: è questa la -condizione di chi “muore” la “vita di
morte-caduta”-, ci dice sempre in quella frase Eraclito.
Certamente conforme come visto alla condizione dell'uomo, si potrebbe forse analizzare poi se quella frase, per
Eraclito, non fosse anche più largamente da vedere ed intendere.
Ancora sul “Dio Padre-Allah-Jhwh Unità indistinta di diversi Aspetti e Forze ovvero di Potenze” leggiamo poi :
< (per Eraclito)...tutto accade secondo il Fato, tutto ciò che esiste è tenuto in armonia dal moto che va da un
contrario all'altro, tutto è pieno di anime e di potenze divine..>(D. Laerzio -Vite dei filosofi IX.7)
< (secondo Eraclito)...il Fato e la Necessità (armonica ndr) sono la medesima cosa > (Aezio, I-27,1; Dox322)
< (Eraclito) ..dice che l'anima è immortale : uscita dal corpo ritorna all'anima del Tutto come a ciò che a lei è
congenere >(Aezio, IV-3,12; Dox389)
Sappiamo che di questo stesso “Tutto-Divino e Movimento circolare-Dio Padre-Jhwh” anche Nietzsche, come lui
stesso dichiara, sarà debitore ad Eraclito :
< L'affermazione del fluire e dell'annientare,...il «sì» detto all'opposizione e alla guerra, il divenire, con il radicale
rifiuto dello stesso concetto di «essere»..., la dottrina dell'«eterno ritorno», cioè del movimento circolare, assoluto e
ripetuto all'infinito di tutte le cose - questa dottrina di Zarathustra potrebbe in fondo essere già stata insegnata
anche da Eraclito >(Nietzsche-Ecce homo, La nascita della tragedia);
< nel considerare il mondo un gioco divino e al di là del bene e del male ho come predecessori la filosofia dei
Vedanta ed Eraclito > (Colli Montinari, Adelphi-Milano 1964 vol VII tomo II, 182 )
Su questo “eterno ritorno” Eracliteo, sul quale non mi sembra siano necessari molti commenti, vorrei unicamente
sottolineare un aspetto che sembra si possa cogliere con riferimento al <..conflitto-contesa..>, importantissimo tema
a quello legato. Su questo egli dice ancora :
< Il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte è re...>(fr. 14)
< Bisogna avere alla mente che il conflitto è comune ad ambo le parti e giustizia è contesa,
e tutto accade seguendo la legge della contesa e della necessità >(fr. 15)
Ciò che come dicevo vorrei sottolineare è il fatto che questo “conflitto-contesa” fra opposti che egli paragona
all'arco, “bios” in greco dove anche “vita” è “bios”, non è e non deve essere confuso con la “ separazione nell'io”,
con la diabolica, etimologicamente, separazione che attanaglia l'uomo, il “sonno, morte” che per Eraclito pur
divinamente operante è tutt'altro che positiva.
Ci dice Eraclito con quelle parole che “divinamente, necessariamente-fatalmente” la tensione-conflitto comune agli
opposti-complementari “maschio-femmina, yang-yin” produce armonico muovere, il “giustificarsi-giungersigiustizia” che crea l'Uno che è stessa natura di tale tensione-contesa :
<...non capiscono che ciò che è differente concorda con sé medesimo : armonia di contrari
come l'armonia dell'arco e della lira >(fr 51 Diels-Kranz)
Ed è un crearsi dell'Uno che, anche per Eraclito, vede poi il ritorno, movimento circolare, al Due, alla -legata come
nell'arco- tensione che vive la materia :
<..da tutte le cose l'Uno e dall'Uno tutte le cose >(fr.10 Diels-Kranz)
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un Uno che quindi, come Jhwh per le Scritture, non può essere “nominato-definito-delimitato” ma anche vuole
essere conosciuto e visto :
< l'Uno, l'unico sapiente, non vuole e vuole essere chiamato Zeus >(fr 32 Diels-Kranz)
Col “conflitto-contesa” -padre e re di tutte le cose- Eraclito ci dice di un principiarsi e svolgersi della Vita e del
tempo di cui anche la Torah ci dice con i suoi iniziali versi di Genesi :
< ..Elohim …. separò la luce dalle tenebre... e fu sera e fu mattino del primo giorno..> (Gn 1.3,4,5)
Quello di Eraclito è un “conflitto-contesa” che nulla ha a che fare con la fisica guerra e conflitto, la sua stessa vita
lo testimonia: lontano da qualsiasi “fisico ed anche verbale contendere” egli si porterà a rinunciare al fratello beni e
poteri per vivere, sembra, una vita eremitica nei boschi. È un conflitto, il suo, altro da ciò che produce la
“separazione-chiusura, nell' “io” e dell' “io”, dal Tutto-Uno”: è solo questo infatti che è origine e principio di
quella “guerra né cuori”, con parole di Dante, che è -negativa- guerra nell'anima che si porta fino ad essere la fisica
guerra-conflitto con l'altro, con il prossimo.
Un altro aspetto ancora di Eraclito, ed altre sue parole, mi confortano poi nella lettura sopra fatta del suo “conflittocontesa” :
< Eraclito...piangeva sul mondo...lamentando l'ignoranza ..degli uomini tutti e commiserando i mortali ..>
(Ippolito, Refut.)
<.. Empedocle ed Eraclito ..piangono spesso ..>(Plutarco, De soll.anim.964e).
E' difficile che un tale atteggiamento possa essere di chi ritiene giusta e assolutamente necessaria la guerra e la
violenza.
Quanto appena riportato poi non può non ricordare il Gesù che, per il frammento PO XIII 420-421,97, così dice:
<..colui le cui intuizioni sono torrenti di lacrime, costui è simile a me >.
Assieme a tutte le altre indubbie similitudini tra Eraclito ed il Gesù “diverso”, anche questa io volentieri guardo.
Ma forse le principali e più grandi similitudini tra i due sono, come già visto, quelle dell' “ universale Logos-VerboFiglio di Dio” che l'uomo deve trovare ed ascoltare da un lato e dall'altro la comune constatazione della condizione
umana di “sonno-dormire-sordità, morte spirituale, caduta” :
< Non me, ma dando ascolto al Logos, è saggio dire con esso che tutte le cose sono Uno >
(fr.6 Diano-Serra)
< ..bisogna seguire ciò che è comune: Il Logos è comune, ma i più vivono come avendo
ciascuno una loro mente (un loro io- ndr) > (fr 7 Diano-Serra)
< Non sono in accordo con il Logos che governa tutte le cose e con cui non hanno costante rapporto,
e ciò che essi incontrano ogni giorno risulta a loro estraneo > (fr.72 Diels-Kranz)
< Per i desti il mondo è Uno e comune, ma quando prendono sonno si volgono ciascuno
al proprio (mondo ed “io” ndr) > (fr 9 Diano-Serra)
E' “morte”, dice Eraclito, il “sonno” in cui l'umanità “dormiente” si trova, una “morte” che riusciamo a vedere solo
quando usciamo da quella condizione, solo quando ci portiamo ad essere “desti”; è “morte” il non ascolto del
“comune-universale-divino” Logos-Verbo che per la tradizione giudaica della Torah e di Gesù è il “Figlio-ElettoSignore ecc”. È “morte” uguale a quella nella quale anche Gesù vede immersa l'umanità : < lascia che i morti
seppelliscano i loro morti >(Mt 8.22) Egli dice.
Unica differenza, ma molto relativa, che si può notare tra gli insegnamenti della tradizione Giudaica per come vista
da Gesù e questa Greca è la mancanza, in tale tradizione Greca che non è solo di Eraclito, della Ruah-Vento-Spirito
Santa che invece troviamo nella tradizione giudaica.
Differenza relativa poiché nella tradizione Giudaica le funzioni del “Figlio” e della “Ruah Santa” sono comunque
vicine e funzionali tutte a quell'“ascolto” del divino, da parte dell'uomo, che è comune alla tradizione Greca del
Logos: la Ruah Santa invita infatti a scoprire in sé un Figlio che solo “ascolta” la voce del Padre-Jhwh.
Gesù inviterà a -cercare in sé stessi- una Verità-Regno che è difficile da vedere e trovare: tutto similmente a quanto
già Eraclito, e non solo, diceva :
< (Eraclito) ..non ebbe maestri: affermò di avere indagato sé stesso
e di avere tratto tutto quello che sapeva da sé stesso..> (D. Laerzio -Vite dei filosofi IX.5)
< la Natura (Essenza delle cose ndr) ama nascondersi >(fr. 28 Diano-Serra)
< L'armonia invisibile è migliore di quella visibile >(fr. 54 Diels-Kranz)
Ed anche, Eraclito, ben più chiaramente della Torah dirà che :
< Una cosa sola sono anche il bene e il male..>(fr.58 Diels-Kranz)
Ancora e sempre una “Verità Una” della quale bene diceva Celso (fine II sec. dC) in quel suo “Discorso Vero” in cui
critica aspramente la Cristianità, quella paolina naturalmente, definita:
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<..dottrina rozza e debole nelle argomentazioni..>(I,27)
e dottrina <..(senza) ragione e razionalità,...che inganna..(chi la segue)..>(I,9).
Celso dice in merito a quella “Verità Una” che egli vede tradita da -tale- Cristianesimo :
< ..c'è un'antica tradizione, risalente all'inizio dei tempi, di cui
si sono sempre interessati i popoli più sapienti e le città e gli uomini sapienti, Egiziani, Assiri, Indiani, Persiani,
Odrisi, Samotraci, Eleusini...i Druidi della Gallia..i Geti,..(è) per avere appreso questa tradizione fra i popoli
sapienti...(che) Mosè godette di fama divina..>
(G.Lanata -Celso, Discorso vero, I,14)
Mosè correttamente ha detto della -Verità una- ma alcuno di coloro che oggi a quei testi fanno riferimento ha
capito !.
Eraclito è certamente, come anche Socrate, Gesù ed infiniti altri, tra coloro che tale Verità e antica tradizione hanno
conosciuto e certamente come questi è tra quelli che, a quella Sapienza-Saggezza, divina, ha saputo portarsi.
ZARATHUSTRA
In tutti questi scritti, in quanto sino ad ora visto e ricordato, si sono messe in evidenza immagini, allegorie e parole
sia del Giudaismo mosaico che, se pur con grande limitatezza, delle contemporanee o anche antecedenti culture
Egizia, Indo-Aria, Sumera e Greca, delle quali tutte si può certo dire confermino le parole appena viste di Celso.
Totalmente trascurate, in questo quadro e assieme certo a molto altro, sono state le parole del mondo antico Iranico:
mondo anch'esso interconnesso a tutti gli altri se pur più particolarmente legato a quello Indo-Ario.
A questo mondo Iranico antico, alla religione Mazda, allo Zarathustra che di essa ci dice, vorrei ora fare un piccolo
accenno al fine da un lato di sopperire a quella mancata citazione di cui ho detto e dall'altro per dare introduzione a
quanto vedremo poi su Nietzsche, un Nietzsche che proprio a Zarathustra ha dato voce nella sua forse più importante
opera. Precisa Arnaldo Alberti nel suo “Zarathustra”:
< La religione Mazda riecheggiava di motivi e miti antichissimi: egizi, assiro-babilonesi, ebraici, mediterranei,
indoeuropei (o meglio Hittiti, Luvi, Mitanni) e persino proto-europei. Essi risalivano a quando gli antenati degli
Irani avevano fatto irruzione nella Storia, invadendo e saccheggiando, tra il 2300 e il 1900 aC, la Grecia, l'Asia
Minore e la città di Troia, la Mesopotamia, l'Egitto e l'Asia Centrale >.
Di questa cultura e mondo ci dicono i testi, “Avesta” e “Gàthà”, che parlano della Verità con le parole di
Zarathustra Spitama, personaggio sul quale poche certezze dal punto di vista storico-fisico si hanno: la sua esistenza,
non certa, quando è accreditata viene posta in un lasso di tempo che passa dal 3500 al 1000 aC.
Nessuna importanza però ha questo aspetto come peraltro quello della esistenza fisica di Abramo o Mosè o
Gilgamesch o infiniti altri: ciò che conta è ciò che, come già detto, si può e deve capire da quei testi miticoallegorico-sapienziali, quanto essi vogliono dire.
Come per altri temi toccati cercherò soprattutto di riportare i testi originali, con pochi approfondimenti che
soprattutto dovranno stimolare indagini che ben altri spazi richiedono.
I passi che riporto sono tratti dal citato ottimo “Zarathustra” di Arnaldo Alberti ed inizierò con quel capitolo XIX o
Fargard, dell'Avesta, che va sotto il nome di “Tentazione di Zarathustra”:
< Dalle regioni tenebrose, dalle regioni senza stelle balzò fuori Angra Mainyu ( Nemico Spirito-Pensiero ndr),
apportatore di morte... in questa guisa proruppe colui il quale è sapiente nel male....(e disse a Zarathustra:)
“ Abiura la -santa legge mazdeana- e acquisterai con ciò la felicità come con ciò l'acquistò Vadhaghna,
signore dei territori..” > (Op.cit.strofe 1,7)
Con Alberti noto anch'io la similitudine con l'episodio della tentazione di Gesù, qui il terreno spirituale di
meditazione in cui è descritta questa lotta dell'uomo è visto quale < bosco di media montagna >: “bosco” in tutto
simile alla “selva oscura” che Dante attraverserà per poter giungere alla “vetta” della montagna in cui anch'egli
saprà “vedere” l' Assoluto. Bosco parallelo al “deserto” biblico e di Gesù, luoghi tutti “difficili da attraversare”,
luoghi tutti di quella “lotta-conversione” che è anche la “Grande Jiadd” islamica.
Zarathustra ad Angra Mainyu risponderà:
< .. il “mortaio”, la “coppa” con la “parola di Mazda”, queste sono delle mie armi le migliori.
Con esse parole io vincerò, con queste parole annienterò..>(Op.cit.strofe 9)
Alberti precisa che: < “mortaio” è dove preparare gli ingredienti per il sacrificio ..e “coppa” è dove si versa la
bevanda da offrire a Dio >.
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In allegoria però questo “mortaio sacrificale” ci può piuttosto dire del “necessario sacrificio” di ciò che sostiene
l'“io-materialità” mentre la “coppa ripiena della parola di Mazda” può ben essere quel “vaso-graal-cuore
nascosto-anima” in cui sono le “Parole-Verbo-Logos” di un Assoluto che sempre parla all'uomo: voce ascoltando la
quale < si annienta> Angra Mainyu, lo Spirito del male, ci viene detto.
Recita poi l' “Inno 51,15, Hormazd Yasht” :
< (i seguaci di Zarathustra)..dimoreranno nella Casa del Canto, dove per primo
siede Mazda Signore...Ma le anime di coloro che hanno offuscato la loro luce interiore,
di coloro che non possiedono più la luce della Verità nelle loro parole, dei seguaci dell'inganno, che si sostentano
di nutrimento immondo, torneranno di certo nella Casa della Falsità..>(op.cit.pp129)
Per l'uomo quindi si prospetta il ritorno all'Assoluto, la Casa di Mazda, o Casa del Canto, “ritorno” riservato a colui
che ha mantenuto accesa in sé la divina “luce interiore”, la Luce-Vita che invece se “offuscata” porterà quell'uomo
alla “oscurità” della Casa della Falsità.
Anche in questi testi ed in questa cultura, poi, troviamo una “distruzione Apocalittica” dell'Umanità, distruzione
dalla quale si salva l'uomo “più saggio” della terra, qui “Yima”, “Re” < maestro eccelso dell'Età dell'oro >, grazie
ancora alle indicazioni avute dall'Assoluto, da Mazda.
La “distruzione” qui avverrà allegoricamente per “glaciazione” anziché con il più noto “diluvio” e
conseguentemente l'invito di Ahura Mazda sarà quello di < costruire > non l' “arca-barca” ma <..un recinto
sotterraneo dentro il quale ricoverare.. uomini. .piante.. animali..>(op.cit.pp89).
Ancora per le parole di Alberti < tutti i libri dell'Avesta parlano del finale trionfo dello Spirito del Bene, Spenta
Mainyu, e della finale distruzione della Spirito del Male, Angra Mainyu.. >:
< Allora realmente sarà distrutta la prosperità dell'inganno (Drug)..> (Gàthà Yasna XXX,10)
Ma la presenza dei Due Spiriti del Bene e del Male, sottolinea Alberti, non ci dice affatto, come spesso sostenuto,
che siamo < in presenza di un sistema dualistico >: con parole di William Jackson:
< (i Due Spiriti) non esistono in maniera interdipendente l'uno dall'altro, ma ciascuno esiste in relazione all'altro;
essi s'incontrano nella loro suprema Unità dialettica in Ahura Mazda stesso. Essi
esistono dapprima dell'inizio del mondo, ma la loro opposizione si esplicita soltanto nel mondo a noi visibile.>
(op.cit.pp159)
La stessa Verità vista, dopo o al più contemporaneamente, con il Jhwh “maschio-femmina, yang-yin e anche, visti in
modo relativo e non assoluto, bene-male . Dice con chiarezza sempre la Gàthà Yasna XXX alla quarta strofa:
< Quando questi due Spiriti vennero insieme all'inizio, Essi crearono Vita e Non Vita E ai seguaci della Falsità
(Drug) sarà data in sorte la peggiore delle Esistenze, E a quelli della Verità (AsHa), la Migliore delle Esistenze..>
(op.cit.pp161)
E similmente anche lo Sraosha Yasht, YasnaLVII dice:
< Noi celebriamo Sraosha, colui che tra le creature di Mazda,
Egli fu il primo ad adorare Ahura, l'Eterno;... Egli fu il primo ad onorare anche i Due,
protettori e creatori, che creano congiuntamente la multiforme creazione che ci circonda >
(op.cit.pp167)
Sraosha, l'Obbedienza alla Volontà divina, è qui mostrato mentre onora i due Spiriti, del Bene e del Male, che sorti
entrambi da Ahura Mazda “congiuntamente”, assieme, operano la creazione, il manifesto.
Nessun “dualismo” quindi troviamo in questi insegnamenti che “monoteisti” possono con ragione essere dichiarati
come anche quelli che, pur non così limpidamente, nascono nelle Scritture Giudaiche correttamente lette.
Lo stesso non si può invece dire per Ebraismo, Cristianesimo ed Islam nei quali, infatti, non si esce mai dalla
“assoluta e non relativa rivalità e dualità” tra Bene-Male e nessun momento di “comune lavoro od opera” viene qui
visto tra le due forze : nessuna visione di complementarietà ed “unica radice” in essi viene vista.
È per questo che, come sottolinea Alberti, nonostante la dichiarata “unicità” di Jhwh, Dio, e Allah, il “dualismo
bene-male” qui è ben presente.
NIETZSCHE E GESÙ
Di molto, se non tutto, quanto fin qui detto e sottolineato ha a mio avviso parlato, se pur con le sue forti e spesso
difficili parole, Nietzsche. Al tentativo di far meglio “vedere” quanto ora affermato mi accingerò con la ristrettezza
cui questo scritto, ad altro dedicato, mi costringono.
Anche questo argomento, come d'altronde tutti quelli qui toccati, richiederebbero molto di più, ma soprattutto
richiedono come già detto “occhi ed orecchie per ascoltare”: quelli stessi che Gesù sempre invitava ad aprire, quelli
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decima parte
che Nietzsche-Zarathustra ben sapeva non avevano, e a lungo non avranno, anche i suoi ascoltatori:
<..eccoli che ridono: non mi capiscono, io non sono bocca che fa per questi orecchi.
Bisogna rompere loro gli orecchi, perché imparino ad ascoltare con gli occhi ? >
(Zarathustra, Prefazione 5)
Nietzsche può venire alla mente, come è stato per me, al primo avvicinarsi a quel “buio e deserto” che ad un certo
punto si vede necessario dover passare sulla strada dell'abbandono-morte dell'“io: un buio e deserto che si arriva a
dubitare non sia che la porta di ingresso ad un “nichilismo” inteso, è importante sottolinearlo, quale oggi è
prevalentemente visto ovvero una:
-“volontaria” condizione dell'uomo di azzeramento di ogni valore, di indifferenza e miscredenza totale,
demotivante e devitalizzante-.
Nietzsche però è molto lontano da tutto ciò, è lontano da quanto spesso genericamente, ma non solo, è di lui visto e
detto, ed il “nichilismo” da lui inteso e messo in luce è lontanissimo, nonostante ne mantenga le caratteristiche, da
quello normalmente inteso e qui sopra delineato.
Il “nichilismo” di cui parlerà Nietzsche infatti è :
- “involontaria” condizione cui l'uomo arriva e cui l'umanità si porterà, inconsapevolmente, a causa
di errati insegnamenti religiosi che pervadono la società interamente, insegnamenti che, contrari al Vero,
accecando l'uomo non potranno che condurlo da un lato all'azzeramento di ogni valore,
ad indifferenza e miscredenza demotivante e de-Vitalizzante, e dall'altro ad un disagio di vivere che sfocerà in una
violenza che sarà rivolta sia silenziosamente contro di se che rabbiosamente contro tutto e tutti- .
È condizione che indubbiamente le più alte sensibilità già da molto tempo hanno compreso o vissuto ma, dirà
Nietzsche, è condizione cui l'umanità intera arriverà, caoticamente e dolorosamente.
Questo Nietzsche, come detto, si è infine mostrato “vicino” al Gesù “diverso” qui visto. Questo controverso poeta, e
vero filosofo in senso socratico, è stato interpretato in molti modi e sarà perdonata quindi questa mia ulteriore poco
influente voce : voce che ho deciso infine di lasciare per sottolineare quella sua vicinanza al Gesù “diverso” nonché
poi quale personale attestazione di stima ad una figura cui ho visto rivolgere troppe accuse a mio avviso sbagliate,
cieche e sorde.
LE SBAGLIATE ACCUSE
È sbagliato, e spero sia fatto in buona fede, affermare che Nietzsche si è < gloriato della “Uccisione di Dio”>
(G.Reale-Saggezza antica) o dire che ciò che Nietzsche -propone- nelle sue opere sia il “nichilismo”, come afferma
G.Reale nell'opera citata riportando un Heiddegger che forse però intendeva altro:
< (Nietzsche)..considera la stessa “volontà di potenza” come nichilismo. Senza dubbio >
E' sbagliato, non sapendo vedere altra risposta alla possibile ed opportuna domanda sulla <..provenienza di questo
ospite estremamente inquietante che è il nichilismo..>(G.Reale, Saggezza antica), addossare la colpa di questa
tragedia umana ad un Nietzsche che solo “la denuncia, ne fa prendere coscienza e ne indica l'origine”.
Ha chiaramente detto e scritto Nietzsche :
< Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli.
Descrivo ciò che verrà, ciò che non potrà più venire diversamente: l'avvento del nichilismo.
Questa storia può essere raccontata oggi, poiché qui è all'opera la necessità stessa >
< Nichilista e cristiano: sono cose che collimano, e non solo...> (L'Anticristo LVIII)
Il fatto che Nietzsche veda il nichilismo “ineluttabile e necessario” come ed allo stesso modo in cui la Legge, i
Profeti, Gesù e tanta letteratura antica vedevano “ineluttabili e necessari” gli scenari apocalittici che ci hanno
invitato a “capire”, non può significare che egli ne sia responsabile o che egli lo -proponga- come G. Reale, e non
solo, sostiene. L'ammonimento di Nietzsche, a chi “ciecamente” cercherà di giudicarlo nella certo non facile, in tale
cecità, comprensione delle sue parole, è stato forte:
< chiamarci atei o miscredenti o anche immoralisti...: noi siamo tutte e tre le cose in uno stato troppo avanzato
perché..voi possiate comprendere.. >(LGScienza V,346)
I GIUSTI MERITI
a)-- Nietzsche vedrà e sentirà che il Cristianesimo di Paolo sarà largamente, se pur non unicamente e comunque
assieme all'Ebraismo Farisaico in primo luogo ma anche all'Islam, responsabile del disastro nichilistico cui l'umanità
è avviata. Vedrà e sentirà che il Cristianesimo di Paolo è il contrario del messaggio “Cristico” di Gesù ovvero che
esso è “l'Anticristo” : questo, e non altro, dicono il titolo e il contenuto della sua opera più nota.
b)-Nietzsche vivrà personalmente, ci dice, un duro e “malato” soffrire da cui uscirà seguendo le tracce
dell'“uomo” del suo maestro Schopenhauer ovvero con quel <..completo rovesciamento e .. completa conversione
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decima parte
del suo essere..> (Schopenhauer come educatore, 4) che non è altro che il “cambiamento di mentalità-conversioneannullamento dell'io” cui ha invitato Gesù come pure tanti antichi profeti, saggi e filosofi.
É' quel cambiamento che, descritto nel tempo con mille allegorie, anche per Nietzsche come fu per Gesù e per la
saggezza Indo-Aria, è il riportarsi ad essere “fanciulli” e “senza vergogna” per la -propria- “nudità”, è il -recedereda una -caduta all' “io”- che è il <..mutare sé stessi in ciò che non si era..>(Enoch Et. XCIX.2), il rivedere la propria
essenza; dirà Nietzsche parlando di questo suo “cambiamento-conversione” :
< ..mi disse senza voce :
“Che importa di te! Tu non sei ancora per me abbastanza umile... tu devi ancora diventare fanciullo
e senza vergogna”..> (Zarathustra, L'ora più silenziosa)
<.. io vi consiglio l'innocenza dei sensi.. >
c)-- Nietzsche, dopo quel buio e quella sofferenza, vedrà ma soprattutto saprà straordinariamente “sentire”, grazie
ad una incredibile sensibilità, i tratti essenziali del Gesù “diverso” sin qui messo in luce :
< ( Gesù) ha chiuso i conti con l'intera dottrina ebraica ( farisaica ndr)...
egli sa che soltanto con la “pratica” della vita ci si può sentire “divini”..”figli di Dio” in qualsiasi momento..
(tale) “pratica” evangelica porta a Dio, essa appunto è Dio..>
< è..manifesto a che cosa (Gesù) si riferisce con la designazione di “padre” e “figlio” ..
con “figlio” è espresso l'immergersi nel sentimento di una trasfigurazione totale di ogni cosa
(la beatitudine), con la parola “padre” questo sentimento stesso, il senso dell'eternità e della perfezione..(e) il
“regno dei cieli” è una condizione del cuore – non qualcosa che giunge oltre la terra o dopo la morte –
è l'esperienza di un cuore..>
< Non si deve considerare la venuta del Regno di Dio in modo cronologico-storico.. si tratta invece di un
cambiamento nel modo di sentire dell'individuo, qualcosa che viene in ogni tempo e che in ogni tempo c'è ancora >
< In tutta la psicologia del Vangelo manca la nozione di colpa e di castigo; come pure quella di ricompensa. Il
“peccato”, qualsiasi distanza tra Dio e l'uomo è eliminato -precisamente questa è la buona novella- >
(L'Anticristo, 33, 34)
< (Nel Vangelo) la beatitudine non è una promessa...essa è la sola realtà...
soltanto condurre una ( tale) vita porta a Dio, non la penitenza, né la preghiera..>
d)-- Nietzsche -rimpiangerà-, rammaricandosi, con <..vergogna..> e patente dolore, la “morte” del vangeloannuncio di Gesù :
<... Il Vangelo morì sulla croce e ciò che a cominciare da quel momento è chiamato Vangelo,
è l'antitesi di quel che Gesù aveva vissuto... Si fece di Gesù un fariseo ...Provo vergogna..>
(L'Anticristo, 33, 34 )
Artefice primo di < tutta questa triste fatalità >(L'Anticristo, 44), artefice principale di gran parte di questo “AntiCristico” accadere e divenire Ebraico-Farisaico prima, come pure Greco-Platonico egli dirà, e poi Cristiano ed
Islamico, Nietzsche seppe vedere che fu Paolo : < questo spaventoso truffatore..>(L'Anticristo, 45) egli di lui dirà,
così chiarendo :
< Alla “buona novella” seguì immediatamente la peggiore di tutte: quella di Paolo.
In Paolo si incarna il tipo opposto al messaggero della buona novella, il genio dell'odio, nella visione dell'odio,
nell'inesorabile logica dell'odio..>(L'Anticristo, 42)
< In una formula: “deus, qualem Paulus creavit, dei negatio” > (L'Anticristo, 47)
Giustamente Marco Vannini ci sottolinea che “L'antiCristo” di Nietzsche avrebbe ben potuto più correttamente
titolarsi “L'antiPaolo” anche se però vuole pure detto che l'opera intera di quel “socratico autentico-filosofo” può
essere vista e dichiarata come opera contro un ben più largo e profondo e freddo vento che ha investito l'umanità
intera, vento di cui Paolo e la sua Cristianità sono preponderante, ma non sola, parte.
e)-- Nietzsche “sarà” prima, e “si sentirà” poi, molto vicino a Gesù, al Gesù “diverso” sin qui visto e pur con parole
diverse dirà delle stesse Verità : similmente a Gesù che “non giudica” ed invita a “non giudicare”, Nietzsche si
porterà ed inviterà ad andare <..al di là del bene e del male...>, solo così si può “non giudicare”.
f)-- Come il Gesù < mangione e beone >(Mt 11.19), quello che dice < Guai alla carne che è schiava
dell’anima...>(vangelo di G.D.Tommaso 112) e che condanna il -fisico- “personale sacrificio-privazionemartirio”(Mt 9.13), Nietzsche inviterà ad una “consapevolezza” che da un lato fa vivere la vita fisica -con forza e
pienezza-, con “potenza” dirà, e dall'altro fa capire che la morte fisica è semplice passaggio : egli rimpiangerà che la
morte non sia ancora :
< ..la festa più bella... la morte che compie > (Zarathustra, Della libera morte),
e questo similmente a Gesù che con lo stesso spirito diceva <..siate transuenti..>(vangelo di G.D.Tommaso 42) e
sprezzantemente allontanava da sé chi si preoccupava della “materiale” morte : < via da me satana, tu ragioni come
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decima parte
gli uomini >(Mt. 16.23) dirà a Pietro.
Nietzsche, seppur con accenti molto diversi rispetto a Gesù giacché molto diverse erano le condizioni della società
che aveva di fronte, inviterà ad un Regno in terra ed in vita : <.. regno dei cieli è condizione del cuore, non qualcosa
che giunge oltre la terra o dopo la morte..> dirà, come il Gesù “diverso” qui visto che quel Regno lo indica:
< in mezzo a voi >(Lc 17.21) , < (non)..qui, o..là..>(Lc 17.21)
< dentro e fuori di voi .. (non)..nei cieli..(o) nel mare >(vangelo di G.D.Tommaso 3).
g)-- Nietzsche dirà anche con chiarezza della “ipocrisia”, la stessa che Gesù condannava ai Farisei : egli infatti di
coloro che -unicamente- vedono e predicano l' “aldilà” dirà :
< In verità non a mondi dietro il mondo e gocce di sangue redentrici :
bensì al corpo credono anch'essi più di tutto, e il “loro” corpo è per essi la cosa “in sé ” >
L'ipocrisia è quella, dice Nietzsche, che “al fondo” vede “credere”, nonostante le parole pronunciate, in un “Io” che
è “io-materialità” e che vuole il “proprio” corpo destinato alla “eternità”.
Nietzsche giustamente vedrà assimilati a questi “predicatori di morte” coloro che vedono, e predicano, un falso
“amore del prossimo”: l'amore del prossimo che solo promuove, esalta ed è mosso dall' Io :
< Quando volete parlare bene di voi stessi
vi procurate un testimone e quando lo avete indotto a pensare bene di voi, pensate voi stessi bene di voi ...>
< Io non vi insegno il prossimo ma l'amico. Sia l'amico per voi
una festa della terra e un presentimento dell'Oltre Uomo.. > (Zarathustra, Dell'amore del prossimo)
< La guerra e il coraggio hanno fatto cose più grandi dell'amore del prossimo...
A un buon guerriero il “ Tu devi ” suona più gradevole dell' “Io voglio” .
E tutto ciò che vi è caro dovete farvelo comandare.. > (Zarathustra, Della guerra e dei guerrieri)
h)-- Nietzsche di Gesù saprà vedere le allegorie, il Suo < grande simbolismo >(L'Anticristo, 34) e di quei simboliallegorie, il Padre, il Regno, il Figlio ecc., saprà indubbiamente cogliere con precisione, condividendoli, molti
aspetti.
Certamente a lui mancherà una più completa visione di quel Gesù “diverso”: egli non saprà cogliere a pieno il
legame tra le parole Gesù e una Torah lontanissima dalla lettura “Ebraico-Farisaica” e poi Cristiano-paolina.
Nietzsche, abbiamo visto, saprà sì sentire e dire che è Paolo, e non Gesù, il fondatore del Cristianesimo ma, per
quanto sopra detto, la sua critica alla Cristianità non potrà godere di una precisa, dettagliata e puntuale, contestazione
-legata- a quelle Scritture, Torah e Profeti, che sono la fonte di parole ed insegnamenti di Gesù, e così, -non soloperché mancavano <..orecchi..> capaci di ascoltare, la sua grande critica alla paolina Cristianità resterà inefficace.
Ma resta il fatto che “buona novella” egli vedrà il messaggio di Gesù e la sua affermazione che Gesù <..è morto
troppo presto..> non può essere quindi che il rammarico per il mancato compimento, oltre che per la mancata
comprensione e lo stravolgimento, del Suo insegnamento.
i)-- Nietzsche sarà vicino a Gesù anche per un altro insegnamento, quello che vede l'uno predicare “il prossimo” e
l'altro invitare “all'amico”.
Il “prossimo” di Gesù infatti non è quello odierno Cristiano-Paolino : Gesù, abbiamo già detto, pur nel Suo “ grande
amore per il prossimo-te stesso”, restò “lontano dai pietismi cristiano-paolini” .
Quello di Gesù è un “prossimo” che, pur “amato” come “amato” è l' “amico” di Nietzsche, quando è visto restare
nell' “errore-caduta”, peraltro ineludibile, da Gesù non è certo fatto oggetto di laceranti pietismi, come testimoniano
queste Sue parole :
< lascia che i morti seppelliscano i loro morti >(Mt 8.22), < via da me Satana...>(Mt 16.23),
< non gettate le vostre perle ai porci >(Mt 7.6) < Andate...ed imparate..>(Mt 9.13)
< Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini >(Mt 15.26) e, spesso,
<..chi ha orecchie per intendere intenda..>.
Gesù, si può ben dire per quelle parole, era “oltre lo sgomento e la compassione” come era Nietzsche quando diceva
<..muoiano presto..> rivolto agli ipocriti insegnanti e propugnatori del -mondo oltre il mondo- , ed era quindi nella
stessa condizione cui invita a portarsi anche Nietzsche:
<.. oltre lo sgomento e la compassione, per essere noi stessi l'eterno piacere del divenire..>
(Crepuscolo degli idoli-1888-Quel che debbo agli antichi)
Sgomento e compassione non ci sono infatti nella < pace > che Gesù cerca di lasciarci e cui Egli è pervenuto, essa è
“pace” piena unicamente della “saggezza” di colui che “vede” e che così “capendo” non può che “amare”.
l)-- Ma ben più significative similitudini tra Nietzsche e Gesù sono da un lato quella che nasce tra l'“Oltre-uomo”
cui Nietzsche invita ed il “glorioso Figlio di Dio” cui invitava Gesù e dall'altro quella che troviamo tra l'“eterno
ritorno” di Nietzsche e di Eraclito ed il Dio Padre-Jhwh “diverso” insegnato da Gesù.
352
decima parte
Dopo questa prima disamina che ha ripreso in parte quanto già visto in precedenza, prima di continuare, e quale
premessa all'approfondimento di questi ed altri temi, ricordo quanto in fine è maturato in questi scritti e riflessioni
centrate, ricordo, sul “filo a piombo” delle parole di Gesù : si è visto che :
- nel e del Tutto-Armonico Jhwh, l'indicibile ed inconnotabile Dio Unico che è Forze, Potenze o Dei maschio-femmina o yangyin che all'unisono, in Uno, muovono ed operano, Assoluto,
- è -,
“in-esistente” ad esso ed “inesistente-in sé”, l'uomo. Questo uomo così delineato, Materia e Spirito assieme, è
pertanto “in” una “Potenza-Assoluto” che è anche“sua”, ma non “propria”.
Ma a questa consapevolezza, “gloria”, l'uomo arriverà solo dopo essere passato da quella dolorosa “condizione e
situazione” che tutte le rivelazioni-apocalissi del mondo antico, e le parole di Gesù, ci hanno preannunciato.
Una dolorosa “condizione e situazione” che, vedremo, -è- il “nichilismo” di Nietzsche, un Nietzsche che
esattamente tutto questo dirà ed affermerà, come il Gesù “diverso” qui visto, ma lo dirà con prosa e poesia forti e
violente che solo cercavano di scuotere, che solo volevano <..rompere gli orecchi..> che non vedevano.
IL DESERTO-NICHILISMO E LA METAMORFOSI-CONVERSIONE
Le forti parole di Nietzsche nascevano dalla indicibile sofferenza di un cammino personale che, come detto, egli
compie prima di vedere l'Anti Cristo-Logos insito alle religioni cosiddette monoteiste e prima di “sentire” il Gesù
“diverso” così come, abbiamo visto, egli infine lo dichiarerà.
Ancora in modo incerto infatti in “Al di là del bene e del male” (269) egli diceva : < è possibile che sotto la favola
sacra e il travestimento della vita di Gesù si nasconda ...la storia di un povero essere insaziato e insaziabile
nell'amore..>.
Ma quel duro e difficile cammino che Nietzsche saprà compiere anche senza l'aiuto del Gesù “diverso” poi “sentito”,
è cammino che vedrà anche lui, similmente a Gesù, passare da un duro “ deserto”: il “nichilismo” nella accezione da
lui intesa ed in cui lo aveva spinto la – pervasiva - ipocrita cristianità dell'ambiente famigliare in cui cresce.
Il padre “pastore” protestante, e la madre figlia anch'essa di un pastore protestante, quel “deserto” avevano infatti
consegnato alla sua sensibilissima natura :
< ...questo pezzo di deserto, questo sentirsi esausti, increduli, raggelati nel bel mezzo della giovinezza,
questa vecchiaia incastrata in un posto che non le spetta, questa tirannide del dolore...
oh chi potrebbe sentire tutto questo come l'ho sentito io? >(LGScienza II ed, pref)
A causa di questa condizione di disagio e sofferenza personale e grazie ad una razionale quanto profetica visione,
egli arriverà a vedere che quella stessa condizione, il “nichilismo”, era la disastrosa sorte cui si stava avvicinando ed
in cui andava sprofondando l'umanità: visione e condizione che ai suoi tempi lui solo, e drammaticamente, vedeva e
sentiva.
È una grande sensibilità quella che ha portato Nietzsche alla visione ed alla “con-prensione” dell'apocalittico
contesto che l'umanità stava cominciando a vivere e cui andava sempre più incontro: il “nichilismo” ovvero quello
stesso “apocalittico terribile accadere” che Gesù invitava a “comprendere” leggendo Isaia, Daniele e le Scritture
tutte, quello raccontato nelle Apocalissi del mondo antico tutto ed a cui l'umanità si era lentamente portata aiutata da
errati e stolti insegnamenti religiosi, quelli che insegnavano – un Dio sacro- incorretto e sbagliato : Dio “creatore” di
cui egli dichiarerà la “morte” per mano, pur inconsapevolmente, della stessa umanità :
<..questa è la mia impresa:...
aver posto il problema dell'indicibile miseria, del peggioramento che gli uomini hanno subito...
perché al di sopra degli uomini si è pensato un Dio sacro e con ciò su ogni azione si è impresso il marchio della
malvagità, che l'uomo, quanto più egli era di sentimenti nobili e fini, tanto più ha sentito..>
<... lo chiamo cattivo e nemico dell'uomo..
questo teorizzare dell'Uno.. dell'Immoto, dell'Imperituro!...l'Imperituro è solo un simbolo !..>
<.. (i predicatori del mondo dietro il mondo).. al corpo credono...più di tutto,
e il loro corpo è per essi la “cosa in sé”.. >
< ..Il risvegliato, il sapiente dice:...anima è solo una parola per qualcosa del corpo.. >
Le < teorie dei predicatori del mondo dietro il mondo >, gli errori di insegnamento religioso, per Nietzsche sono ciò
che porta alla degradazione ed allo svilimento della materia, del corpo, ad esclusivo unico errato vantaggio di una spiritualità- che mai può essere slegata dalla materia, a vantaggio di una estraniante visione che egli chiamò
<...mondo dietro il mondo..> : errori che portano ad una visione parziale ed errata della Verità, errori che egli vedrà
iniziati già con con Platone e ingigantiti poi da Ebraismo e Cristianità in particolare ma anche dall'Islam.
Questa pur corretta lettura sarà però anche il solo vero grande limite di Nietzsche: nel suo concitato e veemente
sforzo per il recupero da parte dell'uomo della “sacralità e deità” della materia, del corpo, della vita materiale, egli
353
decima parte
finirà per lasciare “troppo” in secondo piano un'anima che egli “comunque vede nell'uomo viva e determinante”.
Questo -eccesso- è forse il solo “errore” che a Nietzsche si può addebitare : lo “spirituale” aspetto del suo pensiero
ed insegnamento finirà coperto e nascosto da quel suo veemente sforzo di recupero del “materiale” di cui ho detto.
E il “totalizzante” impegno da lui profuso in quel “recupero” della “sacralità della vita materiale” farà lasciare a
Nietzsche in secondo piano anche il grave errore degli ammaestramenti delle religioni su di un “io-creato” che “é” al
fondo “io-materialità”.
Su questo ultimo punto, sull' “io”, le sue scarse e deboli parole sommate a quel suo centrale impegno di cui ho detto,
faranno cadere in errore: faranno erroneamente vedere in Nietzsche un “fautore dell'”io”.
Nietzsche invece si vedrà < come tutti ..affine e legato..> ai < non-più-animali, i filosofi, artisti e santi.. nei quali
l'io è interamente fuso e la sua vita.. non è più, o quasi, sentita individualmente..>(Scopenhauer come educatore,5).
Si vedrà, Nietzsche, <..affine e legato..> ad un “santo” <..nel quale ha luogo quel miracolo della metamorfosi (la
conversione ndr)..>, il “santo-artista-filosofo” che la <..cultura deve avere il compito di promuovere..> e del quale
<..la natura ha bisogno..> (Schopenhauer come educatore, 5): un “santo” di cui ha bisogno una Natura che è il
divino in cui è la “natura-materia divina” che Nietzsche invita a vedere.
Ma a quel punto, quando la <..vita.. non è più, o quasi, sentita individualmente..>, Nietzsche dice che <..rimane
ancora la cosa più difficile...>, rimane il rischio, da lui constatato e colto in quanto scriveva il suo maestro
Schopenhauer, che quel passaggio fermasse l'uomo alla condizione di <..pessimismo..> e di <..vita sofferente..>.
Questo rischio indurrà e porterà Nietzsche ad invitare, esclusivamente e con veemenza, ad una “forza, potenza e
volontà” che sarà fraintesa ma che, bene e liberamente guardando, non è altro che ciò che si “scopre” ed “a cui ci si
porta” -necessariamente- con il passaggio al “deserto-selva”, con quella con-versione, riflessione, cambio di
mentalità che assieme alla “uccisione dell' “io-materialità” mostra all'uomo un Assoluto-Potenza in cui, inesistenti
in sé, infine ci si vede e ri-trova.
L'< uomo eroico >, “forte, potente e pieno di volontà” che Nietzsche -invita ad essere-, resta un uomo <..la cui
forza sta nel suo dimenticare se stesso >, quale “io”, e che conseguentemente arriva a < disprezzare ..le sue virtù e
i suoi vizi..>(Schopenhauer come educatore, 4) : questo non si è a sufficienza capito di Nietzsche !.
E questo uomo, egli dirà, è anche pieno di un < amore che è impossibile insegnare > giacché <..nell'amore
soltanto.. l'anima giunge non solo a vedersi chiaramente, analiticamente e con disprezzo, ma giunge anche a quella
brama di vedere al di là di sé e di cercare con tutte le forze un altro sé stesso superiore, ancora nascosto..>
(Schopenhauer come educatore, 6).
E', questo, un uomo che arriverà ad < agire ...come “vuole il cuore” e comunque “ al di là del bene e del male” - e
in questo possono entrarci anche la pietà e cose simili.. >(Al di là del bene e del male, 260).
Ma questo non è che l'uomo cui invitava Gesù, quello che deve “conoscere il Padre e il Figlio-Logos e quel -coluida disprezzare che è la propria condizione di caduta..”. Non è che l'uomo cui invita il Gesù “diverso” che, sulla
base del “filo a piombo” delle Sue parole, in questi scritti si è mostrato.
Discutibile è poi certo la analisi politica cui Nietzsche si porterà: una analisi che vorrebbe vedere “nobile” e,
sottesamente, composta di “filosofi-santi”, una “aristocrazia di potere” che certo tale non può automaticamente
essere; analisi discutibile e legata certo al suo tempo ma anche problema, quello del “Cesare” ideale guida sociale e
civile, a cui l'uomo forse ancora deve dare una “sicura” risposta.
La sordità in cui Nietzsche vedeva cadere le sue parole, lo hanno poi indotto e portato, dolorante, ad una prosa
urlata, dura e forte, alle parole più sferzanti e scuotenti, ma con scarso risultato ancora:
“sono venuto troppo presto” dirà il suo “Uomo folle”.
Ma lontano da ogni sordità e da ogni fraintendimento ciò che infine Nietzsche ha gridato è che :
il “buio nichilista” in cui l'umanità stava cadendo
era frutto e conseguenza degli insegnamenti di un “Dio frainteso ed errato” :
egli dirà che il “buio” che consegue a quell'errore, il terribile buio del “nichilismo” è al contempo “conseguenza”
ed “uccisione di quel Dio errato”.
Ma anche, dirà Nietzsche, questo buio sarà ciò che poi “riporterà” l'umanità alla visione di
quel Vero-Assoluto da troppo tempo dimenticato e cioè :
il “Divino” pre-Socratico, quello anche di Zarathustra, che vede l'uomo in-esistente ad Esso.
IL DIO MORTO E L'OLTRE-UOMO
Con il suo grido “Dio è morto” Nietzsche parlerà di questo importante < ..avvenimento recente..> che nessuno però
riusciva ancora a vedere:
<... la fede nel Dio Cristiano è divenuta inaccettabile ...> (LGScienza 343)
< Dio...( il Dio della paolina Cristianità -ndr).. l'abbiamo ucciso, voi ed io!
Chi ci dette la spugna per strofinare via l'intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla
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decima parte
catena del suo sole ? Dov'è che ci muoviamo noi ora...? Non è il nostro un eterno precipitare...? Non stiamo forse
vagando come attraverso un infinito nulla...? Non si è fatto più freddo?
Non seguita a venire notte, sempre più notte...? Dio è morto!..E noi lo abbiamo ucciso!...
Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini ? Quanto di più sacro e di più possente il mondo
possedeva... si è dissanguato sotto i nostri coltelli...
Questo enorme evento è ancora per strada.. non è ancora arrivato agli orecchi degli uomini ..
Non è troppo grande, per noi la grandezza di questa azione?
Non dobbiamo anche noi diventare dei, per apparire almeno degni di essa?
Non ci fu mai azione più grande- e tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, a
una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi..>
(LGScienza 125)
Nietzsche qui afferma che “l'umanità intera” a seguito della inevitabile <..intervenuta inaccettabilità..> dell' “errato”
Dio Cristiano ha <..ucciso (quel falso) Dio..>, quel falso <..orizzonte..(e) ..sole (che) legava con catene la terra..>.
E' un evento <..ancora per strada..e non ancora arrivato agli orecchi degli uomini .>, un evento inevitabile che
però non capito lascia l'umanità senza il vero Assoluto, la lascia in un <..infinito nulla..>, in un <..freddo..> in cui
<..seguita a venire notte, sempre più notte..>, nel “nichilismo”.
Ma proprio per tutto questo, proprio grazie anche al -buio nichilista-, l'umanità si porterà ad <..una storia più
alta..>: saprà vedersi divina !.
Quella “uccisione”, divino accadere però, per il fatto che esso non è visto e capito, ancora oggi e non solo ai tempi di
Nietzsche, lascia l'uomo nella sua peggiore, ultima e pericolosa condizione: all'“ultimo uomo”:
< parlerò...di quanto v'è di più spregevole: e questo è l'ultimo uomo.
...E' tempo che l'uomo si ponga un fine. È tempo che l'uomo pianti il germe della sua massima speranza.
Il suo terreno è ancora abbastanza ricco. Ma questo terreno un giorno sarà povero e isterilito e su di esso non potrà
più crescere un albero alto. Ahimè! Si avvicina il tempo in cui l'uomo non scaglia più la freccia del suo desiderio
al di là dell'uomo, e la corda del suo arco ha disimparato a sibilare.
Io vi dico: si deve avere ancora del caos dentro di sé per poter generare una stella che danza.
Io vi dico: avete ancora del caos in voi. Ahimè! Si avvicina il tempo in cui l'uomo non genererà più stelle.
Ahimè! Si avvicina il tempo dell'uomo più disprezzabile, quello che non sa più disprezzarsi.
Ecco, io vi mostro l'ultimo uomo. (Zarathustra, Prefazione 5)
Quella inconsapevole “uccisione”, quella azione grande al punto da -dovere- fare riflettere l'uomo che l'ha compiuta
sulla “propria grandezza”, è una azione grazie alla quale l'umanità, passando da quel “buio” e da quella “notte
terribile” in cui cade, si renderà migliore e quell' “ultimo uomo” senza più forza, senza “desiderio e fine”, dovrà
lasciare il posto all' “oltre uomo”.
É “per questo” che Nietzsche dichiarerà al fondo positivo o, meglio, dirà “necessario” il buio e freddo “nichilismo”.
Questa “relativa” positività, visto il rammarico comunque espresso da Nietzsche per < il buio, il freddo e la notte >
che il nichilismo porta con sé, nasce dalla sua consapevolezza che esso sfocerà, finalmente e divinamente, nella
riscoperta della Deità Vera, quella “pinta della effige” di un uomo “fisico e spirituale” assieme, e porterà quindi a
quella “Età dell'Oro” della Grecia pre-platonica che Nietzsche tanto rimpiange.
Questo momento e avvenimento Nietzsche lo descriverà con quell' < enigma > che egli lascerà agli < uomini
ardimentosi.. cercatori e sperimentatori, ..a chi si sia mai avventurato con vele astute su mari inesplorati,..coloro
che amano gli enigmi >, a coloro che avranno trovato il coraggio ed il bisogno di Ulisse, si può dire. Questa è la
quella sua descrizione ed enigma :
< Vidi un giovane pastore che si contorceva convulsamente, come se stesse per soffocare,
con la faccia stravolta, mentre dalla bocca gli pendeva un greve serpente nero.
Avevo mai visto tanto schifo e pallido orrore dipinto su un volto?
Si era forse addormentato e il serpente gli era penetrato nella gola, attaccandovisi coi denti?
La mia mano afferrò il serpente e tirò, tirò: invano! Non riuscii a strapparlo dalla gola.
Allora eruppe da me un grido:” Mordilo, mordilo! Staccagli la testa, mordilo!” così gridava in me il mio orrore,
il mio odio, il mio schifo, la mia pietà; tutto il mio bene e male gridò in me con un grido solo....
Ma il pastore diede un morso, come il mio grido gli ingiungeva di fare;
e diede un buon morso! Sputò lontano la testa staccata del serpente: e balzò in piedi.
Non più pastore, non più uomo – un essere trasformato circonfuso di luce, che “rideva” >
(Zarathustra, Della visione dell'enigma-2)
Di questa bellissima e lirica immagine Nietzsche dice che essa è < in simbolo >, in allegoria, una <.visione e
previsione.> ed egli chiede di capire < chi è colui che un giorno dovrà venire >.
Egli dice qui della visione, del travaglio e dell'orrore che vivrà un “pastore” che è figura forse anche dei “pastori
d'uomini” ma soprattutto, seguendo Esiodo ma non solo lui, che dichiara <..pastori che dimorano nei campi, esseri
immondi, solo ventre..>(Teogonia 26) l'umanità che non sa ascoltare il Vero dalle Muse, è descrizione della umanità
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decima parte
immatura e primordiale anche a causa di errati insegnamenti: sono gli uomini tutti <..addormentatisi..> in quel
“sonno” tanto citato nel mondo antico, che così hanno permesso al <..serpente nero..> dell'errore di
<..penetrare..> in essi.
Nietzsche ci dice con quell'enigma che egli ha cercato di togliere questo “errore”, egli <..afferrò il serpente e tirò:
invano..> e alla fine “urlò” con un <..grido..> profondo ed altissimo, divino, <..di odio, schifo, pietà, bene e
male..> assieme. In questa <..previsione..> Nietzsche ci dice poi che quella “umanità” si libererà : in quel tempo
essa, si trasformerà, vi sarà un uomo nuovo <..non più uomo-un essere trasformato..> ci dice. Sarà il tempo della
“luminosa gloria”: quel primordiale uomo-pastore non sarà più tale, non sarà più uomo ma sarà <.. circonfuso di
luce..>, glorioso, e <..ridente..>, felice, in pace.
Tutto analogamente a quanto ci ha detto Gesù, e prima di Lui con altre parole tutto il mondo antico, con la “glorialuminosità” cui deve pervenire ed arrivare il figlio dell'Adam, l'uomo, dopo la sua “caduta”.
Al suo culmine, dice Nietzsche, il nichilismo permetterà il recupero di un Dio “Uno,Tutto, Materia-Spirito” che -in
esso- vedrà l'uomo, partecipe della creazione : un uomo <..creatore..>, saranno le sue parole, un “Oltre-uomo” si
vedrà assieme ad un “Divino” lontano dall'errato “Dio sacro” :
< Quel che ci divide non sta nel fatto che non ritroviamo Dio neppure nella storia,
né nella natura e neppure dietro la natura – bensì nella circostanza che noi sentiamo quel che viene venerato come
Dio, non come “Divino”, ma come miserabile, assurdo, dannoso,
non soltanto come errore, ma come delitto contro la vita.. > (L'Anticristo, 47)
Ma il Divino che infine l'Oltre-uomo” recupererà sarà, da Nietzsche forse non visto, il Jhwh-Padre che Gesù ha
cercato di mostrare : l'uomo che ri-vede in sé il Signore-Figlio, uomo rinato che si porta alla “destra” del Padre, è potenza creatrice” di Jhwh : è uomo < creatore > come quello cui invita Nietzsche !.
E Nietzsche forse anche non saprà vedere che la “positività-necessità” che egli al fondo accredita al nichilismo altri
non è che la “necessità” proclamata da Gesù con riferimento ai “disastri” cui il mondo doveva andare incontro :
<..è necessario che tutto ciò avvenga..> ha detto Gesù parlando di “guerre che sono solo l'inizio”.
Nel suo lavoro Nietzsche criticherà in particolare, per i loro errati insegnamenti e la loro falsa morale, Ebraismo e
Cristianità che egli ben conosce; criticherà anche gli insegnamenti Orientali condizionato però, in questo, dalle
parole di pessimismo di Shopenhauer. Ma, saggiamente, egli riuscirà a vedere e sottolineare che questo pessimismo
nasceva dal fatto che Shopenhauer è rimasto “legato” a quel “velo farisaico” che copre l'Occidente: vedrà che egli è
<...rimasto fermo all'ideale cristiano... Maledizione di quella limitata dualità: bene e male...>.
Nietzsche quindi criticherà sì l'Oriente ma quello “spiegato” da uno Shopenhauer immerso e fermo in una “cultura
cristiana” che è nell' “errore” di vedere “bene e male” e la sua sarà poi anche una critica con importanti distinguo :
< Cristianesimo e Buddhismo sono connessi tra loro in quanto religioni nichilistiche...
ma.. il Buddhismo è cento volte più realistico del cristianesimo.. il concetto di Dio, quando appare,
è già quasi liquidato...è la sola religione positivistica che ci mostri la storia > (L'Anticristo, 20)
Nietzsche come detto userà parole “nuove” e forti e torrenziali, userà parole molto al limite affinché scuotessero,
parole che facilmente, come è stato per quel' “io-materialità - individualità” di cui sopra ho detto, potevano far
cadere nell'errore opposto a quello che egli voleva denunciare.
Egli inviterà l'uomo a “conoscere sé stesso”, a fondo, e conseguentemente ad abbandonare “coraggiosamente” ogni
“falsa morale ed ogni falsa virtù”.
È per togliere all'uomo queste < nebbie e nubi > che coprono quella Verità <..intero orizzonte..> prima citato che
Nietzsche parlerà, con parole tutte da capire, di un < corpo > che non è “corpo fisico” ma è “anima/spirito e
materia” e ancora parlerà di “battaglie e prove di forza” che sono quelle del “corpo anima/spirito-materia” e non
del “corpo fisico” inteso “in sé”. Egli inviterà ad una vita da vivere con forza, “pericolosamente” per le sue parole,
e non “debolmente quali malati”: con volontà e senza rimpiattamenti, -anima/spirito e corpo- assieme quali “uomini
della conoscenza” che finalmente sono “dominatori e padroni” di sé e della Vita :
< la fecondità più grande ...si esprime così: vivere pericolosamente!
Costruite le vostre città sul Vesuvio! Spedite le vostre navi in mari inesplorati!
Vivete in guerra con i vostri simili e voi stessi ! Siate predatori e conquistatori finché non potrete essere
dominatori e padroni, voi uomini della conoscenza!
Passerà in fretta il tempo in cui potevate contentarvi di vivere rimpiattati come timidi cervi nei boschi ..>
<..non esiste più nessuna ragione in ciò che accade, nessun amore in ciò che accadrà:
più non si dischiude al tuo cuore un asilo di pace, in cui ci sia soltanto
da trovare e non più da cercare, tu ti stai difendendo contro una pace ultima..>
(LGScienza II 283-285)
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decima parte
Superfluo è il sottolineare che “città”, “navi”, “conoscenza” e “guerra” sono quelle stesse che la mitologia Greca,
come le Scritture Giudaiche e quasi tutta la letteratura antica vedevano: tutto sempre detto in una allegoria che parla
di un'interiorità, anima/spirito, che è forza e forze che muovono, sue indistinte parti, il fisico, il corpo e il materiale.
Nietzsche disperatamente, nell'animo e nelle parole, cercherà di insegnare il Tutto, la Vita: insegnerà
inconsapevolmente Jhwh, per come più sopra delineato:
dirà di un “principio” che è < Potenza > in cui l'uomo deve “sentirsi” così dischiudendosi e ritrovando una
<..volontà di potenza..> che non è che una nuova “consapevolezza e coscienza”, quel < non più uomo ma essere
trasformato > che è il suo < oltre-uomo >.
Dirà di una “immortalità”, di un “divino”, che va oltre ogni “singolarità”, una “divina” eternità che egli chiamerà
“Eterno ritorno” che si vede grazie ad un “cambiamento-conversione-passaggio” che Nietzsche visto “compiuto”
nella figura del suo “Oltre-uomo”:
< ..disciplina dello spirito e superamento di sé...sono necessari per trovare una qualsiasi
piccola Verità > (L'Anticristo, 53)
Questo cambiamento, con-versione e passaggio, al suo punto di approdo è in tutto uguale alla “con-versione e
resurrezione” che abbiamo visto nel Gesù “diverso” di queste pagine.
L' “Oltre-uomo” di Nietzsche è, con termini biblici, l' “oltre Adam”: è il superamento della condizione di “figli
dell'Adam-caduta” ed il raggiungimento della condizione di “figli di Dio”, è “il figlio dell'Adam nella sua Gloria”,
fuori dalla “malattia-caduta” e nella sua “luminosa ed innalzata” condizione finale.
L'Oltre-uomo di Nietzsche è l'uomo che grazie a quella trasformazione “metamorfosi” che Nietzsche dice essere un
< passaggio su di un pericoloso ponte > ovvero un passaggio che fa paura, grazie a questo “passaggio” che è
“cambiamento di mentalità-conversione”, si ritrova “divino-potente”.
E per < passare meglio sopra il ponte >, dice poi Nietzsche, per sopravvivere al < deserto > e portarsi a quel
<..superamento..> di sé, dell' “io”, che è un <..perire..>, è bene “avere poche virtù” : < una e non di più >.
Bisogna essere “leggeri come la piuma di Maat” dicevano similmente gli Egizi, bisogna essere <..abbassati di
vento..> ha detto Gesù: parole diverse per la stessa Verità.
Le “proprie dell'io” virtù rendono dura e difficile la < guerra e battaglia ...male necessario >: rendono duro il
cammino per giungere a quella “morte-uccisione del proprio io” ovvero a quel <..superamento di sé”..> che vedrà
infine l'uomo con virtù non più “proprie”. Ma quelle “proprie” virtù sono necessarie poiché è proprio per esse che
nascerà quella “necessaria” guerra che farà sì che <..l'uomo sia superato..>.
Guerra e battaglia, interiori, servono al fine di < superare > la condizione attuale dell'uomo, quella del “caduto”
figlio dell'Adam, per farlo giungere a quella di Oltre-uomo, di Figlio di Dio :
<... Fratello, se hai fortuna, hai una virtù e non di più: così passerai meglio sopra il ponte.
È grande distinzione avere molte virtù, ma è un destino pesante; e più d'uno andò nel deserto e si uccise,
perché era stanco di essere una battaglia e un campo di battaglia delle virtù.
Fratello è male la guerra e la battaglia? Ma questo male è necessario, sono necessarie l'invidia
e la diffidenza e la calunnia fra le tue virtù. L'uomo è qualcosa che deve essere superato
e perciò tu devi amare le tue virtù giacché perirai per esse >(Zarathustra, delle passioni gaudiose e dolorose)
<... Il vostro amore della vita sia amore della vostra più alta speranza :
...l'uomo è qualcosa che deve essere superato...> (Zarathustra, Della guerra e dei guerrieri)
Ma con questo “superamento”, in questo “vedere lontano oltre la menzogna, propria e altrui”, l'uomo non vedrà più
un “distaccato Dio Sacro” ma vedrà il Tutto-Divino di cui egli, ora“Oltre-uomo”, sarà indistinta e più completa
parte : divino, inesistente in sé :
< Un tempo si diceva Dio, quando si guardava verso mari lontani; ma ora io vi ho insegnato a dire: Oltre uomo >
(Zarathustra, Sulle isole beate)
< nel deserto più solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone..
(ma) il leone..deve diventare fanciullo..(perché) innocenza è il fanciullo e oblio, un ricominciare, un gioco, una
ruota che ruota da sé, un primo impulso, un santo dir sì. Sì, per il gioco del creare..ora lo spirito vuole la sua
volontà, perduto-per-il-mondo conquista il suo mondo.. > (Zarathustra, DTM)
L'Oltre-uomo di Nietzsche è l'uomo “resuscitato-rinato” portatosi al divino, è un uomo che egli chiama < creatore >,
< eroe > e <..uomo della conoscenza..> ovvero uomo della gnosi, è il sapiente che, festeggiando, fa morire ciò che
lo tiene fuori dall' “Essere” che è l'Uno-Tutto-Dio: Potenza, Materia-Spirito assieme.
Un uomo “creatore”, egli insegnerà, che vive la “materia” “gaiamente”, con leggerezza, senza la grevità di colui che
la vive “per sé” pensando di “essere in sé”: una gaiezza grazie alla quale l'uomo eviterà il “pericolo che corre la
sua anima” di cadere nell' “io-materialità” e così vivrà “beatamente” :
<.. il pericolo (dell'uomo ) dall'anima nobile...è che diventi sfrontato.. distruttore.. vivendo sfrontatamente di
piaceri brevi..Allora si spezzano le ali al loro spirito..ma per il mio amore..ti scongiuro:
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decima parte
non gettare via l'eroe che è nella tua anima!.. >(Zarathustra, Dell'albero sul monte)
<.. E ciò che chiamavate mondo, dev'essere creato da voi: esso stesso deve diventare la vostra ragione, la vostra
immagine, la vostra volontà e il vostro amore!
E in verità, per la vostra beatitudine, o uomini della conoscenza.. >(Zarathustra, Sulle isole beate)
La < conoscenza > che Nietzsche spera che gli uomini raggiungano altro non è che la “conoscenza-saggezza” che
troviamo sollecitata in Legge e Profeti come nel mondo Indo-Ario ed in tutto il mondo antico, la saggezza del “veroautentico filosofo” socratico che vive, beatamente, nella “pace” che anche Gesù voleva lasciarci.
L' ETERNO RITORNO
La grande vicinanza tra Nietzsche e Gesù non si è pienamente mostrata anche perché mancheranno, purtroppo, gli
importanti passi di Gesù sull' “Assoluto” -eterno muoversi crearsi manifestarsi- di cui ci riferisce quel vangelo di
Giuda Didimo Tommaso che solo oggi abbiamo a disposizione.
Una volta visto il Gesù “diverso", il Gesù "filosofo” insegnato dai Grandi Apostoli che Paolo combatterà come visto
in 2Corinzi ma pure in Colossesi : <..camminate nel Signore Gesù Cristo come l'avete ricevuto.. come vi è stato
insegnato...(e) badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia... ispirata alla tradizione..>(Col 2.8 ), si capisce
che la “comprensione” della Sua figura cui Nietzsche è giunto è “visione” cui, con la stessa libertà di Nietzsche, ci si
porta obbligatoriamente.
Ma è altrettanto vero che per andare pienamente a fondo nella figura di Gesù è necessario penetrare anche il
profondo legame tra Gesù e la Torah, un legane che Nietzsche non sembra avere colto e sviluppato: un legame che
svela il conseguente Jhwh “diverso”, un Jhwh in cui si trova anche quel suo "Eterno Ritorno" che è visione che forse
egli ha ritenuto mancante a Gesù.
Certamente se Nietzsche avesse potuto leggere le parole del vangelo di Giuda Tommaso avrebbe meglio compreso
altri aspetti di Gesù e forse non sarebbe arrivato a dire, come pur senza critica ha fatto, che <..è morto troppo
presto..>.
Restando a Nietzsche ed al suo "Eterno Ritorno", egli ci dice che l'uomo, che per le sue parole è <..corpo..>,
materia ed anima/spirito mai da vedere “separate”, l'uomo che è Tutto, Vita, Potenza e < creatore >, che è divino,
come tale vede una eternità che è < eterno ritorno > ovvero il riportarsi ad un “Principio-Potenza” che poi vede di
nuovo il “manifestarsi alla materia” : l'eterno circolo-ritorno, Vita, arcaicamente sempre rappresentato da
“svastiche” e “ruote” varie.
Nietzsche per primo, in Occidente dai tempi della Grecia arcaica, della Grecia di Dionisio e di Orfeo, dopo 2500
anni circa di involuzione e degrado progressivo della umanità dirà di quella Verità : dirà di un “ ritorno eterno”
slegato e lontano da ogni “io”.
Dirà Nietzsche della necessaria all'uomo consapevolezza di questo “eterno ritorno”, una consapevolezza che vede
una volontà, la < volontà di potenza >, carica di un <..divenire..> Accadere-Legge-Armonia-Fato che è l'< Essere >,
egli ci dice :
< In verità, attraverso cento anime ho percorso la mia strada e attraverso cento culle e doglie.
Ho già preso più volte commiato..(e) proprio tale destino vuole la mia volontà >
(Zarathustra, Sulle isole beate)
< ..la suprema “volontà di potenza” consiste nell'imprimere al divenire il carattere di “Essere”. L'eterno ritorno di
ogni cosa è l'eterno avvicinamento del mondo del divenire a quello dell' “Essere” >
E la morte fisica diviene allora solo l'aspetto di una Vita che vede “nascita e morte assieme”, uguali, facce della
stessa medaglia : così la “morte fisica” sarà “festa” quanto la “nascita”, sarà “compimento”, come la nascita, di un
“Essere-divenire” :
<..ancora la morte non è una festa... la festa più bella...(per) la morte che compie..>
(Zarathustra, Della libera morte)
E l'uomo che arriverà a quella coscienza assumerà una consapevolezza che Nietzsche vedrà e dichiarerà quale <.. Sé
.. che ascolta anche con le orecchie dello Spirito..>, un “Sé”, a volte nelle traduzioni detto anche “Ego”, che supera,
sovrasta e travalica un “Io” che <..parla e onora il corpo e la terra..>, da cui per Nietzsche l'uomo non può che
iniziare e partire :
<..questo Io e la contraddizione e il groviglio dell'Io parlano ancora nel modo più onesto del loro essere...
l'Io parla del corpo..onora il corpo e la terra...(non) il corpo come cosa in sé...malato.. (ma) il corpo sano,
il corpo perfetto.. (che) parla del senso della terra ..
Tu dici Io e sei orgoglioso di questa parola. Ma una cosa più grande è il tuo corpo e la sua ragione:
questa non dice Io ma fa Io. Ciò che il senso sente, ciò che lo spirito conosce, non ha mai il suo fine in sé...
dietro a loro sta ancora il Sé. Il Sé cerca anche con gli occhi dei sensi, ascolta anche con le orecchie dello spirito.
Il Sé...domina ed è il dominatore dell'Io. Abita il tuo corpo, è il tuo corpo. …
Il tuo Sé ride del tuo Io e dei suoi salti orgogliosi..> (Zarathustra, Di coloro che abitano..)
< Gesù era un grande Egoista (amante del “Sè” ndr) >(FPostumi 1881,MIII 283)
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decima parte
<.. raggiunto il sommo dell' “autonomia”: l'Ego (Sè ndr) perfetto : soltanto ora questo Ego (Sè ndr) può
provare l'amore >(FPostumi 1881,MIII 197)
A quel “passaggio sul ponte”, a quella con-versione, che l'uomo, Adam, deve compiere per potere arrivare ad essere
l'Oltre Uomo-figlio di Dio che sa vedere e vivere in quel “Sè”, si oppongono, ci dice Nietzsche, i <.. predicatori di
morte..>, i “falsi profeti” diceva Gesù, coloro che <..della esistenza vedono solo una faccia..> .
< Ci sono i predicatori di morte..
quegli esseri terribili che si portano dentro la bestia da preda.. i tisici dell'anima: non sono ancora nati e già
cominciano a morire..Incontrano un malato o un vecchio o un cadavere; e subito dicono: < La vita è confutata >.
Ma essi soltanto sono confutati e il loro occhio, che vede dell'esistenza solo quella faccia.
(Zarathustra, Dei predatori di morte)
Ma, come dicevo, assieme alle sue volutamente dure ed inevitabilmente difficili parole Nietzsche non potrà far a
meno di esprimere, pregando, altissima e commovente poesia:
< O cielo sopra di me, cielo puro, cielo profondo, abisso di luce!
Contemplandoti rabbrividisco di divine brame. Lanciarmi nella tua altezza – è questa la mia profondità!
Rifugiarmi nella tua purezza – questa è la mia innocenza!
Vela il dio la sua bellezza: così nascondi tu le tue stelle. Non parli: così mi annunzi tu la tua saggezza...
Oh, come non indovinerei tutto quanto è pudico nella tua anima!.. Noi siamo amici fin dall'inizio:
abbiamo in comune la pena e l'orrore e il motivo: abbiamo in comune anche il sole...
Non sei tu la luce per il mio fuoco? Non hai tu l'anima sorella per la mia visione?...
E quando vagavo solo: di chi aveva fame la mia anima nelle notti e sugli intricati sentieri?
E quando salivo sui monti, chi mai cercavo se non te! E tutto il mio vagare e ascendere monti : è stato solo una
fatica e l'espediente di un uomo maldestro; volare soltanto vuole tutta la mia volontà, volare dentro di te! >
(Zarathustra, Prima del levar del Sole)
<..Se mai la mia mano fuse con le prossime le cose più remote e il fuoco con lo spirito
e il piacere col dolore e il pessimo con l'ottimo : se io stesso sono un granello di quel sale risolutore, che fa sì che
tutte le cose si mescolino bene nel cratere... Oh come potrei io non bramare l'eternità e il nuziale anello degli anelli,
l'anello del ritorno? Mai io trovai la donna dalla quale desiderassi avere figli, se non forse quella donna che amo:
giacché io t'amo o Eternità! ..> (Zarathustra, I sette sigilli-4)
<.. Amo colui la cui anima si dissipa, che non vuole ringraziamenti e che non restituisce :
giacché egli dona sempre e non vuole conservarsi... >
E, devo infine confessare, a Nietzsche ho rubato la bella espressione “innocenza dei sensi”: in lui ho trovato queste
perfette parole mentre indugiavo, insoddisfatto, su espressioni come “fine dei desideri” o “superamento del
sensibile”, espressioni tutte non precise ed appropriate: solo la “innocenza” può infatti vedere il < fanciullo > di
Nietzsche come il < bambino > di Gesù e del mondo Indo-Ario.
E ancora poi un'altra cosa Nietzsche mi ha insegnato e dovrebbe anche insegnare ai molti suoi detrattori che
ipocritamente riempono di “ affatto amorose parole” discorsi e scritti. Egli, pur in quella sua dura critica alla
Cristianità, saprà anche vedere in essa quella “divina” ineludibilità che non potrà che portarlo “comunque ad
amarla”:
< Per la gente che non sa pensare occorrono una filosofia ed una morale sommaria: Dio >
< Essere giusti verso il passato, volerlo conoscere con tutto l'amore.
Qui la nostra nobiltà è sottoposta alla prova suprema!
Io sento se uno parla con animo vendicativo del Cristianesimo, ciò è volgare! >
Di -questo- “amore”, che è quanto di più “divino” l'uomo possa fare, non vi è traccia in ciò che scrivono di
Nietzsche i paladini di un, così falso, Dio d'Amore : anche questo ad essi converrà imparare da Nietzsche.
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undicesima parte
UNDICESIMA PARTE
LE ULTIME SEGRETE PAROLE E CONFERME
Ho già detto che in tutte queste pagine, in tutti questi anni, in tutto questo “cercare” a me imposto dai “ricordi ed
episodi” citati e poi acceso dalle illuminanti e pulite parole di Gesù del vangelo di G.D.Tommaso, che sono
volutamente rimasto nel solco, nel “filo a piombo”, delle parole di Gesù.
Vedere e capire “al fondo” e “tutte” le parole di Gesù non è facile ed ancor più lo è per le Sue parole che ci riporta
Tommaso: anche la “speciale” persona di Don Fortunato Provvisorio, da me sollecitato alla lettura di quel vangelo,
mi disse in seguito che in esso non aveva trovato che gli insegnamenti dei canonici, gli insegnamenti però, in cui
anche lui era rimasto, largamente cristiano paolini.
Certamente molte fondanti profondità erano anche a lui rimaste nascoste. E' molto facile nel leggere le parole di
Gesù, anche quelle del vangelo di G.D.Tommaso, cadere nell'errore di usare gli occhi e le orecchie a cui siamo stati
educati.
Sulla difficoltà ed esotericità delle parole di Gesù tutte ben ci ammonisce il primo importante passo del vangelo di
G.D.Tommaso che con chiarezza ci dice della necessità di :
“ trovare il senso “segreto” di quelle parole”
Alcuni passi poi in particolare, di questo vangelo, come anche peraltro tutte le canoniche righe della Apocalisse di
Giovanni, lasciano perplessi e possono restare a lungo alla mente, irrisolte ed insistenti domande.
Proprio alla fine di questi scritti il buio in cui erano avvolti alcuni di questi ostici passi o allegorie si è dissolto e di
essi ora dirò partendo dal tema “Donna-Madre”, tema che però, nella rilettura ed ultima correzione del testo, in vari
punti è stato necessariamente già anticipato.
LA DONNA E LA MADRE PER GESÙ
Nelle letture dei vangeli lascia perplessi il fatto che Gesù si è sempre rivolto alla madre fisica, Maria, dichiarandola
in modo -palesemente distaccato- ed al limite dell’irriverente, “donna”. Questo atteggiamento però, nasconde un
insegnamento che nasce nelle Verità che troviamo, ancora come sempre, nelle Scritture: le Verità delle quali dicono
le figure della “donna” e, assieme, quella della “Madre”.
Sulla figura-tema della “donna” in precedenza, nella Quarta Parte al capitolo “Il femmineo-donna”, abbiamo visto
come in quei testi con la figura di “Eva”, ma non solo, la “donna-genere femminile” che porta la “vita fisicamateriale” sia investita-legata ad un “femmineo-yin” che è “Forza”, divina, che induce e porta l'uomo-umanità alla
condizione di “io-materialità”, alla condizione di “caduta”, che lo porterà a vedere indicibili “disastri e mali”. Una
“Forza” presente a tutti uomini e donne ma che nella “donna” è soprattutto vista esprimersi e con quel termine
quindi, nella cultura giudaica e nei contesti di insegnamento, si dice di ciò che “genera l’uomo caduto”, il “figlio
dell'Adam” in condizione di cacciata dall’Eden, fuori dal Regno.
La visione di una negativa “natura femminea-yin” che induce l'uomo ad errare e lo porta a vivere “disastri e mali”,
abbiamo visto che è presente anche in altre culture antiche compreso quella greca in particolare, mentre
quell’aspetto negativo viene smorzato, mostrando qui anche un suo aspetto positivo e necessario, nella più antica
cultura Sumera del Gilgamesh.
Questo ultimo aspetto e lato positivo è poco evidenziato nei testi giudaici come anche nelle parole di Gesù dove
però esso si può vedere, ritengo, nascostamente implicito nel suo dire che è “da vecchi”, e quindi che è dopo essere
passati dalla necessaria-fatale condizione di “caduta” in cui si nasce e vive, che si deve “rinascere-resuscitare”.
Dominante nel giudaismo resta comunque l'aspetto negativo del legame “donna-materialità-femmineo-yin” ed è con
questo spirito che Gesù, che sempre riprende termini e concetti delle Scritture, si rivolgerà a Maria unicamente
dichiarandola “donna”. Solo al momento della morte Egli, come ora vedremo, la inviterà ad essere e portarsi,
dicendole come, alla condizione di “Madre”, la Sposa “vergine-non prostituta”, la divina “Ruah-Vento-Spirito
Santa” che, ascoltata, <..ammaestra..>(Sap 1.5) e fa così nascere i Figli di Dio. La “Ruah-Vento-Spirito Santa”
che abbiamo visto e della quale abbiamo detto nella Sesta Parte di questi scritti.
Venendo alle parole di Gesù su questi due temi, vediamo che:
a) Uno dei primi episodi in cui vediamo Gesù darci questi insegnamenti è quello avvenuto in occasione di
uno dei Suoi momenti di predicazione allorché uno dei presenti si rivolge a Lui dicendogli: <..Ecco di fuori tua
madre e i tuoi fratelli...! >(Mt 12.47,48). Gesù, ci viene detto, molto seccamente risponde :
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undicesima parte
<.. Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli ?...chiunque fa la volontà
del Padre mio quello che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre ..> (Mt 12.47,48)
Vediamo qui che Gesù afferma la Verità, già approfondita in precedenza, di quella “unica-Una condizione-essenza”,
e quindi di “ fratello, sorella e madre”, che è la condizione di “Figlio-Logos” cui si arriva con quella “resurrezione
in corso di vita / conversione-cambio di mentalità” cui Egli è giunto ed a cui portano le Sue parole ed insegnamenti:
condizione, senza alcun “io”, di “ascolto e messa in opera, inesistenti in-sé, delle volontà del Padre”.
La lettura cristiana che vede nella risposta di Gesù l'indicazione di una “comunione di visione ed opera” con tutti i
propri seguaci e discepoli, è lettura che può certo adattarsi alle parole < questi è per me Fratello e Sorella > ma che
poco giustifica e spiega l'allargamento al <..Madre..> qui fatto da Gesù: un allargamento che contrasta con
l'implicita “negazione” del titolo di “Madre” a Maria che sembra vedersi nella scostante replica di Gesù.
Ora, se è vero che in questo episodio non nasce con certezza il fatto che Gesù “esclude” Maria da questa “Una e
stessa condizione di sorella-fratello-madre assieme”, questo viene invece fuori con evidenza nell'episodio delle
nozze di Cana come pure nelle sue ultime parole sulla croce.
b) In occasione delle nozze di Cana, alle parole di Maria che a Lui si rivolge dicendo <..non hanno più
vino..>, con un implicito sotteso invito ad operare il miracolo, Gesù così risponde :
< Cosa a me e a te, donna ? Non è ancora giunta la mia ora.. > (Gv 2.3,4 ; Nestle-Aland)
Questa risposta, qui riportata nelle più fedeli traduzioni Nestle-Aland, lontano da quanto fa vedere la traduzione Cei
che riporta un ben diverso < Che ho da fare con te, donna...>, ci dice della “lontana e diversa condizione” in cui
Gesù vede Maria rispetto a Sé stesso. Egli infatti a Maria ancora “donna femmineo-yin” che si preoccupa del vinomateria, Lui dice, ovvero ancora lontana dalla condizione di “resurrezione” cui Egli è giunto, dice in sostanza:
< Cosa ( vi è, in comune, ) a me e a te, donna ? >
Ben poco, Gesù qui dice, c'è in comune tra chi è ormai “resuscitato-figlio di Dio” e chi, come allora Maria, è ancora
nella condizione di “donna” legata alla materialità ed a ciò cui essa induce e porta.
A volte, devo qui dire, con una lettura superficiale, cieca e che arriva alla irriverenza, quella risposta di Gesù viene
letta come : <..che importa a me e a te..> . Esegesi a mio avviso errata, triste e al limite della irriverenza.
c) Un’altra frase di Gesù sul tema “donna-femmineo-yin” è quella finale del vangelo di G.D.Tommaso:
< ..Mariza...la terrò con me affinché io possa completarla in mascolinità,
per farla diventare Ruah-Spirito Vivente. E similmente (sia ndr) per voi maschi !
Le donne che si completano in mascolinità possono entrare nel Regno dei cieli… !..>(vangelo di Tommaso l. 114 )
Per chi, donna ma anche uomo si deve infine dire, è in prevalente condizione di “femmineo-yin” ovvero è in
condizione di animo “basso-legato al materiale”, secondo queste parole di Gesù il “cambiamento-conversione”
necessario è un <..completamento..> con il “maschile-yang” che porta ad essere Ruah-Spirito Vivente ed a vivere il
Regno: vivere una condizione di Sapienza, identica a quella del Figlio-Logos, che realizza la perfezione divina del
“maschio-femmina o yang-yin” di Jhwh, l'equilibrio armonico di quelle forze.
Identicamente, in modo opposto completandosi di “femmineo-yin”, dice Gesù, dovrà essere per chi sia in prevalente
condizione di “maschile-yang”.
In merito al detto di Gesù del vangelo di Tommaso sopra riportato in traduzione di Mario Pincherle, faccio una
precisazione: molte traduzioni riportano un diverso <...per farla diventare Ruah-Spirito Vivente simile a voi
maschi..> in luogo del <.. E similmente sia per voi maschi. > .
Questa traduzione e lettura è con evidenza profondamente errata perché, senza cercare altro, secondo essa volendo
anche ammettere che il “voi maschi” sia riferito ai soli apostoli questi, per quanto è detto, sarebbero già pronti per
entrare nel Regno e quindi pienamente in possesso della Verità ma questo assunto va contro le parole di Gesù nelle
quali Egli si chiede perché essi non lo capiscono ed anche andrebbe contro quelle, poi, nelle quali Gesù dice loro
che essi potranno “capire tutto” solo quando giungerà ad essi la Ruah Santa che “ammaestra”.
d) Altre importantissime parole di Gesù sui temi “donna-Madre” sono quelle che Egli ha pronunciato in
croce ormai prossimo alla morte fisica. Riporta Giovanni:
< Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava,
disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua Madre!” >(Gv 19.26,27)
Personalmente non sono mai riuscito a vedere in queste ultime parole di Gesù ciò che in esse vede la Cristianità
ovvero l'-affidamento- di Maria a quel discepolo e, una tale ipotesi, vede lacune e perplessità:
-- la prima perplessità nasce dal fatto che in quelle parole di Gesù -non si dice e non si evince- di alcun affidamento
ed anche, in quella ipotesi, più giusto, corretto e logico sarebbe stato che Gesù rendesse chiara la Sua volontà
rivolgendosi prima a chi doveva assumersi quell'onere e solo poi a Maria.
-- perché poi prima Egli nel rivolgersi a Maria la chiama “donna”, e quindi ancora non “madre”, e poi nel rivolgersi
al discepolo la dichiara, -di questi peraltro-, “madre” ?!
362
undicesima parte
-- perché ancora Egli, che non sembra essersi mai molto occupato di Maria, improvvisamente ha sentito il bisogno
di chiedere a qualcuno di occuparsene ?. Strano anche questo.
-- difficile poi che sotto quella croce non vi fossero anche gli altri apostoli e in particolare Giacomo e Pietro, perché
quindi Gesù si rivolge all' “amato” discepolo anziché a questi che sono le “colonne”, ci è detto?.
-- troppo “enigmatiche” poi sono quelle parole per dovere solo dire di un semplice “affidamento materiale”: questo
non si fa dicendo < questo è tuo figlio >, si fa dicendo “abbi cura di lei” o simili !.
-- la lettura cristiana, infine, è in contrasto con l'invito che Gesù ha sempre fatto a “staccarsi” dai vincoli
famigliari.
Quelle parole perciò restano un enigma finché non si vedono in una nuova luce: anche con queste ultime parole
infatti Gesù, “nascostamente” e per chi ha orecchie come sempre, insegna:
Al momento della Sua “morte fisica”, alla morte del suo corpo fisico-matera, Gesù, rivolto ad una Maria che Egli
dice ancora “donna” ovvero ancora “femmineo-yin” e pienamente legata a quel “corpo-materia” che ha generato
e che con la morte in croce finisce-muore, la invita, -ora-, a divenire “Madre, Ruah-Spirito Santa”.
Questo “passaggio-conversione-resurrezione” le sarà possibile “vedendo e capendo” che con il Suo <.. ecco tuo
figlio..> rivolto al discepolo che Gesù “amava”, Egli le dice che questi, suo gemello spirituale e ormai “Uno con
Lui”, è “Gesù stesso” secondo le Sue parole :
< Colui che beve dalla mia bocca, diventa come me ed io divento come lui > (v. di G.D.Tommaso l.108).
Ed è a quel punto, è “capendo” questo, che Maria “diviene” Madre: è Madre infatti, per Gesù e per le Scritture, la
femminile “Ruah-Spirito Vivente” che genera quei “Figli di Dio” che sono coloro che, come Gesù e quel
discepolo, giungono-si portano ad essere Logos Unico.
E lo stesso insegnamento Gesù lo rivolge poi al discepolo dicendogli <..Ecco tua Madre..> confermando così anche
a lui quella stessa Verità: Madre è chi, a lui dice, vedendo-capendo e conoscendo la condizione
di Figlio-Logos-Unico è in grado di portare a quella generazione-nascita .
e) Si vede, nella lettura delle parole di Gesù appena sopra fatta, confermato lo stesso “insegnamento”
riportatoci nel vangelo di G.D.Tommaso:
< ..è mia madre che mi ha messo al mondo ma la mia Vera Madre mi ha dato la Vita.. >(v. di Tommaso l.101)
f) Vediamo conferma di queste letture e Verità anche nelle frasi di Gesù, già anticipate nella Quarta Parte al
capitolo “Il femmineo-donna”, che qui riprendiamo:
< Alla domanda di Salomè : “Fino a quando avrà potere la morte?”, Gesù rispose:
“Fino a quando voi “donne” partorirete” > ( Vangelo degli Egiziani – Clemente Alessandrino, Strom. 3,6)
< Quando vedrete l’abominio della desolazione…
Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni > (Mt 24.19)
Queste frasi senza le letture qui fatte non possono trovare razionale seria spiegazione mentre esse invece diventano
chiarissime se viste nell'ottica delle “donne-forza yin” che generano-provocano la “caduta a figli dell'Adam”,
la“caduta nell'io-materialità”, la “morte spirituale” che, abbiamo visto, porta poi con se fisici disastri e mali. É
per “queste” donne-forze che, in quei tempi nei quali finalmente si capirà, saranno “guai”.
Riporto infine qui la testimonianza, che si può legare a tutto questo, della signora Angela Volpini. Lei è stata, da
bambina, protagonista di una “Visione della Madre di Cristo” che ancora oggi così, sul suo sito internet, testimonia:
< ...prima che lei mi parlasse...con molta approssimazione posso dire che ho contemplato l'Universale, attraverso i
suoi occhi ho visto tutta l'umanità... gli uomini di oggi e quelli del passato…
tutta la storia dell'umanità..>
< ho avuto come tre passaggi : il primo: questa donna era l'umanità “realizzata”, nel secondo era la Madre di
Cristo, nel terzo: “come ha fatto a diventare” Madre di Cristo >
Ulteriore conferma, se si vuole, di quanto qui detto: si “diventa” Madri, Ruah-Spirito Santa, generatrici/generatori
dei Figli di Dio!.
LE TRE INDICIBILI PAROLE
Ciò su cui non pensavo di potere offrire alcuna possibile risposta e comprensione era ciò che più che “nascosto” era
“non detto”: mi riferisco a quelle “tre parole” che, secondo il vangelo di G.D.Tommaso, Gesù disse a Giuda, detto
Didimo e Tommaso, il “gemello” spirituale di Gesù.
Ciò che esporrò presuppone, come mi è stato fatto notare, che Gesù in questa occasione parlasse in greco, non in
aramaico o in ebraico! Ora Gesù qui si rivolge a Giuda Didimo Tommaso e cioè ad un apostolo che, per quel
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undicesima parte
soprannome di “gemello” sempre riportato anche in “greco”, Didimo, è molto probabile che quantomeno avesse
grande dimestichezza con quella lingua, lingua che peraltro sappiamo a quei tempi molto usata in particolare a
Gerusalemme. Non è perciò improbabile che Gesù si sia, in questa -riservata- occasione, rivolto a Tommaso in
greco anche se sappiamo che certamente nella sua predicazione alle genti, meno istruite, Egli parlava l'aramaico.
Ci riporta il vangelo di Giuda Didimo Tommaso :
< ...Gesù Cristo disse allora (a Tommaso): “Non sono più il tuo Maestro, da quando hai bevuto fino alla pienezza
alla fonte ribollente che io stesso ho gustato”. E lo prese in disparte in un luogo nascosto e gli disse tre parole .
Quindi Tommaso essendo tornato ai suoi compagni, questi gli dissero: “Cosa Gesù ti ha rivelato ?”.
E Tommaso rispose loro :
“Se io vi dico una sola delle parole che lui mi ha detto, prenderete pietre e mi lapiderete e un fuoco verrà fuori
dalle pietre e vi brucerà” > (vangelo di G.D.Tommaso l.13)
A questo “segreto dei segreti”, a questa “frase di tre parole” -non riportate- e che sono per i discepoli
“impronunciabili sia assieme che singolarmente” e che Gesù ha “potuto” rivelare solo al suo “gemello” Tommaso,
è impossibile non pensare. Ed è difficile anche non maturare la consapevolezza che solo trovando una plausibile
soluzione all'enigma di quelle “tre parole” si poteva “sperare” di essere arrivati a conoscere forse “a fondo” il Gesù
che quel testo voleva mostrare. Dopo alcuni iniziali e balzani tentativi di trovare risposta a quell'ultimo segreto ho
rinunciato a cercare soluzioni e col passare del tempo disperavo che fosse possibile arrivare ad una soluzione.
Da ultimo però, quando erano ormai terminati quasi tutti i lunghi approfondimenti e riflessioni qui riportati, mentre
ripensavo e rivedevo la figura di quel Gesù “diverso” così emerso, una “immagine” è sorta inaspettata ed autonoma
alla mia mente. Quel Gesù “diverso”, l'uomo Gesù “con-vertito, resuscitato ed illuminato”, in quella immagine,
chino e sommerso in riflessione, ripeteva alla Sua mente tre parole :
“ Io sono Jhwh !”
Subito ho ripensato alle tre parole che Egli aveva detto a Tommaso, a quel suo discepolo che <..aveva bevuto fino
alla pienezza alla fonte ribollente che Gesù stesso ha gustata..>(v.di Tommaso 13): a lui, ormai uguale a Gesù e in
grado di capirle, questi poteva avere detto quella frase :Io sono Jhwh” e queste, ho dovuto ammettere, potevano
essere le tre parole che, anche singolarmente, Tommaso non ha potuto riferire ai discepoli.
Gesù, a Tommaso, al Suo gemello spirituale, avrebbe ben potuto dirgli e “confermargli” quanto forse già egli aveva
capito: diviene divino, l'Assoluto, Jhwh, chi riesce a compiere a fondo la conversione. Ma per quegli apostoli che
ancora non avevano ”bevuto fino alla pienezza” quelle tre parole che Tommaso avrebbe dovuto pronunciare per
confidare loro ciò che Gesù gli aveva detto, anche singolarmente espresse erano parole che per essi erano
“indicibili”. E non è difficile vedere il perché :
- “Io” : questo termine come detto per motivi linguistici tra gli apostoli e da Gesù era certo poco “utilizzabile”
ma il grado della sua assenza nei loro discorsi è tale da far pensare che esso fosse “bandito”, “proibito”.
Era evitato, quel termine, poiché evocava l' “io”, l'errore dell'Adam, il “primo peccato”, il “peccato d'origine”,
quello che porta all'uomo la “morte all'anima”: convintamente, ritengo si possa dire, quel termine “non era” da Gesù
ed apostoli pensato e pronunciato: solo il “noi”, solo la “unità inseparata”, e non la “unione”.
- “Sono” : anche per questo termine valgono le stesse considerazioni appena sopra fatte: anche con questo
termine infatti, parimenti si evoca lo stesso “errore”: il pensiero di “essere in sé”, errore proprio di chi è nell' “io”.
- “Jhwh” : il tetragramma, abbiamo ben visto il perché, era per i Giudei ed anche per Gesù impronunciabile e
“vietato”.
Verosimilmente quindi le tre parole “impronunciabili” che quel Gesù “diverso” poteva avere detto a Tommaso,
possono proprio essere quelle: “ Io sono Jhwh”. Sono parole che certamente Egli potrebbe avere detto “solo” al
suo “gemello" spirituale, sono parole pericolose se non a fondo capite e comprese, sono le parole che Plotino
rimproverava ad alcuni “seguaci di Gesù-cristiani-gnostici” di insegnare con troppo leggerezza, sono parole che,
contrariamente a quanto può capire chi non sia sufficientemente pronto e preparato, dicono che :
“ Nella consapevolezza di non essere nulla in noi stessi, si vive la coscienza di essere Uno-Tutto-Dio-Jhwh “
Naturalmente nessuna certezza si può avere che le “tre” parole cui fa riferimento Tommaso Didimo siano quelle qui
viste e certo io continuerò a cercarne altre ma obiettivamente credo che queste abbiano molte probabilità di restare
le sole possibili.
IL TERZO SEGRETO DI FATIMA
Sembra confermare quanto sin qui visto e detto anche ciò che è contenuto nella lettera del “terzo segreto” di Fatima.
Ci mostra, quel testo, una pletora di < vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose ..(assieme ad altre) persone secolari >
che attorniano un Papa che, nel salire un “monte” su cui anziché Dio vi è una < croce di tronchi grezzi >, incontra
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undicesima parte
una <..città..>, l'umanità, distrutta e colma di cadaveri: inginocchiato davanti a quella < grande Croce > di “pura
materia, grezza ed informe” il Papa sarà eliminato assieme a tutti i suoi seguaci. Questo ci dicono le parole di suor
Lucia che più sotto riporto.
E' una immagine fortissima, una lettera tenuta a lungo segreta dal papato e da esso incompresa ancora oggi: dopo
avervi visto una previsione dell'attentato a Papa Paolo VI vi si vuole oggi vedere una “sofferenza” della Chiesa
legata alla disgustosa, gigantesca quanto ancora nascosta questione morale legata alla pedofilia del clero. Ma la
lettura corretta è forse un'altra e ben più drammatica:
Con la immagine del monte con una “croce” che non è altro che un “inutile tronco grezzo” cui giungono
<..vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose ..(assieme ad altre) persone secolari..> guidati da <..un Vescovo vestito di
Bianco..>, si dice del momento in cui alla Cristianità si mostrerà la vacuità “della meta cui -essa- ha teso”, del
momento in cui ad essa si mostrerà l'errore dei suoi insegnamenti, il vedere finalmente come e perché, seguendo
Paolo, anch'essa è giunta a “volere il bene ma fare il male” (Rm 3.7,8).
Dice poi, quella lettera e visione, che alla fine di quel cammino si vedranno dei martiri e il sangue di questi sarà
versato, ricadrà, sulla Cristianità, sui < vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose ..>.
Martiri sono i <..cadaveri che incontrava ..> il Santo Padre, sono la <..grande città mezza in rovina..>, la umanità,
che verso la fine di quell'errato cammino, poco prima di rendersi conto che -nessun dio- vi è nel loro insegnamentocroce, i <..vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose ..(assieme ad altre) persone secolari..> dovranno vedere. Per poi
quindi finire-morire.
Martiri sono infatti, in questa lettura, le anime e le persone che chiuse, legate ed imprigionate con degli errati
insegnamenti, impedite all'ascolto della voce del Padre, la Ruah-Vento-Spirito Santa che sempre all'uomo parla, ed
al ritrovamento in sé stesse del Figlio, sono state così costrette ad indicibili sofferenze spirituali e fisiche.
Ed il sangue versato su quelle genti sarà, quindi, la necessaria assunzione da parte loro della responsabilità di tutte
quelle sofferenze e martiri: unico modo per <..avvicinarsi a Dio..> è detto, infausto e duro destino di cui Gesù ci ha
detto collegandosi alla figura di Giuda: < ..guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell' Adam è tradito!
Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato ! > (Mc 14.21) .
<.. Penitenza, Penitenza, Penitenza..>,
dice il testo della lettera, deve essere fatta.
Riporto ora il testo, interessantissimo, del “Terzo segreto di Fatima” nella traduzione fornita dalla autorità Cattoliche
e del quale ho anticipato il commento.
Un interessantissimo aspetto della lettera è quello della descrizione di Dio, una descrizione che ricalca la
"circulazion pinta de la nostra effige..> del divino cui si porta Dante nella Commedia.
Qui infatti la <..luce immensa che è Dio..> è dichiarata essere <..qualcosa di simile a come si vedono le persone in
uno specchio quando vi passano davanti..>. Un dio -in cui è- l'umanità.
<<..abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella
mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo;
ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui:
l'Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza!
E vedemmo in una luce immensa che è Dio:
“qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti”,
un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”,
vari altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande
Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia;
il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo
vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino;
giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati
che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi
Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni.
Sotto i due bracci della Croce c'erano due Angeli
ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei martiri
e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio.
Tuy-3-1-1944 >>
Con le letture sin qui fatte, di Gesù e non solo, questa visione apocalittica può benissimo essere la visione della fine
della “apostasia”, dell'“Uomo iniquo” o “Uomo di menzogna”, di quella “forza universale” che, secondo quanto
sin qui visto, si è sviluppato al mondo grazie, largamente anche se non esclusivamente forse, ai tre monoteismi.
Qui però, con la croce, una croce informe, tronco grezzo che nessuna Verità può portare, la visione si limita alla
Cristianità.
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undicesima parte
BABILONIA E L'ANTICRISTO
La Babilonia di cui qui parlerò è quella evocata ed illustrata nella Apocalisse di Giovanni ma essa non può che
essere la stessa, “forza d'errore”, di cui ci parla la Torah ed è la stessa di cui forse dice Heidegger con il suo
catastrofico "auto-annientamento" umano provocato da ciò che egli chiama "ebraismo metafisico", archetipale
forza farisaica. Di Babilonia Giovanni dice:
<..la grande prostituta..(con la quale) si sono prostituiti i Re della terra e gli abitanti della terra
si sono inebriati della sua prostituzione..>(Ap 17.1,2)
< ..(la) donna seduta su una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna.
La donna...adorna d'oro, di pietre preziose e di perle... (che) sulla fronte ha scritto un nome misterioso:
“Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra” > (Ap 17.3-5)
Anche qui con il termine “prostituzione” si richiama naturalmente quanto abbiamo visto per Legge, Profeti e per
tutto il mondo antico: è l' “adulterio” di cui dice anche Gesù ovvero è il “ darsi ad altro rispetto all'Assoluto” da
parte dell'animo umano, ed è un errore, come visto, che è forza di natura “femminea-yin” ovvero ciò che invita, vede
e si lega solo alla materialità. È errore che è esasperazione di un aspetto innato all'uomo, divino e necessario
anch'esso all'uomo ma che deve essere mantenuto in armonico equilibrio con l'opposto e connaturale aspetto e forza
del “maschile-yang”, lo spirituale. Solo così l'uomo non -tradisce- il Jhwh-Assoluto che è "maschio e femmina".
Con il termine Babilonia però Giovanni, come anche la Torah, solo in senso riflesso parla delle singole esperienze
dell'uomo che si “dà ad altro-prostituisce” rispetto all'Assoluto: più largamente egli infatti dice di una forza
archetipale che è “ciò e quanto induce e porta” l'umanità intera a cadere all'”io-materialità” ed a quanto ne
conseguirà. Dicono, Giovanni come Daniele che egli segue, di -ciò che porta- l'anima individuale a “darsi ad altroprostituirsi” o, con Euripide forse è meglio dire, dicono di ciò che porta a far nascere il <..fantasma dotato di
respiro..vuoto miraggio..>(Euripide, Elena): una falsa e -propria, dall'uomo stesso creata-, anima che è solo
immagine della sempre pura ed immacolata Anima-Sposa universale. Una -forza- che può essere l'"ebraismo" di cui
ha detto Heidegger, la metafisica e universale "forza farisaica", di separazione, che egli vede causa di "autoannientamento" umano, causa di morte spirituale prima e fisica poi, causa dei disastri che l'umanità vede.
Con il termine Babilonia Giovanni parla di ciò che è < madre >, ci viene detto, di quelle prostituzioni e prostitute
che vedono l'uomo tragicamente ed unicamente legato, “caduto”, all' io-materialità.
Babilonia è “forza divina” anch'essa come tutto: Giovanni dice che “viveva in cielo” prima di essere cacciata sulla
terra dove si porta ad essere un <..enorme drago rosso con sette teste e dieci corna..> che intende divorare il
<..Figlio (di Dio, Logos, Cristo, Messia, Principio ecc. -ndr ) destinato a governare tutte le nazioni..> . Il Figlio che
la <..donna vestita di sole, ( la Madre, Anima Universale, Ruah Santa -ndr ) con la luna sotto i piedi e sul capo una
corona di dodici stelle..> (Ap 12.1-5) stava, sulla terra, partorendo-mostrando all'uomo.
Una <..donna vestita di sole..>, a cui il <..drago andò a far guerra..>, la cui <..discendenza..> e figliolanza sono
quei “Figli di Dio-Unto-Cristo-Logos” <..che osservano (cioè -vedono, capiscono ed attuano- ndr) i comandamenti
di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù..>(Ap 12.17).
Questa “donna-Madre”, profetizza Giovanni, sarà costretta dalla “forza-drago-serpente-satana” a ritirarsi nel
deserto, sarà resa improduttiva ed inoperante fino al momento della caduta e distruzione di tutte le forze di errore:
l'umanità sarà a lungo costretta a non vedere quasi uomini “figli di Dio, Unti-Cristo-Logos”, ci dice così Giovanni.
Anche della “bestia con dieci corna” abbiamo già parlato in precedenza, nella VI Parte al capitolo “Capire Daniele
per capire Gesù”, ma nelle righe di Giovanni vi sono precisazioni importantissime. Scrivevo in quel capitolo:
“.... Le apocalittiche righe del profeta Daniele...sono spaventose e lascio qui a chi le legge ogni considerazione su
quella che, in questa lettura, è la conseguente identificazione della bestia più grande, quella dalle < dieci corna >
che sono < dieci Re > ovvero dieci “strumenti” che dovrebbero indirizzare all’Assoluto: dieci vessilli, dieci mezzi, forse dieci comandamenti -, che sono forza ed autorità di quel < grande Regno >, di quella :
< ..grande bestia, spaventosa, terribile, d'una forza eccezionale.. >(Dn 7).
Le < prime > tre corna, dice ancora Daniele, le più importanti, i suoi più fondanti strumenti ma anche Verità ovvero
< Re > che portano all’Assoluto, sono annientate da ciò che <..cresce..> in questa <.grande bestia..>: una petulante
<..voce umana..> che parla con <..alterigia..> e che ha <..occhi..di un uomo..>(Dn 7) ovvero che non sa “vedere
divinamente” ma solo erratamente !
Ebbene, le precisazioni importantissime che Giovanni fa confermano a mio avviso e danno forza a quanto allora,
con quel “forse dieci comandamenti”, suggerivo e mettevo in ipotesi. Dice Giovanni :
< Le dieci corna...sono dieci re...non hanno ancora ricevuto un regno,
ma riceveranno potere regale, per un'ora soltanto insieme con la bestia....hanno un unico intento: consegnare la
loro forza e il loro potere alla bestia... combatteranno contro l'Agnello, ma l'Agnello li vincerà....
366
undicesima parte
odieranno la prostituta, la spoglieranno e la lasceranno nuda, ne mangeranno le carni e la bruceranno col fuoco.
Dio infatti ha messo loro in cuore di realizzare il suo disegno e di accordarsi per affidare il loro regno
alla bestia, finché si realizzi la parola di Dio > (Ap 17.12-17)
Giovanni, che con la sua apocalisse-rivelazione chiaramente si rifà alle allegorie dei testi di Daniele e ne dice
secondo quanto per lui era la visione di Gesù di quei testi, conferma sostanzialmente con queste parole la lettura dei
“dieci re” quali “dieci strumenti per portarsi all'Assoluto” : essi infatti, egli dice, sono “destinati” al <..potere
regale..>, al potere divino, un <..potere e forza..> che solo per poco tempo <..un'ora soltanto..> sarà consegnato, e
per divina volontà e disegno-Legge, nelle mani della <..bestia..>.
E' così pertanto chiaro che Giovanni con “Babilonia”, <..donna che...simboleggia la città grande che regna su tutti i
re della terra..>(Ap 17.18), <..la grande che è caduta ed è diventata covo di demoni, carcere di ogni spirito
immondo..>(Ap 18.2), ci dice di quanto, “genericamente delineato” ed insistente alla terra, con un potere solo
terreno come è per la “bestia” che la sorregge e con la quale si identifica, sfrutta il “potere di questi dieci strumenti
divini” che, destinati <..a potere regale..>, così ben più e meglio possono essere identificati con “i dieci
comandamenti". I "dieci sentieri divini” che a tutto ciò arrivano a portare quando siano -male, erratamente e per
sbagliato fine siano, se pur inconsapevolmente, insegnati, compresi ed applicati-. Quando siano portati ad essere
“precetti di uomini” e non “divino sentire”: quando, solo regola, essi unicamente portano a “rafforzare l'iomaterialità” e così a creare dei giganti enochici, distruttori infine nonostante le ipocrite buone parole pronunciate.
Quando non siano indicati quale traguardo di un uomo che deve "conversi-cambiare di mentalità-resuscitare",
traguardo di un uomo “servo inesistente in sé ma in-esistente al Tutto” che così e solo così, Figlio di Dio ovvero
deità, troverà quelle verità in sé, sua stessa natura.
La “consegna” a Babilonia-Drago di questi dieci “strumenti divini” avverrà, ci viene detto, grazie ad un voleresuggerimento divino, ovvero per forza di un Assoluto-Legge, che è volto a, e che porterà, la distruzione di
quell'Errore e di quanto ad esso si legherà e cioè è volto alla distruzione al contempo di Babilonia, del “dragoserpente-diavolo-bestia” che è quanto quell'errore sorregge e del “falso profeta”, anticristo e uomo iniquo anch'esso,
che è chi, uomini ed istituzioni religiose, erratamente insegna.
Questo “volere e forza divina-Legge”, questo “fatale-necessario accadere”, non è che ciò di cui Enoch, nelle sue
visioni e previsioni, diceva :
<..una “legge” per tutte le generazioni sarà data.. e sarà…come una prigione > (EE.XCIII.6)
Rafforza poi questa terribile lettura la analisi di quali sarebbero così le <..prime tre..> di quelle <..corna..(che)
riceveranno potere regale..>(Ap 17.12), quelle che per Daniele sono annientate dalla petulante <..voce umana..>
che parla con <..alterigia..> e che ha <...occhi..di un uomo..> e che <..cresce..> nella <..bestia più grande..> tra le
quattro che egli profetizza (Dn 7). I primi tre comandamenti sono infatti, secondo Esodo 20.2 :
1) < Io sono Jhwh, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù.
Non avere altri dei oltre a me >
Non si può non vedere che manca oggi ogni invito-insegnamento alla “uscita dalla schiavitù", alla "rinascitaresurrezione in vita” di cui ha detto anche Gesù e cui porta la voce di un Dio-Jhwh-Allah-Assoluto sostituito oggi da
"altri" insegnanti e insegnamenti da parte delle tre religioni cosiddette monoteiste. Oggi quindi -negato e distrutto-,
per questa lettura, è questo profondo insegnamento e primo “comandamento-corno-re”.
2) < Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra
o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire ...>
La negazione-distruzione di questo secondo corno-re, insegnamento-comandamento, è evidentemente limitata alla
sola Cristianità.
3) Non pronunciare il nome di Jhwh, Dio tuo, invano; perché Jhwh non riterrà innocente chi pronuncia
il suo nome invano.
Le “religioni” tutte, ed in primis le tre cosiddette monoteiste, non possono che negare, per -implicitaincomprensione, anche questo insegnamento. Non è questione di “parola pronunciata”, non si risolve nulla nel
“sostituire” l'impronunciabile poiché indefinibile Jhwh con Signore o Adonai o Dio o Allah o altro-: con
quell'insegnamento infatti ci viene detto che l'uomo deve “parlare” meno possibile dell'Assoluto mentre le “religioni
istituzionalizzate” non possono che trasgredire quella Verità dovendo esse sempre, per natura loro, parlarne.
Non si può non vedere così che questi primi tre “comandamenti-corna-re divini” sono, per le letture sin qui fatte,
annientati e/o portati ad altro.
Con queste letture e nel quadro del Gesù “diverso” sin qui visto, si mette in evidenza come a tutto ciò siano legate le
figure di Paolo e Pietro, a quella loro opera ed insegnamento fortemente messo in discussione e condannato da parte
della comunità madre di Gerusalemme, come qui ben visto e messo in luce. Questa tragica ed enorme responsabilità
è confermata ed attestata, vedremo più oltre, ne “la Ascensione di Isaia”, un importante testo cristiano, datato al
120 circa, legato alla comunità di Gerusalemme.
Ritornando a Giovanni ed alla sua Apocalisse tutte le figure che egli mette in campo sono legate l'un l'altra, si
identificano e solo vogliono dire di diversi momenti-sviluppi e/o caratteristiche e/o manifestazioni di quella forza,
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undicesima parte
comunque divina, femminea-yin, anti-cristica.
Ma se per “drago, bestia del mare, bestia della terra e prostituta-babilonia” dobbiamo vedere “entità archetipali”,
“forze” non precisamente connotate fisicamente che inducono l'uomo all'“io-materialità, separato-diabolico”
ovvero che invitano alla “morte spirituale”, per quanto riguarda la figura del “falso profeta” le cose sono diverse.
Con questa figura Giovanni dice certamente di quanto fisicamente, "uomini e umane religiose istituzioni", vedremo
chi, si porterà ad essere quell'errore e sua forza stessa.
Su tutte queste figure Isaac Newton, il grande fisico, nel suo “Trattato sulla Apocalisse”, dirà :
< .. sono distrutte assieme, la bestia con le due corna o il falso profeta nello stesso tempo della bestia con dieci
corna,...entrambe denotano una Chiesa Cristiana apostata e degenerata; il falso profeta mediante una sineddoche,
ponendo una parte per il tutto; e la meretrice in opposizione alla donna nel deserto, che è la sposa di Cristo, la
Vera Chiesa > (Trattato sull'Apocalisse- I.Newton-proposizione VII)
Personalmente non vedo i presupposti per dire, come sembra dire Newton, che Babilonia, la bestia ed il falso profeta
siano la, sola, istituzione della “Chiesa Cristiana”. Corretto è invece il suo dire se per “Chiesa Cristiana" e "Vera
Chiesa” si intende la universale “giusta-santa” comunità umana, non solo cristiana. Una comunità così da lui detta
nel suo storico essere rispettivamente apostata e degenerata oppure, se Vera Chiesa, pienamente nella Verità.
Le forze-figure che sono in uno “drago, bestia del mare, bestia della terra, falso profeta e prostituta-babilonia” che
<..in un sol giorno (vedrà) ...morte, lutto e fame; sarà bruciata dal fuoco..>(Ap 18.8), queste forze-figure con
evidenza sono “AntiCristo” e devono essere viste come allegoria di tutto ciò che porta, che insegna ed induce,
all'“io-materialità”, separatore, farisaico. Devono quindi essere viste anche, e soprattutto, come gli insegnamenti
sull' “io-creato” degli odierni tre monoteismi. Insegnamenti di un “io-creato” che subito diviene ed è un“iomaterialità” e sempre e comunque è “separazione-divisione-fariseismo”, morte spirituale.
Questa visione è di Giovanni come anche di Daniele e di molti Profeti: tutti vedono che l'Errore ed i disastri cui va
incontro la universale umanità Isra-El contraria al divino, l'"errore farisaico" che con evidenza si presentava già al
tempo dei profeti, è sostenuto e rafforzato da religiosi "stolti-falsi profeti" che con i comandamenti biblici si danno
autorità.
La Cristianità l'Ebraismo e l'Islam, tutte insegnano l' “io-creato-separatore-divisore” e tutte -usano- quei “dieci
insegnamenti-comandamenti” della Torah che per Giovanni e Daniele sono i “dieci re” destinati a <..potere
regale..>, destinati al divino, ma consegnati all'Errore per il limitato tempo necessario a che esso sia vinto e finito.
Le tre religioni monoteiste perciò, con queste letture, non si possono che vedere tutte come -mezzi- di quelle
“generiche forze e figure”, le Bestie, Babilonia ecc., di cui dicono Giovanni e Daniele: esse sono, quindi, il "falso
profeta" di Giovanni, mezzi e strumenti, inconsapevoli, di quella “forza-figura archetipale” che è l' AntiCristo.
Esse sono il "falso profeta" di Giovanni per quel loro tragicamente fondante, per l'uomo, insegnamento dell' “io da
Dio-Allah-Jhwh creato”, diviso e separato.
Lo sono poiché con questo insegnamento "separano", portano inevitabilmente ad un fariseismo-separazione, caverna
socratica, che è devastante e mortale per lo spirito prima e inevitabilmente per la vita fisica poi nonostante quelle
loro buone parole che, così ipocrite e infine inutili, unicamente servono a rafforzare quell'errore.
Con quell'insegnamento le religioni portano ad un fariseismo subdolamente nascosto, come ben ha visto Nietzsche,
portano a vedere, a curarsi ed a difendere con ogni mezzo il fine della propria dell'io, e fisica, eternità. Non più la
società, non più il consesso umano è il primo valore e bene ma il singolo, pieno di diritti e con pochi e condizionati
doveri. A questo, ed ai disastri che abbiamo visto e che vediamo, porta la concezione dell'uomo ereditata da quella
che è la visione del giudaismo del 2° Tempio, tradizione che si può definire "giudaica e cristiano paolina" ma solo
ricordando che lontanissima ed opposta ad essa è, come visto, la tradizione-lettura, sempre "giudaica", che vediamo
in Enoch, negli Esseni e nel Gesù "diverso" qui messo in luce.
Le tre cosiddette religioni monoteiste, in particolare ma non solo loro, in questa lettura si vedono quali strumenti di
tale archetipale AntiCristica forza, si vedono essere quel “pastore” di cui Zaccaria dice <.. io (Jhwh) susciterò.. un
pastore stolto..> (Zc 11.15,16), un pastore che “non capisce” e che insegnando il falso così aiuta quella forza
separatrice-diabolica aggravando e dilatando l'errore dell'uomo col fine di correggerlo: al culmine degli apocalittici
disastri che tale Errore produrrà, al culmine di ripetute, e per Gesù "necessarie", guerre, finalmente l'umanità
arriverà a capire, e si correggerà.
Di questo tragico accadere, di Babilonia-Falso Profeta, dirà anche Dante con le figure del “carro” e della “lupa”, la
“bestia” da cui è difficile fuggire se non aiutati poiché <..molti son gli animali a cui s'ammoglia..>, perché molte
sono le forze che sfrutterà, una “lupa” che è :
<.. bestia.. di rabbiosa fame.. che molte genti fè già viver grame.. e ripinge là dove 'l sol tace..>.
Spinge dove non si vede la luce del divino, questa bestia che <.dopo 'l pasto ha più fame che pria...>, una bestia che
<..'mpedisce e uccide..>: che impedisce la ricerca del Dio ovvero la salita al monte divino, e così porta l'uomo alla
“morte spirituale”. Solo l'arrivo del “Veltro”, solo la venuta-manifestazione-parusia del Logos-Figlio, solo il ritorno
della divina Sapienza ovvero, come vedremo, solo il "cinquecento, diece e cinque", porrà fine a tutto ciò ma questo
avverrà con apocalittici dolori e disastri, <..con doglia..> dice Dante, che straordinariamente vedeva tutto ciò.
368
undicesima parte
Ma in Dante troviamo anche un'altra importantissima conferma a quanto qui visto.
Secondo quanto ci è stato detto da suo figlio Pietro infatti (cfr Maria Soresina-Libertà va cercando p.246) , le
“Dieci corna” del Drago dalle Sette teste in cui si “trasforma” quel Carro che egli ci mostra in Purgatorio e che
unanimemente la critica, ricordo, vede quale allegoria della Chiesa romana, un Carro sul quale sono da lui posti la
Puttana ed il Gigante con una immagine che è chiarissimo riferimento a quanto è in Daniele e nella Apocalisse di
Giovanni, queste “Dieci corna”, dicevo, per Dante vanno viste proprio quali Dieci Comandamenti.
Non si può non notare allora che le letture e comprensioni tutte in queste pagine esposte, che così vediamo
pienamente coincidenti nei suoi ultimi frastornanti sbocchi, erano largamente fatte e viste anche da Dante come
pure, negli stessi periodi, erano viste, ci mostra straordinariamente Maria Soresina nel suo “Libertà va cercando”,
dai Catari che proprio alle origini della Cristianità, ma a quelle gerosolimitane-apostolari ovvero, seppur non
pienamente, alla “fonte filosofica giudaico-ellenica” e non certo alla “fonte farisaica paolino-petrina”,
dichiaratamente si rifacevano. Ma altro, più oltre, su Dante vedremo.
Per le letture e comprensioni qui fatte come non augurarsi infine che Ebraismo, Cristianesimo ed Islam arrivino
presto a vedere tutto ciò ed a chiudere così quella terribile stagione di auto-annientamento umano che assieme e
grazie ad esse si è aperta e che è ormai troppo lunga e dolorosa. Come non augurarsi che sia finalmente capito e
compreso il -dire e prevedere- di Heidegger su "auto-annientamento" umano causato da un "ebraismo” visto e
inteso quale metafisica forza farisaico separatrice: ma egli sapeva e diceva che l'umanità era ancora lontana da quel
capire: "Solo un dio ci può salvare", ha detto, ed è tempo ormai che l'uomo sappia vedere e fare quindi a lui nascere
questo -nuovo dio- .
LA ASCENSIONE DI ISAIA
APOSTASIA, ABSCONDITUS E PARUSIA
Le spaventose conclusioni emerse prima con Daniele, poi con le considerazioni sulle tre lettere di Giacomo, Giuda e
2Pietro, e infine quanto ora visto e detto per la Apocalisse di Giovanni e Babilonia, sono sconvolgenti al punto che è
legittimo dubitare bene della loro esattezza.
Arrivare ad ammettere che proprio le tre maggiori religioni, i tre cosiddetti -ma al fondo non tali- monoteismi,
inconsapevolmente siano non solo lontani dalla Verità ma addirittura -contrari ad essa- e contrari al Logos-Cristo
eterno ed immanente qui visto e che, sempre inconsapevolmente, a questa opera si dedicano usando “anche” Sante
parole, discorsi ed inviti, oltre a non essere facile da capire è sconvolgente.
Buone e Sante parole ed inviti infatti, quando seminati assieme al -fondante- errore dell' “io-creato” che inaridisce e
pietrifica ogni terreno, e i “frutti” di duemila anni di tali insegnamenti lo dicono, oltre a non servire si trasformano in
“negativo” insegnare : -chiudono- l'uomo ad ogni possibile “cercare e capire”, ad ogni possibile portarsi al “regno”
e così ciecamente egli finisce per seguire solo -sterili- precetti.
Ammettere che una tale apostasia-allontanamento dal Vero, oggi quasi planetaria, ha in sé i forti colori del subdolo e
nascosto, se pur anche inconsapevole, tradimento, non è facile.
Così è stato anche per me, che pur chiari vedevo quegli scenari, finché altre considerazioni, fatte sulla base di un
testo certamente “cristiano ed ortodosso” datato al 100-150 dC, la “Ascensione del profeta Isaia” ( AI ), mi hanno
portato alla definitiva conferma che quanto visto e detto è assolutamente, se pur terribilmente, vero.
Rimasto tra i libri sacri cristiani solo nella Chiesa Etiopica il “cristiano ed ortodosso” testo de “La Ascensione del
profeta Isaia” era usato da molti movimenti cristiani dei primi secoli, movimenti dichiarati poi eretici da una Chiesa
ormai pienamente paolina, e più recentemente è stato usato anche da Bogomili e Catari.
Oggi dai critici il testo è correttamente classificato quale testo “giudeo-cristiano” ossia esso è “pienamente cristiano
ed ortodosso ovvero conforme ai primi insegnamenti di Apostoli e seguaci di Gesù”, ma denota quello stesso
distacco dal Cristianesimo paolino che possiamo con chiarezza vedere anche nella lettera di Giacomo, il capo
indiscusso della comunità “madre” di Gerusalemme, la più autorevole.
È, la Ascensione di Isaia, un testo di un “giudeo-cristianesimo” assolutamente incompreso ed inspiegato dalla
odierna Cristianità tutta ma è un testo ripeto pienamente “ortodosso”, ci dice anche la sua presenza tra i testi Sacri
della Chiesa Etiopica, ed è un testo che testimonia quindi, vedremo come, una delle “due fonti” della cristianità di
cui ci informa Ireneo: testimonia quella “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica” che come visto si contrapporrà
a lungo alla “fonte farisaica paolino-petrina ” che fonda la attuale Cristianità.
Un aspetto si mette in risalto ed avvicina oltremodo questo scritto all'ambiente della comunità di Gerusalemme che,
abbiamo visto, insegnava un <..Gesù “diverso”..>(2Cor) da quello di Paolo: anche nella AI, come nelle lettere di
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undicesima parte
Giacomo e Giuda, la contestazione “teologica” nei confronti della costruenda Chiesa Cristiana, in AI più chiara e
forte, viene affrontata, descritta e messa in luce -denunciando- i “comportamenti” :
<..in quei giorni.. molti ameranno le cariche... diverranno ladri del loro stesso gregge.. scambieranno l'abito dei
santi con l'abito dell'avaro.. appariranno persone cupide della gloria di questo mondo.. cresceranno maldicenza e
millanteria..>(AI III 23-26).
Una denuncia e visione che il testo allarga e generalizza indirizzandosi quindi anche ad altri insegnamenti religiosi:
a tutti coloro, si può e deve dire, che grazie all' “io-creato” insegneranno fariseismo e separazione.
E a tutti costoro, ai <..falsi profeti..> ci viene detto, in un testo parallelo più sintetico rispetto alla citata AI ovvero
nella Profezia, apocalisse e martirio del profeta Isaia, Santo, illustre e massimo tra i profeti (leggenda greca), viene
pronunciata una rara maledizione contro il “falso profeta” qui citato come Melchias ovvero contro gli errati-stolti
pastori-insegnanti religiosi che invece in AI sono chiamati Belchira :
<..Sii maledetto o falso profeta, Melchias, demonio!..>
Prima di vedere come e perché la AI conferma le letture sin qui fatte con relative conclusioni e scenari, prima di
vedere questo ed i nuovi aspetti che quel testo ci mostra, ne darò un riassumo con alcune considerazioni generali.
IL TESTO
ISAIA, BELCHIRA, MANASSE E IL DILETTO
Il testo si divide in due parti che, entrambe, ponendo in parallelo ciò che la tradizione scritta ed orale diceva di Isaia
da un lato e la vicenda di Gesù dall'altro, intendono dire del tragico accadere della mistificazione e negazione del
Vero cui inevitabilmente si porterà l'umanità. Riassumerò il testo appoggiandomi a quanto in “Gli apocrifi del
Nuovo Testamento III” a cura di Mario Erbetta ed in “L'Ascensione di Isaia. Studi...” di Enrico Norelli non senza
ricordare che, come è per tutta la letteratura sapienziale, e tale è questo testo, ogni parola necessiterebbe di
riflessione e comprensione.
La prima parte, con evidente ripresa esegetica degli scritti di Isaia, vede il profeta Isaia informare Ezechia, re di
Giuda, il di lui figlio Manasse, alcuni profeti ed il proprio figlio Jasub, di una sua visione circa “.il giudizio degli
angeli, la distruzione del mondo attuale, la partenza, la trasformazione, la persecuzione e la salita al cielo del
Diletto..”. Isaia rivela che Manasse, figura allegorica di chi conduce il mondo materialmente ovvero del potere
politico, finirà preda di Belchira, allegoria di un potere religioso che anziché custodire ed indirizzare alla Sapienza
divina è divenuto <..falso profeta..>(III 1): un potere-maestro religioso-profeta assoggettato ed asservito, dice il
testo, a Sammael-Satana anche detto Beliar, assoggettato alle forze di Errore.
L'avvento di Beliar ovvero dei falsi insegnamenti ed insegnanti religiosi, rivela Isaia, farà <..cambiare mente..> (II
4) al potere temporale Manasse e lo porteranno a promuovere <..apostasia e sregolatezza diffusa..> (III 4)
inducendo la vera profezia, i “giusti” insegnanti religioso-filosofici ad abbandonare Gerusalemme e Betlemme, le
genti, il mondo, per isolarsi <..nudi ed in duolo amaro per la caduta di Isra-El..> (II 10), dell'universale popolo
“contrario” a Dio. Le forze di Errore, Satana-Beliar, per mano del “falso profeta” potere religioso Belchira
denunceranno Isaia, la sola voce di giusto pastore-profeta: rovesciando la verità il suo predire a fin di bene sarà
dichiarato un “avverso” dire, sarà detto che le profezie di Isaia sono un <..profetare contro Gerusalemme e ..le città
di Giuda, dicendo che saranno devastate..> e che sono un <..profetare anche contro Manasse, re e signore, dicendo
che egli, legato con catene e uncini, dovrà andarsene..> (III 6).
A tutto ciò Belchira, falso-stolto profeta-pastore, contro Isaia aggiunge l'accusa errata e stolta di falsità : denuncerà
che Isaia ha detto <..ho visto Dio ed ecco che sono vivo..> quando questo non può che essere falso, viene detto,
visto che Mosè aveva dichiarato <..non c'è nessuno che ha visto Dio ed è rimasto vivo...> (III 9).
Il testo a questo punto apre alla vicenda di Gesù ed inizia dicendo che è della Sua venuta che parlava Isaia : è <..per
mezzo suo..> di Isaia, si dice, che era stato manifestato l'<..arrivo del Diletto dal settimo cielo, la trasformazione, la
discesa e la figura umana in cui sarebbe apparso.. i dodici apostoli...la crocifissione..> (III 13). I passi sul GesùDiletto terminano qui dicendo della <..apertura della tomba il terzo giorno da parte della Ruah Santa e di Michele
capo degli angeli..> e dell'<..uscita del Diletto..>.
A questo ultimo avvenimento nel testo segue poi, con una denuncia impressionante : l'annuncio de <..l'abbandono,
da parte dei suoi ( del Diletto) discepoli, della dottrina dei dodici apostoli..> (III 21). A seguito di ciò lo <..Spirito
Santo abbandonerà molti..> (III 26) e sorgeranno quindi, ci viene detto, i “falsi profeti” che produrranno la
<..consumazione del mondo..> (IV 1) fino a che <..la voce del Diletto riprenderà con forza...e si avrà resurrezione e
giudizio...> (IV 18).
La prima parte del testo termina quindi riportandosi alla parallela, ma stessa, vicenda di Isaia : ci viene detto che
quando <..Belchira e ..tutti i falsi profeti..> chiesero ad Isaia di dichiarare che <..le loro vie..sono buone..> (V 4), in
quel tempo <..si cominciò a segare Isaia..> (V 5) <..con una sega di legno..> (V 1), si cominciò così a far tacere ed
uccidere ogni “giusta” voce.
La seconda parte inizia con il racconto della ascensione di Isaia nei sette Cieli, racconto mancante agli scritti Antico
Testamentari dello stesso e che significativamente richiama fortemente la vicenda di Enoch. A questo il testo fa
370
undicesima parte
seguire il dettagliato racconto della visione da parte di Isaia della “nascosta” discesa dai cieli del Diletto-Signore :
dal settimo cielo fino al <..regno dei morti.. (senza) però andare fino all'inferno..> (X 8).
Si continua poi con la descrizione della vicenda di Gesù, dalla nascita alla morte, proseguendo con la descrizione
della sua risalita al settimo Cielo dove Egli siederà alla <..destra della grande Gloria..>, una risalita compiuta non
più “nascostamente” come era stata la discesa.
Tutto si chiude infine con la ripetizione del mito-allegoria del “segamento” di Isaia, ripetizione che qui, nel contesto
del precedente dire, intende chiaramente legare la vicenda di Gesù alla verità che sottostà al mito del “segamento di
Isaia: <..a causa delle visioni e delle profezie...Sammael Satana segò per mano di Manasse, con una sega di legno,
il profeta Isaia..> (X 41).
CONSIDERAZIONI GENERALI
Passiamo ora alle considerazioni più generali che sul testo si possono e devono fare:
1) Anche la AI, come la lettera di Giacomo, lascia a Gesù un ruolo quasi di “illuminato profeta” ma qui meglio
ancora viene messo in evidenza il distacco tra l'uomo Gesù ed il Logos-Figlio-Diletto eterno; vediamo perché :
- tre sole volte è citato il -personale- “Gesù”, sei il “Cristo (Unto)” mentre “Diletto” e “Signore”, termini che
riportano piuttosto all'archetipale “Figlio-forza destra” del Padre Jhwh, sono citati rispettivamente diciassette e
ventisei volte. Una volta ciascuno compaiono anche “Eletto” e Figlio”,
- di Gesù è detto <..quegli che era stato la loro ( di fedeli e santi numerosi ) speranza..> : espressione che ci dice di
un Gesù che più che “Dio”, che mai può creare vane speranze, è visto come grande illuminato-profeta-maestro nel
quale si è riposta una speranza di cambiamento che non si è concretizzata.
- la citazione di “Signore” è spesso fatta da Isaia dicendo <..il mio Signore..> con chiaro richiamo al passo di Salmi
ripreso anche da Gesù : < dice Jhwh al mio Signore: siedi alla mia destra > (Sal 109.1); passo che come visto per
entrambi vuole dire e indicare l' -intimo all'uomo- archetipale “Figlio – Logos”.
- il Diletto è dichiarato < Signore che verrà chiamato Cristo..>(IX 13) e <..Signore Cristo che sulla terra sarà
chiamato Gesù..> (IX 5) : chiarissima la separazione tra l'archetipale Diletto-Signore-Figlio-Logos, quindi, ed il Gesù uomo- “chiamato-detto” Signore e Cristo poiché a quella condizione si è portato.
- se è vero che il testo parla di <..crocifissione e salita al cielo..> di Gesù, come pure del Diletto e Signore, è anche
vero che il testo parla pure di Signore-Diletto-Cristo, e quindi archetipale forza, che dopo la crocifissione resterà,
<..non capito..> e <..somigliante agli angeli del regno dei morti...>, ad operare nel mondo, nascosto, fino
all'<..annientamento del principe (Satana-AntiCristo ndr), i suoi angeli e gli dei del mondo...e del mondo stesso da
loro dominato..>(X 7-12).
2) Nella AI, testo che abbiamo detto è pienamente “cristiano gerosolimitano”, non si può non vedere e notare
che il preponderante uso fatto del termine “Diletto”, che è patrimonio in particolare dei testi di Enoch, così come
anche la tematica dei “sette cieli” che troviamo sia in Enoch che in AI, sono ulteriore conferma che la figura di Gesù
è dagli autori -legata alla tradizione di lettura Enochica delle Scritture-.
Troviamo così qui una maggiore e piena conferma che la più autorevole tra le “ due fonti cristiane” citate da Ireneo,
quella legata agli Apostoli che infine contrasterà duramente gli insegnamenti e la comprensione di Gesù fatte da
Paolo seguito in questo da Pietro, era “fonte” che si inquadrava, come quindi Gesù per essi, nella tradizione di
lettura Enochica delle Scritture.
E il fatto che la AI esprima la più autorevole delle “due fonti” e quindi quella legata all'ambiente “apostolare e
gerosolomitano”, oltre alle sue similitudini con la lettera di Giacomo ce lo dice poi il fatto che essa motiva e
mostra, vedremo, un -allontanamento/espulsione di Paolo e di Pietro dalla Cristianità- che solo quegli ambienti
potevano avere la autorità di compiere e solo chi era ad essi strettamente legato poteva così approfonditamente e
dottamente argomentare, come fa la AI, oltre che dire e precisare tanti aspetti di quegli eventi.
3) Che nella AI la figura di Gesù sia portata a quella di “illuminato profeta” oltre che da quanto sopra e
soprattutto da quanto ancora poi vedremo, se pur più sottilmente è testimoniato anche dal fatto che nella sua seconda
parte il testo, dopo avere detto della morte e risalita di Gesù, ripete il tema del “segamento” di “Isaia-profetaprofezia”: anche la morte di Gesù, ci dice così il testo, è da inquadrare in quella “fine della profezia” che quel mito
richiama: Gesù quindi grandissimo profeta, ci è così detto.
4) La AI, ponendo in parallelo e continuità la vicenda di Isaia e quella di Gesù, con le altre due sue figure
protagoniste del racconto ovvero con Belchira e Manasse, ci dice allegoricamente di quel tragico universale ed
apocalittico Accadere Armonia-Karma di cui le Scritture e Gesù hanno detto : ci dice di quella <...apostasia.. uomo
iniquo...mistero della iniquità già in atto..>(2Ts 2.3-8) di cui scriveva, ma senza capire, Paolo.
5) Il testo, che come detto è chiaramente cristiano, si rende particolarmente interessante perché nel contesto di
quella “apostasia già in atto” da tempo, simbolicamente dal tempo di Isaia, annuncia <..l'abbandono... della
dottrina dei dodici apostoli..>(III 21), evento quindi dagli autori legato alla fine dei giusti profeti-pastori di cui dice
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undicesima parte
il mito di Isaia. Un abbandono degli insegnamenti apostolari che l'autore vede già verificatosi ai suoi tempi, al 100150 dC : una condanna senza appello della nascente cristianità paolina.
Ma la degenerazione dei corretti insegnamenti religiosi e la fine dei giusti profeti-pastori, quel loro portarsi ad essere
“falsità” che il testo denuncia, non si limita alla cristianità come si è portati a pensare, esso interessa l'umanità
intera: sarà quasi totale la assenza di “giusti e profeti”, <..non ci saranno molti profeti né tali che proferiscano
parole forti..>.
6) Con la sottile allegoria del “segamento” di Isaia, < segato in due con una sega di legno..> poiché la “sega di
ferro” non lo scalfisce, il testo ci dice di come avverrà la fine della profezia e dei giusti insegnamenti ed insegnanti.
É da notare il fatto che la storia-mito di Isaia < segato in due con una sega di legno..>, vede forti similitudini non
certo casuali e senza legami, anche nella più antica cultura persiana dove, nell'Avesta, è Yma, il giusto che si salva
dalla glaciazione, a subire la stessa sorte per opera del Serpente a tre teste (M.Erbetta op.citata).
Gli esperti (cfr “Gli apocrifi del Nuovo Testamento III” a cura di Mario Erbetta) dichiarano la “morte di Isaia con
una sega” quale antica tradizione Giudaica accolta dai cristiani ed attestata anche presso i Mussulmani.
Seppure con varianti rispetto alla AI di tale evento parlano poi sia il Talmud babilonese che quello di Gerusalemme.
In ambito cristiano è evidente e significativo il richiamo a questa tradizione in Eb 11.37 quando, con riferimento ai
santi del Vecchio Testamento, Paolo dice che furono <..segati e torturati..>: di questa allegoria e mito Paolo quindi
sapeva.
Giustino poi (100-165) rimprovera ai Giudei di avere tolto dai loro testi la <..morte di Isaia..segato con sega di
legno..> (dial.Tryph.120) ed anche Origene attesta che il racconto-mito ha origine giudaica.
La allegoria bella quanto nascosta di Isaia < segato...con una sega di legno..> poiché la “sega di ferro” non lo
scalfisce, nei due diversi materiali con evidenza riflette e vuole dire della diversa “natura” degli argomenti che si
possono usare nell'opera di contestazione della profezia e del Vero.
Ci viene così detto che l'opera di contestazione ed annullamento dei giusti insegnamenti ed insegnanti, opera non
possibile con argomentazioni forti, solide-attinenti, come attinente è il solido ferro al segare, sarà invece possibile,
fatta e portata a termine con argomenti parole ed insegnamenti non solidi-attinenti, come non attinente al segare è il
non solido legno. Quell'annullamento, ci è detto, sarà portato a termine con argomenti, temi ed insegnamenti -non
attinenti- all'eterno, al divino, ma sarà operato con argomenti ed insegnamenti che riguardano ciò che è in-fermo e
caduco, la materia: con ciò che è altro rispetto al divino ovvero ciò che, si può dire, attiene al Cesare.
Nello strumento poi, nella sega, si deve vedere il lento avvenire, nel tempo, di quella straordinaria ed inverosimile
involuzione e disastro umano.
Un richiamo a questo tipo di allegoria, che vede il legno metafora di ciò che non è solido-divino, sembra ravvisabile
nelle parole di Paolo che, riconoscendo le Scritture come <..cose...dette per allegoria..>(Gal 4.24), verosimilmente
quale “esperto di Scritture” ha avuto modo di conoscerla ed ascoltarla.
Dice Paolo: <..Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, essendo maledizione per noi come è scritto:
“maledetto chiunque è appeso ad legno”..>(Gal 3.13).
Il riferimento fatto è a Dt 21.23 dove si dice che <..l'appeso è una maledizione di Dio..> con riferimento a chi
<..degno di morte..(è) appeso a un albero..> ( o <..appeso a un palo..> per TNM ) e questo, da Paolo, viene legato
alla dura maledizione di Dt 27.26 che recita <..maledetto chi non mantiene in vigore le parole di questa Legge..> .
Ora il legame che Paolo fa, di per sé evidenzia una lettura allegorica che non può che trasportarsi, non avrebbe
diversamente senso lo stesso legame che Paolo fa tra i due passi di Dt, alla lettura di “albero o palo” come “legnocose non salde-divine”.
Quindi la lettura che Paolo qui suggerisce di Dt, la sola che con razionalità spieghi il suo passo ed il legame che gli
fa, è quella che vede posta la allegoria, da lui peraltro incompresa al fondo, della “maledizione divina per chi è
appeso, legato, attaccato, a quanto non è duraturo ed eterno: a ciò che è doxa-opinione e non Verità, qui detto il
legno”.
7) Anche nella AI, come sempre nella antica letteratura sapienziale, i nomi parlano :
- Belchira sembra derivare da Bekira=eletto del male ovvero da Balkida=Baal con le corna,
- su Beliar invece, anche detto Sammael (Satana-AntiCristo), si può notare che esso è detto
<...grande angelo, re del mondo presente ...re d'iniquità, uccisore di sua madre..>(IV 2,3)
esso quindi è forza che ha ucciso-dimenticato la Madre-Ruah Santa, è ciò che “nasce nel mondo” “per ed a causa”
della uccisione-non ascolto della Voce divina-Vento-Ruah, Madre e Sposa, che invece <..parla in Isaia e negli altri
giusti..>(IX 36) ed in ogni uomo che la ascolti. Beliar quindi è ciò che nasce nel <..mondo presente..> ovvero nel
mondo di “questa generazione”, caduta all'io-materialità, diceva Gesù.
8) La “Ascensione di Isaia” ci conferma e dice che nelle analisi dei testi Neotestamentari, e delle lettere di
Giacomo e Giuda in particolare, non deve confonderci il fatto che in essi si parli di “errori” soprattutto di “costumiopere”: siamo in epoche in cui poco dice il termine “teologia” ed è con i “comportamenti” che si delineano e
denunciano gli errori teologici.
372
undicesima parte
Anche la AI infatti, pur parlando per noi in modo teologicamente chiaro con la sua denuncia di <..abbandono della
dottrina...e contesa a proposito della parusia..>(III 21,22), aggiunge, quasi a chiarimento, che <..molti.. ameranno
le cariche...(e saranno) pastori violenti ...ladri del loro stesso gregge... cupidi della gloria di questo mondo..(dediti
alla) fornicazione, alla vanagloria...con odio tra loro e gelosia..> (III 23-28).
Queste ultime parole sono in totale e significativa similitudine con quanto è nelle lettere di Giacomo e Giuda e
riprese dalla 2Pietro: una similitudine tale da vedere altissima la probabilità, che si confermerà poi con altre
considerazioni, che la “Ascensio Isaiae” nasca in un ambiente Giudeo-Cristiano strettamente legato alla comunità
“madre” Gerosolimitana che ebbe a capo Giacomo.
Dopo questo quadro generale veniamo ora a quanto il testo invece, molto chiaramente da un lato e anche più
nascostamente dall'altro, ci dice : vediamo quali conclusioni possiamo trarre da quanto con certezza il testo afferma
e vediamo ciò che a tutto questo sottostà.
ANALISI E DEDUZIONI
A)
PAOLO, PIETRO E L'ABBANDONO DELLA DOTTRINA
Anche, seppur non solo, al duro silenzio che circonda le morti di Pietro e Paolo si riferiva certamente Simone Weil
scrivendo:
< un mistero avvolge i primi tempi del Cristianesimo. Strane lacune compaiono nei testi degli storici. Analogamente
un certo numero di testi greci si è smarrito.. l'oscurità, molto probabilmente, non si produsse a caso...>
(Simone Weil, Il fardello della identità..-Medusa)
Non è un caso, ripetendo la Weil, che non ci sia detto nulla, da Luca come da altri primi Cristiani, sul come e sul
perché di quelle morti: qualora le notizie in merito fossero state ritenute incerte esse potevano esserci riferite, come
spesso avvenuto, come fatti “riportati da” e nemmeno si può pensare che non vi fosse alcuna notizia in merito, anche
questo sarebbe stato annotato e detto. Invece praticamente nulla ci è stato detto e non si può che concludere che quel
silenzio è stato “voluto”, fatto questo che non è assolutamente trascurabile.
È difficile poi pensare che nessuno in assoluto ne abbia scritto, ma questo aumenta ancor più la probabilità che una
precisa volontà abbia poi “smarrito”, con i testi greci come suggerisce la Weil, anche quei documenti.
Ma qualcosa in più, nel quadro che nasce nella AI qui sopra descritto, oggi si può vedere.
-- a1) Nella AI troviamo la testimonianza, e la conferma più importante, forte e precisa, che la figura e l'operato
di Pietro, che ha avvallato Paolo, già 40/70 anni dopo la sua morte, in ambiente Giudeo-Cristiano -sono apertamente
denunciate-: Pietro è descritto come -posto nelle mani- di “Satana-forza di separazione” ed il suo operare così è
implicitamente visto al servizio del tradimento degli insegnamenti di Gesù.
Dice il testo : <..Beliar (Satana)...perseguiterà la piantagione che i dodici apostoli del Diletto hanno piantata ed
uno dei dodici gli sarà dato in mano..>(IV 3)
Si dice poi, subito dopo, che la conseguenza di quella “persecuzione della piantagione” da parte di Beliar-Sammael,
ovvero della forza-visione-mentalità-AntiCristo, è <..l'abbandono della dottrina dei dodici apostoli..>, l'abbandono
di “insegnamenti teologici”, la “dottrina”, non di “costumi”: conseguenza sarà la “apostasia-essere lontani” da
quanto insegnato da Gesù.
Ora quell'<..uno dei dodici.. (che) sarà dato in mano (a Beliar-Satana)..>, colui che a tanto inconsapevolmente
contribuirà non può essere Giuda Iscariota il quale procura sì la morte fisica di Gesù ma non certo il suo “tradimento
teologico”, e non può essere nemmeno Paolo, che pur ne è il principale artefice come abbiamo visto, poiché egli non
è dei “dodici”.
Solo Pietro quindi può essere quel non citato apostolo: colui che era stato delegato, da parte della comunità madre
di Gerusalemme, al controllo ed alla verifica dell'operato di Paolo, controllo che egli non saprà fare perché “vestito,
in-formato” e “portato dove lui non voleva” da Paolo, come aveva visto e predetto Gesù. Pietro avrebbe seguito
l'errore di Paolo e alla fine dei suoi giorni, abbiamo visto, sarà da Giacomo e Giuda contestato ed indotto a
ravvedersi, ancora, secondo i vangeli, come previsto da Gesù: <..Simone, Simone.. Satana vi ha cercato.. io ho
pregato per te.. e tu, una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli..>(Lc 22.31.33).
Il fatto che la contestazione abbia interessato anche Pietro, assieme a Paolo, oltre che da quanto sopra lo si evince
anche da quanto riporta la Epistula Petri che, nel suo intento di riabilitazione della figura di Pietro gli fa dire :
<..Alcuni hanno cercato, quand'ero ancora vivo, di distorcere con delle interpretazioni le mie parole, come se io
avessi insegnato l'abolizione della Legge e, pur essendo di questa opinione, non l'avessi francamente detto. Ma
lungi da me una cosa simile..> (Epistula Petri 2.4)
E lo stravolgimento teologico, dice il testo della AI, sarà totale al punto che proprio <..coloro che saranno chiamati
-servitori del Diletto- lo avranno (Beliar-Satana) ricevuto..>: chi sarà chiamato e si dichiarerà “servitore del
Signore” sarà invece in realtà servitore di Beliar-Satana, dell' AntiCristo ovvero della archetipale figura che dice del,
terreno, anti-cristico spirito-forza-volontà di separazione. Tutto questo accredita pienamente quanto in questi scritti
in precedenza affermato circa la -aperta messa in discussione- di Paolo e Pietro che nasce nelle lettere
373
undicesima parte
neotestamentarie di Giacomo, Giuda e la 2Pietro: una messa in discussione, che ancora in quelle lettere sembrava
avere l'aspetto di “allarme” più che di “condanna” ma che qui, dopo non molti anni da quelle lettere, si trasforma in
aperta “accusa” di un pur involontario, per Pietro almeno, “tradimento della corretta dottrina”.
Vedremo poi qui, più sotto, come si può dire ed affermare che questa -fortissima accusa- è stata fatta, a Paolo ed a
Pietro, già quando questi erano in vita ed ancora insegnavano.
-- a2) Troviamo in AI la conferma che il contrasto tra importanti, sotto l'aspetto teologico e sapienziale, gruppi di
cosiddetti Giudeo-Cristiani e gli insegnamenti che erano a base della strutturanda Cristianità Paolino-Pietrina, è stato
un contrasto totale ed insanabile.
Verosimilmente dopo la morte di Giacomo, capo della comunità ma anche “mediatore” e referente primo e
privilegiato di Pietro e Paolo, quei sempre difficili rapporti di Paolo con la comunità “madre” di Gerusalemme
esploderanno.
Le più alte punte ed i maggiori esperti della comprensione “teologico-sapienziale” delle Scritture e di Gesù, punte di
sapienza che “per natura” sono poco inclini se non contrarie ad “organizzazioni religiose” e certo mai ne sono
fattivamente partecipi, si staccarono nettamente e “rigettarono” la nascente Chiesa di Paolo.
La rigettarono ma, certamente esigui di numero, anche -per natura- loro non la “combatterono” strenuamente: glielo
impedì quella loro comprensione e visione di Accadere ineludibile, tragico e divino al contempo, che così ci hanno
testimoniata :
- Isaia afferma che <..il disegno di Sammael a rovina di Manasse è un fatto compiuto; il resto (ogni tentativo di
opporsi -ndr) è inutile..> (I 11),
- ad Ezechia che ipotizza di uccidere il figlio Manasse per evitare i tragici destini da Isaia svelati, lo stesso Isaia
dirà : <.. il Diletto ha reso nullo il tuo piano..(che) non si realizzerà..> (I 13).
Una comprensione e visione che è la stessa che portava Parmenide (V sec.aC), nel suo poema “Sulla Natura”, a
mostrare una Dea che dopo avere istruito il discepolo sul Vero dice <.. qui pongo fine al discorso ( logos ) degno di
fede che io ti rivolgo e al pensiero che racchiude la Verità..> e, dopo avergli detto <.. da questo punto in avanti devi
apprendere le opinioni (doxa) dei mortali ascoltando l'ordine ingannatore delle mie parole..> e cioè dopo averlo
invitato a vedere come, all'errore-doxa in cui cade, l’uomo sia portato da quelle stesse ma incomprese parole di
verità, continuerà dicendo: <..anche questo imparerai: come le apparenze bisognava che fossero realmente,
pervadendo ogni realtà in ogni senso..>. (cfr M.Fattal, -Ricerche sul Logos..- pp.75,76)
Restando alla forte rottura e contrasto, molto elitaria, che si creò nella Cristianità già intorno agli anni 60, vuole
detto che questo fatto naturalmente, come visto, non impedì a che internamente alla nascente Chiesa, largamente
paolina, continuassero a rimanere importanti voci a sostegno di quella “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”
che difese la comprensione e visione teologico-filosofica del Gesù “diverso” vista in queste pagine, il Gesù
“diverso” che è sotteso a quanto dice e dichiara la AI.
Quelle voci ci saranno a lungo, come visto e seppur sempre più flebili, anche internamente al Cristianesimo nascente
che era già però molto segnato dalla “stoltezza” della gratificante e facile comprensione degli errati insegnamenti del
vangelo di Paolo, stoltezza ed insegnamenti che restarono ben radicati e che si allargheranno in fretta.
Ma le più alte punte del Cristianesimo “giudaico-ellenico”, quello che insegnava il Gesù “diverso”, già ai tempi
della “Ascensio Isaiae”, già al 100-150 dC ci dice chiaramente quel testo, avevano rigettarono e condannato
teologicamente quel movimento.
B)
L'ABSCONDITUS
Nella AI troviamo, legato a questo ultimo aspetto di comprensione dell'Accadere, la interessante e fondamentale
visione teologica del “nascondimento” del Diletto-Signore, del Figlio-Logos, un nascondimento che è segreto
infiltramento nelle schiere dell'Errore, opera “necessaria” al fine dell'annullamento dell'Errore stesso.
É questa una visione filosofica-teologica che si lega con quanto qui si è messo in luce per i testi di Daniele e della
Apocalisse di Giovanni: ciò che è Santo sarà “momentaneamente” consegnato all'Errore, all' AntiCristo, che grazie a
questo si rafforzerà e si ingigantirà ma, proprio per le apocalittiche conseguenze spirituali e materiali che così si
produrranno, l'uomo arriverà a capire e l' Errore sarà infine eliminato.
È, questa, una visione filosofico-teologica, nella AI giudaicamente mostrata e figurata, che dice sostanzialmente di
una Armonia-Karma che sempre opera per riequilibrare: dice di quella Legge-Necessità che interessa Spirito e
Materia assieme ovvero che interessa la, maiuscola, Natura di Eraclito e non solo.
É visione filosofico-teologica già vista ed espressa anche nella più antica tradizione greca, nella Iliade di Omero
secondo una tradizione di lettura allegorica che come visto era conosciuta e ci è testimoniata anche in quanto ci è
detto di Simon Mago: con la immagine del Cavallo di Troia Omero dice infatti del nascondimento-inganno che
servirà a liberare la bellissima Elena, figura della Sposa-Ruah Santa, dell'Anima universale che, rapita e chiusa, è
impedita al suo compito.
Il tema del “nascondimento” del divino, assente al Nuovo Testamento, è presente nelle Scritture in alcuni passi come
ad esempio in Dt 31,17 che recita: <..in quel giorno la mia (di Jhwh) ira si accenderà contro di lui (il suo popolo):
374
undicesima parte
io li abbandonerò, nasconderò loro il mio volto..> o in Is 8,17 che dice <..io ho fiducia nel Signore, che ha nascosto
il suo volto alla casa di Giacobbe..>. Ma è soprattutto in Isaia 45.15 che il “nascondimento” del divino si dichiara
finalizzato alla “salvezza”: qui infatti con riferimento all’operare di Jhwh nel mondo per il fine di sconfiggere <..i
fabbricanti di idoli..> e così salvare <..con salvezza perenne..> un -universale- Isra-El contrario ad Dio, è detto:
<..Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore..>.
E’ un “nascosto” operare, si dice così qui in Isaia, quello che il divino porterà avanti nel mondo e per mezzo di
“Eletti”, qui Ciro, ai fini della “salvezza” di un Isra-El qui dichiarato universale, composto dei <..superstiti delle
nazioni..>. Un universale Isra-El popolo “contrario al Dio” anche, come visto, secondo l’etimo.
Ma il tema non sarà mai analizzato in questi termini dalla cristianità ma non solo: non evidenziato il legame
“nascondimento-salvezza” in quelle parole di Isaia sarà sostanzialmente visto solo un generico riferimento alla
natura, nascosta, del divino, di Jhwh o del Padre.
Con il testo de la AI invece si ha la conferma che quel “nascondimento” è precisamente legato all’operare del divino
ai fini di una “salvezza” universale dei <..superstiti..>, ovvero di coloro che hanno saputo e potuto non morire alla
Vita a causa dell’Errore satanico, e si vede anche che quella opera è svolta dal divino a fianco di Satana, qui Beliar.
Faccio qui un breve inciso:
In questo “portarsi” da parte del divino -a fianco di Satana- con il fine di “salvare” l’umanità, un
“portarsi” che la AI dice essere una “discesa”, una discesa quindi ai luoghi di Satana ovvero al mondo
nella condizione di caduta, al mondo-tempo-condizione umana che è regno di Satana, è difficile non
vedere la origine e vera natura di quello che per la Cristianità sarà la “discesa agli inferi”di Gesù.
Una Cristianità che, così e verosimilmente, non capendo e non potendo capire stravolge il tema riportato
in una AI che riprende Daniele e Giovanni oltre al citato Deuteronomio, si porterà ad ipotizzare una
inspiegata e problematica “discesa agli inferi” del Cristo. Questo tema per la cristianità si apre con le
parole di Pietro che in 1Pt 3,18; 4,6 dice: <..Cristo..messo a morte nella carne..in spirito andò ad
annunciare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di
credere...nei giorni di Noè..>.
Di difficile interpretazione, queste parole, che anche oggi sono dichiarate “vero e proprio tormento” per
gli esegeti cristiani, hanno portato alla tradizione della pasquale discesa agli inferi da parte di Cristo nei
tre giorni prima della resurrezione. Tradizione che troviamo riportata nel tardo Simbolo Apostolico che
recita: <..Gesù Cristo..fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al cielo..>. Questione estremamente discussa per le problematicità che in essa si aprono, e variamente
e inconciliabilmente interpretata, oggi questa “discesa agli inferi” viene da autorevoli teologi anche
negata e proposta di cancellazione.
Verosimilmente, dicevo, le non chiare parole del Pietro <..popolano e senza istruzione..> non intendevano
forse altro che riportare la complessa e profonda dottrina che pochi anni dopo altri cristiani più
compiutamente, seppur sempre nascostamente, misero nel testo della AI qui in esame.
Tornando al nostro testo vediamo che il Diletto, ci viene detto, scende dal settimo cielo <..trasformandosi..> in
modo da non essere riconoscibile da nessuno : <..deve divenire simile alla figura di quanti si trovano nei cinque
cieli ..e assomigliare ..agli angeli del regno dei morti..>(X.9), dovrà quindi essere simile agli angeli di Beliar-Satana
il quale così <..sotto l'aspetto del ..re del mondo...opererà e agirà alla maniera del Diletto..>(IV.6).
Giovanni nella sua Apocalisse, similmente a Daniele abbiamo visto, parla di questo accadere dicendo di <..dieci re..
(destinati al)...potere regale..(che) per un'ora soltanto..(saranno consegnati alla) ...Bestia..> che divora l'umanità,
ed anche per quei testi questo avviene col fine di giungere alla sua, della Bestia, distruzione.
Per la AI il “nascondimento” del Figlio-Diletto è funzionale alla Sua vittoria sull'Errore, funzionale al <..rapimento,
all'angelo della morte.., del suo bottino..>(IX.16) ed all' <..annientamento del principe...del mondo e del mondo
(errato ndr) stesso..>(X.12) : è funzionale alla “apocatastasi/palingenesi - nuova generazione” di cui dice anche,
ma non solo, Gesù e della quale la AI dice pure :
<..le parole restanti della visione sono registrate nella visione a carico di Babilonia..>(IV.19).
Importantissime parole che riprenderemo più sotto.
È un “nascondimento”, difficile apocalittica dottrina, sul quale il nostro testo dice : <..il rimanente è registrato tra
le...mie (di Isaia) parole.. nel libro delle mie profezie pubbliche.. dove il Signore dice: Ecco il mio servo sarà
intelligente..>(IV 20,21).
Faccio per inciso notare che le parole di Isaia qui richiamate (Is 52.13), da TNM sono giustamente tradotte in:
<..Ecco, il mio Servo agirà con perspicacia...> mentre Cei, che non capisce, le porta ad un errato: <..Ecco il mio
servo avrà successo..>.
È “opera intelligente-perspicace” quella che, nascostamente portandosi tra le fila dell'Errore, il Diletto-Figlio-Logos
compie “divinamente”, per Jhwh: è opera che ingannando l'Errore-AntiCristo renderà possibile la sua eliminazione
ed il risanamento del mondo, come anche Isaia profetava :
375
undicesima parte
< Jhwh..sarà laccio e trabocchetto per chi abita in Gerusalemme..>(Is 8.14). <..la mia vigna..(la casa di IsraEl) ..la renderò un deserto..>(Is 5.5,6) <..ecco infatti, io (Jhwh) creo nuovi cieli e nuova terra, non si ricorderà più
il passato,.. si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare..>(Is 65.17,18)
Questo operare “nascosto e con intelligenza” da parte della “archetipale forza destra Diletto-Signore”, questo
Accadere che segretamente per l'uomo che non sa vedere, farà in modo che si approfondiscano ed aumentino le dure
conseguenze dell'errore-caduta dell'uomo affinché questi arrivi a capire e si chiuda, per sempre ci viene detto, la
forza e spinta farisaica, AntiCristica, che a quella caduta ha portato.
È un operare della Legge di Jhwh-Natura maschio-femmina o Spirito-Materia o Alfa-Omega, è operare di una Legge
divina che corregge e riequilibra gli opposti: è Armonia o Karma che vuole capito.
Abbiamo già visto che, per Daniele, per Gesù che invita a capirlo e per la Apocalisse di Giovanni ma anche
implicitamente per la Ascensione di Isaia che pone “uno dei dodici in mano a Satana”, questo operare “nascosto e
con intelligenza” è dichiarato essere -la consegna- nelle mani di quella forza e spinta AntiCristica di “separazione”,
e per un tempo limitato, di Santi e Divini “concetti e parole”: questo, sottilmente, porterà l'uomo a fermarsi ed a
vedere queste senza accorgersi che esse in realtà servono l'Errore e ne dilata i deleteri effetti.
Abbiamo già visto anche che sono principalmente le tre religioni cosiddette monoteiste quelle che usano Santi e
Divini concetti e parole che però, a causa dell'errato insegnamento dell' “io-creato”, si mutano: così aridamente
“seminati” quei Santi concetti vengono tras-posti e tra-diti, restano sterili “precetti di uomini”, precetti per un uomo
che resta “caduto” e che anzi approfondisce tale sua condizione.
Nel “nascondimento ed operare con intelligenza” qui messo in luce si vede, come detto, una dottrina, profondissima,
che, incompresa ed incompatibile con il “vangelo di Paolo” ovvero incompatibile con la paolina -e petrina- farisaica
lettura e comprensione di Gesù, ha dato via al tema cristiano della “discesa agli inferi” di Gesù che si rintraccia in
pochi passi di Paolo (Ef 4.8) e Pietro (1Pt 3.18ss; 4.6) oltre che nel citato “Simbolo Apostolico”.
La dottrina del “nascondimento ed operare con intelligenza”, è dottrina che non dice di alcun Gesù fisico o altro
singolo uomo-messia ma dice di quel Diletto-Figlio di Dio-Signore che è forza archetipale, forza destra di Jhwh, che
opera nel mondo sempre. É dottrina che parla invero anche di Gesù, ma del Gesù e di tutti coloro che come Lui si
sono portati ad “essere” quell'archetipale ed impersonale Diletto-Figlio : che si sono portati ad essere essi stessi
Diletto, Figli di Dio, come Isaia che infatti dice <..ed io devo aver parte della eredità del Diletto..> (I 13).
È dottrina di cui ci viene identicamente detto anche con altre figurazioni ed espressioni, dottrina di cui Isaia così
dice anche: <..poiché voi ( Isra-El universale popolo contrario a Dio) rigettate questi avvertimenti...ebbene questa
colpa diventerà per voi come breccia... su un muro il cui crollo avviene in un attimo, improvviso..>(Is 30.12,13).
E' per la forza stessa di quel suo “cadere” ed “errore”, dice Isaia, che l'uomo infine, ma senza che questo possa
implicitamente giustificare l'errore della “caduta”, si correggerà.
Con lo stesso spirito il Midrash Tanhuma ebraico parla della Sekinah che “salvando il popolo, salva sé stessa” che si
era “abbassata” ad abitare il popolo.
Il tema del “nascondimento” è tema che era ben presente anche agli apostoli, discusso, come meglio vedremo più
oltre, nella primissima Cristianità esso nei testi canonici Neotestamentari si nasconde dietro al tema, più
esplicitamente riportato, della <..parusia..> del Signore: “parusia” infatti è “presenza” e, più che “ritorno o
venuta” come spesso visto e tradotto, essa è “vedersi-manifestarsi”, il “rivelarsi dopo un nascondimento”, è il
“mostrarsi” di quanto sempre è stato presente, è il “ri-vedersi” Figlio da parte di un uomo prima a sé stesso cieco.
Questo dice, chiede e significa anche il “Marana tha”, il “Vieni o Signore” che era una importante esclamazione,
formula e preghiera, apostolare. Approfondiamo ora meglio questo ultimo importante aspetto, la “parusia”.
C)
LA PARUSIA
La AI, nel dirci su cosa vertevano le aspre discussioni tra le primissime comunità, ci lascia importanti parole per
approfondire la natura dell'errore che era contestato a Paolo ed ai suoi discepoli, un errore che per gli autori della AI
Pietro non saprà vedere e che avrebbe portato all' “abbandono della dottrina dei dodici”. Nel merito infatti il testo
ci dice :
<..ci sarà una forte contesa a proposito della sua (del Figlio) “parusia” e del suo avvicinarsi..>(AI III.22).
La Parusia è tema-accadere presente già nelle Scritture giudaiche: in modo letterale in Isaia 2.1-5 e Salmi 85.10-14.
Essa etimologicamente è “essere presente-presentarsi” ed è da Cei visto e tradotto, con notevole differenza
sostanziale, quale “manifestazione” ( Tt 2,13 ; 1Tim 6.14 ; 2Tim 4.1) o “venuta” ( Gc 5.7,8 ; 2Pt 1.16 ; 2Pt
3.4,12 ; 1Ts 3.13 ; 1Ts 4.15 ; 1Ts 5.23 ; Mt 24.3,27,37,39 ; 1Gv 2.28 ).
Per la Cristianità questo momento è il corporale “ritorno-venuta con potenza e gloria” di Gesù alla fine dei tempi,
momento che <..nemmeno il Figlio, ma solo il Padre..>(Mt 24.36) sa quando avverrà, dice Gesù parlando
comunque, come visto, di altro rispetto a quanto capito dalla Cristianità.
Se pur è vero che questo “momento” era da Paolo visto nei suoi primi scritti come “imminente e prossimo” (1Ts
4.16) e poi invece trasposto a “speranza prossima” ( Tt 2,13;1Tim 6.14;2Tim 4.1), è per quanto sopra (Mt 24.36)
evidentemente impossibile che quella <..forte contesa..> si riferisse ad una questione di “data temporale”.
376
undicesima parte
Le due diverse visioni della “parusia” si legano strettamente, nascono e dipendono, dalla lettura e comprensione
della figura di Gesù, dipendono dalle due diverse visioni sulla Sua figura che si vedono nelle “due fonti” di Ireneo :
da un lato la visione paolina di un Gesù “figlio unico di Dio, incarnato”, e dall'altro il “Gesù uomo come tutti”
portatosi a condizione divina, di Figlio-Logos, grazie alla “resurrezione in vita” da Lui compiuta.
La AI ci parla quindi della contesa tra una “parusia” quale “presenza-manifestazione del Logos eterno” ed una
“parusia” vista quale “seconda fisica venuta di Gesù”: una contesa quindi sulla diversa visione della figura di Gesù
che coinvolge implicitamente una diversa visione sul tipo e natura di “resurrezione” che Egli aveva insegnato:
“resurrezione-rinascita in vita” o “resurrezione fisica della fine dei tempi” .
Anche Paolo conferma che insisteva pure su questo la divergenza interna alla prima cristianità: poco prima della sua
esecuzione capitale scriverà: <..Gesù Cristo...è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo, a causa del quale io
soffro fino a portare le catene come un malfattore..>(2Tim 8,9).
Egli ribadisce che è a causa del “suo” vangelo-annuncio, che insegna la -fisica resurrezione- che ha interessato Gesù
e che interesserà tutti i cristiani, che è per questa “sua” visione che egli viene visto malfattore. E nessun altro che
importanti esponenti cristiani potevano fare questa accusa, accusa che anche in Romani Paolo dice essergli mossa.
Gli abbandoni di Barnaba, Imeneo, Fileto, Alessandro, Figelo ed Ermégene nascono da profondi disaccordi teologici
e, per alcuni sappiamo dichiaratamente, nascono dal fatto che essi <..sostenevano che la resurrezione è già
avvenuta..>(2Tim 2.17): sostenevano la “resurrezione -in vita-” di Gesù come di ogni uomo che arrivi alla Sua
stessa comprensione del divino, di Jhwh, e così si porta, in quell'oggi, alla condizione di Figlio, al Regno.
Questa visione e concetto di necessaria e dolorosa trasformazione o conversione-circoncisione di tutta la umanità era
ben presente agli apostoli come ci testimonia lo stesso Paolo con queste parole:
<..la creazione...attende con impazienza la rivelazione dei Figli di Dio...>(Rm 8.17)
<..sappiamo bene..che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto..>(Rm 8..22)
Questi sono frasi e parole che, verosimilmente in uso tra gli apostoli e in altri gruppi seguaci di Gesù per accennare a
quella Verità, Paolo non capendo -trasporterà-, come tanti altri concetti e formule, alla propria “materiale” visione,
al proprio vangelo. Confusamente mescolate in esso quelle parole di Verità non si riconosceranno: dirà infatti Paolo,
stravolgendo concetto e Verità, subito di seguito a quanto citato :
<...a voi che siete sotto il dominio ..dello Spirito... colui che ha risuscitato Gesù dai morti darà la vita anche ai
vostri corpi mortali.....( mentre )..la creazione è stata sottomessa alla caducità..>(Rm 8.20,9,10)
Ma quel “doglie e parto” e quella “rivelazione dei figli Dio” delle frasi precedenti, la sofferenza che si deve vedere
fino a che il Logos-Figlio sia riconosciuto, compreso e seguito, nella prospettiva e visione paolina della
“resurrezione corporale” non trova alcun legame razionale e quelle parole, quindi, restano senza senso e solo
possono trasmettere un vago, cieco ed irrazionale, pathos.
Il quadro delle contestazioni sugli insegnamenti di Paolo e la testimonianza dei suoi tesi rapporti con Gerusalemme
ci sono ben mostrate nelle lettere paoline ma anche dagli scritti Pseudoclementini: scritti “cristiani” nati sulle
testimonianze di un fedele discepolo di Pietro, questi da un lato espongono gli insegnamenti di Pietro con l'evidente
intento di riabilitarne una figura chiaramente contestata e dall'altro, per marcare la distanza tra questi e la figura di
Paolo principale responsabile dell'errore che veniva contestato da parte della comunità apostolare, dichiarano Paolo
quale “uomo nemico” a cui viene nel testo rifiutato il titolo di “apostolo”.
Di questa “parusia” dirà, mi piace ancora ricordare, Dante con il suo <..Veltro che verrà..e.. non ciberà (di) terra né
peltro, ma (di) sapienza, amore e virtude..>, un Veltro-Logos-Figlio che porrà fine, <..con doglia..> per l'uomo, al
dominio di una “Lupa” figura dell' AntiCristo, del Belchira della AI :
<..una lupa..bestia..di rabbiosa fame..che molte genti fè già viver grame..e ripinge là dove 'l sol tace..>,
lupa che <.dopo 'l pasto ha più fame che pria..e che s'ammoglia con molti animali..>,
una bestia che <..'mpedisce e uccide..> chi vuole salire al monte divino. (Inferno-canto I)
Visioni e comprensioni non solo di Dante, visioni e comprensioni che per millenni non si potranno liberamente e
chiaramente esporre e denunciare.
D)
L' APOSTASIA
In AI, testo sapienziale dove come sempre è per questi scritti quasi ogni parola è inserita con preciso e sempre
importante motivo, troviamo indicata l'-origine della nascita- dei “falsi profeti - pastori stolti - cattivi insegnanti
religiosi - Belchira”, di coloro che qui tradiranno Isaia, i Profeti e il Gesù-Diletto ovvero che tradiranno la Verità : ci
dice cioè, la AI, della “origine della Apostasia”.
Ci dice quale è stato ed è l'errore in cui cadranno quanti, seppur inconsapevolmente, saranno assoggettati ed asserviti
all'AntiCristo-Beliar-Satana, faranno ciò che questi vuole e così saranno essi stessi AntiCristo.
In AI troviamo indicato, come già visto e qui approfondiremo, che l'origine di quella -fine dei giusti insegnamentiche porterà all'indicibile degrado e sofferenza umana descritta in tutte le apocalissi, è l'errore-caduta che porta alla
incomprensione-negazione della “resurrezione in vita”, l'errore-caduta che non sa vedere-nega la necessità di quella
“conversione-cambiamento di mentalità-circoncisione” che è l'annullamento dell' “io”, l'uscita dall'errore-caduta.
377
undicesima parte
Da questo discende la “apostasia” ci dice la AI mettendo in luce l'aspetto della diatriba nata tra la comunità
gerosolimitana e Paolo sulla “resurrezione in vita”; e oggettivamente non si può certo non dire e vedere come sia da
quella negazione-non visione che discendono i principali errori e trasposizioni di Paolo :
- nasce da qui la trasposizione della “apocatastasi” insegnata da Gesù: il finale momento dell'universale
conversione-cambiamento di mentalità dell'uomo, da Paolo sarà trasportato alla sua già allora contestata
“resurrezione dei corpi della fine del mondo” : <..come possono dire alcuni di voi che non esiste la resurrezione dei
morti..> (1Cor 15-19) scrive Paolo con l'evidente scopo di controbattere alle accuse mosse a tale suo insegnamento.
- nasce da qui la paolina visione di un “personale-individuale portar-si al cospetto di un divino che è
antropomorfico Dio” in luogo e contro all' “annullarsi -nel- divino-Vita di ogni singolarità” di cui dicono le
Scritture e Gesù anche con le allegorie del “passaggio al deserto”,
- nasce da qui la visione “lineare ed individuale” della storia in contrapposizione a quella “circolare del Tuttodivino divenire” che nessun “io” può vedere.
- nasce da qui la negazione del possibile evento della “reincarnazione”, evento di cui Gesù, come visto in
precedenza, ha invece parlato.
- nasce da qui il trasporto di un divino, Jhwh, che per Gesù è un filosofico “Padre” ovvero è ciò che “infonde sé
stesso all’uomo ed al creato”, ad un antropomorfico “Dio che crea”.
Vediamo ora dove e come ancora, oltre a quanto detto al punto C) , la Ascensione di Isaia, dichiara che “la
apostasia, e l'abbandono della dottrina dei dodici,” si mostrano nella incomprensione della “resurrezione in vita”:
-- d1) Dice il testo che la morte di Isaia avverrà per il fatto che: <..Belchira...denunziò Isaia..(per avere) osato
dire: “Ho visto Dio, ed ecco che sono Vivo”, mentre Mosè ha detto: “..nessuno che ha visto Dio è rimasto vivo”..>.
Questa -ingiusta ed errata- accusa grazie alla quale, sottende il testo, si uccide il profeta ovvero la profezia-giusto
insegnamento, è formulata da “falsi profeti-Belchira”, i “pastori stolti” dirà Zaccaria, che non capiscono e non
vedono che quelle due asserzioni non sono in contrasto: essi non vedono-capiscono che il processo umano di
“visione-comprensione del divino”, la “conversione-cambio di mentalità” che è “resurrezione-rinascita in vita”, è
infatti un processo che che trasforma l'uomo portandolo -ad un tempo- ad essere “Vivo”, ovvero “portato inesistente
in sé all'Eterno-Tutto”, e “morto” “quale uomo-adam o io-materialità”.
Non capiscono, i falsi profeti, il processo che è -al contempo- “morire e Vivere” che è la “resurrezione in vita”
insegnata da Gesù, Profeti e Torah, per il mondo giudaico. Falsi profeti, “stolti”, sono coloro, anche in AI è detto,
che -non capiscono ed insegnano l'errore- portando così alla morte del giusto insegnamento.
Essi non capiscono poiché restano ad una lettura esegetica delle Scritture e ad una comprensione del divino che è
“farisaica”, una lettura ed incomprensione di “separazione” che come visto è rimasta pienamente, seppur in diverso
grado, in tutte e tre le cosiddette religioni monoteiste.
-- d2) Il testo ci sottolinea anche che la giusta profezia, Isaia come pure <..i profeti..e molti fedeli ..> del DilettoGesù, <...credevano nella ascensione al cielo..> (III 9).
Ora, questa generica e quindi in-individuale “ascensione al cielo” in cui credono i Profeti e chi segue-capisce Isaia
ovvero il giusto profeta-insegnante, non può che riferirsi ed essere quella “elevazione dell'uomo-uscita dalla cadutaconversione-morte all'io” che è, come ha insegnato Gesù, la “resurrezione in vita” che ogni uomo deve compiere e
che dovrà infine vedere l'umanità intera nella “apocatastasi-nuova generazione”.
Non può che essere quel “cambiamento di mentalità” che riporta l'uomo alla “nudità” edenica in cui vive il giusto
profeta: dice infatti ancora la AI che tutti i profeti con l'avvento di <..Beliar.. angelo dell'ingiustizia.. padrone del
mondo presente..>(II 4), <..si ritirarono..sul monte...(ed) erano nudi..>.
-- d3) Nasce a questo punto necessaria una constatazione. La accusa di “apostasia” che gli Ebioniti, seguaci di
Gesù, hanno formulato nei confronti di Paolo, nasce certamente anche dalla consapevolezza di quanto sopra detto e
dalla constatazione che Paolo, sappiamo bene, non aveva capito e “non insegnava” quella “conversioneresurrezione in vita” che la AI, come qui visto, mette alla base della “apostasia”.
Ma anche internamente alla Cristianità Paolo era accusato di questa mancata comprensione e di -non insegnare- quel
“necessario compito” dell'uomo : sono accuse che, vedremo approfonditamente qui sotto, si rivelano e ci sono
testimoniate nascoste dietro e dentro a quel lungo dire e scrivere che Paolo stesso farà sulla “circoncisione”.
CONTESTAZIONE ED ALLONTANAMENTO DI PAOLO E PIETRO
La AI ci permette da un lato, come visto, di trovare pienamente confermato quanto detto e visto in questi scritti sul
Gesù “diverso” e su Pietro e Paolo ma, dall'altro lato, ci permette anche di aprire nuove fondate ipotesi sulle morti di
entrambi, ci permette di aprire un varco nel buio che le circonda.
Con la AI infatti si rende necessaria una rilettura e riconsiderazione di alcuni documenti canonici, le lettere di Paolo
ai Romani ed ai Galati in particolare, nei quali possiamo oggi trovare la “testimonianza” che la -forte messa sotto
accusa- di Paolo, e Pietro con lui, è avvenuta quando questi erano ancora in vita, quando ancora insegnavano.
378
undicesima parte
AI ci spinge così a riflettere sul muro di silenzio che sulle loro morti è stato creato: l'ipotesi che la loro morte, e
quella di Paolo in particolare, sia avvenuta anche, seppur non solo, per l'abbandono di essi al proprio destino da
parte di importanti, ché non potevano che essere tali, personalità della prima apostolare cristianità, con la AI è
ipotesi più certa che verosimile. Vediamo il perché concentrandoci prima su Paolo e poi su Pietro.
= PAOLO
-- 1 ) Tra i documenti da riconsiderare il primo è la “lettera ai Romani”, lettera nella quale Paolo scrive un
problematico :
<..(7) Ma se per la mia menzogna la verità di Dio risplende per la sua gloria, perché dunque
sono ancora giudicato come peccatore ? (8) Perché non dovremmo fare il male affinché venga il bene, come
alcuni -la cui condanna è ben giusta- ci calunniano dicendo che noi lo affermiamo ?.. > (Rm 3.7,8 Cei)
Paolo qui parla di se e ci dice in sostanza che “non pochi importanti Cristiani”, ché non se ne sarebbe occupato e non
ne avrebbe scritto se si fosse trattato di figure marginali per numero o importanza, gli contestano di insegnare, con il
“suo vangelo”, <..menzogna..e male..>.
Ora in quella “menzogna e male” che, è detto, fa “mostrare-risplendere la verità“, non si può non vedere la
“apostasia-male” che con indicibile sofferenze spirituali e materiali porterà infine alla “parusia-manifestazione”,
porterà l'umanità a vedere il Diletto-Logos-Figlio e quindi la “Verità gloriosa” ovvero la visione-comprensione
luminosa e chiara del divino, del Dio, dell'Assoluto !
A Paolo, ci dicono quelle sue parole, era contestato di essere parte e di contribuire a quella forza AntiCristica, a quel
<...uomo iniquo, figlio della perdizione..mistero della iniquità già in atto..>(2Ts 3-7), che è intuizione e visione
centrale della apocalittica, giudaica qui ma non solo giudaica.
Comprensione e visione del mondo e del divenire che già era così visto nelle Scritture e di cui, con il passo citato di
2Ts dice lo stesso Paolo ma senza “capire” di cosa si tratti, senza avere chiara la visone del -come e perché- essa si
produca, senza comprenderla a fondo come invece con evidenza sapevano fare quantomeno alcuni dei veri apostoli,
coloro che lo contestavano.
Paolo dirà di questo apocalittico Accadere, ma senza chiarire né spiegare, in particolare nella citata 2Tessalonicesi :
una lettera prevalentemente centrata su questo tema e con evidenza motivata dal fatto di dovere replicare alla accusa
di “apostasia”, un'accusa che coinvolge pure come visto il tema della Parusia sulla quale infatti Paolo farà questa
messa in guardia, tesa anch'essa a delegittimare quelle voci e accuse: <...riguardo alla parusia del Signore.. non
lasciatevi così facilmente confondere e turbare… nessuno vi inganni in alcun modo..> (2Ts 2,1-3).
Paolo dirà sì di quell'accadere “mistero della iniquità” ma senza capire: fermo nel farisaico-separatore errore dell'
“io” non saprà portarsi a quella visione e comprensione del “divino”, del “Ihwh-Padre diverso” in queste pagine
messo il luce, che gli avrebbe permesso di “capire” : una comprensione e visione patrimonio della “vera-autentica”
filosofia: patrimonio delle Scritture giudaiche come della letteratura sapienziale di quasi tutto il mondo antico,
quello Egizio, il Sumero, l'Indo-Ario, il Greco e certamente non solo.
Paolo parlerà di quell'accadere nella 2Tessalonicesi ma, come visto con le parole sopra riportate, ne parlerà anche
nella lettera ai Romani, una lettera considerata tra le più difficili di Paolo e, in questo suo dire in particolare,
largamente -non capita-:
i versi 3.1-8, informa J.A.Fitzmyer nel suo “Lettera ai Romani..”, da alcuni studiosi sono considerati <..una
disgressione..> (Black, Dodd, Kasemann) mentre per altri sono <..versi mancanti di unità e coesione..>
(Bornkamm). Per Agostino poi il sopracitato passo 3.8, come anche 3.28 e 5.20 sempre di Romani, sono <..opinioni
poco chiare... non comprese nemmeno ai tempi apostolici..> .
Spaventosa leggerezza, visto il compito che Agostino si darà, ma anche, a mio avviso, ciò che di più onesto nel
merito ci viene dalla Cristianità detto: niente di meglio, restando nell'ambito del rigore logico e della rigida
razionalità, gli esegeti cristiani hanno saputo darci sui passi di Rm 3.7-8, passi che spesso nelle analisi sono
semplicemente ignorati, a volte alterati, altre volte indebitamente legati e portati a quanto Paolo scrive vari capitoli
più oltre o ad altro ancora.
Quelle righe invece vanno capite, e vanno risolte e comprese all'interno del discorso e ragionamento fatto appena
prima di esse da Paolo, questo giustamente dice anche J.A.Fitzmyer nel testo citato salvo poi però tirare in ballo una
<..infedeltà di Davide..> di cui, io almeno, non vedo lì traccia alcuna.
Vale la pena, qui perciò, approfondire quei passi di Romani e lo faremo allargando l'analisi alle righe 3-6 e
seguendo, per le sole righe 7 e 8, la traduzione fatta nel già citato “Nuovo testamento interlineare” su testo greco
Nestle-Aland 1993, una traduzione quindi più vicina ai testi originali:
< (3)..se alcuni non hanno creduto, la loro incredulità può forse annullare la fedeltà di Dio?
(4) Impossibile! Resti fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore....(5) Se però la nostra ingiustizia mette in
risalto la Giustizia di Dio, che diremo? Forse che è ingiusto Dio quando riversa su di noi la sua ira...?
(6) Impossibile.. (7) Ma se a motivo della mia menzogna la verità di Dio ha abbondato per la sua gloria,
perché sono io ancora giudicato come peccatore ?
379
undicesima parte
(8) E (perché) non (dire), come veniamo oltraggiati e come dicono alcuni (che) noi diciamo: facciamo il male
affinché venga il bene ?..> (Rm 3.3-8)
Parole gravissime queste ultime (rigo 8), indicibili ed insensate con le quali, data la incomprensione da parte del
contesto apocalittico in cui nascono le accuse rivoltegli, egli si porta ad avvallare il proprio operato affermando, pur
se in forma interrogativa, che “si deve fare il male” visto che esso è propedeutico al Bene.
Vediamo le note che si possono e devono fare su questi passi di Paolo ricordando prima, giacché importante alla
analisi da fare, che:
-- la “fedeltà” è quella di Dio rispetto alla “alleanza” ed essa dice dello -stabile ed universale legane tra l'uomo ed
un divino che a lui non è pienamente visibile-, è condizione di relazione e dice della insolvibilità di quel rapporto ma
non del come si attui quella relazione e legame.
-- la “Giustizia”, divina, la “dikaiosyne teoy”, come ben visto oggi dai moderni interpreti secondo quanto dice
J.A.Fitzmyer (op. cit. pp 309-315), <..descrive non tanto l'essere di Dio quanto piuttosto la sua attività di
salvatore..> ossia è -azione e forza che tende e porta alla correzione e giustificazione dell'uomo-, è l'opera
Armonico-Karmica che l'uomo deve saper vedere, e che a lui si mostra, al fine della propria correzione.
-- la “Verità” è l'essere del Dio, del divino, è la sua essenza visibile all'uomo, è ciò che del divino può arrivare a
vedere-capire, e dire, l'uomo.
-- la “Gloria” è, sopratutto, quella divina, il “risplendere, il massimo mostrarsi del divino all'uomo”, ad un uomoumanità che così vedrà anch'essa la propria gloria. Sulla gloria vuole notato però che Paolo vedrà farisaicamente ed
anche questo gli impedirà di capire : egli ci parla in particolare, circa 15 volte nelle sue lettere, di una “gloria” personale del cristiano- ovvero di colui che <.. cerca gloria, onore e.. vita eterna.. perseverando nel bene..>(Rm
2.6). Una gloria che così, sua di Paolo la prima, è “premio all'io” ovvero è la conquista e l'approdo di una ben poco
mascherata -vanità- all' “io” insita. Ma anche, rispetto alla “gloria divina”, vuole tenuto presente che Paolo trova
che questa -può e deve essere a Dio “data” dall'uomo- :
<..(Giudei e Greci) sono inescusabili perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria..>(Rm 1.21)
<..Abramo...si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio..>(Rm 4.20)
-- la “ingiustizia” e la “non credenza” sono l'essere dell'uomo nell'errore, il suo essere lontano dal “regno”,
lontano dalla comprensione e visione del divino.
-- la “menzogna” sono le azioni e gli insegnamenti, compiuti da parte di chi è nell'errore, che portate fuori dalla
sfera individuale inducono e portano anche il prossimo all'errore. È quell'opera contro la quale Gesù si scaglierà
dicendo: <..Guai a voi..(dottori della legge) che chiudete il Regno dei cieli davanti agli uomini...e non lasciate
entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci..>(Mt 23.13).
Pertanto se è vero che la “menzogna” presuppone la “ingiustizia” è altrettanto vero che la “ingiustizia” non è
“menzogna” e le due cose non devono confondersi.
-- il “male” è termine generico col quale si può intendere sia la “ingiustizia” che la, diversa abbiamo visto,
“menzogna”. Sarà il contesto della frase e discorso che caratterizza il termine in sé generico.
Passiamo ora alle note.
a) Paolo, forse inconsapevolmente, induce e porta chi legge e quindi anche se stesso, sottilmente e senza
esplicitarlo, a vedere in modo sbagliato per e col fine di potere giustificare il proprio operato ed insegnamento:
-- dapprima, con le righe 3 e 4, egli equipara erratamente la “non credenza” e la “menzogna”;
-- poi, nel rigo 5, Paolo prima legandosi a quanto precede con il suo <..Se però..> di apertura e poi con una
<..ingiustizia..> che richiama e si lega alla <..non credenza..> sempre del rigo 4 precedente, porta a confondere
erratamente la “fedeltà di Dio” con la “azione di giustizia di Dio”.
-- con il rigo 7 infine Paolo, grazie alle sottili con-fusioni operate, si porta alla propria difesa legando questa, ma
senza titolo effettivo, agli enunciati appena fatti. Senza titolo effettivo poiché egli qui parla di aspetti nuovi, dice di
“menzogna”, “gloria” e “verità” ma in realtà, sotterraneamente con un parallelismo improprio, egli finisce per
mettere assieme “menzogna e non credenza”, “gloria e giustizia”, e “verità e veracia”: fattori tutti però non
equiparabili.
Paolo così pone legami impropri ed errati che, con quanto prima detto, portano a fare questo assurdo ed irrazionale
ragionamento:
““così come (giustamente) la “non credenza” dell'uomo lascia intatta la “fedeltà di Dio”, e così come (ancora
correttamente) la “ingiustizia” umana mette in risalto la “azione di giustizia” divina, così (di conseguenza
giustamente, Paolo fa intendere) la “menzogna” dell'uomo mostra la “verità” di Dio””.
Ragionamento irrazionale ed improponibile poiché compiuto con parallelismi impropri di discorsi tutti diversi e
slegati: se sulle prime due proposizioni un labile legame, comunque insufficiente a legittimare parallelismi, si
potrebbe forse anche trovare, nessun legame si può trovare tra queste e la terza proposizione.
Un orrore, più che errore, logico e razionale.
-- questo errato ragionamento è poi nel rigo 8 utilizzato da Paolo, consapevolmente riprendendo il tema della
“menzogna” del rigo 7, per legittimare il “male-menzogna” che egli è accusato di “compiere-insegnare”. Una
legittimazione quindi falsa, basata su un errore.
380
undicesima parte
b) Ulteriore evidenza e conferma di quanto sin qui detto è la messa in campo al rigo 7, affiancata alla “verità”, di
una -non ancora citata- in precedenza“gloria divina”. Questa messa in campo è importante poiché ci dice e ci
mostra della -natura- della accusa che gli era posta, accusa che, col rigo 8 successivo, egli poi confuta.
Nel contesto del discorso che qui Paolo sviluppa la “gloria divina” mette in evidenza che egli era accusato :
di essere parte e partecipare ad una “Apostasia” che solo con, per e grazie a grandi disastri spirituali e fisici,
permetterà la “Parusia-manifestazione” del Figlio-Logos alla umanità,
una manifestazione che porterà con sé da un lato la fine della Apostasia e dall'altro la “piena visione” da parte
dell'uomo, l' <..abbondare..> nel mondo, della <..verità di Dio..> :
la “luminosa-gloriosa pienezza” del divino all'uomo, <..la sua gloria..>.
Paolo, impegnato a sostenere e diffondere il “Suo” vangelo, non capisce l'intuizione, idea e comprensione, che è al
centro di questa “visione apocalittica”, non sa vedere alcun legame tra ciò che egli insegna ed i disastri “apocalittici”
e così quelle gravissime accuse di cui è oggetto per lui non saranno altro che una marginale, da lui comunque
incompresa, accusa di “..menzogna ( per e grazie alla quale ) la verità di Dio ..abbonderà per la sua gloria..”.
Per lui si tratta, ma non capisce come e perché avvenga, di un -innocente ed involontario errare- che vuole
positivamente guardato poiché porta infine a mostrare la strada per il bene.
c) L'accusa di cui è oggetto Paolo è, abbiamo detto e Paolo stesso seppur confusamente dice, quella di “compiere”
il <.male..> “insegnando” la <..menzogna..> (righe 8 e 7). Della accusa di “compiere il male” egli dice con quel
suo <..E (perché) non (dire)..: facciamo il male...> a cui Paolo aggiunge la seconda accusa fattagli <.. la mia
menzogna... come dicono alcuni...> .
d) La strumentalità dei passi qui presi in esame, tutti funzionali e tesi come detto alla personale difesa di sé, è
denunciata da Paolo stesso: poco prima, nella stessa lettera ai Romani, egli in contraddizione con la affermazione del
rigo 7 che dichiara che la “menzogna rende abbondante Verità e Gloria divina” dice:
<..le ingiustizie degli uomini -soffocano la verità- nell'ingiustizia..>(1.18), <..si -cambia la verità- di Dio con la
menzogna..>(1.25), <..-resistono alla verità- obbedendo all'ingiustizia..>(2.8), <..Giudei e Greci..(ovvero coloro
che errano-mentono ndr) -non hanno dato gloria- a Dio..>(1.21).
e) Una ulteriore conferma a tutto ciò ritengo si possa vedere infine anche nelle parole di Paolo del capitolo 7
sempre di Romani. Qui egli fa un aggrovigliato e patologico discorso su “legge e peccato” nel quale con una autogiustificazione di <..passioni peccaminose ..e la concupiscenza..> vissute in passato, ritorna seppur lateralmente
rispetto alle accuse a lui rivolte, sull’argomento del “involontario compiere il male”:
<..sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne.. non quello che voglio (il bene) io faccio ma
quello che detesto (il male)...(ma) non sono più io a farlo (il male) ma il peccato che ( nella carne) è in me..
..sono sventurato! Chi mi libererà..?..> (Rm 7.14-24)
Qui Paolo pur non riferendosi alle accuse ricevute di “fare il male e insegnare menzogne” ma parlando di un
“peccato che è nella carne” che lo porta “contro la sua volontà” a fare il male, si porta ad una auto-assoluzione che
facilmente porta chi legge ad assolverlo e considerarlo non responsabile anche rispetto alla importante accusa di cui
ha detto in Romani 3.
La lettera ai Romani è lunga e complessa e non può esser qui interamente risolta ma, una volta compreso quale è
l'ordine di accuse fatto a Paolo, accuse che AI attesta, si vede che in quella lettera oltre alla “conferma del -suovangelo” che sempre si trova nei suoi scritti, molto è unicamente teso alla propria e personale, di Paolo, difesa: si
vede che in larga parte il suo demolire e condannare il Giudaismo, fatto nel suo stile di maestro al contempo severo e
paternalistico ma sempre confusamente irrazionale, in realtà risponde al suo primario bisogno di delegittimare quei
Cristiano-Giudei che lo stanno accusando della peggiore delle condotte: il tradimento della Verità e l'accrescimento e
lo sviluppo del male. Il bisogno di delegittimare, propizio alla sua difesa, quei cristiani che a Roma erano presenti
da tempo assieme a quel Simon Mago che vedeva lo stesso Gesù “diverso” che essi insegnavano: i giudeo-cristiani
seguaci di quella seconda “fonte” di cui ci dice Ireneo, la “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica” di cui
abbiamo detto in precedenza su queste pagine. Una delegittimazione che è il vero scopo di quella lettera e che è
portata assieme alla conferma del “suo” vangelo, il <..vangelo che -io- annuncio..>(Rm 16.24) dice Paolo, che così
anch'esso esce rafforzato assieme alla sua, di Paolo, “autorità”.
-- 2 ) Un altro importante documento da riconsiderare è la “lettera ai Galati”. In essa troviamo la conferma che
anche internamente alla Cristianità, e non solo fuori di essa nei vari movimenti oggi negativamente detti “gnostici” e
comunque legati a Gesù, Paolo fosse da vari ed importanti esponenti contestato per il suo “errato insegnamento e
stravolgimento” di quella “resurrezione in vita-conversione” che, come visto, la AI mette a base della “apostasia”.
Una “resurrezione in vita-conversione” che in ambito antico testamentario era vista simboleggiata nella
“circoncisione” ed è Paolo stesso che ci attesta questa accusa quando dice :
<..quanto a me..se io predico ancora la circoncisione, perché sono ancora perseguitato? È dunque annullato
lo scandalo della croce?..>(Gal 5 11)
381
undicesima parte
Paolo qui con evidenza non parla della circoncisione “fisica”: questa era stata sicuro oggetto di quella prima
discussione e chiarimento con Gerusalemme che aveva portato alla decisione di non imporre la circoncisione fisica,
appunto, ai pagani. Questo era per tutti un argomento chiuso, anche se tra coloro che erano legati alla apostolare
Chiesa madre di Gerusalemme qualcuno certo poteva ancora continuare a suggerirla e non certo ad imporla, e non
era certamente questo che Paolo poteva “predicare ancora”.
Ma allora a cosa ed a quale dottrina si riferisce qui Paolo dicendo che egli la “insegna ancora” ma che invece
alcuni, importanti cristiani ripeto, gli contestano di -non insegnarla-?. È dottrina, ci dice lo stesso Paolo, che egli
vede assorbita, inglobata e superata al contempo, da quello <..scandalo della croce..>, la “salvezza come grazia”,
che è il “suo”, di Paolo, vangelo.
Paolo quindi confusamente afferma di insegnare <..ancora..> la “strada per la salvezza”, ma la “salvezza per mezzo
della croce” che egli insegna non è per niente, come egli invece così sottesamente dice, la “salvezza per la
circoncisione spirituale”, non è la circoncisione <..non visibile nella carne...quella interiore...del cuore, nello
spirito..>(Rm 2.28,29) che gli viene contestato di non predicare ed insegnare.
È completamente diversa da questa la “salvezza” che Paolo propone ed insegna: <..noi predichiamo Cristo
crocifisso..>(1Cor 1,23) , <..il pensiero.. che egli (Gesù) è morto per tutti..e tutto questo viene da Dio che ci ha
riconciliati con sé mediante Cristo..>(2Cor 5.14-18) è il suo insegnamento. Ed è questo che gli viene contestato, gli
si contesta di insegnare insegnare la “sua-nuova” dottrina che vede nella “croce”, nella morte di Gesù, il gesto che salva l'umanità-, dottrina lontanissima dalla “circoncisione-conversione-cambio di mentalità” che chiede all'uomo di
morire all' “io-materialità” per “rinascere-resuscitare da vecchi, in vita” sottolinea Gesù, dottrina che è in una Torah
correttamente letta e che Gesù ha messo in luce.
Con la affermazione <..io predico ancora la circoncisione..> Paolo dice di predicare una -circoncisione- che egli in
realtà non ha mai conosciuto né insegnato: quel processo, nell'Antico Testamento espresso simbolicamente nel
segno della fisica “circoncisione”, che è la “resurrezione in vita” chiesta da Gesù, la “morte all'io” che è passaggio
alla Vita e che è la “melete thanatou” socratica, la nascita del vero-autentico filosofo ovvero del Figlio di Dio.
E' questa dottrina che alcuni importanti esponenti, non può essere diversamente, della Cristianità, contestavano a
Paolo di -non insegnare-; Paolo infatti insegnerà l'opposto, insegnerà l' “io” che si vuole anche fisicamente salvare e
non certo morire.
Si spiega così anche la assillante insistenza di Paolo sul tema “circoncisione”: pur argomento discusso e chiarito a
Gerusalemme, Paolo strumentalmente lo mette continuamente in campo nelle sue lettere, in Galati ma non solo, al
solo scopo di delegittimare e mettere in cattiva luce gli insegnamenti di coloro che predicavano un “Gesù diverso”
ed un vangelo-annuncio diverso dal suo: allo scopo di delegittimare la apostolare e gerosolimitana “ fonte filosofica
giudaico-enochico-ellenica” della Cristianità.
Paolo, ci fanno vedere e concludere queste considerazioni, nelle sue lettere ha attaccato la “circoncisione fisica”,
argomento già invece ben chiarito, con il solo voluto e cercato scopo e fine di contestare il vero, profondo, autentico
e non farisaico insegnamento della “circoncisione dello spirito” che altri cristiani insegnavano:
<..non è la circoncisione che conta o la non circoncisione..>(Gal 5.6), <..se vi fate circoncidere, Cristo non vi
gioverà nulla..sarete obbligati ad osservare..sarete decaduti dalla grazia...>(Gal 5.2-4)
Ancora un subdolo modo, e non credo inconsapevole, per ingannare e portare a seguire il “suo” vangelo, per portare
acqua al mulino di quel suo “io” gigantesco ed enochico che di quella -sua- opera aveva bisogno per “vantarsi”
davanti a Dio:
<..voi siete la mia speranza, la corona di cui mi potrò vantare davanti al Signore..> (Col 2.19)
Modo subdolo ma anche efficace visto che ancora oggi leggiamo e capiamo come Paolo voleva vedessimo e
capissimo.
-- 3 ) Paolo, che non ha mai avuto buoni rapporti e che ha sempre criticamente parlato della comunità di
Gerusalemme, ci testimonia lui stesso che negli ultimi tempi soprattutto, ma non solo, egli vede molti allontanamenti
e contestazioni dovuti a -disaccordi teologici- legati al tema della “resurrezione”; disaccordi che verosimilmente
erano alla base di quei suoi cattivi rapporti e contrasti con Gerusalemme. Dice Paolo:
< ..come possono dire alcuni tra voi che non esiste resurrezione dei morti ? ..> (1Cor 15-12)
<..professando..la cosiddetta scienza.. taluni hanno deviato dalla fede..>(1Tim 6.20)
<..Timoteo.. combatti la buona battaglia.. perché alcuni..l'hanno ripudiata..tra essi Imeneo e Alessandro, che ho
consegnato a Satana..)(1Tim 1.18)
<..tutti quelli dell'Asia, tra i quali Figelo ed Ermègene, mi hanno abbandonato..>(2Tim 1.15)
<..Imeneo e Fileto.. hanno deviato dalla verità, sostenendo che la resurrezione è già avvenuta..>(2Tim 2.17)
<..nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno abbandonato..>(2Tim 4.16)
Paolo stesso, come appena visto con i passi che qui riporto nuovamente, ci testimonia di essere stato -nel meritosoggetto a forti contrasti e contestazioni:
<..se io predico ancora la circoncisione (il cambiamento di mentalità-conversione ndr), perché sono tutt'ora
perseguitato? È dunque annullato lo scandalo della croce?..>(Gal 5.11).
382
undicesima parte
<.. se per la mia menzogna.. perché dunque sono ancora giudicato come peccatore?..>(Rm 2.7).
Contrasti e contestazioni che come visto interessavano, possiamo dire con ancor maggiore certezza grazie alla AI,
dei “fondanti temi”, delle “fondanti letture e comprensioni” delle parole e della figura di Gesù.
Abbiamo anche già visto che sin dagli inizi il suo insegnamento ha visto perplessità e contrarietà :
<.. Barnaba voleva prendere anche Giovanni, detto Marco, ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che
si era allontanato da loro...e non aveva voluto partecipare alla loro opera. Il dissenso fu tale che si separarono..
Barnaba.. (andò) con Marco..Paolo invece scelse Sila..>(At 15.37-40)
-- 4 ) In Atti Luca chiude il suo dettagliato racconto della vita di Paolo subito dopo avere esposta la profezia che
Agabo aveva fatto su lui dicendo semplicemente che Paolo, a Roma, <..trascorse due anni interi nella casa che
aveva preso in pigione...insegnando le cose riguardanti il Signore, con tutta franchezza e senza impedimento..>(At
30.30,31). Questo ci fa dire:
- da un lato che facilmente sarà dopo quei due anni che Paolo vedrà quella morte che il “ verace” profeta Agabo
aveva preannunciato;
- dall'altro Luca, dicendo che Paolo ha continuato ad insegnare “con franchezza ed in libertà”, ci conferma, in
combinato con quanto visto sopra, che era stato messo in discussione e cercato di impedire il suo insegnare.
Se infatti sulla “libertà” si potrebbe restare nel dubbio che questa fosse riferita a possibili restrizioni romane, il
termine “franchezza” ci togli ogni dubbio: Paolo, per Luca, insegna “francamente” ovvero -senza nascondere o
cambiare nulla- di quello che è sempre stato il <..suo vangelo..>.
E solo dei cristiani allora importanti, non può essere diversamente, potevano cercare un suo silenzio o un suo
cambiamento su quantomeno alcuni importanti aspetti dei suoi insegnamenti.
-- 5 ) Paolo stesso ci dice: <..nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno
abbandonato..>(2Tim 4.16) e, nel quadro sopra descritto di forte messa in discussione dei suoi insegnamenti,
verosimilmente anche in seguito così è stato e questo non può non avere contato sull'esito del processo che ha
dovuto affrontare.
L'ipotesi che Paolo sia morto assieme ad altri durante la persecuzione neroniana del 64, dopo l'incendio di Roma, è
priva di solide basi e pura ipotesi mentre il fatto che egli fosse sotto processo, per le accuse a lui fatte dai Giudei, è
accertato da Atti: nel 58 circa avviene, a seguito di queste accuse, l'arresto di Paolo cui seguono due anni di
prigionia a Cesarea ed il successivo spostamento a Roma dove per altri due anni egli resterà <..abitando per suo
conto (in casa presa a pigione) con un soldato di guardia..>(At 28.16-30).
Qui, al 62-63, finiscono le nostre certezze, dopo di ciò sappiamo della sua decapitazione, eseguita sotto Nerone, ma
non altro sappiamo, né date esatte, né motivi precisi, né esattamente per intervento di chi ma altissima è la
probabilità che essa sia stata eseguita a seguito del processo.
-- 6 ) Il fatto che nessun cristiano si sia presentato al processo in sua difesa non fa che confermare la ricostruzione e
lettura qui fatta sui gravissimi dissidi e sull'allontanamento di Paolo, ricostruzione che si conferma anche con ciò che
ci dice la sicuramente autentica lettera che Clemente, primo vescovo di Roma eletto, secondo Tertulliano, proprio da
Pietro, scrisse ai Corinzi sicuramente prima del 70.
In questa lettera Clemente, sicuro testimone dei fatti, in contrasto con il quadro un po' idilliaco che lascia
intravvedere Luca, dice: < Pietro, per iniqua “invidia”, non uno o due, ma molti travagli sostenne...e Paolo, per
“uguale invidia”, sostenne il combattimento del silenzio >.
Luca quindi, fedele discepolo di Paolo, dicendo come visto che questi insegnava <..in franchezza ed in libertà..>
intendeva negare quanto “si diceva e sapeva”, ovvero intendeva negare il <..silenzio..> a cui Paolo era stato
sottoposto da parte di importanti, non poteva essere diversamente, personalità cristiane.
Altrettanto importante poi, nelle parole di Clemente, è la dichiarazione che Pietro e Paolo “per invidia” hanno
sostenuto “molti travagli”: non dei Romani la “invidia” poteva essere ed i Giudei piuttosto “riprovazione ed astio”
potevano provare; “invidia” invece, -agli occhi- di Clemente affezionato discepolo di Pietro e suo fautore ai limiti
della adulazione stando alle Pseudoclementine, poteva essere unicamente il sentimento che provavano quei cristiani
che criticavano il suo grandissimo maestro Pietro.
= PIETRO
-- 7 ) Fu soprattutto Pietro, incaricato da Giacomo del controllo di quanto avveniva fuori Gerusalemme ma finito
soggiogato dalla personalità di Paolo e da lui “cinto-vestito” teologicamente come previsto da Gesù (Gv 21.1-18), fu
soprattutto lui che difese l'operato di Paolo fino all'ultimo e ne salvò il lavoro ma alla fine, viste le ormai apertissime
contestazioni che anche Giacomo a Gerusalemme faceva a Paolo, pur non capendone i termini cercò di rimediare.
Rimediò, verosimilmente quindi sollecitato a farlo, con la sua 2Pt copiando la lettera di Giuda per evitare nuovi
errori e, oltre a questo, non seppe fare altro che aggiungere quel suo comunque importante: <..(nelle lettere di
Paolo).. ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli incompetenti e gli incerti le travisano, al pari delle altre
Scritture, per loro propria rovina. Voi..avvisati prima, state in guardia..> (2Pt 3.16,17)
383
undicesima parte
-- 8 ) Che la contestazione abbia interessato anche Pietro, oltre a Paolo, lo si evince da altri fatti oltre a quanto
visto in AI e quanto dichiarato da Clemente. Dell'apostolo < senza istruzione e popolano > (At 4.13) abbiamo già
visto le sue difficoltà a capire Gesù testimoniate in molti passi: primo fra tutti il suo allontanamento da Gesù quale
<..Satana..> e da ultimo quanto detto e visto sulla sua seconda lettera. In merito alle lacune ed agli interrogativi
sulla figura di Pietro aggiungerò qui pochi altri punti, alcuni molto importanti :
- la già citata Epistula Petri nel suo intento di riabilitazione della sua figura fa dire a Pietro: <..Alcuni hanno
cercato, quand'ero ancora vivo, di distorcere con delle interpretazioni le mie parole, come se io avessi insegnato
l'abolizione della Legge e, pur essendo di questa opinione, non l'avessi francamente detto. Ma lungi da me una cosa
simile..> (Epistula Petri 2.4)
- un altro importante fatto, in questo contesto di analisi, è la notizia che abbiamo sulla sua morte: è Pietro, ci viene
detto, che chiede di essere crocifisso a testa in giù, non sappiamo perché ma più che la supposizione fatta che egli
“per umiltà” abbia voluto morire non crocifisso in modo normale come Gesù, supposizione piuttosto malferma per
me, si può invece pensare che risponda al vero la notizia che da parte di Pietro quello sia stato un gesto teso a dire e
volere che finalmente, alla morte, egli potesse vedere le cose nel verso giusto: voleva vedere in modo opposto a
come, sbagliando, aveva fatto, dritto, da vivo.
- Pietro vuole infine ricordato è stato oggetto di quella importante profezia, da parte di Gesù, che come visto
“prevedeva” che egli sarebbe stato “usato-portato dove non voleva”(Gv 21.1-18), la AI dice <..messo nelle mani..>:
non vera e propria apostasia quindi la sua ma una grave non visione e sottovalutazione della gravità di alcuni aspetti
del “vangelo di Paolo”, aspetti dei quali certamente egli era a conoscenza e cosa sulla quale anche altre parole di
Gesù lo avevano allertato: <..Simone, Simone ...Satana vi ha cercato ..e io ho pregato per te... e tu, una volta
ravveduto.. conferma i tuoi fratelli..>(Lc 22.31,32).
- non determinante ma degno qui di essere ricordato, è infine il fatto che Pietro dichiari Roma, da dove scrive la sua
prima lettera, quale Babilonia. Ed è l'unico accenno a quella città-allegoria fatto, escludendo la Apocalisse, nel
Nuovo testamento. Questo testimonia che Roma in particolare, e non era certo la sola che in quei tempi vedeva
assieme riunite tante voci, tanti culti e credenze, fosse in ambito apostolare vista quale Babilonia ovvero il biblico
allegorico luogo-circostanza-forza che dice del sorgere e rafforzarsi della apostasia. Una Babilonia prostituta che in
ambito nuovo testamentario sarà richiamata ed approfondita, poco tempo dopo, da Giovanni con la Apocalisse e poi
anche dalla AI che ci dice: <..le parole restanti della visione sono registrate nella visione a carico di
Babilonia..>(IV.19).
La visione di Roma, capitale dell'Impero, quale Babilonia, era visione che certamente si collegava alle riflessioni
apocalittiche, riflessioni delle quali quindi era partecipe anche Pietro e che interessavano, come sopra visto,
l'“abbandono della dottrina” dei Dodici e l'avvento di una “iniquità-male che avrebbe infine spinto alla GloriaParusia” del Figlio-Verbo; riflessioni, testimoniate da quella assimilazione di Roma a Babilonia fatta da Pietro, che
motivarono e provocarono la contestazione e l'allontanamento sia di Paolo che di Pietro.
= DELLE MORTI DI PAOLO E PIETRO
-- 9 ) Una nota non certo trascurabile, in merito alle sorti di Pietro e Paolo, è quella che C.Peter Thiede nel suo
“La nascita del cristianesimo” rileva su quanto ci dice Ireneo (130-202).
Parlando della composizione dei vangeli Ireneo dice: <..dopo il loro ( di Pietro e Paolo ) -exodus-, Marco, il
discepolo e interprete di Pietro, tramandò per iscritto le cose annunciate dallo stesso Pietro..>.
Solitamente le traduzioni riportano “dopo la loro morte”, in luogo di un più preciso “dopo il loro esodo”, ma il
Thiede nota che Ireneo “quando vuole parlare di -morte-” usa sempre il vocabolo greco corretto ed inequivocabile
“thanàtos” e non l'“exodus” che è invece “esodo-uscita”.
Pietro e Paolo quindi, così, avrebbero visto una “uscita”, una vacanza, dal loro -attivo ufficiale operare
internamente alla chiesa-: una uscita o vacanza forse anche auto-datasi, vista la forza ed importanza delle
contestazioni, ma comunque uscita-esodo che nessun altro che “importanti cristiani” avrebbe potuto provocare.
Su questo argomento vuole poi ricordato che anche Clemente di Roma, nella sua lettera detta ai Corinzi e indirizzata
alle chiese di Roma e Corinto, parla di un “esilio”, “fugadeutheis”, con riferimento a Paolo solamente e non a
Pietro del quale egli però, sappiamo, è fedelissimo discepolo e fervente ammiratore, un Pietro che egli, per le
Pseudoclementine, ha oltremodo elogiato e lodato.
-- 10 ) Dato per scontato il fatto, largamente condiviso, che Atti sia stato redatto intorno al 70 e comunque dopo la
morte di Paolo e Pietro, si potrà vedere anche quanto segue.
In Atti Luca accredita in pratica quale “profeta verace e non falso” Agabo, il quale aveva previsto a Paolo questo :
<..(Paolo) sarà legato..dai Giudei a Gerusalemme e quindi consegnato nelle mani dei pagani..>(At 21.11).
Sebbene qui non si dica apertamente di “messa a morte”, l'espressione “consegnato nelle mani” in quel contesto è
piuttosto scontato che sottende la condanna a morte di Paolo visto anche che, significativamente, Luca senza altro
dirci sulla morte di Paolo, ci consegna quella notizia aggiungendo che egli risponderà: <..sono pronto..anche a
morire..>.
384
undicesima parte
Ora Luca, che sapeva della morte di Paolo e che qui scrive poco dopo di essa, con questo racconto sulla “attendibile
profezia” di Agabo con cui chiude un dettagliato racconto sulla vita di Paolo, sostanzialmente ci dice che -quanto
profetizzato da Agabo si avverò- : si avverò la messa a morte -per ed a causa- del processo in corso.
Ma tutto ciò ci fa anche dire che evidentemente Luca, fedele discepolo di Paolo, resta ermetico e silenzioso sulla
morte del suo maestro perché di essa non poteva, in pratica, dire oltre senza dovere anche dichiarare e descrivere
quella contestazione ed allontanamento di cui non poteva non sapere. Implicita conferma, anche questo, della realtà
di quanto qui, in merito a Paolo e Pietro, visto e sostenuto.
-- 11 ) Un ruolo diverso da parte di Pietro rispetto a quello di Paolo ci viene proposto anche dal frammento Rainer
della Apocalisse di Pietro. Esso è interessante anche per la sua datazione, posta al 90-100 dC e quindi di pochi anni
successiva alla sua morte. Recita il frammento :
< Ecco, o Pietro, ti ho rivelato e spiegato tutto. Ora va nella città della prostituzione e bevi il calice che ti ho
promesso dalle mani del figlio di colui che si trova nell'Ade. Così la sua distruzione avrà inizio, ma tu sarai invece
degno della promessa > (J.Gnilka, Pietro e Roma)
Queste parole sono state redatte con evidenza da cristiani che avevano pienamente visto e compreso il carattere
“apocalittico” di quanto si era verificato e prodotto, con Paolo, e Pietro al suo seguito, nella Cristianità.
Esse confermano sostanzialmente il quadro sin qui visto ma con esse si vede la volontà, da parte del redattore, di
dare un ruolo “consapevole” a Pietro, una consapevolezza che per il testo gli garantirà la salvezza, sarà <.degno
della promessa..>.
Per quanto sin qui visto e detto nessuna consapevolezza Pietro ha avuto di ciò che ha aiutato a realizzarsi, né le sue
capacità erano tali da reggere e portare consapevolmente a compimento il sottile e sotterraneo compito che il
frammento Rainer mostra, ma che Pietro comunque sapesse, che anche lui negli ultimi tempi fosse reso partecipe
delle discussioni che formulavano queste accuse, e parti, sua e di Paolo, sembra testimoniato da un altro fatto.
Lo testimonia quel problematico e mai chiaramente spiegato suo dichiararsi <..in Babilonia..>(1Pt 5.13) con cui
chiude la sua prima lettera : Babilonia è allegoria di Torah e Profeti che mai prima è stata utilizzata negli scritti Neo
testamentari, solo più tardi nella Apocalisse di Giovanni essa sarà ripresa. Questo fatto ci dice che le analisi che
Giovanni metterà nel suo scritto erano già, in forma simile, viste, dichiarate e discusse negli ultimi anni della vita di
Paolo e Pietro. Ma anche Pietro, oltre a Paolo, non capirà a fondo le accuse di cui era fatto oggetto e quella
insufficiente prima lettera sarà portato presto ad integrarla con una seconda lettera, come visto, copiando quella di
Giuda ed aggiungendo quel suo grande allarme rispetto agli scritti di Paolo.
Anche Pietro non capirà ma resta comunque il fatto, attestato anche dal frammento Rainer, che una sostanziale
differenza tra lui e Paolo, da parte di chi con chiarezza vedeva quanto stava accadendo, era vista e proposta.
-- 12 ) Con tutto ciò che prima in questi scritti, e qui ora, abbiamo visto e detto, si può dire che Paolo e Pietro
moriranno verosimilmente per il combinato delle accuse giudaiche da un lato e dell'abbandono da parte della
cristianità dall'altro ma certamente ha avuto anche un grande peso la avversione del più alto e colto mondo romano.
Certamente infatti ha contato anche la contrarietà di un Nerone che, filosoficamente istruito dallo “stoico” Seneca,
non poteva non vedere i loro insegnamenti, centrati sul “singolo”, su un “individuale uomo” che si contrapponeva a
quella “comunità sociale” che era il primo importantissimo valore del mondo greco-romano ben ribadito nella
filosofia stoica, non poteva Nerone, dicevo, non vedere tali insegnamenti come “socialmente pericolosi”, oltre che
profondamente errati.
Pericolosi per quel “corpo sociale-polis-umanità” che sovrastava, in tutto il paganesimo, ogni individualità; quel
“corpo sociale-polis” che era sempre stato nella storia fino ad allora il solo fulcro ed il primo valore per l'uomo e la
cui cura e salvaguardia era responsabilità dell'imperatore, di Nerone appunto.
Un Nerone, vuole ricordato, che ci viene detto fosse un grande ammiratore degli insegnamenti di Simon Mago,
ovvero degli insegnamenti del Gesù diverso, antitetico a quello di Paolo, che Simon Mago a Roma predicava.
Questo aspetto di pericolosità degli insegnamenti di Paolo, questo possibile -motivo di fondo e vera causa- delle
varie persecuzioni Imperiali nei confronti del Cristianesimo è aspetto quasi non visto ma invece piuttosto
importante: solo questa visione dona razionalità e spiegazione a comportamenti diversamente incomprensibili in una
società, quale quella romana, che ha sempre accettato e tollerato tutte le divinità e tutti i culti.
E, se è vero che insegnamenti di “separazione”, in un “io” qui già portato ai caratteri “etnico-nazionalistici”, erano
da tempo patrimonio dei Giudei, è anche vero che questi loro insegnamenti-cultura proprio perché legati alla etnia,
per cui nessuno diveniva ebreo se non per nascita e non veniva praticato quindi alcun proselitismo, rappresentavano
per ciò un pericolo minore : anch'essi sono stati variamente contrastati ma non hanno certo subito lo stesso grado di
avversità che l'Impero riserverà al Cristianesimo.
-- 13 ) Tutte queste considerazioni ci portano infine a dire che il silenzio di Luca, ma anche di tutti gli altri su
quelle morti, nasce dalla volontà di non dire e riportare, di non entrare nel merito, di una allora aperta e problematica
discussione. Per non entrare nel merito dei gravi dissidi e contestazioni che si vivevano internamente alla Cristianità
e che hanno in certo senso accompagnato le morti di Paolo e Pietro.
385
undicesima parte
Sarebbe stato impossibile dire della loro morte senza parlare delle contestazione e discussioni che vi erano e che
verosimilmente le hanno anche favorite.
Sulla fine di Pietro e Paolo la Cristianità sceglierà il più completo silenzio, un silenzio riguardo anche agli
aspetti fisici di modalità e tempi che denunzia apertamente la- volontà- di non entrare nel merito di quegli
importanti ma molto imbarazzanti aspetti che avvolsero quelle fini.
Termino qui le analisi sulla “Ascensione del profeta Isaia”, chiudendole con una importante e un poco
dimenticata preghiera apostolare :“Marana tha”,“Vieni Signore”, “Sii manifesto all'uomo, Logos-Figlio”.
IL SEGNO DI GIONA: GESÙ CONFERMA LA REINCARNAZIONE
Un importante testo che dice di una Sapienza Una comune al mondo antico e oggi largamente dimenticata, è il Libro
di Giona. Il tema di Giona, con la difficile ed impegnativa ricerca del significato ed insegnamento che sottende a
quel testo biblico-profetico, è sempre stato molto frequentato, studiato e discusso sia nell'ebraismo che nella
cristianità. Mito-racconto strettamente legato alla tradizione giudaica, nella cristianità la sua analisi diviene esigenza
imprescindibile dato il fatto che a quel testo fa esplicito e preciso riferimento Gesù in uno dei Suoi discorsi che i
vangeli, con Matteo e Luca pur in modo inconciliabilmente difforme, ci riportano. Giona è poi citato anche nel
Corano ma qui senza particolari considerazioni e/o analisi del testo.
Oggi, ormai fermi gli studi esegetici a quanto consolidato, la attenzione a Giona è scomparsa ed i richiami ed i
riferimenti a quel testo sono ormai ridotti alla favolistica. Teologicamente esso, nella prassi, sia dalla cristianità che
dall'ebraismo è ormai visto e considerato come piuttosto secondario.
Ma diversamente, si deve dire, è stato a lungo nel tempo per alcuni ambiti della prima cristianità e non solo.
Importanti testimonianze ci attestano che a quel Libro si conferiva un grande valore sapienziale.
Alla vicenda di Giona vediamo infatti che è dato grandissimo risalto nelle scene musive del III sec. in Aquileia: la
enorme dimensione e la primaria allocazione del pannello che riporta quel racconto, evidenziano la straordinaria
importanza che quella primissima comunità cristiana conferiva a quel testo. Una importanza che certamente non
trova motivo nella lettura ed interpretazione odierna di quel testo e che solo può essere derivata e dovuta ad una
Sapienza che in esso oggi non vediamo.
Altro poi, assieme a questo, possiamo oggi vedere grazie al recente ritrovamento di una scena, con la vicenda di
Giona, facente parte del pavimento in mosaico di una sinagoga del V sec. di Huqoq, un villaggio vicino a Cafarnao
in Galilea. Possiamo dire, grazie a quel pannello, che anche sul lato giudaico nei primi secoli si dava una
grandissima e speciale importanza a quel testo.
Più tardi poi, nel XII sec., anche nel mosaico di Otranto, seppure non come ad Aquileia, viene dato forte risalto a
quella vicenda e questo, per quanto più oltre vedremo su quelle due Cattedrali, testimonia una speciale attenzione al
testo di Giona da parte della cristianità “orientale-filosofica” in quei luoghi accertata. Una attenzione che si vedrà
anche in molte altre chiese medioevali con figurazioni che, generalmente, si limitano alla rappresentazione
dell'ingoiamento, che può forse anche essere il rigetto, di Giona da parte, generalmente, non già della "balena" ma
del più originale Ketos-mostro marino serpentiforme.
Pur con ciò non abbiamo comunque notizie di speciali ed eterodosse letture e comprensioni fatte, per quel testo, sia
negli ambienti del cristianesimo "orientale" che in quelli giudaici. Ma il segno di speciali letture si possono
intravvedere sia ad Aquileia che ad Huqoq.
Ad Aquileia vediamo infatti che Giona, sotto il ricino-zucca già ormai pienamente rinsecchito, è posto negli abissi
marini, in procinto di andare al luogo della più definitiva morte e non certo in paradiso come viene spesso detto. Ad
Huqoq poi vediamo addirittura un Giona che ascolta ed è portato al suo destino da pagane Sirene. Tutti indizi e
motivi che non possono non indurre a cercare in quel testo una Sapienza della quale non vi è traccia nelle attuali
esegesi.
E nel testo di Giona infatti, inaspettatamente e straordinariamente grazie alle parole che Gesù ha pronunciato su di
esso si trova, pur segretamente e nascostamente espressa come sempre, una ulteriore e così ultimativa conferma di
una credenza ed insegnamento sulla "reincarnazione" riscontrabile sia nelle Scritture che da parte di Gesù. Ma non
solo, nella analisi di Giona infatti si vede:
che con le sue parole Gesù conferma, nei termini già visti, un evento-possibilità, la reincarnazione,
di cui la vicenda di Giona per Lui con evidenza dice.
Ma anche, nel testo di Giona, si vede l'accenno ad una "fine", la "mancata salvezza" per chi continua a
restare lontano dal divino, che ha aspetti ultimativi e definitivi.
386
undicesima parte
La analisi cui ora ci accingeremo, vuole detto, non è breve e non è facile: anche qui serve il duro e difficile cambio
di mentalità, la con-versione e le orecchie che chiede Gesù.
Si arriverà a vedere infatti una inconciliabilità tra le parole di Gesù su Giona che ci consegna Luca e quelle di
Matteo, una inconciliabilità che ha radici profonde e che, irriducibile, interessa e nasce, si deve dire, in una diversa
ed antitetica interpretazione della figura di Gesù. Con quanto ne consegue.
Le odierne letture
Sul tema Giona oggi, in merito alle usuali e correnti interpretazioni esegetiche del relativo testo, possiamo vedere
quanto segue:
a) La Cristianità
La lettura canonica ed incontestata che, affiancata solo nei primi secoli da alcune malferme letture pienamente
cristologiche, la Cristianità ha sempre fatto ed anche oggi fa di quel testo, pur con qualche differenza sui significati
di alcuni ininfluenti particolari si sostanzia in due note esegetiche e messaggi. Con parole Josef Ratzinger (Lectio
divina 24.1.2003) esse sono queste :
–
<.. il libro di Giona ci annuncia l’avvenimento di Gesù Cristo -Giona è una prefigurazione della venuta di
Gesù-. Il Signore stesso ci dice questo nel Vangelo del tutto chiaramente...>
– <..Il testo annuncia ad Israele incredulo la salvezza per i pagani, anzi, che i pagani precederanno Israele nella
fede ..>
Il primo punto, una lettura-interpretazione fondante per la cristianità data la "prefigurazione di Gesù" che in essa è
vista, è una lettura-interpretazione che si lega anche al secondo punto esegetico: essa lo supporta e ne è sostenuta,
ma è una lettura chiaramente -errata e cieca- e che quindi vizia tutta la analisi svolta su Giona. Vedremo più sotto il
perché. E’, quella fondante interpretazione, una lettura che la cristianità basa e fa nascere nelle parole con le quali per Luca- Gesù risponde agli Scribi e Farisei che gli chiedono "un segno" che Lo riveli in modo aperto e chiaro
quale Messia. Si basa, tale errata interpretazione, su ciò che scrive Luca il quale, in modo fortemente dissimile da
Matteo, riporta come parole di Gesù il seguente passo:
<.. come Giona fu segno per quelli di Ninive...> (Lc 11.30)
Ma, vuole visto e detto, queste parole che sono inconciliabili con quelle che riporta Matteo, è impossibile che siano
di Gesù, esse sono palesemente -errate- e non possono quindi essere di Gesù : Giona infatti -non fu- “segno” per
Ninive e vedremo più avanti il perché.
b) Il Giudaismo
Il mondo giudeo-ebraico, invece, vedendo anch’esso nel Libro di Giona un annuncio di salvezza per i pagani, per
una Ninive che quindi precederà Israele nella fede, ricava da esso un invito a tutto Israele, ad ogni ebreo, per il
riconoscimento dei peccati commessi, della loro gravità e delle loro conseguenze e con ciò il portarsi al necessario
pentimento ed al pieno impegno per l’abbandono di essi. Quel testo infatti:
è divenuto per antonomasia il libro della Teshuvàh, il libro del pentimento, ritorno, risposta, ed è letto ogni anno
come Haftarà (brano profetico) durante la Tefillàh di Minchàh (preghiera pomeridiana) del Giorno di Yom Kippur,
il Giorno della Espiazione.
Purtroppo anche il mondo giudeo-ebraico resta così fermo ad una lettura che lasciando senza risposte i vari
interrogativi che quel testo presenta, resta incompleta, resta errata e, con la analisi che faremo, si vedrà il perché.
Una considerazione viene, qui in particolare per il Libro di Giona ma che vale per tutte le Scritture: è un grande
limite, per il mondo ebreo-giudaico, il non essere mai riuscito nel suo lavoro esegetico a prendere in esame anche le
parole del pur ebreo e maestro-rabbi Gesù. Un limite gravissimo.
Ma, sempre nel mondo giudaico, nonostante quel limite una diversa, originale e, vedremo, corretta lettura del testo
di Giona, viene proposta dal Gaon di Vilna, l'eminente rabbino lituano vissuto tra il 1720 ed il 1797. Grazie ad una
originale ma a mio avviso anche a tratti estrema lettura allegorica che parte dalla corretta lettura di Giona come
figura dell'anima dell'uomo, in quel testo il Gaon vede:
un insegnamento sulla reincarnazione.
Egli così supera e corregge una lettura cabalistica che, nello Zohar, vede invece la vicenda di "Giona che ritorna in
vita dopo la morte", una prefigurazione di “resurrezione finale” della umanità.
Ma, restando in ambito giudeo-ebraico, sul mito-racconto di Giona, sulla ricerca esegetica di quel testo, come detto
oggi si aggiunge nuova importantissima documentazione : il rinvenimento nel 2012 in Galilea, in un villaggio
vicino a Cafarnao, del pavimento musivo di una sinagoga del V sec. che riporta una scena singolare e sorprendente.
Con Giona gettato a mare e mangiato dal "grande pesce", il quale poi è mostrato a sua volta inghiottito da un altro
pesce e poi ancora da altri in sequenza, la scena che è venuta alla luce ci mostra, in alto intente al loro cantare e
protagoniste di quanto avviene a Giona, tre Sirene.
Ci viene così chiaramente detto che è a causa delle Sirene che Giona dovrà vivere quella esperienza. Questo, dato il
contesto chiaramente ebraico di questa lettura del racconto di Giona, impone un nuovo esame del mito. Un esame
387
undicesima parte
che lo dovrà vedere, necessariamente, portato ad un senso "filosofico e sapienziale" che va oltre ogni positiva
religione.
L’ errore di Luca: il primo degli errori della Cristianità
Il passo di Luca sul quale nasce e si fonda la lettura, vista sopra, che la Cristianità fa del testo di Giona, è il seguente:
<.. come Giona fu segno per quelli di Ninive,
così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione..> (Lc 11.30)
Ma, abbiamo detto, è impossibile che queste parole siano di Gesù in quanto sono palesemente -errate-: la "persona"
Giona infatti -non può- essere detta “segno” e quindi egli -non fu- “segno” per Ninive. Giona per quella grande città
fu un profeta: egli pur controvoglia l’ha invitata-ammonita ad un cambiamento-conversione di mentalità e di
comportamenti, ma un “segno” è altra cosa. "Segno” non sono né la predicazione né l'avvertimento o insegnamento
fatti da Giona, e nemmeno “segno” può essere lui o chi queste "opere" compia. Un "segno" è un “evento-accadere”,
un "fatto", dal quale si può e si dovrebbe ricavare lezione ed insegnamento per una correzione.
Bisogna, per vedere quale è il "segno" di cui ha parlato Gesù, rivolgersi a Matteo il quale riporta queste Sue parole:
<..sarà dato...il segno di Giona profeta.
Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce...così..> (Mt 12.39 sg)
Per queste parole "segno" sono i <..tre giorni e tre notti nel ventre del pesce..>. Correttamente, per il senso e
significato della parola “segno”, qui si dice che l’ “evento-accadere”, il "fatto" , il "segno" cui Gesù accenna sono i
<..tre giorni e tre notti..> che Giona passa nel ventre del pesce. E, vedremo poi, assieme a questi per Gesù “segnoevento” è quanto seguirà quei “tre giorni”, quanto a Giona seguirà a quel "segno-alzarsi-sorgere" come sembra dire
il verbo ebraico/aramaico "qum" che sta alla base del termine oggi tradotto e riportato come "segno". E' questo
"segno", è ciò che con il "ri-sorgere dopo i tre giorni" -a Giona accade-, ciò che <..sarà dato..> anche alla
"generazione perversa" di cui dice Gesù.
Matteo, contrariamente a Luca, non tradisce il senso della parola "segno", non ne stravolge il significato e quindi il
senso delle parole riportate. Parole corrette da un punto di vista linguistico e filologico e che vedono logica e
razionale continuità con la "parabola", certamente gesuana, che Matteo, contrariamente a Luca, inserisce nel
contesto. Parole che, come vedremo approfondendole, devono perciò essere ritenute correte e fedeli contro quelle di
Luca.
Luca sbaglia quindi, seguito e -pienamente approvato e confermato- dalla cristianità, ed è necessario ed opportuno
capire il perché egli si porta a questo grossolano errore di senso linguistico. Questo cercheremo ora di capire.
Certamente, ed è evidente vuole detto, le brevi parole che Luca ci riporta nascono e si appoggiano al più completo
discorso di cui ci dà atto Matteo. Ma Luca modifica nella sostanza le razionali, filologicamente corrette e quindi
precise e fedeli parole di Gesù che da Matteo ci sono invece riportate: egli non si accorge del grossolano errore in
cui incorre sul "segno" da lui stravolto, e questo avviene poiché egli interpreta erratamente le locuzioni “Figlio
dell’uomo” e "tre giorni e tre notti" pronunciate da Gesù. Locuzioni da Luca intese come pronunciate da Gesù con
riferimento a sé stesso mentre così -non è-.
Le parole che Luca riporta sono una -errata interpretazione- di quelle limpide e razionali di Gesù in Matteo, che a lui
è dettata ed alla quale egli è portato, -a causa- della errata lettura-comprensione della figura di Gesù che a lui viene
dagli insegnamenti del suo maestro e guida, dal fariseo Paolo-Saulo di cui egli è stato, sappiamo, ligio e fedele
discepolo. Una errata lettura che porta poi Luca, come pure la cristianità odierna, ad una conseguente errata lettura
anche del termine <..generazione..>, la errata comprensione del senso che ad esso qui Gesù gli attribuisce.
Vediamo meglio, ripercorrendo in parte quanto nel merito su queste pagine abbiamo già visto, il perché di quelle
errate letture-interpretazioni delle locuzioni e parole “Figlio dell’uomo”, "generazione" , e “tre giorni e tre notti” :
c) Figlio dell’adam : questa locuzione, mal tradotta in “Figlio dell’uomo”, è sempre usata da Gesù, anche quando
Egli intende riferirsi specificamente a se stesso, nella accezione biblica di “figlio della caduta”. Nella accezione di
uomo-umanità nella sua fisica-terrena, e normale-naturale, condizione psicologica di caduta all’ “io-materialità” e
quindi di lontananza dal divino.
Un uomo-umanità “caduta” che, detto per inciso, viene invitato ed è visto andare e portarsi alla “destra di Jhwh”,
alla destra del Padre. Sono chiare in merito le Scritture cui sempre Gesù si rifà :
< Tu (Jhwh)... dici: Ritornate Figli dell'adam >(Sal 89.3); < A voi... io (Sapienza) mi rivolgo, ai Figli dell'adam è
diretta la mia voce. Imparate..fatevi assennati..> (Prv 8.4,5); < il figlio d’Adam è come un soffio >(Sal 144.4);
<..un figlio dell’Adam non è immortale >(Sir 17.25); < è scomparsa la fedeltà tra i figli dell’Adam >(Sal 11.2);
<..il cuore del figlio dell’Adam è pieno di voglia di fare il male >(Qo 8.11) ; <..il figlio dell'Adam... avrà la sorte
dell'erba..>(Is 51.12); < cosa è...il figlio dell'uomo perché (tu Jhwh) te ne curi ? >(Sal 8.5; 143.3,4)
Con questa consapevolezza si vede che Gesù con il “Figlio dell’adam-uomo” del verso 40 di Matteo sotto riportato,
ha semplicemente usato quella locuzione -in luogo e sostituzione- del “generazione perversa-adultera” di cui egli sta
388
undicesima parte
parlando. Ha usato la locuzione con la quale più usualmente sia le Scritture che lui stesso citano quella “condizione”
umana di adulterio-prostituzione. Con questa precisazione, qui aggiunta tra parentesi, Gesù quindi dice :
<..[39] Una generazione perversa e adultera pretende un segno!
Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. [40] Come infatti Giona rimase tre giorni
e tre notti nel ventre del pesce, così ( quella generazione perversa e adultera, ovvero) il Figlio dell'adam-uomo,
resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra...>(Mt 12.39-40)
Si vede così che nel rigo 40 Gesù continua il discorso aperto al 39: non vi è nessun salto, nessun inserimento
ambiguo e poco giustificabile da un punto di vista linguistico e filologico, come invece avviene leggendolo secondo
la errata comprensione di Luca e della cristianità. Con la lettura-comprensione cristiana infatti, il verso 40 di Matteo
si sgancia completamente da ciò che Gesù dice sia prima che dopo e resta filologicamente incongruente e di fatto
non giustificabile. La lettura qui fatta di quel rigo invece, si lega ed è in continuità con il precedente rigo 39 ma
anche, vedremo, si lega e trova continuità con la parabola finale dei versi 43-45 dimostrandosi così la solo lettura
filologicamente, razionalmente e logicamente possibile.
d) Tre giorni: pur se non citati da Luca i “tre giorni e notti” che per ben due volte invece Gesù richiama quale
"segno", secondo Matteo, sono anch’essi locuzione erratamente da Luca interpretata. Avendo anche questi portato e
sorretto il suo errore, vediamo come questo errore nasce riprendendo, anche per essi, quanto in precedenza in queste
pagine già approfondito.
Abbiamo visto che il riferimento ai “tre giorni” o “tre giorni e tre notti”, per tutto il mondo antico, che in questo si
rifà ai tre giorni della immobilità-morte del sole al solstizio prima di “risorgere”, è un riferimento che dice
genericamente di un non-definito tempo necessario, dopo la morte, per potere andare ad una nuova-diversa vita.
La vita dell’aldilà, Ade o Scheol o Inferi, ma anche un vita nuovamente incarnata quando questa possibilità sia
contemplata.
Ricordiamo per il mondo Greco la "Alcesti", dove i “tre giorni” sono dichiarati tempo di <..vincolo…agli dei degli
inferi...>( Alcesti 1145 ) e tempo nel quale il defunto non ode e non parla. Per il mondo giudaico vuole ricordato
Osea 6.2 : <.. dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare..>.
Difficile vedere altre esaurienti spiegazioni rispetto al ricorso a quel numero. Possiamo solo aggiungere che per la
numerologia di cui sono colme le Scritture verosimilmente il “tre” dice di un tempo-accadere che evita il portarsigiungere ad un “quattro” che indica la morte ultima e definitiva, la “seconda morte” di cui dice Giovanni nella
Apocalisse. Un quattro-morte che anche qui in Giona è richiamato: <..ancora quaranta giorni e Ninive sarà
distrutta..>, si legge.
Comunque sia quei “tre giorni e tre notti”, come è evidente anche in Giona che dopo di essi “ritorna alla vita”, è un
tempo che porta ad una "nuova vita" e ad una <..nuova condizione..> dice Gesù riferito a Giona. Con quella
locuzione si fa riferimento ad un tempo-accadere-esperienza che permette e porta ad un “ritorno”, ad una “nuova ed
altra condizione”.
e) Generazione: condizionato dalle precedenti qui viste errate letture, Luca, come oggi la cristianità, identifica la
“generazione perversa e adultera” di cui dice Gesù con gli <..alcuni scribi e farisei..>(Mt 12.38) che gli chiedono
un “segno”. E questo porta Luca e la cristianità odierna ad una lettura della parole di Gesù come specificamente
riferite ad Israele e, conseguentemente, porta ad una errata esegesi anti-ebraica, ad una lettura -contro Israele-.
Con il termine “generazione” invece, Gesù vuole qui dire del carattere-natura e spirito dell’uomo-umanità. Vuole
dire della “condizione”, intesa come “visione-comprensione di sé e della vita in generale” da parte dell’uomoumanità. Una “condizione” che, con parole di Gesù e Scritture, potrà essere quella di “figli di Dio” o di <..perversi
ed adulteri..>, di -caduti- "figli dell'adam-uomo" ovvero “figli di Satana” o "figli della Genna" , lontani dal divino
e quindi a lui contrari.
Gesù qui con quel termine comprende certo ma va ben oltre la riprovazione e l'ammonimento dei Farisei dei suoi
tempi e/o di Israele come popolo.
Come anche in altre circostanze è avvenuto Egli qui prende spunto dallo specifico episodio o frase, qui la richiesta
fattagli da Scribi e Farisei, per dare un insegnamento universale, che va oltre lo specifico. Ed è con questo intento e
spirito che Gesù qui con il termine “generazione” si riferisce all’uomo-umanità vista nella sua “fase-condizione di
formazione-fondamento-generazione". Con quel termine egli si riferisce a -quella- “nascita” ovvero allo “storicoportarsi dell'uomo” che Esiodo ha nominato “Età", dell’uomo appunto.
Visto quanto sin qui detto, nella analisi del testo di Giona che andremo ora a fare non prenderemo in considerazione
Luca, che qui più che inattendibile si presenta perfino pericoloso oltre che esemplare di come bastino pochi
cambiamenti per stravolgere il senso delle parole di Gesù, e resteremo quindi fermi alle pulite e profonde parole di
Matteo il quale, peraltro, riporta anche una importantissima parabola, pronunciata da Gesù in quel contesto, che
Luca non contempla.
389
undicesima parte
Questa parabola infatti da Luca, che non la capisce, è spostata rispetto al contesto delle parole di Gesù su Giona e
sono da lui portate, senza alcun fondamento, senza legame e senso logico, mischiandola ad altri detti gesuani, ad un
episodio di "guarigione" di un muto: la cacciata di un demonio muto da un uomo che così "cominciò a parlare".
Quella parabola trova invece pieno senso solo a finale corredo, a completamento e spiegazione, come è in Matteo,
delle parole che Gesù dice su Giona.
Come tutte le parole di Gesù, anche quelle che troviamo qui in Matteo sono profondissime e non facili ma, ben viste,
si vede che esse nascondono, e nascono, dalla e nella profonda "esegesi ed interpretazione che Gesù fa del testo di
Giona".
Matteo, le sue parole di Gesù ed il loro contrasto con la esegesi cristiana
Il mito-racconto di Giona è conosciuto ed eviteremo quindi di riassumerlo per passare al suo esame partendo, in
questa sezione, dalle parole -su quel testo- che ci dice Gesù. Vedremo così perché ancora, ed ulteriormente, si deve
dire che la lettura esegetica cristiana è errata : oltre che per quanto già detto essa infatti si mostra in contrasto con le
parole di Gesù che riporta Matteo e, per queste, quella lettura si mostra anche pienamente irrazionale.
Dice Gesù, secondo quanto in Matteo al cap.12, 39-45:
[39] "Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di
Giona profeta.
[40] Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'adam-uomo resterà tre
giorni e tre notti nel cuore della terra.
[41] Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono
alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona!
[42] La Regina del sud si leverà a giudicare questa generazione e la condannerà, perché essa venne dall'estremità
della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c'è più di Salomone!
[43] Quando lo spirito immondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando sollievo, ma non ne trova.
[44] Allora dice: Ritornerò alla mia abitazione, da cui sono uscito. E tornato la trova vuota, spazzata e adorna.
[45] Allora va, si prende sette altri spiriti peggiori ed entra a prendervi dimora; e la nuova condizione di
quell'uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà anche a questa generazione perversa"
Prima di andare al cuore della analisi di queste parole faccio una nota e puntualizzazione su ciò che, poco o nulla
influente alla analisi qui in essere, Matteo ci riporta ai versi 41 e 42 e che, identicamente, si ritrova anche in Luca.
In quei versi, i passi <..ora qui c’è più di Giona..> ed <..ora qui c’è più di Salomone..> generalmente vengono
interpretati come affermazione e dichiarazione da parte di Gesù del suo essere “Figlio di Dio” nella accezione
paolina, nella accezione di -fisico unico Figlio di Dio Uno col Padre- e quindi superiore ad ogni essere e sapienza.
Ma non è così.
Quelle due espressioni di Gesù, infatti, sono riferite rispettivamente alla <..predicazione..> di Giona ed alla
<..sapienza..> di Salomone e, con quelle affermazioni, Gesù vuole unicamente dire che -la sua predicazione e la
sua sapienza-, e non già se stesso, sono superiori alla “predicazione” di Giona ed alla “sapienza” di Salomone.
Detto ciò e proseguendo quindi nella analisi, un aspetto importante da vedere è il fatto che nella sua risposta Gesù
si riferisce ed evoca per -due volte-, in due distinti passi, il "segno" che, così come è stato per Giona, dovrà essere
visto-subito anche da chi è in una "fondazione-costituzione-generazione" <..perversa...adultera..>. Il “segno” che
dovrà essere visto-subìto da chi, così e per questo adultero, si è dato ad “altro” rispetto al divino, da chi ascolta e
segue altro rispetto a Jhwh. Si vede, dicevamo, che nel merito di questo <..segno di Giona...> Gesù fa un doppio
ma diverso richiamo e, vuole notato, contro la lettura-interpretazione cristiana del testo di Giona
nessuno di questi due richiami porta a dire che per Gesù è la -persona Giona- ad essere il “segno”
e questo rivela la inconciliabilità tra la esegesi cristiana, che segue Luca, e le parole di Gesù in Matteo.
Vediamo i due diversi richiami che Gesù fa al <..segno di Giona...>:
-- un primo richiamo Gesù lo fa ai versi 39 e 40 con il parallelismo che Egli pone fra i "tre giorni e tre notti" che
Giona passa "nel ventre del pesce" ed i "tre giorni e tre notti" che il “Figlio dell'uomo-adam” deve passare "nel
cuore della terra". Il <..segno di Giona..> quindi, qui è il “tre giorni e tre notti” di cui già abbiamo detto ma in
questi Egli non fa alcun riferimento a sé stesso, alla sua morte. E questo si deve qui dire non solo per quanto in
merito ad essi abbiamo sopra visto, ma anche per altro che più oltre vedremo.
-- il secondo richiamo, a -quello stesso- "segno" poiché -uno solo- è il “segno” da Gesù evocato, è quello che Egli
fa con la parabola dei versi 43-45 sullo spirito “immondo-impuro”. Dice quella parabola-similitudine:
“se lo spirito impuro che albergava in un uomo, dopo esserne dovuto uscire, ritrovando quell’uomo-anima lo coglie
di nuovo libero e pronto ad accoglierlo, avverrà che <.. la (nuova) condizione di quell’uomo diventa peggiore della
prima..>. E Gesù, alla fine di questa parabola, richiamandosi al "segno" sottolinea: <..così avverrà a questa
generazione perversa.>. Egli cioè qui dichiara <..segno di Giona..> la "condizione peggiore di prima" che Giona
390
undicesima parte
ha visto dopo, ciò che ha seguito, i <..tre giorni e tre notti nel ventre del pesce..>; una "condizione peggiore di
prima" che anche la adultera generazione-uomo-umanità, dice Gesù, dovrà vedere.
Ora, che queste due diverse frasi, espressioni e spiegazioni di Gesù, si riferiscano a quello stesso ed unico <..segno
di Giona..> in discussione è evidente ed indiscutibile. Ed è altrettanto evidente ed indiscutibile che la spiegazionecomprensione esegetica di tale “segno unico”, per essere con certezza esatta e corretta -deve necessariamenteaccordarsi, deve contemplare e soddisfare, entrambi quei due richiami ad esso fatti. Questo nella letturainterpretazione cristiana -non avviene-:
la esegesi di un Giona quale “prefigurazione di Gesù”, quand'anche essa si volesse forzatamente leggere e vedere
nella espressione <..figlio dell'adam..>, in Matteo non può essere fatta.
Una tale esegesi infatti -non può in nessun modo- contemplare, spiegare ed adattarsi alla seconda indicazione del
“segno”qui fatta: nulla ha a che fare quella "prefigurazione” con una “nuova condizione peggiore della prima”
che qui per Gesù invece è “il segno” che spetterà a quella generazione. Questo porta
-obbligatoriamente ed ulteriormente- a dire che la lettura-esegesi di Giona fatta dalla cristianità sulla base di Luca,
in confronto alle parole di Gesù in Matteo si mostra "errata" perché pienamente irrazionale.
Si conferma così che la esegesi cristiana non solo è errata perché contro la logica ed il senso della parola essa pone
una -persona-, Giona, quale "segno", ma anche perché essa è inconciliabile con Matteo dove Gesù dichiara "segno
unico" -assieme- i “tre giorni e notti di Giona” e la “nuova condizione peggiore di prima”. E questi sono
irriducibili, pena la irrazionalità del dirne, alla cristiana lettura di un Giona quale "prefigurazione di Gesù”.
Altro quindi rispetto alla lettura cristiana devono voler dire, su Giona, le parole di Gesù che sono in Matteo. Infatti :
le parole di Gesù in Matteo dicono che il testo di Giona parla di una
"reincarnazione che non porta e non sfocia in una correzione", e dicono anche, vedremo, che ad una tale
reincarnazione, all'anima che anche dopo quel ritorno alla vita fisica non si porta alla necessaria correzione, segue
la " fine definitiva" di quell'anima, segue la “seconda morte” giovannea.
La reincarnazione
Che si parli e tratti, per Giona, di una “nuova nascita”, lo si evince chiaramente nel relativo testo biblico ed è sotteso
anche, vedremo, alle parole di Gesù. Ma che questa “nuova nascita” non sia la “resurrezione” intesa come rinascita corporale dello stesso fisico individuo- ma bensì che si tratti del "portarsi dell’anima Giona ad un nuovo
corpo per una -nuova vita- fisica” ovvero di una “reincarnazione”, lo si evince da alcune considerazioni che ora
faremo :
f) la principale è il fatto che Giona in ebraico è Ionà ovvero, letteralmente, è “colomba” e questa per i testi biblici
è notoriamente figura di un divino “spirito-anima” (Mt 3.16) che è caratterizzato dalla “innocenza” ( vedi Mt 10.16;
Os 7.11 ) della quale è vista rivestita la bianca colomba. Il testo-mito di Giona quindi richiama l’uomo nel suo
aspetto ed essenza di “anima” e la “nuova vita” dell’Anima-Giona-Ionà non è quindi la paolino-cristiana
“resurrezione-rinascita -del corpo- fisico” ma solo può essere la “reincarnazione-metempsicosi”.
g) ci dice poi Giona nella sua preghiera: <..sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le sue spranghe
dietro di me per sempre..>(2.7). E le “radici dei monti”, sottolinea Erri De Luca nel suo “Giona/Ionà”, <..secondo
una antica cosmologia affondano negli abissi marini..> ovvero sono nel luogo della morte, e sono esse stesse il
luogo della morte. Peraltro il testo ebraico di Giona in 2.3 parla di un <..profondo dello sheol..> che è tradotto in
Cei con <..profondo degli inferi..> ma il Targum vede “abissi” in luogo di “sheol-inferi”. Non solo. In Giona 2.6,7
il <..fino alla gola..> di Cei nel Targum diventa <..fino alla morte..> e il <..salire dalla fossa la mia vita..> Cei è
visto invece quale <..salire dalla distruzione la mia vita..>.
Quindi, si dice nel Libro di Giona, la “terra, mondo-vita terrena” si è chiusa a Giona-Colomba-Anima con una
“morte-discesa agli abissi-distruzione”. Una morte-distruzione che, a seguito della sua preghiera-desiderio, IonàAnima potrà evitare portandosi a “nuova vita”. Una “nuova vita” che, dice così quel testo, è la reincarnazione
dell’Anima-Colomba-Ionà.
h) Gesù sottolinea nella sua parabola-similitudine che Giona dopo quella rinascita si troverà <..vuoto, spazzato e
adorno..>, niente di quanto era-aveva nella precedente vita egli si ritrova. Questa immagine non ha senso né che si
parli di una sostanziale continuazione della vita da parte di Giona, né che si voglia dire di un rinascita-resurrezione
altra da quella, qui esclusa, paolino-cristiana della "fine dei tempi". Questa immagine ha senso unicamente se si dice
della "reincarnazione".
Che nella reincarnazione si cancelli ogni ricordo, anche senza la metafora del Lete è cosa evidente e chiara a chi
crede in quella possibilità, ed è cosa che tutto il mondo antico dichiara.
Jhwh dovrà rivolgere a Giona <.. una -seconda volta- la parola..”Alzati, va a Ninive... e annuncia loro..”>, egli
infatti è <..vuoto..> di ciò che era e sapeva, l’Anima-Ionà non ha più alcuna -viva- memoria del suo passato. Anche
questo presuppone una reincarnazione.
i) Che il testo di Giona parli e dica di una vera morte, prima del ritorno-reincarnazione, lo si evince anche da
questo: dopo il suo “ritorno” Giona si trova a vedere-vivere una <..nuova condizione…peggiore della prima..>, ci
391
undicesima parte
dice Gesù. Allo <..spirito immondo..> che prima caratterizzava Giona, spiega nella sua parabola-similitudine Gesù,
<..sette altri spiriti peggiori..> si affiancheranno dal momento che quel primo “spirito immondo” lo ha -ritrovato<..vuoto..> -dopo che lo aveva abbandonato-. Un abbandono che non può essere, e non è, senza motivo: esso, alla
morte di Giona evidentemente, lo ha abbandonato: lo <..spirito immondo..> infatti, ovvero il "demone-spintasentimento di separazione", solo sulla terra, solo nella materia può esistere e vivere e perciò anche quell’inspiegato
"abbandono" è segno della fisica morte di Giona.
Da tutto ciò si evidenzia che qui si dice ed è evocata la “reincarnazione a nuova vita” della Anima-Giona-Ionà, e non
della “rinascita dello stesso uomo”. Una reincarnazione che peraltro, anche se non dichiarata, si può vedere anche in
quanto ci dice una larga tradizione giudaica ovvero ciò che è detto per gli insegnamenti del Talmud babilonese e del
Targum palestinese: per questi Giona “visita lo Sheol”, il regno dei morti ovvero, anche, "discende nell'abisso".
Il peggioramento di condizione
Con la parabola-paragone dei versi 43-45 Gesù ci mostra quindi la sua lettura ed interpretazione, la sua ma certo non
solo sua, esegesi del testo di Giona, testo che per Lui quindi dice di un “accadere”, - possibile ma non obbligato
portarsi-, ci viene detto con quel <..risalire dalla fossa la mia vita..>(2.7), che è la reincarnazione.
Un “possibile portarsi” che qualora veda l'uomo di nuovo “vuoto” del divino, ancora lontano dalla per quanto
possibile sua comprensione e/o ascolto ed adesione, può portare -come dice il racconto-mito di Giona e come
sottolinea Gesù- a quella conseguenza che è il vero “segno” ricevuto da Giona: una <..condizione peggiore della
prima..>. Una "peggiore condizione" che non può non ricordare gli insistenti inviti ed insegnamenti ad -evitare la
reincarnazione- che tutto il mondo antico faceva.
Gesù perciò in quella occasione, rispondendo a chi “cerca un segno” e "non sa" o piuttosto "non vuole" vedere e
capire quei suoi insegnamenti superiori a ciò che è in Giona e superiori alla sapienza di Salomone, rispondendo a chi
“non sa e non vuole” portarsi al divino, dice che:
“ il solo segno-accadere che potrà avere-vedere l’uomo-umanità che caparbiamente anche dopo la possibile sua
reincarnazione resta “adultera” ovvero "caduta ad un io-materialità" che è “altro” da un divino da capire-vedereseguire, il solo segno-accadere che questi avranno, dice Gesù, sarà la dura lezione di vivere condizioni peggiori di
quelle già vissute affinché si porti così a capire-vedere. E, dicono come vedremo le parole di Gesù e il testo di
Giona, dopo di ciò se ancora l’uomo resta nel suo errare, egli finisce, verrà meno per sempre la sua esperienza”
Gesù, vale la pena di notare, resta nel solco degli insegnamenti che, sulla reincarnazione, tutto il mondo prima e
dopo di Lui ha sempre dato. Il desiderio e impegno e invito ad evitare il ciclo delle rinascite delle sapienziali
tradizioni Indo-Arie, Induismo e Buddismo, ma anche quelle greche dell’orfismo, del pitagorismo ed anche della
filosofia, nasce e dice infatti della coscienza che il reincarnarsi porti certamente ad una cattiva e peggiore condizione
di vita. Non dice altro che questo, poi, anche Socrate sia con il “Mito di Er” che con il “Mito del Giudizio dei
Morti” riportati da Platone rispettivamente in “La Repubblica” ed in “Gorgia”. Qui, in Gorgia, si legge infatti che
-dopo il giudizio che segue alla morte-, <..le pene (si scontano) sia qui (in terra a seguito della reincarnazione) sia
nell’Ade, poiché non è possibile liberarsi dell’ingiustizia in altro modo..>. Seppur esposta in modo più complesso,
sostanzialmente la stessa dottrina si vede nel “Mito di Er”.
Di questo insegnamento, di questo accadere che vede l'uomo scontare un errore-peccato con una <..condizione
peggiore della prima..>, di questo“karmico-armonico divino muovere” che è “il prodotto”, più ancora che “la
conseguenza”, di nostri e qui personali “comportamenti ed errori” Gesù non ha detto solo qui.
Egli infatti ne dice, sebbene non sia qui evidente e certo il riferimento alla reincarnazione, in occasione della
guarigione del paralitico <..malato da trentotto anni..> avvenuta presso la piscina di Betzata o Betzaeta.
Incontrandolo dopo averlo guarito Gesù gli dice:
< Ecco che sei guarito, non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio >(Gv 5.14)
La seconda morte
Il testo di Giona, vedremo, ci dice anche del destino ultimo, di un “finire", di un <..venire meno..>(4.8) per sempre,
ovvero ci dice della “mancata salvezza dell’Anima Ionà". Questo ultimo insegnamento del libro di Giona si trova
però solo implicito e conseguente a quanto, succintamente, ci dice Gesù con la sua parabola.
Pur non espressamente ripreso e citato da Gesù questo “finire, venire meno per sempre” è un accadere implicito al
suo dire, è “segno” anch’esso, è conseguenza e parte di esso nel caso, di cui ci dice il testo di Giona, che anche dopo
la reincarnazione si resti lontani dal divino e si continui a non capirlo e seguirlo. Questo "accadere" non si può
perpetuare in eterno, devev trovare una soluzione ed essa è la "seconda", e definitiva, morte giovannea.
Il “finire, venire meno” è parte ed è ciò che segue le “peggiori condizioni” che Gesù richiama ed è, nella sua
ultimatività anche espressiva, il vero "segno" cui si Egli riferisce, se non si vuole limitare quella “peggiore
condizione” al sentimento di disappunto di Giona che <...provò grande dispiacere e fu indispettito..>(4.1) , ben poca
cosa.
Per mostrare questo aspetto del testo di Giona faremo su di esso alcune altre riflessioni e precisazioni.
392
undicesima parte
l) Nel testo biblico di 2 Re, Giona è dichiarato “profeta” ma dal libro di Giona si vede un personaggio che non
accetterà mai, né prima dell’ “accadere” dei “tre giorni - rinascita”, né dopo di esso, il comportamento divino, la
pietà-comprensione divina verso Ninive. Non accetterà-capirà mai il fatto che, grazie ad un pentimentoravvedimento che nella sostanza è il portarsi al -giusto- vedere, chi ha sempre agito con malizia ed ingiustizia sia
divinamente salvato, eviti sofferenze e morte. Ma il fatto che Giona non accetti mai questo aspetto del divino,
aspetto che lo porta a <..provare un grande dispiacere e ad essere indispettito..>(4.1) nei confronti di Jhwh fino a
dire <..toglimi la vita,..meglio per me morire che vivere..>(4.3), vuole semplicemente dire che egli -non capisce la
essenza di Jhwh, del divino-.
Giona quindi, pur profeta, è figura di chi non capisce il divino: egli ha sì un incarico di predicazione-invito alla
correzione di Ninive, compito che si porterà infine anche a compiere, ma “non è un profeta nel senso oggi
normalmente inteso", non è un “detentore-conoscitore” della Verità, del divino. Profeta in questo senso è invece, e
grandissimo, colui che ha scritto quel testo, il -Giona autore- che scrive di Verità e profondità quali quelle che così si
scoprono.
Questa lettura della figura di Giona-Anima, che porta a vedere quel testo sostanzialmente come un sapienziale mitoparabola, non è nuova e a suo sostegno si possono vedere le parole di Giovanni che nel suo vangelo dice : <..studia
e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea..>: non vi sono veri profeti nella terra di Giona.
Nella preghiera (2.3-10) che farà Ionà-Giona e che le permetterà di tornare alla vita fisica con la reincarnazione,
l'Anima-Ionà fa il proposito di <..tornare a guardare il... santo tempio..>(2.5) di Jhwh ma poi non saprà-vorrà, di
nuovo e per la seconda volta, portarsi ad esso ovvero "vedere-capire” quel dio-tempio nella sua essenza.
Essa non saprà-vorrà portarsi a capire, nei limiti all’uomo possibili, per quale “razionale motivo” il divino è
<..compassionevole e misericordioso, paziente, di grande amore e disposto a riconsiderare la sua decisione di
infliggere una calamità..>(4.2) .
Giona non saprà, di nuovo, capire-vedere per quale razionale Jhwh-Legge-Natura, per quale razionale "divino",
quella salvezza avviene; non saprà quindi vedere una Verità che all’uomo resta comunque parzialmente
inaccessibile, che si può giungere a vedere solo "di spalle".
m) Con quanto appena visto possiamo quindi dire che Giona è figura anche di un uomo-umanità che pur portandosi
a fare una cosa giusta non capisce il divino-Uno e resta chiuso nell’”io” e lontano dal divino anche dopo la possibile
sua reincarnazione.
E il racconto-mito sapienziale di Giona ci dice che questo uomo-umanità che resta in tali condizioni anche dopo la
possibile reincarnazione, “finisce”, muore questa volta definitivamente. Incapace per la seconda volta di
"convertirsi-morire all'io-abbandonare patria, casa e padre" come ha saputo fare Abramo (Gn 12), non potrà come
questi "andare dai suoi Padri-Elohim-Potenze in pace dopo una buona vecchiaia" (Gn 15), non potrà unirsi a questi,
all'Assoluto, e la sua sorte sarà quella di -finire-.
Il testo di Giona non dice apertamente di questa morte definitiva ma la lascia, nel suo relativo impressionante
silenzio, chiaramente vedere e capire.
Vediamo infatti che a Giona la “seconda morte” arriva, infine, con un <...vento orientale che lo fa tacere, e (con)
colpi di sole sulla testa ..(che lo fanno) sentire mancare..>(4.8). Così traduce Erri De Luca nel citato testo,
precisando che quel “mancare-venire meno” è in ebraico “vaitallàf”, un verbo rarissimo che <..il profeta Amos usa
per descrivere delle ragazze che stanno morendo di sete..>.
Non avrà nuove occasioni di vita, Giona, qui su quelle parole il racconto su di lui si ferma, bruscamente. Ed il
silenzio di quella interruzione è profondissimo: il testo chiude ogni dire su Giona con quella straziante scena di lui
che “tace-manca-muore-finisce” e così dice della definitività di quella morte. Una morte questa che è quella che
Giovanni nella sua Apocalisse chiama “seconda morte”.
Una “seconda morte” che è ciò che chiude definitivamente l’esperienza del singolo uomo-anima personale, ma che
nulla di ciò che ha fatto e cui è giunta quella esperienza, porta a finire.
Viene a "mancare", "viene meno e finisce" Ionà-Giona, e finisce senza decreti da parte del divino, è lei che resta in
quella assolata e rin-seccante condizione “fuori dalla grande città” cui si è portata. Posizione-condizione che si
rivela non sopportabile e tale da farla giungere a desiderare quella -propria- fine che il testo lascia immaginare.
Ionà-Giona <..chiese di morire, dicendo “meglio per me morire che vivere”..>(4.8) e la condizione in cui si è posta
la porta ed esaurirsi, al finire-venire meno di quella esperienza-anima.
Su questo aspetto certamente interessante è il raffronto con quanto, del tutto simile, è nel 4° episodio dei miei
Ricordi, nella Ultima Parte di questi scritti.
L’uomo-umanità, ci dice così quel testo, che dopo e nonostante quel -possibile- “ritorno alla vita-reincarnazione”
restando ferma all'"io-materialità", resta nella incomprensione e quindi lontana dal divino, finirà-morirà anche se ha
ubbidito e fatto sì che si salvasse la “grande città”, Ninive.
Della discordanza tra le parole di Luca e Matteo, considerazioni
Abbiamo ampiamente visto la abissale distanza ed il profondo contrasto che, in una libera analisi, si mette in
evidenza tra le parole di Gesù su Giona riportate da Luca e Matteo. Nonostante non sia una novità la difformità che
393
undicesima parte
nei vangeli si trova per le parole riportateci di Gesù, in queste di Luca e Matteo, abbiamo detto e visto, si rivela
meglio che altrove una profondamente diversa ed antitetica lettura della figura di Gesù.
Mentre Matteo mostra un Gesù grandissimo Rabbi-Maestro che svela, legandosi ad essa, la natura filosofica della
Scritture giudaiche, Luca vede Gesù quale "figlio unico di Dio uno con Esso" secondo gli insegnamenti paolini, gli
stessi ereditati dalla odierna cristianità.
Si deve dire ora che questo è un fatto importante: qui in particolare ma non solo come abbiamo visto nella analisi su
"Il Ricco stolto", si mette in chiara evidenza ed indiscutibilmente che addirittura nei vangeli, le "due fonti" della
Cristianità di cui dice Ireneo, si trovano e si vedono. Non più quindi solo in tardi e non canonici scritti questo fatto si
vede ed è testimoniato: è così nei vangeli che quella doppia ed antitetica lettura e visione, la "Questione
Cristologica" risolta secondo le proprie convenienze dall'Impero Romano più che dalla Chiesa, viene testimoniata.
Qui così si testimonia in modo inconfutabile la opposizione, prima solo più nascostamente evidente, tra i vangeli di
Matteo e Giovanni da lato, vangeli della "fonte filosofica giudaico-ellenista" e quelli Marco e Luca, discepoli di
Pietro e Paolo, vangeli della "fonte farisaica paolino-petrina". Vangeli che così, ulteriormente accertata in essi
quella insanabile discordanza e lontananza che qui tra Luca e Matteo si vede, andranno riconsiderati in questa luce
di "differente origine dottrinale".
Su Ninive e Giona
Una ultima nota vuole poi fatta in merito a quelle ultime parole che, nel Libro di Giona, Jhwh dice mentre Giona
muore. Come spesso avviene nei miti-racconti sapienziali, anche qui le parole finali chiudono gli insegnamenti con
una ultima e a volte riassuntiva verità.
Qui noi notiamo che il testo evidenzia una contrapposizione tra Giona-Colomba e Ninive, la <..grande città, con più
di centoventimila persone che non sanno distinguere fra destra e sinistra, e una grande quantità di animali..>.
Contrappone l’uomo-anima personale ad una Vita che con la moltitudine umana comprende gli animali. Si chiude,
il testo di Giona, con queste parole di Jhwh:
<..Tu ti sei dispiaciuto per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto
spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita e io non dovrei dispiacermi di Ninive,
quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra
e la sinistra, e una grande quantità di animali ?"..>(4.10,11)
In inciso preciso che questa è la traduzione Nuovo Mondo, mentre la Cei in luogo dei due evidenti paralleli "ti sei
dispiaciuto-non dovrei dispiacermi", discutibilmente propone "ti dai pena-non dovrei aver pietà".
A fianco quindi dell'insegnamento sopra visto che dice di ciò che “per/a causa” di un Jhwh che è Legge-Natura
spetta-capita al Giona-Colomba-Anima personale che resta lontana e contraria a tale divino, quelle ultime righe del
testo di Giona sopra riportate dicono ed insegnano verosimilmente quanto segue :
- il parallelo che viene fatto tra Giona e Jhwh, con un Giona che dispiacendosi del mancato riparo dovuto alla
morte-essicamento del ricino-zucca sostanzialmente mostra di preoccuparsi della -propria vita- che così è in
pericolo, ed un Jhwh che si dispiace di una Ninive con molti uomini ed animali, è un parallelo che ci dice in
sostanza che la -vita di Jhwh- è quella di Ninive.
Non vi sono altri motivi per quel parallelo : come Giona si preoccupa per la propria vita fisica così Jhwh si
preoccupa per la propria, che è quella della Ninive uomini-animali.
- insegna tutto ciò, che nulla conta la singola e personale Anima-Ionà per un Jhwh-Legge-Natura che rivolge i suoi
sforzi a Ninive ovvero che fa in modo che possa correggersi e vivere, essere Vita. Una Ninive che è il complesso ed
insieme di uomini ed animali. E questa Verità la si evince sia dalle parole sul dispiacersi di Jhwh, che evidenziano
come prioritaria una universalistica azione del Jhwh-Legge-Natura, che dalle parole sulla "nessuna fatica" svolta da
Giona: parole queste che sottolineano la nullità del singolo.
Il Gaon di Vilna
Dopo questa analisi fatta sulla base anche delle parole dell'ebreo Rabbi Gesù, veniamo ora sinteticamente a vedere
cosa dice l'ebreo Rabbi Gaon di Vilna (1720-1797) in quel suo "Commento a Giona" nel quale arriva, pur in modo
molto complesso, alla stessa sostanza esegetica che si trova nelle parole di Gesù ovvero arriva ad affermare, lui
chiaramente, che il Libro di Giona dice ed istruisce in merito alla "reincarnazione".
La sua è una voce importante, egli è stato infatti ed è un grandissimo rabbino e si è particolarmente distinto oltre che
per il rigoroso metodo filologico da lui seguito nelle interpretazioni del Talmud e della letteratura rabbinica, anche
per la sua aperta e forte contestazione, con scomuniche, del Chassidismo da lui dichiarato eretico.
Anche se nell’ebraismo non è mai mancata la credenza nella reincarnazione, prima di questa lettura fatta dal Gaon di
Vilna, su Giona una importante voce è stata quella dello Zohar, il Libro dello Splendore del 1270 circa, testo nel
quale quella corrente cabalistica dell’ebraismo aveva interpretato il “ritorno alla vita” di Giona-Ionà-Colomba come
“prefigurazione della resurrezione finale”. Lettura quindi molto lontana da quella del Gaon.
Caratteristica del Gaon, nell'affrontare il testo di Giona, è l'uso di una esegesi che interessa e si porta ad ogni
particolare del racconto, una esegesi direi estrema: egli quasi in ogni parola cerca, vede e propone allegorie.
394
undicesima parte
Ora, è certo che spesso nel racconto allegorico-mitologico certi particolari sono creati al fine di arricchire, con
approfondimenti spesso anche molto importanti, il messaggio sapienziale di base del mito-racconto, ma dubito
personalmente che sia giusto il cercare-vedere significati nascosti ad ogni parola.
E’ certo corretto, come fa il Gaon anche sulla base di quanto è nelle Scritture, il vedere in Tarsis, la città alla quale si
porta Giona per sfuggire alla prima richiesta-invito di Jhwh, una allegoria di ricchezze e piaceri mondani che
“allontanano” e non fanno più sentire quella voce-invito di Jhwh. Ed è certo altrettanto corretto, anche sulla base di
tanta letteratura sia giudaica che pagana, vedere come il Gaon fa nel “viaggio in mare” la immagine allegorica dello
svolgersi di una vita che non vede terraferma, che non vede la “fermezza” della Verità e quindi una vita
spiritualmente piena di rischi.
Personalmente però dubito della correttezza, ancor più che della opportunità, di esegesi estreme quali quelle che a
tratti il Gaon fa per il testo di Giona: esegesi che rischiano di negare quasi un messaggio narrativo di base che invece
è obbligato e necessario al primario messaggio esegetico del mito-racconto.
Partendo anch’egli dal chiaro significato del nome di Giona-Ionà-Colomba, il Gaon imposta la sua esegesi sul fatto
che il testo di Giona-Ionà si centri su quanto accade -all'animo in sé- piuttosto che a ciò che accade -all'animo legato
dell'uomo e quindi "sua" anche materiale esperienza-. Questo lo porta, discutibilmente, a vedere nella nave il
“corpo” fisico e nei marinai che si separeranno da Giona-Anima gettandolo-abbandonandolo al “mare-mondo”, i
principali organi del corpo, il cervello ed altri poteri. E così poi a seguire con altri riferimenti allegorici che, a mio
avviso, rischiano come detto di distogliere da una sostanza del mito-insegnamento che, ritengo, ha il suo centro nella
trama di base del racconto.
Comunque sia, degno di nota ed interesse è il fatto che una lunga tradizione ebreo-giudaica che ritiene possibile la
reincarnazione e ne vede tracce chiare nelle Scritture, come ad esempio in Giobbe 33.29, con il Gaon di Vilna arriva
a vedere anche il testo di Giona come un insegnamento su di essa.
Giona e le Sirene
Di grandissima importanza ed interesse, infine, è poi quanto si può e si deve ricavare dal pannello musivo cui ho
accennato all’inizio, scoperto nel 2012, risalente al V sec. e facente parte delle decorazioni di una evidentemente
importante Sinagoga ad Huqoq, un villaggio vicino a Cafarnao in Galilea.
Lo straordinario interesse di questo pannello sta con evidenza nel fatto che qui, ed in ambito sinagogale ovvero nel
luogo di insegnamento della religione giudaica, nel luogo di insegnamento della esegesi dei testi giudaici, si fa una
lettura del testo di Giona chiaramente “filosofica”, non “religiosa” nel senso di religione positiva e rivelata.
Se ne fa una lettura che vede e presuppone una Sapienza universale, che si trova nelle Scritture correttamente lette
come nella mitologia pagana, greca e non solo. Una Sapienza che si rivela a chi la cerchi. Una Sapienza filosofica
nella accezione di filosofia qui ricordata, ovvero nella accezione socratica, quella di chi passando dalla "melete
thanatou" o "esercizio di morte" arriva a condizione divina, ad "essere certo di finire fra dei" come Socrate.
Interessantissimo poi è vedere che questo pannello sinagogale non è isolato, sono vari infatti gli scavi che hanno
recentemente mostrato, vedremo più oltre, la presenza in quelle aree e intorno al IV-V secolo, di un “diverso”,
possiamo dire, giudaismo.
Cosa dice infatti quel pannello? Le Sirene che in alto cantano mentre Giona viene inghiottito-muore, ci dicono che
è per esse, che è a causa loro, che Giona muore: nessun dio farisaicamente letto e visto ovvero nessun Jhwh-personaente lo porta a quel “segno-accadere-destino” che alla fine, abbiamo visto, può farlo “venir meno-finire”. L’uomoumanità Giona muore perché ascolta impreparato quelle Sirene che, per le analisi in precedenza fatte sia sulla Sirena
bicaudata che sulla figura e mito greco di Odisseo, figurano il pericolo che si corre a causa della parte femminea,
sensoriale-materiale, dell’animo umano.
Nessun dio, nessun “Jhwh persona-ente” interviene: sono delle pagane Sirene che qui portano Giona alla sua
disavventura ed è quindi un "Jhwh-Natura-Legge” quello che con questo pannello si mostra, quello stesso "JhwhNatura-Legge” che, sulla base delle Scritture, abbiamo messo in luce in precedenza su queste pagine.
Un Jhwh di cui sono parte-aspetto anche le Sirene, figure pagane di una quindi universale Sapienza, figure di ciò
che, presente all'animo umano, se non visto-conosciuto finisce per essere fatale.
E non si tratta qui di sincretismo, di modificazione della dottrina che nasce nelle Scritture, si tratta invece della loro
più piena comprensione ed insegnamento, di una loro "diversa", corretta e non farisaica, lettura.
Ancora una conferma, ed autorevolissima in questo pannello, di quella “unità si sapere e sentire religioso-filosofico”
che le letture e comprensioni “farisaico-separatrici” delle Scritture fatte da parte delle tre religioni monoteiste.
Letture e comprensioni che, vero e proprio strumento e forza di un largo, incompreso e non indagato "mistero della
iniquità", quella Sapienza hanno cancellato.
La lettura pienamente filosofica del testo di Giona che qui si evince grazie alle Sirene, porta a dire che tale esegesi
vedesse anche e comprendesse l'insegnamento e visione, qui visto, sulla reincarnazione. Difficile immaginare, con
quel presupposto di inquadramento filosofico, altre analisi e spiegazioni del mito e testo di Giona.
395
undicesima parte
Giona con Sirene- Sinagoga del V sec. - Huqoq, Galilea
Una reincarnazione che, come già detto, alcune esegesi giudaiche vedono chiaramente richiamata in quelle "due..tre
volte" di cui dice Giobbe e che, per esse, sono il numero massimo di possibilità di "reincarnarsi". Dice Giobbe:
<.."..mi ha scampato dalla fossa e la mia vita rivede la luce". Ecco, tutto questo fa Dio, due volte, tre volte con
l'uomo, per sottrarre l'anima sua dalla fossa e illuminarla con la luce dei viventi..>(Giobbe 33.28-30).
Ancora un aspetto poi, di quel pannello, si presenta interessante: il “grande pesce” che ingoia Giona è a sua volta
ingoiato da un altro pesce ed ancora anche questo è mostrato ingoiato a sua volta. Non facile da inquadrare, questa
sequenza sembra legarsi alle <.. teste di Leviatan..>(Sal 74.14), un Leviatan che però è visto piuttosto come
<..serpente sinuoso..>(Is 27.1) e che, anche, è ciò che porta alla morte definitiva, alla “seconda morte” e, per la
letteratura giudaica, dovrà vedere la fine con la sua consumazione nel messianico banchetto dei Giusti.
L'approfondimento di questi aspetti, che faremo più avanti nella Dodicesima Parte al capitolo "Leviatano, Balena,
Pistrice ed Ippocampo", si apre poi ad una interessante lettura su di un'altra figura della “sapienza” pagana:
l'ippocampo o cavalluccio marino.
ORIGENE
Tra i più grandi testimoni, si può dire, della “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica” legata alla apostolare
Chiesa Madre di Gerusalemme ovvero di una delle "due fonti" della cristianità di cui ci dice Ireneo e qui viste in
precedenza, bisogna annoverare il teologo e filosofo cristiano Origene (185-254).
E’, Origene, testimone eminente di una di quelle “due” abissalmente diverse ed antitetiche “comprensioni” degli
insegnamenti di Gesù che internamente alla cristianità per secoli si confronteranno e che nascevano da un lato da
quanto compreso ed insegnato dal dotto fariseo Paolo, seguito da Pietro, e dall'altro da quanto invece era visto ed
insegnato da molti dei "dodici" -veri- Apostoli, coloro che Paolo ha duramente contrastato come lui stesso ci dice in
2Corinzi e non solo, oltre che da altri tra i primi seguaci di Gesù.
Gli scritti di Origene, seppure offuscati da un lato dalla loro ermeticità e dall'altro dalla non piena fedeltà di alcune
traduzioni dei suoi testi, ci mostrano insegnamenti e Verità che largamente corrispondono a quelle del Gesù
“diverso” qui visto. Cercheremo qui di approfondire il suo lavoro opera e pensiero ma limiteremo la
argomentazione a tre punti in particolare, quelli più strettamente legati alle analisi sin qui fatte sul “Gesù diverso”,
vedremo quindi cosa egli dice in merito a:
396
undicesima parte
1) Natura di Gesù e del divino; 2) Resurrezione, Reincarnazione e Successione dei mondi; 3) Apocatastasi.
Prima però di entrare in queste analisi faremo una breve premessa introduttiva.
Premessa
Teologo e filosofo cristiano di grandi e riconosciute capacità di analisi, dell'opera di Origene, personaggio molto
prolifico cui moltissimi testi di omelie e commenti vari vengono ascritti, molto non abbiamo più a disposizione ma
soprattutto ci manca un importantissimo e direi fondamentale "trattato", in tre libri, sulla "resurrezione".
Oltre a ciò l'altra opera sua più importante, “I Principi”, che conosciamo solo nella traduzione in latino di Rufino
(345-411), da questi è stata corretta, seppur non gravemente come giustamente ritiene il prof. M.Simonetti, ma
soprattutto è stata emendata in modo da renderla "non in contrasto" con la dottrina dominante ovvero quella,
episcopale in particolare, derivata dalla paolina comprensione dell’opera e degli insegnamenti di Gesù: derivata
dalla “fonte farisaica paolino-petrina”.
Onestamente, e polemicamente, Rufino infatti in prefazione al suo lavoro ci dice di avere accettato quel compito:
< ..alla condizione ..(che) avrei seguito nel tradurre il criterio di coloro (Girolamo ndr) che mi avevano preceduto..
(e cioè che) trovando nel testo espressioni che potevano essere...di scandalo, tutte avrei modificato e corretto nel
tradurre, sì che il lettore... non trovi nulla.. in contrasto con la nostra fede > (I Principi -a cura di M. Simonetti).
Per la cronaca questa nota di Rufino era fatta in polemica con Girolamo, suo contemporaneo, per alcune sue
traduzioni del testo di Origene che, a parere di Rufino, erano alterate in modo eccessivamente fazioso per, in modo
opposto al suo, evidenziarne i contrasti con la dominante “fede”. Girolamo per reazione a tale nota e critica
produsse poi una traduzione “letterale” de “I Principi”, traduzione che però, chissà se casualmente, è andata
perduta.
La vita di Origene nella cristianità, in una Chiesa che già vedeva al suo interno l'acuirsi di quella Questione
Cristologica, vera guerra nella quale per oltre tre secoli internamente alla cristianità si opporranno, con innumerevoli
variazioni, le "due fonti di tradizione" della cristianità di cui ci dice Ireneo, fu una vita che pur nel riconoscimento
delle sue grandi doti è stata molto contrastata e più di una condanna per eresia, oltre ad un esilio, egli si è visto
infliggere.
La lotta contro Origene, che proseguirà poi contro il cosiddetto “origenismo” ovvero contro quel vasto seguito che
soprattutto in ambito monacale gerosolimitano, ma non solo, egli avrà, lotta che sarà solo un momento della citata
Questione Cristologica, ci è ben testimoniata, tra l'altro, da una lettera di Dionigi, vescovo di Lidda.
Nel 401 infatti, rispondendo a Teofilo il quale nello stesso anno si era fatto promotore di un Sinodo nel quale
<...alla presenza di molti Superiori di monasteri che erano accorsi (alla assemblea di vescovi tenutasi a Nitria nel
numero conveniente richiesto da un sinodo) .. data lettura dei libri di Origene... tutti all'unanimità li
condannarono....>(lett.XCII – Le Lettere, a cura di S. Cola), Dionigi scriverà:
< ..tu hai fatto al mondo uno dei più grandi benefici, per aver messo fuori combattimento gli scelleratissimi seguaci
di quel bestemmiatore di Origene..> (lett.XCIV – Le Lettere, a cura di S.Cola)
In quel Sinodo sarà decretata e promossa, con l’intervento degli imperatori Arcadio e Onorio, la espulsione degli
origenisti da Alessandria e dall’Egitto.
Girolamo (347-420) poi, da parte sua, dichiarerà gli origenisti <..razza dannata..>(lett.LXXXVI) e l'origenismo
<..una delle più perfide eresie, dal veleno diabolico..> (lett.LXXXVIII).
Origene però, vuole detto, alla morte è stato sepolto con tutti gli onori quale “Confessore della Fede” dietro l'altare
maggiore della cattedrale di Tiro. Una “fede”, quella di Origene, che come ci dice il suo allievo Gregorio il
Taumaturgo (213-270), lui trova nella "alta filosofia", la filosofia che porta l'uomo al divino:
<.. l'obiettivo suo (di Origene), ...(seguendo la) alta filosofia,.. (era) lo stato di calma...(l'essere) equilibrati, simili
alla divinità, beati..> < (Origene è) uomo...in apparenza, ..si è già spogliato della sua condizione mortale in virtù
delle doti che segnano il trapasso dall'animo umano al divino..quest'uomo è...affine alla divinità..>
<(Origene) ..era partecipe del..Logos salvatore..(il quale) rimane, però, nascosto ai più...>
(Gregorio il Taumaturgo - "Discorso a Origene")
E a tale "filosofica condizione divina” Origene giunge, vedremo, grazie alla “resurrezione” da lui insegnata, grazie
alla “conversione-rinascita in vita-resurrezione" qui vista e di cui ha detto il Gesù "diverso" in queste pagine messo
in luce. Una "filosofica" condizione di "vita divina", di vita partecipe di un Logos che <..rimane nascosto ai più..>,
egli dice. Una condizione che, bisogna vedere, non è altro che la condizione del "vero-autentico filosofo" di cui dice
Socrate, la condizione che ci vede "finire fra dei" ed a cui “i più non pervengono" dice anche Socrate.
Allievo della importantissima scuola filosofica neoplatonica alessandrina di Ammonio, Origene lasciò poi questi
studi per portarsi ad approfondimenti teologici che, con riferimento alle Scritture giudaiche, in buona parte
seguiranno le tracce esegetico allegoriche che aveva portato avanti due secoli prima il giudeo Filone Alessandrino in
particolare. Molto infatti di quanto detto da Filone si ritrova, ma qui portato e riferito agli insegnamenti di Gesù,
nelle sue esegesi. Si ritrovano in Origene, seppur con alcune differenze, lo stesso Dio e la stessa resurrezione di cui
ha detto Filone e, Origene per primo forse, tale filosofica lettura ed esegesi delle Scritture giudaiche la vedrà,
correttamente, espressa anche nei Vangeli e la accrediterà quindi, quasi stessa, a Gesù.
397
undicesima parte
Egli saprà infatti vedere che Gesù non ha fatto altro che confermare le Scritture giudaiche. Scritture che, fuori da
una “lettera” che egli dice essere ad uso unicamente di “semplici e mediocri”, solo con la loro comprensione
allegorica e poi gnostico-sapienziale svelano e rivelano un Dio-divino ed una Verità che, come visto in queste
pagine, non sono che il Padre e le Verità di cui ha detto Gesù, il Gesù “diverso” da Paolo non capito ed avversato.
Come Filone però anche Origene non andrà a fondo nella analisi filosofica dei fondamentali aspetti apocalittici di
Scritture e Vangeli, dei Profeti e di Gesù: del Gesù che dichiara <...è necessario che tutto questo avvenga,... popolo
contro popolo...carestie e terremoti... e tutto ciò....è solo l'inizio dei dolori ..> (Mt 24.6-8).
Sarà questo a mio avviso il vero limite della sua analisi esegetica e teologica anche se, come evidenzia la critica, è
forse proprio grazie a lui che contro molti sosterrà la importanza della “Apocalissi” giovannea, se questo testo è
rimasto tra i “canonici”.
Origene nel suo lavoro esegetico, una analisi acuta e profonda seppur di essa siano certo discutibili vari aspetti, si
richiamerà molto alle lettere di Paolo ma, purtroppo, questo lo farà senza la necessaria messa in guardia rispetto a
quelle parole. Egli saprà vedere le molte Verità, formule e citazioni, presenti in quegli scritti ma non saprà o non
vorrà denunciare, o forse non saprà pienamente vedere, il rovesciamento teologico che Paolo in realtà finisce con
l’effettuare. Non saprà o non vorrà denunciare, forse vedendone i limiti ma sottovalutando le conseguenze, che
quegli scritti, complessi ed incongrui ma già ai suoi tempi più indiscutibili e più centrali delle stesse parole di Gesù,
"possono portare alla rovina", come dice Pietro: <..in esse (lettere di Paolo) ci sono alcune cose difficili da
comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano...per la propria rovina..>( 2Pt 3,16).
Solo chi già sa, dice Pietro come visto in queste pagine, "solo" chi "già conosce la Verità ed è ben stabile in essa" è
in grado di accorgersi di come le molte e pur corrette -formule e citazioni- che si trovano in quegli scritti arrivano a
portare all'errore. Solo chi già sa può evitare la <..rovina..>.
Su Paolo Origene, senza denunciare quel rischio di rovina, non saprà o forse non potrà fare altro che affermare che:
<..come è suo costume, (egli) apre dalle molte realtà ( le Verità più profonde e misteriche -ndr) qualche spiraglio,
in modo che rimanga chiuso per i negligenti ma chi cerca trovi..>(Om Es IX,1) e che <..(Paolo) adopera dei
periodi talvolta confusi e poco espliciti..>(C.Rm I,1,1).
Troppo poco, e troppo disattese da lui sono state anche le chiare parole di Paolo che dichiarano che il “suo” vangeloannuncio e il “suo” Gesù non sono quelli che alcuni Veri-Grandi-Super Apostoli insegnavano.
Troppo poco anche se, a sua parziale discolpa, si deve dire che una certa prudenza ad Origene veniva da un lato a
causa della durissima opposizione di cui era oggetto da parte della Chiesa istituzionale, e dall'altro dalla
consapevolezza che i tempi dovevano passare, che “infiniti mondi-tempi-secoli”, infinite condizioni, doveva vedere
il genere umano per ri-portarsi alla perfezione ed era quindi egli ben consapevole che alla “moltitudine di fedeli
semplici” non tutto era possibile far capire e dire. Sapeva, Origene, che per molto tempo sarebbero stati pochi i
<..perfetti..>, i progrediti che erano in grado di capire. Scriverà infatti:
<..la Scrittura (è) compresa dai mediocri soltanto secondo il senso letterale, mentre invece gli spirituali e i perfetti
l'intendono secondo il mistero spirituale..>(Comm. a Matteo 27);
<..la resurrezione della carne.. è intesa chiaramente da quelli ben forniti di intelligenza..> (C.Celso V.18);
<..i fedeli più semplici.. non danno una spiegazione adeguata...della resurrezione e del giudizio >(Metodio di
Olimpo, La resurrezione I, XX,1-Città Nuova);
<..Non è da meravigliarsi se una tale opinione ( la credenza che il
genere umano perirà tra le fiamme e solo i cristiani si salveranno) nutrono quelli fra di noi cristiani che dalle
Scritture sono definiti stolti... deboli...spregevoli...che non sono..>(C.Celso V.16); <..alcuni...non conoscono altro
che Gesù Cristo...e ritenendo che il Logos fatto carne sia tutto il Logos, conoscono Cristo soltanto secondo la
carne: di tal genere è la moltitudine di quelli..ritenuti i fedeli..>(Comm. Gv II. 28).
Tali non corretti insegnamenti e comprensioni che egli vedeva in ciò che era <..predicato nelle chiese..>, saranno da
lui detti, e forse anche visti e considerati, necessari così come, dirà, è a volte necessario che il medico nasconda la
durezza della cura al paziente o il padre nasconda alcune verità ai figli di tenera età:
<..Questo invero ( il fatto che l‘anima nel reincarnarsi subisce pene e punizioni.. che sono rimedi..che conducono alla
conversione ) pensano i Cristiani che vivono e pensano assennatamente, e adattano le loro idee ai più sprovveduti come
fanno i padri ai figli in età molto tenera..>(C.Celso III,75) ;
<..è meglio avere riportato ordine nei.. costumi (dei fedeli) grazie ad una fede irrazionale..oppure non ammettere la loro
conversione, frutto di una fede semplice, fino a quando non si siamo dedicati a una ricerca razionale? >(C.Celso I 9)
<..così noi siamo stati costretti adesso ad accennare velatamente delle cose che non sono molto adatte agli uomini
di fede semplice che di semplici discorsi hanno bisogno..>(C.Celso V, 15)
Ma da un lato questo suo giustificare ed essere indulgente verso insegnamenti che pur, egli ammette, sono come
accusava Celso “irrazionali”, e dall’altro la mancata allerta sul travisamento e rovina che può nascere dalle parole di
Paolo, faranno sì che il lavoro teologico di Origene si presti ad essere attaccato da parte di chi, invece, leggeva Paolo
per come questi in realtà intendeva ovvero secondo quelle “rovinose irrazionali credenze e fedi semplici”.
Origene non saprà vedere, o forse non potrà dire, che proprio -in- quella “fede semplice” nasce ed è la “rovina” di
cui scrive Pietro e rinuncerà così, avvallandola, a dire apertamente la Verità su <..resurrezione.. giudizio.. Logos..>,
su quegli aspetti che, secondo le sue parole sopra riportate, sono da lui visti non correttamente insegnati.
398
undicesima parte
Ed è da da tutto ciò che nascono alcune differenze e contraddittorietà tra quanto Origene dirà nei trattati, destinati a
coloro che sono <..forniti di intelligenza..>, e ciò che egli diceva nelle omelie destinate ai <..semplici..>: in queste
egli evitava il contrasto aperto con quanto veniva <..predicato nelle chiese..>(C.Celso V,18) e restava quindi a volte
vicino a quella “lettera” che per lui è ad uso di “mediocri”.
Confermano la sua prudenza, per le Omelie, anche queste altre sue parole: <..dunque..tocchiamo brevemente poche
cose fra le molte.. in modo da offrire agli ascoltatori occasioni di approfondire (occasiones intelligentiae ) piuttosto
che perseguire la completezza delle spiegazioni..(Om Lv I,1).
Origene, bisogna tenere presente, è persona di grandissima razionalità e “spirituali e perfetti” per lui sono i “pochi”
che con una “intelligenza” che è capacità razionale, logos figlio del divino Logos, si portano fuori da quelle
“opinioni-doxa” che sono <..favole..>, lui dice riferendosi sia ad alcune derive dello gnosticismo che a posizioni
filosofiche: <..favole..> che non sono altro che ciò cui l’uomo senza razionalità-logos si porta a credere.
Questo grande e riconosciuto teologo della prima Cristianità, che oggi seppur con distinguo importanti la critica
giustamente vede vicino allo gnosticismo, infine, a 300 anni dalla sua morte nel Concilio Ecumenico
Costantinopolitano II del 553 con la “Condanna dei Tre capitoli” ha visto condannate e cancellate da parte di una
Cristianità ormai pienamente paolino-imperiale, le sue Verità, i suoi insegnamenti ed i suoi molti seguaci.
Dice in merito Manlio Simonetti :
< Nei primi decenni del VI sec. la diffusione dell'origenismo negli ambienti monastici cominciò a suscitare contrasti
violentissimi che spinsero l'imperatore Giustiniano ad intervenire. In una lettera a Mena, patriarca di
Costantinopoli (543), egli condanna e confuta varie proposizioni origeniste,.. Dieci anni dopo, il concilio
ecumenico di Costantinopoli riprese la questione e condannò la dottrina origenista ..> ( M. Simonetti, Origene- I
principi, Contra Celsum e altri scritti ).
Nove erano le accuse, secondo quando ci dice Panfilo (+306), che gli erano formulate già poco dopo la sua morte e
quasi certamente anche quando era ancora in vita:
1) Di considerare il Figlio innato; 2) Di considerarlo “emanato” alla maniera di Valentino;
3) Di considerarlo un semplice uomo, come fanno Artemone o Paolo di Samosata;
4) Di ritenere le sue gesta umane solo in apparenza; 5) Di predicare due Cristi;
6) Di negare il valore letterale delle azioni dei santi nelle Scritture; 7) Di negare la resurrezione dei morti e le
pene dei peccatori ; 8) Di sostenere la preesistenza; 9) Di sostenere la metempsicosi (reincarnazione ndr)
(Emanuela Prinzivalli -Origene, dizionario- p.326)
E così si espresse sinteticamente ma duramente il Concilio citato al suo XI° anatemismo :
< Chi non scomunica Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Nestorio, Eutiche, e Origene, insieme ai loro empi
scritti, e tutti gli altri eretici, condannati e scomunicati dalla Santa Chiesa cattolica e apostolica e dai quattro
predetti santi concili; inoltre, chi ha ritenuto o ritiene dottrine simili a quelle degli eretici che abbiamo nominato, e
persiste nella propria empietà fino alla morte, sia anatema >.
Quelle di cui ci dice Panfilo sono accuse importanti e troppo sottovalutate: esse prospettano un "Gesù "diverso" e
“uomo come tutti” e sono affermazioni che non possono, come spesso oggi è, essere considerate solo degenerazione
nel tempo prodottasi del pensiero di Origene. Lo studio del pensiero di Origene quindi, dato anche quanto detto in
merito alla attendibilità dei testi sui quali si lavora, non può non mettere in conto, quale ipotesi principale, il fatto
che quei nove punti fossero in effetti il suo insegnamento. E questo non mi sembra sia stato sufficientemente fatto
da parte della critica.
Oggi il pensiero di Origene viene visto e discusso, poco unitariamente mi sembra, soprattutto seguendo quelli che
sono considerati i principali diversi e separati temi cardine in cui è vista la sua opera ovvero: la " preesistenza delle
anime", il "libero arbitrio", la "resurrezione", la "successione dei mondi" e la "apocatastasi".
Molto poco approfondito è il tema della possibilità di una sua credenza nel “Gesù uomo come tutti" di cui dicono i
primi “cinque punti” della accusa sopracitata; poco o nulla considerata poi è la possibilità della “negazione da parte
sua della resurrezione dei morti” di cui al punto 7; male, se non faziosamente, è infine analizzata la possibilità della
credenza da parte sua nella "metempsicosi-reincarnazione" del punto 9.
Vero è che il compito di indagare Origene non è semplice: serve da un lato penetrare la segretezza sia espressiva che
allegorica, derivata questa dalle Scritture giudaiche che egli largamente usa, e dall’altro bisogna tenere presente sia
le possibili correzioni, de “I Principi” in particolare fatte come detto con lo scopo di evitare ciò che maggiormente
contrastava con la fede episcopale di derivazione paolina, e sia accorgersi dell’uso da parte sua, nelle omelie, di una
“lettera” che per lui è da superare ma alla quale è qui necessitato a fermarsi a causa del tipo di uditorio.
Dopo queste premesse, su Origene e sul cosiddetto “origenismo”, tema che certo altri spazi chiede, andremo ora a
fare gli approfondimenti di cui più sopra abbiamo detto, analisi che faremo richiamando parole di Origene tratte,
come le altre più sopra già riportate, da scritti e traduzioni messi in bibliografia di: Manlio Simonetti, Emanuela
Prinzivalli, Aristide Colonna, Henri Crouzel, Domenico Pazzini, Gaetano Lettieri, Mario Maritano ed altri.
Prima di entrare nelle analisi che seguiranno ritengo utile chiarire e sottolineare la complessità, in Origene, della
visione e definizione di "corpo".
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undicesima parte
Per lui infatti -sempre- l'anima ha un "corpo", giacché <..solo la trinità può vivere senza corpo..>(Principi II 2,2),
sempre ha un "eidos", idea-forma e corpo da non intendere in accezione platonica, egli dice, che vede
<..grandissimi mutamenti..>(in Metodio, La resurrezione I,XXII,4) e che può vedersi ed essere "sottile-etereoinvisibile", quello di angeli o dell'uomo alla morte fisica, oppure "fisico denso", quello umano-terreno.
Per entrambi questi stati corporali Origene vede poi stadi e condizioni di vario grado di spiritualità-luminositàgloria: minima o massima, questa spiritualità o luminosità può interessare entrambi gli stati corporali, sia il "sottileetereo" che il "fisico-denso". Il corpo "fisico-denso", umano, la cui anima è nello stato di totale mancanza di
spiritualità-luminosità, corpo quindi pienamente ed esclusivamente soggetto al sensibile, viene da Origene detto e
citato quale "carne e sangue" ma, anche, “carne e sangue” viene detto il sensibile in sé e la incontrollata spinta e
soggezione ad esso ed al piacere fisico corporale.
Tutto ciò premesso, e precisato che per Origene <..gli uomini (sono) composti di anima corpo e spirito
vivificante..>(Pr III,4,1), con una “anima” che <..decaduta dalla sua condizione e dignità..(dovrà essere) emendata
e corretta..>(Pr I 8.3), passiamo all’approfondimento del suo pensiero secondo i punti citati:
Natura di Gesù e del divino
Origene dirà di un Gesù-Figlio "uomo come tutti” ma che non ha mai vissuto la “caduta” e la cui anima quindi da
sempre è stata e rimasta pienamente “unita” al “Logos-Verbo-Figlio di Dio-Sapienza”:
<..non si può dubitare che la natura (dell'anima di Gesù) è stata quella di tutte le anime..>(Principi II 6.5).
< .. è nato, come abbiamo detto, l'uomo-Dio (uomo divino -ndr).…
l'amore perfetto e il sentimento sincero hanno unito tale anima (di Gesù) inseparabilmente a Dio, sì che la sua
assunzione non è avvenuta per caso o per favoritismo ma per virtù e meriti..> (Principi II 6.3-4)
Origene delinea quindi, per l'anima dell'uomo Gesù, una “inseparabile” unione, <..per assunzione..> a Dio.
Assunzione grazie alla quale Gesù, partecipando del divino, diviene Logos-Parola-Figlio: unione per <..meriti e
virtù..> che Origene vede avvenuta già prima della sua nascita fisica. Un Gesù quindi "uomo come tutti" ma la cui
anima non ha mai vissuto quella "caduta" che è allontanamento dal Dio, dal divino.
Dirà, Origene, di un Gesù fisico-materiale uomo come tutti ma Figlio di Dio in quanto portatosi ad essere
“partecipe” indistinto di un superiore <..primo..> Logos-Sapienza:
<..l’innalzamento del Figlio dell’uomo, avvenuto a lui che ha glorificato Dio nella sua morte, questo era:
l’essere egli in nessun modo altro dal Logos ma lo stesso..>(C.Gv 32.325)
Un Logos-Sapienza <..generato senza che alcun punto di inizio si possa immaginare..>(Principi I 2.2) <..con
generazione eterna e perpetua.. (e) Figlio per natura..>(Principi I,2,4), un Logos <..primo..> che nulla di materiale
è e può essere e che, pur Dio, è di esso Figlio:
<..infatti il Figlio è Parola..alcunché di sensibile; è Sapienza..alcunché di corporeo; è Luce vera che illumina ogni
uomo che viene in questo mondo..> ( Principi I, 2.6)
Gesù, continua Origene, < ..Figlio di Dio .. non è principio secondo tutte le denominazioni che gli si danno,.. visto
che il principio di Vita è il Logos..> (Commento a Giovanni I.19, 116-117) ma è uomo come tutti che <...Figlio
unigenito di Dio.. ha realizzato prima in sé stesso ciò che voleva fosse adempiuto dagli altri..>(Pr III,5,6)
Ed è in questo senso, è quale “esempio primo” che a tutti indica la strada per ri-portarsi al divino, che Origene dirà
di un Gesù, Cristo-Unto-Messia, Salvatore:
<..attraverso l’unico Cristo (Unto -ndr) si costituiranno i molti Cristi, i suoi imitatori..>(C.Gv 6.249)
Gesù quindi, Cristo-Unto, Salvatore in quanto esempio primo di una strada di deità che porta coloro che sanno
percorrerla, coloro che sanno “innalzarsi” lasciando la condizione di caduta, mondana e di uomo, ad “essere” Lui
stesso Cristo e Logos:
<….chi è morto alle opere del mondo, costui...è entrato nel giorno del Signore, e il Figlio dell’uomo fa dimora nella
sua anima..>(C.serie in Mt 56)
<..allora Gesù non è più “presso” di loro ma “in” loro e possono pronunciare la parola: “ non io vivo, ma Cristo
vive in me..>(C.Gv 10.45)
<..il Salvatore...è vita che è stata fatta nel Logos...è vita non per sé ma per altri..Questa vita sopravviene al logos,
ma una volta sopravvenuta diventa inseparabile da lui. Prima infatti è necessario che vi sia nell’anima il Logos che
la purifica, affinché, eliminate mediante la sua presenza e la sua opera purificatrice tutte le tracce di mortalità e
ogni debolezza, la vita incontaminata possa venire in chiunque si renda idoneo ad accogliere il Logos in quanto
Dio..>(C.Gv II.18.128-129)
Sosteneva, Origene come il Gesù “diverso” qui messo in luce, che in tutti gli uomini e le altre "creature razionali" è
presente il Logos divino, ma, egli dice, in forma non identica al "primo Logos":
<..gli uomini (sono) composti di anima corpo e spirito vivificante (Logos -ndr)..>(Pr 3,4,1)
< ..la fonte del Logos che è in ciascun essere dotato di Logos è “il Logos”, mentre non sarebbe esatto chiamare “il
Logos” allo stesso titolo del “primo Logos” quello che è in ciascun (essere dotato di Logos -ndr )..>(C.Gv II 2)
< ..In realtà la potenza e la divinità di Dio alberga negli uomini, per mezzo di quello che Egli vuole,
e nel quale Egli trova posto, senza cambiar luogo per occuparne un altro > (Contra Celsum IV, 5)
400
undicesima parte
<.. è dimostrato che la parte dominante (il Logos) è situata proprio nel mezzo del vostro corpo..nel cuore... (ma)
quelli che non comprendono, per quanto riguarda la sua natura, né la sorgente e la fonte da cui deriva
né il modo in cui vive e opera in loro..non lo conoscono..>(C.Gv VI 189)
Dicono, queste ultime parole di Origene, che anche per lui come per Filone e Socrate e tanti altri, oltre che per il
Gesù che egli insegna, bisogna "conoscere se stessi" per vedere in sé il Logos che è figura del divino e quindi
vedersi, ed essere, Figli.
Le "creature razionali", tutte da Origene viste create agli inizi in una <..unità..>(Pr I,6,2), in una “unius
substantiae” è detto in Principi 4,4,9 secondo quanto riporta Girolamo (cfr: Origene dizionario pag 124), che poco
spazio lascia alla individualità. Tutte create "perfette e spirituali" esse, allontanandosi variamente per libero arbitrio
da quella iniziale "perfezione", si portano ad essere angeli oppure uomini o demoni.
Un allontanamento e caduta che vede grandi differenze anche internamente a ciascuna delle tre categorie, e continui
“movimenti-cambiamenti”: <..grandissima è la varietà delle cadute.>(Pr I,6,2) <...ciascuno in forza del libero
arbitrio progredisce e regredisce variamente..>(Pr. I 6.3) scrive Origene.
Alle "creature razionali-anime", quindi, avviene che <..(si) allontanano dalla Vita così procurandosi la morte
(spirituale -ndr)..>(Pr I,2,4) infatti <...la morte non è altro che allontanarsi dalla vita...>(Pr I,2,4), ma la VitaLogos-Spirito all’uomo resta presente seppur nascosta ed è compito e necessità delle anime-creature razionali, così
variamente allontanatesi-cadute, il riportarsi alla perfezione degli inizi ed essere così di nuovo <..riempite e
partecipi dello spirito divino..>(Contra Celsum IV.5).
Origene sosterrà la pre-esistenza delle “anime” al corpo fisico terreno: tutte create, quali “creature razionali”, in
"perfezione ed unità" al principio e non già al momento della nascita fisica dell’uomo, esse sono per questo
generalmente viste immortali ma, vuole notato, Origene prospetta anche la possibilità, peraltro vista anche dalle
Scritture e da Gesù abbiamo visto, che l’anima, verosimilmente per la sua parte inferiore, da lui prospettata, e non
certo per quella razionale legata al Logos divino, si porti ad un <..decadimento..>, un allontanamento dal divino,
<..irrimediabile..>(Pr I,6,2).
Con questi aspetti ed insegnamenti, quello del Logos divino a tutti presente e quello della pre-esitenza di un animo
umano che per tutti agli inizi, alla creazione, ha una “unica sostanza” compreso Gesù, Origene, seppur senza
evidenziarlo, si porta a superare ed intende verosimilmente evitare, la “individualistica” e "farisaica" visione che
nasce e si ha con la prospettiva ed insegnamento della creazione, da parte di un Dio, dell'anima personale al
momento della nascita fisica.
Vuole così Origene, a mio avviso, con piena razionalità evitare quella visione "separatrice-farisaica" che, errore
mortale, dal concetto di "io-personalmente e fisicamente-materialmente creato da Dio" porta ad una separazione
dell’uomo che è la morte spirituale cui con-seguono i fisici disastri che tutte le apocalissi del mondo antico ci hanno
preannunciato.
Un superamento che si riflette ed accompagna, si può credo dire, quello che egli farà rispetto al Dio. Origene infatti,
scriverà certo del "Padre" quale “Dio creatore”: <..Dio..ha creato tutte le cose...dal nulla ha fatto esistere
l'universo..>(Principi pref. 2). Ma questa "creazione" che egli mette in campo, una creazione che vede <..la
potenza e la divinità di Dio albergare negli uomini..>(C.Celso IV,5) e che vede quale traguardo e glorioso suo
momento ultimo il "con-fondersi" in Dio di "tutte" le "creature razionali" che si avrà nel tempo-condizione della
"apocatastasi-ritorno allo stato originario", quando <..Dio sarà Tutto in tutte...>(Pr III.6.6) egli dice, è certamente
una "creazione" che non ha le caratteristiche cui noi attribuiamo a questo termine e quindi non precisamente come
tale essa deve essere vista. Nuovi occhi e orecchie credo debbano servire, per quel “Dio-divino” , per quel “nulla” e
per quella “creazione”. I limiti di comprensione di tali "Dio” e “creazione" Origene li vede bene quando dice:
<...l'intelligenza umana viene meno (nel vedere che) ..come Dio è sempre stato, anche le creature sono sempre
state..(ma pure) dobbiamo credere che esse sono create e fatte da Dio..>(Principi I 4.4).
Ed è un limite che egli chiuderà, senza chiuderlo ma prospettando un "diverso" volto a quel Dio e un "diverso"
concetto di creazione, con questo assunto e parole:
<..Dio è sempre stato Padre avendo sempre il Figlio.. che è Sapienza.. nella quale era sempre contenuta,
preordinata sotto forma di idee, la creazione..>(Principi I 4.4),
Prospetta, così Origene, un "Dio/divino" multiforme:
<.. Vero Dio è dunque "il Dio"; coloro invece che sono dei, in quanto prendono forma da lui, sono come immagini
di un prototipo. E l'immagine archetipa delle varie immagini è "il Logos che era presso Dio", che era "nel
principio"..>(Comm. a Giovanni II,18).
Egli prospetta, andando dentro forse più che oltre le sue parole, un "Dio creatore" che è piuttosto un "divinoPrincipio" al contempo "Tutto, motore-Vita e Legge". Prospetta un "Dio creatore" che perde ogni antropologico
connotato e diviene quindi un "Dio-divino" -presente- in tutte le creature ed a cui queste sono infine destinate in
modo pieno ed esclusivo a partecipare giacché esso <.. sarà Tutto in tutte ...>.
Rafforza questa lettura, che non è impossibile anche se essa non è da Origene apertamente dichiarata, il fatto che
egli quel Dio "creatore" chiaramente lo vede agire quale "Forza che chiama e porta alla unità", un "Dio-PotenzeForze che -sono- Dio": <..le facoltà che sono in Dio...sono Dio..>(Pr I,4,3). Un "Padre Tutto”, un “Padre che ha in
401
undicesima parte
sé il Figlio il quale ha in sé la creazione" e che è, al contempo, "Legge-Guida" che porta l'uomo ed ogni altra
creatura razionale allontanatasi-caduta alla quella sua iniziale e Naturale perfezione che è Vita:
< ..Dio modificando e adattando..tutto ciò che comunque esiste all'utilità ed al progresso comune di tutti, richiama
a concordia d'intenti e di azione...sì che...esse realizzino la pienezza e la perfezione di un solo mondo... Una infatti è
la Forza che contiene e abbraccia tutte le diversità del mondo e guida ad un solo fine i vari movimenti..>
<.. a causa dei diversi movimenti sono creati anche vari mondi (condizioni mondano-temporali -ndr)..>
(Principi II 1.2 e III 5.5)
Prospetta Origene, si può quindi dire e vedere, un Dio-divino-Forza, Padre che con <..generazione eterna e
perpetua..>(Principi I,2,4) dà vita al Logos che contempla in sé i "logos" <..che sono in ciascun essere
(razionale) ..>(Comm. a Giovanni II 2), un Dio-divino-Forza-Padre che quindi è Vita e Legge, un "Divino-VitaLegge".
Concetto, questo, che rintracciamo pure in Filone e che Origene esprime anche con le impersonali citazioni che egli
fa di Dio come “il Dio”; citazioni che egli fa, correttamente e senza alterare come fa Cei e non solo, seguendo il
testo giovanneo: <..E' scritto...“il Logos era presso il Dio”...>(Comm Gv II,8-9).
Un Dio-Divino che, come visto ai capitoli su “Jhwh” della Decima Parte di questi scritti, si trova pienamente
dichiarato ed espresso in quei testi, Antico Testamento e Profeti, che anche per Origene come per Gesù sono la
prima fonte di insegnamento.
Un Dio-Divino che egli vede dichiarato ed insegnato, quasi uguale, anche dalla filosofia: <..la filosofia morale e
fisica la pensa quasi completamente come noi..>(Om.Gv XIV,3).
Resurrezione , Reincarnazione e Successione dei Mondi
Con la premessa che i temi “Resurrezione e Reincarnazione” in particolare si legano e si compenetrano ovvero non
sono completamente separabili tra di loro e vedono inoltre ad essi implicito il tema della “Successione dei Mondi”
ma anche quello, conseguente, della “Apocatastasi”, prima di tutto andremo ad approfondire quanto Origene dice in
merito al tema "trasmigrazioni" ovvero quanto dice sulla “reincarnazione” o "metempsicosi" o, anche,
“metemsomatosi”. Termine quest'ultimo che, vuole sottolineato, è il solo che egli usa nei suoi scritti.
– Trasmigrazioni: le contestazioni da parte di Origene
Questo argomento, la possibile credenza di Origene nella trasmigrazione-reincarnazione dell’animo umano, rispetto
al resto del pensiero di Origene è, come detto, poco dibattuto ed analizzato. Largamente infatti la critica ritiene che
egli non credesse né sostenesse la possibilità della "reincarnazione", ma in questo essa è ampiamente condizionata
dalla ampia e quasi aprioristica ormai posizione della filosofia e della teologia occidentali nei confronti della
reincarnazione.
Essa esclude così, con troppa leggerezza a mio avviso, che potesse avere fondamento la principale delle accuse di
cui Origene è stato oggetto sia ai suoi tempi che dopo poi ancora molto a lungo.
Tema principe delle forti divergenze interpretative sul pensiero di Origene che sorgeranno tra Girolamo e Rufino, in
merito ad esso Girolamo (347-420) così scriveva:
< ..con queste espressioni è più chiaro del sole che (Origene) difende la dottrina della metempsicosi ( la
reincarnazione -ndr) di Pitagora e Platone..>( lett. 124.7 - Girolamo Le lettere, Città nuova ).
Per Rufino invece, sulle cui traduzioni dichiaratamente infedeli, come detto, molto ci basiamo, Origene non credeva
nella "metempsicosi" di cui dice Girolamo ovvero non credeva, si può ritenere, nella "reincarnazione", nel possibile
ritorno, dopo la morte fisica, dell’animo umano “ad una nuova e diversa vita” ma unicamente ”fisico umana”.
Come detto Origene da sempre è stato accusato di insegnare la reincarnazione: forse già in vita, ma certamente e in
modo non isolato prima del 300 e quindi ben prima sia della polemica tra Girolamo e Rufino intorno al 400 che della
condanna del Concilio del 543, si vedeva e pensava che Origene sostenesse ed insegnasse la reincarnazione: Panfilo
(+306), nella sua "Apologia di Origene” (5.9), ritenne infatti di doverlo difendere da tali accuse.
Oltre a questo aspetto, sottovalutato da parte della critica è stato anche il fatto che Girolamo accusava Origene di
credere nella “metempsicosi-reincarnazione” nonostante vedesse bene le chiare confutazioni che lo stesso aveva
fatto, nei suoi scritti, della “metemsomatosi”.
A questo fatto si riesce infatti a dare spiegazione solo mettendo in ipotesi che Girolamo con la sua “metempsicosi”
intendesse altro rispetto alle “metemsomatosi” trattate da Origene. Per Girolamo, in sostanza, la “metempsicosireincarnazione” che egli vedeva dichiarata e sostenuta nelle parole di Origene verosimilmente non aveva a che fare
con i casi, diversi fra loro e tutti definiti di “metemsomatosi”, che lo stesso Origene aveva esaminato e confutato. E
così infatti è, come vedremo ora analizzando i vari casi di cui tratta Origene:
-- a) Origene parla, in particolare in Comm.Mt X,20, del caso che si apre per le parole di Erode il quale, poco tempo
dopo avere fatto decapitare Giovanni Battista, a proposito di Gesù dice: <..costui è Giovanni il Battista risuscitato
dai morti..>(Mt 14.2). Vediamo cosa dice Origene.
Dopo avere detto che è <..inverosimile..> che Erode e il popolo potessero <..ingannarsi credendo che Giovanni e
Gesù non fossero stati due persone..> e quindi che potessero pensare che Gesù già in vita avesse abbandonato la
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undicesima parte
propria anima per assumere quella di Giovanni, Origene prova a vedere se da altro rispetto a questo le parole di
Erode potevano nascere.
Egli prende quindi in esame un’altra ipotesi: quella che Erode ed il popolo potessero pensare ad una trasmigrazione
avvenuta prima della nascita di Gesù. Scrive Origene:
<..qualcuno dirà che in Erode e in alcuni del popolo ci fosse la falsa credenza nella metemsomatosi, a partire dalla
quale ritenevano che colui che per nascita era stato una volta Giovanni, ritornasse a vivere dai morti nella persona
di Gesù. Ma il tempo trascorso tra la nascita di Giovanni e quella di Gesù, non superiore a sei mesi, non consente
di ritenere plausibile questa falsa credenza..>(C.Mt X, 20).
Con queste poco chiare e piuttosto contraddittorie parole, Origene sembra mettere in ipotesi che l’anima di
Giovanni una volta questi nato potesse trasferirsi, a Gesù, prima del suo concepimento e questo, egli dice, essendo il
tempo tra le due nascite inferiore ai nove mesi di gestazione, non può essersi verificato.
Ma entrambe queste ipotesi, negate e dichiarate “false credenze” da Origene, -non prefigurano- “reincarnazionimetempsicosi” per come normalmente inteso: si parla infatti in un caso di trasmigrazione dell’anima di un
trapassato, Giovanni morto decapitato, al soggetto Gesù già in vita, e nell’altro di una trasmigrazione dell’anima di
un soggetto già nato e in vita, Giovanni, verso un corpo in via di concepimento, Gesù.
Origene quindi, qui -non nega- la "reincarnazione-metempsicosi" su citata e normalmente intesa.
-- b) Dice poi Origene, in particolare in Comm.Mt XIII.2, del caso -specifico-, che si apre nei vangeli, della
possibilità che l'anima di Elia si sia portata in Giovanni secondo le parole <..questi (Giovanni B.) è l'Elia che deve
venire..>(Mt 11.14). Questo fatto e ipotesi, che potrebbe configurarsi come caso di “reincarnazione-metempsicosi”
anche se viene citato sempre quale “metemsomatosi”, da Origene viene negato alla base: egli nega che qui si possa
vedere e parlare di “trasmigrazione” quale che essa sia. E questo per due motivi:
- il primo è quello che Elia è stato "assunto in cielo senza morire” e quindi, è sotteso, la sua anima è nella
condizione massima di Vita divina, una condizione per la quale Origene non vede possibile il ritorno alla terrena e
fisica vita.
- come secondo motivo Origene, vuole notato, adduce il fatto, scritturistico, che quando i testi sacri parlano di
cambiamenti sostanziali di condizione, quale è il ritorno alla via terrena, delle figure di cui dicono, tali cambiamenti
li sottolineano, come è per Abram divenuto Abraham ed altri, con il cambio del nome. Pertanto, essendo Elia
sempre chiamato Elia, per le Scritture è rimasto nella "condizione divina" cui era giunto e non si è portato ad una
“altra da quella” condizione quale sarebbe l'essere Giovanni.
Con questo argomentare Origene quindi nega alla base che -nel caso specifico e per i motivi citati- possa esservi
stata trasmigrazione, ma questo non è affatto negazione della possibilità in sé della “trasmigrazione-reincarnazionemetempsicosi”: qui Origene dice solo che -in quel caso-, e per precisi motivi, essa non può esservi stata.
Anche qui, pertanto, Origene -non nega-, in sé, la "reincarnazione-metempsicosi".
Sempre in merito al caso di Elia, Origene completa poi le confutazioni suddette aggiungendo quella che per lui deve
essere la corretta lettura del passo: <..questi (Giovanni B.) è l'Elia che deve venire..>(Mt 11.14) in esame. Egli
dice che vuole inteso che sia detto Elia <..non dell’anima (sua di Elia) ma dello spirito e della potenza (suoi)..>, i
quali <..si identificano con lo spirito di Dio..> ed è questo in-individuale spirito che sarà in Giovanni il quale infatti
è <..pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre..> secondo quanto è in Luca 1.15. Un divino e Santo SpiritoElia che è ciò che deve preparare l’umanità anche alla futura <..venuta gloriosa di Cristo..> dice Origene.
-- c) Oltre ai casi sopra visti Origene prende poi in esame, in particolare nel suo “Contro Celso”, la -dottrinainsegnata, egli dice, dei filosofi: citando Empedocle, Pitagora e Platone, egli confuterà la loro dottrina che, dice
Origene, riteneva possibile il ritorno dell'uomo alla vita fisica -anche assumendo corpi animali e/o vegetali-.
Per inciso se per Pitagora questa credenza sembra certa, dubbi sorgono per gli altri due ma, comunque sia, Origene
cita, e per criticarla, la dottrina che ammetteva il ritorno alla vita fisica, dell'animo umano, in corpi <..privi di
ragione o di sensibilità..>, egli dice, quindi in corpi animali o vegetali. Una reincarnazione da lui citata, come
sempre, quale “metemsomatosi”. Dice Origene:
< ..la nostra dottrina....non insegna ( come quella pazzia della metemsomatosi ) che il cattivo subirà, quale
punizione, la perdita della sensibilità o della ragione, ma dimostra invece che le pene e le punizioni inflitte da Dio
ai cattivi sono dei rimedi che conducono alla perfezione.. >(Contro Celso III 75)
Dice qui Origene, -non già che è assurda ogni trasmigrazione-reincarnazione-metempsicosi-, ma che è assurdo dire
e vedere che essa possa avvenire verso “corpi animali e/o vegetali" che mancano di “sensibilità e ragione”.
E’ assurda, egli dice, una "dottrina" che veda solo <..punizione..>, giacché senza “sensibilità o ragione” non è
possibile alcuna “correzione” per l’anima che in tali corpi si reincarna. Una tale dottrina, dice Origene, prevede
una punizione fine a se stessa e non permette il ritorno dell’anima alla <..perfezione..> degli inizi, il ritorno al
divino. Un "ritorno" che invece, dice Origene, la dottrina cristiana insegna come indispensabile: il “processo di
ritorno al divino” che avviene con <..pene e punizioni..> che “correggono” l'uomo:
<. il creatore distribuisce ciascuno dove merita secondo cause precedenti..e ..per nessuno è dovuta al caso la
condizione di nascita e qualsiasi condizione gli capiti..>(Pr 2,9,6).
403
undicesima parte
Origene quindi, continuiamo a notare, anche qui nega e rigetta una dottrina che -non è- la “reincarnazione” ovvero
non è il ri-portarsi dell’animo umano ad una nuova ed -esclusivamente “umana”- vita.
In questo argomentare Origene, vuole visto, sostiene la “necessità” per l’animo umano di un passaggio o ritorno ad
una condizione che veda “sensibilità e ragione” permettendo così una correzione cui esso sarà indotto da “pene e
punizioni”. Una “sensibilità e ragione” che possono certamente essere, e sono vedremo più oltre, quelle che si
vivono nella vita fisica, terrena e materiale, ma una vita fisica che indispensabilmente deve vedere “diverse”
condizioni. Ed a questo alludono, e di questo dicono, queste altre sue parole:
<..il mondo..non potrà mai non essere vario e diverso, e ciò non può avvenire senza
la materia corporea..>(Pr 2,3,3)
<..grandissima è la varietà delle cadute..(e) a ognuno tocca ciò che merita ..in
rapporto alla diversità dei movimenti..>(Pr I,6,2)
-- d) Confonderà, nella trattazione di Origene di quella che lui dichiara metemsomatosi, la sua dura polemica e
condanna contro la visione, per lui stoica, di "ciclicità cosmica” ovvero contro la dottrina del “ciclico” portarsi del
mondo-umanità ad una condizione di degrado massimo per ritornare poi alla condizione iniziale di perfezione e
vedere quindi il successivo riprodursi -esattamente stesso-, dice Origene, della vita.
Un "ciclico-cosmico" -identico ripetersi- senza cambiamenti e diversità, da Origene contestato soprattutto nel
Contro Celso, che di nuovo anche qui “non è” la reincarnazione-metempsicosi. Scrive Origene:
< ..i filosofi stoici invero sostengono che il corpo completamente putrefatto ritorna alla natura primitiva, poiché
essi sostengono il principio dell’assoluta identità dei cicli del mondo...>(C.Celso V, 23)
<..dicono i filosofi stoici che dopo un determinato periodo... avviene una conflagrazione dell'universo, e che in
seguito .. sopravviene un nuovo ordinamento in cui ogni cosa si trova esattamente uguale..>(C.Celso V, 20).
Questa "identità-uguaglianza" stoica è letta da Origene come se per essa si dovesse ri-vedere <..un nuovo Socrate..
che rinasce dal seme di Sofronico e che sarà di nuovo formato nel ventre di Fenerete..(eccetera)..>(C.Celso V.20).
Origene, quindi, qui contesta l’idea e dottrina che vede e insegna una trasmigrazione “identica e uguale” e non
contesta, perciò, la trasmigrazione in sé. Egli contesta non già la possibilità che l'anima possa ritornare alla vita
fisico terrena, la "metempsicosi-reincarnazione", ma contesta l'idea della "ciclicità identica": egli contesta e nega il
fatto che possa darsi il ritorno dell’anima ad una vita che si riprodurrà esattamente uguale anziché cambiata, nuova e
diversa.
Per Origene infatti <..il mondo.. non potrà mai non essere vario e diverso...>(Pr 2,3,3) e questa “necessaria varietà
e diversità” si giustifica per il fatto che solo così, solo con diverse condizioni di vita, l’anima-creatura razionale
reincarnata può rimediare capendo, grazie alle pene cui andrà incontro, il suo errore, l’allontanamento dal divino, la
“caduta” che è la separazione-fariseismo e gli errori cui esso porta.
Ancora quindi, con le parole che egli dice nel Contro Celso in particolare ma non solo, ciò che Origene nega -non èla “reincarnazione-metempsicosi” in sé.
-- e) Un'altra importante trattazione, e confutazione, di dottrine da lui citate ancora come “metemsomatosi”,
Origene la fa nel suo Commento a Matteo XIII.1. La analisi di queste sue pagine, righe particolarmente complesse,
devono tenere conto dei seguenti importanti e fondamentali aspetti:
1– da un lato il fatto, poco sottolineato, che Origene anche qui esamina, e contesta e nega, una “metemsomatosi
ciclico cosmica”, una dottrina che vede e prevede il ripetersi di <..cicli cosmici..>, egli scrive nella sua
confutazione. Egli quindi non esamina, qui, la "reincarnazione" normalmente intesa, ma una dottrina che vede una
“ciclicità”, qui non meglio precisata, che era insegnata dai <..Greci..>, come lui stesso qui dice, ma che certamente
egli vedeva insegnata anche da dei cristiani verosimilmente gnostici: egli infatti contesta questa credenza soprattutto
rifacendosi a Vangeli e Scritture e questo poteva valere e contare solo per dei cristiani.
2– l’altro fatto è quello, generale peraltro e che interessa tutti gli scritti di Origene, dell’uso da parte sua di richiami
scritturali che sono da lui intesi ed espressi non già secondo quel senso “letterale” che, lui dice, è ad uso di
“semplici e mediocri” che non sono in grado di capire, ma sono espressi e intesi secondo il loro più autentico e
profondo, segreto e misterico significato. Un significato che chiede impegno giacché come lui dice in altro luogo
ma con riferimento alla stessa “fine del mondo” qui tanto richiamata:
<...se qualcuno è preso dal desiderio di leggere e conoscere argomenti così ardui e difficili ( la fine del mondo )
deve avere intelligenza coltivata e completa..>(Pr I,6,1)
Ora, i richiami scritturali che Origene qui fa investono da un lato il tema della
fine/dissoluzione/corruzione/consumazione del mondo" e dall’altro lato quelli, al primo legati, che insistono sul tema
della “transitorietà”. Vediamo come si può rintracciare, in ciò che Origene qui scrive, il significato “altro”, il “non
letterale” e “nascosto-spirituale” significato cui i “perfetti”, lui ci insegna, hanno accesso:
-- in merito al tema, e tempo, della "fine/dissoluzione/corruzione/consumazione del mondo", bisogna vedere che nel
corso delle analisi Origene -equipara- tale tempo-tema a quello dei -tempi di Noè- e queste espressioni quindi per
lui -non evocano- la "fine" cui letteralmente vedendo si potrebbe pensare: il mondo infatti, e l'umanità seppure
nella discendenza di Noè, per quel racconto e mito hanno continuato ad esistere, dopo il Diluvio, in una "nuova,
migliore e diversa" condizione. Questo porta quindi a vedere la concezione e riferimento, per Origene, ad una
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undicesima parte
"dissoluzione/corruzione/fine del mondo" che in sostanza dice di un -profondo e sostanziale- "cambiamento
migliorativo e compimento del mondo-umanità". Porta a vedere una “dissoluzione/fine” che è solo la "fine delle
precedenti condizioni di mondo-vita umana", la “fine della figura del mondo”. Un sostanziale cambiamento di
una “vita” che comunque resta, come per il racconto del Diluvio, fisica e materiale: <..passa la figura di questo
mondo... con ciò che viene dopo..> scrive sempre qui Origene, e questo dicono anche queste altre sue parole:
<.. La fine del mondo è prova (testimonianza -ndr) che tutte le cose sono giunte alla piena
realizzazione..>(Principi I,6,1)
<..il sommo bene, cui tende tutta la natura razionale e che è detto anche fine di tutte le cose, secondo anche la
definizione di molti filosofi, consiste nel diventare per quanto possibile simili a Dio..>(Pr III 6.1)
Si avrà la “fine del mondo”, dice qui Origene, la fine del tipo di vita-visione-mentalità che l’uomo oggi conosce,
quando questa si sarà cambiata e sarà giunta ad una "piena realizzazione e cambiamento che è fine-dissoluzione
di ciò che era prima", che è, per Origene, l’indispensabile “ritorno alla perfezione degli inizi”:
<..La fine del mondo avverrà quando ognuno sarà assoggettato alle pene secondo i propri peccati
(Mt 24.36) e Dio solo conosce il tempo (secolo-mondo -ndr) in cui ognuno riceverà ciò che merita..>(Pr I,6,1)
<..una sola è la fine...che è simile all'inizio..>(Pr I,6,2)
-- sull’altro tema, quello della “transitorietà”, Origene richiamandosi ai vangeli cita, assieme e una dopo l’altra, le
<..cose visibili (che) sono transitorie..>(2Cor 4,18), i <.. cielo e terra (che) passeranno..>(Mt 24.35), il <..passa
la figura di questo mondo..>(1Cor 7.31) e <..cieli (che) periranno..>(Sal 101 -102-. 27).
Vuole visto qui che egli intende così chiaramente legare tali argomenti tutti: per lui tali formule ed espressioni
dicono della stessa verità e questa è, anche qui, il “cambiamento”, un cambiamento cui accennano le parole con
cui Origene chiude questo suo elenco di immagini: tutte si cambiano in <..ciò che viene dopo..>, egli dice.
Nessuna "fine fisica" quindi si deve vedere pure qui in questo ampio argomentare a cui Origene include anche
<..la consumazione che subirà questo mondo..>. Nessuna “fisica materiale” fine del mondo per come lo
conosciamo, come dicono anche queste altre sue parole:
<..se passa la figura di questo mondo non significa che la sostanza materiale sarà completamente distrutta,
ma che avverrà un cambiamento di qualità e trasformazione di figura..>(Pr I,6,4)
A conferma di quanto detto si può vedere quanto dice Metodio di Olimpo (250-311) il quale pur contrastando
duramente Origene che, lui dice, <..parla contro la resurrezione..>(Resurr. III,3.3) ovvero parla contro la
resurrezione “insegnata nelle chiese” -allora come oggi- e derivata da Paolo, nel merito scrive:
<..il modo di esprimersi delle Scritture chiama “rovina” il mutamento del cosmo da questa costituzione in una
migliore e più gloriosa, come se perisse la precedente figura…>(Metodio, Resurrezione I, 48.1)
Dopo queste considerazioni continuiamo la analisi del Commento a Matteo XIII.1 precisando che poiché come detto
i temi Reincarnazione/Resurrezione/Successione dei mondi/Apocatastasi si intrecciano, ciò che ora vedremo e
diremo si giustificherà meglio con le analisi che poi seguiranno su detti temi.
Nel Contro Matteo XIII.1 qui in esame si vede che Origene nel considerare i vari casi e conseguenze che si possono
dare per la dottrina della metemsomatosi da lui contestata, il -vero e primario- rilievo e motivo di negazione della
validità di tale dottrina che egli avanza è il fatto che tale dottrina <..contrasta..>, lui dice, è in contraddizione, con la
“transitorietà-cambiamento-passaggio ad altro” da lui messa in campo e di cui abbiamo appena sopra detto.
E’ una dottrina, egli dice, che non prevede la "dissoluzione/corruzione/fine del mondo" ovvero non prevede, per
quanto detto più sopra, il "cambiamento” necessario al “compimento del mondo-umanità": necessario ad un
compimento che non potrà che essere la realizzazione del “Regno in terra” di cui parlano Vangeli e Scritture.
Una conferma di ciò la vediamo, indirettamente, nel fatto che questa accusa Origene la allarga ai Greci. Egli dice
che essi <..non accettano..che il mondo si dissolva..> ma poiché questi, per parole di Origene, insegnavano la
<..deflagrazione..> del mondo, che poi si ripresentava “uguale” dagli inizi, è evidente che quella “dissoluzione” che
egli contesta loro di non accettare non può essere altro che il “cambiamento”, necessario al “compimento”, di cui
abbiamo detto e che essi negano secondo Origene.
A questo -primario rilievo e contestazione- Origene affianca l’approfondimento di una serie di incongruenze e/o
prospettive che, in questa dottrina da lui esaminata, si possono aprire e che tutte negano, egli afferma, che tale
dottrina si possa dare. Egli dice che:
-) se dall’anima <..i castighi per...i peccati commessi non sono scontati in altro modo che con la metemsomatosi..>
si avrà, lui dice, che <..non vi sarà mai un tempo nel quale l’anima trasmigri in un corpo..> e quindi non potrà
mai giungere la “dissoluzione” < per cui cielo e terra passeranno..>;
-) se invece si ammette che l’anima purificata non trasmigri più, e si dovrà in tal caso dire <...dopo quanti cicli
cosmici...> questo potrà avvenire, si avrà che il mondo finirà per mancanza di anime. Questa ultima prospettiva
però non può essere, dice Origene, giacché:
-) i vangeli prevedono invece che, come ai tempi di Noè, alla “dissoluzione-cambiamento” saranno molti quelli colti
ancora nel peccato e quindi ancora vivi.
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undicesima parte
Dopo questi rilievi Origene continua la sua analisi con argomentazioni che la critica ha assunto quali generiche
considerazioni mentre a mio avviso, soprattutto tenendo conto di ciò che nel merito in molti altri luoghi egli dice,
così -non è-:
egli qui ha in obiettivo unicamente il mettere il luce incongruenze, irrazionalità e anche le non chiare prospettive
della metemsomatosi in esame, la trasmigrazione ciclica che non vede cambiamento, per giungere a dire che tutte
<..queste possibilità.. non fanno che confutare la metemsomatosi..> qui in causa.
E’ errato ad esempio pensare che quando scrive <..per cui ci saranno due generi di punizione (l’una attraverso la
metemsomatosi, l’altra fuori di questo corpo: spieghino loro le cause e le differenze di questi due modi)..>, Origene
voglia negare in assoluto tale doppia possibilità: egli dice solo che questa doppia possibilità non è prevista in
quell’insegnamento e, sottesamente dice, il prenderla in esame metterebbe in difficoltà quella dottrina. Anche
quando in precedenza egli dice <..i castighi per...i peccati commessi non sono scontati in altro modo che con la
metemsomatosi..> si nota una sottolineatura che mostra il disaccordo di Origene rispetto a questo limite, della
dottrina in esame, per lui errato. Egli infatti, vedremo, sostiene la possibilità che si abbiano pene-rimedi sia con la
reincarnazione che senza di essa.
Ed è errato anche vedere il suo: <..oppure (e questa è la soluzione migliore), uno solo è il modo di punizione di
coloro che hanno peccato nel corpo: soffrire adeguatamente per i peccati fuori del corpo, fuori della condizione di
questa vita..>, quale predilezione da parte di Origene della canonicità ed unicità di tale ipotesi: questa è la
“soluzione migliore” rispetto alle altre prese in esame, vuol dire Origene, ma anche questa finisce, come le altre e
<..per chi sia capace di considerare la natura delle cose..>, con il <..confutare la metemsomatosi..> in esame.
Con tutto ciò si deve vedere quindi che anche qui, in Commento a Matteo XIII.1, Origene non contesta la
reincarnazione-metempsicosi normalmente intesa.
Dopo avere visto che Origene non confuta mai, in realtà, la reincarnazione quale normalmente intesa ovvero il
“possibile” passaggio, dopo la morte fisica, dell’animo umano ad un’altra fisica e umana vita terrestre, passiamo ad
affrontare l'argomento "resurrezione", argomento ed analisi che, come detto, si lega a quello della “reincarnazionemetempsicosi” ed anche a quello della “Successione dei Mondi”. Analisi che conferma anche, così, le letture appena
fatte.
– Resurrezione-Reincarnazione-Successione dei mondi
In linea con gli insegnamenti del Gesù "diverso" messo in luce in queste pagine, Origene parlerà di un processo di
"resurrezione", il ritorno alla perfezione degli inizi dopo l’allontanamento-caduta, che contempla -in sé- la
possibilità della "reincarnazione". Come Gesù anche Origene non parla e non cita la reincarnazione quale fenomeno
a sé stante poiché esso per entrambi si ha e si dà, generalmente, quale possibile strada di “rimedio-correzione” e
quindi quale possibilità interna al processo di “resurrezione”, interna al processo che si contrappone a quello della
“caduta-allontanamento dal divino”.
Parlerà, Origene, di una "resurrezione spirituale", della "resurrezione-conversione in corso di vita" lontana e al
fondo contraria rispetto a quella di matrice paolina, una “resurrezione” che vede possibile o anche necessaria una
“reincarnazione” correttiva, di pene e quindi peggiorativa che è in linea, come visto in questa pagine, con le parole
che Gesù ha detto in merito a Giona.
Parlerà Origene di una “resurrezione” non capita e contrastata allora come oggi:
<..alcuni trovano motivo di scandalo nella fede ritenendo del tutto sciocche e insulse le nostre opinioni sulla
resurrezione..>(Pr 2,10,1)
<...alcuni dei nostri .., per pochezza d'intelligenza e scarsezza di spiegazioni, hanno
concezione molto bassa e volgare della resurrezione del corpo...>(Pr II,10,3)
Una molto bassa e volgare concezione che così egli precisa:
<..costoro..vogliono che (le ossa..disseccate -Ez 37.21) riunite insieme risorgano? Ma questo è assurdo!..>
(in Metodio, La resurrezione I, XXIII,6)
Origene parlerà, come Filone, come Gesù e come anche largamente il mondo filosofico, “i filosofi” ci dice Origene
stesso (cfr Pr III,6,1), della "resurrezione processo di ritorno" dell'animo umano al divino, un processo che infine
porta l’uomo ad essere "Figlio di Dio": <..coloro che sono diventati Figli di Dio (sono) figli della resurrezione
(ovvero hanno compiuto e portato a termine la resurrezione -ndr)..>(Pr I,8,4) egli dice.
Un processo che per Origene come per Gesù, abbiamo visto, è necessario ed obbligato a tutti e che avrà termine
quando: <.. tutti diventeranno il Figlio..>(C.Gv I, 16).
Una "resurrezione processo di ritorno" che è la
“necessaria” uscita dalla condizione di “caduta-morte spirituale” cui l’uomo e le creature razionali demoniache si
portano allontanandosi dalla loro perfezione iniziale. Un allontanamento che si ha con e per il “libero arbitrio
umano” dice Origene con fermezza. Argomento e tesi questa piuttosto discutibile, voglio precisare, ma che qui non
approfondiremo.
Un processo, la “resurrezione”, che per l’umanità nella sua totalità sarà lungo, difficile e lento. Dice Origene:
<.... morte non è altro che allontanarsi dalla Vita... (ed) era (quindi) necessario che... esistesse una facoltà che
potesse distruggere (tale)..morte e che fosse la resurrezione.. >(Pr I,2,4)
406
undicesima parte
<..vi erano molti morti al tempo di Gesù, ma resuscitarono soltanto quelli che il Logos riconobbe opportuni per la
resurrezione.. >(C.Celso II,48,179).
<..coloro che sono decaduti..non in maniera irrimediabile,..migliorati da precetti e insegnamenti salutari..saranno
restituiti alla primitiva condizione di beatitudine,...a quella -unità- che ..Gesù promette dicendo.."affinché siano una
cosa sola..perfettamente uno"(Gv 17.20 seg)..>(Pr I,6,2)
<..ogni cosa sarà reintegrata per essere una cosa sola, e Dio sarà tutto in tutti. Ma ciò non avverrà in un momento
ma lentamente e gradualmente, attraverso infiniti secoli (tempi-mondi -ndr), poiché correzione e purificazione
avverranno a poco a poco e singolarmente..>(Pr III 6.6)
E’ un processo che, dice Origene, grazie all'ascolto della Ruah-Vento-Spirito Santa, vede l'animo umano riportato ad
una incorruttibilità che è "essere Figlio” come è stato per Gesù:
<..ogni anima vergine ed incorrotta, avendo concepito di Spirito Santo ... è la Madre di Gesù..>
(Framm. Mt 281- Crouzel, Origene pag. 177),
<..a colui al quale il mondo è crocifisso, a costui è giunta la fine del mondo, e chi è morto alle opere del mondo,
costui.. è entrato nel giorno del Signore..>(C.serie in Mt 56)
<..ma se essi vedono che la fine del mondo, in loro crocifisso, è giunta, per quanto ciò dipenda dal loro essere
pronti, allora Gesù (ovvero il Logos divino -ndr) non è più presso di loro ma in loro..>(C.Gv 10,45)
La resurrezione è, per Origene, il processo di "rinascita da vecchio" ovvero “in corso di vita”, la "conversionecambiamento di mentalità" di cui Giovanni Battista e larga parte del mondo antico hanno detto prima di Gesù, una
resurrezione che Origene, in linea con Gesù, vede compiersi e realizzarsi -anche grazie e per mezzo- di una, singola
o plurima "reincarnazione punitivo-correttiva”. Tutto in linea con Gesù, abbiamo detto, il quale infatti sulla
reincarnazione oltre alle nascoste parole della sua "Risposta ai sadducei" dove Egli la dichiara “errore”, più
precisamente di essa quale "strada peggiorativa" dice con le sue parole su Giona che, Matteo in particolare, come
visto ci ha correttamente riportato.
Per Origene, la necessaria "resurrezione-ritorno al divino-rinascita" di tutto il genere umano è, come detto, un
processo che vede l’umanità passare per <..innumerevoli e diversi tempi..>(Pr. III 1.23), “diversi tempi” da Origene
anche detti e citati, in linea con le Scritture, quali “secoli” e/o “mondi”: un “succedersi di tempi-mondi” che non
non sono che periodi storico-mondani diversi fra loro e che -per e grazie- a queste diversità permetteranno all’uomo
ed all’umanità di correggersi, di uscire da quell’allontanamento dalle condizioni di “prima generazione” e Vita, più o
meno accentuato nelle singole anime, che è “morte”:
<.. ogni cosa sarà reintegrata per essere una cosa sola, e Dio sarà tutto in tutti. Ma ciò non avverrà in un momento
ma lentamente e gradualmente, attraverso infiniti secoli, poiché correzione e purificazione avverranno a poco a
poco e singolarmente..>(Pr III 6.6)
Sono “tempi-secoli-mondi”, che sono il variare, l’evolversi-involversi, il cambiare-succedersi nel tempo, delle condizioni di vita e mentalità- che si producono e cui l’uomo va incontro. Infatti <..il mondo..non potrà mai non
essere vario e diverso, e ciò non può avvenire senza la materia corporea..>(Pr 2,3,3) dice Origene.
Diverse "condizioni di vita" che, dice Origene, vedendo <..pene.. pesanti e dolorose.. (anche -ndr) per molti secoli
( tempi storici -ndr )..>(Principi I 6.3), all'animo umano rendono possibile la <..rigenerazione (e il) ..divenire
partecipi di Padre-Figlio-Spririto Santo..>(Principi I 3.5). "Pene pesanti e dolorose" cui l'uomo va incontro sia
sulla terra, con la reincarnazione che nella vita non fisico-carnale dopo la morte:
<..sia in questi secoli (mondi/tempi -ndr) visibili e temporali sia in quelli invisibili ed eterni
si provvede a tutti costoro ( chi è decaduto dall'unico principio ) con misura e discernimento, in relazione all'ordine
e al merito..>(Principi 1,6,3)
Parlerà quindi Origene, seppure anch’egli come Gesù con parole da “capire”, di una "resurrezione" che è processo
che vede in sé, parte del processo e funzionale al fine di ritorno ad un divino che non è e non può che essere altro
che il “Regno in terra come in cielo” invocato da Gesù, la -possibile ma non obbligata- ed anche plurima
"reincarnazione".
Dirà Origene della resurrezione che è quel “cambiamento” di -mente e sostanza- di cui, come ha sottolineato Gesù
con la sua “Risposta ai sadducei”, le Scritture dicono con le figure di Abramo di Isacco e Giacobbe: un
"cambiamento spirituale” dice Origene, la conversione, “cambio di mente e assieme di sostanza-sensazione” che,
evidenzia Origene, è nelle Scritture simbolizzato in una "circoncisione" che ne è "segno":
<...(Abramo) non poteva, in quanto era ancora Abramo e portava il nome della nascita carnale,
ricevere il patto e il segno della circoncisione... ma quando uscì dalla sua terra e dalla sua parentela
(quando compì l’ “abbandono dell’ io-cambio di mente-resurrezione -ndr),..
chiamato Abrahamo..allora ricevette il patto di Dio..la circoncisione "segno" della fede.. la circoncisione carnale...
figura della circoncisione spirituale..>(Omelia III su Genesi 3,4).
La visione ed il concetto di "resurrezione” quale "processo di cambiamento” che vede -in sé- e parte di esso la
possibile reincarnazione, come detto farà sì che Origine, come Gesù peraltro, non parli mai di "reincarnazione” in sé
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e per sé pur dicendo spesso di essa nelle sue spiegazioni con i tanti accenni che egli fa ai “diversi” tempi-secolimondi cui l’uomo-umanità arriva a portarsi.
Una dottrina di resurrezione che, lontano da quella <..della carne che viene predicata nelle chiese..> da <..coloro
che si dicono cristiani ma non accettano la dottrina della resurrezione secondo le Scritture..>(C.Celso V,22),
dottrina che Celso <..mette in ridicolo..>, è dottrina che vede e <..afferma che (con e per la resurrezione i) morti
(spirituali -ndr) dopo essere risorti dalla terra vivranno (una) carne ..mutata in forma migliore..>(C.Celso v,18),
dice Origene. Ma, di nuovo anche qui, egli sosterrà sbagliando che questa verità la dice anche Paolo ma in modo
<..segreto e pieno di mistero..(e) a ragione celato alla moltitudine..>(C.Celso V,19). Sbagliava, Origene: Paolo
come detto non era giunto a quelle profondità di lettura e comprensione.
Origene, dicono anche le parole sue sopra riportate, della reincarnazione non vede unicamente l’aspetto “correttivo”,
una visione questa che peraltro si porrebbe in contrasto con le molte sue affermazioni sulla bontà della vita fisica
oltre a presentarsi come poco razionale, egli infatti prospetta anche una reincarnazione non “correttiva”:
<..molte creature razionali conserveranno la condizione iniziale fino al secondo terzo e quarto mondo
( tempo storico-secolo -ndr)... altre invece con gran rovina precipiteranno nell'abisso più profondo...(poiché)
Dio...creando il mondo, dispone ognuno secondo i meriti...>(Pr III 6.3 -Gerolamo).
In queste parole oltre alla prospettiva di una reincarnazione non correttiva, e tornando con ciò alla visione origeniana
del divino, vuole visto poi che il “..Dio che dispone ognuno..” e che <..distribuisce ciascuno dove merita secondo
cause precedenti..>(Principi II 9.6), è ciò che Origene dichiara “Il Dio”: è quanto e ciò che fa sì che <..ognuno dei
peccatori accenda da sé la fiamma del proprio fuoco..così..l'anima...diventi accusatrice e testimone contro sé
essa..>(Pr 2,10,4). E’ il “divino Forza-Tutto” che porta Unità-Armonia, che ri-porta le creature razionali alla
<..unità..> degli inizi. Una“divina Natura” che vede in sé la nascita delle pene e dolori cui l’uomo va incontro, a
causa del suo errore, anche con una reincarnazione “correttiva” la quale, quindi, non è che “momento-fase” di una
“resurrezione” che è il ri-portarsi ad “essere Logos” che Origene così delinea:
<..noi preghiamo che in noi si trovi il Logos che è nel Principio e presso Dio, il Logos che è Dio..>
(Comm. Gv II 3.24)
< ..intendiamo asserire che l'anima di chi vuol vivere secondo virtù...è riempita dello spirito divino e ne diviene
partecipe..> (Contra Celsum IV.5)
< Dobbiamo abbandonare ( il mondo ), non in senso spaziale, ma con l'anima >(Om. Esodo 3.3)
< ..quell'anima che... sta sempre nel Logos, sempre nella Sapienza, sempre in Dio, tutto ciò che fa, sente,
comprende, è Dio: perciò ... è venuta in possesso dell'immortalità...in questa anima ha preso dimora…
proprio il fuoco divino..> (Origene, Principi II, 6.6)
Una “resurrezione” processo interiore, che Origene dirà attivato già nel "battesimo", nel <..lavacro mediante
acqua..>, il battesimo-immersione <..per la conversione..>(C.Gv VI,33,165 ss) che serve ad indurre a <..pensare
alle cose di lassù..>(C.Rm V,IX) e che è quello promosso da Giovanni Battista. Ma “battesimo”, "lavacro mediante
acqua" compiuto da persone adulte, che è solo
<..simbolo di una purificazione dell'anima... ( e ) che nondimeno è anche per sé stesso principio… per una
rinnovazione nello spirito..>
Una “rinnovazione nello spirito” che, tuttavia, con il battesimo <..non sopravviene a tutti..>(C.Gv VI,33,165 ss).
Processo quindi, la resurrezione, per Origene passibile di attivazione già in tale "battesimo-lavacro”, in tale “prima"
<..resurrezione che è secondo la mente..>(C. Rm V, 9) ma processo che vede il suo pieno, completo e certo
compiersi in quel <..battesimo di rinascita...amministrato da Gesù (dal Figlio-Logos -ndr) che si chiama anche
"lavacro di rigenerazione" e che si attua con una rinnovazione nello Spirito..>(C.Gv VI,33,165 ss).
Un rinnovamento spirituale che vedrà, infine, la
<..risurrezione (cambiamento -ndr) generale di tutti nella carne ( nel sensibile-fisico -ndr)…
( resurrezione generale ) che è ancora futura..>(C. Rm V, 9).
< ..il corpo risorge in incorruttibilità,..spirituale...dacché Dio innalza l'uomo al di sopra
della natura umana, e lo rende partecipe di una natura più grande e più divina > (Contra Celsum II 6.5)
Complesso e nascosto argomentare, dovuto forse anche alle non fedelissime traduzioni, che in sostanza dice di quel
cambiamento che vede l'uomo già in vita, e sicuramente tutti gli uomini infine, in <..futuro..>, giungere a nuova
condizione di vita -mentale- che favorisce quella spirituale e condiziona quella fisica: la vita nel Logos-SapienzaFiglio che Gesù dichiarava simile a quella angelica. Una nuova vita mentale e spirituale che resta “fisica”, con
nuovi-diversi sensi.
Vi sono infatti, precisa Origene, <..differenze di resurrezione (di cambiamento -ndr) anche per i corpi terreni...,( in )
coloro che verranno alla (necessaria -ndr) resurrezione non purificati in questa vita, cioè i peccatori..>(Pr II 10.2).
Così come vi sono differenze di “grado di resurrezione-cambiamento-conversione”, <..differenze di gloria, fra
coloro che risorgono..>.
Fase e momento necessario, dice Origene, quando il processo di “resurrezione”, l’<..innalzamento..a una natura più
grande e divina..>, non si compie nel corso della vita, sono le <..pene pesanti e dolorose..> che se vissute nei
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undicesima parte
<..secoli visibili e temporali..>(Pr. 1,6,3) altro non sono che ciò cui si va incontro nei passaggi reincarnativocorrettivi.
In questi -passaggi anche plurimi- Origene precisa che l'anima mantiene lo stesso “principio di natura corporea”,
una "natura corporea" che quindi resta la stessa pur passando da "eterea" a “solida”, terrena, e resterà stessa "natura
corporea" pur fisicamente cambiando e modificandosi rispetto a ciò che è stata in precedenza.
La “natura corporea”, sempre stessa ma da Origene vista “sempre modificata” in conseguenza di “meriti e
demeriti”ai vari passaggi e/o gradi di resurrezione-cambiamento, è una “natura” che impressa in un sempre stesso
“eidos” o <..principio formale..>(Principi II 10.3) quando ci si porta alla reincarnazione vede nell'uomo
cambiamenti e diversità che con lo spirituale interessano anche il fisico aspetto e il sensibile umano, la carnesangue: < Dio creatore di tutto...trasforma la natura corporea in qualsiasi forma e aspetto vorrà, secondo quanto
richiedono meriti e demeriti..> (Principi III 6.7).
E’ un “errore”, dirà Origene, <...la dottrina della metemsomatosi secondo cui l'anima si rivestirebbe di ( fisici ndr ) corpi obliando completamente le vite precedenti..>(Comm. a Giovanni VI,64). Ma vuole però qui visto che
con questa precisazione Origene, in modo sotteso, dice che “non è invece un errore” la dottrina che prevede una
reincarnazione “condizionata” dalle “vite precedenti”. Dice infatti ancora egli:
<..il creatore distribuisce ciascuno dove merita secondo cause precedenti..e.. per nessuno è dovuta al caso la
condizione di nascita e qualsiasi condizione gli capiti..>(Pr II 9.6)
Anche il corpo fisico, il "vaso", e non solo la “carne” intesa come il “sensibile umano, è condizionato da “meriti o
demeriti” della vita precedente e potrà essere “vaso di onore o di disonore”, dice Origene citando Paolo ed
affermando che: <.. ogni infermità fisica si riferisce a quella spirituale..>(Comm. Mt 13.4).
Impossibile, per finire, non vedere qui un legame con le parole di Gesù, analizzate in precedenza su queste pagine,
che troviamo nell'episodio del vangelo di Giovanni e nelle quali Gesù, rivolto al paralitico < malato da trentotto
anni > che ha appena guarito, dice: < Ecco che sei guarito, non peccare più, perché non ti abbia ad accadere
qualcosa di peggio >(Gv 5.14).
Apocatastasi
Sosteneva, Origene, legato a quanto detto sulla “resurrezione” ed in linea anche in questo con il Gesù “diverso” qui
visto, la prospettiva per l'umanità di un traguardo, la “apocatastasi-ristabilimento degli inizi" o anche "palingenesinuova generazione-rinascita”, che è al contempo una "fine”, di ciò che era prima, ed un “fine, il ritorno alla
perfezione. Apocatastasi che è tema e visione che, egli dice, chiede <..intelligenza coltivata e completa..>(Principi I
6.1) a chi vi si approccia.
Un e una “fine”, la “apocatastasi-palingenesi”, quella stessa di cui già abbiamo detto in questi scritti, che è il
giungere alla "resurrezione-rinascita-conversione-ritorno agli inizi" di -tutte- le anime/creature razionali, <..la
perfetta (e cioè completa e totale -ndr) resurrezione..>(Comm.Gv 10,232), il termine-superamento-compimento, la
fine, dell’errore umano, della “caduta-morte”.
Il cambiare-mutare, il progredire e regredire delle anime-creature razionali, vedrà la fine, dice Origene, quando esse
dopo molti "secoli-mondi-tempi", dopo che avranno vissuto molte e diverse condizioni di vita terrena e/o eterea,
tutte avranno compiuto la "resurrezione-conversione-rinascita" e l'umanità intera vedrà quindi la “apocatastasireintegrazione”, la restaurazione alla iniziale perfezione:
<..è detto fine ( compimento ndr ) di molti secoli questo mondo ( tempo -ndr)
che è chiamato anche secolo.. (cui) seguiranno altri secoli... se poi c'è qualcosa più grande dei secoli
( più importante-grande di tali secoli-tempi-mondi -ndr), si pensi a ciò che ci sarà nella restaurazione finale,
quando tutto giungerà al fine perfetto, come maggiore del secolo (mondo-tempo -ndr)
intenderemo forse ciò che sarà alla fine di tutto ..> (Principi II 3.5)
Il "mondo finale", il “più grande dei secoli-tempi-mondi”, <..tutti infine rinnovati da insegnamenti e severe
correzioni..>(Principi I 6.3) vedrà la “apocatastasi”, il compimento-ristabilimento delle origini, dice Origene come
il Gesù “diverso” qui visto: una condizione a cui giungeranno tutte le “creature razionali”, il genere umano tutto e
assieme ad esso i demoni ovvero le anime che sono state nella più estrema lontananza dal Dio/divino. Un "mondo e
tempo e condizione" di reintegrazione alla perfezione dell'inizio, al Logos divino, che resta come ora sia fisicomateriale che etero-sottile:
<..la sostanza materiale, che per natura è tale da potersi trasformare da tutto in tutto, quando è tratta alle creature
inferiori, prende forma in corpo spesso e solido, così da distinguere le varie specie visibili nel mondo; ma quando
presta la sua opera a creature più perfette e beate.. adorna con corpo spirituale sia gli angeli di Dio sia i figli della
resurrezione : di tutti costoro sarà formato lo stato vario e diverso dell'unico mondo .. >
(Principi II,2,2)
<..dobbiamo intendere la distruzione dell'ultimo nemico ( la morte, rif. 1Cor 15.26 ) come distruzione non della
sostanza che è stata fatta da Dio, ma dell'inclinazione della volontà nemica che ha tratto origine non da Dio ma
dallo stesso nemico. Perciò sarà distrutto non per non esistere più ma per non essere più nemico e morte ..>
(Principi 3,6,5)
409
undicesima parte
<..che "la morte sarà infine inghiottita" (cfr 1Cor) vuol significare che sarà abolita la materia sulla quale la morte
poteva avere un certo effetto..>(Principi II 3.3)
Non si avrà alcuna <..distruzione della sostanza..>, nessuna fine del fisico e materiale mondo che viviamo, <..non
sarà abolita la materia..> in sé ma finirà ciò, di essa, <..sulla quale la morte (la caduta -ndr) poteva incidere..>: si
avrà una trasformazione “mentale-spirituale e fisico-sensoriale” che vedrà l’uomo e l’umanità, l’animo umano e le
creature razionali tutte, immuni da ogni “caduta”.
La forza diabolica-demone, la forza di separazione-fariseismo che porta e che induce alla "morte spiritualelontananza dal divino", giungerà a non essere più tale ed anche la materia-carne perderà la sua disposizione a seguire
quella forza di separazione che, non solo spiritualmente, è mortale:
<.. nella apocatastasi..giunti a Dio per il tramite del Logos ...si avrà una attività unica: conoscere a fondo Dio in
modo da diventare tutti esattamente "un" Figlio..>(Comm. a Giovanni I, 91)
<..senza dubbio (si passerà alla “unità” di tutte le creature razionali) perché alla fine Dio è tutto in tutti..>
(Pr III 6.1)
Vuole visto infine che anche i testi di Enoch dicono di questo evento-momento finale che vedrà la correzione ed il
ritorno alla originale condizione di Gloria e Logos di tutte le creature razionali, comprese quelle "potenze" di errore
che sono demonio ed i suoi angeli: dice Enoch < in quei giorni la terra restituirà ciò che le è stato affidato, e anche
lo Scheol restituirà ciò che ha ricevuto, e l'inferno restituirà ciò che deve..>(Enoch Et. LI 1).
A chiusura di quanto sin qui detto di Origene vorrei sottolineare il fatto, non certo trascurabile, che le letture ed
interpretazioni qui fatte oltre che in se stesse trovano forza e legittimazione da un lato per il fatto che si riportano
ampiamente a quanto abbiamo visto in questi scritti sia sul Gesù “diverso” che nelle analisi di Scritture e Vangeli, e
dall’altro forza e legittimazione viene loro dal fatto che esse portano il pensiero di Origene ad armonizzarsi e ad
assumere piena razionalità. Una razionalità che, sappiamo bene, è -faro- del suo lavoro interpretativo, una
razionalità che difficilmente poteva accordasi con le inverosimili ed in-connotate ipotesi di “Successione di -mondi
altri-” che oggi largamente la critica avvalla: ipotesi che facilmente egli forse avrebbe, come spesso faceva,
dichiarato “favola”.
Termino infine volentieri queste righe su Origene, su questa figura che credo abbia ancora molto bisogno di essere
bene e liberamente approfondita, con le ammirate parole del suo allievo Gregorio Taumaturgo (213-270): < Una
cosa sola mi era amica e amata: la filosofia e il suo maestro (Origene), quest'uomo divino >(Gregorio Taumaturgo
- Encomio di Origene 84)
IL "PADRE NOSTRO", UNA PREGHIERA-MEDITAZIONE
Sulla Preghiera
Diversi sono gli aspetti che si possono rilevare in merito a cosa sia o debba essere la preghiera:
a) --- <..Nella filosofia ebraica e nella letteratura rabbinica si osserva che il verbo ebraico per preghiera, -hitpallelè in realtà la forma riflessiva di palal, "giudicare". Quindi, "pregare" definisce il concetto di "giudicare se stessi": in
definitiva, lo scopo della preghiera -tefilah- è di provocare una trasformazione interiore... . In questa prospettiva
l'obiettivo finale della preghiera è quello di contribuire alla formazione della persona tramite il concentrarsi sulla
divinità con la filosofia e la contemplazione intellettuale...>.
Questo era, con parole riprese da Wikipedia, il senso ed il fine del pregare per il mondo ebraico in cui è vissuto
Gesù. Ed è in questa prospettiva, quella di un "giudicarsi" che presuppone una indagine-apprendimento, che la
lettura dalla Torah, termine che significa peraltro "istruzione-insegnamento", ma più in generale che la lettura del
Tanakh ovvero la lettura dei 24 libri sacri dell'ebraismo, l'Antico Testamento, era considerata preghiera.
E' quindi "preghiera", per il mondo giudaico di Gesù, una lettura dei testi sacri che deve essere una istruttiva
comprensione di quanto in essi è scritto: una lettura meditativa, un apprendimento sostanziale, che arriva a farci
"giudicare-trasformare" ci dice come visto anche l'etimo del termine ebraico.
La "preghiera" quindi, più genericamente, è per quel mondo una "meditazione trasformativa". Un apprendimento ed
una comprensione, una riflessione e meditazione che essendo trasformativo, provocando un sostanziale
cambiamento dell'uomo, non può che essere "riflessione sulla essenza della Vita, sull'Essere e sull'uomo". Una
riflessione filosofica, metafisica.
b) --- Anche per Gesù il "pregare", come vedremo più avanti, aveva primariamente questo importante aspetto,
questo obiettivo e conseguenza per l'uomo, ma un altro aspetto importante per Lui la preghiera poteva assumere:
Gesù infatti la considerava anche un mezzo per incidere sul fisico-materiale intervenendo su forze "non fisiche" :
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<..egli disse loro: "Questo tipo [di demòni] si può espellere solo con la preghiera..">(Mc 9:29).
Si vede qui un intervenire su, e/o un invocare, forze e realtà -non fisiche- che incidono sul fisico materiale, un
intervenire, quasi sciamanico, che per Lui esige e presuppone una pistis, letteralmente una "fiducia", da noi traslata
di senso con la errata ed imprecisa traduzione del termine con la parola fede, che è un "legarsi senza barriere", un essere uno- con una dimensione altra da quella fisica :
<.. Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: "Sii sradicato e trapiantato nel
mare", ed esso vi ascolterebbe...> (Lc 17.6 // Mt 17.20).
<..Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà
accordato..> (Mc 11.24)
Un aspetto, questo del pregare per incidere sul fisico materiale, aspetto che si vede anche nei miracoli suoi ma non
solo suoi, che è aspetto che merita profonde riflessioni, riflessioni che però, estranee al Padre Nostro qui in esame,
non affronteremo.
c) --- Oggi la preghiera, seguendo le indicazioni di Paolo, è quasi esclusivamente una“richiesta e supplica per
personali bisogni e aspettative”, una richiesta e supplica cui si affiancano "ringraziamenti" ed ossequi :
<.. non siate in ansietà per cosa alcuna, ma in ogni cosa le vostre richieste
siano rese note a Dio mediante preghiera e supplica, con ringraziamento..” (Filippesi, 4:6-7);
“..non cessate mai di pregare, in ogni cosa rendete grazie..” (1 Tessalonicesi 5:17).
Ma contrario e altro da questo, vedremo ora, è ciò che insegna Gesù in quella "preghiera” che è il Padre Nostro,
l'esempio di preghiera che ci ha consegnato.
Le premesse di Gesù
Non meno importanti di tutte le altre riportateci nei vangeli, anche le parole del "Padre Nostro", per il fine di
comprende a fondo l'insegnamento di Gesù, devono essere attentamente viste e considerate. Una analisi che qui
affronteremo sulla base del testo riportatoci da Matteo, testo che in modo sostanzialmente identico ci riporta anche
Luca (11.2-4), e mettendo a fianco, in un interessante raffronto, la analisi del parallelo testo di Padre Nostro che
Dante in Purgatorio XI ci ha lasciato.
In Matteo, mancanti a Luca, troviamo alcuni interessanti passi che vale la pena di prendere in esame, passi da Gesù
pronunciati subito prima ed a premessa di quell'esempio di preghiera che poi Egli esporrà. Dice Gesù:
<...quando preghi entra nella tua camera e chiudi la porta...il Padre ..vede nel segreto…
e non sprecate parole… il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così:..> (Mt 6.6-13)
Con queste parole Gesù anticipa quel "Padre Nostro" col quale Egli, sollecitato a dare un esempio di preghiera,
tratteggia il corretto volgersi dell'uomo al divino. Un corretto volgersi che -deve- essere, dice Gesù, intimo e
segreto. Una intimità e segretezza oggi abbandonata e tradita che Lui stesso ha sempre cercato quando voleva
pregare : <..si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in luogo deserto e là pregava..>(Mc 1.35) .
Nei passi che precedono il Padre Nostro Gesù dice poi anche con chiarezza che <..il Padre.. sa di quali cose avete
bisogno ancor prima che gliele chiediate..> e, dopo questo invito a non chiedere e supplicare per sé, finisce la frase
con un significativo: <.Voi dunque pregate così ..> : <..Voi dunque..>, egli dice, “non supplicate per i vostri
bisogni, sprecando parole, ma pregate così".
Le parole di Gesù del Padre Nostro quindi -non possono- essere lette come personali richieste o suppliche rivolte al
divino ma, come sempre è per le Sue parole, anche in quell'esempio di preghiera, in linea peraltro con ciò che era la
preghiera nel mondo giudaico, deve essere visto "insegnamento".
E un duplice insegnamento si vede anche sotteso alle parole sopra citate, quelle con le quali Gesù anticipa il suo
Padre Nostro. In esse deve infatti essere visto che:
-- da un lato il divieto ed invito a non “chiedere-supplicare per i nostri bisogni” al fondo mostra e dice che un tale
agire è indice di non comprensione del divino: Gesù dice questo non perché sia cosa "sconveniente" il chiedere, ma
perché esso è indice di non comprensione di un divino che "sa di quali cose l'uomo ha bisogno".
E’ indice di non comprensione di un divino, il Padre-Jhwh, che infatti, abbiamo visto, lontano da quell’Essere-EnteFigura che i tre monoteismi insegnano è Armonico Accadere e Legge cui nulla con evidenza si -può chiedere- e che
-sa-, nel senso che -opera perché sia-, ciò che all'uomo-umanità necessita, il suo bene. Il Padre-Jhwh -sa- nel senso
che l'agire in Uno delle Potenze-Forze che lo costituiscono è atto a far sì che l’uomo giunga a quella condizione di
"bene-pace" che la tradizione giudaica dichiara Regno.
Un Padre-Jhwh Armonico Accadere e Legge che anche con le peggiori sofferenze, secondo le Scritture ma pure per
Gesù che dice <..Sentirete parlare di guerre..è necessario che tutto questo avvenga...vi saranno carestie...ma tutto è
solo l'inizio dei dolori..>(Mt 24 6-8), indurrà-porterà l'uomo a quel corretto-giusto vedere ed agire che gli permetterà
infine di rivivere la sua edenica condizione.
-- dall'altro lato il "chiedere per sé" può con facilità essere sintomo di quell'errore, la "caduta all'io-materialità", che
è la morte spirituale dell'uomo. E questo, più chiaramente seppur sempre con parole da capire, Gesù lo dice secondo
411
undicesima parte
quanto è nel Vangelo di Tommaso che al loghia 14 riporta il Suo <.. se pregate sarete condannati....>. Si chiude alla
Vita, dice così Gesù, si “condanna”, chi “pregando per sé” vede e pensa di “essere in sé” e così non sa e non riesce a
portarsi a quella “conversione-cambio di mentalità-morte all’io” che è la sola via che può portare alla "rinascita...da
vecchio" (Gv 3.3), la "resurrezione", in vita, cui Egli ha invitato.
Analisi del Testo
Venendo al Padre Nostro che Gesù farà seguire alle parole sopra analizzate, anch'esso come detto è insegnamento, è
preghiera-meditazione e non "personale richiesta e supplica" come insegna Paolo.
Il Padre Nostro è infatti, come vedremo, un "pregare meditativo": è una riflessione sulla "natura del divino", sono
parole che portano l'orante a confermarsi su di essa. Il Padre Nostro è assieme :
“un invito, una evocazione ed invocazione a che si compia quel cambio di mentalità-conversione
della umanità, il Regno, che è la apocatastasi-ritorno alla -condizione edenica / resurrezione-, in vita, dell’uomo,
ed è pure:
"un confermare, un ricordare a sé e riflettere sugli aspetti dell'Essere-Vita e quindi un riflettere
-assieme sull'uomo e sulla essenza e natura divina, il Padre che è nei cieli-".
Analizzeremo ora il testo del Padre Nostro del vangelo di Matteo (Mt 6.9-13) e assieme, come detto, in un
interessante raffronto vedremo come Dante ha interpretato il testo del Padre Nostro di Gesù (Pu XI, 1-24).
<.. Padre nostro che sei nei cieli...>
Come già visto su queste pagine e senza dilungarci sulle comunque importanti considerazioni in merito già fatte,
ricordo anzitutto che anche qui, per la traduzione interlineare di R.Radice del testo greco Nestle-Aland, Gesù come
sempre dice: <..Padre nostro -quello- che è nei cieli..>. Vari sono o possono essere, i "padri" dell'uomo, dice
sempre Gesù. Ripetiamo poi anche che il Padre di cui Gesù dice è il Jhwh delle Scritture giudaiche, degli scritti che
tutta la sua opera ha unicamente cercato di fare capire.
E' il Jhwh filosofico di cui abbiamo qui detto, un Padre-Jhwh-Legge da capire, seppure nei limiti umani ovvero
vedendolo di spalle e non in volto.
Ciò precisato, in merito alle citate parole vuole notato che Gesù appena prima ha detto che bisogna pregare
segretamente e da soli, ma poi non suggerisce all'orante di invocare il "suo" Padre ma inizia l'esempio di preghiera
suggerendo, a chi da solo sta pregando, di dire "Padre nostro...", espressione che rivela e dice della inesistenza in sé
del singolo, dell'uomo. Primo insegnamento questo, come visto, di Gesù e delle Scritture.
Ed anche il seguito della preghiera-meditazione vede sempre il riferimento al "noi" ovvero al -genere umano- .
Riguardo poi alle parole "che sei nei cieli", è scontato il fatto che Gesù con questa espressione, secondo le sue stesse
parole, non intende parlare di collocazione fisica. I "cieli" infatti sono gli "stati-stadi-condizioni" che vedono la
presenza del divino, di Dio, del Padre, sono ciò che vede quel Regno che per Gesù è o può essere -anche- "vicino-in
mezzo a noi e non già nel cielo fisico":
<.. il regno dei cieli è vicino..>(Mt 10.7) <..il regno di Dio è in mezzo a voi..>(Lc 17.21) <..Se chi vi guida vi
dice: sì, il Regno è nei cieli, allora gli uccelli del cielo saranno in vantaggio... Ma il Regno è dentro di voi e fuori di
voi... >(V.di Tommaso l.3).
E' quindi di “cieli” intesi come “stadi-stati-condizioni” della Vita, di “stadi-stati-condizioni” che sono il vivere del
Cosmo, che egli dice; cieli-stati-condizioni tra i quali è anche quello che vive l’uomo fisico-terrestre.
Un fisico-terrestre in cui opera, e diviene o può divenire "padre" dell'uomo, la separazione-diabalein, il diavolo :
<..voi che avete per padre il diavolo..>(Gv 8.44) dice Gesù. Ma un fisico-terrestre che è anche "cielo-stadio-statocondizione" in cui vive il Padre-Jhwh che è “Essere-Vita-Legge", e non "Ente".
Una bella lezione ed approfondimento su questo aspetto, in linea con quanto detto, ce la consegna Dante con
la sua versione e lettura del Padre Nostro di Gesù. Dice Dante:
<...O Padre nostro, che ne' cieli stai, / non circunscritto, ma per più amore /
ch'ai primi effetti di là su tu hai,...>
Vediamo qui un interessante approfondimento sulla figura del Padre. Dante infatti con riferimento ai "cieli"
delle parole di Gesù aggiunge un "là su" che con evidenza vuole dire di una -condizione- che è
"spiritualmente più piena-alta-sù posta" rispetto a quella terreno-mondana.
Ma ancora poi egli ci dice che tale Padre-Essere, il divino, non è limitato, non è <..circumscritto..> a questa
"più alta e piena" dimensione e condizione ma, precisa Dante, esso è soprattutto così <..là su..> posto,
poiché “ama / è affine” alla condizione dei <..primi effetti..>, alla condizione della -prima edenica
generazione-.
Esso “ama / è affine” a quella condizione edenica di Pace-Regno che la terra-mondo ha perso, la condizione
dell’Armonico “primo tempo”, il <..Regno..> che Gesù invoca anche per la terra-mondo e che l’umanità
dovrà infine rivedere, dice Gesù come altri, con la Apocatastasi, la “rinascita-resurrezione-ritorno al primo
412
undicesima parte
edenico stato-condizione” che vede la fine del tormentato e tragico terreno evolversi-involversi dell'umanità.
Che vede la “fine dei tempi-mondi-secoli”.
<..sia santificato il tuo nome...>
Sulla scorta di S.Agostino che scrive <...quando diciamo : "Sia santificato il tuo nome" eccitiamo noi stessi a
desiderare che il nome di lui, che è sempre santo, sia considerato santo anche presso gli uomini, cioè non sia
disprezzato...>(Agostino, lettera a Proba), la cristianità in modo piuttosto vuoto sembra vedere nel passo di Gesù un
invito a "considerare/riconoscere/trattare" come santo/sacro un generico Padre, termine-nome divino.
Ma "nome", abbiamo visto in queste pagine, è termine che vuole richiamare, vuole dire ed evocare, della "essenza e
natura" di ciò e colui che così, con quel nome, è appellato.
Ora è evidente che secondo ciò che oggi intendiamo per "santificare" la frase di Gesù non ha alcun senso:
"santificare" significa oggi "portare al divino, trasformare e rendere sacro ed inviolabile", ma niente è più santo e
sacro del "nome-essenza-natura" del Padre e quindi, fuori da una tale irrazionalità, si deve dire che Gesù intendeva
altro da ciò. E per vedere cosa Egli ha voluto dire, bisogna andare alla etimologia della parola "santo".
"Santo" è in latino "sanctus" che è participio passato di "sancire", "fissare-stabilire-confermare" e, così vista, la frase
di Gesù prende piena logica e razionalità: Egli con quel <..sia santificato..> suggerisce di invocare che :
"sia dall'uomo sancita-confermata, sia da lui vista, compresa e quindi fissata-confermata in modo inviolabile, sia
compresa ed a se stesso stabilita in modo inalterabile ed in-corrompibile, la -essenza e natura del divino-,
dell'Eterno, del Padre-Jhwh".
Anche su questo passo di Gesù, Dante, con i suoi versi, ci offre qualche spunto di riflessione. Scrive Dante:
<...laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore / da ogni creatura, com'è degno /
di render grazie al tuo dolce vapore..>
Si deve qui vedere che:
a) nel caratterizzare il divino Dante lega e assimila “nome a valore", ed aggiunge poi a questo un "dolce
vapore”. Scontato il piuttosto evidente riferimento allo Spirito Santo del <..dolce vapore..>, la cristianità
vuole poi vedere in "nome" un riferimento al Padre ed in "valore" un riferimento al Figlio. Contro queste
forzate e dubbie letture di "nome" e "valore", piuttosto chiaramente per me si deve vedere che in questo
passo Dante caratterizza il “Padre”.
Egli dando al "nome" una accezione di “valore-potenza" in sostanza richiama e dice di quella "essenzanatura” del divino di cui abbiamo sopra detto, una “essenza-natura” alla quale Dante affianca poi il “dolce
vapore” che è la "Ruah-Spirito Santa”.
b) Dante, non senza motivo, usa il verbo "lodare" in sostituzione del "santificare" di Gesù e, si può vedere,
anche quel “lodare” è termine che riporta alla lettura sopra fatta: lontano da ogni vuoto ossequio il “lodare”
da un lato -presuppone- una "conoscenza-visione-comprensione" di ciò cui ci si rivolge, e dall'altro è un
dire-agire che porta a "sancire-confermare" a sé tale comprensione.
<...venga il tuo Regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra...>
Queste parole di Gesù sono in piena continuazione di discorso e riflessione con il precedente suo auspicio ed invito
al "santificare-fissare-stabilire-confermare a sé il nome-essenza-natura del Padre". Qui infatti egli completa quella
prima frase evocando ed invocando ciò cui porta e ciò che si crea, per l'uomo, con quella "santificazione": il
realizzarsi del Regno in terra.
Il Regno edenico, abbiamo visto, è la "condizione" che vede l'uomo <..passeggiare...> con Dio ovvero è la
"condizione" che vede l'uomo avere continuamente presente a sé il "nome-essenza-natura" del Padre.
Una "condizione umana", il Regno in terra, che è conseguenza della comprensione ferma, da parte dell'uomo, della
"essenza-natura-nome" divina. Condizione cui l'umanità necessariamente-fatalmente giungerà alla sua apocatastasi,
alla filosofica rinascita-resurrezione-cambiamento, ultimo-finale, insegnato da Gesù e Scritture ma anche da una
larga parte della sapienza pagana. Ed è condizione umana-materiale, della <..terra..>, quella così evocata ed
invocata da Gesù, che è la stessa che vi è, qui essendo l'unica possibile, fuori dal terreno-fisico-materiale, che vi è in
un <..cielo..> che è stato-condizione non materiale.
Questa "condizione", che vede l'uomo "cambiato di mentalità ovvero con-vertito", è quella che porta l'uomo-umanità
ad operare secondo ciò che per le leggi divine è "giusto e corretto", che lo porta ad operare secondo una
<..volontà..> divina che è antitetica a quella dell'uomo "figlio dell'Adam" ovvero dell'uomo "caduto all'iomaterialità". Dell'uomo portatosi ad un fariseismo-separazione che vede solo "opinione-doxa" e non Logos UnicoVerità.
Una "volontà" che razionalmente non può essere, ed altro non è, che ciò cui tende e porta per natura il "nomeessenza-natura" del Padre, una "volontà" che non è altro che la tensione a quell' "armonico equilibrio tra le forze
maschio e femmina o yang e-yin" che costituiscono quel "nome-essenza".
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undicesima parte
Vediamo anche qui cosa scrive Dante, egli così riporta il passo di Gesù :
<...Vegna ver' noi la pace del tuo regno, / ché noi ad essa non potem da noi, /
s'ella non vien, con tutto nostro ingegno. / Come del suo voler li angeli tuoi / fan sacrificio a te, cantando
osanna, / così facciano li uomini de' suoi...>.
Scontato il collegamento "regno-pace", Dante da un lato sottolinea la grande difficoltà che ha l'uomo a
portarsi a quella condizione senza un aiuto-intervento, e dall'altro precisa che sostanzialmente quel "regnopace" è il non avere propri dell'uomo voleri-pensieri, il non seguire-avere opinioni-doxa che caratterizzano
l'uomo "caduto" ma seguire il Verbo-Logos divino, l'eracliteo "Logos unico", il volere divino.
<...Dacci oggi il nostro pane "epioùsios"...>
Ancora in continuità con quanto egli ha detto in precedenza su "nome-essenza-natura" del divino prima, e sul
"Regno in terra" finale ed ultima condizione dell'uomo poi, Gesù prosegue qui il suo insegnamento teologico. A
partire da questo passo infatti egli inizia una sorta di approfondimento di quel "nome-essenza-natura" che, come
detto, l'orante deve "santificare", deve vedere e a sé confermare. Ed è il " pane-cibo" l'aspetto del divino che qui
egli sottolinea e insegna.
Lontano da ogni materiale lettura del termine "pane", compresa quella di "beni materiali e spirituali" che fa il CCC
(2830 e seg.), e lontano anche da una lettura che, dato quel chiaro <..il Padre.. sa di quali cose si ha bisogno..>
appena pronunciato da Gesù, si porti a vedere qui parole di supplica ed esaudimento di personali bisogni, Gesù qui
invita a ricordare, a confermare a sé e fare memoria di un fondante aspetto del divino. Vediamo come e perché.
Sul termine greco "epioùsios", -coniato- ed usato esclusivamente da Matteo e Luca nel riportare l'episodio in
questione, non vi è certezza né univocità rispetto alla sua traduzione e le due ipotesi che vengono fatte portano a due
letture sostanzialmente opposte, una "spirituale" e l'altra "materiale".
Il termine infatti viene ipotizzato da un lato come composto di -epì- ed -ousìa- e così quindi inteso come "sopra la
sostanza-ousìa" oppure "che muta nella sostanza-ousìa", e dall'altro invece è ipotizzato come derivato di -epìeousache, con "giorno" sottinteso, diviene "per il giorno seguente", “di domani”.
La traduzione oggi fatta dalla cristianità, il "quotidiano" cui è portato l'"epioùsios" del testo, nasce nella
interpretazione "materiale", interpretazione che legge quelle parole come istanza per un -personale-, e materiale,
bisogno. Interpretazione che, come detto e visto più sopra, è sostanzialmente rigettata e condannata da Gesù ma
anche, bisogna dire, che porta la frase di Gesù, alla lettera, ad assurdo più che strano: "dacci oggi il nostro pane di
domani".
Giusta e corretta, invece, deve essere vista la lettura che faceva già Origene ( Origene, La preghiera-Città Nuova ) il
quale traduce, motivatamente, il termine "epioùsios" con un "super-sostanziale" che praticamente porta a vedere
nelle parole di Gesù un riferimento al <..pane del Regno di Dio..> di cui, in altro luogo, dice Luca (Lc 14.15), un
pane-cibo che è il Logos-Parola divina.
Anche l' <..oggi..> che Gesù pronuncia ci porta a questa lettura: con esso Egli riprende il termine-concetto antico
testamentario che dice del momento-oggi, in vita necessario, nel quale con l'aiuto della Ruah-Vento Santa l'uomo
“cambia mentalità-si converte” e così si porta all'ascolto della Parola-Logos divina, l'ascolto del "pane-cibo supersostanziale” del Regno ovvero si porta ad essere Figlio:
<..ti convertirai, obbedirai alla voce di Jhwh e metterai in pratica .. questi comandi che -oggi- ti do ..>
(Dt 30.8)
<..( Jhwh ) mi ha detto: “Tu sei mio Figlio, io -oggi- ti ho generato..”>(Sal 2.6,7)
E' un "oggi" che, in questo contesto, chiede ed invoca che siano accorciati il tempi della venuta dei quel RegnoApocatastasi che Gesù ha appena prima invocato sulla terra, è un oggi che chiede siano limitati i tempi delle
<..necessarie..>, dice Gesù (Mt 26.6), guerre e disastri. I necessari-fatali mali di cui dicono Scritture e Profeti
come tutto il mondo antico ed il cui generarsi e svilupparsi Gesù, con il suo invito a "capire" le Bestie distruttrici di
Daniele, ci chiede sia da noi visto e compreso.
Dante così riporta, confermando la lettura qui sopra fatta, il passo di Gesù in questione:
<... Dà oggi a noi la cotidiana manna,/
sanza la qual per questo aspro diserto / a retro va chi più di gir s'affanna...>
E' indispensabile all'uomo quel "pane-manna-Verbo-Logos", dice Dante, giacché senza di esso egli resta in
un deserto <..aspro..>, in una condizione che non può vedere la Vita.
<...e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori .. >
Anche qui la lettura cristiana vede un Gesù che suggerisce una preghiera che porta l'orante a "chiedere, invocare e
piatire" un "perdono personale", la "remissione-perdono di debiti-peccati", che al fondo è in tutto uguale a quel
"bisogno personale" che Gesù certamente, come detto e visto, ha condannato appena prima di enunciare il suo Padre
Nostro.
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undicesima parte
Oltre a ciò, poi, quella lettura finisce col vedere un orante che da un lato ha l'ardire di suggerire al Dio come agire e
comportarsi nei propri confronti, e dall'altro lato lo vede in grado di rimettere-perdonare-cancellare degli altrui
"peccati" o errati comportamenti che, secondo le chiare parole di Gesù, lui -non deve giudicare-. Troppe
incongruenze e perplessità restano, cristianamente in primis, in una tale lettura delle parole citate.
Piena razionalità e pieno accordo con le altre parole di Gesù nei Vangeli si trovano invece con la lettura ed esegesi
che ora vedremo, una lettura che vede continuità con quanto finora, per come visto, Gesù ha inteso dire.
Prima di tutto vuole visto e detto che i "debiti" delle parole di Gesù, lontano dal peccato di infrazione di un -normato
codice- che per Lui sappiamo non è che -precetto per uomini-, norma per un uomo ancora in condizione di "caduta"
e perfino anche "norma sociale", sono "debiti" da leggere e vedere più largamente quali umane "azioni contrarie ad
un divino che è Uno e Legge".
Gesù, contro la lettura canonica, si vede allora che anche qui insegna: con queste parole Egli di nuovo invita l'orante
a "confermare a sé e fare memoria" di un altro fondante aspetto della "natura-nome" del divino: quello di una
salvezza dell'animo umano che si ha e si compie nel momento in cui si giunge alla "Conoscenza-Sapienza":
è la "remissione” intesa quale “accettazione-comprensione non giudicante" dei "debiti-azioni errate e contrarie al
divino-Legge" operate nei confronti nostri e altrui, è questo vedere-agire che è conseguente alla "ConoscenzaSapienza" cui porta l'ascolto del Verbo-Logos unico, dice qui Gesù, ciò che porta l'uomo ad essere già "rimessogiudicato" dei propri debiti-azioni contrarie al Padre-Legge.
E' "rimesso-giudicato", l'uomo, "come-nel momento in cui" egli giunge alla "conoscenza-Sapienza", insegna a
meditare qui Gesù ribadendo una Verità già in altri modi da lui espressa:
<..chi ascolta (-capisce- ndr) la mia parola...non va incontro al giudizio, ma è già passato dalla morte alla
vita..>(Gv 5.24)
Non invito a fare richieste di perdono quindi anche in queste altre parole di Gesù bisogna vedere, ma invito a
ricordare e meditare questo aspetto da Lui tanto sottolineato nelle sue parole, della "natura-nome" del divino.
Dante così precisa questo passo del testo di Gesù:
<.. E come noi lo mal ch'avem sofferto /
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona / benigno, e non guardar lo nostro merto...>
Si vede qui che anche per Dante i "debiti" non sono i "peccati-infrazioni di norme d'uomo" che vede la
cristianità paolina: egli parla di "mali-sofferenze subite", mali sofferenze che l'uomo-umanità vive per le
"azioni errate e contrarie al divino-Legge". Ma, con questo, anche l'altro aspetto sopra sottolineato
dell'insegnamento di Gesù sembra da Dante confermato.
Per il suo testo infatti: come, ovvero quando-nel momento in cui, dice l'orante, i "mali-sofferenze" a noi
provocati noi capendone l'origine e non giudicandoli li capiamo-perdoniamo, così, a quel punto e momento,
noi siamo già "benignamente" e cioè senza altro nostro compito-dovere, Vivi, giudicati, perdonati.
Anche le parole che Dante aggiunge, il suo successivo <..e non guardar lo nostro merto..> che non si trova
nel testo di Gesù, sembra avvalorare questa lettura.
Con questa precisazione Dante, fuori da ogni ipocrita invito fatto al divino-Dio di non considerare nostri
meriti, ed in linea con una lettura del testo di Gesù in chiave di "insegnamento-preghiera meditativa" più che
di vuoto chiedere per sé, sottolinea in sostanza che non contano possibili meriti, che la salvezza dell'anima
non è un mettere sulla bilancia meriti e colpe, ma è il portarsi a quella Conoscenza, Sapienza non giudicante,
che nasce nell'ascolto del Logos, nella comprensione del divino.
<...e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male...>
Anche qui vediamo da parte di Gesù un insegnamento e invito a "confermare e fare memoria", nella preghierameditazione, "della natura-nome del divino", ed è una "natura", dicono qui le Sue parole, che vede un Padre-JhwhLegge che assieme può "indurre al male e liberare dal male".
La cristianità, figlia di Paolo e non di Gesù, nega e non può vedere tale insegnamento ed è per questo che la Chiesa
Cattolica si è infine portata a -correggere le parole di Gesù-: non più "non ci indurre in tentazione", non più il chiaro
"mè eisenenkes hemàs eis peirasmon", "non spingerci/indurci in tentazione, ma "non abbandonarci alla tentazione"
essa ha di recente stabilito che deve essere visto e detto.
Ora, non si può non dire che anche "l'abbandono ad un male che è irrimediabilmente mortale" vede una responsabilità ed anche un volere-, divino, che non sono molto distanti da quelle di un "indurre" a quel male.
Quella correzione quindi serve solo a -tentare- di sfuggire ad una vera analisi, una analisi che invece resta necessaria
e che porta a vedere quanto segue:
Gesù dice <..non ci indurre...> perché il Padre, il "divino" che per lui è il Jhwh delle Scritture, è quel Tutto-Legge
che vede assieme ogni contrario in una tensione armonica che induce a, e cerca, quell'equilibrio che vede la pace
dell'uomo, che vede "in terra" quel Regno edenico che l'uomo deve perseguire.
Il Padre è quel Tutto "maschio-femmina o yang-yin", <..spirito e acqua..>, che vede, assieme, ciò che "portainduce" l’uomo a cadere all’io-materialità, ad un materiale che è male se non è affiancato dalla consapevolezza dello
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undicesima parte
spirito, ed è pure ciò che lo "libera", con l'invito ad uscire da quella condizione chiusa, caverna socratica, al fine di
ritrovare-riconoscere in sé quel Signore-Logos che porta al giusto agire. Che lo porta alla "pace-regno" cui tanto
egli ha invitato.
Vediamo, anche per questi passi, cosa scrive Dante. Egli dice: <... Nostra virtù che di legger s'adona,/ non
spermentar con l'antico avversaro, / ma libera da lui che sì la sprona...>.
Ancora in linea con quanto sopra rilevato, Dante qui dice che è il divino che "sperimenta-induce all'errore" le
nostre virtù "con-per mezzo dell'antico avversario": ciò che è contrario al bene dell'uomo quindi è, per Dante
come per Gesù, parte del divino. Ma pure, dice Dante, Dio, questo divino che così "spermenta" la nostra
debole virtù, ha in sé forze che "liberano" l'uomo da quanto è contrario al suo bene.
LE PARABOLE
Premessa
Tre domande sorgono immediate, prima ancora di cercare di capire, quando si affrontano le "parabole" di Gesù:
1)-- cosa sono le parabole,
2)-- perché Gesù le usa,
3)-- perché sono così ermetiche, difficili da capire.
1) Alla prima domanda risponde Gesù stesso con quei suoi tanti "Il Regno è simile.." che in esse si incontrano: le
parabole sono infatti metafore-similitudini che dicono “del e sul” Regno di Dio, un “Regno-condizione umana” che,
da portare e realizzare sulla Terra, si rivela così “centro e fine dell’insegnamento di Gesù”.
Esse sono, quasi esclusivamente, metafore su -cosa è- il Regno e su -cosa si ha ed avviene- per esso. E, anche,
sono metafore sul -come e cosa deve fare l’uomo- per portarsi “in vita” alla condizione di Regno dei cieli.
Sono metafore sul cosa deve fare l’umanità perché tale Regno-condizione di vita dei cieli si abbia sulla Terra. Esse
sono perciò, al fondo, metafore relative ad un Regno di cui dice anche la Verità-Legge espressa in quelle Scritture e
Profeti da Lui spiegati: la Verità-Legge del necessario portarsi umano al Regno in Terra.
2) Anche alla seconda domanda risponde, esplicitamente, sempre Gesù stesso il quale parlando di sé quale "Scribainsegnante del Regno dei Cieli" nella relativa parabola, in Mt 13.51-52, dice che le Sue parabole sono "spiegazioni"
del Regno e delle Verità delle Scritture da Lui fatte utilizzando parole <..nuove..> rispetto a quelle delle Scritture
stesse. Egli quindi ci dice che racconta le parabole con la intenzione e volontà di esprimere le stesse Verità delle
Scritture ma in modo più aggiornato ed attuale, e quindi più comprensibile, rispetto alle stesse Scritture.
Le parabole sono perciò metafore relative ad un Regno che non è altro che la Verità-Legge espressa,
allegoricamente, nelle Scritture giudaiche. Scritture, e Verità, che così anche qui Egli conferma essere il solo
oggetto della Sua opera, un’opera tutta portata, come visto e detto, unicamente a farle capire e confermare.
Una Verità antico testamentaria che si concretizza quindi, egli esplicitamente ci dice anche con le Sue parabole, nel
mostrare dire ed insegnare allegoricamente cosa è il Regno di Dio o Padre, un Regno-condizione, e Padre, che è dei
Cieli ma che vedrà il suo lento portarsi ad essere anche sulla Terra, tra gli uomini. Insegnamento e fuoco, quello
portato da Gesù, che ancora non è acceso, che ancora oggi non ha prodotto risultato, ancora non abbiamo capito.
Ma lui sapeva anche questo.
3) Venendo alla terza domanda ovvero al perché nonostante questa sua volontà di far capire di cui abbiamo appena
sopra detto, queste spiegazioni da Gesù siano fatte sostanzialmente sostituendo alla allegoria delle Scritture la
metafora delle parabole e quindi siano fatte con una modalità che largamente agli occhi ed orecchie dell’uomo si
mantiene ermetica, anche qui è Gesù che risponde.
Nel contesto della parabola Del seminatore, infatti, richiamando Isaia Gesù dice della Verità apocalittica, in queste
pagine ampiamente analizzata, di un divino che è Legge che porta l'uomo, che non vuole-riesce a capire e portarsi al
Vero-Giusto, ad aumentare la sua incomprensione affinché, per i disastri che a ciò conseguono, egli arrivi finalmente
a capire. Dice così Gesù, quindi, che la incomprensione delle parabole e delle Verità ad esse sottese deriva
unicamente dalla nostra non capacità di capire, una non capacità che vede anche, seppur celata, la nostra non
volontà, di capire.
Gesù sapeva che non tutti potevano e volevano capire, sapeva che servivano orecchie nuove per il giungere
dell'uomo al Regno e sapeva che serviva tempo perché ardesse il fuoco da lui portato e si realizzasse per la umanità
intera il Regno dei Cieli in Terra, la condizione terreno-materiale umana simile a quella non terreno-materiale.
Ciò detto, vediamo cosa, spesso lontano da ciò che è visto dalla cristianità, dice Gesù nelle parabole. Riporterò,
sinteticamente, solo le analisi e sarà opportuno quindi, a chi legge, il munirsi dei testi delle parabole oggetto, testi
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undicesima parte
tutti facilmente a disposizione e che non riporto ma che invito a leggere, anche nelle varie versioni, assieme ai
commenti qui fatti.
Parabole comuni a quattro vangeli
Del seminatore
Mt 13.1-23 Mc 4.1-20
Lc 8.5-15
VdT 9
Con questa parabola Gesù parla, come peraltro in quasi tutte e come Lui stesso qui esplicitamente dice secondo Mt e
Mc, di aspetti del <.. Regno di Dio..>. Con essa Gesù metaforicamente parla di come avviene il processo di
realizzazione del “Regno in Terra”, parla di come il Logos-Parola divina, che a tutti gli uomini è disponibilepresente, agisce al fine di <..portare frutto..>, al fine di creare il Regno di Dio -in terra-.
La parabola è ben spiegata da Gesù stesso che con chiarezza paragona il -seme- alla Parola-Logos mentre ai vari tipi
di suolo che ricevono il seme è paragonato l’uomo.
Con chiarezza, così, Gesù ci dice della necessità da parte dell'uomo dell'ascolto-comprensione di quella ParolaLogos divina ma, oltre a questo, un’altra profondissima considerazione Gesù con questa metafora-parabola ci porta a
fare:
con essa infatti Gesù dice anzitutto che il Logos divino, la Parola-Sapienza-Figlio, il <..chicco..>, giunge, -è
presente-, a tutti indistintamente ma diversi, e non già uguali, sono gli uomini: diversa è la loro capacità di ascoltare,
comprendere e seguire quel divino seme.
L'uomo, dice infatti Gesù in questa parabola, può essere <..strada,.. suolo roccioso, ..terreno spinoso, ..buona
terra..> e, così, rispettivamente egli può giungere o a morire alla sua parte divina, se <..strada..>, e quindi non
giungere a <..fare frutto..> cioè non contribuire, non portandosi ad esso, alla realizzazione del Regno in Terra,
oppure l’uomo potrà variamente, al 30, al 60 o al 100 per cento, contribuire a tale opera.
E' una diversità, quella dell'uomo qui chiaramente da Gesù dichiarata, che certo potrà anche essere addebitabile alle
condizioni socio culturali in cui l'uomo cresce e vive, ma è una diversità che non può non essere vista anche come
“propria e innata” all'uomo. Diversità che certo le letture qui fatte delle parole di Gesù sulla reincarnazione, sia
quelle sul “segno di Giona” che quelle della “risposta ai Sadducei”, possono spiegare ma la sistematicità con la
quale di tale diversità qui parla Gesù, che in merito non adombra alcuna eccezionalità, porta a vedere anche altro.
Porta a vedere un “uomo” che perde ogni individualità e una creazione che è dell’uomo-umanità e non di singoli
individui.
Dei vignaioli omicidi
Mt 21.33-44
Mc 12.1-12 Lc 20.9-18
VdT 65
Dice questa parabola della grande difficoltà che l'umanità deve superare per potere giungere a vedere affermati i
corretti e giusti insegnanti ed il <..frutto..>, il Regno in Terra, che ad essi consegue.
Saranno lungamente uccisi-annullati-vanificati i corretti-giusti insegnamenti, dai minori ai maggiori, prima che
l'umanità possa vedere i Giusti “insegnanti”: sarà un nuovo "popolo-generazione", sarà un popolo generato in ciò
che lungamente sarà visto quale <..pietra di scarto..>, un popolo generato in ciò che non serve la materialità, quello
che <..fruttificherà..> e che realizzerà il Regno in Terra.
Del granello di senape Mt 13.31,32 Mc 4.30-32 Lc 13.18,19 VdT 20
Anche questa parabola dice della difficoltà del giungere a compimento del tempo-condizione del Regno sulla Terra.
Dice qui Gesù, che il realizzarsi sulla terra di un Regno-condizione che sia finalmente “albero” sui cui rami riposano
e nidificano “anime spirituali”, le anime che, fuori dalla caduta all’“io-materialità”, siano Logos, gli “uccelli del
cielo”, è un realizzarsi che passa dal lento germogliare del più piccolo dei semi della terra ovvero di ciò che sulla
terra è meno considerato, visto ed importante.
Della toppa sul vestito e del vino nuovo Mt 9.16,17 Mc 2.21,22 Lc 5.36-39 VdT 47
Dice qui Gesù della -non opportunità- di dare insegnamenti "nuovi-giusti, diversi" a chi è sempre rimasto ed è
ancora immerso nei vecchi-errati concetti e comprensioni. Una “non opportunità”, dice Gesù, dovuta al fatto che è
alto il rischio che il "nuovo-giusto" modo di vedere si possa corrompere, ovvero sia portato ad altro. Impossibile qui
non vedere replicato e ripetuto il concetto, presente in tutto il mondo antico e che ha originato la tradizione dei
"misteri", eleusini e non solo come pure quella dei “miti”, della inopportunità di parlare del Vero a chi già non sia
pronto.
Evito qui di aggiungere le considerazioni che, con questa parabola, nascono in merito alla nascita dei monoteismi,
chi ha letto queste pagine sul Gesù “diverso” saprà farle, credo, da solo.
Dell'uomo forte
Mt 12.29
Mc 3.27 Lc 11.21,22
VdT 98
Questa parabola, questo insegnamento, segue e spiega, insegnando appunto, la guarigione che Gesù ha appena
compiuto nei confronti di un uomo cieco e muto. Dice Gesù, quindi, che è solo chi come Lui ha vinto l'Errore, è
solo chi ha <..legato l'uomo forte.>, che può riuscire a liberare chi di quell'Errore-male spirituale, che porta con sé i
fisici mali, è preda.
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undicesima parte
Parabole comuni a tre vangeli
Del lievito
Mt 13.33-35
Lc 13.20,21
VdT 96
Ancora qui vediamo da Gesù espressa una parabola che dice del lento e progressivo prodursi, dal poco e piccolo, del
Regno in Terra: qui il paragone-similitudine è fatto con il “lento fermentarsi” del pane a partire dal “poco lievito”.
Del fico che germoglia
Mt 24.32-35
Mc 13.28,29
Lc 21.29-33
Gesù qui risponde a chi gli ha chiesto in merito alla “fine del mondo”.
Una “fine del mondo” che, abbiamo visto in queste pagine, è la fine di un “tempo-condizione-generazione” umano
che porterà ad aprire all'uomo la condizione di Regno in Terra, la fruttifera primavera.
Dopo avere detto che prima di ciò, prima del Regno in Terra, dovranno esservi, ed è “necessario-fatale” che vi siano
“guerre, popolo contro popolo, carestie, una tribolazione grande che mai avvenne dall’inizio del mondo...e falsi
profeti e abominio della desolazione nel Luogo Santo come predetto da Daniele", Gesù infine dice, in questa
parabola, che è dal verificarsi ed acuirsi di tutto ciò che si capirà che quella fine e quella nuova condizione-Regno è
vicina.
E come chi vede il fico germogliare sa che la primavera è in arrivo, così quando l’umanità vedrà tutto questo saprà
che la primavera del Regno in Terra è vicina. Non è possibile, dice ancora Gesù, sapere quando tutto ciò si avrà:
non è possibile sapere quando la generazione, la progenie e stirpe degli uomini contraria al Dio, finirà.
Della pecora smarrita
Mt 18.12-14
Lc 15.1-7 VdT 107
In questa parabola Gesù parla: del Padre per Matteo, del Regno per G.D.Tommaso, di sé stesso per Luca. Se
comprensibile è la differenza tra Matteo e Tommaso, Padre e Regno sono infatti affini e spesso assimilati da Gesù,
diverso è per Luca. In lui si vede, nuovamente e già visto in altri punti, il condizionamento paolino: egli pone la
“persona” Gesù, uomo, quale Dio, Padre e Regno.
La parabola dice, metaforicamente, di quale grandezza sia e di quanto sia bene ed importante il realizzarsi di quel
Padre-Regno in Terra che vede -tutti- gli uomini Figli di Dio, ma pure dice di quanto sia Vitale per il singolo uomo,
il portarsi al Padre-Regno. Dice qui Gesù di quanto sia importante il ri-portarsi alla condizione di Figlio-Logos da
parte di un uomo che da questa originaria sua condizione si è allontanato, da parte dell’uomo “caduto”.
Della lampada
Mt 5.14-16
Mc 4.21-23
Lc 8.16-18
Si vede qui l’invito da parte di Gesù rivolto a chi come i profeti sia giunto alla “giustizia”: indispensabili al
cammino umano coloro che a ciò si sono portati devono testimoniare quella giustizia perché sia “luce e sale” della
umanità.
Del servo fedele Mt 24.45-51 Mc 13.23-27 Lc 12.42-48
Qui Gesù invita gli uomini a restare vigili, ad attendere fiduciosi il momento in cui il “Logos-Signore nostro”
busserà, il giorno in cui si renderà possibile il nostro aprirsi a quel Logos divino che è in ciascuno. Solo così
potremo giungere ad essere a capo, a godere, di tutti i beni di quel Logos.
Del banchetto di nozze Mt 22.1-14 Lc 14.16-24
VdT 64
Gesù qui dice che chi non si porta alla condizione di Regno, alle “Nozze-legame dell’anima con il Logos”, di chi
non sapendo ascoltare l’invito che il Dio-divino fa alla sua anima di partecipare a tale banchetto nuziale morirà:
finirà <..gettato fuori nelle tenebre..>.
Parabole comuni a due vangeli
Dei talenti Mt 25.14-30 (Delle Mine Lc 19.12-27)
In questa parabola di Matteo, come in quella simile “Delle mine” che si trova in Luca, si vede che ciò che di
prezioso ha l’uomo, ciò che di divino egli ha in sé, deve essere fatto fruttare, deve essere accresciuto. Chi così non
saprà fare perderà anche quello di cui era dotato, sarà nella morte spirituale, <..sarà fuori nelle tenebre..pianto e
stridore di denti..>, mentre molto di più di quanto ha avuto ritornerà a chi avrà saputo molto vedere-capirearricchirsi.
In Matteo poi si vede che ancora, anche qui come nella parabola “Del seminatore”, Gesù, parlando di diverse
quantità di talenti consegnati, conferma la verità che gli uomini sono variamente dotati dei "beni" che -devono essere
fatti fruttare- al fine di far giungere il Regno in Terra.
Della zizzania
Mt 13.24-30, 36-43 VdT 57
Gesù anche qui sottolinea che il Regno in Terra si genererà con il tempo e che Esso maturerà mentre si ingrandisce il
male-zizzania. Sarà solo dopo di ciò che, con la fine del mondo-tempo-condizione-generazione-progenie attuale,
l’umanità si libererà definitivamente, <..sarà bruciata..>, la "zizzania-male", ciò che impedisce la crescitamaturazione del Regno in Terra. Saranno bruciati-finiranno, dice Gesù nella spiegazione, in linea con tutto il Suo
insegnamento, <..i figli del maligno..>, ciò che è nato e porta con sé il diavolo-separazione-fariseismo.
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undicesima parte
Aggiungo una breve annotazione su quanto riporta Matteo.
Nella spiegazione di Gesù che qui è riportata alla fine della parabola, Egli cita il "seminatore" del <..campo (che) è
il mondo..>, colui che semina i <..semi buoni...Figli del regno..>, quale <..Figlio dell’uomo-adam..>.
Ora, ciò che genera i Figli del Dio-Padre-Regno è, per le Scritture che unicamente Gesù come detto e visto ha voluto
confermare, l'archetipale Logos-Parola-Figlio-Sapienza e si vede quindi che anche qui Gesù parla di "Figlio
dell'uomo" nella doppia accezione e lettura che in Enoch si evidenzia ovvero nella accezione di chi, come Lui ma
non solo, da "Figli della caduta-adam” si sono portati, ormai solo -simili- a tale condizione, ormai lontani da essa e
convertiti-cambiati di mentalità, ad essere Logos creatore, -destra- del Padre-divino".
Del tesoro nascosto
Mt 13.44 VdT 109
In questa parabola Gesù evidenzia il carattere segreto e nascosto, da cercare arando-scavando, del bene-tesoro del
Regno: un bene che una volta scoperto porterà ad abbandonare ogni altro falso bene. In Tommaso la parabola ha un
aspetto leggermente diverso, più profondo.
Qui infatti resta la evidenza della ascosità del tesoro che è necessario cercare, ma il bene-tesoro che deriva a chi
cercando-arando lo scopre è messo in evidenza non solo quanto personale bene-godimento, come in Matteo, ma
anche come bene dal quale, se consegnato-insegnato ad altri che <..lo vogliano..>, che lo desiderino-comprendano,
porta frutto, porta <..interesse..> anche a chi lo consegna-mostra. Si vede così, ancora, una “unità” del genere
umano che poco spazio lascia alla singolarità.
Della perla
Mt 13.45-46
VdT 76
Valgono qui le stesse considerazioni fatte sopra per la versione matteana della parabola “Del tesoro nascosto”.
Della rete
Mt 13.47-50
VdT 8
Valgono per questa parabola le considerazioni fatte per quella “Della zizzania”
Del sale della terra
Mt 5.13
Mc 9.50
Valgono qui le considerazioni fatte per la parabola “Della lampada”.
Del ricco stolto
Lc 12.16-21
VdT 63
Per questa -importantissima- parabola rimando al capitolo relativo, "La Morte spirituale nel Ricco stolto", nella
"Seconda Parte" di questi scritti.
Dei fanciulli in piazza
Mt 11.16,17
Lc 7.31,32
Legandosi a quanto ha appena detto in merito a Giovanni Battista e che dirà poi anche su di sé, Gesù qui, di nuovo,
constatando il non ascolto-comprensione dei Profeti da parte dell’uomo, dice che la "generazione-progenie umana"
dei suoi, ma anche nostri si può dire, tempi, la "caduta" generazione-condizione che si chiuderà e finirà al momento
della realizzazione-avvento del Regno in Terra, è una generazione, una umanità e condizione umana, che unicamente
vede uomini intenti come “fanciulli” a <..gridare gli uni agli altri..>: incapaci di pensare in sé stessi, nella
profondità del proprio animo, essi non fanno che perdersi in un vuoto replicare ad altri.
Parabole esclusive del Vangelo di Marco
Del seme che germoglia da solo
Mc 4.26-29
Vale qui quanto detto per la parabole “Del granello di senape” e “Del lievito”.
Parabole esclusive del Vangelo di Matteo
Dei lavoratori della vigna
Mt 20.1.16
Dice Gesù con questa parabola che il Regno vede ugualmente ricompensati, vede portati alla stessa condizione,
coloro che vi giungono qualunque sia il cammino-lavoro da essi fatto.
Dei due figli Mt 21.28-32
Gesù qui, come anche fa nella parabola "Dei fanciulli in piazza", rimprovera gli isra-el-iti, coloro che per il
fariseismo-separazione sono “contrari al dio”, di non avere saputo ascoltare i Profeti e Giovanni Battista.
Pagani e peccatori, predice Gesù, si porteranno alla condizione di Regno, alla conversione-cambio di mentalità, al
Padre, prima di essi.
Delle dieci vergini
Mt 25.1-13
Con questa altra parabola sul Regno dei Cieli, come nelle parabole “Del servo fedele” e “Del banchetto di nozze”,
Gesù invita l’uomo a mantenere la propria anima, al fine che essa possa portarsi alla condizione di Regno, pronta,
preparata e senza distrazioni. Dal e nel buio della “caduta” in cui vive essa deve “uscire e cercare”, fiduciosa e
419
undicesima parte
perseverante, attendendo l’incontro con quello “Sposo-Logos” divino che infine ad essa giungerà. Un Logos-Sposo
che non può “conoscerci” senza quella nostra ferma e previdente volontà di vederlo-unirsi ad Esso.
Del servo senza pietà
Mt 18.23-35
Ancora sul Regno dei Cieli, ancora sulle caratteristiche di questa "divina condizione" umana che è il Padre-Jhwh
delle Scritture, con questa parabola-similitudine Gesù ci dice due importantissime cose:
a) ci dice che qualora si giunga alla morte senza avere né i beni-talenti spirituali, il Logos divino di cui siamo dotati,
né i suoi necessari frutti, sarà possibile avere-cercare una nuova possibilità, una nuova vita fisica, che ci permetta di
riconsegnare al divino quei beni;
b) ci dice poi che qualora anche con questa seconda possibilità, reincarnazione, si resti nello stesso Errore, errore che
porta a non capire l'essenza, il <..cuore..> del perdono ovvero quel "non giudicare" che nasce nella consapevolezza
di "non essere in-sé", qualora si resti lontani da ogni spiritualità, il destino dell'uomo non potrà che vedere dolori.
Dello scriba discepolo del Regno dei Cieli
Mt 13.51,52
Dopo avere esposto, ad una grande folla ed ai discepoli, ben sei parabole-similitudini sul Regno ( Del seminatore,
Della zizzania, Del granello di senape, Del tesoro nascosto, Della perla preziosa, Della rete ) Gesù chiede se
quanto detto con quelle parabole è stato capito.
Alla loro risposta affermativa Egli replica dicendo che chiunque si è portato come Lui ad essere scriba-insegnante
del Regno, deve, come lui fa con le parabole, cogliere dal suo <..tesoro..> di conoscenza e Sapienza ed esporre,
assieme alle <..vecchie..> allegorie delle Scritture <..nuove..> e attuali parole: nuove metafore-similitudini-parabole
che possano essere capite dagli uomini del tempo così come è stato in questo caso per loro che, grazie alle sue
parabole, hanno appunto capito.
Come nota a margine sottolineo che si vede qui da un lato che Gesù si dichiara “scriba-insegnante” come altri
possibili, e dall’altro si vede che egli ritiene necessario attualizzare nel tempo la corretta comunicazione delle Verità
Antico Testamentarie: esse, le sole che Egli come visto in queste pagine ha voluto mostrare nella corretta lettura
contro quella farisaica, dai giusti maestri-scribi devono essere spiegate in modo attuale.
Delle pecore e dei capri
Mt 25.31-46
Rimando, per queste importantissime parole di Gesù, che sono soprattutto insegnamento seppure con una breve
similitudine-parabola, a quanto detto in merito ad esso nella Ottava Parte di questi scritti al capitolo "Il Giudizioscelta-innalzamento universale".
Parabole esclusive del Vangelo di Luca
Del figlio prodigo Lc 15.11-32
Le considerazioni qui sono le stesse già fatte per la parabola "Della pecora smarrita". Qui però, in aggiunta, si vede
che l'allontanamento-caduta è la perdita delle "ricchezze", spirituali, ed è condizione questa che è detta di "morte":
<..era morto ed è tornato in vita..>.
Del buon samaritano
Lc 10.25-37
Gesù qui, vuole visto, insegna che il prossimo da "amare-considerare -quale- noi stessi", colui a cui dobbiamo
attenzione e che dobbiamo aiutare è, in particolare, il bisognoso che “troviamo sul nostro cammino”, colui che la
vita ci pone a fianco, sulla nostra strada. Questo è il compito dell'uomo, del singolo, dice Gesù, mentre compito del
Cesare, egli dice qui sottesamente ma apertamente dirà con il suo <..date a cesare ciò che è di Cesare..>, è invece
quello di occuparsi della società nel suo complesso per i suoi temporali bisogni tutti.
Un'altra considerazione poi vuole fatta sui "samaritani" che qui, come nell'episodio "della samaritana" di Gv 4.9,
sono da Gesù messi in luce come buoni esempi. Essi, giudei, abbiamo già qui visto che non condividevano, come
Gesù peraltro, la lettura farisaica delle Scritture e pertanto l'invito di Gesù a non andare a predicare presso di loro,
qualora effettivamente fatto credo non potesse significare altro che essi non avevano bisogno degli insegnamenti di
cui invece necessitavano gli “isra-el-iti”, i “contrari al dio”.
Del fico sterile Lc 13.6-9
Questa parabola segue, per confermarle, le parole che Gesù ha formulato ad alcune persone che si erano presentate a
Lui per riferirgli della messa a morte da parte di Pilato di alcuni Galilei. Dice loro Gesù che se i Galilei <..non si
convertono..>, se non cambiano di mentalità, <..periranno tutti allo stesso modo..>. Egli qui, con parole
apocalittiche mette in evidenza come la mancata “conversione-cambio di mentalità”, la mancata uscita dalla morte
spirituale in cui i giudeo-farisei sono, porti infine alle morti fisiche, ai disastri di cui dicono come visto le apocalissi
di tutto il mondo antico.
Gesù poi, dopo questa predizione e insegnamento, in merito alla “caduta-morte spirituale” metaforicamente dirà con
le parole sul fico sterile: dirà che è necessario che l'uomo esca da quella condizione sterile e faccia frutti,
convertendosi-cambiando mentalità. E’ necessario che si porti fuori dalla materialità e come al fico che non fa frutti,
420
undicesima parte
dice Gesù, a quell'uomo sarà data un’altra possibilità, con la reincarnazione verosimilmente, ma poi sarà tagliato,
perirà.
Ancora poi, nel merito della parabola, vuole visto che come è stato per tutta la sua vita nella quale mai nulla ha detto
contro le quotidiane messe a morte per reato da parte dei Romani: come è stato al momento della crocefissione
quando non ha replicato al ladrone che dichiarava giusta la propria messa a morte, ed anche come è stato quando ha
allontanato quale “satana” Pietro che si rammaricava della Sua morte fisica, anche qui Gesù non dice che la vita
“fisico-materiale” dei Galilei era sacra ed inviolabile. Nessun accenno egli fa anche qui alla inviolabilità della vita
da parte del Cesare.
Del fattore infedele
Lc 16.1-13
Lontano dalla cieca lettura cristiana, questa parabola di Gesù, per le parole che ad essa Egli fa seguire, vuole
insegnare che la onestà materiale dell'uomo, il corretto e onesto comportamento anche nel trattare gli -altrui- beni
terreni, è necessario viatico a che l’uomo abbia la possibilità, alla morte, di godere-amministrare i "non suoi" beni
divini. La onestà rispetto al materiale aiuta l'uomo a portarsi al divino.
All'uomo Figlio della luce, dice qui Gesù, a chi è andato oltre alla mera materialità, serve la stessa scaltrezzaaccortezza di chi, figlio della "materialità", figlio dell'Adam, si salva, -materialmente-, procurandosi amicizie con
una disonestà che, servendo il materiale-terreno, è sulla terra ammirata ed apprezzata. Serve, al Figlio della luce, la
scaltrezza-accortezza di servire "con onestà" anche i "disonesti beni terreni" giacché "questa onestà" gli <..procura
amicizia..> divina: essendo <..fedele nel poco..> della materia potrà per quella divina "amicizia" facilmente portarsi
a gestire-godere del <..molto..> che sono i beni divini, la <..ricchezza vera..> cui potrà giungere.
Della moneta smarrita
Lc 15.8-10
Valgono qui le letture già fatte per le parabole Del figlio prodigo e Della pecora smarrita.
Del fariseo e del pubblicano
Lc 18.10-14
Non è sufficiente e non conta, dice qui Gesù, il -non essere- <..ladri, ingiusti, adulteri..> ecc., come non importa
<..digiunare, pagare le decime..>: non importa cioè il seguire ciecamente i comandamenti se si resta <..fariseo..>,
se si resta nel fariseismo ovvero divisi-separati-altro dal prossimo, se si resta non cambiati-convertiti di mentalità.
Non è con il "cieco" seguire quei pur giusti comportamenti che, così, restano vuoti precetti di un comunque "caduto"
uomo-adam, che si è giusti-giustificati.
Lo si è, giusti-giustificati, solo grazie a quel cambio di mentalità-conversione che si mostra e si evidenzia in una
"umiltà" che, fuori da ogni ipocrisia, nasce nel vedere-capire quel nostro errore-peccato che è l' <..esaltarci..>, il
pensare di "esistere-essere in sé".
Di Lazzaro e del ricco Epulone
Lc 16.19-31
Questa parabola di Gesù è piuttosto interessante poiché con essa Egli ci mostra e sottolinea diverse cose e cioè:
a) ci conferma che vi è piena vita dopo la morte e che essa può essere "di sofferenza" oppure può essere "beata", di
serenità e pace cioè <..di consolazione..> <..in seno di Abraham..>: può essere in unità con Abraham che è figura di
coloro e chi, abbiamo ben visto in queste pagine, ascoltando gli inviti divini si è portato fuori dalla caduta all'"iomaterialità", da Abram è divenuto Abraham, si è portato, inesistente in sé, all'Eterno, ad essere Logos, Cristo.
b) ci dice che <..durante la vita..> disponiamo dei "nostri", a noi destinati, <..beni..> anche materiali come è stato
per il "ricco" della parabola, ma che anche possiamo avere "nostri" a noi destinati <..mali..> da soffrire: <...hai
ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali..> . Considerazione questa, dei "nostri mali da
soffrire" che si allaccia in particolare a quanto visto, in questa Undicesima Parte, in merito alle parole di Gesù su
Giona, in merito alla reincarnazione correttiva.
c) ciò che evidenzia Gesù rispetto ai <..tormenti..> cui è andato incontro il ricco, è che questi sono conseguenza
della mancata considerazione rivolta al mendicante che <..giaceva alla sua porta..>. Anche qui, come pure nella
parabola "Del buon samaritano" Gesù sottolinea la necessaria, all'uomo, considerazione-visione di un prossimo
"quale" te stesso. Una “considerazione-visione” che porta ad aiutare chi "bussa alla tua porta" chi si "incontra sul
proprio cammino". Del giusto Cesare quindi, si può dire anche per le altre considerazioni nel merito fatte su queste
pagine, è per Gesù il più generale compito sociale di attendere alla giustizia ed equità.
d) ci conferma Gesù che all'uomo sono sufficienti gli insegnamenti delle Scritture ovvero di Mosè e Profeti, e chi
resta sordo a questi è in una chiusura mentale tale che non saprebbe ascoltare nemmeno chi <..resuscitasse dai
morti..> dice Gesù.
Anche le Sue parole, dice Gesù confermando tra l’altro che tutta la sua opera ha solo voluto confermare Mosè e
Profeti, non sono capite da chi è sordo alle Scritture. Da questo insegnamento discende poi quello, variamente
ripetuto da Gesù in altre parabole, del lungo tempo e della estrema difficoltà per l'uomo di uscire dalla farisaica
condizione di separazione-caduta ovvero di operare la conversione-cambio di mentalità e così realizzare il Regno di
Dio sulla terra.
421
undicesima parte
e) ci dice e conferma, Gesù, che tra le due condizioni che l'uomo vive, la condizione-stato di vita fisico materiale e
quella, non materiale, che si vive alla morte fisica <..è stabilito un grande abisso..>: vi è una separazione che va
oltre, sembra di poter dire, la impossibilità di comunicare.
Dei primi posti e degli inviti Lc 14.7-11
Si ripete qui l'insegnamento che Gesù ha dato con la parabola "Del fariseo e del publicano"
Dell'amico importuno
Lc 11.5-10
La parabola è spiegata da Gesù stesso con le sue parole finali: <..chiedete e sarà dato, cercate e troverete, bussate e
vi sarà aperto..>. Con esse Egli, ancora una volta, ci dice che per potere accedere al "pane" nutrimento divino, per
potere portarsi ad una conoscenza che è Vita, Sapienza e Logos, serve una profonda perseveranza, serve un
instancabile chiedere-cercare. Un chiedere-cercare necessariamente "interiore" e solo con grande insistenza e
difficoltà l'uomo riesce a "trovare in sé-avere" ciò che gli dà la Vita, ci dice Gesù.
Del padrone e del servo Lc 17.7-10
Questa parabola si chiude con l'invito all'uomo di considerarsi "servo inutile", si chiude con l'insegnamento che
l'uomo, che "in sé" non è, non deve fare altro che ascoltare e fare quanto gli suggerisce e dice quel divino, Verbo,
Parola, Logos e Ruah-Spirito Santa, che egli deve ascoltare. Ma oltre a questo vi è un altro insegnamento che qui si
deve vedere.
Gesù qui dice, piuttosto esplicitamente, che quella consapevolezza di non essere "in sé", quella umiltà che così
nasce, deve portare gli uomini, sulla terra, a svolgere il proprio compito per e secondo la condizione sociale in cui si
trovano: dovranno essere "servi fedeli ed ubbidienti, senza esigere gratitudine", se la vita li portati ad essere in
condizione di servitù. E, per contro si deve aggiungere, i padroni per quella stessa consapevolezza saranno portati ad
essere grati, giusti e rispettosi nei confronti dei loro servi.
Anche Paolo ripeterà le parole di Gesù dicendo <..Voi, servi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni...>(Col
3.22), ma senza vedere e capire come, per quel "suo" farisaico vangelo che egli insegnerà, tale insegnamento finirà
con l'annullarsi, finirà col rendersi vuoto.
Del giudice iniquo
Lc 18.1-8
Contro la lettura cristiana (in CCC 2613) che qui vede un invito alla preghiera, questa parabola che parla di una
"vedovanza" che è la mancanza di unione dell'animo umano con lo Sposo-Logos, serve a Gesù per dire che le
"grida" di quelle anime "elette" che hanno coscienza di tale condizione e quindi hanno "fede-viva fiducia" di potere
avere quella giustizia-giustificazione-unione che le vedrà essere portate al divino, queste "grida", saranno
prontamente ascoltate e non disattese. Ma, dice Gesù con rammarico sotto forma di domanda, quella "coscienza e
fede-viva fiducia" che salva, sulla terra, ovvero in tutti gli uomini, nemmeno negli ultimi tempi si troverà.
Dei due debitori
Lc 7.41-47
Lontano da ogni cristiana interpretazione, Gesù qui dice che anche "molti peccati-errori" si cancellano, sono
superati-perdonati, quando ci si porta ad "amare molto", quando con piena consapevolezza ci si porta a "considerareamare" un prossimo visto -quale- te stesso. Poco invece si cancella quando poco, così, si considera-ama, quando
poco si ha tale consapevolezza.
Della torre incompiuta
Lc 14.28-33
Lontano anche qui dalle materiali interpretazioni cristiane, e in linea con quanto sin qui visto sul Gesù "diverso" che
si trova nel "filo a piombo" delle Sue parole, in questa parabola Gesù invita ad abbandonare l' "io" che vede "propri
averi", i "propri" padre, madre, moglie, fratelli e sorelle, e perfino la "propria" vita.
Invita ancora anche qui Gesù, ad abbandonare la concezione di un "io" che è sempre e soltanto materiale e farisaico:
invita al "cambiamento di mentalità-conversione" e dice che tale cambiamento deve essere radicale e totale,
diversamente l'opera di portarsi al suo fianco, di portarsi alla condizione in cui Egli è giunto, non si potrà portare a
termine come è per gli esempi che Egli fa.
Parabole esclusive del Vangelo di Giovanni
Del buon pastore
Gv 10.1-18 + 22-39
Gesù qui parla di sé quale Logos-Figlio, un Logos-Figlio, largamente approfondito su queste pagine, che è
condizione cui tutti possono giungere come Gesù stesso dice quando, subito dopo la spiegazione della parabola e
rispondendo a dei giudei che gli contestano di "dichiararsi dio", dice: <..è scritto "Ho detto -Voi siete dei-"..Dio
chiama "dei" quelli ai quali è rivolta la Sua parola..>(Gv 10.34,36).
Come tale, quale uomo come tutti che ha saputo ascoltare-portarsi al Logos divino a tutti disponibile e così si è
ormai portato alla “deità”e quindi come archetipale Logos divino, Cristo-Unto e "pastore eccellente"(14), Egli si
rivolge ad ogni uomo, "chiama..per nome"(3) e "dona la vita eterna" (28) ed è questo ascolto la sola via, la sola
"porta"(7) che l'uomo può percorrere per "salvarsi"(9). Come tale, come archetipale Logos, a "chi lo ascolta"(16)
422
undicesima parte
Egli "cede", consegnando sé stesso, la Vita eterna poiché ha la possibilità, il potere e compito e il
"comando..ricevuto dal Padre"(18), di "cedere-dare e riavere-riprendere" tale Vita eterna.
In questa parabola poi, vuole visto, Gesù con l'invito che fa a "salvarsi" mette in evidenza che fuori da quell'ascolto
l'uomo si porta alla -fine-.
Noto per inciso che le parole sopra riportate di questa parabola sono tratte da TNM (Testimoni di Geova)
poiché la traduzione Cei è, in alcuni passi, fuorviante giacché fermamente legata ad una "paolina" lettura
della parabola. Cei infatti traduce "buon pastore" in luogo di "pastore eccellente-eccelso" e ancora dice
"offro la vita" in luogo di "cedo-dò la Vita": fuorvianti traduzioni.
Del chicco di grano
Gv 12.24-27
Conferma di nuovo qui Gesù, come nella parabola -Della torre incompiuta- ma non solo, della necessità per l'uomo
di quel morire all' "io-materialità", la con-versione, il cambio di mentalità che è la "resurrezione" dalla morte-caduta
all’“io-materialità” da Lui insegnata: la resurrezione-rinascita che supera tale morte-caduta ed apre all'eterno, in
queste pagine ampiamente vista, che si attua nel momento, nell'oggi, in cui quel cambio di mentalità si compie.
Della vite e dei tralci
Gv 15.1-8
Molte delle parole di questa parabola sono già tate analizzate e viste in questi scritti. Sintetizzando molto, in essa
vuole visto che Gesù, anche qui, parla di sé quale -uomo-, come tutti, che <..osservando i comandamenti (le paroleinviti-volontà-giustizia -ndr) del Padre ..>(10) ha ormai raggiunto la condizione in-individuale di Logos divino, di
Figlio. Con questa consapevolezza Egli invita a restare nei suoi insegnamenti, a seguire quegli stessi comandamenti
e amore del Padre, che egli ha trasmesso, al fine di potere "dare frutto", essere Vita, eterna. Con la consapevolezza di
essersi portato al Logos divino Egli invita a <..restare in Lui..>(7), a continuare quell’ascolto del Logos-Verbo cui
lui, giuntovi, li ha avviati ma, aggiunge, molto altro essi dovranno imparare e conoscere per <..giungere alla verità
intera..>(7). E a tal fine Gesù dice che <..è bene che egli se ne vada..>(7), è bene ed è necessario che essi non
abbiano più la sua -umana- presenza e parola e così sappiano ascoltare quella divina voce, Ruah Santa, che unicamente- può tutto insegnare.
Un'altra annotazione poi si può fare: anche qui, e in modo esplicito, Gesù torna al tema ed insegnamento che, fuori
dal cammino che vede l'uomo legarsi al Logos divino, fuori dal tale resurrezione-conversione che lo vede "non più
del mondo"(19), non più caduto all'io-materialità, l'uomo, l'esperienza singola umana, finisce, "si secca.. lo gettano
nel fuoco e lo bruciano"(6).
Parabole esclusive del Vangelo di Tommaso
Della giara vuota
VdT 97
In questa parabola, sul Regno anche questa e tra le più difficili, credo si possa vedere una metafora del cammino
necessario all'affermarsi, al giungere, del "Regno sulla Terra". Nella similitudine con la figura di "donna con giara
ricolma" che deve giungere "a casa sua", si può infatti vedere espressa la condizione, femminea-yin peraltro bisogna
notare, di caduta-materialità umana, una materialità e condizione che solo quando dalla umanità sarà lentamente ed
inavvertitamente infine persa, solo quando sarà "vuota" di materialità, l'umanità vedrà giungere la "casa-Regno in
terra".
Dell'assassino
VdT 98
Con questa parabola sul Regno Gesù ritorna metaforicamente sulla difficoltà ed anche sulla segretezza dell’opera
che farà sì che esso si produca e si compia sulla Terra. In essa ci viene detto che l’opera nel tempo necessaria alla
umanità per portarsi ad esso, ovvero per uscire dalla caduta all'io-materialità, per cambiare mentalità-convertirsi, per
sconfiggere l’Errore forza di separazione-diavolo, "uomo potente", questa lunga opera avverrà nascostamente, “in
casa”, e sarà un rafforzarsi del braccio-forza capace di quella vittoria.
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dodicesima parte
DODICESIMA PARTE
LA SAPIENZA, TRA ANTICA GRECIA E MEDIOEVO CRISTIANO
Abbiamo avuto modo in molte occasioni, su queste pagine, di vedere o accennare alla larga “unità di visione” del
Vero che ha caratterizzato tutto il mondo antico. Una unità di visione ancora poco vista e celata in un modo di
esprimersi, volutamente nascosto e con innumerevoli allegorie, che sembra troppo lontano ormai da noi.
In questa ultima parte faremo un esame più approfondito, seppur comunque ristretto, su questa unità di visione che è
sempre stata considerata “Sapienza”, il sapere-vedere dell’uomo che si lega e nasce in una “divina-eterna” Verità, in
quel “divino” che è il Dio.
Partiremo da Esiodo, autore sin qui poco citato ma che è, ed era largamente considerato, tra i primi e più importanti
sapienti del mondo greco filosofico.
Dopo Esiodo vedremo poi come, nel Medioevo, quella stessa filosofica Sapienza che era stata patrimonio anche
della cristiana “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica” ormai spentasi per la avversione di una Chiesa
imperiale erede della “fonte farisaico paolino-petrina”, la ritroveremo in nuove e cristiane Luci e Voci.
Nuove Luci che Voci che, come vedremo, tra i secoli XI e XII di quella Sapienza diranno in modo libero e aperto
come faranno i Catari, che così però andranno incontro al loro massacro e sterminio, o, in modo segreto e nascosto,
ne diranno con le molte allegoriche figure con le quali in quei secoli saranno tappezzate le mura di Chiese come
quelle di Aquileia-Ravenna-Modena-Bari e non solo.
Ma segretamente ed in allegoria di quella stessa Sapienza diranno anche, vedremo, i versi Dante e dell’Ariosto come
pure essi si vedrà nei mosaici di Pantaleone ad Otranto. Una Sapienza Una che vedremo ancora poi in tanti simboli
e immagini pagani quali Il volo di Alessandro, La Sirena bicaudata, Giano e il Sole Invitto, il Ketos e il
Leviatano, l’Ippocampo ed il Delfino.
Da ultimo esamineremo come quella stessa Sapienza fosse insegnata, segretamente e con varie e diverse allegorie,
anche in tutti quei Misteri greci che, vedremo, ci sono mirabilmente riassunti e testimoniati nell’Affresco pompeiano
della Villa dei Misteri.
ESIODO, LE DONNE E TIFEO
Del tragico, per l'uomo, e pur divino Accadere che vede sull'uomo accanirsi ogni genere di male e violenza per sua
propria e divina assieme causa, abbiamo visto che Esiodo ha detto e scritto con il suo mito di Prometeo ma, più
largamente ed approfonditamente, egli ne dirà nella sua Teogonia, il suo più importante scritto.
Filosofo, in senso socratico, sapiente di quella Sapienza che ascoltata permette di sapere-vedere e conoscere, pur con
gli umani limiti, l’Essere e quindi l’Accadere, Esiodo è stato in Grecia tra i primi, con Omero, a scrivere, in allegoria
e quindi nascostamente come era ritenuto d’obbligo fare in tutto il mondo antico, di quella conoscenza.
Proposito principale e vero scopo della Teogonia infatti, si può dire sebbene questo sia poco o per nulla visto dalla
critica, è il dire di un Accadere, che è anche Essere, il quale a causa di una incontrollata forza-yin-donna, vedrà
svilupparsi sull'umanità sofferenze indicibili fino a che, con una ultima lotta-sofferenza, il necessario-fatale divino
equilibrio ed armonia tra le due fondamentali opposte forze, femmineo-yin e maschile-yang, il “maschio-femmina”
del Jhwh-Assoluto di cui dice la Genesi, non si ripristinerà.
Opposte vitali forze che sono lo “yin-yang” della cultura orientale e che in Grecia sono citate, in particolare da
Esiodo prima ed Eraclito poi, sia con l'opposizione “donna-uomo” che con quella di “umido-secco”.
Forze divine e primarie che, come detto e visto, le Scritture giudaiche dichiarano nel “maschio-femmina” che è natura- di Jhwh, dell'Assoluto, forze che anche quei testi mostrano nella opposizione “uomo-donna” e nella
apertamente dichiarata negatività di una “donna” che unicamente anche per essi dice dell'incontrollato e disarmonico
svilupparsi del femmineo-yin. Divino e necessario all'uomo questo femmineo-yin, pensiero-forza-visione, se non
correttamente visto-compreso, porta e chiude l'uomo alla “caduta” all' “io-materialità” che solo sofferenze procura.
Nella Teogonia Esiodo dice di tutto questo, pur anch'egli come sempre nascostamente ed in allegoria, e dice anche
della “finale lotta-battaglia-sofferenza” che scuoterà l'umanità intera: la stessa finale lotta di cui dicono pure, come
visto, i Profeti, Gesù e più esplicitamente Giovanni nella sua Apocalisse ma non solo, una lotta finale vista in tutto il
mondo antico, nelle culture mesopotamiche, in quelle Indo-Arie, in quelle nordiche e non solo.
Nei tanti scritti e miti-allegorie che su quel tema e Verità tutte queste culture ci hanno lasciato, diversi sono sempre i
nomi e le allegorie, diversi sono spesso anche gli angoli di lettura, di visione e di approfondimento di quell'accadere
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dodicesima parte
e però, pur nelle ben possibili diversità e lacune o anche errori, sempre al fondo resta, in quei mitico-esoterici
sapienziali testi, una stessa sostanziale unità di vedere e sentire.
Vediamo ora, per la Teogonia e partendo da una analisi più generale, come e dove Esiodo ha detto tutto ciò.
– Scopo della Teogonia
La usuale interpretazione e lettura che vede unicamente nella “genealogia divina” la ragione e lo scopo del testo
esiodeo, è errata e non supera infatti diversi interrogativi che in essa nascono:
a) il primo interrogativo ed incongruenza è il fatto che Esiodo afferma che <..a Esiodo, a me per primo...( le Muse
eliconie ) rivolsero questo discorso..>(23). Ora è piuttosto scontato e certo il fatto che almeno le principali divinitàforze o temi ed eroi contemplati nel mondo greco, e quanto a tutto ciò era sotteso, sono anteriori ad Esiodo e Omero.
Non si vede quindi come Esiodo abbia potuto fare la -ferma e perentoria- dichiarazione sopra riportata che dichiara
“sua” quella genitura.
Certo la elencazione teogonica di Esiodo è ampia ed importante e certamente moltissime delle forze-divinità da lui
elencate non erano mai state prima citate o messe il luce, ma difficilmente questo solo poteva dare ad Esiodo il
diritto di rivendicare una “primogenitura” così totale e piena quale quella da lui espressa. Più facile pensare che ad
altro Esiodo si riferisse nel fare quella affermazione: qualcosa che andava oltre il pur importante elenco genealogico,
qualcosa di nascostamente presente in quel testo ma di una novità tale da portarlo a sentirsi autorizzato a fare quella
ferma rivendicazione.
b) la usuale lettura e spiegazione “genealogica” della Teogonia non può e non riesce a spiegare, e lo dichiara, da un
lato l'inserimento importante e non marginale, in pieno testo, del mito di Prometeo, mentre dall'altro essa non riesce
a spiegare la frase finale del testo, frase che, per reggere quella lettura, si vorrebbe vedere perfino non fare parte del
testo stesso.
c) lascia poi anche, quella lettura, senza spiegazione alcuna la figura, invece importante e fondante nell'opera, oltre
che prettamente esiodea, di Tifeo, un Tifeo che come vedremo si identifica con Tifone.
d) non si spiega infine, sempre con quella lettura, la dichiarazione di Esiodo secondo la quale scopo del testo è il
parlare delle <.. cose che saranno e che furono...>(33): nessun fatto “da venire” è però possibile vedere nella lettura
comprensione quale “genealogia divina” di quel testo, solo cose che furono si possono così dire e vedere.
Tutto si risolve invece, tutto largamente trova spiegazione, quando si sappia e si arrivi a vedere che lo scopo
principale di Esiodo è il dire e delineare proprio ciò che sarebbe accaduto, quelle <.. cose che saranno..> che egli
infatti, nel presentare il testo, antepone a <..quelle che furono..>(33) mentre poi esse sono, come ovvio, esposte da
ultimo.
E le <..cose..che furono..>, la “genealogia divina”, il prodursi-evolversi di ciò che va oltre il materiale, sarà in
questa lettura solo la premessa: ciò che spiega e prepara la ben più importante, dice così Esiodo, visione “futura”.
La visione di un futuro accadere che, questo sì, nella caratterizzazione che egli farà, vedremo, poteva essere ciò che
<..Esiodo ...per primo...> riteneva, come dice, di avere visto-compreso. In questa nuova lettura del testo de la
Teogonia, una lettura che coinvolgerà anche la figura di Omero e la analisi ed interpretazione dei suoi testi, si vede
quindi che “principale scopo” di quel testo, le non viste sino ad ora <.. cose che saranno..>, sono la “visione e
comprensione” esiodea di quel tragico portarsi della umanità cui in apertura di questo capitolo abbiamo accennato.
Prima di una più approfondita analisi e con riferimento al “primato” di visione da Esiodo vantato, faremo ancora
una considerazione: elemento di novità, almeno rispetto al contemporaneo e più vicino mondo pagano, elemento che
potrebbe giustificare quella sua affermazione, è la caratterizzazione da lui fatta al “femmineo” delle forze che,
incontrollate, si portano ad essere negative. Generalmente infatti la lotta che Sumeri e Mesopotamici e Persiani ci
mostrano tra le forze del bene e del male non ha, per le forze del male, la rappresentazione al femmineo che Esiodo
invece chiaramente fa. Una caratterizzazione al “femmineo” che invece è ben enunciata anche nella temporalmente
a lui vicina cultura giudaica, nei testi di Torah e Profeti, una caratterizzazione che per quel giudaismo come per
Esiodo mostra una prospettiva marcatamente “filosofica”.
Prospettiva filosofica che comunque non è
completamente assente nemmeno nei testi sumeri e mesopotamici seppur mancanti di quella caratterizzazione al
“femmineo”.
Con tutto ciò analizziamo ora più approfonditamente il testo.
– Natura della Teogonia
Se il “principale scopo” della Teogonia come detto è il dire delle <..cose..che furono..>, sulla sua “natura”, su ciò
che essa è, possiamo invece dire che al fondo essa non è che un dire e riportare di quel “viaggio”, anche da Esiodo
compiuto, che è il vedere-capire il divino: essa al fondo non è che un diario-racconto di un “portarsi al divino” che
sfocia nella visione profetica, il portarsi-vedere-capire il divino che è il principale se non unico insegnamento ed
invito della filosofia antica. Il “viaggio” cammino e visione-comprensione che l'uomo che socraticamente “cerca”
arriva a compiere: lo stesso cammino e lo stesso “cercare” e portarsi al divino-regno che è il “cambiamento di
mentalità-conversione” cui inviterà anche Gesù.
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dodicesima parte
Un indispensabile “viaggio-ricerca” di cui dice lo stesso nome delle Muse che conducono Esiodo: la etimologia del
loro nome, secondo quanto ci è ricordato da Socrate nel “Cratilo” di Platone (406 a), riporta infatti al “cercare” .
È un viaggio che, dice Esiodo senza dichiararlo, si comincia, come lui fa, con il vedere-capire i nefasti, ma divini
tutto essendo divino, inganni che all'uomo giungono: gli inganni della mente, le doxa, ciò con cui ci confermiamo
nella caduta-separazione dell'“io-materialità”: <.. noi sappiamo raccontare molte menzogne, simili a verità..> gli
dicono e gli fanno capire-vedere -dapprima- le Muse per poi invitarlo ad andare oltre e con desiderio cercare il Vero
precisandogli che: <..ma pure sappiamo, qualora ci aggradi, il vero cantare..>(27).
Un viaggio-ricerca che per Esiodo, come è per tutti, superate grazie alla onestà stoica le illusorie menzogne-doxa,
porta prima a vedere-capire quelle “forze-dei”, la Legge o Natura, che sono il divino che tutto regola in uno con
l'uomo ed infine, profeticamente, porta a capire-vedere il futuro accadere e portarsi dell'uomo.
– Le cose che furono
Dice Esiodo che la voce delle Muse arriva all'uomo immaturo, all'uomo nella sua prima condizione terrena, all'uomo
che ancora è <..pastore che dimora nei campi, essere immondo, ventre soltanto..>(26), quando questi sappia
ascoltare quella voce, quando voglia “cercare” di uscire da quella condizione che è “caduta” ovvero socratica
chiusura nella caverna.
Ed è una <..voce immortale..>, è voce eterna, di sempre, quella che inganna con le <..menzogne..> ma anche, fuori
dalle menzogne-doxa, permette di ascoltare <..parole veritiere..> e così perciò mostra l'Essere ovvero <.. per prima
celebra col canto la veneranda stirpe degli dei ….. poi la stirpe degli uomini e dei possenti Giganti..>(44-52) ed
infine, in questo suo insegnare il “vero”, essa mostra e fa capire <..le cose che saranno..>(33).
Una “immortale” voce, vale la pena di notare, che con evidenza nel suo sostanziale aspetto di invito al risveglio
dell'uomo, di invito alla conoscenza del Vero, della Sapienza, è in tutto uguale al sostanziale agire della Ruah-Spirito
Santa della cultura giudaica, la Ruah che porta a quel “deserto” in cui muoiono le diaboliche illusioni dell'iomaterialità, in cui si svelano le errate proprie opinioni-doxa: il deserto in cui ci si “converte-cambia mentalità”, il
deserto-lotta in cui si inizia il cammino di conoscenza del Vero da cui anche Gesù è passato, anch'egli là portato
dalla voce della Ruah-Musa Santa.
Sono figlie di Mnemosine le Muse e la loro è quindi una voce, dice così Esiodo, la cui natura è “memoria” di un
divino e Vero che l'uomo conosce, ed è grazie a quel “cercato” ricordo e ri-memorazione che l'uomo trova <..oblio
dei mali e ristoro dagli affanni..>( 55) e si porta ad essere <..re nutrito da Zeus...saggio..>(82-88), filosofo, nella
“pace” di cui dicono anche il Buddha e Gesù.
Superate le <..molte menzogne, simili a verità..> e quindi vinta la -errata e verosimile- diabolica separazione, dice il
mondo giudaico, grazie alla prima voce delle Muse ovvero grazie a quella Ruah Santa che similmente è primo
aspetto della Voce-Logos divina, Esiodo, come chiunque per quella strada, si porta poi a vedere-ricordare un
<..vero..> che non è che : <..una realtà che è un sistema di entità divine (forze ndr), organicamente connesse tra
loro, ciascuna delle quali, col suo giungere all'esistenza e col suo agire, dà ragione dei fatti di cui la realtà
(fenomeni naturali e fenomeni sociali ndr) si compone..>( G. Arrighetti - Esiodo, Opere ).
Nel complesso dire, nella Teogonia esiodea, di queste entità-forze-pensieri che creano e regolano, si nota una
costruzione complicata e difficile ed anche a tratti contraddittoria ma questo, nel parlare della Realtà ultima e del
Vero, diviene in pratica quasi obbligato. Rilevante comunque, in questo complesso dire di accadere-entità-forzepensieri, è il fatto che Esiodo in questa visione-comprensione pone e distingue due opposte stirpi di forze, positive e
negative, ma entrambe divine.
Ci consegna così Esiodo una delle prime testimonianze di quella laico-scientifica e filosofica dottrina degli opposti
che poi nel mondo greco vedremo con Anassimandro, Eraclito ed Empedocle, ma che è anche dottrina del giudaismo
correttamente visto nel suo Jhwh <..maschio e femmina..>(Gn 1.26-27) e correttamente compreso nelle sue
allegorie, come pure è dottrina della cultura orientale con il suo “yang-yin” e certo anche di altre culture.
Apro qui una parentesi per ricordare sommariamente queste forze che Esiodo presenta.
Sono forze positive dapprima quelle nate da Gea e Urano, con <..e Giapeto, Teia, Rea, Temi e
Mnemosine, e Febe..e l'amabile Tethis..> e poi quelle che a queste si legheranno ovvero che da loro
discendono; ma positive sono pure i <..fiumi vorticosi..> che nascono da Oceano e Tethis e poi le
Oceanine, <…sacra stirpe di fanciulle.. che sulla terra nutrono l'adolescenza degli uomini..> ovvero il
positivo femmineo che nutre quella non contaminata, dalla “caduta”, condizione umana di “bambinoinnocenza” di cui dicono anche Gesù ed il mondo Indo-Ario.
Negative le altre forze e dei: dapprima quelle che, sempre Gea, genera senza la maschile volontà di
Urano, usando solo il proprio seme femmineo: <..le Erinni possenti e i grandi Giganti, splendenti nelle
armi..e le Ninfe che chiamiamo Melie sulla terra infinita….A costoro ..il padre dette il nome di Titani, figli
che...odiava...>.
Assieme a queste altre terribili forze negative nasceranno poi da Echidna, attraente femmineo-donna
serpentiforme figlia di Calliore e Oceano, e da Tifone. E dopo ciò ancora negative saranno le altre forze,
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tutte femminee-yin, che <..Notte funesta..> genera <..senza giacersi con nessuno..>, senza seme maschileyang: sono così generate Fato, Morte, Vendetta, Inganno.. e Contesa, dalla quale nascono Fame, Lotte,
Stragi e molti altri mali per l'uomo.
Questi ultimi sono, si può dire, i <..lacrimevoli affanni..mali..> di cui Esiodo dice nell'episodio su
Prometeo e Pandora del suo “Opere e Giorni”: mali che ricadranno sull'uomo, lo investiranno, per sua
stessa colpa, per il suo dimenticare-non nutrire il divino, dice quel mito, ed occuparsi-mangiare la sola
carne-materia.
Se la negatività delle seconde nate forze evocate da Esiodo nella sua Teogonia, la negatività delle forze e
conseguenze avverse al buon vivere dell'uomo, è tutta espressa nel loro essere senza apporto-presenza del
maschile-yang e quindi nel loro essere piena materialità senza il bilanciamento dello spirituale, per le
prime negative forze di cui Esiodo ci dice, la loro negatività è nel loro essere assieme sciocchezzastoltezza ed arroganza-alterigia : con <..sciocca arroganza avrebbero compiuto un grave danno..>(207ss).
Le stesse “stoltezza ed arroganza” che anche nelle Scritture, abbiamo visto, troviamo condannate e causa
di quanto dovrà passare l'uomo.
La mitologica lunga esposizione “genealogica” di Esiodo, il dire-rimenbrare delle Muse successivo al primo loro
avvertimento sui pensieri-menzogne, la esiodea comprensione ed esposizione del primo svilupparsi delle opposte ma
non separate e ancora fortemente disarmoniche forze-divinità-pensieri, sfocia ed approda nella visione-descrizione
di quello che è stato il primo agire e risultato che questa situazione ha avuto sulla vita dell'uomo, un uomo che mai,
qui come in tutto il mondo antico, è isolato e separato dal divino. Sfocia, quella lunga esposizione di Esiodo, nel
mostrare il primo conseguente Accadere: ciò che egli allegorizza con il mito di Prometeo cui appunto, dopo quel suo
primo dire, egli accenna.
Solo così, solo in questa lettura, si motiva e si spiega l'inserimento fatto da Esiodo, in quel testo ed a quel punto, di
quella immagine-mito.
Del significato del mito di Prometeo su queste pagine abbiamo già detto e qui, per ricordalo, ne riassumerò
sinteticamente i principali aspetti: divinamente, per volere di Zeus ovvero per la Legge-Natura divina, a seguito del
dimenticare-non nutrire il divino da parte di un uomo che così si occupa-mangia la sola carne-materia, a causa
quindi di quella “caduta” all'io-materialità che è un non visto disarmonico ingigantirsi del femmineo-yin ovvero che
è Errore-Pandora <..inganno irresistibile per gli uomini..>, arriveranno all'uomo <..sciagure in numero infinito..(a
cui) non è assolutamente possibile sfuggire..>(Opere e Giorni): saranno ineludibili quegli orrori, Esiodo dice come
diranno anche, abbiamo qui visto, le Scritture, Gesù e tutta la apocalittica.
Da ed in questo Errore-Pandora, da ed in quella incomprensione-ignoranza, Esiodo precisa, <..ha origine la stirpe
delle donne delicate, [ la genia funesta e la specie delle donne ] che, grande flagello per i mortali, abitano con gli
uomini, compagne non di bisogno rovinoso, ma di abbondanza… un danno..>(592 sg). Da quell'errore nascono
forze negative, forze-donne delicate, <..fanciulle (che) generano donne mortali unite in amore con uomini
mortali..>(Eèe 93) che pervaderanno l'umanità, <..abiteranno con gli uomini..> : forze funeste poiché inviteranno il
genere umano all'abbondanza, al patologico pensare a sé, forze delle quali la donna in particolare, il fisico genere
femminile dice Esiodo come la Torah ed i Profeti, sarà maggiormente portatore.
Grazie alle donne soprattutto quelle forze funeste agiranno e si produrranno, ci viene detto, ma con questo
certamente non si intendeva escludere l'universo maschile da quello stesso errore e forza: <.. generano.. unite in
amore con uomini mortali..> infatti quelle negative forze-fanciulle-pensieri.
– Le cose che saranno
Portatosi così quindi fuori dalle <.. menzogne, simili a verità..>, dopo avere ascoltato-capito dalle Muse le <..cose
che...furono..> ovvero dopo aver visto come detto il prodursi e lo svilupparsi delle Naturali-divine forze-dei-pensieri
che mai sono slegate dall'uomo e che lo condizionano a loro volta restandone condizionate, e dopo averne mostrato
la prima conseguenza con il mito di Prometeo, Esiodo arriva poi ad ascoltare-capire e dire, nel suo testo, delle
<..cose che saranno..>. Egli dirà quindi, di seguito a quanto sopra :
- della nascita di Tifeo (e),
- dell'ultima sconvolgente lotta di Zeus con Tifeo (f),
- del ripristino della armonia con la nascita di nuove forze-donne-yin grazie alle quali gli uomini potranno
nuovamente essere “simili agli dei” (g).
Queste <..cose che saranno..>, quantomeno queste è ragionevole credo vedere ed affermare, ciò che infine e da
ultimo Esiodo racconta nel suo testo, sono ciò che egli <...per primo..>, nel mondo greco, afferma di avere vistocompreso e rivelato. Vediamole meglio:
e) Nascita di Tifeo.
Ciò che avverrà, dice Esiodo, con ed oltre i mali di cui in precedenza aveva detto con il mito di Pandora, è che
<..dopo che Zeus cacciò dal cielo i Titani...>(820 sg), dopo che tra le forze immateriali, con dura lotta, sono state
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rese inoperanti le prime potenti e distruttive forze “divino-naturali”, da <..Gea immane.. nell'amore di Tartaro
( tenebroso recesso della terra )...> nascerà Tifeo, il “terreno-posto sulla terra”, ci è detto con quel suo generarsi da
Gea, più pericoloso e mostruoso accadimento, <..terribile drago..> con <..braccia fatte per opere di forza...piedi di
forte dio..e cento teste di serpente.. che emettono suono d'ogni specie..>.
È femmineo-yin Tifeo, dice Esiodo, è forza “umida”: <..da Tifeo nasce l'umida forza dei venti spiranti, a eccezione
di Noto, Borea e Zefiro..>, un negativo “umido-acqua” che poi tanto ritornerà nei frammenti di Eraclito.
Con ed oltre quei mali di cui dice Pandora e che all'uomo arrivano per la sua noncuranza del divino, per il suo non
ascolto del Logos Unico ovvero della Ruah Santa, nascerà sulla terra, dice Esiodo, un “drago-bestia” distruttore,
Tifeo. Una bestia in tutto simile alle bestie di Daniele e di Giovanni ma che è simile pure alla famelica ed assassina
Lupa dantesca. Ed il generarsi di questa forza-bestia, che è un “accadere-portarsi ad essere” del terreno-umano, è, ci
viene detto anche qui, massimamente pericoloso: <..avrebbe regnato sui mortali e sugli immortali, se il padre degli
dei e degli uomini non avesse avuto mente acuta..>(837 sg).
In modo del tutto uguale a quanto ci era detto nel mito di Ullikummi per il mondo Ittita e, per il mondo giudaico, a
quanto è negli allegorici miti della Torre di Babele o della “cacciata” dal Paradiso terrestre, Esiodo ci dice così che
quell'Errore “si sarebbe imposto e si sarebbe perpetrato in eterno” senza l'intervento di Zeus, del divino.
Ma anche, in modo del tutto uguale a quanto ci è detto per Ullikummi che si ingigantisce in modo incontrollato, o
per la Torre di Babele che viene alzata continuamente, Esiodo ci dice che Tifeo si allargherà, si ingrandirà e
pervaderà ogni cosa: “avrà suoni d'ogni specie” dice Esiodo.
Per inciso faccio poi notare che anche l' “ammogliarsi con molte bestie” della Lupa dantesca racconta dello stesso ed
identico svilupparsi, racconta dello stesso infiltrarsi e permeare ogni cosa da parte di quel devastante errore ed
accadere, un ingigantirsi ed infiltrarsi che ha a che fare con la natura umana, con uno psicologico-sociale che vede
nell'uomo da un lato un certo suo bisogno di conformarsi alla maggioranza e dall'altro anche la sua generale
incapacità a riflettere a fondo su se stesso e sulla natura dell'Essere. Compiti di una psico-sociologia e di una
filosofia che da tempo mancano.
Un interessantissimo aspetto, su cui torneremo più avanti, è quello che vede una comunità cristiana del III-IV sec.,
quella di Aquileia, legarsi alle visioni di Esiodo e mostrarci Tifone, in un contesto che si rifà al testo cristianognostico di Pistis Sophia, figurato come un agitato asino. L'errore di cui diceva Esiodo viene quindi qui, in un
contesto di cristianesimo filosofico, visto come errore che nasce nella stoltezza, nella non comprensione-visione del
Vero. Stoltezza di cui dice anche Zaccaria e per la quale all'uomo, egli dice, perverranno sofferenze indicibili, quelle
stesse che Esiodo dice nascere ed accadere a causa di Tifone.
Ma ancora più interessante è vedere che questa filosofica lettura per Plutarco (46-125 dC), che ce ne dice nel suo
"Iside e Osiride", era fatta già dagli Egizi: <..gli Egiziani credono che l'asino debba la sua somiglianza a SethTifone non solo alla sua stupidità e all'incontinenza sessuale, ma anche al suo colore..>.
Seth, il dio egizio <..orrendamente gonfio per gli inganni dell'ignoranza.. che sconvolse ogni cosa e riempì di mali
la terra intera e il mare insieme..>, "sessualmente incontinente" ovvero che prolifera molto e che Plutarco identifica
con Tifone, è forza che, ricordo con Plutarco, nel sapienziale mondo egizio combatte Horos, il Figlio, il figlio
Osiride ed Iside. E' un Seth/Tifone forza-asino che combatterà lungamente Horos e la madre Iside, restandone infine
sconfitto: <..chi fece giustizia fu Iside..che riuscì a spegnere e a estinguere la follia e la rabbia di Tifone..>.
f) Ultima sconvolgente lotta di Zeus.
Con e per il sorgere di Tifeo, dice quindi Esiodo, vi sarà sulla terra un enorme sconvolgimento: <..ardeva la terra
immane, il cielo e il mare… fondeva alla vampa del fuoco ardente..>(840 sg), in un <..fragore irrefrenabile e
orribile conflitto..>. Tutto questo avverrà a causa di un Errore, il non visto squilibrato svilupparsi di un femmineoyin che porta al terrificante Tifeo, contro cui Zeus e gli <..dei beati..>, le positive forze-yang, necessariamentefatalmente per la Legge-Nutura della Armonia, lotteranno.
Una lotta, della quale dice forse <..Esiodo..per
primo..>, che Zeus assieme agli <..dei beati..> infine vincerà mettendo per sempre fine al disarmonico portarsi sia
divino che umano, sia immateriale che materiale: mettendo fine, dice Esiodo, sia ai Titani, errate forze olimpiche,
che a Tifeo, errore e forza terrena.
È interessante notare che di questo stesso accadere Esiodo ci dirà anche con un'altra allegoria, e questa volta in linea
con quanto è nella Iliade omerica, nel suo “Catalogo delle donne” o “Eèe”. Questa opera, largamente persa ma che
con il suo lungo elenco di figure femminili sembra dire del terreno vario mostrarsi e svilupparsi del femmineo-yin, si
chiude infatti con la allegorica figura e narrazione di una Elena che è <..posseduta..> da un <..Menelao amante
della pugna..>: un avvenimento questo che vedendo assieme anche <..gli dei tutti divisi in pareri contrari a causa
di...contesa…>, porterà <..Zeus altisonante (a) meditare un disegno portentoso..> : quello di portare, come poi sarà,
<..sulla terra infinita tumulti e discordie.. (per) annientare buona parte.. degli uomini mortali, (e per) distruggere la
schiatta dei semidei..>(Eèe 93 sg).
g) Ripristino della armonia.
Quella lotta e quei disastri, con il conseguente e perciò da essi stessi provocato chiudersi del minaccioso e pericoloso
portarsi-errore umano che è “caduta all'io-materialità”, “morte” che vede una “Elena-anima universale-Sposa
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trattenuta-resa inoperante” ecc., sono lotta e disastri che porteranno ad una nuova stagione: grazie a Saggezza,
Giustizia ed altre virtù e qualità, ci dice Esiodo, si vedrà il nascere di forze-yin-dee-pensieri positive all'uomo: si
vedrà nascere Ordine, Pace, Venustà, Gioia, Floridezza, le Muse, Giovinezza, Armonia ecc., e con esse anche forzeyang-dei ugualmente positivi, Apollo, Dionisio ed Eracle ecc. (versi 886-962).
Sarà da questa nuova generazione-modo d'essere di dee-yin, di femminee-forze-pensieri che sono lontane, seppur
della stessa natura, dalla precedente <..genia funesta.. di donne delicate ..compagne di abbondanza...>(592sg), sarà
da questo più equilibrato e giusto esprimersi ed essere di forze-yin che servono e sono necessarie all'uomo, alla sua
vita terrena, sarà da queste nuove ispirazioni e sentimenti che Esiodo con felicità saluta invitando le Muse ad
onorarle, <..ora cantate la stirpe delle dee...> egli infatti a quel punto scrive, sarà da queste più equilibrate e
positive forze-yin-pensieri che, portate all'uomo, <..giaciute con gli uomini mortali, loro immortali..>, si
<..genererà prole simile agli dei...>(967 sg).
Sarà allora di nuovo il primo tempo dell'uomo, la umana esiodea età dell'oro, età divina, sarà la “palingenesi” o
“nuova nascita” di cui dirà pure Gesù come tanti altri, sarà di nuovo il “Dio che passeggia con l'uomo” di cui dice la
Torah: di nuovo sarà l'Eden, il Regno per l'uomo.
Dopo alcuni altri passi poi nei quali Esiodo accenna ad alcune di queste figure di <..prole simile agli dei..>, egli
chiude il testo con la ripetizione dell'invito alle Muse, già poco prima fatto, di onorare e cantare questa nuova
condizione-realtà-generazione di un femmineo-forza-yin che è indispensabile alla vita fisica dell'uomo.
Un ripetuto invito di Esiodo alle Muse che sottolinea la grande positività di quell'accadere, di quel compimento che
è da salutare con gioia, di quella nuova era che si produrrà e nella quale, grazie a queste nuove femminee forze-dee,
gli <..uomini mortali...gener(eranno) prole simile agli dei..>:
<..Ora cantate la stirpe delle donne, o dolceparlanti Muse dell'Olimpo, figlie di Zeus egioco.>(1020 sg),
sono le parole con cui Esiodo chiude questo testo, la sua Teogonia.
Un invito che Esiodo ripeterà, con quasi le stesse parole, nel prologo del testo “Eèe o Catalogo delle Donne” dove
però chiederà alle Muse di cantare ed onorare non già l'ultima generazione femminile come fa con la esortazione di
chiusura della Teogonia, ma quella -pur simile ed infine stessa- delle donne-forze-yin che nei primi tempi umani,
quando <..comuni erano le mense, comuni le adunanze, e per gli dei immortali e per gli uomini dal destino
mortale..>, sapevano <..generare figli dall'aspetto divino..>(Eèe I, 1sg).
Donne-forze-yin, ispirazioni e pensieri, queste dei primi tempi, con evidenza in tutto uguali a quelle che l'umanità
saprà ritrovare e rivedere alla fine di quel suo duro cammino nel quale si vedrà l'Errore dello squilibrato ingigantirsi
del femmineo-yin, la nascita delle <..donne.. genia funesta..> e la nascita di Tifeo con il conseguente <..orribile
conflitto..>.
Ancora vuole poi sottolineato che quel terribile accadere di cui Esiodo ci dice il racconto su Tifeo nella Teogonia ma
anche con il suo racconto su Elena nelle Eèe o Catalogo delle Donne, ma anche con quel mito-allegoria di Pandora
di cui meglio egli dirà ne “Le opere e i giorni”, quei <..tumulti e discordie..ai mortali.. e mali infiniti..>(Eèe V,
97sg), non si potranno evitare, Esiodo ci dice, nemmeno <..vaticinando a tutti gli eventi passati, il presente, e
quanto dovrà accadere nel futuro..>(Eèe V, 113sg), saranno <..sciagure in numero infinito..(a cui) non è
assolutamente possibile sfuggire..>(Opere e Giorni).
Non servirà a nulla la rivelazione-apocalissi, non servirà a nulla la profezia, non servirà a nulla il ricordare all'uomo
il passato, il mostrargli il presente o il metterlo in guardia sul futuro, quell'accadere si avvererà ci dice senza
speranza Esiodo come anche dicevano Zaccaria ed i Profeti tutti, in linea peraltro con quanto era ben visto in tutto il
mondo antico per il quale “si poteva insegnare solo a chi già sapeva”.
Ed anche Gesù, pur giustamente ammaestrando e pur nel suo pressante invito a correggersi-convertirsi, è con quella
stessa coscienza che tanto spesso terminava i suoi insegnamenti dicendo <..chi può capire capisca..> e, in
riferimento alle guerre ed ai disastri cui l'umanità andava incontro, è per quella Verità che dirà: <.. è necessario che
tutto questo avvenga..>(Mt 24.6).
– Altre considerazioni
1) La lettura qui fatta e proposta del testo esiodeo della Teogonia, con un Tifeo che si lega allegoricamente sia al
mito sempre esiodeo di Pandora che, come detto, a quanto lo stesso Esiodo dice nel suo Eèe in merito alla figura di
Elena <..posseduta da Menelao..> ed ai <..dolori su dolori..> che di conseguenza arrivano all'uomo, è lettura che
come detto con evidenza vede aspetti e visioni del tutto simili a quelle della Iliade omerica.
È sempre dello stesso accadere, seppur con angoli o anche aspetti descrittivi diversi, che ci viene detto: quello di un
devastante, fatale e mortale incombere all’uomo che si produce, secondo il racconto di Esiodo, per il fatto che
“Elena-Anima bellissima" anziché finire accompagnata alle positive forze di un Odisseo o Achille, è conquistata con
<...moltissimi doni..> da una forza Menelao <..amante della pugna..>. Omero, in modo diverso, dice di una Elena
sposa di Menelao poi rapita da Paride e portata a Troia, "con i tesori di Menelao", ma che infine grazie ad Odisseo
sarà liberata ed infine portata, con Menelao, ai Campi Elisi, al divino.
Sia Esiodo che Omero dicono che quel devastante accadere finirà grazie all’intervento di forze non terrene, divine:
per Esiodo è Zeus direttamente agirà annientando la forza “serpente” che tutto ciò ha generato, mentre in Omero
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tutto terminerà grazie ad Atena che, escogitando lo stratagemma del Cavallo, darà ad Odisseo ed alle forze a lui
alleate la vittoria su Troia.
Così, con bella poesia, racconta Esiodo quel devastante accadere e la sua fine, la guerra di Troia per Omero:
accadere-portarsi umano che per Elena-Anima bellissima, e senza sue volontà, si compirà :
<..per il soffio di Borea che spirava con violenza inaudita al comando di Zeus il mare ribolliva, ed ogni cosa
tremava..la forza dell'uomo illanguidiva quando l'essere senza capelli..genera.., il serpente terribile, scuro sul
dorso..ma costui aggressivo e selvaggio...annientano i dardi di Zeus..e la sua anima rimane sola..essa intorno al
suo letto che si dissolve da sé svolazza..si avvia ridotta ad un'ombra...e giace..>.
Per inciso ricordo che il tema, come visto, è lo stesso che la tradizione giudaica ha descritto ed
allegorizzato, anche qui variamente, come "prostituzione-darsi ad altro o perdita della nudità-uscita dal
paradiso ovvero caduta" dell'animo umano ma, anche, che ha descritto come "non operatività-ritiro al
deserto" del suo aspetto santo ed universale, la -donna vestita di sole- di Giovanni : una non-operatività,
dice quella tradizione, causata da un Errore che nasce nel darsi ad altro rispetto al divino, ovvero nel
prostituirsi dell'uomo, e che genera Forze-Bestie all'uomo stesso funeste e che porteranno, divinamenteNaturalmente, alla liberazione-ritrovamento della Santa-Vergine Anima Sposa, universale e personale al
contempo. Importantissima conferma a questa lettura, abbiamo visto in queste pagine, è quanto ci viene
detto su Simon Mago, il seguace di Gesù che raccontava della sua Sposa, Anima, recuperata a Troia dalla
prostituzione.
Qualora pertanto il “primato” reclamato da Esiodo fosse, come detto, non tanto o comunque non solo la “genealogia
divina” ma piuttosto la visione di questo fatale “futuro accadere e portarsi umano”, questo porterebbe a dire, nella
incerta questione della datazione storica, che il testo omerico è successivo alla Teogonia di Esiodo o al più,
scontando quella contemporaneità dei due poeti che seppur incertamente ci viene testimoniata, si dovrebbe dire di un
parziale debito di Omero nei confronti di Esiodo.
Non è tesi impossibile questa, i temi, le visioni, gli approfondimenti e le luci di lettura fatti da ciascun filosofo-poeta
con propri originali miti, i propri diversi racconti e/o anche angoli di lettura della stessa Verità, hanno certo quasi
sempre dei debiti. È, questa sorta di sforzo allegorico-poetico si può dire, il primario compito che si sono dati da
sempre coloro che volevano parlare, nascostamente come era necessario e con proprie parole, del Vero.
Questa tesi, sostenuta dall'<..a me per primo..> di Esiodo, trova un possibile conforto in quanto sostiene il filologo
Erich Bethe per il quale la stesura delle versioni a noi conosciute dei testi della Iliade e della Odissea sono datate ad
un periodo successivo a quello esiodeo.
Ma non solo, un forte sostegno a questa tesi viene a mio avviso anche da quanto, su Elena, ci dice Esiodo nel
Catalogo o Eée : la chiara allegoria che su quella figura esce in quelle righe, riesce a dare senso pieno ed altissimo
ad un testo, la Iliade, che diversamente resta relegato ad un nebuloso, incerto e largamente fantasticato fatto storico,
solo così quelle comunque belle ma anche molto complesse righe si completano.
Vuole però anche sottolineato, in questa difficilmente definibile questione, che in Omero troviamo, più chiara e
definita che in Esiodo, la illuminata visione-approfondimento che vede terminare la lacerante e luttuosa lotta grazie
ad un “inganno”: grazie alla “nascosta infiltrazione” tra le file avverse di cui dice l’episodio del “Cavallo di Troia”.
Un illuminato approfondimento, nascosto come sempre è nelle allegorie, che in ogni caso non è tema nuovo in
assoluto e si può forse dire che ad esso si arriva sempre quando ci si porti a vedere-capire l'accadere-portarsi umano
nelle sue massime profondità: il tema dell' “inganno-nascondimento” infatti, sapienziale-filosofico anch'esso, come
visto è presente anche al mondo giudaico, in Daniele in particolare, ma anche come detto esso è presente, vedremo e
seppur labilmente, in Esiodo.
2) Nella mitologia antica, che è letteratura filosofico sapienziale, pur nel diverso e vario suo dire i temi essenziali
necessariamente si ripetono, anche se senza sistematicità. Tra questi temi come visto vi sono quello della
caratteristica “femminea-yin” dell'Errore, tema ben dichiarato anche in Esiodo e che richiama quello della
“prostituta-prostituzione” più presente nella cultura giudaica ma non solo, ed il tema della sua, dell'Errore, “stoltezza
ed arroganza”: <..con sciocca arroganza avrebbero compiuto un grave danno..>(207ss) dice Esiodo, ed è
caratteristica questa, essenza del “titanico” muovere-portarsi, vista anche in Torah e Profeti.
Ma altri temi interessanti, da vedere ed anche questi non esclusivi, che si vedono in Esiodo sono: quello citato
dell'“inganno divino”(2a) e quello della “insidia al divino” portata avanti dall'Errore-Tifeo (2b) :
2a- Il tema dell' “inganno” divino posto in atto-prodottosi al fine di portare l'uomo a correggersi in conseguenza
dei mali che lo investiranno, tema come detto sviluppato nella Iliade con l'inganno del Cavallo, è tema che seppur
flebilmente è visto anche in Esiodo. È infatti un <..alto inganno irresistibile per gli uomini..> Pandora, il
<..simulacro di vergine pudica...> che Zeus fa <..plasmare con la terra..>: è un “inganno divino” che, per i mali
che gli procurerà, riporterà l'uomo sulla giusta strada.
Manca però, all'inganno esiodeo, il tema del “nascosto portarsi tra le file dell'Errore” di cui dice Omero col
Cavallo ma di cui dicono anche, nel mondo giudaico e con diversa allegoria, Daniele prima, temporalmente vicino ai
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dodicesima parte
citati, e poi, come visto, la Apocalisse di Giovanni e la Ascensione di Isaia : per tutti questi il “nascosto portarsi tra
le file dell'Errore” si tradurrà, abbiamo visto, nel ben più reale e sconcertare “porre nelle mani della Bestia-Errore
ciò che è divino, i 10 comandamenti-divino sentire, per meglio e più celermente sconfiggere-far terminare quell’
Errrore”.
Tema poi riproposto, come già detto e visto in queste pagine, con l'incompresa allegoria del “passaggio agli inferi”
di un Gesù-Logos.
Queste espressioni-figurazioni per tutti dicono, come visto, di un Accadere che, provocato da un terreno-materiale
ed errato, seppur sostenuto da divine-naturali forze, vedere e camminare dell'uomo, è Accadere che per e grazie alla
legge armonico-karmica nascostamente, per la forza stessa di quell'Errore e dei relativi suoi disastri e dolori,
correggerà l'uomo, eliminerà il suo errare.
2b- Il tema della “insidia alla natura stessa del divino” portata avanti da parte dell'Errore, ovvero il tema del
rischio che l'ingigantirsi di questo Errore porti a modificare la stessa natura della Vita, Esiodo lo mette in luce, in
Teogonia, dicendo che la nascita di Tifeo sarebbe stato <..evento irreparabile, e quello avrebbe regnato sui mortali
e sugli immortali..> se Zeus <..non avesse avuto mente acuta..>(837 sg) ovvero se non si fosse sviluppata quella
reazione armonico-karmica che lo avrebbe infine annullato.
Questo stesso rischio, come visto e qui anticipato, è dichiarato, sempre allegoricamente, in Genesi in almeno due
punti :
- dapprima quando di Adamo ed Eva “caduti-che si vergognano” è detto che avrebbero così potuto <..vivere per
sempre..>, essere eternità, se non cacciati dall'Eden, portati alla difficile e dolorosa vita che li correggerà.
- e ancora quando, a seguito dell'errore di Babilonia che cerca con la Torre di portarsi al divino, Jhwh vedendo che
<... quanto hanno in progetto non sarà loro impossibile..>, confonderà la lingua e disperderà le genti.
Ma di questo stesso rischio parlava, secoli se non millenni prima, l'Ittita “Canto di Ullikummi”: in quel mito ciò che
si produrrà, un Errore-Ullikummi equivalente al Tifeo esiodeo, col quale tra l’altro ha evidenti consonanze come
rileva giustamente la critica, ed equivalente pure alle Bestie di Daniele, di Giovanni ecc., è Errore splendidamente
allegorizzato nella figura di Ullikummi appunto: un mostro di diorite, e quindi resistente a tutto, che si ingigantisce
in continuazione e così arriva ad insidiare il cielo, le divinità celesti, ovvero rischia di divenire eterno.
Solo tagliandogli i piedi, solo togliendogli il “materiale sostentamento” sembra dire il mito, opera che al divino, agli
dei tutti capeggiati dal “dio della tempesta” riuscirà solo dopo avere subito larghe sconfitte in quella dura lotta che
ingaggerà per evitare quella possibilità, solo dopo tutto ciò Ullikummi, l'Errore, arriverà a finire.
Servirà, allo scopo di tagliare e togliere quel sostentamento, dice il mito, una primordiale accetta in grado di
separare-distinguere il terreno-materiale dal cielo-divino: verosimilmente così si voleva dire che solo il mostrarevedere le differenze tra i pur legati aspetti di “materia e spirito”, potrà far venire a meno quel materiale appoggio, i
piedi, che permetterà di chiudere quell'Errore.
3) Questo ultimo aspetto della “insidia alla natura stessa del divino” ovvero la possibilità che un Errore portato
avanti dall'uomo e che si sviluppa nel materiale, Tifeo come Ullikummi o la Torre di Babele ecc., si renda eterno, è
un aspetto che seppur sottilmente mostra così la universale visione di “unicum” tra il materiale e l'immateriale, tra
materia e spirito, tra terra e cielo: sono ambiti e forze diverse quelle che agiscono in e da quelle dimensioni, ma il
piano di azione è lo stesso ed esse si condizionano vicendevolmente, ci viene così detto.
Aspetto e Verità dichiarata anche da Eraclito ed altri: materia e spirito sono entrambi agenti ed aspetti della unica
Natura.
4) La analisi qui vista del testo esiodeo e quella che vede equivalenti e simili aspetti in Torah e Profeti, fanno
emergere a mio avviso una lacuna di quei testi: quella di non lasciare in sufficiente evidenza, di non rimarcare più
esplicitamente, il fatto che il “femmineo-yin” che per quei testi tanti problemi e guasti arriva a provocare all’uomo,
è, anche, -materialità- che è indispensabile alla vita fisica, è necessario ad un buono e piacevole trascorrere della vita
terrena dell'uomo. Quei testi dicono sì della “divinità” di quella forza, ma poi con la forte sottolineatura fatta dei
guasti che essa arriverà a provocare, dovuti però unicamente al suo debordare ed al suo squilibrarsi rispetto al suo
opposto “maschile-yang” che è, anche, -spiritualità-, essi fanno perdere il non secondario aspetto della
indispensabilità e positività di quella forza-donna.
Una positività che, abbiamo visto, è invece ricordata, pur nella forte equivalente critica, nella epopea di Gilgamesh.
5) La lettura e visione qui esposta porta poi a mettere in discussione anche la canonica, ma certo debole a dir poco,
visione di un Esiodo che, per economiche vicissitudini, si porta a -fare il pastore di pecore- ai piedi del <..sacro..>
monte Elicona. Ben altro credo si potrà invece ipotizzare su ciò che egli ci dice in “Opere e giorni”, su ciò che egli
intende con quel suo <..pasceva..>(24) come su cosa può essere sotteso alla figura di Perse e ad ogni altro suo dire
in quel testo.
Che un tale poeta, filosofo e profeta, abbia voluto scrivere di materiali vicissitudini personali, mi lascia onestamente
molto incredulo.
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dodicesima parte
LUCI DI SAPIENZA DI UN BUIO MEDIOEVO
Il Medioevo sopra richiamato non è quello -alto- (500-1000 dC), solitamente citato quale "buio", ma quello che va
dal 1000 al 1500, quel -pieno e basso- medioevo che è stato "terribile e buio” a causa degli indicibili sanguinosi
massacri, le repressioni i roghi e le sommarie esecuzioni che per tutto quel tempo, e in particolare tra il 1100 ed il
1300, l’Europa ha visto compiersi per volere e per mano della paolina Chiesa Cristiano Cattolica.
Sanguinose repressioni e roghi che hanno spento e soffocato le numerose “Luci” di Sapienza, Voci della più
autentica Sophia, che in Occidente in quel tempo si erano ravvivate. “Luci e Voci” in qualche caso flebili e spesso
anche incerte nei vari spesso personali e non sempre perfetti tentati indirizzi, ma Luci che avrebbero potuto
illuminare l'uomo.
Tutto si è fermato: alcune soppresse sanguinosamente altre portate ed indotte alle più segrete e nascoste parole e
testimonianze, quelle "Luci e Voci" sono state tragicamente spente e, come sempre avviene, le sole testimonianze
rimasteci sono le “parole e figurazioni” che non sono state comprese e quindi ritenute inoffensive.
Parole e figurazioni lasciate e rimaste per i tempi nei quali si sarebbe potuto e saputo capirle e apertamente parlare,
tempi che ancora però largamente si devono compiere. Cercheremo qui di portare in luce alcune di esse.
LA QUESTIONE ICONOCLASTA
Il Cristianesimo erede della apostolare“fonte filosofica giudaico-ellenica", abbiamo visto in precedenza al capitolo
“Da Antiochia a Roma”, pur soccombendo in quella lotta interna alla Chiesa Cristiana dei primi secoli che è stata la
“Questione Cristologica”, è rimasto vivo in particolare sul fronte orientale dalla Siria a Costantinopoli e a tutta l'area
danubiana con Fotino di Sirmio (300-376), Nestorio (351-451) e Acacio (+489) tra gli ultimi suoi eminenti
sostenitori.
Sul territorio italiano echi, ormai solo, di quel Cristianesimo erano sopravvissuti nel Patriarcato di Aquileia (568698) con le molte province del Nord-Est ad esso legate e, con il Cristianesimo Ariano, era rimasto vivo nei vasti
territori soprattutto sulla sponda adriatica dominati dai Goti e dai Longobardi. Già con Nestorio non pienamente
fedele alla Verità delle sue origini, quella “fonte” finirà indubbiamente col vedere molte sfumature ed errori nei suoi
frastagliati e spesso locali o personali indirizzi e posizioni ma una sorta di tensione “filosofica” ritengo si possa dire
li accomunasse.
Aquileia, che fin dagli inizi del cristianesimo era molto legata alle comunità cristiane della allora capitale mondiale
della cultura, ad Alessandria d'Egitto dove era forte la presenza di filosofi neoplatonici, è città che già in quei
primissimi tempi, come ci dicono le sue preziose e straordinarie testimonianze musive del 300 circa, ha visto la
presenza di una forte ed eminente comunità seguace di un "Cristianesimo filosofico". Un Cristianesimo troppo
genericamente oggi classificato "gnostico" in modo indistinto e vagamente svilente e denigratorio o, al più e inteso
in modo non meno svilente, dichiarato "giudeo-cristianesimo".
Ma riportatasi nel 698 anche Aquileia sotto l’influenza di Roma, quel "diverso e filosofico" Cristianesimo mantenuto
importanti focolai a Bisanzio ed anche, per l'Italia, nei territori a questa più strettamente legati come Ravenna ed il
Salento.
Nell'Oriente bizantino in particolare ma anche nell'Occidente ad esso legato, indizio e segno della permanenza in
vita di quel "cristianesimo diverso e filosofico" è stata un’altra grande e fondante disputa e lotta, teologica di base,
che in quei territori soprattutto si accese con veemenza nei secoli VIII e IX: la cosiddetta "Questione iconoclasta",
la disputa tra chi era favorevole al culto e venerazione delle immagini di Gesù e Maria e chi invece era contrario alla
rappresentazione del divino,
Una lotta che come quella dei primi secoli, come la cosiddetta "Questione Cristologica", fu "lotta teologica" e, come
la prima, vide anch'essa molte sfumature e personalizzazioni nelle varie posizioni ed anche coinvolse, come sempre,
interessi personali e poteri temporali. Due lotte quindi che sono solo due momenti diversi di quella millenaria,
bisogna dire, contrapposizione tra le due visioni della figura di Gesù, uomo come tutti portatosi a condizione di
"divino”, archetipale e non rappresentabile Logos-Figlio ovvero umano materiale Figlio di Dio e pertanto figurabile,
di cui ci riferisce Ireneo con le “due fonti” da lui ricordate. Due sanguinose lotte tra antitetiche comprensioni delle
parole di Gesù, con le conseguenti antitetiche riflessioni sull’uomo, sulla esistenza e sull'Essere: quella filosoficorazionale contro quella farisaico-dogmatico-religiosa.
La "Lotta o Disputa o Questione Iconoclasta" dei secoli VIII-IX vide in prima fila quali protagonisti principali da
un lato gli Imperatori d'Oriente Leone III (717-741), il figlio Costantino V ed altri fino a Leone V l'Armeno (813820) e poi Michele II (820-829) ed il figlio Teofilo (829-842) contrari tutti al culto delle immagini sacre, e dall'altro
lato i Papi di Roma che erano invece favorevoli al culto. Ma il papato riuscì, per qualche periodo breve ma decisivo
ai fini della sua vittoria, a trovare sostegno tra le fila della dinastia imperiale bizantina: in particolare è stato grazie
all'imperatrice Irene prima, che favorevole alle icone indisse un Concilio, l’ecumenico Nicea II del 787, con il fine
di fissare la questione, e poi grazie al successivo determinante appoggio dell'imperatrice Teodora Armena, che il
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dodicesima parte
culto di venerazione delle immagini sarà possibile ed anzi incoraggiato e voluto. Anche il Concilio Nicea II, vuole
detto, ha visto la sostanzialmente imposizione del risultato: convocato prima a Costantinopoli dove però si ebbero
disordini, esso fu spostato a Nicea e qui ai vescovi contrari al culto fu da Irene imposto, pena la loro deposizione, di
votare a favore e mantenere il silenzio durante il concilio.
Successivamente, indetti dall'una e dall'altra parte con le relative scomuniche reciproche, si terranno poi vari altri
Sinodi e la lotta, anche sui territori italiani, finì con l'avere implicazioni temporali e si spostò quindi anche al piano
militare per il controllo, romano-papale o bizantino, di molti territori. Lotte queste che, praticamente, si chiusero a
seguito della papale incoronazione ad Imperatore di un incontrastato Carlo Magno nell'anno 800.
Sul piano teologico-religioso la disputa terminò con l'aiuto di Teodora Armena, moglie del citato Teofilo, la quale
fece aprire un Sinodo nel quale, nel marzo dell’anno 843, venne sconfessata definitivamente la iconoclastia e venne
istituita una "Festa del trionfo della Ortodossia" che ancora oggi si commemora.
Le immagini di Gesù e Maria quali divinità da venerare, errore ed eresia per un cristianesimo filosofico in cui Gesù
è onorato e visto unicamente quale grandissima -figura- ed esempio di innalzamento ad un divino-Verbo che è
archetipale forza e condizione non raffigurabile, saranno da allora legittime.
Uno dei testi della liturgia di commemorazione di quella giornata sinodale così celebra la "Questione delle Icone":
< Il Verbo indescrivibile di Dio si è fatto descrivibile incarnandosi in Te, madre di Dio, dopo aver reintegrato
l'immagine offuscata nella sua antica dignità, Egli la unisce alla bellezza divina, e confessando questo mistero noi
possiamo esprimerla con l'immagine, l'azione e la parola > (Guy Bedouelle-Dizionario di storia della Chiesa)
LA SOFFOCATA RINASCITA
Con la definitiva affermazione nell’anno 843 del culto e venerazione delle immagini di Gesù e Maria figurati nelle
icone, alla “fonte filosofica giudaico-ellenica" quasi nessuno spazio era più possibile internamente alla Chiesa:
qualche traccia resterà, in particolare e seppur non limpida, nel movimento-Chiesa dei Bogomili, in etimo i “Cari a
Dio”, nei territori di Tracia, Bulgaria e Bosnia.
Solo a partire dall’anno 1000 circa, abbiamo detto sopra, si udiranno di nuovo in Occidente, in Francia, Renania ed
Italia, delle “Luci e Voci” che ricorderanno ed avranno in sé e nei loro insegnamenti, in modo vario e non esenti da
discutibili quando non errati aspetti, il ricordo di quella “fonte filosofica”.
Erano “Voci” che, dietro alla loro generalizzata e forte critica sulla ricchezza e i fasti della Chiesa, perseguivano e
prospettavano un forte rinnovamento-palingenesi umano e sociale, che invitavano ad una nuova ma pur antica
filosofica religiosità, fuori e oltre i ciechi e sterili dogmatismi e prescrizioni della Chiesa romana e con l' anelito e
l'invito ad una Sapienza-Conoscenza che nasce e si svela all’uomo in una profonda ricerca interiore:
una ricerca interiore che è il coraggioso viaggio in sé, viaggio di libertà, che vede l’anima uscire da un “iomaterialità” che è, questo sì, prigione e caduta, per ritrovare-rivedere la sua più alta parte Spirituale e portarsi
così a condizione divina, di unità nell’Assoluto: per essere assieme Materia e Spirito, Materiale-Femmineo-Yin e
Spirituale-Maschio-Yang: l’Uno-Natura-Dio -in e di cui l’uomo è-.
Erano “Voci e Luci”, movimenti e personalità, che a partire come detto dal 1000, si mostreranno e si proporranno:
- sia in modo -aperto e chiaro-, in modo “manifesto” ma andando così largamente incontro alle citate dure
repressioni ed eliminazioni, ai roghi e stermini fisici oltre che alla cancellazione delle testimonianze,
- e sia in modo -segreto e allegorico-, in modo "nascosto" ed eviteranno così i suddetti dolorosi e drammatici fisici
destini. Si limiterà però così il divulgarsi di quella "Sapienza" e ben presto essa si perderà ma, in molti casi, ne
resteranno preziose testimonianze: segrete e nascoste “parole e figurazioni” che come detto sono rimaste per i tempi
nei quali si sarebbe potuto e saputo capirle. Più in dettaglio:
Luci manifeste
a) da un lato, in pieno contrasto con la Chiesa, si vedrà nella nascita e sviluppo in Europa di vari movimenti
popolari tra i quali quello molto vasto dei Catari i quali, come anche altri, si richiamavano al cristianesimo dei primi
tempi, degli apostoli. Movimenti tutti soffocati nel sangue e sui roghi, quasi trecento anni di uccisioni e terrore ad
opera della della Chiesa romana.
Tra questi movimenti e personalità, oltre ai più vasti ed importanti Catari, e con essi i Bogomili bosniaci ad essi
precedenti e legati, troviamo i Valdesi nelle valli piemontesi e gli Apostolici o Apostoli seguaci di Gherardo
Segarelli e di “fra Dolcino”. Ma anche, come ricordano N. Benazzi e M. D’Amico nel loro “Il libro nero
dell’Inquisizione”, troviamo Arnaldo da Brescia (1090-1155) messo a morte per impiccagione e poi bruciato, Ugo
Speroni (seconda metà XII sec.) e i suoi “speronisti”, Giovanni di Ronco con il suo movimento dei “poveri
lombardi”, Pietro di Bruis (1095-1131) ed i suoi “pietrobrusiani”, Enrico Monaco di Losanna, messo in prigione
fino alla morte nel 1145, ed i suoi seguaci “enriciani”. Doveroso poi ricordare qui anche Giordano Bruno, il frate e
filosofo che molto più tardi, il 17 febbraio del 1600, fu messo al rogo a Roma.
Sono decine i migliaia i “Cristiani -nel senso di seguaci di Gesù e dei Vangeli-” che verranno in vario modo uccisi
dalla Chiesa Romana con l’“Inquisizione” e con le varie “Crociate” da essa indette e portate avanti nei territori
europei rispettivamente:
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Crociate, contro i Catari del Sud della Francia dal 1208 al 1255 con varie spedizioni e partecipanti sotto la guida del
legato pontificio, contro i Bogomili bosniaci dal 1234 al 1241, contro i Valdesi o Poveri di Lione delle valli
piemontesi nel 1384 con la strage di Pragelato, nel 1488 in Val Chisone e poi ancora nel 1561 in Calabria a Guardia
Piemontese e San Sisto dove dalle valli piemontesi essi si erano nel tempo rifugiati per sfuggire alle persecuzioni, e
di nuovo nel 1655 con il massacro ricordato come Pasque Piemontesi, e contro gli Apostolici o Apostoli,
movimento fondato da Gherardo Segarelli (messo al rogo nel 1300 a Parma) e portato poi avanti dal più noto “fra
Dolcino” messo al rogo nel 1307.
Ma, con riferimento ai Catari, come F. Zamboni nel suo “La cena segreta” (in seguito: LCS) sottolinea, in Europa le
prime manifestazioni che presentano una “qualche affinità con il catarismo” si vedono già a Vertus nello
Champagne intorno al 1000, a Tolosa nel 1017, ad Orleans nel 1022, a Monforte in Piemonte nel 1034. Poi, egli
continua, gli episodi tornano e continuano nel secolo successivo ad Anversa, Lovanio, e Bruges tra il 1110 e il 1115,
a Ivory nelle Ardenne nel 1112 a Soissons nel 1114 a Utrecht nel 1135 e Liegi nel 1135 e poi nel 1145.
Dopo alcune prime messe a morte tra le quali ricordiamo la impiccagione di eretici a Goslar nel 1051 e la messa al
rogo di altri nel 1143 a Colonia, in decine di migliaia saranno i morti tra Francia ed Italia soprattutto ma anche in
Germania e in Bosnia, a partire dal 1209 con il massacro della cittadina francese di Bézier che ha visto trucidata la
sua intera popolazione stimata tra le 10 e le 20 mila persone, fino all’anno 1445 quando 22 catari relapsi in Cuneo,
riporta Déodat Roché in “Studi manichei e catari”, vengono bruciati sul rogo.
Decine di migliaia di persone, grandi e piccoli a volte, uccise di spada o messe al rogo anche collettivamente come è
stato nel 1239 per 83 persone nel castello di Montwimer, e nel 1244 per altri 205 nel castello di Montségur e così per
altri 80 ad Agen nel 1244 e 166 arsi nella Arena di Verona nell’anno 1278.
Morti di spada o messi al rogo o anche portati a morire di stenti imprigionati in condizioni invivibili o perfino murati
vivi come è stato, secondo quanto riporta sempre il Roché, per coloro che nel 1328 si erano rifugiati nella grotta di
Lombrives.
Una nera penosa ed imperdonabile vicenda che si allagherà poi più avanti con la caccia alla “stregoneria”, che vedrà
almeno 12 mila persone messe al rogo solo per tale reato, ed in Spagna poi con la lotta contro “Ebrei e Mussulmani”
di nuovo con altre decine di migliaia di esecuzioni.
b) dall'altro lato, internamente alla Chiesa, si vedrà lo svilupparsi del monachesimo mistico che si rifaceva ai
primi monaci del deserto. Un monachesimo mistico che vedrà due molto diversi sviluppi ed indirizzi di ricerca ed
insegnamento: uno “mistico contemplativo-sentimentale”(1) e l’altro “mistico filosofico-speculativo-razionale”(2).
1-- Il monachesimo ad indirizzo “mistico contemplativo-sentimentale”, un indirizzo che si caratterizza per il suo
approccio emozionale e non razionale, vedeva necessario ed insegnava un cambiamento-conversionespiritualizzazione dell'anima che, attuato per tappe e grazie all’ascolto di un Verbo-Cristo-Sapienza che qui resta in
genere pienamente identificato con un “trinitario Gesù unico figlio di Dio”, permette all'uomo di portarsi ad una
“visione-unione” con Dio Padre che principalmente si concretizza nella sua “contemplazione estatica”.
Una estatica contemplazione ed una visione-unione che, per la natura molto emozionale ed esperienziale del
percorso che in questa teologica visione-comprensione del Verbo-Logos unicamente è possibile compiere, restano
esperienze limitate a brevi episodi e tempi e che, senza l’ancora della razionalità, restano esposte ad una “nascosta
auto-celebrazione” che porta, in tal caso, ad uno sviluppo opposto a quello cercato e dichiarato: che porta ad un
subdolo, nascosto e deleterio, ingigantirsi del “proprio io”. Molti di quelli che oggi sono celebrati quali “mistici
cristiani” resteranno in realtà impigliati in tale inganno e per tutti coloro che hanno seguito questo indirizzo
“mistico contemplativo-sentimentale” la prudenza nel giudicarli ed onorarli deve essere molta.
Una prudenza che serve anche, a mio avviso e nonostante Dante, per San Bernardo, tra i primi e per notorietà in
Occidente pari a Francesco di Assisi (1181-1226) il quale poco dopo Bernardo seguirà si può dire lo stesso indirizzo
mistico ovvero quello di una mistica che resta ferma alla visione del messaggio e della figura di Gesù di una Chiesa,
sacramentale, che è espressione piena della “fonte farisaica paolino-petrina”.
É pur vero che il cistercense San Bernardo di Clairvaux o Chiaravalle (1090-1153) tra i suoi tanti scritti a sostegno
di quella paolino-petrina sacramentale Chiesa saprà, seppur in modo recondito, dire:
<.. la Sapienza...,( trovata l'immagine di Dio nell’uomo ) la pulisce e la innalza...reintegratola nel primitivo
aspetto, la rende simile a sé...anzi.. la renderà in tutto conforme a se stessa..>(Liber de gratia et de libero arbitrio).
E ancora, con brani tratti da "La teologia mistica di san Bernardo" di Etienne Gilson :
<..quindi il Figlio di Dio, cioè il Verbo e la Sapienza del Padre, trovando per prima cosa questa potenza della
nostra anima, che chiamiamo ragione, depressa.., prigioniera.. accecata dall'ignoranza,...la rialza con forza, la
istruisce con prudenza, e...la stabilisce giudice di se stessa così che, per rispetto al Verbo a cui si è unita, essa
diventa accusatrice, testimone e giudice di se stessa...>(op.cit.pag.106)
<...resa perfetta, quest'anima, senza macchie..senza rughe..non opponendosi più la volontà alla ragione e la
ragione non dissimulando più la verità, il Padre la unisce a sé, come una sposa gloriosa..>(op.cit.pag.108)
Ma tutto questo, si vede nei suoi scritti e vero limite ed anche incongruenza di questa “mistica”, per Bernardo è
sottoposto alla azione dei sacramenti che la Chiesa impartisce, specialmente la Eucarestia.
É per mezzo dei sacramenti, egli dice seguendo Paolo, che la “grazia” divina, solo “data” ed alla cui azione l’uomo
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deve acconsentire, discende nell’anima dell’uomo.
Bernardo si caratterizzò certo anch’egli per la denuncia della corruzione nella Chiesa ma, ritengo, nonostante le
parole sopra riportate egli, come tutta la mistica “contemplativo-sentimentale”, resta impigliato nel fariseismo
paolino, resta in quell’errore di “separazione” tanto condannato da Gesù, come abbiamo ben visto in queste pagine,
e così lo vediamo, seppure su invito ed incarico papale, essere il fervente organizzatore della seconda Crociata di
Terra Santa, essere in prima linea nelle condanne e repressioni, contro i Catari in primis, sopra ricordate.
E lo vediamo sostenere e giustificare teologicamente l’opera di uccisione degli infedeli: sostenne, per questo in
particolare, l’opera dei Templari ma il fallimento della crociata da lui organizzata segnò molto, forse anche
teologicamente, la fase successiva della sua vita. Di grande personalità, predicatore di grande efficacia e fondatore
di numerosissimi monasteri, Bernardo è stato un grande, ma sappiamo che tra i grandi ed i Giganti, enochici, il
passo è breve.
Questo tipo di mistica si spegnerà: le contraddizioni che la caratterizzavano porteranno il monachesimo che la iniziò
ad essere vuota ancella di una Chiesa paolino-farisaica che contrasta e quindi non può vedere e contemplare alcuna
autonoma e libera strada di Salvezza e di “Unione”, in vita, dell’animo umano con Dio.
2-- L’altro indirizzo del monachesimo mistico, anch’esso interno alla Chiesa come il precedente e abbastanza
apertamente espresso ma molto ostacolato dalla Chiesa e che per questo vedrà vari suoi esponenti finire sul rogo, è
stato quello della “mistica speculativo-razionale”. Una mistica “filosofica” che per il necessario portarsi dell’uomo
alla sua “condizione divina-di Regno” vede essenziale una strada solo apparentemente simile a quella della mistica
“contemplativa-emozionale” ma che qui vede, con razionalità e senza emotività, la inevitabilità del passaggio da
quella “morte” che è la "melete thanatou" greca come anche il giudaico“passaggio al deserto”.
Una “morte” assolutamente mancante alla mistica di cui sopra. E' una mistica questa, che in queste pagine molto se
non pienamente si ritrova, la quale vede e dichiara la necessità del passaggio da una “morte dell’anima” che è
“morte dell’io-materialità”, morte dell’”io-corpo” è qui detto, per potere ritrovare-vedere quel suo “fondo” che è la
sua più alta parte spirituale.
Ma anche, contro si può dire la mistica sopra vista, qui sulla scia di quanto affermava nei primissimi tempi la
gerosolimitana e apostolare "fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica" la figura di Gesù è spesso vista quale
pienamente umana: -esempio ed al contempo fine stesso- del percorso necessario all'uomo e come tale figura da
venerare come sosterrà Teodoro di Mopsuestia (350-428), uno degli ultimi importanti esponenti di quella "fonte" il
quale, come già visto, diceva: <..Gesù, sottoposto alle passioni dell'anima e ai desideri della carne, si è liberato a
poco a poco di sentimenti inferiori, è migliorato col progresso delle opere ed è divenuto perfetto nella vita;...è stato
stimato degno della adozione di Figlio..(ed è) paragonabile a Platone, Mani, Epicuro, Marcione..>(Atti del
Concilio Costantinopolitano II).
La strada indicata da questa mistica è un percorso e insegnamento che si compie con una razionale profonda ricerca,
in nulla sentimentale, che porta ad una effettiva e permanente esperienza e consapevolezza di unione-identificazione
dell'uomo con un divino-Dio che, per questa via, è piuttosto un filosofico “Assoluto”.
Considerevole su queste posizioni è stata, in Oriente, la figura di Niceta Stethatos, morto circa nel 1090 e discepolo
di Simeone il Teologo il quale, ci informa A. Rigo nel suo “Mistici bizantini”, nel merito scriveva:
<..Dio è Sapienza e deifica con la conoscenza degli enti quelli che camminano nel Logos e Sapienza e li rende
“dei” per adozione..> ; <.. Colui che con la migliore Sapienza ha unito se stesso alle potenze superiori, e per
questo è unito a Dio come chi è somiglianza di Dio, vive con tutti secondo filosofia..>(Capitoli Gnostici 47 ; 48) .
Presente anche nel mondo mussulmano, in Occidente questa mistica si vedrà anche in quella “Mistica Renana” che
dopo Ildegarda di Bingen (1098-1179) ha visto nel XIII sec. le personalità di G. Taulero ed E. Suso e, in prima fila,
il grandissimo Meister Eckhard nato nel 1260 e morto tra il 1327 ed il 1328 dopo essere stato obbligato a ritrattare le
proprie tesi per potere scampare al rogo ma morto dopo poco non si sa come. Al rogo non sono invece scampati,
sappiamo, tanti altri monaci, per tutti ricordiamo Giordano Bruno, ed altre eminenti personalità finirono avvelenate
o altrimenti uccise, per tutte ricordiamo Cecco d’Ascoli (1269-1327) e Pico della Mirandola (1463-1494).
Luci nascoste
In modo “segreto”, con ermetici ed allegorici -scritti e immagini- si esprimeranno invece, come detto, alcune delle
“Voci di Sapienza” nate in quel buio e sanguinoso medioevo. Voci e testimonianze segrete e nascoste da un lato al
fine di evitarne la distruzione e dall’altro per non incorrere in quella sanguinosa repressione che invece toccherà a
chi apertamente parlava, esse sono Voci che si svilupperanno in parallelo alla ripresa e riscoperta della ricerca
filosofico-alchemica ed astrologica, una ricerca che, in particolare e soprattutto, vedrà lo studio dei filosofici testi,
allora tradotti, di Ermete Trimegisto ed Asclepius.
Sono, queste nascoste Voci “scritti e immagini”, testimonianze che parlano del "diverso" cristianesimo in queste
pagine ben visto, il cristianesimo che nasce nella “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica” della apostolare
comunità madre di Gerusalemme con a capo Giacomo. La "fonte" che nasce nella lettura-comprensione della figura
di Gesù che Paolo combatterà, abbiamo visto. Sono nascoste Voci di Sapienza che si vedranno espresse:
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dodicesima parte
c) negli scritti : in una poesia ed in una prosa segretamente allegorica che si legava ai movimenti di ricerca
filosofico-spirituale sopra citati: Dante, con i suoi <..versi strani..>, sarà di gran lunga il più importante ed
imponente esponente, filosofo e poeta, di questo segreto insegnare e dire, ma egli sarà preceduto da un lato dai poeti
"trovatori provenzali" e dall’altro, con la prosa, dal cosiddetto “Ciclo arturiano-bretone”,
d) nelle immagini : nella grande consapevole ripresa e riproposizione di molte “figure e miti” sapienziali
pagani. Figure e miti che largamente, in quel tempo, sono stati riprodotti nei mosaici o nelle sculture di tante
importanti Chiese e Cattedrali oltre che di castelli e residenze varie. Sono figure di mitologia pagana che ci dicono
della visione-comprensione di una “Sapienza” cristiana che era vista legata, e quindi già insegnata prima del
cristianesimo, nel più alto e colto paganesimo del mondo antico greco ed orientale.
L'elenco è vastissimo e, solo quale accenno, ricordo le Cattedrali o Duomi di Otranto, Bari, Modena, ma sono
testimonianze che vediamo anche in importanti Chiese a Ravenna, Venezia, Aquileia, oltre che in moltissime altre
più marginali Chiese ed oratori. Sono figure che troviamo soprattutto sulla sponda adriatica della penisola, quella
che è stata più a lungo a contatto con il mondo, pagano e cristiano, orientale. Ma anche in Toscana ed in Francia è
presente questo segreto e nascosto modo di comunicare delle Verità che per la Chiesa erano “eresie” e che quindi
non si potevano dire apertamente.
Tutte queste Luci e Voci qui viste, queste “luminose” tensioni e aneliti di rinnovamento e di ritorno alle origini,
questa nuova ma vecchia “visione filosofico cristiana” che così variamente tra il 1000 ed 1500 si produrrà e che
come detto da un lato ha interessato settori interni alla cristianità e dall’altro ha visto movimenti e personalità che si
rifacevano a Gesù ma si opponevano alla Chiesa e/o si ponevano ad essa alternativi come è stato per i Catari e per i
tanti liberi pensatori e studiosi, astrologi o filosofi ma anche poeti e artisti, tragicamente finirà.
Finiranno in larga parte sanguinosamente soffocate e portate all'oblio con gli stermini ed i roghi di cui abbiamo
detto, le Voci che si posero apertamente in contrasto con la Chiesa e finiranno, largamente incomprese come ancora
oggi sono, le allegoriche Voci della poesia, della prosa e delle immagini sopra citate.
Finirà il filosofico monachesimo mistico “speculativo-razionale” nato internamente alla Chiesa: iniziata la sua
repressione con le accuse di eresia e messa al bando rivolte a Meister Eckhart (1260-1328) che sarà costretto a
ritrattare per evitare il rogo, essa si compirà, ricorda il prof. Marco Vannini, nel 1687 con le accuse rivolte al mistico
spagnolo Miguel Molinos che sarà incarcerato a vita.
Il compito di ricerca e analisi che si apre, nel suddetto panorama e per quel largo periodo storico, nel cercare di dare
corretta soluzione e lettura alle tante allegorie che ci sono state consegnate con gli scritti e con le immagine di cui
abbiamo detto, è naturalmente un compito non facile, ma anche particolarmente interessante e stimolante.
Arrivare a capire a fondo cosa abbia inteso tramandarci, cosa abbia voluto dirci chi ci ha lasciato tanto alte e
numerose seppur misteriche testimonianze, è poi certamente compito quasi doveroso anche se ai limiti del possibile.
Vedremo perciò qui di seguito, in questa “Dodicesima Parte” dedicata alla Sapienza, di approfondire alcuni dei
soggetti e temi sopra citati e, partendo dai Catari, giungeremo fino ai Misteri Greci.
I CATARI
Messi a morte in molte decine di migliaia, come abbiamo visto più sopra, nella più grande carneficina mai portata a
termine per volere dalla Chiesa Cattolica romana, i Catari saranno, possiamo dire, gli ultimi seguaci degli
insegnamenti di Gesù, del Gesù “diverso” visto in queste pagine.
La parola Catari, di origine greca, è termine che troviamo già negli atti del Concilio di Nicea del 325 assieme alla
precisazione e conferma che essa significa “Puri”. Il Concilio stabiliva disposizioni in merito al loro ingresso nella
Chiesa ufficiale, ingresso che veniva condizionato alla accettazione da parte loro di sottoporsi alla “imposizione
delle mani” . Non abbiamo altre notizie di questo gruppo-movimento di cristiani ovvero di seguaci di Gesù, ma
sappiamo che, stando a quanto afferma D. Roché nel suo “Studi manichei e catari”, che dei Catari sono stati
presenti ed attivi in Laodicea, nei territori di Antiochia di Pisidia, dal IV all’VIII secolo.
Il termine Catari lo ritroviamo poi utilizzato dalla Chiesa romana, intorno al XII sec., per designare gli aderenti al
grande movimento cristiano che, nei secoli XI-XII appunto, sorgerà in Francia e Italia in particolare. Essi non hanno
però mai usato questo termine per designarsi: chiamavano infatti il loro movimento “Chiesa di Dio” ed indicavano
se stessi unicamente come “Buoni uomini”.
Prima del definitivo consolidarsi dell’appellativo di Catari essi, sempre da parte della Chiesa romana, sono stati
variamente citati come Albigesi, dalla città di Albi, Tessitori, Patarini (a Milano nell’XI sec.) e, con nomi che
intendevano delinearli teologicamente, come Ariani, agli inizi e quasi unicamente in Francia ma, soprattutto, essi
saranno citati come Manichei e come Bogomili. Citazione, questa ultima, che è chiaro riferimento al bogomilismo
presente già dal IX sec almeno nei territori di Tracia-Bulgaria occidentale-Bosnia. Un movimento e Chiesa, questo,
che sappiamo avrà un ruolo importante nella definizione della dottrina e della prassi dei Catari come ci testimonia,
tra l’altro, la partecipazione del vescovo bogomilo bosniaco Niceta al primo Concilio cataro svoltosi nel 1167 a
Tolosa.
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dodicesima parte
Se nella citazione dei Catari quali Ariani si può vedere il riferimento ad loro visione della figura di Gesù quale
“uomo” portatosi alla condizione di Verbo-Logos-Figlio, visione che si lega evidentemente -anche- alla “fonte
filosofica giudaico-ellenica” ovvero, come visto in queste pagine al giudeo-cristianesimo gerosolimitano, è altro ciò
che sottolineano le citazioni quali Manichei e Bogomili. In questi due casi infatti il riferimento era soprattutto alla
loro dottrina -dualistica-, una dottrina insegnata anche dai Manichei che ai Bogomili e che contemplava, in vario
modo espressa, la insistenza alla Vita di un doppio Principio divino, quello del Bene e quello del Male.
Oggi poi oltre a questi legami la critica segnala anche una vicinanza con Origene e l’Origenismo ma essi, Catari e
Bogomili, vantavano che la loro dottrina ed insegnamento derivasse direttamente dal periodo apostolico: gli eretici
bruciati a Colonia nel 1143 affermavano che la loro credenza
<.. era rimasta nascosta fino a quel momento dai tempi dei martiri e si era conservata in Grecia e in qualche altro
paese..>(F. Zamboni, “La cena segreta”-in seguito LCS).
Il grande “fermento di fede” e di “cristiana diversa coscienza” che si è con forza messa in luce e che rapidamente si
è diffusa tra il X e il XV secolo in Europa, un fermento che non si limitava a Catari e Bogomili ma variamente si
allargava ai Valdesi ed agli altri movimenti e personalità di cui abbiamo detto più sopra, è stato un“fermento” il cui
primo e più profondo aspetto era quello che in esso si vedeva ed insegnava la necessità da parte dell’uomo di
“portarsi a condizione divina” con quella “purificazione-conversione-cambio di mentalità” che, come qui visto, non
è altro che la “resurrezione in vita” insegnata da Gesù. Un aspetto ed insegnamento che si sostanziava nell’invito
all’uomo a:
portare la propria anima fuori da un “io-materialità” che è prigione e caduta
e quindi possa, finalmente Sposa-Regina, ritrovare-rivedere ed unirsi alla sua più alta parte Spirituale, il Re,
e l’uomo così si porti a quella condizione, divina, che lo vede fuori dal Male-caduta.
Aspetto ed insegnamento che si vedrà anche in quella “Mistica Renana” che, dopo Ildegarda di Bingen (10981179), vedrà nel XIII sec. le personalità di M. Eckhart, G. Taulero ed E. Suso: ben aldilà delle critiche che tutti quei
movimenti e personalità faranno alla Chiesa per la sua corruzione ed per i suoi fasti, questo loro aspetto ed
insegnamento è ciò che, potenzialmente dirompente per la autorità cristiana, sarà in realtà alla base della loro grande
ed unanime critica alla Chiesa cristiana.
Per i Catari ci dice e ci testimonia di questo loro importante e primario insegnamento e Verità la figura qui sotto
riportata che mostra la “Chiave di volta” del soffitto della grande sala posta al penultimo piano del Dongione del
castello cataro di Puivert: un castello edificato nel 1170, in pieno periodo cataro, e conquistato e portato
all’abbandono da parte dei Crociati nel 1210.
Questo manufatto, erudito segno del fulcro della dottrina catara, è con la sua figurazione una testimonianza di
straordinario interesse, vediamo perché:
- anzitutto vuole detto e visto che la collocazione in“Chiave di volta”, ovvero nel punto che regge e sorregge la
intera costruzione, vuole certamente significare che per i Catari in quella figurazione si trovava la più importate e
fondante, per l’uomo, “Conoscenza-Sapienza”: così come togliendo la fisica “chiave di volta” la costruzione in cui
essa è posta crolla, finisce, così senza quella “Conoscenza-Sapienza” la Vita dell’uomo finisce, crolla,
- con le “corone” portate dalle due figure e con il “Vaso-Graal”, il “cuore nascosto” di cui in queste pagine
abbiamo detto e che, infatti, la figura maschile “tiene sul cuore”, vediamo riportati “Temi-Verità” che si trovano
anche nel “Ciclo Arturiano” e nella prosa e poesia dei “Trovatori”. Temi infatti questi entrambi sviluppatisi nello
stesso periodo storico dei Catari ed il cui stretto legame con il catarismo qui è evidente. Temi-Verità che
approfondiremo nei prossimi capitoli di questa dodicesima Parte,
- sappiamo che i Catari non professavano alcun culto della Vergine Maria e questo ci porta a confermare che
nella figura femminile vuole visto l’anima umana: le sue mani giunte dichiarano l’avvenuto pieno ri-conoscimento
ed affidamento da parte sua allo Spirito-Logos-Re. Un riconoscimento che la porta ad essere Regina-Sposa del ReLogos-Cristo: quando l’anima umana caduta all’ “io-materialità”, caduta al Sensibile-Femmineo-Yin, si porta a riconoscere ri-rivedere la “sua stessa” alta parte Spirituale, si ha il suo passaggio a regina, la sua incoronazione o forse
anche la sua unzione: la Unione, ci dice anche la tonda cornice in cui le figure insistono, con il Re-Logos-Spirito che
ha in sé il Vaso-Graal, la Conoscenza-Sapienza, che è condizione “divina-eterna”.
Queste letture sono, seppure indirettamente, confermate dalla interpretazione che i Catari fanno della figura di Maria
Maddalena: oggi detta e considerata moglie di Gesù e tributata di un grandissimo culto largamente mantenutosi in
quelle aree, la Maddalena, “prostituta” identificata da alcuni di essi con la Samaritana (cfr LCS pg.75), in realtà è
figura allegorica dell’anima di Gesù che, “caduta-prostituitasi” come tutte, si salva unendosi al Logos-Cristo,
portandosi ad essere sua “fedele” Sposa, portandosi al divino.
- l’immagine del bassorilievo testimonia poi che la condizione che vede assieme e uniti-Uno lo Spirito-MaschioYang e l’Anima-Femmineo-Yin, è condizione che vede “schiacciato”, inoperante, il Male demone-alatoserpentiforme che si vede nella parte inferiore.
Nel merito vediamo che il piede della figura femminile, ora rotto, era più sporgente rispetto a quelli della figura
maschile e questo porta ad ipotizzare che si volesse così dire, in linea con Genesi, che il compito e la responsabilità
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dodicesima parte
maggiore nello sconfiggere e rendere inoperante il Male, è del Femmineo-Yin, di quel “sensibile-donna” che, se
incontrollato, senza Conoscenza e Sapienza, senza il Logos-Re, porta al suo sorgere. Dice la Genesi:
<..Allora Jhwh Elohim disse al serpente: “...Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”..> (Gn 3.14-15).
- infine una ultima considerazione da fare è quella che la “fondante credenza-conoscenza-sapienza” che questa
scultura evoca e dichiara, è “dottrina filosofica” che tutto il mondo antico ha visto ed insegnato, pur segretamente e
con mille allegorie.
“Chiave di volta” della sala al penultimo piano del Dongione del castello cataro di Puiver
Faccio qui un breve inciso per dire di una tradizione di arte cristiana, soprattutto pittorica, che ricorda da
vicino l’immagine catara di cui sopra: la tradizione della “Incoronazione della Vergine”.
Le prime opere pittoriche con questo soggetto sono posteriori di circa 200 anni alla figurazione-tema del
nostro bassorilievo, ma sarà solo nel 1954 che, con una Enciclica di Pio XII, questo evento troverà spazio
nella Tradizione Cristiana. Tra i primi pittori a calcare il tema, che oggi vede una molto vasta produzione, ci
saranno Lorenzo Monaco ed il Beato Angelico.
Da un punto di vista del loro significato religioso-filosofico tra la nostra figurazione catara e la suddetta
tradizione cristiana non vi è alcun possibile legame ma, anche escludendo una diretta influenza catara, non è
impossibile ipotizzare che qualche spunto, per la nascita della tradizione cristiana, possa essere venuto dalle
opere, al catarismo legate, del Ciclo Arturiano e della letteratura e poesia dei Trovatori.
Un particolare che porta ad ipotizzare un tale legame e dipendenza lo troviamo nel dipinto del Beato
Angelico del 1432 che si trova collocato agli Uffizi di Firenze.
Qui vediamo infatti che la figurazione dei due soggetti è identica a quella del bassorilievo cataro e,
soprattutto, vediamo che il Beato Angelico dipinge il suo Figlio-Gesù con in mano la stessa sfera-vaso del
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dodicesima parte
nostro tondo, una sfera-vaso “dorato” che cristianamente non si spiega. E non è spiegazione, a mio avviso,
vedere in esso un “mondo” che tra l’altro Gesù dichiara ben chiaramente “regno di satana”. In quel dipinto
l’Angelico mostra poi che Gesù porge a Maria, in alto sulla sua corona, qualcosa di piccolo e “dorato”
come il “vaso” che tiene in mano. Oggi interpretato come “consegna” di una “gemma”, il gesto riprodotto
potrebbe più verosimilmente essere visto come una “unzione” divina: la consegna-riconoscimento, a Maria
o, in una lettura però gnostico-catara all’ animo umano, della Essenza-Sapienza-Logos del Figlio.
Tornando alla considerazione ultima fatta sulla “Chiave di volta” catara in esame, ovvero al fatto che la “fondante
credenza-conoscenza-sapienza” che questa figurazione evoca e dichiara è “dottrina filosofica”, essa ci induce e
porta ad ulteriori riflessioni che ora, con altre note, qui faremo ma prima, a conferma del fatto che la dottrina catara
vedeva anche e verosimilmente nasceva in una “filosofica” comprensione delle Scritture tutte, riporto un testo
singolarissimo e particolarmente interessante che è parte dalla interrogazione fatta a Milano nel 1028 dalla
inquisizione a certo Gerardo, membro della comunità catara che viveva intorno al castello di Monforte d’Alba.
Prima di finire sul rogo egli dirà:
<..Il Padre è il creatore del mondo; il Figlio rappresenta l’animo umano che…
può direttamente attingere dalle Sacre Scritture i mezzi per la propria redenzione; e lo Spirito Santo
altro non è che la comprensione della Scrittura stessa..>
(Ilarino da Milano, Le eresie popolari del sec.XI ...-In Studi Gregoriani II-Roma 1947,
riportato anche da L.Pellegrini nel suo “Storia della Chiesa 2)
Venendo alle considerazioni, alle riflessioni e note sui Catari, possiamo dire:
a) le “fonti dirette” di cui disponiamo sulle dottrine e credenze catare sono piuttosto limitate e quindi il rischio di
incorrere nell’errore di assumere per “generale” una visione “personale del dichiarante” è alto. Vuole infatti
ricordato che nel movimento si vedranno varie divergenze: si parla oggi, nel dire dei due principali indirizzi del
movimento, di “catarismo radicale” e “catarismo moderato”,
b) la documentazione “non diretta” disponibile è materiale in prevalenza prodotto da chi era avverso a quel
movimento e Chiesa ed è composta in gran parte di interrogatori fatti a normali “credenti”, persone quindi che hanno
potuto accedere solo alla parte più superficiale della dottrina. A questo si aggiunge poi anche il fatto che chi
interrogava poteva, non capendo a fondo, riportare non correttamente,
c) il movimento cataro inevitabilmente, data la sua estensione, aveva al suo interno una maggioranza di persone
incolte ma, vuole sottolineato, esso certamente annoverava una numerosa élite di grande cultura e questo è
confermato anche da due suoi aspetti:
-- da un lato quello che esso vedeva in larghissima parte coinvolti i Signori del Sud francese, i proprietari terrieri e
tenutari di Castelli attorno ai quali viveva a quei tempi il mondo culturale, quel vivace mondo culturale che vedrà
nascere anche i Trovatori. Un mondo culturale alto e colto che poterà in quello stesso XII secolo al <.fiorire a
Narbonne e in altre località del Mezzogiorno francese, la prima grande scuola cabbalistica d’Europa..che vedeva
anch’essa la teoria della trasmigrazione..>(LCS)
-- dall’altro lato il fatto che tra i pochi testi letti ed accettati dai Catari in primo piano, a fianco di Vangeli e Scritture
giudaiche, troviamo la “Apocalisse di Giovanni” e il testo de “La Ascensione di Isaia”. Testi questi difficilissimi ed
in larga parte ancora oggi non capiti ma che essi sciolsero, ritengo si possa dire in considerazione della loro
apocalittica idea-visione che essi avevano della Chiesa Romana. Una idea-visione non dissimile, come vedremo,
dalle conclusioni cui siamo giunti con gli approfondimenti fatti in queste pagine.
d) nei loro insegnamenti i Catari riprendono ed utilizzano le terminologie, le immagini e modi enunciativi
antropizzati di Vangeli e Scritture evitando quindi di esprimersi secondo quella loro rilettura allegorico-filosofica
che con certezza, possiamo dire sia per quanto sopra visto e detto che per quanto ancora vedremo, era loro
patrimonio. Con evidenza tutto questo era a loro necessario al fine di rendere possibile l’approccio e la
comunicazione con la normalità delle persone.
La lunga e difficile strada della piena comprensione della essenza di una dottrina, la loro, al fondo “filosoficomistica e rivelativo-apocalittica” era infatti da essi riservata, in linea con quanto affermato in tutto il mondo antico,
ai pochi che avrebbero potuto e sarebbero stati in grado di capire, ai pochi che erano in grado di portarsi a quella
loro condizione che oggi viene detta di “Perfetti”, condizione distinta da quella di normali “credenti”, distinta da
tutti gli altri aderenti alla loro “Chiesa”. Questo, nelle indagini su di essi, sulla loro dottrina, implica il fatto che è
necessario cercare di leggere dentro alle immagini, alle terminologie ed ai richiami a Vangeli e Scritture che
troviamo nei documenti disponibili ed assieme alle loro prassi e comportamenti.
e) in merito ai Vangeli vuole notata la loro predilezione per Giovanni e Matteo in particolare ma anche la figura di
Giacomo, con la sua lettera particolarmente problematica per la Cristianità, riceverà una attenzione particolare da
parte loro.
f) nei documenti a nostra disposizione si vede che i Catari si rifanno e richiamano, con buona frequenza, a
“formule” contenute nelle lettere paoline e questo nonostante essi si distanzino da Paolo nella lettura che questi fa
della figura di Gesù e della “salvifica funzione della sofferenza della croce”. Ma, data la certa credenza dei Catari
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dodicesima parte
nella reincarnazione, da Paolo essi si distanziano anche per il loro rifiuto della dottrina, paolina come visto in queste
pagine, della “resurrezione corporale”. Questo loro apparentemente incongruente comportamento si spiega
sapendo e capendo che, come in queste pagine detto, le lettere di Paolo sono colme di “formule” di “origine”
apostolica e nella loro originaria accezione, lontano dall’uso che Paolo invece farà asservendole alla “sua” farisaica
ed errata visione e lettura teologia di Gesù e del suo vangelo-annuncio, tali “formule” sono da essi accettate, viste e
comprese. Una originaria accezione lontana da quella paolina loro lettura e interpretazione che porta alla
<..rovina..> come, abbia mo visto, denuncerà Pietro nella sua seconda lettera.
g) sempre in merito ai Vangeli da notare infine è il fatto che la sola preghiera da essi ammessa era l’evangelico
Padre Nostro di Gesù ma, in linea con Origene, con una importantissima differenza rispetto alla lettura ortodossa:
per essi il “pane” citato nella preghiera è lo spirituale “pane sovra-sostanziale”, il pane-nutrimento di Vita eterna
che “oggi”, già nel corso della vita terrena, viene invocato e chiesto, e non il materiale “pane quotidiano” visto ed
insegnato dalla Cristianità.
h) una ultima nota necessaria prima di proseguire vuole fatta in merito a quello che è l’aspetto più noto forse della
dottrina catara, quello dei “due principi” contrapposti, il Male-Satana ed il Bene-Cristo, cui si affianca la visione di
“due mondi” separati e lontani se non opposti, quello materiale-terreno e quello spirituale-celeste, la Gerusalemme
celeste. Tutto questo, generalmente anche oggi visto o detto quale “eretico”, in realtà è pienamente riscontrabile,
come essi giustamente affermano, in Vangeli e Scritture: Gesù parla infatti di Satana-Male quale <..principe di
questo mondo..>(Gv 14.30), mentre il Verbo-Logos è chiaramente dichiarato come ciò che porta al Bene e chiara è
anche, in quei testi, la lotta tra i due, tra Male e Bene, e la profonda diversità ed antitesi tra il mondo divino-angelico
e quello terreno-materiale.
Questi “due principi”, il Male-Satana che per essi è il primo e più potente figlio di Dio, uno Spirito-Angelo che ad
esso si ribella, ed il Bene-Cristo secondo figlio di Dio e Spirito-Angelo anch’esso, sono dai Catari visti entrambi
eterni ma, non in contrapposizione a ciò, essi vedranno il Male-Satana finire, non più operare. Ora, il problema del
Male è problema difficile che ancora oggi è sostanzialmente irrisolto anche nella Chiesa e nemmeno i Catari, sembra
di poter dire, gli daranno “razionale” soluzione. Anch’essi, su questo aspetto, sembra non abbiano saputo vedere che
nelle Scritture il “Bene e il Male” sono espressi e mostrati internamente alla “doppia Natura”, il “Maschio e
Femmina”, dichiarata in Genesi. Una “doppia Natura” divina, del Dio-Jhwh ed al contempo umana, dell’uomo che
è “sua immagine” ci dicono quelle righe, che è, come visto in queste pagine, in un Uno sia il Maschio-Yang-SpiritoBene-Luce-Secco ecc. che il Femmineo-Yin-Materia-Male-Buio-Umido ecc..
Questo, il non dichiarare e/o forse vedere quell’Uno-Dio che è il “Maschio-Femmina, Yang-Yin, Bene-Male che in
sè l’uomo deve tenere in armonico equilibrio, sarà il loro punto di debolezza e il principale motivo delle loro
divisioni: diverse saranno nel merito le tentate spiegazioni e tutto, lasciati antropizzati concetti che sono filosofici,
sarà reso poi quasi favolistico. Si vedrà ad esempio, sulla scia in parte di quanto ancora oggi dice la Chiesa
cristiana, dichiarare: <..Satana il figlio maggiore di Dio .. che insuperbitosi.. volle sostituirsi a Dio e indusse alla
rivolta un terzo dei suoi angeli che insieme a lui furono cacciati dalla corte celeste e privati della loro gloria.
Quindi, con il permesso del Signore, Satana diede ordine al caos primordiale e plasmò il maschio e la
femmina..>(LCS pg 64).
Ora, nella espressione <..con il permesso di Dio..> si può vedere nascosta la visione filosofica, certamente elitaria,
di un “Dio-Uno agente unico”, di un Uno il cui figlio-aspetto Satana-Male-Femmineo-Yin “darà forma” agli
elementi della materia producendo e dando vita al mondo fisico tutto ed al corpo umano. Ma, sembra di poter dire,
senza una corretta spiegazione la conseguenza sarà che in modo generalizzato si insegnerà, rispetto al mondo ed al
corpo umano “fatti” dal Satana-Male, ad <..abbandonare il mondo, a trattenere la carne dalla
concupiscenza..>(LCS pg 30). Errore, questo, quando così posto-imposto.
Ma andando ben oltre a questo loro errare essi, evidentemente rimasti fermi a quella letterale interpretazione del
Pentateuco, fatta dall’Ebraismo nel 2° Tempio e poi dalla Cristianità, che non riesce a contemplare la loro credenza e
dottrina, giungeranno a dichiarare “malvagio” il dio dell’antico testamento, Jhwh, e con esso molte figure antico
testamentarie come Elia, il Battista e molti altri.
Ma a parte queste errate, in questi termini, favolistiche ed estreme posizioni, credo che le dottrinali righe catare sui
“due opposti Principi che prevedono un solo Dio” siano corrette e si debbano e si possano leggere, aldilà delle
antropomorfiche rappresentazioni da loro fatte ad uso della generalità dei “credenti”, in senso pienamente filosofico:
esse dicono di “contrapposti Principi-Forze divinamente operanti nell’Uno-Divino-Natura eterno”.
Elencherò ora, per come emergono dai documenti disponibili ed aggiungendo brevi considerazioni nel merito, gli
aspetti principali dell’insegnamento e della disciplina del movimento cataro, aspetti che largamente si ritrovano nei
Bogomili:
1) essi insegnavano, come detto appena sopra, che la realtà terrena e umana vede la azione di -due Principi
divini ed antitetici-, il Male e il Bene, Satana e Cristo entrambi figli del Dio creatore e in lotta tra loro.
2) insegnavano, similmente ad Origene, la preesistenza dell’uomo: egli è creato e vive al settimo e ultimo cielo
come “Spirito-angelo” dotato di Anima-Corpo celeste-Spirito. La sua Anima scendendo alla terra prende il corpo
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dodicesima parte
fisico, che essi legano al Male-Satana essendo tutto il mondo materiale sua “fattura”, e lascia in cielo il Corpo
celeste e lo Spirito il quale resta comunque sempre all’Anima legato. Si trova così l’uomo ad avere in sé una
doppia natura, lo Spirito-Bene e la Materia-Male.
3) insegnano la necessità da parte dell’uomo, di ri-portarsi alla condizione divina, allo spirituale del Mondo
celeste da cui è venuto e da cui si è allontanato a causa del Male in cui cade per la origine del suo corpo fisico,
portando l’Anima, grazie al distacco dal mondo fisico, a rivedere-ricongiungersi con la sua parte Spirituale.
Ma, si evince da quanto ci riporta l’inquisitore Moneta da Cremona nel suo “Adversus Catharos”, il compito e il
fine dell’uomo era visto anche andare oltre: questi infatti ci informa di <..tre generi di Spirito, il primo è lo “spiritus
sanctus”, cioè quello che rimane in cielo dopo la caduta e al quale Dio ha affidato la custodia di ciascuna anima, il
secondo è lo “spiritus paraclitus”, cioè consolatore...Il terzo è lo “spirito principalis”, cioè lo Spirito universale, la
sostanza divina nella quale tutti gli “spiritus sancti” particolari aspirano a fondersi..>(LCS pg.75).
Ora, sebbene di questa specificazione non si trovino certo molte tracce, il Moneta è attendibile e queste sue
informazioni portano quindi a vedere con certezza che i Catari, seppure certo limitatamente a qualche erudito
gruppo o persone, vedevano quale fine-traguardo-salvezza per l’uomo il suo “fondersi-annullarsi” in un “divino
Spirito-universale” che non è che il Dio-Uno e quindi la “divinizzazione-portarsi al Dio” vista da tutto il mondo
antico, il “finire fra dei” di cui dirà Socrate.
4) essi invitavano ad una “salvezza” che è frutto di un processo interiore: la iniziale condizione Spiritualeangelica dell’uomo si ripristina -in vita-, è detto da essi, ed è processo che si -compie- per mezzo di una
santificazione-purificazione interiore che vede i suoi primi passi nel distacco dalla materialità,
5) essi credevano nella reincarnazione: chi non riesce a compiere -nel corso della vita- il cammino di
purificazione di cui ai punti precedenti dovrà reincarnarsi al fine di poterlo compiere nella prossima vita terrena,
un ritorno-reincarnazione da essi visto possibile per un massimo di 7-9 volte,
6) la visione escatologica dei Catari, le loro credenze sui destini ultimi dell’uomo e dell’universo, pur non
mancando anche qui differenze possiamo dire che tutti vedevano, seguendo le immagini del Nuovo T., un
peggioramento progressivo della vita sulla terra fino al culmine del “giorno” in cui: <..tutto questo mondo inferiore
diventerà un inferno..>(LCS pg.78) come insegnavano, ci dice nel suo testo F. Zambon, due importanti “Perfetti”
Catari. Si vede poi, continuando nel testo, che per i Catari in quel “giorno-tempo”, <..giorno del giudizio..> è
detto, dovrà venire quando <..tutti gli spiriti e le anime creati in cielo dal Padre celeste e cadute si riportino, con le
reincarnazioni, alla condizione di “buoni Cristiani..>(LCS pg.77) ovvero a condizione celeste.
La biblica resurrezione dei morti infatti per essi non è rinascita di <.. corpi materiali “creati dal diavolo”..> e cioè
soggetti al male, ma ripresa dei <..corpi gloriosi rimasti in cielo..> e non soggetti al Male. Se questa “rinascita di
corpi gloriosi e fine del Male” sarà forse vista da alcuni come fine del mondo fisico-materiale, certamente non era
così per altri che, giunti a quel punto, vedevano filosoficamente <..ricominciare ancora una volta il
combattimento..>(LCS pg.78), vedevano iniziare un nuovo ciclo cosmico, di nuovo la “caduta” e le lotte e i
disastri conseguenti.
7) apocalitticamente i Catari ritenevano che la Chiesa Cristiana fosse il Male stesso, la Babilonia giovannea,
uno strumento di Satana che induce e porta alla rovina l’uomo. Era convinzione e visione, anche questa, comune ai
Bogomili come testimonia anche, nel XII sec., Anna Comnena: riportando il processo e la condanna al rogo del
Vescovo bogomilo Basilio, essa dice :
<.. trattò con disprezzo la nostra teologia.. e chiamò le chiese..“templi del demonio”..>(LCS pg.34).
Riporta poi Bernard Gui, vescovo inquisitore a Tolosa, che i Catari parlavano della Chiesa romana quale:
<..grande Babilonia, meretrice e basilica del Diavolo.. la cui fede eretica non può salvare nessuno..>(LCS pg.79).
E non si tratta di accuse immotivate o generiche, da essi la Chiesa Cristiana, per la sua d ottrina ed insegnamento,
era realmente strumento del Male e Male stesso.
Questo punto è piuttosto importante e, non possiamo non sottolineare, a simili deduzioni e conclusioni siamo
arrivati anche in queste pagine, come visto, nella combinata analisi degli scritti di Daniele, Apocalisse di Giovanni
e de La Ascensione di Isaia, testi tutti dai Catari e dai Bogomili molto seguiti. Deduzioni cui non solo i Catari
giungeranno, sembra di poter dire, vista la figurazione che Giusto de Menabuoi nel XIV sec. farà della “Grande
Bestia” della Apocalisse nel Battistero di Padova: un drago le cui sette teste portano“tiare papali”. Deduzioni cui,
abbiamo visto, nel XVII sec. si porterà anche il fisico e matematico Isaac Newton.
É punto importante questo, dicevamo, oltre che per quanto detto anche perché si testimonia così da un lato la
profondità delle analisi da essi compiute sulle Scritture tutte, e dall’altro perché si evidenzia un preciso legame del
catarismo con il “giudeo-cristianesimo” in cui nasce il testo de La Ascensione di Isaia con Giacomo e con quei
“veri” Apostoli che erano rimasti in Gerusalemme e che sappiamo essere stati fortemente critici, come visto su
queste pagine, con Paolo e Pietro. Si testimonia il legame con un “giudeo-cristianesimo” che essi vedevano,
giustamente, accordarsi con la “gnosi-conoscenza” che si vede in Giovanni, nel suo Vangelo e nella sua Apocalisse.
8) i Catari non impartivano alcun “sacramento” in quanto non istituiti da Gesù ed esulanti dalla loro visione
teologico-filosofica. Senza alcun valore per essi erano quindi, con evidenza, i sacramenti della Chiesa ortodossa:
Eucarestia, Matrimonio, Battesimo dei neonati, Messa. La sola azione ed atto che essi compiono, di grande
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dodicesima parte
importanza ma che non aveva carattere sacramentale, era il “consolamento”: era questo il loro atto battesimale,
operato dai “perfetti” della comunità e che si concretizzava con la imposizione delle mani sul soggetto. Esso era
atto con il quale si intendeva riconoscere-invocare sul consolato, più che trasmettere, lo “Spirito Santo
Consolatore”, il Paraclito, la “pace-consolazione” perenne. Al “consolamento” potevano accedere solo i soggetti
che, dopo avere vissuto costantemente al fianco di un “perfetto-consolato” per minimo un anno ma sovente molto di
più seguendolo nella sua vita quotidiana quasi itinerante per insegnare nelle case di aderenti e simpatizzanti, erano
giunti alla piena conoscenza delle Verità più profonde della loro dottrina ed avevano assunto il -conseguentecomportamento di vita. Solo i “consolati” appartenevano a pieno titolo a quella loro Chiesa-assemblea che essi
chiamano “Chiesa di Dio”(LCS pg.81).
9) al “consolamento” alla condizione che essi dichiaravano di “buon Cristiano” e che oggi noi diciamo di
“perfetti” con termine utilizzato da inquisitori e polemisti per dire di coloro che erano “eretici compiuti”, potevano
accedere tutti i credenti, sia uomini che donne. I “Consolati-Perfetti” erano i soli autorizzati ad insegnare ed
eleggevano tra di loro il Vescovo, il capo della Chiesa di Dio locale. Il comportamento di vita cui il “consolatoperfetto” -si portava- e manteneva -in conseguenza-, come detto, della “conoscenza-sapienza” cui era giunto,
sappiamo che comprendeva la astensione, giuste le parole di Gesù che dice che “alla resurrezione-rinascita non si
prende né moglie né marito”, da ogni rapporto sessuale, la adozione di una alimentazione strettamente vegetariana
e la completa rinuncia al possesso personale di ogni bene. Questo avveniva solo per i “perfetti”, mentre i normali
credenti pur avendo davanti quegli esempi erano liberi di seguirli o meno e cioè di avere rapporti sessuali, stabili o
meno secondo le personali inclinazioni e sensibilità, di avere figli e di possedere beni.
Infine è da notare che il “consolamento”, per il quale era richiesta la preparazione di cui abbiamo sopra detto, in
deroga a ciò poteva anche essere dispensato, come non di rado avveniva, a chi anche solo “credente” era in
condizione di fin di vita.
10) i Catari poi, conseguentemente a quanto sin qui detto e visto, negavano la possibilità che alcuno potesse
“rimettere i peccati” come faceva, e ancora fa, la Chiesa ortodossa,
11) essi rifiutavano ogni immagine del divino e la venerazione della croce. Questi loro comportamenti e regole
ci dicono di due aspetti delle loro credenze:
- il primo è che la loro visione teologica è profondamente filosofica: nessun concetto filosofico può essere espresso
con umana immagine e, di contro, qualsiasi immagine del divino ne allontana la sua filosofica comprensione,
- il secondo aspetto investe la loro visione della figura di Gesù Cristo. Nel merito, sintetizzando, si può dire con il
Roché (op. cit.) che per i Catari “Cristo non è uomo e Gesù non è Dio”. Scrive l’inquisitore Moneta nel 1240 circa:
<.. (i Catari) credono che Cristo sia stato un angelo divenuto uomo e questo angelo è talora chiamato anima
e ascese senza umanità, cioè senza carne..>( Adversus catharos, LCS )
Quindi, leggendo dentro a parole riportateci da persona che non era giunta a capire nella sua essenza la loro
dottrina, si deve vedere che i Catari credevano, per quelle parole, che Gesù Cristo fosse stato un <.. angelo divenuto
uomo..> come, per la loro dottrina, era per “tutti gli uomini”, e sia quindi <..asceso..>, si sia elevato, si sia portato
ad essere <..senza umanità..senza carne..> ovvero si sia portato fuori dai vincoli della corporeità. Si sia portato ad
essere Cristo: asceso “in vita” a condizione celeste-spirituale, divina.
Ma, sempre in merito alla loro lettura della figura di Gesù, prevalentemente vediamo che, come ci dice F. Zambon:
<..la cristologia di quasi tutte le scuole catare considera il corpo di Cristo come puro “fantasma”, che solo in
apparenza aveva le necessità dei corpi umani e solo in apparenza patì e morì sulla croce. Nessuna funzione salvifica
è attribuita alla croce e il ruolo di Gesù è stato unicamente quello di.. risvegliare dal sonno o dall’oblio..e indicare la
via attraverso la quale l’uomo poteva tornare al Padre..>(LCS pg.74).
Una diversità, vediamo, che può dire di letture e comprensioni diseguali ma anche, possiamo ipotizzare, una
diversità dovuta semplicemente alla necessità di fornire risposte a chi non poteva giungere alla filosofica prima
comprensione. Difficile dare definitive risposte in merito.
12) essi invitano a non mangiare carne ed a non uccidere animali, forse perché ritengono possibile la
reincarnazione anche in animali o più semplicemente per sollecitare così una purificazione anche corporale,
13) i Catari insegnavano a non “giurare” e questa, assieme all’invito-interdizione della uccisione di animali o
addirittura di mangiare uova, era una delle regole morali cui maggiormente essi tenevano: si vedranno infatti
persone che andranno al rogo per rifiutarsi di “giurare sulla verità delle loro stesse sincere confessioni” o anche
per rifiutarsi di ottemperare alla richiesta di “uccidere un pollo”.
14) da ultimo accenniamo alla pratica catara della “endura”. Vista e detta a volte quale azione di “suicidio”,
essa era una pratica che prevedeva una rinuncia alla alimentazione. Dal termine, che riporta a”resistenzaperseveranza” si evince solo di una “dura prova-scelta” e si può quindi pensare piuttosto ad una pratica libera e
limitata nel tempo allo scopo di agevolare quel distacco dal materiale-corporale cui essi invitavano. Da alcune
testimonianze sembra comunque che a tale atto e azione siano state invitate e portate persone che erano in fin di
vita anche se comunque, nel merito di tale pratica non abbiamo molte informazioni.
Chiudo così, con questa ultima nota, questa breve panoramica su di un gruppo e Chiesa-Assemblea di persone che
con buone ragioni, credo si possa dire, si ritenevano seguaci del vero insegnamento di Gesù.
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dodicesima parte
AQUILEIA, RAVENNA, MODENA, BARI, OTRANTO
Vedremo in questo capitolo come, tra i secoli XI e XII, quella Sapienza, al fondo filosofica, a-religiosa ed universale
della quale non si poteva parlare senza rischiare i roghi come avveniva per i Catari e non solo, sarà in modo segreto
e nascosto testimoniata con le molte allegoriche figure delle quali saranno tappezzate le mura e i pavimenti di
Chiese, di duomi e non solo. Vedremo qui alcune di queste testimonianze lasciate in quel tempo a Ravenna,
Modena e Bari e poi Otranto ma prima, già nel 3° sec., figure che ci dicono di un "diverso" Cristianesimo le
troviamo come vedremo ad Aquileia. L’uso di testimoniare con figurazioni allegoriche, e non solo con testi
allegorici come è per l’Antico T., è invero antichissimo e noi lo vediamo molto presente già dal periodo etrusco, ma
restando al "diverso" Cristianesimo preziose testimonianze si vedono già in alcune catacombe, con un “cristiano”
Orfeo o un etrusco-orfico-pitagorico Ippocampo, cavalcato da Nereide e con testa di Cervo che riporta ad una
pagano-filosofica comprensione della figura di Gesù. Vediamo.
Aquileia :
Sono quasi commoventi le antichissime figurazioni musive, risalenti anche al III-IV sec., che con originalità ci
parlano del cristianesimo che negli inizi era vissuto ed insegnato ad Aquileia: un cristianesimo filosofico con
carattere ad un tempo "mistico", come ci mostra la scena del Gallo e Tartaruga, ed "apocalittico" come ci dice il
pannello musivo con il Tifone esiodeo, un Tifone qui mostrato quale Asino, di natura stolto.
- Nel “Gallo e la Tartaruga” (fig 2), la figura ci mostra in simbolo i due umani, e divini di Jhwh, Principi, il
Maschio-Yang ed il Femmineo-Yin, i quali vedendosi vicendevolmente e tenendosi in perfetto equilibrio, ci dice la
scena, si innalzano dal terreno-materialità per avvicinarsi, e quindi giungere, ad un divino che qui è simboleggiato
nella boccetta di profumo-essenza posta in alto.
- Tifone invece (fig 1), ciò che per Esiodo come visto impegnerà Zeus nella sua ultima lotta, il Tifone distruttiva
Forza-Errore-Accadere che si svilupperà a causa della non comprensione-stoltezza umana, visione e Verità di cui ci
dice anche Zaccaria con i suoi "stolti pastori" che Jhwh susciterà, è qui splendidamente ed acutamente figurato
appunto quale Asino. Il riferimento qui, pur nella comprensione esiodea, è certamente quello evidenziato da Renato
Iacumin nel suo "Le porte della salvezza", ovvero il testo gnostico detto "appendice C": qui Tifone è infatti detto "il
grande Arconte dalla faccia d'asino" .
Questa figura poi è inserita in un pannello che, ci dice il tasto citato, richiama una serie e successione di cinque
figure attestate unicamente nel testo cristiano gnostico "Pistis Sophia", un testo con evidenza quindi qui seguito e
conosciuto assieme a quello de "Il Pastore di Erma" che Rufino ci attesta come letto ad Aquileia da generazioni.
Le cinque figure sono: Cavallo alato, Asino Tifone, Ecate trifaccia, Caprone, Torello.
Ma altre interessanti figure qui si vedono messe in grande risalto: ad esempio un Arcangelo Michele contornato da
offerenti e ancora una grandissima e centrale scena che racconta le vicende di Giona, tema oggi poco frequentato ma
molto seguito nella letteratura del giudaismo. Su Giona ci fermeremo più avanti con una analisi specifica.
E' questo infatti un tema e mito che si lega al mondo filosofico pagano e questo, vedremo, ci è testimoniato anche
dal pavimento musivo di una sinagoga del V sec. rinvenuto nel 2012 in Galilea.
Una lettura e legame che, vedremo più sotto, verosimilmente sottostà anche al pannello di Aquileia come pure alle
scene su Giona che si trova ad Otranto.
Sulla comunità cristiana di Aquileia vuole poi ricordato che essa ha sempre mantenuto, nel suo "credo", il
riferimento alla "discesa agli inferi" di Cristo e, ci informa ancora Rufino, essi nel recitare il proprio Credo alle
parole "..questo corpo resuscitato.." si toccavano la fronte. Un gesto che richiama la resurrezione sin qui vista,
sembra di poter dire, gesto che richiama la "resurrezione-cambio di mentalità", la "con-versione" in vita.
Ravenna :
Principale città italiana interessata dalle implicazioni politico militari legate alla citata Lotta iconoclasta,
testimoniano a Ravenna quel "diverso" cristianesimo le figure dei pannelli musivi recuperati dal pavimento del 1213
della chiesa dedicata, e non certo casualmente, a Giovanni Battista. Vi si trovano un Grifone, un Cervo, una belva
maculata (fig 3), un lupo/cane, un albero capovolto, i resti di un Labirinto, una scena che ricorda il Ciclo Arturiano,
la Sirena bicaudata (fig.4) ed altro ancora ma è anche la storia della città che ci parla di una “diversa” visione
cristiana.
Con i Goti nel V e VI sec. Ravenna aveva conosciuto e fortemente vissuto in modo indipendente il cristianesimo
Ariano, un cristianesimo molto vicino come visto a quella "fonte" filosofica che prima di Nestorio e del suo maestro
Teodoro di Mopsuestia, e prima di Origene, era stata degli Apostoli. Dei Grandi-Apostoli che Paolo ha combattuto e
che insegnavano un Gesù “diverso” dal suo (2 Corinzi), un Gesù “filosofo” secondo le stesse parole di Paolo:
<..badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia...raggiri ispirati alla tradizione..>(Col 2.8)
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Una "fonte”, filosofica, che anche nell'arianesimo dei Goti e Longobardi si mantiene viva con da un lato la
negazione che esso fa del concetto-comprensione di Gesù quale Dio-Figlio e dall’altro con una dottrina che
preminentemente mostra la figura di San Michele, l'angelo-forza, filosofico Salvatore, che riprendendo la figura del
dio Odino e ricalcando la visione apocalittica, giudaica e non solo, dice della necessaria ed ineludibile finale
liberazione dell'uomo dalle forze contrarie al suo buono e ben vivere.
Ed anche dopo, sotto Bisanzio, Ravenna tradizionalmente “autocefala”, indipendente in tema di successione
vescovile, fu sempre, assieme ai territori ad essa legati, autonoma anche in tema di linea e visione teologica.
Una visione che, con e per quanto detto, portava ad un agire e ad un insegnamento religioso intimo e personale,
mistico. Ancora attorno all'anno 1000 possiamo vedere un segno di questa religiosità: fu in qui tempi vescovo di
Ravenna Giovanni Vincenzo il quale, chiusa la sua esperienza vescovile, si è ritirato a vita eremitica ed ha fondato la
enigmatica e misteriosa, in tanti suoi particolari, Sacra di S.Michele a Chiusa S.Michele di Torino. L’importante
monastero che assieme quelli di Mont Saint Michel in Francia, di Monte Sant'Angelo a Foggia e molti altri, celebra
il citato filosofico “Angelo”, Forza-Salvatore, Michele.
Città con un episcopato sempre in forte contrasto con Roma fino all'anno 1100 circa, città che arriverà ad esprimere
un antipapa, Clemente III (dal 1080 fino alla sua morte nel 1100), anche Ravenna ed i territori ad essa legati hanno
certo vissuto i fermenti iconoclasti della sua capitale, di Costantinopoli.
Modena :
Una grandissima testimonianza di iconoclastia e del "diverso" cristianesimo la troviamo nel ricco e fortemente
enigmatico Duomo di Modena. La figura di Gesù qui infatti comparirà, sia sulla facciata del Duomo che nelle sue
sculture interne, solo dopo circa mezzo secolo dalla sua prima ultimazione, quella portata a termine secondo i voleri
e le indicazione della cittadinanza ed in linea con le intenzioni del vescovo Eriberto (1055-1095) il quale, come pure
il vescovo di Reggio Emilia, sosteneva l'antipapa ravennate Clemente III.
Il papa di Roma Gregorio VII dopo avere scomunicato Eriberto nel 1081, eleggeva a vescovo di Modena Benedetto
il quale però, rifiutato da cittadinanza e clero, è stato costretto a restare fuori dalla città, in un paese limitrofo, per
quasi un ventennio. Solo dopo la morte di Eriberto egli poté insediarsi ma poco dopo morì ed al suo posto il
pontefice romano nominò Dodone il quale, pur ricordato in un atto di enfiteusi del 1100, ancora alla fine del 1101
non risulta essere stato consacrato.
La costruzione del Duomo di Modena quindi, iniziata nel 1099 nei momenti in cui nasceva il libero Comune di
Modena ed in cui poco lontano sorgevano vari movimenti contrari a Roma quali i Catari e i Valdesi, avvenne in
sostanziale assenza del vescovo. Questi infatti non è citato in una "Relatio" sui lavori, attribuita al magiscola
Aimone, che dichiara la costruzione come decisa “unanimemente” da tutta la cittadinanza modenese. Eriberto
quindi, morto poco prima dell’inizio della costruzione del Duomo, ne fu certo l’ispiratore e fu poi la cittadinanza ed
il clero locale, con l’importante aiuto del magiscola Aimone, a portare a temine una Cattedrale cristiana "senza
immagini di Gesù" e con invece una grande quantità, forse unica, di scene e figure che oggi sono largamente poco
capite e frequentate.
Vediamo in questo Duomo che nel punto che canonicamente dovrebbe essere riservato a Gesù, in alto al centro
dell'archivolto del portale di ingresso, a ricevere il credente è stato posto un inconsueto Giano (fig 5). Vediamo poi
che un altro importante portale di ingresso, la Porta della Pescheria, è stranamente dedicato alle gesta di Artù, e
ancora si vedono Sirene bicaudate e molte altre figure e scene legate al Bestiario ed alla favolistica ma anche
originali seppure sempre comunque con un sotteso filosofico-religioso. Torneremo su alcune di queste modenesi
figure e sottesi più avanti, nel capitolo su Artù ed oltre, ma sono varie le considerazioni da fare su questo importante
monumento che è una straordinaria testimonianza, ancora molto da vedere, di un cristianesimo filosofico e
"diverso". In esso vediamo infatti che:
- da un lato il fatto che in questo monumento viene dato risalto esclusivamente alle narrazioni antico
testamentarie, di Genesi in particolare a partire dalla creazione di Adamo fino al Diluvio, ed ai Profeti tutti
raffigurati, con i relativi nomi, nella parte interna degli stipiti del portale di ingresso. Nessun episodio tratto dal
Nuovo testamento è invece raffigurato e questo a sottolineare come il messaggio di Gesù venisse visto totalmente
interno ad un Antico Testamento che chiaramente andava giustamente letto e compreso.
- una importante lastra è posta a lato dell'ingresso principale: essa è dedicata al Duomo, ne indica la data di
inizio della costruzione e sottolinea la grande importanza del monumento celebrando lo scultore Wiligelmo. Ora la
lapide con queste iscrizioni è tenuta da Enoch ed Elia: ci viene così detto che è sotto gli insegnamenti di queste due
figure, oggi poco o nulla seguite, che si è sviluppata la conoscenza filosofico religiosa della comunità che ha voluto
e realizzato questa Cattedrale. E' nella lettura della Torah cui invita Enoch ed è grazie alla "resurrezione in vita" di
cui dice la messianica figura di Elia con i suoi <..quaranta giorni e notti..> passati, come Gesù, nel deserto, che
questo monumento si capisce.
- la grande quantità disseminata un poco ovunque di esseri mostruosi spesso in lotta con uomini, ci dice di
quella visione apocalittica del cammino umano di cui dicono la Torah, Enoch e Profeti come pure Gesù che dichiara
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dodicesima parte
"necessarie" guerre e disastri e Giovanni con la sua Apocalisse. E' sempre sul Portale di ingresso principale che
troviamo così figurato questo "necessario" cammino-lotta che arriverà a portare l'uomo e l'umanità al divino.
Lungo gli stipiti e sull'archivolto di quel portale ad esprimere questo troviamo uomini in lotta con animali ed esseri
mostruosi, ma alla fine di questo personale ed universale accadere, ai lati del Giano-Cristo di cui abbiamo detto, si
vedono sia a destra che a sinistra due vecchi che ad esso, a quella condizione divina di Figlio, stancamente e stremati
arrivano a portarsi. E, verosimilmente, si è voluto così ricordare la Verità delle parole di Gesù sulla necessità, per
l’uomo, di <..rinascere.. da vecchio..>(Gv 3.4,5).
- un'altra cosa che spicca è la straordinaria presenza figurazioni scultoree che mostrano "duplici e/o
complementari figure". Con questo con evidenza si è voluto dire di quella doppia natura dell'Essere, il maschiofemmina o yang-yin, che deve essere vista e tenuta in equilibrio. Sono duplici figurazioni che in quel periodo si
vedono anche in altre Chiese e Pievi ma qui una di esse spicca, forse unica. E' la cosiddetta Potta, una figura
femminea dotata di evidenti attributi maschili: un perfetto maschio-femmina, figura del divino, di Jhwh.
Confermano questa lettura i due pannelli posti, in modo importante, sul protiro del portale di ingresso. Il primo
mostra un Cervo, chiara figura cristica, che ha un doppio corpo ed una sola testa (fig.6): ci viene così detto che è con
la comprensione ed equilibrio di quella doppia forza-natura che ci si porta alla condizione di Figlio-Cristo-Unto che
si abbevera, dice la figura, alle acque di Vita. Il secondo pannello, posto al lato opposto, ci mostra due leoni,
maschio e femmina, che mentre armonicamente si guardano sono assaliti da enormi serpenti: simbolo evidente della
difficile lotta che quella filosofica armonia divina deve combattere perché possa essere.
Anche la figura di Gesù che, come detto, è stata posta in un secondo tempo sulla facciata del duomo vede questo
insegnamento di duplicità : Gesù infatti è figurato nella “mandorla” e questo, con il doppio e contrapposto segno che
la disegna, dice di un Gesù come esempio di “grazia-finale destinazione” che è condizione che vede, appunto,
armonizzati i citati opposti, il maschio-femmina che è anche spirito-materia.
- nel contesto qui accennato di questo monumento non si possono poi non notare con occhi quantomeno
interroganti, i pannelli posti sul frontale che riportano gli evangelisti, ma "simbolicamente" figurati. Le figure le
conosciamo, Uomo alato, Aquila, Bue alato e Leone alato, ma qui più che da altre parti ci si chiede il perché di quei
simboli della cui genesi poco sappiamo e che, piuttosto chiaramente, intendono mettere in preminenza i primi due,
rispettivamente Matteo e Giovanni.
- anche in questo monumento troviamo poi il simbolo della Sirena bicaudata. Figura diffusissima in Chiese e
Pievi cristiane dei secoli X-XII, è questa una importantissima figura che dice anch'essa del "diverso e filosofico"
cristianesimo. Di essa tratteremo più avanti in un capitolo a sé.
Bari :
Anche a Bari, e nello stesso periodo storico, la vicenda sopra ricordata della nascita del Duomo di Modena si vede e
si ripete, molto simile. Ed anche a Bari si vede lo stesso "diverso" cristianesimo : nella Basilica di S. Nicola infatti,
la cui Porta dei Leoni ci mostra quasi identicamente a come è fatto a Modena il mito di Artù, non si trovano
immagini di Gesù.
Come a Modena anche qui al centro del Portale di ingresso principale della Basilica non troviamo Gesù ma un altro
"Salvatore". Qui anziché Giano rappresenta quella Forza divina e condizione umana il pagano " Sol Invictus",
l'orientale "Sole vincitore sulle Tenebre-Male", la pagano-filosofica immagine del Salvatore-Logos.
Anche la storia dei due monumenti, quello modenese e questo di Bari, si assomigliano. Anche la Basilica di S.
Nicola è nata per volere della cittadinanza e contro il vescovo Ursone, di nomina romana, che arrogava a sé le
reliquie del Santo: a dirimere la disputa provvide l’abate benedettino Elia che, incaricato della edificazione, la volle
decorata unicamente con le immagini e figure di cui sopra detto.
Otranto:
La cattedrale di Otranto ci offre un'altra grandissima testimonianza di quel "diverso e filosofico" cristianesimo qui
visto. Questa straordinaria opera richiede però uno spazio superiore ai brevi accenni qui fatti e ad essa riserviamo
quindi, qui sotto, un capitolo a sé. .
ARTÙ, SAPIENZIALE MITO DI UN "DIVERSO" CRISTIANESIMO
Ancora della stessa allegorica apocalisse-rivelazione della Verità di cui, come abbiamo visto, ha mitologicamente
detto tutto il mondo antico ad iniziare da Ittiti, Sumeri ed Indo-Ari fino alla Grecia con Esiodo ed Omero e, con
questi, il mondo giudaico di Torah e Profeti fino a Gesù e Giovanni, ancora di questo avvenire ed accadere e portarsi
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umano, dicevo, oltre a Dante ed Ariosto e di nuovo come sempre in modo leggendario-allegorico, diranno molte, se
non tutte, le narrazioni del cosiddetto Ciclo Bretone: i miti-racconti legati alla figura di Re Artù.
Ne dirò qui riprendendo anche, per la parte storica, un ottimo riassunto di Marco Fulvio Barozzi, “Artù in Italia”,
lavoro messo in rete all'indirizzo “https://medium.com/@popinga”.
Lo scritto mitologico antico, che è come detto e visto poesia o prosa sapienziale che ha veste e forma di raccontoleggenda e che spesso si allaccia e riprende qualche episodio realmente accaduto, è sempre uno scritto allegoricosapienziale che parla e rivela il Vero, una Verità e Sapienza raramente oggi vista e compresa.
Sono testi-racconti tutti, comprese le Scritture giudaiche, che nascono in quella forma da un lato perché essi
andavano a parlare e dire di un difficile Vero ad un pubblico non specificamente e debitamente preparato alla sua
comprensione, ma dall'altro anche perché si vedeva una ineludibilità, in quel tragico accadere, che rendeva
disarmato ogni suo dirne. Del Vero infatti, abbiamo visto, sempre ovunque e fermamente si riteneva che si dovesse
parlarne in modo aperto solo con chi “già sapeva”, solo a chi era già pronto e sulla strada della sua comprensione.
Assieme a questa principale motivazione vi era poi certamente anche quella della difficoltà di dirne in altro modo:
non è facile infatti trovare le parole che possono dire ed esprimere il Vero senza confondere, parole spesso
necessariamente in apparenza contraddittorie.
Con gli scritti allegorico sapienziali che nascono nel mondo occidentale a partire dal 1000 dC e quindi lontani dalle
suddette antichità, ovvero con scritti quali i miti-racconti su Re Artù, attestato appunto a partire dal 1000, o come
poi la Commedia di Dante ma non solo, la scelta della formula mitologica, allegorico-leggendaria per dire del Vero
sarà invece, anche se non soprattutto, dettata dalla necessità di evitare la violenta reazione di una Chiesa Cristiana
che, in quei testi ed in quei racconti, era spesso la principale indiziata ed accusata. Per il suo comportamento ed
anche per il suo insegnamento essa era infatti spesso vista quale espressione dell'Errore stesso, era sostanzialmente
accusata di essere una Anti-Cristica istituzione-organizzazione e di non insegnare più il Vero.
Una violenta repressione che la Cristianità con la Inquisizione per secoli opererà non risparmiando chi in modo
aperto esprimeva pensieri e si poneva fuori dal suo credo ed istituzione. Così è stato per tante personalità e come non
ricordare qui Cecco d'Ascoli, l'amico di Dante che disapprovava il suo dire segreto, il suo dire <...sotto l'velame de
li versi strani..>(Inf IX,63); uno “scrivere favole” dirà Cecco ritenendo sbagliato il non essere espliciti come egli fu.
Ma il 16 Settembre del 1327 per la sua franchezza egli fu messo al rogo, a Firenze. E similmente è stato per quel
movimento e Chiesa, quella Catara di cui abbiamo detto, che centrato nella Provenza Francese ma rapidamente e
largamente sviluppatosi anche in Italia è sorto proprio attorno al 1000, ed ha portato avanti un forte e radicale
allontanamento dai costumi e dagli insegnamenti della Chiesa cattolico-romana.
Parallelamente a questo movimento, nello stesso periodo che vede nascere i Catari, un'altra forte contestazione nei
confronti della Chiesa romana, che ha visto aspetti simili a quella catara ma che non avrà il carattere scismatico che
il catarismo ha avuto, nascerà nel nord della Francia e lungo il Reno nei territori che, in quegli stessi anni, vedranno
nascere il Ciclo bretone-arturiano. È stato un movimento di contestazione interno alla Chiesa, e che quindi
riconosceva ad essa una legittimità ed una funzione non solo storica, che sarà portato avanti in particolare e con
forza e determinazione da Bernardo di Clairvaux, il Bernardo che Dante dichiarerà essere stato suo terzo
accompagnatore, prima del finale aiuto avuta da Maria, nel “viaggio” che egli descrive nella Commedia.
La figura di Bernardo, nato nel 1090, figlio di un vassallo del duca di Borgogna e monaco cistercense alla età di 21
anni, è quella di un uomo con una grandissima forza e personalità. Grande predicatore, egli già alla età di 25 anni
assieme a dodici compagni tra i quali quattro fratelli, uno zio ed un cugino, fonda il primo monastero, di cui sarà
abate, monastero al quale ne seguiranno presto circa 60 altri. Contrariamente ai Catari, che videvano impossibile il
recupero della Chiesa allo spirito ed alla visione teologica dei primi apostoli, Bernardo confidando invece in un suo
riscatto restò sempre interno alla istituzione romana.
Figura discutibile sulla quale torneremo Bernardo, inviato in missione nei territori Catari per correggerli e riportarli
sotto la Chiesa romana, riconobbe che questa era gente di semplice e devota religiosità, guidata da sacerdoti ispirati:
<..non vi sono sermoni di più profonda spiritualità..> arrivò a scrivere, nonostante deplorasse le loro “chiese
abbandonate” ovvero il loro allontanamento dalla Chiesa Romana e, in particolare, condannasse la posizione che il
movimento aveva rispetto ai sacramenti tutti e della istituzione del matrimonio.
Piuttosto affini se non nella prassi almeno su alcuni aspetti teologici, il catarismo al Sud della Francia ed il più
sotterraneo ma non residuale movimento mistico che in modo incerto viveva nel Nord, dalla Bretagna alla
Champagne ed alla valle del Reno, finiranno col dare vita contemporaneamente a due filoni, l'uno di “poesia”, coi
Trovatori, e l'altro di “prosa”, con i racconti su Artù, che con allegorie diverse, segretamente e con angoli di visione
e profondità di trattazione diversi, entrambi celebreranno lo stesso tema, quello della:
“anima personale-universale, persa e da ritrovare”.
A Sud i territori di origine del catarismo tratteranno quel tema, prevalentemente in una lettura più personale ed
indirizzata al singolo uomo, con la poesia dei Trovatori, i poeti e narratori provenzali che nel panorama italiano
ispireranno Dante ed il cosiddetto “Dolce Stilnovo”.
Al Nord invece sarà in particolare uno stretto parente di Bernardo di Clairvaux-Chiaravalle, sarà Chrétien de Troyes
vissuto anch'egli nei territori della Champagne e più giovane di Bernardo di 45 anni, che diffonderà quel tema.
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dodicesima parte
Sarà grazie a questi, grazie in particolare al suo “Lancillotto” o “Il Cavaliere della Carretta” scritto intorno al 1173,
che quel tema, qui trattato in prosa e con una lettura ed approccio più universalistico e filosofico rispetto alla poesia
dei Trovatori, si diffonderà con grande eco dando vita al cosiddetto Ciclo arturiano.
Ma come vedremo quel mito, e tema, già prima di Chrétien de Troyes nei territori bretoni era, almeno oralmente,
sviluppato e diffuso e quindi teologicamente compreso. Ed echi e testimonianze di queste primissime trattazioni
sono certamente riscontrabili, vedremo, a Modena certamente ma anche a Bari ed Otranto ma non solo.
Il tema allegorico, sviluppato in modo e con angolature e profondità diverse e varie sia dal Dolce Stilnovo che dal
Ciclo arturiano, è lo stesso ed ha al centro la “bellissima”, la donna o la sposa del Re, che è figura dell'anima,
individuale ed universale al contempo, persa, rapita o dimenticata e da ritrovare o liberare.
Nel “Dolce Stilnovo” essa è la “bellissima donna, divina anima personale” dall'uomo “persa-dimenticata” che deve
essere “ritrovata, contemplata seguita ed amata”, è Beatrice ovvero ciò che rende l'uomo Beato.
“Anima personale”, quella sulla quale è posto l'accento nella poesia stilnovista, che come sempre è legata e che
deve essere portata infine alla visione e fusione con quella universale.
Nel più approfondito, impersonale e filosofico, oltre che vario, Ciclo Bretone di Artù invece, essa è la “bellissima e
divina Sposa del Re-Divino, anima universale”, sempre comunque legata a quella personale, che rapita, tenuta
prigioniera e resa inoperante da un Errore-Maligno, deve essere “liberata e riconsegnata alla sua funzione” di
generazione dei Figli del divino. Sempre poi, queste narrazioni, terminano con la previsione della definitiva
chiusura, anche se vista in modi differenti, di ciò che, Errore, ha portato a quell'allontanamento.
Lancillotto o Galvano e altri sono, nelle ultime elaborazioni e/o versioni del vasto Ciclo arturiano, gli “invincibili e
vittoriosi Salvatori” della Sposa del Re, Ginevra: sono allegoria della “grande ed invincibile forza salvatrice”, di
cui dicono le Scritture come tanta altra letteratura cosiddetta pagana. Sono allegoria di ciò che aiuterà e/o porterà a
compimento, con il divino di cui è maggiormente immagine il Re Artù, la lotta per la liberazione della Immacolata
Sposa-Anima universale ovvero, con una diversa allegoria, che porterà al ritrovamento di un “ Graal” che è il “Vero
insegnamento di Gesù”: ciò che porta alla stessa liberazione e condizione.
Il nome Ginevra, la Sposa del Re, vuole ricordato che deriva infatti dal gallese Gwenhwyfar che letteralmente è
“Anima bianca”: è la “Immacolata” ovvero quella “verginità”, Anima Sposa divina a tutti presente, Ruah-Vento
Santa -dalla e nella- quale nascono i Figli: i Beati che nascono quando si rivede-contempla la poi identica ed
ugualmente “bellissima” Beat-rice di Dante ovvero la “donna” dei Trovatori e dei poeti tutti del Dolce Stilnovo.
La poesia dei Trovatori quindi, assieme al Dolce Stilnovo e Dante da un lato e la prosa mitologico-sapienziale dei
testi del Ciclo arturiano dall'altra, hanno tutti natura filosofico-religiosa, sapienziale.
Anche nel Ciclo Bretone-arturiano naturalmente, come spesso avviene nei racconti mitologici-allegorico-sapienziali
quali ad esempio l'Iliade o la Genesi e l'Esodo, si possono trovare richiami e collegamenti ad una o più vicende
storiche, a fatti reali come per i testi citati sono stati: la guerra di Troia, la deportazione babilonese, l'esodo
dall'Egitto.
Questo richiamo e legame è fatto anche, seppur forse non solo, con l'intento di mostrare quella fusione tra il reale e
l'archetipale che porta, insegna Origene per la Torah, alla più profonda comprensione-conoscenza-gnosi del Vero,
porta alla visione di un divino che è Legge e Forza che regola e che tocca e comprende l'uomo e la natura.
Nel Ciclo Bretone il richiamo al reale è fatto, fuori però da questo intento, allacciandosi ad un Artù protagonista di
un racconto-leggenda-mito, di origine celtico britannica, che sembra avere natura “storica”: dico -sembra- poiché già
nelle prime testimonianze scritte quel racconto-leggenda vede allargamenti ad un “fantastico-magico”, di difficile
decifrazione, che certamente esula da ogni reale-storico. In questi primi scritti Artù, che tra l'altro sembra accertato
non essere un nome proprio ma un titolo-soprannome che etimologicamente richiama l'“orso” e quindi nome-parola
che essenzialmente dice di una “grande ed invincibile forza”, è un valoroso guerriero, un capo britannico che nel
V/VI secolo “salva il suo popolo”.
Questo racconto e questa mitica figura si presenteranno ideali per dire in allegoria della “grande ed invincibile forza
che salva”, la Sposa-Anima divina o il Graal di cui dice ciò che noi oggi più propriamente chiamiamo Ciclo Bretone
o Arturiano.
Si presenteranno ideali, quel racconto e figura, per dire del Figlio-Sapienza-Salvatore e della lotta apocalittica che
questa Forza arriverà a compiere contro la Ingiustizia-Separazione-Errore.
Le prime testimonianze scritte della storia leggenda di Artù, mito che come detto si rifà a vicende storiche
britanniche del V/VI sec, sono almeno due: la Historia Brittonnum ed Annales Cambriae rispettivamente databili
al IX e del X secolo. In entrambi i testi Artù è un capo guerriero, un <..dux bellorum..>, che combatte assieme ai re
dei Britanni e sconfigge gli invasori Anglo-Sassoni, a capo dei quali è Medraut, in una prima battaglia ma poi
entrambi, Artù e Medraut, moriranno in una battaglia successiva.
Poco dopo, nell' XI sec., in un racconto a noi pervenuto grazie ad una sua trascrizione, il Kwlhwch e Olwen del XII
sec., troviamo un primo esulare del mito dal suo carattere storico: il guerriero Artù è affiancato da compagni con
poteri magici che sconfiggono mostri, streghe e giganti ed intraprendono viaggi nell'oltretomba per liberare
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prigionieri o prendere tesori. Certamente qui il mito già si portava al sapienziale, ma con figure molto legate ad un
mondo celtico pagano oggi forse troppo lontano per essere a fondo compreso.
Tra il 1136 ed il 1138 poi, con la Historia Regum Britanniae del chierico gallese Goffredo di Monmouth, primo
scritto che godrà di larga, relativamente ai tempi, diffusione, il tema storico leggendario vedrà l'inserimento sia della
figura di Merlino che quello della magica Isola di Avalon in cui Artù, qui già presentato quale Imperatore, rimasto
ferito nel suo scontro con Mordred ripara per guarire.
É questo il primo scritto in cui chiaramente si vede richiamato il tema di un Artù, figura del Salvatore-Figlio-CristoSapienza, che nella sua lotta per la Giustizia arriva ad eclissarsi e così prepara il suo vittorioso “ritorno”.
Tema-Verità, come visto nelle analisi su “La Ascensione di Isaia”, già approfondito e sviluppato anche nella prima
cristianità. Tema ed accadere però già previsto ed indagato, seppure con qualche differenza, anche fuori dal mondo
giudaico in tutta la antichità come testimonia la figura in tal senso universalmente richiamata della Fenice, figura e
mito che proprio di questo “eclissarsi-morire e ritorno della Sapienza-Salvatrice”, dice. Un evento che però qui,
fuori dal mondo giudaico, è visto come ciclico accadere anziché evento unico.
Al riguardo ricordo che la allegoria ed identificazione Fenice-Sapienza, fatta già in Giobbe che dice <..chi ha
elargito all'Ibis la Sapienza..>(Gb 38.36), vedrà una particolare fortuna proprio in quello stesso periodo storico, nel
Medioevo del X-XIII secolo, con lo svilupparsi dell'interesse per la scienza e conoscenza alchemica. Della Sapienza
scrive, nel suo “L'Acerba” (III.2), il già citato medico ed alchimista Cecco d'Ascoli :
< .. fu innanzi il tempo e innanzi il ciel sua vista;...(essa) fa beata nostra umanitate / Or questa di fenice tien
simiglia; ...Così costei, che alterna al tempo muore / per la grifagna gente oscura e cieca,…. con dolce fuoco
l'ignoranza spreca / e torna al mondo per l'eccelse rote. / La guida delli cieli la conduce / nell'alma che è
disposta per sua luce...>.
Degno di nota e da ricordare, nel lungo elenco dei multiformi racconti-miti arturiani, è un testo agiografico scritto in
latino dal benedettino Caradoc di Llancarvan nello stesso periodo di inizi del XII sec., il “Vita Gildae” : qui
troviamo un interessante episodio che, con il santo Gildae, ci mostra quale protagonista un Artù che, per la prima
volta, viene detto Re. È un episodio che alcuni mettono in rapporto con il più tardo “Lancillotto” di Chrétien de
Troyes ma vuole piuttosto notato che esso, assieme alle immagini su Re Artù della Porta della Pescheria del Duomo
di Modena, ci testimonia come già nel 1100 era diffuso e degno di considerazione e credito l'utilizzo allegorico, nel
religioso-filosofico senso sopra detto, del tema arturiano. Anche in questo episodio la lunga battaglia tra Maelvas,
rapitore di Guennavar (Ginevra) sposa di Artù, e lo stesso Artù terminerà, come sempre nel mito, con la liberazione
della Sposa ma a questo fatto non segue qui la consueta distruzione del Maelvas-forza maligna ma, grazie
all'intervento del santo Gildae, si avrà invece il suo recupero ed il suo reintegro in una armonica pace. Questo
diverso finale, particolarmente interessante e teologicamente importante, ritornerà poi, in seguito, in altri scritti
arturiani.
Il tema principale e centrale del cosiddetto Ciclo arturiano, tema che si lega e sorge nella più profonda comprensione
della Apocalisse di Giovanni e della letteratura antico testamentaria cui questa si allaccia, il tema allegorico che
Chrétien de Troyes tra il 1160-1190 svilupperà nei suoi scritti, è, come detto, il tema della “bellissima”, della
“donna-sposa”, “anima personale ed universale”, che è rapita-trattenuta-resa inoperante da un Errore, il malvagio,
che dopo una dura lotta con lui ingaggiata da forze di Salvezza, sarà infine sconfitto ed annullato.
Assieme a questo tema centrale e primario, nel Ciclo arturiano troviamo poi, similmente a quanto avviene per la
poesia stilnovistica, la messa in risalto della Nobiltà, dei valori del Giusto-Coraggioso ovvero di quella condizione
umana che con la giustizia vede la forza ed il coraggio necessari a quella lotta di “salvezza”: i valori dei guerriericavalieri che sono al servizio del Re ovvero del divino. Sono valori-capacità-caratteristiche che sono necessari a
quel cammino ed a quella necessaria lotta di liberazione-salvezza, personale ma al contempo universale, di cui dice
il Ciclo arturiano.
Vuole poi infine ricordato che a fianco del tema-allegoria “centrale” della “bellissima” da salvare, e come peraltro
sempre avviene nei testi mitico sapienziali, i vari racconti del Ciclo arturiano vedono nascere, nello svilupparsi del
tema stesso, anche altre allegorie riguardanti aspetti specifici di quell'accadere e tema.
Tra questi uno dei principali è certamente l'aspetto-racconto-tema ed allegoria del Graal, la coppa-anima dell'uomo
Gesù ovvero quei suoi veri insegnamenti e Sapienza che da ciascuno e da tutti devono essere ritrovati. Compito che,
ci è detto con un altro aspetto-tema-allegoria di cui per primo dirà nel suo “Roman de Brut” del 1155 il poeta
normanno Robert Wace, necessita di -tutti- i “dodici” cavalieri-combattenti della Tavola Rotonda, necessita della
universalità cosmogonica di cui dicono pure i discepoli di Gesù o le tribù di IsaraEl e non solo.
Oltre a questi temi-aspetti, e a molte altre allegorie sottostanti allo svolgersi dei racconti, sempre nello stesso
periodo, e sviluppato in particolare da Robert de Boron (vissuto tra il XII ed il XIII sec) nella sua “Suite de Merlin”,
verrà trattato anche l'importante tema-aspetto-allegoria della Bestia distruttrice, tema ripreso anche questo dalla
Apocalisse di Giovanni ma anche dal testo profetico di Daniele, il testo che Gesù, ricordo, ci ha “pregato di capire” e
testo al quale Giovanni sappiamo si lega con il suo scritto.
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Temi tutti, la Bestia distruttrice ed il Salvatore come pure la Bellissima donna-anima da ritrovare, sviluppati da
Dante come abbiamo visto in quel “viaggio filosofico” che è la Commedia.
Che il Ciclo arturiano abbia quella natura sapienziale-religiosa qui accennata, è fisicamente testimoniato in primis
dal suo inserimento iconografico nelle cattedrali di Modena, di Bari e di Otranto: solo in questa visione ed ottica si
motiva e si giustifica l'inserimento, peraltro in posizioni di grandissimo rilievo, in tali importantissime Chiese, in
queste “cattedrali” Cristiano-Cattoliche. Sono queste testimonianze forti di un tema, religioso-sapienziale, che in
quelle Chiese Cattedrali come tale è stato voluto, fissato e posto in evidenza proprio in quel XII secolo in cui si sono
sviluppate le "Luci" sopra ricordate. Analizzeremo ora queste iconografie fermandoci in particolare sulle
testimonianze di Modena e di Otranto.
Artù a Modena e Bari
Realizzata tra il 1110 ed il 1120 circa, il pannello arturiano della ricchissima Porta della Pescheria del Duomo di
Modena è anteriore al primo importante scritto di quello che oggi intendiamo per Ciclo Arturiano. E' anteriore allo
scritto, datato al 1136-1138, del chierico Goffredo di Monmouth e, ci dicono con larga certezza le iscrizioni che
identificano i vari protagonisti, la fonte che ha ispirato, in cui nasce o cui si affianca questa importantissima opera
modenese, è un racconto-mito bretone che, verosimilmente allora trasmesso solo oralmente, si può dire sia stato il
principale precursore dell'attuale Ciclo Bretone Arturiano.
Un racconto-mito già però con evidenza ben consolidato ed affermato oltre che degno di grande fede ed osservanza
vista l'importanza che qui con questo lavoro, ma non solo qui come detto, gli sarà attribuita. Un racconto-mito di cui
si trova traccia “scritta” solo molto tempo dopo: la si trova infatti in uno degli episodi del Durmart Li Galois,
un'opera anonima francese del XIII secolo. Un episodio e racconto molto fedele all'opera modenese e quindi certo
altamente fedele al racconto che ha ispirato l'opera modenese: è solamente qui che troviamo come protagonisti tutti
i personaggi del portale di Modena, un portale che come detto è degli inizi del XII secolo. I protagonisti a Modena
sono : Winlogee; Artus de Bretania, Isdernus, Galvaginus, Galvariun, Che; Mardoc, Burmaltus, Corrado;
Riportando il citato Marco Fulvio Barozzi ecco quanto è in quel racconto con tra parentesi i relativi nomi modenesi:
<< Ginevra ( Winlogee) è rapita da un cavaliere gigante chiamato Carados (Corrado) che la conduce nella Torre
Dolorosa. Qui la consegna a Mardoc, innamorato da tempo della donna… il quale non può abbandonare la fortezza
in cui vive. Artù (Artus de Bretania), in compagnia di Kay (Che), Yder (Isdernus) e Galvano (Galvaginus), si lancia
all'inseguimento del rapitore e giunge alla Torre Dolorosa. La fortezza è difesa dal gigante Burmalt (Burmaltus),
che è descritto come una specie di Ercole dai capelli irsuti. Artù e i suoi cavalieri non riescono a penetrare nel
castello, ma interviene una donna, che era stata in precedenza rapita da Carados per Mardoc, la quale dona a
Galvano una spada magica, la sola arma che può uccidere il gigante. Alla fine Galvano uccide Carados, così i
compagni di Artù possono irrompere nella fortezza e saccheggiarla. Mardoc viene risparmiato perché acconsente a
rendere Ginevra ad Artù >>
In parallelo a tutto ciò l'archivolto del Duomo modenese ci mostra al centro della scena il castello-illusione-Torre
Dolorosa, la fonte di dolori per l'uomo, la condizione in cui vive ed unicamente può vivere, apparenza ed illusione,
l'Errore-Mardoc che chiude all'uomo la Sposa-Anima universale-Ginevra. Non può uscire da quella Torre-illusionefonte di dolori l'Errore-Mardoc, ci dice il racconto del Durmart: unicamente chiuso in tale condizione può vivere ed
esistere, ma così trattiene Ginevra, l'Anima-Immacolata-Vergine la quale è così impedita alla sua opera di stimolo
alla con-versione cambio di mentalità, l'opera di generazione di un uomo Figlio, Sapienza divina.
Sulla sinistra del castello troviamo Artus de Bretania: è un cavaliere armato con lancia e gonfalone segno di nobiltà
ed è così figurata la “divina-nobile” Forza che è legata alla Sposa-Anima rapita-resa inattiva, la invincibile Forza
che si porterà, aiutata, a combattere per quella liberazione. Un Artù-Forza che, qui mostrato assistito da due forzecavalieri, Isdernus uno e l'altro “senza nome”, affronta l'autore del rapimento, Burmaltus, il gigante-villico figura
della materialità, ciò che al soldo di Mardoc-Errore allontana dall'uomo la Sposa.
Sulla destra difende il castello-illusione un cavaliere armato, verosimilmente il potere-forza temporale e fisico che
serve Mardoc-Errore e lo protegge, affronta assieme Galvaginus che è seguito da Galvariun e Che.
Difficile naturalmente fare ipotesi precise sugli allegorici significati dei personaggi che si affiancano ai principali
ovvero ad Artù, Mardoc e Ginevra: significati che possono a volte nascere piuttosto da o negli episodi della
narrazione che li vedono coinvolti.
Il bassorilievo modenese rappresenta quindi in sintesi il “tema centrale” arturiano, il tema della lotta di liberazione
dell'Anima universale che, nel Nuovo T., con particolare forza è trattato dalla Apocalisse di Giovanni.
Manca nel pannello modenese, e non poteva forse essere diversamente, il finale. Un finale che nel Ciclo Bretone è
variamente visto e descritto ma che il citato racconto del Durmart Li Galois, come pure il Vita Gildae, vedono
chiudersi in un positivo recupero di Mardoc-Malveas-Errore, sulla scia di quanto peraltro insegnava Origene.
Il tema arturiano, tema filosofico-religioso, tema sapienziale, oltre che a Modena come detto è raffigurato, ripreso e
riproposto quasi identicamente, con lo stesso spirito ed intento oltre che negli stessi anni se non appena prima, nella
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Duomo di Modena: Porta della Pescheria
Otranto, mosaico pavimentale del Duomo, scena con Re Artù.
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importante Basilica di S.Nicola di Bari edificata tra il 1087 ed il 1100, nella sua ricca Porta dei Leoni. Mancano qui i
nomi ma è indiscutibile che il pannello riporti l'episodio arturiano, ed anche la grandissima importanza che ad esso è
stata volutamente data sottolinea il suo aspetto religioso, filosofico-religioso.
Ma più tardi, tra il 1163 ed il 1165, Artù sarà inserito anche, in un modo molto inconsueto ma estremamente
interessante e significativo, nel monumentale e poco risolto mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, opera
del monaco Pantaleone alla quale ora accenneremo.
Artù ad Otranto
Pantaleone è stato monaco basiliano presso il monastero di San Nicola a Casole, località a pochi chilometri a sud di
Otranto, un monastero che nel XII sec. era un importantissimo e riconosciuto centro di studi e conoscenza della
cultura filosofica greco-bizantina oltre che del cristianesimo, orientale in particolare. Un monastero con una
biblioteca tra le più ricche d'Europa alla quale si indirizzavano per studiare o attingevi copie di opere, esponenti
della cultura sia laica che religiosa. Persona di grandi ed evidentemente riconosciuti carisma ed erudizione,
Pantaleone è stato incaricato dal Vescovo di Otranto dello studio e della realizzazione dell'imponente mosaico
pavimentale della sua Cattedrale e questi ne farà un'opera sapienziale che, assieme al Duomo di Modena e ad alcune
altre Chiese del periodo romanico, è un'opera che esprime e dice di un Cristianesimo lontano da quello odierno,
paolino-farisaico.
Pantaleone realizzerà ad Otranto un grandissimo plurimo mosaico che, meravigliando chi non lo capisce, non riporta
alcuna raffigurazione di Gesù e vede invece inseriti, nel tripudio di favoloso bestiario, molte immagini di miti pagani
allegorico-sapienziali assieme alcuni salienti episodi antico testamentari.
Ed è a fianco di queste, inserita in una finale problematica “grande scena”, che Pantaleone ha in modo molto
inconsueto figurato Artù.
L'Artù che mostra Pantaleone, pur restando nel solco rivelatorio-apocalittico che si trova in tutti i racconti-miti
arturiani, non riprende il tema allegorico, sempre centrale nel Ciclo Arturiano, del "Re e della bellissima SposaAnima universale ed individuale rapita da Mardoc-Errore e da liberare". Il tema qui mostrato è unicamente quello
della “lotta di un Artù-Giustizia-Bene contro una Bestia-Errore-Male", tema quindi che resta implicito a quello del
Ciclo. Ed è una lotta che, sembra dirci pantaleone, è portata avanti da un Artù-Giustizia alle cui file è unito l'umile
monachesimo che egli conosce: Artù veste infatti un saio come pure il personaggio che, a lui vicino, lo affianca in
quella lotta.
La originalissima figurazione che Pantaleone ci dona di Artù, da lui mostratoci a cavallo di un grosso capro e,
assieme ad un compagno, in dura e sanguinosa lotta con un Male-Errore espresso in un grosso felino maculato, apre
vari ed ancora poco risolti interrogativi.
Anzitutto vuole detto che poco o nulla rileva il fatto, oggi messo in dubbio, che siano originali la corona regale che
porta Artù e la scritta “Rex” che è al suo fianco. Sono, questi, particolari che non condizionano la analisi di quella
figurazione.
Quale prima considerazione non si può non notare come questa figura ricordi da vicino un testo, il “ Suite du
Merlin” o “Seguito del Merlino”, che vede al suo interno l'episodio del cosiddetto “Gatto di Losanna”: una bestia
che un “pescatore” trova nelle “acque” del lago omonimo arriva a crescere a dismisura provocando terribili
devastazioni. Re Artù dopo un epico combattimento, la ucciderà.
Questo episodio però sembra testimoniato solo al 1210-1230 e quindi più tardi rispetto all'opera di Pantaleone che
ricordo è del 1163-1165 ed è quindi difficile dimostrare un diretto legame tra quel testo ed il mosaico.
Ma, comunque sia, ciò che si deve vedere è che nel rifarsi come tutto il Ciclo arturiano alla apocalittica in generale
ed a Giovanni e Daniele in particolare. Entrambi, l'opera otrantina e l'episodio del Gatto di Losanna, privilegiano e
propongono il tema della “Bestia che distrugge” piuttosto che a quello, pur ad esso implicitamente legato, della
“prigionia-inoperatività-isolamento" della “bellissima-Anima” da liberare, della “Donna vestita di Sole” giovannea.
Anche l'Artù di Pantaleone quindi dice, come tutti i racconti su questa figura, della “grande forza” che combatterà
l'Errore che dilania e distrugge l'uomo. La “grande forza” che lotta per la “apocatastasi della umanità”, per il
rinnovamento che è ritrovamento-liberazione di un'Anima, personale ed universale al contempo, chiusa e prigioniera
da quella forza Errore. E la figurazione di Pantaleone dice di tutto ciò nel modo più essenziale ed anche più
originario: essa si lega direttamente alle più nascoste ma pulite visioni di Daniele, quelle visioni riprese e sviluppate
da Giovanni che in queste righe abbiamo analizzato. Anche nel capitolo de “La ascensione di Isaia”.
Ma vediamo meglio la interessantissima e personalissima rappresentazione del mito-sapienza arturiano che è fatta da
Pantaleone.
Artù come detto è mostrato mentre, vestito di un saio, cavalca un caprone e lotta contro una Bestia, maculata, che a
fianco ci viene mostrata contemporaneamente intenta a sopraffare ed uccidere una seconda figura umana vestita con
saio come Artù. Un’ultima figura umana, nuda, osserva dall’alto la scena con una chiara espressione di "sconvolto
orrore". Ora, con riferimento alla seconda figura, quella che viene sopraffatta e che sembra essere uccisa dalla
Bestia, non si deve vedere, come a volte avviene, che essa sia lo stesso Artù mostrato soccombente: questa figura
vuole invece mostrare e dire che quella devastante e necessaria-fatale lotta vedrà la morte di molti di coloro che sono
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vicini e simili a quella Forza-Artù-Umiltà. E, da un lato quei due sai che Pantaleone ci mostra e dall’altro il fatto
che non vi sono spade brandite in quella lotta, fa dire che egli abbia voluto affermare che quella Forza salvatrice,
forza Umile, sulla terra è di chi ha la conoscenza-sapienza del monachesimo che egli vive, che conosce ed a cui
appartiene: il monachesimo “sapiente e mistico” che era ed è antitetico agli insegnamenti della Chiesa istituzione
paolina.
È grande e terribile quella lotta, lo è al punto di causare orrore tra le beate sfere celesti, ci dice Pantaleone con la
figura “beata-edenica”, nuda-innocente, che dall'alto osserva sconvolta quanto accade. Ma lo sbigottito orrore di
quella figura celeste oltre che il ribrezzo per quella sanguinosa lotta vuole forse sottolineare anche altro: la
meraviglia per ciò che è cavalcato-usato da parte della Forza-Artù, un caprone, chiaro simbolo demoniaco.
Meraviglia infatti vedere che in quella lotta la Forza-Artù userà-cavalcherà proprio la diabolica forza, il diavolosaparazione-fariseismo, che fonda l’Errore-Bestia che egli vuole uccidere-chiudere.
Meraviglia, finché non lo si capisce, vedere che Artù-Giustizia sfrutterà ed userà, cavalcandolo e quindi
legittimandolo per meglio mostrarne e farne capire le conseguenze, lo stesso Errore da lui combattuto: ma è così,
però, che quell'Errore finirà per chiudersi. Accadere e Verità, questa, che il “sapiente” Pantaleone conosce-vede
bene nelle Scritture come nella letteratura pagana. Profondo conoscitore, ci dice la sua opera, di miti-allegorie del
paganesimo greco come pure della letteratura apocalittica tutta e non solo giudaica, con quel capro-demone
cavalcato-usato da Artù-Giustizia, Pantaleone ha voluto dire ciò che era detto da Zaccaria con la sua immagine di
una "stoltezza pastorale" aiutata e incrementata da Jhwh. Ciò, anche, che era detto dal giudeo-cristianesimo che ha
prodotto il testo de “La Ascensione di Isaia” come pure, in Grecia, era ciò era detto con il mito-racconto della
Guerra di Troia: il portarsi segretamente tra le file nemiche per poterle distruggere.
Questa lettura del pannello arturiano di Pantaleone è rafforzata da una figura scolpita che si trova a Modena, nella
torre campanaria del Duomo, nella Ghirlandina. Una figurazione che trova spiegazione solo in questo contesto
esegetico. Questo pannello scultoreo, per il quale gli esperti pur senza precise spiegazioni ed approfondimenti
segnalano la vicinanza all’opera di Pantaleone, è un’opera che nasce negli stessi anni del mosaico di Otranto e
mostra una figura d’uomo che “cavalcando un capro, lo uccide”. Difficile non vedere, con la lettura qui fatta del
lavoro di Pantaleone, la totale sintonia di messaggio, di insegnamento e testimonianza, che queste due opere hanno
inteso lasciarci.
LA SIRENA BICAUDATA
La sirena bicaudata, o bifida, la figura di donna con una doppia coda di pesce da lei saldamente tenuta in alto con le
mani, è certamente il più frequente, oltre che incompreso, simbolo che nel medioevo romanico tra il X ed il XIII sec.
troviamo inserito su mura e pavimenti di Chiese e Pievi cristiane.
La sua diffusione è vastissima e spazia dalla Irlanda, dove con più frequenza si trova la simile ma diversa "Scheilana-gig", fino a Francia, Spagna, Svizzera e, qui altamente presente, l'Italia dove la si vede a Como, Milano, Pavia,
Lucca, Pienza, Modena, Ravenna, Sovana (Vt), Cerveteri (Roma) e poi, in modo particolare, in tutta la Puglia.
In territorio pugliese infatti si vede a Bitonto (Ba), a Monte S.Angelo (Fg), a Galatina a Bagnolo (Le) e, in ben
quattro chiese, a Lecce città. Elenco, questo, puramente indicativo e certamente incompleto.
Indubbia quindi, si evince da tutto ciò, è la grande importanza e valenza cristiano-religiosa data a quella figura in
quel periodo storico. Ma questa figura-allegoria però la vediamo testimoniata, evidentemente con una pari o simile
valenza, già nel V-IV sec. a.C. in ambito etrusco in una necropoli a Sovana (Gr).
Restando al medioevo quella figura, vuole poi notato, non si trova solo in Chiese e Pievi: seppure molto più
raramente essa la si vede in vari palazzi nobiliari ed anche su qualche stemma, sempre nobiliare. Questo denota,
vedremo come e perché, che quella figura era caricata di un aspetto filosofico, era legata ad una nobiltà intesa quale
condizione dell'uomo, del filosofo socraticamente inteso. Più tarda, del 1555, è la grande statua di Sirena, corpo di
donna e doppia coda di pesce, che si trova a Bomarzo (Vt) nel Parco dei Mostri e citata spesso, erroneamente a mio
avviso, quale figura di Echidna.
Largamente oggi incompresa, generalmente considerata una tra le tante figure di un supposto solo fantastico ed
inspiegato "bestiario medioevale", essa è oggi al più suggerita secondo la lettura che delle Sirene, quelle classiche
con una sola coda, è stata fatta a partire dal 300/400 dai padri della cristianità paolina: al più essa è considerata per
come Ambrogio, assieme a tanti altri, la cita ovvero quale : < ..simbolo della melodiosa lusinga della voluttà. La
voluttà del mondo ci lusinga anch’essa coi diletti della carne..> (U. Rahner- Le sirene di Ulisse).
Ma quella figura dice ben altro, vediamo perché.
La analisi del simbolo qui in esame, quello della sirena bifida, simbolo che manca di compiuti racconti mitologici
che lo contemplino, deve con evidenza rivolgersi e partire da quanto ci è detto per le sue antenate Sirene omeriche.
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dodicesima parte
Sirene queste viste dapprima con solo il volto femminile e con il corpo di uccello e poi, dopo alcune ibridi passaggi,
con il corpo diviso: femminile per la parte superiore e di pesce, con una sola coda, per la parte inferiore.
Su queste prime Sirene vedremo ora cosa si può dire e ricavare per potere, di conseguenza, capire come si può
motivare e spiegare la lettura e l'uso in ambito "religioso-cristiano" della Sirena dalla doppia coda.
Ultima importante nota è poi il fatto che, assieme ad Omero, di Sirene ci parla anche la tradizione giudaica. Ci
informa infatti Rahner nel testo citato, che secondo la versione della Settanta, i cui traduttori rendono il nome
ebraico di una bestia sconosciuta con il greco "seirénes" cioè Sirene, ne dicono Giobbe (30.29), Isaia (13.21,22 ;
34.13 ; 43.20), Michea (1.8), Geremia (50.39). Quel termine, seirénes, in latino viene poi variamente riportato
come "sciacallo o struzzo" ma anche Gerolamo, continua Rahner, traducendo direttamente dall'ebraico Is. 13.22,
legge quel termine come Sirene.
Ora, su tutte queste più antiche Sirene, quelle diciamo di derivazione "omerica" che nella iconografia ci sono
mostrate prima ornitomorfe e poi ittiformi ma sempre con una sola coda di pesce, possiamo vedere e dire che :
- esse ci sono ben testimoniate sui sarcofagi
questo fatto ci mostra una certa vicinanza delle Sirene all'animo umano. Esse sono infatti messe sui sarcofagi ad
indicare un loro importante compito in quel momento di passaggio: esse sembrano accompagnare-seguire il
defunto similmente alla sua anima. Questa similitudine-legame con l'animo umano dalla critica è poco seguita
ma così il loro ruolo nel momento del trapasso, generalmente ben riconosciuto, resta assolutamente inspiegato e
misterioso. Vedremo proseguendo come e perché quella vicinanza può e deve invece essere portata a vera
analogia.
- esse hanno una doppia natura :
in entrambe le forme con cui in antichità sono rappresentate, ornitomorfe ed ittiformi, si mette in evidenza la
costante di una loro doppiezza di natura. Ma tale doppiezza resta pur anche interna ad una unica figura e
pertanto più che dirci di "doppia natura quale origine-essenza" ci dice di una "doppia natura come carattereazione" riportabile e riconducibile ad "una sola natura-origine-essenza". Non sempre considerato a pieno,
questo aspetto è invece piuttosto importante, vedremo più avanti come e perché.
- esse sono variamente attestate nel numero di due o tre, ma in pochi casi anche quattro o sei:
stante ciò è evidente che il dato numerico -in sé- non può essere determinante al nostro intento ma anche non si
può non notare anche qui un possibile richiamo all'anima che, con Socrate, viene vista bipartita, razionale e
concupiscibile, o al più anche tripartita: razionale, concupiscibile e irascibile-animosa.
Significativo è comunque il fatto che anche da questo si evince una pluralità : Omero infatti nel dirne usa un
"duale" che facilmente voleva dire di una generica pluralità.
La conseguenza che quindi si può trarre da ciò è il fatto che sono diverse le "azioni-strumenti-modi" coi quali
quella "forza-sirene" porta l'uomo alla morte di cui dice il mito-insegnamento omerico. Vari modi, azioni e
strumenti di cui dicono, segretamente la lira o la voce o il flauto che ognuna sfrutta ed usa.
Così esse, ci viene variamente detto, "incantano-affascinano" l’uomo : in etimo “seirénes” è appunto questo.
- esse hanno natura divina ma sono legate al terreno-materia:
questo dato è ampiamente riconosciuto dalla critica. Esse sono figlie delle divine Muse ma hanno per padre
Acheloo, fiume figlio di Oceano e Teti, entrambi figli di Urano e Gea-Terra. Forte quindi è il loro legame con la
terra, legame che ci viene confermato anche da Euripide che le definisce <..verginali figlie del mondo
ctonico..>(Euripide, Helena 168ss)
- sono attestate prima ornitomorfe e poi ittiformi:
in questo variare di un aspetto fisico che peraltro non era chiarito nelle prime fonti scritte, emerge chiaro il fatto
che in vari modi lo stesso concetto di Realtà e Verità può essere allegoricamente espresso.
Addentrandoci nelle citate figure si può vedere che dalle prime forme ornitomorfe che hanno unicamente il viso
di donna-femmina e che per le ali richiamano la loro parte divina, si è passati prima a Sirene con metà corpo di
donna nuda e con al contempo ali, coda di pesce e zampe di uccello. Si è giunti poi alle ultime figurazioni, senza
le ali ma spesso mantenenti, con la coda di pesce, le zampe di rapace.
In tutto ciò credo si debba notare che:
a) la cosa più interessante e ciò che forse ha determinato questa transizione, è il maggiore accento che si è
posto ad aspetti che con evidenza erano ritenuti determinanti la natura e la essenza di quelle figure-forze : il
femmineo, l’accattivante ed il seducente.
b) il fatto che si siano molto spesso lasciate le zampe di uccello rapace anche nelle figurazioni con la coda di
pesce, ci indica poi la voluta sottolineatura di un certo loro aspetto predatorio.
c) difficile capire a fondo il motivo del passaggio alla coda di pesce anche se certamente è stata la loro la
discendenza acquatica, dovuta al padre Acheloo, ad avere determinato quel passaggio. Di rilievo è poi
sicuramente il fatto che quelle “acque” di eredità paterna, sono acque che, come visto, sono molto “legate alla
terra-materia” ed è poi immediato il conseguente richiamo alle acque, in tutto simili stando a quando qui visto,
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dodicesima parte
di cui ha detto Gesù con il suo <..se una non nasce di nuovo (da vecchio) da acqua e spirito, non entra nel regno
di Dio..>(Gv 3.4ss).
- esse incantano e portano a morte e/o distruzioni
come quasi sempre nei miti, allegorie sapienziali, la morte richiamata è quella spirituale ma a questa segue e si
aggiunge quella fisica dei disastri che conseguono. Anche nel mito delle Sirene la morte richiamata è
primariamente quella spirituale. In Omero questo lo si vede notando che la "morte" che Odisseo saprà evitare è
una morte che sostanzialmente porta a due eventi: il -non compiere il ritorno alla terra paterna- e, assieme, il non portarsi a rivedere la Sposa-. Due accadimenti che non necessariamente sono la fine fisica della vita e che
altro si debba vedere in quelle occorrenze ce lo conferma, non sembri senza senso, quanto si trova nella
tradizione giudaica.
Anche in questa tradizione infatti, anche in quegli insegnamenti, quelle due occorrenze-concetti sono centrali:
centrale è il “ritorno al Regno del Padre” da parte dell'uomo e centrale è la necessità di evitare una
“prostituzione-adulterio” che lascia lontana la Sposa, la più divina parte dell'anima . Conferma questa lettura il
fatto che nei testi biblici e profetici la figura delle Sirene ci è mostrata legata a distruzioni e disastri che con
evidenza sono ciò che consegue al -non ascolto del divino, caduta- cui esse invitano. Così ad esempio, parlando
della terribile sorte riservata al paese di Edom, si esprime Isaia: <..nei suoi palazzi cresceranno rovi... ortiche e
spine; si cambieranno in covili di Sirene...>(Is 34.13).
- esse portano alla morte spirituale grazie ad un canto
il canto e la melodia della Sirene, un canto che per Omero è <..di miele e veritiero..>, ci dice molto su di esse:
d) il loro è un canto che loro stesse dichiarano essere <..di miele..> ma Platone nel Fedro riporta che Socrate
assimila quel canto a quello delle cicale. Dunque esso è un canto che pur piacevole, ovvero “di miele”, è anche
piuttosto ossessivo, ripetitivo. Aspetto questo che esse -per natura- nascondono.
Da tutto ciò si può ricavare quindi che l’incanto che esse con dolcezza e piacevolezza procurano ha anche
l'aspetto di assopimento indotto dall'aspetto ossessivo di tale loro canto. Un assopimento che è un sonno e
sempre, in questi contesti, quale -sonno- è citata e dichiarata la “morte spirituale”.
e) ma ancora, rispetto al loro dire di un canto <..veritiero..>, bisogna vedere che nessuna -Verità- può portare
alla -morte- fisica o spirituale che sia, e quindi anche qui, come per il miele, esse nascondono qualcosa. Con il
loro canto, quindi, esse piuttosto dicono ciò che è “simile al vero” come fanno peraltro le Muse, le loro madri.
Queste infatti, per primo, cantano <..molte menzogne simili al vero..> (Esiodo, Teogonia 26). E' quindi una
eredità materna-femminea quella loro dell'inganno.
f) il loro canto è mortale ma porta alla morte solo chi "non è preparato ad esse", chi non è a conoscenza della
loro pericolosità. Dice Omero: <..chiunque, senza saperlo, approda alla terra delle sirena, e ascolta la loro voce,
non potrà mai più tornare a casa..>(Odissea XII 39ss). Ma anche, ci dice il mito, quando, preparati, si superino
indenni, da esse ci si allontana <..sapendo più cose..>. Si saprà, con evidenza, per quali inganni all'uomo arriva
la morte spirituale. Si conoscerà così ciò che, questo sì, è una Verità, quella dell'inganno che arriva all'uomo.
g) ci viene detto che esse dicono ad Odisseo di <..sapere tutto ciò che Argivi e Troiani patirono per volontà
degli dei..> e quindi, come traspare anche nel loro <..Vieni o celebre Odisseo, grande gloria degli Achei..>,
sono sostanzialmente le “gesta di Odisseo” e la “sua fama e celebrità” che esse dicono di cantare.
Si evince quindi che il loro ripetitivo canto è “la celebrazione dell’ego che sorge all’uomo ancora fermo all’“iomaterialità”, l'uomo non ancora portatosi a vedere “Patria terra e Sposa”. Si gode, è piacevole ascoltare la
ripetitiva celebrazione del proprio io, ma questa è la morte spirituale, una morte che si riesce ad evitare solo
"sapendo a cosa si va incontro". Coscienza questa che permetterà di vedere-sapere ed evitare quei dolci canti
che danno la morte, spirituale e non solo. E celebrazione dell’”io-materialità”, vuole visto, è certamente
l’insegnare all’uomo di essere personalmente creato dal Dio e di essere, personalmente, destinato ad una similmateriale eternità come fanno i tre monoteismi. Religioni madri così di tutte le sirene.
Vuole ora detto che di questo simbolo, della Sirena citata da Omero e dai Profeti, la cristianità ha sempre parlato nel
tempo, essa è sempre stata oggetto della sua attenzione come pure così è stato per il mondo giudaico.
Interessantissimo a questo riguardo è il pavimento musivo di una sinagoga del V sec. rinvenuto ad Huqoq, in Galilea
nel 2012 : con altre scene se ne trova una che mostra Giona gettato dalla nave ed inghiottito dal pesce, ma nella sena
compaiono, in alto, tre Sirene di cui una con arpa ed una con flauto. Qui con evidenza si è voluto mostrare
l'atteggiamento di Giona come conseguente al canto di Sirene e questo, come vedremo più avanti, impone una
speciale e non usuale lettura di quel testo e di quella figura.
Restando alle Sirene i Padri della Chiesa poi, ricorda Ugo Rahner nel suo "Le sirene di Ulisse", rifiutando ogni
accostamento ed analisi filosofica, hanno dapprima indicato in esse il simbolo del <..pericolo, che minacciava i
cristiani, dell'attaccamento alla sapienza pagana..>.
A partire dal 300/400, terminato ormai il conflittuale
“confronto con la cultura greca e con lo gnosticismo", ricorda ancora il Rahner, per il cristianesimo le Sirene
divengono, con parole di Ambrogio : <..simbolo della melodiosa lusinga della voluttà...la forza per cui la carne
prova stimolo e tumulto..>.
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Più tardi Onorio detto di Autun (XII sec.), riconoscendo ad esse un ben diverso ruolo e sostanza, dirà: <.. sono
immagini mistiche, anche se furono inventate dai nemici di Cristo..>(U. Rahner op.cit.).
Lasciando a parte la ipocrisia e la cecità di una condanna, così fatta, del paganesimo, traspare in queste parole che
sarà proprio la mistica richiamata da Onorio quella che, tra il X ed il XIII sec. ed andando molto oltre quelle cecità,
saprà vedere e capire a fondo quella simbologia che, in modo identico, fu dei Profeti come del paganesimo.
Ma sarà proprio in quel periodo storico che si cambierà-completerà la vecchia figura della Sirena. Sarà in quel
periodo che si vedrà la Sirena dalla doppia coda, un simbolo che già era degli Etruschi e che qui, in quel tempo di
nuove e pur vecchie Luci di Sapienza, sarà riproposta, rinascerà.
Il simbolo della Sirena cambierà profondamente perché in molti ambienti cristiani, non solo mistici, sarà ampliata ed
approfondita la lettura di quel simbolo.
Il mai sopito cristianesimo erede della “fonte filosofica giudaico-ellenica”, erede degli insegnamenti di quei GrandiApostoli che Paolo ha combattuto, erede del Gesù "diverso-filosofico" e che tanto fortemente in quei secoli, come
visto, aveva alzato le sue voci poi duramente e sanguinosamente soffocate dalla cristianità romano-paolina, quel
“diverso” cristianesimo, dicevo, ha ripreso quella iconografia pagana certamente perché affine al suo sentire e
vedere. Un cambiamento che non può non essersi fondato sulle analisi sia dei testi giudaici che della letteratura
pagana. In cosa poteva consistere quella più ampia e profonda lettura di quel pagano simbolo della Sirena
bicaudata, cercheremo ora di vederlo.
Abbiamo visto che sulle Sirene omerico-pagane e giudaiche si può giungere a dire, riassumendo e sintetizzando, che
esse dicono di un :
" femmineo seducente che invita a gloriarsi di sé e delle proprie gesta e, così ingigantendo l’ego e
fermando quindi l'uomo all'io-materialità, lo porta a rovina e morte spirituale per l' "oblio / non-visione",
così provocato, della "Casa Paterna - Essere - Regno" e della "Sposa-anima divina-spirituale".
Una conferma a questo aspetto di "induzione ad una mortale non visione-nascondimento" la troviamo in un
singolare ed altrimenti immotivato accostamento che troviamo nei Profeti : Isaia e Giobbe infatti affiancano e citano
in modo quasi indifferente Sirene e Struzzi, con ciò volendo dire che opera di entrambi è il “nascondimento”.
Entrambi fanno sì che l’uomo "non veda il Vero", la Verità che appunto è “A-leteia”, “non-nascondimento”: fanno sì
che l’uomo si nasconda a sé stesso come gli struzzi. Leggiamo infatti :
<..Mi renderanno onore ..le Sirene e le figlie dello Struzzo..>(Isaia 43.20) ; <..sono divenuto fratello delle Sirene
(delphos ghégona sirenon ) e compagno degli Struzzi..>(Giobbe 30.29).
Ma bisogna notare anche che rimane una differenza tra le due tradizioni: nel paganesimo infatti, nonostante la chiara
negatività rimane alle Sirene una -positiva in sé natura divina-: la loro discendenza divina resta chiara ed evidente.
Questo fatto nelle obiettivamente poche parole che su di esse troviamo nella tradizione giudaica, non traspare: qui
nelle Sirene si trova quasi unicamente un aspetto negativo, esse si vedono come ciò che invita e porta ad un
travisamento-errore che porta con sè desolazione e morte senza richiami ad alcun divino-positivo.
E questa è lacuna a dire il vero di tutti gli scritti giudaici che fanno perdere spesso quel "maschio-femmina", quella
divina unità di opposti, Jhwh, che sempre è anche quando disarmonicamente portate ad essere. Un Jhwh, un
Assoluto, il Padre nostro per Gesù, che in conseguenza di queste ed altre simili lacune non è più visto nella sua
essenza filosofica: ci si dimentica che, per le Scritture, esso porta il Bene come il Male, che è Bene e Male al
contempo, Maschio e Femmina.
La sola nota che, per le Sirene, mitiga la negatività da esse espressa è quella sopra citata di Isaia che, con quel <..Mi
renderanno onore ..le Sirene..> ci mostra il loro recupero e mantenimento in essere, non la loro distruzione.
La tradizione filosofica pagana invece, bisogna vedere, con quel richiamo alla sostanziale divinità delle Sirene
mantiene gli echi della filosofica lezione che, abbiamo visto, già il mondo sumero dava con la prostituta Samkat di
cui dice il testo del Gilgamesh.
Qui infatti Enkidu, dopo averla accusata di averlo portato alla morte spirituale impedendogli la unione con la Sposa,
messo di fronte alla positività della azione di Samkat la quale ha fatto sì che egli uscisse dal mondo animale per
entrare nella città-civiltà, ovvero ha fatto sì che egli fosse pienamente uomo, Enkidu, dicevo, si ricrederà e celebrerà
la prostituta come divina anch’essa al pari della desiderata Sposa.
Qui quella forza-prostituta che pur allontana dalla Sposa-divina e fa, anche qui, morire, è dichiarata comunque
indispensabile all’uomo e quindi infine positiva. Una positività che si vede e si scopre quando si riconosce-vedecapisce il suo ruolo e così si riesce a godere della sua opera evitandone al contempo gli eccessi nefasti.
Una positività della quale, per le Sirene e nel mondo greco, si trovano chiare tracce : riporta il già citato Ugo Rahner
che secondo un frammento conservatoci da Clemente Alessandrino, Euripide canta:
<..Ed ora a me aurei vanni sul dorso / a me le leggiadre pinne delle Sirene vengono apposte /
ed io ascendo alle altezze dell’etere, / per unirmi con Zeus >.
Ali e pinne, questa doppia comprensione e consapevolezza della natura dell'animo umano, è ciò che serve all'uomo,
secondo queste parole di Euripide, per portarsi al divino.
Proclo andrà anche oltre dividendo le Sirene in tre tipi e, oltre a quelle -tentatrici- sottomesse a Poseidone, citerà
quelle celesti che ascoltano Zeus e quelle purificatrici sotto il segno Ade.
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Ma di "doppio aspetto e natura" dell'animo parlava anche il primissimo cristianesimo con quel Pistis Sophia che,
abbiamo visto, era seguito anche ad Aquileia. In quel testo si dice di un "antimimon pneuma", uno "spirito
contraffatto-avverso", che appare come una controfigura ingannevole dell'anima.
Si legge: <..gli Arconti pongono l'antimimon pneuma all'esterno dell'anima...lo attaccano ad essa con i loro sigilli e
i loro legami e lo sigillano sull'anima, per modo che esso spinge di continuo l'anima a perseguire le proprie
passioni e ingiustizie..>
Questo "doppio aspetto e natura", questa visione al fine “filosofica” dell’animo umano, una visione evidentemente
eredità della “fonte filosofica giudaico-ellenica” della cristianità vista in queste righe, si è mantenuta molto a lungo
nella cristianità: è solo con la sua esplicita condanna avvenuta nel Concilio Costantinopolitano IV dell’ 870 che essa
non potrà più avere posto, che non potrà più essere vista o discussa, nella cristianità.
E venendo ora finalmente alla Sirena bicaudata, essa è verosimilmente figura che dice di questo doppio aspettonatura dell'anima che le Sirene richiamano come dice Euripide, un doppio aspetto di cui dicono la citata tradizione
cristiana come anche quella sumera sopra ricordata. Un doppio aspetto dell'anima che presuppone un positivo
recupero anche dell'aspetto più legato alla materia.
Sarà verosimilmente il ripristino e consolidamento di questa evidentemente mai spenta visione e tradizione che, tra i
secoli X-XIII, porterà una dotta, "diversa e filosofica" cristianità, al ripristino ed all'uso del simbolo della Sirena
bicaudata. Simbolo di una Verità che non si poteva apertamente dire, verità gnostica, di conoscenza e sapienza,
filosofica. Con tutto ciò si può quindi ragionevolmente concludere che la Sirena bicaudata, allegoria cristiana e
pagana al contempo, è simbolo che:
" dice di un doppio carattere-funzione-natura dell'animo umano, dice della sua doppia azione tendente sia al
materiale che al divino ovvero ci dice del suo aspetto assieme di "Prostituta e Sposa",
aspetti che dall'uomo devono assieme, in un uno, essere visti, conosciuti e considerati per potere
evitare il cieco-inconsapevole ascolto di un canto-nascondimento che porta morte e dolori"
A questo però si deve a mio parere aggiungere un altro significato simbolico. Le figurazioni della Sirena bicaudata
infatti, ci mostrano sempre e con grande risalto che essa saldamente "tiene con le mani, e generalmente in alto, le
due pinne". Questo aspetto come sempre non è senza significato e, verosimilmente, con esso si voleva dire che :
"l'uomo che così sia giunto a vedere e capire, ferma il ciclo delle rinascite".
Più sotto vedremo meglio il perché questo si possa dire ma, come prime considerazioni, bisogna rilevare che quel
simbolo nasce in un paganesimo che crede nella reincarnazione e certamente quella era credenza degli Etruschi.
Facilmente questo aspetto della Sirena bicaudata non sempre era in piena coscienza visto e condiviso da coloro che,
nella cristianità medioevale, hanno proposto ed usato quel simbolo.
Ma vuole ricordato che in quei tempi la dottrina della reincarnazione, che come abbiamo visto era insegnata nella
prima "diversa e filosofica" cristianità, era stata certamente ripresa e faceva parte di credenza ed insegnamento da
parte del grande movimento cristiano dei Catari. Movimento seguito anche dal più dotto mondo della cultura e della
nobiltà del tempo. Una dottrina ed insegnamento che riteneva possibile la reincarnazione ma, in linea con quanto
visto in tutte le culture che tale evento contemplavano, questa era da scongiurare, da fermare e chiudere grazie alla
"conversione-cambio di mentalità-innalzamento-passaggio al Regno" cui hanno invitato anche Gesù e le Scritture
correttamente lette e comprese.
E' quindi piuttosto probabile che in tal senso, nel senso di invito alla chiusura del ciclo delle rinascite, il simbolo
della Sirena bicaudata che si tiene le pinne sia stato visto e proposto, anche se non da chiunque, nel cristianesimo.
Ma è in particolare una interessantissima figura che troviamo nel Duomo di Modena, in posizione centrale al vertice
dell'arco del portale di ingresso, che ci può convincere su questo ultimo aspetto della Sirena bicaudata.
Di questa figura modenese, un -cristico- "Giano che con le mani saldamente si tiene i piedi" allo stesso modo di
come fa la Sirena bicaudata, e di come e perché esso si lega a tale Sirena, dirò qui più sotto assieme ad altro.
Prima però parlerò del bellissimo “bovindo”, vedi figure sotto, che si trova nel Municipio di Friburgo in Brisgovia.
In questo manufatto, di origini ritengo medioevali, vediamo la nostra Sirena bicaudata “Coronata-Sposa del ReLogos” assieme a molte altre bellissime figurazioni tra le quali soprattutto una delle rare figure, peraltro bellissima,
di “maschile Sireno bicaudato”, che si tiene sempre le pinne, “Coronato” anch’egli oltre che “alato”.
Le rare versioni “al maschile” della Verità di cui dice la Sirena bicaudata, sono importanti poiché confermano
quanto fin qui detto in merito alla figura femminile: nella figura maschile infatti il “portarsi al divino” anziché
essere detto dell’anima, femmina-donna, viene detto dell’”uomo”: un identico dire che però mostra più precisamente
il compito umano di cui queste raffigurazioni intendevano dire.
Restando ancora un momento su questo meraviglioso manufatto, vediamo, sul fronte sopra alle due figure bicaudate,
una immagine, che dice della stessa Verità e che è raccontata anche nel ciclo di arazzi del XV sec. e oggi collocato al
Museo Nazinale del Medioevo di Parigi, in cui si vede l’ “Unicorno”, simbolo del Cristo-Logos”, che si approccia
alla “Dama-Anima” che vive il “sensibile”, i cinque sensi di cui dicono gli arazzi, per unirsi ad essa, per coronare
quel suo “mio unico desiderio” di cui dice l’ultimo arazzo.
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dodicesima parte
Bovindo del Municipio di Friburgo in Brisgovia:
2) Dama e Unicorno
Giano – Duomo di Modena
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1) Figure bicaudate 3) Veltro dantesco
dodicesima parte
PANTALEONE, IL MOSAICO DELLA SAPIENZA
In questa opera, nel mosaico della Cattedrale di Otranto, sono concentrate un grande numero delle sopra citate figure
e miti di Verità e Sapienza. Di questo grandioso mosaico daremo qui una lettura generale e, più avanti, faremo
alcune analisi più specifiche sulle più importanti sue, ma non solo sue, figure.
Nell'immenso mosaico di Pantaleone, come nel Duomo di Modena alla sua nascita, o come nella Basilica di
S.Nicola a Bari e certo non solo, manca l'immagine fisica di Gesù ma, qui soprattutto, lontano da una generica
giustificazione iconoclasta, si vede e si capisce che ciò che queste opere vogliono celebrare con le immagini e figure
in esse proposte è la Sapienza, il filosofico Figlio-Sapienza, la archetipale Forza-Salvatore che, nella vita fisica, si
riflette nella condizione di Cristo-Unto cui Gesù, come altri, ha saputo portarsi.
Qui soprattutto, in questa opera, un cristianesimo “ diverso”, mistico e filosofico, ha voluto mostrare ed indicare il
vero insegnamento di Gesù ovvero il suo invito a portarsi alla condizione di Sapienza-Logos. L’invito ad operare
una "conversione-cambio di mentalità" che è "rinascita-resurrezione in vita", il "filosofico viaggio e ricerca in sé", il
“conosci te stesso”. E il vero scandalo non è la mancanza, in questa opera, della figura di Gesù, mancanza
incompresa e che non è certo dovuta a superficiale iconoclastia, ma scandalo è il fatto che ancora largamente non si
capiscono, non si vedono ed insegnano, le Verità nascoste nelle figure e nei miti di questo mosaico.
Su questa opera tutti i commentatori sono concordi nel dire che il grande albero che si sviluppa nella navata centrale
è da intendere come l'“Albero della Vita” della Genesi. Per contro però gli stessi da un lato non si spiegano molte
delle figure che su quell’albero si snodano, e dall’altro non sanno spiegarsi la disposizione e sequenza che ad esse è
stata data. Non trova infatti spiegazione il fatto, unanimemente notato, che esse sono disposte in modo contrario a
ciò che secondo la logica canonica dovrebbe essere: il principale episodio degli -inizi- della umanità, il racconto
edenico della tentazione di Adamo ed Eva, è incomprensibilmente posto da Pantaleone "al termine" del suo Albero
della Vita anziché "all’inizio".
Oltre a questo non viene data nemmeno alcuna spiegazione al fatto che in una posizione importante, nella scena
principale del mosaico della navata centrale, nel grande pannello posto subito sotto e legato all’episodio della
tentazione di Adamo ed Eva, in questa “grande scena” che riporta altri salienti episodi di Genesi come la “cacciata
dal giardino” e la “uccisione di Abele”, Pantaleone abbia inserito l’episodio di Artù in lotta con una "maculata"
belva.
Ora, per dare una risposta a tutte queste perplessità bisogna portarsi a vedere l'Albero di Pantaleone quale "Albero
della Sapienza", l’Albero di una Sapienza che è Vita, Eterno, Divino. E quindi “Albero di Vita” per come insegna
Proverbi 3.13-18: <..felice è l'uomo che trova la Sapienza.. (essa) è un Albero della Vita per quelli che la trovano..>
Prima di passare alle analisi di alcune singole figure, e non potendo affrontare l’opera di Pantaleone nella sua
interezza, daremo come detto uno sguardo d'insieme ma limitato al mosaico della navata centrale, quello che vede
appunto figurato l'Albero della Sapienza-Vita:
1- La prima delle figure che si incontrano entrando nella cattedrale, centrale alla base dell'Albero della Vita, è quella
della “coppia di elefanti”, riconosciute figure di Saggezza per il mondo antico tutto, sulla quale Pantaleone fa
nascere e poggiare l'Albero. Da subito quindi egli così, in allegoria, ci mostra che è -sul e dal- “Logos-Sapienza” e nella- Armonia dei divini Contrari, il maschio-femmina della “coppia di elefanti”, che poggia la Vita, l'Eterno, il
Jhwh "maschio e femmina" del mondo giudaico ovvero lo Yang-Yin della cultura orientale.
Sul rapporto elefante-saggezza F. Maspero ed A. Granata, nel loro “Bestiario Medioevale”, ci sottolineano bene
come anche il medioevo occidentale, sulla scia del mondo orientale, vede l'elefante quale simbolo di una “Saggezza”
che è spesso identificata alla “Sapienza” e, per questo, figura di ciò che è irriducibilmente "nemico di serpenti e
draghi”. Figura quindi di una Saggezza-Sapienza che è estrema nemica dell'Errore-Male.
Ai lati della centrale coppia di elefanti si notano immagini che sembrano sottolineare ciò cui quei due “contrari”
eraclitei tendono: a sinistra, al fianco dell’elefante femmina-yin, si vede una scena di “lotta-conflitto” mentre a
destra, a fianco dell’elefante maschio-yang, si vede una scena di “pace-serenità”.
2- Salendo poi, si nota che questo parallelismo sinistra-male destra-bene è mantenuto nella prima parte del mosaico:
a) sulla destra, dopo un'altra scena che sembra continuare quella edenico-armoniosa vista alla destra degli elefanti,
vediamo riportato il positivo mito pagano del cosiddetto “Volo di Alessandro”. Un mito filosofico pre-cristiano che
significativamente nel medioevo è stato iconograficamente riportato in moltissime chiese sia in Occidente che in
Oriente. Mito-figura sulla quale più sotto faremo una breve analisi.
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dodicesima parte
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Dopo questa scena, ancora a destra, ne vediamo una vasta e di difficile lettura, forse ancora di base edenica, con vari
animali e tra questi alcuni, anch’essi di difficile riconducibilità e comprensione, con plurime teste umane a dire forse
di una edenica unione-unità tra uomo e natura.
b) Sulla sinistra invece, in negativo, Pantaleone al mito del volo di Alessandro contrappone tre grandi e mostruose
figure. Due di esse che richiamano il biblico Leviatano, la natura serpentiforme di un male che sempre, come
sembrano dirci anche queste figure, nasce nell'appiattimento alla terra-materia. La terza figura mostra invece una
inconsueta bestia con quattro corpi ed una sola testa. Con questa ultima figura Pantaleone verosimilmente richiama
le quattro bestie di Daniele aggiungendo però a quella profezia una sapiente precisazione: una sola è la testa, la
origine-natura-essenza di quelle quattro bestie distruttrici.
Prima di queste tre figure, sempre a sinistra e dentro al tema del male-negativo, troviamo figurato il mito delle
Amazzoni : si vede infatti una guerriera amazzone che ferisce un cervo, notoriamente figura allegorica del Cristo,
del Figlio-Sapienza. Anche su questo altro mito pagano torneremo più sotto.
Il cervo-Sapienza-Cristo, poi, Pantaleone lo mostra sormontato ad una problematica figura con corpo di animale
quadrupede e testa d’uomo. Tema e figurazione questa ultima molto ripetuta anche in altre parti dell'opera di
Pantaleone. In questo caso egli mostra questo essere mentre si nutre di foglie e, sulla testa, tiene una scacchiera noto
simbolo di dualità, di una dualità vasta, molteplice e conflittuale.
Una scacchiera, vuole ricordato, che è simbolo che si trova in diverse Chiese medioevali sia d’Oriente che di
Occidente. Una possibile lettura di questo gruppo di figure potrebbe essere quella che vede allegorizzato l'uomo
nella sua condizione di "caduta".
Questo ci è detto da un lato con la figura dal corpo animale che si nutre di materia e che, così, è dominata ed è preda
di una conflittualità che invece vuole controllata. In questa condizione la parte alta e spirituale dell'uomo, ci è detto
con il cervo figurato alto al suo fianco, non può così che essere debole, non può che essere ferita da un femmineoyin che, come dice la figura della Amazzoni, non si accompagna al maschio-yang, non si accorda ed armonizza con
esso.
Salendo ancora sulla sinistra, si trova poi il mito della Torre di Babilonia: mito che come visto dice dell'errore
dell'uomo che, anziché "perdersi nel divino" vuole portare se stesso, “io-materialità” all'eterno-cielo-divino, l'errore
dell'uomo che “volendo salvare la -propria- vita la perderà” diceva Gesù.
Termina la prima parte delle figurazioni che Pantaleone dispone attorno all’albero, sempre sulla sinistra, una doppia
scena che richiama la contrapposizione, una contrapposizione che qui egli sembra dire che corrompe-guasta la
vigna, la pianta che per eccellenza che, in parallelo con la tradizione orfica, anche per la tradizione biblica dice di
ciò che è divino.
3- Dopo queste scene nel mosaico il parallelismo destra-sinistra/positivo-negativo sin qui visto è interrotto con
alcune scritte di separazione e, dopo queste, è figurato a piena scena l'episodio-mito biblico del Diluvio: la allegoria,
largamente antecedente alla tradizione biblica, che come visto da un lato dice della necessità filosofica dell'
“abbattimento dell'io-casa” per vedersi Uno con la natura tutta e dall'altro dice di un rovinoso portarsi umano, ed
anche divino accadere, conseguente alla mancata visione e comprensione da parte dell’umanità al Vero.
4- Terminata questa scena Pantaleone arricchisce il suo Albero della Sapienza con un richiamo al Cosmo-Natura
riportando scene legate ai 12 mesi dell'anno.
Non sono poche le Chiese nelle quali si vede questo tipo di richiamo e, anche per questo, fuori da una lettura troppo
semplicistica non si può non vedere in questo il richiamo ad un Cosmo e ad una Natura pienamente divini.
In ogni scena infatti pantaleone inserisce il relativo segno zodiacale e questo sposta la lettura di questo tipo di
figurazione: al senso più immediato, quello di una generica lettura legata alla natura si aggiunge la menzione ed il
riferimento a quelle forze divino-zodiacali, forze di una Natura che va oltre la fisicità, -in cui e di cui- è l'uomo.
Il riferimento ad un divino “cosmogonico-zodiacale” muovere di cui largamente dice il paganesimo come peraltro
la tradizione giudaica con le 12 tribù di Israele e poi Gesù con i suoi 12 apostoli.
5- Solo dopo queste figure Pantalone ci mostrerà il pannello finale: la “grande scena”, che ora analizzeremo, con
varie figure e nella quale troviamo inserito, in modo apparentemente illogico, l'inconsueto Artù di cui abbiamo
appena detto. Un Artù la cui spiegazione, data nel capitolo precedente, deve quindi trovare razionalmente posto in
questa “grande scena”, -dentro- alle varie figure-episodi che qui lo affiancano.
L'Albero della Saggezza-Vita, vuole anzitutto visto, resta centrale anche a questa grande scena e, affiancati ad esso,
Pantaleone ci mostra due episodi (fig.1): la cacciata dall'Eden di Adamo ed Eva, episodio che egli pone
immediatamente sotto ai due medaglioni che figurano la loro tentazione-caduta (fig.4), e, sotto a tale cacciata
dall'Eden, una figura di uomo con bastone a forma di Tau. Figura quest'ultima che con evidenza segue sia la scena
della cacciata che i due medaglioni riportanti la tentazione e quindi in essa si può verosimilmente vedere la
condizione cui deve arrivare, ed arriverà, a portarsi l'uomo-umanità dopo la tentazione e le tribolazioni che seguono
l'uscita dall'Eden: la condizione che lo riporta all'Eden, che gli fa rivedere la Vita, l'Eterno, Jhwh.
462
dodicesima parte
Vediamo infatti che questa figura, per simboleggiare tale condizione è da Pantaleone posta sullo stesso lato, ovvero
dentro l'Eden, in cui nella scena superiore è posto l'angelo che caccia Adamo ed Eva ed a fianco, poi, si vede
socchiusa, e non spalancata come è nella cacciata, la porta della uscita dal Giardino. La condizione di cui ci dice
questa figura, con il bastone a forma di Tau che l'uomo tiene, è quella cui l'umanità arriverà alla fine a portatasi.
fig.1
fig.3
fig.2
fig.4
Il Tau è infatti lettera ultima, come l'Omega giovanneo, ed è biblico segno di chi “si salva dallo sterminio” (Ez
9.4), è segno di chi si salva operando la conversione-cambio di mentalità ovvero di chi in vita, “da vecchio” dice
Gesù (Gv 3.4,5), opera la “rinascita” spirituale, la “palingenesi-resurrezione” ovvero il “ritorno alle origini”, al
Regno-Giardino. Finale apocatastasi e palingenesi al contempo, cui dovrà giungere l'umanità intera.
Queste figure di Pantaleone sono, abbiamo detto, al centro della “grande scena” finale.
Tale “grande scena” inizia alla sinistra con un largo quadro edenico (fig.3) che mostra il felice trascorrere della vita
degli inizi, della vita che vede-conosce entrambi gli Alberi, qui figurati, che sono posti in Eden: l'Albero della VitaSapienza e quello, che se mangiato porta alla morte, della pretesa Conoscenza del Bene e del Male.
Segue questo quadro, andando verso destra, il trittico composto di tentazione-caduta, cacciata dall'Eden, e l’uomo
con il Tau di cui abbiamo appena detto e poi, proseguendo ancora a destra, si vede la scena arturiana (fig.1) e infine,
da ultimo, una doppia scena con protagonisti Caino ed Abele (fig.2).
Questa ultima doppia scena che chiude, con la uccisione di Abele, la "grande scena" qui in esame, da Pantaleone è
con evidenza messa a contrapposizione di quella edenica iniziale. Così quindi egli ci mostra ciò che l'umanità vive
fuori dalla sua condizione edenica: il perpetuarsi di martiri ed uccisioni dei giusti, di cui dice Abele, operato per
mano degli ingiusti di cui è figura Caino, il perpetuarsi della uccisione di chi è gradito al dio perché gli offreconsegna-riconosce la vita stessa, messa in atto da chi è sgradito al dio poiché offre-consegna-riconosce le proprie,
dell'io, opere.
Dentro a questa sintesi teologica, dentro alle Verità che questa grande scena riassume, si può capire perché sia stata
posta da pantaleone la scena arturiana che, come visto, è la figurazione della lotta grazie alla quale, infine, l'umanità
potrà riportarsi alla condizione di Regno-Eden chiudendo la stagione dell'Errore e delle morti, spirituali e fisiche.
463
dodicesima parte
6- Dopo questa "grande scena", l'Albero della Sapienza termina nel presbiterio dove si chiude tra due medaglioni
raffiguranti la tentazione-caduta di Adamo ed Eva (fig.4), due medaglioni contornati da altri 14, uguali ma con
figure allegoriche oggi non tutte di accessibile interpretazione.
Figure che in parte qui poi vedremo e che evidentemente per Pantaleone dicono di ciò che può comprendere chi
giunge in cima, chi giunge alla piena Sapienza. Severo monito, direi ed assieme buon esame, per chi a quel
presbiterio si portava e si porta volendo insegnare.
Vediamo ora qualcun’altra delle tante difficili ma interessanti figure di Verità e Sapienza che, nelle Chiese e Pievi
dei secoli X-XIII, ci sono state lasciate. Immagini di un "diverso e filosofico" cristianesimo che riprende e fa sue, in
modo pieno, figure di miti sapienziali della antichità pagana.
LA SAPIENZA UNA
Sono diversi i miti, racconti e figure pagane che, come detto, nel “diverso e filosofico” Cristianesimo troveranno
casa e saranno ripresi poiché pienamente assonanti con essi, nati nella stessa fonte loro: la Sapienza. Sapienza che è
Una come la Verità, Una seppure espressa con molte allegorie come in parte visto nella Quinta Parte di questi scritti.
Analizzeremo ora alcuni altri di questi miti e figure al fine di meglio vedere quanto asserito, ma molto è il lavoro da
fare in questa direzione.
IL VOLO DI ALESSANDRO
Mito-racconto pagano che verosimilmente nasce non molto tempo oltre la morte di Alessandro Magno (356-323 aC)
ma il cui primo testo scritto, il "Romanzo di Alessandro", si ha nel III sec. dC., questo mito vivrà una forte ripresa e
diffusione nel medioevo tra il X ed il XIII sec., quando come visto si vedrà una forte, seppur spesso nascosta, ripresa
e propagazione del cristianesimo della apostolare "fonte filosofica". In questo periodo oltre che in alcuni nuovi e
diversi testi, questo mito si vedrà proposto nelle Chiese cristiane ma non solo, sia in Occidente che nell'Oriente
bizantino, con una unica raffigurazione: l'immagine della "ascesa al cielo" di Alessandro. Immagine quindi centrale
e fondante al mito, bisogna convenire. Certamente perciò il mito sia per il "diverso e filosofico" cristianesimo che
lo ha proposto, che per il paganesimo nel quale esso è nato, voleva dire, ricordare ed insegnare all'uomo la necessità
di "ascendere-portarsi al divino". Il tema del Re, come quello del carro/trono, richiama certamente il parallelo Redivino, la condizione necessaria a quella salita, mentre i Grifoni, esseri dalla duplice natura di leone ed uccello ed
accompagnatori del Sole-Luce riportano a ciò che serve quella ascesa. Secondo il Fisiologo greco essi proteggono
dall'ira celeste ed operano per il bene dell'umanità:
<..il grifone distende le sue ali che ricevono i dardi del sole, perché non bruci la terra abitata... ricevono l'ira di
Dio perché non dica a tutti quanti "Non ti conosco"..> (F.Maspero, A.Granata, Bestiario Medioevale)
Più difficile interpretare il significato delle esche di carne o fegato che aiutano il volo-ascensione.
GIANO ED IL SOLE INVITTO
All'inizio di questo capitolo sulle "Luci di Sapienza", nel dire del "contesto storico" medioevale che ha visto il fiorire
di tali Luci abbiamo accennato alle due simili e quasi contemporanee vicende vissute a Modena per il suo Duomo,
ed a Bari per la sua Basilica di San Nicola. Abbiamo quindi detto della inconsueta figura di "Giano" che è posta in
alto al centro del portale di ingresso principale del Duomo modenese e del "Sol Invitto" che troviamo, sempre
centrale ed alto sull'ingresso principale, nella Chiesa di Bari. In entrambe quelle Chiese, notavamo, manca la figura
di Gesù e, ci portano a dire alcune considerazioni, in quel tempo di voci di Sapienza, in quel tempo di nuovi ma
antichi focolai di "diverso", filosofico e sapienziale cristianesimo, quelle due figure poste nella posizione
canonicamente destinata a Gesù, palesemente volevano mostrare in quale luce e lettura anche la figura di Gesù, per
essi, voleva vista.
Su quelle due figure, Giano e Sole Invitto, possiamo dire che la primaria posizione, al vertice dell'arco dei due
portali di ingresso principali, in cui le citate due figure sono poste, dice chiaramente di una loro grande, religiosa e
filosofico cristiana al contempo, importanza. Sono figure che qui si propongono in una lettura "cristica", e vedremo
ora, sinteticamente, perché e come, in tale luce esse possono e devono essere viste.
Il Sole Invitto
Per il simbolo barese, per il Sol Invitto, il richiamo è piuttosto chiaramente al "Salvatore", peculiarità e caratteristica
ben riconosciuta a quella immagine pagana. Epifanio di Salamina (315-403), come più tardi Cosma di
Gerusalemme, ci informa che ai suoi tempi in alcune città di Arabia e di Egitto si celebrava una festa dedicata alla
vittoria della Luce sulle Tenebre incentrata sulla nascita del dio Aion-Sole che è partorito dalla Vergine, da Kore.
464
dodicesima parte
Abbiamo ben visto come questo sia riproposto nel cristianesimo con la "nascita" dalla Vergine di chi è "FiglioCristo-Salvatore".
Per questa sua intrinseca genericità, il titolo di "Sol Invictus" era nel paganesimo associato a varie divinità e perfino
lo affiancherà a sé, dichiarandolo suo "compagno", l'imperatore Costantino. Anche la tradizione giudaica vede
questo parallelo tra il Sole e la "salvezza" degli uomini.
Scrive Malachia: <..dice Jhwh..."su di voi che temete il mio nome splenderà il Sole di Giustizia con la guarigione
nei suoi raggi-ali...e calpesterete gli empi ridotti in cenerei..>(Mal 3.20).
Ma la immagine della Giustizia divina "salvatrice" quale "Sole-Luce" è largamente presente sia nei testi giudaici che
nei vangeli. Dice infatti anche il testo della Sapienza: <..Abbiamo dunque deviato dal cammino della verità;
la luce della giustizia non è brillata per noi, né mai per noi si è alzato il sole..>.
E' quindi, il "Sole invitto" barese come peraltro, vedremo, il Giano modenese, figura di un "Salvatore" che viene
così, da un cristianesimo con evidenza "filosofico", sganciato dalla fisica figura di Gesù per essere portato e
proposto quale "forza archetipale" che, pur comprendendo anche Gesù, lo sovrasta e lo oltrepassa.
Bari, Basilica di S.Nicola: Sole Invitto
Bodleiana Lib.: Giano, manoscritto XI sec
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Modena, Duomo: Giano
dodicesima parte
Giano
La chiara interpretazione del Sol Invitto ci aiuta ed indirizza anche per la lettura del Giano modenese. Qui
rappresentato con "due teste" anziché la più classica testa "bifronte", forse per meglio sottolineare un duale che
come detto caratterizza largamente il Duomo modenese, la critica resta comunque molto unanime nel vedere in
questa figura il dio Giano.
Giano, divinità romana apparentemente secondaria è in realtà una delle figure più importanti di quel pantheon e vari
autori sottolineano che fosse probabilmente la divinità in epoca arcaica. Essa è oggi ricordata quale Dio "degli
ingressi", dei “trapassi da luogo a luogo”. Ma a quale tipo di ingressi-trapassi esso presieda ed accompagni e dica,
però, vuole visto ed anche questa sua collocazione modenese ci invita a capirlo.
Su Giano ci dice cose importanti Macrobio (390-430 circa) il quale ci informa che esso è detto : Gemino, perché
come il Sole esso è padrone dell’una e dell’altra parte del cielo ; Padre, perché il Dio degli dei ; Giunonio, perché
custodisce l’entrata di gennaio e degli altri mesi, alle calende cui presiede giunone ; Consivius a conserendo, perché
autore della propagazione del genere umano ; Quirino, per la sua virtù guerriera.
La sua figura lo vede dotato di un bastone ed una chiave: un bastone che serve a far tenere ed indicare la corretta
"strada" e la chiave che apre la porta cui quella "strada" giunge e fa arrivare. Strada che, si deve dire, è ciò che fa
nascere alla deità: è infatti per quel suo compito ed opera che Giano è detto "Padre degli dei" come sottolinea anche
un frammento del Carmen Saliare che recita:
< Cantate Lui, il padre degli Dei, supplicate il Dio degli Dei >.
Giano non è figlio di alcuna altra divinità ed è quindi dio-forza di sempre, ed il suo ruolo di "creatore" è variamente
testimoniato: Settimio Severo lo chiama "principio degli dei e acuto seminatore di cose" mentre il console
M.A.Messalla scrive che egli "è colui.. che unì, circondandole con il cielo, l'essenza di acqua e terra, pesante e
tendente a scendere in basso, e quella del fuoco e dell'aria, leggera e tendente a sfuggire verso l'alto ".
Egli quindi è ciò che lega e vede assieme il materiale allo spirituale, e ciò che per quella strada porta a far nascere
alla deità. Con tutto ciò si potrà allora dire che il Giano modenese :
è figura della "cristica" forza che vede la doppia essenza e aspetto dell’uomo e dell'Essere, quello materiale e
quello spirituale, e che invita e guida l'uomo a quel passaggio-rinascita, conversione-cambio di mentalità, nuova
condizione e consapevolezza che "salva" portando alla "deità".
Giano quindi è qui immagine del "Salvatore" come lo è la figura di Cristo o quella del Sole Invitto barese. Come lo
è la figura del Cristo-Figlio, il filosofico “Logos Unico” dal quale -tutto è- : un Giano-Logos perciò anche
“generatore”, come ci viene a Modena sottolineato con i ben evidenti attributi maschili della sua figura.
Conferma queste letture, e qui ci riallacciamo alla Sirena bicaudata, il fatto che il Giano modenese similmente a
come si vede nelle figurazioni della Sirena, "si tiene i piedi". A Modena la Sirena è figurata due volte, in una essa
tiene le pinne in alto nella posizione largamente più comune, mentre nell’altra queste sono tenute in basso.
Ora i gesti del “tenersi piedi-pinne” dicono evidentemente di una stessa Verità. Ma se per la Sirena, che è sempre
figurata, salvo rare eccezioni come qui, mentre tiene con le mani -in alto- le due code-aspetti si poteva in questo
gesto ipotizzare un invito a considerare quel doppio aspetto prima su di essa visto, doppie code-aspetti che peraltro
sono comunque ben evidenti e che quindi non hanno bisogno di inviti alla loro attenzione come il gesto del "tenerle
con le mani", con il Giano modenese questa comunque debole ipotesi cade, non regge.
Quel Giano infatti, da un lato il "doppio aspetto" di cui egli dice lo mostra con la sua doppia ed opposta testa e non
certo nei piedi che quindi tiene stretti per altro motivo. E dall'altro lato egli nel tenersi i piedi non li ostenta come
generalmente fa invece la Sirena: li tiene in basso e quindi è solo in quel "tenere" che si può ricavare il significato,
per Giano come conseguentemente per la Sirena che peraltro qui a Modena è mostrata anch’essa tenentesi le pinne
in basso.
La lettura che da senso a quel "tenere", a me piuttosto evidente anche se difficile oggi, normalmente, da accettare e
credere, è quella che porta a dire che :
il Giano modenese e la Sirena bicaudata si -tengono- rispettivamente piedi e code per dire che quando si è nella
condizione da essi espressa, la condizione che sa vedere e considerare -assieme- materia e spirito, la condizione di
"uscita dalla caduta-morte" e di "entrata alla condizione di Vita", la condizione di "resurrezione-rinascita” ovvero
quella di “Figlio-Logos", si ferma il ciclo delle rinascite. In quella condizione è saldamente fermo ciò che, piedicode, serve sulla terra.
KETOS, LEVIATANO, IPPOCAMPO e DELFINO
Oggi quando si parla di Giona è immediato il riferimento alla "Balena", animale che ormai grazie soprattutto a tanta
narrativa è considerato la bestia marina che ingoiò Giona e nel cui ventre questi restò per i famosi "tre giorni". Ma
nelle Scritture, sia antico che nuovo testamentarie, questo riferimento alla Balena non si trova.
Come ci informa il Prof. Stefano Riccioni nel suo lavoro "Dal kētos al sēnmurv? Mutazioni...", testo al quale, per le
notizie storiche, questo approfondimento deve molto, il testo profetico ebraico dell' Antico Testamento in cui si
legge del mito di Giona parla genericamente di un "Grande pesce", locuzione poi tradotta con la LXX nel greco
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dodicesima parte
"Ketos mega" e quindi, nei testi nuovo testamentari che riprendono la vicenda di Giona, con Girolamo il termine in
latino diviene "Cetus" mentre oggi esso è riportato con un generico "Pesce".
Nella letteratura greca il termine Kētos designa un essere mostruoso di grosse proporzioni -vivente nell’acqua-:
come tale esso è citato già da Omero nell’Iliade e nell’Odissea ma non solo. Il Ketos, nel mondo greco, è un mostro
marino che affianca Poseidone, il dio del Mare, il dio di un "Mare” che è figura e allegoria della condizione di vita
umana: figura e allegoria dei molti pericoli che possono incombere sull'animo umano nel "viaggio-trascorrere della
vita". Un Mare che vede in sé l'Abisso, il luogo-condizione della fine-morte più definitiva dell'anima.
Il Ketos quindi è il mostro che figura questa insidia di Poseidone, la fine-morte-ultima della singola esperienza
umana, un fine cui, restando alla sapienziale mitologia greca, si può sfuggire grazie al "coraggio ed alla prudente
attenzione" di cui dice il mito di Odisseo.
Il Ketos compare in particolare nei due miti di Heracles-Hesione e di Perseo-Andromeda. Entrambi questi miti
vedono e dicono di disastri procurati all’uomo da parte del Ketos, il mostro marino che è inviato a tale opera da
parte di Poseidone a seguito di mancati giusti e dovuti riconoscimenti, del divino, da parte dell'uomo.
Sono disastri che nei due miti si allentano solo con la cattura-presa da parte del Ketos di "figure femminili" e che
portano all'intervento in lotta contro il Ketos dell'eroe-salvatore, Ercole o Perseo: lotte finalizzate da un lato alla
liberazione di quelle "figure femminili" e dall'altro al ritorno e ripristino del luogo-condizione terreno in cui l'uomo
riuscirà a bene e favorevolmente vivere.
Si può vedere anche qui, seppur con diverse caratteristiche, il costante tema apocalittico che in queste pagine
abbiamo ben visto: quello del dio che invia mostri-mali, ovvero del divino generarsi "per errore del femmineo-yin
dell'uomo", della devastazione della umanità sino al giungere del semidio-salvatore, la Forza maschile-yang che con
aspre lotte porta a correggere: disastri che portano-invitano l’uomo-umanità a giungere infine a nuova, divina,
visione-condizione.
Iconograficamente del Ketos, mostro marino, si conoscono numerose attestazioni fin dal VII sec aC, diffuse
soprattutto a Creta e nelle isole. Tali figurazioni, pur non costanti, mostrano sempre un fantastico mostro marino
evidentemente aggressivo e di natura serpentiforme e, queste immagini, si moltiplicano nel V-II sec. aC. soprattutto
sulla ceramica etrusca del territorio italiano ma anche diversamente, come ad esempio sulle monete sia greche che
italiane.
Ebbene è proprio riprendendo la figura del "greco filosofico" distruttivo e mortale Mostro Marino-Ketos, è partendo
ed è -legandosi- a questa immagine senza staccarsene in quanto a significato e senso filosofico-sapienziale, che la
prima cristianità illustra la figura del "Grande Pesce" antico testamentario che ingoia Giona.
Contrariamente al giudaismo, che resterà più legato ad una figurazione del Pesce di Giona come un “grande-enorme
pesce”, una prima cristianità con evidenza legata alla “fonte filosofica” che come qui detto assieme alla tradizione
enochica guarda al mondo sapienziale greco, largamente, come si vede ad Aquileia o ad Otranto ma non solo, -inquella "aggressiva e serpentiforme" figura mitologica della filosofia mitologica greca, in quel Ketos -forza mortaleche uccide e che accompagna Poseidone, trova il corrispondente greco della “figura-forza pesce” del Libro di Giona.
Una figura-forza Ketos, grande pesce serpentiforme e distruttore, che il mondo romano del II e I sec. aC con Florus,
Plinio e Virgilio prenderà lo specifico, e forse femminile, nome di "Pistrice", nome col quale quel mostro è oggi
sempre citato anche quando è in iconografia di origine greca.
Un o una Pistrice, nome che sembra essere dal greco "pristix o pistris=pesce sega", che erratamente finirà spesso
confusa con un iconograficamente piuttosto simile, ma profondamente diverso come vedremo, Ippocampo.
Per inciso sottolineo che questo fatto, il legare ed identificare da parte della prima cristianità, il “Grande Pesce” di
Giona con il greco distruttivo, mortale e "grande" -mostro marino- affiancato a Poseidone e non con il -grosso
pesce- della tradizione giudaica, è significativo e va a confermare a mio avviso la lettura in precedenza fatta della
vicenda di Giona.
Ed anche, credo, puntualizza quella lettura: il “Grande Pesce" di Giona visto quale poseidonico "Pistrice-Ketos" dice
infatti di qualcosa che porta oltre la morte fisica, dice ciò che porta alla morte degli Abissi del Mare di Poseidone,
una morte definitiva e ultimativa, un annullamento.
Questa scelta quindi dice che la lettura del mito di Giona fatto da quella prima filosofica cristianità corrisponde a
quella qui in precedenza fatta: con l’ingoiamento da parte del mostro, Giona-Iona-Colomba-Anima aveva un destino
segnato, si sarebbe portata alla ultimativa "seconda morte" giovannea. Un destino che le sarà possibile evitare con la
cercata voluta ed anelata reincarnazione, il rigetto di quel mostro-finitudine.
Ma per la figura-mito-insegnamento di Giona questo sarà inutile: incapace di correggersi la sua fine, come visto
resterà la più definitiva delle morti.
Ora, le antiche iconografie cristiane del "Grande Pesce”, del “Ketos-Pistrice" di Giona sempre visto serpentiforme
come pure il Ketos di Poseidone, ci portano con evidenza a legare queste alla figura biblica del "Leviatano", il
mortale mostro marino, serpentiforme, che sarà infine preso all'amo, ovvero con astuzia-inganno, e diverrà cibo dei
Giusti. Riprendo quanto, in merito al Leviatano, riporta la enciclopedia Treccani :
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dodicesima parte
Ketos-Pistrice figurato su Hydrìa Etrusca
Monete del V sec. aC con Poseidone
Figurazioni di Pistrice e Giona:
1) Catacombe di S.Bonaria
4) Mosico Duomo di Aquileia
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2) Tomba di El-Djem-Tunisia
3) Duomo di Gaeta
5) Sarcofago romano IV sec
dodicesima parte
<..nel testo ebraico il vocabolo ...è -liwyāthān- che, derivando dalla radice -lwh-, viene ad avere circa il senso di
"tortuoso, attorcigliato". La Vulgata latina trascrive con -leviathan- in Giobbe e Isaia, mentre altrove traduce con
-draco-, come fanno anche i Settanta. Sotto forma di un tortuoso serpente è immaginato in Isaia; nel Salmo CIV ...
l'animale è presentato come dimorante nelle grandi acque... nella lunga descrizione che si fa dell'animale in
Giobbe, e che è messa di seguito a quella del Beemot, i commentatori... scorgono delineato un coccodrillo,
quantunque con tratti esagerati.... in Salmi LXXIV, 14 l'animale è simbolo della potenza dei faraoni d'Egitto.. Da
principio esso designava un mostro primordiale a forma di serpente, affine al Tiāmat della cosmogonia
babilonese...>.
Sulle affinità noto che oltre che con il Tiàmat babilonese, ben più immediato ed evidente è il legame, vera
identificazione, tra il serpentiforme e mortale biblico Leviatano, ovvero tra il Leviatano-Ketos-Pistrice, e la Bestia
del Mare della Apocalisse di Giovanni.
E un’altra affinità, peraltro, che ancora e nuovamente dietro a diversi e vari miti e nomi mette in luce il comune
sentire e vedere religioso-filosofico e sapienziale di tutta la antichità, vuole notata con il Serpente di Midgard della
mitologia Norrena, il gigantesco serpente distruttore, marino, contro il quale Thor dovrà lottare la sua più dura
battaglia. La costante, in tutti questi miti sapienziali, è la estrema dannosità e la smisurata potenza di una mortale
Forza la cui natura, serpentiforme da un lato e Marina -degli Abissi- dall’altro, ci dice della “definitività” della morte
che procura.
Lontano da questa archetipale figura di forza distruttrice, mi preme sottolineare, è il Leviatano evocato Hobbes: in
questa figura infatti non si ritrova alcun accenno ad una distruttività che interessa l’anima ben più che il fisico. Ma,
oltre a ciò, sebbene anche la Forza-Leviatano biblica si esprima ed agisca nel legame “politica-religione”, come
abbiamo visto al capitolo su “La Ascensione di Isaia”, nella figura che guarda unicamente al sociale evocata da
Hobbes, è erroneamente dichiarato “errore” il legame “politica-religione” -in sé- e non vi è alcun accenno al fatto
che “errato e distruttivo” quel legame lo diviene quando si crea e si basa sul di una “errata visione e comprensione
filosofico-religiosa dell’uomo e del mondo”. Totalmente altro quindi da quello biblico è il Leviatano di Hobbes .
Restando ancora alla iconografia di quella Forza-Mostro biblico-filosofica, di quel Leviatano-Ketos, torno al
mosaico su Giona della sinagoga di Huqoq che abbiamo visto nel capitolo su Giona.
Sui tre "Grandi Pesci" figurati in quel mosaico bisogna dire che essi possono benissimo, in linea con la lettura fatta
del mito, essere interpretati come figurazione del mortale Leviatano. Se infatti da un lato si deve notare un
allontanamento dalla "natura serpentiforme" che in prevalenza, anche se non sempre, è mostrata nei testi giudaici,
dall'altro quella figurazione può spiegarsi appellandosi ad un altro aspetto della natura di quella forza-bestia: la sua
pervasività ovvero il suo mangiare-inglobare altre piccole e grandi forze, che si traduce in multiformità. Una
multiformità e pervasività che Salmi esprime dicendo di plurali <..teste del Leviatan..>(Salmi 74.14), e che Dante,
per la sua in tutto uguale allegoria della <..maledetta..> Lupa distruttrice, dichiara dicendo che <..molti son gli
animali a cui s'ammoglia..>.
Ora è interessante notare che in Etruria come in Grecia e Magna Grecia, assieme alla figura del Ketos-Pistrice, a
fianco di quella letale “Forza-Mostro Marino” di Poseidone che nella tradizione giudaica è Leviatano, si trova
riportata, seppure meno copiosamente, la figura -opposta- dell'Ippocampo: spesso, anche se non sempre,
significativamente "alato".
Gli Etruschi ci hanno riportato l'Ippocampo soprattutto in ambito funerario e questo ha fatto ritenere che esso fosse
da loro visto con funzioni di psicopompo, come accompagnatore dei defunti nel viaggio all'aldilà, ma questa lettura
non spiega a fondo quel simbolo: esso è infatti riprodotto spesso anche nella monetazione, un ambito che non
prevede simbologia strettamente legata al funerario. Nel simbolo dell’Ippocampo si devono invece vedere,
ampiamente condivise dalla critica, doti e caratteristiche “contrarie” a quelle del mortale Pistrice-Ketos.
Questa "contrarietà" dei due soggetti, testimoniata dalle seppur rare loro figurazioni in contrapposizione, uno contro
l'altro, come anche dalle evidenze fisiche che le caratterizzano, aggressiva e letale l'una e pacifico e docile l'altro, è
una contrarietà che per l’Ippocampo invita a vedere altro rispetto al compito di “accompagnatore all’aldilà”, di
psicopompo.
Questa "contrarietà" dei due soggetti, testimoniata dalle seppur rare loro figurazioni in contrapposizione, uno contro
l'altro, come anche dalle evidenze fisiche che le caratterizzano, aggressiva e letale l'una e pacifico e docile l'altro, è
una contrarietà che per l’Ippocampo invita a vedere altro rispetto al compito di “accompagnatore all’aldilà”, di
psicopompo.
Si dovranno vedere infatti, nei contrapposti Pistrice-Ippocampo, le figurazioni delle due contrapposte Forze
Maschio-Femmina Yang-Yin ovvero: la "forza che può portare a morte-fine definitiva l’anima” da un lato, per il
“femmineo-yin” Pistrice, e dall'altro la "forza che può portare l’anima alla Vita-Eternità" per il “maschile-yang”
Ippocampo.
Continuiamo la analisi prendendo in esame una delle più interessanti figurazioni dell’Ippocampo, quella che
troviamo nel Vaso di Medella, qui riprodotto, del 1° sec. aC e proveniente da Canosa di Puglia. Johann Jakob
Bachofen, già professore di diritto romano all'Università di Basilea, con riferimento al Vaso Medella, che come lui
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dodicesima parte
ricorda nasce in ambiente orfico-pitagorico, sostiene che: "il contenuto figurativo rappresenta il ritorno dell'anima
liberata dalla tomba del corpo alle sue origini cosmiche, la risalita verso la forma intelligibile".
Credo che, con una importante precisazione, si possa condividere quanto afferma Bachofen: la figura
dell'Ippocampo infatti, che nel Vaso di Medella campeggia, non può limitarsi ad allegorizzare l'evento dell'anima che
singolarmente si libera. Ancora, così, male si spiegherebbe la copiosa figurazione dell’Ippocampo su monete.
Si completa invece, la lettura di Bachofen, con quanto sopra detto e visto in merito ad un Ippocampo quale figura
della archetipale "forza che porta l’anima alla Vita-Eternità" .
Dentro e con questa lettura e visione si arriva a vedere e dire che l'Ippocampo è al contempo e senza contraddizioni
sia figura e auspicio del "processo salvifico" che vede il singolo uomo portarsi al divino-eterno, ovvero dell'anima
che ha saputo portarsi alla salita ai cieli dopo la morte fisica, e sia della divina-spirituale-archetipale “forza
salvatrice”, il “Verbo-Figlio di Dio”, che quel processo di salvezza muove e permette.
Processo salvifico, universalmente visto nella antichità, che è la "conversione-cambio di mentalità", la
"resurrezione-rinascita in vita", il "viaggio mistico" qui largamente trattati.
Un "cambiamento-cambio di mentalità" e "viaggio" che è bene realizzare "in vita", come ci dicono anche Gesù e
Socrate, ma che non è forse precluso anche dopo la morte fisica.
Un processo quindi, un viaggio ed una condizione ultima, che è traguardo all’uomo augurabile e da augurare sempre
e con forza come facevano gli Etruschi figurando l’Ippocampo sui sarcofagi. A questo scopo quindi, quale augurio
ed auspicio di "salvezza", e non già quale neutra figura di traghettatore, gli Etruschi hanno scolpito quella figura sui
loro sarcofagi.
Della natura salvifica dell’Ippocampo dicono poi con chiarezza le molte e bellissime figure che, in ambito greco in
particolare ma anche italico, lo mostrano cavalcato dalle benevoli Nereidi, una natura salvifica che in ambito già
cristiano vedrà nella catacomba l’Ippocampo figurato con testa di un “cervo” notoriamente cristico.
La figura dell'Ippocampo rappresenta quindi ed è allegoria al contempo di entrambi questi aspetti di un "solo ed
unico" agire-accadere:
- è allegoria della -archetipale- "Forza salvatrice”, la Forza che “porta alla Vita-Eternità" e che -combatte- ciò che
porta alla morte-fine più ultima, con parole della tradizione giudaica la Forza “cristica, salvatrice”, da un lato, e
dall’altro al contempo.
- è allegoria dell'aspetto di "rinascita" che implica quel processo di salvezza, il filosofico -rinascere-, insegnato da
Socrate come da Gesù, che porta alla certezza di "finire fra dei" dice Socrate ovvero ad "essere Figli di Dio" dice
Gesù con parole ed immagini della tradizione giudaica: la condizione di Figlio-Unto-Messia-Cristo.
A sostegno di questa duplice ma al fondo unica lettura di quel simbolo, possono venire le seguenti considerazioni:
a) stranamente, bisogna notare, mentre per la "distruttrice forza-condizione" di Ketos-Pistrice la figurazione
allegorica che ci viene riportata è chiaramente fantastica, non reale ed immaginaria, per la "vitale forza-condizione"
che le è -contraria- viene invece scelta una figurazione allegorica, l’Ippocampo, che chiaramente richiama un reale
animale, il Cavalluccio Marino.
Difficilmente questi fatti sono immotivati, tutta la cultura antica si esprime "nascostamente-esotericamente" ed
anche questa specificità una motivazione facilmente la aveva. Il motivo della scelta di quell'animaletto certamente,
direi, sta nel fatto che il Cavalluccio Marino o Ippocampo ha una -generazione maschile-: è il maschio che riceve
nella sua sacca le uova dalla femmina, che le feconda e che partorisce dopo la gestazione.
La sua figura quindi richiama per l'uomo una "nascita maschile-yang" ovvero richiama una "nascita" nello yangspirituale, la “rinascita-resurrezione da acqua e spirito” di cui come qui visto dice Gesù: una generazione lontana
da quella "caduta", all' "io-materialità", che unicamente vede il "femmineo-yin".
b) ulteriore conferma di questa lettura dell'Ippocampo, che come detto è spesso figurato "alato", quale "forza e
condizione ad un tempo" di “salvezza-rinascita-resurrezione" è il fatto che le immagini che di esso ci consegna la
monetazione della Magna Grecia calabro-pugliese del V-II sec aC sono spesso affiancate da una "conchiglia Pecten".
Una "conchiglia pecten", mollusco ermafrodito, simbolo di “nascita all’alto-rinascita” per la cultura greca la quale
vede nascere appunto, -in e per- tale "conchiglia-condizione" di unione maschio-femmina o yang-yin, VenereAfrodite, la dea di una “divina bellezza, generazione-Vita ed amore-attrazione universale” che è, infine vuole visto,
figura dell’animo, anche umano, nella sua più alta, divina-spirituale, condizione.
Una "conchiglia pecten" che, verosimilmente e contro ogni altra leggenda, anche per coloro, con i Templari in prima
fila, che al Cammino di Compostela ed a quella tradizione hanno dato origine, era simbolo che voleva dire
dell'insegnamento ed invito a quel “duro viaggio interiore” che è la “rinascita in vita-resurrezione”.
Quel cammino infatti nasce per onorare un Giacomo che, capo della Comunità Madre di Gerusalemme, con gli altri
VeriApostoli ed in contrapposizione a Paolo insegnava, come si evidenzia nella sua lettera, il “Gesù diverso”, uomo
come tutti, che aveva invitato ad una "conversione-cambio di mentalità" che come visto in queste pagine è la
filosofica "rinascita-resurrezione in vita", il “mistico” viaggio-ricerca interiore di svelamento del Vero, del Logosdivino in noi, insegnato come visto da Gesù.
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dodicesima parte
- Moneta M.Grecia V-II
sec.aC, con Ippocampo
alato e conchiglia Pecten.
- Stele funeraria etrusca
del V sec aC, con
Ippocampo in lotta con
Serpente o Pistrice.
- Sarcofago etrusco del II
sec aC con Pistrice ed
Ippocampo contrapposti
- Fondo di piatto da
catacomba Novaziano con
Nereide su Ippocampo con
testa di cervo.
- Vaso Medella, del 1°
sec. AC, Canosa di Puglia
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dodicesima parte
Conferma questa lettura interpretativa della immagine filosofica della conchiglia Pecten all’interno della tradizione
cristiana, almeno fino al X-XII sec., una interessante placca risalente al VI sec. Ed oggi al Louvre, commemorativa
del “mistico” santo, antiocheno, Simeone Stilita (390-459). Si vede qui che il santo alzato da terra, meditante sulla
colonna-rupe sulla quale ha vissuto asceticamente oltre trenta anni e lontano da una materialità-serpente che non lo
tocca più, ha sopra di sé una grande e dorata “conchiglia Pecten”: è per quella strada, è grazie a quella silenziosa
ricerca in sé, che si vede-ritrova la parte “alta, divina e spirituale” dell’anima di cui dice Afrodite.
Afrodite, IV sec.aC, Museo Hermitage
Simeone Stilita, VI sec.dC, Museo Louvre
c)
ancora una conferma a questa lettura dell’Ippocampo ci viene da un’altra figura molto ricorrente nella
monetazione che va dal V al II sec. aC della Magna Grecia, di Taranto e Brindisi in particolare: la figura del
“Giovane nudo che cavalca un delfino”. Oggi questa figura è vista legata a due leggende sulla fondazione della
città di Taranto, leggende, peraltro varie ed incerte, che vedono protagonisti due diverse figure, Taras e Falanto.
Nel “Giovane su delfino” vengono quindi visti sia Taras, un mitologico figlio di Poseidone, che lo spartano Falanto
ed entrambi, nelle rispettive leggende, considerati con vicende diverse oltre che varie quali fondatori della città di
Taranto.
Queste letture della figura del “Giovane su delfino” sono però molto deboli: esse non possono dare alcuna
spiegazione ai molti simboli che, seppur non sempre né in tutte le monete, accompagnano quella figura. Non
spiegano perché al suo fianco si vedano, con buona frequenza,: la Conchiglia, l’Ippocampo, il Vaso, la Vittoria, la
Cetra, il Tridente, il Gufo, l'Ancora, ma anche non spiegano il perché della "nudità" di quella figura.
Sintomatico, e non certo casuale, è invece il fatto che entrambi i miti di Taras e Falanto riportano e richiamano ad
una “salvezza”, il salvataggio in mare operato dal delfino, con il giovane protagonista che è quindi figura di chi,
"nudo" senza -propri dell'io" vestiti-foglie di fico, “si salva”.
Non si può dimenticare poi che, come il Vaso Medella, queste figurazioni nascono in territori orfico-pitagorici e
quindi in un ambiente culturale pienamente esoterico ma pure, evidentemente, su questi aspetti ed insegnamenti
identico a quello etrusco. Il “delfino” infatti, pur senza la figura del giovane salvato, è figura molto frequente anche
in ambito etrusco a significare lo stesso processo di salvezza aiutato dalle benigne forze, allegorizzate nel delfino
che infatti vediamo spesso figurato accanto alle benevoli Nereidi. Forze che possiamo trovare al nostro fianco nel
"percorso della vita", sul Mare di Poseidone, e che vediamo spesso affiancate ad Afrodite-Venere, affiancate a quella
parte alta, bella-nobile-spirituale, dell’animo umano che grazie ad esse l’uomo può ritrovare.
Un ambiente orfico-pitagorico, ma anche etrusco quindi, che peraltro come testimoniano, nella monetazione citata, il
mantenimento tematico nel corso del tempo da un lato e la differente varietà di figurazioni prodotte dall’altro, vede
mantenuta quella cultura religioso-filosofica viva e vivace per molti secoli. Questa, bisogna dire, è una evidenza
indiscutibile visto che quelle figure non erano mera riproduzione, non erano pedisseque copiature. Una lunga
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dodicesima parte
vitalità culturale che vede certo poche altre testimonianze ma sappiamo che il pitagorismo, come l’orfismo, vedeva
insegnamenti “esoterici”, “nascosti” come sono queste figure, insegnamenti che non potendosi apertamente e
pubblicamente dire hanno perciò lasciato solo poche, e nascoste come queste, tracce.
Per quelle dottrine, come per larghissima parte del mondo antico, non si poteva insegnare il Vero se non "a chi era
già pronto", e non si poteva fare, ricordo, poiché da un lato esse -non sono trasmissibili- senza un attivo e pronto
recepimento, e dall'altro poiché a causa dei -sicuri fraintendimenti- che intervengono il farlo è pericoloso, può essere
rovinoso: l'insegnamento può essere recepito in modo completamente stravolto.
Come non ricordare, a questi riguardi, la volontà e decisione di non scrivere nulla da parte di Socrate e di Gesù come
pure di Maometto e tantissimi filosofi, e come non ricordare le parole della 2° lettera di Pietro che mette in guardia
rispetto alle lettere di Paolo, rispetto ad un fraintendimento, "di esse" ma che in realtà “è in esse", che “porta alla
rovina” !
Con tutto ciò credo si possa dire e vedere che la figura di “Giovane su Delfino”, che viene legato all’Ippocampo
ovvero alla allegoria di Forza yang-Logos sopra vista, ma come pure quelle del "Delfino" figurato da solo e molto
frequenti sia nel mondo greco che etrusco, vogliono dire e significare della “Salvezza” dell’animo umano.
Nereidi cavalcanti l’Ippocampo;
Venere-Afrodite, II sec dC, Getty Museo
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Monete Magna Grecia del V-II sec aC;
dodicesima parte
Mosaico raffigurante la “Salvezza”. Parma, basilica paleocristiana del V° secolo.
Vogliono dire del processo che, aiutato da Forze positive, il Delfino, porta l’uomo ad evitare il naufragio-fine ovvero
la Pistrice-Ketos-Leviatano che si contrappone all’Ippocampo: ciò cui facilmente portano i pericoli che si incontrano
nel percorso della vita, nel Mare di Poseidone. Con terminologia filosofico-giudaica se nell'Ippocampo si vede
piuttosto la figura della archetipale "Forza salvifica", il Salvatore-Logos, nel "Giovane su Delfino" e nel “Delfino”
da solo si vedono invece le figurazioni ed auspici rispettivamente del "Salvato", ovvero l'Unto-Cristo, e della
“Salvezza” ovvero del processo-viaggio, mistico, necessario alla “salvezza”.
Conferma questa lettura, con uno straordinario legame al cristianesimo “filosofico” dei primi secoli, anche un
mosaico risalente al V° secolo rinvenuto a Parma nel piazzale del Duomo nel 1955 e appartenente ad una prima
Basilica paleocristiana. Il mosaico, che chiaramente raffigura la “Salvezza” come giustamente visto dagli esperti,
mostra assieme un “Graal-anima” ricolmo di “acqua” ed una coppia di “Delfini”.
Delfini che, con evidenza, da questa prima cristianità dicevano della stessa “salvezza”, filosofica, di cui dice il VasoGraal traboccante di acqua: traboccante di un’“acqua” che, abbiamo qui visto, Gesù vede sgorgare dal petto di chi lo
ha capito e che millenni prima di lui era vista sgorgare dal petto/vaso di Gudea.
Si spiegano, con queste letture, tutti quei “simboli” che accompagnano nella monetazione vista il “Giovane su
Delfino” che, quindi, come anche il “Delfino” è simbolo di “Salvezza” ovvero: entrambi sono, con terminologia
giudeo cristiana, simboli “Cristici”, simboli di “Unzione-Salvezza”.
Questi “ simboli” infatti sono :
- l’Ippocampo, abbiamo visto, dice di quella divina-archetipale Forza "salvifica" che nel percorso-viaggio della vita
umana “difende” dai pericoli, è "scudo", come dice una delle monete, contro essi;
- il Gufo, nota figura legata ad Atena, la dea della Saggezza e Sapienza, dice al contempo di ciò che serve ed a cui si
giunge nel compiere quel "salvifico" viaggio;
- la Conchiglia Pecten, segno e simbolo della Rinascita, del ritrovamento dell’anima nel suo splendore-purezza,
rinascita necessaria e che si deve compiere con la attuazione di quel viaggio;
- la Vittoria, la Nike con alloro, dice della correttezza di quel cammino-viaggio di vita: esso è vittorioso, porta
all’eterno, porta a "finire fra dei" come dice Socrate;
- il Vaso, lontano dal peraltro infermo vaso sacrificale oggi visto, rimanda a mio avviso al tema del Graal qui già
approfondito: il Vaso-Cuore-Anima la cui conoscenza si rende indispensabile alla Salvezza-Viaggio necessario,
l'indispensabile "conoscenza di se stesso" delfico.
- la Cetra, simbolo della capacità poetica, per eccellenza in Grecia capacità prerogativa del Filosofo e Sapiente, essa
è simbolo, al pari del Gufo, della Sapienza cui quella "salvezza" porta.
- l'Ancora, che ricorda anche il viaggio di Odisseo, può verosimilmente dire della capacità da parte di chi si "salva"
di "ancorarsi" saldamente in porti-condizioni sicure.
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dodicesima parte
- da ultimo il Tridente. Più difficile da collocare, esso è noto simbolo di Poseidone e credo quindi si possa in esso
vedere la capacità divina, da parte di chi si salva, di combattere ciò che a quel traguardo, nel Mare-vita, si oppone.
- ancora poi con riferimento alla nudità del Giovane, seppure non sia facile il darvi spiegazione credo plausibile
quanto sopra anticipato: è nudo, è senza -proprie- opinioni-doxa, ovvero è senza vestiti-foglie di fico chi si
"salva", chi si porta all'eterno, chi si porta "fra dei".
Un'ultima nota devo fare, prima di passare ad altro, in riferimento al bellissimo Vaso Medella.
Con le letture ora fatte non si può non vedere, nei quattro cavalli che da esso sporgono, le "Cavalle di Parmenide" o
anche la "quadriglia del Sole Invitto": cavalle figuranti le Muse che aiutano e portano il "Graal-Vaso-Animo
umano", fuori dalla caduta all'io-materialità: al divino-eterno, ai cieli.
Dopo questa doverosa nota su Medella, chiudo questo capitolo portandomi, con una lieve digressione, alla analisi di
due stemmi: uno che che si lega al tema della cristiano-filosofica "Pistrice" che ingoia e rigetta Giona, e l'altro che
invece vede l'"Ippocampo" assieme al "Vaso" ed altro.
Sono: a) lo Stemma Visconteo-Milanese e b) lo Stemma della città di Coimbra.
– a) Stemma Visconteo-Milanese
Una immagine notissima, anche se molto poco riconosciuta, del sapienziale racconto biblico su Giona è quella del
"Biscione" Visconteo, uno dei simboli di Milano richiamato oggi in molti stemmi e loghi.
Non si conosce come e dove nasca questo simbolo, ed è quindi difficile dare certezza al significato ultimo che per i
Visconti, intorno al X-XII sec., ha avuto la scelta di questo stemma che alcuni ipotizzano fosse della città di Milano.
Sappiamo che quella famiglia è stata, largamente, ghibellina ovvero critica nei confronti del papato romano e
tendenzialmente più vicina al cristianesimo ariano degli imperatori Goti e Longobardi che a lungo e prevalentemente
hanno governato quei territori. La stessa
Chiesa di Milano, peraltro, è stata a lungo, seppure con grande alternanza, in contrasto con Roma: assieme ad
Aquileia essa, contro le delibere del Concilio Costantinopolitano II, ha dato vita al vasto e gravissimo, e fondante
per la sua natura cristologico-dottrinale, Scisma Tricapitolino.
Ora, il simbolo visconteo indubbiamente si collega alla vicenda di Giona ovvero esso perciò si lega a quello che è il
principale testo profetico ricordato dalla comunità di Aquileia nei suoi mosaici del 300.
Si lega quindi a quello che è praticamente il marchio di quella comunità cristiana che, molto più a lungo di Milano,
restò tricapitolina, restò separata da Roma.
E certamente quindi, bisogna dire, da parte dei Visconti quel simbolo non poteva non volere significare la vicinanza
al tipo di “visione teologica e di comprensione del divino”, -contraria alle condanne Tricapitoline-, che Aquileia,
per molto tempo assieme a Milano, con evidenza rappresentava.
Nonostante ciò è pur vero che non vi sono certezze sul fatto che per i Visconti la scelta del mito di Giona quale segno- di vicinanza ad Aquileia e quindi quale -segno- di distanza dal cristianesimo, romano papale, che si è
imposto nel Concilio voluto e diretto dall'Imperatore Giustiniano, fosse una scelta legata al fatto che in quel testo
profetico essi, come pure la prima cristianità di Aquileia, vedevano l'insegnamento sulla reincarnazione che in queste
pagine abbiamo evidenziato.
Questa certezza manca, è vero, ma vuole detto e ricordato che la credenza nella reincarnazione, pienamente presente
nella cristianità quando è nato il mosaico di Aquileia, è stata condannata definitivamente proprio in quel Concilio dal
quale Milano con Aquileia si dissociarono.
E ancora, vuole detto e ricordato, poco tempo dopo la adozione di quel simbolo da parte dei Visconti è stata molto
larga e subitanea, e pertanto già viva e pronta, la adesione da parte di molta nobiltà lombarda al movimento Cataro,
la adesione ad un cristianesimo che credeva nella reincarnazione.
Seppure senza certezze quindi, molto alte sono le probabilità che con quel simbolo i Visconti abbiano segretamente
voluto affermare la loro adesione alla cristianità, erede della "fonte filosofica giudaico-ellenica", condannata nel
Concilio Costantinopolitano II.
Una cristianità che, oltre a credere nella reincarnazione, considerava Gesù un uomo come tutti che si è portato a
condizione divina ovvero era "rinato": credenze e cristianità rimaste sotterraneamente vive come testimonia la larga
e relativamente subitanea adesione, non solo di molta nobiltà lombarda e non solo, al movimento dei Catari.
A questa lettura del simbolo visconteo mancano conferme documentali, ma sappiamo che questi temi, piuttosto
esoterici, sono sempre stati testimoniati con simboli iconografici difficili e da capire. Ad oggi poi, nessuna altra
plausibile spiegazione, su quel simbolo visconteo che certamente si rifà alla vicenda di Giona, viene data.
– b) Stemma della città di Coimbra
Passando invece all'altro stemma, quello di Coimbra, esso si presenta piuttosto complesso e di non facile
interpretazione, ma l'Ippocampo, assieme al Vaso-Graal, credo che possano aiutare.
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dodicesima parte
fig. a
fig. b
Partendo dall'alto vediamo due scudi che sono due stemmi del Portogallo. Questo stemma è già in se interessante e
non credo casualmente posto nello stemma di Coimbra, città di grande tradizione templare. Lo stemma del
Portogallo infatti, è nel 1140 circa che vede l'inserimento dei "cinque scudi disposti a croce" che qui vediamo. Un
"cinque" simbolo, abbiamo visto in queste pagine, delle "cinque ferite" di Gesù che sono ricordate nella croce della
Chiesa di Gerusalemme, croce cui si lega quella templare.
In questo scenario non è difficile vedere nel Vaso il Graal templare, il "cuore-vaso" da scoprire in quel "viaggio" che
vede la "rinascita-resurrezione" filosofica di cui dice, come abbiamo visto sopra, l'Ippocampo.
Sembra quindi di potere dire che lo stemma nasca in un ambiente cristiano che, segretamente, segue gli
insegnamenti della prima e apostolare "fonte filosofica giudaico-ellenica", il cristianesimo legato alla Chiesa Madre
di Gerusalemme ed in contrasto con quella Paolino-Romana.
Con ciò nelle altre due figure, la Donna Coronata ed il Leone, si potrà vedere nella Donna la Sapienza e nel leone
un simbolo di Forza e Coraggio che portano questo stemma a significare quanto segue:
" la Sapienza nasce-viene all'uomo grazie alla “conoscenza” di un Graal-Anima cui si giunge
con quel "viaggio-rinascita-resurrezione" che necessita di una Forza-Coraggio, il Leone, che vuole ad esso
affiancato il divino Logos-Verbo-Ragione, l'Ippocampo.
DANTE: LA SUA COMMEDIA, IL VIAGGIO, LE ALLEGORIE
Tutta l’opera di Dante (1265-1321) è “Sapienza”, ma è in particolare nella sua “Divina Commedia” che egli
mostrerà e ci consegnerà, anche nascondendola, quella Luce, quella Sapienza e Conoscenza.
La “Divina Commedia”, dice Dante, quando è giustamente capita-digerita “nutre” e porta ad essere “Vivi”:
<..la tua voce..vidal nodrimento lascierà poi, quando sarà digesta..>(Par XVII 130)
Dante nella Commedia dice di quel suo personale viaggio che è il “viaggio mistico-filosofico” che tutta la antichità
ha, più o meno segretamente e variamente, indicato visto ed insegnato: è il viaggio che è mostrato nella Odissea e
che porta a ritrovare ad un tempo Casa e Sposa, è la "rinascita-conversione-cambiamento di mentalità-resurrezione
in vita" cui ha invitato Gesù, è il portarsi “al Regno”, è il “passeggiare con Jhwh-vedersi nel divino”, è l’uscita dalla
caverna di Socrate.
É il portarsi ad essere Vivi-dei abbattendo-abbandonando la propria casa-io come dicono la Genesi, con Noè, e Gesù
ma anche come mostrava, identicamente, nel Gilgamesh sumero la figura ed il racconto su Utanapistim.
Ma, pure, è ciò di cui dicono le figure ed il racconto su Abramo, Isacco e Giacobbe della Torah giudaica ed è la
"rinascita" cui invitava Socrate che dichiarava appunto il suo lavoro di insegnamento simile a quello della levatrice:
una strada-rinascita che egli dichiara "filosofica" e che deve vedere una “Melete Thanatou”, un “esercizio di morte”,
che è una “morte che pochi sanno affrontare e che molti neppure sanno di che morte si tratti", ci dice.
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dodicesima parte
É il necessario portarsi dell'uomo ad una condizione che è vista e dichiarata “divina”, condizione di massima
giustizia ed umana conoscenza dell'Essere ovvero condizione di Sapienza. E' un portarsi-cambiamento, rinascitaresurrezione, che tutto il mondo antico indica quale strada di giustizia e di salvezza-eternità, condizione umana che è
-piena di certezza- : <..se c'è una cosa di cuoi sono certo è che finirò fra dei..> dirà Socrate filosofo in punto di
morte, e Dante identicamente dirà di un suo <..attender certo de la gloria futura..>(Pa. 25,67ss). Anche Aristotele,
in Et. Nicomachea 7,1,1145 riprendendo quanto Omero fa dire a Priamo su di un Ettore eccezionalmente virtuoso, e
riprendendo quindi insegnamenti a lui precedenti, scriveva che <...un eccezionale grado di virtù trasforma gli
uomini in dei...>. Ma a queste parole egli ha anteposto purtroppo un <..se come dicono..> che comunica uno
scetticismo ed una incomprensione che ha finito per segnare l'intera storia filosofia a lui successiva.
A quella certezza, a quella <..spene...(che) è uno attender certo de la gloria futura..>(Pa. 25,67ss), ad una -certa e
luminosa visione- così lontana dalla odierna paolino-cristiana "cieca ed esitante speranza", Dante dice che si arriva
per una "grazia divina" che da un lato è il sapere cogliere tale luce in molti segni, <...da molte stelle mi vien questa
luce..>, e dall'altro è "merito" di quel -cercare-, da lui eloquentemente indicato in Salmi, lettera di Giacomo ed
Apocalisse di Giovanni, che porta a "sapere, conoscere-assaporare", il nome-essenza-essere divino. Che porta ad
essere tra <..color che sanno il nome tuo..>(Pa. 25,67ss) dice richiamando il Salmo IX che si riferisce a Jhwh : e
"sapere il nome" del divino è conoscerne, nei limiti umani, la sua essenza.
Un razionale cercare e strada, dice Dante, poiché <..vivere nell'uomo è ragione usare ...(e quindi) è essere morto...il
non ragionare lo fine de la sua vita..(come pure) il non ragionare il cammino che dee fare..>(Convivio 4,7,11ss).
Razionale strada e cammino di giustizia-eternità che, come visto, sarà infine negata da una Cristianità figlia di
Paolo, farisaico-separatrice come anche lo sono oggi Islam ed Ebraismo.
È il viaggio-conversione che inizia duramente, per lui come per molti se non tutti coloro che sanno compierlo, con il
buio passaggio della Selva: la difficile battaglia -personale ed interiore-, la “jihad guerra santa” ovvero la
“esperienza del deserto” di cui dicono e Scritture e Gesù o, ancora, la “melete thanatou-esercizio di morte” filosofico
socratica.
E' un viaggio e passaggio che l'uomo e l'umanità devono compiere e compiranno contro la “caduta” ovvero contro
l'errore dell'io-materialità, la separazione-fariseismo: contro l'Errore-Anticristo ovvero tutto ciò che, -con e perquegli errori e forze, si oppone al Verbo-Logos Unico.
Dante nella “Divina Commedia” parla del suo personale viaggio al divino, un viaggio duro e buio, come detto, nei
suoi primi passi. Parla del suo viaggio "mistico" ma, nascostamente, dirà pure dell'Errore-Anticristo ed Accadere
che impedisce all'uomo-umanità quel viaggi-conversione, un Errore ed Accadere che vede la Chiesa istituzione ed i
suoi insegnamenti quale prima imputata. E ne dirà, anche, richiamandosi a quanto è visto da Giovanni nella sua
Apocalisse. A ciò che prima di Giovanni già era mostrato dai passi di Daniele, passi che Gesù, ricordo, ha chiesto,
invitato e quasi pregato di capire.
Sono temi, letture e comprensioni, quelle di Dante, che per la Chiesa sono tutte eretiche e pericolose ed il dirne
apertamente in quei tempi, ai tempi della più terribile e sanguinaria lotta del Cattolicesimo romano contro “diverse”
libere letture del messaggio di Gesù, portava chi le sosteneva a nefande conseguenze.
Conseguenze che, tra i tanti, non eviterà l'amico di Dante, filosofo, medico ed alchimista, Cecco d'Ascoli che con
coraggio più apertamente del nostro poeta parlava e scriveva: il 16 Settembre del 1327 fu messo al rogo a Firenze
nel piazzale antistante la Basilica di S.Croce. E a volte nemmeno la morte ti salvava dal rogo: è infatti diciannove
anni dopo la loro morte, nel 1283, che Farinata degli Uberti e sua moglie furono condannati per eresia dalla Santa
Inquisizione ed i loro resti messi al rogo.
Cecco, che apertamente esprimeva i suoi pensieri, di Dante e non solo di lui disapproverà il dire segreto:
disapproverà quello che egli definirà lo <..scrivere favole..> dei suoi contemporanei.
Dante, prudentemente invece, parlerà in modo nascosto invitando a vedere e capire nel segreto delle sue parole ed
allegorie: <...O voi ch’avete li ’ntelletti sani,/ mirate la dottrina che s’asconde / sotto ’l velame de li versi
strani.>(Inf. 9,61ss).
Con i versi di quella sua opera, ma non solo, egli parla “nascostamente” e, come messo in evidenza da molti critici e
tra questi Maria Soresina con il suo “Libertà va cercando”, il suo segreto e nascosto dire si lega al “diverso”
Cristianesimo degli inizi della cristianità che, ai suoi tempi, i Catari avevano riproposto ed insegnato, un “diverso”
cristianesimo che molti altri, fuori e dentro la Chiesa, e segretamente soprattutto, vedranno e seguiranno. Sono
insegnamenti letture e comprensioni che, per Dante ma non solo, si ritrovano, si affiancano ed incontrano gli
insegnamenti delle opere e dei temi mitologico-sapienziali del mondo antico, della filosofia pagana ma anche della
religiosità orientale.
Egli assimila e paragona infatti le esperienze religiose "mistiche" cristiane quali quella di Francesco d'Assisi, "sole
per il mondo" egli dice, alle esperienze religioso filosofiche del mondo "orientale" Indu, del "Gange".
Esperienze di una "ascesi mistica", che egli vede in Francesco, che è più corretto "vedere-chiamare" esperienze di
"Oriente", evidenzia Dante con il gioco di un Assisi citato come Ascesi ma sottolineando così anche come non tutto
ciò che viene detto ascetico sia esperienza vera di origine-oriente-rinascita:
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dodicesima parte
<..là...nacque al mondo un sole, / come fa questo tal volta di Gange. / Però chi d'esso loco fa parole, / non dica
Ascesi, ché direbbe corto, / ma Oriente, se proprio dir vuole ..>(Pa. 11,50ss).
Quelle orientali erano esperienze religioso-filosofiche che, ai tempi di Dante, in Occidente si cominciavano a
conoscere e studiare assieme ad approfondite letture dei filosofi greci e della cultura islamica, studi e conoscenze
che ben presto tutte, a partire dal 1277 con le condanne del vescovo E.Tempier, furono vietate e bandite da ogni
studio, insegnamento e diffusione.
Ampiamente Dante si collega nella Commedia a figure ed allegorie del mondo antico Greco, a ciò che diceva
Platone come a quanto mitologicamente dicevano Omero e Virgilio. Suo grande maestro, poeta neopitagorico,
Virgilio (70-19 aC) per Dante ha infatti visto e detto di una Verità e dottrina della quale anche Gesù ha detto, una
Verità vista e dichiarata nel primo Cristianesimo, apostolare-gerosolimitano. Un Cristianesimo, che è quello dei
tempi di Nerone conosciuto, per Dante, da Stazio, che vede e contempla una ciclicità-evoluzione ed accadere umano
comune a tutto il mondo antico, seppur variamente mostrato. Una ciclicità-accadere della quale tra i primi dirà
Esiodo con le sue "Età dell'oro, del bronzo e del ferro" ma che era vista anche dal mondo giudaico che
apocalitticamente, con Enoch, Profeti e Torah correttamente letti, ma anche con Gesù, ne dirà.
Visione-comprensione e Verità dichiarata anche, come già visto, nel mondo Indo-Ario come pure, seppur sottesa, si
trova nei testi Sumeri e nella sapienza Egizia. Ed è di questo vedere e cristianesimo che vogliono dire e significare le
parole che Dante esprime per bocca di Stazio il quale a Virgilio, confessandogli che <.. Per te poeta fui, per te
cristiano..>, precisa : <...appresso Dio m’alluminasti... quando dicesti "secol si rinova; / torna giustizia e progenie
scende da ciel nova"..>(Pg. 22, 64ss)
Ben lontano dalla fantasiosa lettura, oggi vista, che dichiara una preveggenza di Virgilio per la imminente venuta di
Gesù, quelle riassunte parole del sapienziale testo di Virgilio, testo nel quale egli si porta ad un irrilevante auspicioomaggio riferito al nascituro figlio del suo potente principale protettore Pollione, dicono di quella "palingenesinuova generazione" lontanissima ed antitetica, come visto, alla paolina "resurrezione finale" oggi insegnata dalla
Cristianità. Una palingenesi che è base della visione apocalittica cui Dante si rifà ma che è anche fondamento degli
insegnamenti di Gesù che invita a capire Daniele e che dice <..sentirete parlare di Guerre..è necessario che tutto
questo avvenga...popolo contro popolo..carestie...è solo inizio dei dolori..>(Mt 24.3ss). Virgilio poi nel suo testo
completa quella visione con la "filosofica" immagine-allegoria della Vergine, allegoria che è presente, seppur
sottesa, nel mondo greco con la figura di Elena e che invece è chiaramente evidenziata nella culturarappresentazione giudaica con la largamente incompresa Ruah-Spirito Santa che l’animo umano deve seguireascoltare. Scriveva Virgilio:
<.. O Muse Sicule, cantiamo più elevati argomenti: / gli arboscelli e gli umili tamarischi non piacciono a tutti: se
cantiamo le selve, le selve siano degne del console. / Già l'ultima età del carme Cumano giunge, un grande ordine
di secoli comincia da capo; / già anche la Vergine ritorna, i regni di Saturno ritornano; già una nuova progenie
scende dall'alto dei cieli. / Tu, o casta Lucina, sii propizia al fanciullo che ora sta per nascere, / col quale
primieramente l'età del ferro cesserà e (quella) dell'oro sorgerà in tutto il mondo, già il tuo Apollo regna. O
Pollione, e questo splendore di età comincerà proprio sotto di te..>(Ecloga 4,1ss)
Si è cristiani, per Dante, anche -capendo- Virgilio ovvero capendo gli insegnamenti di quell'alto, colto e filosofico
paganesimo che si incontra con un cristianesimo delle origini tradito e nascosto ormai dagli errati insegnamenti
paolini. E si è cristiani che, come è stato per il mondo pagano, per quello giudaico enochico e per quel primo
cristianesimo, ritengono possibile e credono alla possibilità della reincarnazione: così era per Virgilio che scriveva
che <..Le anime che altri corpi avranno dal destino, bevono le acque prive di inquietudini del fiume Lete...>(Eneide
VI, 710ss), e così era per i Catari, come è storicamente testimoniato, ma facilmente così era pure per Dante come
evidenzia la Soresina nel citato testo.
Che il Vero si possa scorgere anche nella più alta e colta cultura pagana Dante lo dice in varie parti della Commedia,
in essa vediamo infatti vari personaggi pagani da lui esaltati e/o messi in paradiso come pure tanti richiami a figure e
miti-verità di quella cultura che esprimono la sua grande considerazione per essi.
Ma esplicitamente egli equipara la vera ed alta Sapienza pagana a quella cristiana, quando accomuna le esperienze di
Enea e Paolo (Inf. 2,31ss): il cammino-viaggio da compiere per vedere-capire il divino, Dante così dice, era
identicamente visto sia nel paganesimo che nella -prima- cristianità. Questo dice Dante con quel paragone col quale
egli non intende affatto esaltare la figura di un Paolo che infatti poi, non certo casualmente, sarà da lui escluso dalla
rosa dei beati dove invece, con Pietro, Giovanni ed Adamo, troviamo Giacomo, < gran vasello de lo Spirito
santo..>(Pa. 21,128).
A volte chiare, ma più spesso sottilissime e largamente nascoste e sottese, delle credenze teologiche che Dante
espone nella Commedia è stato ampiamente scritto. Altri spazi quella analisi chiede ed io, su questo, invito ancora al
citato testo di Maria Soresina. In queste righe, in particolare, per la analisi che qui si vuole fare di quanto egli
propone in allegoria ovvero di quanto -poiché pericoloso per la sua vita fisica- in modo massimamente segreto egli
dice, del pensiero di Dante finirà col mettersi in luce quella visione apocalittico-filosofica, in queste righe ben
approfondita, che come detto egli riprende da Giovanni ma anche da Daniele e Gesù.
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dodicesima parte
Una razionale visione e comprensione lontana da vuoti sentimentalismi.
Dante, come peraltro i Catari e come peraltro quella parte di Cristianità che a partire dal 1100 circa riempirà le
chiese di figure apocalittiche e di temi e simboli che ancora largamente non capiamo e spieghiamo, vede ormai
pienamente operante un Errore che chiude all'uomo la salvezza, che lo porta a “morte spirituale” e sofferenze. Un
Errore che <..'mpedisce e uccide..>(Inf. I) e che sarà eliminato solo alla “venuta” del “Veltro” ovvero, vedremo, al
mostrarsi-parusia-presenza del <..cinquecento diece e cinque... messo di Dio..>(Pg. 33). Sarà solo al compimento
della lotta portata avanti da questi, una lotta che ha aspetti di “vendetta” dice Dante e che, anche qui, è dichiarata
“segreta” : <..O Segnor mio, quando sarò io lieto a veder la vendetta che, nascosa, fa dolce l’ira tua nel tuo
secreto?..>(Pg. 20,94ss) egli ci dice per bocca di Ugo Capeto. Sarà a quel punto e compimento che, per Dante,
terminerà il <..viver ch'é un correre a la morte..>.
Il cristianesimo di Dante nasce nel “filosofico” Logos-Verbo giovanneo ed è lontano ed infine antitetico a ciò cui la
Chiesa si era portata e cui aveva portato i suoi fedeli che non potevano così vedere quei “primi ed ultimi tempi” che
la venuta di Gesù doveva far nascere. Una comunità di fedeli che resta così lontana dall'essere la <..Chiesa
Santa..> che Dante tanto rimpiange, una comunità, si rammarica in più occasioni Dante, "in balia" di successori di
Pietro che non "seguono" Gesù : <.. Nostro Segnore in prima da san Pietro / ch'ei ponesse le chiavi in sua balia /
certo non chiese se non "viemmi retro"..>(Inf. 19,90ss).
Per conoscere a fondo il pensiero di Dante sono certo importanti quelle allegorie che sono il suo "segreto dire" ma
non mancano comunque, nella Commedia, i passi in cui egli piuttosto esplicitamente mostra le divergenze tra le sue
credenze e quanto insegnato dalla Chiesa. Elencherò qui, con l'aiuto anche del citato testo della Soresina, alcune di
queste divergenze e questo anche al fine di un più agevole inquadramento e comprensione di quanto poi nascerà
dalle letture ed analisi delle sue allegorie.
a) Sostiene Dante la "necessità di portarsi al divino -in vita-":
del fatto che il "Regno", che è beatitudine-santità-pace, l'uomo debba raggiungerlo oggi, in vita, con quella ricercaviaggio mostratoci nella Commedia che porta a vedere-capire-sapere il divino, Dante oltre che in quanto abbiamo
visto lo dice, tra l'altro, con queste sue parole : <..si fonda / l'essere beato ne l'atto che vede, / non in quel ch'ama,
che poscia seconda..>(Pa 28,109ss).
Beatitudine-Regno quindi cui si perviene con un "vedere" <..che grazia partorisce e buona volontà..> e che
acquisisce misura e profondità in quel viaggio interiore nel quale <..di grado in grado si procede..>(Pa 28,112ss),
un "vedere" che porta, quando si possano <..li occhi levarsi / più in alto verso l'ultima salute..>(Pa 33,27), a vedere
quel divino che è <..circulazion...pinta de la nostra effige..>(Pa 33,127ss). Ed a questa "ultima salute", visionecondizione-conoscenza, si perviene vedendo <..la Sapienza e possanza / ch'aprì le strade tra il ciel e la terra..>(Pa
23,37ss): quando si veda la Sapienza-Luce, quando -si veda e si sia- Cristo ovvero Unto-Messia: la umana
condizione di Sapienza. Letture e profondità di Dante, queste, ben comprese da G.Pascoli e G.Papini che
affermeranno rispettivamente: <..Dante afferma di essere un nuovo Cristo..> <..Dante non teme di assimilare
Cristo a sé stesso..>
b) Dante "nega la resurrezione corporale":
Dante, leggendo dentro le sue parole, nega la possibilità della "paolino-cristiana" resurrezione dei corpi e dice che la
"resurrezione" è il vedere-sentire-portarsi a quella somma "beninanza" che -senza intermediari- agisce e nella quale
troviamo-saremo "vita santa", eternità. Dice Dante in merito per bocca di Beatrice: <..L'anima d'ogne bruto e de le
piante / di complession potenziata tira / lo raggio e 'l moto de le luci sante; / ma vostra vita sanza mezzo spira la
somma beninanza e la innamora / di sè sì che poi sempre la desira. / quinci puoi argomentare ancora / vostra
resurrezion, se tu ripensi / come l'umana carne fessi allora / che li primi parenti intrambo fensi..>(Pa 7,139ss). Qui
Dante dice che si può argomentare-capire in merito alla resurrezione dei corpi, vedendo-capendo che la vita della
"carne-anima" che è -ugualmente fatta-, come dice Genesi, per l'uomo come per "ogni sorta di animali e uccelli"- è
legata al cosmo-materia, mentre altra è la vera Vita umana, quella che direttamente nel divino si anima e ad esso
aspira. La prima muore irreparabilmente in un continuo trasformarsi, mentre alla sua origine divina deve portarsi la
seconda, dice Dante contro la visione paolino-cristiana.
La <..doppia vesta..>(Pa. 25,92) che Dante dice sarà portata nel Paradiso, pertanto, designa e dice di una animaspirito assieme ad un corpo che però certamente, per quanto sopra visto, non è per nulla fisico.
c) Dante "nega il giudizio universale" :
Alla morte dell'uomo, Dante dice per bocca di Stazio, <..l'altre potenze tutte quante mute; / (e con ) memoria,
intelligenza e volontade / in atto molto più che prima agute ..>, l'anima dell'uomo <..Sanza restarsi per sé stessa
cade / mirabilmente a l'una o l'altra riva..>(Pg 25,82ss) . Senza "giudizio da parte di alcuno", e "grazie a-per sé
stessa" l'anima umana si porta all'Inferno o al Purgatorio, in modo mirabile, ammirevole e meraviglioso dice Dante
contro quella dottrina cristiana che nasce con e per Paolo.
Faccio ora qui una breve considerazione.
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dodicesima parte
Con i tre punti sopra visti, che negano la essenza degli insegnamenti del cristianesimo paolino, si dovrà anche
riconsiderare la canonica lettura che oggi viene fatta sul passo dell'Inferno in cui Dante scrive:
<..vidi una scritta che dicea: "Anastasio papa guardo, lo qual trasse Fotin de la via dritta"..>(Inferno XI, 8-9)
Oggi questo passo, in cui Dante mette Papa Anastasio II tra gli eretici, viene letto vedendo Anastasio II come sviato
e portato alla eresia da Fotino, ma molto più verosimilmente Dante qui dice l'inverso, dice che Fotino, amico di
Acacio e partecipe dello “scisma acaciano”, è stato sviato da Anastasio II .
Dante così "condanna quale eretica la cristianità paolino-romana", una cristianità che poi infatti, con Bonifacio VIII
dichiarerà infatti "farisaica" (Inferno XXVII,85). Papa Anastasio II e Fotino, un diacono di Tessalonica, misero a
punto un documento di compromesso teologico con l'intento di porre fine alla divisione tra Chiesa romana e Chiesa
orientale. Ma il documento, criticato da entrambe le parti, non ebbe seguito immediato.
Solo più tardi esso venne ripreso ma il risultato fu la fine della Cristianità orientale e della “fonte filosofica
giudaico-ellenica”, una cristianità che, lontano dai sofismi spesso incomprensibili dei documenti teologici ufficiali,
teologicamente anche per Dante certo era sulle posizioni che Boccaccio, in quel tempo, così descrive:
<... affermava Cristo non essere stato figliuol di Dio, ma di Giuseppe, e ch'esso carnalmente giacendo con la
Vergine Maria l'aveva acquistato; e cosí non era vero che la Vergine Maria fosse vergine innanzi il parto e dopo il
parto, come i cattolici cristiani fermamente credono...>( Boccaccio esposizioni sopra la Commedia di Dante)
Facilmente quindi Dante qui accusa Papa Anastasio II, lui eretico per Dante, di avere portato Fotino a lasciare questa
"via dritta", quel vedere e sentire largamente presente nel cristianesimo Orientale, un sentire certo a Dante più
vicino.
Analizziamo ora, anticipando qualche altro appunto generale sull’opera, le allegorie di Dante, il suo massimamente
segreto dire.
Dante e la Selva Oscura
Dante, come già detto in queste pagine, con la allegoria del passaggio dalla “Selva oscura” ci dice di quel buio e
duro passaggio, <..selva ...aspra e forte che nel pensier rinova la paura ...amara che poco è più morte..> (Inf. I, 46), che è il “passaggio al deserto-conversione” della tradizione giudaica e di Gesù, il duro “cercare che turbaspaventa prima di portare, meravigliati, al Tutto-Assoluto” dice Gesù (VdT l.2), la “melete thanatou” o “esercizio
di morte” socratica: il buio terribile, lo smarrimento, cui si va incontro e che si deve attraversare per compiere la rivoluzione e con-versione che, con la lotta contro un demonio che è stato mentale di separazione-fariseismo nell' “iomaterialità”, la “caduta”, l' “io-corpo” per le parole di quel San Bernardo che Dante pone come suo ultimo
accompagnatore, prima di Maria, nel viaggio della Commedia. Nella Selva, in quel passaggio ri-voluzione, muore
la falsa "coscienza di sé" ovvero l'uomo “muore” alla sua condizione di caduta all'"io", alla sua condizione di
“sonno-morte spirituale” in cui è :
<..era pien di sonno a quel punto e la verace via abbandonai..>(Inf I, 11) dice Dante.
Per inciso, l'argomento sarà ripreso più oltre, vuole notato che la abituale lettura ed interpretazione della Selva
oscura quale "condizione di personale peccato-perdizione-traviamento" di un Dante da tutti visto in preda a
lussuria-superbia-cupidigia, è lettura che contrasta con quella “paura mortale” che egli dice di avere vissuto in quel
periodo, una paura che gli impedisce addirittura di portarsi a ricordare a fondo quei momenti. Chi vive in quel modo
lo fa normalmente con piacere e soddisfazione e certo mai con terrificante paura, una paura che invece l'”io”, la
coscienza di sé, fa vivere seppur falsamente all'uomo in quel passaggio nel quale quell' "io" è spinto e portato a
morire. Lontano dalla “perdizione” normalmente vista la Selva è invece il buio passaggio, terribile, grazie al quale
per Dante, come per tutti, si apre un cammino che :
a)
da un lato porta infine a vedere-capire l'Errore, le Bestie, che costringono lui e l'umanità intera alla morte
spirituale. Un Errore che Dante allegorizza nelle tre fiere che, alla fine appunto di quel buio passaggio, egli potrà
vedere. Errore che nel suo terreno-fisico operare poi Dante, in modo diverso da prima, ci mostrerà con il racconto
sul Carro.
b) dall'altro lato, superato quel duro passaggio e continuando quel cammino, Dante, come tutti, si vedrà rinatoresuscitato, cambiato di mentalità-convertito, e troverà un beneficio ed una pace che si completerà con la infine
piena, pur nei limiti dell'uomo, visione-comprensione dell'Assoluto : un <..bene..> si arriva a trovare, dice Dante,
che culmina nel vedere-capire la <..circulazion … pinta della nostra effige..>(Par. XXXIII, 127-131): l'Eterno
ritorno -in e di cui siamo-, la visione che chiude il viaggio dantesco.
Ed è per farci partecipi di questo “bene”, di questa pace e visione-comprensione che Dante scrive, pur segretamente
per gli ovvi motivi di cui abbiamo detto, dell'Errore-Bestia che uccide spiritualmente ed <..'mpedisce..> quel
cammino e visione : <..per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte..>(Inf I) precisa
Dante.
Dante, il viaggio e le guide-passi
Di come si compie o di come si può compiere quel “viaggio-cammino” mistico che porta alla visione-comprensioneunione con l’Assoluto-Dio, di come Dante stesso si è portato a compierlo in sette tappe e/o passi, egli dirà con la
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dodicesima parte
sequenza dei principali personaggi e figure che lo accompagneranno. Figure allegoriche, anche quando fisiche e
reali, che segnano quelle sette tappe o passi che qui sintetizzo per poi approfondirli meglio :
1- Il “viaggio” di Dante inizia con l’ingresso in quella crisi-buio Selva che nasce con la messa in discussione da
parte dell’uomo di quella “coscienza di sé” che è originata dalla sua “caduta” all'io-materialità, inizia con
l’entrata alla Selva Oscura (allegoria del passaggio-condizione-tempo in cui muore l’io-materialità).
2Dante esce da quella condizione e si porta quindi ad affrontare la salita-rinascita grazie alla poesia di un
Virgilio nel quale egli trova, come è stato per lo Stazio che più avanti si unirà ai due, una filosofia e sapienza,
pagane, che sono in tutto eguali a quelle della primissima cristianità, gerosolimitana ed apostolare. Una
filosofia, poesia-letteratura Sapienziale (di cui dice la figura di Virgilio) che Dante ha potuto incontrare grazie
e per il muoversi a lui della Madre Santa-Ruah Spirito (Maria). Un muoversi, invito-indirizzo che nasce,
continua Dante, ed è provocato-causato dalla stessa -triste- condizione in cui l’uomo, e qui lui stesso, in quel
passaggio alla Selva viene a trovarsi.
3Col ritrovamento di quella Poesia-Sapienza e la conseguente uscita dalla Selva-Deserto con l’incamminarsi al
monte cui porta quella uscita, si ha il ritrovamento della dimenticata-obliata-inascoltata anima, la <..sponsa
de Libano..>(Pg. 30.11), la “divina-alta parte dell'anima” (in allegoria Beatrice) che è nell’uomo ma che
questi perde-ignora nella sua adolescenza, quando diviene uomo del mondo-adam.
4Il viaggio-rinascita dell'uomo, dice poi Dante, con quel ritrovamento si apre quindi ad una “visionecomprensione” ( di cui dice in allegoria la figura di S.Lucia ) che,
5grazie ai più profondi “insegnamenti mistico-filosofici” ( figurati con Bernardo di Chiaravalle ),
6- e quindi poi, con e grazie alla visione-comprensione ed opera della Ruah Spirito Santa ovvero della Anima
universale ( in allegoria Maria ),
7porta infine a conoscere-vedere un Assoluto-Essere-Dio che è :
<..luce etterna che.. ama e arride... circulation... pinta de la nostra effige..>(Pa. 33,124ss).
Un viaggio quindi che porta infine Dante, come tutti coloro che sanno compierlo, a vedere-capire-congiungersi con
un Assoluto-Dio, Essere, Eterno divenire, in cui e di cui è l'uomo, dice Dante, e che è “luce eterna e amore” :
<..amor che move il sole e l’altre stelle..>(Pa. 33,145).
Ma non “amore” di ogni tipo, bisogna -immergersi- in quell’Eterno-Tutto, sembra poi dire Dante, per poter vivere
quel disincantato e distaccato amore che è forza divina, un amore che ogni cosa sa comprendere, assorbire e
rispettare. Un amore "nobile" lontano da ogni languore e pietismo : <.. è nascosa / la veritate a la gente ch'avvera /
ciascun amore in sé laudabil cosa..>(Pg 18,34) egli dichiara con fermezza.
Dante allegoricamente, con le figure che lo accompagnano nel suo "viaggio" dice che dalla interiore dura condizione
di Selva-Deserto egli è uscito grazie ad una Maria che è allegoria della Madre-Sposa-Vergine, la Ruah-Vento Spirito
Santa, l'Anima universale e personale al contempo senza la quale il desiderio di alzarsi dell'uomo non è che un
cercare di <..volar senz' ali..>(Pa 33,15), ciò che è <..termine fisso d'etterno consiglio..>(Pa 33,3). È grazie al
muoversi-indirizzare di questa Forza e Realtà infatti, un muoversi-grazia che è dovuto, causato e creato, dice il
poeta, dalla stessa dolorosa condizione che in quel passaggio-selva si vive, è grazie al muoversi di questa Forza che
Dante incontrando-capendo la letteratura sapienziale, Virgilio, supererà quel duro passaggio ed inizierà la salitaricerca che gli farà completare il “viaggio” di visione-comprensione del divino.
Non devono ingannare le parole che Dante fa dire a Bernardo su Maria : tutte sono senza difficoltà, se non anche più
facilmente, riportabili alla figura di Ruah Santa. Maria, la Ruah-Vento Santa, la Vergine-Immacolata, dice Dante che
è <..alta più che creatura..>(Pa 33,2) ovvero è oltre la naturalità e, essendo ciò che invita al "viaggio", ciò che
invita alla nascita dell'uomo alla Sapienza ovvero ciò che fa nascere il Cristo-Figlio-Sapienza, è <..colei che
l'umana natura nobilitò sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura..>(Pa 33,4ss). Il divino, il creatore
dicono queste parole, nasce nell'uomo che è rinato-resuscitato per la Ruah Vergine Santa e questa è essa stessa figlia
della Sapienza cui invita-porta l'uomo e per questo è <..Vergine Madre figlia del suo figlio..>(Pa 33.1).
In e per questa Ruah, nel suo ventre, si accende quell'amore ardente che fa nascere alla beatitudine, fa nascere il
fiore della "Rosa dei beati" : <..nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo nel l'etterna pace così è germinato
questo fiore..>(Pa 33.7ss).
Per inciso ricordo che in modo del tutto simile a quanto Dante dice di questa Maria-Ruah "consigliatrice-ispiratrice",
ci dicono anche i Vangeli: è stata la Ruah-Spirito Santa infatti a portare-invitare-consigliare Gesù al passaggio al
Deserto-Selva nel quale anch'egli, combattendo la caduta-separazione-Satana, inizierà quel viaggio che lo porterà
agli insegnamenti, "diversi" da quanto vedrà e dirà Paolo, che Dante qui riprende.
Sarà la sapienziale, pagana, poesia di Virgilio che aiuterà Dante ad uscire da quella buia condizione-Selva ed iniziare
il suo “viaggio”, un “viaggio” di salvezza che richiama quello dell'Enea virgiliano ovvero che richiama il viaggio di
salvezza che segue la distruzione dell'Errore-Troia. Viaggi con evidenza strettamente connessi a quello dell'Odisseo
omerico ma Dante, non conoscendo i testi originali di Omero non potrà dar risalto a questo parallelo ed anzi porrà
all'inferno il suo Ulisse, cui fa trovare la morte nel, tutto dantesco, passaggio dalle colonne di Ercole.
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dodicesima parte
E, ci dice Dante segretamente ed in allegoria, una volta iniziato quel “viaggio” grazie ai suggerimenti della poesia o
prosa sapienziale di Virgilio, egli poi potrà continuarlo portandosi a rivedere-ascoltare-seguire quella -parte alta e
nobile- della Anima individuale di cui qui dice allegoricamente la figura di Beatrice.
Fine parte dell’anima che da Dante, come è per tutti, era stata persa-dimenticata-morta dopo il periodo infantile ma
che, come ricorda Gesù e non solo lui, serve recuperare riportandosi appunto ad essere come allora “bambini”, in
quell'ascolto-rinascita.
Una Beatrice che, pur certamente bellissima e soave fisica donna da Dante in gioventù conosciuta e la cui bellezza lo
aveva mosso ad -alti- sentimenti che dell'animo, nella sua poesia diviene allegoria: diviene la Anima bellissima
<..sponsa de Libano..>(Pg. 30.11) dice Dante riprendendo il Cantico dei Cantici. Nella poesia di Dante Beatrice è la
<...gloriosa.. de la sua mente.. che pare figliuola... de Deo..>(Vita Nova) che è capace-in grado di guardare un SoleDio come nessun essere terreno, seppur dotato della divina Aquila dei Cesari, può fare: <..Beatrice... vidi rivolta e
riguardar nel sole: / aquila sì non li s’affisse unquanco...>(Par. I,46-49). E' allegoria di quella parte dell'animo
umano che seguito-ascoltato nel suo difficile, per l’uomo, dire, <..tanto sovra mia veduta vostra parola disiata vola,
che più la perde quanto più s’aiuta..>(Pu 33, 82-84) sottolinea Dante, quando si riesca a portare <..la mente e li
occhi ov'ella vole..>(Pu 32, 108) è Anima che corregge l'Errore e fa recuperare la corretta strada, la
<..via..divina..>(Pu 33, 88).
Una <...Beatrice.. distruggitrice di tutti li vizi e regina de le virtudi..>(Vita Nova), <..sola per cui / l'umana spezie
eccede ..il ciel c'ha minor cerchi..>(In 2,76ss) ovvero grazie alla quale unicamente l'uomo può elevarsi sopra la
materialità. Anima <..fatta da Dio, (e) sua mercé..>(In 2, 91) . E' da questa beatificatrice Beatrice che Dante, come
tutti, uscendo dalla giovinezza ed entrando nella vita adulta si allontana ma essa mai ci abbandona, <..in sogno e
altrimenti..>(Pu. 30.134) ci sollecita <..a la salute..>. Ma chi come Dante sa "cercare ed indagare" mettendo in
discussione quella <..via non vera..>(Pu. 30.130) che è la "caduta", la separazione e l' "io-materialità" cui quella
strada ha portato, chi così sa giungere e inoltrarsi alla dura difficile e paurosa Selva, per e grazie a quella Beatrice
potrà uscire da quel buio e strada e infine vedere il Vero.
Una "via non vera", quella "caduta", che non è, come dichiara la critica, la Donna-Filosofia Pitagorica che Dante
dichiara di avere seguito, via questa che sa invece aprire, egli dice, ad una <..mente ....fine e preziosissima parte
dell'anima che è… deitade..>(Convivio III,2). Via preziosa e divina quindi, questa della filosofia pitagorica, che si
affianca a quella dell'anima-beatrice: e forse è per dire di questi due assieme necessari aspetti, il sentire dell'anima e
la razionalità della mente, o forse più verosimilmente è per dire della “universalità” di quella celeste Beatrice, che
Dante ce la mostrerà accoglierlo con quel suo <..Guardaci ben! ben son, ben son Beatrice..>(Pu 30,73).
E' con e grazie al ritrovamento della -parte alta e divina" dell'animo che l’uomo, come Dante, può aprirsi ad un
“vedere-capire”, di cui dice nella Commedia la figura di S.Lucia, che, grazie allo studio-riflessione e conoscenza che
Dante indica nel suo accompagnatore S.Bernardo, porta alle finali visioni-comprensioni la <..ultima salute..>(Pa
33.27): l'Anima-universale-Santa, allegorizzata in Maria, la Luce-Sapienza-Figlio-Cristo, <..la Sapienza e la
Possanza / ch'aprì le strade tra 'l cielo e la terra..>(Pa 23,37ss), ed il Dio-Assoluto-Essere in cui l'uomo è sopra
ricordato.
Il viaggio di Dante, viaggio che a tutti è disponibile e necessario, vede quindi indispensabile la conoscenza e
comprensione della Sapienza mistico-filosofica, quella di cui dice la sua guida Bernardo di Chiaravalle,
insegnamenti e strada che bene si vedono in questi sui passi :
<..se alcuno..è uomo di tali desideri da bramare di sciogliersi ed unirsi a Cristo, ma lo desideri con veemenza..
ardentemente, e lo mediti con assiduità, costui senza dubbio non altrimenti che in forma di Sposo, accoglierà il
Verbo nel tempo della sua visita, nell’ora cioè, nella quale si sentirà stretto...come dalle braccia della
Sapienza..>(S.Bernardo Serm. XXXII).
<..l’animo, inebriato del divino amore, dimentico di sé stesso, e fatto a sé come vaso sfondato, tende tutto a Dio e
aderendo a lui, diviene un solo spirito con lui...>(S.Bernardo Serm. Sulla Cantica 27).
Dante e le bestie
Dell' Anti-Cristico Errore e pur divino Accadere in apertura qui ricordato, Dante dirà, in particolare ma non solo
come vedremo, con le allegoriche figure di “Lonza, Leone, Lupa” e poi, con la figura del “Veltro”, per dire ancora
in allegoria grazie a cosa ed a chi quell’Errore finirà.
Figure, queste prime che Dante ci presenta, che con la “Selva oscura” e poi con “Carro, Drago, Puttana e Gigante”
in particolare, ma anche con l'Aquila, sono centrali e fondamentali per la comprensione di Dante e della sua Divina
Commedia. Dalla critica piuttosto discusse, seppure con qualche voce dissonante si vede oggi una quasi unanimità
di esegesi, una unanimità che denota piuttosto il buio che avvolge analisi spesso inferme ma anche, come nel caso di
Lonza, Leone, Lupa e Veltro”, chiaramente errate. Analisi e letture che con un certo spregio della figura di Dante,
nelle prime tre vedono rispettivamente lussuria-superbia-cupidigia nelle quali Dante sarebbe "caduto", analisi e
lettura che certo non spiega, come detto, la "paura mortale" che Dante dice avere vissuto in quel tempo-passaggio. E
resta poi, in quelle analisi, largamente senza convincenti risposte la identificazione del Veltro.
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dodicesima parte
Lontano dalla suddetta lettura canonica, e come già suggerito da alcuni commentatori, le prime tre bestie, piuttosto,
sono verosimilmente da vedere quali diversi aspetti e forze di una unica Bestia e Forza che, possiamo dire come
vedremo, è l'Errore più sopra citato : sono, si può dire, allegoria della visione-comprensione filosofica e profetica di
quell’Errore ed Accadere che porta l'uomo alla “morte-sonno” in cui Dante, appunto, si accorge di essere stato
immerso : <..era pien di sonno a quel punto ...>(Inf I, 11), dice. Visione-comprensione che allora, quando si riesce
ad uscire da quella condizione-tempo-Selva e come è stato per Dante, ci si porta ad avere.
Sono, quelle tre bestie, allegoria di una Forza-Errore-Bestia che solo a quel punto, solo mentre si esce dal sonno morte spirituale ed errore “io-materialità” in cui si è caduti, si è in grado di vedere-capire assieme a ciò che, il Veltro,
chiuderà quella universale Forza-Errore che è madre del personale errore che si sta superando, errore che a quel
punto si è visto e compreso.
É quella Forza-Errore-Bestia, le prime tre belve-animali che Dante mostra, la visione filosofico-metafisica di un
errore che nel reale fisico-materiale variamente si sviluppa ed agisce per mezzo di uomini, istituzioni ed altro :
<..molti son li animali a cui s’ammoglia..>(Inf. I 100) dice Dante riferendosi all'ultimo aspetto di quella Forza, la
Lupa.
Di questi ultimi poi, degli uomini, istituzioni ed altro con e per i quali quell'Errore agisce, <..cui s’ammoglia..>,
Dante più esplicitamente dirà, come vedremo, con le figure allegoriche di "Grifone, Drago, Puttana, Gigante,
Aquila e Volpe ” che egli ci mostra a fianco e legate a quella del “Carro”.
Continuando in questa prima analisi bisogna poi notare che nelle descrizioni che Dante ci fa di “Carro, Drago,
Puttana e Gigante” sono evidenti i legami sia con l'Apocalisse di Giovanni che con le figure di Daniele : per il
<..Vangelista..> Giovanni infatti Babilonia è <..grande prostituta.. (con la quale) si sono prostituiti i re della
terra..>(Ap 17) ed essa è <..seduta su una bestia.. (che ha) sette teste e dieci corna...>(Ap 17): uguali sono le teste
e le corna del Drago di Dante e stessa è la “prostituta” dantesca.
Vediamo però ora meglio le singole figure-allegoriche dentro le quali Dante ha nascosto ciò che sentiva e vedeva in
merito, come detto, a questo Errore-Bestia-Accadere.
a) Lonza
Con la Lonza, animale non ben identificato ma comunque bestia <..leggiera e presta molto, che..’mpediva tanto il
mio cammino..>(Inf 1, 32-35), Dante ci dice di un aspetto gradevole di quell'Errore, quasi accattivante: esso non
spaventa: leggera e con il suo <...pel maculato..> essa si presenta attraente ma al contempo arresta ed interrompe,
dice Dante, il suo cammino-viaggio, il superamento della Selva e l'nizio della salita : arresta il necessario "cercare"
dell'uomo.
Più avanti, in Inf. 16 e 17, su questo aspetto della Forza-Errore Dante ci dirà altro, sottesamente, con la figura di
Gerione dalla <...sozza imagine di froda...( con ) faccia d’uom giusto, (e che) benigna avea di fuor la pelle..>(Inf
XVII) : evocato da Virgilio con e grazie alla corda che doveva servire a Dante per catturare la Lonza e quindi atta a
tale opera, Gerione porta e mostra, con evidenza, le stesse caratteristiche di questa. Sottesamente Dante quindi, così
ci dice che il primo aspetto, la Lonza, col quale si presenta quella Forza che lo impedisce, la sua “dolce e benigna”
apparenza, in realtà nasconde "inganno e fraudolenza", l'ingiustizia che si veste di giustizia. Questa lettura è
confermata dalle parole di Dante: egli infatti non è impreparato alla vista di Gerione, immagina e già sa bene cosa
quella corda che ha gettato avrebbe richiamato, conosce bene le prime caratteristiche che ha saputo vedere di
quell'Errore : <..Tosto verrà di sovra ciò …. che il tuo pensier sogna..>, gli dice Virgilio.
Dante con la Lonza dice quindi che il primo aspetto che di quell'Errore si svela è quello della “falsità”, quello di un
mascheramento anche volontario, ma soprattutto involontario, che vede vestirsi di giustizia ciò che è ingiusto, che
vede quindi una “ipocrisia” che è quasi sostanza stessa di quell'Errore : l'ipocrisia tanto condannata da Gesù.
Due parole ancora sulla Lonza meritano di essere dette. E' ignoto a quale tipo di animale esattamente Dante si
riferisca: viene ipotizzato il suo rifarsi ad una fiera che ai suoi tempi sembra fosse in gabbia a Firenze, ma con ogni
probabilità egli qui vuole legarsi ad altro. Potrebbe infatti legarsi ad una tradizione ed allegoria, temporalmente a lui
molto vicina, a noi oggi non più nota ma che ha lasciato sue tracce, con figurazioni di fiere dal <...pel maculato..>,
sia nei mosaici della Chiesa di San Giovanni a Ravenna che in quelli della Cattedrale di Otranto. Immagini qui
piuttosto chiaramente derivanti dal mito-racconto del "Gatto di Losanna".
b) Leone
Con il Leone che <..parea che contra me venisse con la test’alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne
tremesse..>, Dante dice di un secondo aspetto di quella Forza-Errore contraria al cammino-viaggio dell'uomo.
Se nella “falsità ipocrita” della Lonza si trova un aspetto dottrinale, ovvero quello di una “ingiustizia che si veste di
giustizia”, con il Leone Dante ci dice della grande forza, della potenza, di quell'Errore. Una forza-potenza che sarà
anche fisico-militare ma che soprattutto nasce in una psichica natura umana che, socialmente, farà sì che quell'Errore
penetri e domini ogni dove della vita: non solo il potere temporale, il Re-Imperatore-Cesare ovvero il Manasse di cui
dice il testo de “la Ascensione di Isaia”, ma anche la cultura e gli insegnamenti tutti sono condizionati. Un Errore
quindi il cui secondo aspetto, il Leone, è quello di Forza-Potenza massima, "fisica e socio-psicologica" assieme.
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dodicesima parte
c) Lupa
La Lupa, terza bestia-aspetto-forza di quella unica Bestia, ci dice da un lato della difficoltà di sfuggire a quell'Errore
se non si è aiutati come è stato anche per Dante, e dall'altro lato ci dice del suo carattere terribilmente distruttivo. È
difficile sfuggirvi poiché <..molti son gli animali a cui s'ammoglia..>(Inf. 1) dice Dante ovvero perché molte sono
le negative forze che esso finisce per portare al suo fianco. Ma anche, dice Dante, esso è <..bestia.. di rabbiosa
fame.. che molte genti fè già viver grame..>(Inf. 1) ovvero esso è terribilmente distruttivo: in modo implacabile,
<.dopo 'l pasto ha più fame che pria...>, quell'Errore bestia-forza <..'mpedisce e uccide..>: porta l'uomo alla
“morte spirituale”, <..ripinge là dove 'l sol tace..>(Inf. 1), riporta e respinge l'uomo dove non si vede la luce del
divino, gli impedisce quel “cercare in se” che è la strada per salire al monte in cui si vede il divino.
L'uomo vede la morte, dice Dante, con quell'Errore, la morte spirituale prima a cui poi segue quella fisica dei disastri
che divinamente con e per esso si avranno.
Una ulteriore caratteristica-natura di quella Forza-Errore, da Dante ci viene infine segretamente rivelata in Purg. XX
con il suo potente <..Maladetta sie tu, antica lupa..>. Dante infatti ricorda questa forza, maledicendola, nel cerchio
degli avari: l'avarizia mostra e richiama a Dante quel “legarsi alla materia”, quella caduta all' “io-materialità”, cui
con evidenza porta e spinge quella Forza-Errore di cui dice quindi la Lupa, con la Lonza ed il Leone.
Ma con la figura della “Lupa”, che è simbolo romano capitolino, Dante ci dice anche, come vedremo meglio più
oltre, che lui vede quella Forza-Errore impersonificata in particolare nella Chiesa istituzione romana, nei <..nuovi
farisei..>(Inf 27, 85).
Faccio qui una parentesi per dire dei possibili legami tra le figure appena analizzate, ma certo non solo
esse, e la Ravenna in cui Dante finì i suoi giorni.
Una Ravenna storicamente legata a Bisanzio e quindi anche al cristianesimo "orientale-nestoriano" che
era erede, come visto, di quella “fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica”, gerosolimitana, legata a
Giacomo ed altri veri apostoli. Quella fonte del cristianesimo che sarà infine cancellata e soffocata
dall'imperiale cristianesimo nato nella e dalla “fonte farisaica paolino-petrina”. Quella “fonte filosofica
giudaico-enochico-ellenica” che anche a Bisanzio fu insegnata e con Nestorio seguita, un cristianesimo
che infine dopo la condanna tricapitolina si staccherà da Roma dando vita al Patriarcato autonomo di
Aquileia.
Una Ravenna che ha vissuto tutto ciò ma che anche, lungamente, è stata capitale imperiale ariana e che,
spesso in contrasto con Roma, ancora nel 1100 è stata sede di un antipapa, Clemente III.
Con riferimento alla Lonza è risaputo che si ignora dove Dante abbia tratto questa immagine: viene
ipotizzato il fatto che egli abbia avuto modo di ispirarsi ad una fiera che ai suoi tempi sembra fosse stata
esposta in gabbia a Firenze. Questo è anche possibile ma, per la profondità dell'argomento che
quell'animale porta con sé, credo si possa pensare anche ad altri legami. Per questa figura Dante
potrebbe infatti essersi legato ad una tradizione allegorica, molto antica, ripresa in varie testimonianze
proprio nel suo medioevo.
Ai tempi di Dante di questa allegoria, di una fiera dal <...pel maculato..>, troviamo tracce nei mosaici
pavimentali del 1213 della Chiesa di San Giovanni a Ravenna, mosaici da Dante certamente molto ben
conosciuti e visti, ed in quelli della Cattedrale di Otranto del 1165. In entrambi i casi si conferma un
aspetto negativo di tale fiera : ad Otranto chiaramente l’immagine si lega al mito-racconto del distruttore
"Gatto di Losanna" mentre per Ravenna la presenza tra i pochi resti pavimentali di una mostruosa Lamia,
di un Grifone e di una famelica Lupa portano anche qui, peraltro senza serie altre alternative, ad una
visione negativa di tale belva.
Tradizione allegorica, quella della belva maculata dicevo, molto antica. Una tale fiera è infatti
largamente testimoniata nella tradizione orfica ma anche in quella zoroastriana. In molte immagini si
vede Dionisio cavalcare questa belva con una chiara ripresa del mito argonautico che racconta del suo
domare-ammansire, e non uccidere, un male-belve feroci che in quella fiera viene con evidenza riassunto
e rappresentato. A Pompei vediamo anche Bacco con a fianco, accucciata, una tale belva. Una chiara
ripresa di tale allegoria la troviamo anche, dicevo, in immagini che si rifanno alla tradizione mazdeozoroastriana seppure in un contesto di sufismo islamico: le belle immagini del XVsec. che vediamo in
piazza Registan a Samarcanda, altro centro di incontro di merci e culture.
Qui la belva, evidente simbolo negativo, rincorre a fauci aperte una bianca gazzella, chiaro simbolo
questa di "bene-santità-purezza" per l'islam in cui nasce l'immagine. Dietro a questa scena di
apocalittico-rivelatorio sapore, a dominare controllare quell'accadere, nella figurazione che come detto
nasce nello storicamente più importante ambiente culturale di sufismo islamico, vede poi un bellissimo ed
infuocato Sole-dio mazdico.
Ma a Ravenna Dante ha avuto modo di vedere anche la Lupa ed il Leone e certo fa pensare anche la
presenza qui di una inconsueta figurazione di "albero rovesciato", immagine che Dante enigmaticamente
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dodicesima parte
userà. Nei mosaici del pavimento di S.Giovanni egli vedeva una figura canina, o di Lupa, che ricorda sia
la magrezza che egli descrive per la sua Lupa, che la brama per le sue larghe fauci pronte ad azzannare.
Il Leone invece, simbolo usato sia in senso di forza positiva che, seppure forse più raramente, di forza
negativa, a Ravenna Dante lo vede negativamente figurato in un mosaico del V sec. della Cappella
Arcivescovile ( o di S. Andrea): un mosaico nel quale si vede un Cristo guerriero e quindi combattente,
armato però di una croce seppure dall'aspetto di spadone, che calpesta assieme un serpente, col piede
sinistro, ed un leone con quello destro.
Questi fatti e queste immagini, come anche altro, non sono trascurabili. Anche volendo escludere un
diretto legame con l'opera di Dante, esse sono comunque da vedere quali testimonianze, con l'opera di
Dante, di una religiosità cristiana non marginale giacché in modo numeroso le troviamo sul territorio
italiano, nord orientale soprattutto. Una religiosità, lettura e comprensione del messaggio di Gesù che,
distante dagli insegnamenti e comportamenti romani, si era portata o piuttosto era rimasta ad una visione
"sapienziale" che, come detto in apertura del capitolo, si legava assieme al primo cristianesimo
gerosolimitano ed al mondo ed alla sapienza pagane.
d) Veltro
Con il Veltro, che la critica dichiara esere un cane da caccia che si caratterizza per braccare senza scampo la sua
preda, Dante in allegoria ci dice del Cristo-Figlio-Logos che, con determinazione e sicura certezza di vittoria,
sconfiggerà l'Errore. Il Veltro, di cui Dante parla ma che non vede, che è da venire, fermerà l'Errore di cui dicono
Lonza, Leone e Lupa, fermerà la distruzione spirituale e fisica e porterà l'uomo al nuovo tempo edenico, alla
<...giustizia e primo tempo umano..>(Pu. XXII).
Ma questo avverrà con apocalittici dolori e disastri, <..con doglia..>(Inf. 1, 102) dice Dante : saranno “necessarie le
guerre che sono solo l'inizio” di cui diceva Gesù, necessari sono dolori e disastri perché l'uomo capisca, si corregga
e veda il Veltro-Verbo-Cristo.
Il Veltro, il Verbo-Figlio, una volta dall'uomo visto, al suo “mostrarsi-parusia-presenza all'uomo e nell'uomo”,
eviterà la “caduta” all' “io-materialità” e quindi vincerà l'Errore e solo "Sapienza, Amore e Virtù", dice Dante, si
conoscerà: il Veltro-Cristo infatti <..non ciberà (l'uomo di) terra né peltro, ma (di) sapienza, amore e virtude...>(Inf
1,103ss), non ciberà-nutrirà l'uomo, come fa la farisaica forza di separazione-diavolo, con la materialità, terra, e con
il denaro, peltro. La terra, oggi regno di quella forza di separazione che è Satana, alla “vittoria-mostrarsi-parusiapresenza” del Veltro-Figlio-Verbo, quando l'uomo vedrà-capirà-sarà Figlio, diverrà suo Regno, sarà <..sua
nazion..>(Inf I,103).
Il Veltro-Figlio allora regnerà incontrastato "sulla terra", <..tra feltro e feltro..>(In 1,103): "regnerà", dice così
Dante, nel tempo-luogo della vita terrena dell'uomo ovvero nel "tempo-luogo" che intercorre "tra il feltro-panno in
cui si è avvolti alla nascita" ed il “feltro-panno in cui si è adagiati alla morte". Regnerà, il Veltro-Verbo a quel
punto, non solo nei luoghi-tempi celesti della Vita, ma anche nel luogo e tempo che l'uomo vive sulla terra, tra la sua
fisica nascita e la sua fisica morte.
Questa lettura è rafforzata dalle analogie che giustamente la critica vede tra il Veltro ed il <..messo di Dio..>(Pu 33)
che salverà-correggerà il Carro-Chiesa. Analogie che portano molti critici ad identificare appunto il "Veltro" col
"Messo di Dio" da Dante nascosto in quel <..cinquecento diece e cinque..> che egli contrappone al 666-Anticristo
giovanneo. Il Veltro-Verbo-Cristo, dice Dante, vincerà e richiuderà agli abissi la Bestia-Errore, la separazionediabolica : <..Il Veltro) la caccerà (la Lupa) per ogne villa, / fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, / là onde invidia
prima dipartilla...>(Inf. I, 109ss).
Ricordo da ultimo che il legame Veltro-Cristo, oggi poco seguito, in passato era visto e proposto da alcuni
importanti commentatori e tra questi, in particolare, il Bombaglioni (1324 circa) e Guido da Pisa (1340 circa),
entrambi significativamente molto vicini, temporalmente, a Dante.
Ma questa lettura e visione si rafforza anche perché permette di dare piena soluzione, a mio avviso, a quel
<..cinquecento diece e cinque..> affatto risolto dalla critica, col quale Dante identifica il "Messo di Dio". Vedremo
al capitolo successivo come e perché "Messo di Dio, Veltro e -cinquecento diece e cinque-" si identificano.
e) Carro, Grifone, Aquila, Volpe, Drago, Puttana, Gigante e Messo di Dio
Con queste figure tutte, che si incontrano in Pg.29, Pg.32, Pa.32 e Pa.33, con l’articolato racconto che interessa tutti
questi, Dante allegoricamente disegna e ci mostra, per il passato ma anche e soprattutto -come lui dice- per il futuro,
la terrena azione della divina Sapienza. Un’azione ed intervento portato e rivolto sia alla umanità che ad una Chiesa
che da Dante è vista -anche- come istituzione ma, soprattutto ed in particolare, è intesa quale “pastore-educatore”,
alla Sapienza appunto.
La critica, con una lettura incompleta e quindi errata, unanimemente nell’allegorico racconto sul Carro vede una
denuncia di Dante nei confronti degli errati comportamenti storici della Chiesa romana: le sue corruzioni,
mercimoni, eresie, il potere temporale ecc.. Tutte critiche e rilievi, però, che Dante ampiamente, diffusamente ed
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dodicesima parte
apertamente già fa nella Commedia e con quella lettura, quindi, non si spiega il perché ora egli ne voglia parlare in
modo così massimamente segreto. Pur presenti indubbiamente anche quegli aspetti, nel complesso racconto sul
Carro Dante vuole invece e soprattutto dire di un Accadere ben più profondo e grave, un tradimento teologico, un
Accadere che non certo casualmente egli lega a quanto dice Giovanni nella sua Apocalissi e quindi, come sappiamo,
che lega anche al Daniele che Gesù ha ardentemente, ma senza seguito, invitato a capire.
Ed è proprio il legame con Giovanni e Daniele che, vuole sottolineato, porta la critica dantesca alla Chiesa ben oltre
la denuncia di materiale corruzione: essa va a contemplare e denunciare aspetti apocalittici che solo si risolvono
dentro ed in una lettura che veda proprio un grande tradimento teologico. Tradimento che in queste pagine si è
messo in luce nelle analisi di quei due testi e poi si è confermato nella lettura fatta del testo de La Ascensione di
Isaia.
Conferma questa visione delle intenzioni di Dante in merito al racconto sul Carro, un importantissimo fatto che apre
anche altre importanti riflessioni : Pietro, figlio di Dante, ci testimonia che “le dieci corna del carro vanno viste
quali Dieci Comandamenti” (M. Soresina, Libertà va cercando, p.246).
I Dieci Comandamenti quindi, confermano quelle parole di suo figlio Pietro, per Dante sono gli strumenti coi quali
un Carro-Chiesa ormai -deformato e snaturato-, ormai Drago-Bestia, <..ebbe argomento..>(Inf. 19,110) dice Dante,
ovvero sono gli strumenti coi quali quel "rotto" Carro-Chiesa non più educatore alla Sapienza, ha potuto compiere la
sua -nefanda- opera e lavoro. Tutto secondo quanto era detto, come abbiamo visto nelle analisi fatte in queste righe,
su Daniele, Giovanni e Ascensione Isaia. E tutto terminerà, dice Dante, con l’arrivo del <.. cinquecento diece e
cinque, messo di Dio...>(Pg. 33,43).
Vediamo quindi le singole figure:
-- Carro : il Carro è, come detto, figura di una "azione-pastorale-educatrice alla Sapienza" che non
necessariamente è nella e della Chiesa-istituzione con la quale è stato invece dalla critica identificato quel Carro.
Una Chiesa-istituzione che ampiamente Dante contesta lamentando quel suo mancato ruolo.
Questa terrena fonte-azione educatrice alla divina Sapienza, un Carro tale che non ha mai visto <.. Roma di carro
così bello..>(Pg. 29,115) precisa Dante, egli lo presenta anticipato da una solenne e melodiosa immagine di LuceVerità che gli fa rimpiangere quanto l’umanità ha perso a causa, lui dice, dell’Errore cui Eva, il femmineo-yin
incontrollato, l’ha portata. Una solenne e gloriosa immagine che porta Dante ad invocare le Muse affinché egli
possa a noi dirne con adeguate parole. E' un Carro vuoto quello che ci presenterà Dante, davanti alla processione
che lo accompagna egli mette sette luci-candelabri dorati che, ripresi dalla apocalissi di Giovanni, verosimilmente
dicono dei sette spiriti-cieli divini. Questi sono seguiti, poi, da ventiquattro personaggi che possono, come nota la
critica, rappresentare i libri di Torah e Profeti. Al timone del Carro, sua guida, Dante mette il Grifone-Sapienza e,
poi, tutto attorno ad esso, egli pone quattro animali alati assieme a sette donne danzanti ed a seguire, dietro al Carro,
ancora due figure e poi altre quattro e infine una, sola. Certamente male interpretati dalla critica i quattro animali
alati, prevalentemente proposti come i quattro evangelisti contro ciò che dice Dante stesso che per esse richiama le
complesse immagini di Ezechiele, anche le altre figure vedono dubbie interpretazioni. Non strettamente
fondamentali alla analisi del racconto sul Carro, per tali figure è più opportuno, si ritiene, non fare qui inferme
ipotesi.
-- Grifone : con il Grifone, simbolo di origine pagana che si origina nel mito cosiddetto del “Volo di Alessandro” il
quale dice della "Sapienza che porta al divino", Dante proprio tale divina Sapienza vuole simboleggiare : la
Sapienza che trasforma l'uomo e lo rende divino, lo rende Figlio e/o Cristo.
La critica vede il Grifone quale raffigurazione di Cristo volendo in questo sottintendere Gesù, ma quel simbolofigura da Dante è stato usato nella sua originale accezione, più larga e infine profondamente diversa : per lui esso è
Cristo solo quale Sapienza-Cristo, dove la Sapienza è certo anche quella -cui è giunto e che ha insegnato- Gesù, che
così può essere definito Cristo, ma è pure la stessa vista ed insegnata, anche con quel mito, dalla filosofia sapienziale
pagana e ben prima della nascita di Gesù.
La Sapienza-Grifone, Dante ci dice nel suo racconto, inizialmente ha guidato il Carro, i pastori-educatori dell'uomo,
ma poi non più, si è riportata al cielo assieme agli altri accompagnatori del Carro ma, prima di questo, si porterà a
legare quel "Carro-terreno educatore alla Sapienza" ad un albero spoglio e questi si riempirà così di foglie e fiori.
Dalla critica solitamente visto quale biblico "Albero della conoscenza del bene e del male" per le sua caratteristica di
portare alla morte chi assaggi il suo tronco, altro credo si dovrebbe in questo albero vedere: gli alberi del Paradiso,
peraltro, non si seccano mai, sono per definizione alberi sempre verdi. Quell'albero, invece, che viene salutatodichiarato "Adamo" da tutto il corteo che accompagna il Carro, può piuttosto meglio dire della umanità "figlia
dell'Adam", "caduta": può dire di un uomo-umanità che senza la Sapienza si secca-muore e solo con quella ritorna
alla Vita. Una umanità caduta-adamitica che mantiene "nel tronco", dice Dante, ovvero nella sua natura, nel suo
originarsi, le caratteristiche di morte-caduta cui si era portato il suo progenitore.
-- Aquila : l'Aquila, simbolo imperiale, per Dante dice di quella stirpe di uomini che divinamente, per i -Naturaliinflussi di "Giove", hanno doti adatte a guidare ed a condurre, secondo una giustizia imperscrutabile all'uomo, la
società civile. Sono gli Imperatori, i saggi-nobili, i filosofi di Socrate, i Cesari di Gesù: sono coloro e chi
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divinamente, ovvero per Natura, è in terra portato, grazie a saggezza e forza, a guidare con giustizia ed a regolare,
con ogni mezzo, la società civile, la Polis.
Sono coloro che, come Dante fa dire all'Imperatore Giustiniano, sono ispirati e portati dal "primo amore", dal
divino: <...Cesare fui e son Iustiniano,/ che, per voler del primo amor ch’i’ sento/ d’entro le leggi trassi il troppo e
‘l vano ..>(Pa. 6, 10ss).
Dante ci mostra l’origine divina di queste forze e uomini con la figura di Aquila che in Paradiso si forma con le luci
dei beati, per poi dirci, nel racconto sul Carro, di una terrena Aquila che piuttosto chiaramente qui, al suo primo
presentarsi, fa riferimento a Costantino, alle sue ingerenze ed operato sulla Chiesa. Questa Aquila scende una prima
volta sul terreno Carro-educatore alla Sapienza ma così lo <..ferì .. di tutta sua forza; / ond'el piegò..>(Pg.32,115ss),
e poi di nuovo, successivamente, essa scende per coprire il Carro di “sue penne” che faranno dire ad una <..voce del
cielo.> : <.."O navicella mia, com'mal sè carca"..>(Pg. 32,128ss).
Dante condanna l’operato di Costantino, che porterà la Chiesa a religione di Stato, fuori dalla sua natura e la dota di
ricchezze materiali. Dirà infatti: <..hai Costantin di quanto mal fu matre /..quella dote / che da te prese il primo
ricco patre..>(Inf. 19,115ss), ma la imperscrutabilità, da Dante in questi passi evidenziata, dell’agire della divina
giustizia, gli farà comunque mettere Costantino in Paradiso.
-- Volpe : la Volpe è simbolo di inganno e fraudolenza, a volte anche vista quale demonio. Dante ci dice che al
primo guastarsi del terreno-materiale Carro-educatore alla Sapienza, si avvicinò ad esso una Volpe ma essa fu messa
in fuga, evitando che se ne impadronisse, da Beatrice, la parte alta dell’Anima, la <..sponsa de Libano..>(Pg. 30.11)
che quindi resterà, per l'uomo, la sola educatrice alla Sapienza.
-- Drago : un Drago, una terribile e distruttrice figura-forza dice così Dante, si impossesserà poi del Carro-pastoreeducatore alla Sapienza, snaturando e stravolgendo perciò totalmente la sua funzione ed il suo insegnamento. E' un
Drago che esce dalla terra ovvero che "nasce nella materialità-Errore" e, così sconvolto e non più Santo, quel CarroChiesa educatrice diviene autocefalo: non più in ascolto-guidato dal divino, gli cresceranno -sette teste-: teste
proprie, autonome dal Dio e porteranno-avranno a disposizione -dieci corna-, forze in suo potere, suo potente
<...argomento...>(Inf. 19,105ss) nella sua nefanda opera.
Con la allegoria del Carro sfigurato in -Drago con sette teste e dodici corna- , ma vedremo anche con la Puttana ed
il Gigante, Dante, come detto, ci dice delle fisiche e terrene espressioni, del manifestarsi, del “tradimento teologico”
cui la Forza Errore da lui filosoficamente vista ed espressa con il Lonza-Leone-Lupa.
Le “dieci corna-argomento”, i Dieci Comandamenti ci dice il figlio di Dante Pietro, sono chiaro riferimento a
quanto dicono Daniele e Giovanni: è ad essi che Dante si lega e quelle Dieci corna-forza non sono quindi che quei
“divini” strumenti-comandamenti che, "nascostamente", come in queste pagine abbiamo visto, e <..per un'ora
soltanto..>(Ap 17), saranno posti nelle mani di quel Drago, di un Carro-Drago, qui chiaramente la Chiesa
istituzione, affinché esso possa soccombere assieme all'Errore in cui nasce.
-- Puttana : dopo quella trasfigurazione in Drago, Dante su quel devastato Carro vede una Puttana assieme ad un
Gigante. Con la figura della Puttana Dante esplicitamente identifica i pastori cristiani, il clero della Chiesa romana :
<..di voi pastor s'accorse il Vangelista, quando colei che siede sopra l' acque puttaneggiar coi regi a lui fu vista;
quella che con le sette teste nacque, e da le diece corna ebbe argomento...>(Inf. 19,105ss).
Pastori-Puttana che si sono dati ad altro-prostituiti, non educano alla Sapienza. Dante qui, con il preciso richiamo a
Giovanni, denuncia, lontano dalla materiale corruzione normalmente vista, il tradimento ed allontanamento
teologico dalla divina Sapienza. I pastori-Puttana sono pastori di una Chiesa-istituzione romana che apertamente poi
Dante, con un'altra gravissima accusa, dichiara “farisaica”, sede de <..'i novi farisei...>(Inf. 27,85).
Vale la pena sottolineare come, per quanto qui detto su Drago e Puttana ma non solo, si evinca da parte di Dante una
lettura del testo della Apocalissi di Giovanni particolarmente approfondita, una lettura teologica che raramente viene
oggi vista o citata.
-- Gigante : nel Gigante che, sul Carro-Chiesa educatrice ormai snaturata, con la Puttana <..baciavansi insieme
alcuna volta..>(Pg. 32,153), Dante dice di un potere temporale anch’esso prostituitosi e che, eludendo e tradendo i
suoi divini seppur materiali compiti, si lega ai pastori-puttane che non insegnano più la Sapienza. E’ quindi un
Gigante-potere temporale non più divinamente ispirato ed a cui Dante addebita grandissime responsabilità a partire,
abbiamo visto, da Costantino.
Nel racconto di Dante, il Gigante e la Puttana sono poi protagonisti di una singolare scena: la Prostituta rivolgendo a
Dante uno sguardo pieno di desiderio, provoca la reazione del Gigante che la sferza da capo a piedi per poi portarla,
con il Carro-Bestia, in una foresta fuori dalla sguardo di Dante. Tenendo presente che qui siamo nella visione del
futuro accadere, si può pensare che Dante prevedesse un interessamento, da parte di ambienti ecclesiastici, alle
profonde e nascoste verità contenute nel suo lavoro e nella Commedia.
Un interessamento che però, sembra dirci Dante, sarà impedito giacché pericoloso per le insane situazioni ed
istituzioni createsi.
-- Messo di Dio - Cinquecento diece e cinque
Quel triste e disgraziato futuro, quel Carro-Bestia con la fuia-malvagia Puttana ed il Gigante, avrà fine, dice poi
Dante, grazie ad un “Messo di Dio” che è un “ Cinquecento Diece e Cinque” che:
487
dodicesima parte
<..anciderà la fuia con quel gigante che con lei delinque..>(Pg. 33.44ss).
Tra le figure meno comprese, tale Messo di Dio vede proposte da parte della critica soluzioni tutte molto precarie ed
improbabili, trovo invece piuttosto verosimile e logicamente e razionalmente possibile, per il contesto delle letture
qui proposte ma non solo, la seguente soluzione:
cinquecento = Ritorno
diece = Divina
cinque = Sapienza-Cristo
Vediamo perché:
- il 500 è numero di “rinascita-ritorno” che troviamo nel sapienziale Mito della Fenice, mito pagano, ma non solo,
molto presente nel Medioevo, mito che Dante ricorda anche nella Commedia e di cui dice, con profondità nel suo
“L'Acerba”, il suo amico Cecco d'Ascoli. Dice quel sapienziale ed allegorico mito, che dopo 500 anni la Fenice, per
il mondo greco, il Bennu egizio ovvero l’Ibis di Giobbe che dice <..chi ha elargito all'Ibis la Sapienza..>(Gb
38,16), la Fenice-Sapienza, muore incendiata dal Sole per poi ritornare alla vita, rinascendo dalle sue ceneri, dopo
tre giorni.
Scrive Dante su di essa: <...Così per li gran savi si confessa / che la fenice more e poi rinasce, / quando al
cinquecentesimo anno appressa; / erba e biado in sua vita non pasce, / ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, / e
nardo e mirra son l'ultime fasce..>(Inf. 26,106).
E queste sono, in merito alla Sapienza, le parole di Cecco: <..(la Sapienza) fu innanzi il tempo e innanzi il ciel sua
vista,/.. di fenice tien simiglia..More e rinasce... muore / per la grifagna gente oscura e cieca, accende fiamma al
disio nel cuore, ... con dolce fuoco l'ignoranza spreca e torna al mondo per l'eccelse roteo... la guida delli cieli la
conduce nell'alma che è disposta per la sua luce..>(L'Acerba, III, cap.2, 19ss).
- il 10 è numero che dice del "divino", che riprende e si lega al 10 dei Comandamenti-insegnamenti divini.
- il 5 è numero che per Dante, e per i suoi tempi, dice di "Cristo" nella sua accezione di "Sapienza-Cristo"
largamente dichiarata nel Nuovo Testamento (Mt 11.19; Lc 11.49; 1Cor 1.24ss; Ef 3.10). Accezione ed
identificazione fortemente ripresa dalla mistica tutta e quindi anche, tra i primi, da Bernardo di Chiaravalle,
l'importante guida di Dante che dichiarerà Maria, la madre di Gesù, <..madre della stessa Sapienza..)(Omelia IV).
1)
3)
2)
Croce di Gerusalemme:
1) lo stemma odierno;
2) lo stemma in un mosaico del 1213 nella Chiesa di S.Giovanni Evangelista in Ravenna;
3) lo stemma doppiamente proposto nel rosone e sopra di esso, sulla facciata del duomo di Modena (1184)
488
dodicesima parte
Il "cinque" come simbolo di Cristo-Sapienza sorge in ambito gerosolimitano e ai tempi di Bernardo esso viene
figurato con la "Croce di Gerusalemme": il simbolo del Regno di Gerusalemme (1099-1291) e dei Cavalieri del
Santo Sepolcro. Tradizione particolarmente legata a quella città, il "cinque" quale Sapienza-Cristo" è ricordato ed
evocato in quella speciale "croce" fatta di “cinque” croci, una più grande e quattro più piccole poste ai quattro
angoli, che è poi divenuta stemma dei Frati minori in Custodia di Terra Santa e del Patriarcato di Gerusalemme dei
Latini.
Ai tempi di Dante a questa simbologia si legherà la "Devozione alle Cinque Piaghe di Cristo", una devozionevenerazione particolarmente seguita che sembra nascere con Bernardo di Chiaravalle e che vedrà poi, tra i suoi
principali fautori e cultori, figure quali S.Francesco e S.Chiara di Assisi.
Tale venerazione avrà caratteristiche molto romantico sentimentali: quelle piaghe sono viste sacratissime, sono fonti
di balsamo preziosissimo sanativo di tutte le nostre infermità, bocche e lingue non menzognere ecc., ma sono
soprattutto viste e dette "mistero". Pure Bernardo, principale cultore di questa devozione, non potrà che dire : " con
grandissimo mistero quelle piaghe sono cinque" lasciando intendere così che quella simbologia ha una origine che a
lui stesso sfugge.
Nascendo però in Gerusalemme questo "simbolo-croce" verosimilmente credo si possa e debba vedere legato agli
eredi del giudeo-cristianesimo gerosolimitano dei primi tempi e secoli: un cristianesimo che storicamente è sempre
stato piuttosto autonomo e molto legato all'ambiente apostolare, di cui Giacomo era il primo esponente, ed a quel
monachesimo del deserto che è stato largamente in contrasto con la Chiesa ufficiale teologicamente legata a Paolo
ed al Pietro che, come abbiamo visto, a lungo lo ha seguito.
Un monachesimo dentro il quale a lungo si è mantenuta in vita la lettura e comprensione di Gesù che fu della
gerosolimitana “fonte filosofico-apostolare” che, come visto, nella disputa e lotta oggi ricordata come “Questione
Cristologica”, nei primi secoli fu infine messa a tacere dai seguaci da quella “fonte paolino-petrina” che si era
portata ad essere il solo possibile Cristianesimo, la religione imperiale.
Nasce verosimilmente qui quel simbolo, nasce da questo nefando evento, tragicamente vissuto da quelle voci, e
ricordando le profetiche ed apocalittico-rivelatore parole di Salmi e Zaccaria che dicono :
<...Hanno forato le mie mani e i miei piedi..>(Salmo 21)
<..Se poi qualcuno gli dirà: “Che cosa sono queste ferite nelle tue mani”, egli risponderà:
“Sono quelle con cui sono stato ferito nella casa dei miei amici”..>(Zac. 13.6).
Insegnava, quella “fonte filosofico-apostolare”, il Gesù "diverso" che Paolo non capirà e combatterà, come lui
stesso ci dice in 2Corinzi. Un Gesù "filosofo" ci dice lo stesso Paolo:
<..badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con i vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana.>(Col 2.8)
Un Gesù -uomo come tutti- che, con il “passaggio al deserto-morte all’io” ed il successivo viaggio -mistico- al
divino, viaggio a tutti accessibile ed auspicabile, si era portato ad -essere- divina Sapienza-Verbo, e quindi CristoFiglio. Una Sapienza-Cristo-Verbo che l'insegnamento paolino -tradiva-.
Quel monachesimo ed il gerosolimitano giudeo-cristianesimo assieme, i cui echi tanto a lungo si trovano in una
cristianità "orientale" sempre in contrasto con Roma, coloro che vedevano ed insegnavano il Gesù uomo come tutti,
non potevano così che vedere il vero Cristo-Sapienza “ferito nella casa dei suoi amici” e tradito. Un tradimento,
come visto, chiaramente dichiarato nel testo giudeo-cristiano de "La Ascensione di Isaia".
E le cinque ferite fisiche di Gesù verosimilmente, in quell'ambiente e visione, sono quindi divenute simbolo delle
ferite a quella Sapienza portate da una “fonte paolino-petrina” che poi è divenuta l'insegnamento della Chiesa
Cristiana, la Cristianità tutta che oggi, nelle sue varie Chiese e confessioni, conosciamo. É, questa, una tradizione e
croce che con evidenza si lega ad una visione e lettura del messaggio di Gesù che, più chiaro in Giovanni e
Giacomo, che Dante vuole ricordato indica come principali fonti, assieme ai Salmi, del suo credo cristiano,
abbraccia e comprende il Jhwh antico testamentario e la apocalittica di Enoch e Profeti prima che Giovanni.
Ma, assieme a questi, quella visione-lettura di Gesù si lega anche a quanto la cultura pagana greca e non solo
insegnava: testimoniano questo le moltissime Chiese e Cattedrali Cristiane che, soprattutto sul lato adriatico
dell'Italia e con una concentrazione speciale nel Salento, in Emilia Romagna e nelle Venezie, ma anche in Francia,
saranno riempite di simboli pagani.
Tra queste le Chiese ravennati i cui mosaici Dante conobbe bene e che, forse anche possibili sue fonti di ispirazione
come da alcuni suggerito, sono certamente da vedere quali testimonianze che il suo diverso sentire religioso era
visto e dichiarato non certo in modo isolato anche dentro la cristianità.
Un <..cinquecento diece e cinque..> che quindi, per quanto qui detto, è verosimilmente da ritenersi quale
“Ritorno della divina Sapienza-Verbo”,
e questo si conferma ulteriormente con le chiare analogie che vi sono tra questa figura e quella del Veltro: entrambi
così Cristo-Sapienza, “Messo di Dio”.
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dodicesima parte
Un <..cinquecento diece e cinque..> e “Messo di Dio” col quale, in questa ultima sua figurazione, termino queste
righe su Dante e le sue allegorie.
Cinquecento
Diece
Cinque
ARIOSTO, LA SUA DANTESCA BESTIA
Tra coloro che hanno interpretato Dante, la sua Divina Commedia e le sue Bestie, il suo viaggio ed il suo segreto
dire secondo quanto più sopra detto, certamente dobbiamo annoverare l'Ariosto (1474-1533). Questo ci porta a dire
la Bestia che egli descrive in alcune pagine del suo Orlando Furioso. Una Bestia che riprende la figura del LonzaLeone-Lupa di Dante ovvero riprende quella figura che, come detto, verosimilmente è allegoria della visione
filosofico-profetica dell'Errore che chiude all'uomo la strada della visione-comprensione di un divino -in e di cui èl'uomo, la <..circulazion...pinta de la nostra effige..>(Pa 33,127ss) .
L'Ariosto però, con le correzioni che apporta alla figura dantesca, ovvero con la sostituzione, o identificazione, con
una Volpe della controversa Lonza, ma soprattutto con la aggiunta dell'interessante e profondissimo tratto di cui dice
il suo Asino, l'Ariosto, dicevo, così imprime alla sua figura anche un carattere fisico-materiale. Con questo ultimo
aspetto della sua Bestia egli delinea infatti ciò e coloro che, sulla terra, saranno strumenti, opereranno -con e perquell'Errore di cui, in senso più filosofico, diceva Dante con le sue tre fiere. Ariosto con la sua -unica- bestia il cui
aspetto riprende quello di quattro diversi animali, si rifà chiaramente alla “Lonza-Leone-Lupa” di Dante e
indirettamente così ci conferma che le tre fiere dantesche sono da vedere come tre aspetti di un unico accadere, di un
solo fenomeno soggetto o tema. E forse non è un caso nemmeno il fatto che la Bestia dell'Ariosto, come avviene per
le tre fiere di Dante, ci sia presentata come ai bordi di una foresta: <..uscir de la foresta parea..> scrive Ariosto.
La chiara ripresa di quella figura dantesca da parte dell'Ariosto ci testimonia e dice, anche, di come nei più colti e
liberi ambienti culturali del medioevo i segreti insegnamenti e dottrine del poema dantesco siano stati molto a lungo
mantenuti vivi: l'Ariosto scrive circa 200 anni dopo Dante. Ambienti che in quel periodo vedevano letterati, poeti,
artisti e scienziati tutti impegnati nello studio ed interpretazione dei classici della letteratura sapienziale pagana
greca e romana, ma non solo, ed anche di quei Vangeli la cui lettura canonica era da tempo, non solo dai Catari,
ampiamente contestata.
A lungo, possiamo dire, si è mantenuto vivo un sapere ed una conoscenza che legava la sapienza pagana all’opera di
Dante, alla sua Commedia ed al cristianesimo che in essa si doveva cercare e vedere.
A lungo questo sapere, queste letture e comprensioni del messaggio del Cristo che esce dall'opera dantesca, letture e
comprensioni che già erano in parte iniziate con i Catari ma che pure erano di un monachesimo e clero cristiano che
da Casole di Lecce a Ravenna e fino ad Aquileia aveva mantenuto vivi rapporti sia con la cultura pagana dei filosofi
greci che con una Chiesa orientale di ultima influenza nestoriana, a lungo quel sapere, dicevo, rimase vivo e seguito.
Un sapere che, a partire dal X sec., porterà a lasciare sulle mura e sui pavimenti di chiese e cattedrali cristiane,
ermetici simboli della sapienza filosofica pagana e di altri miti. Un sapere erede di una delle due "fonti" del
cristianesimo citate da Ireneo, erede della gerosolimitana "fonte filosofica giudaico-enochico-ellenica" di cui
abbiamo qui detto, fonte legata alla figura di Giacomo. Un sapere legato al cristianesimo di quei Grandi Apostoli che
insegnavano quel Gesù "diverso" che Paolo, secondo le sue parole in 2-Corinzi, ha combattuto e negato, un
cristianesimo filosofico, apocalittico e "mistico", lontano da ogni istituzione religiosa.
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dodicesima parte
Una conferma ed un piacevole invito a questa riflessione su Dante, su Ariosto e su quel cristianesimo filosofico, ci
viene dalla disincantata analisi e lettura dei segni e dei cicli pittorici che si trovano nel medioevale Palazzo Besta di
Teglio in provincia di Sondrio (XV-XVI sec). Una importante residenza che già nel suo severo portale di ingresso
rivela una committenza erudita, forse anche massonico-templare, certamente dotta ed ermetica.
Vedremo qui di seguito come, nelle scritte, nei segni e negli affreschi di questa austera e culturalmente ricca dimora,
vi siano le tracce e le testimonianze di quel dotto sapere che legava paganesimo e cristianesimo.
Da subito, sull'architrave del portale d’ingresso, troviamo assieme una pagano filosofica ammonizione, “Novit
Paucos Secura Quies” (Una sicura quiete è per pochi), ed al centro di essa un tondo in rilievo con il cristogramma,
il simbolo cristico IHS con la croce.
Questo portale, con quel simbolo cristico posto al centro del motto tratto dall' Ercole Furioso del filosofo stoico
L.A.Seneca, vuole con evidenza sottolineare e dire che è "per pochi" la comprensione della misterico-filosofica
conoscenza, ovvero Sapienza, che era del paganesimo come pure di un "diverso" cristianesimo. Una universale
conoscenza e Sapienza che, quindi, dona all'uomo una "sicura quiete", diceva Seneca, che non è che la "pace” che
prometteva Gesù a chi rinasceva-resuscitava in vita.
Questo legame tra la sapienza pagana e quella di un "diverso", filosofico-mistico, cristianesimo, lo ritroviamo poi
con le due figure che si vedono ai lati di quel motto: due simboli ermetici, la Fenice ed il Pellicano.
Se la Fenice, come abbiamo visto nelle pagine su Dante, è simbolo prevalentemente pagano del “ritorno” di una
Sapienza-Logos che si consuma-brucia, che muore, per rinascere al terzo giorno, il Pellicano è infatti un simbolo
cristiano che, del tutto similmente a quanto è per la Fenice, dice del sacrificio del Cristo-Sapienza, del Cristo che
“rinasce” anch’egli al terzo giorno.
Sono, questi, simboli entrambi esoterico-ermetici di una “rinascita della, ed alla, Sapienza”. Una "rinascita" che
troviamo poi riproposta all’interno del palazzo dove, con la scelta fatta per le opere pittoriche, sarà proprio il
“viaggio-rinascita filosofico" il tema dominante, tema con evidenza ritenuto fondante dai proprietari di questa
residenza. Un "viaggio" di "rinascita alla Sapienza" che è un "viaggio" di uscita dalla condizione di "caduta" e che
è insegnamento sia delle nascoste dottrine dei miti della letteratura sapienziale pagana che di Gesù e delle Scritture
giudaiche correttamente compresi.
Con la scelta dei soggetti dipinti a Palazzo Besta si sono infatti chiaramente voluti "legare" il messaggio della Torah,
e con essa la figura ed insegnamento di Gesù che su di essa si fonda, al tema del “ viaggio filosofico”: la ricerca
iniziatica densa di impedimenti e prove, il viaggio necessario all'uomo che sempre il mondo pagano ha insegnato.
Un“viaggio" che è il "cambio di mentalità-conversione” che anche Gesù ha compiuto ed insegnato, la “resurrezione
in vita”, la "uscita dall'Errore-caduta" ovvero anche la “rinascita-guarigione” cui invitava Socrate e della quale
diceva anche Omero con il “viaggio di ritorno” del suo Odisseo, ma non solo.
Un -legame- quello tra gli insegnamenti nascosti nei miti pagani e la allegorica e apocalittica lettura e comprensione
di Torah e Gesù, largamente proposto nei cicli pittorici del palazzo, affreschi che rappresentano, e legano tra loro,
scene tratte dall'“Orlando Furioso” dell'Ariosto, dalla “Eneide” di Virgilio, dalle “Metamorfosi” di Ovidio e poi,
centrali al contesto del palazzo e nella sala principale, scene di alcuni scelti e salienti episodi-allegorie tratte dal testo
biblico della Genesi: la creazione di Adamo ed Eva, la loro trasgressione e cacciata dal giardino di Eden, la
uccisione di Abele, il diluvio universale e l'arca di Noè, la torre di Babele, il sacrificio di Isacco.
A questi dipinti tutti coevi al palazzo ovvero tutti del XV-XVI sec., è poi stato affiancato più recentemente, nel
XVIII sec., un altro affresco che si rifà ad un racconto ermetico-allegorico anch'esso legato al tema di "rinascita alla
Sapienza-viaggio": il racconto della “Regina di Saba ricevuta da Re Salomone”.
Dice infatti questo racconto del "viaggio" grazie al quale l'anima individuale, dolce e bellissima Sposa destinata al
Re-divino ma caduta-prostituitasi con l'io-materialità, si riporta al divino: in allegoria, la splendida Regina di Saba
che si porta ad omaggiare-riconoscere Salomone, il Re che è Sapienza.
A sottolineare la "diversità" del cristianesimo evocato a Palazzo Besta, vi è poi il fatto che nelle scene bibliche qui
proposte risalta una -voluta- completa mancanza di “figure” del Dio: sempre infatti esso è o "invisibile" o evocato
come "pura luce”: anche quando la figura di Dio era presente nei dipinti che, non raramente, sono stati qui presi a
modello, copiati e riprodotti con alta fedeltà, quella figura è stata ignorata, tolta e cancellata dalla scena.
Ora, nel corpus qui richiamato dei dipinti di Palazzo Besta si trovano anche alcune scene che, nel contesto qui in
esame dei legami tra Ariosto e Dante, sono particolarmente interessanti: esse hanno come soggetto la Bestia
protagonista di alcune pagine dell' Orlando Furioso di Ariosto.
È evidente che si è così voluto mostrare un legame tra questa Bestia ed il tema dell'Errore-caduta dal quale si esce
con quel “viaggio” che largamente qui è proposto e ricordato. Un necessario "viaggio" che, ci viene qui detto, è
impedito dalla Bestia ariostea, Bestia che, Errore, riprende come detto la Lonza-Leone-Lupa dantesca che impedisce
anch'essa il "viaggio" che libera l'uomo dall'Errore-caduta e lo porta a vedere-capire, pur nei limiti umani,
l'Assoluto.
Seguendo quanto nel suo scritto dice l’Ariosto, l'artista ha dipinto un'opera nella quale:
– da un lato la Bestia ci è mostrata mentre fa strage di una popolazione, evidentemente -giusta-, che è variamente
assortita e che comprende Vescovi, semplici fedeli e nobili,
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dodicesima parte
– dall'altro la stessa Bestia è mostrata mentre viene adorata, posta su di una alta colonna marmorea, da una
ugualmente assortita popolazione, qui evidentemente -ingiusta ed in errore-. Popolazione che anche qui comprende
Vescovi, semplici fedeli e nobili. Per meglio vedere-comprendere il doppio agire-essere di quell'Errore-Bestia,
vediamo come l'Ariosto descrive quella belva :
<..di crudel vista, odiosa e brutta, ch'avea l'orecchie d'Asino, e la testa di Lupo e i denti, e per gran fame asciutta;
branche avea di Leon; l'altro che resta, era tutto volpe : e parea scorrer tutta e Francia e Italia e Spagna ed
Inghilterra, l'Europa e l'Asia, e fin tutta la terra... contaminato avea la bella sede di Pietro .. adorata da la gente
scocca... le chiavi s'arroga d'avere del cielo e de l'abisso in suo potere..>
<..bestia crudele uscita dal fondo dell'inferno...che sempre andrà crescendo.. (e) farà strage crudele.., mostro
corruttor d'ogni contrada.. (che) contaminato avea la bella sede di Pietro, a mezzo scandol ne la fede.. >
(Orlando Furioso XXVI,30 ss)
Analizzando le parole dell'Ariosto si può poi vedere come la sua rappresentazione di questo Errore-Bestia sia di
natura apocalittico-rivelatoria, come peraltro è pure per le figure di Dante. Vediamone i tratti:
a) la Bestia ariostea si presenta come Errore che si ingigantisce, <..contamina..> e guasta, <..corrompe..>, fino ad
interessare <...tutta la terra..>,
b) tale Errore-Bestia è seguito, osannato e sostenuto, da gente che non capisce, da gente <..scocca (stolta)..> che
non vede-capisce la natura di quell'Errore-Bestia, un errore in cui essa stessa è caduta,
c) l'errore in cui si trova quella stolta gente che sostiene e promuove l'Errore-Bestia, errore che per stoltezza essi
non sanno vedere, errore che è natura stessa della Bestia, è un errore teologico-dottrinale, è <..scandol ne la fede..>,
d) quella gente, chi sostiene-osanna-promuove quell'Errore-Bestia, è gente che pensa di avere <..le chiavi…del
cielo e de l'abisso in suo potere..> e che si insedia ne <..la bella sede di Pietro ..> e la <..contamina..>, dice
esplicitamente l'Ariosto.
Palazzo Besta- Teglio, Sondrio- particolare di scena tratta dall'Orlano Furioso dell'Ariosto, la Volpe-Leone-Lupo-Asino
Con tutto ciò vediamo ora quali sono le considerazioni che si rendono possibili e necessarie su quel breve episodio e
visione che, centrato sulla figura di questa Bestia, l'Ariosto ha inserito nel suo non facile poema:
492
dodicesima parte
1) Il legame tra la Bestia ariostea e le tre fiere di Dante, la similitudine tra esse, si mette in chiara evidenza con la
analisi delle rispettive caratteristiche:
-- la “bramosia famelica e distruttrice” della Lupa dantesca si ritrova pienamente nella descrizione che l'Ariosto fa
della sua bestia: questa infatti è <..per gran fame asciutta..>, egli dice, e compie <..strage crudele..>,
-- la “paura” che la bestia ariostea <..di crudel vista, odiosa e brutta..> certamente provoca, è in tutto uguale alla
paura che Dante con chiarezza dice di avere vissuto,
-- la "potenza e forza" del Leone di Dante, oltre che nel richiamo alla stessa fiera fatto dall'Ariosto, è ben
rintracciabile anche nello svilupparsi su <...fin tutta la terra...> della figura ariostea, uno svilupparsi potente e forte,
leonino,
-- ma, seppur meno chiaramente di Leone e Lupa, anche la enigmatica figura della dantesca Lonza è dall'Ariosto
ripresa: la Volpe che Ariosto utilizza in sostituzione della Lonza, ricorda bene le caratteristiche della Lonza di Dante:
questa infatti è <..leggiera e presta molto..>(Inf I 32) ovvero è di aspetto accattivante ed assieme astuta e furba
come la Volpe. Ma anche, essendo quella ariostea una astuta e scaltra Bestia che compie <..strage crudele..>, si
ritrova in essa quell'aspetto di -inganno e fraudolenza- che abbiamo visto nella Lonza dantesca: si ritrova un aspetto
piacevole ed attraente nonostante una natura fortemente distruttiva.
La Volpe dell'Ariosto però, oltre a questo, verosimilmente potrebbe vedere richiamata anche una natura demoniaca:
nei bestiari medioevali infatti, è frequente il legame Volpe-Demonio.
2) Unica differenza vera, quindi, tra la figura ariostea e la teriomorfa figura dantesca, è la aggiunta che Ariosto fa
alla sua bestia della caratteristica di Asino: aggiunta saggia che denota e conferma un approfondimento ed una
lettura del tema Errore-Bestia pienamente legato alla apocalittica.
L'Ariosto con quella caratterizzazione sottolinea la stupidità, la stoltezza che impedisce ineluttabilmente alla
umanità la comprensione del Vero, una stoltezza che è -natura- di quell'Errore ed al contempo è ciò che caratterizza i
seguaci-adoratori, fautori e stessi creatori di quella Bestia, di quell'Errore. Stoltezza che, abbiamo visto sopra al
punto c), porta e sostiene un tragico e terribile "errore teologico", uno <..scandol ne la fede.. >.
Impossibile non vedere qui ciò che insegna Zaccaria, il suo prevedere che -solo- dei <..pastori stolti..>, solo pastori
che non capiscono, dovevano divinamente sorgere per insegnare all'uomo il falso affinché, continua Zaccaria,
attraverso le straordinarie sofferenze e guerre e dolori che ne sarebbero conseguiti, l'uomo “arrivasse a capire e si
portasse a correggersi”. Impossibile non vedere i pastori che, come Nietzsche ha ben detto, insegneranno un “falso
Dio” portando l'uomo alla più dura e buia delle sue notti, al nichilismo.
3) L'aspetto che l'Ariosto ci mostra dello straordinario svilupparsi, del crescere ed ingigantirsi, con evidenza
fatale ed ineludibile, di questo Errore-Bestia, una visione chiaramente universale che troviamo già nel mondo Ittita
con la figura di Ullikummi e poi in Esiodo e nella letteratura apocalittica sia giudaica che pagana, è un aspetto meno
presente ed evidente in Dante, ma anche in lui comunque tale aspetto è rintracciabile, in quel <..molti son li animali
a cui s’ammoglia..>(Inf. I 100) che egli dichiara riferendosi alla Lupa.
4) I legami tra quanto dicono Dante e Ariosto non finiscono però qui. La Bestia-Errore ariostea infatti sarà
messa a morte, terminerà come anche i suoi seguaci e fautori, ci dice l'Ariosto come parimenti dice Dante per le sue
tre fiere e per la Puttana ed il Gigante.
Per l'Ariosto si dedicheranno a questa uccisione, compiranno quest'opera, <..un Bernardo..> che evidentemente è
quello di Chiaravalle, la penultima guida di Dante nella Commedia, ed assieme a questi, assieme alla "religiosità
mistica" di cui questi evidentemente dice, Ariosto dichiara esservi una nobiltà che vede <..Cavalieri che d'imperiale
alloro hanno cinto le chiome e Principi e Re..>. Sarà anche questo tipo "nobile" di potere-ordine temporale ciò che,
assieme alla spirituale religiosità della mistica-Bernardo, porterà alla morte quella Bestia-Errore.
Certamente nei "Cavalieri e Principi e Re" che affiancano la "religiosità mistica" nella lotta vittoriosa sull'ErroreBestia, l'Ariosto vede un un potere temporale illuminato-nobile. Certamente egli, in linea con Dante peraltro, è in
una "nobile potere" divinamente-saggiamente guidato, ovvero è in chi è sotto il segno della divina Aquila dantesca, è
nell'ispirato conduttore civile della società che egli vede ciò che, affiancato al recupero del corretto insegnamento
filosofico-religioso, chiuderà l'Errore-Bestia.
Opera che vede affiancate "nobiltà" e "mistica" quindi, ma <..prima..>, sottolinea Ariosto, sarà la <..onorata
spada..> ciò che produrrà la chiusura-eliminazione dell'Errore-Bestia : sarà <..prima..> la “spada” della SapienzaFiglio che la "mistica" consegnerà all'uomo, sarà la “spada” di tutti coloro che, come il Gesù-Sapienza, possono
affermare <..sono venuto a portare...una spada..>(Mt 10.34), coloro che avranno saputo "vendere il mantello per
comprarsi una spada" come invita a fare Gesù, sarà questo ciò e chi, primo, porterà ad eliminare <..il mostro
corruttor... (da) ogni contrada...>.
Ed è questa una Sapienza-Figlio-Cristo che, come detto, è il Veltro-Ciquecento Diece e Cinque dantesco, un Veltro
che già Armannino Giudice nel 1325 con evidenza, dentro lo scenario qui messo in luce, vedeva legato ai temi del
Ciclo Bretone, al Merlino che Ariosto riprenderà nel suo Orlando Furioso assieme, come visto, alle allegorie
dantesche:
<..come dice Merlino, queste (corruzioni e controversie-errori religiosi) se debbono poi finire per la caccia di quel
forte Veltre, qual cacciarà quella affamata Lupa onde risorge tanta crudeltà..>
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dodicesima parte
( A. Giudice, Biblioteca Vaticana, Barberini lat.3923 cc16v-17r)
Lontano quindi da ciò che allora come oggi insegna la <..la bella sede di Pietro ..>, saranno gli insegnamenti di una
"mistica" filosofica, insegnamenti universali che invitano l'uomo al "viaggio", a "rinascere", a portarsi a "condizione
divina", ciò che chiuderà quell'Errore-Bestia.
Sarà quella nuova condizione umana, la "nuova generazione-apocatastasi" dice Gesù ovvero la fine dei "tempi della
caduta", sarà quel "cambio di mentalità-conversione" che si avrà al compimento di un universale "viaggio", sarà il
"mostrarsi-parusia-ritorno" all'uomo della Sapienza-Figlio-Cristo, a chiudere quel tempo.
Sarà, dice Ariosto, la "venuta-parusia" di una Sapienza "divino agire-accadere" che è una <..onorata spada con la
qual prima sarà di vita tolto il mostro corruttor d'ogni contrada...>, ciò che assieme alla illuminata nobiltà-potere
temporale, chiuderà l'Errore-Bestia.
GESÙ DIVERSO E DIVERSO GIUDAISMO
Nel lungo dire di queste pagine, in questa lunga ricerca che si è poggiata sul “filo a piombo” delle parole di Gesù
riportate dai vangeli, abbiamo avuto modo di vedere una figura diversa, un “Gesù diverso”, “filosofo” e al fine
antitetico a quello che la cristianità, sulle orme di un Paolo che mai ha seguito Gesù e che mai ha smesso di pensare
farisaicamente, ha insegnato e consegnato al mondo.
Abbiamo poi visto che di quella stessa “filosofica” Verità che Gesù ha cercato di mostrare, secoli e millenni prima
di Lui hanno largamente detto e parlato sia il mondo giudaico delle Scritture che Egli ha cercato di mostrare che, pur
con diverse parole, immagini ed allegorie, il “pagano” mondo antico greco e non solo.
Origene sarà, abbiamo visto, la personalità del cristianesimo dei primi secoli che maggiormente ricorderà, pur
fortemente contrastandone alcune dottrine, questa unità di visione tra la “pagana filosofia” greca e gli insegnamenti
del Gesù “filosofo” da lui insegnato.
Restando al mondo giudaico, abbiamo visto come la “filosofica” lettura di Scritture e Profeti che Gesù ha cercato di
mostrare e della quale troviamo tracce anche in Filone A., una lettura opposta a quella farisaica del 2° Tempio
ereditata oggi da Giudaismo, Cristianità ed anche Islam, sia una lettura chiaramente rintracciabile anche in quella
antica tradizione giudaica che è testimoniata, con parole e figurazioni tutte da penetrare come sempre è per la
letteratura sapienziale antica, dai testi di Enoch risalenti al 3° sec. aC circa.
Tradizione, questa Enochica, che ai
tempi di Gesù era portata avanti dagli Esseni, la corrente giudaica che infatti mai Gesù ha affiancato a Farisei e
Sadducei nelle sue invettive, ed in particolare dalla isolata comunità essena di Qumran.
Caratteristica di questa “filosofia” che vede affiancati la tradizione Enochica con gli Esseni, il mondo mondo
filosofico “pagano”, Filone ed il “diverso” Gesù qui visto, sarà quella di vedere assieme aspetti “mistici” ed
“apocalittici”, in particolare, ma, anche, aspetti “cosmogonici” sebbene questi siano più sotto traccia in Gesù e
nelle Scritture. Si vedrà, in questa “filosofia”, una comprensione e visione del mondo e del suo divino divenire che
implica e porta ad un “diverso” Dio-divino.
Stranamente però, stravolti con Paolo e quindi lentamente persi i veri insegnamenti di Gesù, chiusasi poi la vicenda
Essena con la fine nel 68 dC della comunità di Qumran ed infine ancora stranamente in apparenza finite nel nulla le
esperienze di Filone e delle scuole allegoriche di cui egli ci informa, di quella certamente non piccola né isolata
tradizione di lettura e comprensione “filosofica” delle Scritture, nel mondo giudaico dei primi secoli sembrerà non
esservi più traccia.
Solo nella Cabbala, che però si sviluppa e si mette in evidenza solo in tempi medioevali e nessuna certa notizia su di
essa si ha rispetto ai primi secoli, sembreranno rivedersi nel mondo giudaico aspetti di quel “filosofico” vedere.
Ma non è così, quel filosofico vedere possiamo infatti dire che restò vivo fino almeno al V° secolo.
Abbiamo avuto modo di vedere nel capitolo su “Il segno di Giona…”, la dirompente testimonianza in tal senso del
pannello mosaico di una Sinagoga del V° sec. recentemente ritrovato ad Huqoq in Galilea. Un pannello mosaico
che mostra come nei primi secoli e in ambito giudaico fosse presente una lettura delle Scritture pienamente
“filosofica” e “non-positivo-religiosa”, una lettura che mostra assieme e lega simboli e allegorie “giudaiche e
pagane”.
Dirompente testimonianza, dicevo, nella quale si vedono le “pagane” Sirene significativamente inserite nel mitoracconto di Giona: nell’importantissimo testo che, come visto, nella lettura e comprensione che si ricava dalle parole
di Gesù sul “Segno di Giona”, si mostra infatti essere un testo pienamente “filosofico”.
Ma questo pannello non è un isolato reperto e testimonianza: fugano infatti ogni dubbio sulla presenza nei primi
secoli di una non piccola e ben viva corrente giudaica che interpretava “filosoficamente” Scritture e Profeti, almeno
altri sette ritrovamenti mosaici simili a quello di Huqoq. Ritrovamenti che testimoniano quel tipo di giudaismo
persino più chiaramente del pannello di Huqoq.
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dodicesima parte
Sono ritrovamenti relativamente recenti ma precedenti a quello di Huqoq, e, sparsi in una vasta area in Galilea, essi
interessano sempre Sinagoghe dello stesso periodo storico del pannello di Huqoq, il IV-V sec. dC.. Ebbene in tutti
questi casi il carattere “filosofico” si mostra con figurazioni che dicono di insegnamenti “cosmogonici” da un lato e
“mistici” dall’altro. Resta mancante l’aspetto “apocalittico”, aspetto ed argomento che però da un lato è piuttosto
scontato nel mondo giudaico, e dall’altro obiettivamente non è semplice da riportare in immagine.
Questi ritrovamenti, che qui elenco e commento grazie ad una pagina dell’archeologo Walter Zanger postata in
internet al sito www.biblicalarcheology.org, sono avvenuti nell’ultimo secolo a Beth Alpha, Hammath Tiberias, Ein
Gedi, Zippori, Na’aran, Susiya ed Usifiya.
I ritrovamenti sono molto diversi, si passa da un tappeto in mosaico molto ben tenuto e di vaste dimensioni a Beth
Alpha (fig.2), fino a pochi resti di frammenti negli ultimi tre ritrovamenti in elenco, ma in tutti si vede e/o si
rintraccia, assieme ai simboli principali del giudaismo, un importante pannello con figurazione “cosmogonica”
chiaramente di origini pagano-filosofiche e collocato, oltretutto, in posizione di assoluta preminenza.
Questo pannello, dominante e che si ripete pressoché uguale in tutti i ritrovamenti (fig.1), rappresenta un quadrato
con agli angoli le quattro stagioni ed all’interno una “ruota zodiacale” divisa in dodici parti con i dodici simboli
dello Zodiaco e le iscrizioni dei relativi mesi. Al centro di questa “ruota zodiacale” si trova una importante
immagine del “Sole Invitto”, il Dio Sole, che guida una quadriga affiancato da “Luna” e “Stelle”.
La simbologia strettamente giudaica che assieme a quell’inconsueto pannello troviamo in questi ritrovamenti, una
simbologia che si ripete in tutti i ritrovamenti identicamente, è riportata in due pannelli:
- in uno si vede il motivo del “Sacrificio di Isacco”.
- nell’altro si vedono assieme “Arca dell’Alleanza”, “Candelabro a sette braccia, “Luce eterna”, “Foglia di
palma” e, nel pannello di Beth Alpha, il “Cedro” e la “Pala d’incenso”.
Una necessaria nota che conferma l’aspetto “filosofico-cosmogonico” di questi ritrovamenti, è quella che ci
sottolinea lo Zanger: il pannello centrale con lo Zodiaco, egli precisa, non può essere considerato figura né
astrologica né astronomica, vi sono infatti nelle disposizioni di stagioni, mesi e segni zodiacali, delle incongruenze e
degli errori che fanno escludere tali ipotesi. Il pannello quindi ha chiaro carattere “cosmogonico”.
Passando ad una analisi più specifica di questi ritrovamenti tutti, le considerazioni possibili in merito sono varie e di
diverso ordine. Vediamo infatti che:
a) certamente qui si riscontra la professione di una “fede” Giudaica che nasce lontana dalla “letterale” lettura e
comprensione di Scritture e Profeti fatta dal fariseismo;
b) la quantità e la uniformità dei ritrovamenti ci fa dire che siamo certamente di fronte ad una poco o per nulla
conosciuta, “diversa”, e non piccola oltre che molto uniforme, -corrente o fazione- del giudaismo;
c)
le figurazioni tradiscono, ad Huqoq in particolare, una lettura “allegorica” di Scritture e Profeti e,
verosimilmente, si può pensare e dire che essa sia in qualche modo legata a quegli ambienti di studi “allegorici” di
cui ci informa Filone Alessandrino. Ambienti che, piuttosto attivi sappiamo ai tempi di Filone e Gesù, certamente
possono avere prodotto questa non piccola ed uniforme corrente del giudaismo che qui si vede. Ipotesi tutt’altro che
inconsistente e che anzi vedrebbe risolversi l’enigma storico della dissoluzione nel nulla di quegli importanti ed
autorevoli ambienti e scuole.
d) si vede qui un “diverso” giudaismo, “filosofico” e centrato sulla “lettura e comprensione allegorica delle
Scritture”, che si collega ad Enoch sia per il suo evidente segno “cosmogonico” che, vedremo, per il suo aspetto
“mistico”.
Un “diverso” giudaismo quindi non in contrasto con il Gesù “diverso” e “filosofo” visto in queste pagine, un
“diverso” giudaismo che è antitetico a quello “farisaico” del 2° Tempio che, abbiamo visto, grazie al fariseo Paolo
è stato, seppure con la nota differenza rispetto alla figura del Messia, ereditato dalla cristianità.
Un “diverso” giudaismo che ci prospetta come assolutamente non più isolata la figura del giudeo Gesù “diverso”
qui visto. Tale “diverso” giudaismo è infatti vicino, per temi ed aspetti agli insegnamenti di -quel- Gesù e della
giudeo-cristiana “fonte giudaica enochico-ellenica” a lui seguita e qui vista. Assieme a questa vicinanza però si
deve anche rilevare la lontananza di quel “diverso” giudaismo dalla celebrazione ed esaltazione della figura di Gesù
che, seppure senza giungere alla divinizzazione fattane dalla “fonte farisaica Paolino-petrina”, anche nella “fonte
giudaica enochico-ellenica” fu fatta.
e) si deve poi notare che di questo pur “grande movimento e scuola” non troviamo scritti, esso sembra non
avere lasciato altra testimonianza che i mosaici del loro luogo di culto-insegnamento. Questo fatto è singolare ma
non strano, esso in realtà non fa che confermare da un lato il carattere “profondamente ed autenticamente filosofico”
del movimento, e dall’altro rafforza la tesi che esso sia derivato da quella “scuole allegoriche” di cui ci informa
Filone ma che nulla di scritto hanno lasciato. Come Gesù, ma anche come Socrate e tantissimi altri, abbiamo visto,
ovvero chi arriva alle più alte comprensioni e visioni della Vita, non scrive e non comunica che a coloro che già si
sono autonomamente preparati e posti sulla strada della comprensione: sufficiente, se non anche superfluo, era per
tutti loro quanto già era stato scritto prima di essi.
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dodicesima parte
f) importantissima si presenta poi la sequenza con la quale cui sono disposti i tre pannelli simbolici, una
disposizione e sequenza che conferma la pienamente “filosofica, mistica e cosmogonica” visione del mondo e della
vita da essi ricavata dalle Scritture giudaiche. Una “filosofica” visione che, ci dice Origene, largamente sarà anche
“pagana”.
Vediamo infatti chiaramente, a Beth Alpha e ad Hammath Tiberias in particolare, come a chi entrava in Sinagoga la
sequenza dei mosaici presentasse quale -primo- pannello il “Sacrificio di Isacco”, poi -secondo- il grande pannello
“Cosmogonico Zodiacale” ed infine -terzo- il pannello con le “Simbologie Giudaiche”.
Questa sequenza suggerisce e dice, piuttosto evidentemente, quale fosse il necessario percorso di conoscenza che in
questi luoghi di studio ebreo-giudaici veniva insegnato e promosso:
- il primo passo era quello della “mistica” rinuncia all’”io-materialità” di cui dice, come abbiamo in queste pagine
visto, il “Sacrificio di Isacco”. La rinuncia-morte all’ “io-materialità” di cui dicono, come qui abbiamo visto, sia il
duro e difficile passaggio del socratico “melete thanatou”, l’esperienza-esercizio di morte, che il “passaggio al
deserto” di Gesù e delle Scritture ma pure, ancora, il passaggio alla Selva oscura di Dante. Rinuncia e passaggio che
pochi sanno fare e conoscono, diceva Socrate come pure Gesù e non solo;
- seguiva poi a questo primo passo e passaggio la conseguente visione-comprensione di un divino che si doveva
vedere in un “Uno Materia e Spirito”, in un “Eterno-Vita” che si rinnova continuamente come mostra il “Sole
Invitto”. Un “Dio-Divino-Natura” che variamente con le sue Leggi eterne influenza e condiziona, come è messo in
evidenza dalla figurazione dello “Zodiaco”.
- terzo ed ultimo passo era il vedere come gli allegorici “Simboli Giudaici” dell’ultimo pannello dicono di un uomo
che è “partecipe”, -in esso- protagonista-alleato, di un Jhwh “Eterno-Vita-Uno Materia e Spirito”.
Un Jhwh lontanissimo e vera antitesi del “Dio personale” del fariseismo e dei tre monoteismi che lo hanno ereditato.
fig. 1
fig. 2
Gesù quindi, possiamo infine dire anche se molto resta ancora da approfondire, non è stato un “unicum” dentro al
mondo giudaico, non è stato il solo in quel mondo a vedere e dire di quella “diversa e filosofica” lettura e
comprensione delle Scritture qui vista e da Lui mostrata, a dire di quel “diverso e filosofico” Dio-divino-Padre.
Non solo Filone o gli allegoristi di cui questi ci dice o gli Esseni, tutti nei suoi stessi tempi, affiancheranno Gesù in
quel vedere e dire, molti altri -dopo di essi nei primi secoli-, ci mostrano i ritrovamenti qui visti, hanno esposto ed
insegnato, seppure con indubbia segretezza, quello stesso “diverso” giudaismo, un “filosofico” giudaismo che si
poneva in “unità” di visione con il mondo “filosofico” “pagano”.
Ma i tempi dovevano maturare, quella “filosofia”, la -sola ed unica- “filosofia”, il “vedere e sentire” che oggi è
catalogato quale “filosofia perenne”, sarà compresa solo da ristretti gruppi di persone e, stravolte le parole di Gesù
496
dodicesima parte
da parte di Paolo con Pietro al suo seguito, il messaggio gesuano sarà “portato ad altro” mentre da un lato finivano
senza seguito le voci del “diverso giudaismo” testimoniato dai ritrovamenti qui ricordati, e dall’altro finivano nel
sangue delle repressioni cattolico-cristane le voci di quella“fonte giudaica enochico-ellenica” che vedeva Origene
tra i suoi più importanti maestri.
Il quadro dell’oblio si completerà poi con la perdita più completa della vera “filosofia”, obliata con poche eccezioni
la “sofia-sapienza” essa finirà con l’occuparsi di “doxa-opinione”: il mondo non saprà più cosa essa fosse, non avrà
più modo di parlare di essa, sarà relegata ad una sigla, ad una vuota etichetta: “philosophia perennis”.
E ancora oggi annaspiamo in quella ignoranza.
I MISTERI GRECI E L’AFFRESCO POMPEIANO
Nel lungo indagare sulla figura di Gesù fatta in queste pagine, siamo giunti a vedere come il Suo vero insegnamento
fosse in linea con una Sapienza che tutto il mondo antico ha visto ed insegnato, seppure in modo nascosto e per
mezzo di vari miti e allegorie. Il Suo tentativo, abbiamo visto e detto, contro la lettura ed interpretazione delle
Scritture Giudaiche fatta da Farisei e Sadducei è stato quello di mostrare come quei testi, da Lui pienamente
confermati e non già superati, volevano visti e compresi e ciò che essi dicevano. E ciò che per Gesù in quei testi
andava visto e compreso non era altro, abbiamo visto, che quella stessa Sapienza della quale parlava tutto il mondo
antico, una Sapienza e Conoscenza che giungeva a portare l’uomo a vedere la propria condizione di caduta-mortesonno dalla quale “uscire”, grazie alla morte a tale condizione, grazie alla rinascita-resurrezione-conversione, per
portarsi a condizione divina, di eternità.
Una Sapienza che, abbiamo visto, era la stessa di cui dicevano e cui invitavano il mondo Egizio del Libro dei Morti
come quello Mesopotamico del Gilgamesh, ed era la stessa del mondo Indo-Ario delle Upanishad e infine anche la
stessa di cui diceva il mondo filosofico greco con Omero, Eraclito e Socrate ma non solo.
Il mondo antico greco però era anche, se non soprattutto, quello di Miti e di Misteri ai quali il citato citato mondo
filosofico era certamente debitore. Un mondo di Miti e Misteri che sono stati importantissimi per la società greca e
greco-romana e che oggi noi vediamo lontanissimi da noi ma che pure, come qui vedremo, nascevano ed erano
espressione di quella stessa Sapienza Una.
I Misteri erano culti ed insegnamenti che, con relativi Miti, pur oggi molto ben studiati ed approfonditi sotto gli
aspetti storico religiosi e documentali, vedono ancora scarsi tentativi di spiegazione e svelamento delle Verità
sapienziali di cui essi allegoricamente dicevano. Sarà invece proprio questo l’approfondimento che qui andremo a
fare, un approfondimento certo non facile dato che deve poggiarsi largamente su interpretazioni allegoriche, ma che
troverà infine forza e certezza nella coerenza e nella organicità delle conclusioni.
Vediamo quindi di analizzare i principali Misteri greci e, con essi, infine poi il grande e straordinario affresco
pompeiano della Villa dei Misteri.
Premesse
Con il termine Misteri, dal greco “mysteria”, si indicano oggi i culti e gli insegnamenti di carattere esoterico che si
diffusero in particolare in tutto il mondo greco e mediorientale antico e sviluppatisi soprattutto in età ellenistica e
successivamente romana.
Oggi, per una deformazione prodotta soprattutto dalle religioni grazie ai loro “dogmatico-misterici insegnamenti”,
con il termine “mistero” si dice di ciò che per l’uomo “non è comprensibile” e quindi di ciò che, in campo religioso,
da esso deve unicamente essere accettato e, ciecamente, creduto. In origine invece, il termine greco “mysteria” da
cui “misteri” nasce, termine collegato alla radice indoeuropea “my” che con “my’ò” in Omero (Iliade XXIV
420,637) designava la “chiusura” di bocca di ferite e di occhi, era un termine che riportava e diceva di ciò che, pur
“chiuso-occultato” era all’uomo accessibile, diceva di una Verità che doveva essere da lui scoperta-svelata-capita.
In greco infatti “Verità” è “A-leteia”, è quanto è “svelato, senza-veli, scoperto”, è quanto vuole “dis-occultato”.
Seguendo peraltro le traduzioni latine, nota W. Burkert nel suo “Antichi culti misterici”, le quali riportano “initia”
(per “mysteria”), “initiare” (per “myein”) e “initiatio” (per “myesis”), si vede come i Misteri fossero considerati
cerimonie e processi di avviamento alla comprensione di una “chiusa-occultata-misterica” Conoscenza-Verità: la
“Sapienza”, cui l’uomo doveva autonomamente, seppure aiutato e indirizzato, sapere giungere.
Una Conoscenza-Sapienza sulla quale dice Platone:
<.. tale Conoscenza..non è per nulla comunicabile in parole.. ma dopo una lunga convivenza
indirizzata (ad essa).. come luce..una volta sorta nell’anima ormai è lei stessa a nutrire se stessa..>
(Platone, 7lettera 341 c,d -G.Colli “La sapienza greca 1” 3A17)
Nel mondo greco-romano con il termine Misteri si indicava e diceva quindi di celebrazioni e culti e insegnamenti
che, con i Miti ad essi legati, allegoricamente, nascostamente, indicavano una“Verità-Vero-Divino” che, nascosto-
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dodicesima parte
chiuso-segreto, l’uomo doveva “scoprire-cercare” per quella strada, interiore soprattutto e che necessita di desiderio
e volontà, che è la universale e sempre stessa strada della ricerca“mistica”. Una “mistica” che qui, dai “mysteria”
greci, prende appunto il suo nome.
Vuole poi visto che, per quanto detto, il termine “mysteria-misteri” non ha a che vedere con quel massimo “segreto”
che era richiesto e mantenuto da coloro che, “iniziati” ai Misteri greci, erano infine giunti a “scoprire-capire” con
certezza, a “vedere” in senso lato, quella Verità. Quel “segreto da mantenere” era infatti un comportamento ed una
raccomandazione che, come visto in queste pagine, era osservato in tutto il mondo religioso-sapienziale antico e che
nasce e consegue alla consapevolezza della grande pericolosità che si corre nel parlarne con chi non sia
adeguatamente disposto e preparato: dannosamente quella Verità può, da chi non sia in grado e/o pronto a capire,
essere intesa in modo pienamente stravolto.
I principali “Mysteria” greci, i principali sapienziali miti-insegnamenti e culti cui si rifacevano feste e rituali vari,
miti-allegorie tutti accreditati o comunque in qualche modo riportati alla figura di Orfeo, riportati alla Sapienza e
Filosofia, l’Orfismo, che da quella figura prende il nome e sulla quale più oltre torneremo, erano i seguenti:
- i Misteri di Demetra e Persefone, ovvero “di Eleusi”. Legati al Mito di Demetra e Persefone-Core. Sono
Misteri testimoniati già a partire dal 1500.aC. Circa.
- i Misteri di Dioniso. Legati al Mito di Dioniso i Misteri sono testimoniati dal VII sec aC ma Dioniso è
citato quale “dio” già nel XIII sec. aC.
- i Misteri di Iside ed Osiride. Legati al relativo “Mito di Iside e Osiride” che nasce nel mondo religiosofilosofico egizio nel II millennio aC, questo culto misterico con Alessandro Magno (356-323) si diffonderanno in
tutto il bacino mediterraneo.
Assieme a questi Misteri, che saranno oggetto della nostra analisi, altrettanto importanti, ad essi affini e con una più
ristretta diffusione, bisogna ricordare da un lato la “Scuola ed insegnamento misterico-filosofico di Pitagora”,
presente in particolare nella Magna Grecia, calabra ma non solo, e dall’altro i “Culti misterici del dio Mitra” di
origine iranica e poi diffusisi in particolare in ambito militare romano.
A completamento del quadro citiamo poi anche gli altri, molto più marginali, culti misterici greci: vi erano infatti
culti e misteri legati alle figure divine dei Cabiri, in Samotracia, di Sabazio in Frigia dove troviamo anche quelli
della Grande Madre Cibele con Attis, e infine ricordiamo i culti di Serapide di origine mesopotamica o anatolica.
Vuole poi sottolineato che i Misteri di Iside e Osiride, di origine egizia, sono stati in Grecia complessivamente più
marginali se confrontati a quelli di Eleusi e di Dioniso, ma essi sono importanti perché, affini a questi due, ci
testimoniano una unità di “sentire” religioso-sapienziale che, sotto la crosta dei tanti e diversi nomi e miti, tutto il
mondo antico ha visto.
É noto che collegate ai vari Misteri, collegate ai vari culti-insegnamenti misterico sapienziali ovvero ai “Mysteria”,
si svolgevano pubbliche diverse e specifiche feste, con danze e cortei ecc., che prenderanno lo stesso nome e che
vedevano una partecipazione pubblica molto vasta. Ma, almeno per i tre principali Misteri sopra citati e sebbene nel
merito non molto in modo specifico si conosca, per poche e selezionate persone e spesso dietro pagamento, al fine di
giungere alla loro piene comprensione si contemplavano anche dei segreti rituali iniziatici di purificazione con
abluzioni, digiuni o astinenze varie come anche dei possibili sacrifici e banchetti devozionali.
La partecipazione alle pubbliche cerimonie e feste dei Misteri, che si tenevano per ciascuno di essi in modo vario o
annualmente o in più occasioni nell’anno, era una partecipazione certamente universale e libera, senza distinzioni di
ceto o razza o sesso: tutti potevano partecipare, ma pochissimi, come detto, erano coloro che, solo dopo molti anni e
solo dopo avere dimostrato di essere in grado di capire quelle “chiuse-occulte” Verità e di sapere e potere affrontare
il duro personale ed intimo cammino iniziatico, accedevano ai più segreti e ultimi insegnamenti e riti.
Anche qui, come in tutto il mondo antico, si aveva coscienza che quella “conoscenza” che è Sapienza non si insegna
“se non a chi già sa”, era detto. Si aveva coscienza che è pericoloso il farlo con chi non è pronto a capire: <..ai
misteri...vi sono quelli ai quali viene intimato di tenersene lontani..>(Tione di Smirne, F18- P.Scarpi,“Le religioni
dei misteri”).
Le pubbliche feste, i cortei e le manifestazioni cui tutti accedevano, con evidenza avevano anche una finalità e
funzione aggregativa, ludica e sociale, come sottolinea A.Quintiliano (II-III sec.dC) che nota come in esse <..l’ansia
depressiva della gente meno istruita, prodotta dalle condizioni della loro vita o da qualche disgrazia, veniva
eliminata con le melodie e le danze del rito in maniera gioiosa e gaia..>(W.Burkert- Antichi culti misterici-p.149).
Ma, quelle feste, cortei e manifestazioni, nascevano soprattutto con il principale scopo di stimolare a quel difficile
cammino, a quel “cercare-scoprire”, lo stesso “cercare” cui invitava Gesù, che porta alla “conoscenza-saperesaggezza” di cui i diversi Miti allegoricamente dicevano.
Su questa principale filosofica e religiosa finalità, difficile allora come oggi da portare alla generalità degli uomini,
ha sempre prevalso lo scopo ludico fino al punto che a Roma le feste in onore a Dioniso-Bacco, qui dette
“Baccanali”, complice la non comprensione di simbologie-riti come il vino e il fallo sono degenerate al punto che
nel 186 aC per legge furono vietate.
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Quelli dei Misteri, vuole sottolineato, erano insegnamenti religioso-sapienziali che nascevano in quella “Sapienza”
che è la“vera autentica filosofia” di cui dirà Socrate con gli Stoici a seguire e di cui prima di lui hanno detto in
particolare l’Orfismo, Eraclito, Omero e Pitagora oltre ad altri filosofi. Una “filosofia sapienziale”, oggi detta
“filosofia perennis” e purtroppo completamente dimenticata che è stata, si può dire, il primo frutto del pensiero
dell’uomo su sé stesso e sul mondo: una “filosofia sapienziale” e “vera filosofia” che in Grecia dalla più tarda
antichità vivrà fino allo Stoicismo. Scrive Platone riferendosi ai misteri di Dioniso-Bacco:
<..i portatori di ferule (simboli di Dioniso-Bacco -ndr) sono molti, ma i Bacchi sono pochi.
E costoro, io penso, non sono se non coloro che praticano rettamente la filosofia..>(Fedone 69)
Era, quello legato ai Misteri, un mondo religioso-filosofico-sapienziale che non vedeva alcun genere di proselitismo
ma, veniva detto, grazie ad essi, grazie alla loro conoscenza l’uomo si garantiva una:
“buona e serena futura vita terrena e, assieme, la salvezza nel mondo oltre la morte
con il passaggio alla comunità degli dei”.
Dicono nel merito, tra gli altri, Omero nel suo“Inno a Demetra” e Pindaro (518-438 aC) :
<..Felice tra gli uomini.. colui che è stato ammesso al rito! Ma chi non è iniziato ai misteri, chi ne è escluso,
giammai avrà simile destino, nemmeno dopo la morte..>(Omero, Inni 470 ss)
<..Felice chi entra sotto la terra dopo aver visto quella cose: conosce la fine della vita, conosce anche il principio
dato da Zeus..>( Pindaro fr.137 -G.Colli, “La sapienza greca 1” 3A2)
Era la piena conoscenza della Verità di cui dicevano i Misteri, quindi, che garantiva una buona e serena vita terrena e
salvezza dopo la morte: questo era ciò che ottenevano gli “iniziati”, i pochissimi che stimolati dai riti e dai miti
sapevano ed erano in grado di compiere quel difficile, anche qui era detto, cammino interiore che li portava ad una
nuova condizione ad un nuovo sapere-vedere.
Questo era ciò che ottenevano i pochissimi che “avevano orecchie per capire” diceva un Gesù che, al fondo, quella
stessa Verità-Conoscenza insegnava.
Anche nei Misteri quindi, anche in quella che è stata la massima e più alta esoterica espressione della paganità
occidentale e mediorientale, si invitava a scoprire quella -Sapienza Una e stessa-, ma in mille diversi modi e miti e
profondità espressa, di cui ha detto anche Gesù: quel “Gesù diverso”, ben visto in queste pagine, che era insegnato
dai veri “Grandi-Super Apostoli”(cfr 2Cor) ma che, incompreso, è stato combattuto dal fariseo Paolo e poi “portato
ad altro” da un Cristianesimo che lui Paolo, e un Pietro a lui succube, ha seguito anziché il “filo a piombo” delle sole- parole di Gesù. Una -Sapienza Una e stessa- di cui hanno detto anche quelle Scritture giudaiche che, come
visto in quelle pagine, Gesù unicamente ha voluto e cercato di spiegare.
Una -Sapienza Una e stessa- che rivelava una “Vita”, Una, divina, materiale e spirituale assieme ed Eterna, che
sempre si perpetua.
Ed è in questa “visione alta” che sono da vedere, oggi come allora, i riti e le feste legate a Demetra come pure le
“falloforie”, le manifestazioni con simboli fallici in onore di Dioniso o di Priapo: celebrazioni che festeggiavano il
raccolto, la fertilità agraria o il rinnovamento della vegetazione quali aspetti del divino, un divino che è eterna
generazione di una Vita che sempre rinnova.
Tornando ai vocaboli e nomi, assieme al citato “mysteria” gli altri termini e vocaboli che erano utilizzati nell’ambito
dei Misteri e che ci danno conto della loro natura, sono quelli di “orgia”, “teleté” ed “epopteia”:
- Orgia, che ricorre nell’Inno a Demetra di Omero per designare la pratica rituale introdotta da Demetra, è termine
che indica in generale “l’agire e l’azione” dei pubblici culti misterici,
- Teleté si lega etimologicamente a “telos”, che è “compimento, fine, conclusione”, e dice così del compito dei
Misteri di “portare a compimento-perfezione” l’uomo. In latino infatti questo termine è solitamente tradotto con
“iniziazione”.
- Epopteia si compone di “epi-sopra”, e da “optomai-vedo”: esso dice quindi di un “vedere alto-sopra”, un “vedere
divino” che è, sul divino, il comprendere massimo possibile all’uomo. Un comprendere-capire che si carica di una
“certezza” che lo rende paragonabile al fisico “vedere”: con questo termine si indicava lo stadio ultimo della
“strada”, “mistica”, di comprensione-visione degli “iniziati”.
Una “strada mistica” che anche qui, nei Misteri greci, inizia con quel necessario duro e difficile “passaggio” ben
visto in queste pagine: il “passaggio al deserto” della tradizione giudaica, la personale “lotta con l’Errore-demone”
di cui ha detto anche il Buddha, il “passaggio della Selva oscura” di Dante, il socratico “esercizio di morte-melete
thanatou”; la dura rinuncia ad un ”io-materialità” che nasce nel farisaico errore di pensare di “essere in sé”, la
“morte alla condizione di morte-sonno” ovvero la “conversione-cambio di mentalità-resurrezione” cui ha invitato
Gesù, il passaggio-cambiamento che con “turbamento-spavento-meraviglia” porta al Tutto-Regno:
<..Gesù disse: Colui che cerca non smetta di cercare finché non trova e quando troverà sarà turbato e,
così turbato, si meraviglierà e regnerà sul Tutto..>(Vangelo di Tommaso l.2). .
Testimonia della durezza di questo necessario passaggio che chiude al ciclo delle reincarnazioni portando all’eterno,
una delle laminette auree di ambiente orfico-pitagorico rinvenute a Turi nella quale, pur senza riferimenti a Miti o
Misteri, troviamo queste parole:
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<..Benvenuto tu che hai sofferto un patimento quale mai prima avevi sofferto...Da uomo sei diventato dio..>
Plutarco poi, che ci dice essere iniziato ai Misteri assieme alla moglie, così, in modo identico alla esperienza che le
Scritture illustrano per la archetipale figura di Elia (1Re 19.11 sg), ci dice di quel duro e difficile passaggio, di
quell’“odìsseo viaggio di ritorno” che porta a rivedere la Sposa”:
<.. nella iniziazione ... Dapprima si erra faticosamente, smarriti, correndo timorosi attraverso
le tenebre senza raggiungere alcuna meta; poi, prima della fine, si è invasi da ogni tipo di terrore, spavento,
tremore, sudore e angoscia. Finalmente una meravigliosa luce viene incontro e si è accolti da luoghi puri
e da prati, dove risuonano voci e si vedono danze ...e solenni canti. Tra questi suoni e visioni, ormai perfetti e
pienamente iniziati, si diviene liberi..>(Plutarco fr.178 – P.Scarpi, “Le religioni dei misteri I”)
Anche Apuleio (125-170 dC), nelle sue Metamorfosi, descrive la sua esperienza d’iniziazione ai Misteri di Iside.
Con l’immagine della Dea che nel sonno lo invita ai Misteri egli dapprima parla della necessaria nascita di un intimo
bisogno di “cercare-conoscere” in seguito al quale si hanno, riprodotte simbolicamente nel rito iniziatico da lui
descritto, una fase di purificazione e astinenza cui segue quella di studio-meditazione e infine la esperienza di
<..morte volontaria e salvezza temporanea..> (Apuleio, Metamorfosi XI, 21) della quale Apuleio, con toni di poesia
mitico-enfatica, dice:
<...Ascolta, dunque, e credi: è tutto vero. Guadagnai i confini della morte, misi il piede sulla soglia di Proserpina e
tornai indietro, trascinato attraverso tutti gli elementi; nel cuore della notte vidi il sole vibrare di luce radiosa,
venni alla presenza degli dèi inferi e degli dèi celesti e li adorai da vicino..>
(Apuleio, Metamorfosi XI, 23)
E’, questa “morte volontaria” abbiamo detto, la “melete thanatou” socratica, l’esperienza del “deserto” di Gesù o
della “selva oscura” di Dante ovvero anche la “grande Jihad” islamica ecc., una “morte” sulla quale ancora
Plutarco scrive: <..riguardo al “morire” (teleutàn) e all’essere “iniziato” (teleìsthai), la parola assomiglia alla
parola, e la cosa alla cosa..>(Plutarco fr.178 -G.Colli “La sapienza greca 1” 3B4).
Dopo queste premesse entriamo ora nel vivo di queste pagine per dire di come e dove nei tre principali Misteri e
Miti greci sopracitati, si possano e debbano rintracciare gli aspetti ed i temi, necessariamente parziali, di quella
“Sapienza Una”, di quel “conoscere-sapere-vedere”, di cui essi “unitariamente”, pur nelle loro differenze,
intendevano dire. Scrive, sempre Plutarco, in merito:
<.. Le storie dei Giganti e dei Titani
che si cantano in Grecia, per esempio, e certe empietà compiute da Crono, oppure la lotta di Pitone
con Apollo, gli esili di Dioniso o le peregrinazioni di Demetra, non sono certo diversi da quei racconti
su Osiride, Tifone e altri ancora, che a tutti è concesso conoscere liberamente. Ma anche quanto rimane nascosto
all'interno dei riti misterici e su cui le cerimonie iniziatiche mantengono il più assoluto riserbo,
perché non si può rivelare alla gente, è determinato dalle medesime ragioni..>
(Plutarco, de Iside et Osiride)
Come vedremo, i “temi filosofico sapienziali” che seppure con diverse allegorie e miti ed accenti nei tre sopra citati
Misteri-Miti vediamo trattati, sono gli stessi: essi sono temi importanti, di base e fondanti ma che restano comunque
parziali aspetti di quella “Sapienza Una” cui i Misteri con quei “temi” intendevano portare.
I Misteri-Miti citati, ma non solo essi, hanno infatti ampiamente convissuto: le persone li frequentavano
indistintamente e chi arrivava a penetrarli diveniva seguace di tutti, come sembra sia stato per Plutarco, con
consapevolezza giacché stesso era, al fondo, il loro dire.
Due in particolare sono i “temi filosofico sapienziali” che in quei Misteri, pur variamente, vediamo trattati:
a) “il tema della doppia divina natura dell’uomo-umanità,
la doppia divina natura, sensibile e spirituale assieme, di un animo umano che è personale
ed universale al contempo. Una doppia divina natura dall’uomo dimenticata e non riconosciuta
ma che da parte sua deve essere vista e recuperata”, e
b) “il tema, apocalittico, delle ineludibili dure conseguenze cui l’uomo-umanità va incontro
a causa di quel suo Errore-Caduta che è la dimenticanza, la “non visione-comprensione”, della Verità della doppia
divina ed Una Natura del proprio animo”.
Partiremo dalla analisi dei “Misteri di Demetra e Persefone”, ovvero “di Eleusi” dal nome della città nella quale
sono stati eretti i maggiori dei templi ad esse dedicati e, dopo le analisi degli altri due Misteri citati, faremo infine
alcune considerazioni sulla figura di Orfeo, la figura alla quale si riportano e collegano i Misteri greci tutti.
Misteri di Demetra e Persefone
Questi Misteri, questi culti-insegnamenti e feste e riti, si rifacevano al Mito che racconta delle dee Demetra e
Persefone, Madre e Figlia che secondo la versione principale del Mito sono rispettivamente sorella e figlia di Zeus.
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dodicesima parte
Come sempre il Mito vede delle varianti, delle modificazioni con le quali i vari autori intendono mettere in luce,
sottolineare o anche aggiungere, degli specifici aspetti della Verità di cui il Mito dice.
Approfondiremo il Mito basandoci sulla sua versione principale, quella che ci espone Omero nel suo “Inno a
Demetra” (in seguito: I.Dem.) e che, per una migliore comprensione, invito a leggere non potendo qui per motivi di
spazio riportarlo. Nel Mito, nel racconto mitologico, i due “temi filosofico sapienziali” di cui abbiamo sopra detto
si scoprono e si vedono, chiaramente il primo (a) e più nascostamente il secondo (b), capendo che:
“Demetra
è allegorica figura della parte più alta e spirituale, universale e dell’uomo al contempo, dell’animo umano,
mentre Persefone, che è sua figlia e quindi a lei legata, è figura dell’aspetto e/o parte più legato al sensibile,
più legato all’umano e terreno ma comunque divino, della stessa anima”.
Demetra, possiamo dire, è figura per certi versi parallela alla Sposa-Vergine della tradizione giudaica mentre in
Persefone si possono vedere tratti di quella “prostituzione” che, in quella stessa tradizione ma non solo, induce alla
morte spirituale. Vediamo, seppure in sintesi, cosa ci dice il Mito.
Esso racconta di due dee, Demetra e Persefone madre e figlia, legate l’una all’altra in modo straordinario.
Allontanatasi dalla madre, Persefone sarà rapita da Ade dio degli inferi e la madre Demetra, ignara, inizia una lunga
ricerca che la porterà infine a riavere al suo fianco ogni anno ma solo per alcuni mesi, la figlia. Sono invero
bellissimi e poetici i versi dell’Inno coi quali l’autore omerico, con episodi secondari e felici caratterizzazioni, invita
e porta a penetrare il Mito.
Demetra, parte più alta e spirituale dell’animo umano, è figlia di Crono e Rea come anche Zeus ed è vista quale
“purificatrice” e <..madre degli dei..>(Euripide-Elena 2 stas. I,1) con una assimilazione alla madre Rea, figlia di
Urano e Gea, Cielo e Terra, piuttosto comune nelle divinità-forze greche: assimilazioni che dicono di aspetti
particolari e specifici di un divino Uno che resta tutto legato e che per infiniti modi e vie agisce.
Demetra è “purificatrice e madre degli dei” identicamente, bisogna vedere, alla Ruah Santa del giudaismo: essa è
ciò la cui presenza-conoscenza-ascolto porta l’uomo a condizione divina, al Regno, alla condizione di “paradiso
terrestre”. Per questo è detto che essa <...agli immortali e ai mortali offre gioia e conforta..>(I.Dem.268) ed è
<..apportatrice di messi, dai magnifici doni..>(I.Dem.194) ovvero è portatrice di quel benessere e buon vivere che
non è altro che le <..ricchezze..>(Gn 15.14) di cui secondo la tradizione giudaica godranno i “discendenti di
Abramo”.
Demetra è la <..Salvatrice.. che salverà il paese ( l’umanità -ndr ) in eterno..>(Aristofane – Rane), ed è ciò che,
dice Omero nell’Inno, porta l’uomo alla condizione di deità <..ungendolo.. come il figlio di un dio..> ovvero
portandolo ad essere “Unto-Cristo” e così poi <..passandolo nella vampa del fuoco..>(I.Dem.235ss). Un fuoco che
è lo stesso che Giovanni Battista evocherà quale purificatore della umanità (Mt 3.11) un fuoco che brucia l’Errore e
toglie così la cecità in cui, dice Demetra, l’uomo-umanità <..incapace di prevedere il destino della gioia o del dolore
che incombe..>(cfr I.Dem.) è caduta.
Un fuoco che altro non è, possiamo dire, che il duro e difficile passaggio “mistico” di cui tanto nella pagine di
questo testo abbiamo detto, un passaggio ed una lotta che l’uomo spesso non ha il coraggio di affrontare ed a cui si
oppone quel suo femmineo-yin del quale nell’Inno omerico ci dice la figura di Metanira. É, questo, il viaggiopassaggio e lotta cui servono la forza e la prudenza ed il coraggio di Odisseo, abbiamo detto, ma anche di Eracle,
altra figura il cui Mito di questo ci dice e che, per questo, è fortemente legata ai Misteri di Eleusi: essi infatti
<..vantavano Eracle come il più eminente dei loro iniziati..>(W.Burkhert, “Antichi culti misterici”).
Come nelle Scritture giudaiche, le quali vedono la Ruah Santa ovvero la “Donna vestita di Sole” della Apocalisse di
Giovanni ostacolata ed impedita nel suo compito ed opera di “far nascere-scoprire nell’uomo il Figlio-Logos”
immortale, anche qui, nel Mito, Demetra è impedita alla “unzione e purificazione” che renderebbe “immortale”,
<..come figlio di un dio..>, il figlio di Metanira. Demetra, con parole in cui riecheggiano gli ammonimenti di
Profeti e Filosofi, non potrà che tristemente constatare e dire:
<..oh stolti esseri umani, incapaci di prevedere il destino della gioia o del dolore che incombe...
immortale io avrei reso tuo figlio..ma ora non potrà più sfuggire al destino di morte..>(I.D.235ss).
Continuando la nostra analisi Persefone, altrove detta anche Kore o Proserpina, figlia come detto di Zeus e di una
Demetra alla quale spesso è assimilata così mostrando un “legame” che invita e porta, nel penetrare il Mito, a vedere
nelle due figure una allegoria del doppio aspetto dell’animo umano, Persefone, dicevamo, ci racconta in apertura il
Mito che nell’allontanarsi-separarsi dalla madre Demetra si porta a cogliere, in un meraviglioso campo fiorito, un
<..incantevole narciso..>. Essa viene così rapita da Ade dio degli inferi e da questi condotta agli inferi quale sua
sposa.
Con questa allegoria il Mito ci dice che quando all’uomo manca la visione-presenza della parte “più alta e divina e
universale” della -propria- anima, di Demetra, quando la parte “più bassa-terrena”, Persefone, di quella pur stessa e
divina anima si stacca dalla Madre Demetra, egli è portato per quell’”io-materialità” che così nasce e prevale, per
quella “caduta” che non è che il “narcisistico” pensarsi e vedersi “essenti in sé” qui espresso nel “cogliere
l’incantevole narciso”, egli è rapito agli inferi: si porta a condizione di morte spirituale.
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A questa condizione di morte spirituale o “caduta”, alla Persefone-Kore negli inferi, con un accenno apocalitticorivelativo che ricorda strettamente il racconto-mito giudaico della “Torre di Babilonia”, nel Mito ci viene detto che
segue e consegue una morte e distruzione fisica e terrena che potrebbe portare a conseguenze estreme per l’uomo e
per la Vita stessa, per l’Olimpo dice il Mito, se non intervenisse una divina, qui di Zeus, correzione. Dice infatti il
Mito che Demetra, disperata per la mancanza-allontanamento della figlia:
<..sulla terra feconda rese quell’anno infausto.. e avrebbe distrutto interamente la stirpe degli uomini mortali...e i
sacrifici avrebbe sottratto a coloro che abitano l’Olimpo..se Zeus non se ne fosse preso cura..> (I.D.305ss).
Grazie all’intervento di Zeus, dice infine il Mito, Persefone ritornerà periodicamente ad essere a fianco-vedere la
Madre, ogni anno per due terzi del tempo, dice il Mito, e grazie a questo in quei periodi la vita della terra riprenderà:
<..ogni volta..la terra si coprirà di fiori odorosi..e saranno onusti di spighe..>(I.D.235ss).
Quel più basso aspetto dell’anima pur divina ed universale che è Persefone-Kore, dice così il Mito, quella parte
presa-attirata-caduta al luogo-condizione di morte, ciclicamente per forza divina dovrà riportarsi a fianco della
spirituale Madre Demetra al fine che si abbia la continuazione della Vita.
Ma, insegna ancora il Mito, l’uomo non deve portarsi all’errore opposto rispetto a quello della “cadutadimenticanza” della spirituale anima Demetra: Persefone, la parte più terreno-materiale dell’animo umano che
rispecchia l’aspetto sensibile della Anima universale deve, nonostante tutto, essere considerata quale nobile-divina
parte-figlia di Demetra. Dice infatti infine Ade a Persefone:
<..quando sarai quaggiù regnerai su tutti gli esseri che vivono e muoiono..
e per sempre vi sarà un castigo per coloro che ti offendono e non ti onorano..>(I.D.305ss)
Termino questa sintetica analisi per sottolineare di nuovo che nelle “messi” di grano di cui dice il Mito come nella
<..spiga mietuta...oggetto di contemplazione (nei riti iniziatici)..> di cui dice Ippolito (Contro le Eresie V8,39-40),
non si deve vedere altro che un riferimento a quella “Vita Una divina, spirituale e fisico-materiale assieme” che il
Mito in essenza vuole insegnare e di cui vuole dire. Anche il mondo egizio, cui si richiamano i Misteri, vede
peraltro allegorizzata nei “Campi di Aaru”, in distese solcate da acque e colme di messi cui si portano a vivere gli
stessi dei, la destinazione massima e ultima per l’uomo, la Vita, l’Eterno.
Misteri di Dioniso
Rispetto a quelli di Eleusi i Misteri di Dioniso ebbero un maggior seguito ed una vastissima diffusione: essi si
svolgevano in molte città e luoghi, spesso anche in più occasioni nel corso dell’anno e il suo culto, popolarissimo,
resterà vivo per quasi mille anni dal VI sec aC al IV-V dC.
Anche qui, in Dioniso, nei relativi riti-insegnamenti e feste, allegoricamente si celebravano ed insegnavano gli
“stessi comuni -temi sapienziali- di cui abbiamo detto in premessa” qui però, rispetto ai Misteri Eleusini:
-- da un lato vediamo che il primo tema, quello della “doppia divina natura dell’uomo-umanità, dell’animo
umano”, si allarga e prende così toni e sfumature più precisi e decisi ma pur anche non diversi, e
-- dall’altro lato, troviamo qui più approfonditamente trattato il secondo tema, quello apocalittico-rivelativo che
dice di “ciò cui necessariamente-fatalmente accadrà all’uomo” a causa di quel suo Errore che è la non visionecomprensione della Verità di cui al primo tema. Qui meglio si vede ciò che dovrà incontrare l’uomo-umanità a
seguito di quella sua non comprensione-visione che è la “caduta” all’ “io-materialità”, il filosofico “sonnomalattia” ovvero quella “morte”, spirituale, in cui egli inevitabilmente cade. Morte della quale Gesù dice in
particolare con il suo <..lascia che i morti seppelliscano i loro morti..>(Lc 9.60).
Nei Misteri di Dioniso, vuole poi visto, la “doppia natura” di cui al primo tema viene insegnata non più
limitatamente all’aspetto della “anima umana e universale” come è nei Misteri di Eleusi, ma viene soprattutto
mostrata come Natura di un divino Uno “in e di cui l’uomo é”, quale Natura di una Vita che si rispecchia, si
evidenziata e si manifesta, in un “uomo-umanità-dio-Dioniso” che, affiancato dalla sua “anima-Arianna”, di tale
Vita, della greca “Zoe” <..senza nessuna caratterizzazione e senza limiti..> come dice K. Kerenyi nel suo
“Dioniso”, è la apoteosi. Dioniso, Bacco, è Vita e “uomo-umanità” nel suo travagliato necessario portarsi al divino.
Recita una epigrafe rinvenuta nel 1903 a Cuma sulla parte inferiore della lastra di chiusura di una tomba a cassa:
< Non è lecito seppellire qui altri che colui che è divenuto Bakcheus >(Archeologia della salvezza-pg.59)
Nei Misteri di Dioniso quindi:
“vediamo un “dio-Dioniso” figura di un “uomo-umanità” che dalla sua prima condizione divina
che lo vede con un’anima e natura assieme spirituale-maschio-yang e materiale-femmineo-yin,
è portato ad una separazione-morte,
la non visione di quella sua -Una e divina doppia natura-, che lo vedrà dovere “rinascere”
caricato anche di una “natura titanica” che a lui sarà necessaria nella lunga lotta che dovrà affrontare al fine di
riportarsi a quella sua prima ideale edenica condizione divina che, suo compimento infine,
lo vede legato e unito alla sua più alta e divina Natura, ad Arianna-Afrodite”
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dodicesima parte
Il Mito di Dioniso, il Mito che questi Misteri celebravano, si presenta più complesso di quello eleusino sia in sé
stesso che per la presenza di più di una versione con anche alcune varianti delle stesse. Ma un punto fermo,
possiamo dire, è in tutte il fatto che Dioniso “dio-uomo-umanità”, in alcuni racconti detto anche Zagreo e Iacco, è
un “Figlio di Zeus”, è “Figlio di dio” e dal padre Zeus è stato destinato a regnare dopo di lui. É destinato a portarsi
alla piena divinità, ad avere una divina vita, azioni e comportamenti divini.
Egli è poi un <..due volte nato..>, ci dice il Mito con varie e diverse allegorie e racconti, ed anche egli è detto e
visto quale <..iniziato..>(Pausania VIII- P.Scarpi, “Le religioni dei misteri”) e come tale egli impersona la forza che
invita e porta l’uomo al suo compimento, che lo ri-porta al divino. Esemplari in tal senso sono le parole che ci
mostra la più antica, quella trovata ad Ipponio, delle Laminette auree orfiche:
<.. dì loro: sono figlio della Greve e di Cielo stellante... e farai molta strada, per la via sacra
che percorrono gloriosi anche gli altri iniziati e posseduti da Dioniso..>
(G.Colli, “La sapienza greca I” 4A62)
Dioniso è un “dio-divino uomo-umanità” che è visto come “dio del vino” o anche, per gli Orfici, egli è il “VinoOinos stesso” con un metafora che, come peraltro ci dice anche il suo titolo di “Dyonisos Lysios”, intende mostrarlo
come “ciò e colui”, e “forza” al contempo, che “scioglie-libera” al pari del vino. Egli quindi, <..iniziato..>, è
figura della umanità che si porta a sciogliersi-liberarsi dall’errore-male ovvero anche è figura di ciò che libera
l’uomo dai vincoli-male indotti dalla identità personale, dalla caduta all’io-materialità, per ricongiungerlo alla
originaria sua universalità, per riportarlo all’Olimpo come sarà per Dioniso.
Uno “sciogliersi-liberarsi” dalle “gabbie, lacci, catene e caverne” bibliche e filosofiche, che porta l’uomo a vedere
giustamente-correttamente la propria divinità. É per questo, si deve vedere, che Dioniso è figurato in particolare sui
sarcofagi o comunque in ambito funerario: è per quella sua capacità-forza-caratteristica che lo vede infine a
“condizione divina” ovvero all’“eterno” che, così, si auspicava per il defunto sia lo stesso traguardo che
l’accompagnamento, a tale fine, da parte del dio.
Con queste stesse caratteristiche Dioniso sarà il greco Zagreo-Dioniso come pure il Bacco romano ed il Fuflus degli
Etruschi e sarà anche l’Oinos-Iacco, il Vino e la Vite: ciò che egli infine, portatosi al divino, lascerà alla umanità, i
suoi doni o anche, per alcuni, metaforicamente la sua ultima “rinascita”.
Dioniso poi <..è un dio..metafisico ora giovane dai capelli biondi o corvini, ora adulto e barbuto..>, sottolinea P.
Scarpi (op.cit.), e nelle raffigurazioni egli è rappresentato spesso maschio con tratti femminei e sia giovane che
vecchio, anche contemporaneamente in qualche caso.
Egli quindi è l’ “eterno”, “giovane e vecchio”, e l’Uno “dio e uomo” e “maschio e femmina” assieme sembrano
dirci anche le Menadi o Baccanti, le donne/femmine che sempre lo seguono e servono. Con esse infatti il Mito
verosimilmente dice di quel femmineo-yin, di natura titanica, che sempre accompagna il maschile-yang e che è ciò
che serve, sostiene e favorisce, la vita fisica ma che anche può portarsi ad essere, come qui si vede in vari episodi,
terribilmente distruttivo. Aspetto questo, e Verità, che come ampiamente visto negli approfondimenti svolti in
queste pagine, tutto il mondo antico ha attestato.
Dioniso, “figura di un uomo-umanità divina”, é eterna Vita, è figura di un uomo-umanità che è primario aspetto di
una Vita che sempre si perpetua, eterna, e questo sarà ricordato ed onorato metaforicamente nel simbolo del “fallo”
che sempre accompagna Dioniso nelle feste a lui dedicate come pure, spesso, nella sua iconografia. Aspetto del suo
mito, questo, che per Erodoto, piuttosto confermato dalle odierne conoscenze di quel mondo, è originario
dell’Egitto.
Dioniso è ciò che nasce per <..la gioia degli uomini..>(Omero, Iliade VI132-135; XXII461; XIV 325), è forza
“divinatrice” ma anche, dicono nell’isola di Tenedo, egli è <..sbranatore di uomini..> (Kerenyi, op.cit.): egli è,
possiamo quindi dire, portatore della “gioia” che all’uomo viene in una “salvezza-deità”, alla quale egli invita, che
necessita ed abbisogna della uccisione-fine della condizione di <..uomini..>: della fine di un uomo-umanità
“caduto” al “sonno-morte”, la fine della dimenticanza della propria “doppia divina natura”. Un uomo- umanità che
deve portarsi a quella “rinascita” di cui dice la “doppia nascita” del Dioniso “dio-uomo”.
Dioniso, “dio-uomo-umanità”, in questa sorta di compito “messianico-escatologico-di salvezza” che esso porta in sé
diviene, così, il “salvatore di sé stesso”.
Sarà una lunga lotta, dice il Mito, quella che Dioniso “dio-uomo-umanità” condurrà in ogni parte del mondo,
ovvero contro tutti i “re-forze terrene” che non lo riconoscono, che sono ad esso “contrari”, per riuscire a farsi
accettare-vedere quale “re-dio”: per riuscire, ci dice la allegoria, a far sì che l’uomo-umanità giunga a liberarsi di ciò
che non le permette di vedere quel “divino” che essa stessa è.
In quelle lunghe battaglie e le lotte, sia a fianco di Dioniso “dio-uomo-umanità” con le sue Baccanti da un lato, e sia
a fianco dei suoi vari avversari, i Persiani con a capo Deriade e poi Licugo, Penteo e i Titani ed altri, si schiereranno
vari dei-divinità-forze, ci dice il Nonno nel suo “Dionisiache” intendendo così egli mostrarci la natura divina, oltre
che terreno-materiale, dell’accadere umano. Difficile resta comunque spiegare perché egli veda Era, moglie di Zeus,
a volte assieme ad Atena o Poseidone, sempre a fianco degli avversari di Dioniso mentre Rea, madre di Era, sarà
invece, assieme a molti suoi alleati, sempre al fianco di Dioniso.
503
dodicesima parte
Il Mito vede poi il suo epilogo nella “unione” di Dioniso con la figura di Arianna, una figura molto importante della
quale però il racconto dionisiaco dice molto poco pur lasciando comunque sottesamente intendere che essa è la
naturale, non detta e non dichiarata ma da sempre a questo destinata, compagna-moglie, divina Sposa-Anima, di
Dioniso.
Arianna è protagonista di un suo Mito, il “Mito di Arianna e Teseo” detto anche “Mito del Labirinto”, ma la sua
figura, come pure quella di Dioniso bisogna dire, si svela pienamente solo nel combinato dei due miti, il suo e quello
di Dioniso. Del suo Mito, del mito di Arianna e Teseo, abbiamo detto al capitolo “Il Minotauro” della 5° Parte di
questo scritto ma senza vederne, allora, i legami e le implicazioni che si evidenziano nel combinato con la figura ed
il Mito di Dioniso.
Figlia di Parsifae, la “luminosa” figlia di Elios, e di Minosse re di Creta, Arianna è figura dell’anima universale
umana e divina al contempo. In essa vediamo assieme Demetra e Persefone come attestano sia Diodoro Siculo, il
quale <..oscilla tra le due..> dice Kerenyi (op.cit.) ovvero le identifica citandole in modo indistinto entrambe, e sia
la iconografia delle monete di Cnosso le quali <..in connessione con il Labirinto (di Arianna -ndr) mostrano la testa
di Persefone del tipo di Demetra...>(Kerenyi, op.cit.). Arianna è figura, si deve vedere e dire con Nietzsche peraltro,
dell’animo umano nella sua più alta perfezione ed equilibrio umano-divino, è figura che richiama Afrodite-Venere
come dice la statuetta che, per il suo Mito, essa porta con sé, e come tale essa è da sempre la sola possibile moglieSposa del “dio-uomo-umanità” Dioniso, la sua divina Anima universale.
Con questa Arianna, sulla cui figura più sotto torneremo, il Dioniso “dio-uomo-umanità” dopo avere finalmente con
lunghe lotte ucciso-eliminato ciò che a lui è contrario, ciò che “ostacola” il suo riportarsi alla deità, finalmente si
“sposa-accompagna”, si lega, salendo così all’Olimpo: l’“uomo-umanità-dio-Dioniso” si ri-porterà infine, in pace,
alla “gioia-felicità” della sua prima divina condizione, condizione da lui persa o non raggiunta, variamente ci dicono
le diverse versioni del mito con i racconti della sua nascita-rinascita, condizione alla quale con grandi lotte e
battaglie infine si riporterà.
Vediamo allora a questo punto, relativamente alla nascita-rinascita di Dioniso, quali sono in sintesi le principali
versioni del Mito. Prima però faremo alcune note sulle assimilazioni-identificazioni che nei miti si incontrano tra
varie figure divine:
Abbiamo in precedenza detto delle vicinanze tra Persefone e la madre Demetra ma si vedono anche,
nell’originario Mito cretese (cfr Kereny op.cit), quelle tra Persefone e Arianna. Altre, vedremo, si scorgono
tra Arianna ed Afrodite ma possiamo dire che tutta la teologia greca è colma di dei che nelle loro
caratteristiche si richiamano. Sono vicinanze ed assimilazioni, vuole notato, che denunciano affinità o
legami spesso importanti al fine della giusta comprensione dei vari miti ed anche esse affermano come, con
le varie figure mitologiche, si intendesse dire di Realtà o Forze che spesso si compenetrano e che mai sono
pienamente slegate ed isolate. Si possono trovare nei miti figure o divinità con propri nomi ma che intendono
unicamente dire di uno specifico aspetto e/o condizione di altre diverse divinità, Realtà e Forze.
Esempi di assimilazione sono anche quelli che si vedono tra Demetra e sua madre Rea (cfr Kereny op.cit)
come pure è per assimilazione che alcuni autori diranno che il padre di Dioniso era “Ade” o anche uno
“Zeus sotterraneo”, anziché Zeus stesso. Un ulteriore esempio è poi quello che ci dona Eraclito il quale, nel
commentare le falloforie, i cortei che con canti e simboli fallici onoravano Dioniso, dirà che <..sarebbero
(stati) comportamenti vergognosi..(se non fosse che) lo -stesso dio è Ade e Dioniso-, per il quale infuriano e si
comportano come Baccanti..>(fr 15 Diels, Kerenyi op.cit.). Dioniso è Ade, è il divino vivente la oscurità di
un sotterraneo-terreno, sembra affermare Eraclito.
Per quanto detto in questo inciso, si dovrà vedere assimilazione o anche vera e propria con-fusione, tra le figure di
Pesefone e Semele che, come vedremo, in differenti miti sono accreditate quali madri di Dioniso.
Veniamo ora ad una sintetica esposizione delle diverse varianti che, relativamente alla nascita-rinascita di Dioniso il
Mito ci presenta. Esposizione cui faremo seguire le necessarie considerazioni :
a) ci informa Kerenyi (op.cit.) che la notizia che vede Dioniso nascere da Persefone è <..la più
antica,..conservata fino alla tarda antichità nei poemi a contenuto teologico degli Orfici..>, notizia questa
testimoniataci anche da Diodoro Siculo (90-27 aC) che “segue gli storici cretesi”, ci dice, e da Ovidio (43 aC-27
dC) che scrive <..(Dioniso) essi dicono che.. è figlio di Zeus e Persefone..> (Metamorfosi VI 114).
In questa prima e principale versione del Mito Dioniso nasce quindi da Zeus e da Persefone, la dea che, come
abbiamo visto nel Mito eleusino, figlia di Demetra dice della parte o Natura più sensibile-materiale dell’anima
universale che la coppia assieme rappresenta. Una Natura che questo “divino Dioniso uomo-umanità” erediterà
assieme a quella non sensibile-materiale che gli deriva da Zeus.
Il Dioniso così nato da giovane viene ucciso, fatto a pezzi e mangiato da dei Titani, a questo spinti da Era moglie di
Zeus, i quali per questo loro atto sono, dice il Mito, fulminati-bruciati da Zeus. Dalla fuliggine che si produce nella
fulminazione dei Titani che hanno mangiato Dioniso, una fuliggine che porta così in sé l’elemento dionisiaco e
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dodicesima parte
assieme quello titanico, nasce l’uomo-umanità. “Rinasce” quindi, dopo “quella” sua “morte”, un “nuovo-diverso
dio-Dioniso uomo-umanità” dice il Mito. Scrive Olimpidoro (480-565 dC) nel suo “Commento al Fedone”:
<.. i Titani.. smembrarono (Dioniso) e ne mangiarono la carne..(e) Zeus fu preso da collera e colpì i Titani con il
suo fulmine. L’esalazione dei loro corpi formò della fuliggine dalla quale sorsero gli esseri umani..>, <.. il nostro
corpo è dionisiaco, siamo pur sempre una parte di lui..>(Kerenyi, op.cit.)
b) sempre Kerenyi ci informa anche che per qualche motivo le versioni più conosciute e diffuse sulla nascita
di Dioniso erano quelle, di cui diremo qui ed al punto successivo, che lo vedevano con madre la “mortale” Semele.
Una di queste versioni del Mito vede Dioniso, nato sempre da Zeus e Persefone, venire ucciso dai Titani ma di esso
si salva il “cuore pulsante” e questo sarà da Zeus fatto mangiare alla “mortale” Semele sua amante affinché lo faccia
“rinascere”. Semele, “mortale” figlia di Armonia e di un Cadmo <..che libera dal male..>(Nonno, “Dionisiache”)
ed il cui nome <..in Frigia apparteneva a una dea del mondo sotterraneo..> (Kerenyi op.cit.), farà così “rinascere”
un “nuovo-diverso Dioniso”.
Con la figura della mortale Semele il Mito qui con evidenza, per quelle complesse assimilazioni e vicinanze di cui
abbiamo prima detto, intende diversamente dire di quel carattere potenzialmente “mortale-distruttivo”, il femmineoyin, del quale nella precedente versione diceva l’elemento titanico, che anche qui il “nuovo-rinato” Dioniso eredita.
Un’altra variante di questa versione del mito vede il cuore di Dioniso, salvatosi anche qui dai Titani, ingerito dallo
stesso Zeus che poi unendosi a Semele fa così “rinascere” il nuovo “dio-uomo-umanità”.
c) una ulteriore versione infine, perdendo la figura di Persefone vede Dioniso nascere dall’amore di Zeus con
la sua amante “mortale” Semele la quale però, indotta da Era a guardare il suo amante, resterà folgorata da quella
visione potente e per lei non sopportabile. Semele a seguito di ciò morirà prima di riuscire a dare alla luce Dioniso e
sarà poi lo stesso Zeus, in questa versione del Mito, a provvedere al completamento della gestazione di Dioniso, in
una sorta anche qui di “rinascita”, inserendolo nella sua coscia.
d) si deve infine registrare tra le numerose varianti il racconto, legato alle versioni b) e c), che vede Semele
portata infine alla immortalità o direttamente da Zeus o da Dioniso il quale provvederà a recuperarla dal mondo
degli inferi per portarla, lei figura in qualche modo come detto di un femmineo-yin che può portarsi ad essere forza
“mortale-distruttività”, alla <..vita immortale degli dei dell’Olimpo..>(Nonno, Dionisiache 8,402ss). Un parallelo di
questa visione filosofica la troveremo più oltre nella analisi del Mito di Iside e Osiride.
Viste le diverse versioni di un comunque stesso ed unico Mito-Mistero, faremo ora su di esso alcune altre
considerazioni.
1) con riferimento alla “morte” di Dioniso abbiamo visto che, legato a quella che è la più antica delle versioni
sulla nascita di Dioniso ovvero legato al racconto che lo vede nato dalla dea Persefone, si trova il mitologema della
uccisione di Dioniso da parte di Titani. Questi, dice il Mito, distraendo il “primo nato” dio-Dioniso con uno
specchio e con dei giochi, e resa “non riconoscibile” la loro mortale natura con la imbiancatura del viso, lo
uccidono facendolo a pezzi ovvero lo uccidono con una “separazione-divisione” che è, essa, la “morte”.
Questo mito per il Kerenyi ( op.cit.) è da fare risalire ad Onomacrito (VI-V sec aC) il quale però si rifaceva anche,
sappiamo, ad opere di Orfeo e Museo. É quindi questo un racconto molto antico, forse anche antecedente ad
Onomacrito ed è un mito che è riportato poi anche da Nonno di Panopoli (V sec dC) il quale, chiamando Dioniso
Zagreo, con una assimilazione tra “separazione e inferno” di cui dice il suo “coltello infernale”, così scrive:
<..la collera di Era fece sì che i Titani, col volto imbiancato,
lo uccidessero con un coltello infernale mentre contemplava la propria immagine nello specchio..>
(Nonno, cfr Kerenyi op.cit.)
Il “primo giovane-primordiale” divino ed ideale “uomo-umanità-Dioniso”, la prima “edenica” umanità-uomoAdamo figlio di Zeus e Persefone ovvero armonicamente spirituale e sensibile, dobbiamo verosimilmente in tutto
ciò vedere, per responsabilità del “femmineo-yin”, a causa di Era compagna di Zeus, finisce dilaniato dai Titani, gli
<..dei separatori..> dice Proclo (Comm.al Timeo 35a), la divina anch’essa “forza di separazione-fariseismo”, che
agisce nel mondo spirituale e terreno e che porta, se non correttamente vista, l’uomo al mortale Errore del vedersi
separato-diviso ovvero “essente in sé”.
Impossibile poi non vedere qui, pur nella diversità, il parallelo con la tradizione giudaica, con quei Giganti che,
come visto in queste pagine, si portano a distruggere l’umanità e che nascono da un femmineo-yin portato alla sua
massima forza ed espressione terreno-materiale: i Giganti “uomini famosi”che nascono dalle “belle figlie degli
uomini”, è detto.
Quel primo edenico uomo-Dioniso morirà, dice il Mito, a causa del “narcisistico” suo errore di vedersi e pensarsi
“essente in sé”, errore di cui dice il suo “guardare-fissare sé stesso” nello specchio a lui consegnato, assieme a dei
giochi ovvero assieme a ciò che distrae e non lascia pensare-meditare, dalla forza yin di cui dicono i Titani. Sarà per
questo suo Errare che quel primo edenico uomo Dioniso o Zagreo finirà.
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dodicesima parte
Il Mito ci dice così in questo modo, non si può non vedere, di quel destino umano, la “caduta-uscita dall’Edenmorte-sonno-malattia ecc.” che porta a quei disastri di cui dicono tutte le apocalissi del mondo antico con i vari
diluvi, glaciazioni ed altro.
Conferma questa lettura, che vede il Mito parlare pur con sue allegorie di quella Sapienza apocalittico rivelativa
della quale variamente ha detto tutto il mondo antico, anche il fatto che Nonno di Panopoli nelle sue “Dionisiache”
lega alla uccisione di Dioniso-Zagreo da parte dei Titani una “inondazione del mondo”(Libro VI).
2) sulla “rinascita” di Dioniso il Mito dice che al racconto-accadimento della uccisione del primo giovane
Dioniso-Zagreo come pure a quello della sua mancata-interrotta nascita, a quella sua “caduta-morte” abbiamo visto
al punto precedente, segue la sua “nuova nascita”, segue, si deve vedere, la nascita di un “nuovo dio-uomo-umanitàDioniso”.
Un nuovo Dioniso che acquisirà nuove divine caratteristiche e capacità: quelle titaniche o anche, nei racconti in cui
troviamo la figura della “mortale-materiale” Semele e non i Titani, delle capacità, sostanzialmente assimilabili alle
prime, di spiccato tenore e forza terreno-materiali-yin. Nuove divine caratteristiche e capacità che consentiranno a
quel Dioniso-uomo-umanità di portarsi esso stesso a combattere tutto ciò che è contro il suo compimento-gloria
ovvero il ritorno alla sua prima edenica condizione.
La morte di quel primo, primordiale divino ed ideale “uomo-umanità-Dioniso” porta alla nascita, ci dice come visto
Olimpidoro, di una “nuova” “divina umanità-Dioniso” che, assieme allo spirituale e sensibile ereditato dalla sua
prima esistenza e vita, avrà anche una “natura titanica”: egli sarà in grado di portarsi a combattere ciò che “nega-lo
porta a non vedere” la sua natura e vita reale-divina.
3) con riferimento al fatto che Semele, secondo il racconto cui abbiamo accennato al punto d), dopo la morte
viene portata alla immortalità o direttamente da Zeus o da Dioniso il quale provvede a recuperarla dal mondo degli
inferi, bisogna dire che una interpretazione di tale allegoria può verosimilmente trovarsi nel bisogno e necessità da
parte dell’uomo del recupero della corretta visione-comprensione, in una vita che è Vita, di un sensibile-materialeterreno, il femmineo-yin di cui Semele è figura, che è indispensabile all’uomo-umanità ma che non correttamente
visto e considerato porta l’uomo-umanità alla morte-distruzione.
4)
ritorniamo infine alla importantissima, abbiamo detto, figura di Arianna, una figura che seppure
comparendo solo alla fine e concisamente nel racconto dionisiaco, è figura la cui penetrazione è indispensabile alla
piena comprensione del Mito di Dioniso. Anche il Mito di Arianna vede molte varianti e versioni non sempre facili
da inquadrare e qui, nel dirne con sintesi, non potremo che restare sulle sue linee principali.
Arianna, abbiamo detto e si deve vedere con Nietzsche ancora una volta maestro, è figura dell’animo umanouniversale nella sua perfezione ed equilibrio, è Demetra e Persefone assieme strettamente unisone, è figura così di
una “anima divina” Afrodite-Venere che è la sola possibile compagna-moglie-Sposa dell’ “uomo-umanità-dioDioniso”.
Una Afrodite che Arianna porta “in sé”, ci dice quella sua statuetta che per il Mito lei conserva.
Essa, sottolinea Silvia Romani ne“Il Mito di Arianna”( M.Bettini-S.Romani, Einaudi 2015) è Ariadne, Ariede,
Arianne, Ariagne e persino, su uno specchio etrusco, Areatha. Essa è “la tutta pura”, “la tutta luminosa” o “ la
tutta bella” e anche, per Omero (Iliade) con un epiteto riservato solo a grandi divinità come Demetra e Teti, essa è
quella dalla“bella chioma”. Su di una tavoletta votiva (Gg 702) essa è tributata di una offerta pari a quella di tutti gli
altri dei assieme:
< Per tutti gli dei miele: un’anfora / Per la signora del Labirinto miele: un’anfora >
(Silvia Romani, op.cit.)
Arianna è ciò che rivedrà e cui infine si accompagna il “caduto, morto-ucciso” uomo-umanità-Dioniso una volta
“rinato” ed alla fine di quel lungo terreno lottare e soffrire che gli sarà necessario ai fini del ritorno alla sua prima
originaria condizione di dio Figlio di Zeus, figlio del Dio, destinato al suo trono.
Arianna è l’anima cui si accompagna l’uomo-umanità-Dioniso che ha saputo andare “oltre” la condizione cieca in
cui invece resta l’uomo Teseo il quale infatti “non sa e non può” legarsi ad Arianna, “non sa e non può” renderla sua
Sposa: “Teseo e Arianna sono quasi sempre figurati uno di fronte all’altra, restano staccati” sottolinea giustamente
Silvia Romani (op. citata) aggiungendo che “nella accecante purezza di Arianna non c’è nulla che seduca Teseo”.
Teseo abbandona Arianna e si accompagna a Fedra e ad Egle, figure che dicono di uno “ splendente-luccicante”,
ovvero di un “abbagliante”, che è lontano ed anzi opposto alla “tutta pura-luminosa” Arianna.
Dice di quella impossibilità di legame anche il fatto che, nel mito, al distacco da Teseo Arianna gli consegna la
statuetta di Afrodite che portava con sé: un ultimo suo invito e memoria, per l’uomo Teseo, di ciò che deve saper
vedere e raggiungere per potersi unire a lei Arianna.
Resterà lontano da Arianna, Teseo: oltre a Fedra ed Egle anche altri legami saranno a lui accreditati e tra questi,
significativamente, quello che lo vede sposo di Antiope “regina” delle guerriere Amazzoni: essa con evidenza, come
visto al capitolo “Il Minotauro” sopra citato, è figura ed allegoria di un sensibile-femmineo-yin distruttivo poiché
vive privo di ogni contatto con lo spirituale-maschile-yang, lontano dalla condizione divina di cui dice Arianna.
Teseo è figura di un uomo-umanità che si impegna in imprese tutte legate e limitate al materiale: egli è affascinato
dalla figura di Eracle e cercherà di imitarlo ma solo materialità egli sa vedere nelle imprese di quella figura.
506
dodicesima parte
Portatosi a Creta dove vive Arianna egli riesce sì ad uccidere quel Minotauro che, frutto della unione della SposaParsifae con la materialità-Toro, come detto nel nostro citato capitolo, è immagine della separazione-fariseismo che
fa vivere in un Labirinto-Prigione mentale da cui si esce solo con l’aiuto della Arianna-Anima-Afrodite. Ma Teseo
riuscirà ad uccidere il Minotauro unicamente grazie ad Arianna, egli non saprà andare “oltre” la sua condizione, non
saprà divenire Dioniso, non saprà essere l’OltreUomo di Nietzsche.
Non saprà essere Eracle, che <..già nel V sec. aC per i pitagorici d’Occidente era archetipo dell’eroe
spirituale..>(P.Kingley, Misteri e magia..), un Eracle che Teocrito (315-260 aC) nel suo Idilli 24.82-83 vedeva
<..dal fuoco purificato da ogni cosa che in lui -non fosse Zeus-..>(P.Kingley, Misteri e magia..)
Teseo saprà efficacemente organizzare le 12 città dell’Attica ma potrà invece solo tentare di seguire Eracle nel suo
cammino ed anche, egli, inutilmente tenterà di rapire una infante Elena-Sposa, atto impossibile ed empio bisogna
vedere, a seguito del quale egli resterà incatenato. Liberato da Eracle dopo altre vicissitudini Teseo, dice il Mito,
finirà precipitato da una rupe.
Di Arianna-Afrodite invece, che nella iconografia vediamo figurata sempre felicemente a fianco di un Dioniso ormai
in condizione divina e che quindi è così mostrata quale sua eterna compagna, il Mito dice che sarà trasformata in
“stella” da parte Dioniso quando, dopo l’abbandono da parte di Teseo, egli la troverà per alcune varianti morta
oppure, secondo altri, dormiente.
Chiudiamo il capitolo sul Mito di Dioniso con alcune parole di Nietzsche su Arianna. Nietzsche infatti, che a lei
quale -anima mia- dedica le struggenti parole de “Il grande anelito” dello Zarathustra, capitolo in precedenza da lui
titolato appunto “Arianna”, per primo ha saputo vedere nella figura di Arianna quella anima umana-universale che
l’uomo-umanità deve vedere, ciò cui si unirà-ritroverà quando, come sopra detto, saprà andare “oltre” la condizione
di cui dice la figura di Teseo. Quando saprà giungere a quell’OltreUomo che è la sua condizione divina: l’ultimo
Dio-Dioniso. Scrive Nietzsche:
< Arianna che sogna:
“abbandonata dall’eroe (Teseo -ndr) sogno il Super-Eroe (Dioniso -ndr)”>(fr.13 estate 1883 testo2);
<.Questo infatti è il segreto dell’anima: solo quando l’eroe l’ha lasciata, le si avvicina, in sogno, il SuperEroe..>(Dei Sublimi, Zarathustra); <.. ora...io, insieme con Arianna,
devo soltanto essere l’equilibrio aureo di tutte le cose..>(“A J.Burckhardt”, Epistolario Gennaio 1889)
Misteri di Iside e Osiride
I Misteri ovvero i culti-insegnamenti-riti detti di Iside ed Osiride che si praticavano in Grecia erano anch’essi legati
ad un omonimo Mito, un mito-racconto di origine egiziana. Questo Mito infatti, questo sapienziale e filosofico
racconto allegorico nasce in un Egitto che secondo Erodoto (484-425 aC) è la “fonte” degli insegnamenti di
Pitagora, egli dice chiaramente (Storie II 123) pur senza citarlo per nome, e quindi è fonte di quella “prima filosofia”
greca accreditata alla figura di Orfeo cui Pitagora sappiamo che era legato. Una “filosofia” cui certamente in vario
modo si legano tutti i Misteri greci.
Testimonia questi legami sempre Erodoto il quale scrive:
<..gli Egizi …non entrano nei templi né si fanno seppellire con vesti di lana..(e) questi (costumi) si accordano con
quelli chiamati orfici e bacchici, che in realtà sono egiziani e pitagorici..>(Storie II 81).
Stessi costumi che rivelano e dicono, evidentemente, di stesse credenze e Verità.
Anche il Mito di Iside ed Osiride infatti, e i relativi Misteri che lo ricordano, intende segretamente e allegoricamente
insegnare ciò che, sostanzialmente seppur diversamente, anche i due Miti e Misteri in precedenza visti insegnavano,
ciò di cui abbiamo detto in premessa. Anche in questo Mito troviamo: da un lato
“il tema della doppia e opposta natura di un divino che si rispecchia nell’uomo-umanità”
e, dall’altro,
“il tema, apocalittico, della lunga lotta che ineluttabilmente si genererà tra queste due opposte Forze
prima che si possa vedere una Vita, divina ed umana, giusta e proficua”
Iside ed Osiride formano la coppia divina più famosa della sapienza religiosa egizia e il loro Mito lo troviamo
documentato già nei Testi delle Piramidi intorno al 2000 aC oltre che in altre testimonianze egizie, ma è soprattutto
Plutarco (46-125 dC), a lungo sacerdote di Apollo a Delfi ed iniziato ai Misteri, colui che in Grecia ci dirà di questo
Mito.
Nel suo “Iside e Osiride” Plutarco oltre a raccontarci il Mito per quella che si può ritenere fosse la sua ricezione
ellenica, con le sue spiegazioni ci testimonia, vuole sottolineato, quella “unità di vedere e sentire” del mondo antico
tante volte qui evocata. Una “unità di vedere e sentire” che -non è sincretismo- e che, nei suoi diversi e vari
approfondimenti, nomi, allegorie e miti tramandatici, resta ancora oggi largamente da capire nella sua realtà vera.
Secondo i Testi delle Piramidi, informa Dario Del Corno nella prefazione al testo di Plutarco “Iside e Osiride”
tradotto da Marina Cavalli che qui citeremo (ed. Adelphi 1985), i primordiali dei Iside e Osiride nascono, assieme a
Seth loro fratello e nemico ed a Nefti dea questa dell’oltretomba, dalla unione di Geb-Terra e Nut-Cielo.
507
dodicesima parte
Secondo questa prima tradizione, continua Del Corno, Seth, fratello-forza contraria ad Osiride, riuscirà ad uccidere
il fratello e il suo cadavere, fatto a pezzi anche qui con una allegoria-verità che, come visto, sarà ereditata dal Mito
di Dioniso, sarà ricomposto dal padre Nut-Cielo. Iside e Nefti cercheranno il cadavere di Osiride per tutto l’Egitto
e, trovatolo infine, interverrà a quel punto il dio Ra che ordinerà ad Osiride di “destarsi” dalla morte. Questi
ritornerà quindi alla vita ma, vuole visto, egli sarà sempre un dio morto, un dio dell’oltretomba: sempre infatti egli è
nella iconografia figurato in forma di mummia.
Il Mito descrive poi, già negli antichi Testi delle Piramidi, la lunga e grande lotta che in seguito il figlio di Osiride ed
Iside, il “Figlio del divino”, Horo, porterà avanti contro Seth sul quale riuscirà infine a prevalere. L’epilogo del
Mito vede poi l’intervento di Geb-Terra affiancata dalle due dee della Verità, assegnare il proprio trono ad Osiride
mentre a Seth sarà imposto di restare assoggettato al fratello.
Nel tempo, intorno al 1500-1300 aC precisa ancora Del Corno, il Mito si sistemerà in una forma definitiva che, al
netto di qualche variante minore, soprattutto vedrà portata a protagonista la figura di Iside: sarà essa che, disperata
per la morte di un Osiride che qui è dichiarato marito oltre che fratello, dopo averlo trovato smembrato da Seth,
provvederà alla sua ricomposizione ed al suo richiamo alla vita dell’oltretomba. In questa versione del Mito si vede
poi la nascita, qui dal dio morto, del figlio di Iside ed Osiride, di Horo, che si porta a lottare e infine a sconfiggere
Seth.
Sostanzialmente il linea con queste tradizioni è, come ora vedremo cercando di penetrare il Mito nelle sue linee
essenziali, quanto ci dice Plutarco.
Osiride, si vede in Plutarco, è il Dio ed anche Re primo portatore di ordine e civiltà ed è quindi figura di divina e
terrena al contempo Forza positiva che, si può dire, in tale sua opera è affiancata dalla figura di Iside. Osiride è
figura di quella divina Natura umana, eterna ed in-individuale, che l’uomo-umanità “separato-diviso-morto” a causa
della forza di “divisione-separazione-fariseismo” Seth, dimentica, ma alla quale deve, con l’aiuto di Iside-Sapienza,
riportarsi.
Questo aspetto di Osiride quale divina Natura umana e condizione ultima e meta cui l’uomo-umanità deve giungere,
è un aspetto che nel Mito si vede poco ma questo verosimilmente solo perché esso è largamente scontato nella
cultura egizia. É infatti un aspetto che, abbiamo visto in queste pagine, si mette in evidenza nei testi del Libro dei
Morti egizio dove si vede bene la aspirazione e necessità, da parte dei defunti, di proclamandosi Osiride e di
mostrarsi giunti a tale condizione-traguardo al fine di evitare la morte-distruzione da parte di Ammit .
Iside, positiva divina Forza compagna di Osiride, è figura nella quale si possono vedere, come sopra anticipato e
come suggerisce Plutarco in linea a suo dire con <..molti storici..>, i tratti della divina Sapienza-Conoscenza di cui
dicono il mondo greco come quello giudaico e non solo.
Essa è figura di una Sapienza che aiuta l’uomo-umanità, Osiride, ad uscire dallo “smembramento-divisione-mortefariseismo”, è ciò che l’uomo-umanità deve “vedere-conoscere-ascoltare” al pari delle Muse greche ovvero anche
della giudaica Ruah-Spirito Santa: Iside è <..dea eletta per Sapienza e desiderio di Sapienza.. essa è Sapiente..> ed
è ciò che <..rivela cose divine...>(Iside e Os. Cap.2-3) correttamente sottolinea Plutarco.
Seth, fratello di Osiride ed Iside e quindi a loro pari, è figura invece della Forza, divina e umana anch’essa come
Osiride, che si porta ad essere contraria alle altre due. É figura di ciò che è <..orrendamente gonfio per gli inganni
dell’ignoranza..>(Iside e Os. Cap.2), sottolinea Plutarco.
É ciò che cresce a dismisura e nasce in una “ignoranza” che è il contrario della Sapienza e che, così, porta l’uomoumanità alla “separazione-divisione-fariseismo” ed alle disastrose conseguenze di lotte e distruzioni che
“necessariamente”, come dirà Gesù (Mt 24.6), seguiranno.
É figura, Seth, di ciò che si oppone all’ordine ed al benessere ed è da Plutarco identificato, correttamente a mio
avviso, con il greco, ed esiodeo in particolare, Tifone-Tifeo, con l’asino-stoltezza che, abbiamo visto, era figurato e
quindi ben conosciuto-compreso anche nella prima filosofica cristianità testimoniata nei primi mosaici di Aquileia.
Seth, continua Plutarco con una variante forse sua del Mito, per mezzo di “inganno” rinchiuse “vivo” Osiride in un
ricco e seducente sarcofago che poi sigillò con piombo fuso e gettò poi nel Nilo perché giungesse al “mare”, perché
giungesse ad un “mare” che sappiamo essere con i suoi abissi figura di ciò che porta alla fine, alla morte ultima.
Con evidenza il Mito dichiara così che è a causa dell’inganno che producono e portano in sé, quando non
correttamente viste e considerate, la fisica magnificenza e ricchezza, qui in allegoria il bellissimo e ricco sarcofago,
che è a causa di questo, dicevamo, che si chiude prima e poi rischia di morire all’uomo-umanità la -sua stessadivina positiva Forza-Osiride generatrice ed ordinatrice.
Ed è Iside-Sapienza che può evitare ed eviterà, dice ancora il Mito, tutto ciò.
Iside infatti, continua il Mito, disperata per la morte del compagno riuscirà infine a trovare il corpo di Osiride morto
e rimanendone fecondata darà alla luce il loro figlio Horo, un “Figlio divino” che sarà “allevato in gran segreto”.
Una “segreta preparazione”, questa di cui dice Plutarco, che, si deve sottolineare, non può non nascere nella stessa
Sapienza che ha saputo vedere la ugualmente “segreta e stessa” discesa del Diletto-Logos-Figlio di Dio, fatta
sempre allo scopo di vincere il Male, di cui dice il giudeo-cristiano e filosofico testo de “La Ascensione di Isaia”.
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dodicesima parte
Tornando al Mito, Plutarco continua dicendo che il corpo di Osiride sarà poi nuovamente trovato da Seth che lo farà
a pezzi e ne spargerà le parti per evitare che potesse essere ricomposto ma Iside, ritrovatele, con la sorella Nefti riunì
il cadavere e lo mummificò affinché tornasse alla Vita. Osiride si porta così ad essere un re dell’oltretomba.
Il Mito ci dice quindi che sarà Horo, preparato alla battaglia da Osiride, colui-ciò che combatterà la Forza SethTifone-Asino-Stoltezza: <..in molti passavano dalla parte di Horo.. che alla fine vinse .. e consegnò in catene SethTifone ad Iside..>, scrive Plutarco.
Sarà Horo, il figlio della unione di quel disperso-morto Osiride con la Iside-Sapienza, sarà quindi verosimilmente un
“nuovo e Sapiente genere umano”, ciò che potrà contrastare e controllare, combattendola, la negativa-divisiva Forza
Seth.
Servirà tempo, insegna ancora il mito, per vedere la fine di quelle battaglie, per vedere la fine di quegli <.. inganni
dell’ignoranza..> che Seth porta con sé e per superare e infine controllare quel deleterio aspetto titanico di un
femmineo-yin “comunque divino e necessario all’uomo”. Vinto Seth, infatti, <..Horo consegnò Seth-Tifone ad
Iside..> ma, continua Plutarco, Iside <..lo lasciò libero..>. Quella Forza deve restare in vita, annuncia il Mito anche
qui in Plutarco come pure, e ben più chiaramente, nella sua versione egizia sopra ricordata.
Seth, dopo la liberazione da parte di Iside <... sarà (da Horo) battuto in altre due battaglie..>(Iside e Os. Cap.19)
dice Plutarco, ma alla fine il dominio terreno, il trono della Terra-Geb, dice l’originale Mito egizio, sarà assegnato ad
Osiride mentre Seth resterà assoggettato, controllato e contenuto, dal fratello.
Quella forza Seth, quel femmineo-yin, dice quindi infine il Mito, quella forza divina quanto Osiride ed Iside serve ed
è necessaria all’umanità, alla vita sulla terra, ma deve essere conosciuta, si deve avere coscienza di essa perché possa
essere contenuta: deve essere assoggettata ad Osiride, dice il Mito.
Orfeo
Abbiamo sopra detto che i tre Miti e Misteri qui analizzati sono, per la Verità di cui essi dicono, generalmente
ricondotti alla figura di Orfeo, figura che cercheremo ora di approfondire con il prezioso contributo di vari testi e tra
questi “La Sapienza Greca I” (poi SGI) di G. Colli; “Le Religioni dei Misteri I” (poi RDM) di P. Scarpi; “Orfici:
testimonianze e frammenti nella ed. di O. Kern”(poi OTK) a cura E. Verzura.
Orfeo, spesso citato, che gode di alcuni racconti-miti e che è sovente affiancato alle meno note figure a lui simili di
Museo e Lino, è da vedere quale figura archetipale. Seppure da alcuni si ipotizzi egli sia stato persona realmente
vissuta, la sua figura è oggi portata ad un mito che va oltre ogni individualità ed è visto e mostrato quale “sapiente poeta e musico” che con la “irresistibile bellezza della Verità da lui cantata” incantava l’intero creato: tutti e tutto si
fermava in suo ascolto. Egli, era detto:
invitava e portava l’uomo all’ascolto delle Muse, all’ascolto della Verità che esse insegnano e
che è la stessa di cui dicono i Misteri.
Di Orfeo si dirà infatti che:
<.. per primo..mostrò i segni delle lettere.., ministro delle Muse..ha scoperto per gli uomini
le lettere e la Sapienza..>(SGI-4B6, Alcidamante V-IV sec. aC)
<..sono trascorsi 1135 anni da quando.. Orfeo.. espose la propria poesia... Core e..Demetra e la propria
purificazione e la passione divina di coloro che avevano ricevuto il frutto della terra..>
(SGI-4B17, Marmo Pario III sec. aC, fr.14).
Identicamente diranno altri come Plutarco e, prima di lui, Diodoro Siculo (90-27 aC) che nel merito dice:
<..Orfeo portò (dall’Egitto) la maggior parte dei riti iniziatici misterici..il rito iniziatico di Osiride
è identico a quello di Dioniso e..quello di Iside assomiglia.. a quello di Demetra, soltanto i nomi sono stati
scambiati...(e) le punizioni degli empi..e le praterie destinate agli uomini pii..è stato Orfeo ad introdurle..>
(RDM- I 96,4-5, Diodoro S.)
Faccio qui, in merito a questa influenza egizia sul mondo greco, una breve parentesi.
Oggi, seppur ancora discussa, la influenza del mondo sapienziale-religioso egizio sul mondo greco e poi
romano è accettata da molti esperti fino ad affermare, come fa George James (cfr: Stolen Legacy, 1954)
che “tutta la prima filosofia greca, dai presocratici a Socrate, niente altro sarebbe se non una derivazione e
ripetizione dei Misteri egizi”.
Per quanto sin qui visto credo che un forte legame tra Egitto e Grecia sia innegabile, ma è anche vero che
il limitarsi a questo preciso ed unico rapporto, per di più così legato ad una sola figura, quella di Orfeo,
sia errato: il crearsi e soprattutto lo svilupparsi della prima Sapienziale e Filosofica conoscenza dell’uomo
non può che esseri dato infatti con il contributo di varie civiltà e personalità del mondo antico tutto: oltre a
quello Egizio anche quelli, in particolare, Mesopotamico-Iranico ed Indo-Ario, ma anche Giudaico e non
solo hanno,bisogna dire,contribuito.
Questo testimoniano le tante vicinanze ed analogie che si possono e si devono vedere pur nella grande
diversità dei vari sapienziali racconti mitico-allegorici che tutto il mondo antico ci ha lasciato.
509
dodicesima parte
Nel merito una interessante testimonianza è quella di Diogene Laerzio (180-240 dC) il quale nel suo “Vite
e dottrine dei filosofi illustri” discute la tesi, diffusa al suo tempo, che la (vera) “filosofia” sia nata presso
vari popoli, citati come “barbari”, e che solo successivamente si sia diffusa in Grecia. Tra le possibili
fonti “barbare” di questa “filosofia” che è Sapienza e Verità egli indica: i gimnosofisti (asceti indiani), i
druidi (sacerdoti celti), i magi (sacerdoti iranici) e i sapienti egiziani.
Oltre a questo egli riferisce anche l’opinione di chi vedeva tale universale e “prima” Filosofia, la “veraautentica filosofia” dirà Socrate ovvero la cosiddetta “filosofia perennis”, come legata all’orfismo:
<..Quanti attribuiscono la scoperta della filosofia ai barbari, adducono anche Orfeo il Tracio, sostenendo
che sia stato un filosofo e che sia il più antico..>( I, 5 ) scrive Diogene Laerzio.
Tornando ad Orfeo egli è detto essere figlio del re di Tracia Eagro il quale, per Apollodoro (180-120 aC), vanta una
discendenza da Apollo ma si diceva pure, come testimonia un frammento riportabile a Pindaro (518-438 aC), che
Apollo stesso fosse il padre di Orfeo (cfr: OTK, 114 -Schol. Pindaro 313a) mentre sua madre era detta la Musa
Calliope, figlia di Mnemosine-Memoria. Di Orfeo, figura reale o mitica non importa, si sottolineava così la natura
divina del suo canto grazie al legame con la “musica e armonia” di Apollo da un lato e dall’altro alla sua capacità,
tramite quella, di evocare ed aiutare quel “ricordo-memoria” della Realtà divina -in cui e da cui- tutto è.
Un "ricordo-memoria”, indispensabile all’uomo-umanità, che si attiva con l’ascolto delle Muse figlie di Mnemosine
ovvero, dirà il mondo giudaico, con l’ascolto della Ruah-Vento Santa.
Un “ricordo-memoria” ed una Verità, quella di cui dicono le Muse da Orfeo cantate, che portano l’uomo a quel
difficile cammino-iniziazione, a quella lotta, che l’uomo e l’umanità intera deve vedere e compiere.
Una lotta, una <..purificazione e .. passione..>, che altro non è che la filosofica “melete thanatou-esperienza di
morte” socratica ovvero anche, ripetiamo, quel duro e difficile passaggio al “deserto” alla “Selva oscura” di Gesù e
di Dante cui si va incontro in quella “conversione-cambio di mentalità-rinascita-resurrezione” che, ci insegnano
Socrate come Gesù, porta l’uomo al divino.
Principale allievo e discepolo di Orfeo infatti, ci viene riportato ed anche ci mostra un bellissimo e grande affresco
in Pompei che li vede affiancati e testimonia l’importanza di questo aspetto del mito, è Ercole, figura e prototipo di
chi sa affrontare la lotta contro ciò che è pericoloso per l’uomo, contro ciò che si oppone al suo “portarsi al divino”.
Figura, Ercole, come visto onorata e richiamata nei Misteri di Eleusi ed il cui legame con Orfeo ci dice che il
“ricordo-memoria” che quest’ultimo suscita avvia nell’uomo quel percorso mistico-iniziatico, misterico, di
svelamento e di “lotta” all’uomo necessario.
Orfeo sarà detto “sapiente” o “teologo” tra i primi e più eminenti arrivando al punto di far giungere alcuni ad
affermare, torneremo su questo, che Esiodo <..nella sua Teogonia plagia con alcune modifiche la Teogonia di
Orfeo..> (OTK, Schol. Licofrone 399 -IV sec aC-). Ma, soprattutto, Orfeo è dichiarato “poeta e musico” e
<..ministro delle Muse..>, “aiutante delle Muse”. Egli è “poeta” come Omero ed Esiodo ed è cioè tra coloro che,
grazie all’ascolto delle Muse, si portano ad essere loro “ministri-aiutanti” evocando la Verità che queste
comunicano. Orfeo perciò, bisogna vedere, con il suo “poetico-divino canto e melodia” ammalia tutti e tutto
ricordando ed evocando con esso la Verità di Muse che, come dice Esiodo, <.. sanno dire molte menzogne simili al
Vero ma -se vogliono- sanno dire anche il Vero..>(Esiodo, Teogonia 26 sg). Insegnano a distinguere il falso dal
Vero, l’opinione e l’errore dalla Verità, poiché solo vedendo-capendo entrambi ci si può portare alla Sapienza.
Verità questa, a conferma ancora una volta di quella della unità di sentire e vedere di tutto il mondo antico, della
quale identicamente dirà, abbiamo visto nel già citato nostro testo, anche Gesù in Mt 11.27 :
<..nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare..>
e cioè, “nessuno conosce la Verità-Padre-Assoluto se non, assieme, il Figlio-Logos e l’errore di quel colui, se stesso
caduto ed in errore, che grazie a tale Logos-Sapienza si è in grado di vedere”.
Orfeo quindi è figura di chi evoca il divino ed invita a quella filosofica Sapienza sulla quale Crisippo (281-208 aC)
nel suo trattato “Sugli dei”, secondo quanto riporta Filodemo, diceva che:
<.. i loro ( degli Stoici ) principi (altro non sono che) quanto attribuito ad Orfeo e Museo e quanto si legge in
Omero, Esiodo, Euripide ed altri poeti..>(OTK, 233.1- Filodemo De pietade 80,16).
Ma, piuttosto stranamente, questa chiara figura di un Orfeo “sapiente ministro della Muse”, ci viene anche mostrata
come protagonista di due racconti-fatti che con tale figura con evidenza collidono. Gli episodi, liberati di quanto ad
essi dai vari interpreti-autori aggiunto, si condensano in questo:
a) Egli scenderà agli inferi per tentare, senza riuscirvi, di riportare indietro la propria “sposa” morta a
causa del morso di un serpente ;
b) Egli morirà di una morte violenta voluta ed operata da forze divine. Il fulmine di Zeus o, per altri, le
Menadi di Dioniso.
Su questi racconti si svilupperà una vasta letteratura, protrattasi fino quasi ai giorni nostri, con varianti e ipotesi,
come quella di Ovidio che ipotizza un Orfeo iniziatore dell’amore omofilo, che obiettivamente non faranno che
complicare la lettura di quella figura.
510
dodicesima parte
Cercheremo qui invece, restando entro i binari di quanto sin qui visto, con la consapevolezza che verosimilmente
quei racconti sono nati per dire altre Verità rispetto a quelle che fin qui in Orfeo abbiamo visto, di suggerire qualche
possibile riposta.
Ma, vuole sottolineato, i racconti, sulla sua “morte” in particolare, vedono varianti con differenze che non si lasciano
omologare e quindi che non consentono una univoca spiegazione.
Le considerazioni che nel merito si possono fare, tenendo conto e considerazione delle varie versioni che dei due
miti-episodi ci sono state consegnate da Platone ad Alcidamante prima e poi da Diodoro Siculo ed altri, possono
essere ritengo le seguenti:
1) – Sulla “discesa agli inferi” di Orfeo, una discesa tesa a riportare al suo fianco la sposa Euridice “morta”,
bisogna con Diodoro Siculo (90-27 aC) notare che è piuttosto evidente il richiamo a Dioniso: <..Orfeo..scese
all’Ade..(per) ricondurre su..la sposa defunta, in modo simile a Dioniso..> scrive Diodoro. E’ evidente il richiamo e
la similitudine con quella discesa agli inferi, di cui abbiamo più sopra detto, grazie alla quale Dioniso, “dio-uomoumanità”, recupera e porta con sé all’Olimpo la madre, la “mortale Semele”, ciò-colei da cui egli ha ereditato un a
lui indispensabile femmineo-sensibile.
Dato il contesto sopra tratteggiato della figura di Orfeo, e data la non certo casuale similitudine suddetta, si potrà
allora vedere e dire che il racconto della discesa agli inferi parla della “Verità” della “necessità” per Orfeo, e per
l’uomo-umanità, di recuperare la sua “parte sensibile della Sposa-anima”. Un recupero del quale, abbiamo visto,
pur diversamente ci dice anche il mito di Iside e Osiride.
Anche il tipo di morte della sposa Euridice, da molte fonti citata come avvenuta a causa del morso di un serpente,
può dare forza a tale lettura: anche in Genesi la “caduta-morte” della edenica umanità avviene a causa del serpente.
2) – Sulla “morte di Orfeo divinamente decretata” tra i primi a darcene notizia con una sua specifica visione
e lettura, come vedremo più sotto, è stato Platone il quale, con altri poi in seguito tra cui Virgilio e Ovidio sulla sua
scia, la dichiara eseguita “ad opera di donne”. Ma altre importanti testimonianze attestano invece un diverso tipo di
messa a morte, da parte di Zeus, di Orfeo.
Le varie notizie-miti sulla morte di Orfeo, perciò, non vedono uniformità e i diversi racconti, che non si lasciano
unire, verosimilmente si può dire siano nati dai vari autori per sottolineare allegoricamente aspetti di verità diversi.
Si vede infatti:
a) Tra le più antiche testimonianze di questi diversi miti-racconti, vi è quella di Alcidamante (V-IV sec aC) il quale
ci riporta la iscrizione posta sulla tomba di Orfeo in Tracia la quale recita:
<..Qui i Traci deposero Orfeo, ministro delle Muse, che Zeus.. uccise con un fulmine fuligginoso,
caro figlio di Eagro che istruì Eracle, dopo avere scoperto per gli uomini le lettere e la Sapienza >
(OTK, 123-1 Alcedim. Ulix.24)
Una uccisione-fine questa, voluta da Zeus, che seppur più tardi è confermata anche da Pausania (110-180 dC):
<..Alcuni affermano che ad Orfeo toccò di morire colpito da un fulmine per volere del dio;
egli venne folgorato a motivo della dottrina che insegnò nei Misteri ad uomini che
non le avevano in precedenza sentite..> (OTK, 123-2 Pausania IX 30,5).
Entrambi, Alcidamante e Pausania, mettono quindi quale causa della condanna divina il motivo-Verità sapienziale,
di cui dice tutto il mondo antico e che nella mitologia è più attestato nella figura di Prometeo, della punizione divina
per il prematuro, e perciò pericoloso ed errato, parlare-consegnare ad un uomo impreparato il “fuoco divino”, la
Verità. Un prematuro consegnare-dire la Verità a chi non la conosce già, a chi “non non l’ha già in precedenza
sentita-capita”, che porta l’uomo-umanità allo stravolgimento della Verità con conseguenze nefaste.
b) Un’altra testimonianza interessante è quella di Igino ( 64 aC-17 dC ) il quale così scrive:
<..Si pensa che egli (Orfeo), piangendo la morte di sua moglie Euridice, sia disceso agli inferi... in seguito..
si dice che Libero (Dioniso) gli abbia lanciato contro le Baccanti, incaricate di ucciderlo e farne a pezzi il
cadavere. Altri però sostengono che ciò gli sia accaduto in sorte in quanto aveva spiato i Misteri di Libero..> (OTK
117, Higin. Astron. II 7)
Vediamo qui che le “donne” di cui Platone come vedremo parla in modo generico, sono per Igino le Baccanti, le
Menadi di Dioniso, la sua natura titanica, e vediamo inoltre che la condanna a morte di Orfeo è voluta ed operata da
Dioniso che sostituisce lo Zeus delle altre versioni.
Ma, si deve vedere, resta identico anche in Igino il motivo della sua condanna visto anche in Alcidamante e
Pausania: con l’espressione <..aveva spiato i misteri di Dioniso..> infatti, considerato che non può essere motivo di
condanna la conoscenza della Verità ultima che Orfeo qui si dice avesse appreso-spiato, con quella espressione,
dicevamo, Igino non può intendere altro che il fatto che, appresa quella Verità e Sapienza, Orfeo non avrebbe dovuto
comunicarla ad un uomo-umanità non ancora pronta a capire.
Anche qui perciò si ritrova, seppure in modo non esplicito, il tema e la Verità della pericolosità e del divieto di
parlare del Vero a chi “già non sappia-conosca”.
c) Vediamo infine cosa dice, in merito sia alla discesa agli inferi di Orfeo che alla sua morte-punizione divina,
Platone. Egli scrive:
511
dodicesima parte
<..lo cacciarono dall’Ade.. inappagato, mostrandogli un fantasma della donna per la quale era venuto,
senza tuttavia dare lei, poiché a essi sembrava..un uomo.. privo del coraggio di morire per amore come Alcesti, e
preoccupato invece di riuscire ad entrare vivo nell’Ade.
Proprio per questo gli imposero una pena, e fecero che la sua morte avvenisse per opera di donne..>
(Platone, Simposio 179 d)
Si vede qui che Platone con queste parole difficili da penetrare addebita la divina condanna a morte di Orfeo ed
anche, al contempo, il mancato suo recupero di Euridice, al fatto che Orfeo intendeva “ entrare vivo nell’Ade”
mancandogli il “ coraggio di morire per amore”.
Tentando una spiegazione si potrebbe dire che Platone intenda così affermare che per il recupero della “sposaanima caduta” serve una “morte, all’io” che Orfeo, pur massimo poeta e musico ministro-aiutante delle Muse
direbbe Platone, non avrebbe saputo compiere: serve quella “morte”, egli potrebbe voler dire, che porta ad essere
“veri-autentici filosofi destinati ed a finire fra dei” secondo le parole di Socrate che Platone stesso ci ha riportato.
E senza quella “morte” Orfeo, dice Platone, merita di morire “per opera di donne”. Continuando nel nostro
tentativo, in una tale lettura si può forse dire che le “donne” di Platone possono spiegarsi quali allegoria di un
femmineo-yin titanico che, lasciando l’uomo nell’io-materialità, lo porta a morire. Lettura però questa che si scontra
con quella massima considerazione di cui Orfeo ha sempre goduto nel mondo greco.
L’ Affresco pompeiano dei Misteri
E finalmente, dopo avere visto i Misteri greci, come anticipato in premessa arriviamo alla analisi del noto Affresco
dei Misteri della omonima Villa pompeiana, un affresco che la critica pressoché unanimemente propone e vede quale
figurazione di un “rito di iniziazione”. Ipotesi che però, variamente spiegata, mantiene aperti sempre interrogativi e
lacune importanti.
Le analisi fin qui fatte di quei Misteri greci -in cui nasce- l’Affresco, portano invece a nostro avviso ad una lettura e
comprensione di esso che non vede “alcun rito”. In quell’affresco infatti, come ora seppur succintamente vedremo,
si trova mostrato:
“ il cammino mistico-filosofico, il portarsi al divino dell’animo umano con le sue varie fasi”.
L’affresco pompeiano ci parla e mostra quella Sapienza-Conoscenza che porta l’uomo-umanità al divino, la stessa
Sapienza di cui dicono i Misteri greci qui visti, quelli di Eleusi e di Dioniso in particolare, ma come detto e ripetuto,
di cui ci parla tutto il mondo antico.
Segretamente, come sempre è per questo dire, l’affresco ci parla e ci mostra nelle sue varie scene i passaggi-fasi
dell’animo umano, dell’uomo-umanità che si porta alla condizione di “iniziato-sapiente, alla condizione “divina”.
Segretamente, finché non si trovano i necessari “occhi” ed “orecchie” diceva Gesù, l’affresco pompeiano dell’animo
umano ci mostra la “caduta”, legata alla nascita fisica, e quindi il necessario suo riportarsi, con quel “duro cammino
e lotta” di cui tutto il mondo antico con varie allegorie ha parlato, alla sua prima “divina” condizione.
Si deve perciò vedere, riprendendo quanto in precedenza detto per i Misteri, che l’Affresco pompeiano:
“ci parla della doppia divina natura, sensibile e spirituale assieme,
di un animo umano personale ed universale al contempo. Ci dice della caduta-dimenticanza da parte dell’uomo di
questa sua doppia divina natura e quindi del necessario cammino, iniziatico, mistico e filosofico,
che l’uomo-umanità deve compiere per rivedere quella sua “divina natura”.
L’affresco pompeiano ci mostra, bisogna perciò dire per quanto in queste pagine sin qui visto, la stessa Sapienza di
cui, con il Suo invito alla “rinascita-resurrezione in vita” ed alla “conversione-cambiamento di mentalità”, ha detto
anche Gesù come tutto il mondo antico, filosofico e non solo abbiamo visto.
L’affresco ci mostra, dentro a quel suo più generale contesto di cui sopra detto, lo -stesso- “duro passaggio e lotta” di
cui dicono l’esperienza del “deserto”, giudaica e di Gesù, come la “melete tanathou-esperienza di morte” socratica
e il passaggio dalla “foresta” del Buddha o anche dalla“selva oscura” di Dante.
Ci mostra, l’affresco, il necessario “duro cammino” che vede la sensibile-materiale anima Persefone cui l’uomo si
porta alla nascita, riportarsi a fianco della spirituale sua madre Demetra ovvero che vede l’ “uomo-umanità-dioDioniso” unito ad Arianna-Afrodite.
Vediamo allora come tutto ciò, questa Verità, è mostrata e rappresentata nelle varie scene.
Punto importante, ciò da cui questa analisi-lettura parte, confermandosi poi pienamente a nostro avviso, è la
identificazione delle due figure femminili che vediamo poste l’una come “prima figura” dell’insieme pittorico,
quella che vediamo subito a lato della piccola porticina che porta alla camera nuziale, e l’altra, sempre femminile,
che è posta come “ultima figura” della sequenza scenografica dell’affresco.
In queste due figure infatti, che sono dalla critica molto discusse e controverse come peraltro tutto l’affresco, si
devono a nostro avviso vedere rispettivamente Persefone e Demetra. Queste individuazioni si confermano
naturalmente solo con la visione e lettura dell’insieme intero del ciclo pittorico ma, chiaramente, coerenti con esse
devono essere, e lo sono, le caratteristiche che traspaiono dalle rispettive due raffigurazioni.
Precisando meglio:
512
dodicesima parte
a) nella “prima” figura del ciclo pittorico si deve vedere una immagine della parte più “bassa-sensibile” dell’anima,
di Persefone possiamo dire per quanto visto nel relativo Mistero. Coerente con questa lettura è la raffigurazione
pittorica: la figura ci è mostrata infatti in piedi in atteggiamento di energica e fattiva opera di ammaestramento alla
vita, di inculturazione e di rigido controllo su ciò che essa insegna e stabilisce.
Opera ed insegnamenti che servono e sono necessari alla vita materiale-fisica che l’uomo-umanità deve sulla terra
affrontare, ci dice l’età del giovane ma anche la presenza di una giovane incinta ovvero che sta per generare una
nuova vita fisica. Un’opera che interessa, che serve ed è rivolta come ampiamente ci dice la critica, ad giovane
Dioniso, al giovane “uomo-umanità Dioniso”;
b) nella “ultima” figura del ciclo pittorico invece si deve vedere l’immagine della parte più “alta-spirituale”
dell’anima, di Demetra possiamo come sopra dire per quanto visto sul Mito di Eleusi. Coerente con tale lettura è
anche qui la raffigurazione pittorica: figurata seduta in poltrona come solitamente è per gli dei, questa figura che
esprime una nobiltà che alla prima manca, con serena ed imperturbata calma, assieme ad un putto alato, ci è
mostrata osservare, in attesa del suo compiersi, lo svolgersi dell’accadere di cui che ci dice l’affresco.
Entrando ora nel dettaglio del complessivo affresco, esso si deve vedere diviso in tre parti:
– la Prima parte (fig.1) è la grande scena che il visitatore, che vede l’affresco dalla grande finestra che dà sul
porticato, trova sulla parete di fonte a lui e che inizia, con la figura femminile di cui al punto a), subito dopo la
porticina che collega la stanza dell’affresco con quella che, come detto, per gli archeologi è una camera nuziale;
– la Seconda parte (fig.2), in continuità con la precedente, è quella che lo stesso visitatore vede sulla parete alla
sua destra e nella quale è raffigurata la grande scena dionisiaca, la scena principe con al centro di essa Dioniso ed
Arianna.
– la Terza parte infine (fig. 3) è quella che si compone, in sequenza, con le figure che il visitatore non riesce a
vedere e che si trovano sulle due pareti, a lui allineate, alla sua destra ed alla sua sinistra e che si chiudono con la
figura femminile di cui al punto b).
Prima parte dell’Affresco
Nella prima parte dell’Affresco vediamo tre scene-fasi-lezioni:
- la prima scena-fase-lezione, che si chiude con la giovane donna chiaramente incinta, ci mostra la prima figura
femminile di cui al punto a), l’anima più bassa sensibile Persefone abbiamo detto, attendere alla istruzione di una
giovane figura, una istruzione che non può essere altro, vista la età e la dionisiaca figura del giovane, quella
necessaria all’umanità ad affrontare la vita fisica, quella centrata al sensibile-materiale. Una necessaria istruzione e
formazione che porta però porta, non correttamente vista e considerata, alla caduta all“io-materialità”.
É una formazione che si compie a partire dalla nascita fisica, ci dice la figura incinta che ci guarda invitandoci a
capire perché essa è lì, e che qui è mostrata rivolgenta ad un giovane assieme maschio e femmina che, come
giustamente ci dicono gli esperti, è figura dell’ “uomo-umanità-Dioniso”.
- la seconda scena-fase-lezione è quella che, dopo la prima, si chiude con la figura che si vede intenta ad allattare
dei capretti. Vediamo qui, nella donna che posta di spalle attende alla cura di sé, alla propria bellezza e in questo
servita ed aiutata da altre, la figura dell’anima umana pienamente portatasi ed uniformatasi alla più bassa sensibilemateriale sua parte, a Persefone. La figura di un animo umano ormai pienamente caduto all’“io-materialità”.
L’anima in questa condizione, ci dice la scena, volta le spalle, è cieca, alla Natura divina nella quale pur essa è
immersa e della quale è parte, una divino-dionisiaca edenica natura figurata qui, secondo il mito, dal Sileno mostrato
mentre suona la lira e dai capretti bisognosi di latte.
- la terza scena-fase-lezione conta una sola figura: quella femminile ultima di questa prima parte dell’affresco che
si erge tra l’immagine di Natura divino-edenico di cui sopra e la grande scena dionisiaca che è figurata sulla parete
successiva e cui essa volge lo sguardo. Con questa figura, che impaurita cerca di allontanare e di non vedere e
proteggersi da quella grande scena dionisiaca che sta vedendo e guardando e che le si pone davanti, ci viene detto
del protettivo rifiuto e della paura che pervade l’anima umana dal sensibile-Persefone formata all’“io-materialità”,
quando a lei si approccia la visione e comprensione della Verità di un divino che implica la sua fine-morte. Che
implica la morte di quell’“io-materialità” che essa ha costruito e col quale ormai essa si identifica al punto di portare
l’uomo a vivere la Verità di tale necessario cambiamento di mentalità-conversione quale quale “sua stessa
dell’uomo” morte e quindi da allontanare.
Seconda parte dell’Affresco
Quella della seconda parte dell’Affresco è una scena che pur con varie figure che richiamano diversi aspetti è una
scena-lezione unica e ci mostra, sinteticamente, il “dio-Dioniso-Zoe” di cui abbiamo detto nei relativi Misteri e
Mito: ci mostra la Vita <..senza nessuna caratterizzazione e senza limiti..>(K. Kerenyi) che rifugge la morte. Gli
aspetti che caratterizzano questa “Vita-Zoe” ed il “dio-Dioniso-uomo-umanità” ad essa legato, aspetti qui mostrati
nelle varie figurazioni, sono quattro:
- nella figurazione posta all’inizio di questa seconda parte vediamo un Sileno che, aiutato dal giovane che tiene la
maschera, invita ai misteri un altro giovane porgendogli il vaso con il vino nel quale si rispecchia la maschera.
513
dodicesima parte
Verosimilmente qui si deve vedere l’aspetto iniziale di quella liberazione di cui Dioniso-Libero ci parla: grazie
all’allentamento della tensione e forza dell’“io-materialità”, allentamento di cui allegoricamente ci dice il “vino” di
Dioniso, l’animo umano inizia a scorgere, meravigliandosi, una diversa immagine e Verità di sé stesso. Una diversa
immagine-Verità figurata nella immagine della dionisiaca maschera che si riflette nel vino al posto della propria
figura-io.
- nella figurazione centrale di questa grande scena-lezione, quella che mostra assieme le due figure di Dioniso e
Arianna, si deve vedere l’aspetto della felice condizione, ormai definitiva ci dice l’abbandono del sandalo da parte di
Dioniso, cui infine il “dio-Dioniso-uomo-umanità” giunge quando, alla fine del suo lottare contro ciò che gli è
contrario, contro ciò che non conosce-riconosce il suo essere Re-divino, esso rivede e ritrova quella AriannaAfrodite che, come visto nel relativo Mito, possiamo vedere anche quale “riunita” Demetra-Persefone,
- la figura successiva, quella della menade seguace di Dioniso che, in linea con il mito ed affiancata da una
compagna, scopre il Fallo contenuto nel Vaglio, con evidenza è figura che del “Dioniso-Vita-Zoe” ci mostra
l’aspetto di “Vita-Zoe”, l’aspetto del suo “eterno riprodursi e vivere”,
- infine nell’ultima figura, la femminile figura con “ali nere” che, come ci mostra con chiarezza il dipinto, si
protegge minacciosa dalla visione del “fallo” e delle altre dionisiache immagini-aspetti-Verità, girandosi scontrata
per non vedere e non esserne toccata, si deve vedere la figura della “forza-morte” che non può vedere la Vita-ZoeDioniso. Si deve vedere, con tutto ciò, l’aspetto ultimo del “Dioniso-Vita-Zoe” che ci è mostrato in questa seconda
parte dell’affresco: l’aspetto, la capacità ed il potere di allontanare-evitare la “morte” cui invece porta il restare
dell’uomo-umanità in quell’Errore, in quella “caduta all’io-materialità”, che è il “pensare di essere in sé” cui è
indotto e portato dalla parte più bassa sensibile anima, Persefone.
Terza parte dell’Affresco
Tre sono le scene-fasi-lezioni che ci sono mostrate in questa terza e ultima parte dell’Affresco pompeiano:
- la prima è quella con la quale, dopo la parentesi della grande scena dionisiaca della seconda sua parte, l’affresco
riprende il racconto-lezione dei passaggi-fasi dell’animo umano, racconto che si era fermato alla figura di una
anima, bassa-sensibile-materiale che genera un “io-materialità” col quale si confonde, la quale si impauriva e temeva
falsamente per la propria vita nell’intravvedere e nell’approcciarsi alla Verità del Dioniso-Vita-Zoe” di cui dicono la
grande scena con Dioniso e Arianna e la scena edenica che la precede.
Ebbene, dopo quella paura e timore, qui, in questa prima scena-lezione della “terza parte” dell’affresco, vediamo
figurato il doloroso passaggio iniziatico-mistico nel quale l’uomo, l’animo umano, si porta ad accettare ed affrontare
la uccisione di quell’”io-materialità”, l’annullamento-uccisione di tutto ciò che essa è sempre stata convinta di
essere. Vediamo figurato il duro e doloroso, abbiamo largamente visto, cammino-passaggio di cui, ripetiamo, in
allegoria identicamente dicono l’“esercizio di morte-melete tanathou” socratico come il passaggio dalla “selva
oscura” di Dante o, ancora, il passaggio-lotta nel “deserto” di Gesù ed Elia o il passaggio-lotta nella “foresta” di
Buddha.
La scena, che con la figura dell’anima stremata, inginocchiata e piangente, ci mostra tutta la difficoltà di quel
doloroso passaggio, con le altre figure intorno ad essa ci dice da un lato che esso è un passaggio nel quale si è aiutati
e, dall’altro, che esso è passaggio da festeggiare, da salutare con dolci melodie e danze.
- la seconda scena-fase-lezione ci mostra l’anima che, superato quel passaggio, si pone, ora nobilmente assisa, a
curarsi con la assistenza di una celestiale figura di putto alato. Ci mostra l’anima che si prepara a quella unionenozze che la potrà vedere, quale Arianna-Afrodite ovvero anche quale riunita Persefone-Demetra, sposa-compagna
del “dio-Dioniso-uomo-umanità”.
- l’ultima figura, abbiamo già detto in precedenza, ci mostra quella parte più alta-spirituale ed universale
dell’anima, Demetra, la quale con serenità imperturbabile, seduta sul trono della sua divina condizione, tutto ha
osservato attendendo, come il putto alato davanti a lei, il ritorno al suo fianco dell’anima sua figlia Persefone.
Chiudo infine queste non certo facili pagine per dire che moltissimi sono certamente i particolari, le integrazioni e/o
correzioni che, sia per l’Affresco appena visto che per i Misteri e Miti in precedenza analizzati, si potranno
aggiungere e sottolineare. Credo comunque che a grandi linee quanto qui visto sia corretto e valido.
514
dodicesima parte
|
1° scena
|
2°scena
|
3°scena
|
Fig.1 - Prima parte
|
scena unica
|
Fig.2 - Seconda parte
|
1°scena
Fig.3 – Terza parte
515
|
2°scena
|
3°scena
|
516
ultima parte
ULTIMA PARTE
GLI ANTEFATTI ( RICORDI ED EVENTI ) E NOTA FINALE
Riporto ora qui, prima delle conclusioni, i fatti antecedenti a questo scritto ed impegno: i "Ricordi" e gli "Eventi"
che mi hanno imperativamente portato, spinto e forzato, agli approfondimenti ed analisi sin qui riportati.
Fatti, o meglio qui antefatti, che come detto in premessa pur essendo a me così importanti e pur essendo stati
sollecitazione alle analisi compiute, mai essi hanno direttamente inciso su queste e mai, naturalmente, sono stati
messi a sostegno di alcuna delle asserzioni.
Comprensibilmente poco credibili per chi non li abbia vissuti, certo essi hanno indirizzato la mia ricerca, anche nella
scienza peraltro sappiamo che generalmente “si trova ciò che si cerca” e difficilmente le scoperte sono fatte in modo
diverso e casuale. Anche qui la certezza di quanto da me vissuto mi ha portato a “scoprire” ciò che non si vede se
non cercandolo. Se non con quel “cercare” e con quelle “orecchie” cui anche Gesù ha invitato.
GLI ANTEFATTI
RICORDI
1) EPISODIO
Sono nella stanza in cui mia madre mi porta per sfasciarmi, pulirmi e rifasciarmi.
Per inciso dico che mia madre quando due anni fa le ho rivelato questi miei ricordi, è rimasta molto
sorpresa nel vedere che sapevo in quale stanza venivo portato e dove mi metteva, cosa di cui mai prima
avevamo parlato.
Ho scoperto solo poco tempo fa che, al fine di farmi crescere con le ossa ben diritte, sono stato fasciato
ben stretto perché non mi sciogliessi ed in modo completo comprese le gambe, piuttosto a lungo, forse
sino alla età di 4 mesi circa. Per effettuare queste operazioni venivo portato su di un tavolo messo quasi
al centro di questa stanza dove restavo per il tempo necessario.
Dalla posizione sdraiata in cui mi trovo, decido di guardare come è il soffitto, cerco delle decorazioni, do per
scontato che ci siano ed io voglio “vederne la qualità e la ricchezza dei motivi”.
Ricordo bene il forte desiderio che ho di “giudicare” queste decorazioni, voglio così capire in che tipo di dimora io
sono.
Penso che se le decorazioni saranno molto ricche, se copriranno tutta la superficie del soffitto e se saranno con fondo
colorato allora la casa in cui sono sarà una casa importante, se invece saranno decori sottili su fondo bianco la casa
sarà meno importante.
Mi sembra di sperare di trovarle che siano così ricche.
Mentre faccio questi pensieri mentalmente raffiguro anche un prototipo di queste due tipologie che considero
estreme di decorazione e mentre quella più ricca è rimasta nel tempo molto confusa, quella dei decori più sottili mi è
sempre rimasta alla mente, si trattava di foglie sottili e lunghe che si accavallano senza soffocarsi, stranamente le
ricordo azzurre e con pochi fiori a ravvivare il contesto.
Non ricordo a quale età, ma certamente solo molto avanti negli anni ho avuto modo di vedere nella realtà dei soffitti
decorati, che non esistevano nella modesta e malmessa casa contadina in cui sono nato.
Continuando nel ricordo devo dire che, quando inizio questi pensieri, probabilmente io ancora fatico a vedere
chiaramente : quel tentativo di vedere le decorazioni lo faccio in più di una occasione e inizialmente non vedo, tutto
è completamente impercepibile, forse sfuocato e rimando la mia indagine.
Tento ancora finché finalmente riesco a vedere un poco chiaramente il soffitto ma trovandolo completamente bianco
mi dico che è una cosa molto strana e provo un forte sentimento di disappunto.
Ricordo di avere pensato che forse le decorazioni erano disposte solamente ai bordi esterni del soffitto e, quasi
certamente in una successiva occasione, cerco quindi di volgere lo sguardo su quella parte del soffitto.
517
ultima parte
Ricordo che faccio molta fatica a spostare testa ed occhi, è una operazione che mi richiede non poco impegno ed un
certo sforzo. Quando riesco a girare e la testa e lo sguardo verso il bordo esterno, anche li non trovo ciò che cerco,
continuo a meravigliarmi e, quasi incredulo e sbigottito, penso allora che troverò ciò che sto cercando nella parte
alta della parete, ai limiti con il soffitto.
Alla successiva occasione, quindi, con un ulteriore notevole sforzo fisico che ben ricordo, piego la testa e lo sguardo
sino alla parte alta della parete ma trovo completamente bianca anche quella.
Il sentimento che allora provo passa dalla delusione allo sconforto. È un sentimento molto forte, sono molto
amareggiato e mi chiedo chiaramente: “per quale motivo sono stato messo in quella brutta stanza”.
Mi sorge il dubbio che io non sia gradito, mi sento come trascurato e oggetto di scarsa considerazione.
Sono prostrato, questa non è la accoglienza che mi aspettavo, io desideravo una attenzione diversa e dei luoghi
diversi, e della gente diversa e mi prende un forte sentimento di sgomento e di delusione.
Su questo episodio la prima cosa che mi preme fare è quella di rimarcare ancora lo stato d’animo di
straordinaria afflizione e sconforto che mi pervade abbattendomi, senza vie di fuga.
Non cerco spiegazioni possibili, la sola idea che incombe nella mia mente e che mi deprime, è la totale
mancanza di considerazione nei miei confronti, dò per scontato che l’essere relegato in stanze così povere
sia indice di assoluta trascuratezza nei miei confronti, io sono certo di non essere al centro delle
attenzioni degli abitanti di quella “dimora”.
Sono relegato in qualche umile stanza senza alcun riguardo e questo mi frustra, non capisco il perché di
tanto poca considerazione.
Mi aspettavo una accoglienza diversa, contavo di trovarmi al centro di attenzioni straordinarie in
ambienti particolarmente ricchi e attorniato da persone elegantemente vestite che salutassero con gioia e
premura il mio arrivo.
Chissà perché ma il temine “dimora” mi torna più appropriato, nel portarmi a quei momenti, rispetto al
più normale termine di “casa” che è il solo che oggi userei.
La casa in cui sono cresciuto, dopo la mia nascita all’ospedale del capoluogo, era una modestissima casa
da contadini che certamente non ha mai portato decorazioni.
Il pensare a quella casa mi fa anzi ricordare che essa era anche piuttosto malandata tanto che, dopo
l’uscita della nostra famiglia la casa infatti è stata abbattuta..
Le altre considerazioni che su questo episodio posso fare sono poi le seguenti.
Le attenzioni, di cui certamente sono oggetto da parte delle persone che mi circondano e mi accudiscono,
sono per me come inesistenti, è come se considerassi che questo è il compito a cui sono delegate da “altre
persone”, li vedo come degli inservienti la cui opera io quasi non considero.
E sono queste “altre persone”, che per me avrebbero dovuto accogliermi con entusiasmo e che io invece
non trovo a me vicino, è la loro attenzione che cerco e non vedo e la stanza, così povera e spoglia, mi
indica unicamente che la mia venuta alla vita non è tenuta in considerazione.
Mi sento messo in disparte, non vedo attorno a me la felicità e la festosità delle persone che mi aspettavo,
persone colte che mi figuro elegantemente vestite e, strano particolare, con ricchi colorati e grandi
cappelli. E ancora mi chiedo il perché di questa chiamata alla vita per poi lasciarmi in una tale
emarginazione, non riesco a capire e mi avvilisco.
Sugli stati d’animo straordinariamente forti e traumatici di quei momenti, sia in relazione a questo che
agli altri episodi, vorrei dire che essi sono poi stemperati e quasi annullati dal riposo, mi sembra infatti di
potere dire che poi dormivo volentieri per potere dimenticare questi traumi.
Traumi aggravati dalla mia chiara consapevolezza che io avevo in quei momenti della mia impotenza per
il fatto che non li potevo comunicare ed erano quindi senza alcuna altra soluzione se non quella che io
solamente potevo darmi e che, nelle condizioni di totale mancanza di comunicazione, di conoscenza ed
anche di movimento in cui si è nei primi mesi di vita, è quella dell’oblio, la sola possibile.
Un’altra considerazione che mi viene di fare è quella che, sulla base di questo mio ricordo, non credo che
si possa dire che l’ipotesi della reincarnazione, che qui si potrebbe intravedere, si verifichi con una
precisa cosciente e motivata scelta della destinazione finale.
Io infatti sono troppo addolorato ed demoralizzato per il mancato rinvenimento di ciò che mi aspettavo
per potere avere scelto quell’ambito famigliare e quel tipo di futura vita.
Credo che si possa dire che se qualche sorta di condizionamento in questo passaggio di possibili entità,
esseri od energie vi è, esso certo non è direttamente condizionato da ciò che trasmigra e ritorna alla
condizione materiale.
518
ultima parte
Nascono inoltre, con questo episodio, alcune considerazione riguardanti il fatto che una percentuale
abbastanza alta degli episodi che parlano di “ricordi” di vite passate, porta ad esistenze particolarmente
importanti con ricordi di sontuose dimore, ricchezze, agi eccetera.
Questa constatazione, da me fatta sulla base delle poche cose che ricordo di avere letto e sentito su
questi argomenti, avrebbe certo bisogno del conforto di un serio studio statistico ma pur tuttavia credo
possa e debba ugualmente fare aprire alcune riflessioni sui possibili motivi di un tale fenomeno.
La prima riguarda quel sentimento misto di ilarità e di insofferenza che, comprensibilmente, immediato
può nascere, sentimento che, vorrei informare chi legge, io stesso ho provato ed ancora a volte mi trovo a
dovere reprimere.
Assicuro infatti che anche io non sono immune da questo senso di fastidio e di intolleranza che però,
essendone protagonista, non posso non fare tacere.
La seconda è poi quella che riguarda la eventuale possibile spiegazione a questi “nobili ritorni”, cosa
che cercherò di fare nella terza parte di questo scritto, pur nella consapevolezza che, purtroppo, quella
istintiva ed immediata reazione a cui ho accennato può certo mettere in cattiva luce questo tipo di
testimonianze, la mia compresa.
2) EPISODIO
Suppongo di avere qualche settimana di vita, forse anche un mese o poco più.
Ad un certo punto dico a me stesso che è già passato un po’ di tempo, e che è ora che io recuperi le cose che penso di
“avere dentro” ma di cui ancora non riesco a disporre.
Cerco dentro di me “le mie conoscenze, il mio sapere”, io sono certo di avere questo bagaglio e cerco di
riprenderlo.
Provo in più occasioni ma non mi viene alla mente nulla.
Insisto, addirittura dopo un po’ cerco intenzionalmente di partire dal recupero delle nozioni più semplici, dalle cose
più elementari.
Penso chiaramente che l’operazione che voglio fare mi sarà più facile se riesco a partire da qualche nozione molto
semplice. Penso che da lì potrò poi risalire pian piano a tutte le nozione che non riesco a ricordare e mi sforzo di
farmi venire alla mente qualcosa di elementare, ma ancora senza risultato.
Pur senza averne chiara percezione è alle prime nozioni di numerazione che penso e che cerco.
Dopo molta fatica e diversi tentativi fatti in più occasioni, capisco di non avere “niente dentro”. Questa immagine
del vuoto interiore mi lascia sconvolto ed impaurito, mi chiedo chiaramente: ”ma allora che cosa sono senza le mie
conoscenze ed il mio sapere”.
Mentre, angosciato, mi pongo questa domanda e penso a questo vuoto interno, improvvisamente mi viene nettissima
alla mente l’immagine di una brocca vuota, un’anfora.
Subito mi paragono a questa anfora vuota, non ho niente dentro, sono come un vaso vuoto e mi prende un fortissimo
sentimento di impotenza.
Penso che in questa condizione, senza alcuna conoscenza a disposizione, da solo, io non potrò fare nulla per
“riempirmi”, non avrò modo di darmi da solo ciò di cui dovrò colmarmi.
Mi rendo conto che non sapendo nulla non posso fare altro che aspettare che altri vi provvedano e che questi
potranno essere solamente coloro che vedo girarmi attorno, sono i soli che si occupano di me.
Sono incapace di fare ciò che vorrei, ho un forte senso di impotenza e mi sento nelle loro mani, non padrone di me
stesso.
Queste considerazioni sul mio futuro mi angosciano, mi sento smarrito, mi sforzo di cercare una via di uscita da
questa condizione ma non ne trovo, capisco che non saprò e non potrò fare altro che mettermi nelle mani di queste
persone e, infine, smetto di pensare e mi abbandono al riposo.
Oggi con un certo senso di colpa devo confessare che non avevo nessuna stima nei confronti delle persone che
vedevo attorno a me.
E’ vero senso di colpa ed ancora mi vergogno di avere considerato i miei genitori ed i miei primi parenti che certo
con tanto amore mi hanno accudito, come persone non all’altezza, li vedevo e consideravo poco più che inservienti e
non certo in grado di potermi dare quel bagaglio di conoscenze che io ritenevo di dovere già avere in me.
Chiedo naturalmente a tutti loro scusa per questo strano brutto sentimento che ho provato nei loro confronti.
Con riferimento a quella bella brocca, nitidissima e molto precisa, devo dire che essa è sempre stata molto presente e
viva nella mia mente e mi ha accompagnato negli anni molto a lungo. Ogni tanto pensavo a questa figura, era
diventata per me, ed in parte ancora lo è, come una cosa cara : molto a lungo essa è stata per me una sorta di segreta
e rassicurante compagna.
519
ultima parte
E’ una brocca panciuta ed ha un collo che, partendo largo e in modo deciso su questo corpo così gonfio, alzandosi si
allarga per terminare in una bocca abbondante e senza ripiegature.
Non ricordo beccucci mentre ho molto chiari due bellissimi manici, dolci ed abbondanti che partendo nella parte alta
del collo salgono leggermente circa alla altezza della bocca per poi scendere e collegarsi alla parte alta di quel
panciuto corpo.
Non ha decori e ricordo di averla sempre ricordata di colore rosso mattone anche se non sono certo di non avere ad
essa assegnato questo colore in un secondo tempo.
Naturalmente non ho mai avuto modo di vedere oggetti simili in casa mia.
Ricordo di essermi detto di “vedere realmente” per la prima volta una simile figura alla età di 17-18 anni: era
raffigurata su di un manifesto di qualche mostra o manifestazione nella città in cui studiavo.
Di questo episodio mi preme rimarcare un particolare che potrebbe passare in secondo piano e cioè il
fatto che io inizio questi miei sforzi, nel riprendere ciò che penso di avere, dopo avere detto a me stesso
che era “già passato un tempo sufficientemente lungo”.
Io quindi avevo già avuto modo di essere presente a me stesso, cioè di avere coscienza di essere in vita, e
questo in quei pochi momenti in cui uscivo da quel profondo riposo in cui mi lasciavo cadere e di cui
sentivo di avere un grande bisogno, quel riposo a cui tutti i neonati si abbandonano.
Ma, quando uscivo da quel profondo riposo, io non facevo o forse non riuscivo a fare altro che prendere
atto della mia presenza in vita, poi il bisogno di riposo mi sopraffaceva.
Questo grande bisogno di riposo non credo che mi derivasse da stanchezza fisica, era una spossatezza più
profonda ed interna, quasi un bisogno di riprendere energie interiori ed il sonno in cui volentieri mi
lasciavo cadere a questo scopo forse serviva.
Altre precisazioni e considerazioni che vorrei fare sono queste.
Nelle riflessioni che, al tempo dei primi ricordi, io facevo su queste strane cose che mi venivano alla
mente, le immagini di cose reali e materiali come la brocca di questo episodio e i decori di quello
precedente, cose reali e materiali che però non avevo mai avuto modo di vedere nella realtà, sono ciò che
mi hanno permesso di non rigettare questi ricordi come frutto di una cattiva ed insana fantasia, poiché
naturalmente anche questa ipotesi ho effettivamente fatto nel cercare di darmene spiegazione.
Esse erano un aggancio alla realtà che mi ha convinto che anche il resto potesse non essere
immaginazione pura o peggio pura malattia.
Un’ altra constatazione che ora in queste prime più approfondite riflessioni riesco a fare è quella che quel
bagaglio di conoscenze che con tanta insistenza ho cercato ed a cui tanta importanza io davo, in quei
momenti di immane sforzo per tentare di recuperarli, non è più a mia disposizione.
Queste “conoscenze” infatti erano “nozioni” a cui tenevo moltissimo ed a cui davo grandissima
importanza per la vita che avevo da affrontare.
Evidentemente questo non è, visto che le mie, come quelle di tutti, “conoscenze e nozioni” che si hanno a
disposizione sono solo quelle che si acquisiscono dal momento della nascita in poi.
Oggi perciò devo concludere che la mia esperienza mi porta a dire che, “conoscenze e nozioni” si
perdono inesorabilmente, non rimangono e quindi penso si possa ben affermare che esse hanno, in sé,
poca o nessuna importanza.
Questa considerazione, con la complicità dello sgomento e della paura vissute nel vedermi senza quel
“patrimonio” che comunque non potrò mai riavere, mi porteranno nella vita ad una sorta di “distacco e
di scarsa cura” per quanto io sentivo come non necessaria, appunto, “erudizione”.
Un altro grande aspetto che vorrei rimarcare è che, per i miei ricordi, si può affermare che il ritorno alla
vita avviene in assoluta libertà di scelta e per la volontà esclusiva dell’interessato ed è pertanto un
ritorno assolutamente non necessario od obbligato.
Oggi poi devo constatare, grazie a quei ricordi, che io pensavo di “essere” ciò che ero convinto di
“avere” ma che non avevo.
Si potrebbe anche dire che, prima di tornare a questa vita, avevo la “illusione” di “essere” in quanto ed
in virtù del fatto che pensavo di “avere nozioni e conoscenze”.
E lo pensavo grazie, credo, alle facoltà del pensiero, grazie ad una mente che perciò devo dire “ illude” e
mente.
Ma il discorso si rende complesso e rimanderò alcune altre considerazioni al seguito di questi scritti con
alcune riflessioni che nel tempo sono venute.
Un ulteriore ultimo pensiero voglio poi dedicarlo a quella carissima brocca che tanto mi è stata
compagna nella vita e che così immediata, viva e spontanea si è presentata in quei momenti alla mia
mente.
520
ultima parte
Di quella dolce e discreta compagna ho sempre pensato che fosse una “mia” automatica ed istintiva
raffigurazione della disperata condizione in cui mi sentivo, vuoto e senza altra possibilità che quella di
essere da altri riempito.
Con il tempo però essa finirà per assumere aspetti straordinari ed inaspettati, solo nelle ultime fasi delle
mie riflessioni su questi ricordi mi sono reso conto di quale alto grado di somiglianza essa effettivamente
abbia con l’uomo nella sua interezza e non già solo con quella sua prima desolata condizione.
3) EPISODIO
Ho forse un mese o due, mi sembra, di vita.
Da un po’ di tempo soffro, non sopporto più e mi dà fastidio la fasciatura, mi immobilizza troppo ed io invece sento
un grande bisogno di muovermi.
Una volta, dopo le ormai solite operazioni di pulitura e fasciatura, vengo come sempre riportato nel letto ma, non
riuscendo a dormire, voglio provare a liberarmi dalla fasciatura che è troppo stretta e che mi impedisce ogni
spostamento.
Comincio a dimenarmi, tento di allentare la fasciatura muovendomi, mi accaloro e mi agito. Nonostante i miei sforzi
praticamente non riesco a muovermi ma, sempre più, tento di liberarmi.
Arrivo ad avere un assoluto e vitale bisogno di muovermi, mi sono accalorato ed eccitato e capisco che non riesco
più a fermarmi, la necessità di sciogliermi è ormai quasi vitale, il cuore sembra non reggere ulteriormente ma io non
posso non continuare a forzare.
Sono oramai agitato sino all’inverosimile sto facendo degli sforzi immani, sono agitatissimo ed ho paura, il caldo è
ormai insopportabile sono certamente molto sudato, mi sembra di scoppiare, devo riuscire a tutti i costi a slegarmi
almeno un poco ma …. .
Non so cosa è successo dopo, il mio ricordo si ferma al culmine di quella esperienza che ancora oggi mi spaventa,
ma penso di essere svenuto e questo lo dico soprattutto per un collegamento logico con quanto riporto al successivo
4° episodio, anche questo da me però ricordato senza legami con gli altri episodi ed è per questo che li riporto
separati pur essendo ormai convinto che essi siano due fasi dello stesso episodio.
Di certo ricordo che in seguito a quanto accadutomi nella occasione che ho appena esposto, molte altre volte, per
paura di ripetere nuovamente quella bruttissima esperienza, quando dopo la pulizia e nuova fasciatura venivo
riportato a letto per dormire mi imponevo di stare fermo, mi sforzavo di non muovermi e di stare calmo.
Mi prendeva sovente un poco di agitazione ma riuscivo con la volontà ad impormi di restare calmo: evitando ogni
movimento cercavo di restare immobile per sfuggire a quel crescendo incontrollabile di agitazione che avevo vissuto
e il cui ricordo mi spaventava.
Ricordo con precisione i momenti in cui mentalmente io dico a me stesso “ devo riuscire a stare fermo” oppure
“sono già troppo accalorato” ed anche, ricordo, il terrore di potere rifare l’esperienza fatta.
Mia madre, in occasione del citato pranzo in cui ho per la prima volta riportato questi miei ricordi, mi ha detto che
effettivamente una volta nel riprendermi dal letto mi ha trovato con le fasciature in condizioni spaventose e che non
aveva mai capito cosa potesse essermi successo.
Con riferimento a questo episodio vorrei solo sottolineare che il ricordarlo in modo approfondito, potrei
dire quasi il riviverlo, mi spaventa fortemente per ciò che provo e mi fermo nell’approfondimento per
questa grande paura “fisica” che mi prende, ho paura addirittura di non potere sopravvivere o comunque
di potere avere serissimi problemi se non interrompo il ricordo di questa esperienza.
4) EPISODIO
Mi sto svegliando e, prima di aprire gli occhi, mi rattristo e mi amareggio sono profondamente desolato e
sconfortato perché sono convinto di essere “tornato indietro”, cioè di essere morto.
Sono nitidissimi in me questo sentimento e questa espressione : sono ”ritornato indietro”.
Sono profondamente afflitto e dispiaciuto di questo, è un sentimento che mi pervade completamente, totalizzante e
quasi senza soluzione, io penso di non essere più da “quella parte” in cui mi trovavo e in cui però volevo fortemente
essere.
È una disperazione impressionante, senza vie d’uscita, certamente non urlo e forse non piango nemmeno, tutto
rimane dentro, pervasivo e drammaticamente pregnante e dirompente.
Immediatamente però reagisco e mi consolo dicendo a me stesso che ”ricomincerò tutto da capo”, non so cosa ma
ho in me chiarissimo il fatto che questo “ritorno indietro” non voluto, questa interruzione al cammino che io voglio
521
ultima parte
fare, saranno solamente un incidente di percorso, io farò ciò che desidero fare: ritornare di nuovo dalla parte in cui
penso di non essere più, alla vita fisica, e per far questo ricomincerò da capo ciò che, dico a me stesso, ho già fatto.
Penso che rifarò quello che sento come un percorso, un cammino che so di avere già fatto, sono amareggiato per
tutto ciò ma voglio fermamente ritornare dove ero e dove sono convinto di non essere più.
Tutti questi pensieri mi passano per la testa probabilmente in pochi attimi o pochi secondi mentre sono sempre ad
occhi chiusi.
Non ho alla mente concetti come “cielo” e “terra” o come “morte” e “vita” la sola cosa che ho chiaro alla mente
sono questi due luoghi che per me sono “di là” e “di qua”, sono spazi che semplicemente sento come due luoghi
diversi, due luoghi contigui ma staccati.
Penso a questo percorso da rifare in modo libero e senza condizionamenti, sono io che sto decidendo di rifarlo in
piena libertà e senza pormi il problema di dover cercare assensi od altro ed avendo piena coscienza di poterlo fare.
Non so però con precisione di cosa si tratti, sento con chiarezza che si tratta di un cammino ma non so dove, con che
scopi né per quali vie io lo dovrò fare.
Ma mentre penso a tutto questo, sono pervaso da un sentimento di profondo dispiacere per quanto mi è accaduto e
perché sento che ciò che dovrò rifare non sarà facile o immediato, è come se fosse un cammino molto lungo oppure
molto difficile o che richieda molto impegno e fatica, tanto che con chiarezza temo di non riuscire a completarlo.
Ho infatti paura di non avere energie sufficienti per riuscire a completare questo percorso, è strano ma ho paura che
le forze non mi bastino, so che rischio di non riuscire a terminare quel cammino ma, mentre penso a tutto questo,
contemporaneamente, mi do e mi faccio forza dicendomi che dovrò riuscire.
Al pensiero di questo cammino da rifare sono completamente pervaso da questo vivissimo senso di angoscia,
dispiacere, disappunto e timore.
È una disperazione impressionante, senza alcuno sfogo, pervasiva e drammaticamente pregnante ed assolutizzate.
Alla fine con rassegnazione e quasi come dicendomi “purtroppo ormai è successo”, decido di “guardare” il luogo in
cui sono.
Evidentemente apro gli occhi ed immediatamente mi colpisce la scarsità della luce che vi trovo, è una luce fioca e
debole.
Non è la luce che mi aspettavo forte e intensa, subito capisco che non è la luce del luogo in cui pensavo di trovarmi.
Immediatamente comprendo che sono rimasto “da questa parte“, non sono “tornato indietro” come pensavo ed il
mio cuore allora si riempie di felicità, gioisco di una gioia infinita e, contento, mi libero di tutta la pesantezza che i
pensieri che stavo facendo mi procurava.
EVVIVA.
Sono veramente pieno di gioia e raggiante di felicità, è quasi indescrivibile di quale contentezza e sollievo il mio
cuore si sia riempito in quell’istante.
E così, felice, mi sono rilassato e, forse riaddormentandomi, ho ripreso la strada che evidentemente desideravo e
volevo fare.
Su questo importante episodio, che comunque mi sembra esposto con sufficiente completezza, vorrei fare
alcune precisazioni.
La prima riguarda la luce che mi aspettavo di trovare e che invece non ho trovato.
Solo molto avanti nel tempo, dopo quasi trenta anni dal ricordo dell’episodio, con le prime letture sulle
esperienze delle persone passate da stati di coma profondo o di premorte, sentivo parlare da altri di
qualcosa di simile.
Io non ho mai visto o percepito quel “tunnel” che quasi tutti questi casi ricordano ma certamente la
fortissima intensità luminosa, che di questo tunnel viene descritta, mi ha ricordato quella luce
straordinariamente forte che io pensavo di trovare.
Era una luminosità indescrivibile, essa tutto ricopriva e penetrava, senza alcuna fonte essa non era
limitata ad alcun tunnel, era l’orizzonte stesso ed ogni essere ed ogni cosa, io compreso in quel ricordo,
diveniva diafano, penetrato da essa e quasi in essa compreso.
Molto avanti nel tempo, in quel personale percorso e ricerca che nei capitoli successivi ho riportato, ho
trovato righe che descrivono con efficacia e poesia questa luce che volentieri riporto: sono frasi del Rig
Veda (8,6,30;1,50,10) (1000 aC) in cui, parlando del cammino dopo la morte fisica, si dice:
< Dalle tenebre vedendo tutt’ attorno la luce superiore, al dio tra gli dei siamo andati…..alla luce
suprema – alla suprema luce.>
522
ultima parte
La seconda precisazione è riferita al come io sentissi “attigui” i due luoghi da cui ero convinto di essermi
spostato, con un ritorno indietro, e cioè il luogo della vita fisica e quello, evidentemente, della vita dopo il
trapasso o morte.
Tra questi due luoghi quindi c’era contiguità, per questo passaggio diretto ed immediato che io ho
percepito, ed anche distacco in quanto quella precisissima sensazione di contiguità da me avuta
comprendeva una sorta di sottile ma rigida separazione dei due luoghi.
I due luoghi sono diversi ma in una continuità separata unicamente, seppure nettamente, da una sottile
“linea”, vocabolo che solo rende quanto da me vissuto.
Vorrei poi precisare meglio quanto detto in riferimento al mio timore di non riuscire a compiere il
cammino, che io sentivo molto impegnativo, lungo o difficile, e che però ero assolutamente intenzionato a
rifare. Ho detto che io avevo paura di “non avere energie sufficienti” per ultimare questo percorso di
ritorno in vita e, precisando meglio, la mia era paura di “finire”, una finizione, energetica,che produceva
la “dispersione” di ciò che mi costituiva: niente in realtà finiva se non quell'”io” che tratteneva.
Questa sensazione che ho avuto, la percezione della possibilità abbastanza alta di potere esaurire le mie
energie, di consumarmi senza alternative, è certo abbastanza vicina a ciò che laicamente si può intendere
per “morire”.
Tuttavia io non ho avuto l’idea della “morte” quanto quella dell’esaurimento o fine delle mie energie.
Avanti nel tempo ho trovato nei testi di Enoch dei bei passi che descrivono, qui per coloro che non si sono
portati alla salvezza, quella condizione e prospettiva : essi restano in quei luoghi, è detto, <..fino al tempo
in cui la loro luce si sia consumata..>(Enoch XVIII,16)
Fine, quella da me sentita e prospettatasi, che portava ad una “dispersione” di cose che io,
presumibilmente grazie a quella energia, tenevo assieme e che facevano il mio “io”: dispersione che io
sentivo come la fine ultima di “me” in assoluto.
Sentivo che era -con e per- questa “dispersione”, più precisamente è una sorta di esplosione con infinite
particelle che si liberavano ciò che io mi sono figurato e che ho mentalmente visto, era "con e per" questa
esplosione che liberava ciò che trattenevo-sentivo mio, è così, che “io” sarei “morto, finito
definitivamente”: sarei "venuto meno", per usare l'espressione che come visto è usata nel testo di Giona.
Su questo aspetto ammetto che non riuscirò a fare molte riflessioni: certamente esse non sono facili e
forse non possono essere che incerte ma anche, su questo interessantissimo aspetto dell'episodio,
qualcosa penso si possa dire:
Ciò che si liberava in quel momento, infatti, restava Vivo, ed esso può forse essere visto come ciò che,
"forze-pensieri", contribuiscono a "costituire-fare" l'Uomo in quelle diverse e plurime “generazioni” di
cui dice anche Gesù. Plurime e diverse generazioni che sono il portarsi-cammino umano, E anche si può,
in quella immagine, vedere credo la conferma della relativa "inesistenza-in sé" dei singoli uomini e donne
e, al contempo, la conferma della "unicità" di quell'Uomo-Genere umano che per Genesi gli ElohimDeità-Potenze, con quei "pensieri-forze, <..fanno..>, e non "creano". Chi ha competenze spero possa
meglio di me approfondire.
Ma anche, peraltro, quella grande, immensa ed inesprimibile contentezza che ho provato nel constatare
che ero ancora da “questa parte” mi fa pensare che solo qui io supponessi di trovare quelle condizioni
energetiche che avrebbero mantenuto quell’ “io” che tanto fortemente era presente in quel pensare e
sentire.
Su questo aspetto solo avanti, nelle mie riflessioni, sono riuscito a meditare, comprendendone la
importanza quasi fondamentale e tentando poi anche, con le mie capacità, qualche considerazione.
Si tratta certamente anche questo di un particolare molto importante e credo assolutamente non
secondario nel contesto di questi miei ricordi.
Il fatto che io, in quei momenti, non abbia pensato ad altri luoghi o modi in cui potere riprendere quelle
energie che sapevo avrei perso e che mi permettevano di “essere”, perciò quasi fondanti per me o per il
mio “io”, il fatto che solo alla vita materiale io abbia pensato per ricaricarmi di esse, apre certamente
interrogativi molto forti e credo profondi.
Come terza cosa vorrei sottolineare il fatto che non ho avuto tentennamenti nel dirmi che avrei rifatto la
strada già compiuta per ritornare dall’altra parte, non ho analizzato altre possibili soluzioni, forse perché
era troppo forte in me il desiderio di tornare dove pensavo di non essere più.
Ma anche dopo la riflessione sulla probabilità, che tra l’altro io sentivo piuttosto alta, di non avere per
quel cammino energie sufficienti, non ho avuto tentennamenti.
Ho preferito decidere di rifare quello che io sentivo come un rischiosissimo cammino, piuttosto che
pensare ad altre soluzioni.
E ancora ricordo che, all’idea di spegnermi su quel cammino, reagivo con un semplice sentimento di
rammarico, quasi come dicendomi “peccato!”, ma poi, immediatamente, mi concentravo su quello che
523
ultima parte
dovevo fare, volevo evitare sprechi di energia e, contemporaneamente, cercavo di recuperare ogni mia
forza.
Un’altra riflessione che mi viene di fare è quella che la mia libera decisione di ritentare ciò che si era per
un incidente interrotto, essendo libera, esclude il fatto che sia una necessità od un obbligo ed in effetti è
stata da me vissuta non in quel senso ma bensì come libera forte volontà.
Questo credo possa escludere le ipotesi reincarnazioniste che vedono il ritorno alla vita come un
automatismo, la mia esperienza, mi sembra confutare una tale prospettiva.
Aggiungo inoltre il fatto che il solo rileggere questo episodio mi gonfia di commozione per quello
scampato pericolo, e forse anche per mille altre cose che con esso affiorano, ma certamente anche perché
ora inizio a chiedermi se ho poi ben speso questa opportunità così tanto desiderata e voluta, considerato
che poco ho in realtà riflettuto, sino ad ora, su ciò che mi è occorso.
Ricordo la frase di una persona che, avendo letto le mie “esperienze” , si rivolse a me dicendomi : “certo
non le deve essere stato facile vivere con queste esperienze sulle spalle”.
Io risposi semplicemente che non era così, che io avevo ben vissuto in modo molto normale e che tutto
questo non mi aveva affatto pesato.
Non aggiunsi però che in realtà su quegli episodi molto poco avevo riflettuto, forse per mia fortuna quasi
per nulla essi erano stati presenti alla mia vita e perciò quella sorta di accantonamento delle esperienze
vissute, probabilmente anche necessitato dalla mia incompetenza ad affrontarle, certamente mi ha
lasciato ad un normale trascorrere della vita.
Dicevo che questo oblio e distacco è avvenuto forse per mia fortuna o chissà forse anche per mia
incoscienza ma tant’è, così è successo ed ancora oggi un poco è così.
Certo la grande voglia di vivere, di vivere le emozioni, i sentimenti, le sfide e gli errori e i traguardi,
anche questo ha contribuito all’accantonamento delle mie esperienze.
Ora, ad un passo dalla pensione, mentre scrivo queste righe ho 54 anni, esse sono certo molto più
presenti nella mia vita ed anche questi fogli mi aiutano a ricordarle ed a riflettere.
Spero che tutto ciò sia un bene.
Devo ora riportare ciò che solo nel luglio 2002, quindi a stesura ormai già completa di questi episodi, ho appreso e
che può riguardare i ricordi n.3 e n.4 ora esposti.
Si tratta di un fatto che mia madre, per la prima volta, mi ha appunto raccontato in quella data e che riferisco di
seguito.
Alla età di circa un anno, un giorno, al suo rientro da alcune commissioni fatte in paese, ella mi ritrovò sul letto in
cui riposavo, quasi esanime, di colore nero-violaceo e pressoché completamente rigido.
Fu una cosa che comprensibilmente la spaventò moltissimo tanto che il ricordo le è stato ancora, dopo tanto tempo,
difficile.
A suo dire da quella situazione lentamente uscii, senza l’intervento di alcun medico, con la assistenza premurosa ma
certo poco competente dei familiari che nel frattempo, alle sue richieste di aiuto, erano accorsi.
Questo episodio da me sconosciuto fino alla data che ricordavo, mi fa pensare che il quarto episodio raccontato
potrebbe anche essere legato a questo momento piuttosto che a quello riportato al n.3 che era il solo a cui, come
dicevo per logica, ero riuscito a collegarlo.
5) EPISODIO
Questo episodio esula un po’ dai precedenti anche per l’età in cui si è verificato, lo riporto pensando a Lei padre
Magni, perché sebbene non mi sia facile dare per scontato ciò che, secondo la chiesa cattolica ne può, abbastanza
chiaramente, conseguire pur mi restano la assoluta certezza dei fatti e la difficoltà, ad oggi, per me di trovargli una
spiegazione esauriente.
Sono grandicello, ho circa 6-7 anni, forse 8, è una delle prime volte, credo la prima, che mi allontano da casa di
qualche chilometro, sono in bicicletta su di una strada provinciale e sulla mia sinistra trovo una importante
residenza, completamente circondata dal verde ed in leggero abbandono.
La villa non si vede bene, nascosta dalla folta vegetazione ne ho visto da lontano la piccola torretta ed il complesso
tetto con alcuni scorci della parte alta della villa.
Passo davanti al bel cancello d’ingresso, un po’ vecchio, con appena all’interno sulla sinistra una piccola
costruzione, forse la casa del custode.
524
ultima parte
Ho superato di poco, forse una decina di metri, questo boschetto e sento come una voce che dietro di me, quasi sulla
mia spalla sinistra , mi dice “comprala,comprala”.
La voce insiste e ripete molte volte e con grande insistenza “comprala, comprala”.
Mi chiedo che cosa devo comprare e capisco che l’oggetto di cui sta parlando quella voce è la villa che ho appena
superato.
La voce continua ossessiva mentre io continuo a pedalare finché mi dico e dico a questa “voce” che ciò che mi viene
chiesto è una cosa impossibile, io sono un bambino non posso comperare niente, non ho denaro né, ne sono certo, ne
può avere a sufficienza la mia famiglia per acquistare una residenza simile.
Sbigottito mi sento rispondere che più avanti nel tempo potrò un giorno comperarla, che avrò il denaro per farlo.
Improvvisamente interviene un’altra voce sempre dietro di me, questa la sento sul lato destro e mi suggerisce con
forza “digli di no, digli di no”.
Le due voci continuano così per un poco, con toni sempre più forti ed insistenti ed accavallandosi, l’una che
continua a dirmi” comprala, comprala” e l’altra che ripete “digli di no, digli di no” in un crescendo che un po’ mi
spaventa.
Sono quasi voci umane, reali, tanto che io mi fermo e mi guardo alle spalle per controllare se qualcuno mi sta’
facendo uno scherzo.
Non c’è nessuno la strada è completamente libera e non vedo persone nemmeno nei campi a lato della strada né
contro l’alto rivale sulla mia destra dove guardo con attenzione per accertarmi che nessuno si sia lì nascosto.
Ricordo bene questo particolare, mi sono fermato e, dopo essermi girato, dopo avere visto che non c’era nessuno, mi
sono sporto sul ciglio della strada, che in quel punto era più alta di circa 2,5 metri rispetto ai campi, per controllare
se qualcuno si fosse nascosto contro questi alti rivali.
Le voci, a quel punto, sono scomparse.
Io, tra l’incredulo e l’incuriosito guardo poi l’oggetto di tanta confusione , sono a circa 50 –70 metri dalla villa e dal
suo parco, riesco a vedere bene il boschetto che circonda questa importante residenza e concludo dicendo:
“quando avrò il denaro sufficiente, se me lo farete avere, vi dirò cosa faccio”.
Su questo episodio abbiamo sempre un po’ scherzato io e mia moglie, e vi lascio immaginare lo sbigottimento
quando, qualche anno fa, casualmente, andando per l’unica volta nella mia vita all’ufficio vendite giudiziarie del
tribunale della città in cui risiedevo per cercare alcune notizie, scopro che quella villa sarebbe andata all’asta, per il
50% indiviso, dopo qualche mese.
La cifra indicata in asta mi avrebbe permesso di partecipare e potevo anche pensare senza particolari problemi
all’eventuale futuro acquisto del restante.
Solo per la cronaca aggiungo che non ho partecipato all’asta dando così in qualche modo retta, anche se in modo
impreciso e tardivo, ai suggerimenti della seconda voce intervenuta in occasione del citato episodio.
Con riferimento a questo episodio devo aggiungere il fatto che la scelta di fermarmi fu sì da me fatta per
verificare che non avevo nessuno alle spalle, ma questa era cosa che comunque ben sapevo in quanto la
presenza di ben due persone che ti seguono, nel totale silenzio della campagna in cui ero immerso e in
assoluta assenza di altre persone a vista d’occhio, è cosa che si percepisce e che non può non essere
udita ed avvertita.
Tale scelta fu infatti anche dettata dalla precisa volontà di volere ricordare quell’episodio come
realmente accaduto, non volevo che, continuando il mio cammino, avessi potuto in futuro mettere in
dubbio quanto mi era accaduto.
Il fatto che addirittura mi fossi fermato volevo che fosse, nel tempo, una conferma dalla realtà di ciò in
cui ero occorso.
Mi viene poi una piccola riflessione sulla casualità degli avvenimenti.
Come pensare alla “casualità” di quella unica visita della mia vita a quel tribunale, proprio in quel
periodo e proprio per leggere degli avvisi di prossime aste?
Quella villa è stata in vendita solo in quel breve periodo in cui è stata oggetto di asta, prima aveva sì
cambiato proprietà ma non ho mai saputo quando.
Senza quel “caso” non avrei mai potuto scegliere tra quei due -inviti- : quell'episodio era lontanissimo
nel tempo e dai miei pensieri, quasi dimenticato ed ancora nella sfera delle cose incomprensibili solo
quel “caso” mi ha permesso di dargli realtà.
La impossibilità di mettere questa, assieme ad altre casualità di episodi che racconterò di seguito, nella
categoria del “caso” pienamente fortuito così come sempre io l’ ho inteso e come comunemente viene
compreso, mi induce a pensare che in realtà un tale “caso” forse non esiste.
525
ultima parte
Il caso o, meglio, ciò che accade non per quella precisa volontà che spesso ci guida, forse è solo una
conseguenza naturale di forze ed energie nostre e non solo nostre, che comunque a quell’accadimento
inevitabilmente portano. Non che esistano cose scritte ma, vedrò meglio più oltre, le cose diventano, per
nostre e certo anche per altrui condizionate e prevedibili volontà, inclinazioni, forze ed altro ancora,
ineluttabili e prevedibili.
Condizionate e prevedibili volontà perché credo che esse pur essendo libere siano condizionate dalle
esperienze, dai caratteri, dalle conoscenze e dai bagagli inconsci al punto di potere diventare comunque
automatiche e prevedibili e quindi ineluttabili.
A proposito di casualità, e chissà se anche questa era ineluttabile nonostante la sicura mancanza di
qualsiasi tipo di umana volontà, ricordo la singolare cadenza delle nascite mia e dei miei antenati in
linea retta ripetutesi di padre in figlio negli anni 13, 49, 79, senza interruzioni per 8 volte negli ultimi
trecento anni e cioè gli anni:
1713, 1749, 1779
1813, 1849, 1879
1913, 1949
E’ una cosa che ho scoperto durante alcune ricerche sulla mia famiglia fatte diversi anni fa, e non posso
negare che mi resta in merito la curiosità di sentire cosa potrebbe dirne o ricavarne un esperto in
ghematria.
Purtroppo io ho fatto nascere mio figlio nel 1975 interrompendo questa bella e credo inconsueta
sequenza.
6) EPISODIO
L’episodio che ora esporrò, è uno degli ultimi che ho deciso di scrivere pur essendo, a mio avviso, di una certa
importanza.
Sono stato indotto a rimandare la scrittura di questo episodio e a non inserirla nella prima stesura della mia lettera,
per non fare errori, da una certa discordanza tra ciò che a me sembrava di ricordare riguardo alla mia età in quel
momento, e quanto mia madre dice che, a suo avviso, io dovevo avere.
Quando infatti alcuni anni fa, in occasione della mia prima rivelazione ad essa di questo fatto, io le dissi che esso era
successo alla mia età di 2-3 anni, ella mi contestò questa datazione dicendo che, a suo ricordo, io dovevo avere circa
5 anni.
Ho quindi riflettuto un poco su questa incongruenza e devo dire che il mio riporto all’età di 2-3 anni derivava dal
fatto che io, nel corso di quell’episodio, ricordavo di avere passato molto tempo a camminare carponi e questo,
assieme alla discreta fatica fatta per spostare la sciabola di mio nonno, mi avevano persuaso che quella fosse la mia
età sebbene non avessi altri ricordi al riguardo.
Visto però che anche un fratello di mia madre mi ha confermato la migliore precisione della datazione da lei
indicatami, certamente è questa da ritenere corretta.
Riporto ora l’episodio.
Mia madre mi ha portato con lei, in bicicletta, a casa dei suoi genitori e fratelli.
Sua madre da un poco di tempo, ha iniziato a non stare troppo bene, non si regge più in piedi ed i figli hanno fatto
una sorta di riunione per discutere della cosa.
Ricordo la presenza di alcune delle sorelle di mia madre che, come lei, essendo sposate non vivevano più in quella
casa, ed anche di alcuni fratelli, che invece abitavano ancora lì.
Io vengo lasciato nella stanza da letto di mia nonna, al primo piano della abitazione, solo assieme a lei che è posta a
sedere su una poltroncina o sedia, mentre loro scendono in cucina per parlare senza farsi sentire dalla madre.
Ricordo bene, passato un poco di tempo e visto che cominciavo ad annoiarmi, il mio tentativo di coinvolgerla in un
gioco a due a cui però ella non riusciva evidentemente a partecipare.
Dopo alcuni tentativi di coinvolgimento e constatata la sua impossibilità a muoversi, arrivo addirittura a stuzzicarla,
un poco sadicamente, con una sciabola che nel frattempo avevo rinvenuto sotto al letto, era appartenuta a mio nonno
ed io faticosamente l’avevo appoggiata sul retro della sua sedia per pungolarla con il fine di indurla a muoversi.
Poi ricordo che finalmente entrò il fratello maggiore di mia madre che, bontà sua, nascose questo mio riprovevole
comportamento a mia madre evitandomi così una garantita razione di botte a cui peraltro già mi ero preparato e che
mi aspettavo piuttosto pesante.
Mi sembra di ricordare che il tempo trascorso in quella stanza sia stato abbastanza lungo, almeno per me.
Ricordo infatti che per stanchezza decisi di sedermi a terra per riposare e quindi poi di muovermi carponi per
affaticarmi meno; ricordo il mio senso piacere per la riscoperta di un tipo di deambulazione che evidentemente non
facevo da un poco di tempo.
526
ultima parte
Sicuramente ho alternato momenti frenetici ed indaffarati ad altri di relativa calma e credo che proprio in questi
momenti di calma alla mia mente siano venute le riflessioni che ora esporrò.
In quella occasione io ricordo infatti di avere pensato e detto a me stesso che era proprio sciocco che quella anziana
persona, che io vedevo raramente e quindi mi era quasi estranea, si ostinasse a volere vivere in quelle condizioni.
Ricordo di avere pensato che ella non avrebbe dovuto avere paura ad andarsene da questa terra e, pur senza proferire
parola, mentalmente la invitavo ad abbandonare senza paura quella esistenza, perché “non succedeva nulla” mentre
al contrario la sua condizione di vita, così come io la vedevo, era veramente molto brutta.
Dentro di me io sentivo e volevo quasi sollecitarla a non ostinarsi in quello stato di sofferenza e così la invitavo ad
affrontare senza paura quel passaggio che evidentemente ella temeva aggrappandosi così ostinatamente ad una vita
ormai misera come quella che a me appariva.
Io sentivo e avrei voluto comunicarle che poteva ed era certo meglio per lei che superasse le sue paure di morire
perché, appunto, “non succedeva nulla”.
Questa mia strana reazione a quella presenza così dolorante, che io ho sempre ben ricordato, è avvenuta prima che io
iniziassi ad avere i ricordi oggetto della mia prima lettera ed è stata assolutamente isolata nel contesto della mia vita
e dei miei pensieri in quei periodi.
Ciò che ho vissuto è stato un pensiero improvviso ed istintivo, non voluto ed anche non capito a fondo, si potrebbe
dire quasi una forte istintiva sensazione.
Era una percezione forte e soprattutto sicura, non dubitavo di ciò che sentivo, era una cosa certa per me e, quella che
io vedevo come un ostinato aggrapparsi alla vita pur in condizioni così dolorose e misere, era solo sciocco ed inutile
perché a quel traguardo, che io immaginavo ella temesse, “non succedeva nulla”.
E soprattutto questo “non succede nulla” è ciò che io ho riportato con me nel tempo di quanto mi è venuto
prepotentemente alla mente in quei momenti.
In quegli attimi inoltre io ho rapportato la sua condizione alla mia, e vedevo e sentivo che la mia giovane vita era il
successivo passaggio, il proseguimento di quella esperienza di morte che, per me, tanto stava spaventando quella
anziana signora.
Sentivo e avrei voluto dirle che si stava molto meglio dopo quel passaggio ed io mi sentivo ed avrei voluto pormi ai
suoi occhi come la testimonianza vivente e tangibile, così pieno di vitalità e di forza, di ciò che volevo affermarle.
Cosa pensare e come spiegare tutto questo!
Non credo certo ad una fantasia infantile, ma da dove può arrivare una tale sensazione ad un bambino, di tre o
cinque anni, vissuto in campagna a contatto quasi unicamente coi propri familiari, sempre ben impegnati nei lavori
dei campi, ed in periodi di totale assenza di televisione e quindi completamente senza possibili stimoli o
contaminazioni esterne ?!
Concludo augurandomi di trovare e di avere la stessa forza che chiedevo a mia nonna di avere ed anche chiedo a lei
di darmelo quando sarà a me che toccherà di affrontare quel passaggio che, nonostante tutte le mie esperienze,
comunque vedo impegnativo.
7) EPISODIO
In questo racconto dirò cose che mi rendo conto avranno bisogno di un forte atto di fede, ma le riporto ugualmente,
assicurandovi che non sono il frutto di fantasie.
Parlerò del ricordo che ho sempre avuto, e di cui ho anche spesso accennato a mia moglie, di qualcosa, una specie di
“cuore invisibile“ particolarmente sensibile che quando ancora ero ragazzo ricordavo di avere deciso di “non
riaprire, di lasciarlo chiuso” perché il “tenerlo aperto” mi procurava spesso sofferenze che non volevo più vivere.
Ho usato l’appellativo di “cuore” in modo molto istintivo, forse non correttamente poiché la confusione con il cuore
fisico può essere forte e certamente non corretta ma, per quanto vissuto e sentito, quello da sempre è stato il termine
per me più appropriato.
È un ricordo che ho sempre avuto ma, nonostante la consapevolezza che in quei momenti io avevo avuto la
sensazione di qualcosa di materiale che sentivo “aprirsi e chiudersi” e che inoltre ricordavo straordinariamente
“dolce”, la lontananza nel tempo di tali episodi e la debolezza del ricordo mi avevano ormai convinto ad archiviare
queste memorie come suggestioni infantili dovute forse, dicevo a me stesso, ad una mia particolare sensibilità.
È per questo che anche nelle occasioni in cui a mia moglie ne ho accennato, occasioni sempre legate a colloqui su
temi ad esso attinenti, ne ho sempre parlato senza dare eccessiva importanza alla cosa come se parlassi di un
sentimento o di una sensazione avuta come, pensavo, può capitare da ragazzi.
527
ultima parte
Le ho comunque sempre accennato al fatto che ricordavo molto bene di avere deliberatamente “ voluto tenere
chiuso” questo “cuore” così delicato : ricordavo che attorno ad esso avevo deliberatamente costruito una spessa e
resistente corteccia, ma i ricordi non andavano o non volevano andare molto oltre questo fatto.
Ora invece devo dire che le cose erano proprio come forse mi rifiutavo di ricordare.
Voglio cioè dire che quello che io sentivo, quel “cuore” era qualcosa che sono ora tentato di dichiarare “fisico”,
certamente questo è improprio ma solo questo termine mi sembra possa rendere tutta la concretezza e la corporeità
di questo “oggetto” che io sentivo in petto in alcune occasioni.
Oggi posso affermare questo perché pochi anni or sono mi è inaspettatamente capitato di sentire aprirsi nuovamente
questo mio carissimo “cuore invisibile” che ho così avuto modo di ascoltare molto bene, anche se per pochi secondi,
in quella occasione.
È successo, dicevo, in modo inaspettato, non pensavo a questo fatto ormai da decenni ed esso era per me diventato
un flebile ricordo legato alla mia prima giovinezza che, come detto, ero portato oramai a considerare quasi una
suggestione infantile.
Ora invece quasi senza apparente motivo e senza che io neppure lontanamente ad esso pensassi, improvvisamente,
tutto è ricomparso.
E, in questa occasione, ho avuto il modo ed il tempo e la volontà di riascoltarlo in modo completo e di goderne a
pieno nonostante i pochi secondi che sono intercorsi prima della sua nuova inesorabile chiusura.
Dicevo della “fisicità” di questo “cuore” che ho ritrovato in me: ho usato questo termine, nonostante si tratti di
qualcosa di assolutamente immateriale, perché lo ho percepito con tutte le caratteristiche della materia, di una
materia che per alcuni aspetti definirei quasi tecnologica.
Questa “fisicità” si manifesta, in modo chiarissimo e forte, solo nei momenti in cui questo “cuore” si “apre” o si
“chiude”, subito prima e subito dopo queste due “operazioni” non si ha modo di percepire alcunché.
Avendo avuto modo di “ascoltare” con estrema attenzione questa nuova “apertura” mi permetterò ora di descrivere
tutto con precisione.
Quanto sto affermando è difficile anche per me da accettare oltre naturalmente che da capire, ma è talmente reale
quanto ho provato che devo comunque riportarlo assicurando chi legge che tutto ciò non è il frutto di percorsi o
pratiche di alcun genere:
Questo “cuore invisibile” è qualcosa di sferico del diametro di 7 cm circa posto al centro del petto, in posizione
forse leggermente spostata in avanti che, qui in modo quasi tecnologico sulla linea di metà circonferenza tracciata
dall’alto al basso e posizionata sul lato frontale, si apre creando inizialmente una fenditura a spicchio che
lentamente si allarga fino ai 360 gradi .
L’esterno è una specie di “guscio” che descrivo così come lo ho percepito: è particolarmente duro con uno
spessore relativamente sottile potrei dire di uno o due millimetri e, aprendosi completamente, esso si annulla.
L’interno invece è come se fosse di una materia sconosciuta vorrei piuttosto definirla una “essenza” a metà tra il
gassoso ed il liquido, soffice, che si percepisce molto bene ed in modo forte non appena il guscio si apre allorché
questa sostanza “irradia” una dolcezza straordinaria che non ha similitudini e che è inizialmente appunto di
fortissima intensità.
Da subito da questa sottile fenditura esce, spandendosi tutto attorno, questa specialissima sostanza come
zuccherina e che io “ho sentito” similmente a come si può sentire del dolore e sebbene non sappia dire quale sia la
funzione sensitiva che mi ha permesso questo.
La straordinaria intensità di dolcezza che tale “sostanza” sprigiona non appena quel “cuore” si dischiude,
lentamente poi si attenua man mano che quella sottile fenditura a spicchio si allarga fino a scomparire quando
l’apertura si è completata.
A quel punto è come se tutto si fosse “dissolto”, senza più alcuna traccia, né del cuore né della sostanza, dentro di
me.
Da ragazzo avevo avuto percezione di questo strano fenomeno solo quando, a seguito di qualche evento esterno che
evidentemente colpiva la mia sensibilità quali ad esempio dei forti, improvvisi, ed inaspettati e bruschi richiami o
rimproveri.
In quelle occasioni quel “cuore” si chiudeva: dapprima, alle prime sue manifestazioni, ricordo che si verificava solo
una chiusura parziale ma in seguito poi esso si “chiudeva” in modo completo.
Tutto questo è avvenuto nella mia primissima giovinezza, forse a 5-7 anni, a seguito di eventi dei quali però non ho
specifica memoria, e in quegli episodi di “chiusura” del “cuore invisibile” ricordo bene che io soffrivo di un
“dolore” al petto, una sorta di costrizione dolorosa, più o meno intensa, che poi lentamente passava.
In totale mi sembra di ricordare che si sia trattato di circa 7/8 episodi complessivi o al massimo 10.
528
ultima parte
Ritengo che l’episodio che indusse la prima chiusura “totale”, autonoma, di questo “cuore invisibile” sia stato di
una intensità superiore alle altre.
Nel tempo poi le “riaperture” di questo “cuore”, anch’esse ai primi episodi avvenute in modo autonomo, di volta in
volta erano sempre meno immediate, più lente a ripresentarsi e meno controllabili e governabili.
Ricordo infatti bene che mentre al primo di questi episodi di chiusura la successiva riapertura è stata quasi
immediata ed automatica, poi gradualmente tale riapertura è divenuta sempre più difficile: si ripresentava dopo
qualche tempo, o il giorno successivo o con qualche giorno di ritardo, ed in ultimo essa richiedeva un mio preciso
impegno a ché si verificasse.
Poi dopo quella decisione da me presa e che sempre ho ricordato di “ lasciarlo chiuso e di non tentare più di
riaprirlo” ma anzi di “corazzarlo” affinché non “si ferisse” più e così evitare di continuare io a soffrire, non mi è più
stato possibile il riaprirlo volontariamente.
Anche oggi non riesco a farlo, nonostante che ora, dopo questa nuova ed inaspettata ed autonoma manifestazione, io
possa senza dubbio affermare di avere ancora in me questo strano “cuore” che certamente non è comandato dalla
volontà o dall’intelletto.
La mente è impotente ad esso, sembra quasi non appartenga alla stessa sfera anzi, forse lo inibisce e lo chiude ancor
più : ricordo che, nell’ultimo episodio, io avevo paura che intervenisse qualche fatto esterno, rumori parole o altro,
che attraendo la mia attenzione e quindi forse attivando la mia mente, avrebbero certamente interrotto quella
esperienza all’istante.
Ero certo e sentivo che in quel caso tutto si sarebbe interrotto immediatamente e non volevo che succedesse, volevo
rivivere quella esperienza, a cui più non credevo, fino in fondo e per intero.
Posso dire di ritrovare e vedere in questo “cuore” quella infantile dolce “innocenza” che porta con sé il più totale e
disarmante affidamento nel prossimo, al prossimo ed al mondo in generale, che così permette di aprirsi all’altro in
un profondo quasi infinito.
L’affidamento all’altro a cui mi riferisco è più che “fiducia”, esso infatti non vede e nemmeno prevede alcuna
possibile difesa : è condizione di totale consegna, oblio e mancanza dell' “io”.
E certamente quello del più completo e disarmato affidamento al prossimo è una delle caratteristiche dei primi anni
di vita quando è piena e totale la apertura dei sentimenti : quando si vive la più completa confidenza nell’altro.
Mi auguro naturalmente di trovare un giorno il tempo ed il modo per recuperare questa importante parte di me, quel
“cuore invisibile”, e mi auguro di poterla tenere aperta, viva e pulsante senza più quella dura e spessa corazza con
cui l'avevo vestita, per il resto della mia vita.
Mentre scrivevo dell’episodio sopra descritto sono stato a lungo tentato di aggiungere anche il colore di
questa energia-essenza che si sprigiona da questo “cuore invisibile” ma poi dopo alcune riflessioni
avevo deciso di non farne cenno.
Pur avendo avuto anche la chiara sensazione del colore, mi chiedevo con quale coraggio volevo
addirittura riportare il colore di una cosa che non avevo certamente visto e, considerato che quanto
stavo scrivendo era già di per sé alquanto inverosimile, avevo deciso di non dire nulla al riguardo.
Ora però, nel dicembre 2002, a distanza di qualche mese da quella battitura, mi è capitato di leggere un
piccolo libro che mi ha fatto cambiare idea.
Il libro, preso in lettura da una biblioteca pubblica, è una molto sintetica e certamente parziale
introduzione alla Qabbalah sulla quale, non avendone alcuna conoscenza, avevo voglia di documentarmi
anche se in modo molto superficiale.
Nel leggere questo libricino mi sono trovato di fronte ad una strana coincidenza che voglio per ora
limitarmi a registrare pur considerandola estremamente singolare, ma che mi obbliga ad integrare
quanto da me scritto in merito:
Il colore, che ho percepito pur non vedendolo, della energia di cui dicevo era il giallo-oro o giallo-arancio
e stranamente ho appreso in quella lettura che il giallo è il colore che viene assegnato al “cuore” dell’
Albero della Vita Cabbalistico che, sempre stranamente, nell’uomo viene collocato al centro del petto.
Più avanti nel tempo ho avuto modo di vedere che non tutte le tradizioni Cabbalistiche concordano su
questo punto, ma questo è normale trattandosi di una materia molto complessa e per tanti aspetti non
unanime.
Su quel libro poi non ho potuto fare a meno di notare che veniva fatto anche un parallelismo tra il
“cuore” Cabbalistico, il Tiphareth, ed il Chakra Anahata ed il Loto della tradizione mistica orientale,
anche esso posto al centro del petto ed ambedue, sosteneva questo libro, assimilabili a quella che la
tradizione occidentale definisce ”anima” .
529
ultima parte
Il Loto della tradizione Indù, vedrò poi, racchiude in sé una essenza che è colore “oro”.
Su questo libro si parlava anche di “aperture e chiusure” di questi centri e, per sentirmi un po’ meno
strano, a me piace ora ipotizzare che sia anche da esperienze tipo le mie, naturalmente ben più
approfondite, che queste discipline o tradizioni possono avere tratto alcune delle loro asserzioni.
Nella seconda parte di questi scritti, e non solo, riporterò approfondimenti nel frattempo visti e maturati
in merito a questo tema.
In queste prime riflessioni mi sono venute anche alla mente le frasi di Gesù in cui invita a diventare
bambini e ad imparare dai bambini: chissà se a questo “cuore”, caratteristico del mondo infantile che a
tutto e tutti si “apre” senza difesa, Egli pensava e si riferiva.
Diventare bambini, in questa ipotesi, significherebbe riportarsi a quella condizione che ti apre all’altro
senza alcuna remora, un aprirsi che così ti porta a divenire uno con l’altro così come Egli quasi
unicamente ci ha insegnato.
E forse significherebbe anche perdere quella mente con la quale tanto in contrasto a me è sembrato che
questo “cuore” sia, quella stessa mente così spesso separatrice.
Come poi non ricordare che il “cuore”, spesso simboleggiato con il cuore fisico anche se non
chiaramente come tale considerato, è, nella pratica delle religioni sia occidentali che orientali,
considerato il luogo in cui risiede l’essenza dell’individuo, la sua materia spirituale e sempre raffigurato
al centro del petto.
E un’altra lettura, più avanti nel tempo, mi ha fatto pensare a questo “cuore” chiuso in quella specie di
scorza della mia esperienza: si tratta della traduzione fatta da Mario Pincherle in “La grande Piramide
e lo Zed”, a pag.204, del passo di Genesi 3,20:
< Allora il Signore Iddio fece per Adamo e per la sua compagna
una specie di “corazza” e con essa li rivestì con cura >
Su questo mio episodio le riflessioni e le implicazioni possibili sono enormi e certamente mi hanno
trovato, in questi inizi, impreparato ad affrontarle.
Vorrei però ugualmente sottolineare alcuni punti che, nel tempo, hanno fermato la mia attenzione e le mie
riflessioni.
Il primo, che già ho avuto modo di sottolineare ma che vorrei meglio ribadire, è la assoluta indipendenza
e la quasi antitesi di questo “cuore” rispetto alla mente pensante.
E mi fa pensare il fatto che questa antitesi potrebbe quindi allargarsi forse anche a quella logica a noi
tanto cara in particolare, credo, nel nostro occidente.
Questa mente logica che noi siamo portati a vedere quasi come nostra stessa essenza, in quella mia
esperienza deve essere allontanata, quasi rifiutata, per potere “sentire” questa nostra, forse più vera,
intima sostanza ed essenza.
Il secondo punto, altrettanto importante, è la “fisicità” da me percepita di questo “cuore”, fisicità che a
mio avviso avvicina ed accosta questo cuore alla materia al punto di potere essere ad essa assimilato pur
non essendo esso “materiale” nel senso comune del termine.
Ed anche il -colore- “percepito” e la -dolcezza- ”sentita”, oltre alla -forma e dimensione- chiaramente
“avvertiti”, portano ad una sua assimilazione al materiale.
Similitudine che mi fa ricordare il quarto episodio da me riportato, quella nettissima sensazione di
contiguità tra lo spazio della vita materiale e quello della vita dopo la morte che era quasi continuità di
luoghi e condizioni, separati solo da quel sottilissimo, seppure netto, limite, quasi una linea.
Si apre così la possibilità che questo “cuore” possa andare oltre la vita materiale, in quel luogo separato
ma omologo, simile, al luogo della materia.
EVENTI
Anche in questa sezione, dove riporto episodi un po’ meno importanti, si alternano ricordi che avevo già esposto
nelle prime stesure della mia lettera ed altri, inizialmente non inseriti, che vanno ora a completare il quadro dei miei
ricordi. Vorrei precisare anche che tutti questi episodi, quelli fino ad ora riportati e quelli che ora mi accingo a
descrivere ricordi che così come ora, con questa sequenza, esposti possono sembrare molto ingombranti per un
normale trascorrere della esistenza, sono in realtà molto spesso attimi di vita che io ho registrato e in un certo senso
messo in disparte rimandandone nel tempo la eventuale comprensione ed il possibile, ma per me allora non
indispensabile, approfondimento.
Certo saltuariamente, e raramente, ho ricordato ora l’uno ora l’altro episodio, ma era solo un riportarli alla memoria
per ricordarli e poi rimetterli in archivio dopo aver constatato che nessuna spiegazione era nel frattempo
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ultima parte
automaticamente intervenuta, senza pormi quegli interrogativi che ho sempre rimandato e senza cercare a tutti i
costi delle spiegazioni. Perciò credo che, fino ad oggi, essi non abbiano troppo inciso sul mio cammino di vita.
Ancora oggi, come allora, mi chiedo da dove vengano e perché si possano avere queste sensazioni così precise e
forti ed anche così strane, a cui comprensibilmente si fatica a dare credito e che certamente potevano porre qualche
interrogativo a mio padre, tirato in causa in alcuni dei successivi episodi, che invece mai niente del genere mi ha
fatto capire o pensare.
Non so se risponda al vero ma in qualche trasmissione televisiva è stato affermato che alla West Virginia University
sono in corso studi e ricerche che ipotizzano, nell’uomo, due tipi di “memorie”, una “genetica” ed una “energetica”.
Credo che una tale prospettiva e visione possa ben spiegare ed adattarsi a molte delle esperienze da me vissute.
Da ultimo aggiungo per inciso che, nonostante tutti questi fatti strani sin qui riportati e che ancora riporterò, io non
mi sento in nulla diverso dagli altri né tanto meno un fenomeno, credo solo che a me sia occorso il caso di riuscire a
ricordare, come forse ad altri è successo, ciò che probabilmente tutti potremmo ricordare, se aiutati a farlo magari in
periodi in cui il ricordo è più vicino e vivo.
8) EPISODIO
Non ricordo con precisione quanti anni avessi, stavo frequentando le scuole elementari forse al secondo o terzo
anno, ed un giorno la maestra ci porta a fare una passeggiata nelle immediate vicinanze del paese.
Ad un certo punto lasciamo la strada principale per immetterci in una stradina particolarmente stretta e con
caratteristiche ed aspetti molto propri.
Io non ero mai andato né in quella strada né in quella zona di quel pur piccolo paese, abitavo infatti dalla parte
opposta e non avevo mai avuto occasione di portarmi da quelle parti.
Questo strettissimo viottolo in cui entrammo guidati dalla maestra, corre, come soffocato , tra un ampio fossato che
si apre proprio a ridosso del suo ciglio sinistro ed una lunga fila di bellissime querce che quasi lo invadono, come
soffocandolo, sulla sua destra.
È una immagine che porto sempre con me, piacevole per la sua bellezza ma quasi dolorosa per il pericolo che mi
sembrò corresse la vita di questo piccolo ma elegante e curato viottolo.
Nel vederlo così stretto tra quel grande fossato e le robuste radici delle querce che lo invadevano dal lato opposto,
ebbi timore per la sua esistenza ed il suo ricordo suscita in me una sorta di amarezza per questa sua precarietà.
Immediatamente, dopo i primi passi fatti su questa strada, ho alla mente come una immagine di ciò che troverò più
avanti, dico a me stesso che in fondo alla strada - si va a sinistra e dopo un po’, sulla destra, si trovano grandi alberi
con alle spalle una bella casa -.
Naturalmente mi stupisco di quello che mi è venuto alla mente in modo così nitido e preciso ma sono molto
incuriosito di vedere se ciò che penso corrisponderà al vero.
La strada infatti non prosegue e, dopo circa 150 metri si immette su un’altra strada con un incrocio a T che obbliga a
girare o a sinistra o a destra.
La maestra si incammina sulla sinistra ed io ho modo di vedere i grandi alberi con la casa posta leggermente dietro
di essi, come avevo previsto, sulla destra del cammino.
Solo la casa è un po’ meno bella di come l’avevo pensata.
Meravigliato di quanto mi è successo a casa ho raccontato tutto a mio padre il quale mi disse che lungo quella
stradina la nostra famiglia aveva, tempo addietro, a lungo abitato.
Naturalmente non capii comunque molto e semplicemente mi limitai a prendere atto di questa stranezza.
Più avanti negli anni ho poi avuto modo di capire che, dopo avere girato a sinistra, proseguendo ancora lungo quella
strada, si arrivava alla abitazione, di proprietà della famiglia, dove hanno vissuto i miei nonni e bisnonni e dove poi
più avanti negli anni la mia famiglia ed io siamo ritornati a vivere e dove ancora oggi vive, mentre scrivo, mia
madre.
9) EPISODIO
Alla età di circa 7-8 anni, ma potrei non essere in questo preciso, durante un colloquio che mio padre intratteneva
con un suo conoscente, mi colpì, in una delle frasi del discorso, l’uso di una parola della quale non capivo il senso
nel contesto del discorso.
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ultima parte
La parola in questione era stata da lui pronunciata, con riferimento ad un neonato, per chiedere al suo interlocutore,
con tono meravigliato, il perché nel dare il nome al nuovo venuto, non fosse stato ripreso il nome di un defunto,
evidentemente della stessa famiglia.
Nel dialetto di queste zone il termine normalmente usato per dire di un nome così riportato, è un termine, un poco
strano, per il quale non credo esista una diretta traduzione in italiano.
Il giorno successivo decisi di chiedere delucidazioni a mio padre.
La risposta che ne ricevetti non fu quella più scontata e fu esattamente la seguente.
Egli mi disse che quel termine era sinonimo di “richiamato” e così la frase da lui pronunciata, per me ancora a
digiuno di certi modi di dire, diventò la seguente:
“come mai non hanno richiamato il povero defunto “ xxxxx” ? “
La frase mi lasciò incredulo e mi fece pensare.
Non poteva trattarsi che di un modo di dire, mi dissi, ma poi restando un po’ dubbioso, ne chiesi la spiegazione.
La straordinaria spiegazione che egli mi diede fu la seguente.
Egli mi spiegò che, quando una persona moriva, essa poteva essere riportata su questa terra se, entro un certo
periodo, si fosse dato il suo nome ad un nuovo nato.
Io, sbalordito ed incredulo per questa affermazione, gli dissi che certamente questo era “per finta” cioè gli chiesi
conferma che questo era un modo di dire per sottolineare che il nome del defunto era di nuovo portato da qualcuno,
in suo ricordo. Ma ancora la risposta non fu quella che mi aspettavo.
Egli mi confermò infatti quanto mi aveva appena detto precisandomi che, se tutto fosse avvenuto in tempi brevi,
disse entro i primi due anni circa dalla morte, il defunto sarebbe davvero ritornato in vita e, forse vedendo con quale
meraviglia lo stavo ascoltando, aggiunse che questo era ciò che avevano sempre detto “gli anziani” con evidente
riferimento a persone, nonni o altro, dell’ambito familiare e non.
La curiosità poi mi spinse a chiedergli cosa succedeva dopo i due anni e la risposta, ancora una volta sbalorditiva, fu
che dopo quel periodo il defunto si perdeva nei cieli, chissà dove, e non era più possibile riportarlo in vita.
A quel punto allora chiesi di me stesso che sapevo portare il nome di mio nonno, ed egli mi confermò che con quella
scelta avevano inteso “richiamare” il mio povero nonno.
Questa spiegazione non mi convinse affatto perché, pensai, io non mi sentivo niente altro che me stesso, e niente mi
convinceva della bontà delle sue affermazioni.
Non riesco a ricordare con precisione ma credo di potere affermare che in quel periodo io non avevo ancora ripreso
gli episodi della mia prima infanzia che ho riportato e certo la prospettiva da lui richiamata non mi ha mai
appassionato e, nonostante le mie esperienze, ho sempre pensato e confidato nella unicità della mia personalità.
Questo episodio è comunque sempre rimasto alla mia mente negli anni.
Oggi il ricordare quanto appena esposto mi fa riflettere sul fatto che, al di là della discutibilità di alcuni
passaggi contenuti in queste affermazioni, una credenza così importante come la possibilità di un ritorno
alla vita, riportata fino ai giorni nostri sebbene forse mantenuta solo nell’ambito di qualche marginale
nucleo famigliare contadino come era quello della mia famiglia, sia stata così soffocata.
Certamente è una credenza ereditata da una cultura esistente sul territorio risalente a periodi molto lontani
nel tempo e comunque ricordo e patrimonio di una società che evidentemente annunciava e credeva in
questa possibilità.
Sicuramente, nella cancellazione di questa cultura, grandi responsabilità ha, forse assieme ad altro, anche
l’insegnamento cattolico.
Un insegnamento che esclude in modo categorico e che ancora oggi soffoca e combatte ogni discussione
sulla possibilità di un ritorno, in qualche modo e di qualche cosa, alla vita materiale.
E nel tempo certo ha soffocato e combattuto, non solo con argomentazioni teologiche, la visione di un
possibile ritorno diverso da quello, da essa annunciato, della resurrezione finale della materia.
Devo comunque aggiungere che nonostante io possa dire, per i ricordi riportati in precedenza, che la mia
nascita a questa vita è certamente stata un passaggio da un’altra condizione e non una nascita dal nulla,
ad oggi non vedo certezze e mi interrogo sulla bontà delle teorie che vedono il ritorno automatico alla vita
della stessa entità o dello stesso essere già vissuto in altra o altre occasioni.
E pure non mi sento di ritenerlo impossibile.
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ultima parte
Certo gli interrogativi sono molti, ma in particolare non vedo spiegazioni logiche al buio che circonda
questi eventuali ritorni, non mi spiego il perché di questa mancanza totale di ricordi che tolgono molto
senso ad un ritorno che, almeno apparentemente e per terrena “logica”, rimane, così, poco motivato.
Continuo ad essere legato, come molti, alla mia identità attuale e fatico a vedere come mie la vita o le vite
eventualmente trascorse in precedenza.
In fondo è proprio questo forse che non mi ha ancora fatto aderire ai vari inviti ricevuti, tesi ad indagare su
di esse con la regressione.
Oggi comunque questa identità la vedo ormai in una tale relazione col resto dell’esistente, per quanto tutto
ciò che ci circonda ci dà fino quasi a costituirci, da farle perdere quella caratteristica di individualità
personale che sfocia in ciò che normalmente si intende per “Io”.
È un “io” che è troppo “altro” per potere essere considerato quell’ “IO” così esclusivo che tanto ci è
caro.
10) EPISODIO
PREMESSA
Quale premessa a questo episodio ed al prossimo devo dire di una specie di giochi che, a partire da ragazzo e sino a
circa 16-18 anni, mi capitava di fare.
Uno di questi giochi consisteva nell’interrogarmi con insistenza su quanto facevo o pensavo e nel chiedermi perché
lo facevo oppure lo pensavo ed ancora, in seguito alle risposte che mi davo, mi chiedevo poi il perché mi davo
quelle risposte.
Era una specie di gioco del “ perché” , mi interrogavo sulle risposte che mi davo e poi ancora sul perché mi davo
queste spiegazioni e così a cascata in un interrogarmi che ricordo alquanto difficile e faticoso soprattutto con il
procedere dei vari gradi di risposta, ricordo di averne contati, una sola volta, fino a nove o dieci.
Nel pormi questi interrogativi mettevo in dubbio la veridicità della mia risposta, ponevo in discussione le risposte
che davo a me stesso, senza quindi dare per scontato che esse fossero sincere, e cercavo di vedere quale fosse la mia
reazione ad un diverso tipo di risposta.
Mi capitava che le risposte a volte non venissero o di non trovare altre possibili risposte, l’argomento mi sembrava
esaurito ma poi, con tentativi di risposta quasi provocatori, trovavo infine una spiegazione o una motivazione che,
oltre ad essere spesso insospettata, a volte era anche sbalorditiva.
Arrivavo a volte a vedere che la motivazione ultima vera e profonda era quasi opposta alla prima risposta.
Erano come delle auto analisi o riflessioni su miei comportamenti e pensieri che, ricordo, mi hanno fatto capire
come l’uomo spesso si celi a sé stesso e dia a sé spiegazioni e motivazioni false, di comodo e non veritiere.
In più occasioni mi sono reso conto di come egli nasconda spesso i suoi più intimi pensieri e desideri e soprattutto
le sue più profonde motivazioni, e quindi forse la sua vera natura, a sé medesimo.
È un esercizio che non mi capita più di fare da moltissimo tempo, spero che sia perché non ne ho la necessità, ma
dubito che sia così, forse è solo pigrizia e mancanza di tempo.
Certamente è un gioco o esercizio che mi ha aiutato quantomeno ad evitare che nel corso del tempo io eccedessi nel
gioco inconscio, in cui penso facilmente si possa cadere, del nascondersi a se stessi.
Circa nello stesso periodo, o molto a ridosso di esso, oltre a questa specie di “indagine interiore” che, pur creando
a volte una antitesi ovvero l'emergere quasi di un altro me stesso, vedeva comunque solo me quale attore, mi
capitava anche di allargare le domande ad una immaginaria terza persona ponendomi poi in ascolto della risposta
e senza cercarla in me stesso.
Il gioco qui cambiava, era un po' il supporre la presenza di un compagno occulto, una specie di angelo custode con
cui cercare di interloquire e, mentre nella indagine prima descritta io proponevo e suggerivo risposte, in questo
caso io cercavo solo di ascoltare senza nulla prospettare.
Anche da questi “colloqui-pensieri” nascevano risposte strane mai riportate ad alcuno in quanto fino ad ora ho
cercato di vedere tutto ciò appunto piuttosto come un gioco.
Certo restavo perplesso quando sentivo risposte o suggerimenti che non capivo come potessero nascere in me, ma
mi limitavo a prenderne atto con un poco di meraviglia e stupore ma cercando di non darvi troppa importanza.
Ho sempre voluto vedere questi fatti come un gioco che, magari per caso, poteva anche portare al risultato
apparentemente sbalorditivo del vedere nel tempo confermate sensazioni e voci, oltretutto spesso labili al punto da
fare dubitare della esattezza di tale appellativo. Ho cercato a lungo, su questi episodi, di conservare questa visione
prospettica, sebbene senza chiudermi aprioristicamente alla eventualità che così non fosse.
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ultima parte
Ed i dubbi si sono nel tempo largamente dissolti man mano che vedevo confermati suggerimenti e risposte.
Riuscivo così ad aprire ad altre possibili letture e visioni anche tanti di quei fatti ed eventi che la vita ci fa
incontrare e troppo spesso addebitiamo, semplicisticamente, a quell’ -irrazionale- “caso” a cui siamo soliti
pensare.
Credo anche, oggi, che sia opportuno sui tanti fenomeni strani che la vita ci presenta, non avere la certezza che si
tratti solo di fantasie o suggestioni o qualche altro “nulla”, per aprirci quantomeno a quell’ imponderabile che non
è per forza l’inanimato nulla che abitualmente vediamo nel “caso”.
Riporto ora il 10° episodio, è un episodio che ho già raccontato da tempo a mia moglie, che ne è interessata e su di
esso con lei abbiamo più volte scherzato.
Lo riporto unicamente perché credo sia una cosa simpatica e soprattutto può dare il senso di cosa intendo per quei
“colloqui-pensieri”.
EPISODIO
Durante le scuole superiori, al 4 o al 5 anno, mi chiedevo con quale dei miei compagni di classe avessi potuto avere
dei vecchi e non conosciuti legami di parentela.
Ad un certo punto iniziai una sorta di gioco che consisteva nel considerare le caratteristiche fisiche e di carattere dei
miei compagni e nel provare a dare risposte alla possibilità di una lontana parentela per poi tentare di ascoltare in
me risposte o sensazioni che potessero confermare o meno la possibile parentela.
In sostanza dopo avere fermato la mia attenzione su ciascuno dei miei compagni facevo una specie di vuoto interiore
cercando poi di ascoltare le risposte o sensazioni che, in quel vuoto, potevano nascere.
Ricordo che una risposta o sensazione positiva sul fatto che potesse esservi fra noi un vecchio legame di parentela,
la ebbi con un compagno di cognome Torelli e forse sarà un caso, ma nella ricerca sull’albero genealogico che ho
recentemente condotto, ho scoperto che una mia trisnonna era una Torelli.
Ma la cosa simpatica è quest’altra che ora racconto.
Sempre le stesse risposte mi suggerivano un altro mio compagno sempre come a me legato da vincoli di parentela.
Questo mio compagno, cui oggi penso con sincero affetto, pur essendo un buon ragazzo ai miei occhi era troppo
incostante e discontinuo era ragazzo affabile e simpatico ma per me instabile e quel suo carattere non lo legava
molto ai compagni.
La vita purtroppo non lo ha molto premiato.
Con lui, contrariamente all’altro compagno prima citato, io non riuscivo a trovare affinità e non mi entusiasmava
molto l' idea di essere legato a lui.
Mi ribellai pertanto a quella risposta dicendo che non poteva essere così e che mi rifiutavo di accettare quella
indicazione di parentela.
Quella risposta, che non volevo accettare per manifesta lontananza di carattere, mi fece anche dire che quanto stavo
facendo era una cosa senza senso ed aumentarono i miei già fortissimi dubbi sui risultati del gioco.
Siccome però questa sensazione era comunque abbastanza chiara, cercai di approfondire e capire quella indicazione.
Dissi allora a me stesso, sempre come interrogando quella sensazione o voce sconosciuta che in qualche modo
interloquiva con me, che probabilmente quel mio compagno avrebbe potuto diventare mio parente in futuro, forse
per il tramite della mia eventuale futura moglie.
A questa mia ipotesi ricevetti una chiara e forte risposta affermativa, con quel cognome io mi sarei imparentato a
seguito del mio futuro, ed a quei tempi mentalmente e anche praticamente molto lontano, matrimonio.
La cosa non mi piaceva comunque ma ne presi atto ed abbandonai il gioco perdendo, non poco, la fiducia in esso ed
in ciò che ne era scaturito.
Questo episodio mi tornò alla mente nel tempo e, quando ormai ero sposato felicemente con mia moglie che ho
conosciuto alcuni anni dopo quell’episodio ed il cui cognome non corrisponde a quello del compagno citato, fui
felice di essere scampato a quella sgradita parentela.
Ma, dopo molti anni di matrimonio e con grande sorpresa, ho poi appreso che la bisnonna di mia moglie da parte di
padre aveva proprio quel cognome e così dovetti ammettere che le risposte agli interrogativi di quel “gioco” furono
esatte ed ancora oggi mi interrogo sulla pura casualità di quanto avvenuto.
Naturalmente scherzammo molto con mia moglie sulla ineluttabilità di questa parentela a cui avevo inutilmente
tentato di ribellarmi senza nulla potere.
Come dicevo oggi non posso più affermare che queste specie di colloqui fossero solo fantasia o gioco e,
conseguentemente, devo convenire con Eraclito che quelle che comunemente vengono ritenute “casualità” siano in
realtà un accadere indotto e provocato-necessitato.
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ultima parte
Indotto e provocato-necessitato non solo con la nostra, più o meno conscia, partecipazione, ma forse anche da altro
che non abbiamo modo di afferrare a pieno.
E il fatto che non riusciamo ad afferrarlo non mi autorizza a dire che non possa così essere.
11) EPISODIO
Riporto ora un episodio mai riferito a persona ma che trovo sia ora il caso di raccontare almeno a questi fogli.
Non riesco a ricordare il periodo esatto, comunque dentro a quell’arco di tempo a cui accennavo nella premessa del
precedente episodio, in cui si sono verificati questi strani “colloqui” di cui ora parlerò, ritengo comunque che si
siano svolti in un tempo abbastanza lungo anche se in esso molto rarefatti.
Ricordo che, mentre pensavo e appunto “colloquiavo” con quel mio supposto compagno su di me e sul mio futuro,
mi sono sentito “suggerire”, forse mentre analizzavo anche questa possibilità, la strada del ritiro religioso.
Questa ipotesi, così pensata e/o suggerita, io però non riuscivo proprio ad accettarla, essa non mi attraeva
assolutamente ed anzi la rifiutavo.
Rispondevo, in questo mio strano “colloquiare” quasi con me stesso, che quella prospettiva di vita non era ciò che
volevo, io pensavo a cercare di migliorare la mia condizione economica per vedere come si viveva in relativa
agiatezza o quantomeno non in quella ristrettezza che mi era sembrato di vedere nella vita dei miei primi anni, una
vita tanto diversa da quelle che pensavo di intravedere nelle poche figure dei commercianti e proprietari terrieri che
avevo avuto modo di conoscere.
Ed inoltre avevo il desiderio di vivere la vita andandole incontro per assaporarla nei suoi aspetti mentre quella
ipotesi era da me vista come una chiusura ad essa, un triste e comodo isolamento cui non volevo indirizzarmi.
Ma quello che col tempo sempre più si mostrava come un mio “interlocutore” continuava a suggerirmi
ostinatamente la sua proposta di ritiro religioso.
Cercai allora di motivare il mio desiderio di fare il cammino a cui pensavo, spiegando che esso non derivava dalla
volontà di possedere denaro, ma bensì dal desiderio di potere dimostrare che anche io, nato relativamente povero,
potevo diventare benestante.
Non era un banale espediente, effettivamente non mi attirava particolarmente il denaro in se, ma certo non
abbracciavo volentieri l’idea di potere vivere la mia vita in modo forzatamente dimesso, una tale prospettiva non mi
attraeva ed anzi ne volevo rifuggire.
Ma anche questo tentativo fu inutile, il forte suggerimento che mi arrivava era sempre lo stesso, costante ed
energico.
Un giorno, in questo “discutere”, completai il quadro delle aspettative che io avevo sul mio futuro dicendo a questo
“interlocutore” che volevo sposarmi ed avere figli “perché volevo dare un nipote a mio padre”, dissi che non volevo
e non mi sembrava giusto lasciarlo senza quell’ erede che lui certamente desiderava.
Sentii a quel punto un silenzio profondo, glaciale : un vuoto inaspettato che finiva col dare ancora
maggior corpo a quella presenza così allontanatasi.
Per la prima volta capii che l’argomento toccato poteva forse fare accettare, a quell’interlocutore, i miei desideri.
Quel silenzio si prolungò per un periodo piuttosto lungo poi, in una successiva occasione, quella “voce” tornò -per
l’ultima volta mi disse- e mai più infatti ho potuto riascoltarla.
Riporto quanto “dettomi” in quell’ultimo “colloquio”:
Disse che avrei potuto fare ciò che desideravo.
Mi disse che sarei riuscito ad avere ciò a cui aspiravo ed a diventare benestante come io volevo.
Mi disse anche che però ora doveva abbandonarmi,
che non avrebbe più potuto restare con me e, prima di abbandonarmi definitivamente,
mi raccomandò vivamente, quasi implorandomi, di liberarmi del denaro e di “buttarlo via” ,
prima di morire, “perché solo così mi sarei potuto salvare.”
Questa ultima fu una raccomandazione molto forte, ricordo molto bene il particolare di questo ammonimento
secondo cui, per salvarmi, prima di morire avrei dovuto “buttare” quel denaro oggetto per tanto tempo delle nostre
discussioni.
Ricordo che, come ho già detto, ho sempre cercato di vedere questi miei momenti come un gioco, seppur comunque
mantenendo su di esso tante perplessità.
Non sapevo infatti spiegarmi come si potessero essere formate, in me, molte di quelle frasi e di quei ragionamenti,
così lontani dai miei pensieri.
Perché e dove nasceva quella insistenza sulla strada religiosa se io non riuscivo ad accettarla, se volevo altro?.
E la parte finale di questi “colloqui”, quell’ “ora ti devo abbandonare” da dove avrei potuto trarlo fuori?.
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ultima parte
Ed anche quella insistente raccomandazione a “buttare il denaro”, avrebbe potuto anche questa essere
inconsciamente mia ?.
Molto a lungo ho sperato e desiderato che tutto fosse solo gioco o fantasia: ho sempre sperato, e forse un poco spero
ancora, di essermi sbagliato o quantomeno che tutto non fosse così ultimativo.
Infine devo dire anche che prima di questo ultimo “messaggio” mi disse un'altra cosa, anche questa come tutto ciò
che riporto in questo episodio mai rivelata ad alcuno: messaggio e cosa che ancora oggi non riesco a rendere nota.
È una sorte di predizione che, potendo interessare terze persone, ancora terrò per me : se fossero solo mie fantasie,
come ancora se pur debolmente ormai spero siano, sarebbe molto sbagliato coinvolgere altri.
In merito a tutto quanto esposto in questo 11° episodio vorrei dire che mi sono sempre limitato a prendere in
considerazione tutto senza volerlo catalogare per forza: ho aspettato ed aspetto gli eventi per potere sapere e dire di
cosa si è trattato ma tante coincidenze sin qui verificatesi mi portano ad una apertura di credito ben superiore che in
passato a che si sia trattato di una forma di comunicazione, sebbene inconsueta, con un’altra dimensione.
NOTA FINALE
Concludo scusandomi se in questi scritti qualcuno avrà trovato offese, non volute, dove io invece intendevo fare solo
riflessioni in una analisi-esegesi che ha portato a considerazioni e constatazioni in nulla preconcette o aprioristiche.
Chiudo infine questi scritti con un auguro, quello che essi possano portare chi li legga ad imboccare e compiere quel
“cammino-non cammino”, quel duro e difficile “svelamento”, “ritorno-resurrezione” infine straordinariamente dolce
ed illuminante, che solo personalmente ognuno può fare. Saranno serviti questi scritti se avranno contribuito a far sì
che qualcuno riesca a trovare le “Muse” di Esiodo ed Euripide o il “desiderio” e le “accorte cavalle” di Parmenide
ovvero la “arditezza” e le “ali” delle parole di Giordano Bruno: se qualcuno saprà “cercare” ed <..alzarsi..> come
ha chiesto di fare Gesù.
Mi scuso anche il turbamento che questo scritto potrà avere suscitato, un turbamento che però “non deve essere”
come recita una interessante “poesia” che riporto volentieri a chiusura di questi scritti. Scritti per i quali non
cercherò né accetterò mai compensi poiché anche su questo bene insegna Socrate che per quanto ci viene detto:
<..rifiutava di farsi pagare.… e coloro che riscuotevano un compenso… li definiva asservitori di sé stessi...>
( Senofonte, Memorabili i,2.6).
< ..C'è il Divino? Certo che c'è ben oltre la miseria della vostra mente...
il Divino di cui parlate cos'è se non banalità ? Quale è il Divino che conta ?
Quello che si rivela quando tutto tace… quello che è sempre dentro di voi,
ma che sempre la mente occulta... quello che non vi lascia scampo, quello che vi toglie ogni affermazione sul
Divino … quello che vi costringe, nonostante voi, ad aderire alla assenza..>
(Cerchio Marina, L'esperienza del deserto)
< Le cavalle che portano fin dove l'animo desidera giungere mi accompagnarono,
dopo che mi ebbero condotto e posto sulla via che dice molte cose, che appartiene alla divinità
e che porta in tutti i luoghi l’uomo che sa; là fui portato.. là mi portarono accorte cavalle tirando il mio carro,
e fanciulle indicavano la via. L'asse dei mozzi mandava un sibilo acuto, infiammandosi...
quando affrettavano il corso...le fanciulle Figlie del Sole, dopo avere lasciato le case della Notte, verso la Luce..
Là è la porta che divide i sentieri della Notte e del Giorno... rinchiusa da grandi battenti...di questi, Giustizia, che
molto punisce, tiene le chiavi che aprono e chiudono...e la dea benevola mi accolse e mi rivolse la parola :
“O giovane.... compagno di immortali guidatrici, …non un’infausta sorte ti ha condotto a percorrere questo
cammino … ma Legge divina e giustizia. Bisogna che tu tutto apprenda:
e il solido cuore della Verità ben rotonda e le opinioni dei mortali, nelle quali non c’è una vera certezza.
Eppure anche questo imparerai :
come le cose che appaiono bisognava che veramente fossero, essendo tutte in ogni senso” >
(da :Parmenide.info e Filosofico.net)
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ultima parte
< E io grazie alle Muse mi innalzai sublime, e, dopo aver fatto numerosi discorsi, nulla trovai più forte
della Necessità..>(Euripide, Alcesti 962 ss)
< Alla mente che ha ispirato il mio cuore con arditezza d'immaginazione piacque
dotarmi le spalle di ali e condurre il mio cuore verso una meta stabilita da un ordine eccelso,
in nome del quale è possibile disprezzare e la fortuna e la morte.
Si aprono arcane porte e si spezzano le catene che solo pochi elusero e da cui solo pochi si sciolsero...
Così io sorgo impavido a solcare coll'ali l'immensità dello spazio, senza che il pregiudizio mi faccia arretrare
contro le sfere celesti,la cui esistenza fu erroneamente dedotta da un falso principio,
affinché fossimo come rinchiusi in un fittizio carcere...
Ma per me migliore è quella mente che ha disperso ovunque quelle nubi e ha distrutto l'Olimpo che accomuna...in
un'unica prigione..per cui da ogni parte si spande liberamente il sottile aere.
Mentre mi incammino sicuro, felicemente innalzato da uno studio appassionato,
divengo Guida, Legge, Luce, Vate, Padre, Aurore e Via:
mentre mi sollevo da questo mondo verso altri mondi lucenti e percorro da ogni parte l'etereo spazio,
lascio dietro le spalle, lontano, lo stupore degli attoniti >
(Giordano Bruno - De Immenso I 417sg)
Ho conosciuto gli uomini
Ho conosciuto l' amore degli uomini, ed era possessivo.
Ho conosciuto la loro amicizia, ed era sfruttamento.
Ho conosciuto il loro aiuto, ed era umiliazione.
Ho conosciuto la pietà degli uomini, ed era degnazione.
La loro protezione, ma aveva un secondo fine.
Ho conosciuto la giustizia degli uomini, ma era parziale.
La loro forza, ma era brutalità.
La loro onestà, ma era apparenza.
Ho conosciuto la fede degli uomini, ma era una prigione.
La loro filosofia, ed era cenere.
La loro scienza, ed era cecità.
Ho conosciuto la compagnia degli uomini, ma non mi riempiva.
Tutto questo ho conosciuto ed assaporato e, restandone turbato,
ho compreso di non essere morto a me stesso.
Dali
( Cerchio Firenze 77)
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Axum, Etiopia
Nel “Parco delle steli”, un’area dedicata all’aldilà con monumentali obelischi risalenti al VII-I sec. aC, troviamo
un inconsueto monumento che verosimilmente testimonia della credenza nella “reincarnazione”: una porta aperta
tra il mondo divino puro ed incontaminato di cui dice la parte grezza e non lavorata della lastra (sul retro),ed il
mondo umano terreno di cui dice la parte lavorata e spianata (sul fronte) della stessa lastra.
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539
bibliografia
BIBLIOGRAFIA
A Diogneto – a cura Matteo Perrini – Brescia - La Scuola 1984
Al di là del bene e del male – F. Nietzsche – Sossio Giametta – Milano – Rizzoli 1992
Alessandro e Ario – a cura di Enzo Bellini – Milano – Jaca Book
Allegorie e paradigmi etici in Filone A. - Roberto Radice – Milano – Vita e Pensiero 2000
Antichi culti misterici – W. Burkhert – Laterza – Roma-Bari 1989
Argomenti filosofici di Origene contro la metemsomatosi – M.Maritano – Academia.edu
Avesta – a cura A. Alberti – Torino – Utet 2004
Conflitti politico ecclesiastici in oriente nella tarda antichità : Il II Concilio di Efeso”Silvia Acerbi - Università Complutense, Madrid Contro le eresie e gli altri scritti – Ireneo di Lione – Milano – Jaca Book 1997
Corpus Hermeticum – a cura Ilaria Ramelli – Milano – Bompiani 2005
Così non sia – Uta Ranke Heinemann – Milano – Rizzoli 1993
Così parlò Zarathustra – F. Nietzsche – Roma – Newton & Compton 1980
Dal kētos al sēnmurv? Mutazioni...(Hortus Artium M.) – S. Riccioni – http://unive.academia.edu/StefanoRiccioni
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542
indice delle parole di Gesù
INDICE
DELLE PAROLE DI GESÙ E DI ALTRI PASSI EVANGELICI
VANGELO di MATTEO
3.1 (p.120)
3.3
(p.274)
3.8 (p.88-286)
3.11 (p.81-286-287-317)
3.16 (p.391)
3.36 (p.175)
4.1 (p.174-182)
4.1-11 (p.192)
4.8,9 (p.137)
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(p.23-39-181)
5.13 (p.419)
5.14-16 (p.418)
5.17 (p.98-100-303)
5.17,18 (p.100-107)
5.18 (p.251-303)
5.20 (p.100)
5.21 sg
(p.99-100 )
5.21,22,23 (p.65- 101)
5.27 sg (p.101)
5.33-39 (p.103-104)
5.43,44 (p.104)
5.44-45 (p.36 )
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6.3
(p.42-83)
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(p.237)
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10.5-6 (p.24-25-73-100-233)
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(p.302)
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(p.195)
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11.19 (p.223-259-351)
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(p.195-313-329)
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12.36 sg (p.238-254-265)
12.39-40 (p.188-226-388-389)
12.43;45 (p.226-227-263)
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13.1-23 (p.417)
13.12,13 (p.16-88-116-156-213-229-311-333)
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13.45,46 (p.419)
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13.49 (p.265)
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(p.21-200-201)
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indice delle parole di Gesù
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(p.103-259)
22.28-32 (p.211-214)
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(p.185-313-380)
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(p.80)
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indice delle parole di Gesù
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VANGELO di GIOVANNI
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9.2
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(p.21)
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5.3
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5.58
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8.58
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9.34 (p.21-76-204-207-208-226)
10.1-18; 22-39 (p.422)
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14.9 (p.274)
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15.1-8 (p.423)
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VANGELO di GIUDA DIDIMO TOMMASO
2 (p.84-86-499)
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9 (p.417)
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13 (p.364)
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indice delle parole di Gesù
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(p.417-423)
(p.26-235)
(p.363)
(p.147-343-362)
VANGELO di FILIPPO
13 (p.72)
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