MASSIMO FOGLIA
Diritto a non nascere
(se non sano)
Estratto da:
DIGESTO
delle Discipline Privatistiche
Sezione Civile
Aggiornamento
XI
diretto da
Rodolfo Sacco
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INDICE
Agroenergia (diritto dell’Unione europea e interno) di MARIARITA D’ADDEZIO
. . . . p.
1
Arbitro per le controversie finanziarie di GIANFRANCO LIACE . . . . . . . . . . . . . »
27
Azione revocatoria breve di PAOLO GALLO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
33
Biotecnologie in agricoltura di ELEONORA SIRSI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
51
Compartecipazione agraria (contratto di) di NICOLA LUCIFERO
. . . . . . . . . . . . »
73
Contatto sociale di ALESSIO ZACCARIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
85
Danni punitivi di CRISTIANO CICERO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
99
Debito (successione nel) di CRISTIANO CICERO e MARIANNA RINALDO
. . . . . . . . . » 109
Diffusione dei modelli giuridici italiani nell’Africa Sub-sahariana di SALVATORE MANCUSO
Diffusione del modello giuridico italiano in India di DOMENICO FRANCAVILLA
Diritto a non nascere (se non sano) di MASSIMO FOGLIA
» 121
. . . . . » 127
. . . . . . . . . . . . . . . » 135
Diritto al cibo di LUIGI COSTATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 165
Diritto italiano in Ungheria (1861-2018) di TIBOR TAJTI (THAYTHY) . . . . . . . . . . » 183
Domini collettivi di ALBERTO GERMANÒ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 203
Donazione di bene altrui (e futuro) di ALBERTO GIANOLA
. . . . . . . . . . . . . . » 211
Filiera agroalimentare di SONIA CARMIGNANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 221
Fonti delle obbligazioni di FRANCESCO GAMBINO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 229
Forma del contratto bancario e dei mercati finanziari di GIANFRANCO LIACE . . . . . . » 273
Legittimari (tutele dei) di CRISTIANO CICERO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 285
Lex informatica di PASQUALE LAGHI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 305
Merger Clause di MASSIMO FOGLIA
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 321
Meritevolezza dell’interesse di ATTILIO GUARNERI
. . . . . . . . . . . . . . . . . . » 341
Organizzazione dei produttori agricoli di IRENE CANFORA
. . . . . . . . . . . . . . » 355
Paternità (ricerca biologica della) di MARIANO ROBLES . . . . . . . . . . . . . . . . » 371
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XVIII
INDICE
Rapporti tra responsabilità civile, assicurazione e previdenza sociale di PAOLO GALLO . » 401
Sconto bancario di GIUSEPPE WERTHER ROMAGNO . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 415
Segni degli alimenti: DOP, IGP e STG di MARIANNA GIUFFRIDA . . . . . . . . . . . » 435
Trascrizione degli acquisti per causa di morte di LUCA SITZIA . . . . . . . . . . . . . » 453
Usi civici di SILVIA ORRÙ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 479
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Diritto a non nascere (se non sano)
Bibliografia: F. ALCARO, Riflessioni critiche intorno alla soggettività
giuridica. Significato di una evoluzione, Milano, 1976; G. ALPA, Status e capacità. La costruzione giuridica delle differenze individuali,
Bari, 1993; G. ALPA-A. ANSALDO, Le persone fisiche2, sub art. 5,
Comm. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2013, 229 ss.;
M.P. BACCARI, Il concepito: un concetto antico per il terzo millennio,
in ROSSANO-SIBILLA, La tutela giuridica prenatale, Torino, 2005, 1 ss.;
ID., La difesa del concepito nel diritto romano. Dai Digesta dell’imperatore Giustiniano, Torino, 2006; F. BACCHINI, Il diritto di non
esistere, Milano, 2002; G. BALDINI, Il nascituro e la soggettività giuridica, DFP, 2000, II, 334 ss.; M. BESSONE-G. FERRANDO, «Persona
fisica (diritto privato)», in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, 193 ss.;
C.M. BIANCA, Diritto civile2, La norma giuridica e i soggetti, I, Milano, 2002, 135 ss., e ivi, La responsabilità, V (2012) 627 ss.; A.
BIANCHI, Danno e modernità, DR, 2009, 353 ss.; M. BONA, «Danni
al nascituro e da procreazione», in Digesto/civ., XVIII, Agg. II,
Torino, 2003, 600 ss.; A. BRAUN (a cura di), Dalla disgrazia al danno,
Milano, 2002; F.D. BUSNELLI, Lo statuto del concepito, DD, 1988, 216
ss.; ID., Bioetica e diritto privato. Frammenti di un dizionario, Torino,
2001; ID., L’inizio della vita umana, RDC, 2004, I, 533 ss.; ID., Il
problema della soggettività del concepito a cinque anni dalla legge
sulla procreazione medicalmente assistita, NGCC, 2010, II, 185 ss.;
ID., Cosa resta della legge 40? Il paradosso della soggettività del
concepito, RDC, 2011, I, 459 ss.; ID., Verso una giurisprudenza che
si fa dottrina. Considerazioni in margine al revirement della Cassazione sul danno da c.d. «nascita malformata», RDC, 2013, 1519 ss.;
ID., Nascere (o anche ‘‘morire’’) con dignità: un traguardo problematico per l’embrione, NGCC, 2017, II, 393 ss.; S. CACACE, Autodeterminazione in salute, Torino, 2017; O. CAYLA-Y. THOMAS, Il diritto di
non nascere. A proposito del caso Perruche, trad. it. L. Colombo,
Milano, 2004; P. CAPPELLO, Sui concetti di vita e vitalità, RDC, 1942,
224 ss.; F. CARNELUTTI, Postilla, FI, 1951, I, 989 ss.; ID., Nuovo
profilo dell’istituzione dei nascituri, FI, 1954, IV, 57 ss., e negli Studi
per Voleri, I, Milano, 1955, 211 ss.; F. CARRESI, «Nascituri (dir. vig.)»,
in NN.D.I., XI, Torino, 1965, 14 ss.; D. CARUSI (a cura di), Tutela
giuridica della vita prenatale e risarcimento del danno nell’illecito
plurioffensivo, Rass. DC, 1992, 422 ss.; ID., Responsabilità contrattuale ed illecito anteriore alla nascita del danneggiato, GI, 1994, I, 549
ss.; ID., Fallito intervento d’interruzione di gravidanza e responsabilità medica per omessa informazione: il «danno da procreazione»
nella giurisprudenza della cassazione italiana e nelle esperienze straniere, Rass. DC, 1996, 342 ss.; ID., Contraccezione, aborto e «danno
da procreazione»: di un’importante sentenza del tribunale costituzionale tedesco e di alcune questioni in materia di responsabilita` del
medico, RCP, 1999, 1173 ss.; ID., L’ordine naturale delle cose, Torino, 2011; ID., ‘‘Revirement’’ in alto mare: il ‘‘danno da procreazione’’
si ‘‘propaga’’ al procreato?, GI, 2013, 809 ss.; ID., Chiamati al mondo.
Vite nascenti ed autodeterminazione procreativa, Atti del Convegno
di Genova 24-5-2013, Torino, 2015; M. CASINI, Si può considerare la
nascita un danno risarcibile, Medicina e morale, 2016, 69 ss.; F. CASSONE, Il danno da nascita indesiderata, in La responsabilità in medicina, a cura di Belvedere-Riondato, Tratt. Biodiritto, Milano, 2011,
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371 ss.; C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile3, Milano,
2006; ID., Eclissi del diritto civile, Milano, 2015; N. COVIELLO, La
tutela della salute dell’individuo concepito (note introduttive alla riflessione giuridica sull’aborto), DFP, 1978, 245 ss.; G. CRICENTI, Il
diritto di non nascere, RCDP, 2007, 105 ss.; ID., Il concepito soggetto
di diritto e i limiti dell’interpretazione, NGCC, 2009, I, 1268 ss.; ID.,
Breve critica della soggettività del concepito. I ‘‘falsi diritti’’ del nascituro, DFP, 2010, II, 465 ss.; ID., Il concepito ed il diritto di non
nascere, GI, 2013, 813 ss.; G. CRISCUOLI, Il problema del risarcimento
del danno da procreazione «non programmata»: le risposte della
giurisprudenza di «common law», Rass. DC, 1987, 442 ss.; A. DALMARTELLO, Postilla, T, 1952, 122 ss.; A. D’ANGELO (a cura di), Un
bambino non voluto e` un danno risarcibile?, Milano, 1999; A. DE
CUPIS, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile3, I, Milano, 1979; ID., I diritti della personalità2, in Tratt. Cicu-Messineo,
Milano, 1982, 101 ss.; R. DE MATTEIS, Nascite indesiderate, interessi
protetti, danni risarcibili, DR, 1999, 1031 ss.; ID., Wrongful life: problemi e falsi dilemmi, GI, 2003, 1064 ss.; ID., La responsabilita` medica per omessa diagnosi prenatale: interessi protetti e danni risarcibili, NGCC, 2003, I, 630 ss.; A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti4,
Problemi e metodo del diritto civile, 3, Milano, 2001; M. DOGLIOTTI,
Interruzione della gravidanza e autonomia del minore, GI, 1982, I,
1499; ID., Le persone fisiche2, in Tratt. Rescigno, Torino, 1999, II, 3
ss.; J.A. EATON, Wrongful Life Claims: A Comparative Analysis
(2005) 35 Hong Kong L.J. 671 ss.; G. FACCI, I nuovi danni nella
famiglia che cambia2, Nuovi percorsi di diritto di famiglia, Collana
diretta da M. Sesta, Torino, 2009; A. FALZEA, Il soggetto nel sistema
dei fenomeni giuridici, Milano, 1939; ID., La condizione e gli elementi
dell’atto giuridico, nelle Pubblicazioni dell’Università di Messina,
Milano, 1941, 296 ss.; R. FAVALE, Genitori contro volontà e risarcimento per i danni da nascita, DR, 2001, 484 ss.; C. FAVILLI, Il danno
non patrimoniale da c.d. nascita indesiderata, in Il danno non patrimoniale. Principi, regole e tabelle per la liquidazione, a cura di Navarretta, Milano, 2010, II, 493 ss.; G. FERRANDO, Libertà, responsabilità e procreazione, Padova, 1999, spec. 187 ss.; ID., Nascita indesiderata, situazioni protette e danno risarcibile, in Un bambino non
voluto e` un danno risarcibile?, a cura di A. D’Angelo, cit., 209 ss.;
ID., Nascere per il diritto. Grandi prematuri e decisioni di inizio vita,
NGCC, 2009, II, 97 ss.; A. FERRARIO, Il danno da nascita indesiderata, in Teoria e pratica del diritto – Civile e Processo, Milano, 2009;
G. FERRI, Sulla qualificazione giuridica del concepito nei codici degli
Stati italiani preunitari e nelle stagioni della codificazione unitaria,
RDC, 2009, 227 ss.; L. FERRI, Tutela giuridica del nascituro, RTPC,
1980, 34 ss.; ID., Alcune considerazioni sulla capacità di succedere dei
nascituri, T, 1963, 817 ss.; M. FORDHAM, A Life Without Value?
(2005) Sing. J. Legal Stud. 395 ss.; M. FRANZONI, Errore medico,
diritto di non nascere, diritto di nascere sano, Ragiusan, 2006, 230
ss.; ID., Il danno risarcibile, in Tratt. Resp. civ.2, diretto da M. Franzoni, Milano, 2010, II, 466 ss., 503 ss.; ID., L’illecito, ivi, I, 935 ss.,
1015 ss.; F. GALGANO, Danno da procreazione e danno al feto, ovvero quando la montagna partorisce il topolino, CeI, 2009, 537 ss.; A.
GENTILI, Il diritto come discorso, Milano, 2013; E. GIACOBBE, Il concepito come persona in senso giuridico, Torino, 2003; I. GIESEN, The
Use and Influence of Comparative Law in ‘‘Wrongful Life’’ Cases,
136
DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
(2012) 8 Utrecht Law Review 35 ss.; M. GORGONI, Il danno da procreazione: profili civilistici (del se, del quando e del come essere
chiamati al mondo), in Chiamati al mondo, a cura di Carusi, cit.,
36 ss.; ID., Individuo o persona: problemi di qualificazione e tutela
giuridica alle soglie della vita, DFP, 1994, 337 ss.; ID., Nascere sani o
non nascere affatto: verso un nuovo capitolo della storia della ‘‘naissance d’enfants sains non de´sire´s’’, DR, 2001, 475 ss.; ID., La nascita
va accettata senza ‘‘beneficio d’inventario’’?, RCP, 2004, 1349 ss.; ID.,
Nascituro e responsabilità sanitaria, RCP, 2009, 2075 ss.; A. GUAR`be´ prejudice e il discusso diritto a nascere
NIERI, Wrongful life, be
sano...o a non nascere, RCP, 2001, 499 ss.; E. IORIATTI FERRARI,
Tutela della vita prenatale nel contesto della gravidanza, in Il governo
del corpo, a cura di S. Canestrari-G. Ferrando-C.M. Mazzoni-S.
Rodotà-P. Zatti, II, Trattato di Biodiritto, diretto da S. Rodotà-P.
Zatti, Milano, 2011, 1605 ss.; E.W. KEYSERLINGK, Sanctity of Life or
Quality of Life in the Context of Ethics, Medicine and Law, Ottawa,
1979; H. KOZIOL, Liability for Omissions - Basic Questions (2011) 2
JECTL 127; ID., Basic Questions of Tort Law from a Germanic
Perspective, Wien, 2012; S. LENER, Mero delitto civile la paternità?,
FI, 1952, IV, 18 ss.; N. LIPARI, Spunti problematici in tema di soggettività giuridica, in La civilistica italiana dagli anni Cinquanta ad oggi
tra crisi dogmatica e riforme legislative, Padova, 1991, 55 ss.; C.M.
MAZZONI, «Persona fisica», in Digesto/civ., XIII, Torino, 1995, 379
ss.; ID., Le persone, I, Persone fisiche, nella collana Il diritto privato
nella giurisprudenza, a cura di P. Cendon, Torino, 2000; MAZZONIPICCINNI, La persona fisica, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2016; F.
MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, I, 1957;
D. MESSINETTI, Recenti orientamenti sulla tutela della persona. La
moltiplicazione dei diritti e dei danni, RCDP, 1992, 173 ss.; E. MINOLI, Responsabilità civile dei genitori verso il figlio, in Studi in memoria
di B. Donati, nelle pubblicazioni della Facoltà di giurisprudenza
dell’Università di Modena, Bologna, 1954, 211 ss.; P.G. MONATERI,
‘‘La marque de caı¨n’’, la vita sbagliata, la vita indesiderata, e le reazioni del comparatista al distillato del dell’alambicco, in Un bambino
non voluto e` un danno risarcibile?, a cura di A. D’Angelo, cit., 290
ss.; ID., Il danno al nascituro e la lesione della maternità cosciente e
responsabile, CorG, 2003, 59 ss.; ID., La responsabilità civile, Torino,
2006; P. MOROZZO DELLA ROCCA, Il danno morale al concepito,
ovvero il «già e non ancora» nella responsabilita` civile, CorG,
2001, 348; A. MUSATTI, Ancora sulla responsabilita` da procreazione,
FI, 1952, IV, c. 15 ss.; E. NAVARRETTA, Ingiustizia del danno e nuovi
interessi, in Dir. civile, diretto da Lipari-Rescigno, IV, III, Milano,
2009, 171 ss.; G. OPPO, Note sull’istituzione dei non concepiti,
RTDPC, I, 1948, 66 ss.; ID., L’inizio della vita umana, RDC, 1982,
I, 499 ss.; ID., Procreazione assistita e sorte del nascituro, RDC, 2005,
99 ss.; ID., Ancora su persona umana e diritto, RDC, 2007, II, 259 ss.;
S. ORRÙ, Il nascituro, in I nuovi danni alla persona. I soggetti deboli,
a cura di Cendon-S. Rossi, I, Roma, 2013, 211 ss.; L. PALAZZANI, Il
concetto di persona tra bioetica e diritto, Torino, 1996; E. PELLECCHIA, Dal figlio indesiderato al desiderio di un figlio (e di un fratello):
brevi note su ingiustizia del danno, danni riflessi e vittime secondarie,
DR, 1998, 895 ss.; P. PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972; B. PEZZINI, Inizio e interruzione della
gravidanza, in Trattato di Biodiritto, Il governo del corpo, II, cit.,
1655 ss.; E. PICKER, Schadensersatz für das unerwünschte eigene Leben: ‘‘Wrongful Life’’ (1995), trad. it. di D. Canale, Il danno della
vita: risarcimento per una vita non desiderata, a cura di Zatti-Canale,
Milano, 2004; A. PIZZORUSSO, Persone fisiche, Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 1 ss.; A. PRINCIGALLI, Quando la nascita
non e` un lieto evento. Una nuova frontiera dell’errore medico,
RCDP, 1984, 833 ss.; ID., Nascere infermo o non nascere: quale tutela
per il nuovo nato?, RCDP, 2001, 675 ss.; R. PUCELLA, Responsabilità
medica per la lesione del diritto a nascere sani: tutela del nascituro e
dei prossimi congiunti, NGCC, 1991, I, 370 ss.; ID., La causalità
«incerta», Torino, 2007; ID., Autodeterminazione e responsabilità nella relazione di cura, Milano, 2010; H. REIS, Das Lebensrecht des
ungeborenen Kindes als Verfassungsproblem, Tübingen, 1984; P.
RESCIGNO, Situazione e status nell’esperienza del diritto, RDC,
1973, I, 209; ID., «Capacità giuridica», in Digesto/civ., IV, Torino,
1988, 218 ss.; ID., «Personalità (diritti della)», in Enc. giur., XXIV,
Roma, 1991; ID., «Nascita», in Digesto/civ., XII, Torino, 1995, 1; ID.,
Il danno da procreazione, RDC, 1956, I, 614 ss., ora in ID., Danno da
procreazione e altri scritti tra etica e diritto, Milano, 2006, 49 ss.; ID.,
La nascita, in Il governo del corpo, II, cit., 1735 ss.; G. RESTA, Il
diritto, la libertà, la tecnica, RCDP, 2001, 79; S. RODOTÀ, La vita e le
regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2006; ID., Tecnologie e diritti,
Bologna, 1985; ID., Il problema della responsabilità civile, Milano,
1964; S. ROSSI, «Contatto sociale (fonte di obbligazione)», in Digesto/civ., Agg. V, Torino, 2010, 346 ss.; A. RUDA, ‘‘I Didn’t Ask to be
Born’’: Wrongful Life from a Comparative Perspective (2010) 1
JECTL 204 ss.; F. SALARIS, In tema di danno ingiusto al nascituro,
GI, 1974, I, 1931; C. SALVI, Capitalismo e diritto civile. Itinerari
giuridici dal Code civil ai Trattati europei, Bologna, 2015; F. SANTORO
PASSARELLI, Su un nuovo profilo dell’istituzione dei nascituri, FP,
1954, IV, c. 65 (e negli Scritti per il centenario della Casa editrice
Jovene, Napoli, 1954, 291 ss.); ID., Dottrine generali del diritto civile9,
Napoli, 1981; F. SCARDULLA, «Nascita (dir. civ.)», in Enc. dir.,
XXVII, Milano, 1977, 520; P. SCHLESINGER, Il concepito e l’inizio
della persona, in AA.VV., Liber amicorum per F.D. Busnelli, II,
Milano, 2008, 83 ss.; A. SHAPIRA, ‘‘Wrongful life’’ Lawsuits for Faulty
Genetic Counselling: Should the Impaired Newborn be Entitled to
Sue?, 24 Journal of Medical Ethics, 1998, 369; R. SCOTT, Reconsidering ‘‘Wrongful life’’ in England After Thirty Years: Legislative Mistakes and Unjustifiable Anomalies, C.L.J. 2013, 72(1), 115 ss.; R.
SIMONE, Procreazione e danno, DFP, 2003, I, 1148 ss.; ID., Danno
alla persona per nascita indesiderata, DR, 2002, 469 ss.; P. STANZIONE,
«Persona fisica (dir. civ.)», Enc. giur., XXIII, Roma, 1990; B.C.
STEININGER, Wrongful Birth and Wrongful Life: Basic Questions
(2010) 1 JECTL 125; C. STOLKER, Wrongful life: the limits of liability
and beyond, I.C.L.Q. 1994, 43(3), 521 ss.; A. TRABUCCHI, Il figlio,
nato o nascituro, inaestimabilis res, e non soltanto res extra commercium, RDC, 1991, I, 211 ss.; ID., Istituzioni di diritto civile46, a cura di
G. Trabucchi, Padova, 2013; G. TRAVAGLINO, La questione dei nessi
di causa, Milano, 2012; K.A. WARNER, Wrongful life goes down
under (2007) 123 L.Q.R. 209 ss.; B. WINIGER-H. KOZIOL-B.A.
KOCH-R. ZIMMERMANN (eds), Digest of European Tort Law, Vol. 2:
Essential Cases on Damage, Berlin/Boston, 2011; P. ZATTI, Quale
statuto per l’embrione?, RCDP, 1990, 437 ss.; ID., «Capacità», nel
Glossario del Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1994, 55 ss.; ID., Diritti
dell’embrione e capacità giuridica del nato, RDC, 1997, 107 ss.; ID.,
Diritti del non nato e immedesimazione del feto della madre, NGCC,
1999, 113 ss.; ID., La tutela della vita prenatale: i limiti del diritto,
NGCC, 2001, II, 149 ss.; ID., Corpo nato, corpo nascente, capacità,
diritti: l’art. 1 cod. civ. e la vita prenatale, ora in ID. Maschere del
diritto volti della vita, Milano, 2009, 163 ss.; ID., I dilemmi della
nascita, in Studi in onore di P. Rescigno, Milano, 1998, 897 ss., ora
in ID., Maschere del diritto, cit., 179 ss.; ID., Il duttile rigore: l’approccio di Giorgio Oppo al diritto della vita nascente, RDC, 2010, I, 458
ss.; V. ZENO-ZENCOVICH, La responsabilità per procreazione, GI,
1986, IV, 231 ss.; ID., Il danno al nascituro, NGCC, 1994, I, 695
ss.; ID., «Personalità (diritti della)», in Digesto/civ., XIII, 1995, 434
ss.
Legislazione: artt. 2, 13, 31, 32 Cost.; artt. 1, 1223, 1226, 2043, 2056,
2059, 2236 c.c.; l. 22-5-1978, n. 194 (norme per la tutela sociale della
maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza); l. 19-22004, n. 40 (norme in materia di procreazione medicalmente assistita).
Sommario: 1. Una premessa. – 2. Il dilemma del danno ingiusto al
nascituro e l’interesse a non nascere se gravemente malato. – 3.
Autodeterminazione procreativa e diritto alla vita. – 4. I soggetti
potenzialmente coinvolti nella vicenda risarcitoria della nascita malformata. – 5. La lesione della maternità cosciente e responsabile. – 6.
Questioni di vita nascente: l’esistenza della persona e il problema
della soggettività. – 7. Il nascituro nel diritto vivente. – 8. Il nascituro
come ‘‘oggetto di tutela’’. – 9. Il nato malato contro il medico e/o
l’istituzione sanitaria: qua causa? – 10. La tesi negazionista del cosiddetto diritto a non nascere se non sano nella giurisprudenza. – 11.
Il revirement di Cass., 2-10-2012, n. 16754 e l’intervento delle S.U.
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
22-12-2015, n. 25767. – 12. L’interesse protetto e la situazione soggettiva lesa: quale danno risarcibile in capo al nascituro? – 13. Nesso
causale e onere della prova: menomazioni del neonato causalmente
collegabili a malpractice medica. – 14. Conclusioni.
1. Una premessa.
La riflessione prende avvio da vicende del diritto che
coinvolgono il vivere quotidiano, dense come sono di
risvolti ed implicazioni etiche, morali, filosofiche.
Viene, in particolare, in gioco il fragile equilibrio
tra diritto a nascere, diritto a non nascere, diritto a
nascere solo in condizioni di piena salute biologica (1). In questo delicato conflitto tra valore della
vita in quanto tale e pretesa all’euritmia biologica,
la nascita, se foriera per il nascituro di dolore e sofferenza, diviene teatro di possibili richieste risarcitorie (2).
Lo straordinario progresso della scienza medica (3),
grazie al quale è oggi possibile prevedere con estrema sicurezza la nascita di un soggetto affetto da grave malformazione fisica o deficit mentale, porta con
sé preoccupazioni mai conosciute prima e offre, al
contempo, le premesse per immaginare nuove pretese risarcitorie (4).
Differenti sono le fattispecie di danno che orbitano
attorno alla nascita (5). Trattasi sovente di ipotesi di
danno scaturenti dalle cosiddette nascite indesiderate (6), ma è possibile più nello specifico ulteriormente distinguerle, com’è d’uso anche nell’esperienza di
common law, in differenti situazioni-tipo (7). Quelle
che, ad esempio, riguardano l’azione promossa dal
figlio nei confronti dei genitori per averlo messo alla
luce, sussumibili sotto la categoria del cosiddetto
danno da procreazione (8); oppure l’azione dei genitori nei confronti del medico o dell’istituzione sanitaria per non aver impedito, come richiesto, il concepimento o la nascita non programmata di un figlio
(wrongful conception o wrongful pregnancy) (9).
Altro sono i casi di danno al feto, cagionato dai sanitari che hanno in cura la gestante e lesivo del diritto
alla salute del futuro nato (10). Ipotesi inquadrabili
nello schema generale della responsabilità medica
per lesioni prenatali, con conseguente risarcibilità
del danno subito dal nato, allorché i medici abbiano
direttamente provocato l’insorgenza della malattia o
dell’handicap in un bambino altrimenti sano (11).
Tutt’altro ancora sono le doglianze, che qui ci si propone di esaminare (12), riscontrabili nelle situazioni
di mancata o errata diagnosi del medico che, chiamato nella fase prenatale ad accertare eventuali malformazioni del feto, abbia colposamente mancato di rilevare la presenza di una patologia congenita. Errore
medico che, in presenza delle condizioni legittimanti
l’esercizio della facoltà della gestante di interrompere volontariamente la gravidanza, preclude alla donna la possibilità di abortire, generando cosı̀ «la nascita colposa di un essere umano» (13).
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Un caso paradigmatico riguarda, ad esempio, il bambino nato con sindrome di Down in seguito all’errore
diagnostico del medico che non abbia posto la gestante nella condizione di chiedere, se correttamente
informata, l’interruzione della gravidanza (14).
La questione centrale, sotto il profilo dell’interesse
ad agire per il risarcimento del danno, è se l’accesso
alla tutela risarcitoria sia riservato solo ai genitori per
via della lesione del proprio diritto all’autodeterminazione procreativa, o se anche il bambino stesso
possa, una volta nato, avanzare autonome pretese
risarcitorie legate alla nascita non voluta, se, considerato il male incurabile che lo affligge, si sarebbe
dovuta interrompere la gravidanza e dunque impedire un’esistenza disgraziata.
È vero che in casi di tal genere la malformazione di
cui è affetto il bambino può definirsi, nel linguaggio
anglosassone, una pre-existing condition, giacché essa non è causata né aggravata dalla condotta, seppur
illecita (15), del medico. L’interesse che si assume
leso – è bene sin d’ora sottolinearlo – non può dunque essere la salute del bambino in quanto segnata
dalla malattia o dalla disabilità, che è insita già nel
suo corredo genetico, ma sembrerebbe quello a non
vivere piuttosto che a vivere in condizioni di menomazione (16). La salute minorata, o in altri termini il
dover vivere una vita inferma, non corrisponde alla
situazione soggettiva lesa, ma rappresenta piuttosto il
danno-conseguenza della nascita non voluta.
Posto che un danno arrecato alla vita o all’integrità
fisica del bambino non può dirsi esistente, vi è chi
coglie una difficoltà concettuale nell’argomentare
che il pregiudizio possa derivare dal non aver impedito che una vita venisse soppressa (17). Se cosı̀ fosse
si giungerebbe alla paradossale conclusione per cui
l’evento di danno si identificherebbe nella salvaguardia della vita in arrivo, laddove essa fosse dolorosamente colpita da una condizione patologica insopportabile per il bambino che la sperimenta sulla propria pelle. Viene cosı̀ in gioco, in sintesi, l’alternativa
tra santità e qualità della vita, intesi quali beni alternativi da tutelare nell’ottica della protezione degli
interessi del bambino menomato (18).
Ad ogni modo, resta chiaro che l’omissione del sanitario si inserisce nella concatenazione di eventi che,
sul piano causale, portano alla nascita non voluta. E,
cosı̀, il nuovo nato è «chiamato al mondo» (19), consegnato alla vita tra le braccia di genitori impreparati
a riceverlo per via della sua esistenza menomata.
L’esame è dedicato principalmente alla richiesta risarcitoria avanzata dal bambino, ovverosia alla lesione di diritti e interessi del nato, più che alla tutela dei
genitori e degli altri soggetti della comunità familiare
coinvolti (20). Si esaminano ipotesi di responsabilità
verso il nascituro, sovente racchiuse, nell’ottica del
danno prospetticamente subito dal concepito, nel
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
controverso sintagma «vita ingiusta», laddove per
wrongful life nella terminologia giuridica di common
law (21) s’intende «l’azione nella quale un soggetto
lamenta il fatto di essere stato messo al mondo, generalmente in una situazione di svantaggio fisico,
mentale o morale» (22).
Va sin d’ora evidenziato che nei casi di danno al feto
causato dalla condotta negligente di terzi è riconosciuto, nella maggior parte degli ordinamenti europei, un autonomo diritto al risarcimento azionabile
direttamente dal nato malato per la lesione del diritto alla salute (23). Per contro, nei casi di wrongful
life in senso stretto, e cioè allorché la condotta del
medico non incide sulla salute del nascituro ma, per
via dell’omessa informazione (24), soltanto in ordine
alla potenziale mancata interruzione della gravidanza (25), la tendenza in Europa è, con poche eccezioni (26), di escludere il diritto al risarcimento iure
proprio del nato per la violazione di un asserito interesse a non nascere se gravemente malato.
(1) Il termine interesse (a non nascere) deve senz’altro preferirsi
a diritto (di non nascere). Tuttavia, poiché l’espressione più in
auge sembra quest’ultima, si è condivisa la scelta di usare, nel
contesto di un’opera enciclopedica, ambedue i termini nell’identificare il medesimo concetto.
(2) Sulla nascita come concetto giuridico v. P. CAPPELLO, Sui
concetti di vita e vitalità, RDC, 1942, 224 ss.; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, I, 1957, 206 ss.; F.
CARRESI, «Nascituri (dir. vig.)», in NN.D.I., XI, Torino, 1965, 14
ss.; F. SCARDULLA, «Nascita (dir. civ.)», Enc. dir., XXVII, Milano,
1977, 520 ss.; G. OPPO, L’inizio della vita umana, RDC, 1982, I,
499 ss.; A. PIZZORUSSO, Persone fisiche, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 1 ss.; P. STANZIONE, «Persona fisica (dir.
civ.)», Enc. giur., XXIII, Roma, 1990, 1 ss.; P. RESCIGNO, «Nascita», in Digesto/civ., IV, XII, Torino, 1995, 1 ss., ora nella
raccolta ID., Danno da procreazione, Milano, 2006, 83 ss.; ID.,
La nascita, in Il governo del corpo, a cura di S. Canestrari-G.
Ferrando-C.M. Mazzoni-S. Rodotà-P. Zatti, II, Trattato di Biodiritto, diretto da S. Rodotà-P. Zatti, Milano, 2011, 1735 ss.; P.
SCHLESINGER, Il concepito e l’inizio della persona, in AA.VV.,
Liber amicorum per F.D. Busnelli, II, Milano, 2008, 83 ss.; G.
FERRANDO, Nascere per il diritto. Grandi prematuri e decisioni di
inizio vita, NGCC, 2009, II, 97 ss.; P. ZATTI, I dilemmi della
nascita, in Studi in onore di P. Rescigno, Milano, 1998, 897 ss.,
ora in ID., Maschere del diritto, Milano, 2009, 179 ss.; ID., Il duttile
rigore: l’approccio di Giorgio Oppo al diritto della vita nascente,
RDC, 2010, I, 458 ss.; ID., Corpo nato, corpo nascente, capacità,
diritti: l’art. 1 cod. civ. e la vita prenatale, ora in ID. Maschere del
diritto volti della vita, Milano, 2009, 163 ss.; MAZZONI-PICCINNI,
La persona fisica, Milano, 2016, 69 ss.; F.D. BUSNELLI, Nascere (o
anche ‘‘morire’’) con dignità: un traguardo problematico per l’embrione, NGCC, 2017, II, 393 ss.
(3) Sul ruolo del diritto e sulla necessità per l’uomo di governare
i cambiamenti della società e del mondo sotto la spinta di una
innovazione scientifica e tecnologica incessante, v. S. RODOTÀ,
La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2006; ID.,
Tecnologie e diritti, Bologna, 1985; D. CARUSI, L’ordine naturale
delle cose, Torino, 2011, passim e, per le tematiche inerenti alle
questioni in esame, 275 ss., 480 ss.; G. RESTA, Il diritto, la libertà,
la tecnica, RCDP, 2001, 79 ss.
(4) Di questa tendenza ne danno efficacemente conto, tra gli
altri, D. MESSINETTI, Recenti orientamenti sulla tutela della persona. La moltiplicazione dei diritti e dei danni, RCDP, 1992, 173 ss.;
A. BIANCHI, Danno e modernità, DR, 2009, 354 ss.; E. NAVARRETTA, Ingiustizia del danno e nuovi interessi, in Dir. civile, diretto da Lipari-Rescigno, IV, III, Milano, 2009, 171 ss.
(5) Sottolinea che la nascita non è invariabilmente un lieto evento e sempre più spesso è all’origine di una vicenda risarcitoria,
M. GORGONI, Il danno da procreazione: profili civilistici (del se,
del quando e del come essere chiamati al mondo), in Chiamati al
mondo. Vite nascenti ed autodeterminazione procreativa, a cura
di Carusi, Atti del Convegno di Genova 24-5-2013, Torino, 2015,
36 ss.; A. PRINCIGALLI, Quando la nascita non e` un lieto evento.
Una frontiera dell’errore medico, RCDP, 1984, 833 ss.
(6) Con l’espressione danno da ‘‘nascita indesiderata’’ si ricomprendono, generalmente, tre ipotesi tipiche di illecito: a.) l’inefficace interruzione della gravidanza; b.) il fallimento di un intervento di sterilizzazione; c.) la nascita di bambini affetti da gravi
malformazioni non diagnosticate. Per un ampio quadro v. G.
FACCI, I nuovi danni nella famiglia che cambia2, in Nuovi percorsi
di diritto di famiglia, Collana diretta da M. Sesta, Torino, 2009,
III, 277 ss.; C. FAVILLI, Il danno non patrimoniale da c.d. nascita
indesiderata, in Il danno non patrimoniale. Principi, regole e tabelle per la liquidazione, a cura di Navarretta, Milano, 2010, II,
493 ss. a cui si rinvia anche per la ricca rassegna giurisprudenziale.
(7) Un chiaro elenco è proposto da V. ZENO ZENCOVICH, La
responsabilita` per procreazione, GI, 1986, IV, 235. Va da sé,
come puntualmente evidenziato anche in F. CASSONE, Il danno
da nascita indesiderata, in La responsabilità in medicina, a cura di
Belvedere-Riondato, Tratt. Biodiritto, Milano, 2011, 371 ss., che
le ipotesi di responsabilità legate alla nascita non programmata
variano in relazione all’interesse leso, al tipo di condotta lesiva,
al suo collegamento causale, al danno risarcibile. Cfr. anche B.C.
STEININGER, Wrongful Birth and Wrongful Life: Basic Questions
(2010) 1 JECTL 125; A. PRINCIGALLI, Nascere infermo o non
nascere: quale tutela per il nuovo nato?, RCDP, 2001, 675 ss.
(8) Nell’esperienza nord-americana, il primo caso che si registra
è Zepeda v. Zepeda, 41 Ill. App. 2d 240, 190 N.E. 2d 849 (1963);
77 Harv. L. Rev. 1349 (1964) e 49 Iowa L. Rev. 1005. Il caso
affrontato dalla Corte dell’Illinois riguardava l’azione risarcitoria
promossa nei confronti del padre da un figlio nato da una relazione adulterina. L’uomo, tacendo di essere già sposato, avrebbe
sedotto la madre per avere con lei una relazione sessuale, con la
promessa, poi non mantenuta, di un matrimonio. La donna, sedotta e abbandonata, dava alla luce un figlio illegittimo che, a
distanza di anni, decideva di agire contro il padre per essere
stato messo al mondo in uno stato di illegittimità che lo metteva
in grave svantaggio sociale, e lo esponeva, in quanto «bastardo»,
al disprezzo della comunità. La Corte dell’Illinois, tuttavia, rigettava la domanda sulla base di considerazioni d’ordine giuridico,
sociale e giudiziario, sostenendo che ammettere un tort di
wrongful life sarebbe stato al di fuori delle competenze giurisdizionali e spetterebbe semmai agli organi legislativi.
Nella giurisprudenza italiana è, ad esempio, danno da procreazione quello lamentato dal figlio nato in condizioni di salute
minorata nell’ipotesi di un’infezione trasmessa dal padre all’atto
del concepimento (i.e. il trasmettere attraverso la generazione
una grave malattia venerea). V. T. Piacenza, 31-7-1950, FI, 1951,
I, c. 987, con commenti di M. ELIA, Responsabilità del genitore
verso il figlio eredoluetico? e F. CARNELUTTI, Postilla, ivi. La
pronuncia, che accolse la domanda risarcitoria di una minore
alla quale i genitori avevano trasmesso durante il concepimento
la lue, ha suscitato un vivace dibattito. Per alcuni interventi v. G.
PUGLIESE, Responsabilità morale e responsabilità giuridica per la
procreazione di figli eredoluetici, GCCC, 1951, III, 1093; AUR.
CANDIAN, L’azione di danno dell’eredoluetico contro i genitori, T,
1952, 119; S. LENER, Mero delitto civile la paternità?, FI, 1952, IV,
18; A. DALMARTELLO, Postilla, T, 1952, 122; P. RESCIGNO, Il danno da procreazione, RDC, I, 1956, 614 ss. e ora nella raccolta
Danno da procreazione e altri scritti tra etica e diritto, Milano,
2006, 50 ss.
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
Diversa è l’ipotesi di azione del figlio nei confronti del genitore
per averlo messo alla luce, nonostante la conoscenza dei suoi
handicap fisici e/o mentali, o dell’alto rischio del loro verificarsi:
a differenza del caso di trasmissione del male con l’atto stesso
della generazione, qui può venire in rilievo la diversa ipotesi
d’infezione trasmessa, attraverso la madre, al già concepito: infezione dapprima trasmessa alla madre, che in epoca successiva
(con lo stesso autore del contagio o con un terzo) concepisce un
figlio. In quest’ultimo caso, alla responsabilità civile del genitore
o del terzo non vale opporre che al momento dell’illecito non
fosse ancora presente un soggetto capace di subire un’ingiusta
aggressione (lo rileva già P. RESCIGNO, Il danno da procreazione,
cit., 60 s.; ma cfr. anche G. PUGLIESE, Responsabilità morale e
responsabilità giuridica per la procreazione di figli eredoluetici,
cit., 1094 s.). Favorevole, nel caso di specie, alla risarcibilità del
danno in favore del già concepito, è E. MINOLI, Responsabilità
civile dei genitori verso il figlio, in Studi in memoria di B. Donati
(nelle pubblicazioni della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Modena), Bologna, 1954, 214 ss.
(9) Trattasi di fattispecie di responsabilità derivanti da casi di
errore medico nell’esecuzione di interventi di sterilizzazione o
abortivi, in cui l’interesse leso consiste nella violazione del diritto
della madre e del padre ad una genitorialità cosciente e responsabile, nel caso di specie manifestamente non voluta. V. Cass.,
24-10-2013, n. 24109, RCP, 897 ss., con nota di A. BORRETTA,
Responsabilità medica da omesso o insufficiente consenso informato e onere della prova: «Sussiste la responsabilità professionale del medico per inadempimento dell’obbligo informativo, relativamente ad un intervento di sterilizzazione: infatti la corretta
informazione avrebbe non solo evitato la violazione del diritto
all’autodeterminazione della paziente, resa consapevole circa la
non definitività della sterilizzazione ed informata quindi in maniera completa ed esaustiva, sul bilancio rischi-vantaggi derivante dall’intervento – non sussistendo alcuna valida autodeterminazione senza l’informazione cui la paziente aveva diritto – ma le
avrebbe altresı̀ consentito di adottare, nel successivo decorso del
tempo, le opportune misure nonché gli utili accertamenti e controlli clinici, atti ad impedire ulteriori gravidanze non volute».
Nella giurisprudenza di merito v. T. Tolmezzo, 2-9-2011, FM,
2011, fasc. 9, 57, con nota di F. BILOTTA; T. Tolmezzo, 7-62011, FD, 2012, 272, con nota di G. BILÒ; T. Cagliari, 15-52010, RGSarda, 2012, I, 29, con nota di F. CORONA; T. Venezia,
10-9-2002, DeG, 2002, fasc. 39, 61, con nota di G. CASSANO; T.
Busto Arsizio, 17-7-2001, RCP., 2002, 441, con nota di F. BILOTTA; T. Padova, 9-8-1985, NGCC, 1986, I, 115 ss., con nota di P.
ZATTI.
Per una comparazione v. Bundesverfassungsgericht [Germania],
12-11-1997, DR, 1998, 419, con nota di F.B. D’USSEAUX: «La
giurisprudenza delle corti civili in materia di responsabilità medica per sterilizzazione fallita ed errata consulenza genetica prima del concepimento non contrasta con l’art. 1 I della legge
fondamentale»; Court of appeal [Gran Bretagna] Londra, 1610-1985, DF, 1987, 627, con nota di V. CRISCUOLI GRIPPAUDO:
«Nell’ipotesi di un intervento chirurgico di sterilizzazione, compiuto da un ginecologo su donna maritata, rimasta, tuttavia, successivamente incinta, deve ritenersi, in mancanza di esplicita
diversa pattuizione fra le parti, che sia implicita ed immanente
nel contratto acceso tra la paziente ed il sanitario solo l’intesa
che il medico avrebbe compiuto l’intervento convenuto con ragionevole cura ed adeguata diligenza professionale, e non anche
l’intesa di garanzia circa il risultato dell’operazione; la dichiarazione precontrattuale del ginecologo alla cliente circa la «irreversibilità» del risultato dell’intervento non poteva costituire garanzia circa il sicuro buon esito dell’operazione».
(10) F. GALGANO, Danno da procreazione e danno al feto, ovvero
quando la montagna partorisce un topolino, CeI, 2009, 537 ss.
(11) Ad esempio, il danno al feto cagionato dalla somministrazione alla madre di medicinali diretti a favorire la gravidanza, ma
suscettibili di arrecare al feto gravi malformazioni. V. per tutte
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Cass., 11-5-2009, n. 10741, DR, 2009, 1167, con nota di S. CACACE, Figli indesiderati nascono. Il medico in tribunale; RCP, 2009,
2075, con nota di M. GORGONI, Nascituro e responsabilità sanitaria; DF, 2009, 1180 ss., con nota di G. BALLARANI, La Cassazione
riconosce la soggettività giuridica del concepito: indagine sui precedenti dottrinali per una lettura ‘‘integrata’’ dell’art. 1 c.c.; CorG,
2010, 365, con nota di A. LISERRE, In tema di responsabilità del
medico per il danno al nascituro. Il caso riguardò la richiesta di
danni di un bambino nato con gravi malformazioni, associate alla
somministrazione alla madre di una sostanza, il clomifene, con
accertate proprietà teratogene. L’accusa di negligenza fu diretta
nei confronti della struttura sanitaria che, incautamente e in
violazione dei doveri informativi, prescrisse alla donna il farmaco Clomid per stimolarne l’ovulazione, senza però avvertire della pericolosità di proseguire la cura a concepimento avvenuto.
La Supr. Corte, distinguendo i fatti di causa da quelli che per
solito danno luogo alle azioni per wrongful life, inquadrò la
fattispecie nell’ambito della responsabilità medica per lesioni
prenatali, con conseguente risarcibilità del danno subito dal nato. Cfr. F. CASSONE, Il danno da nascita indesiderata, cit., 418 ss.
(12) Va sin d’ora anticipato che la vicenda paradigmatica – oggetto della presente disamina – su cui si appunta la pretesa risarcitoria del nuovo nato, è quella della donna che invochi la
responsabilità del medico per averle precluso, mancando di informarla debitamente circa la presenza di patologie del feto,
l’interruzione volontaria della gravidanza. Ipotesi in cui la condotta negligente del medico (i.e. l’errata o mancata diagnosi
della patologia) influisce certamente sulla libertà di scelta che
la madre aveva di ricorrere all’aborto o meno, senza però incidere direttamente, in quanto congenita, sulla malformazione del
feto.
(13) E. PICKER, Schadensersatz für das unerwünschte eigene Leben: ‘‘Wrongful Life’’ (1995), trad. it. di D. CANALE, Il danno
della vita: risarcimento per una vita non desiderata, a cura di
Zatti-Canale, Milano, 2004, 10 (corsivo dell’A.).
(14) È la vicenda sottostante alle più recenti pronunce in materia: in particolare, Cass., 2-10-2012, n. 16754, CorG, 2013, 45, con
nota di P.G. MONATERI; FI, 2013, I, 181, con nota di A.L. OLIVA;
NGCC, 2013, I, 175, con nota di E. PALMERINI; GI, 2013, 796, con
note di D. CARUSI e G. CRICENTI; RCP, 2013, 124, con nota di M.
GORGONI; e Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, FI, 2016, I, 494, con
nota di C. BONA, Sul diritto a non nascere e sulla sua lesione; GI,
543, con nota di D. CARUSI, Omessa diagnosi prenatale: un contrordine...e mezzo delle Sezioni Unite; NGCC, 2016, I, 443, con
nota di F. PIRAINO, I confini della responsabilità civile e la controversia sulle malformazioni genetiche del nascituro: il rifiuto del
c.d. danno da vita indesiderata; ivi, II, 461, con commento di
C.M. MAZZONI, Vita e non vita in Cassazione. A proposito di
Cass., n. 25767/2015; CorG, 2016, con nota di G. BILÒ, Nascita
e vita indesiderate: i contrasti giurisprudenziali all’esame delle
Sezioni Unite; RCP, 2016, 162, con commento di M. GORGONI,
Una sobria decisione ‘‘di sistema’’ sul danno da nascita indesiderata; JusCiv., 2016, 13 ss., con commento di M. FRANZONI, Riflessioni a margine della sentenza sul ‘‘diritto a nascere sani’’.
(15) Non vi sono ormai più dubbi che la violazione da parte del
medico dell’obbligo di informazione sia autonoma fonte di responsabilità da inadempimento: v., da ultimo, Cass., 20-5-2016,
n. 10414, Ragiusan, fasc. 387, 148.
(16) D. CARUSI, L’ordine naturale delle cose, cit., 482.
(17) V. E. PICKER, Il danno della vita, cit., 10 ss.
(18) V. E.W. KEYSERLINGK, Sanctity of Life or Quality of Life in
the Context of Ethics, Medicine and Law, Ottawa, 1979.
(19) D. CARUSI (a cura di), Chiamati al mondo. Vite nascenti ed
autodeterminazione procreativa, cit., passim.
(20) Un recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità riconosce, nei casi di danno al feto, il risarcimento del danno
anche in favore del padre e dei collaterali. Il riferimento, in
particolare, è a Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.
(21) Osserva V. ZENO ZENCOVICH, La responsabilità per procrea-
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
zione, cit., 236, che le espressioni «wrongful life», «wrongful
birth» e «wrongful pregnancy», pur intraducibili nella loro letteralità, stanno ad indicare un «atto illecito connesso rispettivamente alle generali condizioni di vita (life), alla nascita (birth)
in sé e per sé considerata, e alla gravidanza (pregnancy)».
(22) V. ZENO ZENCOVICH, La responsabilità per procreazione, cit.,
236. In breve, la locuzione wrongful-birth-action viene oggi utilizzata in riferimento alla domanda risarcitoria avanzata dai genitori; la locuzione wrongful-life-action si riferisce invece alla
corrispondente domanda avanzata dal bambino. Cfr. anche A.
GUARNIERI, Wrongful life, be`be´ prejudice e il discusso diritto a
nascere sano...o a non nascere, RCP, 2001, 499 ss.
(23) V. B. WINIGER-H. KOZIOL-B.A. KOCH-R. ZIMMERMANN
(eds), Digest of European Tort Law, Vol. 2: Essential Cases on
Damage, Berlin/Boston, 2011, 958 nelle considerazioni finali di
B.A. Koch in chiave comparatistica.
(24) È pacifico che un certo obbligo informativo gravi sul medico. V., per tutte, Cass., 2-2-2010, n. 2354, DR, 2011, 384, con nota
di R. SIMONE, Nascite dannose: tra inadempimento (contrattuale)
e nesso causale (extracontrattuale): «L’obbligo di informare pienamente il paziente, prescritto dall’art. 29 codice di deontologia
medica approvato nel giugno 1995, pur con le dovute cautele,
non è soggetto a nessuna valutazione discrezionale e perciò comprende tutti gli aspetti diagnostici e prognostici dello stato di
salute del paziente e quindi anche i rischi meno probabili, purché
non del tutto anomali, in modo da consentirgli di capire non solo
il suo attuale stato, ma anche le eventuali malattie che possono
svilupparsi, le percentuali di esito fausto ed infausto delle stesse,
nonché il programma diagnostico per seguire l’evoluzione delle
condizioni del paziente e l’indicazione delle strutture specializzate ove svolgerlo, ovvero di specialisti esperti per formularlo,
pur se a tal fine il paziente si deve allontanare dal luogo ove è in
cura; tale obbligo ha rilevanza giuridica perché integra il contenuto del contratto e qualifica la diligenza del professionista nell’esecuzione della prestazione e la violazione di esso può determinare la violazione di diritti fondamentali ed inviolabili».
(25) In tali casi si lamenta che la mancata o errata informazione
data ai genitori non abbia consentito loro di scegliere l’interruzione volontaria della gravidanza ed abbia quindi condotto alla
nascita – che altrimenti non sarebbe avvenuta – di un bambino
handicappato. Ipotesi, anch’esse di filiazione indesiderata, in cui
il bambino nasce in cattive condizioni di salute non tempestivamente diagnosticate; fattispecie caratterizzate dall’assenza di responsabilità per lesioni prenatali, giacché la patologia di cui è
affetto il nascituro non è direttamente provocata dall’azione o
dall’omissione medica, bensı̀ congenita. La violazione, dunque,
consiste nella mancata possibilità per i genitori di esercitare la
facoltà di interrompere la gravidanza.
(26) V., ad esempio, nella giurisprudenza belga le decisioni del
Tribunal de premie`re instance, Bruxelles 7-6-2002 e Tribunal de
premie`re instance, Bruxelles 21-4-2004 nel report di B. DUBUISSON-I.C. DURANT-N. SCHMITZ in B. WINIGER-H. KOZIOL-B.A.
KOCH-R. ZIMMERMANN (eds), Digest of European Tort Law,
cit., 942 ss.; e per la giurisprudenza olandese la pronuncia Hoga
Raad (Suprema Corte), 18-03-2005 nel report di S. LINDENBERGH, ivi, 945 s. Con particolare riferimento al diritto olandese
v. anche I. GIESEN, The Use and Influence of Comparative Law in
‘‘Wrongful Life’’ Cases, (2012) 8 Utrecht Law Review, 2, 35 ss.
2. Il dilemma del danno ingiusto al nascituro e l’interesse a non nascere se gravemente malato.
La lesione di interessi ravvisabili in capo ai genitori,
nei casi di mancata o errata diagnosi prenatale, desta
meno perplessità, benché tali vicende risarcitorie sollevino pur sempre un interrogativo di fondo, giuridicamente ed eticamente scomodo, che conduce a sti-
mare se un bambino possa essere qualificato direttamente o anche indirettamente come un danno (27).
La pretesa risarcitoria avanzata dai genitori è strettamente connessa al rifiuto della nascita non programmata (28). La nascita (non la menomazione) è
riconducibile causalmente alla condotta illecita del
terzo. Quando è provato che la gestante, se correttamente informata, avrebbe esercitato la facoltà di interrompere la gravidanza, risulta chiara la violazione
di un diritto di autodeterminazione procreativa (29).
Tale violazione può, anzitutto, tradursi in un danno
alla salute in senso psico-fisico della madre e nelle
spese necessarie per prevenire tale danno (30). Danno di natura non patrimoniale che interessa anche il
padre, e che spesso viene identificato nella diminuita
vita di relazione, nonché nel trauma subı̀to da entrambi i genitori per «essersi trovati senza alcuna
preparazione psicologica di fronte alla realtà di un
figlio menomato» (31).
Il mutamento del progetto di vita dei genitori potrebbe inoltre giustificare un diritto al risarcimento del
peso economico rappresentato dalla vita non desiderata, sub specie di danno patrimoniale derivante dall’aggravamento dei costi di mantenimento del figlio
malato (32). Un orientamento più recente ha altresı̀
riconosciuto un danno non patrimoniale legato al
turbamento degli equilibri familiari di chi già c’è e
che in ipotesi godrà in misura ridotta delle attenzioni
e delle cure familiari (33).
Del pari, venendo alla più controversa posizione del
nato, il diritto del bambino (o di chi lo rappresenta)
al risarcimento è – come già rilevato – riconosciuto
pacificamente quando la malformazione è dovuta all’errore medico (34). Situazione in cui la condotta
medica incide sul bene salute e si traduce, anzitutto,
in un danno biologico del bambino. Più ostico, invece, si presenta il diritto del bambino malato ad agire
nei confronti del medico, cui sia imputabile di aver
impedito la scelta della madre di interrompere la
gravidanza, per la lesione di un (mero) interesse a
non nascere.
Si intuisce che il problema si focalizza sulla pretesa
(Anspruch) (35). Le questioni più controverse riguardano i profili di ingiustizia del danno e la sua
risarcibilità, oltre che la ricerca del nesso causale.
Non è più in dubbio, invece, la legittimazione attiva
del nato, ormai riconosciutagli anche dalla giurisprudenza di legittimità (36).
Un aspetto centrale, alla base della pretesa configurabilità di un interesse a non nascere, è chiarire se la
responsabilità civile possa tutelare l’interesse a non
venire in vita; un interesse che – come è stato scritto
– mette in scacco il concetto di danno (37). Il figlio o
chi lo rappresenta può imputare al medico che abbia
omesso di informare la gestante delle possibili malformazioni al feto, soltanto «il fatto di essere nato»,
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
di certo non la patologia congenita e, conseguentemente, la vita malformata. Ed a molti sembra «arduo
concepire il non venire al mondo come un ‘‘bene
della vita’’ di cui il diritto abbia modo di considerare
la privazione sotto specie di danno, patrimoniale o
meno» (38).
Se non è immediato identificare la lesione di una
situazione giuridica soggettiva in capo al nascituro,
ancor più complesso è determinare il danno risarcibile movendo dall’assunto che non può lamentare
una perdita subita – presupposto per l’accesso alla
tutela risarcitoria – chi consegue «dal destino una
vita tra i cui beni non vi fu mai il bene della salute
fisica» (39).
Diversa, però, è l’opinione di chi nella sintesi «nascita malformata» sembra individuare uno specifico
evento di danno che si riporta causalmente alla condotta medica negligente: «una situazione esistenziale
che, in presenza di tutti gli elementi della fattispecie
astratta dell’illecito, consente e impone al diritto di
intervenire in termini risarcitori affinché quella condizione umana ne risulti alleviata, assicurando al minore una vita meno disagevole» (40). Il danno risarcibile, secondo questa opinione, consisterebbe dunque nel patimento subı̀to dal nato per essersi trovato
in un ambiente familiare impreparato ad accoglierlo,
nonché nella sofferenza derivante, oltre che da un’esistenza diversamente abile, dal disamore manifestato da genitori che non lo avrebbero voluto (41).
(27) E. PICKER, Il danno della vita, cit., 12. Va evidenziato – come
scrive P. ZATTI nella nota di commento a T. Padova, 9-8-1985,
NGCC, 1986, I, 121 – che il problema di considerare la nascita
come evento dannoso e antigiuridico, e dunque suscettibile di
risarcimento, non implica attribuire un segno negativo all’evento
nascita in sé: «Per affermare che un evento determina, nella vita
di una persona, la lesione di un interesse protetto, e rappresenta
perciò per quella persona un accadimento con conseguenze negative, non occorre riconoscere nell’evento stesso un disvalore
su tutti i piani dell’esperienza e della qualificazione giuridica».
(28) V. G. FERRANDO, Nascita indesiderata, situazioni protette e
danno risarcibile, in Un bambino non voluto e` un danno risarcibile?, a cura di A. D’Angelo, Milano, 1999, 209 ss. che osserva
come non la nascita né la vita stessa del bambino è fonte di
danno, bensı̀ al centro della vicenda risarcitoria vi sarebbe la
lesione dell’interesse dei genitori a pianificare le dimensioni e
la crescita della famiglia; P.G. MONATERI, ‘‘La marque de caı¨n’’,
la vita sbagliata, la vita indesiderata, e le reazioni del comparatista
al distillato del dell’alambicco, in Un bambino non voluto e` un
danno risarcibile?, a cura di A. D’Angelo, cit., 290: «Il bambino
non solo non è un danno risarcibile, il bambino non è un danno.
La sua nascita può però ingenerare degli altri danni, ed è quindi
di questi che bisogna discorrere» (corsivo dell’A.).
(29) V. F.D. BUSNELLI, Riflessioni in margine a una tempestiva
‘‘provocazione’’, in Chiamati al mondo, a cura di Carusi, cit., 125
ss.; G. FERRANDO, Libertà, responsabilita`e procreazione, Padova,
1999, spec. 187 ss. Specialmente nella giurisprudenza di merito,
con riferimento alla violazione dell’autodeterminazione procreativa dei genitori, e segnatamente della madre, il danno è stato
anche qualificato come perdita della astratta possibilità di abortire (perdita di chance), da risarcire quindi in misura percentuale
in considerazione dell’esistenza di qualche possibilità che l’abor-
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141
to non venga compiuto. V., ad esempio, T. Bergamo, 2-11-1995,
DR, 1996, 249, con nota di C. PALUMBO, Errore diagnostico e
mancata interruzione della gravidanza; più di recente, T. Pesaro,
26-5-2008, GC, 2008, 2273, con nota di D. AMOROSO. Nello stesso
senso anche una sentenza australiana (Veivers v. Connolly [1995]
2 Qd R 326) relativa al caso di una donna cui non fu diagnosticata la rosolia in tempo utile per permetterle di abortire e che
partorı̀ un bambino affetto da embriopatia congenita. La Corte
australiana concesse il risarcimento dei danni nella misura del
95% (pari a circa 860.000 dollari), tenuto conto della pur remota
possibilità che l’aborto non venisse compiuto. In alternativa,
senza fare ricorso al criterio della perdita di chance, l’evento di
danno può invece essere identificato nella nascita tout court.
Sulla tematica del danno da perdita di chance v. per tutti R.
PUCELLA, La causalità «incerta», Torino, 2007, 81 ss. e la ricca
bibliografia ivi contenuta.
(30) In tal senso A. TRABUCCHI, Il figlio, nato o nascituro, «inaestimabilis res», e non soltanto «res extra commercium», RDC,
1991, I, 221 ss.; P. ZATTI, nota a T. Padova, 9-8-1985, NGCC,
1986, I, 121; D. CARUSI, Fallito intervento d’interruzione della
gravidanza e responsabilità medica per omessa informazione: il
‘‘danno da procreazione’’ nella giurisprudenza della Cassazione
italiana e nelle esperienze straniere, Rass. DC, 1996, 342 ss. Nella
giurisprudenza di legittimità v., ad esempio, Cass., 4-1-2010, n.
13, Contr., 662, con nota di A. DE FEO: «Il danno risarcibile non
può essere limitato solo al danno alla salute in senso stretto della
gestante; qualora l’imperizia del medico impedisca alla donna di
esercitare il proprio diritto all’aborto, e ciò determini un danno
alla salute della madre è ipotizzabile che da tale danno derivi un
danno alla salute anche del marito; poiché si tratta di contratto di
prestazione di opera professionale con effetti protettivi anche
nei confronti del padre del concepito che, per effetto dell’attività
professionale dell’ostetrico-ginecologo, diventa o non diventa
padre (o diventa padre di un bambino anormale), il danno provocato da inadempimento del sanitario costituisce una conseguenza immediata e diretta anche nei suoi confronti e, come tale,
è risarcibile a norma dell’art. 1223 c.c.».
(31) Cass., 10-5-2002, n. 6735, FI, 2002, I, 3115, con note di A.
PALMIERI e R. SIMONE; GI, 2003, 884, con nota di C. PONCIBÒ, La
nascita indesiderata tra Italia e Francia. Il risarcimento del danno
non patrimoniale per lo shock emotivo derivante dall’impreparazione dei genitori alla nascita di un figlio non sano è confermato, pur nella sua connotazione omnicomprensiva, anche da
Cass. S.U., 11-11-2008, n. 26972, cit., in ragione del fatto che la
nascita di un figlio gravemente malformato «impone comunque
al danneggiato di condurre giorno per giorno, nelle occasioni più
minute come in quelle più importanti, una vita diversa e peggiore, di quella che avrebbe altrimenti condotto».
(32) V. Cass., 10-5-2002, n. 6735, cit., in cui si evidenzia che il
danno patrimoniale è configurabile sia in termini di danno emergente, e cioè nelle spese mediche, presenti e future, per le cure
costanti del figlio invalido, sia in termini di lucro cessante, ossia
nella diminuzione del reddito conseguente al sacrificio dell’attività professionale in favore dell’assistenza del figlio. Più di recente, v. Cass., civ., 05-6-2012, n. 8984, Ragiusan, 2013, fasc. 345,
23: «In tema di responsabilità del medico (o della struttura sanitaria) per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, trattandosi di inadempimento contrattuale, il danno al cui risarcimento il debitore è tenuto è anche
il danno economico che sia conseguenza immediata e diretta
dell’inadempimento in termini di causalità adeguata, quale il
danno consistito nelle ulteriori spese di mantenimento della persona nata con malformazioni, pari al differenziale tra la spesa
necessaria per il mantenimento di un figlio sano e la spesa per il
mantenimento di un figlio affetto da gravi patologie». In senso
contrario si è invece espressa Cass., 8-7-1994, n. 6464, RCP,
1994, 1029, con nota di M. GORGONI: «Nel caso di responsabilità
del sanitario per la mancata interruzione della gravidanza nei
casi previsti dalla l. 22 maggio 1978 n. 194, il danno risarcibile
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
è solo quello dipendente dal pregiudizio alla salute fisio-psichica
della donna specificamente tutelata dalla predetta legge, e non
quello più genericamente dipendente da ogni pregiudizievole
conseguenza patrimoniale dell’inadempimento del sanitario,
quale il costo della nascita del figlio indesiderato o del suo allevamento, che di per sé non sono considerati un fatto ingiustamente dannoso neppure in presenza di precarie condizioni economiche della madre, le quali sono assunte come condizione
giustificatrice della interruzione della gravidanza solo per la loro
possibile influenza sulle condizioni fisio-psichiche della donna».
(33) Un autonomo diritto al risarcimento del danno in capo ai
fratelli e alle sorelle del nato malformato è stato recentemente
riconosciuto da Cass., 2-10-2012, n. 16754: «La legittimazione ad
agire in giudizio per far valere la responsabilità sanitaria da
omessa diagnosi di malformazioni fetali e conseguente nascita
indesiderata, deve riconoscersi, oltre che alla madre e al padre,
anche ai fratelli e alle sorelle del bambino nato malformato». V.
M. GORGONI, Nascituro e responsabilità civile, RCP, 2009, 2075.
V. infra par. 4.
(34) V., da ultimo, Cass., 11-5-2009, n. 10741, cit. Il principio di
risarcibilità delle lesioni subite dall’individuo durante la vita prenatale è stato perfezionato da Cass., 22-11-1993, n. 11503,
NGCC, 1994, I, con nota di V. ZENO ZENCOVICH, Il danno al
nascituro; GI, 1995, I, 317 ss., con nota di A. PINORI, Contratto
con effetti protettivi a favore del terzo e diritto a nascere sano e,
ivi, 550 ss., con nota di D. CARUSI, Responsabilita`contrattuale ed
illecito anteriore alla nascita del danneggiato; CorG, 1994, 479 ss.,
con nota di A. BATÀ, La tutela del concepito e il diritto a nascere
sano; RCP, 1994, 403 ss., con nota di E. IORIATTI, La tutela del
nascituro: la conferma della Cassazione.
(35) Per una ricostruzione dogmatica del concetto v. A. GENTILI,
Il diritto come discorso, Milano, 2013, 261 ss.
(36) Cass., 22-11-1993, n. 11503, cit.: «Con il contratto di ricovero
ospedaliero della gestante l’ente ospedaliero si obbliga non soltanto a prestare alla stessa le cure e le attività necessarie al fine
di consentirle il parto, ma altresı̀ ad effettuare, con la dovuta
diligenza, tutte quelle altre prestazioni necessarie al feto (ed al
neonato), sı̀ da garantirne la nascita evitandogli – nei limiti consentiti dalla scienza – qualsiasi possibile danno; detto contratto,
intercorso tra la partoriente e l’ente ospedaliero, si atteggia come contratto con effetti protettivi a favore di terzo nei confronti
del nato, alla cui tutela tende quell’obbligazione accessoria, ancorché le prestazioni debbano essere assolte, in parte, anteriormente alla nascita; ne consegue che il soggetto che, con la nascita, acquista la capacità giuridica, può agire per far valere la
responsabilità contrattuale per l’inadempimento delle obbligazioni accessorie, cui il contraente sia tenuto in forza del contratto
stipulato col genitore o con terzi, a garanzia di un suo specifico
interesse». V. infra par. 6.
(37) P. ZATTI, Verso un diritto per la bioetica: risorse e limiti del
discorso giuridico, RDC, 1995, I, 49. Cfr. anche D. CARUSI, Revirement in alto mare: il ‘‘danno da procreazione’’ si «propaga» al
procreato?, GI, 2013, 812.
(38) D. CARUSI, Chiamati al mondo, cit., 7.
(39) A. DALMARTELLO, Postilla, cit., 124 s. Anche sul piano dei
valori, fa vigorosamente notare G. PUGLIESE, Responsabilita`morale e responsabilità giuridica per la procreazione di figli eredoluetici, cit., 1097 che la vita è fondamentalmente un dono: «l’ordinamento giuridico non concepisce l’interesse a non essere nati
o a morire (...); l’uomo è vita, ha la misura della vita, non sa nulla
della non vita; sicché, giuridicamente parlando, l’interesse alla
non vita è un assurdo (...), non è un bene la non vita. E non
essendo un bene, né patrimoniale né morale, ne riesce impossibile la valutazione, sia pure equitativa, in base all’art. 1226 c.c.».
(40) Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit. Cfr. G. TRAVAGLINO, La questione dei nessi di causa, Milano, 2012, 78 ss. Favorevole alla tesi
della risarcibilità, in favore del nato, della lesione di un interesse
a non nascere se gravemente malato è anche A. SHAPIRA,
‘‘Wrongful life’’ Lawsuits for Faulty Genetic Counselling: Should
the Impaired Newborn be Entitled to Sue? (1998) 24 Journal of
Medical Ethics 369 ss.
(41) V. infra par. 11.
3. Autodeterminazione procreativa e diritto alla vita.
Discorrendo di autodeterminazione procreativa, se da
un lato è considerato un fattore positivo che l’ordinamento giuridico favorisca e tenda a promuovere
l’assunzione consapevole della condizione di genitore (42), per altro verso si avverte il rischio che il
progredire delle possibilità predittive della consulenza genetica possa diventare «pretesto di astensioni
futili, di rinunce al proposito procreativo o di sua
dilatazione per ragioni di conformismo e di moda, e
cosı̀ alla lunga fattore di omologazione degli individui della specie umana» (43).
Viene dunque sottolineato il timore di una deriva
eugenetica, in cui l’interruzione della gravidanza diviene strumento di selezione delle nascite, espulsa
dalla sua autentica dimensione di legittimità (44).
Condizioni legittimanti che, si dirà, la vigente legge
sull’aborto appunta fondamentalmente sulla salute
della gestante e sulla sua possibilità di condurre a
termine la gravidanza senza particolari rischi per la
propria incolumità fisica e psichica (45).
Del resto va ricordato che la legge 194/1978 sancisce
«il diritto del concepito alla vita (...) che può essere
sacrificato solo nel confronto con quello, pure costituzionalmente protetto e da iscriversi tra i diritti inviolabili, della madre alla salute e alla vita» (46). Il
diritto alla vita del nascituro (47) va considerato anch’esso un diritto inviolabile che incontra un limite
nella vita e nella salute della donna (48).
Ammettere la tutela risarcitoria di nuove doglianze,
direttamente riconducibili pure al nascituro, sarebbe
per alcuni un segnale dello slittamento verso quella
deriva eugenetica poc’anzi ricordata. Un disagio atavico si avverte nel porsi dinnanzi alla vita non più
accettandola per quel che è, ma guardandola «alla
stregua di un prodotto che se, dal confronto con lo
standard di un’esistenza pienamente funzionale, risulta scadente può essere in un certo qual modo ‘‘rifiutata’’ o almeno alleviata per via risarcitoria» (49).
Cosı̀ come a molti inquieta che, per le regole del
diritto, possa concepirsi il paradosso di una «vita ingiusta»: espressione che, quandanche ritenuta ‘‘infelice’’ (50), perché suggerirebbe l’idea per cui, alla
base del torto, vi sia il fatto che al bambino non sia
stato impedito di venire al mondo, si ritrova sia negli
ordinamenti di matrice anglosassone (wrongful life) (51) sia, in termini analoghi, in altri sistemi di civil
law, come in Germania (Kind als Schaden) (52) e in
Francia (bébé préjudice).
Le questioni etiche e le ragioni sentimentali vanno
calate nel discorso giuridico, e in esso pare siano
destinate a intiepidirsi, poiché si debbono irrinuncia-
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
bilmente inserire nei più stretti meccanismi di funzionamento delle norme. È cosı̀ che, anche rispetto a tali
nuove prospettive di danno, il diritto della responsabilità civile, attraverso le sue regole e le sue funzioni,
è chiamato a discernere ciò che merita compensazione da quanto, invece, non superando il giudizio di
responsabilità, non può che restare ai margini dell’area del danno risarcibile (53).
(42) L’art. 1 della l. 22-5-1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale
della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza)
enuncia nel suo 1º comma le finalità della legge: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal
suo inizio» (corsivo mio).
(43) D. CARUSI, Chiamati al mondo, cit., 8. E, del resto, il 2º
comma dell’art. 1 della legge n. 194/1978 precisa che «L’interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo
delle nascite».
(44) Esclude che l’interruzione della gravidanza sia utilizzata
come mezzo per il controllo delle nascite, C. Cost., 10-2-1997,
n. 35, FI, 1997, I, 653 ss., con nota di R. ROMBOLI.
(45) Occorre sin d’ora distinguere tra interruzione della gravidanza e aborto: «Con il primo termine si intende semplicemente
indicare la cessazione del processo della gravidanza, prima del
suo termine fisiologico. Esso, pertanto, non può essere considerato sinonimo di aborto, termine che comporta, oltre all’interruzione della gravidanza, anche la morte del prodotto del concepimento. Ogni aborto è quindi conseguente ad un’interruzione
della gravidanza non necessariamente esita in aborto, potendo
consentire – in relazione alla sua età – la nascita e anche la
sopravvivenza del neonato» (APRILE-BENCIOLINI, Gravidanza,
parto, nascita: questioni medico-legali nell’ottica del biodiritto,
in Il governo del corpo, II, cit., 1769 s.). Sulle condizioni legittimanti previste dalla legge sull’aborto v. infra par. 5.
(46) C. Cost., 10-2-1997, n. 35, FI, 1997, I, 348 ss., con nota di R.
ROMBOLI.
(47) Su cui si tornerà più diffusamente infra par. 12.
(48) V. E. NAVARRETTA, Ingiustizia del danno e nuovi interessi,
cit., 175 ss.; C. SALVI, Capitalismo e diritto civile. Itinerari giuridici
dal Code civil ai Trattati europei, Bologna, 2015, 112 s.; E. IORIATTI FERRARI, Tutela della vita prenatale nel contesto della gravidanza, in Il governo del corpo, II, cit., 1605 ss.; M. DOGLIOTTI,
Interruzione della gravidanza e autonomia del minore, GI, 1982,
I, 1499.
(49) M. GORGONI, Il danno da procreazione, cit., 35.
(50) A. RUDA, ‘‘I Didn’t Ask to be Born’’: Wrongful Life from a
Comparative Perspective (2010) 1 JECTL 205.
(51) Ne sono testimonianza i saggi di R. SCOTT, Reconsidering
‘‘Wrongful life’’ in England After Thirty Years: Legislative Mistakes and Unjustifiable Anomalies, C.L.J. 2013, 72(1), 115 ss.;
K.A. WARNER, Wrongful life goes down under (2007) 123 L.Q.R.
2007 209 ss.; M. FORDHAM, A Life Without Value? (2005) Sing. J.
Legal Stud. 395 ss.; J.A. EATON, Wrongful Life Claims: A Comparative Analysis (2005) 35 Hong Kong L.J. 671 ss.; C. STOLKER,
Wrongful life: the limits of liability and beyond, I.C.L.Q. 1994,
43(3), 521 ss.
(52) H. REIS, Das Lebensrecht des ungeborenen Kindes als Verfassungsproblem, Tübingen, 1984. Più di recente, v. E. PICKER, Il
danno della vita, cit. La giurisprudenza tedesca nega, in principio, che possa la nascita di un bambino considerarsi come un
danno. V. BGH 16-11-1993, BGHZ, 124, 128: «da un punto di
vista giuridico né l’esistenza di un bambino né il suo mantenimento possono essere considerati un danno, pena la violazione
della dignità umana tutelata dall’art. 1 della Legge Fondamentale, dal Grundgesezt». Cfr. F.B. D’USSEAUX, Lo Schmerzensgeld
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nell’ordinamento tedesco, in Un bambino non voluto e` un danno
risarcibile?, a cura di A. D’Angelo, spec. 143 ss.
(53) L’indagine sull’ingiustizia del danno s’impone, naturalmente, solo quando la vicenda risarcitoria s’insedia nel campo della
responsabilità aquiliana; se invece la prospettiva fosse quella di
responsabilità contrattuale, entra in gioco la valutazione dell’inadempimento di controparte. V. infra par. 9.
4. I soggetti potenzialmente coinvolti nella vicenda
risarcitoria della nascita malformata.
Il tema della procreazione solleva interessi e problematiche che riguardano una pluralità di soggetti. La
donna, anzitutto, in virtù della sua facoltà di esercitare la scelta abortiva, a tutela della sua salute psicofisica e in favore di una maternità cosciente e responsabile. Il partner della gestante che con lei condivide
l’esperienza della ‘‘genitorialità’’, oltre agli oneri di
mantenimento del figlio, e che partecipa affettivamente all’evento della nascita. Talvolta anche i fratelli e le sorelle del nascituro, che fanno parte della
comunità familiare e che vivono anch’essi l’avvento
del nuovo nato, subendone, nei casi di nascita malformata, tutti i potenziali riflessi negativi (54). Infine
il nascituro, perché, tacendo per un istante sull’antico
problema della sua soggettività (55), è discusso se
egli possa vantare un’autonoma pretesa risarcitoria
connessa al sorgere di una ‘‘vita menomata’’, seppur
sempre vita, che si lega indissolubilmente – anche
sotto l’aspetto eziologico – all’interesse ad una maternità cosciente e responsabile, onde l’esercizio del
diritto corrispondente spetta inevitabilmente soltanto alla madre, la quale «decide presuntivamente per il
meglio anche nei confronti del figlio» (56).
Si intuisce che, anche nella prospettiva risarcitoria,
un filo rosso collega la posizione della donna nella
fase della gestazione a quella di colui che porta in
grembo (57). La configurabilità di qualsivoglia pretesa risarcitoria in capo al concepito dipenderà, al
pari dell’esistenza stessa di quest’ultimo, da scelte
in qualche modo imputabili alla madre (i.e. la volontà stessa – in ipotesi – di non voler generare un figlio
menomato, e quindi la preferenza accordata alla
non-vita in luogo di una vita-menomata, appartiene,
seppur nei limiti di legittimità fissati dalla legge, soltanto al genitore). Sono dunque i genitori, e soltanto
loro, che possono farsi portatori di istanze e interessi
che tuttavia attengono alla sfera soggettiva del nato,
evidentemente non in grado di manifestare una propria e autonoma determinazione (58).
Occorre allora ragionare anche sulla tesi della ‘‘propagazione del danno in capo al nuovo nato’’ (59), e
cioè sulla possibilità di ammettere che la responsabilità per il danno da nascita indesiderata (wrongful
birth) si ‘‘propaghi’’ nei confronti, oltre che della
madre e del padre, del nuovo nato, attentando cosı̀
alla propria sfera giuridica sotto il profilo di una
autonoma pretesa risarcitoria per wrongful life (60).
144
DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
(54) Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.: «(...) anche ai fratelli e alle
sorelle del neonato, dei quali non può non presumersi l’attitudine a subire un serio danno non patrimoniale, anche a prescindere dagli eventuali risvolti e delle inevitabili esigenze assistenziali
destinate ad insorgere, secondo l’id quod plerumque accidit, alla
morte dei genitori. Danno intanto consistente, tra l’altro nella
inevitabile, minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in
ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio
affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere
di un rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione». Di recente, cfr. anche
Cass., 20-4-2016, n. 7768, RCP, 2016, 1570, con nota di S. NOBILE
DE SANTIS.
(55) V. infra par. 6.
(56) Cosı̀ P.G. MONATERI, Il danno al nascituro e la lesione della
maternità cosciente e responsabile, CorG, 2013, 60 (il corsivo è
dell’A.), riprendendo le argomentazioni di Cass., 2-10-2012, n.
16754, cit.
(57) Con riferimento alla relazione madre-nascituro, Cass., 2-102012, n. 16754, cit., si è spinta a parlare di rapporto di ‘‘immedesimazione organica’’.
(58) V. sul punto anche Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit., ove
si afferma che del danno patito dal concepito-nascituro «si farebbero interpreti unilaterali i genitori nell’attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata dalla malattia; come
tale, indegna di essere vissuta (quasi un corollario estremo del
c.d. diritto alla felicità)».
(59) V. infra parr. 7 e 8.
(60) In tal senso, Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.
5. La lesione della maternità cosciente e responsabile.
La l. 22-5-1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale
della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza) ha introdotto in Italia la possibilità di ricorrere legalmente all’interruzione volontaria della gravidanza (61), riconoscendo in capo alla donna una
facoltà condizionata in ordine alla propria autodeterminazione procreativa, a tutela della sua salute, e
non solo della sua vita, seppur nel rispetto di rigorose
condizioni (62).
Il dettato normativo esprime un bilanciamento tra
opposte esigenze che, secondo l’orientamento della
Corte costituzionale, non equivalgono però sul piano
assiologico: la salvezza della madre, già persona, e
quella dell’embrione, che persona deve ancora diventare (63). In questa cornice l’interruzione di gravidanza non è, nelle intenzioni del legislatore, uno
strumento lasciato alla libera discrezione della madre, tale da consentire una programmazione delle
nascite; al contrario è consentito alla gestante di optare per la soluzione abortiva soltanto quando la tutela della vita in arrivo si ponga in conflitto con l’interesse alla salute fisica o psichica della donna e la
prosecuzione della gravidanza comporti una situazione di serio pericolo per la madre.
La legge distingue le condizioni per l’interruzione
della gravidanza entro i primi novanta giorni, regolata agli artt. 4 e 5, specificandone i presupposti: quando la donna «accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità com-
porterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica
o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle
sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o
alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento,
o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito»; dalle ipotesi di aborto legale dopo i novanta
giorni, subordinata a condizioni più rigorose e specifiche: «a) quando la gravidanza o il parto comportino
un grave pericolo per la vita della donna; b) quando
siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute
fisica o psichica della donna» (art. 6).
Inoltre, nella fase più avanzata della gravidanza,
quando sussiste «la possibilità di vita autonoma del
feto», l’interruzione della gravidanza è ammessa solo
nel caso di grave pericolo per la vita della madre (art.
7, 3º co.).
Perché l’omessa informazione del medico possa dar
luogo, sotto il profilo della sua antigiuridicità, ad un
danno risarcibile, è indispensabile la sussistenza delle
condizioni legittimanti appena ricordate (64). La gestante, infatti, non potrebbe lamentare alcun danno
se, per legge, ella non avrebbe comunque avuto la
possibilità di richiedere l’interruzione della gravidanza quandanche fosse stata correttamente informata
circa possibili malformazioni del feto.
Ciò detto, la madre deve in ogni caso essere posta
nelle condizioni di esercitare appieno e consapevolmente la propria scelta di interrompere o meno la
gravidanza (65). Nei casi giurisprudenziali in esame,
per contro, la determinazione della gestante verso
un’eventuale decisione abortiva, in presenza delle
condizioni di legge, risulta ostacolata o viziata da
una carenza informativa imputabile al medico curante (66).
La negligenza del medico nell’esecuzione di esami
prenatali o nell’interpretazione delle relative risultanze impedisce alla donna di avere contezza del
reale decorso della gestazione e, al contempo, priva
la coppia della possibilità di prepararsi psicologicamente alla nascita di un bambino handicappato (67).
In questi termini la mancata o errata diagnosi prenatale innesca la sequenza causale che porta alla nascita
indesiderata, nella misura in cui la mancata informazione escluderebbe in radice la possibilità per la donna di interrompere la gravidanza, provocando una
lesione del diritto alla maternità cosciente e responsabile suscettibile di risarcimento (68).
Resta inteso che il medico potrà liberarsi da responsabilità soltanto se in grado di provare l’assenza di
colpa (69), e cioè, ad esempio, l’oggettiva impossibilità di individuare le malformazioni nonostante il corretto impiego di tutti gli strumenti a disposizione.
Lo snodo della questione che qui interessa indagare
è tuttavia incentrato sulla posizione del nato malato,
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quale possibile ulteriore danneggiato sulla scena risarcitoria. È vero che il nascituro, al momento della
condotta del medico (in ipotesi, antigiuridica), non
era ancora soggetto di diritto (70), in virtù del principio consacrato all’art. 1 c.c.: «La capacità giuridica
si acquista dal momento della nascita». Nella fattispecie in parola la questione è però superata in partenza,
perché l’evento di danno – per coloro che lo considerano tale – si manifesta con la nascita, quando la
persona esiste, e non conta, nel giudizio di responsabilità, che il fatto lesivo (i.e. l’omessa informazione
del sanitario) fosse anteriore alla nascita del soggetto.
Ad ogni modo, sempre in casi di danno da nascita
indesiderata, il problema della soggettività ha impegnato per diverso tempo tanto la dottrina quanto la
giurisprudenza. È opportuno per tale motivo ricostruire, seppur brevemente, le principali teorie che
hanno riguardato la titolarità di diritti nell’ottica di
una vita nascente.
(61) Per un’approfondita analisi dei criteri e dei principi posti a
fondamento della legge sull’aborto v. MAZZONI-PICCINNI, La persona fisica, cit., 93 ss.; B. PEZZINI, Inizio e interruzione della
gravidanza, in Il governo del corpo, cit., II, 1655 ss.
(62) La scelta abortiva, sotto il profilo delle situazioni giuridiche
soggettive, non corrisponde – secondo l’opinione dominante –
all’esercizio di un diritto soggettivo. V. C. CASTRONOVO, Eclissi
del diritto civile, Milano, 2015, 93, in cui si parla di ‘‘facoltà
condizionata’’; E. NAVARRETTA, Ingiustizia del danno e nuovi
interessi, cit., 174 ss.: «In definitiva, non esiste un diritto all’interruzione della gravidanza, ma una disciplina legale del bilanciamento di interessi fra la vita dell’embrione e la vita o la salute
della madre, da cui si evince l’obiettivo di una procreazione
cosciente e responsabile, nel senso di non mettere a rischio la
vita e la salute della madre a fronte della nuova vita, salvo che la
stessa madre desideri accettare tale rischio. (...) Se non esiste un
diritto all’interruzione della gravidanza a fortiori non può teorizzarsi un diritto di autodeterminazione procreativa (...)»; B.
PEZZINI, Inizio e interruzione della gravidanza, cit., 1659, la quale
osserva: «L’interruzione volontaria della gravidanza non è
espressamente qualificata né come facoltà né come diritto; è
una prestazione medico-sanitaria, una cura (in senso lato) ammessa dall’ordinamento alle condizioni fissate dalla legge; in
quanto tale corrisponde ad una prestazione che concretizza il
diritto alla salute (ed in questo senso parlare di diritto all’aborto
non sarebbe più congruo che parlare di diritto all’appendicectomia), tutelato nella concreta situazione di donna in stato di gravidanza che si trovi nelle condizioni definite rispettivamente dagli artt. 4 e 6 [della l. n. 194/1978]».
(63) C. Cost., 18-2-1975, n. 20.
(64) Cfr. Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit., ove si puntualizza,
ad esempio, la necessità che sussistano e siano accertabili mediante appropriati esami clinici: «... le rilevanti anomalie del
nascituro e il loro nesso eziologico con un grave pericolo per
la salute fisica o psichica della donna – giacché, senza il concorso
di tali presupposti, l’aborto integrerebbe un reato; con la conseguente esclusione della stessa antigiuridicità del danno, dovuto
non più a colpa professionale, bensı̀ a precetto imperativo di
legge».
(65) Speculare al diritto della donna è l’obbligo di informare
gravante in capo al medico. Cfr. Cass., 2-2-2010, n. 2354, cit.:
«Il sanitario curante che accerti l’esistenza, a carico della gestante, di una patologia tale da poter determinare l’insorgenza di
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gravi malformazioni a carico del nascituro, è tenuto ad informare
la donna di tale situazione e della possibilità di svolgere indagini
prenatali, benché rischiose per la sopravvivenza del feto, onde
consentire l’esercizio della facoltà di procedere all’interruzione
della gravidanza».
(66) R. PUCELLA, Autodeterminazione e responsabilità nella relazione di cura, Milano, 2010, spec. 120. La sussistenza, non solo in
astratto, delle condizioni legittimanti il ricorso all’aborto terapeutico è, infatti, presupposto indefettibile affinché l’evento di
danno possa riferirsi, sul piano causale, alla condotta negligente
del sanitario. In assenza dei presupposti di legge per l’esercizio
dell’interruzione volontaria della gravidanza, la mancata colposa
informazione può determinare il risarcimento del danno solamente per il trauma dovuto alla scoperta della condizione del
figlio. V., per tutte, Cass., 2-2-2010, n. 2354, cit.
È ormai principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità
quello per cui il danno da mancata informazione del medico sia
ontologicamente diverso dal danno alla salute. V. Cass., 12-62015, n. 12205, Ragiusan, 2015, fasc. 379, 13: «In tema di attività
medico-chirurgica, è risarcibile il danno cagionato dalla mancata
acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all’esecuzione di un intervento chirurgico, ancorché esso apparisse,
ex ante, necessitato sul piano terapeutico e sia pure risultato, ex
post, integralmente risolutivo della patologia lamentata, integrando comunque tale omissione dell’informazione una privazione della libertà di autodeterminazione del paziente circa la
sua persona, con riguardo alla preclusione della possibilità di
esercitare tutte le opzioni riguardanti l’espletamento dell’atto
medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della
sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun
modo compensati dall’esito favorevole dell’intervento»; in senso
conforme Cass., 20-5-2016, n. 10414, DeG, secondo cui l’acquisizione del consenso informato del paziente costituisce evidentemente una prestazione differente rispetto all’intervento terapeutico, «di talché l’errata esecuzione di quest’ultimo da luogo ad un
danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto
a quello dovuto per la violazione dell’obbligo di informazione,
anche in ragione della diversità dei diritti – rispettivamente all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed all’integrità
psicofisica – pregiudicati nelle due differenti ipotesi».
(67) V. C. FAVILLI, Il danno non patrimoniale da c.d. nascita
indesiderata, cit., 508.
(68) Cass., 10-5-2002, n. 6735, cit.: «in tema di responsabilità del
medico per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, l’inadempimento del medico rileva
in quanto impedisce alla donna di compiere la scelta di interrompere la gravidanza». In senso conforme, Cass., 10-11-2010, n.
22837, NGCC, 2011, I, 464, con nota di E. PALMERINI; Cass., 2-102012, n. 16754, cit. Più di recente, v. Cass., 11-4-2017, n. 9251, FI,
2017, I, 3120; RespMed, 2017, 511, con nota di M. FONTANA VITA
DELLA CORTE, Nascita indesiderata e aborto terapeutico: l’indefettibile presupposto del grave pericolo per la salute della gestante:
«Posto che la mancanza della mano sinistra del nascituro non è
una malformazione idonea a determinare un grave pericolo per
la salute fisica o psichica della donna, necessario per far luogo
all’interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni dal
suo inizio, non può derivare alcun danno risarcibile dall’omessa
diagnosi dell’anomalia fetale da parte dei medici, in occasione
dell’ecografia morfologica effettuata dopo il suddetto termine».
(69) Argomentando, in particolare, ex art. 1176, 2º co., e art.
1218 c.c.
(70) Cosı̀, da ultimo, Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit.
6. Questioni di vita nascente: l’esistenza della persona
e il problema della soggettività.
In passato ci si è posti la questione se, nel campo
della responsabilità civile e dell’accesso alla tutela
risarcitoria, sia titolare di diritti (i.e. soggetto giuridi-
146
DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
co) soltanto il concepito; oppure se lo sia già il nascituro, un essere umano che «persona deve ancora
diventare» (71). Nell’aderire alla tesi maggioritaria
secondo cui l’embrione non è a tutti gli effetti ‘‘persona’’, ci si è inoltre chiesti se possa il concepito, una
volta nato, esercitare comunque un’azione risarcitoria per un fatto anteriore alla sua nascita (72).
Gli ostacoli dogmatici che tradizionalmente vengono
affrontati sono, da un lato, la difficoltà di attribuire al
nascituro-concepito una ‘‘piena’’ soggettività giuridica e il godimento di autonomi diritti connessi al fatto
della (propria) nascita; dall’altro, il nodo della configurabilità di un ‘‘diritto’’ (rectius, interesse) del concepito a non nascere se gravemente malato, ossia a
pretendere – iure proprio – un ristoro a fronte della
propria stessa ‘‘nascita indesiderata’’ (73).
Rispetto al primo profilo, concernente il tema della
soggettività (74), occorre comprendere se l’essere
soggetto di diritto sia davvero un presupposto indefettibile per l’attribuzione del diritto al risarcimento,
originato da fatto anteriore alla nascita ma attuabile
ed azionabile dopo la nascita del soggetto. Oppure se
la tutela del nascituro-concepito possa ritenersi svincolata dal problema della soggettività, e possa questi
– senza elevarlo a soggetto di diritto dotato di capacità giuridica – vantare comunque, una volta nato,
una legittimazione attiva rispetto al danno anteriore
alla sua stessa nascita.
La disputa, come detto, sta nell’individuazione del
momento di acquisto della capacità giuridica, posto
che in teoria la mancanza di personalità escluderebbe
la configurabilità di un diritto in capo al nascituro e
cosı̀ la legittimazione di chiunque volesse agire per
danni che ancora non si sa se avranno o no un soggetto passivo.
La nascita è il fatto naturale indicato dall’art. 1 del
c.c. italiano quale momento di acquisto della capacità
giuridica (75). Ciò a prescindere dalla sua durata,
breve o lunga che sia (76). L’evento della nascita,
intesa come distacco del feto dal corpo materno (77),
determina la configurabilità dei diritti che la legge
riconosce a favore del concepito (78).
Più specifica è la formula prevista dall’art. 1 del c.c.
tedesco, sotto la rubrica «inizio della capacità giuridica», in cui si dichiara: «la capacità giuridica dell’uomo comincia al compimento [Vollendung] della nascita» (79). Ancor più esplicita – come è stato fatto
notare (80) – è la formula dell’art. 31 del c.c. svizzero: «La personalità comincia con la vita fuori dall’alvo materno e finisce con la morte. Prima della nascita
il nascituro è giuridicamente capace a condizione che
nasca vivo».
Se dunque ad ogni persona fisica vivente è riconosciuta la capacità giuridica generale (81), intesa come
idoneità o attitudine ad essere titolare di diritti e
doveri (82), nonché come ‘‘presupposto’’ della tito-
larità di posizioni giuridiche soggettive (83), il punto
è capire quando per il diritto l’individuo-persona viene ad esistenza e, in quanto tale, diviene destinatario
di situazioni giuridiche. Il riconoscimento della titolarità di posizioni giuridiche è, infatti, subordinato
all’esistenza della persona.
È vero che nel diritto moderno è un’affermazione
acquisita quella per cui l’ordinamento non considera
più la persona soltanto come centro di imputazione
di situazioni giuridiche, ma anche e soprattutto come
valore in sé (84). Tuttavia, con riguardo al nascituro,
è in discussione la sua stessa qualità di ‘‘persona’’,
tanto che in dottrina si è parlato di paradosso della
soggettività del concepito: «come soggetto che non si
sostanzia ancora in una persona ma ne prefigura l’esistenza» (85).
Rimanendo ancorati al diritto positivo, occorre di
nuovo soffermarsi sulla norma di riferimento, secondo cui la capacità di diritto «si acquista dal momento
della nascita» (art. 1, 1º co., c.c.). Il dato formale della
disposizione suggerisce che la capacità giuridica sia
riconducibile soltanto all’evento naturale della nascita (86) e come tale sia espressione di una ‘‘concessione’’ da parte dell’ordinamento (87). Tuttavia la legge
riconosce alcuni diritti, di carattere patrimoniale e
subordinati all’evento nascita, sia a favore del nascituro, sia a favore del concepito (88). Si è posto cosı̀ il
problema se il concepimento segni il momento di
acquisto di una sia pur parziale o provvisoria capacità
giuridica (89).
Sotto l’aspetto della costruzione di status dell’embrione, alcuni interpreti, in conformità del dato formale della legge, riconducono soltanto alla nascita il
momento di acquisto della capacità giuridica (90).
Altri ritengono invece che il momento di acquisto
della capacità giuridica sia segnato già dal concepimento (91), basandosi, in una visione di stampo giusnaturalistico, sulla premessa che la capacità di diritto – come è stato scritto – sarebbe una «‘‘qualità
innata’’ (angeborene) dell’uomo, comprendendola
nel novero di quei diritti che preesistono e si impongono alla legge positiva» (92). Infine, in una posizione intermedia si colloca chi afferma una capacità
giuridica prenatale, cosiddetta anticipata o provvisoria, in capo al nascituro (93).
Neppure il quadro normativo extracodicistico sembra fornire una soluzione immediata, benché offra
qualche riferimento ulteriore. La legge sull’aborto
dichiara che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e tutela la vita
umana dal suo inizio» (94), con evidente richiamo
al concepimento. In tempi più recenti, la legge sulla
procreazione assistita ha fatto espresso riferimento
alla tutela dei diritti «di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito» (95).
Anche il diritto sovranazionale è intervenuto sul te-
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ma della tutela anticipata della vita umana. Il preambolo della Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sancisce che «il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica e intellettuale, necessita di
una protezione e di cure particolari, compresa un’adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la
nascita» (96). Analogamente, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, nonché l’art. 2
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, affermano che il diritto alla vita spetta «ad
ogni individuo».
(71) C. Cost., 18-2-1975, n. 27, GiC, 1975, 117 ss. Per notizie di
carattere storico sulla tutela del concepito v. M.P. BACCARI, La
difesa del concepito nel diritto romano: Dai Digesta dell’imperatore Giustiniano, Torino, 2006; ID., Il concepito: un concetto antico per il terzo millennio, in ROSSANO-SIBILLA, La tutela giuridica
prenatale, Torino, 2005, 1 ss.; G. FERRI, Sulla qualificazione giuridica del concepito nei codici degli Stati italiani preunitari e nelle
stagioni della codificazione unitaria, RDC, 2009, 227 ss.
(72) Per un quadro sulle diverse opinioni dottrinali al riguardo,
v. G. BALDINI, Il nascituro e la soggettività giuridica, DFP, 2000,
II, 334 ss.
(73) Ripercorre le principali tappe giurisprudenziali sul tema, A.
FERRARIO, Il danno da nascita indesiderata, nella collana Teoria e
pratica del diritto – Civile e Processo, Milano, 2009.
(74) V. F. ALCARO, Riflessioni critiche intorno alla soggettività
giuridica. Significato di una evoluzione, Milano, 1976; N. COVIELLO, La tutela della salute dell’individuo concepito (note introduttive alla riflessione giuridica sull’aborto), DFP, 1978, 245 ss.; F.D.
BUSNELLI, Il problema della soggettività del concepito a cinque
anni dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita,
NGCC, 2010, II, 185 ss.; ID., Bioetica e diritto privato. Frammenti
di un dizionario, Torino, 2001, 17 s., 85 ss.; ID., Lo statuto del
concepito, DD, 1988, 216 ss.; N. LIPARI, Spunti problematici in
tema di soggettività giuridica, in La civilistica italiana dagli anni
Cinquanta ad oggi tra crisi dogmatica e riforme legislative, Padova, 1991, 55 ss.; G. OPPO, Procreazione assistita e sorte del nascituro, RDC, 2005, 99 ss.; P. ZATTI, La tutela della vita prenatale: i
limiti del diritto, NGCC, 2001, II, 149 ss.; ID., Diritti del non nato
e immedesimazione del feto della madre, NGCC, 1999, 113 ss.;
ID., Diritti dell’embrione e capacità giuridica del nato, RDC, 1997,
107 ss.; ID., «Capacità», nel Glossario del Tratt. Iudica-Zatti,
Milano, 1994, 55 ss.; ID., Quale statuto per l’embrione?, RCDP,
1990, 437 ss.; G. CRICENTI, Breve critica della soggettività del
concepito. I ‘‘falsi diritti’’ del nascituro, DFP, 2010, II, 465 ss.;
ID., Il concepito soggetto di diritto e i limiti dell’interpretazione,
NGCC, 2009, I, 1268 ss.; ID., Il diritto di non nascere, RCDP,
2007, 105 ss.; E. GIACOBBE, Il concepito come persona in senso
giuridico, Torino, 2003; M. GORGONI, Individuo o persona: problemi di qualificazione e tutela giuridica alle soglie della vita,
DFP, 1994, 337 ss.; S. ORRÙ, Il nascituro, in I nuovi danni alla
persona. I soggetti deboli, a cura di Cendon-Rossi, I, Roma, 2013,
211 ss.
(75) Si rinvia alle elaborazioni di A. DE CUPIS, I diritti della
personalità2, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1982, 101 ss.; A.
FALZEA, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano,
1939. Per la dottrina più recente v. P. RESCIGNO, La nascita,
cit., 1735 ss.; G. ALPA, Status e capacità. La costruzione giuridica
delle differenze individuali, Bari, 1993, passim; M. BESSONE-G.
FERRANDO, «Persona fisica (diritto privato)», in Enc. dir.,
XXXIII, Milano, 193 ss.
(76) Cfr. F. SCARDULLA, «Nascita (dir. civ.)», cit., 520. Per giunta
il codice attuale non richiede più, per l’attribuzione della capacità giuridica, il requisito della vitalità, intesa come l’attitudine a
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continuare a vivere fuori dall’alvo materno, come faceva il codice previgente.
(77) V. G. OPPO, L’inizio della vita umana, cit., 499 ss.
(78) Cosı̀ si esprime l’art. 1, c.c., cpv.: «I diritti che la legge
riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita». In letteratura si è fatto notare che il linguaggio legislativo è quello usato in materia di condizione. Cfr. F. SANTORO
PASSARELLI, Su un nuovo profilo dell’istituzione dei nascituri, FP,
1954, IV, c. 65 (e negli Scritti per il centenario della Casa editrice
Jovene, Napoli, 1954, 291 ss.). Alcuni Autori, in particolare,
hanno sostenuto che la nascita mancata funzionerebbe come
condizione risolutiva dell’acquisto dei diritti eventuali del nato
(A. MUSATTI, Ancora sulla responsabilità da procreazione, FI,
1952, IV, c. 17). La dottrina maggioritaria ritiene invece che la
fattispecie sia al di fuori del campo della condizione e delle
concause accidentali, e che si tratterebbe piuttosto di un coelemento necessario di efficacia (in tal senso v. P. RESCIGNO, Il
danno da procreazione, cit., 72 ss.; F. CARNELUTTI, Nuovo profilo
della istituzione dei nascituri, FI, 1954, IV, c. 57, e negli Studi per
Voleri, I, Milano, 1955, 211). Altri affermano che la nascita della
persona fisica rappresenti la fonte di qualificazione soggettiva
dell’effetto, e ancorché la fattispecie sia perfetta, sarebbe necessario sotto il profilo soggettivo che fosse «imputata funzionalmente ad un soggetto: cioè che quest’ultimo venga riconosciuto
come attuale punto di collegamento dell’atto giuridico concreto
in rapporto alla situazione che il diritto fa da esso scaturire» (cosı̀
A. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, nelle
Pubblicazioni dell’Università di Messina, Milano, 1941, 296 ss.,
256). Sostiene che l’esistenza del destinatario sarebbe elemento
di perfezione della fattispecie anche G. OPPO, Note sull’istituzione di non concepiti, I, La disposizione testamentaria, RT, 1948, 66
ss.
(79) Cfr. P. RESCIGNO, La nascita, cit., 1735 s.
(80) P. RESCIGNO, Il danno da procreazione, cit., 65.
(81) Cenni alle varie teorie sviluppatesi intorno al concetto di
capacità giuridica si possono leggere in A. FALZEA, Il soggetto nel
sistema dei fenomeni giuridici, cit.
(82) F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile9,
Napoli, 1981, 24; A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile46, a
cura di G. Trabucchi, Padova, 2013, 65, 256 ss.
(83) G. ALPA-A. ANSALDO, Le persone fisiche2, sub art. 5, Comm.
Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2013, 232. Il concetto di capacità giuridica è stato anche qualificato come «idoneità a fungere da termine di riferimento di fatti e di atti giuridici,
per il collegamento di fattispecie giuridiche» (P. ZATTI, «Capacità», nel Glossario del Tratt. Iudica-Zatti, cit., 62, corsivo dell’A.).
(84) G. ALPA-A. ANSALDO, Le persone fisiche2, cit., 231: «se si sia
in presenza di un valore ‘‘pre’’-giuridico, ovvero di un valore
riconosciuto e garantito dall’ordinamento giuridico è discussione
non ancora sopita, di difficile, forse impossibile soluzione, attesa
la irriducibilità ad un unico metro delle due concezioni opposte,
giusnaturalistica l’una, giuspositivistica l’altra». Per la concezione di persona umana come valore fondamentale su cui poggia
l’ordinamento v. A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, cit.,
256 ss.: «L’intera organizzazione giuridica è destinata alla persona umana (hominum causa omne ius constitutum est). L’uomo,
come persona, oltre che il destinatario, è anche di regola il soggetto attivo del diritto: centro di interessi, il soggetto uomo è
visto anche come motore di azioni dirette al soddisfacimento
di tali interessi»; L. PALAZZANI, Il concetto di persona tra bioetica
e diritto, Torino, 1996; P. PERLINGIERI, La personalità umana
nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, 12 ss.; P. RESCIGNO,
«Personalità (diritti della)», in Enc. giur., XXIV, Roma, 1991,
2; A. DE CUPIS, I diritti della personalità, cit., 101 ss.; M. DOGLIOT2
TI, Le persone fisiche , in Tratt. Rescigno, Torino, 1999, II, 3 ss.;
V. ZENO ZENCOVICH, «Personalità (diritti della)», in Digesto/civile, XIII, Torino, 1995, 434 ss. Di recente v. anche G. OPPO,
Ancora su persona umana e diritto, RDC, 2007, II, 259 ss.
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
(85) F.D. BUSNELLI, Cosa resta della legge 40? Il paradosso della
soggettività del concepito, RDC, 2011, I, 459 s., 462 s. Per una
nozione di persona, con particolare attenzione alla distinzione
tra soggetto e persona, v. anche P. RESCIGNO, La nascita, cit.,
1735; C.M. BIANCA, Diritto civile2, La norma giuridica e i soggetti,
I, Milano, 2002, 135 ss. e ivi, La responsabilità, V, 2012, 627 ss.;
M. BESSONE-G. FERRANDO, «Persona fisica (diritto privato)», cit.,
193; C.M. MAZZONI, «Persona fisica», in Digesto/civ., XIII, Torino, 1995, 379; ID., Le persone, I, Persone fisiche, nella collana Il
diritto privato nella giurisprudenza, a cura di P. Cendon, Torino,
2000.
(86) Per la giurisprudenza contraria alla soggettività del nascituro, v. Cass., 28-12-1973, n. 3467, FI, 1974, I, 668, con nota di V.M.
CAFERRA, Il danno morale del nascituro per l’uccisione del genitore, sull’azione di una bambina per ottenere il risarcimento del
danno morale per la morte del padre, avvenuta anteriormente
alla nascita, in cui si legge l’assunto secondo cui «il concepito non
ha perduto nulla perché non è soggetto».
(87) In questi termini si esprime P. RESCIGNO, «Capacità giuridica», in Digesto/civ, IV, 1988, Torino, 218 ss. Per contro, si sono in
passato registrate dottrine, di stampo giusnaturalistico, tese a
qualificare la capacità giuridica come un diritto originario o innato, che, preesistendo alla realtà giuridica, si imporrebbe alla
legge positiva. Per un approfondimento v. P. RESCIGNO, «Nascita», cit., 1 ss. e la bibliografia ivi indicata.
(88) Le norme cui fa riferimento l’art. 1, cpv., c.c., sono quelle
che riguardano, rispettivamente, il potere di rappresentanza e di
amministrazione dei beni spettante ai genitori nei confronti dei
figli nati e nascituri (art. 320); la capacità di succedere per causa
di morte (art. 462, 1º co.); la capacità di ricevere per donazione
(art. 784, 1º co.). Fuori dalla previsione dell’art. 1, cpv., c.c.,
diritti subordinati all’evento nascita sono attribuiti altresı̀ ai nascituri non concepiti: essi – ad esempio – sono capaci di ricevere
per testamento e per donazione, nei limiti degli artt. 462, 3º co., e
784, 1º co. Cfr. Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit.: «Natura
eccezionale (...) rivestirebbero le norme che riconoscono diritti
in favore del nascituro, concepito o non concepito, subordinati
all’evento della nascita (art. 1 c.c., 2º co.): quale deroga al principio generale secondo cui non può reclamare un diritto chi, alla
data della sua genesi, non era ancora esistente (artt. 254, 320,
462, 784), o non era più (arg. ex art. 4 cod. civ.). Di qui la
definizione, nella fattispecie in esame, di diritto adespota, la
cui configurazione riuscirebbe, ‘‘prima facie’’ in contrasto con
il principio generale sopra richiamato».
(89) C.M. BIANCA, Diritto civile2, La norma giuridica e i soggetti,
cit., 135 ss., 221 ss.
(90) F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile,
cit., 26 ss.: «L’attribuzione di diritti a favore del concepito, subordinati all’evento della nascita (art. 1, cpv.), non deve far pensare ad una anticipazione della personalità sulla nascita. Infatti la
legge ammette a favore del concepito soltanto l’attribuzione e la
conservazione di diritti in relazione all’eventualità della nascita,
ma, se questa non segue, non si determina alcuna delle conseguenze che si verificherebbero per effetto dell’estinzione di un
soggetto di diritti. Deve piuttosto pensarsi alla costituzione di un
centro autonomo di rapporti giuridici, in previsione ed attesa
della persona»; A. FALZEA, Il soggetto nel sistema dei fenomeni
giuridici, cit., 44 s.: «... è perciò veramente semplicistico il modo
in cui viene risolto il problema della personalità del nascituro
mediante ricorso al concetto di capacità giuridica condizionata,
perché ammettere la esistenza condizionale di un effetto giuridico significa negarne la esistenza attuale». In questi termini v.
anche A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, cit., 259: «Il nascituro concepito, che è un uomo in fieri, una spes hominis, non
ha una vera e propria capacità giuridica»; A. DE CUPIS, I diritti
della personalità, cit., 107 ss. Sul tema cfr. anche P. RESCIGNO,
Situazione e status nell’esperienza del diritto, RDC, 1973, I, 209.
(91) In tal senso v. L. FERRI, Alcune considerazioni sulla capacità
di succedere dei nascituri, T, 1963, 817 ss; ID., Tutela giuridica del
nascituro, RTPC, 1980, 48: «(...) la nostra tradizione giuridica è
nel senso che il nascituro concepito debba godere protezione e
tutela come essere umano: che egli è pertanto soggetto di diritti e
quindi persona».
(92) Ne riferisce P. RESCIGNO, La nascita, cit., 1737.
(93) G. OPPO, L’inizio della vita, cit., 502 ss.; ID., Ancora su
persona umana e diritto, cit., 259 ss.: «l’embrione non è una
persona ma ciò nulla toglie alla dignità di una realtà nella quale
vi è già tutto l’uomo futuro»; C.M. BIANCA, Diritto civile2, La
norma giuridica e i soggetti, cit., 221 ss., 224: il nascituro «è
dotato di capacità giuridica, seppur caducabile, ed è quindi persona»; G. BONILINI, Trattato di diritto delle successioni e donazioni: La successione ereditaria, Milano, 2009, 890 ss.
(94) Art. 1, l. 22-5-1978, n. 194 (corsivo mio).
(95) Art. 1, l. 19-2-2004, n. 40.
(96) Corsivo mio.
7. Il nascituro nel diritto vivente.
Sul piano del diritto vivente, la riflessione sulla rilevanza giuridica dell’inizio della vita umana ha interessato la giurisprudenza già a metà del secolo scorso, sollecitata da una nota pronuncia del Tribunale di
Piacenza, che accolse la domanda risarcitoria di una
minore alla quale i genitori avevano trasmesso, attraverso il concepimento, una grave malattia venerea (97).
Il tema della pronuncia riguardava il danno da procreazione, lamentato dal figlio verso i genitori che gli
avevano trasmesso una «condizione morbosa che ne
menomava l’efficienza fisica». Le motivazioni addotte dai giudici piacentini, come è stato osservato (98),
si appuntavano sui fondamenti pre-giuridici della tutela dell’individuo: «L’ordinamento giuridico (...) ha
per presupposto la persona soggetto di diritto, persona che nasce, cresce, si muove, opera, si estingue,
entro un alone di protezione che ne garantisce l’individualità, la dignità, il raggiungimento di fini liberamente propostisi entro l’ambito della vita sociale e
civile e col rispetto delle uguali libertà degli altri
membri della convivenza (...). Ora il trasmettere attraverso la generazione, quando la causalità (...) è
dimostrata, una condizione morbosa che questo
grande dono trasformi in una immensa infelicità è
illecito, è fatto contrario al diritto, contrario al comportamento della persona quale le è imposto dall’ordinamento giuridico che la riconosce e che la eleva.
Né è difficoltà a cosı̀ ritenere la circostanza che l’azione non si rivolga contro un soggetto di diritto già
esistente, ma si compia nell’atto stesso di dare la vita
al futuro soggetto del diritto. Se è fatto illecito trasmettere la lue a persona già esistente, non si vede
perché non lo debba essere ugualmente la trasmissione ad una persona futura, sempre che il legame
causale esista» (99).
Come si vede, nella trama della decisione emergono
suggestioni che fanno riferimento alla morale tradizionale e al diritto naturale, nonché ad una concezione religiosa della vita. Motivi che, se per un verso
rischiano di offuscare il problema giuridico della re-
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
sponsabilità civile del genitore, certamente offrono
una fotografia del tempo; con le parole di un Autore:
«una dolorosa testimonianza del valore che l’ambiente sociale attribuisce alla vita», atteso che «la vita non
è più apprezzata in sé, l’individuo disconosce il significato che ciascuna esistenza, anche la più infelice,
racchiude nell’economia del mondo e della creazione» (100).
La questione della ‘‘vita’’ quale bene protetto dall’ordinamento e suscettibile di risarcimento resta un
tema centrale nel discorso che si va affrontando. Tema sul quale si dovrà tornare più avanti (101).
È però negli anni Settanta che, in tema di danno
ingiusto al nato, si accende il dibattito sulla tutela
giuridica del nascituro e sulla sua legittimazione ad
agire per il risarcimento del danno. In quegli anni la
Supr. Corte di Cassazione si pronunciò su un caso di
risarcibilità del danno non patrimoniale in favore di
una minore per la morte del padre deceduto anteriormente alla sua nascita (102). La sentenza dichiarò inammissibile la domanda di risarcimento del danno sul presupposto che il diritto al risarcimento fosse
condizionato all’esistenza del danneggiato al momento in cui si è verificato il fatto dannoso (103): «la
risarcibilità del danno presuppone che il soggetto
danneggiato sia già venuto ad esistenza al momento
del fatto lesivo, per cui la relativa azione non spetta
al soggetto che si pretenda leso da fatti dannosi verificatesi anteriormente alla sua nascita» (104).
Pur ammettendo che la lesione o la malattia procurata al nascituro, mediante comportamento omissivo
o commissivo, è fonte di responsabilità, si riteneva
che le conseguenze negative della condotta dolosa
o colposa fossero soltanto a danno dei genitori (105),
e non anche del figlio (106).
A ciò si è opposto – come già rilevato – che anteriore
alla nascita è l’azione lesiva, non l’evento di danno,
che si manifesta al momento della nascita (107). Sicché, stando al caso del padre ucciso prima della nascita del figlio, è stato osservato che quest’ultimo
«subisce l’evento lesivo del proprio diritto non già
al momento della morte del padre, bensı̀ a partire
dal momento della propria nascita, ossia da quando
avverte privazioni economiche sotto il profilo del diritto al mantenimento» (108).
La discussione che ne seguı̀ fu nel segno di un progressivo e parziale riconoscimento della soggettività
del nascituro, mediante un’interpretazione adeguatrice delle norme positive al dettato costituzionale,
favorevole ad una sostanziale tutela del concepito (109). In seguito, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità consentı̀ l’accesso alla tutela risarcitoria quandanche tra il fatto generatore del danno e il danno stesso non fosse esistito un vincolo di
coincidenza temporale (110). La lesione del diritto, si
è infatti giunti a dire, si configura con la nascita,
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poiché «in quel momento s’è verificata la propagazione intersoggettiva dell’effetto dell’illecito per la
lesione del diritto della figlia (non del feto) al rapporto col padre; e nello stesso momento è sorto il suo
diritto di credito al risarcimento, del quale è dunque
diventato titolare un soggetto fornito della capacità
giuridica per essere nato» (111).
(97) T. Piacenza, 31-7-1950, cit. La pronuncia suscitò un certo
scalpore tra gli studiosi e nell’opinione pubblica. In dottrina,
tranne qualche eccezione, gli autori hanno manifestato un netto
dissenso. V. supra in nt. 8 e più di recente anche G. OPPO, L’inizio della vita umana, cit., 499 ss. e ID., Note sull’istituzione dei
non concepiti, I, RTDPC, 1948, 66 ss. Il problema della responsabilità aquiliana dei genitori – ne riferisce già P. RESCIGNO, Il
danno da procreazione, cit., 49 ss. – si era presentato in quegli
anni anche nell’ordinamento tedesco: v. Bundesgericht, 20-121952, in Juristenzeitung, 1953, 307: «Se una donna coniugata,
paziente in una clinica, viene contagiata di lue per negligenza
di un dipendente dell’ospedale, e successivamente concepisce un
figlio che viene al mondo con lue congenita in conseguenza dell’infezione della madre, al figlio spetta contro la clinica l’azione
di risarcimento del danno a norma del § 823, comma 1º, codice
civile»; Bundesgericht, 14-6-1951, in Juristenzeitung, 1951, 758:
«non può fondarsi sulla violazione della salute un’azione di risarcimento del danno quando un soggetto nasce luetico perché il
padre ha contagiato la madre prima del concepimento del figlio
che agisce in giudizio». Per un approfondimento nell’ottica comparatistica v. A. BRAUN (a cura di), Dalla disgrazia al danno,
Milano, 2002, 153 ss.
(98) V. per tutti, P. RESCIGNO, Il danno da procreazione, cit., 56.
(99) T. Piacenza, 31-7-1950, cit.
(100) P. RESCIGNO, Il danno da procreazione, cit., 58.
(101) V. infra par. 11.
(102) Cass., 28-12-1973, n. 3467, cit. La Supr. Corte nega che chi
sia nato dopo l’uccisione del padre abbia diritto a che l’uccisore
gli risarcisca il danno, adducendo che nei suoi confronti il danno
non può essere qualificato come ingiusto, ossia come lesivo di un
suo diritto, giacché egli non ha mai acquistato diritti verso il
padre, morto prima della sua nascita. In senso conforme tra le
corti di merito v. T. Roma, 12-4-1977, RIPS, 1979, 995; T. Monza, 28-10-1997, RCP, 1998, 1102. Ripercorre le tappe del complesso itinerario giurisprudenziale sul tema, M. BONA, «Danni al
nascituro e da procreazione», in Digesto/civ., XVIII, Agg. II,
Torino, 2003, 600 ss.
(103) Cass., 28-12-1973, n. 3467, cit.
(104) Cass., 28-12-1973, n. 3467, cit.
(105) Cass., 10-5-2002, n. 6735, FI, 2002, I, 3115, con note di R.
SIMONE e A. PALMIERI: «L’inadempimento del ginecologo, il quale erroneamente non rilevi una malformazione del feto, determina il diritto, non solo della donna, ma anche del marito, al
risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, compreso quello derivante dal trauma dovuto alla scoperta della
condizione del figlio».
(106) Cass., 29-7-2004, n. 14488, CorG, 2004, 1431, con nota di
A. LISERRE, Mancata interruzione della gravidanza e danno da
procreazione; GI, 2005, 2069, con nota di P. DIGREGORIO, Il diritto a non nascere: una nuova selezione della specie?; GC, 2005,
I, 136, con nota di E. GIACOBBE, Wrongful life e problematiche
connesse; VN, 2005, 1395 ss., con nota di S. MIRANDA, Diritto a
non nascere: essere o non essere e ‘‘ricerca della felicita`’’; NGCC,
2005, I, 433, con nota di E. PALMERINI, La vita come danno?
No..., sı`..., dipende: «Il sanitario che non abbia informato i genitori sui rischi di malformazione del nascituro, precludendo alla
madre la scelta d’interrompere la gravidanza, risponde dei danni, conseguenti alla nascita del neonato malformato, nei confronti dei genitori, ma non nei confronti del minore non essendo
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
concepibile nel nostro ordinamento un diritto a non nascere del
minore malformato». Successivamente, a favore del diritto al
risarcimento del danno subito dal minore, v. Cass., 11-5-2009,
n. 10741, cit.: «Gli effetti del contratto debbono essere individuati avendo riguardo anche alla sua funzione sociale, e tenendo
conto che la costituzione antepone, anche in materia contrattuale, gli interessi della persona a quelli patrimoniali; ne consegue
che il contratto stipulato tra una gestante, una struttura sanitaria
ed un medico, avente ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza, riverbera per
sua natura effetti protettivi a vantaggio anche del concepito e del
di lui padre, i quali in caso di inadempimento, sono perciò legittimati ad agire per il risarcimento del danno»; Cass., 22-11-1993,
n. 11503, cit.: «Con il contratto di ricovero ospedaliero della
gestante l’ente ospedaliero si obbliga non soltanto a prestare alla
stessa le cure e le attività necessarie al fine di consentirle il parto,
ma altresı̀ ad effettuare, con la dovuta diligenza, tutte quelle
altre prestazioni necessarie al feto (ed al neonato), sı̀ da garantirne la nascita evitandogli – nei limiti consentiti dalla scienza –
qualsiasi possibile danno; detto contratto, intercorso tra la partoriente e l’ente ospedaliero, si atteggia come contratto con effetti protettivi a favore di terzo nei confronti del nato, alla cui
tutela tende quell’obbligazione accessoria, ancorché le prestazioni debbano essere assolte, in parte, anteriormente alla nascita; ne
consegue che il soggetto che, con la nascita, acquista la capacità
giuridica, può agire per far valere la responsabilità contrattuale
per l’inadempimento delle obbligazioni accessorie, cui il contraente sia tenuto in forza del contratto stipulato col genitore o
con terzi, a garanzia di un suo specifico interesse».
(107) F. GALGANO, Danno da procreazione e danno al feto, cit.,
538.
(108) F. GALGANO, Danno da procreazione e danno al feto, cit.,
539. In questo senso, tra le altre, v. Cass., 13-11-2000, n. 11625,
RCP, 2001, 327; Cass., 3-5-2011, n. 9700, NGCC, 2011, I, 1270,
con nota di E. PALMERINI: «Anche il soggetto nato dopo la morte
del padre naturale, verificatasi per fatto illecito di un terzo durante la gestazione, ha diritto nei confronti del responsabile al
risarcimento del danno per la perdita del relativo rapporto e per
i pregiudizi di natura non patrimoniale e patrimoniale che gli
siano derivati».
(109) V. C. Cost., 18-2-1975, n. 27, cit.
(110) Il nascituro è titolare di posizioni giuridiche soggettive
anche per rapporti diversi da quelli indicati dalla legge: in particolare, fra i diritti che la legge riconosce al concepito può essere
compreso anche quello della nascita come individuo sano: v. T.
Verona, 15-10-1990, FI, 1991, I, 261, e NGCC, 1991, 1, 357, con
nota di R. PUCELLA. Nella giurisprudenza di legittimità va segnalata Cass., 22-11-1993, n. 11503, cit. Nel caso di specie la Supr.
Corte si è pronunciata su un caso di responsabilità medica per
lesioni in cui i genitori chiedevano il risarcimento del danno
subito dal figlio neonato, concretatosi in una cerebropatia irreversibile, determinata dall’errato trattamento praticato all’atto
della nascita. Si trattava, nella specie, del diritto al risarcimento
del soggetto nato con delle malformazioni eziologicamente riconducibili ad una asfissia neonatale. La Supr. Corte ha affermato: «Con il contratto di ricovero ospedaliero della gestante
l’ente ospedaliero si obbliga non soltanto a prestare alla stessa le
cure e le attività necessarie al fine di consentirle il parto, ma
altresı̀ ad effettuare, con la dovuta diligenza, tutte quelle altre
prestazioni necessarie al feto (ed al neonato), sı̀ da garantirne la
nascita evitandogli – nei limiti consentiti dalla scienza – qualsiasi
possibile danno; detto contratto, intercorso tra la partoriente e
l’ente ospedaliero, si atteggia come contratto con effetti protettivi a favore di terzo nei confronti del nato, alla cui tutela tende
quell’obbligazione accessoria, ancorché le prestazioni debbano
essere assolte, in parte, anteriormente alla nascita; ne consegue
che il soggetto che, con la nascita, acquista la capacità giuridica,
può agire per far valere la responsabilità contrattuale per l’inadempimento delle obbligazioni accessorie, cui il contraente sia
tenuto in forza del contratto stipulato col genitore o con terzi, a
garanzia di un suo specifico interesse». Più di recente v. Cass., 35-2011, n. 9700, cit.: «Anche il soggetto nato dopo la morte del
padre naturale, verificatasi per fatto illecito di un terzo durante
la gestazione, ha diritto nei confronti del responsabile al risarcimento del danno per la perdita del relativo rapporto e per i
pregiudizi di natura non patrimoniale e patrimoniale che gli siano derivati».
(111) Cosı̀ Cass., 3-5-2011, n. 9700, cit.
8. Il nascituro come ‘‘oggetto’’ di tutela.
La dottrina maggioritaria sembra convergere sulla
soluzione del superamento della questione della soggettività del nascituro, convenendo che quest’ultimo,
a prescindere dalla sua soggettività, debba comunque
essere protetto, in quanto «titolare di diritti fondamentali che reclamano la loro attuale tutela da parte
dell’ordinamento» (112). Egli deve dunque essere
tutelato fin dal concepimento (113), poiché la lesione
della sua sfera di interessi è fonte di responsabilità (114) anche in difetto di un rapporto intersoggettivo ab origine tra danneggiato e danneggiante.
A tale riguardo è stato osservato che il linguaggio
dell’art. 1, 1º co., c.c. opererebbe una ‘‘semplificazione empirica’’ nel subordinare taluni diritti all’evento
naturale della nascita (115). Il limite della nascita è
«limite della capacità, della soggettività, della qualità
giuridica di ‘‘persona’’; non limite per la protezione
dei valori propri all’uomo neppure con lo strumento
dell’ascrizione di diritti ed obblighi» (116). Ciò rivela, secondo questa tesi, che la norma «non ha ... il
senso di escludere la protezione di interessi primari
del non nato, anche attraverso lo strumento, proprio
all’uomo, dell’ascrizione di diritti» (117). Sul terreno
patrimoniale è in effetti possibile parlare di subordinazione di taluni diritti spettanti al nascituro-concepito al rilievo empirico dell’evento nascita; mentre
sul versante non patrimoniale sembra più opportuno
ascrivere alla nascita la condizione per il solo riconoscimento dei diritti spettanti al soggetto (118).
In giurisprudenza si registra un indirizzo secondo cui
la tutela del nascituro passerebbe necessariamente
per il riconoscimento della sua autonoma soggettività (119). Un altro orientamento, che sembra oggi il
maggioritario, ravvisa invece una tutela oggettiva a
favore del nuovo nato, che prescinde dalla sua qualificazione o meno in termini di persona (120). In
questo modo si è superato l’ostacolo dogmatico
espresso nella formula ‘‘non può reclamare un diritto
chi, alla data della sua genesi, non era ancora esistente o non era più’’ (121), e si va sempre più affermando l’idea per cui per proteggere una certa entità non
occorre necessariamente qualificarla come soggetto
di diritto (122). L’argomento è stato superato senza
elevare il nascituro a soggetto di diritto, ma al figlio
disabile è stata concessa la legittimazione attiva ad
agire per il risarcimento di un danno cagionatogli
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
durante la gestazione, in virtù del principio della
«propagazione intersoggettiva degli effetti diacronici
dell’illecito» (123). Che il fatto colposo si fosse verificato anteriormente alla nascita non è stato ritenuto
motivo di esclusione del diritto al risarcimento (124).
Il nascituro, astraendo dalla sua pretesa soggettività,
va in ogni caso considerato oggetto di tutela; una
‘‘entità’’ che, come tale, può essere o non essere persona (125). Si è parlato in questo senso di ‘‘ontologizzazione’’ dell’interesse alla procreazione cosciente
e responsabile (126). Conclusione sotto questo profilo avallata, da ultimo, anche dalle Sez. Un. del 2015:
«... non è indispensabile elevare il nascituro a soggetto di diritto, dotato di capacità giuridica – contro il
chiaro dettato dell’art. 1 c.c. – per confermare l’astratta legittimazione del figlio disabile ad agire per
il risarcimento di un danno le cui premesse fattuali
siano collocabile in epoca anteriore alla sua stessa
nascita. Al fondo di tale ricostruzione dogmatica vi
è, infatti, il convincimento tradizionale, da tempo
sottoposto a revisione critica, che per proteggere
una certa entità occorra necessariamente qualificarla
come soggetto di diritto» (127).
La giurisprudenza ammette come regola generale
l’azione del minore, volta al risarcimento di un danno
che assume ingiusto, cagionatogli durante la gestazione (128). Tuttavia, mentre non sembrano frapporsi
ostacoli alla risarcibilità del danno nell’ipotesi in cui
la condotta commissiva del medico si pone come sicuro antecedente causale dell’evento di danno, come
nel caso di responsabilità del medico verso il nato
disabile per omessa comunicazione ai genitori della
pericolosità di un farmaco somministrato per stimolare l’attività riproduttiva (129) o di una malattia della gestante suscettibile di ripercuotersi sulla salute
del feto (130), diversa appare la situazione in cui il
medico sia soltanto l’autore ‘‘mediato’’ o indiretto
del danno, per aver privato la madre di una facoltà
riconosciutale dalla legge, tramite una condotta
omissiva che si pone nella successione causale in rapporto con la nascita indesiderata (i.e. i casi in esame
di responsabilità sanitaria per errore diagnostico). In
quest’ultima circostanza, infatti, la giurisprudenza
sembra ravvisare un resiliente ostacolo alla risarcibilità del danno in capo al nascituro, proprio in virtù
ora della asserita mancanza di un nesso causale giuridicamente rilevante tra la condotta negligente del
medico e l’evento dannoso, ora del difetto di uno
specifico interesse a non nascere se non sano e di
un danno risarcibile.
Il riconoscimento della titolarità di un diritto, oltre
che della legittimazione attiva, del figlio handicappato non è ormai più precluso dall’anteriorità alla nascita del fatto illecito (o dell’inadempimento contrattuale). Oggi la questione su cui l’attenzione della
giurisprudenza di legittimità si è appuntata concerne
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«il contenuto stesso del diritto che si assume leso ed il
rapporto di causalità tra condotta del medico ed evento di danno» (131).
(112) C.M. BIANCA, Diritto civile2, La norma giuridica e i soggetti,
cit., 223; G. OPPO, L’inizio della vita umana, cit., 504: «... mentre
sul terreno patrimoniale e della tutela della personalità non può
ravvisarsi se non una tutela anticipata di interessi del nato, giacché il feto non ha interessi e bisogni di tal genere (...), invece sul
terreno dell’integrità, della crescita, della nascita, cioè della salute del concepito e della sua naturale evoluzione verso la vita
perfetta, possono ben configurarsi bisogni ed interessi (non parlo
di diritti) attuali di quella entità vivente che è il feto a prescindere dalla sua qualificazione come ‘‘persona’’».
(113) C.M. BIANCA, Diritto civile2, La responsabilità, V, Milano,
2012, 628: «Le persone fisiche possono essere vittime di illecito
civile fin dal momento del concepimento. Fin da tale momento,
infatti, la persona è portatrice di interessi che esigono l’altrui
rispetto. In particolare, il nascituro concepito ha un diritto attuale all’integrità fisica, e la violazione dolosa o colposa di tale
diritto importa l’obbligo di risarcimento del danno. (...) Sul piano
concettuale si conferma allora l’idea che il nascituro non è una
cosa, ma un soggetto umano dotato di capacità provvisoria, destinata a divenire definitiva con la nascita». Analogamente, G.
ALPA-A. ANSALDO, Le persone fisiche2, cit., 239: «Il concepito è
considerato titolare di posizioni giuridiche soggettive aventi una
propria rilevanza anche prima dell’evento della nascita: la posizione soggettiva che gli si riconosce è formulata in termini di
‘‘legittima aspettativa’’ alla nascita; tale legittima aspettativa si
estende alle qualità psico-fisiche, perché il concepito si attende di
nascere sano».
(114) G. OPPO, L’inizio della vita umana, cit., 505: «Non vale dire
che prima della nascita non è configurabile la lesione di un diritto, giacché al risarcimento basta la lesione di una sfera di
interessi protetta».
(115) P. ZATTI, Diritti dell’embrione e capacità giuridica del nato,
Relazione dell’incontro di Studi su Fecondazione assistita: una
proposta di legge da discutere, Pisa, 30-1/1-2-1997, RDC, II, 1997,
108.
(116) P. ZATTI, Diritti dell’embrione e capacità giuridica del nato,
cit., 109.
(117) Ibidem.
(118) Ibidem.
(119) Cass., 11-5-2009, n. 10741, cit.
(120) Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.; Cass. S.U., 22-12-2015, n.
25767, cit.
(121) Cfr. Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit.
(122) V. in particolare le argomentazioni di Cass., 2-10-2012, n.
16754, cit., in cui si afferma: «È tanto necessario quanto sufficiente, di converso, considerare il nascituro oggetto di tutela, se
la qualità di soggetto di diritto (evidente astrazione rispetto all’essere vivente) è attribuzione normativa funzionale all’imputazione di situazioni giuridiche e non tecnica di tutela di entità
protette». La tesi è confermata – da ultimo – in Cass. S.U., 2212-2015, n. 25767, cit.
(123) Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.: «(...) la propagazione intersoggettiva dell’illecito legittima un soggetto di diritto, quale il
neonato, per il tramite del suo legale rappresentante, ad agire
in giudizio per il risarcimento di un danno che si assume in
ipotesi ingiusto».
(124) Cass., 22-11-1993, n. 11503, cit.: «All’esclusione del diritto
al risarcimento sul solo presupposto che il fatto colposo si sia
verificato anteriormente alla nascita è sottesa l’erronea concezione che, al fine del risarcimento del danno extracontrattuale,
sia necessaria la permanenza di un rapporto intersoggettivo tra
danneggiante e danneggiato, che non può essere affatto condivisa. Non è tanto, infatti, il rapporto intersoggettivo che consente
la tutela (di un interesse), quanto, viceversa, l’esistenza stessa di
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
un centro di interessi giuridicamente tutelato, che non può essere legittimamente contestato al concepito. (...) una volta accertata l’esistenza di un rapporto di causalità tra un comportamento
colposo, anche se anteriore alla nascita, ed il danno che ne sia
derivato al soggetto che con la nascita abbia acquistato la personalità giuridica, sorge e dev’essere riconosciuto in capo a quest’ultimo il diritto al risarcimento». Tale orientamento è confermato anche da Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit., che giudica
erronea la concezione secondo cui sarebbe necessaria la sussistenza di un rapporto intersoggettivo ab origine tra danneggiante
e danneggiato.
(125) V. la teorica civilistica di A. DI MAJO, La tutela civile dei
diritti4, Problemi e metodo del diritto civile, 3, Milano, 2003, sulla
tutela disgiunta dalla sequenza classica ‘‘soggetto-diritto-pretesaazione’’. In giurisprudenza v. C. Cost., 18-2-1975, n. 27, cit.;
Cass., 3-5-2011, n. 9700, cit.; Cass., 9-5-2000, n. 5881, DR, 2001,
169, con nota di A. D’ANGELO).
(126) P.G. MONATERI, Il danno al nascituro e la lesione della
maternità cosciente e responsabile, cit., 59 s., il quale, nel commentare Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit., osserva che «la ‘‘questione del soggetto’’ viene riportata alla metafisica del soggetto, in
quanto i soggetti esistono solo come ‘‘enti’’, mentre la ‘‘questione del nascituro’’ viene ricondotta nell’ontologia degli oggetti
sociali, per i quali l’ordinamento appronta una tutela, la cui
attuazione è semplicemente ‘‘delegata’’ a determinati soggetti
concreti» (ivi, 61).
(127) Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit. In senso conforme ai
precedenti, v. C. Cost., 18-2-1975, n. 27, cit.; Cass., 3-5-2011, n.
9700, cit.; Cass., 9-5-2000, n. 5881, cit.).
(128) In questo senso anche Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit.
(129) V. Cass., 11-5-2009, n. 10741, cit.: «Stanti la soggettività
giuridica – entro determinati limiti – del concepito e il suo diritto
a nascere, nei confronti di questo e dei suoi genitori rispondono
per i danni, patrimoniali e non, connessi a rilevanti patologie del
feto, i sanitari che abbiano mancato di informare la madre (il cui
rapporto con i medici produce effetti protettivi nei confronti del
nascituro) dei probabili rischi connessi all’assunzione di farmaci
per facilitare il concepimento, quando tali sostanze abbiano determinato l’insorgenza di gravi malformazioni del nascituro».
(130) In questi termini si esprime Cass. S.U., 22-12-2015, n.
25767, cit.
(131) Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit. (corsivo mio).
9. Il nato malato contro il medico e/o l’istituzione
sanitaria: qua causa?
Le ulteriori questioni dogmatiche sottese al problema della risarcibilità del cosiddetto ‘‘diritto a non
nascere’’ si potranno mettere a fuoco soltanto dopo
aver chiarito, per sommi capi, le relazioni giuridiche
che intercorrono tra i protagonisti della vicenda risarcitoria.
Il nascituro, si è detto, non esiste come soggetto al
momento del verificarsi della condotta illecita del
medico. La mancata o errata diagnosi prenatale, questo è il caso paradigmatico su cui si va ragionando, si
colloca infatti nell’ambito della relazione giuridica
che intercorre tra i genitori, nello specifico la gestante, e il medico, insieme eventualmente alla struttura
sanitaria.
Occorre anzitutto distinguere l’ipotesi in cui la gestante si rivolge direttamente al proprio medico ginecologo per ricevere una diagnosi al feto, dalla situazione in cui la paziente si affidi alla struttura sanitaria che poi metterà a disposizione il proprio per-
sonale medico per effettuare la prestazione richiesta.
Nel primo caso la donna conclude un contratto di
prestazione d’opera professionale con il proprio medico di fiducia; nel secondo caso, invece, la gestante
sottoscrive un contratto con l’istituzione sanitaria,
benché il trattamento medico venga poi somministrato dai sanitari incaricati di effettuare la prestazione in
favore della paziente.
Nella relazione diretta tra gestante e medico di fiducia, la non corretta informazione circa la possibile
presenza di danni al feto costituisce un chiaro inadempimento contrattuale del medico che dà luogo ad
una responsabilità ex art. 1218 c.c. La paziente potrà
cosı̀ agire nei confronti del professionista, sulla base
del contratto stipulato, per tutti i danni patrimoniali e
non patrimoniali derivanti dall’inadempimento.
Meno evidente si presenta la fattispecie allorché la
prestazione fosse effettuata dal medico strutturato in
forza del contratto stipulato tra la gestante e l’istituzione ospedaliera, per via dell’assenza di un contratto tra chi, in concreto, esegue e riceve la prestazione
sanitaria. La giurisprudenza maggioritaria, sino al recente intervento legislativo, ascriveva il rapporto inter partes anch’esso all’area del contratto in virtù
dell’applicazione della teoria del cosiddetto ‘‘contatto sociale’’ (132).
Con la legge Gelli-Bianco (133) il legislatore ha ripristinato il vecchio regime del «doppio binario».
L’art. 7, 3º co., della legge dispone chiaramente che
l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente (134).
Se tra la gestante ed i sanitari è dunque ravvisabile
più facilmente una qualificata relazione giuridica di
tipo contrattuale, non sfugge come gli altri protagonisti della vicenda risarcitoria, e segnatamente il nascituro, che con la nascita acquista la titolarità delle
sue legittime pretese, oltre che il padre ed eventualmente i fratelli e le sorelle del nuovo nato, restino al
di fuori del rapporto contrattuale.
La giurisprudenza ha ciononostante riconosciuto loro un autonomo diritto al risarcimento in virtù degli
effetti protettivi che il contratto tra il medico e/o
l’istituzione sanitaria da un lato, e la gestante dall’altro, produrrebbe anche nei confronti dei terzi (135).
Principalmente nei confronti del padre (136), che peraltro condivide con la madre gli oneri del mantenimento; e, seppur suscitando maggiori perplessità da
parte della dottrina, anche nei confronti dei fratelli e
delle sorelle (137).
Analogo risultato, tuttavia, potrebbe essere raggiunto anche nell’ottica extracontrattuale. Un danno contra ius è, nei confronti della madre e per taluni aspetti del padre, ravvisabile nella lesione del diritto alla
salute psico-fisica, derivante dalla violazione della
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libertà procreativa; meno agevole è individuare, sul
piano del diritto positivo, la lesione di un diritto nei
confronti dei fratelli e delle sorelle del nascituro,
quali vittime di rimbalzo dell’illecito, che faccia da
pendant alla «inevitabile, minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere di
un rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione» (138).
Resta da ultimo sulla scena il protagonista su cui
sono accesi i riflettori della disamina qui proposta,
ossia il nascituro. Sulla pretesa risarcitoria, e sul
suo esatto contenuto si dovrà tornare più avanti,
ma occorre ancor prima chiarire a quale titolo il nascituro potrà agire nei confronti dell’autore del danno, e cioè quale sia la fonte dell’asserito obbligo risarcitorio in favore del nascituro. Vi è da comprendere se la soluzione debba essere cercata nello schema dell’art. 2043 c.c. oppure nelle norme che regolano l’inadempimento. La distinzione è, di regola, utile
per impostare correttamente il giudizio di responsabilità (139). Se di responsabilità aquiliana si tratta
occorre valutare la sussistenza di tutti gli elementi
strutturali dell’illecito e, in particolare, ragionare in
termini di ingiustizia del danno. Al contrario, se si
imposta il problema in termini di responsabilità contrattuale, basterebbe la prova dell’inadempimento
per fondare la responsabilità del professionista.
I sostenitori della tesi dell’inesistenza di un interesse
a non nascere se gravemente malati, suscettibile di
risarcimento, mettono in luce tanto l’assenza di un
danno ingiusto quanto la mancanza di un interesse
del terzo (il nascituro) da proteggere con il contratto
(tra la gestante e il medico e/o l’istituzione sanitaria) (140).
Si fa ad esempio notare che nell’ordinamento tedesco nessun risarcimento è riconosciuto al bambino
nato handicappato, sul presupposto che, sul fronte
extracontrattuale, non esiste un dovere di evitare la
vita di un bambino in ipotesi malformato, dal momento che la vita è considerata bene supremo (141);
parimenti, nell’ottica contrattuale, è escluso che il
risarcimento possa derivare dall’inadempimento del
contratto stipulato dalla gestante con il medico, non
sussistendo alcun effetto di protezione (Schutzwirkung) nei confronti del non nato. La facoltà di interrompere la gravidanza, infatti, sarebbe attribuita alla
madre e nel suo esclusivo interesse, sicché il suo
mancato esercizio non giustificherebbe l’ammissibilità di un preteso diritto a non nascere in capo al
bambino.
La giurisprudenza italiana, in casi in cui la malformazione sia stata causata dal medico nel corso delle
operazioni propedeutiche al parto, è giunta ad am-
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153
mettere che il minore potesse agire a titolo di responsabilità per inadempimento nei confronti e del sanitario e della struttura, sulla base della qualificazione
del contratto di assistenza alla gestante come contratto con effetti di protezione per il terzo (142). È però
discusso se – mutato quel che c’è da mutare – l’azione
per inadempimento sia ammissibile anche quando
l’errore medico non incida sulla salute del neonato,
ma interferisca solamente sulla scelta procreativa
della donna (143).
In ogni caso, per quanto è qui d’interesse, ossia indagare il contenuto della pretesa risarcitoria e la sussistenza del nesso causale, è possibile giungere a conclusioni del tutto analoghe astraendo dall’esatto titolo di responsabilità.
(132) A partire da Cass., 22-1-1999, n. 589, con nota di A. THIENE, NGCC, 2000, 343; commentata anche da V. CARBONE, DR,
1999, 299; A. DI MAJO, CorG, 1999, 446; M. FORZIATI, RCP,
1999, 661; G. GIACALONE, GiC, 1999, 1007; F.G. PIZZETTI, GI,
2000, 740. Per un quadro d’insieme v. S. ROSSI, «Contatto sociale
(fonte di obbligazione)», in Digesto/civ., Agg. V, Torino, 2010,
346 ss. e la bibliografia ivi indicata.
(133) L. 8-3-2017, n. 24 («Disposizioni in materia di sicurezza
delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie»).
(134) Anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti
della struttura stessa (cfr. art. 7, 1º co., della legge 24/2017).
Resta ferma la natura contrattuale della responsabilità facente
capo alla struttura sanitaria (pubblica o privata) che risponde, ai
sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., delle condotte dolose o colpose
degli esercenti la professione sanitaria che eseguono la prestazione sanitaria per conto della struttura stessa (Art. 7, 1º co.).
(135) Il riferimento è alla figura del Vertrag mit Schutzwirkung
für Dritte, su cui v. C. CASTRONOVO, La nuova responsabilita`
civile3, Milano, 2006, 481 ss.; AA.VV., Gli effetti del contratto
nei confronti dei terzi nella prospettiva storico-comparatistica, a
cura di L. Vacca, Torino, 2001; AA.VV., Effetti del contratto nei
confronti dei terzi, a cura di Alpa-Fusaro, Milano, 2000. Per la
giurisprudenza v. Cass., 28-11-2007, n. 24742, RIML, 2009, 468;
Cass., 14-6-2007, n. 13953, FI, 2008, I, 1990; Cass., 26-1-2006, n.
1698, MGI, 2006, 260. Tra le corti di merito, v. T. Perugia, 10-12008, RGU, 2008, 8; in senso contrario v. Pretura Tolmezzo, 214-1998, RCP, 1998, 1550, con nota di P. SANNA.
(136) Cass., 4-1-2010, n. 13, cit.: «Il danno risarcibile non può
essere limitato solo al danno alla salute in senso stretto della
gestante; qualora l’imperizia del medico impedisca alla donna
di esercitare il proprio diritto all’aborto, e ciò determini un danno alla salute della madre è ipotizzabile che da tale danno derivi
un danno alla salute anche del marito; poiché si tratta di contratto di prestazione di opera professionale con effetti protettivi
anche nei confronti del padre del concepito che, per effetto dell’attività professionale dell’ostetrico-ginecologo, diventa o non
diventa padre (o diventa padre di un bambino anormale), il
danno provocato da inadempimento del sanitario costituisce
una conseguenza immediata e diretta anche nei suoi confronti
e, come tale, è risarcibile a norma dell’art. 1223 c.c.».
(137) In tal senso Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.
(138) Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.
(139) È tuttavia noto come la responsabilità medica configuri
una sorta di sottosistema della responsabilità civile, in cui le
regole applicate dalla giurisprudenza sono tendenzialmente uniformi a prescindere dalla qualificazione dell’azione come contrattuale o aquiliana. Anche in presenza di un’azione contrattua-
154
DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
le, la giurisprudenza spesso non si sottrae all’indagine sulla situazione soggettiva protetta.
(140) Cfr. E. NAVARRETTA, Ingiustizia del danno e nuovi interessi,
cit., 177 ss.
(141) BGH 18-1-1983, BGHZ 86, 240. Per un quadro sulla giurisprudenza tedesca sul tema v. E. PICKER, Il danno della vita, cit.,
15 ss. V. anche D. CARUSI, Contraccezione, aborto e «danno da
procreazione»: di un’importante sentenza del tribunale costituzionale tedesco e di alcune questioni in materia di responsabilita` del
medico, RCP, 1999, 1173 ss.
(142) Cass., 22-11-1993, n. 11503, cit.: «Con il contratto di ricovero ospedaliero della gestante l’ente ospedaliero si obbliga non
soltanto a prestare alla stessa le cure e le attività necessarie al
fine di consentirle il parto, ma altresı̀ ad effettuare, con la dovuta
diligenza, tutte quelle altre prestazioni necessarie al feto (ed al
neonato), sı̀ da garantirne la nascita evitandogli – nei limiti consentiti dalla scienza – qualsiasi possibile danno; detto contratto,
intercorso tra la partoriente e l’ente ospedaliero, si atteggia come contratto con effetti protettivi a favore di terzo nei confronti
del nato, alla cui tutela tende quell’obbligazione accessoria, ancorché le prestazioni debbano essere assolte, in parte, anteriormente alla nascita; ne consegue che il soggetto che, con la nascita, acquista la capacità giuridica, può agire per far valere la
responsabilità contrattuale per l’inadempimento delle obbligazioni accessorie, cui il contraente sia tenuto in forza del contratto
stipulato col genitore o con terzi, a garanzia di un suo specifico
interesse».
(143) V. ad esempio Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit., ove, in un
caso di questo genere, i giudici sembrano riferirsi all’illecito e,
quindi, ad una responsabilità aquiliana.
10. La tesi negazionista del cosiddetto diritto a non
nascere se non sano nella giurisprudenza.
L’attenzione della giurisprudenza si è inizialmente
focalizzata sul cosiddetto diritto a nascere o a nascere
sani, riconoscendone gradualmente la perfetta configurabilità e piena tutela. La profonda discussione che
ha occupato la Supr. Corte italiana sul tema (144) si
è incentrata, in particolare, sul valore della ‘‘giurisprudenza normativa’’ in seno alla teoria delle fonti
e della loro gerarchia, ma anche sulla rivisitazione
della ‘‘interessenjurisprudenz’’ in quanto volta alla
ricostruzione degli ‘‘oggetti’’ di tutela (145).
Una delle più note e meglio articolate decisioni sul
punto è la sentenza Cass. 29-7-2004 n. 14488 (146),
con la quale i giudici di legittimità respinsero il ricorso avanzato nell’interesse di una minore che, lamentando l’inosservanza del dovere informativo del medico (147), rivendicava il diritto per il nascituro di
‘‘nascere sano’’ o di ‘‘non nascere affatto’’.
Nella specie, il medico, nonostante accertamenti clinici evidenziassero la presenza di una tara talassemica in entrambi i genitori, non aveva dato alcun avvertimento circa i rischi di trasmissione della malattia
ereditaria, e cosı̀ di una malformazione congenita
della nascitura, che, dopo il parto, risultava affetta
da talassemia maior.
La Supr. Corte, da un lato, confermava il risarcimento del danno in favore di entrambi i genitori (148),
che, nello specifico, lamentavano il pregiudizio conseguente alla mancata informazione della malforma-
zione fetale, in quanto la gestante avrebbe potuto
scegliere tra il continuare la gravidanza o richiedere
l’aborto terapeutico; dall’altro, tuttavia, rigettava la
domanda di risarcimento dei danni dalla minore subiti per la ‘‘vita ingiusta’’ che le era toccata a seguito
della mancata interruzione della gravidanza.
Esclusa la liceità dell’aborto eugenetico, la Supr.
Corte si soffermò sul problema giuridico se – ferma
la sussistenza di un pericolo per la salute della madre
– «possa il concepito malformato, una volta nato, richiedere il risarcimento del danno per la ‘‘vita ingiusta’’ che egli ha avuto in conseguenza del comportamento omissivo o errato del medico nei confronti della
propria genitrice, per mancata o errata informazione» (149). La pronuncia, pur sottolineando che il dictum a cui era pervenuta era applicabile soltanto ai
casi in cui la patologia del nascituro non fosse addebitabile al medico, rispose negativamente al quesito
in esame.
Benché fosse riconosciuta la legittimazione ad agire
del nascituro (150) nella prospettiva di un diritto
(positivo) a nascere sano, la Supr. Corte escluse l’esistenza nell’ordinamento italiano di un interesse a
non nascere (se non sano). A fortiori in considerazione del fatto che, nel caso di specie, la malattia non
era addebitabile al medico, la cui condotta professionale non avrebbe comunque potuto impedire l’insorgenza della patologia ereditaria.
A questa conclusione, tuttavia, più di recente si oppone che la mancata informazione da parte del sanitario in ordine alla malattia della nascitura impedisce
alla madre di poter esercitare la facoltà di richiedere
l’aborto e, di conseguenza, rende il medico stesso
unico responsabile della vita non sana o ‘‘ingiusta’’
della minore, che invece aveva come alternativa
quella di non nascere (151).
Per contro, la Supr. Corte nella decisione 14488/2004
ebbe a sancire che se è vero che «l’ordinamento italiano tutela l’embrione fin dal concepimento», può
parlarsi soltanto di un ‘‘diritto a nascere sani’’, locuzione intesa nella sua portata positiva e non negativa:
«Il ‘‘diritto a nascere sani’’ significa solo che, sotto il
profilo privatistico della responsabilità contrattuale,
extracontrattuale, e da ‘‘contatto sociale’’, nessuno
può procurare al nascituro lesioni o malattie (con
comportamento omissivo o commissivo colposo o doloso), e, sotto il profilo – in senso lato – pubblicistico,
che siano predisposti quegli istituti normativi o quelle
strutture di tutela, di cura ed assistenza della maternità, idonei a garantire, nell’ambito delle umane possibilità, la nascita sana. Non significa invece che il
feto, che presenti gravi anomalie genetiche, non deve
‘‘essere lasciato nascere’’» (152).
Non mancò inoltre il riferimento, da parte dei giudici
di legittimità, alle esperienze straniere. In Francia, in
particolare, si era in quegli anni presentato un caso
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
del tutto analogo, passato alla cronaca giornalistica e
divenuto presto celebre come il caso Perruche (153),
in cui la Cour de Cassation, con un mutamento d’indirizzo rispetto alla giurisprudenza precedente, ebbe
a dichiarare che «quando gli errori commessi da un
medico e dal laboratorio in esecuzione del contratto
concluso con una donna incinta impedirono a quest’ultima di esercitare la propria scelta di interruzione
della gravidanza, al fine di evitare la nascita di un
bambino handicappato, questi può domandare il risarcimento del danno consistente nel proprio handicap, causato dai predetti errori». La sentenza della
Corte francese riaprı̀ il dibattito sul diritto dell’handicappato a ‘‘non nascere se non sano’’, che però fu
immediatamente stroncato dal legislatore francese
che, con l. 4-3-2002, n. 303 (c.d. Loi Kouchner sui
‘‘droits des malades et à la qualité du système de
santé’’), sancı̀ che nulla può essere richiesto dall’handicappato per il solo fatto della nascita, quando
l’handicap non è stato provocato o aggravato da errore medico.
Sull’onda delle esperienze oltre confine, anche la
Supr. Corte italiana negò l’esistenza di un diritto a
non nascere in capo al nascituro, evidenziando una
diversa posizione rispetto ai genitori: mentre per
questi ultimi il danno consiste – in definitiva – nella
‘‘genitorialità’’ non voluta, giacché «l’inadempimento
del medico ha dato origine alla sequenza causale,
passata attraverso la non possibilità di autodeterminazione della donna all’aborto nelle condizioni previste dalla legge, che si conclude con l’avere un figlio
malformato», per il concepito malformato «l’evento
finale della sequenza causale si pone in maniera differente rispetto ai genitori e consiste nella sua vita
non voluta (sia pure perché non sana), per cui occorre esaminare se una tale facoltà gli è riconosciuta
dall’ordinamento» (154).
Al diniego di un diritto a non nascere la Supr. Corte
giunse attraverso vari argomenti, tra cui in principio
quello fondato sulla mancanza di capacità giuridica
del concepito: «(...) detto diritto di ‘‘non nascere’’
sarebbe un diritto adespota (letteralmente: senza padrone), in quanto a norma dell’art. 1 c.c. la capacità
giuridica si acquista al momento della nascita, ed i
diritti che la legge riconosce a favore del concepito
(artt. 462, 687, 715 c.c.) sono subordinati all’evento
della nascita, ma appunto esistenti dopo la nascita» (155). La pronuncia sottolineava che il diritto di
non nascere non avrebbe, fino alla nascita, un soggetto titolare dello stesso; e con la nascita detto ‘‘diritto di non nascere’’ sarebbe definitivamente scomparso (156). E concludeva sancendo che l’ordinamento positivo «tutela il concepito e quindi l’evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita e non verso la non nascita, per cui se di diritto
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155
vuole parlarsi, deve parlarsi di diritto a nascere» (157).
La tesi negazionista trovò conferma anche negli anni
successivi, quando la Supr. Corte fu chiamata a pronunciarsi su un caso di responsabilità medica, in parte diverso da quello sino ad ora esaminato, derivante
dalla somministrazione di farmaci per indurre l’ovulazione con rischio di possibili proprietà teratogene, e
dall’omessa informazione circa il pericolo per la paziente di dare alla luce un bambino malformato (158).
Anche tale pronuncia riconobbe un diritto a nascere
sano e affermò la soggettività del nascituro che, con
la nascita, acquista l’ulteriore diritto patrimoniale al
risarcimento (159); tuttavia, anche in tale occasione,
la Supr. Corte ribadı̀ la non configurabilità in capo al
nascituro di un diritto a non nascere (se non sano) (160).
(144) Vanno segnalate le principali e più recenti pronunce: Cass.,
29-7-2004, n. 14488, cit. Hanno fatto seguito altre importanti
pronunce sul tema: Cass., 11-5-2009, n. 10741, cit.
(145) Per un quadro critico sul ruolo attuale della giurisprudenza
nel sistema delle fonti v. C. CASTRONOVO, Eclissi del diritto civile,
cit., spec. 33 ss., 87 ss., in cui si censura l’eccessiva creatività delle
corti, a causa di un improprio sfruttamento della valenza costituzionale di talune questioni e della applicazione ritenuta sconfinata della c.d. Drittwirkung. Pronunce portate a testimonianza
di tale creatività sono, tra le altre, proprio quelle relative alla
questione del nascituro come oggetto di diritto: v. per tutte Cass.,
11-5-2009, n. 10741, cit.
(146) FI, 2004, I, 3327, con nota di A. BITETTO, Il diritto a «nascere
sani»; RCP, 2004, 1349, con nota di M. GORGONI, La nascita va
accettata senza ‘‘beneficio d’inventario’’?. In senso conforme,
Cass., 14-7-2006, n. 16123, CorG, 2006, 1691, con nota di A. LISERRE: «Il sanitario che non abbia informato i genitori sui rischi di
malformazione del nascituro precludendo alla madre la scelta
d’interrompere la gravidanza, risponde dei danni, conseguenti alla
nascita del neonato malformato, nei confronti dei genitori, ma
non nei confronti del minore non essendo concepibile nel nostro
ordinamento un diritto a non nascere del minore malformato».
(147) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.: «Secondo la corte di appello
era compito del medico disporre tutti gli accertamenti del caso in
modo da poter fornire alla coppia una completa informazione
per le future decisioni, ivi compresa quella di un’interruzione di
gravidanza, tenuto conto, che questa era appena iniziata; che,
anche a voler escludere il rimedio dell’aborto, i genitori avevano
il diritto ad essere informati della futura condizione del nascituro
e prepararsi adeguatamente alla drammatica situazione, con un
supporto psicologico e materiale più adeguato; che l’inosservanza del dovere di informazione costituiva inadempimento contrattuale e nel contempo fonte di responsabilità extracontrattuale».
(148) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.: «Quanto ai danni subiti dai
genitori, riteneva la corte di merito che, per effetto della nascita
della bambina gravemente ammalata, essi erano caduti in uno
stato di stress ed affaticamento e che, con giudizio ex ante, tale
stato patologico della madre era pronosticabile; che il padre
certamente non aveva il diritto di interrompere la gravidanza,
competendo tale facoltà solo alla madre, ma che il danno alla
salute della moglie si era riflesso sulla sua salute; che fattispecie
il danno era sia biologico che patrimoniale; che detta liquidazione non poteva che essere equitativa; che congrua era la somma
liquidata in L. 350 milioni; che detta somma non poteva ritenersi
irrisoria, come assunto dagli appellanti principali».
156
DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
(149) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit. (corsivo mio).
(150) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.: «Il contratto, intercorso tra
la gestante ed il sanitario, si atteggia come ‘‘contratto con effetti
protettivi a favore di terzo’’ (figura individuata dalla dottrina
tedesca, Vertrag mit Schutzwirkung für Dritte) nei confronti
del neonato, alla cui tutela tende quell’obbligazione accessoria,
ancorché le prestazioni debbano essere assolte in tutto o in parte, anteriormente alla nascita. (...). Ne consegue che il soggetto,
che con la nascita acquista la capacità giuridica, può agire per far
valere la responsabilità contrattuale per l’inadempimento delle
obbligazioni accessorie, cui il contraente sia tenuto in forza del
contratto stipulato col genitore o con terzi, a garanzia di uno
specifico interesse (cfr. Cass., 22-11-1993, n. 11503)».
(151) V., infra nel testo, Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit. L’assunto
però non è valso a superare le argomentazioni della Supr. Corte
nella sentenza n. 14488/2004 in parola, in cui si è osservato che,
anche con riferimento ai diritti della personalità, «non si può
invocare dall’ordinamento tutela per il non acquisto della condizione umana e contro il fatto che rende il nato soggetto all’ordinamento», dal momento che «l’alternativa sarebbe quella di non
nascere affatto e non quella diversa tra nascere sano o nascere
malato per colpe altrui». In dottrina, considerazioni analoghe
sono svolte, tra altri, da G. OPPO, L’inizio della vita umana,
cit., 503 ss.
(152) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit. Cfr. sul punto M. FRANZONI,
Errore medico, diritto di non nascere, diritto di nascere sano,
Ragiusan, 2006, 230 ss.
(153) Cour de Cassation 17-11-2001, NGCC, 2001, I, 209 ss., con
commento di E. PALMERINI, Il diritto a nascere sani e il rovescio
della medaglia: esiste un diritto a non nascere affatto? e postilla di
F.D. BUSNELLI. V. anche A. GUARNERI, Wrongful life, be´be´ pre´judice e il discusso diritto a nascere sano... o a non nascere, RCP,
2001, 497 ss.; P. ZATTI, La tutela della vita prenatale: i limiti del
diritto, NGCC, 2001, 155 ss. La vicenda riguardava un’azione
promossa da una donna nei confronti dei sanitari per il risarcimento del danno patito dal figlio nato malformato. I medici
rassicurarono erroneamente la madre circa l’impossibilità di contrarre il virus della rosolia durante la gravidanza, che invece fu la
causa di gravi malformazioni del bambino venuto alla luce. La
madre, peraltro, aveva espresso ai sanitari la sua intenzione di
abortire in caso di diagnosi di patologia fetale. Sulla questione v.
ampiamente O. CAYLA-Y. THOMAS, Il diritto di non nascere. A
proposito del caso Perruche, trad. it. L. Colombo, Milano, 2004
con considerazioni introduttive di F.D. BUSNELLI e ID., L’inizio
della vita umana, RDC, 2004, I, 535. Per un precedente, sempre
nel sistema francese, v. M. GORGONI, Nascere sani o non nascere
affatto: verso un nuovo capitolo della storia della ‘‘naissance d’enfants sains non de´sire´s’’, DR, 2001, 475 ss.
(154) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.
(155) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.
(156) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.: «Sotto altro profilo, ma
nella stessa ottica, ipotizzare il diritto del concepito malformato
di non nascere significa concepire un diritto che, solo se viene
violato, ha, per quanto in via postuma, un titolare, ma se tale
violazione non vi è (e quindi non si fa nascere il malformato per
rispettare il suo diritto di non nascere), non vi è mai un titolare.
Il titolare di questo presunto diritto non avrà mai quindi la possibilità di esercitarlo».
(157) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.
(158) Trattasi di Cass., 11-5-2009, n. 10741, cit.
(159) Cass., 11-5-2009, n. 10741, cit.: «Stanti la soggettività giuridica – entro determinati limiti – del concepito e il suo diritto a
nascere, nei confronti di questo e dei suoi genitori rispondono
per i danni, patrimoniali e non, connessi a rilevanti patologie del
feto, i sanitari che abbiano mancato di informare la madre (il cui
rapporto con i medici produce effetti protettivi nei confronti del
nascituro) dei probabili rischi connessi all’assunzione di farmaci
per facilitare il concepimento, quando tali sostanze abbiano determinato l’insorgenza di gravi malformazioni del nascituro».
(160) Cass., 11-5-2009, n. 10741, cit.: «Il nascituro ha soggettività
giuridica ed ha diritto a nascere sano, con il conseguente obbligo
dei sanitari di risarcirlo (diritto al risarcimento che per il nascituro, avente carattere patrimoniale, è condizionato, quanto alla
titolarità, all’evento nascita ex art. 1, 2º comma, c.c., ed azionabile dagli esercenti la potestà) per mancata osservanza sia del
dovere di una corretta informazione (ai fini del consenso informato) in ordine alla terapia prescritta alla madre (e ciò in quanto
il rapporto instaurato dalla madre con i sanitari produce effetti
protettivi nei confronti del nascituro), sia del dovere di somministrare farmaci non dannosi per il nascituro stesso; il nascituro,
diversamente, non ha diritto al risarcimento qualora il consenso
informato necessiti ai fini dell’interruzione di gravidanza (e non
della mera prescrizione di farmaci), stante la non configurabilità
del diritto a non nascere (se non sano)».
11. Il revirement di Cass., 2-10-2012, n. 16754 e l’intervento delle S.U. 22-12-2015, n. 25767
Nessuno sembra davvero sostenere la configurabilità
per il diritto italiano di un interesse a non nascere se
gravemente malati. Neppure Cass., 2-10-2012, n.
16754 che, analogamente a quanto accaduto in Francia con l’arrêt Perruche, è giunta ad ammettere per la
prima volta in Italia (161) la pretesa risarcitoria del
nato con gravi malformazioni genetiche nei confronti
del medico che, a causa di una errata diagnosi al feto,
aveva impedito alla madre di avvalersi della possibilità di esercitare la scelta abortiva (162). La pronuncia, ad oggi rimasta isolata, è stata vivacemente criticata dalla dottrina (163), che non ritiene ammissibile nell’ordinamento italiano la risarcibilità di tale
interesse.
Il caso riguardava proprio l’errata diagnosi prenatale
del medico, che, a seguito di accertamenti, escludeva
possibili malformazioni del feto. Cosı̀ rassicurata, la
donna portava avanti la gravidanza, ma dava alla
luce una bambina affetta da sindrome di Down.
In tale occasione i giudici della Supr. Corte ravvisavano nella nascita malformata un pregiudizio esistenziale che avrebbe colpito il bambino nel dipanarsi
della vita quotidiana, cosicché, fondando la domanda
risarcitoria avanzata personalmente dal minore negli
artt. 2, 3, 29, 30 e 32 della Costituzione, la Supr.
Corte ammetteva il diritto del nato al risarcimento
del danno per la lesione della sua salute (164): «Il
vulnus lamentato da parte del minore malformato,
difatti, non è la malformazione in sé considerata –
non è, in altri termini, l’infermità intesa in senso naturalistico (o secondo i dettami della scienza medica),
bensı̀ lo stato funzionale di infermità, la condizione
evolutiva della vita handicappata intese come proiezione dinamica dell’esistenza che non è semplice
somma algebrica della vita e dell’handicap, ma sintesi
di vita ed handicap, sintesi generatrice di una vita
handicappata».
La pronuncia fa esplicito riferimento al ‘‘diritto alla
salute’’, quale situazione soggettiva tutelata (165),
coerentemente con l’idea di salute intesa non soltan-
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
to nella sua dimensione statica di assenza di malattia,
ma come condizione dinamico/funzionale di benessere psicofisico (166).
Per quanto attiene al danno subı̀to dal nato, i giudici
del collegio sembrano, in sintesi, alludere al disamore
o al minor affetto che il figlio handicappato riceverà
da genitori che non lo avrebbero voluto; alla situazione di disagio esistenziale che il bambino proverà
nel vivere in un ambiente familiare malpreparato ad
accoglierlo.
L’obiettivo appare cioè quello di compensare sul piano risarcitorio una vita handicappata, e perciò meno
agevole, ma non necessariamente meno meritevole
di essere vissuta (167). Con le parole dei giudici di
legittimità «l’interesse giuridicamente protetto, del
quale viene richiesta tutela da parte del minore
(...), è quello che gli consente di alleviare, sul piano
risarcitorio, la propria condizione di vita, destinata a
una non del tutto libera estrinsecazione (...)» (168).
La soluzione prospettata dalla pronuncia in esame, in
controtendenza rispetto all’orientamento precedente, induceva in seguito la Supr. Corte a rimettere in
analoga controversia la questione alle Sezioni Unite,
che, nel 2015, smentivano l’arresto della Terza sezione del 2012, negando che il medico cui sia imputabile
di aver impedito la scelta di interrompere la gravidanza possa rispondere per danni nei confronti del
bambino malato. Segnatamente, le Sezioni Unite
sancivano che «il nato disabile non può agire per il
risarcimento del danno, neppure sotto il profilo dell’interesse ad avere un ambiente familiare preparato
ad accoglierlo, giacché l’ordinamento non conosce il
‘‘diritto a non nascere se non sano’’, né la vita del
bambino può integrare un danno-conseguenza dell’illecito omissivo del medico» (169).
Le Sezioni Unite del 2015 muovono dal concetto di
danno-conseguenza, consacrato all’art. 1223 c.c.
(«riassumibile, con espressione empirica, nell’avere
di meno, a seguito dell’illecito») (170), e ne affermano l’inesistenza per effetto della mancata interruzione della gravidanza, argomentando che «il danno
riuscirebbe legato alla stessa vita del bambino; e l’assenza di danno alla sua morte» (171). Perciò, secondo questa tesi, non vi è danno ingiusto in quanto «il
secondo termine di paragone, nella comparazione tra
le due situazioni alternative, prima e dopo l’illecito, è
la non vita, da interruzione della gravidanza. E la
non vita non può essere un bene della vita; per la
contraddizion che nol consente. Tanto meno può esserlo, per il nato, retrospettivamente, l’omessa distruzione della propria vita (in fieri), che è il bene per
eccellenza, al vertice della scala assiologica dell’ordinamento» (172). Altrimenti, proseguono i giudici
delle Sezioni Unite, si finirebbe per concludere implicitamente che la vita di un bambino disabile possa
considerarsi un danno, e che essa abbia minor valore
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157
di quella di un bambino sano (173). Riconoscere il
diritto a non nascere (se non sano) – rileva sempre la
pronuncia in esame – comporterebbe il rischio di una
«reificazione dell’uomo, la cui vita verrebbe ad essere apprezzabile in ragione dell’integrità psico-fisica:
deriva eugenica, certamente lontanissima dalla teorizzazione dottrinaria del cd. diritto di non nascere».
(161) In verità una prima apertura verso la configurabilità di un
tale interesse fu, seppur incidentalmente, proposta nel 2011 dai
giudici della terza Sezione civile nella sentenza Cass., 3-5-2011,
n. 9700, cit. La vicenda riguardava il diritto di credito vantato
dalla figlia in quanto nata orfana, come tale destinata a vivere
senza la figura paterna, a seguito della morte del padre avvenuta
per un incidente stradale causato dalla condotta colposa del terzo. La Corte, in un passaggio della sentenza in parola, rilevava:
«La diversa costruzione che il collegio ritiene corretta consentirebbe invece, (...) una volta esclusa l’esigenza di ravvisare la
soggettività giuridica del concepito per affermare la titolarità
di un diritto in capo al nato, di riconoscere il diritto al risarcimento anche al nato con malformazioni congenite e non solo ai
suoi genitori, come oggi avviene, sembrando del tutto in linea col
sistema e con la diffusa sensibilità sociale che sia esteso al feto lo
stesso effetto protettivo (per il padre) del rapporto intercorso tra
madre e medico; e che, come del resto accade per il padre, il
diritto al risarcimento possa essere fatto valere dopo la nascita
anche dal figlio il quale, per la violazione del diritto all’autodeterminazione della madre, si duole in realtà non della nascita ma
del proprio stato di infermità (che sarebbe mancato se egli non
fosse nato)».
(162) Nella pronuncia Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit., si afferma:
«Chi nasce malato per via di un fatto lesivo ingiusto occorsogli
durante il concepimento non fa valere un diritto alla vita né un
diritto a nascere sano né tantomeno un diritto a non nascere. Fa
valere la lesione della sua salute, originatasi al momento del
concepimento. Oggetto della pretesa e della tutela risarcitoria
è, pertanto, sul piano morfologico, la nascita malformata, su
quello funzionale (quello, cioè, del dipanarsi della vita quotidiana) il perdurante e irredimibile stato di infermità. Non la nascita
non sana. O la non nascita».
(163) La maggior parte degli interventi hanno manifestato un
netto dissenso verso la pronuncia, v., tra i molti, F.D. BUSNELLI,
Riflessioni in margine a una tempestiva ‘‘provocazione’’, in Chiamati al mondo, a cura di Carusi, cit., 125 ss.; ID., Verso una
giurisprudenza che si fa dottrina. Considerazioni in margine al
revirement della Cassazione sul danno da c.d. «nascita malformata», RDC, 2013, 1519 ss.; D. CARUSI, Revirement in alto mare: il
‘‘danno da procreazione’’ si «propaga» al procreato?, cit., 809 ss.;
M. GORGONI, Dalla sacralità della vita alla rilevanza della qualità
della vita, RCP, 2013, 148 ss.; C. SALVI, Capitalismo e diritto
civile, cit., 111. Meno critici sono i commenti di P.G. MONATERI,
Il danno al nascituro e la lesione della maternità cosciente e responsabile, cit., 59 ss.; G. CRICENTI, Il concepito ed il diritto di non
nascere, GI, 2013, 813 ss.
(164) Idea di salute non intesa solamente come assenza di malattia, bensı̀ come presenza di benessere. V., per tutti, R. PUCELLA, Autodeterminazione e responsabilità nella relazione di cura,
cit., 80 ss.
(165) Tra i vari commenti alla pronuncia n. 16754/2012, vi è chi
legge – precisamente – ‘‘danno biologico’’, giacché il pregiudizio
corrisponde alla ‘‘vita handicappata’’, anch’essa ontologizzata.
V., ad esempio, P.G. MONATERI, Il danno al nascituro e la lesione
della maternità cosciente e responsabile, cit., 59 ss.
(166) V. la definizione di ‘‘salute’’ contenuta nel d.lg. 9-4-2008, n.
81 all’art. 2, lett. o).
(167) Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.: «La legittimità dell’istanza
risarcitoria iure proprio del minore deriva, pertanto, da una
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
omissione colpevole cui consegue non il danno della sua esistenza, né quello della malformazione in sé sola considerata, ma la
sua stessa esistenza diversamente abile, che discende a sua volta
dalla possibilità legale dell’aborto riconosciuta alla madre in una
relazione con il feto non di rappresentante-rappresentato, ma di
includente-incluso».
(168) Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.
(169) Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit.
(170) Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit.
(171) Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit.
(172) Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit., in cui si aggiunge che
la tesi opposta, quella favorevole all’affermazione di una responsabilità del medico verso il nato, «aprirebbe, per coerenza, la
strada ad un’analoga responsabilità della stessa madre, che nelle
circostanze contemplate dall’art. 6 L. 194/1978, benché correttamente informata, abbia portato a termine la gravidanza: dato
che riconoscere il diritto di non nascere malati comporterebbe,
quale simmetrico termine del rapporto giuridico, l’obbligo della
madre di abortire».
(173) Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767, cit., richiamando una
sentenza della Corte federale tedesca del 28-5-1993 (BVerfGE
88, 203).
12. L’interesse protetto e la situazione soggettiva lesa:
quale danno risarcibile in capo al nascituro?
La questione centrale, come detto, è quella di riconoscere, a fronte della ‘‘nascita malformata’’, un diritto al risarcimento del danno in capo al minore
handicappato. E segnatamente, quella di individuare
l’interesse protetto dall’ordinamento giuridico che si
assume leso e, cosı̀, il danno risarcibile (174).
La vicenda risarcitoria presa a riferimento presenta
nei fatti condizioni chiare. L’errata diagnosi non ha
cagionato la malattia del bambino: una diagnosi corretta non lo avrebbe fatto guarire né avrebbe alleviato la sua condizione, ma avrebbe piuttosto – in ipotesi – condotto all’interruzione della gravidanza, cosicché il bambino non sarebbe nato affatto.
Ci si interroga allora se sia riconoscibile al bambino il
risarcimento del danno perché non gli è stata risparmiata una vita di inevitabile sofferenza, posto che
dalla nascita malformata si schiude un’esistenza
obiettivamente menomata.
In dottrina vi è chi ritiene che il figlio sia chiuso
nell’alternativa tra la vita menomata e il non esistere
affatto (la non-vita) e che la soluzione si imponga
univocamente a favore della vita, quale dono inestimabile e prezioso.
Un primo ostacolo al risarcimento di un preteso diritto di non nascere è dunque l’argomento che muove
dalla considerazione del bene vita quale valore base
della società, tale per cui – afferma anche una risalente pronuncia americana – ritenere che «la non
esistenza sia preferibile all’esistenza, sia pure resa
miserevole da severe limitazioni e difetti, significa
contraddire precisamente il postulato dal quale si
parte, quello della santità della vita umana» (175).
Il principio della santità della vita umana ha certamente influenzato tanto la giurisprudenza quanto la
dottrina. In letteratura è stato sottolineato come non
sia possibile prescindere dalla centralità della vita,
quale bene giuridico di grado superiore, giacché:
«l’ordinamento giuridico non concepisce l’interesse
a non essere nati o a morire (...); l’uomo è vita, ha
la misura della vita, non sa nulla della non vita; sicché, giuridicamente parlando, l’interesse alla non vita
è assurdo (...), non è un bene la non vita. E non
essendo un bene, né patrimoniale né morale, ne riesce impossibile la valutazione, sia pure equitativa, in
base all’art. 1226 c.c.» (176). Questo genere di obiezione all’ammissibilità della responsabilità civile non
è però andato esente da critica, giacché esso appare
fondato su valutazioni non giuridiche, e dunque
«strettamente legate all’idea che la vita sia un valore
assoluto ed un dono inestimabile, e che sia un non
senso l’alternativa posta tra il non essere e la malattia, dal momento che il diritto non protegge l’interesse a non esistere» (177).
Del resto, per fondare una pretesa risarcitoria occorre individuare un bene giuridicamente protetto e un
danno arrecato al bambino handicappato, provocato
dalla lesione di tale bene. Il danno postula una perdita, sicché – come è stato scritto – è necessario superare il vaglio dell’ipotesi differenziale (Differenzhypothese), che pone a confronto la situazione esistente prima e dopo il verificarsi dell’evento di danno (178).
Lo spinoso quesito che si pone dinanzi è se la vita
menomata, messa a confronto con il non-essere, possa essere ritenuta più svantaggiosa e quindi valutata
alla stregua di un danno (179). Ciò è anche una delle
premesse che, in ossequio al modello differenziale,
debbono essere soddisfatte per dirsi fondata la pretesa risarcitoria. La complessità della vicenda è poi
legata al fatto che tale giudizio di valore circa la
preferenza accordata alla non-vita in luogo di un’esistenza minorata debba per necessità essere demandato ai genitori ovvero a chi rappresenta il minore,
che decideranno presuntivamente per il meglio del
figlio.
Per essere giuridicamente qualificabile come danno,
l’ordinamento dovrebbe sancire che la condizione di
malato sia uno svantaggio rispetto al non-essere (180). Vi è chi sostiene che la non-vita non è un
bene protetto dall’ordinamento, e per contro chi afferma la tesi secondo cui la non-vita può anche essere
considerata un non-male, e forse questo basterebbe a
rendere configurabile un interesse (181).
In giurisprudenza la tesi favorevole ad un ipotetico
interesse a non nascere non ha superato lo scoglio
della sussistenza del danno risarcibile per il bambino
quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento medico, secondo i principi di cui all’art. 1223
c.c., sul presupposto che il danno è sempre una perdita ovvero una diminuzione rispetto ad uno stato
anteriore; perdita che il risarcimento deve in qualche
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
modo reintegrare, mentre l’omessa o errata informazione non avrebbe «apportato per il concepito una
posizione peggiore rispetto a quella che precedeva
l’inadempimento informativo da parte del medico
nei confronti della gestante» (182).
Un ragionamento a contrario, secondo la tesi in parola, condurrebbe ad un’inaccettabile comparazione
tra la vita malata con quella sana, aprendo cosı̀ – con
le parole dei giudici di legittimità – ad una ‘‘insolubile aporia’’, poiché «la vita sana non ci sarebbe comunque stata, e neppure la vita, per quanto malata,
con la non nascita (o morte del concepito), che costituisce perdita assoluta» (183).
Per sfuggire a quest’incongruenza, data la difficoltà
di individuare l’interesse protetto e il danno conseguente, non resterebbe che affermare che «il vivere
una vita malformata è di per sé una situazione esistenziale negativa, indipendentemente dalle alternative a disposizione» (184). Va, in altri termini, concepita come ‘‘danno’’ l’obiettività del vivere male, se è
comunque conseguenza di un’azione colpevole altrui (185).
Oltre a chiedersi se il nascituro abbia effettivamente
subito un pregiudizio riconducibile all’errore medico,
occorre ancora domandarsi se esiste un diritto a non
nascere, ossia alla non-vita, al non-essere. Speculare
risvolto del problema dell’esistenza di un diritto alla
vita, assai dibattuto specialmente all’epoca dell’introduzione della legge sull’aborto, è infatti il dilemma
che in queste pagine si vuole affrontare in ordine alla
configurabilità di un diritto alla non-vita, vale a dire
«un diritto alla non-esistenza, quando l’unica esistenza possibile è un’esistenza sgradevole e complessivamente penosa» (186).
Sul piano teorico un tale diritto a non nascere postula
la violazione – con il linguaggio dei filosofi – di diritti
iniziali, ossia diritti (connessi) alla nascita (Personhaftigkeit), con ciò alludendo all’esistenza di condizioni minimali di benessere fisico e spirituale che
possano garantire una vita non tormentata. Diritti
che, in quanto posti al principio dell’esistenza umana,
dovrebbero essere assegnati a ciascun individuo, e la
cui violazione concederebbe a questi ultimi un diritto
a non cominciare ad esistere (187).
Il diritto a non nascere si potrebbe cosı̀ configurare
come un «diritto protettivo di secondo livello rispetto
ai diritti iniziali di primo livello» (188). Il concetto
ben si riassume nelle parole di Joel Feinberg: «Parlare di ‘‘diritto a non nascere’’ è un modo sintetico di
riferirsi al plausibile requisito morale secondo cui
nessun bambino deve essere messo al mondo a meno
che non siano assicurate alcune condizioni di benessere minime, e a meno che non siano protetti in anticipo alcuni interessi futuri basilari – almeno nel senso
che la possibilità di soddisfare questi interessi sia lasciata aperta» (189).
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Va detto che quando si parla di diritto alla vita si
suole fare riferimento al diritto, verso i terzi, alla
conservazione della vita, e non al diritto al conseguimento della stessa vita (190). Altrimenti si designerebbe il cosiddetto diritto alla nascita, ossia un diritto,
verso i terzi, a che non sia ostacolato l’inizio della
vita. Il che è sconfessato dalla stessa dottrina che
ritiene inesistente, sul piano del diritto positivo, un
diritto soggettivo del concepito al conseguimento
della vita; mentre si ammette la tutela, in via oggettiva, della situazione d’attesa antecedente la nascita e
legata alla semplice speranza della vita futura (spem
nascendi) (191).
E dunque, rimanendo ancorati al diritto positivo, come non è ammesso un diritto al conseguimento della
vita, poiché «sarebbe assurdo, trattandosi di bene
insito nell’essere del soggetto» (192), per le stesse
ragioni sembra scorretto ipotizzare l’esistenza di un
diritto a non nascere, e cioè a vedersi ostacolato o
impedito l’inizio della vita. Cosı̀ come non esiste nell’ordinamento uno speculare obbligo del medico ad
impedire la nascita del bambino, anche qualora sia
motivato dalla presenza di una presunta malformazione del feto (193).
(174) V., sul punto, F. SALARIS, In tema di danno ingiusto al
nascituro, GI, 1974, I, 1931; D. CARUSI, Tutela giuridica della vita
prenatale e risarcimento del danno nell’illecito plurioffensivo,
Rass. DC, 1992, 422 ss.; R. DE MATTEIS, Wrongful life: problemi
e falsi dilemmi, GI, 2003, 1064 ss.; ID., La responsabilità medica
per omessa diagnosi prenatale: interessi protetti e danni risarcibili,
NGCC, 2003, I, 630 ss.; ID., Nascite indesiderate, interessi protetti,
danni risarcibili, DR, 1999, 1031 ss.; M. FRANZONI, Il danno risarcibile, in Tratt. Resp. civ.2, diretto da M. Franzoni, Milano,
2010, II, 466 ss., 503 ss.; ID., L’illecito, ivi, I, 935 ss., 1015 ss.; E.
PELLECCHIA, Dal figlio indesiderato al desiderio di un figlio (e di
un fratello): brevi note su ingiustizia del danno, danni riflessi e
vittime secondarie, DR, 1998, 895 ss.; P. MOROZZO DELLA ROCCA,
Il danno morale al concepito, ovvero il «già e non ancora» nella
responsabilita`civile, CorG, 2001, 348; R. FAVALE, Genitori contro
volontà e risarcimento per i danni da nascita, DR, 2001, 484 ss.; C.
FAVILLI, Il danno non patrimoniale da c.d. nascita indesiderata,
cit., 493 ss.; R. SIMONE, Procreazione e danno, DFP, 2003, I, 1148
ss.; ID., Danno alla persona per nascita indesiderata, DR, 2002,
469 ss.; M. CASINI, Si può considerare la nascita un danno risarcibile, Medicina e morale, 2016, 69. Per spunti comparatistici v.
G. CRISCUOLI, Il problema del risarcimento del danno da procreazione «non programmata»: le risposte della giurisprudenza di
«common law», Rass. DC, 1987, 442 ss.; S. CACACE, Autodeterminazione in salute, Torino, 2017, 135 ss.
(175) È il rilievo tratto dalla pronuncia della Corte suprema del
Tennesse, nel caso Smith v. Gore, 728 S.W.2d 738 (1987), nella
traduzione offerta da M. LUPOI in A. D’ANGELO, Un bambino
non voluto e` un danno risarcibile?, cit., 33. Sul tema v. G. OPPO,
L’inizio della vita umana, cit., 507: «non mi par certo che sul
piano dell’interesse non possa esser preferibile la non vita alla
vita (la frase che la morte può essere una liberazione ha senso e
può acquistarlo anche per il diritto)».
(176) G. PUGLIESE, Responsabilità morale e responsabilità giuridica per la procreazione di figli eredoluetici, cit., 1097.
(177) P. RESCIGNO, Il danno da procreazione, cit., 78.
(178) E. PICKER, Il danno della vita, cit., 18 ss.
(179) E. PICKER, Il danno della vita, cit., 23 ss.
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
(180) Ibidem.
(181) V., ad esempio, P.G. MONATERI, ‘‘La marque de caı¨n’’, la
vita sbagliata, la vita indesiderata, e le reazioni del comparatista al
distillato del dell’alambicco, cit., 299, secondo cui: «... il danno
lamentato dal nato malformato va inquadrato tra le lesioni della
personalità, più che tra le lesioni della persona. (...) Ciò che
costituisce offesa per la vittima è la trascuratezza che le fa vivere
un’intera vita come essere menomato. Non è quindi il vivere tale
vita, piuttosto che il non vivere affatto, ma la circostanza che
taluno non si sia preso cura della sua futura personalità come
invece avrebbe dovuto» (corsivo dell’A.).
(182) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.
(183) In questi termini ancora Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.
(184) Cosı̀ P.G. MONATERI, ‘‘La marque de caı¨n’’, la vita sbagliata, la vita indesiderata, e le reazioni del comparatista al distillato
del dell’alambicco, cit., 298. Cfr. anche Cass., 29-7-2004, n. 14488,
cit.
(185) V. Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.: «Si è inquadrato il danno
del nato malformato tra le lesioni della personalità, per un’esistenza difficile da vivere in ragione delle gravi limitazioni fisiche,
e quindi come danno esistenziale, più che tra quelle alla persona
umana».
(186) F. BACCHINI, Il diritto di non esistere, Milano, 2002, 1, il
quale illustra anche le varie teorie, nel campo filosofico, sull’inizio dell’esistenza dell’individuo.
(187) È mutata la concezione giusnaturalistica dei c.d. diritti
innati, laddove nel diritto moderno questi derivano sempre dall’ordinamento positivo. V. A. DE CUPIS, I diritti della personalità,
cit., 15: «Non può più parlarsi, oggi, di diritti innati, siccome di
diritti spettanti razionalmente all’uomo per la sua semplice qualità umana: essi, considerati dall’angolo visuale del diritto positivo, non possono costituire altro che delle semplici esigenze di
ordine etico; ma l’evoluzione dello Stato moderno ha dato forza
giuridico-positiva a quei diritti che un tempo si concepivano
come preesistenti allo stato sociale. Ed invero l’ordinamento
giuridico positivo attribuisce oggidı̀ agli individui, per il semplice
fatto di essere muniti di personalità, determinati diritti soggettivi,
i quali, in tal senso, possono veramente dirsi innati» (corsivo
dell’A.).
(188) F. BACCHINI, Il diritto di non esistere, cit., 11.
(189) J. FEINBERG, Harm to Others. The Moral Limits of the
Criminal Law, I, New York, 1984, 101, citato in F. BACCHINI, Il
diritto di non esistere, cit., 11.
(190) A. DE CUPIS, I diritti della personalità, cit., 101 s., 107 ss. È
lecito piuttosto parlare di un diritto alla nascita come individuo
sano: v. R. PUCELLA, Responsabilita` medica per la lesione del
diritto a nascere sani: tutela del nascituro e dei prossimi congiunti,
NGCC, 1991, I, in part. 373 ss.
(191) A. DE CUPIS, I diritti della personalità, cit., 108. Di recente,
sulla stessa linea di pensiero, v. D. CARUSI, L’ordine naturale
delle cose, cit., 287, secondo cui occorre riconoscere «che il compimento del processo di sviluppo in che consiste la vita prenatale
possa essere visto come un valore, e in vario modo facilitato e
promosso, ma che non possa affermarsi in senso stretto che
l’embrione sia portatore del diritto alla vita: tale affermazione
si traduce infatti nell’ammettere che una persona – una donna –
sia giuridicamente riguardata come mero strumento rispetto a
fini eterodeterminati, e dunque nel negare il principio di pari
dignità, che è appunto alla base del consorzio civile» (corsivo
dell’A.).
(192) A. DE CUPIS, I diritti della personalità, cit., 101 s.
(193) V. per analoghe conclusioni, in chiave comparatistica, la
già citata pronuncia tedesca del BGHZ, 86, 204, cit.
13. Nesso causale e onere della prova: menomazioni
del neonato causalmente collegabili a malpractice medica.
La fattispecie è delicata anche sotto il profilo causa-
le (194). Va tenuta distinta l’ipotesi di attività commissiva del medico (i.e. l’intervento del medico cagiona la nascita malformata) (195) da quella di attività omissiva del sanitario (i.e. l’errore diagnostico
influenza la facoltà di scelta della gestante, e non
evita – o concorre a non evitare – la nascita malformata).
Le difficoltà maggiori, infatti, si presentano nei casi
in esame di responsabilità sanitaria per omessa diagnosi di malformazioni fetali e conseguente nascita
indesiderata, in cui il medico si pone come autore
‘‘mediato’’ o indiretto del danno per aver privato la
madre di una facoltà riconosciutale dalla legge, tramite una condotta omissiva che si pone in rapporto di
causalità con la nascita indesiderata (196).
Diversamente da quanto avviene – ad esempio – nel
caso di prescrizione di farmaci teratogeni (197), l’errata o mancata diagnosi qui non rileva ex se con
riguardo alla genesi della patologia sofferta dal bambino. L’inadempimento del medico, nella specie concretatosi nella sola omissione di informazione circa lo
stato di salute del feto, può rilevare soltanto in quanto il difetto di informazione impedisce di fatto alla
donna di potersi determinare per un aborto terapeutico nei termini e alle condizioni previste dalla legge (198).
Va infatti notato che nella fattispecie in parola la
gestante, contestualmente alla richiesta dell’esame
diagnostico, spesso manifesta al medico la volontà
di non portare a termine la gravidanza nell’ipotesi
di risultato positivo del test, onde l’accertamento medico-diagnostico si rivela doppiamente funzionale alla diagnosi di malformazioni fetali e, condizionatamente al suo risultato positivo, all’esercizio del diritto
di aborto (199).
Ci si interroga dunque se ledere il diritto alla procreazione cosciente e responsabile della madre e,
conseguentemente, lo speculare interesse del figlio,
«abbia come conseguenza diretta ed immediata quella di porre il nascituro malformato in condizioni di
diseguaglianza rispetto agli altri nascituri, e se tale
condotta lesiva sia o meno concausa del suo diritto
al risarcimento, da valutare anche sotto il profilo del
suo inserimento in un ambiente familiare nella migliore delle ipotesi non preparato ad accoglierlo» (200).
Ebbene, ai fini dell’accertamento del nesso di causa
nei casi di errata o mancata diagnosi medica, occorre
in primo luogo identificare con esattezza l’evento di
danno che va a costituire l’anello estremo della catena causale, da ricondurre eziologicamente alla condotta omissiva del medico (201). Come si è visto, il
prevalente indirizzo giurisprudenziale ha escluso la
rilevanza, come terminale causale, sia dell’evento nascita, attesa la non configurabilità di quest’ultima in
termini di evento dannoso, sia dell’handicap in sé
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considerato, posto che la malformazione è di natura
congenita e non è provocata dalla condotta negligente del medico (202).
Per contro, l’indirizzo favorevole alla tutela risarcitoria del bambino handicappato pure nei casi di omessa
informazione (203) ha identificato l’evento di danno
avente rilievo sul piano eziologico proprio nella ‘‘nascita malformata’’, intesa come proiezione dinamica
dell’esistenza minorata del bambino, ossia nella «sua
stessa esistenza diversamente abile» (204). Il terminale causale sarebbe dunque da individuare nella
nascita del bambino indesiderato, e quindi – quale
conseguenza pregiudizievole – nella sua salute minorata, se si conclude che, in fin dei conti, «la violazione
del dovere informativo ha consegnato alla vita una
persona con gravi anomalie fisiche», oltre ad aver
«condizionato, per sempre, l’esistenza dei genitori» (205).
Oltre alla difficoltà concettuale che si incontra nell’identificazione dell’evento di danno, resta da verificare anche il metodo utilizzabile nella ricerca del nesso
di causa. Sotto questo profilo, lo stesso orientamento
che ravvisa l’evento di danno nell’esistenza minorata,
sembra fondare il giudizio sul principio dell’equivalenza causale, secondo cui non impedire un evento
che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a
cagionarlo (206). Cosicché, seguendo tale ragionamento, «l’errore medico che non ha evitato (o ha
concorso a non evitare) la nascita malformata (evitabile, senza l’errore diagnostico, in conseguenza della
facoltà di scelta della gestante derivante da una
espressa disposizione di legge)», sarebbe equiparabile sul piano dell’efficacia causale alla fattispecie «dell’errore medico che non abbia evitato l’handicap evitabile (l’handicap, si badi, non la nascita handicappata), ovvero che tale handicap abbia cagionato
(...)» (207).
Altra questione assai dibattuta, distinta dal nesso di
causa, è quella relativa al riparto dell’onere probatorio. Uno dei presupposti alla base della pretesa risarcitoria è stabilire se la scelta della gestante, qualora
fosse stata tempestivamente diagnostica la malformazione del feto, sarebbe stata favorevole all’interruzione della gravidanza.
Tale questione è altresı̀ connessa al problema di individuare quale sia l’incidenza causale dell’inadempimento del medico in relazione al verificarsi dell’evento della nascita indesiderata. Infatti, qualora la
madre, ancorché tempestivamente avvertita, non
avesse voluto interrompere la gestazione del feto
malformato o anomalo, le conseguenze pregiudizievoli – ossia, in ipotesi, «lo stravolgimento della vita
dei genitori, lo stress e l’affaticamento, nonche´ le spese
ed i disagi derivanti dalla patologia della minore» (208) – non potrebbero ragionevolmente imputarsi alla condotta medica, poiché si sarebbero co-
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munque determinate per scelta della gestante di
non interrompere la gravidanza. Tutt’al più, potrebbe anche in tal caso riconoscersi un danno risarcibile,
in misura attenuata, per la privazione di una preventiva preparazione psicologica derivante dalla mancata informazione medica (209).
Una delle maggiori problematiche riguarda la ricostruzione ex post della prova circa la volontà della
donna di non portare a termine la gravidanza, laddove questa fosse stata correttamente informata circa le
reali condizioni del feto. Ci si trova di fronte alla
impossibilità di provare in senso stretto che la decisione abortiva sarebbe stata effettivamente, e entro i
limiti di legge, assunta, poiché la determinazione di
porre fine alla gravidanza costituisce un «‘‘fatto’’ non
solo ‘‘psichico’’, ma per ipotesi storicamente mancato» (210).
La giurisprudenza di legittimità – suggellata anche
dall’intervento delle S.U. sul punto – ha rilevato
che il thema probandum è costituito da un fatto complesso, e cioè dalla compresenza di molteplici elementi, quali la rilevante anomalia del nascituro, l’omessa informazione da parte del medico, il grave
pericolo per la salute psicofisica della donna, la scelta
abortiva di quest’ultima. In particolare, la prova della
scelta abortiva è posta a carico della donna, che potrà
tuttavia assolvere il relativo onere anche in via presuntiva. Resta, invece, sul professionista la prova
contraria che la donna non si sarebbe determinata
comunque all’aborto, per qualsivoglia ragione a lei
personale (211).
Nei casi in esame la giurisprudenza si è dunque avvalsa dello strumento del giudizio prognostico. In tali
vicende, si è vagliato – attraverso una valutazione ex
ante – il contenuto di una ipotetica volontà della
paziente puerpera nel caso di corretta informazione
medica circa i rischi e le conseguenze del parto, andando a verificare quale sarebbe stata la sua decisione in ordine alla prosecuzione o meno della gravidanza.
(194) L’accesso alla tutela risarcitoria, in ogni caso, postula l’accertamento del nesso causale tra l’omessa o errata diagnosi prenatale e la lesione del diritto della madre ad interrompere la
gravidanza. Tra le tante v. Cass., 10-12-2013, n. 27528, GI,
2014, 1585, con nota di L. COPPO, La prova del nesso nei giudizi
di responsabilita` per omessa diagnosi prenatale.
(195) V., per tutte, Cass., 11-5-2009, n. 10741, cit.
(196) Entra dunque in gioco una causalità per omissione, la cui
configurazione, in termini di metodo utilizzabile nella ricerca del
nesso di causa, è strutturalmente distinta dalla causalità per azione. La prima è infatti accertabile mediante un giudizio ipotetico
costruito su base probabilistica, all’esito del quale si giunge a
determinare se l’azione colpevolmente omessa avrebbe impedito
l’evento di danno. V. R. PUCELLA, La causalità «incerta», cit., 222
ss.; H. KOZIOL, Liability for Omissions – Basic Questions (2011) 2
JECTL 127.
(197) V. Cass., 11-5-2009, n. 10741, cit.
(198) In questi termini, Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.
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DIRITTO A NON NASCERE (SE NON SANO)
(199) V. Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.: «Ne consegue una responsabilità del medico predicabile non soltanto per la circostanza dell’omessa diagnosi in sé considerata (ciò che caratterizzerebbe il risarcimento per un inammissibile profilo sanzionatorio/
punitivo, in patente contrasto con la funzione propria della responsabilità civile), ma per la violazione del diritto di autodeterminazione della donna nella prospettiva dell’insorgere, sul piano
della causalità ipotetica, di una malattia fisica o psichica».
(200) Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.
(201) Cfr. G. TRAVAGLINO, La questione dei nessi di causa, cit.,
80, il quale osserva come tale sia stato l’approccio metodologico,
nonché l’iter argomentativo, anche nella sentenza francese sul
caso Perruche, cit.
(202) Cosı̀, ad esempio, Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.
(203) Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit.
(204) G. TRAVAGLINO, La questione dei nessi di causa, cit., 82.
(205) T. Bergamo, 2-11-1995, cit. Trattasi di una sentenza miliardaria del Tribunale bergamasco relativa all’errore di lettura dell’ecografia e conseguente mancanza di informazioni che ha
escluso in radice la possibilità di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Nel caso di specie, tuttavia, il Tribunale
bergamasco ha riconosciuto il risarcimento del danno alla salute
e quello patrimoniale in favore dei soli genitori, avendo questi
ultimi agito soltanto iure proprio e non anche nell’interesse del
minore.
(206) Art. 40, cpv., c.p.
(207) Cass., 2-10-2012, n. 16754, cit. Cfr. sul punto anche G.
TRAVAGLINO, La questione dei nessi di causa, cit., 84, il quale
afferma che: «Una diversa soluzione, sul piano causale, si sarebbe risolta nell’inammissibile annullamento della volontà della
gestante, senza che, in proposito, potessero assumere rilievo
ipotesi alternative confinate nella dimensione dell’improbabile
– e dunque del giuridicamente irrilevante – circa l’eventualità
di un futuro mutamento di decisione da parte della gestante
stessa in ordine alla pur (dichiarata e) programmata interruzione
condizionata di gravidanza».
(208) Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.
(209) Cfr. ancora Cass., 29-7-2004, n. 14488, cit.
(210) D. CARUSI, Omessa diagnosi prenatale: un contrordine...e
mezzo delle Sezioni unite, cit., 550 (corsivo dell’A.), il quale
riprende le considerazioni di Cass. S.U., 22-12-2015, n. 25767,
cit. Sono le stesse Sez. Un. ad osservare come la prova verta
anche su un fatto psichico, e cioè su uno stato psicologico, un’intenzione, un atteggiamento volitivo della donna, che la legge
considera rilevanti. Posto che del fatto psichico non si può fornire rappresentazione immediata e diretta – rileva la Supr. Corte
– «l’onere probatorio – senza dubbio gravoso, vertendo su un’ipotesi, e non su un fatto storico – può essere assolto tramite
dimostrazione di altre circostanze, dalle quali si possa ragionevolmente risalire, per via induttiva, all’esistenza del fatto psichico che si tratta di accertare».
(211) Pur concedendo la possibilità di assolvere anche in via
presuntiva il suddetto onere probatorio (praesumptio hominis;
cfr. art. 2729 c.c.), la prevalente giurisprudenza pone in capo alla
madre l’onere di allegare e provare la sussistenza di tutti i presupposti della fattispecie di cui all’art. 6 della legge n. 194/1978.
Da ultimo si è espressa in questo senso sempre Cass. S.U., 22-122015, n. 25767, cit., dando rilevanza non solo alle correlazioni
statisticamente ricorrenti secondo il principio dell’id quod plerumque accidit, ma anche a «circostanze contingenti, eventualmente anche atipiche – emergenti dai dati istruttori raccolti:
quali, ad esempio, il ricorso al consulto medico proprio per conoscere le condizioni di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante, eventualmente verificabili tramite consulenza tecnica d’ufficio, pregresse manifestazioni di
pensiero, in ipotesi, sintomatiche di una propensione all’opzione
abortiva in caso di grave malformazione del feto, ecc.». In senso
conforme, Cass., 7-4-2016, n. 6793, inedita.
14. Conclusioni.
Volendo riassumere il problema, ci si chiede se l’errore medico che preclude la possibilità della donna di
abortire e che quindi non impedisce la nascita non
programmata di un bambino handicappato, possa
fondare un’autonoma pretesa risarcitoria del minore
stesso nei confronti del medico o dell’istituzione sanitaria in ordine alla condizione patologica di cui
risulta affetto.
Va risolta, con argomenti giuridici, una questione di
fondo: se considerare un tale evento alla stregua di
una umana ‘‘disgrazia’’, e perciò fuori dal raggio d’azione del diritto, oppure individuare alla base un interesse degno di protezione risarcitoria, e dunque
valutare l’evento come un ‘‘danno’’ risarcibile (212).
È noto che per danno sia inteso qualsiasi nocumento,
pregiudizio o disutilità (213). Tuttavia se il danno, in
quanto fatto giuridico, non presenta carattere di antigiuridicità non assume rilevanza neppure sul piano
risarcitorio.
La fattispecie in esame è inoltre un caso emblematico
dal quale è possibile scorgere nitidamente il problema delle funzioni della responsabilità civile. Posto
che un danno vi sia, compito della responsabilità civile è quello di allocare il costo di tale danno da un
soggetto ad altro (214). Tuttavia non vi è unanimità
di vedute nell’assegnazione dei criteri e delle funzioni della responsabilità civile (215), specialmente con
riguardo al perimetro del danno risarcibile, che – è
un fatto – negli ultimi anni si è notevolmente allargato a coprire nuove fattispecie di danno, al punto da
suscitare nella dottrina, a livello europeo, un vivo
disappunto verso un certo atteggiamento favorevole
alla traslazione di qualsiasi rischio o perdita dalla
vittima lamentati (216).
Del resto il discorso sulla responsabilità civile si fa
complesso perché si tratta – come è stato scritto – di
un diritto «elaborato dagli interpreti» (217). Il giudizio di responsabilità talvolta non si manifesta come lo
sbocco necessitato di un procedimento logico, ma
risulta meno lineare (218), poiché vi confluiscono
sentimenti sociali e bisogni che necessitano di protezione. Accade talora che anche nello specchio del
diritto vivente, si tolleri un’applicazione delle regole
non sempre intransigente, a chiaro vantaggio del soggetto debole. La funzione, il target, sembrano talvolta manipolare e influenzare la regola.
Coloro che ravvisano nel risarcimento del danno una
funzione esclusivamente compensativa, escludono
che nei casi di wrongful life si possa giungere ad
estendere il danno anche nei confronti del nascituro (219). L’interesse leso sembra corrispondere in
via esclusiva alla elisione della astratta possibilità
della madre di abortire in presenza delle condizioni
di legge. È difficile accettare che la lesione dell’interesse ad una maternità cosciente e responsabile possa
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riflettersi anche nella sfera soggettiva nel nascituro,
sino ad ammettere che egli possa – quale vittima di
rimbalzo – soffrire un danno riflesso e beneficiare di
un’autonoma tutela risarcitoria. Giungere a tale conclusione equivale forse a fingere di risarcire un danno
al figlio, per (ulteriormente) compensare in realtà un
danno al genitore (220), incorrendo pure nel rischio
di duplicazione del danno.
Conseguenza della omessa informazione delle possibili patologie del feto è dunque soltanto il mancato
aborto, non la nascita malformata (221). E non sembra esserci neppure spazio per identificare in capo al
nascituro un autonomo interesse meritevole di tutela,
giacché l’ordinamento italiano, da un lato, non tutela
l’aspirazione a non nascere e, dall’altro, impone al
medico un particolare duty of care nei confronti del
bambino en ventre sa mère, sancendo l’obbligo di
salvare la vita del feto quando esso può sopravvivere
autonomamente. L’impossibilità di individuare uno
specifico interesse leso depone contro l’ammissibilità
di un’autonoma pretesa risarcitoria del bambino per
la vita indesiderata.
Occorre inoltre notare come la maggior parte degli
ordinamenti europei rifiuti che il diritto possa decidere, anche solo indirettamente, sulla qualificazione
dell’esistenza di un bambino come un ‘‘danno’’. Una
tale conclusione costringerebbe le corti a schierarsi
contro la vita umana. Al contrario, l’orientamento
prevalente si mostra favorevole all’assenza di un danno giuridicamente riconoscibile in capo al bambino,
in considerazione del fatto che la sua vita, per quanto
penosa, non potrebbe essere in ogni caso considerata
svantaggiosa rispetto all’alternativa del non-vivere.
In questi termini, ancor prima delle decisioni anche
recentemente assunte dalla giurisprudenza italiana, si
è posta la decisione del Bundesgerichtshof tedesco
che, seppur svolgendo un ragionamento a tratti meta-giuridico, ha sancito l’imponderabile fatalità della
nascita malformata quale facente parte del destino
umano e della sua natura, giacché l’uomo non può
esimersi dall’accogliere la vita cosı̀ come essa è stata
plasmata dalla natura (222). Non sarebbe ammissibile, in altre parole, un giudizio da parte di un terzo (in
ipotesi, la madre o il medico) in ordine al valore della
vita di un essere umano (il nascituro), movendo dal
presupposto della assolutezza del bene vita (223).
MASSIMO FOGLIA
(212) Cfr. A. BRAUN (a cura di), Dalla disgrazia al danno, cit.,
2002.
(213) P.G. MONATERI, La responsabilità civile, Torino, 2006, 229
ss.; A. DE CUPIS, Il danno. Teoria generale della responsabilità
civile3, I, Milano, 1979, 7: «Il concetto di danno si presenta come
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molto ampio: nessuna limitazione sussiste, invero, nel linguaggio
corrente riguardo al novero dei nocumenti o pregiudizi cui è
applicabile la denominazione ‘‘danno’’».
(214) V. S. RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964.
(215) V., per tutti, P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit.,
16, 19 ss., per cui la responsabilità civile è essenzialmente: «un
meccanismo sociale per la traslazione dei costi».
(216) V. H. KOZIOL, Basic Questions of Tort Law from a Germanic Perspective, Wien, 2012, n. 1/2: «However, it is apparent that
in today’s society there is an increased perception – fuelled by
certain unrealistic political ‘‘land of milk and honey’’ delusions –
that the individual can be cocooned away from all risks; that
someone else is always responsible for any damage the individual suffers, and thus each victim’s loss must always be covered.
However, this overlooks the undeniable fact that compensation
to the victim does not eliminate the damage from existence but
merely passes it on to someone else, hence the damage is merely
shifted and someone else suffers a loss by having to cover it».
(217) P.G. MONATERI, La responsabilita` civile, cit., 16.
(218) P.G. MONATERI, La responsabilita` civile, cit., 15.
(219) V. per esempio le considerazioni sul punto di B.A. KOCH in
B. WINIGER-H. KOZIOL-B.A. KOCH-R. ZIMMERMANN (eds), Digest
of European Tort Law, cit., 960: «(...) this outcome once more
shows that the prime function of tort law is compensation and
not retaliation, and since one cannot identify any possible remedy that really may make good the harm complained of, the only
logical outcome seems to be that a claim in tort law must fail».
(220) Cfr., ma in senso contrario, P.G. MONATERI, ‘‘La marque
de caı¨n’’, la vita sbagliata, la vita indesiderata, e le reazioni del
comparatista al distillato del dell’alambicco, cit., 297 s.
(221) Cfr. K.A. WARNER, Wrongful life goes down under, cit., 209
ss. in commento alla pronuncia australiana Harriton v. Stephens
[2006] HCA 15 (HC (Aus)) che ha negato il risarcimento del
danno richiesto iure proprio da una bambina nata con gravi
malformazioni a seguito della omessa informazione da parte
del medico circa possibili patologie del feto.
(222) BGH, 86, 240, 254 ss.
(223) A questo proposito un Autore tedesco – E. PICKER, Il
danno della vita, cit., 45 ss., 97 ss. – ha tuttavia fatto notare
un’incongruenza di fondo nel trattare la richiesta risarcitoria
avanzata autonomamente dal nascituro rispetto a quella promossa dai genitori, laddove si affermerebbe l’assolutezza del
bene della vita nei confronti del bambino, mentre se ne dichiarerebbe il carattere relativo nei confronti dei terzi. Ciò scoprirebbe un’evidente frattura, conseguenza di un giudizio viziato –
afferma lo stesso Autore – da ‘‘due pesi e due misure’’, anche in
violazione di un principio di eguaglianza di trattamento delle
vittime dell’illecito. Con le parole dello stesso Autore: «Di
fronte al bambino si invoca con estrema enfasi l’intangibilità
della sua vita, anche in presenza di gravissime menomazioni. Al
contrario, di fronte alla domanda della madre e persino del
padre, si tralasciano le implicazioni derivanti dalla sacralità
della vita senza alcuno sforzo argomentativo. Nei riguardi del
bambino viene evitato in modo imbarazzante qualsiasi apprezzamento del danno sulla base di un’ipotesi differenziale che
valuti se sia più vantaggioso il vivere o il non vivere, valutazione che implica, sotto il profilo concettuale, una relativizzazione
della vita stessa. Nei riguardi dei genitori si riconosce invece –
proprio sulla base della medesima ipotesi differenziale, che
conduce a ravvisare nella non esistenza la condizione economicamente più vantaggiosa – il sussistere di un diritto al ripristino,
sotto il profilo economico, di questa condizione mancata» (ivi,
97 s.).