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dida extra
La_Via
Questa pubblicazione è stata sottoposta ad una procedura
di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio
tra pari aidata al Comitato Scientiico nominato dal
Dipartimento DIDA.
Autore:
Michelangelo Pivetta
I lavori pubblicati in questo volume sono l’esito didattico del
Laboratorio di Progettazione dell’Architettura II sviluppati
durante AA 2011-2012.
Testi di:
Michelangelo Pivetta
Luca Barontini
Stefano Buonavoglia
Eleonora Cecconi
Giacomo Marchionni
Vincenzo Moschetti.
Un sentito ringraziamento a:
Maria Grazia Eccheli
Eleonora Cecconi
Luca Barontini
Alessio Bonvini
Alessandro Cossu
Stefano Buonavoglia
Giacomo Marchionni
Vincenzo Moschetti
Susanna Cerri
Giacomo Pinelli e la sua magica terrazza
A coloro che lo hanno reso possibile.
progetto graico
Laboratorio
Comunicazione
e Immagine
dida labs
Dipartimento di Architettura
Università degli Studi di Firenze
© 2014
DIDA Dipartimento di Architettura
Università degli Studi di Firenze
via della Mattonaia, 14
50121 Firenze
ISBN 978886080-252
Stampato su carta di pura cellulosa
Fedrigoni X-Per
ACID FREE
La_Via
Stefano Buonavoglia: Tempo e spazio
Esistono cammini senza
viaggiatori.
Ma vi sono ancor più viaggiatori
che non hanno i loro sentieri.
Gustave Flaubert
Michelangelo Pivetta
Ieri, la Storia e i suoi Luoghi
Il destino tragico di molti luoghi storici è, ancor più dell’abbandono, la cosciente
indiferenza. L’incedere della cultura massiicata contemporanea tende a derubricare il luogo e l’oggetto storico, quando estraneo alla propria merciicazione,
ad un crudele limbo di noncuranza. Condizione che permane ino al momento
dell’eventuale e possibile riuso che nella quasi totalità dei casi arriva a far prediligere il procrastinarsi della rovina piuttosto che indulgere nella contaminazione del nuovo.
Questo modo tutto italico di rapportarsi con l’antico, in quella che potremo deinire geograicamente Europa, pone culturalmente il Paese al livello più basso
di tutti quelli che lo circondano.
Il rapporto con la Storia del resto rappresenta, per il panorama intellettuale nostrano, un terreno scivoloso che spesso si è preferito evitare pur di aggirare il rischio di dover scegliere, assumendosi responsabilità ed emancipando un idea.
L’origine del problema ha origini lontane ma risvolti ancora presenti e tangibili. Fondamentalmente il tema gravita attorno alla necessità per il panorama
culturale di creare una coscienza della ri-valutazione del patrimonio storicoarchitettonico come principio e fondamento per una sua possibile rilettura e
integrazione nel territorio urbano di domani.
Il casus fu l’analisi teorica e pratica della capacità/possibilità dei centri storici
italiani di supportare, nel dopoguerra, lo sviluppo delle città nel futuro. La teoresi distorta di un antico = bello e di un contemporaneo = brutto, ancora oggi
pone spaccature profondissime all’interno della grammatica architettonica
italiana. Il processo di ricerca sembra inesorabilmente incagliato in ideologie e
riferimenti immutati da decine di anni perché, oltretutto gli strumenti della discussione trovano invalicabili diicoltà nel lasciare la doppia dimensione della
carta, scritta o disegnata che sia.
IERI, OGGI, DOMANI
Da un lato può sembrare che le soluzioni di E.N. Rogers e della sua Casabella,
ma anche quelle di Rossi, Gregotti, Aymonino, a più riprese ampliate da altri o
negate da altri ancora, non siano state in grado né di arginare l’ammorbamento del territorio né garantire quell’auspicabile rigenerazione dei tessuti urbani.
Dall’altro, questi agglomerati storici, sempre più svuotati di signiicato, hanno
trovato per necessità un nuovo paradigma esistenziale divenendo nel migliore
dei casi museo di se stessi o, nel peggiore, centri commerciali en plein air a
fondale di ciurme di indiferenti turisti stranieri.
Non possiamo nemmeno rimanere indiferenti al fatto che nella contemporaneità il lento dissezionamento culturale dell’Architettura nelle proprie membra costitutive e l’inasprimento burocratico-legislativo abbiano provocato una
specie di diaspora di occasioni, facendo del fatto architettonico, anche il più
riuscito, un testo parziale quando non da ritenere apocrifo.
Colpa certamente dell'inconcludente panorama elitario dei grandi maestri,
dell'inesistente struttura culturale a supporto di una professione al limite
dell'inutilità e di un'accademia sublimata attorno ad una deriva autodistruttiva compressa tra logiche di merciicazione culturale, contrazione della spesa e
conseguente ricambio generazionale.
Nonostante tutto questo alcune occasioni emergono. Tra le più interessanti e
recenti, in cui la raison d’être è proprio la dialettica con l’antico, pare essere il
progetto per l’Artemision di Vincenzo Latina. Sfruttando una contiguità storica
strabordante, l’architetto siciliano é riuscito nel suo intento: riformare, anzi
re-informare, il contesto storico della propria Siracusa, attraverso il silenzioso
tumulto di un prospetto muto e di una sezione al contrario tracotante destrezza geometrica.
L’assemblaggio diafano delle superici, in onesto e per nulla celato ag- 7
glutinamento alla tendenza del mediterraneo contemporaneo, ottiene
di (ri)proporre un augurale metodo d’operare secondo una disciplina della coscienza, lontana da qualsiasi attitudine remissiva.
Sulle memorie recenti ma lontane dell’opera di Francesco Venezia e di alcuni altri,
su questo solco così fortunato altrove, così frammentario e disatteso in Italia,
sembra potersi innestare una nuova forma di operatività secondo una sorta di
dialogo doppio con l’antico. Da un lato la presa d’atto deinitiva e critica dell’attribuzione di ossessiva intangibilità di uno status quo urbano e paesaggistico,
dall’altro la ricerca per frammenti e alchimie geometrico-materiali in un rinnovamento linguistico per necessità rainato, ma allo stesso tempo massivo e scarno.
Questa sorta di inedita relazione semiologica sembra una via d’uscita per lo
meno al di qua della barricata, dalla parte cioè della composizione e del suo
manifestarsi. Dall’altra parte della stessa barricata, quella delle istituzioni e
della cultura del no, persiste, in parallelo al decadimento culturale, l’impreparazione e il disinteresse verso il tema. Condizioni che annichilendo i pochi
eroici esempi in grado di individuare frammentarie declinazioni linguistiche,
professano allo stesso tempo disincantata fede o sbalordimento di fronte a
mostruose operazioni di marketing architettonico che già ovunque, almeno nel
mondo cosiddetto occidentale, sono state sepolte dalla stessa illusoria fama
che le ha consacrate.
Il problema della prassi si allontana, ovviamente sempre più, dalle righe scritte e dalle parole dette all’interno delle accademie, a maggior ragione quando
quelle italiane sembrano giocare, da circa vent’anni e per vari motivi, di continua rimessa rispetto al panorama mondiale. Anche l'inerzia nei confronti
dell’ormai necessaria internazionalizzazione ha reso il Paese schiavo doloso di
una arida linea di pensiero fondamentalista, governata in larga misura da vertenze di bandiera e personali, foriere solo di atteggiamenti sansonici.
I pochi buoni progetti del recente, ancor più se realizzati, una volta entrati nel
dibattito intrinseco della scuola sono ormai già digeriti attraverso l’espediente
conoscitivo, straordinario ma acritico e amorfo, del digitale. I rotocalchi, perché
questo sono divenuti primi fra tutti i più blasonati, rincorrendo la linguistica
on-line perdono inesorabilmente il confronto sia nell’input che nell’output, divenendo inine pure ristampe glamour di quanto già visto a video mesi prima.
La prospettiva, nella ricerca di soluzione al problema critico forse andrebbe
spostata: nell’impossibilità materiale di perseguire tempi e modi del digitale è
da spostare il campo, mutare le regole e disassemblare e riassemblare i meccanismi e gli obbiettivi.
Il nuovo piano, mutuato dal passato e dall’estero, dovrebbe prevedere maggiore assunzione di responsabilità, esposizione critica, attenzione morale e
ampliamento dei contributi, manifestarsi attraverso una base più ampia possibile, abbandonare la barbarie del post coinvolgendo nel dibattito le voci del
discanto e non solo quelle dell’assenso.
La cosiddetta e auto-deinita controcultura della critica blogger style, la cui scena è da anni contesa da vari intellettuali che professano il nuovo comportandosi peggio del vecchio utilizzando solo strumenti diversi, disintegra l’immagine culturale dell’Architettura, raggiungendo attraverso lo strumento digitale
profondità ben maggiori rispetto ai tempi eroici del ciclostile. Tutto ciò ovviamente senza pagare il saldo del proprio pensiero. Esternazioni che, il più delle
volete, ci si chiede se siano davvero reali e meditate o non siano un semplice
modo per aggredire commercialmente un mercato culturale già moribondo
sventolando il vessillo secondo il quale il leak é in grado di sostituire il think.
Prendendo per buona l’idea di Benjamin secondo il quale l’Architettura è l’arte
che raggiunge l’assoluto in base ad un processo, questo non può essere certamente originato da un atto di autoreferenzialità partigiana o di asservimento ad un sistema. Tutt’altro, è ancora valido il procedimento di condivisione,
discussione e abnegazione alle necessarie molteplici eterne matrici, come la
Storia, il Luogo, la Composizione e la Tecnica.
Dimostrazione del valore di ciò non è tanto il suo successo ma piuttosto l'evidente e tragico fallimento del contrario.
Oggi, un punto di vista e un principio operativo
Arcinoto è ciò che scriveva Loos in Parole nel Vuoto agli inizi del Novecento: se
in un bosco troviamo un tumulo lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala
a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto
un uomo. Questa è architettura.
Passato circa un secolo pare che l’oggetto della questione sia ancora da porre
negli stessi medesimi termini.
L’asciutto e profondissimo concetto di Loos, anche nella brillante rilettura di A.
Monestiroli, è una sinossi espressa in un paradosso architettonico in cui sono
racchiusi tutti i presupposti linguistici e teorici dell’Architettura stessa: il rapporto con il luogo, la geometria, il signiicato, la manifestazione tipologica, la
tecnica, la misura, il simbolo.
Questi princìpi, evidentemente scomodi proprio per il loro indissolubile vincolo
eugenetico, si dissolvono nella nebbia della contemporaneità difusa, succube
di un triplice tranello: da un lato la tendenza a incedere senza la strutturazione necessaria verso una proposta sempre più giocata sul piano della lusinga
dell’immagine, dall’altro la negazione dell’obbligo del confronto teorico in ossequio al concetto di performance così malamente mutuato dal mondo delle
arti igurative e da ciò, da ultimo, ha origine il conseguente ammiccamento alla
fragile quanto facile condizione critica della storia fatta dai bloggers.
Ma, ciò nonostante, pur nella diicoltà di costituire condizioni favorevoli al risultato, i tentativi, anche se timidi e minuscoli, sembrano esserci e sono disposti a narrare tutta la loro tragica ma straordinaria storia.
Più che adeguarsi al lusso provando a galleggiare è quindi consigliabile trattenere il respiro e tentare un’immersione alla ricerca dei poco noti o del tutto
ignorati esempi che costellano il territorio italiano. Esempi lontani dai tumultuosi e partigiani circoli metropolitani sempre pronti a disquisire l’ennesima
milionaria opera della stella di turno, in grado ormai solo di auto-riprodurre se
stessa in un trito di professionismo à la carte dove la rara intuizione è frutto
casomai del mal pagato collaboratore il cui nome rimarrà un eterno segreto.
In verità il territorio, tra migliaia di metri cubi di terribile edilizia, è cosparso di
esercizi di valore che trapassano le correnti sforzandosi di rinnovare e innovare l’approccio al costruire anche secondo un’entusiasta declinazione regionale,
tale da permettere di identiicare lemmi più o meno noti ed estrapolati dalle
singole esperienze territoriali.
Da qui una possibilità di ricerca e didattica, indagando la realtà dello stato
dell’arte e delle direzioni che l’Architettura individua come possibili.
Torna alla mente il Tessenow di: ci ispirassimo a quegli elementi essenziali,
come tali, si ripetono e rinunciassimo quindi alle soluzioni più individuali e più
originali nella costruzione e nella distribuzione delle nostre case per ripetere invece pochi tipi edilizi sempre uguali, certo il nostro tenore di vita ne risentirebbe
un vantaggio non indiferente rispetto alla situazione attuale. Il tentativo di
perseguire una sorta di identità ulteriore, in un’Italia polimorica, non sembra
aver dato i risultati sperati. Soprattutto quando l'auspicata unicità ha provato
senza successo di omologarsi nel segno della vaga novità andando al traino
di esperienze altre, mutuando fascinose logiche aliene di altrui contesti e sviluppatesi in diverse strutturazioni sociali. La forza dell’identità italiana risiede
invece proprio nella sua poliedrica possibilità, nella sua straordinaria diferenza
nell’applicare un uguale atteggiamento semiologico alle diferenze d’origine,
nella possibilità di riprodurre un’ininita sineddoche.
I temi per l’Architettura italiana stanno tutti in questa invisibile condizione urbana e territoriale, nella capacità di intervenire trasformando in invenzione i
meccanismi di variante che declinano le tipologie della città, nell’ideazione di
nuovi spazi collettivi nei territori della città difusa, nell’usare la forza economica di alcuni processi edilizi per produrre un plusvalore anche simbolico, tale
però da riscattarli.
Il perno su cui dovrebbe ruotare una ricerca e una didattica attive e non di rimessa è costituito dalla volontà di rinvigorire il concetto di coscienza e libertà
all’interno di un tracciato intellettuale originato dalla comprensione e per questo indissolubile. È necessario instaurare senza timori reverenziali la necessità
del dialogo con il proprio passato, con il proprio territorio e con l’innegabile mutamento delle condizioni, sempre più repentino, di una collettività immersa in
un mondo divenuto drammaticamente piccolo.
In questa geometria a due dimensioni applicabile alla condizione dell’Architet-
tura italiana, sorta di Paradosso di Schrödinger, in cui ad un supericiale stato
catatonico si contrappone, in parallelo, un energico lusso di idee e innovazione,
non si può che procedere puntando verso una consapevole e disciplinata eterotopia. Modus in qualche modo rintracciabile nella generazione di La Monaca
a Castelvetrano, Bartocci a Esanatoglia, Dragoni e Pes a Gubbio, Capanni a San
Piero a Sieve, Diverserighe, Servino, Elasticospa, Liverani/Molteni, Messina,
Fidone, SP10, Netti, Moccia, MAP, Nessuno Studio, Eutropia, Biasi-BonominiVairo, Furlani&Pierini e altri ancora.
Tra molti, il progetto di Gabriele Bartocci come quello di Latina, ma su diferenti registri, è in grado di riassumere in modo acutamente contemporaneo
l'atteggiamento linguistico e critico nei confronti del sintagma relazione per
contrapposizione. Dal punto di vista grammaticle sembra poter precisamente garantire, nello svilupparsi per elementi compositivi essenziali come il recinto, la soglia, la stanza e il percorso, l’attitudine eterna dell’Architettura di
conigurare i luoghi dell'Uomo reinterpretando l’esistente, sia esso naturale o
costruito,
Romano Guarini nelle Lettere dal Lago di Como suggerì un percorso: Per poter
renderci padroni del “nuovo”, dobbiamo in giusto modo penetrarlo. Dobbiamo
dominare le forze scatenate onde farle attendere alla elaborazione di un ordine
nuovo, che sia riferito all’uomo. Ma, in ultima analisi, questa opera non può
compiersi ove si prendano come punto di partenza i problemi tecnici; essa è resa
possibile solo partendo dall’uomo vivente. Su queste righe dovremo ri-trovare
la pazienza e il coraggio per sofermarci e cercare gli indizi che conducono al
necessario sentiero verso la Verità.
Domani, un tema di ricerca: lo Xenodochio contemporaneo di Montelungo
Tra i pendii a nord di Pontremoli, in prossimità del Monte Bardone e di quel
Passo della Cisa che da millenni rappresentano una porta tra le stanze d’Italia, si ergono ancora le rovine di un antico ediicio. Le rovine di pietra, massi
ordinatamente accumulati secondo un ordine oggi quasi non più riconoscibile,
testimoniano una lontana presenza umana. Ciò che era un luogo di salvezza e
ristoro oggi è solo memoria di un antico percorso che dalla lontanissima Canterbury portava al Mediterraneo attraverso quelle terre d’Europa che ancora
non sapevano avere vocazione d’unità.
Lungo la Penisola il percorso si inerpicava attraverso le Alpi, si dilungava nelle
pianure e ancora, in alto, lungo gli Appennini per poi incontrare altre diverse
pianure, città, valli e alla ine il mare. La strada, sinapsi quasi intangibile, era
via di comunicazione ma non premetteva alle genti di trasferirsi solo da un
luogo all’altro bensì garantiva l’osmosi della cultura, della lingua e delle
arti. Un percorso lento, quello dell’uomo che cammina attraversando 11
la Natura, penetrandone e superandone ogni più diicile espressione;
viatico di meditazione, esperienza isica, intellettuale e spirituale.
Tutto ciò oggi non vi è più. Le strade percorrono gli stessi tracciati della Francigena, ma di essa assumono solo il geometrico insinuarsi nel territorio, il tempo
ha un’altra deinizione, la velocità è elemento fondamentale e così lo spazio,
da essa curvato, appare essere del tutto irrilevante se non inesistente. Per chi
crede che questo rapporto tra uomo e la percezione del mondo che lo circonda
in qualche modo debba poter essere laicamente ripristinato ha valore l’idea di
ricondurre l’Architettura sui luoghi del proprio passato, anche i più lontani o
dimenticati, come le rovine dello xenodochio di Montelungo. Alla ricerca ancora
di quello spazio che dell’Architettura è il parametro più importante.
Proporre oggi un xenodochio contemporaneo sul percorso della Francigena vuole
essere un’operazione duplice. Innanzitutto vuole veriicare la possibilità dell’Architettura, per come noi l’intendiamo, di essere in grado di svolgere gli stessi
compiti che le antiche rovine erano chiamate a svolgere per il viaggiatore: sosta,
accoglienza temporanea, cura isica e ristoro. In secondo luogo, poter predisporre un’Architettura in grado di sostenere le indicazioni di un luogo straordinario.
I progetti non trascendono dal tentativo di rispondere in diversi modi alla pre-
Pagine 6-7
+39Studio e Nessuno Studio: Scuola d'Infanzia, San Benedetto di Lugana
Pagina a fronte
Gabriele Bartocci: Ampliamento del Cimitero, Esanatoglia
senza di una Natura sovrastante composta da monti, declivi boscosi e valli
profondissime. In parallelo la presenza delle rovine, la loro geometrica presa
di posizione contestuale al luogo, viene assunta come lingua atavica fatta
di dittonghi geometrici ed esigui, ma fondamentali, vocaboli come misura e
orientamento.
L’Architettura dello xenodochio della contemporaneità sarà di strada, dissacrante le convenzioni dell’edulcorato mondo architettonico che ci circonda.
Nelle fonti termali cerca e forse trova quell’accelerazione di speculare diversità
rispetto al proprio antenato volendo essere esperienza spirituale, linguaggio di
raccoglimento e, perché no, ri-posizionamento in una cultura del downshifting
che del lato più nascosto ed intimo della vita si vuole occupare. Tutto ciò per
tentare di proporre ai viaggiatori di oggi quei sentieri che hanno smarrito.
Spazio e velocità ritornano ad essere i parametri di ciò che l’uomo può fare:
osservare, interpretare, emozionarsi, sofrire, amare e permutare la propria
esperienza attraverso ciò che è in grado di lasciare di se, come fecero quei monaci benedettini che a Montelungo ancora ci comunicano l’esperienza delle loro
vite attraverso un testo fatto di sola pietra.
13
Ogni pietra rappresentava il
singolare conglomerato d’una
volta, d’una memoria, a volte
d’una sfida. Ogni edificio
sorgeva sulla pianta d’un sogno
Margherite Yourcenar
Giovanni Battista Piranesi: Pianta di Roma
FRAMMENTO
Luca Barontini
sorgere sulla pianta di un sogno
Nel secolo scorso l’idea di frammento si è caricata di atmosfere letterarie, tematiche concettuali, motivi igurativi, in una spuria ed ibrida combinazione di elementi razionali, dittonghi semantici e valori metaforici. Il frammento, reso reale
in architettura nel simulacro della rovina, rimanda la sua deinizione all’inalienabile relazione tra la parte e l’intero, tra l’intero e il tutto.
La parte però non è un frammento in quanto non contiene virtualmente la profezia dell’intero. Anche se includesse idealmente l’intero, la parte non costituirebbe comunque frammento senza una vicessitudine traumatica. Il frammento per
essere tale deve necessariamente recare quindi il segno sacralizzante di una violenza, le stigmate di un trauma1.Solo allora la parte accede ad un livello semantico
più nobile, più alto, di quello che normalmente occupa nella compagine costruttiva, quando questa è intatta.
A tal proposito Franco Purini ci spiega che l’ala di un ediicio può essere idealmente separata dal resto del fabbricato e per questo essere una sua parte, ma che il
fatto che lo sia isicamente non è condizione suiciente per deinirsi frammento.
Per deinirla tale occorre che il limite di distacco dal corpo dell’ediicio si carichi di
contenuti speciici, rivolti al campo semantico proprio dell’interruzione violenta e
irreversibile della continuità.
Inoltre l’atto violento e traumatico genera frammento come realtà duale: da un
lato può testimoniare un’integrità perduta, che pone il problema della sua ri-costruzione o dell’accettazione, dall’altro il frammento può essere partorito da un
costrutto mai terminato: in tal caso può estrinsecare desiderio di ultimazione o di
lascito in una condizione di non inito. In questo senso il frammento non è soltanto la sintesi nobile di un intero, ma un vero e proprio accumulatore concettuale ed
iconico che densiica ed accelera i contenuti progettuali di un’architettura: ofre
ininite ri-scritture di un testo già composto o solo immaginato nella sua totalità.
Oltre il Passo della Cisa, in direzione Sud, la Val di Magra rappresenta la prima
stanza territoriale intercettata, nel lungo percorso toscano, dalla Via Francigena. Questo paesaggio è il più vicino alla deinizione di territorio esposta da Eugenio Turri in Antropologia del Paesaggio: un luogo misterioso di cui l’uomo ancora
non ha preso completo possesso. Il dualismo tra natura e architettura, tra misura naturale e misura umana si risolve a favore della prima: poche le tracce imposte dall’uomo sulla veemente natura attorno a sé. Solamente lungo la Via, in
uno stretto lembo di terra, l’uomo ha reso manifesta la propria presenza portando le misure dell’Architettura. Ad oggi, in questa stanza territoriale, due sono le
mansioni già rintracciabili nel diario di Sigerico: lo xenodochio di San Benedetto a
Montelungo e la chiesa di San Giorgio fuori Porta Parma.
Il primo, corrispondente alla XXXII tappa dell’Arcivescovo di Canterbury, è stato
pre-testo e dittongo del lavoro degli studenti. Pochi lacerti in fregio alla Francigena raccontano la storia di un eremo, di un luogo isolato, silenzioso ed abbandonato: la rovina, frutto del divenire del tempo, incorpora una sorta di violenza, una
durata che sembra preesistere e persistere anche oltre la sopravvivenza del signiicato. In questo faticoso percorso di ricerca gli studenti, leggendo sincronicamente il frammento dello spedale, godono di una logica di molteplici ed astratte
possibilità: la sistematica dell’ediicio si scinde nel suo carattere di scelta tra possibilità ininite che permangono, come risonanza o come virtualità, nelle sue relazioni sintattiche2.I muri settecenteschi rendono vera quella che Baudelaire deinisce
la sussistenza eterna delle cose, l’anima dell’arte. Avvicinarsi ad essa col progetto
signiica adagiarvi accanto un elemento relativo che, ponendosi come corpo nuovo, consenta a quell’anima di rivelarsi compiutamente3.
Franco Purini in Il frammento come realtà operante in «Firenze Architettura», 1-2006.
Maria Grazia Eccheli in “Del frammento nella Composizione” in Architetture
topograie leggendarie.
3
Alberto Pireddu, in “Architettura e Archeologia” in Tra Acqua e Pietra.
1
2
15
Raccontano gli antichi, Varrone,
Plutarco ed altri, che i passati loro
erano soliti disegnare le mura de le
città con religione ed ordini sacri...
Matera: San Nicola All'Ofra
Stefano Buonavoglia
Il mito della fondazione non si risolve con un racconto di bestie che tiravano aratri
nè nasce con i solchi scavati nel terreno.
I fondatori erano così rispettosi per l’equilibrio che stravolgevano irrimediabilmente che, quale rito propiziatorio, riposizionavano le zolle dissodate nel solco
appena inciso, quasi a ricucire immediatamente la madre ainché fosse chiaro
che la futura città non nascesse con il peccato di un sopruso, ma vedesse luce con
rispetto per il sacriicio della terra1.
Un fendente, quindi, che in un attimo divideva ciò che era caro da ciò che era
estraneo, ciò che stava dentro e ciò che rimaneva fuori, un conine netto e senza possibilità di equivoci tra ordine e caos. Impone geometria alla tabula rasa determinando nello stesso istante l’uomo, la propria civiltà e la visione del rapporto
tra imprese umane e natura, inendo per dare contorni deiniti a quella categoria
che è il paesaggio, riconoscimento di luoghi e al tempo stesso orizzonte culturale,
quindi veritiero2, entro cui erige muri, infrastrutture, intere città.
Città le cui porte testimoniano il legame atavico tra l’uomo e le forze che fugge, combatte e inine piega al suo volere. La punta dell’aratro viene sollevata nei
punti prestabiliti per l’ingresso ainché il suolo sia più solido al passaggio, la terra
non viene dissodata, il varco sarà il punto di contatto tra la casa dell’uomo e l’imparzialità, la possibilità di ricongiungersi ad esso per ritrovarlo o per imporre nuovamente in altro luogo il disegno di pietra.
Un disegno che porta immediatamente la questione su di un altro aspetto. Quello delle forze, del fatto che tutto ciò che è possibile immaginare come solchi sulla
carta, con signiicati determinati, s’intende, poi deve diventare vero, deve sidare
l’invisibile della isica, farsi materia o perlomeno nuova legge per essa. Ancor più
indietro nel tempo c’è irmitas nel triplice tratto del genoma di architettura, ricordando come tutto quello che concerne il costruire è una lotta, un contrapporsi di
forze, di spinte, di pesi, di carichi, di spessori murari, sottolineando l’importanza
APOLLINEO E DIONISIACO
dell’angolo nella costruzione del recinto; lotta che impone alla teoria di sporcarsi
le mani con la polvere del cantiere per inverarsi3.
Quindi sulla via del viaggio che portava dal Nord a Roma è impossibile parlare di
architettura a coloro che intendono imparare il mestiere senza tentare di comprendere quale sia oggi, per noi, il signiicato dell’atto custodito nella parola,
fondazione, evitando di utilizzare il più generico ediicare; quali signiicati siano
celati nel viaggiare contemporaneo e cosa comporti tornare a farlo di fronte a ruderi testimoni del tempo in cui la stazione di sosta era un recinto per le bestie e
poco più un tetto gestiti da religiosi.
Un percorso che si interroga sulle relazioni tra queste considerazioni e la linea frastagliata dell’orizzonte appenninico che è paesaggio cercando di mettere ordine
tra le sensazioni che germoglieranno in progetto. Un progetto che dovrà inine
immaginarsi vero e quindi sidare, con fermezza e assoluta padronanza e considerazione di sé, la montagna nel costruirsi nuova stazione di sosta.
Senza tralasciare nella lotta con la spinta della terra, con quella dell’acqua, con i
carichi verticali che graveranno sulla struttura, l’esortazione al rigoroso rispetto
della proporzione, unica nobilitatrice dell’arte del costruire in grado di assicurare armonia tra le parti, punto di arrivo di ogni espediente tecnico di classica memoria4. Un esercizio costante che nasconde agli occhi dei meno attenti la fatica
che il sovrapporre mattone su mattone comporta. Riscoprendoci Adriano nell’atto di fondare, cui non sfuggiva che il senso della costruzione non era altro che un
seme, il quale, ben piantato, è l’unica vera testimonianza che l’uomo può lasciare
di se per continuare ad afermare civiltà oltre i conini dell’esperienza umana, oltre le possibilità della materia nel tempo, continuando ad opporre ordine a caos5.
Un tentativo cui il passato impone, a noi contemporanei, un confronto
con ciò che fu, riannodando i termini della questione compositiva a quelli 17
della memoria e del rapporto con l’antico. Così che lo Xenodochio, una ro-
vina chiamata Il palazzo da chi vi abita vicino – vezzo che pur provocando sorriso
alla vista di quelle quattro mura alte un paio di piani rimanda al sempre forte legame che l’umanità ha con le proprie radici – diventa caso studio esemplare dove
tutto sembra convergere ainché di Architettura si possa esperire tutto in un’unica radura.
La fondazione è un confronto che l’uomo contemporaneo dovrebbe tornare ad
esperire per comprendere il senso del suo lavoro e le conseguenze delle sue azioni. Esautorata del suo potere di lungimiranza e di sperimentazione dalla burocrazia urbanistica, oggi è lo sterile risultato di formule matematiche che nulla hanno
a che vedere con il temerario confronto con la natura che gli antichi hanno afrontato. Con la conseguenza che tutta la tensione creativa dell’intelletto umano è
stata imbrigliata grazie alla scusa del controllo e della salubrità, generando gli
spettri della città contemporanea che viviamo quotidianamente soprattutto nella penisola che fu caput mundi. Allora il viaggio attraverso la selva, la sosta imposta alla carovana, l’antico spedale quale pretesto per riunire in un unico luogo
fondazione e passato, condizione imposta dalla storia cui per sfuggire non ci resta che approdare negli estremi astratti degli orizzonti sabbiosi, delle profondità
marine o dell’immaginaria avventura della colonia spaziale.
Leon Battista Alberti, in Della architettura libri dieci. Nel Libro IV, capo III, Alberti scrive sulla forma della città e sui luoghi dove conviene costruire e nel farlo comincia dalla fondazione di cui tramanda vari aneddoti. Curiosa la nota del curatore che in questa occasione difende la maniera
dell’Alberti di arricchire di queste notizie il suo trattato anticipando di un secolo le questioni sulla
disciplina. L’Alberti non poteva prevedere, che verrebbe un tempo, in cui l’architettura sarebbe trattata più tosto come arte meccanica che come liberale.
2
Martin Heidegger, in L’arte e lo spazio. In particolare nell’introduzione si chiarisce come il rapporto della verità non è più intesa come corrispondenza della proposizione alla cosa, adequatio intellectus et rei, bensì come evento. Quindi la verità più che la veriicabile conformità della
proposizione al dato, è l’orizzonte entro cui il dato si dà: ancora una volta ciò che rende possibile l’apparire dei singoli veri. Poiché il paesaggio non è un luogo ma il riconoscimento di esso avviene attraverso la percezione dei luoghi sia emotiva che culturale, nel riconoscere un paesaggio
1
si riconoscono i limiti della propria azione, e quindi, ciò che si sviluppa all’interno di questi conini emerge come appartenente a quella verità. Nello stesso saggio il concetto della cooriginarietà
della dimensione della spazialità con quella della temporalità che comporta l’abitare come atto
discriminante per l’autodeterminazione dell’essere, eleva la percezione spaziale a tratto costitutivo dell’uomo.
3
Marco Vitruvio Pollione, in De Architettura. Libro I, capo I, La formazione professionale dell’architetto, dove Vitruvio chiarisce immediatamente come fare architettura signiichi essere depositari sia del sapere tecnico e pratico, sia teorico e intellettuale. Pertanto quegli architetti che
intrapresero l’attività senza possedere cognizioni scientiiche, ma solo un’esperienza pratica non
riuscirono a guadagnarsi una fama rispondente al loro impegno; per converso coloro i quali fecero
aidamento unicamente sulle cognizioni teoriche non mipare abbiano realizzato il loro progetto,
ma solo un’ombra. Mentre chi, fornito per così dire di tutti gli strumenti del mestiere, approfondì
entrambi gli aspetti conseguì alquanto rapidamente e con autorevolezza ciò che si era preissato.
4
Marco Vitruvio Pollione, in De Architettura. Libro VI, capo VIII, Fondamenta e stabilità degli ediici, laddove Vitruvio oltre a descrivere come afrontare i vari problemi legati all’ediicazione delle fondamenta, ricorda che l’architetto deve utilizzare i materiali facilmente reperibili nel luogo e
sarà apprezzato per la leggiadra eleganza delle simmetrie e delle proporzioni.
5
Marguierite Yourcenar, in Memorie di Adriano. Nella splendida finzione delle sue memorie
Adriano dirà Costruire signiica collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modiicato per sempre; contribuire inoltre a quella lenta trasformazione
che è la vita stessa delle città. Quanta cura per escogitare la collocazione esatta d’un ponte e d’una fontana, per dare a una strada di montagna la curva più economica che è al tempo stesso la più
pura! [...] Elevare fortiicazioni in in dei conti equivale a costruire dighe: equivale a trovare una linea sulla quale si può difendere una sponda o un impero, il punto dove sarà contenuto, arrestato,
infranto, l’assalto delle onde o quello dei barbari. Costruire un porto, signiica fecondare la bellezza
d’un golfo. Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire. Ho ricostruito molto: e
ricostruire signiica collaborare con il tempo nel suo aspetto di passato, coglierne lo spirito o modiicarlo, protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire; signiica scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti .
...Perciocchè avendo prima
lungamente presi gli auguri,
messi ad uno giogo un bue ed
una vacca, tiravano un aratolo
di bronzo, e si faceva il primo
solco, con il quale disegnavano
il circuito de le mura, stando la
vacca dal lato di dentro, ed il bue
dal lato di fuora
Leon Battista Alberti
19
Non esiste una via maestra
(se non nella nostra illusione),
mentre esistono in pratica
soltanto molte vie laterali
Ludwig Wittgenstein
Montelungo: tracce della Via Francigena
L'EVENTO
Eleonora Cecconi
Lunga oltre mille miglia, la Via Francigena collega Canterbury a Roma, territori,
paesaggi e città che la storia dell’uomo ha tracciato. Questo particolare percorso
nato dagli stessi passi degli uomini che lo hanno solcato fonde direzione, territorio, architettura in un unico umano evento, diventa generatore di luoghi, paesaggi e architetture che tutt’oggi mantengono delle caratteristiche spaziali uniche
nella Toscana. Lo spazio medievale è dunque ciò che c’è tra due punti: un vuoto da
riempire. Non esiste che disseminandolo di siti. Il luogo è, invece, carico di un senso positivo, stabile e ricco: discontinuo, costituisce un evento nella sua estensione
[...]. Le nostre strade dividono quanto uniscono. Il cammino medievale al contrario,
è profondamente iscritto nella memoria di ognuno, nelle tradizioni locali, è omaggio allo spazio. Ogni suo tratto invita alla sosta ed apporta un signiicato originale
originario [...]. Di villaggio in villaggio, (di tappa in tappa) il cammino è una serie ordinata di luoghi, ma esso stesso è un luogo1.
Un vuoto da riempire dove, durante i secoli che hanno accompagnato lo sviluppo
della Via pellegrina, si sono generate le variazioni del paesaggio che rendono unico ogni luogo che attraversa, come sola espressione della coniugazione tra le forme del territorio, del paesaggio e dell’architettura, un evento.
La Via Francigena, sovrapponendosi e reinterpretando i tracciati esistenti, partecipa alla costruzione del territorio toscano. Anzi, lo rende unico come declinazione – sincronica e diacronica a un tempo – dell’antico rapporto tra un’idea (la via,
quell’ostinata rinnovazione delle immagini dei miti che attraversano e formano
il loro archetipo: la Tavola Peutingeriana che è sempre oltre gli stessi oggetti ed i
paesaggi che pure la deiniscono) e la particolarità di un territorio cantata da antichi segni; il giusto curvare delle colline che già crea un’aspettativa del non visibile, l’esatta adeguatezza e posizione dei valichi. Tutti dogmi dettati dal massimo
interprete della forma dei territori, lo scrosciare improvviso dall’acqua, l’impertinenza dei suoi torrenti, la lenta narrazione del mutare del carattere dei suoi iumi
che sanno sempre indicare vuoi l’impellenza de monti, vuoi il pigro fermarsi delle
pianure, vuoi inine il grigiore delle loro foci.
Conoscenze.
Il tracciato di questo nuovo-antico percorso opera spesso su strutture esistenti forzandole a nuovi disegni e a nuove interpretazioni, a nuove architetture e a
nuovi insediamenti con le loro segrete precipitazioni formali.
Misura dell’uomo nel suo divenire architettura del cammino, architetture che sono piuttosto depositi e concrezioni di vita rispetto alla quale le loro stesse deinizioni formali sono secondarie. Chi riesce a separare il piccolo ospizio sui monti
dall’enorme solitudine che lo circonda?
E inine architetture come variazione e memoria di un nucleo di conoscenza che,
ormai scomparso, lo si può rinvenire, commovente, nella luce di un tramonto o
nell’aurora di un mattino.
Ritrovando così l’intero spettro di esistenza dell’architettura che tenace sopravvive anche nella dissoluzione operata dal moderno, anche nella creazione di nuovi
paesaggi per così dire artiiciali: ferrovie, autostrade e il sorgere di nuovi modelli d’uso.
Ognuno di questi paradigmi e canoni si ritrovano nel luogo e nel paesaggio che accoglie lo Xenodochio di San Benedetto, scelto perché una scoperta, rivelata dalla
stessa Via, l’evento.
21
1
P. Zumthor, in Sociologia dei luoghi ed esperienza urbana.
(All’arte) non è concesso fissarsi
sul singolo individuo che è solo la
soglia della vita.
Deve attraversarlo.
Non le è concessa stanchezza.
Per trovare compimento deve agire
laddove tutti sono “Uno”.
E quando essa fa dono di questa
“unicità”, ovunque si posa una
ricchezza senza fine.
Rainer Maria Rilke
Giacomo Marchionni
Potrebbe sembrare strano per quanto in realtà risulti pertinente il fatto che il
tema del viaggio sia quanto mai attuale, anzi centrale nel decodiicare certe pulsioni della nostra epoca.
Le esperienze del Grand Tour a partire dal XVII secolo raccontano di una società
che per la prima volta delinea e interpreta l’idea del viaggio non come semplice
spostamento da un luogo verso una meta deinita, come una semplice distanza
da coprire, ma come luogo dell’anima di chi si appresta a compierlo, esso diventa
una meta intellettuale, un percorso di crescita personale potenzialmente ininito.
L’Europa diviene così lo sfondo di un itinerario fatto di immagini e sensazioni, di
vedute e ricordi, di paesaggi e proili.
Tuttavia compiendo il Tour per il viaggiatore la progressione era e sarebbe ancora
oggi assolutamente interiore, il divenire: l’atto di maturazione delle esperienze si
compiva nei luoghi di sosta, nei momenti di stasi, quando le immagini aiorano
e ritornano alla mente, la sera, magari nel sonno mutuate da quella distanza capace di dare loro un nuovo ordine critico, probabilmente diverso da quello reale,
sicuramente intimo e personale.
In ragione di ciò potremmo sofermarci a studiare gli schizzi ritraenti la navata di
Santa Croce1 ed il Bargello2 di un giovane Charles Edouard Jeanneret del 1907 confrontandoli con quelli di un giovanissimo Le Corbusier del 1910 che disegna certi
scorci della Certosa in val d’ Ema3. È qui che si comprende il valore del viaggio, ma
ancora di più il peso del concetto di distanza critica, che trascorsi soli tre anni vede
il tratto accademico di un giovane appassionato di architettura tramutarsi negli
schizzi asciutti ed essenziali di uno dei più grandi interpreti che questa disciplina
abbia conosciuto.
Il Tour potrebbe essere raccontato immaginando che un lungo ilo di Arianna lasciato alle spalle del viaggiatore faccia da traccia ad una sezione a scala continentale capace di disegnare, come in uno skyline, l’evoluzione del proilo intellettuale
di un soggetto in movimento disvelando le sostruzioni alla base delle creste e
IN SECTIO VERITAS
delle gole di quegli orizzonti interiori che inevitabilmente trovano corrispondenza
nel mutare del paesaggio reale.
(All’arte) non è concesso issarsi sul singolo individuo che è solo la soglia della vita.
Deve attraversarlo. Non le è concessa stanchezza. Per trovare compimento deve
agire laddove tutti sono “Uno”. E quando essa fa dono di questa unicità, ovunque
si posa una ricchezza senza ine4.
L’esercizio della sezione è sempre un’operazione di verità eseguita in un luogo
di conine, un modo per svelare qualcosa; essa è uno strumento narrativo impareggiabile. Come uno zoom permette di mettere a fuoco gli aspetti critici di
un progetto. Si eleva a condicio sine qua non di critica, fondamentale per porre le
cose alla giusta distanza sul piano focale. Sezionare è una via per andare a scavare vicino all’essenza delle cose, cercando contemporaneamente i rapporti e le
corrispondenze con le ininite condizioni al contorno. Sezionare signiica anche
scegliere, o meglio, scegliere la via più breve per trasmettere suddetta essenza5.
Il disegno in sezione estrapola dalla realtà un messaggio chiaro ed univoco dell’oggetto rappresentato, perchè lo spazio che separa il cervello dalla graite della matita
iltra la realtà restituendone ciò che si è, consapevolmente o meno, scelto che debba rimanere. È un testo parallelo a quello del mondo reale, ma forse è più profondo.
È questo un principio riscontrabile nelle discipline più lontane, probabilmente
perché vi è dentro qualcosa di atavico. Un sistema complesso come un cuore non
lo si potrebbe raccontare ne comprendere escludendo lo studio di una sezione,
allo stesso modo una automobile non potrebbe essere costruita facendone a
meno. La linea che sul disegno esprime il luogo di separazione ed allo stesso tempo di contatto di due ventricoli ci sta restituendo il funzionamento di quel dispositivo, innalzando la semantica ad un livello mistico, teso ad esprimere l’essenza di
ciò che si vorrebbe descrivere.
Vediamo come inevitabilmente parlare dell’atto della scelta, della sinte- 23
si e del racconto siano stati punti cardine nell’esprimere il concetto di se-
Christopher Nolan: The Batman's Cave
zione, ma lo sarebbero stati anche se questo breve saggio si fosse incentrato sul
tema più ampio del progetto di architettura, motivo per cui l’uno non può prescindere dall’altro. Essi sono intimamente legati, e non banalmente per la deinizione
che vede la sezione come una pianta la cui proiezione dei punti avviene su un
piano verticale secante l’architettura, ma perché un progetto trova forza in questi apparentemente semplici concetti. Progettare signiica ereditare dal mondo e
dal luogo le molteplici strade di ricerca messe a disposizione da questi, scegliere
quindi il percorso narrativo da intraprendere, potando via via i rami che tolgono
energia al racconto o che semplicemente distolgono da esso quali elementi marginali, per poi esporre tutto ciò nel modo più diretto e lineare.
Dunque, un atto apparentemente tecnico come quello della sezione si rivela essenziale se vogliamo raccontare qualcosa di autentico, se vogliamo ristabilire la
giusta distanza e dare il giusto peso ad ogni categoria di cose. Eppure nel mondo dell’uniformità, in cui tutto ha il carattere dell’equivalente, saremmo naturalmente portati a sovvertire quanto sopra esposto, ritenendo che la tecnologia
rappresenti il ine anziché il mezzo in una realtà in cui: in vista della costante sostituibilità dell’uguale tramite l’uguale l’unico ine diventa appunto una tecnica
priva di anima che riproduce se stessa.
Approcciarsi alle tecnologie in maniera cieca, senza cioè il beneicio della critica,
comporta altresì un infaticabile accorciamento delle distanze che rende più dii-
cile la messa a fuoco, si instaura quindi un’esperienza del reale in cui ogni cosa si
confonde nell’assenza di distanza, quindi di profondità critica. Questo è evidentemente solo un banale errore di comprensione, la tecnologia, infatti, non è altro
che una chiave capace di aprire delle porte dalle quali scorgere nuove prospettive.
Questa è un megafono capace di ampliicare migliaia di volte le capacità umane. Lo viviamo quotidianamente, tutte quelle bellissime immagini cui abbiamo
accesso, generate grazie alle ultime tecnologie computerizzate sembrano catturarci per fornirci una realtà ampliicata, più reale del reale, in cui colori ed atmosfere sono portatori sani di ciò che sarà.
In estrema sintesi il disegno e nel caso speciico la sezione raccontano un atto
di una commedia ininita, nella quale si intrecciano tangibile ed astratto, spinta
all’indagine ed aspirazione verso l’assoluto in un lento scorrere che conluisce in
una strettoia capace di riportare l’ordine delle cose verso il reale, ovvero il fatto
che ogni “come” debba essere sostenuto da un “che cosa”.
Gli studenti che hanno partecipato al corso di Progettazione hanno avuto di fronte la proposta di erigere uno xenodochio contemporaneo che sapesse far tesoro
delle indicazioni lasciate dal suo predecessore e dai luoghi cui appartiene.
Un’architettura che nasce qui e che qui trova le maggiori indicazioni non può essere scissa dal declivio dal quale emerge o sprofonda, non può tradire l’intimo
rapporto che ha con le montagne che le sue aperture incorniciano, non può essere
in ultima istanza scissa dal bosco, scenario ameno cui appartiene, perchè verrebbe meno la sua essenza, la sua identità prima, di rifugio e di architettura, capace
di restituire al luogo le sue corrispondenze, sotto forma di spazi e misure.
Il manufatto è concepito come l’incontro del costruito con il suolo, in una dialettica tra architettura e terra, fondata sul contrasto più che sulla mimesi, sul conlitto più che sulla sintesi. In un contesto come questo non raccontare di questi
rapporti signiicherebbe tradire l’essenza stessa di ciò che stiamo facendo.
L’attacco a terra si deve vedere, dove il cemento armato penetra il prato; si deve
vedere la vibrazione delle superici che sotto la luce ci mostrano la profondità
degli spazi, deve essere possibile capire quale sezione muraria sostiene lo sbalzo
che, standoci sotto, sembra sovrastare le montagne. In sintesi: deve essere possibile comprendere che cosa è stato costruito e perché. Deve essere raccontata la
verità e la sezione permette di farlo.
Firenze: S.Croce, studio dell’interno, in Le Corbusier il viaggio in Toscana.
Firenze: studio della corte del Bargello, in Le Corbusier il viaggio in Toscana.
3
Firenze: Certosa in val d’Ema. Le Corbusier (Ch.-E.Jeanneret), Voyage d’Orient - Carnets.
4
Rainer Maria Rilke, in Appunti sulla melodia delle cose.
5
Ludwig Mies Van der Rohe, in Gli scritti e le parole.
1
2
25
Devo comunicare agli esteti
qualcosa di rovinoso: un tempo
la vecchia Vienna era nuova!
Karl Kraus
Sverre Fehn: Museo Arcivescovile, Hamar
Vincenzo Moschetti
Risale ai primi anni del Novecento l’aforisma di Karl Kraus secondo il quale l’approccio di molti architetti nei confronti del passato sia decisamente errato. Lo
scrittore austriaco si scaglia contro coloro che sofocano l’avanzare della storia
dell’architettura provocando diverse vittime tra cui la stessa opera di Adolf Loos
in Michaelerplatz. Proprio negli anni delle grandi avanguardie il conlitto si avvia
a diventare sempre più acuto e attuale rimaneggiando trascorse visioni albertiane, identiicandosi inoltre in manifestazioni quali quelle secessioniste secondo
cui a ogni epoca la sua arte, all’arte la sua libertà.
L’antico e il contemporaneo appaiono decisamente distanti. Nella realtà entrambi risultano essere assai vicini stabilendo una sorta di dicotomia esclusivamente
linguistica e temporale.
L’idea del confronto con il rudere dell’antico ospizio di Montelungo per pellegrini provenienti dalla Via Francigena, suggerisce decisive emozioni che portano lo
studente di architettura a scegliere diversiicati rapporti in merito alla propria
eredità culturale.
Il rapporto, vissuto intensamente durante l’escursione, ha fatto emergere il signiicato essenziale dell’opera medievale che da circa mille anni instaura una relazione assoluta con i boschi circostanti. L’impatto energico applicato al luogo con
gli esercizi progettuali permette di comprendere a fondo le possibilità di soluzione tra ciò che c’è e ciò che sarà, proponendo di volta in volta sguardi e rivalutazioni qualiicando l’essenza dei due elementi: nuovo e antico. L’entità di una
operazione progettuale passante dapprima con la conoscenza del luogo e successivamente con l’idea che viene tramutata in disegno architettonico, chiarisce fortemente la valenza di dover in qualche modo attenersi alle preesistenze che iere,
probabilmente, del loro essere, trasmettono al contemporaneo caratteristiche di
eternità che realmente potrebbero apparire irreali, ma che negli occhi di chi vive
l’Architettura resta un sogno realizzabile.
ANTICHI LUOGHI
CONTEMPORANEI SPAZI
Proprio questo concetto di eternità dell’opera, mutevole con il tempo, accompagna gli scambi di sguardo tra il nuovo e il vecchio che si qualiicano con nuove
sembianze donate proprio dalle varie esperienze laboratoriali di progettazione,
sempre contenenti le sensazioni personali di chi con mano traccia la sua idea.
Presumibilmente le parole scritte fanno trasigurare una visione romantica di
questo tema che, in certi momenti, assume un carattere forte che ancor di più accentua le diicoltà di integrazione tra i secoli, un carattere spesso voluto che aiuta a comprendere il signiicato di ogni gesto odierno opposto, per linguaggio, al
passato, ma opportunamente necessario rispetto al tempo. Il recupero della misura antica nel progetto contemporaneo risulta essere per molti la rinascita del
passato tramite il contemporaneo permettendo un immediato dialogo percepibile già dai primi disegni in pianta e riscontrabile poi in alzato tramite ulteriori integrazioni rispettose o meno del frammento presente.
Il tema dell’antico, in particolar modo all’interno di un corso di progettazione, diventa quindi una palestra per mettere in atto il metodo progettuale: un ordine su
cui confrontarsi, dove le contraddizioni diventano ricchezza e qualità, generando
pluralità di sensi. Nel recupero, la materia che porta i segni della memoria si intreccia, diventa un tutt’uno con quella del nuovo progetto. Lo scavare, l’ediicare,
il ripristinare sono fenomeni necessari in quello che si scopre come il rapporto tra
paesaggio, antico e contemporaneo; fenomeni imprescindibili che restituiscono
purezza e chiarezza ai gesti dell’architetto.
Il passato acquista senso nel momento in cui si realizza la propria distruzione,
non intesa come cancellazione, ma come superamento dello stesso in un’ottica
presente che non rinunci al proprio tempo, ovvero lo Zeitgeist. Spirito del tempo,
di questo si dovrebbe trattare, un tipo di spostamento di corpi: antimetastasis che porta la concentrazione verso nuovi linguaggi e nuove espe- 27
rienze. L’impatto del nuovo sull’antico appare negli ultimi decenni utile
ai ini di un avanzamento della storia che deve classiicarsi come base – una costante memoria – per i progetti del tempo presente, i quali dovrebbero ricordare,
senza alcun storicismo, tutte le più ardite sperimentazioni remote. Nel presente
c’è il passato.
Gli ediici antichi di questo tempo, quelli sopravvissuti, hanno una conigurazione diversa rispetto a quello che non v’è più, appoggiandosi o isolandosi rispetto
al nuovo. All’interno del panorama architettonico gli approcci a questo tema sono molteplici, diversiicati anche in quegli aspetti che possono sembrare uguali fra loro. A giustiicazione di questo, in un’età molto controversa, la colatura
del calcestruzzo che va a impossessarsi delle bifore dell’antica chiesa del Kolumba Museum di Cologna di Peter Zumthor, si afaccia con particolare signiicato
rappresentando un vero distacco rispetto a quella realtà che appare più forte di
ogni storia: l’antico viene immerso nel contemporaneo, diventa parte integrante di esso, venendo quasi annullato dal nuovo, ma non dimenticato: le aperture
partecipano al disegno architettonico, il calcestruzzo e il mattone collaborano con
la pietra gotica. La rovina del complesso di St. Columba appare come una stratigraia fossile recuperata in tempi moderni. Questo è il miracolo contemporaneo.
In quello che si può deinire come culto moderno dei monumenti il valore della
memoria permane. Ogni osservatore in qualsiasi momento trasforma inevitabilmente il passato in una realtà che rispecchia la propria natura, la propria cultura.
Allo stesso modo per il museo arcivescovile di Hamar, Sverre Fehn, nella corte so-
pra il tracciato dell’antica fortezza medievale, disegna una lunga rampa in conglomerato cementizio a vista che conduce direttamente dalla quota degli scavi
al piano superiore, interrompendo il passato con la modernità. Il museo – mellom jord og himmel (fra cielo e terra) – dà vita a un continuo dialogo tra interni
ed esterno, caratterizzandosi come una scelta progettuale applicata da molti che
mostra un racconto, organizzandosi come un viaggio attraverso ambienti e situazioni appartenenti a tempi diversi. Si tratta di un luogo particolarmente signiicativo per la storia norvegese, poiché ospita il sentiero Kaupang, lungo il quale nel
1302 il vescovo di Hamar si incamminò per raggiungere Roma, proprio come lo xenodochio di Montelungo lo fu per molteplici pellegrini di quello stesso tempo. La
realizzazione di Fehn chiarisce l’approccio fondamentale secondo il quale la maniera moderna, intesa come attuale, diversiica le fasi storiche, ma interviene su
esse in egual modo impattando brutalmente con il cemento che va a simboleggiare con una semplice lama l’arrivo di una nuova età, imprescindibile! Bisogna
allora parlare di Gegenwartswerte – valori contemporanei – derivante da una visione profondamente assoggettata da culture recenti che riscoprono il passato
in vista di una nuova visione futura. Il tutto si può rivedere in una relazione fortissima tra ciò che non è più e ciò che non è ancora; secondo Riegel, inoltre, quello
che è stato una volta non può più essere di nuovo. In questi gesti potrebbe compiersi la soluzione dei nostri tempi, dove l’architetto, partendo dapprima come
allievo e successivamente come professionista, si confronta con il passato riem-
Se venisse cancellato dalla
faccia della terra tutto ciò che il
Cuzco racchiude, e al suo posto
si mettesse un paesino senza
storia, ci sarebbe comunque di
che parlare
Che Guevara
piendolo di tutte quelle esperienze secondo le quali dal momento che la rovina
perde signiicato può diventare parte di un nuovo progetto, poiché l’architettura
è qualcosa di vivo che cambia giorno per giorno.
La diversa dilatazione del tempo seguita da quella dello spazio nel corso dei secoli hanno portato a considerazioni disparate in merito all’argomento. Antico e
contemporaneo cosa sono? Entità diverse o realtà uguali di spiriti lontani? Le risposte verosimilmente contrastanti possono probabilmente collimare nella visione che l’architetto porti nelle proprie prospettive mentali le idee passate, di
istanti lontani che raccontano la storia. A necessità di questo, però, non si deve
dimenticare l’importanza degli eventi tipici di un tempo, ovvero non bisogna rinunciare al nuovo, brutale a volte, ma necessario. A Cuzco, l’antica capitale Inca,
probabilmente i grandi blocchi monolitici degli ediici precolombiani avrebbero
perso il loro valore memoriale di antichità se i conquistadores spagnoli non avessero costruito del nuovo su di essi, tanto che se venisse cancellato dalla faccia
della terra tutto ciò che il Cuzco racchiude, e al suo posto si mettesse un paesino
senza storia, ci sarebbe comunque di che parlare.
29
Alessio Orrico: Kanji
architetture
31
Ma i veri viaggiatori partono per
partire e basta: cuori lievi,
simili a palloncini che solo il
caso muove eternamente, dicono
sempre andiamo e non sanno
perchè. I loro desideri hanno la
forma delle nuvole
Charles Baudelaire
NUDA PROSPETTIVA
Simone Nardo
Andrea Pazzaglia
Giorgio Pluchino
Oggi il concetto di viaggio si è perso, è smarrito nell’animo della società contemporanea. Forse il viaggio nella sua accezione più profonda non appartiene più
all’uomo?
L’obiettivo non è quello di dare delle risposte, ma di porsi il compito di proporre
un’architettura che possa far rilettere, un’architettura che possa spingere l’uomo ad un ragionamento critico nei confronti del proprio tempo. Straordinario teatro che assolve questo compito è Montelungo, incorniciato dall’onirica visione
delle alpi apuane. Lassù, sul sentiero della vecchia via Francigena, si erge uno xenodochio medioevale. Il modulo delle celle è il ilo conduttore che lega il frammento all’architettura, che a sua volta con il tempo tornerà ad essere la testimonianza
di un passato dal quale è nato. Il modulo, la misura che compone l’armonia dell’intero progetto, scandisce il ritmo delle tappe ino a comporre la sequenza che deinisce i tre volumi architettonici; tre volumi generati da una stessa matrice, tre
volumi e una stessa forma, tre tappe diverse per un solo viaggio.
È proprio in questa scelta lontana dagli eccessi, dai lussi dettati dalla società, che
giace la testimonianza di viaggiatori di altri tempi. Il lotto con il suo dislivello, tela ideale, diventa materiale attivo per creare e per negare volutamente le viste.
Lo sguardo dell’osservatore perde improvvisamente la misura e si apre sino a ricreare la sensazione di vedere, con lo stesso animo del protagonista, dentro Il
Viandante di Friedrich. Il cielo diventa un frammento, un brandello di linee smarrite da comporre con la sua copertura che, sotto i raggi del sole, inizia a vibrare, si
trasforma nelle vele di navi immobili tanto amate da Sverre Fehn. Lì ci si sente
impotenti, come per i marinai lo scemare del vento è l’accadimento più temuto e
provoca in loro una sensazione d’impotenza.
Scrisse Pavese: c’è qualcosa di pauroso nella calma del mare, come c’è qualcosa
di misterioso dietro lo stesso stato d’animo del viaggiatore prima che trovi le sue
risposte.
Ed è proprio lì, in mezzo a due piani tesi mentre le linee si tendono ino
alla ricerca del loro inito, il loro punto di fuga e noi ricerchiamo il nostro.
33
Pertanto mentre loro all’ininito si trovano, noi, invece, ci perdiamo.
35
37
C’è un unico tipo di costruzione
ideato per trasformare
l’esperienza architettonica
in una irrazionale sequenza di
sorprese, ed è il labirinto
Rudolf Arnheim
IL VIAGGIO INFINITO
Chiara Moretti
Alexander Palagano
Luisa Palermo
L’ispirazione nasce dal frammento in arenaria conservato nella vicina Chiesa di
San Pietro a Pontremoli raigurante il labirinto, simbolo del sacro e diicoltoso
iter, surrogato del viaggio reale.
Il labirinto, che trova il suo archetipo nel mitologico palazzo di Cnosso diventa
quindi l’emblema delle peregrinazioni dei fedeli, un viaggio ininito volto alla salvezza, costituito da una successione interminabile di esperienze. Esso si conigura come un quadrato spaccato dalla Via Francigena. Labirinto dentro (al) labirinto.
Il progetto appare dall’esterno come un vero e proprio ediicio vegetale in cui è
prevalente la componente botanica. L’ingresso avviene in modo discreto, dimesso, dissimulato. Esso si riduce ad un varco, un semplice momento di passaggio dall’esterno all’interno che esprime una certa sensibilità mimetica rispetto
al contesto. Il progetto quindi, parzialmente ipogeo, si inserisce nel pendio, quasi confondendosi con esso. Il vero fronte dell’ediicio è forse il tetto, meticolosamente traforato per direzionare la luce negli ambienti sottostanti. Lo spazio è
scandito da un moderato caos di volumi parallelepipedi intervallati da corridoi che
possono essere attraversati secondo una sequenza qualsiasi, diferente per ogni
individuo ed ogni occasione, eppure sempre valida. Si propone l’utopia del percorso libero. All’interno del labirinto fa da guida la personalissima idea del visitatore
che può seguire l’impulso del momento o lo stimolo visivo, scaturito dalle immagini parziali che gli scorci del progetto ofrono continuamente.
Le partizioni verticali strutturano e scandiscono l’ediicio senza produrre alcuna
gerarchia, alcun riferimento chiaro, a vantaggio della luidità spaziale. Il progetto
richiama in questo senso lo scavo casuale ed imprevedibile delle cave che non ha
simmetrie né centralità. Non esiste un climax, un momento topico risolutivo nella conigurazione architettonica del progetto, così come non esistono un principio
ed una conclusione al continuo errare dell’essere umano.
Il labirinto contemporaneo è un luogo aperto ed indeterminato che si esprime
nell’ informe insieme di episodi, di esperienze sensoriali incontrati lungo
il sempre mutevole tracciato che costruiscono l’inesauribile ediicio del39
la conoscenza.
41
Uno per tutti, tutti per uno
Alexandre Dumas
L'UNITÀ DEL SINGOLO
Sara Manelli
Annalisa Petito
Il principio dell’intero progetto nasce dalla necessità di studiare varie
ricerche architettoniche passate, tra le quali il cimitero di Gerusalemme.
Rapportandosi alla contemporaneità, però, vari sono gli esempi che si
riallacciano a questa esperienza tra i quali il Memoriale dell’Olocausto di
Peter Eisenman a Berlino.
L’idea di frammento, in ambito archeologico, suggerisce la ricomposizione
di una serie di cubi che presi singolarmente rappresentano il frammento
stesso. Questi ultimi non ricoprono però l’intera area di progetto scelta,
ma sono distribuiti ortogonalmente creando un’alternanza non simmetrica
di pieni e vuoti, dove sono inoltre posizionati spazi scavati nel terreno quali
prese d’aria e luce per gli ambienti ipogei delle terme e non solo. Alle sale
sotterranee, che occupano solo una parte dell’intera struttura, si accede da
alcuni cubi di discesa che sono posti a distanze uguali tra loro.
La zona di camminamento è stata studiata sulla base del Cretto di
Gibellina di Alberto Burri e del Memoriale dell’Olocausto di Peter Eisenman;
quest’ultima è rappresentata come un sentiero tra i vari cubi, dove lo
spazio ristretto permette il passaggio ad un’unica persona alla volta.
L’ingresso è stato previsto seguendo le indicazioni di quello che prima
era lo xenodochio, quindi, per mantenere un legame con il passato, si è
pensato di mantenerlo lì dove prima era la Via Francigena. Passeggiando
tra cubi che si stagliano uno accanto all’altro si vuole ricreare l’impianto
di una città, come se, invece di camminare lungo dei sentieri di un centro
benessere, si camminasse per vie urbane.
Per quanto riguarda gli interni il tutto è basato su forme semplici, definite
troglodite; queste forme di una semplicità unica sono delineate da muri
molto spessi che rimandano alla genesi dell’architettura rendendo il
progetto quasi futuristico.
Con questo progetto, quindi, si è voluto giocare sul significato
di unità del singolo e singolo che si distacca dall’unità, con un
43
intervento incisivo sul territorio che si mescola con l’ambiente.
45
Qui sta il paradosso: come
diventare moderni e fare ritorno
alle origini
Kenneth Frampton
ARMONIA DEI CONTRASTI
Martina Palmisano
Licia Petraccaro
Un viaggio attraverso il passato per approdare nel presente, riprendere l’antico e
renderlo attuale; infatti solo da una profonda comprensione del passato può scaturire qualcosa di signiicativo per il futuro: questo è stato il criterio base per lo
sviluppo progettuale. In particolare, è stato svolto uno studio approfondito sul
rudere; analizzandolo mediante il principio della sezione aurea è stato possibile
ricostruire una maglia strutturale, matrice fondamentale per l’intero iter progettuale. Successivamente l’attenzione è stata rivolta alla peculiarità morfologica
del sito, la pendenza, e alla scelta di collocare la costruzione lungo gli assi verticali della maglia strutturale, in corrispondenza quindi dello xenodochio. L’obiettivo
principale si conigura quello di riuscire a sfruttare questa caratteristica e renderla parte integrante del progetto, non occultando in alcun modo le rovine dell’antica costruzione. L’idea è stata, quindi, quella di evitare di costruire in altezza,
inserendo un parallelepipedo ancora allo stato embrionale che s’integrasse con
l’intorno come se fosse sempre stato in quel luogo.
Altra matrice per lo sviluppo del progetto è stata la Francigena. Sono state infatti
pensate due direttrici, una perpendicolare ed una parallela alla via (sempre in rapporto con la maglia), che caratterizzano gli assi principali sui quali si sviluppa l’intero progetto. La struttura interna viene quindi a delinearsi soprattutto grazie a
questi percorsi. L’accesso avviene dall’alto verso il basso, mediante un’imponente
scalinata lungo l’asse perpendicolare che alla ine si apre verso il panorama circostante. L’ediicio, in deinitiva, è un grande volume su due livelli, incastrato nella
montagna. La vasca termale ubicata al livello più basso è a cielo aperto; nonostante ciò l’acqua avvolge e rende opaca ogni cosa, conquista e annulla lo spazio.
Le fenditure sul soitto lungo le direttrici al livello più alto comportano giochi di
luce che si riversano anche al livello più basso. La luce del piano superiore contiene
il buio del piano inferiore, che a sua volta contiene un punto di luce con la grande
apertura sulla vasca termale.
È un progetto fatto di contrasti (passato e presente, uomo e natura, luce
e buio), non vi è un dentro e non vi è un fuori ma solo una totale fusione
47
con l’ambiente circostante.
49
Non bisogna far violenza
alla natura, ma persuaderla
Epicuro
INCONTRI
Niccolò Maccioni
Marco Paoli
Beatrice Perticaroli
Lo xenodochio di Montelungo era un luogo adibito a rifugio per i pellegrini che si
muovevano lungo la via che collegava le principali mete di pellegrinaggio nel Medioevo. Ai nostri tempi sono giunti esclusivamente i resti di questo rifugio, che si
afaccia su una vallata dalla spettacolare veduta.
Il progetto ideato non vuole sottrarre questa magniica visuale al viaggiatore;
per questo l’intera struttura, come l’ingresso alla stessa, non supera in altezza
il livello della strada, ponendo delle scale che scendono nel grande prato opposto ai resti dello xenodochio. Il concetto essenziale è quello del bivio: una strada
che si stacca dalla Via Francigena e scende verso valle sotto forma di scalinata.
Quest’ultima attraversa tutto il progetto e resta interamente scoperta indicando come essa sia solo un’infrastruttura, qualcosa da percorrere. Essenzialmente
il tutto è formato dalla compenetrazione di due solidi a base rettangolare ispirati
alla sezione aurea, dalla quale lo xenodochio ha creato la propria pianta. La potenza di questi due grandi corpi, in cemento armato, risalta nella cornice verde che
li circonda. L’ediicio prende importanza grazie alla natura circostante e la collina,
sulla quale si trova, sottrae sempre di più a ogni piano lo spazio interno dei vari livelli. Le vasche termali sono al piano più basso, quel piano che fuoriesce dalla
collina soltanto in parte e si erigono sotto forma di grotte o nicchie accessibili da
stretti ingressi, tutto in un doppio volume verticale sormontato esclusivamente
dal cielo. Ancora una volta la natura entra nelle viscere del progetto e lo caratterizza. L’elegante e armonioso gioco di positivi e negativi che domina il tutto ruota intorno al grande vuoto centrale, luogo di incontro tra i due solidi: quello della
zona delle camere e quello della zona termale. Le ombre si innalzano alte in tutte le vasche e nei passaggi che conducono a esse, creando sbalzi improvvisi di luce
e ombra. Le stanze sono povere e grezze, quasi delle celle nelle quali le aperture
si limitano a tagli lungo il pavimento di ridotta altezza che permettono di intravedere le vette degli alberi e i monti vicini. Dall’esterno ciò che si mostra ai nostri
occhi è qualcosa di imponente, che partecipa allo spettacolo naturale circostante
fatto di paesaggio e ruderi che riprendono vita.
51
53
Ci sono momenti nell’esistenza
in cui il tempo e l’estensione
sono più profondi, e il sentimento
dell’esistenza è immensamente
aumentato
Charles Baudelaire
.
ONCIALE
Valentina Panella
Lisa Parmigiani
La via Francigena era la principale arteria del traico continentale del Medioevo che, specie dopo l’invasione dei Longobardi, costituiva un sicuro percorso per
i viandanti. Lungo essa si iniziarono a costruire abbazie e ospizi secondo un programma strategico dotato di un dispositivo di difesa.
La relazione di viaggio più antica risale al 990 ed è compiuta da Sigerico, arcivescovo di Canterbury. Egli descrive le tappe del suo itinerario di ritorno da Roma ino al
Canale della Manica, annotandole in un diario. Studiando questa area geograica
si è ricreata una sorta di centuriazione territoriale, sviluppando all’interno di questa stanza territoriale, che va dal passo della Cisa ino al Mar Ligure, un insieme
di griglie, la cui risultante darà il nuovo percorso del nostro cammino moderno.
Riscoprendo l’originale articolazione urbana di La Spezia e Sarzana e, allo stesso modo, seguendo le varie inclinazione dei due “castrum romano” abbiamo sviluppato due griglie, a formare una centuria: la prima seguendo l’andamento del
cardo e decumano di La Spezia e l’altra inclinando in base al castrum di Sarzana.
Lungo l’incrocio delle griglie, all’altezza della Val di Magra, si sviluppa l’ipotetico
cammino che si è immaginato; quest’ultimo è composto da 8 tappe che si espandono da Montelungo (la reale area di progetto) ino ad arrivare nelle zone limitrofe, ad Aulla, altra tappa storica della via Francigena. Questa macrostruttura
è stata quindi adattata all’area di progetto; qui abbiamo progettato il modello
standard della singola tappa di questo percorso.
Il percorso della via moderna è messo in risalto, allora, da un tunnel pedonale, sezione di 2,4 m x 2,4 m, di colore rosso; va dal bosco limitrofo allo xenodochio, si
interrompe a metà nel punto in cui passava la via Francigena antica e prosegue
incastonandosi in una torre di 60 metri aprendosi sullo scenograico paesaggio
della Val di Magra. Attraverso questo percorso si arriva all’interno della torre e ci
si ritrova in uno spazio cubitale che si sviluppa al lato della via, incastrandosi con
essa: è pensato come riposo per i viandanti, che, stesi per dormire, potranno vedere le incisioni presenti lungo tutto l’interno della torre e che rappresen55
tano la copia fedele del diario di Sigerico.
57
Egli infatti vuole perire
Friederich Nietzsche
.
LA BASE DEI CATTIVI
Riccardo Niccolini
Alessio Orrico
Se nelle arti narrative contemporanee, dal cinema alla letteratura, la tendenza è
quella di assottigliare il contrasto tra protagonisti e antagonisti proponendo eroi
sempre più disillusi, oscuri e moralmente ambigui il motivo è semplice: ci identiichiamo più nei cattivi che nei paladini senza macchia.
Ormai fuori moda nei loro vestitini attillati e sbrilluccicosi.
Questo perché ciò che contraddistingue un cattivo degno di tale nome non è più
la cattiveria, ma l’inevitabile sconitta, lo scarto incolmabile fra la cieca ambizione
e la reale complessità delle cose con cui essa si confronta.
Il cattivo, a modo suo, crea: l’eroe è solo la risposta, è solo la risposta alla violazione che questo perverso impeto creativo implica su un sistema. Il cattivo, parlando in termini di icone, è il ritratto di un essere umano: l’eroe è la sua caricatura.
lo xenodochio è una carcassa di cemento collassata sul pendio, verme ortogonale
che esce, che esce dalle profondità del suolo, tenta lo slancio verso il cielo solo per
poi tornare verso la terra umida.
Gli spazi funzionali sono pochi brandelli che indugiano appesi alle ossa della grande cassa toracica, aperta al sole come alle intemperie, che chiede a gran voce di
essere infestata e violata, dall’uomo come dalla natura.
Ogni metro quadro di cemento è silenzioso, non giudica, con lui non devi essere niente. È lì per accogliere la vita nella forma che spontaneamente vi si manifesterà. Ofrendo sempre al viaggiatore, o a chi per lui, la sua accoglienza primitiva,
senza chiedere in cambio gentilezza alcuna. La brutale semplicità di questo progetto è interamente subordinata alla natura di tappa dello xenodochio, luogo di
non permanenza per antonomasia.
Un luogo per scoprirsi cattivi, non da vivere, ma da infestare, da usare e buttare
via, un luogo che pone l’individuo davanti a se stesso
senza pretesa alcuna di farlo sembrare più bello, più pulito, o più intelligente di
quanto sia realmente, ma che nella sua brutale onestà e rude accoglienza 59
non lo farà mai sentire sbagliato o inadeguato.
61
63
L’architettura è la continuazione
della natura nella sua attività
costruttiva
Karl Friedrich Schinkel
DIALOGO MUTO
Gabiria Masciullo
Irene Miccinesi
Nadia Monte
Assaporare la natura,viverla,accarezzarla.
Come procedere? Posizionare le masse del progetto e fonderle col terreno sottostante. L’architettura proposta, infatti, è composta da forme che, nell’inserirsi, si
legano all’ambiente, creando una cosa sola.
Linearità e semplicità delle forme sottolineano un attento rispetto per il luogo
che accoglie l’opera. Tre blocchi staccati. Non ci sono collegamenti né indicazioni.
Lo scopo? Destare nel visitatore un moto di sorpresa ma allo stesso tempo di invito e accoglienza.
ACCOGLIERE
I nostri blocchi non hanno porte ma soglie. La scelta esalta la continuità fra ambiente esterno e costruzione, sottolinea l’apertura e l’ospitalità che vogliono essere tratto fondamentale del progetto. Il movimento all’interno delle strutture è
libero, spontaneo, e nessun blocco risulta entità distinta e separabile dalle altre e
dalla natura circostante.
INTROVERSIONE E RIFUGIO DELL’ANIMO
Il nostro progetto, composto da tre blocchi quadrati, si sviluppa al suo interno
sull’impianto di una corte; su di essa gli elementi si afacciano ed intorno ad essa crescono. CORTI INTERNE. Vogliamo che il progetto parli di un senso di introversione e di rilessione tipico del rifugio che abbiamo creato. Rifugio isico per
quell’abbraccio dato dai grandi setti perimetrali, rifugio dell’animo in una natura
che silenziosamente viene avvolta dall’ architettura.
EMOZIONI
Cielo, vento, libertà. Carezze d’aria. Niente tetti. Il connubio con la natura avviene
anche nella dimensione sovrastante il terreno. Le strutture non coprono né intercludono il volume ma ad esse è assegnata la funzione di evocare uno slancio creativo capace di consentire un aggancio tra l’opera dell’uomo e quella della natura.
Nascono così le strutture aperte al cielo.
DIALOGO FRA PAESAGGI
Si voleva rendere lo xenodochio parte integrante del progetto. Lo si è reso scena di un teatro che, pur essendo una costruzione nuova, avesse il sapore
dell’antico e del vissuto. Si voleva creare un nuovo paesaggio che dialo- 65
gasse con uno preesistente, un’armonizzazione con il rudere.
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69
Talvolta mi accadde di meditare
sulla bellezza dei ruderi…su
questa loro natura di schermi,
dietro cui non si vede e mi
avvenne di pensare a ruderi che
avvolgessero gli edifici
Louis I. Kahn
.
MEMORIA E AMNESIA
Irene Magni
Lucrezia Mainardi
Ester Mariucci
È così che nasce il progetto: una macrostruttura che diventa podio per la rovina.
Una scultura, un monumento chiuso in se stesso, un segno forte di diicile comprensione. Un gesto enigmatico ma mai casuale, che deriva dallo studio di un diagramma eisenmaniano e ricorda i disegni di Purini.
Il diagramma ha fatto da matrice all’invenzione. Non è una forma tipo, ma una similitudine formale. Un mezzo per raggiungere l’astrazione.
L’unica possibilità di relazionarsi con il paesaggio in questo contesto è rappresentata da una passerella, una lamina sottilissima, quasi priva di spessore che si insedia tra i pilastri i quali fanno da basamento alla struttura, creando un gioco di
viste e tagli di luce volto a emozionare e coinvolgere lo spettatore, protagonista
di un viaggio circolare senza meta che non torna mai su stesso.
Il viaggio è la ricerca di questo niente assoluto, di questa piccola vertigine per coglioni.
Sono i pilastri, cavi, che permettono alla luce di iniltrarsi all’interno dove si spez-
zano, ma mai nello stesso modo, ino a disintegrarsi diventando semplici setti
nell’ambiente termale, illuminato esclusivamente dall’alto, attraverso dei grandi
lucernari che ricordano quello del Tempio di Mercurio a Baia.
La luce si iniltra in determinati posti e la pietra prende luce, l’acqua comincia a risplendere e subito esiste un’atmosfera scintillante.
Non c’è nulla di rainato: la struttura è caratterizzata dalla scabrezza del cemento, dalla gravità del prospetto, quel prospetto che ricorda la forma dell’acquedotto romano.
Al livello della passerella questa mancanza di rainatezza si percepisce in modo
ancora più forte tanto che si ha la sensazione di camminare tra i fumi di un ambiente industriale, fatto di superici ruvide e metallo.
Questa architettura risulta il punto intermedio tra unità e frammento, ordine e
disordine, razionalità e irrazionalità, semplicità e complessità, regola ed 71
eccezione, memoria e amnesia. È il tutto e il niente.
73
75
[...]non già rifiniti
impeccabilmente, forbiti e lucenti,
ma nudi e schietti, sì da mettere in
luce l’acutezza della concezione,
non l’accuratezza dell’esecuzione
Leon Battista Alberti
.
IL CIELO IN TANTE STANZE
Eleonora Mariotti
Marco Nucifora
Elisa Pardini
Questo progetto nasce dal vuoto. Materializza una memoria isica e smaterializza, sbriciola una presenza concettuale.
Un vuoto esprimibile soltanto in negativo, un’assenza di pieno deinibile solo come spazio delimitato da muri, diaframmi che ne lasciano intendere la natura, il
carattere. L’estrusione di questi vuoti genera una cascata di pieni, di pesanti volumi cavi che vanno ad adagiarsi sul terreno assecondandone la gravità. Alla base del vuoto, del pieno, la scala umana, generatrice di una maglia dimensionale
che vede primeggiare la centralità dell’uomo, la sua statura, la sua posizione, il
suo punto di vista. Il progetto si propone al pellegrino come aggregazione variabile di moduli, in cui la casualità stessa della loro disposizione suggerisce paradossalmente una itta rete di intrecci e relazioni spaziali, isiche, dimensionali,
emozionali. Questa rete di contatti è determinata essenzialmente dalla presenza
angolare: è l’angolo a generare gli spazi, a fornire un metodo di misura e di orientamento, di coerenza e stabilità; laddove gli angoli si intrecciano e si rincorrono,
l’occhio corre e si perde quel momento di stasi psicologica per entrare in un vorti-
coso dinamismo e ricerca del inito. L’occhio è proiettato, in qualsiasi punto esso
si venga a trovare, su una silenziosa ma eloquente poesia, in un connubio di natura e costruito: un costruito che sembra essere emerso dalla terra, frutto di un
sisma o altra manifestazione naturale, che lo ha portato alla luce e abbandonato
allo scorrere impietoso del tempo.
Un punto di sosta come di frenesia, di accoglienza come di ostilità. Il conine tra
esterno/interno, pubblico/privato si fa sempre più incerto ed ogni spazio diventa
mutevole, permeabile, diverso ad ogni cambio di luce eppure sempre lo stesso, in
un’incessante gioco di rotazioni e compenetrazioni che ne evidenziano l’eccezionale valore chiaroscurale; si instaura così un’analogia con l’esperienza dell’uomo
che sul suo cammino incontra quel paese straniero tanto amato quanto odiato,
desiderato e sempre riiutato: nell’antitesi e nell’opposizione tra le parti si colloca
questo progetto che solo da quell’ansimante equilibrio trova e raggiunge
la sua completezza ed universalità. Pieno e vuoto. Grave e inconsistente. 77
Intimo e ostile.
79
Pria che noi siam più avanti, acciò
che ‘l fatto men ti paia strano,
sappi che non son torri, ma giganti
Dante, Inferno, canto XXXI
I GIGANTI CENTIMANI
Martina Meoni
Francesca Moruzzo
Lungo il passaggio attraverso la Via Francigena, lo xenodochio, luogo di sosta e
ristoro per i pellegrini che decidevano di afrontare il lungo itinerario, appare oggigiorno come il frammento di un’epoca passata, la testimonianza di un vissuto che vuole divenire Genius Loci. Proprio per questo non si è scelto di andare ad
intaccare questa preesistenza ma di cercare di esaltarla rivalutando il suo ruolo
all’interno del progetto. È da questa intenzione che nasce il rapporto con l’Acropoli di Atene, dalla quale scaturiscono tutte le proporzioni della struttura e la funzione di propileo dello xenodochio.
Questa volontà di rapportarsi con il passato è facilmente associabile al concetto di conservazione integrata, espresso dal sociologo e critico d’arte vittoriano
John Ruskin nel suo scritto Le sette lampade dell’architettura. Egli sostiene, infatti, che il primo compito morale di un architetto consiste nel conferire una direzione
storica dell’architettura di oggi, il secondo nel conservare quella delle epoche passate come la più preziosa delle eredità.
Per Ruskin, l’architettura assume la propria isionomia in funzione anche dello
scorrere del tempo, il quale, segnando l’ediicio, diventa un elemento fondamen-
tale della stessa architettura ed è così che, allo stesso modo, viene concepito il
nostro progetto.
Tre muri si ergono lungo il pendio alla base dello xenodochio, tre muri assolutamente indipendenti, semplici ma, allo stesso tempo, articolati contenitori di
quelle che sono le loro funzioni. Il loro silenzioso passaggio attraverso la collina,
la loro spropositata potenza rispetto al nulla che li circonda sono caratteristiche
che rilettono la nostra volontà di accostare il vecchio al nuovo senza andare ad
alterarne l’essenza: l’antico e il contemporaneo convivono armoniosamente, rispettandosi come se fossero stati concepiti insieme. La visibilità della rovina non
viene oscurata ma esaltata da scorci, terrazzamenti e prospettive dettate dalla
nostra architettura.
E come se fossero i tre mitologici Giganti Centimani, Briareo, Gige e Cotto, posti
da Zeus a guardia dell’Olimpo, i nostri tre segni proteggono e celebrano allo stesso tempo quella traccia di passato sopravvissuta all’avvento della mo81
dernità.
83
Montagna, pietra, acqua, costruire
in pietra, con la pietra, dentro
la montagna[...] il tentativo di
dare a questa catena di parole
un’interpretazione architettonica
ha guidato il progetto e, passo
dopo passo, gli ha dato forma.
Peter Zumthor
ACQUA E PIETRA
Marco Passariello
Silvia Pecchioli
Edoardo Piampiano
Le origini di Montelungo sono antiche e si perdono nei tempi bui dell’Alto Medioevo. Una storia millenaria indissolubilmente legata alla sua strada, conosciuta
nei secoli come via di Monte Bardone, via Francigena, via Romea, o strada della
Cisa. In passato un pellegrino, un commerciante, un generale con le truppe al seguito, o addirittura un re, che dalla val padana fosse diretto a Roma o viceversa, si
trovava costretto ad oltrepassare la montagna. Bufere e tempeste di neve, pioggia, fulmini, animali in caccia, uomini di malafare, erano incontri probabili. Fatica, fame, freddo e fede erano compagni di viaggio inevitabili.
Fin dall’epoca longobarda infatti Montelungo fu un importante centro religioso
amministrato dai monaci Benedettini i quali qui fondarono anche uno spedale
(xenodochium) in cui davano cura e ristoro a chi lo richiedeva.
Con questo progetto si vuole creare una struttura di ricezione che riprenda l’antico xenodochio situato nella zona di Montelungo inserendo delle vasche termali.
L’area di progetto ha la particolarità di essere attraversata dalla Via Francigena, e
si dovrà trovare un’interazione fra quest’ultima e il progetto.
L’ediicio intende dare una forma al concetto di viaggio, che è poi il ilo conduttore tra la preesistenza e la località ove è posta. Seguendo questa idea si è voluto
dare una forma allungata ai due corpi di fabbrica, come fossero due corridoi alle
cui estremità si trovano le due aperture verso l’esterno; il punto principale è però
la sistemazione dei servizi principali come camere, vasche, biblioteca o intrattenimento: questi servizi sono appunto situati all’interno di questi corridoi, come a
voler sottolineare l’essenza del viaggio cioè che l’importante non è rappresentato
dalla partenza o dalla meta ma dal percorso, da ciò che sta in mezzo. La sensazione
di continuità che si prova attraversando i due corpi di fabbrica è data dall’illuminazione, che entra appunto solo dalle due estremità dei corridoi e dalla continuità del
materiale; il progetto è appunto interamente realizzato in calcestruzzo. 85
87
La qualità dell’intervento dipende
dalla capacità di dotare il nuovo
di proprietà in grado di instaurare
un significativo rapporto di
tensione con il preesistente.
Peter Zumthor
.
EROSIONE DI UN BASTIONE
Rafaella Nardelli
Valentina Perra
Adele Piccioni
Il concetto è interamente incarnato dalla precedente citazione: integrazione con
il contesto circostante ed esaltazione monumentale delle preesistenze storiche.
Il progetto si propone di dialogare con l’antico: esso, infatti, si innesta al di sopra
di un basamento che emula i resti di un’architettura medievale al di sopra della
quale si innalza in modo monumentale, lo xenodochio. Lo scopo consiste, quindi,
nella creazione di una struttura capace di non ofuscare ciò che la storia ha delineato nei secoli precedenti. L’ediicio si colloca nella località di Montelungo, lungo la Via Francigena e riprende, rileggendola in chiave moderna, la funzione che il
rudere di San Benedetto svolgeva nel passato. I punti di riferimento per l’elaborazione sono stati i bastioni, in particolare il Forte del Belvedere, La Tourette di Le
Corbusier e le Terme di Vals di Zumthor. Il progetto penetra parzialmente nel terreno seguendo l’andamento del declivio ed è dotato di un tetto giardino, interrotto da tagli; uno di questi permette l’accesso all’auditorium, la cui cavea lacera la
copertura. Si tratta di un’architettura erosa dalla roccia. Per questo motivo l’articolazione interna delle piante si riduce progressivamente all’aumentare della
profondità. Il tema del baluardo si palesa nello spigolo prominente del progetto.
Esso ha una notevole valenza plastica e si impone con magniicenza all’osservatore, caratterizzando il prospetto verso la vallata. L’organizzazione degli ambienti interni prevede una zona che ospita gli alloggi e un’altra in cui si concentrano gli
spazi pubblici. L’area di destinazione privata riprende La Tourette per la scansione modulare delle camere che, a sua volta, determina il dimensionamento complessivo, mentre al piano inferiore sono presenti delle suites di modulo doppio
rispetto alla suddivisione sovrastante; in questo modo gli ambienti accrescono
la loro importanza secondo un andamento che procede verso il basso. Le viste
prospettiche sul paesaggio si propongono di instaurare un dialogo senza conini
isici tra interno ed esterno. Si riscontra che di fondamentale importanza è il rapporto tra antichità e modernità, realizzato mediante una sovrapposizione eterogenea e non attraverso una sintesi indistinguibile. In tal modo vecchio e
89
nuovo convivono nello stesso contesto senza fondersi completamente.
91
La nostra meta non è mai un luogo,
ma piuttosto un nuovo modo di
vedere le cose
Henry MIller
THE WALL
Francesco Martelli
Fabio Messeri
Il pellegrinaggio, secondo quanto riporta il manoscritto dell’arcivescovo Sigerico,
fu suddiviso in 79 tappe lungo l’antica Via Romea, oggi denominata Via Francigena. In questi luoghi si trova un motivo sempre presente: la rovina, testimone della forza incontrastata della natura, della quale, nel corso dei secoli, molti pittori
hanno colto l’essenza. Alla trentaduesima tappa si erge la rovina dello xenodochio di San Benedetto, antico spedale, lontano dalle vie consolari, immerso in una
selva oscura. Il rudere si presenta oggi sulla sommità di un declivio, nel quale saranno poste le basi per l’elaborazione del progetto. L’intenzione primaria è quella
di ricostruire attorno alla rovina un centro d’accoglienza; uno xenodochio in chiave
moderna che si ponga in relazione all’antico senza oscurarlo. Il raggiungimento
di tale obbiettivo propone due possibili soluzioni: l’inglobamento o la giustapposizione. La prima ofriva la possibilità di ospitare l’antico nel moderno, così che
una volta all’interno l’osservatore focalizzasse le proprie attenzioni su di esso.
La seconda idea sarebbe stata troppo destabilizzante nei confronti dell’ambiente circostante, date le rovine dello xenodochio e l’impossibilità di inserimento del
progetto sulla Via. È dalla fusione di questi due concetti, quindi, che prende vita
il progetto. Nel punto di incontro tra la Francigena e lo xenodochio nasce il Muro,
che si adagia sul versante assolato della collina, aiancando il rudere e seguendo
l’andamento della strada, dando così l’idea di abbracciarlo. L’ediicio presenta un
corpo centrale che cinge il rudere e due bracci laterali. Considerata la sua particolare ubicazione, il pellegrino soggiornerebbe soltanto per un breve periodo prima
di proseguire il proprio cammino; per questo motivo l’ ediicio si presenta spoglio,
inteso come un punto di passaggio e non di arrivo. L’ingresso avviene dalla copertura, la quale è posta nei pressi dello xenodochio ad altezza zero. Le uniche fonti
di luce sono rappresentate da scavi posti sulla copertura stessa, i quali illuminano
gli ambienti a loro adiacenti. Questo, unitamente alla sua essenza di muro, comportano la totale mancanza di aperture nelle pareti laterali ad eccezione dei due
estremi delle braccia che ofrono alla vista paesaggi diferenti: l’inconta93
minata Val di Magra e il boschivo proseguimento della Via.
95
L’architettura non è altro che
l’ordine, la disposizione, la bella
apparenza, la proporzione delle
parti tra loro, la convenienza e la
distribuzione
Henry MIller
SASSI
Valentina Pascale
Debora Pietracito
Tatiana Pignatale
L’idea, apparentemente, è un concetto completo che non può essere messo in
discussione, mentre in realtà rappresenta l’inizio di un intricato percorso. L’idea
stessa si disgrega e si ricompone e questo processo non prevede un’unica conclusione, abbracciando svariati punti di vista.
Nel suo sviluppo si avanza, si indietreggia, ci si illude di essere arrivati a una meta;
il traguardo che si trasforma in un nuovo punto di partenza, da cui emergono nuovi dubbi e perplessità, un salto nel vuoto. Con queste considerazioni come si fa a
capire quando è il momento di fermarsi?
Il contatto con la realtà è l’unico freno. In un primo momento idea e realtà non
faranno altro che scontrarsi, pertanto bisogna sforzarsi di avvicinare questi due
mondi lontani tra loro e costringerli a conciliarsi. La realtà funzionerà non solo
da freno ma da linea guida per portare avanti l’idea, impedendole di frammentarsi e distruggersi e consentirci di arrivare al punto in cui i due mondi non si respingeranno più ma diventeranno l’uno il punto di forza dell’altro. Nel percorso si
è veriicato in che modo un’idea apparentemente ottima non trova immediato ri-
scontro nella realtà ma si deve adattare e modiicare. La nostra ambizione è stata quella di veriicare il punto di incontro della nostra idea con la realtà.
L’idea di partenza è ispirata ai Sassi di Matera: architettura spontanea, uno specchio che rilette esigenze umane reali. È un progetto che si adatta ad ogni luogo
per il suo diagramma semplice e versatile. Per questa ragione lo si è considerato
il punto di arrivo.
Il processo non è stato immediato: il progetto si è arricchito di vari signiicati, non
sempre corretti; esso è stato sintetizzato, smembrato, ridotto all’osso, ino a diventare un insieme di frammenti.
La terrazza, che trova la sua genesi nel sistema del vicinato, in questo vivere insieme, lega il tutto in modo da riproporre uno stile di vita in un certo senso universale e per questo il percorso di frammentazione dell’idea di partenza, conluito in
un processo di estrema sintesi e sempliicato ino all’estremo, diventa un
97
concetto applicabile ovunque.
99
101
È meraviglioso che una
generazione che si difende dal
caldo con un condizionatore e
dal freddo con il riscaldamento
centralizzato, possa sentire il
desiderio spirituale o fisico del
viaggio.
Bruce Chatwin
URSA MINOR VIAGGIO AL CENTRO
DELLA TERRA
Elisa Monaci
Vincenzo Moschetti
Francesca Paparo
L’omaggio al tema del viaggio è nato spontaneo in dall’inizio di questa particolare ricerca architettonica. È proprio qui, infatti, che trovano fondamenta le radici del progetto. Il nomadismo – come scriverebbe Chatwin – è un viaggio che non
soltanto allarga la mente: ma le dà forma, la forma da cui tutto inizia: il principio.
Allo stesso modo, ainché questo diventi una realtà costruita, bisogna fare uno
scatto diverso e non sofermarsi esclusivamente a tale fenomeno, ma bisogna
capire da cosa derivi quest’ultimo – e soprattutto – cosa guidi queste persone che
migrano da un posto ad un altro. La risposta è nel cielo, non inteso in senso religioso, ma in quel cielo scientiico e poetico fatto di stelle, di costellazioni. Questo
è il punto d’arrivo, la costellazione dell’Orsa Minore. È quindi quest’ultima, con la
Stella Polare, che, portata nella Grande Pianta, ricorderà le antiche presenze di
pellegrini accampati di notte con i loro lucenti falò accesi; attorno ai quali – magari - venivano raccontate migliaia di leggende. Arrivando ai piedi dello xenodochio l’efetto è quello di una S. Gimignano perduta con le sue torri, al di fuori delle
quali non si percepisce cosa accada all’interno. Solo entrando attraverso l’unico
ingresso previsto in corrispondenza dell’ediicio più vicino alla via si può iniziare a comprendere il gran caos regolato che domina l’intera costruzione: un vero
e proprio labirinto. La maggior parte delle camere afaccia sui pozzi che all’esterno - per l’appunto - si conigurano come torri e che all’interno, invece, creano una
prospettiva basata sul rapporto acqua – luce – cielo. Seguendo il pensiero di Kafka, secondo il quale i sentieri si costruiscono viaggiando, anche l’intero disegno si
scopre muovendosi, come dei nomadi, dei viaggiatori erranti, tra i vari livelli e tra
i vari percorsi che, come sentieri, portano alle terme raccordando in un unico piano l’intera grande e apparentemente disorganizzata pianta. Tutto è basato sullo scavo, sul viaggio, sulla scoperta, sulla ricerca che culmina con l’arrivo all’ultima
vasca, la più importante, quella che segna la ine del viaggio e l’inizio di uno nuovo; quella che porta ad incontrare nuovamente il paesaggio di Montelungo, un
paesaggio lasciato alla soglia dell’ingresso e ritrovato con meraviglia gra103
zie alla guida della luce.
105
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NIccolò Maccioni
Alessio Orrico
Marco Paoli
Lea Prococic
Beatrice Perticaroli
Areta Palaj
Irene Magni
Federico Orazzini
Lucrezia Mainardi
Martina Palmisano
Ester Mariucci
Licia Petraccaro
Sara Manelli
Valentina Panella
Annalisa Petito
Lisa Parmigiani
Eleonora Mariotti
Valentina Pascale
Marco Nucifora
Debora Pietracito
Elisa Pardini
Tatiana Pignatale
Francesco Martelli
Marco Passariello
Fabio Messeri
Silvia Pecchioli
Martina Meoni
Edoardo Piampiano
Francesca Moruzzo
Fiammetta Conforti
Elisa Monaci
Laura Beaudu
Vincenzo Moschetti
Valerio Mascia
Francesca Paparo
Giacomo Parrini
Chiara Moretti
Matea Masina
Alexander Palagano
Iva Skejic
Luisa Palermo
Riccardo Martellini
Rafaella Nardelli
Marzia Miluzzi
Valentina Perra
Marco Mariotti
Adele Piccioni
Marco peruzzi
Simone Mardo
Riccardo Poggianti
Andrea Pazzaglia
Silvia Magnoli
Giorgio Pluchino
Elena Mucci
Riccardo Niccolini
Elena Migliorini
Gidi Mordechai
Valentina Pinzauti
Sara Priolo
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111