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Da: Pieve di Quarantoli 1114-2014. Nove secoli per una rinascita Atti della giornata di studio – 20 settembre 2014 A cura di Bruno Andreolli e Ubaldo Chiarotti Gruppo Studi Bassa Modenese “Materiali per la storia di Mirandola” Mirandola 2016 Santa Maria della Neve: arte e devozione nel Modenese Graziella Martinelli Braglia La pieve di Quarantoli e la devozione della Madonna della Neve Quarantoli, com’è noto, è citata per la prima volta nella donazione di re Berengario I del 24 giugno 904 a favore del vescovo di Modena, con concessioni legate alle rive di corsi d’acqua e paludi. Già nell’XI secolo l’area di Quarantoli si va configurando con una propria identità territoriale: è insediamento portuale, con attività inerenti la pesca, il commercio, la navigazione interna nonché la difesa militare; esercita la sua influenza su un ampio territorio fino alla progressiva affermazione, nell’arco del Trecento, della Mirandola dei Pico, famiglia peraltro di origine quarantolese. 1 Dunque un nodo nei percorsi, non solo d’acqua ma anche di terra, al punto che nel 1174 si stipula un accordo fra il Comune di Reggio e i “Figli di Manfredo” per il transito dei mercanti reggiani lungo un itinerario che doveva giungere a Ferrara. 2 In quanto alla pieve, è citata in un atto del 1044, con cui Tenzo del fu Stefano di Santo Stefano e la moglie Vuillia donano alla chiesa di Reggio dei terreni fra cui uno “infra S. Marie de loco Quarantule”; compare poi fra le pievi della diocesi reggiana in un documento posteriore alla morte di Bonifacio di Toscana, avvenuta nel 1052, fra i possedimenti rimasti al vescovo e ai suoi vassalli. 3 Il suo “primato” come pieve delle terre dei Pico, con fonte battesimale, viene a decadere con la fondazione di Santa Maria Assunta o “Maggiore” di Mirandola, dopo il 1432, e cioè quando i fratelli Giovanni e Francesco Pico ottennero da papa Eugenio IV di poter erigere nel castrum ove erano insediati una chiesa col titolo di parrocchiale, per la cura delle anime sino ad allora demandata alla pieve di Quarantoli; 4 l’istituzione di questo nuovo tempio, provvisto di fonte battesimale e cimitero, sanciva la nuova dignità di Mirandola come sede della signoria dei Pico. Non si sa quando la pieve di Quarantoli, che s’è visto dedicata alla Vergine almeno dalla prima metà dell’XII secolo, abbia assunto il suo titolo di Santa Maria della Neve. Si potrebbe ipotizzare che ciò avvenisse nel Quattrocento, secolo che vede il rinfocolarsi di questo culto mariano e in concomitanza con la fondazione della chiesa di Santa Maria “Maggiore” di Mirandola; d’altra parte, sin dalla prima metà del Trecento è attestata a Modena una confraternita della Madonna della Neve. Allo stato attuale delle conoscenze, la prima testimonianza dell’intitolazione della pieve quarantolana a questa Madonna è un documento visivo: la pala, di cui si dirà, con la raffigurazione del Miracolo della neve con la dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, dipinto che risale agli ultimi decenni del Cinquecento. 1 Si veda Bruno Andreolli, La “curtis” di Quarantoli nel Medioevo: paesaggio, società, economia, in Quarantoli e la sua Pieve nel Medioevo, atti della giornata di studio, 28 ottobre 1990, a cura di Bruno Andreolli e Carluccio Frison. Gruppo Studi Bassa Modenese, Mirandola, Grafiche Redolfi, 1992, pp. 44 e 50. 2 Si veda Mauro Calzolari, Navigazione interna, porti e navi nella pianura reggiana e modenese (secoli IX-XII), in Viabilità antica e medievale nel territorio modenese e reggiano, a cura di Giordano Bertuzzi, Modena, Aedes Muratoriana, 1983, pp. 91-143, in partic. pp. 104-105. 3 Si rimanda a Paolo Golinelli, La Bassa modenese nella diocesi di Reggio Emilia (secoli IX-XII), in Quarantoli e la sua Pieve, cit., 1992, pp. 57-72, in partic. p. 67. 4 Sulla Collegiata di Santa Maria Maggiore si vedano F. Ceretti, Memorie storiche della città e dell'antico ducato della Mirandola. Delle chiese, dei conventi e delle confraternite della Mirandola, I, Del Duomo e della insigne Collegiata, Mirandola 1889, e Bruno Andreolli, Una chiesa per il futuro, in La parrocchia di S. Maria Maggiore in Mirandola, a cura di Bruno Andreolli e Carlo Truzzi, Mirandola, Centro Internazionale di Cultura Giovanni Pico della Mirandola, 2012, pp. 21-33. Il racconto agiografico alla base di questo culto è tramandato dal Liber epilogorum in gesta sanctorum di frà Bartolomeo da Trento, della prima metà del secolo XIII.5 Si narrava dunque che la notte fra il 4 e il 5 agosto del 358 due coniugi romani, i patrizi Augusto e Livia, senza prole, desiderosi da tempo di manifestare concretamente la loro devozione alla Madonna, sognassero un manto di neve caduto sul Colle Esquilino, che avrebbe indicato il luogo ove costruire un tempio alla Vergine. Recatisi da papa Liberio (352-366) per riferire, appresero che lo stesso pontefice aveva avuto quel medesimo sogno; e a un sopralluogo sul colle si constatò che una miracolosa nevicata aveva lasciato sul terreno la traccia della pianta della chiesa che i due coniugi avrebbero fatto erigere a loro spese. Tra le opere pittoriche che fissano il Miracolo della Neve, la più celebre è forse la tavola di Masolino da Panicale (1383-1440) del 1428 circa, con la Fondazione della Chiesa di Santa Maria Maggiore, parte centrale di un trittico commissionato da papa Martino V per la stessa basilica romana (Museo di Capodimonte), dove è mostrato papa Liberio sull’Esquilino che, seguendo la sagoma della nevicata, delinea con una vanga il perimetro dell’erigenda chiesa. La Basilica Liberiana fu così il primo tempio in Roma dedicato alla Madonna; successivamente papa Sisto III (432-440) la ricostruì più ampia dandole il titolo di Santa Maria Maggiore, a seguito del Concilio di Efeso, del 431, che aveva decretato la maternità divina di Maria, affermandone il titolo di Theotokos, Madre di Dio. Nella Basilica, detta anche Sistina, s’insediò il culto di una delle più vetuste raffigurazioni mariane: una Madonna col Bambino in seguito denominata Salus Populi Romani, e dunque Odighitria, e cioè protettrice della città, colei che guida e che indica la via della salvezza attraverso il Figlio. La leggenda la dice dipinta da san Luca traendola da un’immagine acheropita, e cioè di mano non umana, autogenerata o dipinta dagli angeli, e dunque non fallace ma “vera”, 6 che sarebbe stata portata a Roma nel IV secolo da sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino. In effetti, secondo recenti studi, potrebbe risalire a un gruppo di icone preiconoclaste, avendo poi subito nel XII secolo una totale ridipintura. 7 Conservata sull’altare della cappella Paolina o Borghese, eretta da papa Paolo V nel 1613, veniva un tempo esposta sulla porta del battistero della basilica. Raffigura la Madonna in veste violacea e manto azzurro, con il braccio il Bambino benedicente, che regge un libro – i Vangeli - nella mano sinistra; la Vergine nella destra tiene una mappula, fazzoletto cerimoniale che è attributo imperiale, per cui viene anche detta “Regina coeli”. Attorno alla basilica romana, che esponeva questa veneratissima icona, si sviluppò fra il IX e il X secolo la devota tradizione della nevicata miracolosa, così che venisse detta di Santa Maria “ad Nives”. 8 E dalla basilica si irradiò il culto della Madonna della Neve, che iconograficamente si identifica nell’icona mariana ivi venerata, appunto la Salus Populi Romani. Questa divenne così l'archetipo di tante rappresentazioni della Vergine ad Nives come, per citare un illustre esempio, quella distintiva della Scuola di Santa Maria della Neve in Santa Tecla a Milano, pia unione con istituto elemosiniero sorto nel 1389, il cui titolo è ora presso un altare di quel Duomo. La celebrazione liturgica della Dedicazione di Santa Maria Maggiore entrò nel calendario romano soltanto nel 1568, sotto il pontificato del domenicano Pio V. Con ogni probabilità, è da rapportarsi a questa rinfocolata devozione la stampa, eseguita da Raphael Sadeler nel 1575, della Salus Populi 5 Riportato in I luoghi giubilari a Roma. Storia, spiritualità, arte, a cura di Andrea Lonardo, Torino, Edizioni San Paolo, 2000. 6 Su tali icone si veda Maria Andaloro, Bisanzio incontra Roma, in La rivoluzione dell’immagine. Arte paleocristiana tra Roma e Bisanzio, catalogo della mostra a cura di Fabrizio Bisconti e Giovanni Gentili, (Vicenza, Gallerie di Palazzo Leoni Montanari) Cinisello Balsamo, Silvana, 2007, pp. 84-99, in partic. p. 87. 7 Così Maria Andaloro, L’icona della Vergine Salus Populi Romani, in La Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, Roma 1988, pp. 124-127. 8 Per approfondimenti si vedano: Giorgio Mancini, Santa Maria della Neve, Napoli Ponticelli, Il Quartiere Edizioni, 1988; Giorgio Mancini, Iconografia Nivea. La devozione alla Madonna della Neve, Napoli Ponticelli, Il Quartiere Edizioni, 2000. Romani. 9 A questa seguirono varie trascrizioni incisorie dell’icona romana, come quella dell’altro fiammingo Hieronymus Wierix (1553-1619), il che determinò la più vasta e capillare diffusione della venerata immagine, con riflessi che raggiunsero anche le realtà più appartate. La pala della Madonna della Neve nella pieve di Quarantoli La pala dedicata al titolo mariano eponimo della pieve è documentata nel primo inventario noto, l'Inventarium omnium ecclesie archipresbiterialis Sanctae Marie ad Nives albis ville Quarantule, in data 10 aprile 1665, legato alla visita pastorale del vescovo Marliani di Reggio nella cui diocesi la parrocchia rientrava. 10 Il titolo della Madonna della Neve apparteneva a uno dei quattro altari laterali, mentre il maggiore era dedicato al SS. Sacramento. Attualmente la pala si trova sull’altare della navata sinistra, profondamente rimaneggiato dal canonico don Alberto Fedozzi (m. 1945) agli inizi del Novecento, che intese riportare il tempio a un ipotizzato originale aspetto romanico. 11 Raffigura il Miracolo della Madonna della Neve e le sante Caterina d’Alessandria, Agata, Apollonia e Lucia e appare assegnabile ad ambito ferrarese, in un clima di tardo manierismo ancora debitore all’asciutta prosa di Nicolò Roselli, sebbene ingentilito in certi tratti da influenze da Garofalo. Due date furono lette in occasione di un restauro: 1583 e 1598;12 il che ha fatto supporre “la possibilità di una lunga gestazione esecutiva”, 13 senza escludere una realizzazione in due tempi diversi, una per la raffigurazione del miracolo, l’altra per la serie delle quattro sante nell’estremità inferiore. La parte superiore della tela rappresenta la cerimonia di fondazione della basilica. Due sono i tempi in cui questa si scala: oltre un declivio, sotto il Colle Esquilino restituito al centro con una sommarietà quasi naif, si snoda il corteo pontificio, con papa Liberio riconoscibile dal triregno, preceduto da un chierico con la croce processionale, e seguito da cardinali, vescovi e chierici; verso l’alto, sulla destra alcune guardie svizzere sembrano presidiare la campagna. Quindi, al sommo del colle il papa, attorniato dalla corte di ecclesiastici in circolo, traccia con una vanga sul terreno il perimetro dell’erigenda basilica, attorno all’area ricoperta dalla neve. Sulla sinistra, sotto un cielo corrusco si staglia la mole ferrigna di Castel Sant’Angelo, – elemento che immediatamente localizza la scena a Roma - al cui sommo si dispiega al vento uno stendardo. Infine, in un cerchio di fumose nubi, la Madonna col Bambino è seduta contro uno sfondo di luce dorata, mentre il Figlio stante sulle sue ginocchia è in atto di benedire: un'iconografia che, pur con varianti come la Vergine a tutta figura, riecheggia l'archetipo della Salus Populi Romani, ovvero la Madonna della Neve, che s’è visto diffuso dalla stampa di Sadeler del 1575. La composizione appare distribuita su vari livelli, in una sorta di sovrapposizione di fasce orizzontali, in quanto lo stentato ma garbatissimo pittore non riuscì a imprimere profondità spaziale o respiro atmosferico, nonostante i diversi livelli di collinette e declivi con cui tentò di articolare il paesaggio teatro degli eventi. Solo parzialmente gli riuscì di evocare un qualche valore prospettico nella veduta di Castel Sant’Angelo; anche perché questa dovette esser copiata da una fonte incisoria, sul genere di quelle appartenenti a un celebre corpus di stampe, lo Speculum Romanae Magnificentiae, raccolta creatasi e così denominata ai primi degli anni settanta del Cinquecento, che radunava fogli raffiguranti la statuaria e i monumenti della Roma antica, fra cui il “CASTELLO. S. 9 Esemplare a Parigi, Bibliothèque Nazionale; ripr. in Arte e persuasione. La strategia delle immagini dopo il Concilio di Trento, catalogo della mostra a cura di Domizio Cattoi e Domenica Primerano, (Trento, Museo Diocesano), Trento, Temi, 2014, p. 74. 10 Gli inventari della pieve della Madonna della Neve sono conservati presso l’Archivio della Curia Vescovile di Carpi, in cui Quarantoli rientra; l’inventario citato è nella filza 36a, Quarantoli, fasc. 3. 11 Si vedano Graziella Martinelli Braglia, I dipinti della pieve della B. Vergine della Neve in Quarantoli, in Quarantoli e la sua pieve, cit. 1992, pp.116-124; Il canonico don Alberto Fedozzi e la pieve di Quarantoli, studi e ricerche, a cura di Mauro Calzolari e Carluccio Frison, Gruppo Studi Bassa Modenese, San Felice sul Panaro 1996, e Vilmo Cappi, Guida storica e artistica della Mirandola e dintorni, Mirandola 1981. 12 Il restauro fu eseguito da Carlo Barbieri di Modena nel 1978. 13 Martinelli Braglia 1996, cit., p. 117. ANGELO. DI. ROMA” di Nicolas Beatrizet (1507 o 1515-1565 circa) stampata da Antoine Lafréry (1512-1577). 14 Le rappresentazioni del corteo papale e della fondazione della basilica fissate nel dipinto ben s'adeguano alla religiosità rituale della Controriforma, che convalidava con il medium dell’arte i momenti corali della devozione, enfatizzando i riti esteriori del culto: processioni, rogatorie, dedicazioni, benedizioni, che sancivano il ruolo di intermediazione della Chiesa tra il fedele e Dio, ruolo messo in discussione dalla dottrina protestante. Si veda, esempio posteriore ma nella medesima temperie spirituale, la pala già nel coro della chiesa di San Giuseppe o del Molino a San Felice sul Panaro, databile agli anni quaranta del Seicento, spettante ad autore d'ambito modenese, dove in posizione centrale, sotto alla Madonna col Bambino e san Giuseppe in gloria, tra i santi Geminiano e Lorenzo, si snoda la processione dei confratelli di una pia unione verso una chiesa rurale (la stessa del Molino?) esortati da un frate predicatore.15 Nel settore inferiore della tela di Quarantoli, sul primo piano le quattro protomartiri sono effigiate con taglio poco più basso della vita, tipicamente manieristico: presenze immanenti che si rivolgono al fedele con sguardi diretti e quasi ammiccanti, i volti sorridenti, il tratto familiare, come nel gesto d’invito della mano di Caterina d’Alessandria. Questa è rappresentata a sinistra, riconoscibile dall’attributo della ruota uncinata infranta; a lei ci si rivolgeva per la protezione contro tutte le malattie, soprattutto contro l’emicrania perché la santa morì decapitata; era anche invocata dalle puerpere per il latte ai neonati, in quanto durante la sua decapitazione invece di sangue era sgorgato latte. Forse non è casuale che santa Caterina apra la serie delle sante, prima alla destra della Madonna in gloria, e dunque in posizione liturgicamente prioritaria, in quanto antica compatrona di Mirandola. Accanto a lei è Agata, martire di Catania, che mostra su un vassoio i seni, tagliati durante il suo martirio; era invocata contro le malattie del seno e in particolare durante l’allattamento. Seguono Apollonia, protettrice contro il mal di denti, che reca la tenaglia con uno dei denti che le furono estirpati nel martirio; e Lucia, la martire di Siracusa protettrice della vista, con l’attributo degli occhi su un piattello. La sequenza delle protomartiri, oltre a trasformare il dipinto in una pala dei “santi della salute”, si allinea a una folta corrente d’arte sacra diffusasi fra Cinque e Seicento, che intendeva recuperare e riproporre il culto dei primi martiri, in un clima controriformato che promuoveva un rinnovamento spirituale tramite il ritorno al Cristianesimo delle origini. Opera modesta per livello esecutivo, possiede connotazioni ingenue e arcaizzanti nell’iterazione delle soluzioni figurative, come nella rustica trascrizione dell’umanità benevola e gentile delle sante, con echi dai modi del ferrarese Garofalo, in particolare in Agata e Caterina. Ben s’adegua a quei precetti di evidenza illustrativa caldeggiati dalla Chiesa post tridentina, nell'immediata riconoscibilità delle sante e nel gusto aneddotico che caratterizza il racconto della fondazione della basilica romana. Ma soprattutto, vi si palesa quella rinnovata attenzione verso le antichità paleocristiane, e soprattutto per le antiche e venerate immagini mariane che si registra fin dagli ultimi decenni del Cinquecento, da poco conclusosi il Concilio di Trento: per la ripresa della Salus Populi Romani di Santa Maria Maggiore, il dipinto di Quarantoli si colloca accanto a pale come quella della cattedrale di Cremona, con la Salus e vari santi nel registro inferiore, realizzata da Luca Cattapane del 1596, o la Salus in gloria e i santi Pietro e Paolo e, sullo sfondo, Castel Sant’Angelo nella chiesa di Santa Maria Assunta di Arco (Trento), tela cinquecentesca del pittore trentino Giovanni Antonio Zanoni, 16 per citare solo due fra i tanti esempi. 14 Un esemplare dello Speculum è conservato a Firenze, Casa Buonarroti. Si veda Graziella Martinelli Braglia, Arte e artigianato nella chiesa del Molino in San Felice sul Panaro, in Le chiese di San Felice sul Panaro, a cura di Mauro Calzolari e Davide Calanca, voll. 3, San Felice sul Panaro, Gruppo Studi Bassa Modenese, 2014, vol. III, pp. 52-68, in partic. p. 55-56. 16 Si vedano Domizio Cattoi, La strategia delle immagini nel principato vescovile tridentino dopo la chiusura del concilio, in Arte e persuasione, cit., pp. 55-85, in partic. P. 76, e Laura Dal Prà, Un baluardo nella riscossa cattolica: Maria, ivi, pp. 87-97, in partic. P. 96 nota 14. 15 La pala di Quarantoli si ergeva su un altare, demolito durante i “rifacimenti” di don Fedozzi, il cui prospetto era decorato dal seicentesco paliotto in scagliola ora nella navata sinistra, spettante alla bottega del carpigiano Giovanni Battista Barzelli (1637-1693). 17 Sotto le fasce che imitano le bordure in pizzo delle tre tovaglie sulla mensa eucaristica, alle estremità laterali si dispongono due candelabre, e quindi due anfore di gusto barocco con gigli, garofani, tulipani e altri fiori in rigida simmetria su tavoli coperti da drappo, soli inserti colorati nel paliotto bianco e nero. Il riquadro centrale incorniciato da volute, che come consuetudine palesa l’intitolazione dell’altare, mostra una Madonna col Bambino di tre quarti, circondata da un alone di nubi sopra un abitato; in essa ben si riconosce, pur nel differente linguaggio stilistico, il modello della Salus Populi Romani, forse derivata dalle trascrizioni incisorie, a riprova di una fedeltà anche iconografica alla dedicazione della pieve. Varrà ricordare, nella rara produzione di paliotti in scagliola carpigiana con questa iconografia, il paliotto nella chiesa della Beata Vergine del Popolo a Novellara, in area reggiana; eretta dal 1704, accolse l’affresco della Madonna della Neve in origine sulla porta d’accesso al castello. Il paliotto in scagliola policroma, ascritto a Giovanni Massa (1660-1741), rappresenta al centro di una notevole prospettiva architettonica, circondata da nubi, la testuale immagine sinora non identificata della Salus Populi Romani. 18 Il culto della Madonna della Neve nel Modenese La pieve di Quarantoli fu certamente presenza autorevole, nella bassa pianura, per il diffondersi del culto della Madonna della Neve, attestato dall’intitolazione di chiese e di oratori. Sotto questo titolo è la parrocchiale di Motta sulla Secchia, frazione di Cavezzo, che sembra essere derivata da una cappella trecentesca innalzata dalla nobile famiglia Azzolini. Soggetta quindi alla parrocchiale di Cavezzo, fu in seguito sottoposta all’antica pieve di San Silvestro di Roncaglio, dipendente dall’abbazia nonantolana, sorta in un luogo strategico per il controllo del corso del fiume Secchia; eretta a chiesa battesimale nel 1512, esibisce una struttura monumentale che risale alla riedificazione del 1642, con rifacimenti della fine dell’Ottocento.19 La raffigurazione della Vergine eponima è affidata, oltre che a una statua della Madonna col Bambino ispirata al modello della Salus Populi Romani, 20 anche a un notevole dipinto di ambito modenese, eseguito attorno al 1672 su probabile committenza dei nobili Federici Zuccolini, con Sant’Antonio da Padova che venera l’immagine della Salus Populi Romani, appunto la Madonna della Neve. L’icona, sorretta e mostrata da angeli in volo al santo in preghiera, era sinora erroneamente ritenuta della Madonna di San Luca, 21 se non che la disamina iconografica – ad esempio, il peculiare attributo del libro tenuto dal Bambino – palesa la derivazione dall’immagine romana, probabilmente nota attraverso fonte incisoria. Antiche sono le radici anche della chiesa di Santa Maria della Neve a Quartirolo di Carpi, un tempo pieve rurale e ora parrocchiale dell’estrema periferia urbana. Eretta extra moenia, verso il Lama, corso d’acqua che ha dato il nome all’odierna arteria stradale, assunse la cura delle anime della scomparsa pieve di San Tommaso della Lama, documentata dall’VIII secolo - e, pare, precedente alla stessa pieve di Santa Maria in Castello nota come la Sagra – poi caduta in rovina e demolita nel Cinquecento. L’odierna chiesa, edificata dal 1574 reimpiegando i materiali edilizi di San Tommaso e del vetusto oratorio di Santa Maria del Bosco nella vicina Limidi, ebbe origine da un oratorio, 17 Si veda Alfonso Garuti, L’arredo sacro della pieve di Santa Maria della Neve di Quarantoli, in Quarantoli e la sua pieve, cit., pp. 125-159, in partic. p. 135. 18 L’opera è riprodotta in Graziano Manni, I maestri della scagliola in Emilia Romagna e Marche, Modena, Artioli, 1997, pp. 190-191. 19 Si veda Gian Luca Tusini, Chiesa parrocchiale di Santa Maria ad Nives. Motta sulla Secchia, in Per una storia di Cavezzo, Comune di Cavezzo-Fondazione culturale “Gino Malavasi”, 2002. 20 Riprodotta in I danni del terremoto ai luoghi della fede nella Bassa Modenese, Amici del santino di Rivara, 2012, p. 56. 21 Si veda Alfonso Garuti, scheda 11, in L’arte nell’epicentro. Da Guercino a Malatesta. Opere salvate nell’Emilia ferita dal terremoto, catalogo della mostra (Nonantola, Museo Benedettino e Diocesano d’Arte sacra), Modena, Artestampa, 2014, p. 89. anzi un piccolo santuario sorto nel 1538 per custodire una venerata immagine mariana appesa a un pioppo, detta Madonna della Giandegola – dalla località – o della Pioppa o, appunto, della Neve; ricevette le forme attuali nel corso del Settecento e quindi, fra il 1846 e il 1872, fu ristrutturata su progetto dell’ingegnere Alessandro Cabassi. 22 Testimonianza legata a questo culto mariano è lo stendardo processionale degli inizi dell’Ottocento, eseguito dal conte Leonello Bonasi, carpigiano “dilettante” di pittura, con la Madonna della Neve e la veduta di Roma. In area finalese, nella campagna di Massa l’oratorio della Madonna della Neve innalza una suggestiva architettura dalle euritmiche forme che risalgono al Quattrocento: d’impianto rettangolare con copertura a due falde, è caratterizzato da paraste lisce che terminano in arcate a tutto sesto, cieche, che modulano le superfici esterne, d’ordine decrescente sulla facciata, con analogie rispetto all’oratorio di San Lorenzo a Finale. 23 Nella vicina Reno, isolato nella pianura, sorge un piccolo oratorio con la stessa dedicazione, dal semplice prospetto a capanna e retrostante sagrestia, provvisto di campanile a vela. 24 Nella provincia di Castelfranco Emilia, fino al 1929 in territorio bolognese e tuttora facente parte di quella arcidiocesi, alla Madonna della Neve è intitolata la parrocchiale di Rastellino. Sul suo altare maggiore si ergeva una scomparsa pala che raffigurava questa Madonna con sant’Agostino e santa Giuliana de’ Banzi; probabilmente, il suo prototipo era stata la Madonna della Neve con le sante Lucia e Maddalena di Guido Reni, realizzata attorno al 1623 per la chiesa di Santa Maria Corteorlandini a Lucca e ora nella Galleria degli Uffizi. Prese quindi il suo posto una tela dei primi dell’Ottocento, ora nella canonica, che rappresenta questa Vergine su nubi e sotto un angelo con le braccia aperte sulla veduta notturna di Roma, a indicare la prodigiosa nevicata. Infine, questa pala fu sostituita da altra di Giorgio Scaramelli (sec. XX), con la Vergine col Bambino su un generico paesaggio padano; ma vecchie fotografie restituiscono, in suo luogo, un panorama romano con l’Esquilino imbiancato, brano ricoperto e ridipinto che alludeva alla dedicazione della Basilica liberiana. 25 Era questa una soluzione iconografica che talora si riscontra nel corpus della Madonna della Neve, ad esempio nel cinquecentesco dipinto della pieve di San Zenone a Rolo di Reggio Emilia, attribuito da Angelo Mazza al reggiano Bernardino Campi (1521-1591): probabilmente commissionato come stendardo da una compagnia religiosa, mostra la Madonna col Bambino seduta su una nube e, sotto, una sommaria veduta paesaggistica con al centro un colle innevato. 26 Sempre a Rastellino, reca questo titolo l’oratorio fondato nel 1745 dal conte Pietro Gioannetti, o Giovannetti, che volle così dotare la propria corte di un edificio di culto, coronato da timpano, con campanile a vela: Era in origine intitolato alla Beata Vergine della Mercede, ma venne ribattezzato dalla pubblica devozione “della Neve” a ricordo di una nevicata, o più probabilmente di una copiosa grandinata avvenuta in agosto; all’interno, nell’unico altare è posto il dipinto di una Madonna col Bambino priva di particolari attributi. 27 Ancora, nei pressi della vicina Piumazzo sorgeva un oratorio di Santa Maria ad Nives, detto della Capacella, un tempo appartenuto ai conti Albergati di Bologna. 28 Procedendo oltre Modena, verso meridione, a Pozza di Maranello s’incontra un oratorio con questo titolo, entro l’antico complesso rurale del borgo Feudo Serraglio in via San Donnino. Più nota è la chiesa di Santa Maria del Tiepido, presso Castelnuovo Rangone, sulla riva del torrente Tiepido: tempietto di origine medievale documentato dal 1112, mostra testimonianze romaniche nella 22 Si veda Alfonso Garuti, Dante Colli, Carpi. Guida storico-artistica, Carpi, Il Portico, 1990, pp. 298-303. Ivi, p. 109. 24 Ivi, pp. 119-120. 25 Si veda Michele Danieli, in Ecclesia. I beni ecclesiastici del territorio di Castelfranco Emilia, catalogo, San Giovanni in Persiceto, Grafiche Beccari, 2005, pp. 356-357 e 363 fig. 509. 26 Si veda Angelo Mazza, in L’esercizio della tutela. Restauri tra Modena e Reggio Emilia (1985-1998), a cura di Laura Bedini, Jadranka Bentini e Angelo Mazza, Modena, Poligrafico Artioli, 1999, pp. 167-168. 27 Si veda Ville e palazzi storici a San Cesario sul Panaro, Castelfranco Emilia, Nonantola, a cura di Giovanni Maria Sperandini, Centro Studi Nonantolano, Modena, Mucchi, 2000, pp. 82-85. 28 Così Danieli, in Ecclesia, cit., pp. 356-357. 23 struttura a capanna e in una finestrella monofora strombata; custodisce nell’interno un affresco della Madonna col Bambino, ridipinto, che sembrerebbe risalire al secolo XVI. Con la stessa dedicazione mariana è la parrocchiale di Corlo, frazione di Formigine. L’odierno edificio fu innalzato fra il 1799 e il 1816 su progetto del noto architetto neoclassico Giuseppe Maria Soli, con modifiche nel 1905. Secondo la tradizione, l’affresco ivi conservato della Madonna della Neve proviene da un’antica edicola che, nella seconda parte del Seicento, era stata trasformata in minuscola cappella, poi ampliata in oratorio e infine divenuta chiesa. In origine, l’immagine era limitata all’icona, di sagoma circolare, della Madonna col Bambino, a cui furono aggiunte le figure del domenicano san Vincenzo Ferreri e di santa Lucia ai primi dell’Ottocento; l’affresco fu poi trasportato su tela nel 1897 dal restauratore modenese Secondo Grandi su committenza del parroco don Zefirino Zilibotti. 29 Proseguendo verso l’Appennino, a Samone di Guiglia si erge nel borgo ai piedi del “Castello”, nucleo fortificato medievale, un oratorio della Madonna della Neve, attestato dal secolo XVI e già dedicato a sant’Antonio da Padova, poi ricostruito dal 1848 al 1852; sull’unico altare è posta una tela ottocentesca della Madonna col Bambino.30 Nel centro storico di Montese, all’inizio dell’abitato s’innalza l’oratorio della Madonna della Neve o del Poggio, documentato dal 1629, quindi ingrandito e ristrutturato nel 1783 e nell’Ottocento; lo caratterizza la struttura ottagonale della lanterna che collega i due corpi di pianta rettangolare dell’aula e del presbiterio. 31 Sempre nell’area montesina, a Castelluccio presso Casa Carli, borgo con edifici anche vetusti, nel 1965 venne costruita una cappella sotto il titolo di questa Vergine e di san Lorenzo, che sostituì una precedente chiesetta.32 Ben due oratori s’intitolano alla Madonna della Neve a Olina di Pavullo nel Frignano: entrambi nella diffusissima tipologia rustica a capanna, con tetto a due falde, si trovano l’uno in località Chiesaccia, l’altro sulla piazzetta della stessa Olina. 33 Di peculiare interesse storico-artistico è l’oratorio – o meglio una piccola chiesa - a Fanano, nella parte alta dell’abitato, vicino alle pertinenze dell’antichissima chiesa di San Colombano. Venne innalzato nel 1707 da don Antonio Maria Pasquali a opera del capomastro fananese Giovan Francesco Contri; 34 da allora è sempre appartenuto alla notabile famiglia del committente, che vi possiede sepolture databili fino all’Ottocento. E’ anzi parte integrante del complesso palaziale dei Pasquali, una corte con dimora signorile che diede il nome alla strada, via Palazzo, su cui prospetta la facciata della chiesetta. La struttura è d’impianto rettangolare, con copertura a capanna e portale architravato, ai lati del quale si aprivano due finestre, eliminate nella ristrutturazione del 1929 per risarcire i danni di precedenti terremoti. Sull’altare, entro un’imponente ancona in legno intagliato, è collocata una notevole pala con la Madonna col Bambino e un angelo in gloria e quattro santi nella parte inferiore, fra cui sant’Antonio da Padova e santa Teresa d’Avila, con ogni probabilità coeva all’innalzamento del tempietto. Tuttora, nella ricorrenza del 5 agosto, la famiglia Pasquali cura di farvi officiare una funzione religiosa. Particolarissima è la vicenda della cappella-santuario della Madonna della Neve sul Monte Cimone, alla quota di 2.165 metri. Sorse per iniziativa del conte Giuseppe Bayard de Volo, grazie al 29 Si veda Gaetano Ghiraldi, Le Chiese della terra di Formigine, in Formigine. Un paese, la sua storia, la sua anima, a cura di Gabriella Ferrarini e Angelo e Michele Stradiotti, Milano, Telesio, 1997, pp. 107-154, in partic. p. 148. Si segnala inoltre Zefirino Zilibotti, Notizie storiche intorno al culto e ai miracoli della Beata Vergine della Neve venerata nella Chiesa parrocchiale di Corlo, Modena, Immacolata Concezione, 1898. 30 Si veda Insediamento storico e beni culturali. Alta Valle del Panaro. Comuni di Guiglia, Marano sul Panaro, Montese, Zocca, coordinamento scientifico di Vito Fumagalli, Modena, Coptip, 1988, p. 232. 31 Ivi, p. 389. 32 Ivi, pp. 331-332. Sempre a Castelluccio, l’oratorio detto del Monte di via Belvedere sarebbe dedicato alla Madonna della Neve; risalente alla metà dell’Ottocento, ha subito recenti danni alla copertura. Si veda l’articolo di Walter Bellisi, Oratorio. Ritrovata la campana, in “Il Resto del Carlino”, 8 luglio 2013, p. 5. 33 Si veda Insediamento storico e beni culturali. Il Frignano, vol. II, coordinamento scientifico di Marina Foschi e Sergio Venturi, Modena, Coptip, 1998, pp. 141-142. 34 Si vedano: Insediamento storico 1998, cit., p. 47; Alfredo Silvestri, Fanano sacra: cielo e terra d’Appennino, Centro Studi Nonantolani, Livorno, Debatte, 2005, pp. 146-147. sostegno di un comitato presieduto da Giulio Amorth, con posa della prima pietra il 18 agosto 1900; progettata dall'ingegner Giovanni Coppi, a cui successe nella direzione dei lavori l'ingegner Alfredo Galassini, venne consacrata il 12 agosto 1908. E’ di struttura pressoché cilindrica, sormontata da cupola, con cornicione che sulla facciata forma una sorta di frontone che enfatizza il portale a tutto sesto. All’interno, sull’altare in sasso è posta una statua della Vergine, con la scritta sul basamento: “NUBIBUS ALTIOR / NIVE CANDIDOR”: più alta delle nubi, più candida della neve. Tradizionale è il pellegrinaggio che ogni 5 agosto vede una grande folla salire al santuario per assistere alla messa officiata dall’autorità vescovile. 35 Sempre legata a un’emergenza turistica dell’Appennino fu la costruzione dell’oratorio alle Piane di Mocogno, in località La Santona, consacrato nel luglio del 1928; innalzato su disegno dell’ingegner Luppi, completava la stazione sciistica promossa da cavalier Enea Carlotti, Presidente del Club Alpino Italiano. 36 Un oratorio della Madonna ad Nives sorge anche a Polinago: verso la metà dell'Ottocento, nel corso della profonda ristrutturazione della parrocchiale di Santa Maria voluta da don Lorenzo Casolari, fu ricavato ampliando l'adiacente cappella già detta del Gonfalone; caduto in disuso, è stato restaurato nel 1972. 37 Nella vicina frazione di Gombola, nel borgo Ca’ del Ghetto - o, più propriamente, Ca’ del Ghiddo - dall’inizio del Settecento esisteva un altro oratorio annesso al palazzo padronale, tuttora dei discendenti dell’antica famiglia Cabri. La chiesetta, presso il muro di cinta della corte e con accesso anche dall’esterno, poteva così rivestire un ruolo anche nella pubblica devozione. Possiede un prospetto a capanna delimitato da conci angolari, portale e finestrelle laterali architravati e rosone superiore formato da un blocco tondo monolitico. Anche qui è mantenuta la tradizione di celebrare la liturgia eucaristica nella festività del 5 agosto.38 Vero e proprio santuario è a Madonna di Pietravolta, frazione di Frassinoro ma nella diocesi di Reggio Emilia, lungo il percorso che porta al Passo delle Radici, sull’antica via Bibulca; sembra anzi che anticamente vi fosse annesso un piccolo ospizio per i pellegrini. Sin dal Cinquecento pare esistesse una cappella dedicata a questo titolo mariano, che custodiva un’immagine miracolosa trasferita nel 1642 a Riccovolto, quindi a Fontanaluccia, e infine ricollocata a Pietravolta, in una nuova chiesa eretta accanto all’antica cappella; qui nel 1792 venne costruita una terza chiesa, ristrutturata nel 1850. Nell’attuale santuario, che è rifacimento del dopoguerra in stile neomedievale, l’immagine mariana sull’altare maggiore è un rustico dipinto settecentesco raffigurante la Madonna di Loreto e i santi Pellegrino - di venerazione tipicamente montanara - e Lucia. L’antica confraternita della Madonna della Neve a Modena Le vicende artistiche più interessanti sono quelle dell’antico ospedale e oratorio della Madonna della Neve di Modena. 39 Nel 1331 una compagnia di Flagellanti acquistò il luogo ove sarebbe sorto l’oratorio e la Scuola di Santa Maria della Neve, vicino alla chiesa del Carmine; l’anno successivo si costituì la confraternita di questo titolo, detta anche dei Battuti, che radunava esponenti di famiglie nobili e del cospicuo ceto mercantile, i quali vestivano una lunga cappa bianca e cappuccio. Nell’ospedale annesso, la Compagnia, che aveva stilato i suoi Capitoli nel 1334, s’era distinta nell’assistenza e nella sepoltura degli appestati durante l’epidemia del 1347; oltre a curare gli ammalati, raccoglieva e allevava gli esposti, manteneva ed educava gli orfani, forniva la dote 35 Si veda Giancarlo Montanari, Itinerari Mariani. Viaggio attraverso i Santuari dedicati a Maria nel Modenese, Fidenza, Mattioli, 1991, pp. 62-67. 36 Si veda Insediamento storico, vol. II, 1998, cit., pp. 58-59. 37 Ivi, p. 198. 38 Si vedano Paride Candeli, Gombola di Polinago, Modena, Teic, 1981; Insediamento storico, 1998, vol. II, cit., pp. 178-179. Si ringrazia Patrizia Turrini Candeli per le gentili informazioni. 39 Si vedano: Gusmano Soli, L’Ospedale e l’oratorio di Santa Maria della Neve, in Chiese di Modena, a cura di Giordano Bertuzzi, Modena, Aedes Muratoriana, 1974, vol. II, pp. 411-413; Alessandro Tassoni seniore, Cronaca di San Cesario. Dalle origini al 1547, a cura di Rolando Bussi, Mantova, Publipaolini, 2014, p. 85. alle giovani indigenti ed elargiva elemosine ai bisognosi. 40 Dal 1542, dopo che i suoi beni erano stati incamerati dalla Sant’Unione delle Opere Pie, si limitò all’attività religiosa. Trasferitasi nel 1775 in San Giovanni del Cantone e chiuso l’oratorio, fu sciolta nel 1783 con le soppressioni ducali di confraternite, parrocchie e conventi; i locali furono allora adibiti a magazzino, a stalla e infine ad abitazione. 41 L’oratorio sorgeva sull’angolo nord-ovest dell’isolato attualmente compreso fra via Emilia, via del Carmine e vicolo Fosse, con prospetto a settentrione su quello che sarebbe divenuto il piazzale Boschetti. Era stato aperto al pubblico nel 1352 con solenni festeggiamenti, significativamente, nella prima domenica di quell’agosto. Sull’altare maggiore innalzava la grande pala di Pellegrino Munari con la Madonna col Bambino in trono, angeli e i santi Geminiano e Girolamo (Ferrara, Pinacoteca Nazionale), consegnata il 4 agosto del 1509, alla vigilia della festività del Miracolo della Neve: capolavoro del Rinascimento modenese, appare prossimo ai modi di Francesco Bianchi Ferrari, con forti influssi dalla pittura del bolognese Francesco Francia. 42 Se questa eletta presenza d’arte non recava particolari riferimenti all’iconografia della Madonna ad Nives, ma si richiamava soprattutto, oltre che alla Vergine, al Vescovo patrono di Modena e al penitente san Girolamo – è infatti nota anche come la “pala dei Battuti” – altri dipinti nell’oratorio si riallacciavano fedelmente alla traditio della fondazione della Basilica Liberiana. Così due tele di Sigismondo Caula (1637-1724), tra i maggiori esponenti della pittura nel Ducato estense fra Sei e Settecento, che erano esposte sulle pareti laterali del coro e che illustravano, come riporta dom Mauro Alessandro Lazarelli nel 1714, l’uno “la Beata Vergine in gloria sedente che parla ad un uomo et una donna, che sonosi genuflessi avanti, che saranno li due marito e moglie, che senza prole promisero colle loro sostanze di fabbricare alla Vergine il tempio in Roma”; l’altro “un Papa in trono, che parla ai due, che sonovi inginocchiati avanti, cioè a due sodetti, lo che esprime quando Giovanni narrò a Liberio Papa quel ciò, che eragli accaduto e che in sogno era stato dal Pontefice veduto”,43 opere disperse, databili dopo il 1690, data del lascito testamentario di Giacomo Chinelli che ne disponeva l’esecuzione. Ancora di Caula era il gonfalone processionale della confraternita eseguito su seta (Modena, Museo Civico d’Arte), che l’artista aveva realizzato, come altri dipinti per l’oratorio, a titolo gratuito in quanto egli stesso confratello per un quarantennio fino alla morte. La Vergine vi è raffigurata stante, in atto di accogliere sotto le falde del manto due confratelli inginocchiati, incappucciati e coperti da sai bianchi come la sua tunica, uno dei quali in atto di percuotersi con catene. Caula dunque non raccoglie l’archetipo della Salus Populi Romani, nonostante la si identificasse da secoli nella Madonna della Neve, bensì adotta un’iconografia forse più confacente alla dimensione spirituale della pia unione, e che si ritrova già attestata nel capolettera miniato di un codice della stessa Compagnia; 44 recupera infatti una soluzione compositiva arcaica, che risale al prototipo medievale della Madonna della Misericordia, caro alle antiche confraternite e agli ordini religiosi, e lo rivisita in un’esecuzione dal tratto rapido e brillante, ricco di riflessature e di rialzi tonali. 45 E se lo schema appare ieratico, nella sua semplificata simmetria, la tenera sollecitudine dell’atteggiarsi della 40 Per approfondimenti si rimanda a: Anna Rosa Venturi Barbolini, Note sulla devozione a Modena, in Legenda Aurea. Iconografia religiosa nelle miniature della Biblioteca Estense Universitaria, presentazione di Ernesto Milano, catalogo della mostra (Biblioteca Estense), Modena, Il Bulino, 2001, pp. 167-186, in partic. pp. 170 e 183 nota 13. 41 Si rimanda a Graziella Martinelli Braglia, Presenze artistiche di insediamenti assistenziali nella Modena fra Tre e Seicento, in La Chiesa modenese e il problema dell’assistenza nei secoli XIII-XVII, atti del convegno di studi (Modena, 13-14 aprile 2000) a cura di Antonino Leonelli, Gian Carlo Montanari e Mario Pecoraro, Modena, Il Fiorino, 2000, pp. 245-266, in partic. pp. 250-253. 42 Si veda Daniele Benati, Francesco Bianchi Ferrari, Modena, Artioli, 1990, pp. 127-129. 43 Mauro Alessandro Lazarelli, Pitture delle Chiese di Modana, ms. sec. XVIII, edizione a cura di Orianna Baracchi Giovanardi, Modena, Aedes Muratoriana, 1982, pp. 68-69. 44 Biblioteca Estense Universitaria di Modena, Congregazione di Carità, Codice n. 5, c. 1 r.; ripr. in Legenda aurea, cit., p. 170. 45 Per la vicenda del dipinto si veda Stefano Tumidei, in Le raccolte d’arte del Museo Civico di Modena, Modena, Franco Cosimo Panini, 1992, pp. 105-107. Il dipinto, nell’oratorio fino al 1783, passò con le proprietà della confraternita all’Opera Pia dei Poveri Vergognosi; entrò poi nella raccolta Campori e giunse al Museo Civico nel 1887 con il lascito del marchese Giuseppe. Vergine verso i confratelli, incappucciati eppure fortemente espressivi nella loro gestualità, vivifica il testo figurativo. L’immagine, che come gonfalone doveva sfilare nelle processioni entro una struttura lignea che si sa di fattura ricercata, in legno intagliato, pomoli decorati e fiocchi ricadenti, doveva apparire emblematica della devozione cittadina, tanto più che fra gli ultimi anni del Seicento e i primi del Settecento venne incisa all’acquaforte per la sua più ampia diffusione; se ne conserva tuttora la matrice in rame (Modena, Museo Civico d’Arte).46 Osservazioni sul culto della Madonna della Neve in area modenese E’ ipotizzabile che proprio la compagnia modenese dei Battuti, o di Santa Maria della Neve, contribuisse con la sua accesa e macerata spiritualità, tipica della fine del Medioevo, l’esemplarità della sua opera e l’autorevolezza dei suoi adepti a propagare nel territorio questa devozione mariana; d’altro canto, nella stessa Mirandola era sorta, documentata dalla fine del Trecento, una confraternita dei Battuti che aveva dato vita all’Ospedale di Santa Maria Bianca, e che nel 1441 aveva goduto dell’importante lascito di Gherardo Padella – dell’illustre consorteria dei Figli di Monfredo - coniugato ad Antonia di Francesco Pico. 47 In quanto alla città di Modena, la venerazione di Santa Maria ad Nives, oltre che presso la confraternita a lei dedicata, doveva essere presente anche in altri luoghi di culto; si ha, per esempio, notizia di una statua di questa Vergine nello scomparso monastero di Sant'Orsola, collocata nella chiesa interna delle monache. 48 La sua festività doveva essere particolarmente sentita, se nella ricorrenza del 5 agosto 1689 nella chiesa conventuale si recò il cardinale Rinaldo d’Este, futuro duca, accompagnato dai cavalieri del suo seguito.49 Emerge infine, da questo excursus rapido e assolutamente non esaustivo sulle dedicazioni alla Madonna della Neve di edifici sacri in area provinciale, come varie siano le rispettive motivazioni. Sembrano piuttosto rari i casi in cui palesemente ci si riferisce alla Vergine ad Nives venerata nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore, che si identifica iconograficamente nell’antica Salus Populi Romani: così, ad esempio, nelle parrocchiali di Quarantoli, Motta di Cavezzo, Quartirolo di Carpi, Rastellino di Castelfranco Emilia, dove si rinvengono documenti artistici – dipinti, paliotti d’altare – dall’iconografia riferibile a quella Madonna. Più spesso, soprattutto per oratori privati, la scelta del titolo pare da riferirsi a inconsuete nevicate fuori stagione, o a grandinate estive, talora determinando una sostituzione della pristina dedicazione; e in quei casi, si espone al culto un’immagine generica della Madonna col Bambino, piuttosto che la raffigurazione della Salus. E ancora, nell’area appenninica più elevata l’intitolazione può esser suggerita dal persistere delle nevi; o anche, in tempi più recenti, collegata alle mete dell’escursionismo, alle emergenze naturalistiche di carattere simbolico, o ai luoghi degli sports invernali, come nei casi del santuario sul Monte Cimone e della cappella alle Piane di Mocogno. Ma certamente, e soprattutto nel passato, dovette essere determinante per il diffondersi del culto la consuetudine del pellegrinaggio a Roma, che aveva tra le sue mete le basiliche, di cui la più antica mariana era appunto Santa Maria Maggiore, che si riteneva nata dal Miracolo della Neve. E la fama - e l’immagine stessa - della Salus ivi 46 Ripr. in Martinelli Braglia 2000, cit., p. 261. E’ stata di recente posta in forte dubbio la provenienza dall’oratorio della pala tradizionalmente ritenuta di Dosso Dossi con la Madonna col Bambino, i santi Francesco d’Assisi e Bernardino da Siena e confratelli (Modena, Galleria Estense) che Giovanna Paolozzi Strozzi ascrive a Giacomo Bertucci detto Jacopone da Faenza (1502-1579) e a suoi collaboratori, vagliandone la possibilità della sua originaria collocazione presso altri pii sodalizi: Giovanna Paolozzi Strozzi, in Nicolò dell’Abate. Storie dipinte nella pittura del Cinquecento tra Modena e Fontainebleau, catalogo della mostra (Modena, Foro Boario) Cinisello Balsamo, Silvana, 2005, pp. 211-213. 47 Si veda Graziella Martinelli Braglia, Scheda n. 3, in Arte a Mirandola al tempo dei Pico, catalogo della mostra a cura di Vittorio Erlindo (Mirandola, Centro Culturale Polivalente – Mantova, Palazzo Ducale), Mantova, Publi Paolini, 1994, pp. 99-101, in partic. p. 99. 48 Si veda Gusmano Soli, La Chiesa ed il Monastero di S. Orsola, in Chiese di Modena, cit., vol. III, pp. 49-62, in partic. p. 61. 49 ASMo, Corporazioni soppresse, Monache di S. Orsola in Modena, f. 2407, “Libro memoriale degli atti delle monache, 167.1744”, c. 180. venerata si propagò nei secoli tramite le stampe, presso gli strati sociali sia alti che popolari, oltre che da oggetti, come le medaglie devozionali, 50 appartenenti alla sfera religiosa personale. 50 Si vedano gli esemplari delle medaglie devozionali della Salus nella Collezione dei Cappuccini di Reggio Emilia, in Alfonso Garuti, Corone del rosario, medaglie devozionali e “Agnus Dei” nelle Collezioni dei Cappuccini di Reggio Emilia, Reggio Emilia, Bizzochi, 1996, pp. 129 nn. 137 e 138.