Restoration of Films

Antologia di two reels scelti tra quelli del periodo più proficuo e fantasioso del duo Stan Laurel & Oliver Hardy e il cui titolo si rifaceva in chiave parodica al leggendario kolossal e successo cinematografico hollywoodiano «Via col vento» (Gone with the Wind, 1939), "Via convento" apparve nelle sale cinematografiche italiane nel secondo dopoguerra (1947). Il film era ricavato abbinando tre cortometraggi comici già usciti in Italia negli anni '30 ma adattati con nuovo doppiaggio – Scram, Me and My Pal e One Good Turn.  In quest'ultimo, di James W. Horne, Stanlio e Ollio, vittime della Depressione, si sentono paladini di tutte le cause perse, regalandoci fotogrammi indimenticabili, intrisi di humor e comicità.
L'intera colonna sonora del film è stata ricostruita a partire da più elementi sopravvissuti in pellicola 35mm (ad eccezione di soli 10 secondi di dialogo andati perduti, probabilmente già sullo stesso negativo, reintegrati in inglese con sottotitoli in italiano), e anche mediante lo studio e la digitalizzazione di pellicole 16mm conservate in archivi privati e pubblici. Il doppiaggio in questione riporta le voci di Alberto Sordi e Mauro Zambuto, tornato ora al suo massimo splendore per questo titolo grazie al progetto SOS STANLIO E OLLIO.

Laurel e Hardy sono stati il duo comico più amato e di maggiore successo nella storia del cinema, avendo al loro attivo una collaborazione di oltre 30 anni, in più di 100 film. Visibili ovunque, i loro film hanno fatto ridere intere generazioni. Ma attualmente Stanlio e Ollio si ritro-vano "in another fine mess!" (in un altro bel pasticcio). I loro film versano in pessime condizioni di conservazione. E ciò proprio a causa della loro straordinaria popolarità: le copie in pellicola dei film del duo sono state proiettate centinaia e centinaia di volte, e risultano perciò logore e strappate. Spesso sono state addirittura ridotte a brandelli per inserirle come riempi-tivi dei palinsesti televisivi. La capillare diffusione nel cinema di seconda, terza e quarta visione, nelle sale parrocchiali, ha fatto sì che i negativi originali-oggi il più delle volte irreperibili fossero sovrastampati e duplicati subendo gravi danni e usura. Nel corso della XVIII edizione de "I mille occhi-Festival internazionale del cinema e delle arti" di Trieste, presso il Teatro Miela dal 13 al 18 settembre 2019, in collaborazione con importanti istituzioni di recupero cinematografico ed altrettanto significativi enti di divulgazione filmica come la Cineteca del Friuli, l' Istituto cinematografico dell'Aquila "La lanterna magica", il "Festival internazionale del cinema e delle arti", e Diari di Cineclub, siamo lieti di rendere ufficiale una autentica "missione impossibile" di cui ci siamo fatti promotori: recuperare e restaurare, nel migliore dei modi, grazie alle nuove tecnologie, il patrimonio filmico della coppia in versione italiana, quella caratterizzata dalle comiche battute dagli accenti storpiati, da quel timbro di voce baritonalmente simpatico che all'uopo viene prestato all'attore Oliver Hardy, in virtù della parola doppiaggio, e dal tipico falsetto di Stan Laurel.

Open Access: https://www.oapen.org/search?identifier=1005139;keyword=fossati
Almost a decade after its first publication, this revised edition covers the latest developments in the field. Besides a new general introduction, a new conclusion, and extensive updates to each chapter, a novel theoretical framework and an additional case study have been included.

In From Grain to Pixel, Giovanna Fossati analyzes the transition from analog to digital film and its profound effects on filmmaking and film archiving. Reflecting on the theoretical conceptualization of the medium itself, Fossati poses significant questions about the status of physical film and the practice of its archival preservation, restoration, and presentation.
From Grain to Pixel attempts to bridge the fields of film archiving and academic research by addressing the discourse on film's ontology and analyzing how different interpretations of what film is affect the role and practices of film archives. By proposing a novel theorization of film archival practice, Fossati aims to stimulate a renewed dialogue between film scholars and film archivists.
https://www.aup.nl/en/book/9789463725002/from-grain-to-pixel

Il restauro cinematografico è un’attività che sembra esercitare un notevole fascino sul pubblico contemporaneo: film “restaurati” vengono proposti nei circuiti di prima visione, pubblicizzati sui quotidiani, commercializzati come prodotti di eccellenza. A fronte di questo successo di popolarità, i principi, la storia e la prassi della disciplina rimangono spesso per il pubblico dei non addetti ai lavori un territorio misterioso, inesplorato e segreto.
Capire cosa significa davvero restaurare un film vuol dire anche (soprattutto) interrogarsi sul senso di una pratica che richiede grossi investimenti di denaro, tempo e risorse. Perché restaurare i film? Può considerarsi una priorità di politica culturale?
La risposta che si sceglie di dare a queste domande è destinata a influenzare il futuro dei film e il loro rapporto con gli spettatori di oggi e di domani, specie in un’epoca in cui la transizione al digitale pone il cinema di fronte a una delle più grandi trasformazioni della sua storia. Proprio nei momenti di rivoluzione l’entusiasmo del nuovo deve sposare la consapevolezza di quanto sia importante mantenere sulle azioni e sulle produzioni dell’uomo una prospettiva storica. Una prospettiva che il restauro del film pone come indispensabile, utopico, orizzonte di riferimento.

Selected by the editorial board of the academic journal «Color Culture and Science» among the best papers presented to the Conference of Color in recent years.

Re-release of the chapter published in M. Rossi (ed.), Colour and Colorimetry. Multidisciplinary Contributions, Vol. IX B, Maggioli, Rimini, 2013, pp. 560-564 (ISBN 978-88-387-6242-0).

es un referente a nivel internacional de la restauración fílmica. Además de ser un gran investigador e historiador del cine mudo, Berriatúa es en la actualidad uno de los mayores conocedores de la obra de F. W. Murnau. A través de sus diferentes libros, monografías y restauraciones, tenemos acceso a muchos materiales en español sobre el trabajo de Murnau. Berriatúa llegó al mundo de la restauración cinematográfica simplemente porque le interesaba ver las películas tal y como eran y no como muchas veces se comercializan: «Para mí, restaurar es poder presentar la película como se vio y como era en su día, no mejorar, ni cambiar. Creo que estas modificaciones son falsificaciones y operaciones comerciales» (1). Partiendo de esta afirmación fue precisamente como comenzó nuestra conversación que acabó derivando en muchos otros aspectos.

Colour fades and colour balances shift. A comparative analysis of the colour red which operates across a series of releases of what is ostensibly the same film, but on different formats (35mm print, videotape, DVD) addresses the extent to which the film materials – by deterioration or design - can affect the formation of meaning at the level of the text. This study of Don't Look Now (Nicolas Roeg, 1973) explores the significance of such variations for a diegetic and extra-diegetic discourse on colour, memory and loss. This work theorises the deterioration and restoration of film materials and archive as they affect the resolution of images and sounds on which textual analyses are based.

Este artículo tiene como fin poner en valor el proceso de restauración de material fílmico, necesario para la con- servación del patrimonio cinematográfico. En concreto, se ha estudiado el reciente caso de recuperación de la película de Antonio del Amo Noventa minutos (1949) por parte de la Filmoteca Española. Su presentación en el Cine Doré el 8 de noviembre de 2018, tras décadas sin ser proyectada, redescubrió al público y a los investigado- res un título único y fundamental en la historia del cine español; no solo por su originalidad, sino también por el prestigio del equipo de rodaje que la hizo posible. Con el objeto de reivindicar la importancia de esta película, así como de destacar el complejo trabajo llevado a cabo con la única copia original existente, se presenta un estudio introductorio desde un punto de vista histórico y estético, así como una entrevista a la restauradora, María Muñoz. Con todo ello, se defiende la necesidad de mantener y divulgar el patrimonio fílmico general y, en particular, el español, para comprender la historia y circunstancias de un país y de su cultura.

Gli archivi film stanno attraversando un momento di trasformazione profonda. In particolare, la diffusione capillare del web, lo sviluppo delle tecniche di restauro digitale e soprattutto l’avvento del DCP come formato standard di proiezione, hanno rimesso in discussione pratiche consolidate di conservazione e promozione dei film. Gli archivi cinematografici, ammesso che continueranno a esistere con questo nome, si avviano a trasformarsi in qualcosa di molto diverso da quello che sono stati finora: sarà diversa la materia di cui si comporranno, le competenze che saranno richieste a chi ci lavora, l’orizzonte temporale in cui opereranno. Ma saranno diverse anche le loro finalità?
La riflessione pubblica che il mondo archivistico ha sviluppato su questi temi è ad oggi, con le solite lodevoli eccezioni, piuttosto limitata. L’ipotesi di chi scrive è che uno dei freni al pubblico dibattito sia la mancanza nella comunità degli archivi di un lessico condiviso. Si usano le stesse parole, ma dando a queste ultime significati diversi. Questa confusione terminologica è dovuta in parte alla rapida divaricazione delle competenze imposta dalla pratica digitale, ma anche da una più generale mancanza di accordo sui principi di riferimento che dovrebbero guidare le politiche d’archivio.
A partire da queste considerazioni si propone una riflessione critica sull’utilizzo di tre “parole chiave”, che oggi regolano la vita (e la programmazione) degli archivi cinematografici: digitalizzazione, restauro, valorizzazione. Attraverso un’analisi della loro etimologia, della loro storia e soprattutto della sovrapposizione dei differenti significati con cui oggi vengono adoperate, ci si propone di mettere in luce alcuni nodi problematici della pratica e della teoria degli archivi nella neonata era digitale.

The Man with the Movie Camera is one of the best-known works in film history and generally regarded as one of the great masterpieces of the classical Soviet avant-garde. Every person who has ever shown the slightest interest in the history of cinema has heard about this film and probably seen it at some point. But what has this person actually seen? Of course this is a question that often occurs when you see film presentations or video releases of films: how do you know what version you are looking at and how does it relate to other prints or copies of the same film? It is well known that many films exist in variant versions. Sometimes these are intentionally created by the director or the producer, as with multi-language versions, or films that were made with multiple cameras to produce additional negatives, as was common practice in the era of silent films. But mostly film prints have suffered from wear and tear, from cuts by projectionists or censors, or as a result of inferior duplication and reproduction. When you see a film from 1929, like TMWTMC, you must always be aware of the fact that you may be watching just "a " print of the film, not necessarily exactly as it was intended by the film maker or as it was shown on its opening night. Unfortunately TMWMC is mostly known in prints that are defective. For decades the film was widely seen only in prints that were printed with a sound aperture. TMWMC was shot in the period of silent cinema with silent camera aperture. This means that the filmed image used the full area between perforations on both sides that were necessary for the transport of the film. In later years, when sound was introduced, part of the image width was used for the optical sound track. This reduced the horizontal size of the image ; then both top and bottom of the silent image were also cropped to maintain the customary screen shape. The consequence of this practice was that the cinema apparatus, both in cinemas and in film laboratories, was soon no longer set up for the silent frame ratio. In a nutshell, most prints of TMWMC, even in archives, have these parts of the image cutoff. They are full length-all the shots are there-but suffer severe mutilation so far as the photographic composition is concerned. The most important feature of the restored film print represented here is that the full frame image is preserved. This is because the print that served as the source is from the first years of its release and preserved in the archives of the EYE Filmmuseum in Amsterdam. This print was brought to Amsterdam by Vertov himself when he travelled through Western Europe in 1931 and showed the film on different occasions. In the Netherlands this print was presented by the Filmliga, an active film club that promoted film as visual art. The film was shown in the presence of Dziga Vertov, and when Vertov returned to the Soviet Union, the print was acquired by the Filmliga. The Filmliga continued to occasionally show the film in the Netherlands and after the war the film became part of the collection of the then Nederlands Filmmuseum. This vintage nitrate print is full frame and has superb photographic quality, due to the fact that it is directly printed from the original negative on good quality positive film stock. This doesn't mean that the film is perfect. For many reasons this print has also its deficiencies. The main reason is that the print was regularly used for presentations in the years that inflammable nitrate film was still shown. Subsequently the print was screened in the Filmmuseum itself as well as in other film museums and archives that requested the film print from Amsterdam. When in the 1960s a duplicate was made on

Elsewhere I have discussed the transitional nature of film and argued that the current shift from analog to digital technology is one of the many transitional phases that film has experienced in its history as a technology, a popular form of entertainment and art. The obsolescence brought about by the shift to digital technologies certainly complicates our possibility of experiencing original artifacts of the past. This is true also for other forms of art from the twentieth century that are linked to serial and industrial production, and is certainly true for film and for film after restoration. If obsolescence affects film as an artifact, it does not necessarily affect the way we experience it after restoration. This line of reasoning can be exemplified by the specific case of color in silent cinema. This contribution discusses how new technologies offer alternative solutions for the restoration of obsolete coloring practices typical of silent cinema, and how, in some cases, they can even improve our viewing experience compared to traditional restoration techniques.

Despite the closure of virtually all original grindhouse cinemas, ‘grindhouse’ lives on as a conceptual term. This article contends that the prevailing conceptualization of ‘grindhouse’ is problematized by a widening gap between the original grindhouse context (‘past’) and the DVD/home-viewing context (present). Despite fans’ and filmmakers’ desire to preserve this part of exploitation cinema history, the world of the grindhouse is now little more than a blurry set of tall-tales and faded phenomenal experiences, which are subject to present-bias. The continuing usefulness of grindhouse-qua-concept requires that one should pay heed to the contemporary contexts in which ‘grindhouse’ is evoked.

My article on "Tiga Dara" (Three Sisters, Usmar Ismail, 1957) and "Ini Kisah Tiga Dara" (Three Sassy Sisters, Nia Dinata, 2016), both in English and Chinese. About the importance of the films (the restoration, the content, and the context).
It was originally published in 2017 Taipei Film Festival catalog.

The 3rd edition of MEMORY! International Film Heritage Festival took place from May 29 to June 7, 2015 reaching an attendance level of 15 000 spectators, with represents an increase of 25% compared to previous main edition in June 2014. 
54 classics from around the worlds around the year’s theme WOMEN were presented in Yangon, most of them never released in the country.
International Guests of Honors highlighted the festival in Myanmar, in particular actresses Catherine Deneuve and Michelle Yeoh, Cheng Pei Pei and Marrie Lee, Daw Swe Zin Htaik, Daw Khin Thida Htun and Daw Nwe Nwe San and several international directors Olivier Assayas, Lana Gogoberidze and Salomé Alexi and Myanmar director Daw Thin Thin Yu.
International delegations from America, Europe and Asia took part  actively to the festival.

Our contribution is focused on the ongoing reconstruction and restoration of La battaglia dall'Astico al Piave (1918, 35mm, tinted and toned, mt 1255), by the University of Udine in collaboration with La Cineteca del Friuli, Istituto LUCE and Cineteca Italiana, and supported by MiC. To date, three versions are documented: the 1918 Italian and French versions, both realized by the Italian Royal Army Film Department, and a further version released in 1927 which was probably re-edited by Istituto LUCE. Archival prints collected after a first survey of the film archives have been used to reconstruct the text on proxies, with the help of edge-to-edge and "repro-set" documentation and the other non-film materials. The restoration is being carried out through the digital intermediate route, using witness from Kinoatelje ("K") as the main reference to reconstruct the order of the scenes and the colour palette for the digital Desmet procedure. The aim of our contribution is twofold: on one hand, we highlight specific restoration and reconstruction issues; on the other hand, we focus on the reloading and reframing of the long-standing and sensitive field of digital research and the educational-oriented critical edition of films, in order to document the restoration and reconstruction process and give a wider account of the material, visual and cultural history of film as a set of apparatus, discourses and practices, proposed here through an innovative digital design and environment and following new interdisciplinary approaches.

Segunda Parte de la conversación con el realizador y restaurador Luciano Berriatúa ¿Cómo consigue financiación para restaurar las películas?, ¿Cómo se inició en ese mundo de la conservación de archivos? Yo trabajo para archivos, y los archivos tienen, al igual que los museos de arte, la responsabilidad de preservar el patrimonio. Empecé en el año 77 con la película Nosferatu (F.W. Murnau, 1921), así que estaba medio asociado con Enno Patalas (1). Yo no soy restaurador, quiero decir, me dedico a eso pero entre otros miles de cosas, hago películas de animación, películas documentales para DVD y la restauración no me interesa en si. Con esto quiero decir que lo que me interesa es ver las películas como eran porque estoy harto de ver las películas falsificadas. Por ejemplo, el cine mudo se veía durante muchos años en blanco y negro, en copias que eran copias de copias, de copias con los rótulos que no eran los originales y que podían ser la traducción de la traducción de una traducción incompleta de cuatro países, sin las músicas. Entonces en el caso de Murnau, como a mi me gustaba muchísimo, empecé a estudiarle como realizador para aprender sus técnicas de rodaje. Lo que me empecé a encontrar es que sobre Nosferatu, Lotte Eisner decía que había escenas que no se habían rodado nunca y en una moviola podía verlas ante mi (2). Me pasaban cosas de ese estilo, así que, a partir de ahí me planteé la restauración para ver como era originalmente la película. La primera restauración importante que hicimos fue el Fausto (F.W. Murnau, 1926) dentro del Proyecto Lumiere de la Union Europea que da dinero para una restauración en la que intervengan tres archivos, y estos fueron: la Filmoteca española, la filmoteca danesa de Copenhage (Det Danske Filmmuseum) y hacia falta una alemana, sin embargo, la Murnau Stiftung (Fundación Murnau) no quiso intervenir, entonces intervino el DIF (Deutsches Filminstitut). Leí que hubo problemas con la restauración de Fausto... Cuando sacamos Fausto lo que hizo la Murnau Stiftung fue boicotearla e impedir que se pasase en Berlín. Ellos decían que como había unos españoles que estaban interviniendo en Fausto, que no hacia falta que se restaurase, ya que había un negativo original perfecto. El "negativo original perfecto" era uno horrible, pero como tenía los rótulos en alemán, era mas largo. Entonces cuando Faust ya estaba en el catalogo de la Berlinale (3), con la música y la orquesta, de pronto la Berlinale nos comunica que aún estando en el catálogo no la pueden pasar en la sala porque la Murnau Stiftung lo ha prohibido, pues ellos tienen los derechos de la película y también son ellos quienes suministran todos los clásicos a la Berlinale (4), nos dicen que lo sienten mucho pero no pueden hacer nada por nosotros, entonces lo que hace Berndt Heller, el músico, es alquilar una sala de conciertos justo frente a la Berlinale y allí pasamos el Fausto. Entró toda la gente de la Berlinale a verlo, puesto que estaba anunciado en el catálogo y en los carteles que ponemos en la Berlinale. Durante tres o cuatro años la Murnau Stiftung prohibió que la película se viese y al cabo de cuatro años de discusiones, lo que hizo fue comprarla, pagando cuatro veces más de lo que DVD de la restauración de Faust de la Murnau Stiftung

Allegri vagabondi, conosciuto anche con il titolo di I fanciulli del West, è un film diretto nel 1937 da James W. Horne per conto di Hal Roach, famoso produttore di pellicole comiche, prodotto da Stan Laurel, distribuito dalla Metro Goldwyn Mayer e ovviamente centrato sulla presenza di Laurel e Hardy. Come suggerisce uno dei titoli che
gli sono stati dati in Italia – il secondo, più rispettoso dell’originale che era Way Out West1 -, si tratta di una parodia dei film western.
L’edizione recuperata nell’ambito del progetto “S.O.S.Stanlio e Ollio” è quella originale italiana della fine del 1937 (N.O. n. 29907 del 16
dicembre 1937), con le voci dei primi doppiatori ufficiali Carlo Cassola e Paolo Canali, ma con i titoli della successiva riedizione del 1947
(N.O. n.2016 del 19 aprile 1947), doppiaggio storico miracolosamente scampato – assieme a pochissimi altri titoli - alla distruzione del
magazzino italiano della Metro Goldwyn Mayer di Roma nel 1942, quando, in pieno regime fascista di Monopolio, fu ordinato il taglio
e l’invio al macero di tutte le pellicole di provenienza estera. Nella copia è stata peraltro reintegrata la sequenza introduttiva, dove viene illustrato
l’ambiente in stile “western” in cui è ambientata la vicenda, spesso tagliata di netto.

Qu’attend-on de la couleur à l’écran ? Les esthétiques et les multiples évolutions techniques qui ont ponctué l’histoire visuelle du XXe siècle pouvaient rechercher des effets parfois très éloignés les uns des autres. Spectaculaire ou naturaliste, phantasmatique ou réaliste, la couleur dans l’image en mouvement est un sujet qui ne cesse de fasciner et stimuler à la fois la recherche et les pratiques artistiques.

En juxtaposant les approches scientifiques et l’investigation sensible, cette journée d’études réunit restaurateurs, artistes et historiens du film et des médias. On reviendra notamment sur des procédés chromatiques oubliés et leur conservation-restauration, mais on posera également un regard sur les pratiques de production d’images, avec ou sans caméra, en ouvrant la réflexion avec la directrice de la photographie Caroline Champetier, pour la terminer avec la présentation d’un film de pure couleur de l’artiste Margaret Honda (en 70mm).

Ritrovare e recuperare i film interpretati dal più grande duo comico della storia cinematografica mondiale, Stan Laurel ed Oliver Hardy, è una autentica avventura che combina lo spirito investigativo di una caccia al tesoro e le tecnologie più all'avanguardia. Il progetto “S.O.S. Stanlio e Ollio: salviamo le versioni italiane di Laurel e Hardy!” , per la prima volta in assoluto, intende recuperare, digitalizzare e salvare per le generazioni future tutti i film della celebre coppia comica in edizione italiana ancora reperibili, distribuiti e proiettati nei cinema nazionali dagli anni Trenta agli anni Settanta. Con criterio filologico, rigorosamente a partire dai materiali superstiti in pellicola 35mm e 16mm. Dai lungometraggi “classici” alle  principali raccolte di cortometraggi sonori uscite in Italia, con i doppiaggi d’epoca dal caratteristico italiano imparaticcio e dagli accenti storpiati, cui nel tempo hanno dato voce svariate coppie di professionisti, tra cui quella formata da Alberto Sordi (Ollio) e Mauro Zambuto (Ollio), voci italiane “ufficiali” del duo dal 1938 al 1951. Il recupero della versione italiana sonorizzata della comica Pie-Eyed, del 1925, interpretata da Stanlio solista, offre lo spunto per riflettere sulle origini dell’ attore teatrale inglese, sbarcato in America nel 1910 per conquistare Hollywood, 17 anni prima che un produttore geniale, Hal Roach, coadiuvato dall’intuito del grande regista Leo McCarey, inventasse la più celebre coppia dello schermo, unendo il magro, svagato e imprevedibile Stanlio e il grasso, saccente e goffo Ollio. Nel ruolo di un singolare ubriaco in frak, Stan già presenta alcuni atteggiamenti tipici dello Stanlio di domani, anche se si limita a seguire i temi classici dei film comici dell’epoca. Trovate e recitazione seguono esempi più illustri, come quelli del già allora famoso Charlie Chaplin, del quale Stan Laurel fu per anni compagno di lavoro in una delle più famose compagnie inglesi di music-hall: la Karno Sketch Company, della quale faceva parte anche Fridolin, oltre a molti altri comici noti. Su una serie di equivoci, e di giochi tipicamente teatrali e clowneschi si innesta un ritmo cinematografico che dà modo all’attore di abbozzare alcune caratteristiche di quello che sarà il compagno di Ollio.