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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTÀ DI BIOLOGIA E FARMACIA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE NATURALI Dipartimento di scienze della vita e dell’ambiente Dal Combattimento alla Lesione: Ricerca di Indicatori in Reperti Scheletrici Umani di Età Nuragica Relatore Tesi di Laurea di Prof. Giovanni Umberto Floris Alessandro Atzeni 2° Relatore Correlatore Prof. Rosalba Floris Prof. Anna Depalmas Anno accademico 2013-2014 Ringraziamenti Riassunto ......................................................................................................................... 1 Introduzione .................................................................................................................... 2 Capitolo 1. Homo Homini Lupus .................................................................................... 4 Capitolo 2. Tracce di atti di violenza su resti osteologici umani nella preistoria .......... 7 Capitolo 3. Analisi dei traumi rinvenuti sul milite di Orgugliosu: Un metro di paragone per i resti antropologici più antichi............................................................................... 15 3.1. Inquadramento storico ................................................................................... 16 3.2. Il corpo del milite di Silius ............................................................................ 17 3.3. Le ferite del milite di Silius ........................................................................... 20 3.4. Tafonomia del milite di Silius ....................................................................... 26 Capitolo 4. Analisi dei reperti osteologici nuragici ...................................................... 29 4.1. Introduzione alla civiltà nuragica ................................................................... 29 4.2. Analisi dei resti scheletrici nuragici ............................................................... 32 Capitolo 5. I cut-marks e le comparazioni mediante prove di archeologia sperimentale................................................................................................................... 50 5.1. Tecnica marziale nell’esecuzione dei colpi e nella pratica di taglio ................ 50 5.2. Scelta dei bersagli ......................................................................................... 51 5.3. Procedura ..................................................................................................... 51 5.4. Traumi e relative armi indiziate ..................................................................... 53 5.5. Distinzione basilare dei colpi ......................................................................... 55 5.6. Test effettuati ................................................................................................ 56 5.6.1. Test 1: Colpo di ascia su cranio ovino ............................................. 56 5.6.2. Test 4: Colpo di ascia su cranio ovino ............................................. 58 5.6.3. Test 2: Colpo di spada su cranio ovino ............................................ 60 5.6.4. Test 3: Colpo di spada su scapola ovina .......................................... 62 5.6.5. Test 5: Colpo di spada su scapola ovina .......................................... 63 5.6.6. Test 6: Colpo di spada su omero ovino ............................................ 64 5.6.7. Test 7: Colpo di spada su omero ovino ............................................ 66 5.6.8. Test 8: Colpo di spada su cranio ovino ............................................ 68 5.6.9. Test 12: Colpo di spada su omero ovino .......................................... 70 5.6.10. Test 9: Colpo di martello d’arme (punta) su cranio ovino .............. 72 5.6.11. Test 10: Colpo di martello d’arme (punta) su scapola ovina ........... 73 5.6.12. Test 11: Colpo di spada ad una mano e mezza su costole ovine ..... 74 5.6.13. Test 13: Colpo di mazza su scapola ovina...................................... 75 Capitolo 6. Ricostruzione delle armi e delle armature e simulazioni degli scontri in palestra .......................................................................................................................... 79 6.1. Testimonianze archeologiche sulle armi e sulle armature ............................... 80 6.2. Testimonianze archeologiche delle armi ........................................................ 80 6.3. Ipotesi ricostruttive delle armature................................................................. 81 6.4. Simulazioni di combattimento: ricostruzione della scherma nuragica ............ 82 6.5. Analisi delle sperimentazioni svolte .............................................................. 83 6.6. Sull’uso dello scudo ...................................................................................... 83 6.7. Modalità di utilizzo delle spade in bronzo full-tang ....................................... 87 6.8. Bastone e scudo............................................................................................. 90 6.9. Ascia e scudo ................................................................................................ 92 6.10. Spada e scudo .............................................................................................. 92 Capitolo 7. Trapanazioni craniche: chirurgia rituale o curettage? ............................. 95 Conclusioni .................................................................................................................... 98 Bibliografia .................................................................................................................. 100 Capitolo 4. Analisi dei reperti osteologici 4.1. Introduzione alla civiltà nuragica Tra la fine dell’età del bronzo antico (2300-1700 a.C.) e gli inizi del Bronzo Medio 1 BM1 (1700-1600 a.C.), compare in Sardegna la così detta facies di Sa Turricola, considerata la prima manifestazione della civiltà nuragica. Questa cultura avrà in Sardegna un forte sviluppo lungo tutta l’età del bronzo, per poi gradualmente evolvere modificandosi nell’età del ferro a seguito dei contatti con le popolazioni fenicie 59 e concludersi definitivamente nel IV secolo a.C. a seguito della conquista cartaginese dell’isola 60. La principale manifestazione architettonica di questa civiltà è stata sicuramente il nuraghe, una torre ciclopica dalla forma troncoconica (o allungata nel caso dei nuraghi a bastione61), costruita a secco mediante il solo utilizzo di massi di notevoli dimensioni. Tali strutture potevano disporre anche di tre camere con falsa volta ad ogiva, l’una sovrapposta all’altra in verticale, collegate da una scala elicoidale che poteva partire dal corridoio d’ingresso o dalla camera. La scala infine sfociava in una sorta di terrazzo realizzato al culmine della struttura, ed il suo perimetro era ulteriormente arricchito di particolari mensole a sbalzo, che ne aumentavano la superficie. L’intera isola è costellata da queste costruzioni, che sono ben valse a dare il nome a questa cultura62. Fig. 20: nuraghe a bastione con mensole in cima (Albucciu di Arzachena), nuraghe monotorre (S. Barbara di Sindia), nuraghe complesso con successive adduzioni (Orolo di Bortigali). Anche verso la fine dell’età del bronzo, quando i nuraghi non vennero più costruiti, tale cultura continuerà a riflettersi in questo monumento-simbolo, con la creazione di un’innumerevole quantità di manufatti facenti un chiaro riferimento alle strutture nuragiche: 59 AA. VV. (2012). P. Bernardini (2010). 61 Detti anche protonuraghi, pseudonuraghi, o nuraghi a corridoio a seconda dell’interpretazione che si vuol dare al monumento. 62 G. Lilliu (1962). 60 navicelle in bronzo con alberi maestri raffiguranti nuraghi, bottoni, lisciatoi, modellini in pasta vitrea, altari, betili-torre, modellini in bronzo, incisioni su forme vascolari e molti altri esempi 63. Sebbene “l’età d’oro” della costruzione dei nuraghi fosse finita, il monumento rimaneva ancora un forte simbolo di riferimento per le popolazioni indigene. Altre manifestazioni architettoniche non meno importanti sono le tombe dei giganti, sepolcri collettivi di forma allungata, sviluppo delle più antiche allees, che vengono modificate con l’aggiunta ai lati dell’ingresso di due bracci murari ricordanti la forma di una mezzaluna, cooperanti a creare con il corpo tombale, forse una raffigurazione della divinità taurina da loro adorata64. Fig. 21: tomba dei giganti in stile “ciclopico” detta Sa Omu ‘e s’Orcu (Siddi). Al lato esempio di tomba dei giganti dolmenica, con stele centinata, detta Coddu Ecchiu (Arzachena). Tra gli edifici cultuali del periodo nuragico sono di estrema importanza anche i pozzi sacri, strutture cultuali presso cui è stata ritrovata la quasi totalità delle statuette bronzee raffiguranti guerrieri armati, sacerdoti, sacerdotesse, capitribù, oranti, offerenti ed ex-voto, donati alla divinità per ingraziarsi la sua benevolenza. Da queste strutture inoltre provengono numerosi manufatti che testimoniano i contatti commerciali con luoghi anche molto distanti dall’isola (dal Baltico alla Grecia Micenea e a Cipro). Meno note ma non meno importanti, le strutture precedentemente note come megaron, sulla base della loro somiglianza con i contemporanei edifici abitativi greci, rinominati “templi in antis”65, edifici forse adibiti al culto di divinità uraniche o legate (come per i pozzi sacri e le fonti sacre) alle divinità dell’acqua o al suo utilizzo rituale; anche da questi edifici proviene un certo numero di manufatti di estrema importanza a livello iconografico (bronzi figurati) 66. 63 F. Campus, V. Leonelli (2012). G. Lilliu (1967) p. 309. 65 Per una recente analisi sull’argomento: N. Sanna (2012). 66 M. A. Fadda (2013). 64 Fig. 22: foto del pozzo sacro di Is Pirois di Villaputzu, al centro la fonte sacra di Su Tempiesu di Orune, a destra il megaron di Malchittu (Arzachena). Presso questi monumenti risulta abbastanza frequente la presenza di strutture utilizzate per i processi di riduzione o fusione dei metalli (S’Arcu ‘e is Forros di Villagrande Strisaili67), dove sono stati rinvenuti manufatti in bronzo e persino in ferro68, che testimoniano l’elevato grado di conoscenza raggiunto dai calcheuti nuragici nella produzione metallurgica di bronzi figurati, di strumenti per il lavoro e la vita quotidiana, di beni di lusso, ed armi. Di grande interesse la produzione di spade dette “votive”, lame in bronzo assai sottili e lunghe anche quasi due metri, inutilizzabili per il combattimento e riferibili ad un utilizzo cultuale presso pozzi, fonti sacre e tempietti in antis. Un’ultima tipologia di edificio sono le così dette “rotonde”, come si capisce dal nome, edifici circolari con probabile finalità cultuale 69. Fig. 23: nella foto a sinistra: “capanna lustrale” o “rotonda” dal villaggio nuragico di Barumini. Al centro due statue di pugilatori da Monti ‘e Prama (Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, 2014). A destra il bronzetto di pugilatore da Dorgali (Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, 2012). 67 M. A. Fadda (2012). M. A. Fadda (2012) p. 67, 79. 69 P. M. Derudas (2008). 68 Un’ultima manifestazione artistica legata all’uso della pietra, è rappresentata dalla realizzazione di statue (colossoi) di altezza pari, se non superiore a quella umana. Queste statue, datate tra il X secolo e il VI sec. a.C., e scolpite a tutto tondo, raffiguranti “pugilatori”, arcieri e guerrieri armati di scudo circolare identici ai bronzetti figurati, sono stati rinvenuti frammentati presso la necropoli di Monti ‘e Prama (Cabras) in cui si suppone la presenza di un Heroon, un tempio degli eroi divinizzati70. Anche queste rappresentazioni scultoree (associate a tombe monosome a pozzetto ed a cista litica), di estrema importanza per la preistoria del Mediterraneo occidentale, risultano particolarmente utili ai fini della ricostruzione ipotetica degli usi e dei costumi funerari delle ultime propaggini culturali della civiltà nuragica. Relativamente alle iconografie da cui attingere per poter eseguire una ricostruzione di quale fosse l’aspetto degli uomini e delle donne della fine dell’età del bronzo nuragico, massima importanza assumono i bronzetti, con oltre 500 esemplari noti, tra figure umane, animali e di oggetti. Degni di nota, fra gli innumerevoli esempi di “bronzetti” realizzati, le due statue provenienti da Uta, una raffigurante un capotribù e l’altra un guerriero. Il capotribù è esposto al museo Archeologico Nazionale di Cagliari71, mentre il guerriero è esposto al Museo Pigorini di Roma 72: questi sono tra i più grandi bronzetti nuragici realizzati in cera persa ed in bronzo pieno (non mediante fusione cava). La ricchezza di dettagli presenti sui loro abiti e sulle loro armature permettono dei validi tentativi ricostruttivi. Ugualmente interessanti sono le innumerevoli “navicelle” in bronzo, foggiate ad imitazione dei navigli nuragici e sintomo di un importanza notevole assunta dalla marineria e dal commercio marino in periodo nuragico. Insieme ad altri materiali nuragici 73, molte di queste navicelle, infatti, sono state rinvenute in sepolture dell’Etruria villanoviana, ed in altri siti dell’Italia peninsulare. Questi elementi, assieme ai manufatti extrainsulari rinvenuti in Sardegna, permettono di ipotizzare una certa frequenza nei contatti con le altre popolazioni limitrofe, specie nell’età del ferro. 4.2. Analisi dei resti scheletrici nuragici Per quanto riguarda l’argomento principale di questa tesi, ovvero lo studio dei resti scheletrici nuragici con evidenti segni traumatici, allo stato attuale nel dipartimento di Antropologia di Monserrato sono stati osservati i resti di almeno 3 individui che possono rientrare in questo quadro d’insieme. Li elenchiamo brevemente: 70 A. Bedini, C. Tronchetti, G. Ugas, R. Zucca (2012). G. Lilliu (1966) p. 117. 72 G. Lilliu (1966) p. 129. 73 M. Milletti (2012). 71 -Cranio da Alghero (Grotta detta “Dana di lu Maccioni”) -Cranio da Perdasdefogu (Grotta Tueri) -Cranio da Sardara (Loc. Perdalba) Fig. 24: localizzazione dei siti di provenienza dei materiali nuragici citati. Elaborazione con Google Earth ©. Fig. 25: calva da Lu Maccioni. A destra il trauma fotografato nel dettaglio. Alghero (Cala Bona) “Dana (Grotta) di lu Maccioni” [Sigla MSA E 7638♂ JCT (Maschile)] Il reperto è stato rinvenuto nella grotta funeraria detta appunto “Dana di lu Maccioni” (Tana della Volpe) a Cala Bona74, Alghero, assieme ad un'altra quarantina di individui qui sepolti. Purtroppo attualmente la grotta (o forse una tomba dei giganti sepolta) non è più visibile a causa dei lavori di costruzione della strada che ne ha consentito la scoperta. Il luogo in cui questa “tomba” doveva essere originariamente ubicata, è sotto l’attuale “piazza Balaguer” a Calabona75. Fig. 26: fotografia satellitare di piazza Balaguer, a Calabona. Elaborazione con Google Earth ©. Maxia assegnò la cronologia dei reperti osteologici al neolitico 76, le datazioni con il C-14, eseguite dal dipartimento di Antropologia di Monserrato, datano invece il cranio in esame al 2800 ± 60 BP (quindi intorno all’800 a.C.) ovvero tra Bronzo Finale e primo Ferro. Il reperto è costituito solo della calotta cranica, dal parietale all’occipitale (per un peso totale di 174 ± 1 g). Si osservano sia la sutura sagittale (quasi completamente chiusa) sia la lambdoidea. L’individuo di Lu Maccioni doveva essere presumibilmente un uomo adulto, che aveva superato sicuramente i 35-40 anni, in base alla sinostosi di oltre il 50% dell’obelion77. Inoltre la presenza delle foveole di Pachioni ci dimostra come l’individuo fosse abbastanza avanti con l’età: probabilmente aveva raggiunto la cinquantina d’anni. L’esame osteologico ha determinato la presenza di una ferita al cranio, localizzata nell’osso occipitale in prossimità della sutura lambdoidea. Il colpo sferrato fu dato con tale violenza da tagliare di netto l’osso, riuscendo quasi a staccare un frammento dell’osso di circa 4,5x2 cm. Con il cranio in norma superiore la pregressa ferita ha lasciato un solco obliquo dall’alto verso il basso, da sinistra a destra; l’incisione maggiore è sul lato interno 74 Dalla pubblicazione di C. Maxia il luogo di rinvenimento veniva descritto come “Cala Bona”, ma secondo un testimone oculare presentatosi alla conferenza tenuta dal Dott. L. Lai ad Alghero, il luogo è stato identificato più vicino ad Alghero, sotto l’attuale “piazza Balaguer” nell’abitato di Cala Bona, e non nei pressi dell’omonima insenatura. 75 Devo la preziosa informazione al Dottor. Luca Lai ed al Signor Mario Galasso, con i quali ho avuto comunicazione relativamente ai resti di Lu Maccioni. 76 C. Maxia (1963), pp. 67, 83. 77 A. Canci, S. Minozzi (2005). (verso destra). La ferita si presenta nella zona centrale, con i lati più ravvicinati alle estremità; il taglio è lungo circa 4 cm, 4,5/5 se si considera la parte di osso non rilevata; sono evidenti segni di parziale ossificazione. Purtroppo risulta mancante il lato sinistro dell’osso parietale, per cui non si può essere certi dell’effettiva lunghezza della lesione che (probabilmente) era intorno ai 5, massimo 6 centimetri. Fig. 27: fotografia del trauma dal lato interno della calotta cranica. A destra ingrandimento al microscopio del trauma (in sezione). La vicinanza dei bordi nella parte inferiore dell’occipitale sx è tale che questi vanno quasi a congiungersi; tale caratteristica fa pensare che non debba mancare molto materiale osseo (interessato dal trauma) rispetto a quanto si è misurato. Le misure e la forma della lesione fanno pensare ad un’arma tagliente, quasi sicuramente in metallo. Le tipologie d’armi presumibilmente utilizzate sono la spada o più probabilmente (vista la ristrettezza dell’incisione e la forma lenticolare allungata) l’ascia, con un tagliente stimato intorno ai 5 cm. In questa parte del cranio l’osso è spesso circa mezzo centimetro, dunque è necessario un oggetto di un certo peso, ed abbastanza acuminato per attraversarlo in maniera così netta. Ritengo che l’arma sia in metallo (bronzo o ferro) e non come sostiene Maxia78, in pietra, in quanto la ferita risulta molto stretta e profonda, con un evidente segno di incisione. Utilizzando come paragone un’ascia litica in pietra verde conservata nel museo Antropologico di Monserrato e proveniente da Belvì (NU) 79, si è notato come l’angolo dei così detti “biselli” del tagliente sia molto più aperto (57°-58°) rispetto a quanto permetterebbe la capacità meccanica del bronzo o del ferro (intorno anche alla decina di gradi come apertura dei biselli). Per impedire che il tagliente dell’ascia in pietra si rompa con troppa facilità, esso viene conformato con uno spessore molto maggiore. Un’arma simile avrebbe sì procurato un taglio, ma il suo peso notevole e la larghezza del tagliente avrebbero più 78 C. Maxia (1963) p. 83. Tale ascia trova un confronto stringente, ad esempio con le “accettine levigate” in pietra dura della cultura di Ozieri, conservate al museo Arborense di Oristano ed appartenenti alla Coll. Pischedda. R. Zucca (1998). 79 probabilmente procurato una frattura di natura diversa rispetto a quella osservata. In base alla ferita riportata si è cercato di ricostruire la dinamica con cui l’individuo è stato colpito, coerentemente anche con il presunto tipo di arma utilizzata. Fig. 28: foto della testa appartenente alla mummia del Re Sekenenre Taa II, probabilmente morto in battaglia contro gli Ittiti. Tra i molti colpi ricevuti, la freccia evidenzia un colpo d’ascia ricevuto sull’osso frontale. Si paragoni il segno rimasto al trauma da lu Maccioni ed alle sperimentazioni svolte con i Cut Test (Cfr. Infr Cap. 5.6.1.-5.6.2.). Da A. Sacco (Jul. 2014) p. 17.  La prima ipotesi è che l’individuo sia stato colpito frontalmente con un colpo discendente da destra (1-7), mentre l’individuo stava chinando il capo (con una leggera torsione del collo) o mentre stava incespicando, non si sa se a causa di una precedente ferita subita. Figura 29: analisi forense della posizione in cui si sarebbe potuto presumibilmente trovare l'individuo di Lu Maccioni. Ricostruzione con software 3D, cortesia di Flavia Busatta. Figura 30: dinamica della postura ipotetica in cui doveva trovarsi presumibilmente l'individuo nel caso in cui il colpo fosse stato inferto frontalmente da destra. La visuale presunta è quella dell’assalitore (software 3D utilizzato: DAZ Studio, ricostruzione dell’autore).  La seconda ipotesi è che l’individuo abbia subito il colpo mentre dava le spalle all’avversario, il quale l’ha colpito sempre con un colpo discendente, stavolta dal lato sinistro del corpo, sia nel caso in cui l’assalitore fosse destrimano (sferrando un manrovescio 11-5) o mancino. Questa ipotesi spiegherebbe la maggiore profondità della ferita nella parte bassa (verso il collo), essendo la parte inferiore dell’arma quella che colpisce prima in un’azione circolare dall’alto verso il basso. La ricostruzione dello scenario in cui è avvenuto il fatto è quanto mai speculativa. Dalle ipotesi dedotte dal trauma si possono immaginare diverse situazioni:- Il fatto è avvenuto in un agguato arrecato ai danni del soggetto, presumibilmente mentre era di spalle. L’impiego di un’arma non usata esclusivamente nella guerra, quale è appunto un’ascia, permette di ipotizzare che il soggetto possa essere stato colpito anche non durante un evento bellico. Tuttavia a sfavore di tale ipotesi vi è il fatto che l’individuo non è stato ucciso durante l’episodio (lo dimostrerebbero i segni di riparazione ossea). Se di opera delittuosa si doveva trattare, l’assalitore non si curò di controllare se il soggetto fosse morto o meno, il che appare improbabile, ma certo non impossibile. - Il fatto è avvenuto in una situazione di mischia concitata; il soggetto deve essersi trovato con un avversario alle spalle, il quale lo ha colpito approfittando della situazione. Il fatto che il soggetto sia sopravvissuto potrebbe dipendere dal fatto che in una situazione caotica si cerca di eliminare l’avversario il più in fretta possibile o di invalidarlo (con colpi alle mani, alle gambe, all’inguine), senza curarsi del fatto che sia effettivamente deceduto (pena distrarsi ed essere colpiti a propria volta). L’uso di un’ascia come arma da guerra è plausibile, visto che tale strumento doveva essere uno dei più utilizzati nella vita di ogni giorno, specialmente da individui di basso rango che non potevano disporre di grandi armi di bronzo, e che pertanto utilizzavano un attrezzo per il lavoro quotidiano anche per la difesa o l’attacco (dunque insieme ad altre armi ‘povere’ l’ascia dovrebbe essere stata statisticamente abbastanza diffusa). Fig. 31: esempi di asce nuragiche, rinvenute nel ripostiglio di Monte Arrubiu (Sarròk) A sinistra asce a tallone con occhielli, di tipologia iberica. AA.VV. (1981) p. 322, fig. 359. Al lato, ricostruzione d’ascia nuragica immanicata, dal Museo Archeologico Nazionale G. Asproni di Nuoro. Per quanto riguarda l’iconografia, per la bronzistica nuragica non sono noti esempi di figure armate di asce, come potrebbe essere per la statuina bronzea rinvenuta nella tomba detta “Circolo del Tritone” a Vetulonia, appartenente alla coeva civiltà villanoviana, la quale aveva contatti assai frequenti con quella nuragica del ferro80. Tale statuina bronzea, infatti, pur non avendo conservato la miniatura dell’arma in questione (la quale forse era sfilabile dalla statuina) ha le braccia posizionate come se stesse brandendo un’asta a due mani; questa posizione è caratteristica per l’uso di armi come asce inastate e varianti del genere. Fig. 32: statuetta appartenente ad un reggivasi in bronzo, in posizione di attacco, con scudo umbonato Br onzet t portato sulla schiena e, presumibilmente, con un ascia a due mani (andata perduta). Datazione alla metà del VII sec. a.C. Firenze, Museo Archeologico, inv. 6678, da Vetulonia, Poggio in Grugno, seconda tomba ad inumazione di Cerrecchio (Circolo del Tritone) Da AA.VV. (1992) p. 253, fig. 272. Nella sequenza di foto dello stesso bronzetto (a dx), da: I. Fossati (1987) p. 11. 80 Tra la statuaria nuragica è nota solo una figura di “artigiano” con delle asce nella borsa portata sulle spalle. Si veda G. Ugas (2005) p. 246. Il guerriero completa la sua panoplia con uno scudo portato sulle spalle (probabilmente sospeso ad una cinghia a tracolla) e con un elmo crestato. Lo scudo invece è concavo, non piatto come nei bronzetti nuragici, pur essendo dotato di umbone conico (e quindi di maniglia centrale). Forse la mancanza di figure armate a questo modo tra i bronzetti nuragici, è proprio motivata dalla natura “povera” dell’arma e dalla finalità (auto celebrativa) per cui vennero prodotti i bronzi nuragici81. Per quanto concerne la posizione del trauma, bisogna considerare che l’individuo colpito era privo di elmo, oppure il colpo fu così forte da attraversare una eventuale protezione presente (presumibilmente in cuoio bollito 82) che poteva attenuare solo parzialmente la forza cinetica del colpo. Fig. 33: foto della parte posteriore di un elmetto nuragico. Testina in bronzo da Funtana Coberta (Ballao)con elmo “a bustina”, presumibilmente in cuoio, da: M. R. Manunza (2008) p. 250, fig. 239. Al lato, ricostruzione di elmetto nuragico sulla base delle fonti. La nuca rimane pressoché scoperta. Ricostruzione a cura di A. Fadda, associazione Memoriae Milites. 81 C. Bulla (2012) pp. 985-989. In età medioevale in cuoio bollito, o cuirboille, era ancora utilizzato sino al ‘300. Non consisteva in semplice cuoio “duro” ovvero di una parte di pelle animale conciata assai spessa, ma veniva proprio bollito, nell’acqua, nella cera o nell’olio, irrigidendolo e conferendogli così maggiore robustezza ed (nel caso degli olii) impermeabilità. Sono famosi gli esperimenti di J. Coles per quanto riguarda gli scudi in cuoio bollito. J. Coles (1973) pp. 140-145. 82 Tuttavia, dai reperti iconografici in nostro possesso pare che la zona occipitale del cranio dei guerrieri rappresentati nei bronzetti fosse scoperta83; La posizione della ferita quindi risulterebbe proprio al limite della linea in cui l’elmo proteggeva il cranio. Non disponendo del materiale scheletrico del resto del corpo, non possiamo sapere se l’individuo avesse subito altre ferite durante il fatto (nelle prove pratiche si sono mostrare più ricorrenti quelle alle gambe e al fianco, Cfr Infra Cap. 6.10.). L’osservazione di tali dettagli ci avrebbe aiutato maggiormente a determinare la dinamica dell’accaduto; tuttavia, considerato che la ferita risulta parzialmente ossificata, l’individuo sopravvisse al trauma per un certo periodo di tempo. Non sappiamo per quanto tempo continuò a vivere, ma la presenza di segni degenerativi, internamente al cranio, fanno pensare che a un certo punto si sia sovrapposto un processo infettivo che ne determinò la morte. Fig. 34: bronzetto nuragico raffigurante un’ascia (presumibilmente a margini rialzati) con un particolare tipo di immanicatura, e con i legacci per assicurarla al supporto ligneo. Una ricostruzione dell’oggetto prevede che il disco cilindrico possa essere un segmento del tronco di un albero, con uno o due rami (il manico e l’asta per l’inserimento dell’ascia), un espediente forse utilizzato per appesantire lo strumento. Pendaglio a forma d’ascia rinvenuto nella grotta di Su Benatzu (Santadi). Conservato al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. 83 In A. Demontis (2006) la scriminatura, frequentemente osservabile nella zona occipitale dei bronzetti viene interpretata come un paranuca. Tale ipotesi non mi pare trovi riscontro per la maggior parte dei bronzetti nuragici, i quali presentano costantemente l’elmetto che finisce in maniera netta, mentre tale decorazione viene spesso utilizzata per indicare il segno dei capelli, in bronzetti di “militari” come di “civili”. Si faccia un paragone con la testina di guerriero in bronzo (inv. 186020 )rinvenuta nella US 98 al pozzo sacro di Funtana Coberta di Ballao. Da (a cura di) M. R. Manunza (2008) pp. 221-223. Fig. 35: cranio da Perdalba in norma frontale, laterale, posteriore e superiore. Sardara Località “Perdalba” o “Pedralba” [Sigla MSAE 7681? LFBlennco] Il reperto proviene dal sito di Perdalba, da Sardara, nel medio Campidano (CA). Il cranio venne rinvenuto dal Maxia84 assieme ad altri resti scheletrici appartenuti ad almeno una trentina di individui. Le successive indagini operate dall’archeologa Ferrarese Ceruti (1981) inquadrarono i reperti al Bonnannaro A85, ma le datazioni eseguite al C-14 dal dipartimento di Antropologia di Monserrato hanno ridefinito la cronologia del reperto al generico “periodo Nuragico”. Il cranio presenta diverse parti mancanti (zigomo sinistro), pur essendo nel complesso ben conservato. Si denota la mancanza dell’obelion. Il peso è di circa 510 ± 1 g. L’individuo presenta nella parte sinistra del cranio, sull’osso parietale, il segno di una ferita molto ampia, con evidenti segni di intervento chirurgico in vita e riossificazione, con la parziale chiusura della ferita al centro. Più in basso sono evidenti segni di degenerazione dell’osso, forse in seguito ad un processo suppurativo. Sul cranio inoltre è osservabile frontalmente, sull’osso frontale destro, un segno diagonale (dal basso a sinistra all’alto a destra), che tuttavia per la differente colorazione appare essere un segno postmortem. 84 85 C. Maxia (1951-1952) pp. 3-16. F. Germanà (1995) pp. 128, 130. Fig. 36: cranio da Perdalba (Sardara). A sinistra il segno traumatico, evidenziato con la freccia. A destra il segno traumatico sull’osso frontale destro, presumibilmente postmortem, conservato nel Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia del dipartimento di Antropologia di Monserrato. Il colpo ricevuto sul parietale sinistro potrebbe essere accidentale, magari a seguito di una caduta dello stesso individuo, oppure potrebbe essere stato inferto con un’arma ottusa (bastone, mazza litica o altro) l’esito del trauma comunque fu non mortale, visto che l’individuo sopravvisse abbastanza a lungo da permettere alla ferita di richiudersi parzialmente. Tralasciando momentaneamente l’ipotesi che si sia trattato di un colpo accidentale, nel caso in cui sia stato colpito da un aggressore, dobbiamo necessariamente escludere che l’arma che si suppone avesse sferrato il colpo, venisse utilizzata di punta (lancia, pugnale, spada) poiché per creare una ferita di tale ampiezza, l’oggetto avrebbe dovuto penetrare molto in profondità nel cranio, uccidendo quasi certamente l’individuo. Fig. 37: trauma dell’individuo da Perdalba. Viene evidenziato il dettaglio di alcuni segni, simili a quelli riscontrati in altre trapanazioni craniche. Forse l’individuo venne curato a seguito del trauma subito. In basso, paragone con il trauma lasciato da un’arma da getto nuragica (lancia o giavellotto) su una scapola suina rinvenuta al nuraghe Is Paras di Isili. Il processo riossificativo aveva iniziato ad avvolgere l’asta dell’arma. Da B. Wilkens (nov. 2012) p. 19, fig. 2.2. Tra le armi che più si adattano a questo tipo di ferita, possiamo riferirci in maniera molto generica all’ampio armamentario utilizzato dai nuragici nei diversi secoli. Le mazze litiche sono tra le armi più imputabili per un simile tipo di trauma. La variante utilizzata potrebbe essere del tipo “scanalato” con una parte più tondeggiante e una più allungata e appuntita. Questo tipo di armi ebbero un ampissimo utilizzo nel passato della storia umana, e sono state utilizzate sia da popolazioni del Nord Africa che dai Nativi americani86. Ritengo invece che si possano escludere i famosi manufatti litici definiti comunemente “teste di mazza”, ampiamente diffuse nei rinvenimenti nuragici. Fig. 38: testa di mazza nuragica, foto dell’autore, dalla collezione etnoantropologica del museo del dipartimento di Antropologia di Monserrato. Dai campioni osservati nel museo Antropologico di Monserrato (specialmente osservando il reperto evidenziato in fotografia) si nota come queste “teste di mazza” siano state utilizzate per lo più per eseguire percussioni continue e ripetute, spesso prediligendo una superficie (superiore) rispetto all’altra, per cui si rilevano in questi punti, netti segni di “consumo” dato da percussione e sfregamento, con un movimento simile a quello di una picchetta che percuotendo una superficie perpendicolare rispetto al manico (o leggermente inclinata) sfrega principalmente la superficie superiore (invece che usare l’oggetto per battere con ampi gesti come invece si userebbe un piccone o un grosso martello posto su un lungo manico). Forse è anche per via di questo uso che tali “teste di mazza” si rinvengono sovente spezzate. Un utile paragone viene 86 C. F. Taylor (2001) p. 12. dagli scavi eseguiti nel nuraghe S. Barbara di Bauladu. Come afferma Tykot87 già Taramelli associò la presenza di questi reperti litici all’attività mineraria. Tali teste di mazza servirebbero dunque per rompere le rocce che includevano i minerali, così da permetterne un’estrazione più semplice. D’altro canto come afferma lo stesso Tykot non vi sono prove che tali strumenti fossero realizzati con questa forma per assolvere esclusivamente a questa funzione88. Ugualmente possiamo pensare che in una situazione di necessità, uno strumento utilizzato per le attività quotidiane, in mancanza d’altro, potesse ben assolvere anche al ruolo di arma. Fig. 39: vari tipi di teste di mazze, tutte rinvenibili in Sardegna, in basso al centro, una mazza-ascia litica scanalata, con un lato più tondeggiante e l’altro più affusolato, più adatto per tagliare e bucare. da: L. Zeppegno e L. Vacchi (1972) p. 21. In relazione alla forma questi oggetti si possono paragonare alle mazze da guerra in pietra da Menyamya in Nuova Guinea; esse appaiono molto simili alle teste di mazza nuragiche, anche se queste mazze da guerra non risultano perfettamente circolari ma leggermente ovali, con due punti maggiormente privilegiati per la percussione (il che è perfettamente sensato visto il loro scopo). Fig. 40: testa di mazza (war club) da Menyamya, Nuova Guinea, tribù Kukukuku. Foto da: www.maxdiemer.com89 87 L. J. Gallin, R. H. Tykot (1993) pp. 341-342. L’ampio spettro di tipologie litologiche utilizzate fa pensare ad usi diversi, specialmente per teste di mazza realizzate in rocce tenere e friabili, come l’arenaria. 89 M. Diemer (Access 10, Nov, 2014). 88 Altri oggetti indiziabili per questa particolare ferita potrebbero essere un semplice bastone, una pietra o addirittura un dardo di frombola. La pietra appare improbabile in quanto la ferita prodotta dovrebbe essere più estesa (vista la superficie ipoteticamente non uniforme), il proiettile da frombola viene escluso per i danni da compressione ben più rilevanti che avrebbe provocato (arrivando perfino a sfondare il cranio e a rimanervi incluso)90. Aldilà dello strumento utilizzato possiamo ipotizzare che il colpo sia stato sferrato con un oggetto immanicato, dal lato sinistro del nostro uomo, o posteriormente ad esso, ma sempre da sinistra nel caso in cui fosse stato in piedi. Risulta, tuttavia, molto difficile capire da che direzione sia arrivato il colpo; ritengo però che si possano escludere tutti i colpi ascendenti, privilegiando come ipotesi un fendente, dei colpi circolari molto alti (mirati alla testa o al volto) o dei mandritti/rovesci. Il colpo che ha provocato una ferita di questo tipo, probabilmente è arrivato con un angolo non perfettamente ortogonale, senza concentrare l’energia del colpo in maniera perpendicolare alla superficie (evenienza che probabilmente avrebbe procurato danni ben più seri, come estese fratture, specialmente con un’arma litica da botta). In seguito all’evento traumatico, la ferita sembra essere stata interessata da un “operazione cranica” di primitiva neurochirurgia, similarmente a quanto avvenne per il cranio della defunta definita “Sisaia”; la forma assunta dal trauma sul cranio, unita al lato su cui insiste (sinistro) può far ipotizzare ad un’azione di curettage eseguita a seguito di un ipotetico trauma. La ferita comunque non si chiuse definitivamente, proprio come per il cranio di Lu Maccioni; il che fa ritenere che la morte dell’individuo sia avvenuta prima che il trauma si rimarginasse del tutto. Fig. 41: cranio da Perdasdefogu mostrato dal lato del trauma. Affianco, il cranio in norma posteriore. 90 S. Berry (2010) p. 42. Perdasdefogu Grotta “Tueri” [1280 ± 60 a.C.♂ (Maschile)] Il materiale osteologico proviene dalla grotta Tueri di Perdasdefogu, la sepoltura comprende circa una cinquantina di individui. Ne fa una prima menzione Maxia 91 nel 1963. In seguito il materiale è stato recuperato in parte dai volontari del Gruppo Grotte Ogliastra verso la fine degli anni '90 e in parte durante un recupero del 2014 effettuato dalla Soprintendenza per i beni archeologici per le provincie di Sassari e Nuoro, sotto la guida del funzionario responsabile dott.ssa Nadia Canu. Figura 42: foto dell'interno (visuale verso l'uscita) della Grotta Tueri (Perdasdefogu), una diaclasi utilizzata come luogo di sepoltura in periodo nuragico. La grotta non è distante dal nuraghe omonimo, ed ha uno sviluppo uniforme per 31 m, come un lungo corridoio leggermente inclinato verso il basso92. I materiali sono stati consegnati al dott. Luca Lai e alla dott.ssa Patrizia Martella, la quale si sta attualmente occupando del loro studio. La cronologia venne già ascritta da Maxia al periodo nuragico senza tuttavia alcuna certezza, vista la mancanza di un corredo funebre 93 e lo stato di rimescolamento dei materiali, in seguito alla manomissione o al saccheggio da parte di ignoti clandestini in epoca moderna. In seguito il materiale è stato datato dal dipartimento di antropologia di Monserrato con il C-14, che ha permesso di collocarlo intorno al 2880 BP ± 60, quindi calibrato 1250-900 ca, Br. Rec./Primo Ferro. Il cranio in esame è incompleto, manca tutta la porzione della base cranica compreso l'intero occipitale e lo splancnocranio. Tuttavia è possibile osservare come la sutura coronale sia quasi del tutto saldata, e come la sutura sagittale presenti un inizio di saldatura. Internamente al cranio è possibile osservare marcati solchi dei vasi sanguigni e delle foveole. Si tratta quindi di un individuo adulto e la prominenza della glabella suggerisce che si tratta di un maschio. Pur risultando mancante di gran parte del cranio, il reperto è considerevolmente pesante, segno che deve aver subito una parziale calcificazione all’interno della grotta carsica. La ferita presente sul lato sinistro del cranio, è stata presumibilmente inferta con un’arma tagliente. La pregressa lesione, ormai richiusa e visibile 91 C. Maxia (1963) pp. 157-163. AA.VV. (1986) p. 239. 93 C. Maxia (1963) pp. 163. 92 solo con attenzione, attraversa tutto il parietale sinistro e si addentra nel frontale per almeno 3 cm di lunghezza; si nota che la superficie del frontale, sino alla bozza sinistra, è leggermente rugosa quindi è plausibile che la ferita si spingesse sino a lì ma che quella porzione si sia totalmente rimarginata. E' possibile che la ferita si estendesse anche all'occipitale, visto che parte dalla sutura lambdoidea. La ferita, nella porzione posteriore del parietale è talmente profonda che è possibile osservarne i margini anche all'interno del cranio. Fig. 43: foto dall’interno del cranio. Il trauma è sopra rispetto alla linea tratteggiata. La ferita misurata con un calibro, in linea retta, è lunga 13,3 cm (mentre con un metro a rotella misura 14,5 cm seguendo la curvatura del cranio). Ipotizzando che la lama sia entrata in maniera netta, senza invece “strisciare” sul cranio, sulla base di una semplice considerazione geometrica possiamo ipotizzare che la lama sia penetrata in maniera lineare per una profondità massima di almeno 2,3 cm nel punto più lontano della superficie cranica. Questa infatti è la misura che si ottiene unendo in maniera ideale i due punti, iniziale e finale, della ferita (ovvero dall’occipitale al frontale). L’angolo di incisione della ferita è individuabile approssimativamente (con il cranio in norma frontale) tra i 70°-75° (massimo 80°). Si tratta quindi di un colpo diagonale, inferto frontalmente al soggetto usando la mano destra, dall’alto in basso (mandritto); chi ha sferrato il colpo doveva essere una persona di altezza media o più alta rispetto al nostro uomo, oppure il colpo è stato sferrato mentre la vittima aveva il capo leggermente inclinato in avanti. Un’altra ipotesi è che il colpo sia stato inferto da una persona posta alle spalle, con un manrovescio dall’alto in basso (sia che l’assalitore fosse destro o mancino). La maggiore incisione sull’osso occipitale potrebbe far propendere più per un colpo sferrato da dietro, dato con forza e con una spada abbastanza pesante (forse una spada Pistilliforme, tipo Oroè?). Come è possibile notare dai segni di guarigione e dai margini arrotondati dei lembi della ferita, l'individuo incredibilmente sopravvisse al trauma. Questo fatto, per quanto straordinario, non è impossibile. Da resoconti e testimonianze inglesi del ‘700-‘800 sappiamo come una ferita al cranio non sempre fosse letale, o come il colpo non uccidesse in maniera istantanea chi lo riceveva94. “...A private of H.M. 86th Regt. was wounded in the head by a tulwar95, and had his head as nearly cloven in two vertically as possible. His skull was divided to the left of the great sinus, from the forehead to halfway down the occiput; and in this division of the skull, the cerebrum was deeply included. The wound gaped, at this time, fully two and a half inches; and driven into the substance of the brain were several long spiculae of bone-pieces of the inner plate of the parietal. [After being treated,] this man lived several days after he had been thus wounded…” (Dr. Thomans Lowe, “A Historico-Medical Narrative,” Madras Quaterly Journal of Medical Science, 1861). Fig. 44: segno traumatico osservabile nel cranio dell’individuo da Perdasdefogu. Nella prima foto il segno cicatriziale dell’osso è posto inferiormente alla linea tratteggiata. Nella foto a destra è evidenziato il punto d’inizio e di fine del trauma nei limiti della foto. Le caratteristiche della lesione, come il particolare segno osservabile, la sua ampiezza e l’ipotetica misura entro cui stimare il potere penetrativo dell’arma fanno propendere per l’uso di una spada. Ci troviamo quindi di fronte a quello che in tutta probabilità è stato un episodio bellico. Difficile pensare che si tratti di un agguato, simile a quello che avevamo ipotizzato per l’individuo di Lu Maccioni, colpito da un’arma “povera”, popolare, come un’ascia in metallo. Ci troviamo di fronte ad una ferita procurata da un’arma esclusivamente destinata per il combattimento e la guerra; non un attrezzo agricolo riadattato, ma proprio ad un’arma studiata per uccidere. Considerata la cronologia assoluta del reperto osteologico possiamo ritenere che il fatto sia accaduto intorno al Bronzo Recente/Primo Ferro; il valore delle spade, per il costo del materiale e per le caratteristiche intrinseche che possiedono questi oggetti in tale periodo, deporrebbe per un episodio bellico la cui entità rimane ignota. Potremmo trovarci di fronte ad una scaramuccia tra piccoli gruppi di guerrieri (poche decine di persone), come ad una battaglia 94 95 D.A. Kinsley (2009) p. 161. Nome dato ad una particolare scimitarra. con alcune centinaia di individui coinvolti. Quello che è certo è che difficilmente si trattò di un duello tra singoli (altrimenti è improbabile che il vincitore lasciasse in vita lo sconfitto 96) o di un agguato avente la finalità di uccidere il nostro uomo. Fig. 45: a sinistra: spade pistilliformi da Oroè (Siniscola). La loro particolare forma sinuosa le rende particolarmente adatte per i colpi di taglio. La massa è prevalentemente concentrata sul medio/debole dell’arma. Foto dell’autore, dal Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. A destra: asce in ferro “ad occhiello” rinvenute a S’Arcu ‘e is Forros (Villagrande Strisaili) del IX-VIII Sec. a.C.97. È lecito presumere che possano esistere anche delle prime “copie” in ferro di altre spade nuragiche già conosciute in bronzo. Foto dell’autore, dalla mostra “l’Isola delle Torri” (2014 Cagliari) conservate al Museo Archeologico Nazionale G. Asproni (Nuoro). L’ipotesi del conflitto, per tutta una serie di dettagli già evidenziati per il cranio di Lu Maccioni, prende corpo, proprio in relazione all’uso di un arma realizzata e utilizzata quasi esclusivamente a scopo bellico. A seguito di questi casi, seppure numericamente scarsi (ma con una cronologia variabile), si potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi che la guerra, e la possibilità di morire in un combattimento, dovesse essere un’eventualità probabile nella vita quotidiana delle genti nuragiche. Dai reperti evidenziati possiamo intuire come gli episodi violenti, in diversi periodi della preistoria sarda, siano il riflesso tangibile di tempi tutt’altro che pacifici. 96 Dall’analisi dei testi (soprattutto medioevali) che prevedono il duello con giudizio divino (duelli giudiziari), lo sconfitto è destinato sempre a morire, proprio per testimoniare che si trovasse dalla parte del torto. Storicamente invece sono noti diversi duelli tra singoli di fronte agli eserciti schierati (specialmente in periodo classico), facciamo il caso del famoso fatto Biblico tra Davide e Golia, in cui Davide al termine dello scontro decapita il filisteo. Per ulteriori approfondimenti: R. Cowan (2010) pp. 20-24. 97 M. A. 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