Costantino, i barbari e la riforma della
prefettura del pretorio
Filippo Bonin∗
Dopo la vittoria conseguita a Crisopoli ai danni di Licinio il 18 settembre del 324 d.C.,
Costantino si trovò a dover amministrare da solo un grande impero, uscito sconvolto
dallo scontro tra i due imperatori e costantemente minacciato dalle invasioni barbariche,
che in quel periodo interessarono soprattutto il confine orientale e quello danubiano1.
Proprio l’esigenza, invero del tutto contingente, di risolvere i problemi insorti nei due
confini dell’impero avrebbe determinato Costantino a operare una riforma
amministrativa dalla portata così rivoluzionaria da eguagliare, come talora è stato
sostenuto, il più celebre intervento realizzato nel secolo precedente da Diocleziano2.
Particolare attenzione sarà rivolta all’analisi di alcune fonti storiografiche di epoca
successiva, che forniscono elementi fondamentali e decisivi per la comprensione della
riforma, nonché più in generale dei rapporti tra l’imperatore e i barbari3.
Fino al 324 d.C. le fonti attestano l’esistenza di due prefetti del pretorio,
completamente inseriti, quanto alle funzioni svolte, nel comitatus dell’imperatore4. Oltre
alle competenze in materia fiscale e di giustizia civile, ampiamente attestate dalle fonti e
discusse in dottrina5, sappiamo che i due prefetti del pretorio avevano anche attribuzioni
∗Filippo Bonin è wissenschaftlicher Mitarbeiter all’Institut für römisches Recht dell’Università di Colonia.
1
Si tratta del momento in cui Costantino assume la titolatura di victor, anziché di invictus. Sul punto si è
espresso S. MAZZARINO, Il Basso Impero. Antico, tardoantico ed era costantiniana, II, 2a ed., Bari, 2003, p. 302
ss., il quale fissa il momento della comparsa del termine victor al dies che Costantino stesso, come dimostra
CTh. 7.20.1, considerò l’inizio di un nuovo mondo e cioè il 3 luglio del 324 d.C., giorno della battaglia di
Adrianopoli.
2 Sul tema della riforma si vedano A. MARCONE, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Bari 2002 p.
152-160; P. PORENA, Le origini della prefettura del pretorio tardoantica, Roma, 2003, p. 498 ss.; D.
VERA, Costantino riformatore, in A. DONATI, G. GENTILI (a cura di), Costantino il Grande. La civiltà antica al
bivio tra Occidente e Oriente, Milano, 2005, p. 26-35; C. KELLY, Bureaucracy and Government, in N. LENSKI (a
cura di), The Cambridge Companion to the Age of Constantine, Cambridge, 2006, p. 183-204; G. DEPEYROT,
Economy and Society, ivi, p. 226-252; H. BRANDT, Konstantins Reformen, in A. DEMANDT, J. ENGEMANN (a
cura di), Konstantin der Grosse. Geschichte – Archäologie – Rezeption, Trier, 2006, p. 31 ss.; B. BLECKMANN,
Konstantin der Große: Reformer der römischen Welt, in F. SCHULLER, H. WOLFF (a cura di), Konstantin der Große.
Kaiser einer Epochenwende, Lindenberg 2007, p. 26-68.
3 Si veda sul punto A. PIRAS, La politica con i Sasanidi. Conflitti, diplomazia e nuove problematiche religiose, in P.
BROWN et al. (a cura di), Costantino I. Enciclopedia Costantiniana sulla figura e l'immagine dell'imperatore del
cosiddetto editto di Milano 313-2013, I, Roma, 2013, p. 415 ss.
4 Cfr. P. PORENA, Le origini della prefettura del pretorio, cit., p. 340 e p. 382.
5 Si vedano, tra gli altri, A.H.M. JONES, The Later Roman Empire, II, Oxford, 1964, trad. it., Il tardo impero
romano 284-602 d.C., Milano, 1974, p. 76; C. LONGO-G. SCHERILLO, Storia del diritto romano. Costituzione e
fonti del diritto, Milano, 1970, p. 248 ss; F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, V, 2a ed., Napoli,
1975, p. 298; F. DE MARINI AVONZO, Dall’impero cristiano al medioevo, Goldbach, 2001, p. 219 nt. 146; B.
Cultura giuridica e diritto vivente, Vol. 3 (2016)
Cultura giuridica e diritto vivente, Vol. 3 (2016)
di tipo militare6. L’attribuzione, rectius conservazione, del potere di comando e
disciplinare sull’esercito all’alto funzionario nel primo quarto del IV secolo d.C. si ricava
da una testimonianza dello storico Zosimo che, prima di affrontare in modo critico la
riforma costantiniana della prefettura del pretorio, offre un quadro delle funzioni assolte
dal prefetto nel periodo precedente alla stessa7. Zosimo attesta che esistevano due
prefetti del pretorio, operanti in maniera collegiale8. Alla loro competenza e autorità
erano sottoposte non solo le truppe di corte, ma anche quelle incaricate della difesa della
città di Roma, nonché quelle di stanza lungo i confini dell’impero; i poteri del prefetto
del pretorio, secondo solo all’imperatore, in ambito militare consistevano
nell’approvvigionamento dell’esercito e nella punizione dei reati contro la disciplina
militare9. Ebbene, sulla base delle testimonianze di Giorgio Cedreno10 e Michele il Siro11
SANTALUCIA, Diritto e processo penale nell’antica Roma, 2a ed., Milano, 1998, p. 221 ss.; M. KASER-K. HACKL,
Das römische Zivilprozessrecht, 2a ed., München, 1996, p. 531 ss.; F. PERGAMI, L’attività giurisdizionale dei prefetti
del pretorio nell’assetto costituzionale della tarda antichità, in M.P. BACCARI, C. CASCIONE (a cura di), Tradizione
romanistica e Costituzione, II, Napoli, 2006 (adesso anche in ID., Studi di diritto romano tardoantico, Torino,
2011), p. 313 ss.; F. GORIA, La prefettura del pretorio tardo-antica e la sua attività edittale, (Lezione tenuta presso la
Sede napoletana dell'AST il 24 maggio 2011, in www.studitardoantichi.org, p. 3); J.N. DILLON, The justice of
Constantin, law, communication and control, Ann Arbor, 2012, p. 248.
6 Cfr. F. GRELLE-L. FANIZZA, Diritto e società nel mondo romano, Roma, 2005, p. 258 ss., ove bibliografia.
7 Zos. II 32, 1-2.
8 Cfr. P. PORENA, Le origini della prefettura del pretorio, cit., p. 340.
9 Zos. II 32, 1-2.
10 Giorgio Cedreno è un cronografo bizantino vissuto a cavallo tra i secoli XI e XII ed è autore di una
storia universale in lingua greca, tradotta in latino da Bekker nella prima metà del XVIII secolo e intitolata
Compendium Historiarum. Sappiamo che le fonti cui Cedreno attinse furono tra gli altri Giovanni Scilitze,
Giorgio Sincello, Teofane, ma soprattutto lo Ps.-Simeone e, come si dirà a breve, per il tramite di
quest’ultimo Giovanni Malala. Si vedano F. HIRSCH, Byz. Studien, Berlino 1876, p. 375 ss.; H. GELZER,
Sextus Julius Africanus und die Byzantinische Cronographie, II; Leipzig, 1885, p. 357-384; K.
KRUMBACHER, Gesch. d. byz Litteratura, 2ª ed., Monaco 1897, p. 368 ss; K. PREACHTER, Quellenkritische
Studien zu Kedrenos (Cod. Paris g. 1712), in Sitzungsb. Der. Philos. – philol.-hist. Classe der k.b. Akad. Der Wiss. Zu
München, München 1898, p. 3-107; D. SERRUYS, Recherches sur l’Epitomé (Théodose de Mélitène, Léon Le
Grammarien, Syméon Logothète etc., in Byz: Zeit., 16, 1907, p. 1-51; N. IORGA, Médaillons d’histoire littéraire
byzantine, I: Les historiens, in Byzantion, 2, 1925, p. 275-277; K. SCHWEINBURG, Die ursprüngliche Form der
Kedrenchronik, in Byz. Zeit., 30, 1930, p. 1-138; N.M. PANAGHIOTAKIS, Λέων ὁ Διάκονος, in Ἐπετ. ἑταιρ.
Βυζ. σπ., 34, 1965, p. 1-138; R. MAISANO, Sulla tradizione manoscritta di Giorgio Cedreno, in Rivista di studi
Bizantini e Neoellenici, 14, 1977, p. 179-201; H. HUNGER, Die hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, I,
München, 1978, p. 393-394; R. MAISANO, In margine al Codice Vaticano di Giorgio Cedreno, in Racconti
dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti di Napoli, 57, 1982, p. 67-90; M. DIMAIO, History and Mith in
Zonaras’ Epitome Historiarum: the Chronographer as Editor, in Byz. Stud./Etud. Byz., 10, 1983, p. 19-28; R.
MAISANO, Il codice sianitico della Cronaca di Giorgio Cedreno, in P.L. LEONE (a cura di) Studi Bizantini e Neogreci,
Galatina, 1983, p. 69-77; ID., Note su Giorgio Cedreno e la tradizione storiografica bizantina, in Rivista di Studi
Bizantini e Slavi, 3, 1983, p. 227-248, il quale peraltro rileva come l’ultima sezione dell’opera di Cedreno,
quella relativa all’età tardoantica, oltre a essere la più ampia, sia anche la più ordinata; C. MANGO, The
tradition of Byzantine Chronography, in Harward Ukrainian Studies, 13, 1989, p. 360-372; e da ultimo L.
TARTAGLIA, Meccanismi di compilazione nella Cronaca di Giorgio Cedreno, in Quaderni di Acme, 87, 2007, p. 239255, il quale più volte indica come principali fonti dello storico lo Ps.-Simeone e Giorgio Monaco.
11 Del patriarca siriaco monofisita di Antiochia sappiamo che visse nell’età compresa tra il 1126 e il 1199 e
che scrisse numerosi trattati, tra cui la Chronaca. Si tratta di una storia redatta in ventun libri, che arriva
sino all’anno 1195, tradotta in francese da Jean Baptiste Chabot. Michele leggeva Eusebio (in particolare i
Chronici Canones), Socrate, Giuseppe Flavio, Teodoreto di Ciro e Andronico; è lo storico stesso a
informarci di ciò nella sua prefazione alla Cronaca. Nonostante la notevole distanza temporale dai fatti
che narra, Michele è stato più volte utilizzato dalla romanistica come preziosa fonte in ordine ai fatti
svoltisi in Oriente (e non solo) in età tardoantica. A tale precipuo riguardo si possono citare E. STEIN,
Geschichte des Spätrömischen Reiches, I, p. 375; P. DE FRANCISCI, Arcana Imperii, III/II, Milano, 1948, p. 168;
21
Filippo Bonin, Costantino, i barbari e la riforma della prefettura del pretorio
e della loro genesi storiografica sembrerebbe possibile procedere a una ricostruzione
della nascita e dell’articolazione della riforma costantiniana della prefettura del
pretorio12, che si snoda in tre momenti fondamentali: una prima fase in cui la carica
viene per così dire moltiplicata, una seconda e intermedia in cui il prefetto del pretorio
per l’Oriente fa ancora parte del comitatus imperiale e, a differenza degli altri, non è
formalmente distaccato dal palazzo imperiale e, infine, una terza fase, caratterizzata dalla
sottrazione dei poteri militari alla carica e dal definitivo allontanamento dal comitatus del
prefetto orientale13.
Il momento iniziale della riforma può senza particolari difficoltà essere rinvenuto
nella moltiplicazione del numero dei prefetti. Illuminante sul punto è ancora una volta
Zosimo, il quale innanzitutto attesta che l’imperatore istituì quattro prefetti del pretorio
aventi competenza sui territori occidentali dell’impero14. Tale circostanza trova una netta
e decisiva conferma in quanto Giovanni Lido riferisce in Mag. III 33 (p. 121
Wuensch=p. 184 Bandy), che qui si riporta:
G. NOCERA, Unità e assolutismo sotto i Teodosi, in AARC, IV, 1981, p. 24 e nt. 35. Sull’opera di Michele si
vedano anche V. LANGLOIS, Chronique de Michel le Grand, patriarche des Syriens jacobites, Venezia, 1868; J.-B.
CHABOT, Chronique de Michel le Syrien, patriarche jacobite d'Antioche, I-III, Parigi, 1900-1910; A.
BAUMSTARK, Geschichte der syrischen Literatur, Bonn, 1922, p. 298-300. Per quanto concerne la cronaca di
Eusebio si vedano R.W. BURGESS, Studies in Eusebian and post Eusebian Chronography, Stuttgart, 1999 e più di
recente O. ANDREI, I Chronici Canones di Eusebio di Cesarea. Una rivoluzione cronografica, in Adamantius, 16,
2010, p. 34-51.
12 Nell’opera, assai difficoltosa, di comprendere la fonte, individuare la ratio dell’intervento normativo in
questione, che comportò in primo luogo una moltiplicazione della carica, ma soprattutto di ricostruire la
sua concreta realizzazione, si sono cimentati alcuni studiosi dell’epoca tardoantica, i quali tuttavia non
sempre ne hanno rilevato l’intima connessione con le vicende storiche relative ai confini dell’impero. Per
T.D. BARNES, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, Oxford 2011, p. 160, la
moltiplicazione del numero dei prefetti di cui parla Zosimo si sarebbe verificata solo nell’età dei
Valentiniani: Costantino in buona sostanza non avrebbe operato una riforma permanente della prefettura
del pretorio. In termini analoghi, seppur con argomenti parzialmente diversi, si è espresso
KELLY, Bureaucracy and Government, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, Cambridge 2006, p.
186 e 191. Per A. COŞKUN, Die Praefecti praesent(al)es und die Regionalisierung der Praetorianer; praefecturen im
vierten Jahrhundert, in Millennium, I, 2004, p. 285, invece, a partire dal 324 d.C. si sarebbe verificata una
coesistenza di prefetti del pretorio regionali e prefetti inseriti nel comitatus dell’imperatore. Un quadro
totalmente diverso è offerto da Pierfrancesco Porena, il quale, oltre a ritenere autentica e tutt’altro che
fuorviante la testimonianza di Zosimo, ne ha trovato un’espressa conferma in un passo del De
Magistratibus di Giovanni Lido (Lid., Mag., III 33), in cui è nuovamente attestata la moltiplicazione del
numero dei prefetti del pretorio fino a quattro per il governo di Africa, Gallia, Illirico e Italia. Pare che
non vi sia nessuna ragione di ritenere inattendibile la testimonianza di Zosimo e invero P. PORENA, Le
origini della prefettura del pretorio, cit., p. 574, sulla base delle testimonianze di Zosimo e Giovanni Lido (Mag.,
II 10 e III 33) conclude che la riforma di Costantino dopo il 324 d.C. fu “radicale e definitiva”, in quanto
da quel momento fino alla sua scomparsa (VI-VII secolo d.C.) la carica prefettizia conservò l’aspetto
datogli dall’imperatore. Una conferma del carattere innovativo e rivoluzionario della riforma, ad avviso
dell’autore, potrebbe a buon diritto rinvenirsi nelle testimonianze dei due eruditi che, vissuti in epoca di
molto successiva, rispettivamente nell’età di Atanasio e Giustiniano, ancora mostrano di avvertirne la
portata storica. Si veda inoltre D. VERA, Costantino e il ventre di Roma: a proposito della discussa prefettura
d’Africa, in G. BONAMENTE, N. LENSKI, R. LIZZI TESTA, Costantino prima e dopo Costantino, Munera 35,
Bari, 2012, p. 335, ad avviso del quale la creazione della prefettura d’Africa contraddice il paradigma
proposto da Barnes per spiegare l’esistenza delle prefetture del pretorio attestate dal 324 al 327, in quanto
la prefettura africana mai rientrò nella pianificazione successoria di Costantino. Non è dunque credibile
che quest’ultima fosse alla base dell’intera riforma. Si veda, in tal senso, da ultimo H. BRANDT, Le riforme
amministrative di Costantino I, in P. BROWN et al. (a cura di), Costantino I. Enciclopedia Costantiniana sulla figura e
l'immagine dell'imperatore del cosiddetto editto di Milano 313-2013, Roma, 2013, p. 319 ss.
13 Cfr. P. PORENA, Le origini della prefettura del pretorio, cit., p. 554.
14 Zos. II 33,1-2.
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Cultura giuridica e diritto vivente, Vol. 3 (2016)
Κωνσταντῖνος οὖν Σκυθὶαν τε καὶ Μυσίαν καὶ τοὺς ἐξ αὐτῶν φόρους, ὡς ἔφην,
ἀπώλεσε. Συρίαν δὲ ὅλην καὶ Παλαιστίνην - µία δέ ἐστι χώρα καὶ διὰ µόνον
ἀριθµὸν εἰς πλῆθος ἀνάγεται - ἐπαρχίας ἀναδείξας, ἐδεήθη ὕπαρχον, µετὰ τὸν
Λιβύης καὶ Γαλατίας Ἰλλυρίδος τε καὶ Ἰταλίας, καὶ τῆς ἑῴας προχειρίσασθαι,
σκεπόµενος, ὡς αὐτὸς ὁ βασιλεὺς ἐν τοῖς ἑαυτοῦ λέγει συγγράµµασι, Πέρσαις
ἀδοκήτως ἐπελθεῖν.
L’erudito dopo aver parlato in Mag. II 10 della riforma, torna sull’argomento, come
dimostra l’interiezione ὡς ἔφην, affermando innanzitutto che Costantino perse la Scizia
e la Mesia e i tributi provenienti da questi territori. Dopo aver ricostituito le province
dell'intera Siria e della Palestina - si tratta di un’unica regione e solo per precisione è stata
divisa in due - Costantino sentì la necessità di avvalersi della collaborazione di un
prefetto del pretorio d’Oriente, dopo aver istituito quello d’Africa, di Gallia, d’Illirico e
d’Italia, perché si stava preparando, come lo stesso imperatore afferma nei sui discorsi,
ad attaccare di sorpresa i Persiani.
Emerge innanzitutto chiaramente la circostanza dell’istituzione da parte di
Costantino di quattro prefetture del pretorio regionali15. Meno agevole è invece
individuare la corretta collocazione temporale di tale evento, ma si potrebbe ipotizzare
che la moltiplicazione sia avvenuta nel 325, anche perché a partire da questo anno le
costituzioni raccolte nel Teodosiano a prefetti del pretorio di zone diverse aumentano
considerevolmente16.
15
Autonoma considerazione merita la prefettura d’Africa, la quale non aveva alcun precedente e a
differenza delle altre tre menzionate non fu nei secoli successivi riproposta, andando invece a far parte,
come diocesi, di circoscrizioni prefettizie di maggiore ampiezza, comprensive dell’Italia e dell’Illirico. Sul
punto si veda a B. SALWAY, The Praetorian Prefecture of Africa under Constantine: a phantom?, in XIII Congressus
internationalis Epigraphiae Graecae et Latinae: provinciae imperii Romani inscriptionibus, descriptae (Barcino 3-8
Septembris 2002), Barcellona, 2002, p. 1281-1286 e soprattutto D. VERA, Costantino e il ventre di Roma, cit., p.
336, il quale pone alcune significative motivazioni alla base della decisione di istituire nel 324 e poi
sopprimere appena nel 336 la prefettura africana, su tutte “la necessità contingente di evitare quelle crisi
alimentari a Roma che tanto avevano nuociuto alla popolarità di Massenzio”.
16 Cfr. P. PORENA, Le origini della prefettura del pretorio, cit., p. 538. Tale ipotesi, lungi dallo scontrarsi con
una testimonianza epigrafica di epoca costantiniana, trova in essa un’altra risolutiva conferma. Si tratta
dell’iscrizione di Aïn Rchine, che risale con tutta probabilità all’anno 331 e rivela l’esistenza di un collegio
prefettizio costantiniano composto da cinque funzionari contemporaneamente attivi nell’impero. Sul
punto si vedano N. FERCHIOU, Une cité antique de la dorsale tunisienne, aux confins de la Fossa Regia: Aïn Rchine
et ses environs, in AntAfr 15, 1980, p. 231 ss.; T. GRUENEWALD, Constantinus Maximus Augustus:
Herrschaftspropaganda in Der Zeitgenossischen Uberlieferung, Stuttgart, 1990, p. 202 nt. 133; T.D.
BARNES, Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., p. 161, il quale, pur facendo risalire l’iscrizione allo
stesso periodo, tende a sminuirne il valore e a ritenere il quadro che essa offre non rappresentativo di uno
stabile aumento dei funzionari (che sarebbero stati solamente tre) e quindi della creazione da parte di
Costantino delle cosiddette prefetture regionali, bensì, piuttosto, di una semplice prefigurazione del nuovo
assetto che l’amministrazione avrebbe dovuto assumere dopo la morte dell’imperatore. Nondimeno non
si può non rilevare come ciò contrasti con le testimonianze di Zosimo e di Giovanni Lido appena
esaminate e anche come l’argomentazione posta a sostegno di una tale posizione sia estremamente fragile.
Ad avviso del suddetto autore il mero fatto che a fianco del nome dei prefetti, tanto nelle iscrizioni
epigrafiche, quanto nelle costituzioni imperiali raccolte nel Codice Teodosiano, non compaia l’area
amministrativa di competenza lascerebbe intendere che la loro preposizione alla prefettura non fosse
stabile e che dunque la riforma di Costantino non avesse mirato a ridisegnare in maniera sistematica le
aree di competenza di tali funzionari. Anche per tale motivo si aderisce alla visione di P. PORENA, Le
origini della prefettura del pretorio, cit., p. 399, per il quale invece l’iscrizione costituisce una fonte di
eccezionale importanza, attestando per la prima volta l’esistenza di un collegio di cinque prefetti allo
stesso tempo attivi nell’impero.
23
Filippo Bonin, Costantino, i barbari e la riforma della prefettura del pretorio
Inoltre nella chiusa l’erudito richiama un discorso di Costantino (non giuntoci
altrimenti) che ricollega la creazione del quinto prefetto (quello per l’Oriente) al
proposito dell’imperatore di attaccare di sorpresa i Persiani. Nondimeno, in assenza di
altre testimonianze in merito, il riferimento all’attacco a questi ultimi è rimasto sinora un
mistero17. Orbene, sulla base di quanto apprendiamo da alcune fonti storiche di epoca
successiva si potrebbe, pur molto cautamente, ipotizzare che Costantino facesse
riferimento alla necessità di respingere oltre il confine i Persiani, che avevano assediato
Nisibi18.
Invero, tale circostanza è attestata da Giorgio Cedreno, che peraltro colloca
l’assedio in un momento ben preciso.
Georg. Cedrenus, Comp. Hist., (Bekkeri editio) p. 517:
Annum vigesimum primum imperante Constantino, Sapores Persarum rex calumniis contra
christianos exasperates graviter eos persecutus est, et supra 18 milia eorum interfecit. Causae
pacis inter Romanos et Persas ruptae haec fuerit.
Come emerge dal testo, lo storico fissa nel ventunesimo anno dell’impero di Costantino
e cioè quello compreso tra il 326 e il 327 d.C. la rottura della pace tra Romani e Persiani,
17
P. PORENA, Le origini della prefettura del pretorio, cit., p. 528, in ordine al progetto di Costantino di un
attacco ai Persiani, afferma che “la scarsità delle nostre informazioni sulle relazioni romano persiane
durante il regno di Costantino non consente di formulare ipotesi circostanziate”.
18 Assai importante è considerare il contesto storico e il quadro dei rapporti tra Romani e Persiani in cui la
riforma va a inscriversi. Più di una fonte (Zos. II 27 e Amm. XXV,4,23) attesta che il successore al trono
persiano Ormisda figlio, imprigionato dai nobili persiani alla morte del padre, riuscì a fuggire e trovò
rifugio presso Costantino intorno all’anno 323 d.C. Gli anni successivi furono caratterizzati dall’invio da
parte dei Persiani di ben due ambascerie all’imperatore romano, che sembrano essersi risolte in un niente
di fatto; la testimonianza di Porfirio Optaziano (Opt. Porph., Carm. XIX, 1-4), risalente al 325 d.C., lascia
poi immaginare che i rapporti tra le due potenze fossero ormai compromessi e che l’intenzione di
Costantino fosse quella di attendere l’occasione migliore per arrivare allo scontro. A ciò deve aggiungersi
la circostanza che i cristiani di Persia stavano subendo gravi perdite nei territori persiani dell’Armenia
(Georg. Cedren., Compendium Historiarum, p. 516-517; Amm. Marc. XXV, 4, 23). Nel quadro di tali
rapporti è, a mio avviso, da inscriversi la lettera, invero di oscura datazione, che Costantino scrisse a
Sapore II, fratello di Ormisda e re dei Persiani (Eus. IV, 8-13). Il documento molto probabilmente
contiene il motivo per cui, come attestano le fonti che si stanno per esaminare, i Persiani assediarono la
città di Nisibi tra il 326 e il 327 d.C. Non è, infatti, difficile scorgere nelle parole di Costantino l’idea della
difesa non solo di un confine, ma anche dello stesso impero e della verità assoluta, del dogma. Se da un
lato Costantino si rivolge direttamente al re dei Persiani usando il termine “fratello” che, come ha rilevato
E. CHRYSOS, Some Aspects of Roman-Persian Legal Relations, in ΚΛΕΡΟΝΟΜΙΑ, 8 (1976), p. 17 ss., sottolinea
la valenza di ufficialità e parità gerarchica tra i due protagonisti, dall’altro l’imperatore romano si pone su
di un piano superiore, arrivando a sostenere nel finale che ai persecutori dei cristiani erano da sempre
state riservate nel prosieguo degli eventi le più funeste sciagure. La circostanza non stupisce in quanto la
tesi della sincerità della conversione al cristianesimo di Costantino è stata in maniera convincente
sostenuta da P. VEYNE, Quand notre monde est devenu chrétien (312 – 394), Paris, 2007, p. 121, secondo il quale
l’imperatore avrebbe riconosciuto nella fede cristiana un’avanguardia portatrice di un’energia e di un senso
del potere e dell’organizzazione pari ai suoi. A tale riguardo si è sviluppato un ampio dibattito intorno alla
nascita della teologia politica in età costantiniana, per il quale si rimanda innanzitutto a C. SCHMITT,
Teologia politica II, la leggenda della liquidazione di ogni teologia politica, a cura di A. CARACCIOLO, Milano, 1992,
p. 38 ss., a F. FATTI, Tra Peterson e Schmitt. Gregorio Nazianzeno e la “liquidazione di ogni teologia politica”, in
Teologie politiche. Modelli a confronto, Brescia, 2005, p. 61 ss. e da ultimo a R. ESPOSITO, Due. La macchina della
teologia politica e il posto del pensiero, Torino, 2013, p. 61 ss.
24
Cultura giuridica e diritto vivente, Vol. 3 (2016)
collegandola direttamente alle persecuzioni e uccisioni perpetrate da Sapore a danno dei
cristiani19.
Meno parca nel fornire particolari è poi è la testimonianza contenuta nella
Cronaca di Michele il Siro, che possiamo leggere nella traduzione francese di Jean
Baptiste Chabot:
Mich. Syr., Chron., VII, 3:
Les païens calomnièrent les chrétiens auprès de Sabhour leur roi, d’avoir envoyé une ambassade à
l’empereur des Romains. Sabhour s’irrita et se mit à opprimer les chrétiens et à detruire leurs
èglises, Constantin le Victorieux lui écrivit en disant: “Attendu que je garde la foi divine, je
demeure dans la lumière de la verité; et en me conduisant selon la lumière de la verité, je professe
la vraie foi, etc.”. Sabhour non seulement n’accueillit pas ses paroles, mais il se mit aussitôt en
campagne et monta contre Nisibe.
A quanto riportato da Giorgio Cedreno, Michele il Siro aggiunge che le uccisioni dei
cristiani si erano verificate perché essi erano accusati di aver inviato un’ambasceria a
Costantino. A seguito di ciò quest’ultimo inviò una lettera a Sapore20, il quale, oltre a
non accogliere l’invito dell’imperatore romano a una cessazione delle persecuzioni, cinse
d’assedio Nisibi.
Sulla base di queste testimonianze sembra plausibile che l’attacco di sorpresa, di
cui parlava Costantino nel discorso andato perduto e riportato da Lido in Mag. III 3321,
possa essere stato quello teso a ricacciare indietro i Persiani affermatisi e accampatisi a
Nisibi, di cui parla Michele il Siro.
Giunti a questo punto occorre valutare l’attendibilità di tali fonti, alquanto tarde, e
quindi chiedersi a quali testi avessero accesso Giorgio Cedreno e Michele il Siro.
Orbene, se per quanto concerne quest’ultimo le notizie in nostro possesso sono di
difficile (ma comunque possibile) individuazione22, non altrettanto può dirsi in relazione
al primo23. A ogni buon conto è probabile che entrambi abbiano attinto più o meno
19
L’anno viene indicato dallo storico bizantino con una certa precisione. Sull’attendibilità di Giorgio
Cedreno nella definizione cronologica dei singoli avvenimenti si veda R. MAISANO, Note su Giorgio Cedreno,
cit., p. 251, il quale rileva che l’autore in questione, esattamente al pari degli altri “cronisti” bizantini, pone
particolare attenzione sia alle datazioni assolute, sia a quelle relative.
20 Si veda la nota 18.
21 Sul valore da attribuire alla citazione del discorso di Costantino da parte di Giovanni Lido si veda S.
MAZZARINO, La data dell’Oratio ad sanctorum coetum, il ius italicum e la fondazione di Costantinopoli: note sui
‘discorsi’ di Costantino, in ATA, 1, p. 102, il quale ha sostenuto che il funzionario bizantino nella prima metà
del VI secolo potesse leggere orationes scritte da Costantino. Sul punto si veda anche P. PORENA, Le origini
della prefettura del pretorio, cit., p. 517, il quale a tale specifico proposito sottolinea la circostanza che Lido in
Mag. III 33, definisce lo scritto di Costantino, dal quale attingeva, “σύγγραµµα”.
22 Nella prefazione alla sua cronaca Michele ci fornisce quasi una lista delle fonti di cui si serve. Tra queste
non figura il nome di Malala, nondimeno è verosimile, per non dire certo, che quest’ultimo fosse ben
presente a Michele con il nome di Giovanni di Antiochia, il quale invece nella prefazione viene citato. Sul
punto si vedano le considerazioni svolte da M. DEBIÉ, Jean Malalas et la tradition chronographique de langue
syriaque, in S. AGUSTA-BOULAROT, J. BEAUCAMP, A.-M. BERNARDI, B. CABOURET, E. CAIRE (a cura di),
Recherches sur la chronique de Jean Malalas, I, actes du colloque: La Chronique de Jean Malalas (VIe s. è. Chr.) Genèse
et transmission, 21-22 mars 2003, Aix-en-Provence), Paris, 2004 (Centre de Recherche et de Civilisation de
Byzance, Monographies 15), p. 147 ss., la quale, pur rilevando che il modo in cui si realizzò la trasmissione
del testo greco in siriano è di difficile, se non impossibile, individuazione, dimostra attraverso raffronti
testuali che escerti dell’opera di Malala sono presenti nella cronaca di Michele il Siro.
23 Si vedano sul punto, da ultimo, le osservazioni di L. TARTAGLIA, Meccanismi di compilazione, cit., p. 240
ss., il quale chiarisce che l’obiettivo dell’opera di Cedreno era fondamentalmente quello di portare a
completamento la cronaca di Giovanni Scilitze, che prendeva avvio dall’anno 811 d.C. Attraverso l’analisi
25
Filippo Bonin, Costantino, i barbari e la riforma della prefettura del pretorio
direttamente l’informazione dell’assedio di Nisibi del 326, tra le varie opere che avevano
a disposizione, dalla Cronografia di Giovanni Malala24.
Malala, XIII, 317:
Καὶ ἐπεστράτευσε κατὰ Περσῶν καὶ ἐνίκησεν καὶ ἐποίησε πάκτα εἰρήνης µετὰ
Σαραβάρου, βασιλέως Περσῶν, τοῦ Πέρσου αἰτήσαντος εἰρήνην ἔχειν µετὰ
Ῥωµαίων
Nel testo si legge che Costantino mosse una guerra contro i Persiani, vinse e stipulò un
trattato di pace con il re Sapore25, poiché quest’ultimo chiedeva di raggiungere una
tregua con i Romani.
Malala inserisce tale avvenimento all’inizio del libro XIII, dedicato per intero a
Costantino e incentrato in particolar modo sui rapporti dell’imperatore con l’Oriente26.
In particolare colloca lo scontro immediatamente prima dell’inizio della costruzione
della Grande Chiesa di Antiochia, che sappiamo essere avvenuto nell’anno 32727. Il dato
è dunque compatibile con la datazione offerta da Giorgio Cedreno, il quale, come si è
visto, colloca l’assedio di Nisibi nell’anno 326 d.C. e del quale Malala era fonte quanto
meno indiretta28.
del manoscritto parigino tramite il quale ci è giunta la cronaca dello Ps.-Simeone, lo studioso individua
proprio in quest’ultima opera la principale fonte della cronaca di Giorgio Cedreno.
24 La bibliografia riguardante Malala è ampia. Solo per citare alcuni fondamentali lavori, si vedano A.
SCHENK VON STAUFFENBERG, Die römische Kaisergeschichte bei Malalas. Griechischer Text der Bücher IX- XII
und Untersuchungen, Stuttgart, 1931; H. HUNGER, Die hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, I,
München, 1978, p. 319-326, ove ulteriore bibliografia; E. JEFFREYS, B. CROKE, R. SCOTT, (a cura di),
Studies in John Malalas, Australian Association for Byzantine Studies - Department of Modern Greek,
(Byzantina Australiensia 6), Sydney, 1990; E. JEFFREYS, The Beginning of Byzantine Chronography. John Malalas,
in G. MARASCO (a cura di), Greek & Roman Historiography in Late Antiquity. Fourth to sixth century A.D.,
Leiden, 2003, p. 497-527; J. BEAUCAMP et al. (a cura di), Recherches sur la Chronique de Jean Malalas, II, Paris
2004; T. GNOLI, Costantino in Giovanni Malala, in G. BONAMENTE e A. CARILE, Costantino il Grande nell'età
bizantina. Atti del Convegno internazionale di studio: Ravenna, 5-8 aprile 2001, Spoleto, 2004; S. AGUSTABOULAROT et al. (a cura di), Recherches sur la Chronique de Jean Malalas. II, Paris 2006; W. TREADGOLD, The
Byzantine World Histories of John Malalas and Eustathius of Epiphania, in International History Review, 29, 2007, p.
709-745.
25 Nel testo si legge Σαραβάρου ma il riferimento a Sapore è certo, trattandosi di un altro appellativo con
il quale il re dei Persiani era noto a Malala.
26 Per una trattazione completa del problema riguardante le fonti materialmente usate da Malala si vedano
E. JEFFREYS, Malalas’ Sources, in E. JEFFREYS, B. CROKE, R. SCOTT, (a cura di), Studies in John Malalas,
Australian Association for Byzantine Studies - Department of Modern Greek, (Byzantina Australiensia 6),
Sydney, 1990, p. 167 ss. e R. MAISANO, La cronaca di Malala nella tradizione storiografica bizantina, in Atti
dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, Classe di Filosofia e Belle Arti, LXVIII, Messina, 1994, p. 29-30. Per
quest’ultimo sarebbe ragionevole ipotizzare l’uso da parte di Malala non solo di Donnino, Nestoriano e
Timoteo, ma anche di materiali nuovi, come cronologie, documenti d’archivio, notizie tramandate
oralmente e forse anche il testo di Eustazio di Epifania, riguardante la storia recente posteriore a Zenone.
A tale proposito T. GNOLI, Costantino in Giovanni Malala, cit., p. 208, rileva che lo storico siriaco tratta la
vita di Costantino procedendo per argomenti secondo un certo ordine, per cui sarebbe verosimile che a
monte della stesura dell’opera fosse stato svolto un vero e proprio lavoro di schedatura sulla base di fonti,
tra le quali va certamente annoverato anche l’archivio della Prefettura d’Oriente di Antiochia.
27 Hieron. Chron. p. 231 e 235 Helm; Theophan. Chron., p. 28, 16-7; 36, 29-31.
28 R. MAISANO, La cronaca di Malala nella tradizione storiografica bizantina, cit., p. 39-40, sostiene che la
cronaca di Giorgio Cedreno reca traccia dell’influsso di Malala, “soprattutto per quanto riguarda la
razionalizzazione dei miti antichi e l’ordinata sistemazione delle varie unità narrative in un ampio quadro
cronologico”, aggiungendo inoltre che nella maggior parte dei casi si trattò di un influsso mediato e che
Malala costituì un “ingranaggio importante di quel meccanismo […] che provocava l’obsolescenza di un
26
Cultura giuridica e diritto vivente, Vol. 3 (2016)
Non è dunque difficile immaginare che Costantino, in questa fase per così dire “di
stallo”, avesse potuto impiegare il prefetto d’Oriente nella difesa del limes persiano e che
proprio a tale circostanza si riferisca Giovanni Lido in Mag. III 3329. A ogni modo è
sicuro che nell’anno 326 esistevano già cinque prefetti, ma quello orientale, creato per
far fronte all’attacco persiano, a differenza degli altri non aveva ancora raggiunto una
propria autonomia, essendo ancora parte integrante del comitatus imperiale.
Il momento decisivo della riforma si verifica tra il 327 e il 330, quando Costantino
priva la prefettura del pretorio delle funzioni militari e formalmente dispone il suo
distaccamento dal palazzo imperiale30. Illuminante sul punto è quanto ci riferisce
Giovanni Lido nella sua opera. Si tratta di una testimonianza, cui sinora si è solo
accennato e che non solo dimostra la realizzazione di queste due modifiche, ma fornisce
anche il motivo del distaccamento dal palazzo del quinto prefetto del pretorio per
l’Oriente.
Lid. Mag. II 10 (p. 65 Wuensch=p. 98 Bandy):
testo a partire dal momento della sua riutilizzazione in un’opera nuova” . Dello stesso avviso è anche L.
TARTAGLIA, Meccanismi di compilazione nella Cronaca di Giorgio Cedreno, cit., p. 243 ss., il quale sulla base di
accurate indagini testuali a più riprese indica come fonte certa della cronaca dello Ps-Simeone
(direttamente utilizzata da Cedreno) anche Malala.
29 Per una diversa ricostruzione si vedano G. DOWNEY, A history of Antioch in Syria: from Seleucus to the Arab
conquest, Princeton, 1961, p. 348 nt. 138 e p. 651, per il quale la notizia riportata da Malala sarebbe
inattendibile e costituirebbe un’invenzione del cronista e G. MARASCO, Giovanni Malala e il regno di
Costantino, in Il buon senso o la ragione, Miscellanea di studi in onore di Giovanni Crapulli, Viterbo, 1997, p. 60 ss., il
quale, pur ammettendo che la notizia “non è affatto isolata”, la lega alla reazione da parte di una certa
tradizione cristiana alle precedenti condanne provenienti da quella pagana, ritenendola anch’egli
un’invenzione funzionale a tale reazione. Ebbene, come l’autore stesso è costretto ad ammettere, oltre alle
testimonianze di Giorgio Cedreno e Michele il Siro (che tuttavia non è neppure citato), tracce di una
guerra contro i Persiani si riscontrano, come abbiamo visto, in Eusebio e in alcune opere cristiane
successive, quali la Cronaca di Giorgio Monaco (Georg. Mon. Chron., p.501, 78) e la versione copta della
Vita di Pacomio (S. Pachomi Vita, ed. L. Th. Lefort, `CSCO´; Scriptores Coptici, Versio, Ser. III, T. 7,
Lovanii 1936, p. 3-4). Il fatto che in tali fonti, di molto successive a Malala, lo scontro sia collocato prima
della morte di Licinio, a mio avviso, non prova che la notizia contenuta nella Cronografia dello storico di
Antiochia sia falsa. Allo stato, infatti, esclusi Eusebio (nella cui Cronaca probabilmente la notizia era
presente) e Zosimo (che non entra nel merito) ed escluso anche Giovanni Lido (il quale tuttavia, come
abbiamo visto, allo scontro del 326 potrebbe essersi riferito in Mag. III 33), Malala costituisce (tra quelle
che ci sono giunte e trattano gli eventi svoltisi nel periodo considerato) la fonte storiografica più vicina nel
tempo e nello spazio agli avvenimenti oggetto del presente contributo. Inoltre, contrariamente a quanto
ipotizzato da Marasco, tanto la Cronaca di Giorgio Monaco quanto la versione copta della vita di Pacomio
potrebbero collocare lo scontro nel 323-324 alludendo all’inizio della crisi diplomatica tra impero romano
e persiano che si aprì in quell’anno con la fuga di Ormisda presso i Romani. Vero è che Eusebio (Euseb.
Vita Const. VI 56), come giustamente rileva l’autore, narra anche di un altro scontro tra Romani e Persiani
del 336, ma si tratta di un’ulteriore campagna, che molto probabilmente non condusse Costantino, bensì
suo figlio Costanzo Cloro. Non vedo dunque per quale motivo la testimonianza di Malala, che peraltro
con tutta probabilità aveva accesso ai documenti e al materiale archiviato presso la città di Antiochia,
debba essere revocata in dubbio in relazione all’assedio di Nisibi del 326 d.C. Scettico a riguardo appare
anche T. GNOLI, Costantino in Giovanni Malala, cit., p. 210-211, il quale sembra ritenere che Malala nel
passo si riferisca allo scontro del 336, non considerando che lo storico colloca lo scontro in un momento
immediatamente precedente all’inizio della costruzione della Grande Chiesa di Antiochia, id est tra il 326 e
il 327 d.C. Del resto è lo stesso Gnoli a sostenere giustamente che l’attribuzione a Malala della confusione
tra i nomi di Costantino e Costanzo, pur costituendo un’eventualità astrattamente ipotizzabile, si scontra
con la notizia della pace richiesta da Sapore.
30 Per la verità, come si è accennato, nei fatti i prefetti del pretorio per effetto della moltiplicazione, di cui
più volte si è parlato, avevano già subito (a eccezione di quello orientale) un distaccamento dal palazzo
imperiale, avendo assunto il materiale controllo delle regioni a loro affidate.
27
Filippo Bonin, Costantino, i barbari e la riforma della prefettura del pretorio
Κωνσταντίνου υὰρ µετὰ τῆς Τύχης τὴν Ρώµην ἀπολιπόντος καὶ τῶν δυνάµεων
ὅσαι τὸν Ἴστρον ἐφρούρουν ἐπὶ τὴν κάτω Ἀσίαν ψήφῳ τοῦ Βασιλέως
διασπαρεισῶν, Σκυθίαν µὲν καὶ Μυσίαν καὶ τοὺς ἐξ ἐκείνων φόρους ἐζηµιώθη τὸ
δηµόσιον, τῶν ὑπὲρ Ἴστρον βαρβάρων µηδενὸς ἀνθισταένου κατατρχόντων τὴν
Εὐρώπην· τῶν δὲ πρὸς τὴν ἕω παρὰ τὸ πάλαι δασµοῖς οὐ µετρίοις βαρυνθέντων,
ἀνάγκη γέγονε τὸν ὕπαρχον µηκέτι µὲν τῆς αὐλης καὶ τῶν ἐν ὅπλοις ἄρχειν
δυνάµεων (τῆς µὲν τῷ λεγοµένῳ µαγίστρῳ παραδοθείσης, τῶν δὲ τοῖς ἄρτι
κατασταθεῖσι στρατεγοῖς ἐκτεθεισῶν), τὴν δὲ ἀνατολὴν πρὸς τῇ κάτω Ἀσίᾳ καὶ
ὅσα ταύτης διοικοῦντα, τὸ λοιπὸν τῆς ἀνατολῆς χρηµατίζειν ὕπαρχον.
Nel passo si legge che dopo la partenza di Costantino da Roma e dopo che le truppe,
poste a difesa del Danubio, furono per ordine dell’imperatore spostate nell’Asia Minore,
l’erario perse i tributi provenienti dalla Scizia e dalla Mesia, in quanto i barbari che
stanziavano lungo il Danubio saccheggiarono l’Europa senza opposizione da parte di
alcuno; essendo le popolazioni d’Oriente già da molto tempo gravate da una
contribuzione incisiva, fu opportuno sottrarre al prefetto del pretorio il comando delle
truppe di corte e delle forze armate (le prime furono sottoposte al comando del magister
officiorum, le seconde furono trasferite e sottoposte agli ordini dei generali istituiti da
poco) e che il prefetto del pretorio, il quale amministrava il territorio orientale e l’Asia
Minore, divenisse il prefetto del pretorio d’Oriente.
Nella fonte riscontriamo innanzitutto il più grande mutamento operato nel
contesto della riforma costantiniana della prefettura del pretorio: la sottrazione a tale
organo delle funzioni militari. Alla base di questa enorme modifica Giovanni Lido pone
un’invasione barbarica che si sarebbe verificata intorno al 328 d.C. sul limes danubiano e
avrebbe visto come protagonisti un gruppo appartenente alla stirpe dei Goti, i Taifali31.
Tale invasione avrebbe determinato un’emergenza fiscale cui occorreva far fronte. In
secondo luogo dal passo pare potersi inferire che allo stesso tempo il prefetto del
pretorio, il cui ufficio tradizionalmente si trovava all’interno del palazzo imperiale, per
effetto di un intervento dell’imperatore fosse stato dotato di una sua autonomia organica
e fisica. Infine, occorre rilevare che Giovanni Lido nel contesto della narrazione relativa
all’anno 328 d.C. parla al passato del prefetto del pretorio per l’Oriente, per cui la sua
creazione era con tutta probabilità già avvenuta32. Si può dunque affermare che la
prefettura d’Oriente in questa terza fase della riforma esistesse già e che quindi, in linea
con quanto si è sostenuto in precedenza, un quinto prefetto del pretorio fosse stato
creato ben prima del 328 d.C. (anche) per respingere l’attacco dei Persiani stanziatisi a
Nisibi33. In conclusione dal passo possiamo solamente inferire che il prefetto in
questione a causa dell’invasione dei Taifali venne anch’esso distaccato dal palazzo e
31
L’invasione è attestata anche in Zonar. XIII, 2.
L’uso del participio presente διοικοῦντα, per come è strutturato il periodo, non può che alludere a
un’attività di governo che già era in corso nel momento in cui si verificò l’emergenza. Del resto, come
abbiamo visto, Lido torna in seguito sull’argomento (Mag. III 33) riportando il contenuto di un discorso
(andato perduto) di Costantino e rinvenendo la ragione della creazione di tale quinto prefetto nel
proposito dell’imperatore di procedere a un imminente attacco nei confronti della Persia.
33 Cfr. P. PORENA, Le origini della prefettura del pretorio, cit., p. 539 ss., per il quale tale prefetto fu Flavius
Constantinus.
32
28
Cultura giuridica e diritto vivente, Vol. 3 (2016)
contestualmente dotato di una competenza amministrativa e non più militare su tutte le
diocesi orientali34.
Per effetto dell’organica riforma della carica prefettizia di Costantino, il prefetto
del pretorio uscì dai quadri dell’esercito e divenne il più alto funzionario
nell’amministrazione della giustizia civile e penale, nonché la massima autorità in materia
fiscale. A fronte di ciò l’imperatore, come attestano Zosimo35 e Giovanni Lido36, istituì i
magistri militum, cui furono attribuite le funzioni militari sottratte alla prefettura del
pretorio37. Le fonti analizzate permettono di concludere non solo che tale epocale
riforma fu il frutto del necessario ripensamento della struttura amministrativa
dell’impero dopo la riunificazione dello stesso, ma anche che le modalità con le quali
l’intervento normativo fu realizzato dipesero in gran misura da esigenze del tutto
contingenti, quali i difficili rapporti dell’impero coi barbari, tanto lungo il confine
danubiano, quanto lungo il limes orientale. Se, infatti, dopo la moltiplicazione della carica
prefettizia, l’istituzione di un quinto prefetto del pretorio per l’Oriente si rese
indispensabile per fronteggiare le incursioni dei Persiani, la sottrazione delle funzioni
militari al prefetto e il suo distaccamento dal palazzo trovarono la propria ragion
d’essere nella necessità di far fronte all’emergenza fiscale insorta nei territori della Scizia
e della Mesia a causa dell’invasione dei Taifali lungo il confine danubiano38.
Di recente39 è stato messo in luce come la politica di Costantino, lungi dall’aver
segnato, come invece si era sostenuto in passato40 sulla scorta dell’accusa rivoltagli da
Ammiano Marcellino di aver attribuito fasces et trabeas consulares41 ai barbari, una grande
apertura nei confronti di questi ultimi, si riveli, a un’analisi più approfondita dei testi
34
Si veda sul punto ancora P. PORENA, Le origini della prefettura del pretorio, cit., p. 525, il quale di fatto non
esclude che tale prefetto già esistesse e fosse preposto al controllo militare, più che all’amministrazione, di
un territorio più limitato.
35 Zos. II 33, 3.
36 Lid. Mag. III 33.
37 Cfr. A. DEMANDT, Magister Militum, in RE suppl., XII (1970), cc. 573-590.
38 Del pari, se quest’ultima misura rappresentò un’opportuna scelta politica a fronte di uno fra i molti
attacchi da parte dei barbari, la creazione di un quinto prefetto per l’Oriente scaturì da uno scontro
ideologico, culturale e religioso con i Persiani. A tal proposito H. BRANDT, Le riforme amministrative, cit., p.
319 ss., ha messo in luce come le riforme amministrative di Costantino si pongano in continuità con
quelle operate da Diocleziano, ma nel momento in cui si consideri la politica religiosa dell’imperatore, solo
il primo a buon diritto può essere considerato novator turbatorque priscarum legum, secondo la celebre
definizione di Ammiano Marcellino (Amm. XXI,10,8). Da questo punto di vista particolarmente
interessante si rivela l’analisi del rapporto tra Costantino e l’impero persiano. Invero, quello che
inizialmente avrebbe dovuto essere un confronto esclusivamente politico, finalizzato al mantenimento del
controllo dell’impero romano sui territori d’Oriente, divenne uno scontro anche religioso, in cui
Costantino non esitò a porsi come portatore della verità assoluta e a individuare in quest’ultima
circostanza la reale ragione della necessità che determinati territori fossero controllati dall’impero romano.
Non si vuole in questa sede sostenere che in tale scontro siano da ravvisarsi i caratteri di una crociata, ma
certamente esso costituì almeno uno dei due elementi che, secondo l’opinione di S. MAZZARINO, Il Basso
Impero, cit., I, p. 112, rappresentano (insieme alla peregrinatio ad loca sancta) il presupposto perché di crociata
si possa parlare, id est l’idea della guerra di religione, che certamente anima le parole utilizzate
dall’imperatore nella lettera a Sapore II e anche nell’Oratio ad sanctorum coetum.
39 M.P. BACCARI, Costantino imperatore rivoluzionario? A proposito di barbaricus e e barbarus nelle costituzioni di
Costantino, in F. SINI e P.P. ONIDA (a cura di), Poteri religiosi e istituzioni: il culto di San Costantino imperatore tra
Oriente e Occidente, Torino, 2003, p. 245-249.
40 Cfr. E. LÉOTARD, Essai sur la condition des Barbares établis dans l’empire romain au IV siècle, Paris, 1863, p.
174 ss.; J. GAUDEMET, Les Romains et les autres, in La nozione di “Romano” tra cittadinanza e universalità, Studi
II, Napoli, 1984, p. 21 ss.
41 Amm. Marc. 21,10,8.
29
Filippo Bonin, Costantino, i barbari e la riforma della prefettura del pretorio
giuridici, ben più complessa. Invero il termine barbarus, sempre utilizzato da Costantino
per indicare un membro di un popolo estraneo all’impero, nelle costituzioni
costantiniane compare solo in CTh. 9.12.1 del 319, in cui si parla delle gravi sevizie
operate dai barbari, in CTh. 7.1.1 del 323, in cui, dopo aver operato una netta
contrapposizione tra questi ultimi e i Romani, l’imperatore punisce aspramente il patto
coi barbari e, infine, in CTh. 7.12.1, dove lo stesso detta disposizioni relative ai milites
citando le incursioni dei barbari. Quanto all’aggettivo barbaricus, esso appare solamente
in una costituzione raccolta nel Codice giustinianeo (C. 6.1.3), che si riporta42:
IMP. CONSTANTINUS. Si fugitivi servi deprehendantur ad barbaricum transeuntes, aut
pede amputato debilitentur aut metallo dentur aut qualibet alia poena adficiantur. CONST. A.
ET LICIN. C. AD PROBUM. <A 317 -323 SINE DIE ET CONSULE.>
La costituzione, risalente a un momento compreso tra il 317 e il 323, stabilisce che se gli
schiavi fuggitivi fossero stati catturati durante la fuga “verso il barbarico”, avrebbero
dovuto esser mutilati mediante l’amputazione di un piede o condannati alle miniere o
fatti oggetto di qualsiasi genere di pena43.
Le crudeli pene stabilite per lo schiavo fuggitivo che avesse tentato di trovare
rifugio presso i barbari hanno indotto taluno a ritenere che l’espressione ad barbaricum
transeuntes non vada intesa solamente in senso materiale e che dunque la disposizione
miri anche a punire duramente il passaggio agli infedeli e la rinnegazione della fede44.
Anche a non voler seguire tale lettura, tanto suggestiva quanto verosimile, la
costituzione non punisce la mera ribellione del servo, ma anche la sua volontà di trovare
rifugio presso i barbari, i quali sembrano essere concepiti da Costantino come i
rappresentanti di un qualcosa di esterno alla tradizione romana, se non addirittura
acerrimi nemici della stessa. Tale concezione e la tendenza a rimarcare, pur a fronte di
atteggiamenti di apertura, le nette differenze tra il mondo romano e quello barbarico
caratterizzano l’epoca costantiniana, ma saranno fatte proprie anche da imperatori di
epoche successive, a dimostrazione del fatto che la svolta cristiana con tutta probabilità
contribuì a determinare un inasprimento delle già difficili relazioni e interazioni tra
l’impero e i barbari45.
42
Per J. GAUDEMET, Constantin, restaurateur de l’ordre, in Studi in onore di Siro Solazzi, Napoli, 1948, p. 671, la
costituzione sarebbe da attribuire a Licinio, ma la tesi appare difficilmente dimostrabile. Per una diversa
ricostruzione si veda K. HARPER, L’ordine sociale costantiniano. Schiavitù, economia e aristocrazia, in P. BROWN et
al. (a cura di), Costantino I. Enciclopedia Costantiniana sulla figura e l'immagine dell'imperatore del cosiddetto editto di
Milano 313-2013, I, Roma, 2013, p. 369 ss., che invece, come appare più verosimile, la attribuisce a
Costantino.
43 Per un’analisi dei profili di diritto criminale si vedano G. BARONE ADESI, Servi fugitivi in ecclesia.
Indirizzi cristiani e legislazione imperiale, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, VIII Convegno
Internazionale, Napoli, 1990, p. 705 ss. e F. SALERNO, «Ad metalla». Aspetti giuridici del lavoro in miniera,
Napoli, 2003, p. 36 e nt. 166, 69 e nt. 69, 76 e nt. 109. Più in generale si veda, di recente, R. GAMAUF,
Onesimus: fugitivus errove – Einsichten für die Bibelexegese aus der Digestenexegese? (Rechtshistorische Anmerkungen
zum Umgang mit römischen Rechtstexten in der neueren Philemon-Auslegung), in P. MACH, M. PEKARIK, V.
VLADÁR, Constans et perpetua voluntas. Pocta Petrovi Blahovi k 75. narodeninám, Trnava, 2014, p. 172 nt. 65.
44 Mi riferisco a B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, II, Milano, 1952, p. 400 ss.
45 Si veda sul punto A. LOVATO, Osservazioni minime sulla composizione del titolo ‘De infirmandis his, quae sub
tyrannis aut barbaris gesta sunt’, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, XX convegno
Internazionale, Roma, 2014 (in corso di pubblicazione e da me ricevuto in lettura per cortese concessione
dell’autore), ove bibliografia, il quale rileva come nell’immaginario collettivo dei Romani di epoca tarda il
barbaro sia “il nemico da combattere, il nemico per eccellenza”.
30