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archiviodietnografia | 1 • 2013 © 2015, Pagina soc. coop., Bari Direttore responsabile Ferdinando Felice Mirizzi Comitato Scientifico Eugenio Imbriani (Università del Salento), Francesco Marano (Università della Basilicata), Nicola Scaldaferri (Università di Milano), Dorothy Louise Zinn (Libera Università di Bolzano) Redazione Valerio Bernardi, Annamaria Fantauzzi, Sandra Ferracuti, Antonella Iacovino, Michele Iannuzzi Segreteria di redazione Vita Santoro Redazione e Segreteria Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo: Architettura, Ambiente, Patrimoni Culturali (DiCEM), Università della Basilicata via S. Rocco 3 - 75100 Matera Tel. +39 0835 1971404 / 1971436 Fax +39 0835 1971441 e-mail: direttore_ade@unibas.it, segreteria_ade@unibas.it web address: www.paginasc.it Registrazione presso il Tribunale di Bari n. 4306 del 18/07/2006 Abbonamento (2 numeri) Italia: € 24,00 • Istituzioni: € 29,00 • Estero: € 35,00 Per abbonarsi (o richiedere singoli numeri) rivolgersi a Edizioni di Pagina via dei Mille 205 - 70126 Bari Tel. e Fax 080 5586585 e-mail: info@paginasc.it http://www.paginasc.it facebook account http://www.facebook.com/edizionidipagina twitter account http://twitter.com/EdizioniPagina archiviodietnografia Rivista del Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo: Architettura, Ambiente, Patrimoni Culturali (DiCEM) Università degli Studi della Basilicata n.s., anno VIII, n. 1 • 2013 Finito di stampare nel gennaio 2015 dalle Arti Grafiche Favia s.r.l. - Modugno (Bari) per conto di Pagina soc. coop. ISBN 978-88-7470-403-3 ISSN 1826-9125 Indice ETNOGRAFIE Sandra Ferracuti A partire da Maputo: musei, mostre, cortili e la discarica. Patrimoni alla deriva e arti etnografiche 9 Gian Luigi Bruzzone Costantino Nigra ed Ernesto Monaci: un rapporto di studio indice saggi REPERTORI 39 STORIE Enzo Vinicio Alliegro Lewis Henry Morgan. Un fondatore della ricerca antropologica 55 RETROSPETTIVE Enzo Vinicio Alliegro Alle origini della ricerca etnografica. I diari di campo di Lewis Henry Morgan in Kansas e Nebraska (maggio-giugno 1859) 103 TACCUINO Vita Santoro Patrimonio culturale immateriale e Liste Unesco: note di campo raccolte a Cocullo LIBRI / SCHEDE 121 139 ABSTRACTS edited by Sandra Ferracuti GLI AUTORI 143 145 5 Jack Goody Eurasia. Storia di un miracolo, Bologna, il Mulino, 2012, pp. 217 Gli antropologi (soprattutto quelli di matrice anglosassone) hanno spesso avuto un rapporto conflittuale con la storia e non sempre si è prodotto un dialogo fecondo. Negli ultimi decenni, però, la prospettiva della World History ha permesso che questo dialogo si riaprisse e portasse degli esiti interessanti. Tra gli antropologi più coinvolti in questo dialogo teso a comprendere, all’interno del processo storico, lo sviluppo delle culture, è Jack Goody. Il testo di cui qui parliamo riprende una delle tematiche care allo studioso inglese: la presunta superiorità culturale e tecnica dell’Europa sugli altri continenti. Il saggio, infatti, discute del concetto di Europa, mettendo in dubbio che possa esistere una storia europea svincolata dall’Asia costituendo con essa un’unica grande massa continentale che, da un punto di vista culturale e storico, andrebbe vista sempre come una entità unica: l’Eurasia. Gli storici europei, a parere dello studioso inglese, si sono “illusi” nell’argomentare l’esistenza di un continente che avesse caratteristiche sue proprie. A condizionare questa idea ci sarebbe stato il breve momento di supremazia della parte più occidentale dell’Eurasia, che ha avuto apparentemente inizio (da un punto di vista culturale) con il Rinascimento (Goody in un altro testo pubblicato qualche anno fa ha discusso di questo concetto) ed ha avuto il suo apice nella Rivoluzione industriale e nell’imperialismo. Per confutare la tesi degli storici, Goody risale all’età del Bronzo, dimostrando con efficaci esempi che, se forse si sarebbe potuto parlare di “miracolo”, guardando ad una parziale porzione di storia, da parte dell’Europa, non lo si può considerare tale partendo dall’età dello sviluppo della lavorazione dei metalli, dove la cultura nasce in diverse zone del continente eurasiatico più in comunicazione tra loro di quanto lo siano state Europa ed Asia quando si parla del miracolo della supremazia europea. Partendo da questo presupposto, vengono presi in esame due aspetti di quella che è chiamata l’ascesa dell’Europa: il ruolo dei mercanti e l’ascetismo puritano. Si dimostra che il commercio ha avuto fasi alterne in cui non sempre hanno predominato gli europei, e che questi ultimi, se hanno goduto di una supremazia, più che per manifesta superiorità hanno commerciato per bisogno delle merci che venivano dall’altra parte del continente. Quanto all’idea weberiana di una maggiore efficacia del protestantesimo puritano per il commercio ed il successo economico, essa viene confutata mostrando che modelli simili erano presenti anche nella Cina confuciana. Il paragone con la Cina continua con la discussione della superiorità europea nella trasmissione del sapere. Anche in questo caso, Goody mostra come i cinesi conoscessero la xilografia prima della stampa a caratteri mobili e che non necessariamente quest’ultima ha portato ad una superiorità culturale. Il capitolo finale è dedicato a mostrare che, se consideriamo l’Eurasia come un continente 139 Archivio di Etnografia • n.s., a. VIII, n. 1 • 2013 • 139-142  libri / schede Libri / Schede ■ Libri unico, allora ci troviamo di fronte ad un’alternanza di supremazie nel corso dei secoli. Il testo si conclude con due appendici che confutano le tesi degli europeisti e discutono del regime delle acque in Europa ed in Cina. Come di consueto nei testi di Goody, la scrittura è chiara e le tesi enunciate risultano evidenti, perché supportate da testimonianze storiche valide. Il dubbio rimane per il quadro complessivo e per una tesi che continua ad avere (soprattutto da parte degli storici) diversi avversari. [Valerio Bernardi]  Marco Aime Cultura libri / schede Torino, Bollati Boringhieri, 2013, pp. 118 140 Il testo di Aime, fatto di poco più di 100 pagine (fa parte di una collana inauguata dalla Boringhieri intitolata “sampietrini”), discute del concetto di cultura da un punto di vista prettamente antropologico, anche se, come deve essere, inizia la sua discussione basandosi sul pensiero filosofico che ha formato la concezione del mondo ed i concetti con cui quotidianamente abbiamo a che fare. Per comprendere cosa è la cultura, bisogna partire dallo stesso concetto di uomo, ovvero di colui che ha come propria responsabilità quella di “creare” il mondo culturale. Aime parte dall’orazione di Pico della Mirandola che, celebrando la dignità umana, ricorda che l’essere umano ha bisogno della produzione della cultura proprio per la sua “incompletezza”, e che proprio questo lo rende più simile a Dio degli altri essere e, come diceva Pico, più “degno”. Partendo da questa riflessione “rinascimentale”, si passa poi a mostrare alcune delle caratteristiche più proprie dell’essere umano produttore di cultura. In un’ottica evoluzionista, citando il paletnologo Léroi-Gourhan, si cerca di dimostrare come lo sviluppo del cervello umano sia proceduto di pari passo con la soluzione dei problemi che l’uomo ha avuto di fronte a sé quando ha dovuto confrontarsi con la natura. La discussione del concetto di “naturale” appare interessante. Aime ammette il supposto contrasto tra natura e cultura ipotizzato nella prima opera di Lévi-Strauss, ma, allo stesso tempo, afferma che la natura e, di conseguenza, il naturale non possono essere totalmente scissi dalla questione culturale e che, nell’essere umano, natura e cultura compongono un tutt’uno inscindibile, rispetto al quale risulta difficile determinare quanto l’essere umano e la sua attività siano condizionati da entrambe. Ammessa quindi la difficoltà del discrimine, si passa a discutere del concetto di cultura in relazione al proprio corpo e ai diversi paradigmi determinati dalla vita che conduciamo. Esaminando questi ambiti, Aime ammette che nemmeno la matematica (la scienza ritenuta più universale) ha valore unico: anch’essa si è differenziata nel corso dei secoli a seconda della cultura che si è sviluppata. Dopo il capitolo dedicato al tentativo di definire cosa sia la cultura e come essa si determini, la sezione successiva è dedicata alla questione della diversità culturale. L’A. ricorda che i diversi comportamenti sono determinati dalle scelte fatte dalla società in cui viviamo e dalle influenze che essa ha subito. La diversità deriva, quindi, anche dai differenti influssi avuti. Proprio come gli antichi Ebrei, gli umani in genere sono un popolo di nomadi migranti e le culture “pure” non esistono. Sulla base degli studi dell’antropologia postmoderna, Aime insiste sul meticciato culturale. Citando il famoso brano di Linton sull’uomo medio americano (che ha una serie di comportamenti culturali provenienti da diverse culture), si dimostra che non esiste un comportamento culturale totalmente differente dall’altro e che, accanto alle obbligate scelte culturali, vi sono delle scelte che, invece, dipendono fortemente dalla società in cui viviamo e che diventano nostre senza che ce ne accorgiamo. L’ultimo capitolo è dedicato al problema più delicato quando si parla di cultura: quello della discriminazione e del sorgere del conflitto. Aime cita come esempio negativo lo studio di Samuel Huntington che, nel dopo guerra fredda, ha ipotizzato che i conflitti globali sarebbero stati di tipo culturale, affermando che il relativismo culturale (che non può mai esse- re assoluto) deve essere la cifra del comportamento che dobbiamo tenere nei confronti dell’altro, e che esso ci dovrebbe portare anche ad evitare il razzismo, estrema conseguenza dell’atteggiamento etnocentrico. Il testo è ben scritto e si legge facilmente, facendo ben addentrare nei problemi culturali anche i non addetti ai lavori. Aime usa un linguaggio coinvolgente e passa in rassegna buona parte della storia dell’antropologia culturale, senza essere pedante. Alcune delle sue conclusioni possono essere discutibili (il relativismo non può mai essere assolutizzato), ma l’approccio appare utile per coloro che hanno a che fare costantemente con un mondo sempre più multiculturale. [Valerio Bernardi]  Federico Scarpelli, Caterina Cingolani (a cura di) Passare ponte. Trastevere e il senso del luogo Roma, Carocci, 2013, pp. 272 Il volume è frutto di una ricerca etnografica svolta a Trastevere, quartiere del centro storico di Roma, da un’équipe di antropologi dell’Associazione culturale Anthropolis. La ricerca sul campo è stata “tagliata” soprattutto sui residenti, come specificato nella premessa dai curatori e come già accaduto nella precedente ricerca del gruppo, che aveva riguardato il rione Esquilino e i cui risultati sono confluiti in un volume del 2009 a cura di Federico Scarpelli (Il rione incompiuto. Antropologia urbana dell’Esquilino, Cisu, Roma). Dopo i notevoli cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni, qual è l’immagine di Trastevere che hanno sviluppato gli abitanti del quartiere e qual è, invece, l’immagine che di esso possiedono e sviluppano i turisti, accanto agli abitanti dei restanti quartieri della città? Come si raccontano, spiegano e interpretano le trasformazioni? Come si costruiscono le retoriche della “trasteverinità”? Si parte da alcuni presupposti di fondo, secondo i quali il luogo è costituito dal senso del luogo, i residenti non devono essere assimila- ti in maniera pregiudiziale ad una “comunità” e l’“oggetto-quartiere” è costituito sostanzialmente dalle sue diverse rappresentazioni. Quella che emerge dalla lettura del volume è un’intensa “polifonia di voci”, ottenuta dando voce ai residenti e organizzando il volume come fosse una monografia, dove gli apporti restano individuali, ma sono organizzati come capitoli di un unico testo. Trastevere appare dalla ricerca come un quartiere definito, compiuto, ma carico di una discreta ambiguità che sembra favorire due differenti e opposte rappresentazioni: da un lato è luogo di resistenza di una modalità “tradizionale” e “autentica” della vita cittadina, visione che alimenta la retorica diffusa che lo descrive come un paese; dall’altro il Trastevere dei turisti (soprattutto americani), dove il ricambio residenziale ha compromesso la vita di quartiere, i processi di gentrification hanno modificato l’uso degli spazi e concorrono fortemente alla costruzione del senso di appartenenza al luogo. Anche la stessa metafora del Passare ponte, che rimanda, seguendo l’aneddotica sui vecchi trasteverini, all’immagine dell’insularità e del confine (nonostante la centralità del luogo), sembra fare riferimento ad una ambiguità. Invece, le immagini di Trastevere, come dei centri storici di molte metropoli contemporanee, sono solo apparentemente contrastanti. Sono le dicotomie (tradizionale/moderno, autentico/inautentico) a definire la dimensione dell’abitare, il senso del luogo, i racconti di esso, i nuovi stili di vita. Senza offrire interpretazioni forzate, e, tuttavia, suggerendo una chiara cornice antropologica attorno alle voci degli intervistati, i ricercatori hanno utilizzato un modello di antropologia collaborativa e partecipata. Un approccio metodologico lontano dall’antropologia classica, sostiene Pietro Clemente nella sua Postfazione al volume, in aggiunta ad una scelta chiara di favorire una lettura interpretativa che consente al lettore di «trovarsi in una posizione metodologicamente interessante, che è quella di costruirsi la sua rappresentazione attraverso le varie che gli libri / schede ■ Libri 141 ■ Libri vengono date. Nel libro non trovate la città né il quartiere, ci sono punti di vista raccontati, messi in sintonia nel volume, ma che preferiscono essere letti per la loro parzialità e composti in un puzzle in cui il lettore abbia un ruolo attivo» (p. 255). [Vita Santoro]  Mariannina Failla, Giacomo Marramao (a cura di) Civitas augescens. Includere e comparare nell’Europa di oggi libri / schede Firenze, Leo S. Olschki, 2014, pp. XIV-220 142 Il volume curato da G. Marramao e M. Failla, frutto di un lavoro di ricerca internazionale di cui capofila è stata l’Università di Roma Tre, tratta della questione dell’inclusione e della cittadinanza nell’odierna Europa, da un punto vista preminentemente filosofico, anche se non mancano i contributi sociologici e antropologici. I saggi – tredici in tutto, compresi i due excursus – sono distribuiti in due parti, che hanno come parola chiave comune il verbo ‘includere’, ma che, nella prima parte, trattano dell’inclusione coniugata ai concetti di “soggetto”, “comunità” e “alterità”, mentre nella seconda (che potremmo definire più applicativa, rispetto alla prima puramente teoretica) la parola chiave è collegata alla questione del “mercato”, della “democrazia” e della “cultura”. Marramao ricorda nella sua interessante introduzione che la Rivoluzione francese ha fatto sì che i cittadini europei siano passati da uno stato di sudditanza (soggetti a una istituzione politica che racchiudeva in sé tutti i poteri) a quello di cittadinanza, recuperando alcuni dei valori presenti nel mondo grecolatino (il titolo si rifà proprio al mondo giuridico latino). Sulla base di questa costatazione, si esamina il fatto che il cittadino europeo si sia da allora considerato soggetto che potesse escludere o includere gli altri all’interno del corpo comunitario cui apparteneva. Sono queste le questioni che vengono discusse nella prima parte del volume, da varie prospettive, dai saggi di Polidori, Fornari, Failla, Fabbrichesi, Giacomini e Tomatis. Dato il carattere teoretico di questa sezione, i diversi autori dialogano con alcuni dei maggiori esponenti della modernità filosofica, da Kant a Derrida. Da un punto di vista antropologico, interessanti risultano essere le riflessioni fatte sul pensiero di Foucault e Derrida. I due pensatori francesi, come viene ricordato nel testo, si sono occupati del tema dell’inclusione e dell’esclusione. Mentre Foucault, nella gestione del biopotere e del corpo, che faceva risalire alla grecità, vede i momenti fondamentali di definizione del soggetto che travalicava le normali vie politiche, Derrida, pensatore complesso, ritiene che esclusione e ospitalità possano in qualche modo portare alla costruzione di una nuova “grammatica” dell’esperienza umana, in cui l’ospitalità divenga un paradigma fondante. Tale maniera di interpretare il soggetto e l’identità è poi fatta interagire con i concetti di mercato, democrazia e cultura nella seconda parte. La maggior parte degli studiosi che parlano dell’interazione tra mercato e soggetto politico (Fusaro in primis) ritengono che privilegiare il mercato porti a una spersonalizzazione e alla morte di alcuni particolari aspetti culturali, soprattutto nel mondo della globalizzazione che il mercato ha generato. Altri autori, invece, pensano che il problema del mercato possa essere risolto dai valori democratici o da quelli (ripresi dal pensiero rivoluzionario francese) della fraternità (Panattoni), riaffermando, quindi, la prevalenza della politica sull’economia. Il testo più interessante di questa sezione è quello di Christoph Wulf, antropologo berlinese, che ritiene doveroso, per la giusta costruzione dell’Europa, l’accettazione della diversità culturale come compito educativo della stessa istituzione. Il testo, quindi, risulta interessante nella sua impostazione, anche se di difficile lettura per i diversi approcci non sempre concordanti tra loro e non sempre agganciati al filo tematico. L’introduzione di Marramao cerca di tenere insieme il tutto, senza però riuscirci pienamente, lasciando comprendere come diversità di impostazioni e differenze disciplinari talvolta facciano parlare famiglie linguistiche diverse non sempre traducibili in un linguaggio comune. [Valerio Bernardi]