Insulae Diomedeae
Collana di ricerche storiche e archeologiche
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UnIversItÀ DeglI stUDI DI FoggIa
Dipartimento di Studi Umanistici
lettere, Beni culturali, scienze della formazione
Corso di Dottorato in
Storia e Archeologia Globale dei Paesaggi
(scuola di Dottorato di ricerca in Le Culture dell’Ambiente, del Territorio e dei Paesaggi)
Insulae Diomedeae
Collana di ricerche storiche e archeologiche
Collegio dei docenti - Comitato scientifico della Collana
giuliano volpe (coordinatore)
giuliano De Felice, riccardo Di Cesare, silvia evangelisti, Pasquale Favia, roberta giuliani,
niccolò guasti, Danilo leone, Daniela liberatore, Maria luisa Marchi, vincenza Morizio,
giulia recchia, giunio rizzelli, saverio russo, Maria turchiano, Francesco violante (Università di Foggia),
Massimo osanna (Università della Basilicata), Franco Cazzola (Università di Bologna),
rossano Pazzagli (Università del Molise), gert-Jan Burgers (Reale Istituto Neerlandese di Roma),
girolamo Fiorentino (Università del Salento), Franco Cambi (Università di Siena)
Comitato scientifico internazionale
Javier arce (Université de Lille 3), gian Pietro Brogiolo (Università di Padova),
Michael Crawford (University College London), Francesco D’andria, Francesco grelle (Università del Salento),
richard Hodges (University of East Anglia), Daniele Manacorda (Università di Roma 3),
Biagio salvemini (Università di Bari A. Moro), alastair small (University of Edinburgh),
enric tello (Universidad de Barcelona), Maria José strazzulla (Università di Foggia),
Domenico vera (Università di Parma), roger Wilson (University of British Columbia)
Segreteria di redazione
Maria turchiano
(Dipartimento di studi Umanistici, via arpi 176, 71121 Foggia - m.turchiano@unifg.it - http://www.archeologia. unifg.it)
In copertina: Quattro momenti del viaggio nel tempo con la TimeMachine.
Sul retro: Piante di fase tridimensionali.
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Università degli studi di Foggia
Dipartimento di studi Umanistici
giuliano De Felice
Una MaCCHIna Del teMPo
Per l’arCHeologIa
Metodologie e tecnologie per la ricerca
e la fruizione virtuale del sito di Faragola
Bari 2012
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volume pubblicato con il contributo
del Dipartimento di studi Umanistici dell’Università degli studi di Foggia
© 2012 - Edipuglia srl, via Dalmazia 22/b - 70127 Bari-S. Spirito
tel. 080. 5333056-5333057 (fax) - http://www.edipuglia.it - e-mail: info@edipuglia.it
Redazione: Valentina Natali
Copertina: Paolo Azzella
ISBN 978-88-7228-617-3
http://dx.medra.org/10.4475/617
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A Velia, Libero e Marino
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Presentazione
di Giuliano Volpe
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la bibliografia sugli scavi
di Faragola è assai ampia; si vedano, in generale, volpe, turchiano 2009, che raccoglie una
serie di saggi, e la guida all’area
archeologica volpe, turchiano
2010; sulle fasi altomedievali
cfr. ora volpe et alii 2012.
2
Cfr. la bella guida agli scavi
pensata per i bambini di Baldasarre 2011.
3
sibilano 2009.
lo scavo archeologico di Faragola nel territorio di ascoli satriano 1 non ha
rappresentato e non rappresenta ancora soltanto una straordinaria occasione per
indagare sistematicamente un sito rurale pluristratificato di grande interesse
storico e archeologico, occupato per oltre un millennio, con fasi relative ad un
abitato di età daunia preromana, ad una fattoria e una villa romana e, in particolare, ad una ricchissima villa tardoantica e, infine, ad un articolato e vitale abitato di età altomedievale. Ha rappresentato e rappresenta anche l’opportunità per
la formazione di giovani archeologi, per la contestuale analisi dei paesaggi della
valle del Carapelle, per la sperimentazione di nuove forme di indagini diagnostiche, di restauro e di valorizzazione in situ, per la realizzazione di innovative
strutture di copertura e di musealizzazione dei resti archeologici, per la creazione di supporti didattici destinati anche ai bambini 2 e, infine, per la raccolta,
l’elaborazione e la gestione informatizzata di una ingente massa di dati e per la
predisposizione di innovativi sistemi di fruizione e comunicazione digitale. Una
presenza, quella dell’informatica a Faragola, fortemente voluta e pensata per garantire un livello qualitativo più elevato del lavoro archeologico, per porre migliori e diversificate domande storiche ai dati archeologici e per tentare di offrire
risposte più convincenti e articolate, per sostenere un progetto di comunicazione archeologica ad ampio spettro.
Queste attività, coordinate da giuliano De Felice, hanno visto impegnati
molti giovani archeologi, dottori, dottorandi di ricerca e studenti, come giusy
sibilano, che a questo tema ha dedicato la sua tesi di dottorato 3, lorenzo Baldassarro, andrea Fratta, Fabio gagliardi ed altri ancora.
giuliano De Felice, che nelle prime campagne di scavo tra il 2003 e il 2005
è stato co-responsabile delle ricerche sul campo, insieme a Maria turchiano
(che segue fin dagli inizi questo progetto, condividendo con me la direzione
scientifica dello scavo di Faragola), ha deciso, anche con il convinto sostegno
di chi scrive, di indirizzare sempre più i suoi interessi scientifici all’informatica
applicata all’archeologia, curando una serie di progetti innovativi e dando vita
ad uno specifico laboratorio, il laboratorio di archeologia Digitale, nel quale
si è venuto a creare negli anni un gruppo di entusiasti e abili giovani archeologi
che si sono andati specializzando in questo campo, proponendo varie soluzioni
creative e innovative.
Da molti anni, peraltro, nella nostra équipe cerchiamo di dedicare grande
attenzione ai temi e alle prospettive dell’informatica applicata all’archeologia,
nell’ambito del più generale approfondimento degli aspetti metodologici della
nostra disciplina, nella duplice convinzione che l’innovazione metodologica
non possa prescindere dall’informatica, e che la vera sfida sia prima di tutto di
ordine metodologico e non tecnologico, diversamente da quanto spesso si ritiene e si riscontra in tanti musei, mostre e parchi archeologici. ancora troppo
spesso, infatti, si attribuisce un’eccessiva importanza all’ultimo ritrovato tecnologico, all’ultimo software, all’apparecchiatura tanto costosa quanto rapidamente obsoleta, all’effetto scenografico e schioppettante dal punto di vista
comunicativo, e molto meno ai contenuti, ai bisogni reali, ai risultati, ai metodi, all’utilità di una ricerca. I computer sono macchine ormai indispensabili,
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Una macchina del tempo per l’archeologia
ma pur sempre macchine, le cui potenzialità possono realmente essere valorizzate solo con buone idee e con la capacità di proporre un racconto storico fondato, chiaro e convincente.
Utilizzare un computer di ultima generazione o un laser scanner 3D sofisticato non significa necessariamente applicare correttamente l’informatica all’archeologia. l’affinamento delle procedure di scavo e, in generale, del lavoro
sul campo, delle tecniche diagnostiche, delle possibilità di acquisizione di informazioni inimmaginabili alcuni anni fa, ha creato situazioni preoccupanti di
gestione dei dati, dei reperti di origine antropica e naturale, della documentazione, che impongono necessariamente il ricorso a trattamenti sistematici mediante l’informatica e i metodi dell’archeologia quantitativa. si pensi alle
applicazioni informatiche ormai consuete nelle analisi territoriali, nello scavo
di grandi insediamenti, soprattutto urbani, ai sistemi GIS, alle tecniche aerofotografiche, fotogrammetriche, satellitari, geofisiche, ai rilievi con stazioni integrate e ai sistemi CAD e laser scanner 3D, alle banche-dati, alla gestione di
reti telematiche, alla realtà virtuale, alle nuove tecniche di ricostruzione 3D, di
valorizzazione, fruizione, comunicazione del patrimonio archeologico.
È con questo spirito che si è avviata la sperimentazione i cui risultati sono
illustrati in questo volume, che tiene conto e si inserisce a pieno titolo nel vivace dibattito sviluppato a livello nazionale e internazionale. la TimeMachine
è stata concepita come una componente intrinsecamente interna al progetto di
scavo archeologico, strettamente legata alle domande storiche che hanno ispirato le ricerche stratigrafiche, ai problemi legati all’acquisizione, alla gestione
e all’interpretazione dei dati, alle esigenze di una comunicazione sempre più
chiara, attiva ed efficace: è parte integrante, cioè, di un approccio globale, fondato sull’impiego integrato di fonti, di strumenti e di competenze multidisciplinari, che oggi non può prescindere anche dall’impiego intelligente e corretto
dell’informatica in tutte le sue ampie articolazioni.
Il progetto elaborato si caratterizza per significative innovatività e sperimentalità non solo per i risultati raggiunti ma anche per le stesse modalità che
hanno caratterizzato tutte le fasi del lavoro svolto, attraverso un approccio fortemente interdisciplinare, il continuo scambio di informazioni, di dati e di interpretazioni tra i vari collaboratori.
sotto il profilo comunicativo, la scommessa principale è stata, infatti, quella
di contribuire a rendere la visita dello scavo, virtuale e reale, piacevole, una
vera occasione di crescita personale, di approfondimento, di curiosità, di partecipazione attiva: abbiamo potuto verificare sul sito il grande interesse dimostrato dai visitatori, e non solo dai più giovani, ovviamente più predisposti verso
strumenti a loro assai familiari. Questi ultimi, inoltre, hanno subito compreso
che la TimeMachine non fosse un semplice ‘videogioco’ ma uno strumento efficace e divertente per ripercorrere la storia dell’insediamento e le fasi del lavoro degli archeologi, le loro ipotesi ricostruttive, i dati in base ai quali quelle
ipotesi erano state formulate.
giuliano De Felice, avvalendosi dell’apporto di vari collaboratori, ha saputo costruire un sistema di facile e piacevole utilizzazione, fortemente inte8
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Presentazione
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volpe 2012; Dattolo et alii
2012.
5
volpe 2008.
6
Manacorda 2008, 245.
rattivo e graficamente accattivante, con contenuti scientificamente solidi ma
resi con ricostruzioni tridimensionali e strumenti comunicativi semplici e immediati, senza alcun cedimento alla banalizzazione, continuamente aggiornabile
e modificabile, che rappresenta al momento, a nostro parere, uno dei risultati più
innovativi in questo campo. Un’analoga esperienza positiva abbiamo potuto vivere insieme recentemente nella elaborazione di un innovativo progetto di fruizione multimediale che accompagna il nuovo allestimento della collezione
archeologica della Fondazione sicilia a Palazzo Branciforte splendidamente restaurato da gae aulenti e restituito alla città di Palermo: una esperienza nella
quale ho potuto verificare ancora la maturità metodologica e le capacità di giuliano De Felice nel proporre, insieme agli altri collaboratori, nuove interessanti
soluzioni 4.
lo scavo di Faragola, le indagini sistematiche nella valle del Carapelle, lo
studio dei manufatti, le analisi bioarcheologiche e archeoambientali, e, in questo contesto, anche l’approccio digitale e la TimeMachine, sono pezzi di un vero
progetto di archeologia globale dei paesaggi 5, che si pone anche l’obiettivo
fondamentale di contribuire “all’arricchimento di quella che chiamiamo ‘memoria sociale’. Ma questi materiali devono tradursi in memoria collettiva, in
immagini che contribuiscano alla conservazione dell’identità dei gruppi sociali.
e ciò comporta una maggiore capacità di prenderci le nostre responsabilità nelle
scelte che inevitabilmente operiamo, quando inevitabilmente selezioniamo, per
dare un senso a quella selezione. Per trasmettere l’eredità del passato non bastano infatti le soluzioni tecniche, e il supporto di tecnologie sempre più sofisticate, occorrono anche strumenti culturali” 6. ecco espresso, in poche dense
parole, il senso più profondo di questa articolata operazione scientifica e culturale.
sono, quindi, assai felice di salutare la pubblicazione di questo bel volume,
prodotto di un impegno metodologico e scientifico ormai ventennale, maturato
nell’esperienza di giuliano De Felice fin dagli anni della sua formazione universitaria e della partecipazione ai seminari di metodologia archeologica da me
tenuti nell’Università di Bari e agli scavi di Herdonia, di san giusto e infine di
Faragola, e poi nella costruzione dell’attivo gruppo di ricerca archeologica nella
giovane Università di Foggia, gruppo del quale giuliano è parte integrante e
attiva con le sue specifiche competenze, con la sua passione e la sua intelligenza.
Foggia, ottobre 2012
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Introduzione
Che le tecnologie digitali costituiscano strumenti eccellenti per veicolare
modalità dense e innovative di fruizione di oggetti culturali non è certo un’affermazione che necessita di essere ribadita. le straordinarie potenzialità espressive, la possibilità di simulare dimensioni virtuali e di renderle immersive e
interattive costituiscono un valore enorme nella restituzione di oggetti frammentari e ‘desueti’ e nella descrizione di mondi cronologicamente e culturalmente lontani.
Quel che appare più incerta è invece la prospettiva di innestare l’utilizzo
delle tecnologie nella valorizzazione del grande e invisibile patrimonio di conoscenza insito nei processi di documentazione e analisi, rendendolo parte integrante dei progetti e dei prodotti di comunicazione. anche dal punto di vista
delle modalità di utilizzo delle tecnologie infatti, ricerca e valorizzazione, pur
essendo due elementi complementari all’interno di una catena del valore dei
beni culturali fortemente unitaria, risultano due ambiti ancora nettamente separati: le tecnologie digitali sono diffuse in maniera capillare nei processi di ricerca, sia come strumenti per la gestione e l’analisi dei dati nelle fasi di studio
che come supporto in quelle di comunicazione e diffusione dei risultati, ma una
visione organica che superi la prospettiva delle ‘applicazioni’ rimane ancora
tutta da conseguire.
In ambito archeologico, la mancanza di una visione unitaria risulta particolarmente evidente nella marcata separazione che si registra fra l’utilizzo delle
tecnologie digitali funzionali alla classificazione dei dati, alla realizzazione
della documentazione e a supporto dell’interpretazione da un lato e la veicolazione delle ipotesi ricostruttive dall’altro. ne consegue ad esempio che la complessità e la densità delle informazioni raccolte e gestite dagli strumenti di
analisi e documentazione utilizzati sul campo raramente rimangono visibili alla
fine del processo di ricerca, e contribuiscono solo in minima parte alle fasi di
comunicazione e divulgazione dei risultati. la precisione, o la tridimensionalità di un rilievo non costituisce infatti di per sé una garanzia della qualità di un
prodotto di comunicazione, ma piuttosto un prerequisito essenziale di validità
scientifica.
Per raccontare in modo coinvolgente e non solo freddamente spettacolare
una realtà distante è necessario spingersi oltre, riappropriarsi delle specificità
della metodologia e riaffermare il valore della ricerca analitica non solo come
strumento per l’acquisizione di conoscenza o indicatore della qualità di un prodotto, ma come parte integrante dei contenuti da inserire in ogni progetto di comunicazione che riguardi l’archeologia. anche il più spettacolare dei
ritrovamenti, privo di contesto, ha meno cose da dire di un piccolo sito indagato
scientificamente, perché poche cose si potrebbero raccontare del sottile processo di ricomposizione di tracce che permette di rendere eloquente un insieme
di componenti di per sé muti.
Un racconto al contempo corretto e accattivante può essere scritto solo addentrandosi nell’intricato mondo dei linguaggi, sia quelli di dominio (il lessico
archeologico, spesso involuto fra esasperati tecnicismi e vezzi esoterici, non è
certo facile da interpretare per il grande pubblico!) sia quelli tecnologici, che,
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Una macchina del tempo per l’archeologia
in mancanza di una guida spesso identificano nell’innovatività della tecnologia
l’obiettivo stesso della comunicazione. ascoltando i suggerimenti delle metodologie di dominio piuttosto che confidando in modo aprioristico nelle tecnologie di comunicazione si può giungere a costruire prodotti più coinvolgenti, in
cui il ritmo narrativo sia dettato dalla necessità di adattamento alla spettacolarità dei media e in cui la creatività contribuisca in maniera determinante alla
definizione del racconto e dei linguaggi più adatti ad esprimerlo. Quel che serve
in definitiva è un avvicinamento fra diversi specialismi, sul terreno comune
della comunicazione: una convergenza non tanto verso una multidisciplinarietà
che spesso significa banalizzazione dei risultati, ma piuttosto verso una integrazione delle competenze in team specializzati in comunicazione dei beni culturali.
Da queste considerazioni preliminari hanno preso le mosse le azioni e le
sperimentazioni che si presentano in questo volume, finalizzate alla ricerca di
un possibile percorso integrato che collegasse, nel dominio specifico dell’archeologia stratigrafica, l’analisi scientifica alla narrazione, e in cui le tecnologie digitali, e la computer graphic in particolare, potessero costituire un punto
di riferimento costante, in grado di supportare singoli momenti applicativi, in
vista dell’obiettivo fortemente unitario di valorizzare l’intero processo di ricerca, dalle metodologie impiegate ai risultati conseguiti in termini di interpretazione e ricostruzione.
la TimeMachine, il prototipo che si presenta in queste pagine, mostra i caratteri di un modello di comunicazione scientifica a carattere divulgativo piuttosto che un sistema di realtà virtuale fruibile in realtime. Questa definizione
spiega il carattere tecnico e tecnologico del prodotto, ma non rende giustizia
del lavoro di analisi realizzato con l’obiettivo di raccontare in tutta la sua complessità l’articolato processo di ricerca sotteso ad una indagine archeologica
stratigrafica. nel corso della lavorazione è risultato evidente infatti che se la
3D computer graphic poteva costituire uno strumento eccellente di narrazione
per un sito archeologico, la validità del suo utilizzo rischiava di risultare pressoché nulla in assenza di un soggetto e di una sceneggiatura idonee. In particolare la scelta di utilizzare il realtime è stata immediata, in linea con la libertà
di fruizione che normalmente connota la visita ad un parco archeologico, e la
possibilità di fornire al pubblico un’esperienza al tempo stesso intensa e personalizzata, caratteristiche ampiamente acquisite da una lunga serie di sperimentazioni nel settore archeologico. se quindi la scelta della tecnologia di
fruizione è stata quasi obbligata, l’individuazione del soggetto e la costruzione
di una sceneggiatura è stata un’operazione complessa, dato che una semplice riproposizione dell’alternanza stato di conservazione/ricostruzione avrebbe dato
vita ad un prodotto poco innovativo, inadeguato a trasmettere la componente
diacronica e multidimensionale di un bacino stratigrafico e la dialettica analisi/interpretazione/ricostruzione che costituisce l’evidenza più interessante
della metodologia di indagine stratigrafica.
la ricerca di un soggetto e di una sceneggiatura, nonché di temi, contenuti,
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Introduzione
stili narrativi e linguaggi espressivi idonei, ha richiesto la discussione di una
serie di interrogativi mirati all’individuazione dei caratteri salienti e degli spunti
narrativi offerti dall’oggetto-sito.
Quali sono le storie che un sito archeologico permette di raccontare? Quali
i linguaggi migliori per dare loro visibilità? Quali le soluzioni tecniche in grado
di valorizzarle e renderle comprensibili?
la ricerca di una risposta a questi interrogativi ha richiesto il compimento
di un itinerario che è partito dalla disamina delle metodologie d’indagine e documentazione sul campo, passando attraverso l’analisi del rapporto fra ICT e archeologia nel processo di ricerca stratigrafica e sfiorando il più ampio tema
dell’archeografia.
Questo lungo percorso di ricerca ha portato al riconoscimento degli elementi
costitutivi di un possibile racconto all’interno dello stesso processo di acquisizione della conoscenza e nella prospettiva delle metodologie di documentazione:
è nel viaggio che porta i dati grezzi a trasformarsi in documenti e infine in idee
che si nasconde la storia di un sito. Dal punto di vista narrativo è risultato evidente che il prototipo dovesse confrontarsi con la sfida di evidenziare il processo
interpretativo, e sottolineare il passaggio fra tracce e interpretazione, fra documentazione e ricostruzione. la TimeMachine è stata pertanto progettata non solo
per offrire la visita in piena libertà nelle ricostruzioni di ciascuna delle fasi di
vita del sito di Faragola, ma anche la possibilità di entrare nella dimensione, più
surreale che virtuale, delle piante di fase, trasportando il fruitore in una realtà
alternativa in cui i documenti utilizzati per immaginare le ricostruzioni mostrano
le fondamenta del processo interpretativo. la libertà di visita garantita dalle tecnologie digitali lascia il fruitore nelle condizioni di effettuare il ‘salto’ dimensionale o cronologico in qualsiasi momento, verificando in prima persona il passaggio fra documenti e ricostruzioni, partecipando così al processo deduttivo in
cui si sussume l’intera analisi, documentazione e interpretazione operate dall’archeologo.
In questa prospettiva abbiamo immaginato di avvicinarci alla sfida di dimostrare che l’impiego delle tecnologie digitali trovi le sue più profonde motivazioni solo nella prospettiva globale di accompagnare l’intero percorso di
conoscenza, come supporto per documentare, come sostegno all’analisi, come
strumento per immaginare in fase di sintesi e, solo in ultima istanza, come
mezzo di comunicazione. la realizzazione del prototipo è stata in definitiva
un viaggio che ha messo in evidenza quanto sia ardua, e appassionante, la
scelta di rendere fruibile la complessità della struttura di conoscenza sottesa
ad un progetto di ricerca sui beni culturali, ben più affascinante del rituale
del mistero che spesso si consuma intorno alla pretesa di valorizzazione del
patrimonio culturale. e’ una complessità straordinaria, normalmente poco visibile, se non completamente nascosta, al pubblico, che invece può divenire
protagonista del racconto digitale, a patto di essere in grado di raccontare non
solo le conclusioni del percorso di ricerca (nel nostro caso le “ricostruzioni”),
ma anche le tappe del processo stesso di acquisizione e costruzione della co13
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Una macchina del tempo per l’archeologia
noscenza indispensabili per immaginare, realizzare e descrivere le stesse ricostruzioni.
la TimeMachine (fig. 1) è un prototipo, il cui
sviluppo è stato portato fino ad un punto ben lontano dal poter essere considerato definitivo. al di
là delle caratteristiche tecniche e della qualità del
prodotto, condannate, come è destino comune nel
mondo della produzione di contenuti digitali, ad
essere superate in tempi brevi, spero rimanga intatto il valore reale della sperimentazione, insito
nel legame indissolubile con la ricerca archeologica sul campo, e nel tentativo di sottoporla direttamente al giudizio del grande pubblico.
tutto il lavoro descritto, infatti, comprese le
riflessioni teoriche e metodologiche, nasce dalla
sperimentazione di un caso concreto, strettamente
legato all’attività di ricerca archeologica sul
campo, e dai molteplici stimoli che possono essere forniti da un progetto articolato e complesso
quale è quello di Faragola.
1. - La Time Machine sul sito di Faragola.
Per una felice coincidenza la sperimentazione
e la produzione si sono concluse contestualmente
alla realizzazione del Parco archeologico e la TimeMachine è a disposizione dei visitatori direttamente sul sito; inoltre il prototipo può essere
liberamente scaricato all’indirizzo www.archeologiadigitale.it, e fruito da chiunque non possa visitare in prima persona il Parco.
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Introduzione
Il prototipo è stato ideato e realizzato interamente presso il laboratorio di archeologia Digitale dell’Università di Foggia (www.archeologiadigitale.it); la concezione, la grafica, i suoni e le immagini sono frutto di un lavoro comune e fortemente integrato, durato oltre un anno. le illustrazioni che accompagnano il testo, a parte quelle per cui è indicato
espressamente l’autore, sono state realizzate da lorenzo Baldassarro.
l’impegno, la dedizione e la passione dei giovani ricercatori coinvolti nel progetto sono stati supportati dalle competenze e dall’amicizia di molti:
Mario Brambilla e giancarlo D’Incognito che ci hanno mostrato la strada della creatività digitale e aiutato a muovere
i primi passi in questo mondo; eva Pietroni e Claudio rufa, pionieri del realtime per l’archeologia; vito santacesaria,
che ci ha insegnato quanto sia al contempo faticoso e gratificante lavorare ai dettagli; giuliano volpe, maestro e ispiratore da quasi venti anni, Mariuccia turchiano e tutti gli archeologi dell’Università di Foggia impegnati nelle ricerche
in Daunia perché siamo cresciuti insieme, scavo dopo scavo. ernesto ancona e i colleghi della segreteria del Dipartimento di scienze Umane dell’Università degli studi di Foggia per il costante apporto amministrativo e la proverbiale
pazienza. giovanna Baldasarre, anna Dattolo, alessandra De stefano, anna Introna, alessandra Moro e Marida Pierno
per l’apporto alla gestione del progetto. Fabio gagliardi, la cui competenza nel campo della computer graphic è stata
un costante punto di riferimento in tutta la lavorazione del prototipo che si presenta in questo volume, pur non essendo
il suo nome presente fra gli autori.
Infine un ringraziamento a velia, e certo non solo per aver pazientemente riletto tutto più volte. naturalmente la responsabilità di quanto scritto è solo mia, ma è suo il merito se la lettura risulterà piacevole.
Le attività descritte in questo volume prendono spunto dai risultati del progetto ITINERA (www.itinera.puglia.it), finanziato dall’Unione Europea e dalla Regione Puglia, nell’ambito della programmazione regionale per lo sviluppo delle
ICt applicate ai beni culturali (POR Puglia 2000-2006; misura 6.2 azione c), sotto il coordinamento scientifico del prof.
Giuliano Volpe (sul progetto Itinera cfr. De Felice et alii 2007 e De Felice 2008). L’équipe del Dipartimento di Scienze
Umane dell’Università degli Studi di Foggia è stata capofila del progetto, e ha coordinato il lavoro di un vasto partenariato, composto da enti pubblici (Dipartimento di Studi Giuridici Privatistici, Provincia di Foggia e Agenzia per il
Patrimonio Euromediterraneo), enti di ricerca (Scuola Superiore ISUFI, Dipartimento di Scienze Giuridiche Privatistiche e Politecnico di Bari) e imprese private specializzate in computer grafica, web management, editoria e comunicazione.
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1.
Lo scavo archeologico
fra archeografia digitale e fruizione virtuale
An archaeological site is something to be explained
(Barceló 2009, 7)
L’archeologia ha sempre potuto contare su una costante riflessione metodologica orientata all’affinamento ed al rinnovamento delle proprie possibilità euristiche, perseguite anche attraverso strumenti e tecniche
innovative, utilizzabili per migliorare i diversi processi di conoscenza. Negli
ultimi anni non sono mancati importanti apporti che hanno contribuito a definire la dimensione globale dell’archeologia del nuovo millennio (Manacorda 2008, 165). E tuttavia in questo scenario di profondo rinnovamento
metodologico, il ruolo attribuito alle tecnologie – e alle ICT soprattutto – appare limitato e circoscritto al miglioramento di alcune procedure operative,
quali la gestione di dati e le tecniche di documentazione. Le tecnologie informatiche non sembrano ancora dialogare efficacemente con il mondo della
ricerca, relegate come sono, in primis nella didattica universitaria, al ruolo
di ‘applicazioni’, quasi come un corpo estraneo che non riesce ad interagire
fattivamente nella definizione di un nuovo orizzonte metodologico.
La scarsa maturazione di questo rapporto risalta in modo particolare nel
campo dell’archeologia stratigrafica: se da un lato la nuova visione globale
ha ribadito la validità dello scavo stratigrafico, nonché la capacità di analisi,
di lettura ed interpretazione delle tracce materiali e della loro ricomposizione, dall’altro il contributo delle tecnologie informatiche al miglioramento
delle tecniche di intervento, pur rilevante e innegabile, rimane sostanzialmente limitato. Ad esse resta di fatto precluso un ruolo attivo in un rinnovamento più profondo, che coinvolga i processi di indagine, analisi e
comunicazione. È evidente ad esempio come le procedure di intervento sul
campo non siano cambiate di molto, se si escludono i miglioramenti in termini di velocità, reperibilità, accuratezza e sicurezza di dati e informazioni
e il rinnovamento ‘tecnologico’ che ha interessato ogni équipe di scavo, grazie all’uso di strumenti quali i DBMS, i GIS e i CAD che sono ormai il patrimonio di base di qualunque archeologo.
Il punto di partenza fondamentale per comprendere i limiti attuali del
rapporto fra ICT e archeologia e progettare per il futuro uno scenario di maggiore interazione è la consapevolezza della necessità di rinnovare i metodi
operativi della ricerca, aggiornando anch’essi alla nuova dimensione globale dell’archeologia.
Nel circoscritto orizzonte del metodo della stratigrafia, l’opportunità di
rinnovare i processi di analisi e di documentazione archeologica appare ineludibile se solo si considera che lo scavo archeologico, nonostante l’evoluzione dei metodi, delle tecniche e degli strumenti impiegati, rimane
un’operazione eminentemente distruttiva e irreversibile. Non esiste alcun
sistema che possa ricreare l’informazione perduta durante lo scavo e ripa17
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Una macchina del tempo per l’archeologia
rare la distruzione di una sequenza stratigrafica, la cui lettura è sempre condizionata dall’ineludibile conseguenza della distruzione del testo stesso (Carandini 1991).
È proprio l’impossibilità di riscavare uno strato, riquotare un taglio o
ripristinare un riempimento, a mostrare quanto sia indispensabile la definizione di una metodologia innovativa di documentazione, capace di ridurre drasticamente lo spazio vuoto esistente fra il dato stratigrafico e la sua
registrazione. Se infatti si considera il ruolo fondamentale rivestito dall’acquisizione dei dati nei processi conoscitivi, non si può non dedurne che
proprio le metodologie e le tecniche di documentazione costituiscono lo
snodo cruciale nei possibili processi di innovazione dell’archeologia stratigrafica.
La documentazione s’impone infatti come il primo livello di astrazione
e di ‘alleggerimento’ della realtà materiale, di trasposizione della realtà
stratificata in oggetti codificati e in quanto tali comprensibili e confrontabili. Intervenendo nel processo di documentazione si può ottenere la conservazione della maggior quantità di informazione, senza stravolgere la
metodologia stratigrafica nei suoi principi più profondi. Il problema è che
alla così larga condivisione della tecnica di indagine non fa eco un’altrettanto diffusa e praticata condivisione delle tecniche di documentazione. Gli
archeologi, siano essi specialisti di preistoria e protostoria, classici o medievisti, pur concordando con le linee generali di un impianto metodologico
che vede nelle leggi della stratigrafia il minimo comun denominatore del
proprio lavoro, si diversificano fortemente nelle metodologie di documentazione, in cui invece continua a prevalere largamente una prassi operativa
‘artigianale’, particolarmente evidente nelle esperienze di informatizzazione, spesso autoprodotte e autogestite all’interno delle singole comunità
di ricerca.
Proprio attraverso il recupero di queste infinite metodologie e la loro
condivisione, resa possibile da reti per la circolazione delle informazioni e
dall’apertura degli archivi, passa la concreta possibilità di elaborare buone
pratiche universali, e di iniziare realmente, dal basso, un percorso di condivisione che possa portare in futuro alla standardizzazione dei processi di
documentazione (Valenti 2009, 25), magari in maniera meno invasiva e più
efficace rispetto a quanto sperimentato in passato.
È certamente una sfida ampia e problematica, al cui conseguimento è
però legato il futuro della disciplina e la sua capacità di rinnovarsi.
Ma qual è stato il contributo dell’informatica alla definizione e allo studio di possibili soluzioni a questi problemi? E soprattutto, esiste una possibilità concreta di immaginare uno scenario futuro diverso, caratterizzato da
una maggiore interazione fra informatica e archeologia?
Se è infatti innegabile che proprio dal rapporto con le tecnologie in18
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1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale
formatiche siano scaturite le principali novità metodologiche degli ultimi
anni, non è tuttavia facile estrarre delle linee di tendenza ed evoluzione
da uno scenario in cui la diffusione dell’informatica riguarda tutti gli
aspetti della pratica archeologica, senza che si possano individuare un
filo logico o una guida unitaria. Seguendo l’evoluzione di questo rapporto dalle sue fasi pioneristiche alla situazione odierna (Djindjian 2009,
Orlandi 2009) si coglie il passaggio da una situazione in cui l’applicazione dell’informatica alla ricerca archeologica ha significato soprattutto
un’attenzione concentrata sulle fasi di raccolta e analisi dei dati verso
uno scenario caratterizzato da un’‘esplosione’ di sperimentazioni ed esperienze applicative.
La fiducia nelle infinite capacità di calcolo delle macchine ha portato
alla creazione di sistemi che hanno facilitato la gestione dei dati e semplificato le attività di documentazione, ma nel contempo l’informatica ha continuato ad essere considerata uno strumento rapido e potente di gestione,
archiviazione ed elaborazione, nulla di più. Di recente essa ha iniziato a rivestire un ruolo decisamente più ampio dell’aiuto nella catalogazione, pur
ragionata e potente, della massa di dati che la parte analitica del percorso di
creazione di conoscenza tipico dell’archeologia prevede, e ad avere un peso
determinante nei processi di interpretazione e nei modi di percezione dei
dati (Forte 2007, 6). Se i sistemi GIS hanno introdotto in campo archeologico la possibilità di generare conoscenza, attraverso processi di sintesi gestiti con l’aiuto di tecnologie informatiche, lo sviluppo dell’archeologia
virtuale ha portato alla sperimentazione di nuovi approcci cognitivi sempre
più ‘densi’.
Una caratteristica comune a tutti i sistemi ed esperimenti è tuttavia un sostanziale disordine metodologico, cui corrisponde quella polverizzazione
delle esperienze visibile nello sviluppo di database, di sistemi GIS e di altri strumenti, creati in modo autonomo all’interno di singole équipe o per singoli progetti di ricerca, che, lungi dal contribuire a sistematizzare le pratiche di indagine, hanno viceversa contribuito a rendere più complesso il già
articolato mondo delle metodologie di dominio. L’evoluzione tecnologica ha
messo a disposizione del singolo utente/ricercatore una potenza di calcolo
sempre maggiore, e parallelamente al compattarsi delle macchine si è verificato un ridimensionamento della scala delle applicazioni (Zubrow 2006).
In altri termini la disponibilità di elaboratori potenti e la conseguente proliferazione di approcci ed esperimenti ha aperto le porte ad un’introduzione
massiccia dell’informatica come supporto alla ricerca, ma ha aggiunto agli
storici problemi di identificazione e adozione di standard di documentazione
nuovi problemi legati a nuovi standard (D’Andrea 2006), a livello di formato,
metodi di codifica e trattamento dei dati. Paradossalmente le tecnologie informatiche hanno contribuito a diversificare e complicare ulteriormente un
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Una macchina del tempo per l’archeologia
quadro caratterizzato da un livello già alto di moltiplicazione delle esperienze.
Questo contributo intende andare nella direzione di una possibile estensione del nesso archeologia-informatica all’intero processo di conoscenza archeologica, verso un progresso metodologico che si possa definire globale.
Il punto di partenza di un nuovo approccio, dovrà necessariamente essere il
superamento dell’attuale fase di ‘trionfo’ (Orlandi 2009, 18-19) della tecnologia nei rapporti fra informatica e discipline umanistiche, e la riproposizione della centralità del ‘discorso sul metodo’ che ne eviti rischiose
emarginazioni a favore della cattiva pratica (Forte 2007, 5-6).
In altre parole la scelta di suggerire riflessioni teoriche e concrete sperimentazioni in vista di un rinnovamento in chiave tecnologica delle metodologie archeografiche, o almeno di parte di esse, vuole essere
testimonianza di un nuovo possibile rapporto fra metodo della stratigrafia
e ICT che preveda un “maggiore riguardo agli aspetti metodologici” (Orlandi 2009, 12). Solo attraverso la revisione dei processi di documentazione
attualmente in vigore sui cantieri di scavo sarà possibile rendere l’attività
archeografica un supporto sempre più utile alla ricostruzione storica e a
nuovi paradigmi di percezione, che superi l’attuale modello, creato in prevalenza per compiti di tipo amministrativo e gestionale, e pertanto privo di
una prospettiva aperta agli aspetti di contestualità, interattività e multivocalità.
Registrare la distruzione
Nella metodologia stratigrafica corrente, il risultato finale dell’indagine
sul campo è costituito da un insieme di documentazione che organizza dati
classificati secondo criteri tipologici e contestualizzati. Questo “primo set di
informazione” (Forte 2006, 29) offre l’input per costruire le principali relazioni di spazio e tempo che legano tutti gli elementi raccolti con la sequenza
stratigrafica di un intero sito. Il processo di interpretazione, che conduce
verso momenti successivi di sintesi storica, non parte infatti soltanto dall’analisi dei dati raccolti durante le operazioni di scavo, ma anche e in gran
parte dalla lettura critica della raccolta dei documenti che li descrive, classifica e contestualizza. Sono infatti i prodotti scritti, grafici e fotografici, a
costituire ancora oggi la base dell’operazione di sintesi, in quanto lo sviluppo di forme innovative di gestione (ad esempio la comunicazione in
tempo reale tramite tecnologie web), non ha messo in discussione il nesso
fra metodo stratigrafico e procedure tradizionali di documentazione.
Gli importanti tentativi, mai portati a compimento, di normalizzare e formalizzare la pratica di documentazione sono stati eseguiti in passato a valle
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1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale
1
www.londoncharter.org. Cfr.
Beacham, Denard, Niccolucci
2006. Il corso di e-learning finalizzato alla realizzazione di documentazione 3D compliant è
stato realizzato nell’ottica di redigere buone pratiche direttamente funzionali rivolte a quanti operano sul campo. Cfr. infra,
Materiali 1.
della definitiva affermazione in Italia della metodologia stratigrafica (Carandini 1990, Manacorda 1990, Carandini 1991, 86-99): la stagione della sistematizzazione, iniziata in epoca predigitale con la redazione di alcuni documenti schedografici, è finita precocemente, né l’avvento dell’informatizzazione anche in campo umanistico è riuscito a imporre standard o quantomeno pratiche condivise nella realizzazione e gestione della documentazione,
ma ha avuto piuttosto, come si diceva, l’effetto opposto di moltiplicare le sperimentazioni.
L’utilizzo delle tecnologie di gestione dell’informazione ha in fin dei
conti fatto risaltare quanto il dominio della conoscenza archeologica sia ancora (o forse definitivamente?) poco formalizzabile. L’informatizzazione
delle attività di scavo si è tradotta in un aiuto fondamentale nella gestione
di dati e informazioni, esercitando anche una (parziale) spinta all’innovazione della pratica della documentazione, che continua a rappresentare
l’unica immagine delle fonti primarie nell’indagine stratigrafica. Gli strumenti di gestione informatici hanno migliorato notevolmente la qualità dei
processi esistenti, ma non hanno modificato in profondità le fasi di indagine
e di registrazione dei dati.
Se è vero che i database e i GIS di scavo aiutano nella gestione e sono
di per sé sufficienti a trattare correttamente i dati archeologici (Valenti 2009),
è anche vero che la ‘vecchia’ documentazione, sia essa scritta, grafica o fotografica, rimane nella maggior parte dei casi il fulcro dell’attività descrittiva della stratigrafia.
Nel settore della documentazione grafica, o più in generale di quella visuale, le innovazioni riguardano soprattutto la speditività e affidabilità, ma
anche in questo ambito si è ancora lontani dal definire buone pratiche condivise per la realizzazione di set di documentazione innovativi. Le principali
novità in questo campo sono legate al progressivo utilizzo di soluzioni per
il rilievo, il disegno e la modellazione tridimensionale. Al momento attuale
la prospettiva di un utilizzo profondo e diffuso del 3D è ancora ferma a fondamentali ma ancora molto generiche linee guida 1, cui fanno da contraltare
una enorme serie di sperimentazioni. Negli ultimi anni si è discusso moltissimo, ad esempio, di uso di nuovi strumenti, misurando la loro innovatività in base alla tecnologia di funzionamento, che pure rimane caratteristica
assolutamente astratta e secondaria se considerata dal punto di vista dell’operatore sul campo.
Le tecnologie di rilievo tridimensionale, a cominciare dalla scansione
laser, hanno avuto l’indubbio merito di portare il 3D nel dibattito metodologico, ma una fase di valutazione orientata a importare nella metodologia
di ricerca sul campo le potenzialità di un processo di documentazione tridimensionale è solo agli inizi; e questo nonostante risulti evidente una questione di fondo, relativa alla sostenibilità dell’utilizzo di strumentazioni quali
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Una macchina del tempo per l’archeologia
il laser scanner nelle fasi di documentazione stratigrafica (Laurenza, Putzolu
2008, Sibilano 2008), legata a problemi di accesso (ed eccesso!) ai dati.
Se si considera ad esempio la mole di dati prodotta da questo tipo di strumenti per caratterizzare gli oggetti rilevati (le nuvole di punti), balza agli
occhi la necessità di una profonda riflessione sui termini di utilizzo, all’interno di quel percorso di ‘alleggerimento’ affidato alla documentazione, che
conduca verso la sintesi. Gli output prodotti dai sistemi di scansione tridimensionale non rappresentano, dal punto di vista stratigrafico, oggetti interessanti in sé, ma necessitano di una lunga fase di adattamento, tale, a volte,
da metterne in discussione l’utilità stessa. Poiché il rilievo, in quanto operazione funzionale all’intero sistema conoscitivo (Medri 2000; Medri 2003,
IX), è una componente fondamentale nei processi archeografici, anche in
questo caso ogni innovazione tecnica e tecnologica deve essere sempre vagliata dal punto di vista dell’archeologia, e non dell’innovatività fine a se
stessa (De Felice et alii 2008a).
Ben consci della natura multidimensionale della stratigrafia e della necessità di una metodologia di documentazione che sia in grado di registrarla
adeguatamente, siamo giustamente attirati dalle possibilità offerte dalle tecnologie di rilievo che riescono a preservare la fisicità della realtà, evitando i
compromessi inevitabili nel processo di ‘compressione’ bidimensionale. Non
si tratta però di stravolgere una corretta metodologia, che rimane sempre fondata sulle competenze stratigrafiche degli archeologi e sulla capacità di saper
determinare le giuste tecniche e i giusti metodi, ma di ampliare i campi di applicazione del 3D andando oltre il rilievo o la modellazione finalizzata alla
ricostruzione, e porre le basi per lo sviluppo di tecniche di visualizzazione
scientifica, profondamente legata alle istanze del dominio.
Le riflessioni metodologiche hanno da tempo messo in piena luce la natura multidimensionale della stratigrafia, mostrando quasi profeticamente
in un’epoca ancora lontana dalle conquiste della virtualità digitale, come tre
dimensioni siano del tutto insufficienti a descrivere una realtà densa e complessa come una sequenza stratigrafica (Carandini 1991). Ma l’indicazione
non è stata ancora recepita dalle tecniche archeografiche, che continuano a
fondarsi sulla produzione di elaborati bidimensionali, affidando la profondità e il tempo a criteri di rappresentazione ormai obsoleti, che comportano
una drastica riduzione dal punto di vista qualitativo e quantitativo dei dati
disponibili.
Per raggiungere un risultato realmente innovativo e significativo sarebbe
opportuno stabilire soluzioni universali per la realizzazione di una documentazione complessiva tridimensionale, resa necessaria dalla perdita di informazioni che ogni elaborato grafico bidimensionale fatalmente comporta,
quasi che le piante, i prospetti e le sezioni rappresentino per gli archeologi
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1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale
un insieme di archetipi, oltre i quali non si può risalire, data l’impossibilità
di riaccedere agli originali.
La realizzazione di forme di documentazione tridimensionale che permettano di superare questo limite è ancora nella fase sperimentale, l’attenzione è più concentrata sull’individuazione della tecnologia più adatta che
sul problema globale della gestione dei dati, la cui centralità non è affatto da
trascurare. È facile prevedere come le maggiori problematiche che si dovranno affrontare nel prossimo futuro riguarderanno infatti, più che la scelta
del miglior metodo di misurazione, che rimarrà sempre prerogativa dell’archeologo (Bohler 2005), la gestibilità dei dati e la compatibilità fra differenti
sorgenti.
L’esigenza che si pone è quella di impostare processi di produzione e gestione della documentazione tridimensionale che non siano esclusivamente
fini a se stessi, ma realmente innovativi e migliorativi. Affinché essi possano
diventare a tutti gli effetti parte integrante di un nuovo modo di documentare
devono necessariamente risultare impraticabili per tutti, come lo sono le tecniche e gli strumenti attualmente in uso. Questi processi ad esempio non possono essere legati a tecnologie impraticabili per costo, complessità e onerosità
di gestione, che finirebbero col rendere l’innovazione metodologica scarsamente diffusa e quindi ampiamente inefficace; dovrebbero essere consoni alla
attività di scavo, speditivi e funzionali affinché non divengano protagonisti
ma affianchino e supportino il lavoro quotidiano; devono infine essere finalizzati ad una condivisione libera e aperta dei dati e delle informazioni, evitando soluzioni proprietarie e chiuse che vanno nella direzione opposta rispetto
alla prioritaria istanza di condivisione del patrimonio culturale.
Si evince chiaramente come questo discorso sia in definitiva solo una
parte di un problema più ampio che coinvolge il complesso di conoscenza
legato ai processi di ricerca archeologica, sia quello accumulato nel corso
delle indagini sia quello – molto più imponente – depositato negli archivi.
‘Scavare in archivio’ è infatti un’operazione fondamentale, ed è necessario
che una nuova metodologia preveda opportuni meccanismi di digitalizzazione, mirati non solo alla preservazione, alla gestione ed all’accesso delle
risorse, ma anche ad una loro predisposizione per l’inserimento in ambienti
digitali in cui possano convivere con i documenti digital born.
Ricomporre i frammenti
Nel percorso di acquisizione della conoscenza proprio dell’archeologia
stratigrafica gli elaborati, esito delle operazioni di documentazione, sono i
principali strumenti utilizzabili per l’avvio delle fasi di interpretazione. È infatti proprio a partire dall’abbandono della materialità e dalla ‘relativa’ og23
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Una macchina del tempo per l’archeologia
2. - Ricerca, ricostruzione, ipotesi di interpretazione. Esempio della cenatio di Faragola.
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1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale
gettività dei documenti redatti sul campo che prende le mosse un processo
teso alla ricostruzione storica, attraverso momenti di sintesi crescente, che
condurrà al “racconto delle vicende umane” (Carandini 1991, 138). Ogni
tappa di questo flusso deduttivo produce interpretazioni e ricostruzioni: immaginare l’articolazione degli spazi di un insediamento o l’utilizzo del territorio in una data epoca è infatti un’operazione creativa, costantemente
ispirata dalla documentazione disponibile, una lenta e laboriosa pratica di ricomposizione condotta a partire da tracce ed elementi parziali, resi eloquenti
dalla loro collocazione in una sequenza logica e temporale. Radicato nel
metodo di lavoro dell’archeologo, il processo deduttivo di interpretazione diventa pratica scientifica solo se condotto all’interno di coordinate metodologiche precise e se supportato da tecniche di documentazione adeguate.
In questa luce l’imbarazzo dell’impossibilità di ricostruire bene, o in
modo attendibile, finisce con l’essere un problema più apparente che reale,
se si considera l’ampio sostrato di interpretazione sotteso ad ogni ricostruzione: ogni ipotesi è il frutto di una serie di scelte, e non è quasi mai possibile scartarle tutte per privilegiarne una (fig. 2).
Quale potrebbe essere il ruolo dell’informatica, ed in particolare della
computer graphic, in questo processo, costantemente in bilico fra analisi ed
immaginazione? I risultati di un’indagine stratigrafica, frutto di un percorso
di astrazione crescente verso la sintesi e l’interpretazione che trasforma
tracce labili e apparentemente prive di significato in complesse ipotesi di
ricostruzione storica, sono destinati a rimanere “verità incerte” (Carandini
2012, 25). La natura frammentaria, fragile ed evanescente del dato stratigrafico rende infatti straordinariamente complesso e delicato il processo di
interpretazione e ricostruzione che rappresenta il risultato più importante –
e avvincente – del mestiere di archeologo. La possibilità di interpretare, e di
conseguenza di rappresentare adeguatamente, un sito archeologico è quindi
strettamente connessa con la metodologia applicata nelle diverse fasi di ricerca e con le tecniche di documentazione utilizzate per registrare i dati.
Che l’uso della computer graphic nei processi di interpretazione costituisca uno strumento dalle enormi potenzialità risulta evidente se si considera come gran parte del processo deduttivo-ricostruttivo riguarda una realtà
tangibile, ma avviene in definitiva in uno spazio virtuale multidimensionale
quale è l’immaginazione.
Soprattutto l’introduzione di tecniche di documentazione innovative potrebbe apportare novità sostanziali, avviando il superamento di una pratica
archeografica bidimensionale e per forza di cose fortemente simbolica quale
è fondamentalmente quella vigente. Si tratta di portare ulteriormente avanti
il processo di liberazione dagli artifici della rappresentazione, già iniziato
con l’avvento dei sistemi CAD ed affrancare le tecniche di documentazione
dalla necessità di ragionare in ‘spazio carta’ (De Felice 2008, 14).
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3. - Piante di fase tridimensionali elaborate per la costruzione della TimeMachine.
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1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale
Solo se abilitate ad intervenire già nella fase di lavoro sul campo, nel
momento cioè in cui le fonti diventano archetipi, le tecnologie di visualizzazione tridimensionali possono giocare un ruolo realmente innovativo e
determinante nell’intero processo di ricerca stratigrafica, radicandosi profondamente nel meccanismo di conoscenza in tutte le tappe del lungo percorso di lavoro dell’archeologo, “dallo scavo all’edizione”. È in uno
scenario del genere che le possibilità offerte da una gestione della documentazione di scavo su base tridimensionale e realmente integrata nei processi archeografici possono portare il ruolo della virtual archaeology oltre
l’orizzonte delle ricostruzioni monumentali. Ad esempio, generando elaborazioni di quei pilastri del ragionamento deduttivo quali sono le piante di
strato o le piante di fase che, proprio in quanto tridimensionali siano non
solo più espressive e comunicative, ma anche più ‘vere’ (fig. 3).
In questa prospettiva le problematiche relative alla pratica del rilievo tridimensionale appaiono solo uno degli aspetti legati al più vasto problema di
definire ruolo e finalità della virtual archaeology superandone definitivamente la concezione riduttiva che ne fa un sinonimo di ricostruzione di monumenti e siti. In un’ottica più ampia, che coinvolga il più completo concetto
di visualizzazione e virtualizzazione dell’intera realtà archeologica, anche i
modelli ricostruttivi tridimensionali possono svolgere un ruolo fondamentale, proponendo ambienti di sperimentazione e di analisi spaziale fondati su
nuovi paradigmi di percezione (Forte 2007, 23-31; Stanco, Tanasi 2009;
Maschek, Schneyder, Tschannerl 2009).
Nello scenario attuale invece l’interesse verso le tecnologie di computer graphic e la loro applicazione all’archeologia sembra guidato da una
visione obsoleta e riduttiva del principio di ricostruzione, assimilato spesso
in modo apodittico al più banale concetto di anastilosi monumentale. A dominare la scena è soprattutto la ricerca del realismo, che porta inevitabilmente ad uno stallo fra le lacune di ogni ricostruzione e le potenzialità
rappresentative delle nuove tecnologie, queste ultime pronte a restituire il
dettaglio più minimale nel modo più verosimile, anche quando giungere ad
una ricomposizione realistica si riveli fin dall’inizio un’impresa utopistica,
destinata a confezionare veri e propri falsi.
Sembra di ritrovare spesso, sottesa ai progetti di ricostruzione virtuale,
un’idea anacronistica di archeologia, che tende a privilegiare l’aspetto monumentale, in contrasto con la realtà di quanti operano quotidianamente sul
campo, in cui non solo la maggior parte dei siti archeologici non restituisce
tracce sufficienti a ricostruire in modo organico le sue diverse fasi di vita,
ma raramente conserva resti significativi. Il ‘valore’ di un sito archeologico
non è espressione della grandiosità delle sue vestigia, ma va cercato piuttosto nella possibilità di ricomporre i frammenti di storia nascosti in quelle
tracce che il metodo stratigrafico è capace di leggere (Manacorda 2007, 7627
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Una macchina del tempo per l’archeologia
81; De Felice, Sibilano, Volpe, 2008a); sarebbe un errore imperdonabile selezionare l’interesse di un sito da analizzare – e ricostruire – solo in virtù dell’imponenza dei suoi resti, ripristinando, questa volta su basi digitali, quella
sorta di ‘ossessione’ di antica memoria verso singoli e predeterminati periodi storici (Manacorda 2004, 112).
Prima che sul virtuosismo realistico, la qualità e attendibilità del modello
si fonda infatti sulle capacità interpretative degli archeologi, filtrate dalla
documentazione realizzata, portatrice dell’informazione necessaria per decifrare e ricostruire. Riportato in queste coordinate, il momento della ricostruzione si manifesta in tutto il suo valore di passaggio logico, verso livelli
di astrazione crescenti, e, inevitabilmente, crescenti elementi di dubbio.
In definitiva, da un punto di vista prettamente archeologico, la possibilità di immaginare un modello ricostruttivo di un sito archeologico, e di realizzarlo in computer graphic, va ricercata nella metodologia impiegata
durante le procedure di indagine, e quindi anche nei dati registrati dalla documentazione. E se nella pratica dello scavo archeologico l’uso di strumenti
e soluzioni innovative è destinato a modificare il modo di redigere la documentazione, più complessa e tortuosa appare invece la strada verso la loro
applicazione alle fasi di interpretazione e ricostruzione, in cui le tecniche di
rilievo e la modellazione tridimensionale non esprimono ancora pienamente
la loro aspirazione a divenire la risposta alla ‘sfida’ perenne della ricostruzione in archeologia.
Raccontare l’incertezza
Le considerazioni espresse finora ci conducono verso il punto centrale
del nostro ragionamento, ovvero il problema della fruizione nel settore dell’archeologia stratigrafica: come conservare intatta e rendere comprensibile
all’esterno del mondo scientifico la quantità di informazioni e dati che costituisce la ricchezza e la peculiarità del complesso di conoscenze insito in
ogni processo di indagine stratigrafica?
Diffondere i risultati delle proprie ricerche è più che una possibilità, un dovere civico dell’archeologo nei confronti della società (Carandini 2000, 149;
Vannini 2011) ma anche una delle sfide più complesse e delle ragioni più
profonde del fare archeologia (Manacorda 2007, 100-105). Lungi dall’essere
una disciplina neutra, l’archeologia ha sempre sviluppato un enorme potenziale nella possibilità di costruzione dei rapporti tra una società e il suo passato, conoscendo momenti di altissima divulgazione e anche tragici episodi
di manipolazione. Un potenziale che è rimasto a lungo inespresso, a vantaggio dell’atteggiamento erudito, non ancora totalmente estinto, che per de28
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1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale
cenni ha portato a considerare le scoperte archeologiche, ed il bagaglio conoscitivo ad esse connesso, appannaggio esclusivo degli addetti ai lavori.
Ancora troppo spesso si opera secondo una distinzione del tutto anacronistica fra comunicazione scientifica e divulgativa, che paradossalmente finisce per consegnare gli strumenti più innovativi e potenti in mano a
‘cacciatori di tesori’ (Carver 2011, 163) e professionisti della comunicazione, incapaci di garantire anche l’attendibilità dei contenuti (D’Agata
2009, 21-22). Si spiega così ad esempio il proliferare in rete, nelle edicole
e nelle librerie, di prodotti multimediali fortemente appetibili e tecnicamente
ineccepibili, che finiscono con l’alimentare in maniera latente un’idea ‘romantica’ di archeologia e con l’avallare la separazione fra divulgazione e ricerca.
Negli ultimi decenni in Italia è cambiato radicalmente il rapporto tra i
cittadini e l’archeologia: oggi appare scontato che ogni intervento sul patrimonio storico-archeologico sia oggetto di interesse per l’opinione pubblica
e venga di conseguenza trattato come un evento da diffondere attraverso appropriati modelli e canali di comunicazione. L’atteggiamento del mondo
della ricerca rimane su questo versante passivo e colpevole di scarsa attenzione, quasi che si sia persa la coscienza delle potenzialità culturali, civili,
formative dell’archeologia nei confronti della società. Imparare a esprimersi
in maniera moderna ed evoluta, senza separare conoscenza e comunicazione
(Forte 2007, 23), o dati e interpretazione, può e deve essere invece una
nuova frontiera anche per il mondo della ricerca, depositario di saperi che
soli, permettono di trasmettere accanto ai risultati anche il processo funzionale ad acquisirli.
Ogni sito archeologico è un oggetto complesso, visitabile in una pluralità di momenti, ma anche in diversi modi, che possono rappresentare i presupposti di molteplici e significativi percorsi di fruizione. Raramente infatti
un sito archeologico è ascrivibile ad una sola fase di vita, e ancora più raramente il suo stato di conservazione rappresenta uno stadio indicativo della
sua evoluzione. Ogni sito ha vissuto lunghe fasi di vita, accumulando e sovrapponendo tanti capitoli di una storia, la cui ricostruzione merita di essere raccontata pagina per pagina. Le tecnologie di visualizzazione possono
svolgere un ruolo importantissimo nel descriverla, rendendo viva una dimensione immaginaria che non è possibile cogliere nella realtà. Esse possono essere impiegate non solo per mirare a ricostruzioni più realistiche (ma
non per questo più ‘vere’), ma piuttosto per una comunicazione coinvolgente e densa del rapporto fra tracce oggettive e interpretazione soggettiva
e per la restituzione della sovrapposizione di una molteplicità di fasi in una
medesima unità di luogo.
Ogni sito archeologico è quindi un luogo multidimensionale, caratteriz29
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Una macchina del tempo per l’archeologia
zato da una pluralità di evidenze, che può essere decifrato a partire da diverse chiavi di lettura:
– la documentazione: sempre alla base dei lavori di analisi e di interpretazione di ogni fase di vita, a sua volta costituisce una dimensione, che, per quanto astratta, rappresenta il punto più vicino ad
una realtà materiale non più integralmente esistente;
– la dimensione diacronica, costituita dalla successione di fasi di vita
sovrapposte nello stesso luogo, ognuna ricostruita sulla base dell’interpretazione di tracce parziali;
– le diverse ipotesi formulate, dato che spesso il lavoro di interpretazione porta all’elaborazione di vari modelli, senza che sia possibile
privilegiarne alcuno, o validarlo come ‘vero’;
– infine, solo in ultima istanza, i resti che rimangono visibili sul sito.
Ciascuna di queste dimensioni è parte di un multiforme sistema conoscitivo a cui le moderne tecnologie di visualizzazione possono fornire strumenti estremamente persuasivi, e la cui complessità reclama una fruizione
virtuale, che consenta di utilizzare livelli di astrazione adeguati alla rappresentazione di una materialità diacronica, ipotetica e frammentaria. L’indagine stratigrafica implica infatti una continua valutazione di quanto indagare,
quanto conservare e quanto occultare o, al peggio, distruggere, e l’obbligo
conseguente di attuare una organica strategia di intervento, conservazione e
valorizzazione, che tuttavia non potrà che essere selettiva.
Non si tratta di sfruttare i modelli virtuali per poter uscire agevolmente
dall’imbarazzo di selezionare cosa preservare, confortati dalla consapevolezza che nello spazio virtuale si può conservare tutto e cancellare tutto, ma
piuttosto di sfruttare pienamente le tecnologie di visualizzazione per raccontare con estrema efficacia quella straordinaria complessità che caratterizza un sito a continuità di vita, che nessuna strategia di valorizzazione
‘fisica’ sarà mai in grado di offrire. Esse permettono infatti di conoscere in
tempo reale ciascuna delle fasi di vita che hanno interessato un sito, senza
operare alcuna selezione a priori, ma esaltando nella sua profondità il continuum temporale che costituisce la quarta dimensione di ogni ricostruzione
archeologica; allo stesso tempo consentono di navigare liberamente in una
dimensione astratta e surreale quale è quella della documentazione. Rendere chiara, fruibile e affascinante una dimensione come la stratigrafia è
quindi una sfida ambiziosa (Manacorda 2007, 102) che richiede un approccio ampio, in grado di andare oltre la banale sovrapposizione fra layer virtuale ricostruttivo e stato di conservazione, poco efficace non solo perché
selettivo, ma perché rischia di avallare una visione piatta e semplicistica del
processo analisi/interpretazione.
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1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale
Le possibilità offerte dalle tecnologie di computer graphic sono praticamente infinite e invitano a immaginare nuovi modelli di fruizione e nuovi
linguaggi di narrazione, che possano raccontare l’intera serie di informazioni che un sito porta con sé, e che solo in minima parte sono leggibili autopticamente. Esse reclamano in altre parole la necessità di elaborare una
strategia per la comunicazione, che comprenda la scelta dei temi e dei linguaggi più opportuni (Paolini, Di Blas 2009), e che le includa sin dalla fase
di progettazione delle attività di conservazione e valorizzazione. Trascurare
le possibilità offerte dai nuovi strumenti e dalle nuove tecnologie, impedire
cioè il dialogo fra questi e il sostrato metodologico, rischia di implicare il definitivo abbandono delle istanze più profonde della ricerca archeologica.
Ben vengano dunque strumenti che possono aumentare le possibilità di comprendere e di comunicare dati e immaginazione, se è vero che “l’osservazione archeologica non può fare a meno di pensare anche a ciò che è stato
e non è rimasto, come l’impeto dei cavalli a Waterloo e il lampo della bomba
che distrusse Hiroshima o gli sguardi stupiti dei nativi d’America verso le
caravelle di Colombo” (Manacorda 2004, 7).
In conclusione, nei modelli ricostruttivi, in cui l’uso delle tecnologie di
visualizzazione tridimensionali è ormai una realtà consolidata, ancora troppo
raramente si stabilisce un collegamento con le fasi di acquisizione dei dati
che costituiscono il fondamento della ricostruzione. Spesso i modelli risultano slegati dal processo di ricerca e documentazione che li ha generati,
quasi che seguano una logica obsoleta finalizzata allo studio del singolo manufatto piuttosto che di interi contesti e di complessi processi di trasformazione. In questo scenario negli ultimi anni alcune soluzioni tecnologiche e
alcuni importanti progetti si sono imposti per la loro capacità di trasportare
il grande pubblico in quella dimensione virtuale che è il passato, e non sono
mancati esempi di forte impatto e grande valenza comunicativa.
La strada su cui proseguire passa obbligatoriamente attraverso il definitivo affrancamento dalla ambigua prospettiva di ‘classicità’ dell’antico (Settis 2004) e il superamento della semplicistica identificazione fra archeologia
e monumento, retaggio di una logica antiquaria che si immaginerebbe tramontata da secoli. Una disciplina che lavora su frammenti non può non darsi
come obiettivo prioritario quello di comprendere, ricostruire, rendere vivo
e leggibile il passato. È in questo spazio fra tracce e immaginazione, fra “riproduzione del mondo e creazione di mondi possibili” (Moscati 2009, 191)
che opera l’archeologo, e dove le metodologie trovano il loro vero e profondo significato.
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2.
La TimeMachine
Long ago I had a vague inkling of a machine (...)
that shall travel indifferently in any direction of Space and Time,
as the driver determines.
(H.G. Wells, The Time Machine, 1895, c. 1)
Il metodo
La TimeMachine è il prototipo virtuale di un’esperienza archeologica,
progettato con lo scopo di rendere fruibile e coinvolgente il sistema di conoscenza complesso, sotteso ad un processo di indagine archeologica stratigrafica.
Le caratteristiche di questo sistema di conoscenza sono molteplici:
– Complessità. Componenti di natura diversa concorrono alla descrizione di un sistema unitario; diversi tipi di oggetti (stratigrafie di accumulo, negative e murarie, reperti, ecc.) richiedono metodi e tecniche
di elaborazione differenti, che da un lato rispettino il valore scientifico
e dall’altro ne permettano la fruibilità.
– Lacunosità. Una forte cesura separa le tracce residue degli oggetti dal
loro aspetto e dalla loro funzione originari. Nessun elemento del sistema di conoscenza è utilizzabile attraverso un semplice rilievo del
suo stato di conservazione, ma richiede una elaborazione ricostruttiva
mediata fra attendibilità e istanze di comunicazione che ne restituisca
un’immagine comprensibile.
– Astrazione. La lacunosità della base di conoscenza implica l’impossibilità di giungere a risultati certi e di proporli per la fruizione. Gli esiti
di interpretazione e ricostruzione sono sempre contraddistinti da una
componente ipotetica che costituisce parte integrante ed ineliminabile
del sistema stesso.
– Diacronia. La sovrapposizione topografica non è di per sé sinonimo di
identità di forma e funzione; la dimensione temporale costituisce una
coordinata imprescindibile e fortemente caratterizzante del sistema di
conoscenza, e richiede l’elaborazione di una strategia di comunicazione in grado di esprimerla in modo adeguato.
– Metodologia. La quantità e la qualità degli elementi che compongono
il sistema di conoscenza è espressione diretta delle metodologie e delle
tecniche impiegate durante le fasi di analisi ed elaborazione, che costituiscono un elemento del sistema stesso. In particolare è il confronto
fra fonti e interpretazione a costruire i nessi che collegano le tracce individuate con la ricostruzione delle fasi di vita di un insediamento e a
rendere il sistema in grado di produrre nuova conoscenza.
La progettazione del prototipo ha inteso espressamente sperimentare la
possibilità di un processo, fondato sul rapporto dialettico fra ricerca e creatività, innovativo non solo nelle tecnologie utilizzate ma anche nei contenuti
di fruizione erogati.
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Una macchina del tempo per l’archeologia
Le principali sfide che ci si è trovati ad affrontare sono state da un lato
la definizione di una regia e di uno stile in grado di valorizzare le caratteristiche del sistema di conoscenza e dall’altro la determinazione di un rapporto costantemente vivo e visibile fra fruizione e ricerca, nel tentativo di
rispondere alla necessità di raccontare, trasmettere e rendere affascinanti i
caratteri che ogni sito archeologico possiede.
Il punto di avvio nella realizzazione del prototipo è stata l’analisi della
conoscenza formale di dominio e delle tante competenze insite nella ricerca
archeologica, finalizzata a delineare un percorso di creazione di contenuti radicati in questo straordinario patrimonio. Tale percorso si è mosso dall’osservazione delle metodologie di ricerca sul campo, e soprattutto dall’analisi
delle fonti formali – la documentazione stratigrafica – finalizzate a sperimentare la loro utilizzabilità ai fini della creazione di un prodotto di comunicazione digitale.
Ne è risultato un set di fonti elaborate (la documentazione grafica tridimensionale) sviluppato a partire da strumenti e soluzioni che garantissero
una integrazione fluida e continua dei dati raccolti e analizzati nelle procedure di ricerca scientifica all’interno del prodotto di comunicazione; è stato
pertanto prioritario assicurarsi che la fonte elaborata da un lato conservasse
significatività e fosse pienamente rappresentativa del suo modello formale,
e dall’altro risultasse ottimizzata per una sua implementazione in un processo di produzione. Il sistema di digitalizzazione della documentazione
permette infatti la conservazione di un significativo rapporto con il suo archetipo formale e la piena compatibilità con le soluzioni tecnologiche scelte
per trasformarle in un prodotto di comunicazione efficace.
L’ultima tappa del processo è stata la scelta di un linguaggio narrativo
adeguato a supportare un insieme articolato della documentazione e a rendere visibili le “infinite prospettive” (Forte 1996) generate da un modello tridimensionale, valorizzando un dominio di conoscenza ben più complesso di
quanto il dualismo stato di conservazione/anastilosi sia in grado di rappresentare.
Nel percorso che conduce l’archeologo dalla ricerca alla ricostruzione di
un sito pluristratificato, esiste infatti una componente fortemente virtuale,
connessa alla natura multidimensionale della realtà stratigrafica, che emerge
in ogni momento della ricerca, dalle fasi di indagine sul campo a quelle di
analisi e di documentazione, in particolare quando il procedere delle operazioni di scavo genera momenti paradossali, in cui coesistono tracce di stati
diversi, non necessariamente ‘vissuti’ insieme. Nei momenti dell’interpretazione, della sintesi e della narrazione, l’archeologo spazia fra documentazione e segni residui, inseguendo una ricostruzione delle fasi di vita che non
potranno mai essere percepite integralmente nella realtà.
Il prototipo di TimeMachine intende rispondere alla doppia sfida di ren34
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2. La TimeMachine
dere evidenti e fruibili in modo pieno e denso le molteplici componenti che
popolano questa dimensione virtuale: tracce archeologiche, documentazione, ipotesi interpretative, modelli ricostruttivi, nonché i nessi stringenti
che sussistono fra di essi.
Alla sfida della piena fruibilità si è inteso rispondere utilizzando la tecnologia del realtime, la cui potenzialità in campo archeologico, ampiamente
acquisita grazie a importanti progetti attuati nel recente passato, risiede nella
capacità di realizzare spazi di simulazione in cui coesistano tridimensionalità, immersività e interattività (Forte 2007, 4). La tecnologia di navigazione
in realtime è stata scelta nell’intento di stimolare la curiosità del fruitore,
predisponendolo cioè ad affrontare una situazione nuova e non prevedibile,
corrispondente alla comprensione dei contenuti da erogare: messo nelle condizioni di interagire con l’oggetto, egli potrà intraprendere un percorso di conoscenza interattivo e trasformare la visita in esperienza. Coinvolto in prima
persona, il viaggiatore dello spazio e del tempo mantiene in ogni momento
la completa libertà di movimento e può costruire il proprio percorso di visita in maniera del tutto autonoma.
Per dare evidenza al rapporto documentazione-ipotesi ricostruttiva si è
voluto dotare il prototipo di una doppia modalità di visita: la prima, ricostruttiva, in cui il viaggiatore potesse interagire direttamente con le ricostruzioni del sito nelle sue diverse fasi, ed una seconda, documentaria, in
cui potesse, con altrettanta libertà, muoversi in una dimensione virtuale di
tipo diverso, che donasse piena visibilità alle evidenze stratigrafiche. Alle
due modalità di visita corrispondono due diversi quadri: le scene ricostruttive, con i modelli tridimensionali relativi alle anastilosi, e le scene
stratigrafiche, in cui i modelli tridimensionali sono ricavati dalla digitalizzazione delle piante di fase, strumento basilare per l’elaborazione delle
ipotesi.
Grazie alla doppia modalità di visita e all’uso del realtime, l’esperienza
di navigazione si configura come un viaggio multidimensionale, in cui, alla
libertà di movimento nel tempo attraverso diversi momenti di vita del sito
(come lo immaginano gli archeologi?), si unisce la possibilità di toccare da
vicino i dati alla base del processo dell’immaginazione ricostruttiva (quali
sono le tracce residue?), portati al centro del rapporto simbiotico tra stratigrafia e interpretazione.
La costruzione del prototipo
Il caso di studio è costituito da un settore del sito di Faragola (presso
Ascoli Satriano, FG), oggetto a partire dal 2003 di ricerche archeologiche sistematiche, che hanno portato alla scoperta di uno dei più particolari insediamenti rurali dell’Italia meridionale, vero e proprio paradigma della storia
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Una macchina del tempo per l’archeologia
delle campagne della Puglia centrosettentrionale per un arco cronologico
che supera i mille anni di vita (cfr. infra, p. 51, nota 3). L’inaugurazione nel
2009 del Parco archeologico ha permesso di rendere il sito fruibile e di installare il prototipo, ora a disposizione dei visitatori.
Nella realizzazione della TimeMachine è stato coinvolto un gruppo di
circa 15 persone, organizzate in cinque diversi team, dedicati allo svolgimento di specifici task:
–
–
–
–
–
redazione dei contenuti;
documentazione digitale;
realizzazione dei modelli in computer graphic;
costruzione della piattaforma di realtime;
creazione del concept e gestione del progetto.
L’organizzazione in team di lavoro ha facilitato la gestione della complessità globale del progetto attraverso un workflow che ha valorizzato il
confronto fra esperti di diversi settori, dotati di specifiche competenze (fig.
4). Caratteristica decisiva del lavoro è il profondo legame fra gli sviluppatori del prototipo (molti dei quali partecipavano in prima persona alle
attività sul campo) e gli archeologi impegnati nelle indagini a Faragola,
che, a cominciare dalle fasi di progettazione, ha dato vita ad un continuo
confronto fra contenuti e struttura. L’équipe di scavo ha infatti rappresentato per tutta la durata delle operazioni di produzione un riferimento costante per l’elaborazione dei contenuti del prototipo: la ricostruzione della
sequenza stratigrafica e la periodizzazione dell’insediamento è alla base
dell’elaborazione delle scene ricostruttive; l’interpretazione delle strutture
murarie, dei piani pavimentali, delle componenti degli interri e delle tracce
di frequentazione delle fasi più tarde sono esempi dei risultati che i team
di sviluppo hanno potuto utilizzare per l’implementazione del prototipo
(fig. 5).
Il team contenuti (responsabili Anna Introna e Alessandra Moro, con il
contributo di Giovanna Baldasarre, Giovanni De Venuto, Giusy Sibilano,
Maria Turchiano, Giuliano Volpe) ha raccolto la base documentaria per
l’elaborazione delle piante di fase tridimensionali utilizzate nelle scene
stratigrafiche ed ha elaborato, a partire dalla documentazione scientifica e
dalle pubblicazioni, i contenuti testuali divulgativi implementati nella TimeMachine.
Il team documentazione digitale (responsabile Andrea Fratta, con la
collaborazione di Raffaele Fanelli, Mario Lo Muzio, Nancy Mangialardi,
Giusy Sibilano e Feliciano Stoico) è stato impegnato nel lavoro di restituzione tridimensionale della documentazione grafica e nell’implementazione
di un ambiente di gestione utilizzabile come base dati nei successivi step di
modellazione (fig. 6). Il risultato prodotto dal team è stato quindi un repo36
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2. La TimeMachine
4. - I team di lavoro e il workflow di produzione.
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Una macchina del tempo per l’archeologia
5. - Attività di scavo e documentazione (campagna 2004).
sitory di tutte le unità stratigrafiche raccolte nelle fasi destinate ad essere
inserite nel prototipo.
L’attività di digitalizzazione ha stimolato una riflessione sulla possibilità di semplificare la tecnica di esecuzione delle piante di strato in vista
della restituzione (cfr. infra, Materiali 1).
Sono state elaborate delle linee guida per la realizzazione di documentazione archeologica 3D compliant, il cui obiettivo è quello di estendere la
possibilità di documentare in tre dimensioni anche continuando il lavoro
‘tradizionale’, nel caso in cui non siano disponibili sul cantiere strumentazioni adatte a realizzare rilievi tridimensionali.
Al team modellazione (responsabile Fabio Gagliardi, con la collaborazione di Donato Vero e Antonello Fino) è stata affidata l’elaborazione dei
modelli tridimensionali da inserire nel prototipo (fig. 7). I suoi compiti sono
stati molteplici:
– il disegno delle ipotesi di ricostruzione degli elevati, che è stato alla
base della realizzazione dei modelli delle scene ricostruttive e si è giovato a questo fine della presenza nel team di esperti di architettura classica;
– la scelta delle procedure più idonee per trasformare le superfici gene38
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2. La TimeMachine
6. - Il lavoro del team documentazione.
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Una macchina del tempo per l’archeologia
7. - Il lavoro del team modellazione.
rate dalla documentazione tridimensionale in oggetti geometricamente
validi, utilizzabili nei processi di modellazione;
– la realizzazione dei character e dell’avatar;
– lo studio e l’implementazione delle modalità stilistiche delle scene e
degli aspetti grafici del prototipo, quali la scelta delle texture, delle
luci, nonché le soluzioni tecniche per la produzione delle scene derivanti dalla opzione del realtime.
Il team realtime (responsabile Lorenzo Baldassarro, con la collaborazione di Fabio Gagliardi, Andrea Fratta e Donato Vero) ha curato le diverse
operazioni necessarie all’assemblaggio del prototipo:
– ha definito l’architettura dell’applicazione, le relazioni fra le scene e i
comportamenti degli oggetti e dei personaggi presenti in esse (fig. 8);
– ha implementato gli elaborati realizzati dal team modellazione (modelli, character e texture);
– ha elaborato i meccanismi di interazione fra viaggiatore e scene, e l’interfaccia di navigazione.
Le attività di assemblaggio hanno comportato una lunga elaborazione di
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8. - Il lavoro del team realtime.
un grande numero di oggetti realizzati dal team modellazione e dagli altri
team di progetto (cfr. infra, Materiali 2).
Un team di progetto (fig. 9, responsabile Giuliano De Felice, con la collaborazione di tutti i componenti degli altri team) ha elaborato il concept
9. - Brainstorming.
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Una macchina del tempo per l’archeologia
generale del prototipo negli aspetti creativi (stile grafico, ambientazione)
e curato nel corso della produzione gli aspetti gestionali (produzione e
relazioni fra i team). A cura dello stesso team sono stati prodotti i suoni
e i rumori che caratterizzano le scene, a partire da librerie presenti in rete
liberamente utilizzabili. Anche le musiche di sottofondo che accompagnano l’esperienza di visita sono state realizzate appositamente per il prototipo.
Il rilievo e la documentazione tridimensionale
1
La realizzazione di un set di
documentazione grafica digitale
3D è stata l’obiettivo di numerose ricerche portate a termine
presso il Laboratorio di Archeologia Digitale negli ultimi anni.
Oltre alla descrizione dettagliata
del processo utilizzato per la TimeMachine, si rimanda ad alcuni contributi: De Felice, Sibilano, Volpe 2008c; De Felice et
alii 2008a. A partire dalle buone
pratiche attuate per questo progetto è stato realizzato recentemente un lavoro di più ampio
respiro dedicato integralmente
alla redazione di documentazione digitale su un cantiere di
scavo archeologico. Cfr. Sibilano 2008 e 2009.
La realizzazione del prototipo è iniziata quando le attività di scavo e valorizzazione del sito di Faragola erano ormai in corso già da quattro anni, e
si avvalevano di un profilo di documentazione caratterizzato dal predominio delle tecniche tradizionali (documentazione schedografica, documentazione grafica su base CAD, documentazione fotografica digitale). La
maggior parte delle fonti era conservata in formato cartaceo e digitale, non
direttamente utilizzabile per la produzione di un prototipo di realtà virtuale.
Si è reso pertanto necessario mettere a punto opportuni processi per la digitalizzazione delle fonti di archivio, finalizzati alla trasformazione dei documenti in formati direttamente utilizzabili nel prototipo.
Le procedure di digitalizzazione hanno interessato in maniera particolare la documentazione grafica, ma, contestualmente alla definizione della
TimeMachine, sono state avviate, all’interno del progetto di ricerche a Faragola, una serie di attività finalizzate alla trasposizione su base digitale dell’intero processo di documentazione (fig. 10). Ad oggi è stato digitalizzato
l’archivio delle schede, fruibile attraverso un database fondato su piattaforma open source, che contiene anche i collegamenti ai dati fotografici
(IReMaS: cfr. De Felice et alii 2010).
L’apparato grafico ha richiesto invece la realizzazione di un intero set di
documentazione digitale, sia attraverso la conversione in formato digitale
degli archivi delle campagne di scavo concluse, sia con la creazione ex novo
di percorsi digitali 1 (per un’analisi dettagliata cfr. infra, Materiali 1).
Sulla scorta della considerazione che documentare in tre dimensioni implichi un significativo potenziamento conoscitivo del metodo stratigrafico,
sono stati infatti definiti e sperimentati alcuni percorsi capaci di preservare
la tridimensionalità della realtà indagata durante uno scavo e di suggerire
possibili risultati di una impostazione nuova. La consapevolezza dell’incompatibilità rappresentativa tra contenuto multidimensionale e contenitore
bidimensionale, è stata infatti all’origine di una sperimentazione rivolta all’uso di nuove tecnologie di rilievo sul campo, e all’elaborazione di un modello suscettibile di tradursi in più immediati set di documentazione grafica
tridimensionale (cfr. infra, Materiali 1).
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2. La TimeMachine
10. - Una schermata di IreMaS.
L’attività è stata condotta a tal fine sul duplice fronte della creazione di
documentazione grafica tridimensionale e della digitalizzazione di quella di
archivio.
Il primo ambito di sperimentazione è stato dedicato al rilievo delle strutture murarie e pavimentali esistenti sul sito, in cui è stato testato l’utilizzo
del laser scanner per la realizzazione di percorsi di documentazione digital
born (fig. 11).
Poiché le operazioni di costruzione del prototipo sono state condotte ‘a
scavo fermo’ e, come si è già accennato, la maggior parte della documentazione, sia cartacea che digitale, era in formato esclusivamente bidimensionale (fig. 12), si è profilata sin dalle prime fasi del lavoro l’urgenza di
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11. - Fasi del rilievo tramite laser scanner.
12. - Documentazione CAD 2D.
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2. La TimeMachine
13. - Una vista del modello composto da oggetti provenienti da fonti diverse: piante di strato restituite e rilievo
3D delle stratigrafie in situ.
elaborare processi di restituzione tridimensionale della documentazione
preesistente.
È stato pertanto necessario impostare in tre dimensioni l’intera sequenza
stratigrafica emersa in corso di scavo, direttamente sotto forma di documentazione digitale 3D e indipendentemente dalle tecnologie utilizzate in
fase di rilievo, puntando a realizzare un ambiente tridimensionale unitario,
in cui raccogliere i dati per la successiva elaborazione dei modelli da implementare nella TimeMachine (fig. 13).
Un ambiente unitario si è rivelato uno strumento molto efficace per la
gestione e il controllo della documentazione grafica.
I principali vantaggi di un modello tridimensionale della stratigrafia, capace di documentare in tre dimensioni e di implementare uno scenario organico di gestione, coinvolgono profondamente la metodologia di documentazione, aprendo sviluppi interessanti da molteplici punti di vista. Il
modello così realizzato:
– si integra perfettamente con le procedure di documentazione, garan45
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Una macchina del tempo per l’archeologia
14. - Visualizzazione di errori.
–
–
–
–
–
tendo il pieno sfruttamento delle informazioni contenute negli elaborati grafici;
non implica la trasformazione delle procedure di documentazione sul
campo, la cui validità come momento di analisi tecnica della stratigrafia risulta ulteriormente consolidata;
permette di effettuare operazioni di virtual surveying non limitate
esclusivamente alle strutture documentate in situ, rendendo ad esempio l’esecuzione delle sezioni stratigrafiche non solo un’operazione
semplice e immediata, ma soprattutto una pratica analitica realizzata a
partire dal rilievo, che affranca gli archeologi dai limiti del ragionare
in ‘spazio carta’;
facilita il controllo degli errori incorsi in fase di rilievo delle piante di
strato sul campo (posizionamento e quotatura), rivelando veri e propri
nonsense stratigrafici grazie alla collocazione univoca nello spazio tridimensionale delle piante di strato (fig. 14);
permette comunque la produzione di elaborati grafici bidimensionali,
quali piante, sezioni e prospetti (fig. 15);
consente di far convivere oggetti realizzati a partire da diverse fonti, indipendentemente dalla tecnologia con la quale sono stati prodotti.
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2. La TimeMachine
15. - Generazione automatica delle sezioni.
La funzione principale per cui è stato progettato tale ambiente di gestione
è la creazione di piante di fase tridimensionali da utilizzare come base dei
modelli delle scene implementate nel prototipo di TimeMachine (figg. 16 e
17).
Esse hanno infatti fornito la base documentaria sulla quale impiantare
sia le scene ricostruttive che le scene stratigrafiche. In particolare queste ultime sono direttamente collegate ai dati presenti nel repository creato.
Fra le ‘sfide’ della TimeMachine, lo ricordiamo, c’era quella di implementare nel prototipo, e rendere quindi visitabili in realtime, alcune dimensioni virtuali specifiche della realtà stratigrafica, di cui le piante di fase,
proiezione astratta di oggetti compositi, costituiscono un esempio fortemente
caratterizzante.
Nel processo di conoscenza stratigrafica infatti, esse costituiscono il
primo distacco dalla ‘oggettività’ della documentazione, verso successivi
livelli di sintesi e di crescente astrazione. La straordinaria importanza e le
potenzialità di questi essenziali strumenti di analisi risultano tuttavia fortemente compromesse e mortificate dalla bidimensionalità, che costringe
a comprimere il ragionamento ricostruttivo in una restituzione forzata47
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Una macchina del tempo per l’archeologia
16. - Piante di fase tridimensionali. Pianta della fase di ristrutturazione della cenatio; stratigrafia dei pavimenti
marmorei e dei lembi di battuto.
mente semplificata. La resa tridimensionale non è solo un miglioramento
della leggibilità di questo strumento visuale, ma un rafforzamento del ruolo
delle piante di fase nel processo interpretativo. Grazie alla possibilità di
far sopravvivere i dati spaziali nella loro interezza e la loro piena utilizzabilità nel percorso deduttivo e ricostruttivo, un modello tridimensionale
della stratigrafia rappresenta infatti un importante e innovativo elemento
di visualizzazione scientifica nel dominio dell’archeologia stratigrafica,
perché rende immediatamente e facilmente percepibili i dati e i rapporti
fra essi.
L’interesse a rendere visibile in un prototipo di realtà virtuale di un sito
pluristratificato questo layer astratto nasce proprio dall’idea-guida della TimeMachine: sfruttare appieno le potenzialità comunicative della 3D computer graphic e del realtime, utilizzandole per rendere fruibili le infinite
dimensioni possibili proposte da un sito archeologico. Non solo le ricostruzioni, ma anche i documenti, in modo tale che possano parlare direttamente al pubblico, trascinandoli in una realtà che non è improprio definire
aumentata: se non lo è da un punto di vista tecnico, sicuramente lo è da
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2. La TimeMachine
17. - Piante di fase tridimensionali. Pianta della fase di abbandono; stratigrafia dei crolli nella cenatio.
quello archeologico, in quanto non fruibile nella realtà ‘vera’ (Barceló
2000; Id. 2001: 240-241; Barceló et alii 2003).
Il mondo virtuale
La sequenza insediativa del sito di Faragola è complessa, articolata, e
difficilmente comprimibile. Una delle prime operazioni intraprese è stata la
selezione delle fasi su cui iniziare lo sviluppo delle scene da implementare
(fig. 18). Dal momento che si è deciso di realizzare il prototipo utilizzando
come input la documentazione scientifico-archeologica prodotta durante sistematiche indagini sul campo, il problema maggiore è stato quello di definire un punto di partenza consolidato e condiviso, che tenesse conto di
molteplici fattori.
In primo luogo è stato considerato lo stato delle ricerche, escludendo
quelle fasi che, pur individuate nei tratti essenziali, apparivano indagate in
modo ancora parziale al momento della modellazione delle scene. Essendo
le campagne di indagini sul campo in pieno svolgimento, si è deciso di li49
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18. - Le aree del sito di Faragola implementate nel prototipo rispetto alle aree indagate fino al 2010.
Una macchina del tempo per l’archeologia
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2. La TimeMachine
19. - Le scene della TimeMachine.
2
I primi risultati utili per delineare con buona certezza le
fasi precedenti all’installazione
della grande villa tardoantica
(abitato di età daunia e fattoria
di età romana) e quelle successive all’abbandono sono stati
conseguiti quando il prototipo
era già in avanzato stadio di elaborazione e non è stato possibile
pertanto prenderli in considerazione.
3
Su Faragola la bibliografia
è molto ampia e articolata. Si
vedano i contenuti raccolti in
Volpe, Turchiano 2010.
mitare lo sviluppo ai risultati delle prime quattro (2003-2007), durante le
quali erano stati recuperati dati più che sufficienti a delineare in modo preciso i caratteri dell’insediamento di età tardoantica ed altomedievale 2. Come
spesso avviene nei progetti di indagine archeologica, il proseguimento delle
ricerche, oltre a mettere in evidenza le tracce di una periodizzazione più
lunga e dettagliata, ha ovviamente portato a nuove scoperte e di conseguenza
ad interpretazioni delle fasi già individuate, in alcuni casi in contrasto con
quelle utilizzate per la TimeMachine, la cui validità globale rimane tuttavia
invariata 3.
Si sono dovuti considerare anche aspetti di fattibilità tecnica, selezionando le fasi per le quali l’andamento delle ricerche permetteva di delineare
ipotesi ricostruttive ragionate e per le quali era disponibile una quantità di
informazioni e dati sufficienti a immaginare un percorso di visita virtuale.
La selezione ha dovuto inoltre confrontarsi con le esigenze didattiche e comunicative: sono state valutate le potenzialità di ciascuna fase di rappresentare momenti significativi nella storia del sito, di permettere di
conseguenza lo sviluppo di scene che fossero adeguate a descrivere una sequenza temporale lunga e articolata e di mostrare le trasformazioni dell’insediamento nel corso di un arco cronologico esteso.
Il processo di selezione ha portato all’individuazione di quattro fasi,
che costituiscono momenti-chiave, rappresentativi dei principali stadii
di vita del complesso nel periodo tardoantico e altomedievale. Per ciascuno di questi momenti sono state predisposte una scena ricostruttiva ed
una stratigrafica, per un totale di otto scene (fig. 19). Esse non esauriscono certo la totalità della sequenza insediativa del sito di Faragola, ma
sono relative esclusivamente ad alcuni fra i momenti più tardi, ovvero
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Una macchina del tempo per l’archeologia
20. - Vista dall’alto del modello ricostruttivo della villa.
all’impianto e alle trasformazioni della grande villa tardoantica ascrivibili ad un arco cronologico che va dalla prima metà del IV fino al VII secolo d.C.
Le scene ricostruttive
Molti sono gli elementi di incertezza che gravano sulle ricostruzioni delle
diverse fasi della villa di Faragola, a cominciare dai dubbi sulla reale consistenza delle coperture originarie degli ambienti fino all’interpretazione
delle numerose tracce in negativo evidenti nei battuti e nei livelli di frequentazione.
La prima scena ricostruttiva ci trasporta nell’anno 400 d.C., nella prima
fase tardoantica, in cui fu realizzato il primo impianto della villa (fig. 20).
A questo momento risale la costruzione della parte residenziale, con la
grande cenatio ed una serie di ambienti ad essa annessi, fra cui il portico
che la cingeva su tre lati. Le indagini archeologiche hanno permesso di ipotizzare la planimetria del vano e hanno raccolto dati sufficienti per procedere
ad una restituzione grafica estensiva del pavimento musivo (cfr. infra, p.
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2. La TimeMachine
21. - Il modello ricostruttivo delle terme.
71), grazie alla scoperta di alcune sue parti al di sotto del successivo pavimento marmoreo.
La quantità di dati disponibile sull’impianto originario della villa ha permesso di estendere la ricostruzione anche al complesso termale (fig. 21),
collegato all’area della cenatio tramite un lungo corridoio pavimentato in
mattoni.
L’area della cenatio e il complesso termale costituiscono i poli meglio
conosciuti della villa. I dati relativi agli altri ambienti si limitano a suggerire la presenza di semplici battuti pavimentali nel portico circostante la
cenatio.
Il principale problema emerso durante la realizzazione del modello ricostruttivo di questa scena ha riguardato l’ampio triclinium (fig. 22). Se in
base ai dati archeologici è possibile ipotizzare con plausibile certezza la funzione del vano, che, come sarà anche successivamente, già in questa fase era
una sala da pranzo, non sono state tuttavia rinvenute tracce sufficienti a ipotizzarne un arredo interno. La volontà di mostrare questo spazio in piena attività ha portato alla decisione di rappresentare una scena di banchetto, utile
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Una macchina del tempo per l’archeologia
22. - Alcune viste della scena 1. Il triclinium.
a rendere visibile la funzione dell’ambiente. L’inserimento nella scena di
un triclinio ligneo contribuisce a rafforzare e a illustrare, attraverso il passaggio alla scena successiva, in cui esso sarà sostituito da uno stibadium in
muratura, le diverse consuetudini conviviali dell’aristocrazia romana fra età
classica e Tardoantico.
La seconda scena rappresenta la villa nel momento del suo massimo
splendore, intorno alla metà del V secolo d.C.; a questa fase sono da ascrivere le modifiche subite dalla cenatio, ed il nuovo assetto della grande
sala di rappresentanza, mentre il complesso termale sembra continuare il
suo funzionamento. I dati archeologici pertinenti a questa fase permettono
di ricostruire in maniera dettagliata il nuovo impianto della cenatio e degli
ambienti circostanti: il grande vano è caratterizzato dalla messa in opera
di un nuovo pavimento marmoreo, articolato su più livelli e ulteriormente
impreziosito dall’aggiunta di tre pannelli in opus sectile vitreo, mentre
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2. La TimeMachine
23. - Alcune viste della scena 2. La cenatio e lo stibadium.
altri rifacimenti di minore entità interessarono l’ingresso principale al
vano, che fu ristretto, e i piani pavimentali del portico rimpiazzati da nuovi
battuti.
L’elemento di maggiore attrazione della seconda scena è sicuramente il
sontuoso allestimento della cenatio: il nuovo pavimento, la costruzione dello
stibadium e la presenza di giochi d’acqua fanno della cenatio uno straordinario esempio di convivialità aristocratica nel Tardoantico (fig. 23). La descrizione del funzionamento delle strutture e del sistema di giochi d’acqua
fra stibadium e pavimento è stata affidata alla messa in scena di un banchetto arricchito di personaggi e animazioni.
La terza scena è ambientata nei secoli dell’Altomedioevo (circa 600 d.C.),
quando il sito subì modifiche radicali che lo trasformarono in un villaggio rurale, e fra i primi crolli delle coperture e delle murature delle antiche strutture
si installarono attività di allevamento di ovini e forgiatura dei metalli (fig. 24).
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24. - Alcune viste della scena 3. Il villaggio altomedievale.
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25. - Alcune viste della scena 4.
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Una macchina del tempo per l’archeologia
Tutti gli indicatori archeologici contribuiscono a delineare un quadro di
profonda trasformazione nell’utilizzo degli ambienti: la presenza di ossa
animali negli interri della cenatio, e di tracce di fusione di metalli sono state
alla base di una ricostruzione, per forza di cose ipotetica, che desse l’idea
di un uso delle strutture preesistenti in stato di degrado. Nella cenatio e in
una parte del portico circostante sono stati modellati gli strati di crollo e di
interro che obliterano la funzionalità originaria degli ambienti. In un settore
del portico è visibile la traccia del piano in terra battuta che ha restituito
una notevole quantità di reperti ossei, in base ai quali è stata ipotizzata la
funzione di ovile.
Nell’ambiente antistante la cenatio sono visibili le tracce stratigrafiche
del piano di terra battuta e di alcune fosse che hanno permesso l’identificazione dell’ambiente con un’officina per la fusione dei metalli. Anche in questo caso la messa in scena di personaggi ha il compito di rendere più
facilmente percepibile la funzione delle strutture rinvenute.
La quarta scena è dedicata alla fase dell’abbandono del sito, quando i
crolli delle strutture murarie e delle coperture sigillarono completamente la
superficie del sito (fig. 25). Gli oggetti presenti in scena sono i modelli dei
crolli dei muri, estesi su tutta l’area, che spiccano fra lembi di muratura ancora in situ e che rappresentano l’abbandono. Essa è stata realizzata inserendo le superfici degli strati di crollo in un modello delle strutture
ulteriormente modificato rispetto alla scena precedente.
L’effetto che si intendeva raggiungere è di un’atmosfera straniante, in
cui le volumetrie dei crolli e le strutture in rovina materializzano e raccontano il declino definitivo del sito.
Le scene stratigrafiche
Le quattro scene dedicate alla restituzione grafica delle piante di fase
tridimensionali sono state elaborate sulla scorta della documentazione di
scavo e visualizzano la stratigrafia relativa alla fase corrispondente (figg.
26 e 29).
La realizzazione dei modelli ha reso necessario un lavoro di integrazione fra i dati provenienti dal rilievo tridimensionale di parte delle strutture e i modelli tridimensionali del resto delle unità che componevano la
sequenza stratigrafica. Questa fase ha previsto un processo di semplificazione (decimazione delle mesh), finalizzato a ottimizzare il modello per
l’implementazione nel prototipo di realtime. Il rilievo tridimensionale è
stato pertanto utilizzato come reference per la costruzione di una geometria semplificata e topologicamente coerente con le specifiche di un ambiente di realtime.
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26. - Una vista della scena 6 (stratigrafia relativa all’anno 450 d.C.).
27. - Una vista della scena 8 (stratigrafia relativa all’anno 700 d.C.).
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Una macchina del tempo per l’archeologia
28. - Ricostruzione del cantiere di scavo.
A sottolineare la natura ‘documentaria’ e non ricostruttiva di queste scene
concorre l’ambientazione in un cantiere archeologico immaginario (fig. 28),
caratterizzato da oggetti e strutture pertinenti all’attività di scavo, che hanno
la duplice funzione di arricchire la scena e di circoscrivere le aree del sito
virtuale liberamente visitabili (figg. 27 e 30).
I modelli
Come avviene per qualunque progetto di modellazione tridimensionale applicata all’archeologia, la ricostruzione delle fasi della villa di Faragola fra Tardoantico e Altomedioevo ha posto problemi complessi
riguardanti specifici aspetti, dall’articolazione architettonica alle coperture, ai rivestimenti, all’arredo degli ambienti. Sin dall’approccio alla
modellazione delle quattro scene ricostruttive è risultato evidente che
molti dettagli non sarebbero potuti essere appropriatamente riproposti.
Non solo le ricostruzioni delle coperture e degli elevati, ma anche
l’aspetto degli ambienti, le decorazioni, gli arredi, la vita degli edifici
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29. - Dalla documentazione 3D ai modelli ricostruttivi. Le fasi di abbandono; in evidenza i crolli di coperture e
murature e la ricostruzione ideale delle strutture murarie.
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Una macchina del tempo per l’archeologia
30. - Il modello delle scene stratigrafiche (scena 7).
31. - Vista dall’alto del modello della villa (scene 1-2).
hanno posto problemi il cui superamento ha comportato la messa in opera
di soluzioni diversificate, che tenessero conto dei dati disponibili, dei
possibili confronti, dei messaggi che si intendeva di volta in volta veicolare (fig. 31).
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2. La TimeMachine
32. - Alcuni studi di ricostruzione della copertura della cenatio della villa di Faragola (A. Fino, F. Gagliardi).
Nelle scene relative alle fasi tardoantiche è stato impossibile proporre
anastilosi pienamente convincenti dei corpi di fabbrica della villa. Si è reso
necessario pertanto sviluppare, all’interno del team di modellazione, diverse
ipotesi ricostruttive formulate in base all’analisi stratigrafica e alla periodizzazione, nonché allo studio architettonico finalizzato ad una individuazione delle coperture presumibili (fig. 32).
Se l’articolazione degli ambienti e lo sviluppo degli elevati hanno posto
problemi a volte insormontabili in considerazione dell’assenza di confronti
attendibili, i problemi relativi alla ricostruzione dei rivestimenti, delle decorazioni e delle altre manifestazioni di lusso, nascevano invece dalla differente quantità e qualità dei dati disponibili per le ricostruzioni di pavimenti
e pareti. Da un lato lo stato di conservazione dei rivestimenti pavimentali in
marmo e a mosaico invitava a spingersi nel dettaglio nella resa dell’aspetto
originario, dall’altro l’assenza di dati sugli elevati poneva nell’oggettiva impossibilità di immaginare la decorazione delle pareti, pur suggerita da fram63
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33. - Particolare del modello 3D della scena 1. Il triclinium.
34. - Particolare del modello 3D della scena 2. La cenatio e lo stibadium.
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35. - Il modello della cenatio per la scena 3.
mentari rinvenimenti d’intonaco dipinto e dalla ricchezza d’ornamento dei
pavimenti (figg. 33 e 34).
Da un punto di vista operativo, tuttavia, questo ‘silenzio’ totale delle fonti
materiali ricorre nella maggior parte dei progetti di ricostruzione monumentale, soprattutto dei siti poco conservati, in cui le anastilosi implicano un
alto rischio di indulgere troppo alla fantasia e produrre dei falsi, in nome di
una volontà forzata di rappresentazione.
Il problema della oggettiva difficoltà di delineare una realtà per molti
versi sfuggente ha riguardato la lavorazione di tutte le scene ricostruttive: da un lato i tentativi di ricostruzione si sono confrontati con la necessità di elaborare modelli contraddistinti da ampie articolazioni di spazi
e complessi programmi decorativi, caratteristici delle fasi di primo impianto e successiva monumentalizzazione della villa nei momenti del suo
massimo splendore; dall’altro, nelle scene relative alle fasi altomedievali
(scene 3 e 4) le problematiche relative alla mancanza di confronti e alle
lacune della documentazione si sono sommate alla labilità delle tracce
stratigrafiche, rappresentate in modo predominante da strati di terra ed
elementi negativi ascrivibili alla presenza di strutture estemporanee (fig.
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36. - Texturing delle ricostruzioni delle fasi di abbandono. Inserimento degli strati di crollo a partire dalla documentazione 3D.
37. - Texturing delle ricostruzioni delle fasi di abbandono. Le strutture.
35). I dati a disposizione diminuiscono, gli elementi materiali da cui immaginare le ricostruzioni si fanno più labili e, almeno per la componente
architettonica, appaiono inesistenti i confronti. S’impone, dunque, nelle
operazioni di ricostruzione, la necessità di trovare soluzioni in cui la componente di immaginazione divenga prioritaria, e spazi molto più ampi
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vengano lasciati alla fantasia e alla creatività (fig. 36). La maggiore libertà d’intervento nella definizione delle ambientazioni relative alle fasi
di vita degradata del sito e del suo definitivo abbandono, rende d’altro
canto più difficile caratterizzare adeguatamente il nesso fra le ipotesi proposte nei modelli e le fonti che sono all’origine del processo interpretativo (fig. 37).
Data l’impossibilità di procedere ad una restituzione attendibile degli
elevati nei modelli relativi alle fasi tardoantiche, le superfici delle murature
sono state lasciate di un colore neutro, corrispondente alla carenza pressoché totale di dati relativi alla eventuale decorazione parietale.
Nei modelli ricostruttivi delle fasi altomedievali sono state elaborate texture per la resa delle superfici che rendessero l’idea della villa in un momento di vita degradata o di abbandono.
La resa grafica di battuti e strati di crollo è stata direttamente ispirata alla
documentazione stratigrafica scritta e fotografica, da cui sono stati desunti
componenti e colori, utilizzati in texture appositamente create.
I rivestimenti
Non c’è dubbio che la ricchezza, l’estensione e l’eccezionale stato di
conservazione dei rivestimenti pavimentali rappresentino la componente se
non più rappresentativa sicuramente più appariscente della villa di Faragola
e l’oggetto principale con cui è necessario confrontarsi in ogni narrazione sul
sito e la sua storia.
Per poter realizzare i modelli ricostruttivi dei pavimenti è stato utilizzato
un processo che permettesse di generare delle texture di alta qualità in cui
fossero preservati gli elementi derivanti dalle attività di analisi e ricerca, ovvero la complessità dei motivi decorativi, la precisione del rilievo e l’attendibilità della ricostruzione.
A seconda delle condizioni di conservazione di ciascun pavimento e
delle problematiche legate alla sua documentazione sono state implementate
soluzioni differenti per quanto riguarda la fase di rilievo. Lo studio analitico
della decorazione geometrica del pavimento musivo nella cosiddetta palestra delle terme è stato ad esempio supportato dalla realizzazione di un fotopiano rettificato, necessario per poter avere un riferimento sufficientemente
dettagliato del piano pavimentale. In alcuni ambienti di dimensioni contenute è stato possibile realizzare un singolo scatto fotografico da utilizzare
come reference per il disegno ricostruttivo (amb. 14). In altri casi la difficoltà
di lettura del motivo decorativo, dovuta a incrostazioni della superficie musiva o ad altri impedimenti, ha reso necessario realizzare un rilievo a contatto in scala 1:1 e successivamente procedere alla digitalizzazione tramite
scanner di grande formato.
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Una macchina del tempo per l’archeologia
38. - Fotografia, disegno vettoriale, ricostruzione e baking texture dei mosaici dell’amb. 14 delle terme.
In tutti i casi documentazione, confronti e attività di interpretazione
hanno reso possibile produrre ricostruzioni attendibili per la maggior
parte dei pavimenti della villa (cfr. De Felice et alii 2008b; sul procedimento di disegno e documentazione del mosaico cfr. De Felice 2004 e
2005).
Se le procedure di rilievo sono state di volta in volta adattate alle problematiche del singolo mosaico, il workflow per la ricostruzione e la restituzione grafica è stato unitario, e ottimizzato per la realizzazione delle
texture delle superfici ai fini dell’implementazione nella TimeMachine.
In un primo momento a partire dalla documentazione è stato realizzato
un bozzetto vettoriale in cui fossero riportate le principali misure del mosaico e, nel caso di pavimenti grandi o molto complessi, i motivi geometrici fondamentali, la suddivisione in tappeti, la scansione delle trecce ed i
principali temi decorativi. L’individuazione delle componenti fondamentali
della decorazione ha permesso, tramite un processo di reverse engineering
applicato ai singoli elementi compositivi, di scomporre i pavimenti in parti
replicabili e di ipotizzare in maniera attendibile anche le parti mancanti,
giungendo così alla realizzazione di un disegno vettoriale completo dei rivestimenti.
In alcuni casi la complessità dei motivi geometrici e il fitto ritmo compositivo dei singoli elementi ha permesso di ottenere un restauro virtuale
completo (amb. 14, fig. 38), pure in presenza di vaste aree di lacuna (amb.
3, fig. 39 e 40). In altri casi la ricostruzione è stata avallata da elementi di
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39. - Ortofotografia e disegno vettoriale delle componenti geometriche del mosaico dell’amb. 3 delle terme.
40. - Realizzazione delle immagini bitmap e texture pronta per l’inserimento nel prototipo dopo il baking.
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41. - Fotografia e ricostruzione dei pavimenti a mosaico delle terme.
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42. - Rilievo e ricostruzione del pavimento musivo della prima fase della cenatio.
minore attendibilità (alcuni ambienti delle terme). In queste circostanze si è
comunque deciso di realizzare un ripristino completo dell’intero rivestimento e di generare texture simili a quelle delle superfici meglio conservate
(fig. 41). Anche la ricostruzione estensiva del mosaico pavimentale di prima
fase della cenatio si fonda su elementi solo indiziari ed è stata realizzata a
partire dalla documentazione fotografica delle parti del pavimento visibili al
di sotto dello stibadium (fig. 42) o intercettate in alcuni punti di lacuna del
pavimento marmoreo successivo.
Le fasi successive del workflow hanno portato alla realizzazione di
immagini bitmap ad alta risoluzione, campite con i colori ricavati dalle
immagini fotografiche. Dopo la sistemazione di tutti gli oggetti di scena,
dai character alle luci, le immagini così composte sono state ulteriormente lavorate, insieme a tutte le altre superfici dei modelli, e, tramite baking, predisposte per poter essere inserite nel sistema di navigazione.
La cenatio costituisce il fulcro del sito di Faragola, e anche nella realizzazione del prototipo di navigazione in realtime essa è stata considerata cruciale nell’organizzare l’articolazione delle diverse scene e dei contenuti (cfr.
infra, Materiali 2).
Il lavoro di ricostruzione analitica del pavimento marmoreo e dei pannelli in opus sectile è stato avviato a partire dalla documentazione eseguita
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43. - (in questa e nella pagina a fronte) Fotografia, disegno e ricostruzione dei pannelli in opus sectile della cenatio.
al momento della scoperta e del primo consolidamento e poi perfezionato
con il progredire delle successive operazioni di pulitura e conservazione
(figg. 43 e 44). Il processo di realizzazione delle ricostruzioni è lo stesso
implementato per i pavimenti a mosaico (fig. 45). Nel modello della cenatio, la cui pavimentazione è stata ricostruita per intero, è stato possibile in72
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serire infine l’acqua, elemento fortemente caratterizzante la funzionalità
della grande sala.
Analoga operazione di studio e ricostruzione grafica è stata condotta
sullo stibadium. In questo caso l’analisi dei resti della decorazione ha permesso di formulare un’ipotesi attendibile riguardante l’organizzazione dei
motivi geometrici della parte frontale, mentre il rinvenimento di parte
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44. - Pianta del pavimento marmoreo e digitalizzazione. Dalla documentazione di scavo alla realizzazione delle
texture.
della mensa e di un frammento di oscillum reimpiegato come decorazione
ha poi consentito una ricostruzione pressoché completa dell’intera struttura (fig. 46).
Da un punto di vista tecnico nell’elaborazione dello stile dei mondi virtuali della TimeMachine si è dovuto tenere conto da subito della necessità di
implementare soluzioni finalizzate alla navigazione in realtime. A questo
proposito si è sempre tenuta di conto l’esigenza di limitare il numero di poligoni, affidando a tecniche di texturing (baking texture) la resa stilistica definitiva (fig. 47).
Avatar e personaggi
Per agevolare la comprensione dei messaggi veicolati dalle ricostruzioni, sono stati aggiunti venti personaggi (character, figg. 48 e 51), la
cui ideazione è stata orientata dalla volontà di animare la scena e rendere
non solo esplicite, ma anche più vitali e dinamiche le esigue tracce delle
attività svolte in quei luoghi nelle diverse fasi.
Nella prima e nella seconda scena i character sono impegnati in un
banchetto (fig. 49). È proprio attraverso il confronto fra esse che diviene
possibile cogliere i diversi modi di svolgimento del banchetto e dare va74
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45. - Dalla documentazione di scavo alla realizzazione delle texture.
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46. - Lo stibadium. Vista ricostruttiva (elaborazione F. Gagliardi).
47. - Baking texture. I piani pavimentali della scena 3.
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48. - I character della TimeMachine (elaborazione F. Gagliardi).
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lore alle strutture che lo ospitano, rendendo ad esempio immediatamente comprensibile il funzionamento dello
stibadium in sostituzione del triclinio
della scena precedente.
Nella terza scena ai character è affidato
il compito di rendere vive le attività ricreate
a partire da labili tracce stratigrafiche, difficilmente comprensibili per un pubblico
di non addetti ai lavori. In quest’ottica la ricostruzione di un mantice e del suo operatore intento a soffiare aria nel crogiolo per
la fusione dei metalli rende immediatamente chiaro il funzionamento della struttura (fig. 50); il passaggio alla corrispondente scena stratigrafica (scena 7) mette in
evidenza le tracce archeologiche sottese all’ipotesi ricostruttiva.
Lo stesso ragionamento ha portato,
nella medesima scena, a sviluppare il character del fabbro, a ricostruire gli steccati
nel corridoio e a inserire alcuni character
di animali, cui è demandato il compito di
tradurre visivamente le tracce archeozoologiche documentate durante le operazioni
di scavo.
Il prototipo limita il viaggio temporale
e dimensionale al settore della cenatio e
degli ambienti annessi. L’area delle terme
è invece visitabile solo in modalità ricostruttiva. Anche in questo caso l’esperienza
di visita è stata arricchita dall’inserimento
di character impegnati in alcune attività
che esplicano il funzionamento degli edifici termali.
L’avatar che impersona il viaggiatore
è stato disegnato con l’intenzione specifica di operare in contrasto con lo stile
49. - Uno dei character della scena 2.
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2. La TimeMachine
50. - Il mantice (scena 7).
dell’ambiente, in modo da rendere subito evidenti la sua estraneità al
mondo virtuale con il quale interagisce. L’abbigliamento da aviatore e lo
stile con cui è stato definito vogliono essere un omaggio alla figura di
John Bradford e al ruolo di pioniere delle ricerche archeologiche in Daunia (fig. 52).
Le luci, i suoni e lo stile
Modelli, texture e character contribuiscono a rendere visibili e comprensibili i messaggi di cui le singole scene sono portatrici. Il compito di rendere omogenea e significativa la somma delle varie componenti è stato
affidato all’individuazione di uno stile unitario, che accrescesse nel viaggiatore la sensazione di immersione nel mondo virtuale della TimeMachine.
L’elemento che si è costantemente dovuto tenere in considerazione è stato
la necessità di coniugare una qualità grafica di buon livello, portatrice di
coinvolgimento, esperienza e ricordo (Forte 2007, 217-218), con i dati stratigrafici disponibili. Questa mediazione è stata attuata grazie a precise scelte
di stile e di regia orientate a dare unitarietà all’intero complesso di scene e
al percorso di visita virtuale, ovviando nel contempo alla lacunosità delle
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Una macchina del tempo per l’archeologia
51. - La modellazione dei character.
fonti e della documentazione, che non ha consentito di proporre ricostruzioni sempre filologicamente corrette. Lo stile visuale unitario ha svolto il
compito di affiancare le scelte effettuate in fase di modellazione, texturing
e animazione, contribuendo a collegare i diversi elementi di ogni singola
scena in un insieme unico e indirizzando l’attenzione del viaggiatore verso
i punti di maggior interesse.
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2. La TimeMachine
52. - L’avatar.
Nelle scene stratigrafiche l’unitarietà di stile è affidata
all’ambientazione in un cantiere di scavo (fig. 53), mentre in quelle ricostruttive (fig. 57) le scelte stilistiche sono
state dirette a sottolineare i contenuti più rappresentativi,
valorizzando le testimonianze monumentali residue e meglio documentate, enfatizzando personaggi e azioni capaci di spiegare le attività presenti nella scena e cercando
di distogliere l’attenzione da quanto è stato impossibile
ricostruire.
Nelle scene relative alle fasi tardoantiche si è prestata
particolare attenzione alla disposizione delle luci, al loro
orientamento e alla loro tipologia (fig. 57). La collocazione in prossimità dei pavimenti, il direzionamento
verso il basso e infine l’impostazione di valori di colore
e intensità molto caldi contribuiscono ad enfatizzare gli
elementi principali dell’ambiente e a distogliere nel contempo l’attenzione dagli elevati (figg. 54 e 55). Si è inteso
così ottenere un effetto che da un lato valorizzasse i pavimenti e i rivestimenti e dall’altro mantenesse in secondo piano pareti e coperture, il cui aspetto neutro non
disturba la navigazione né distoglie dal senso di immersione intensificato dalle scelte estetiche.
Nelle scene ricostruttive delle fasi altomedievali l’utilizzo esclusivo della luce solare sottolinea lo spazio
aperto prodotto dal crollo delle coperture e delle murature, contribuendo a diffondere un’atmosfera di desolazione e abbandono (fig. 56).
Per aumentare l’effetto immersivo sono stati elaborati suoni ambientali, atti a dare realismo alle scene e alle
animazioni dei character. Nella prima scena la navigazione è accompagnata dai rumori di un banchetto, a cui,
nella seconda, si aggiungono i suoni funzionali a rendere
vitale l’animazione del getto d’acqua che scaturisce dallo
stibadium. Nella terza scena sono i rumori delle greggi
di ovini e degli artigiani al lavoro a far percepire pienamente il nuovo assetto della villa nell’Altomedioevo e
ad indurre il viaggiatore a cercarne nei vari ambienti la
provenienza. Il messaggio del definitivo abbandono
nella quarta scena è invece affidato al rumore del vento
che risuona nello spazio desolato e privo di elementi animati.
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53. - Alcune viste delle scene stratigrafiche.
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54. - Lo stile delle scene ricostruttive. La cenatio nella prima fase tardoantica.
55. - Lo stile delle scene ricostruttive. La cenatio nella seconda fase tardoantica.
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56. - Lo stile delle scene ricostruttive. Gli ambienti limitrofi alla cenatio nell’Altomedioevo.
57. - Lo stile delle ricostruzioni. La cenatio.
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2. La TimeMachine
La navigazione
I modelli e i personaggi realizzati sono gli elementi costitutivi di un
mondo virtuale che è possibile esplorare in prima persona, sperimentando
direttamente il passaggio interpretativo dai dati alle immagini ricostruttive.
Guidato solo dagli stimoli visivi e sonori proposti, nonché dalla pura curiosità della scoperta, il viaggiatore ha la possibilità di navigare in assoluta
libertà nello spazio virtuale e di rendersi protagonista di una esperienza di
visita ogni volta unica. Un articolato gioco di livelli e di scene lo conduce,
attraverso un continuum spazio-temporale, a vivere in prima persona alcuni
momenti della vita di un sito archeologico e a costruire da sé il proprio itinerario di conoscenza (cfr. infra, Materiali 2).
Il percorso a ritroso nel tempo che il viaggiatore è in grado di compiere
si snoda lungo una traiettoria, attraverso variazioni di forma, dimensione,
consistenza e collocazione spazio-temporale, soffermandosi sulle discontinuità rappresentate dalle diverse fasi di vita e di abbandono (Barceló 2009,
334-335).
58. - Il pannello di controllo della TimeMachine.
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59. - (in questa e nella pagina a fronte) Alcuni momenti del viaggio dell’avatar nel tempo.
Gli itinerari che si possono costruire sono molteplici:
– spaziali: attraverso la navigazione, il prototipo suggerisce l’idea della
complessa articolazione degli spazi e dei livelli. La natura tridimensionale dei modelli porta il fruitore a compiere movimenti sia nella
prospettiva orizzontale del passaggio fra i vari ambienti che in quella
verticale della variazione di quota dei piani pavimentali e delle stratigrafie;
– temporali: la navigazione attraverso le fasi più significative della vita
del complesso archeologico, sia da un punto di vista stratigrafico che
ricostruttivo, permette di cogliere la sovrapposizione di momenti diversi nella stessa porzione di spazio, evidenziando la dimensione diacronica di una sequenza stratigrafica;
– modali: il parallelismo del riscontro, attraverso il passaggio fra scene
ricostruttive e stratigrafiche, permette al viaggiatore di assistere in
prima persona alla trasformazione delle tracce in ipotesi ricostruttive
elaborate per ciascuna fase di vita del sito;
– plurali: attraverso l’incrocio di più tipi di itinerari.
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L’interazione fra il viaggiatore e il mondo virtuale avviene mediante
un pannello di controllo (fig. 58) in cui sono raggruppati tutti i comandi e
le informazioni utili durante la visita. Tramite il pannello il viaggiatore
può controllare l’andamento del suo percorso e interagire con il mondo
virtuale, cambiando in ogni momento scena oppure utilizzando diversi
strumenti di controllo. Un quadrante contiene informazioni sull’epoca in
cui ci si trova e sulla modalità di visita (ricostruttiva o stratigrafica). Una
serie di pulsanti, disposti su due colonne, permette la selezione immediata
delle scene, mentre la finestra del navigatore permette di controllare la posizione del proprio avatar (fig. 59). Conclude la serie di funzionalità un
gruppo di tre pulsanti dedicati all’attivazione di altrettanti strumenti (ritorno alla home, visualizzazione della schermata di aiuto, visualizzazione
dei credits).
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3.
Verso un’archeologia digitale
Il regno dello spazio tridimensionale
è quello dell’inevitabile compromesso,
non potendo stare due cose nello stesso luogo
e non essendo la materia trasparente.
(Carandini 1991, 18)
Affascinati dalle tecnologie
Al principio di questo volume si era ragionato su quanto in questi ultimi
anni si siano sviluppate le riflessioni sull’archeologia, i suoi metodi e i suoi
strumenti, e su come l’affermarsi della dimensione globale della disciplina
sia stata supportata da nuovi modelli di conoscenza e nuove tecnologie.
L’apporto di queste ultime, soprattutto quelle informatiche, a questa nuova
stagione di riflessione rimane in secondo piano, e si può ancora ribadire
come, malgrado la nutrita schiera di tecnologie a disposizione della ricerca
sul campo, il “mestiere di archeologo” non sia cambiato di molto negli ultimi anni (D’Andrea 2006). Sebbene numerosi contributi scientifici anche
sul versante tecnico e applicativo abbiano concorso a rafforzare le interazioni fra tecnologie informatiche e pratica archeologica nelle sue diverse declinazioni (Gabucci 2005, Mascione 2006, Limoncelli 2012), la situazione
non è cambiata in profondità, come sarebbe stato lecito aspettarsi considerando le premesse con cui il binomio archeologia/informatica si era imposto sul finire degli anni ’90. Se strumenti nuovi e tecnologicamente avanzati sono oggi il corredo abituale dell’archeologo che opera sul campo in
un ampio spettro di applicazioni, dalla documentazione al restauro, dalla gestione dei dati e degli archivi alla ricostruzione, rimane ancora tutta da proporre una metodologia che sfrutti a fondo le capacità delle nuove soluzioni
non solo per accelerare e rendere più preciso, affidabile e incisivo il proprio
lavoro, ma per riscrivere a fondo le pratiche operative, e costruire in definitiva una tecnica di indagine che ne supporti validamente la nuova dimensione globale.
Soprattutto nell’orizzonte dell’archeologia stratigrafica rimangono fortemente esposti alcuni punti nodali la cui soluzione è necessaria per poter
giungere ad una fase di vero e diffuso rinnovamento metodologico, che risulti utile e condiviso da tutta la comunità degli operatori. Basti pensare allo
stato in cui versano interi settori come quello della tutela o della valorizzazione, il primo condizionato da una atavica carenza di risorse che raramente
permette di uscire dalla fase di gestione a favore di una seria programmazione, il secondo ammaliato dalle tecnologie di comunicazione, ma legato
ad una radicata tendenza ad ignorare il mondo della ricerca, le sue prerogative, le sue istanze. Anche il settore della ricerca e della didattica stenta a recepire le innovazioni metodologiche che arrivano dalle nuove tecnologie,
considerandole poco più di un utile accessorio, sulla scorta di una recondita
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Una macchina del tempo per l’archeologia
diffidenza verso i cambiamenti ad un modus operandi ormai consolidato.
La conseguenza di questo stato di isolamento fra i principali attori dello scenario porta ad una scarsa innovazione dell’intero settore e ad uno stallo difficilmente superabile senza un atteggiamento nuovo, al punto da risultare
esaurita la spinta al cambiamento da parte delle ‘applicazioni’ informatiche
all’archeologia, e definitivamente superata la fase positivista di valorizzazione di questo approccio.
Le motivazioni più profonde del mancato rinnovamento sono sicuramente da ricercare nell’incompiutezza della stagione di normalizzazione e
standardizzazione solo abbozzata negli anni ’70 del secolo scorso, in piena
era predigitale: le applicazioni informatiche non hanno contribuito più di
tanto, intervenendo piuttosto a complicare ulteriormente le cose (D’Andrea
2006, 79). A questo forse si aggiunge anche la sostanziale impermeabilità del
mondo dell’archeologia italiana ai saperi tecnici (Giuliani 1991, 11-17).
Concentrandosi per lo più sulla sperimentazione di singoli casi le ICT hanno
portato a indubbi avanzamenti su specifiche criticità, dalla documentazione
alla gestione dei dati. Entrate a pieno titolo a far parte della “borsa degli attrezzi” dell’archeologo con indubbi benefici (Daly, Evans 2006, 3), non
hanno tuttavia innescato alcun effetto di sistema che contribuisse a modernizzare la pratica della ricerca stratigrafica sul campo, ancora sostanzialmente legata a procedimenti ‘artigianali’ di acquisizione e gestione della
conoscenza, e pertanto autoprodotta, autogestita e spesso gelosamente custodita (De Felice 2011).
Negli ultimi decenni l’archeologo ha imparato ad usare tecnologie quali
i DB, i GIS (e il CAD) per la gestione dei propri dati, a essere più ordinato,
rapido e preciso (D’Andrea 2001). Ha imparato dai tecnici come usare stazioni totali e software a corredo, e li ha usati per i suoi scopi. Ha imparato
a servirsi di software di modellazione 3D e ha ricostruito i suoi siti. In decenni di interazione fra umanisti e tecnologi e nello specifico fra archeologi
e informatici, l’approccio dominante è stato sostanzialmente technology driven, con le discipline umanistiche in buona parte semplici ricettori. Finché
il rapporto fra archeologia e tecnologie rimarrà guidato da queste ultime più
che dalle istanze del dominio di conoscenza, la creazione di una nuova metodologia costruita su basi condivise rimarrà un obiettivo distante sul percorso verso una matura archeologia digitale per il terzo millennio (Forte,
Beltrami 2000, 297-298).
Questi decenni fortemente guidati dalla tecnologia, secondo una filosofia di gestione che ha preferito importare soluzioni già disponibili ed elaborate per altri specifici scopi piuttosto che collaborare all’analisi dei bisogni
e allo sviluppo di soluzioni innovative condivise, hanno lasciato però in eredità alla cultura umanistica una nuova apertura di orizzonti nei confronti di
tecniche e metodi utili per la ricerca, la tutela e la valorizzazione del patri90
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3. Verso un’archeologia digitale
monio culturale, da cui è possibile che si avvii un’ulteriore fase di evoluzione.
La conseguenza della mancata condivisione è che se l’archeologia e i
suoi metodi sono divenuti globali, la stessa cosa non si può ancora dire per
le tecniche della ricerca: strumenti e tecnologie innovative continuano ad
essere usati in modo solo parzialmente organico ai processi di acquisizione
dei dati, di interpretazione e di comunicazione e ancora oggi non esiste un
processo codificato e standardizzato che colleghi il recupero dei dati con
l’interpretazione e la diffusione dei risultati. Questa mancanza non riguarda
soltanto l’archeologia stratigrafica, ma l’intero ‘ventaglio delle metodologie’, ivi comprese le molteplici archeologie nate e cresciute in anni recenti,
‘senza lo scavo’ o piuttosto ‘oltre lo scavo’, in cui il recupero dei dati è legato ad altre attività di indagine, dalle tecnologie di telerilevamento al survey nel territorio. Nel caso specifico della metodologia di indagine
stratigrafica, la componente pratica è affidata a manuali ormai esemplari,
ad alcune linee guida fondamentali e ad un diffuso e artigianale fai-da-te, che
governa il processo di conoscenza.
Ad esempio, nel contesto della documentazione grafica (ma lo stesso discorso si potrebbe fare per altri settori dell’archeografia), le soluzioni di
computer graphic sono utilizzate come supporto alla ricerca, alla gestione
dei dati, al restauro grafico, alla comunicazione e alla divulgazione. Ampio
spazio viene dato alle tecnologie di visualizzazione in diversi momenti del
processo di indagine, ma raramente in un’ottica strutturale.
Un punto di svolta importante è la diffusione di interessanti esperimenti
per la realizzazione di set di documentazione tridimensionale digital born,
fondati sull’utilizzo di tecnologie di acquisizione e gestione dei dati differenti (laser scanning, fotomodellazione, ecc.), mentre procedure più semplici quali la vettorializzazione (manuale o semiautomatica) vengono
impiegate per la digitalizzazione e la restituzione in 3D di elaborati grafici
di archivio e più in generale di legacy data (cfr. supra, cap. 1). Affinché le
esperienze a carattere sperimentale possano però dare un contributo di ampio
respiro è necessario avviare una fase di condivisione prima ancora che di regolamentazione che ne permetta l’integrazione in un nuovo processo archeografico, in cui la documentazione tridimensionale divenga speditiva,
semplice, non legata a tecnologie o piattaforme specifiche per la realizzazione, e caratterizzata da costi sostenibili di gestione. È in altre parole indispensabile liberarsi dal ‘fascino’ di una peculiare soluzione tecnologica
(come è avvenuto più volte negli ultimi anni, dal GIS al laser scanner) e
proseguire lo studio nonché promuovere la condivisione di buone pratiche
per la realizzazione di documentazione grafica tridimensionale, che preveda
l’uso di soluzioni tecnologiche avanzate ma anche di procedure semplici, facilmente replicabili e standardizzabili. Non è infatti escluso che una proce91
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Una macchina del tempo per l’archeologia
dura di rilievo diretto condotta con cura e con accorgimenti utili alla trasformazione in 3D possa risultare efficace quanto un rilievo effettuato tramite costose attrezzature!
Guidati dalle metodologie
L’obiettivo di più ampio respiro verso cui tendere è la realizzazione di
ambienti digitali in cui possano confluire ed essere gestiti efficacemente dati
provenienti da dataset di tipologia differente. È possibile raggiungerlo, ma
a condizione di avviare una stagione di riflessione metodologica vitale, fondata sulla ricerca di “metodi comuni e comunemente accettati” (Valenti
2009, 9) che renda la documentazione archeografica non solo più accurata
e precisa, ma soprattutto più direttamente significativa. Se è vero che non si
può fare archeologia senza fare archeografia (Mannoni 2000), solo una archeografia globale può sostenere una vera archeologia globale.
Il bisogno di una fase di condivisione, a superamento della visione in
forma di applicazioni del rapporto fra informatica e archeologia, è evidente
ad esempio nel sostanziale fraintendimento che caratterizza il settore dell’archeologia virtuale, in continuo stallo fra le richieste degli archeologi di un
approccio ampio, se non olistico e complessivo, e l’imbarazzo che nasce dalla
inadeguatezza delle soluzioni attualmente offerte dalle tecnologie di visualizzazione. In altri termini, gli archeologi oggi partecipano della fiorente stagione del 3D, chiedendo agli strumenti di computer graphic da un lato di
sviluppare modelli articolati e di qualità eccezionale (magari da fruire in realtime), dall’altro di gestire la complessità della documentazione stratigrafica.
Anche in questo settore l’approccio è in sostanza guidato dalle tecnologie, che impongono soluzioni tecniche particolari, orientate alla gestione di
moli di dati tanto enormi quanto inutili per la documentazione, l’interpretazione e la ricostruzione della sequenza stratigrafica di un sito archeologico
(rilievi 3D da laser scanner), oppure alla spettacolarizzazione dei risultati
(ricostruzioni virtuali).
Si pensi alle procedure di rilievo sul campo, in cui l’uso dei sistemi stazione totale/CAD rappresenta ormai la norma, tanto che la stragrande maggioranza delle équipe di ricerca utilizza questi strumenti e i vantaggi della
possibilità di ragionare in termini di modello sono evidenti a tutti. Ebbene
tutti utilizziamo software in grado di gestire il 3D eppure i tentativi di documentare in tre dimensioni sono ancora esperimenti e non esiste una condivisione dei metodi capace di rendere confrontabili i risultati conseguiti
(fig. 60).
In mancanza di una prospettiva metodologica unitaria la pratica del rilievo tridimensionale continua invece ad essere declinata in chiave quasi
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3. Verso un’archeologia digitale
60. - Documentazione tridimensionale (dis. F. Gagliardi).
esibizionistica. Essa non sfrutta se non in minima parte le possibili, enormi
implicazioni insite nella possibilità di registrare e far fruire la complessità
di una stratigrafia archeologica secondo modalità nuove; nonostante, come
abbiamo già avuto modo di dire, la natura multidimensionale di una realtà
stratificata sia stata affermata ben prima che le macchine ne permettessero
la restituzione (cfr. supra, p. 22).
Sottrarre alla naturale distruzione della stratigrafia archeologica, inevitabile in ogni procedimento di indagine, quella derivante da un processo di
documentazione parziale, nonché prestare uguale attenzione tanto ai dati
nuovi che a quelli di archivio è solo parte di una più ampia esigenza di codificare un atteggiamento nuovo nei confronti delle tecnologie, in cui esse,
dall’essere semplici ‘applicazioni’ (Forte 2007, 31-32), vengano studiate,
sezionate, piegate e modificate per divenire parte di un sistema. Sembra infatti che mentre l’archeologia diventa globale, le sue tecniche rimangano
indietro, affascinate e un po’ disorientate da apporti di strumenti nuovi e ap93
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Una macchina del tempo per l’archeologia
1
L’esempio più importante e
longevo nel nostro paese è
senza dubbio il movimento archeofoss che ogni anno dal 2006
organizza un workshop e provvede alla pubblicazione degli
atti (www.archeofoss.org).
parentemente risolutori di ogni genere di problemi. Solo superando l’atteggiamento di soggezione nei confronti degli strumenti si potrà aprire una
nuova stagione in cui le tecnologie informatiche entrino nella metodologia
in maniera programmatica e il più possibile estesa e in cui la digital archaeology non sia più qualcosa di esoterico e isolato (Daly, Evans 2006, 7), ‘di
nicchia o di confine’ (Valenti 2009, 9) ma risulti invece fortemente integrata
e inscindibile da quella che sarà l’archeologia del nuovo millennio (Forte,
Beltrami 2000, 290 e 297-298). In mancanza di un deciso passo in questa direzione sarà molto difficile arrivare alla nascita di una disciplina che sia globale non tanto nelle sue prospettive di conoscenza, ma nella sua natura
sociale e condivisa.
In tal senso è indispensabile porre su basi nuove il problema della proprietà intellettuale e dell’apertura dei dati, che ancora costituisce un ostacolo enorme al raggiungimento di questo essenziale obiettivo. I temi degli
open data, del software libero e open source, della didattica aperta sono
oggi proposti sulla scena del rinnovamento metodologico grazie a progetti
e movimenti sviluppatisi in maniera spontanea, su iniziativa di giovani archeologi professionisti e attraverso la costituzione di esperienze indipendenti che stanno cambiando, dal basso, il volto dell’archeologia 1. Intorno
a questi temi, al problema dell’apertura degli archivi, della creazione di reti
per la circolazione delle informazioni e della salvaguardia e condivisione
della conoscenza ruota il futuro della nostra disciplina, a condizione che importanti ambiti quali la ricerca, la tutela e la didattica superino l’atteggiamento difensivo legato al sovraccarico di informazioni che ormai pervade
tutti i settori della vita digitale (Kansa, Whitcher Kansa, Watrall 2011) e
aderiscano da protagonisti a questi movimenti. Oltre ad essere sperimentate
nei luoghi della ricerca è indispensabile che le tecnologie digitali siano non
più solo argomento di specifici corsi universitari, spesso sacrificati nei piani
di studio (Valenti 2009, 9), ma il fulcro di più ampi percorsi di formazione,
in modo da diventare pratica universale per le nuove generazioni e da non
lasciare che il dibattito metodologico resti una prerogativa degli addetti ai
lavori.
Un nuovo approccio orientato alle metodologie è a nostro avviso in grado
di rimettere insieme le parti di un sistema di conoscenza che oggi appaiono
invece fortemente frazionate a causa di un imperante atteggiamento
technology driven. Osservando infatti i processi di ricerca archeologica dal
punto di vista del loro esito, ovvero comunicazione e valorizzazione, il sostanziale scollamento fra le prime e le ultime fasi risulta oltremodo evidente
(fig. 61). Quello che dovrebbe essere il punto di arrivo di ogni percorso di
indagine rimane invece una fase isolata, spesso gestita da soggetti esterni al
percorso stesso (Gianolio 2012, 178) nella quale gli esperti di dominio assumono un ruolo marginale.
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3. Verso un’archeologia digitale
61. - Dalla documentazione tridimensionale alla ricostruzione.
D’altronde comunicare i beni culturali,
l’archeologia in particolare, è un’operazione
complessa, che mai dovrebbe essere separata dai processi di ricerca. Siti e musei
sono luoghi ‘distanti’, che contengono oggetti ‘desueti’ e le difficoltà di riuscire a
raccontare attraverso tracce una storia interessante sono acuite dalla distanza, cronologica e culturale, che ci separa da esse.
Quello stesso distacco che affascina, che
crea il valore di tutto ciò che è passato e
rende il rapporto fra fruitore e patrimonio
magico e irripetibile, rappresenta anche il
motivo principale di questa difficoltà. Reperti, strati, monumenti, siti sono solo archetipi; indizi di qualcosa che si coglie con
molta difficoltà e altrettanto difficilmente si
ricostruisce e si racconta. Narrare il passato a partire dalle tracce materiali è un po’
come spiegare la poesia antica, la società
letteraria, la cultura classica avendo a disposizione solo le copie dei manoscritti medievali. Copie, distanti, di originali che non
esistono più, essendo stati soggetti nel corso
della loro vita a trasformazioni indotte da
fattori culturali e naturali dalla loro obliterazione fino al momento della scoperta. Nell’impossibilità di scavare tutto, ma anche di
documentare tutto (Carver 1990), la metodologia di indagine, le tecniche e i ragionamenti che permettono di capire e immaginare sono quindi importanti almeno quanto
le tracce stesse, e racchiudono un potenziale informativo che merita di essere raccontato insieme ad esse.
Le attività che hanno portato alla realizzazione della TimeMachine vogliono essere
il suggerimento di un possibile approccio in
grado di raccontare la complessità di un sito
pluristratificato utilizzando un linguaggio
che sappia coniugare tecnologie, tecniche,
metodologie e saperi diversi e valorizzare
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Una macchina del tempo per l’archeologia
62. - Il continuum temporale (dis. F. Gagliardi).
le specificità di ciascuna di queste componenti. Una macchina del tempo
applicata ad un sito archeologico dovrebbe infatti evidenziarne la sequenza cronologica (fig. 62), piuttosto che le singole componenti materiali,
siano esse pietre, muri, edifici, frammenti di ceramica o carcasse di animali (Barceló 2009, 334-335). Dovrebbe in altre parole mettere in evidenza
i nessi interpretativi che portano a cogliere i fenomeni nascosti dietro quegli oggetti e spiegare il processo di deduzione che è la vera e unica ricostruzione di un sito archeologico, ovvero più una “reinvenzione verisimile
e formale della realtà” che una sua riproduzione (Carandini 1991, XVII).
Lo scopo ultimo del prototipo di TimeMachine è la sperimentazione di
processi innovativi per la produzione di contenuti emozionali collegati ai
risultati della ricerca in uno dei settori dei beni culturali in cui è particolarmente intenso il fascino generato dal dominio di conoscenza, e più pressante la necessità di interazione fra innovazione tecnologica e metodologica,
fra esigenze di comunicazione e istanze di scientificità.
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3. Verso un’archeologia digitale
Il workflow di produzione ha inteso testare su un caso concreto un nuovo
approccio che cercasse coerenza fra soluzioni tecnologiche e oggetto del
racconto, attraverso lo sviluppo di alcuni elementi:
– la condivisione della ‘conoscenza formale’ nel campo dell’archeologia stratigrafica, utile a definire i processi di selezione ed elaborazione delle fonti e quindi a modellare i fabbisogni narrativi di un
possibile prodotto di comunicazione;
– la formalizzazione dei correnti processi di trattamento delle risorse in
relazione alle esigenze di creazione di prodotti di comunicazione culturale e progettazione di innovativi approcci metodologici in grado di
valorizzare la disponibilità delle tecnologie e le peculiarità del dominio di conoscenza;
– la creazione di ‘fonti elaborate’, ovvero di un modello ottimizzato
delle fonti formali con riferimento agli obiettivi di comunicazione in
essere. Nel prototipo sono da considerare tali non solo i brevi contenuti esplicativi erogati attraverso i totem informativi, ma anche gli
oggetti 3D realizzati, a cominciare dalle unità presenti nelle scene
stratigrafiche fino ai modelli ricostruttivi di pavimenti, muri, coperture;
– la progettazione di un prodotto di comunicazione in grado di valorizzare la ‘fonte elaborata’ attraverso un approccio creativo coerente
con i linguaggi associati alle tecniche e alle tecnologie di interesse.
In questa luce la scelta del realtime come linguaggio intorno a cui costruire la TimeMachine è stata dettata dalla considerazione delle caratteristiche di multidimensionalità e diacronia della conoscenza nel campo
dell’archeologia stratigrafica.
Le problematiche emerse e le soluzioni escogitate riflettono le tappe della
produzione di un sistema di fruizione di contenuti culturali elaborati a partire dalle fonti materiali. Le criticità del percorso raccontato offrono dunque
uno spaccato della specifica problematicità di un settore della ricerca archeologica, rappresentativo del più vasto scenario dei beni culturali, in cui
da un lato i meccanismi ed i linguaggi di fruizione più moderni non trovano
ancora un saldo legame con le metodologie di acquisizione della conoscenza, dall’altro queste ultime risultano lontane dall’essere impiegate nella
fase di fruizione.
Quel che emerge in definitiva è la necessità per l’archeologia di definire
un nuovo paradigma di comunicazione che tenga conto, accanto alle ovvie
istanze legate alla volontà di rendere accattivante il prodotto finale, anche e
soprattutto dell’immenso (e poco sfruttato) potenziale narrativo implicito
nelle metodologie di ricerca.
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Una macchina del tempo per l’archeologia
Non si tratta di ribadire lo scarso coinvolgimento del mondo della ricerca
o più in generale degli esperti di dominio nella produzione di contenuti di
divulgazione, ma di immaginare un nuovo, più vasto scenario, in cui si rinnovi sia il rapporto fra conoscenza e divulgazione sia l’interazione fra i principali attori che lo animano, dalle Università agli altri organismi di ricerca,
alle Soprintendenze, alle imprese e ai tanti archeologi professionisti.
Non si tratta peraltro nemmeno di reclamare la correttezza scientifica dei
contenuti di comunicazione e divulgazione – che dovrebbe essere un prerequisito – ma piuttosto di spingere a valorizzare l’intero meccanismo ricercainterpretazione come unico elemento in grado di rendere i beni culturali un
mondo avvincente, ricco di fascino e fecondo di emozioni.
Si tratta in ultima analisi di definire modelli di comunicazione, in cui,
contemporaneamente al raggiungimento di standard tecnici sempre più raffinati, si punti al cambiamento dei linguaggi, e non si trascurino, ma piuttosto si valorizzino, le prerogative del dominio di conoscenza, ottenendo
in questo modo contenuti corretti, interessanti e innovativi allo stesso
tempo.
Pronte a creare oggetti dall’enorme potenziale comunicativo, le tecnologie di produzione e di fruizione digitali risultano invece poco efficaci in
mancanza di regia, stile e contenuti. Nel nostro ambito possono essere utilizzate per coniugare dati e immaginazione, per gestire e visualizzare il
dubbio, l’incerto e il probabile che avvolge ogni manufatto, sito, o frammento. E chi meglio di un archeologo potrà trovare il linguaggio giusto
per narrare l’ampio e difficilmente visibile sostrato di interpretazione e
farne il vero oggetto di una comunicazione che possa definirsi davvero
emozionale?
Nello specifico dell’archeologia virtuale si potrebbe sostituire o quantomeno affiancare all’obiettivo di tendere a ricostruzioni più ‘vere’, o meglio verosimili, quello di narrare le diverse possibilità interpretative, la
metodologia che sostiene il ragionamento, le tracce e gli indizi su cui si
fonda ogni ricostruzione, dando così risalto al continuo scambio fra gli
aspetti oggettivi della ricerca e la soggettività delle interpretazioni. Lo sviluppo di linguaggi nuovi potrà dunque contribuire efficacemente a modificare, ad esempio, la diffusa prospettiva di assoluta unitarietà dell’oggetto
culturale, che conduce spesso, nelle fasi di ricostruzione, ad un vero e proprio ‘classicismo virtuale’ volto a prediligere manufatti preziosi, monumenti imponenti, capolavori dell’arte, con il risultato di banalizzare il
concetto stesso di reperto.
Mezzo secolo di archeologia stratigrafica ci ha insegnato a considerare
il senso vero del termine ricostruzione nel suo più profondo significato di ricomposizione di frammenti di storia più che di ripristino o restauro (anche
virtuale) di un fantomatico aspetto originario e a superare il “timore para98
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3. Verso un’archeologia digitale
lizzante e autodistruttivo” dell’errore (Carandini 1991, 146) che nell’archeologia italiana per tanti anni ha condizionato il rapporto fra ricerca e divulgazione.
La vera sfida da raccogliere è quindi quella di individuare un linguaggio
adatto a narrare in maniera al contempo attendibile e avvincente il fascino
e l’emozione di quella ‘archeologia quotidiana’ che rappresenta la normalità per tanti ricercatori, volontari e archeologi professionisti, distogliendo
l’attenzione del grande pubblico dal culto del mistero e dalla liturgia della
scoperta.
Passato e futuro
Interpretare, ricostruire e comunicare è una sfida trasversale all’intero
settore dei beni culturali. Data la complessità e la quantità di temi e di attori
implicati risulta difficile che possa essere vinta da un singolo soggetto, sia
esso ricercatore, tecnologo o comunicatore: i punti di vista, le necessità e le
competenze che entrano in gioco sono estremamente variegate e, se considerate singolarmente, scarsamente significative.
I ricercatori, in assenza di un momento di diffusione dei risultati a tutti i
livelli, dalla comunicazione scientifica alla divulgazione, rischiano di isolare
e svuotare di significato la conoscenza di dominio.
D’altra parte gli esperti di tecnologie e i comunicatori, che negli ultimi
anni hanno rapidamente conquistato un ruolo leader nella produzione di
contenuti per i beni culturali continuano ad identificare l’innovazione del
settore con l’adozione di tecnologie avanzate e il raggiungimento di standard
visuali sempre più sofisticati.
Questa mancanza di relazioni fra attori del medesimo scenario finisce
col sacrificare lo sviluppo di tutte le potenzialità del settore, in quanto la
raffinatezza tecnologica dei prodotti di comunicazione e l’impatto che ne
deriva non solo non sono bilanciati da una congrua attendibilità sul piano
scientifico, ma non attingono alle potenzialità espressive e narrative di cui
la conoscenza e la metodologia di dominio sono portatrici, finendo col trascurare alcuni elementi, quali la soggettività e l’interpretazione, veri oggetti
della comunicazione emozionale sui beni culturali.
Il mondo della ricerca e la conoscenza formale di dominio sono infatti custodi di competenze che normalmente non trovano spazio nei processi industriali di creazione di contenuti, perlopiù orientati a considerare i beni
culturali in modo simile a qualunque oggetto di comunicazione. Anche il
mito della supremazia quantitativa e qualitativa italiana riguardo ai beni culturali, storicamente non ha certo giovato alla formazione di una consapevolezza autonoma sul loro valore comunicativo, favorendo invece la
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Una macchina del tempo per l’archeologia
63 - Una proposta di workflow di produzione nel campo della comunicazione dei Beni Culturali (elab. G. De Felice, V. Santacesaria).
concezione dei beni culturali come un ‘tesoro’ cui attingere in modo acritico
senza considerare le competenze e le conoscenze degli operatori del settore.
La prospettiva è quella di giungere alla definizione di una strategia valida nell’intero settore dei beni culturali, che promuova lo sviluppo di protocolli condivisi da tecnologi, esperti di dominio e imprese per produrre
contenuti che sfruttino, accanto alle tecnologie più innovative, anche le competenze dei produttori della conoscenza, liberandoli dal ruolo restrittivo di
fornitori di certezze (fig. 63).
È possibile che la realizzazione di prodotti di comunicazione culturale in
grado di coniugare conoscenza, creatività e potenzialità delle tecnologie di
accesso costituisca un punto di incontro delle aspettative del mondo accademico, delle imprese e degli enti preposti a tutela e valorizzazione. La combinazione di tecniche, tecnologie, dominio, linguaggi e creatività potrebbe
determinare un’efficace sinergia in grado di spostare l’attenzione dalle tecnologie in quanto tali alla definizione di obiettivi finalizzati a favorire la curiosità e l’interazione fra patrimonio e fruitori.
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3. Verso un’archeologia digitale
L’intesa fra imprese specializzate, ricercatori di dominio, tecnologi e comunicatori potrebbe generare uno scenario innovativo in cui la conoscenza
archeologica si combini con la creatività per innovare i contenuti e le modalità di erogazione, all’interno di una nuova catena del valore culturale che
possa fornire nuove risorse ad un settore costantemente alle prese con la
mancanza di mezzi.
L’esperienza maturata nella realizzazione della TimeMachine e più in
generale nelle attività del Laboratorio di Archeologia Digitale ci spingono a indicare proprio nel mondo della comunicazione dei beni culturali
un possibile ambito di crescita, culturale, occupazionale ed economica, in
cui molti archeologi potrebbero trovare il giusto riconoscimento al valore delle proprie conoscenze e competenze, mortificate in un settore i
cui sbocchi tradizionali in termini di lavoro e sviluppo sono ormai da
tempo atrofizzati.
Lo spazio che si apre è quello della sinergia fra tecnologia, cultura e
creatività che tenga collegate le risorse più avanzate, i linguaggi più innovativi e le enormi potenzialità espressive del dominio. Questo spazio
aspetta di essere colmato da un’intesa fra i diversi attori che oggi operano
in maniera sconnessa e autonoma: formatori, ricercatori, professionisti, enti
pubblici.
Al mondo della formazione e della ricerca spetta il ruolo difficile e fondamentale di aggiornarsi, nei piani di studio, nell’offerta formativa, nei collegamenti con il mondo imprenditoriale, e di guardare con maggiore fiducia
alle tante professionalità presenti nel territorio spingendosi oltre il mero perseguimento delle indagini scientifiche.
Alle imprese di settore spetta un salto di qualità orientato a comprendere
il valore nascosto nel patrimonio di contenuti, stili, linguaggi e idee che è custodito dalle Università, dagli Enti di ricerca e dai tanti professionisti, chiamandoli a svolgere un ruolo ben più pregnante rispetto a quello di
‘consulenti’, cui sono normalmente ridotti.
Agli enti pubblici, alla politica e alle amministrazioni spetta il duplice
compito di avallare questa possibile sinergia attraverso la promozione di opportune misure di finanziamento e la vigilanza sul reale valore delle operazioni culturali.
In conclusione la TimeMachine è stata progettata con l’intento di mostrare, pur limitatamente al mondo dell’archeologia stratigrafica, un possibile nuovo scenario, in cui le operazioni di divulgazione siano radicate
nelle metodologie scientifiche, e prevedano, accanto ed insieme all’uso di
tecnologie innovative, un’attenzione maggiore al dominio della disciplina
ed al delicato processo conoscitivo, dalle fasi preliminari a quelle di raccolta analitica, fino ai momenti di sintesi, interpretazione e comunicazione.
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Una macchina del tempo per l’archeologia
Se il prototipo risulterà senz’altro superato già nel momento della pubblicazione, spero rimanga valido l’invito a convergere verso una fase in cui
la comunità dei ricercatori e degli archeologi possa assumere un preciso
ruolo di guida e indirizzo nella narrazione in forme inedite di quelle ‘storie
dalla terra’ la cui scrittura è in definitiva il fine del proprio mestiere.
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Appendice
materiali
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1. Il set di documentazione digitale, le procedure di rilievo e di digitalizzazione
1.
Il set di documentazione digitale,
le procedure di rilievo e di digitalizzazione
di Andrea Fratta
L’attività del team di documentazione si è tradotta in un percorso volto a realizzare un modello
tridimensionale in grado di descrivere ‘ciò che resta’
di un sito archeologico pluristratificato, e di raccontarne la vicenda cronologica tramite la rappresentazione della sequenza stratigrafica. Per raggiungere
tale obiettivo è stata sperimentata una procedura metodologica articolata su più livelli. Difatti, se per il rilievo delle strutture della villa è stato possibile
avvalersi di un sistema di scansione laser 3D, la modellazione delle singole unità stratigrafiche ha richiesto un particolare trattamento che consentisse di
trasformare le informazioni spaziali da una forma
analogica ad una digitale. Da questa impostazione
sono scaturite alcune significative domande:
– è possibile convertire la rappresentazione grafica di un overlay in un oggetto 3D digitale?
Con quali conseguenze?
– quali vantaggi si hanno grazie all’integrazione
di dati spaziali acquisiti secondo tecniche di rilevamento totalmente diverse?
Prima di analizzare le singole fasi di questo lavoro, ci piace sottolineare come le soluzioni adot-
tate in corso d’opera si siano rivelate significative ai fini della costituzione di alcune good practices, che dopo essere state inserite nel programma
di e-learning previsto dal progetto Itinera (raggiungibile all’indirizzo www.itinera.puglia.it), sono entrate a pieno titolo nelle attività di rilievo archeologico delle équipe dell’Università degli Studi di
Foggia.
Il rilievo con laser scanner
La documentazione topografica dell’esistente, in
particolare dell’area della cenatio di V sec. d.C., è
stata realizzata tramite laser scanning 1, con l’obiettivo di creare un modello delle strutture che rappresentasse il ‘contenitore’ della sequenza stratigrafica.
Ad una fase di rilievo sul campo, in cui sono state
effettuate diverse scansioni della cenatio e del portico circostante, è seguita una lunga elaborazione
delle nuvole di punti (fig. 1), suddivisa nei passaggi
di registrazione, pulizia e meshing.
1
È stato utilizzato uno scanner Leica HDS3000 a tempo di
volo, con una precisione di 6mm a 50 metri.
1. - Nuvola di punti della cenatio.
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Andrea Fratta
2. - Pianta di strato. Dal raster al 3D.
La mesh ottenuta è stata sottoposta ad ulteriori
procedimenti per correggere errori dovuti alle irregolarità del set di punti iniziale. Sono stati applicati filtri di smoothing per ridurre, se non eliminare
del tutto, la caratteristica ruvidezza dovuta a una
non perfetta coerenza dei vertici dei triangoli; inoltre sono stati colmati i vuoti causati da assenza di
informazioni spaziali fra zone regolarmente scansionate.
Ricomporre la stratigrafia. Dalla carta allo schermo
Uno degli obiettivi del prototipo è stato quello di
riprodurre virtualmente alcune delle fasi della villa di
Faragola. L’apporto della documentazione di scavo,
sia grafica che scritta, è stato fondamentale per la
rappresentazione digitale delle singole unità stratigrafiche e per la loro suddivisione in gruppi cronologicamente ordinati.
Pertanto la premessa all’intero workflow sviluppato è stata una revisione del materiale cartaceo a disposizione, concretizzatasi nello specifico nella
selezione degli overlay e delle relative schede.
La procedura adottata può essere dunque schematizzata in una serie di azioni (fig. 2):
Fase “raster”
– Acquisizione digitale degli overlay
– Miglioramento della leggibilità
Fase “modellazione”
– Creazione delle superfici NURBS
La procedura descritta finalizzata al trattamento
della documentazione cartacea pregressa prescinde
dal tipo di software utilizzato e per questo motivo può
essere applicata su qualunque piattaforma.
Fase raster
Una volta selezionati, gli overlay da elaborare
sono stati regolarmente scansionati utilizzando una
risoluzione di 300dpi. Tramite programma di fotoritocco sono state apportate tutte quelle modifiche che
permettono di migliorare la leggibilità di un documento con l’obiettivo di uniformare ciascun disegno.
Ai tratti dei singoli disegni è stato dato maggior
risalto grazie a opportune regolazioni del contrasto e
della luminosità, mentre si è preferito intervenire
‘manualmente’ con appositi pennelli per eliminare
sbavature della matita o tracce di cancellazione.
È stato adottato uno standard per tutti quegli elementi grafici e testuali maggiormente utilizzati dai
disegnatori. Pertanto è stata creata una matrice per
gli elementi comuni quali le bandierine per indicare
il punto di quota, la loro numerazione, la freccia del
nord e la formattazione testuale dell’intestazione
degli overlay e della tabella con i valori numerici relativi ed assoluti.
Ciascun file è stato successivamente inserito nel
database Iremas per la rapida consultazione della
documentazione archeologica del sito di Faragola 2.
Fase “vettoriale”
– Vettorizzazione in ambiente CAD
2
Cfr. supra, p. 43.
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1. Il set di documentazione digitale, le procedure di rilievo e di digitalizzazione
3. - Sovrapposizione delle unità stratigrafiche.
Fase vettoriale
Le immagini raster realizzate sono state importate in un ambiente CAD per la successiva vettorializzazione. Una volta importata, l’immagine è stata
rototraslata e scalata in modo da rivestire la sua
esatta collocazione rispetto al sistema di coordinate
della planimetria generale, dopodiché il contorno
dell’unità stratigrafica è stato ricalcato con una polilinea tridimensionale, mentre sono stati inseriti dei
punti in corrispondenza delle varie bandierine di
quota. Il valore sull’asse z di ciascun vertice della
polilinea e di ciascun punto di quota è stato modificato inserendo le informazioni assolute misurate sul
campo tramite livello ottico.
Questa operazione ha creato non pochi problemi
nell’interpretazione dei rapporti stratigrafici poiché in
molti casi è stato complicato assegnare valori z ai limiti delle singole US. La ragione di tutto questo va
ricercata nelle comuni pratiche di rilievo adoperate
sul campo. Infatti i disegnatori tendono maggiormente
ad acquisire le quote dell’interno degli strati tralasciando quelle sui bordi; ciò comporta una perdita di
informazioni trascurabile nel caso di unità stratigrafiche caratterizzate da limiti netti (ad esempio quelle
che si appoggiano a strutture murarie), ma molto problematica qualora il bordo abbia un andamento irregolare e sia adagiato al di sopra di uno o più strati.
Nel primo caso è risultato sufficiente assegnare
alle quote dei vertici della polilinea i valori dei punti
di quota più vicini, mentre nel secondo si è cercato
di assegnare ai bordi i valori delle quote degli strati
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Andrea Fratta
4. - Sezioni.
sottostanti. Sebbene la soluzione proposta sia frutto
di una deduzione soggettiva, è stata ritenuta soddisfacente per aver consentito tuttavia un grado di approssimazione accettabile.
Fase modellazione
L’ultimo step ha riguardato la modellazione delle
singole unità stratigrafiche. Ciascun disegno vettoriale è stato importato in un programma di modellazione NURBS 3 tramite il quale è stato possibile
creare delle superfici che avessero come limiti i
bordi delle unità stratigrafiche e che passassero per
i punti di quota posizionati precedentemente in CAD.
3
In questo caso è stato utilizzato Rhinoceros 4.0.
La possibilità di infittire le suddivisioni bidimensionali U e V ha permesso di migliorare la qualità delle superfici nonché l’aderenza agli elementi
vettoriali originari (polilinea 3D e punti di quota).
Nella stessa scena è stata importata anche la mesh
triangolare della cenatio rilevata tramite laser scanner, con l’obiettivo di monitorare i rapporti fra strati
di terra e unità murarie.
Da subito è emersa l’utilità che la visualizzazione
tridimensionale offre come strumento diagnostico.
Infatti, la semplice possibilità di muoversi in tutte le
dimensioni spaziali - e quindi di superare la costrizione bidimensionale degli elaborati cartacei quali
planimetrie e sezioni - consente di cogliere in maniera più agevole i rapporti stratigrafici, così come la
suddivisione in layer permette di ripetere virtual-
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1. Il set di documentazione digitale, le procedure di rilievo e di digitalizzazione
mente le operazioni di scavo e dunque di comprendere meglio la lettura diacronica del sito o, meglio
ancora, di renderla fruibile a terzi (fig. 3).
Grazie a questo processo di ottimizzazione della
documentazione grafica di scavo è stato possibile
realizzare delle vere e proprie piante di fase 3D della
villa di Faragola, che sono state successivamente elaborate dal team di modellazione per essere implementate nella TimeMachine.
In questo approccio la documentazione grafica
riveste un ruolo fondamentale, soprattutto quando
è l’unica testimonianza rimasta di quel processo irreversibile che è lo scavo stratigrafico. Ogni singolo overlay può dunque essere la base di partenza
per creare un tassello di una struttura ordinata che
può senza dubbio ricomporre, seppur nel ‘virtuale’, quella irrimediabile perdita di informazioni
che un’azione distruttiva come lo scavo comporta.
Inoltre la conversione di un elaborato grafico dalla
carta ad un formato 3D compliant interattivo può
favorire l’integrazione di dati acquisiti tramite tecniche di rilievo diverse dando vita ad uno strumento di lettura dei rapporti stratigrafici.
I vantaggi possono essere molteplici: dalla possibilità di ispezionare il modello (virtual surveying) alla creazione di output grafici come le
sezioni stratigrafiche (fig. 4), alla verifica della documentazione pregressa.
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2.
Il level design
di Lorenzo Baldassarro
L’interazione fra viaggiatore e ambiente virtuale si
realizza guidando l’avatar nello spazio virtuale ed interagendo con un pannello di controllo, sempre presente nella finestra di navigazione, dal quale è possibile
effettuare la selezione della scena da visitare, ed utilizzare una serie di strumenti di ausilio alla visita (pulsanti help, home, credits).
La realizzazione dell’applicazione ha richiesto
diverse fasi di sviluppo, distribuite lungo una roadmap che ha previsto la definizione dell’architettura
dell’applicazione, l’implementazione del mondo virtuale e infine lo studio dei meccanismi di coinvolgimento e delle dinamiche di interazione fra fruitore e
mondo virtuale (fig. 1).
L’architettura dell’applicazione è stata disegnata
in maniera da rispondere all’obiettivo di ottenere un
organismo digitale capace di gestire e rendere fruibili
in realtime dati stratigrafici ed anastilosi virtuali. La
soluzione individuata è consistita nella costruzione
di un insieme di scene, corrispondenti a diverse esperienze di visita virtuale del sito, in grado di garantire
semplicità di gestione sia nell’ingegnerizzazione
della piattaforma di realtà virtuale, che nella renderizzazione finale del motore grafico. L’ambiente tridimensionale risulta pertanto suddiviso in un livello
principale e in dieci scene subordinate, in cui sono
contenuti tutti gli oggetti di scena.
Oltre alle otto scene fondamentali, suddivise
nelle due modalità ricostruttiva e stratigrafica, sono
state realizzate due scene accessorie che garantiscono l’ingresso (intro) e l’uscita (outro) dall’applicazione 1. La prima contiene la sequenza iniziale di
slide e il filmato di introduzione, mentre la seconda
contiene il trailer di chiusura dell’applicazione.
La definizione dell’architettura della piattaforma
con la conclusione del primo step progettuale ha costituito la base indispensabile per l’implementazione
del modello virtuale. In seguito, la lunga digitalizzazione del record archeologico condotta attraverso
gli ambienti di sviluppo più diversi, si è tradotta nella
modellazione di tutte le entità digitali differenti, confluenti nella redazione dell’apparato scenografico finale del mondo virtuale, per un totale complessivo di
3217 oggetti ascrivibili a diversi tipi:
– modelli architettonici tridimensionali: tutti gli
oggetti che compongono l’ambientazione architettonica dell’applicazione, come l’edificio
e le suppellettili afferenti all’arco cronologico
prescelto (il world environment), il paesaggio e
i totem informativi;
– stratigrafia archeologica;
– character: 20 personaggi NPC (not player cha1
Cfr. supra, p. 51.
1. - le scene dell’applicazione.
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Lorenzo Baldassarro
racter), gestiti direttamente dall’applicazione
e 1 PC (player character) guidato dall’utente;
– metadati multimediali: le immagini raster per
i pannelli informativi e il pannello di controllo,
il filmato per il trailer di chiusura, il sound e gli
effetti ambientali;
– oggetti di scena quali le camere virtuali.
Disegnata la scenografia del modello virtuale, il
lavoro successivo è stato scandito dalla definizione
degli attributi comportamentali sia da un punto di
vista grafico che relativamente all’evento di gioco. In
particolare tutti gli oggetti importati (ad eccezione dei
metadati) sono stati ottimizzati con l’applicazione
degli shader, con l’attribuzione di comportamenti particellari, con la creazione di un sistema dinamico di
illuminazione e con il conferimento di particolari condizioni quali ad esempio la collisione.
Nella fase di ottimizzazione grafica è stato possibile introdurre più sfumature, e impostare un apparato grafico realistico. Attraverso la programmazione degli shader sono state caratterizzate le qualità
fisiche dei materiali che compongono gli oggetti tridimensionali. Si pensi ad esempio ai lembi d’intonaco presente sui muri perimetrali della cenatio nella
scena 3, al legno delle porte delle scene 1 e 2 o più
semplicemente alle vesti indossate dai character
nelle varie scene ricostruttive. Attraverso l’attribuzione di comportamenti particellari sono stati invece
animati gli eventi legati a particolari oggetti, come le
fiamme delle lucerne, il prodotto dell’attività di combustione per il crogiolo della scena 3, il sottile strato
di vapore acqueo che caratterizza il caldarium, l’acqua nel piano centrale della cenatio della scena 2 e
quella presente in alcuni vani delle terme. Infine la redazione di un sistema dinamico di illuminazione ha
consentito l’ottimizzazione dell’avatar con l’ombra
relativa, conferendo ‘veridicità’ ai movimenti e un relativo realismo percettivo.
Terminata l’ottimizzazione grafica, si è conferita agli oggetti destinati all’interazione con l’avatar la particolare condizione della collisione, che
sottende agli specifici comportamenti prodotti dallo
scontro tra due entità nello spazio, in base a parametri quali posizione, massa, velocità ecc. A tal
proposito il sistema è stato utilizzato per la sola de-
finizione delle superfici soggette all’urto con l’avatar, ottenendo di conseguenza il naturale design dei
percorsi esplorabili dall’utente. L’implementazione
del modello tridimensionale è stata ultimata con
l’inserimento e il posizionamento delle camere virtuali nelle scene.
Un’applicazione di realtà virtuale, in quanto ‘riproposizione’ del reale, sottintende l’emulazione di
tutte le dinamiche relazionali fra esseri animati e inanimati riconducibili al principio guida di causa ed effetto: sono gli eventi, ovvero tutto ciò che potenzialmente potrà realizzarsi nel mondo virtuale.
Questo principio ha guidato l’intera progettazione
sia architettonica che strutturale della piattaforma.
Una volta determinata l’architettura della piattaforma, la parte più impegnativa dell’intera fase dell’implementazione è consistita infatti nella definizione di tutte le dinamiche che scaturiscono nel
mondo virtuale. Si è realizzato uno scene-graph
unitario, capace di gestire attivamente tutti gli eventi,
da quelli generali che si determinano dal livello
principale dell’applicazione a quelli specifici di ogni
singola scena. All’avvio dell’applicazione si attiva
uno script di livello, detto start, che inviando le
istruzioni allo script di scena (intro) lancia la scena
relativa e il sound di sottofondo. Quest’ultimo, nel
controllare la sequenza delle slide, rimane inattivo
fino a quando l’utente risponde agli input video (ovvero i clic sui pannelli di introduzione); a questo
punto si attiva il secondo script di scena (rendering
video), che avvia il controller dell’avatar e dà inizio
alla riproduzione della sequenza filmica introduttiva,
proiettando l’utente nella scena 2. Da questo momento la consequenzialità verticale dello script lascia il posto all’attivazione orizzontale di tutti i
comportamenti collegati agli oggetti presenti nella
scena stessa. Si attiveranno quindi lo script per il
controllo delle collisioni, per il controller dell’avatar e delle sue animazioni interne ed esterne (ad es.
l’ombra), per il funzionamento dell’interfaccia di navigazione (lo switch temporale), per la gestione degli eventi connessi ai totem e alle camere, e infine
degli effetti particellari. L’ultimo modulo di controllo generale (scene-graph outro), richiamabile da
qualsiasi punto della navigazione, prevede la chiu-
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2. Il level design
sura dell’applicazione con l’interruzione del sound
attivato e della navigazione, e l’avvio del trailer, al
cui termine riprenderà il macro evento ciclico dello
scene-graph start.
La maggior parte dei microeventi che consentono
il funzionamento della TimeMachine sono riconducibili ad una sola istruzione, come per i sistemi particellare o fluidodinamico.
Pannello di navigazione
Presente nelle due modalità di visualizzazione,
l’interfaccia agisce grazie ad una serie di script legati
alle aree interattive (pulsanti) e a quelle statiche (display e minimap di navigazione).
Lo switch temporale si basa sull’evento lineare,
secondo cui al clic del pulsante relativo corrispondono una serie di istruzioni che consentono il rimando automatico alla scena prescelta. In
particolare viene lanciata la scena e attivati gli oggetti basilari all’esplorazione dell’ambiente come la
camera di navigazione (follow cam) che accompagna l’avatar e l’audio, mentre, simultaneamente,
viene inviato al display il comando di loading della
texture che sintetizza graficamente l’anno e la modalità di visualizzazione. Questa logica guida anche
il tasto credits, la cui azione si concretizza nell’interruzione dei processi in atto (audio, navigazione
ecc.) e nell’invio alla scena pertinente con il caricamento del trailer.
Un sistema analogo, ma con specifiche varianti,
è stato adottato per il funzionamento del tasto home.
Esso è stato concepito per garantire all’utente, in
caso di perdita dell’orientamento, il ritorno alla
scena iniziale del viaggio.
Al contrario il tasto help si fonda sul dualismo logico di ‘mostrare - nascondere’ un oggetto; nel nostro caso, la scheda di guida in linea o aiuto, che
fisicamente è sempre presente in tutte le scene navigabili, pur non essendo visibile.
La minimap di ausilio alla navigazione è composta da una camera virtuale posta perpendicolarmente
all’avatar, che proietta in tempo reale sul display di
navigazione gli spostamenti del personaggio nell’ambiente.
Totem e camere virtuali
Nel mondo virtuale i totem assolvono alla duplice funzione di attivare le schede informative e il
sistema di camere virtuale, attraverso il semplice
contatto con l’avatar. Nel caso delle schede,
l’evento riprende il dualismo logico che contraddistingue il tasto help, con le istruzioni ‘aggiungere’
e ‘rimuovere’ l’oggetto dalla scena, accompagnato
da un apposito comando per la rotazione del totem
su se stesso. In alcuni casi l’evento di apertura della
scheda innesca l’attivazione di una camera specifica. Per evitare inutili ridondanze lo scene-graph
del totem è stato integrato con l’istruzione di avvio
della cam.
Controller e animazione dell’avatar
La gestione dei comportamenti dell’avatar presuppone l’esecuzione di molteplici eventi, che
vanno dalle animazioni cicliche proprie del personaggio al controllo tramite le periferiche più diverse
e all’esecuzione della follow cam. Uno scenegraph, principale regola le istruzioni fondamentali del ciclo di animazione, quali lo spostamento nello spazio, il riconoscimento delle superfici, l’ombra, il controllo da tastiera e da joystick, la definizione dei tasti per la navigazione. All’interno dello stesso blocco, una serie di comandi distinti gestisce l’evento del sound dei passi, sincronizzandolo
al movimento dell’avatar, e il richiamo dello scene-graph per l’uso esclusivo del joystick. Sebbene
non gestito direttamente dallo scene-graph dell’avatar, va menzionato il funzionamento della follow cam, ossia della camera virtuale principale che
segue il personaggio dalle sue spalle, consentendo
all’utente, difatti, la navigazione nel modello virtuale.
Lo scene-graph ideato gestisce il comportamento
della camera, che si sposta nello spazio, seguendo la
schiena dell’avatar, a cui è collegata, mantenendosi ad
una distanza costante da esso. Infine una serie di istruzioni distinte regola l’effetto della transizione nel passaggio da una scena all’altra.
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Lorenzo Baldassarro
Animazione dei character
I character implementati sono animati generalmente da una sola istanza che ripropone ciclicamente
le dinamiche definite in fase di modellazione. Vi
sono casi, tuttavia, in cui la realizzazione di un particolare evento (come il passaggio periodico degli
animali nella scena 3) ha richiesto la redazione di
uno scene-graph più articolato.
Interfaccia utente e pannello di controllo
L’interazione fra il viaggiatore e l’applicazione
avviene principalmente attraverso l’uso della tastiera
e del mouse. Nella scelta del controller, le periferiche di navigazione presenti sul mercato (tastiere,
mouse, control pad, joystick) offrono sicuramente un
ventaglio di possibilità tale da permettere la realizzazione di sistemi di esplorazione sempre più articolati. Se da un lato questa caratteristica giova a chi
è abituato a interagire con i sistemi di realtà virtuale,
dall’altro nega la possibilità di interazione a chi tale
esperienza non l’ha mai maturata o a cui è stata negata a causa di deficit fisici. Queste riflessioni hanno
indotto alla progettazione di un sistema di navigazione che risultasse il più fluido possibile, cercando
allo stesso tempo di soddisfare gli utenti più esigenti.
La navigazione è garantita, a discrezione dell’utente, da due differenti moduli, che sottintendono
diversi device. Nel primo modulo è previsto l’utilizzo della tastiera con le sue frecce direzionali per il
controllo dell’avatar, e il mouse per l’interazione
con il pannello di controllo, mentre nel secondo tutti
i comandi di gioco sono sintetizzati in un solo control pad a 10 tasti. La visuale in terza persona è stata
integrata con l’articolazione di un sistema di regia,
realizzato in modo tale da conservare una semplicità
di accesso alle diverse vedute, e da evitare il ricorso
alla macchinosa combinazione di tasti o a sistemi di
navigazione complessi.
La visita viene assistita da un pannello di controllo bidimensionale, vero cuore dell’applicazione
(fig. 2). Posto sulla sinistra del monitor è idealmente
diviso in quattro aree con diverso grado di interattività: dall’alto verso il basso si riscontra un piccolo di-
splay in nero che fornisce le indicazioni cronologiche e le modalità di visualizzazione. La parte centrale
presenta i pulsanti che consentono l’accesso alle
quattro fasi cronologiche divise nelle due modalità ricostruttiva e stratigrafica. Subito al di sotto una
mappa di navigazione aggiorna in tempo reale la
posizione dell’utente nell’ambiente, favorendo il suo
orientamento. Infine tre piccoli pulsanti rettangolari,
posti nell’area inferiore del pannello di controllo,
permettono al viaggiatore di uscire dall’applicazione
(e di visionare il filmato sui credits), di accedere
alla guida in linea, e infine di ritornare in qualsiasi
momento all’inizio del viaggio, all’ingresso della
villa nel 450 d.C.
L’intero viaggio è scandito da 38 totem (fig. 3),
disseminati secondo un disegno preciso nel mondo
virtuale, che forniscono le
nozioni indispensabili per
guidare il viaggiatore nel
suo itinerario di apprendimento. Collocati in punti
strategici, i totem possono
essere considerati entità del
tutto decontestualizzate rispetto al mondo virtuale in
cui sono immersi, caratterizzati da una forma e uno
stile non riconducibile ai
modelli presenti nella villa.
Essi attirano l’attenzione
dell’utente, spingendolo ad
avvicinarsi ad essi, e con il
solo contatto innescano
l’apertura di schede informative di approfondimento,
assolvendo alla duplice funzione di informare e guidare
idealmente il viaggiatore nei
possibili percorsi realizzabili, soprattutto per le scene
più complesse (1 e 2).
La navigazione, consentita attraverso una camera
in terza persona, è stata ar- 2. - il pannello di conricchita da un articolato si- trollo.
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2. Il level design
3. - i totem.
stema di 28 virtual cam (fig. 3), che guidano
l’utente nella percezione spaziale del mondo virtuale, assistendolo simultaneamente nel tracciare il
suo percorso.
Collocate in punti strategici delle scene (fig. 4),
selezionati in base a precise valutazioni sul messaggio che si intende comunicare, azionate in maniera
dinamica attraverso il contatto dell’avatar con un
piano o con un totem, il loro reticolo riflette la volontà di realizzare una linea di regia ideale che ga115
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Lorenzo Baldassarro
4. - alcuni esempi dei punti di vista delle camere.
rantisca all’utente la piena fruizione dei modelli in
tutti i loro dettagli.
Le diverse vedute che si riscontrano nelle scene ricostruttive focalizzano l’attenzione del viaggiatore
sugli aspetti architettonici più interessanti, traducono
visivamente le schede informative presenti lungo il
percorso, e permettono di leggere più facilmente l’articolazione del complesso rurale, con i suoi spazi
spesso estremamente angusti, come nel caso del quartiere termale, o dell’area produttiva innestata nell’ala
nord nel portico della cenatio del 600 d.C (scena 3).
Nella modalità stratigrafica, al contrario, le camere permettono di cogliere il cantiere archeologico
in tutta la sua interezza, mettendone in risalto la sequenza stratigrafica, così come è stata evidenziata
durante la ricerca archeologica sul campo. Il viaggiatore, infatti, mantenendo la stessa ubicazione spaziale e attraverso lo switching temporale, potrà
osservare la nascita e l’evoluzione del deposito archeologico.
Navigazione
L’applicazione si avvia con la sequenza di slide
che accolgono l’utente al suo arrivo nel mondo virtuale, finalizzata a sintetizzare la storia del contesto
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2. Il level design
archeologico e fornire indicazioni utili relative ai comandi della TimeMachine. L’ultima schermata introduttiva lascia il posto ad un breve filmato,
realizzato attraverso la tecnica del tracking-camera,
che introduce l’osservatore nella scena 2. Con una
plongée dall’alto, la camera lentamente plana sulla
villa, inquadrando in tutta la sua estensione l’edificio
e il paesaggio agrario circostante. Con la fine del filmato introduttivo inizia la vera e propria esperienza
di visita; da questo momento in poi, l’utente è artefice del proprio percorso conoscitivo e interpretativo.
Suoni
Nell’esplorazione delle scene la partecipazione
dell’utente non è assicurata solamente dagli stimoli
visivi. Difatti, un’applicazione di VR consente modalità diverse di approccio percettivo e interattivo
con i contenuti di un’opera comunicativa. Nel caso
specifico si è tentato di ‘trasportare’ il più possibile
l’esploratore nel suo viaggio virtuale, coinvolgendo
sensi diversi dalla vista, come l’udito.
L’implementazione del sound all’interno del
mondo virtuale ha seguito una duplice via:
– una musica di sottofondo accompagna costantemente il viaggiatore durante la navigazione,
adattandosi naturalmente alle diverse esperienze riscontrabili nelle relative fasi cronologiche;
– un’architettura sonora multidirezionale gestisce
gli effetti ambientali, garantendo all’utente una
differente percezione del suono rispetto alla
sua fonte acustica. Questa tecnologia permette
una immersività maggiore, e facilita la rievocazione di aspetti del vivere quotidiano, e la
percezione di tutte quelle ‘sfumature di vita’ relative all’arco cronologico visitato. Si pensi, ad
esempio, al ruscellare delicato che accompagna
il cammino dell’acqua presente nella cenatio ricostruita del 450 d.C., al cinguettio esterno che
modera l’incessante brusio conviviale del 400
e del 450 d.C., al costante tintinnio metallico
del lavoro del fabbro che si alterna al belare ossessivo degli animali dell’ovile nel 600 d.C. o
al vento assordante nella scena del 700 d.C.
Essi rappresentano tutti casi in cui il suono diventa più chiaro o più sfumato a seconda della
posizione assunta dall’avatar rispetto alla fonte
stessa.
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Indice
Presentazione
di Giuliano Volpe
7
Introduzione
11
1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale
Registrare la distruzione, 20
Ricomporre i frammenti, 23
Raccontare l’incertezza, 28
17
2. La TimeMachine
Il metodo, 33
La costruzione del prototipo, 35
Il rilievo e la documentazione tridimensionale, 42
Il mondo virtuale, 49
Le scene ricostruttive, 52
Le scene stratigrafiche, 58
I modelli, 60
I rivestimenti, 67 - Avatar e personaggi, 74 - Le luci, i suoni e lo stile, 79
La navigazione, 85
33
3. Verso un’archeologia digitale
Affascinati dalle tecnologie, 89
Guidati dalle metodologie, 92
Passato e futuro, 99
89
Appendice: Materiali
1. Il set di documentazione digitale, le procedure di rilievo e di digitalizzazione
di Andrea Fratta
2. Il level design
di Lorenzo Baldassarro
103
Bibliografia
119
105
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Finito di stampare mel mese di ottobre 2012
da ARTI GRAFICHE FAVIA SRL in Modugno (BA)
per conto di EDIPuGLIA SRL, Bari-S.Spirito
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VOLuMI PuBBLICATI NELLA STESSA COLLANA
1
TecnoLogIA dI LAVorAzIone e IMPIeghI deI MAnufATTI
Atti della 7a giornata di archeometria della ceramica
(Lucera, 10-11 aprile 2003)
a cura di Bruno Fabbri, Sabrina Gualtieri, Giuliano Volpe
11
L’InforMATIcA e IL MeTodo deLLA STrATIgrAfIA
Atti del Workshop (foggia 6-7 giugno 2008)
a cura di Giuliano De Felice, Maria G. Sibilano, Giuliano Volpe
Ed. 2008, f.to 21x30, pp. 188, ill. b/n., bross. € 40,00
Ed. 2005, f.to 21x30, pp. 156, ill. b/n, bross. € 40,00
2
Le cAnAL d’oTrAnTe
eT LA MédITerrAnée AnTIque eT MédIéVALe
édité par Elizabeth Deniaux
Ed. 2005, f.to 21x30, pp. 108, ill. b/n, bross. € 30,00
12
fArAgoLA 1
un InSedIAMenTo rurALe
neLLA VALLe deL cArAPeLLe.
rIcerche e STudI
a cura di Giuliano Volpe e Maria Turchiano
Ed. 2010, f.to 21x30, pp. 334, ill. col. e b/n., bross. € 50,00
3
Daniela Liberatore
ALBA fucenS
Studi di storia e di topografia
Ed. 2005, f.to 21x30, pp. 184, ill. col. e b/n., bross. € 42,00
13
Riccardo Di Cesare
INTERAMNA PRAETUTTIANORUM
ScuLTure roMAne e conTeSTo urBAno
Ed. 2010, f.to 21x30, pp. 232, ill. col. e b/n., bross. € 50,00
4
PAeSAggI e InSedIAMenTI rurALI
In ITALIA MerIdIonALe
frA TArdoAnTIco e ALToMedIoeVo
Atti del Primo Seminario sul Tardoantico e l'Altomedioevo
in Italia meridionale (foggia 12-14 febbraio 2004)
Ed. 2006, f.to 21x30, pp. 720, ill. b/n., bross. € 80,00
5
STudI In onore dI frAnceSco greLLe
a cura di Marina Silvestrini, Tullio Spagnuolo Vigorita,
Giuliano Volpe
Ed. 2006, f.to 21x30, pp. 352, ill. col. e b/n., bross. € 50,00
6
Daniela Liberatore, Maria José Strazzulla
fucIno
Studi sulla cultura figurativa
Ed. 2007, f.to 21x30, pp. 134, ill. col. e b/n., bross. € 50,00
7
SuBurBIo dI roMA
unA reSIdenzA ProduTTIVA
Lungo LA VIA corneLIA
a cura di Maria Luisa Marchi, Fiorenzo Catalli
Ed. 2008, f.to 21x30, pp. 150, ill. b/n. e col., 1 Tav., bross. € 50,00
8
STorIA e ArcheoLogIA deLLA dAunIA
In ricordo di Marina Mazzei
Atti delle giornate di Studio (foggia, 19-21 maggio 2005)
a cura di Giuliano Volpe, Maria José Strazzulla, Danilo Leone
Ed. 2008, f.to 21x30, pp. 516, ill. b/n., bross. € 65,00
9
Maria Aprosio
ArcheoLogIA deI PAeSAggI A BrIndISI
dALLA roMAnIzzAzIone AL MedIoeVo
Ed. 2008, f.to 21x30, pp. 384, ill. b/n., bross. € 50,00
10
ordonA XI.
rIcerche ArcheoLogIche A herdonIA
a cura di Giuliano Volpe, Danilo Leone
Ed. 2008, f.to 21x30, pp. 608, ill. b/n e 8 tavv. col., bross. € 70,00
14
PAeSAggI e InSedIAMenTI urBAnI
In ITALIA MerIdIonALe
frA TArdoAnTIco e ALToMedIoeVo
Atti del Secondo Seminario sul Tardoantico e l’Altomedioevo
in Italia Meridionale (foggia - Monte Sant'Angelo 27-28 maggio 2006)
a cura di Giuliano Volpe e Roberta Giuliani
Ed. 2011, f.to 21x30, pp. 382, ill. b/n., bross. € 55,00
15
VIe degLI AnIMALI, VIe degLI uoMInI
Transumanza e altri spostamenti di animali
nell’europa medievale
Atti del Secondo Seminario Internazionale di Studi “Gli animali come cultura
materiale nel Medioevo” (Foggia, 7 ottobre 2006)
a cura di Giuliano Volpe, Antonietta Buglione e Giovanni De Venuto
Ed. 2011, f.to 21x30, pp. 148, ill. b/n., bross. € 40,00
16
Roberto Goffredo
AUFIDUS
STorIA, ArcheoLogIA e PAeSAggI
neLLA VALLe deLL'ofAnTo
Ed. 2011, f.to 21x30, pp. 350, ill. b/n., bross. € 55,00
17
VAgnArI
Il villaggio, l’artigianato, la proprietà imperiale
The village, the industries, the imperial property
a cura di Alastair M. Small
Ed. 2011, f.to 21x30, pp. 488, ill. b/n., bross. € 60,00
18
LA cAPITAnATA e L’ ITALIA MerIdIonALe neL SecoLo XI
dA BISAnzIo AI norMAnnI
Atti delle II giornate Medievali di capitanata
(Apricena, 16-17 aprile 2005)
a cura di Pasquale Favia e Giovanni De Venuto
Ed. 2011, f.to 21x30, pp. 296, ill. b/n., bross. € 40,00
19
ArcheofoSS
open source, free software e open format
nei processi di ricerca archeologica
Atti del V Workshop (Foggia, 5-6 maggio 2010)
a cura di Giuliano De Felice e Maria Giuseppina Sibilano
Ed. 2011, f.to 21x30, pp. 192, ill. b/n., bross. € 40,00
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