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ISSN 1826-3534 19 GIUGNO 2019 Il bilanciamento tra principi costituzionali e la nuova dialettica tra interessi alla luce della riforma Madia. Riflessioni in margine al ‘caso Ilva’. di Anna Giurickovic Dato Dottoranda di ricerca in Diritto amministrativo Sapienza – Università di Roma Il bilanciamento tra principi costituzionali e la nuova dialettica tra interessi alla luce della riforma Madia. Riflessioni in margine al ‘caso Ilva’. * di Anna Giurickovic Dato Dottoranda di ricerca in Diritto amministrativo Sapienza – Università di Roma Sommario: 1. Premessa. 2. Il caso Ilva. 2.1. Il riconoscimento della crisi ambientale e l’inizio della vicenda giudiziaria. 2.2. Il primo decreto “Salva Ilva” del 2012 e la pronuncia della Corte costituzionale nel 2013. 2.3. Il decreto “Salva Ilva” del 2015 e la pronuncia della Corte costituzionale nel 2018. 3. La recente pronuncia della CEDU del 24 gennaio 2019: l’affaire Cordella e altri c. Italia. 4. Il bilanciamento tra interessi costituzionali e il processo di indebolimento della legalità dei principi 5. La riforma Madia e la nuova dialettica tra interessi. 1. Premessa La vicenda che ha riguardato lo stabilimento siderurgico dell’Ilva di Taranto, ha rappresentato un caso di grande interesse sotto vari profili e, per quanto specificamente rileva ai fini di questa analisi, un emblematico tentativo di composizione degli interessi al fine di individuare un equilibrio tra esigenze di tutela di valori cd. primari (come l’ambiente e la salute) e interessi relativi alle cd. “industrie di interesse strategico nazionale”, nell’ambito di un conflitto sociale particolarmente partecipato e sentito. In tale occasione, il Governo con decreto-legge, il legislatore in sede di conversione, la pubblica amministrazione con l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) e, infine, la Corte costituzionale - che ha ritenuto ragionevole il bilanciamento operato - hanno effettuato una ponderazione tra gli interessi dell’impresa e del lavoro da un lato e quelli alla salute e a un ambiente salubre dall’altro, che si è inserito nel sempre acceso dibattito circa il conflitto tra interessi sociali e interessi economici 1 e che è stato oggetto di forti critiche da parte della dottrina. A dire di molti autori, infatti, si sarebbe trattato di un bilanciamento cd. “ineguale”2, in quanto avrebbe rappresentato una scelta politica d’emergenza volta esclusivamente a Articolo sottoposto a referaggio. Il presente scritto costituisce il frutto di una ricerca condotta presso il Max Planck Institute for Comparative Public Law and International Law di Heidelberg. Sono grata al direttore dell’Istituto prof. Armin von Bogdandy per l’ospitalità e per le opportunità di confronto. 1 Sul bilanciamento tra esigenze di natura economico-finanziaria ed esigenze sociali, si v. per tutti M. LUCIANI, Economia nel diritto costituzionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. V, Torino, 1990, p. 380. 2 L’espressione “bilanciamento ineguale” è stata utilizzata, tra altri, da M. LUCIANI, Sui diritti sociali, in Democrazia e diritto, 1995, pp. 560 ss., con riferimento al bilanciamento tra interessi economici-finanziari e interessi sociali. L’A. evidenziava, in particolare, che il “fine” - e cioè la tutela dei diritti sociali della persona - non può essere considerato sullo stesso piano del “mezzo” - e, cioè, l’efficienza economica. * 2 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 salvare un’azienda considerata di “interesse strategico nazionale” e per questo non sacrificabile nemmeno in forza dei fondamentali diritti della salute e dell’ambiente.3 Tralasciando ogni considerazione di carattere politico, con questo lavoro si vuole analizzare il metodo giuridico che in tale circostanza è stato applicato al fine di individuare la “regola del conflitto” volta a comporre gli interessi in gioco, nonché dirimere la questione, paventata da alcuni autori a commento della sentenza n. 85 del 2013 della Corte costituzionale, se quello operato con il decreto cd. “ad Ilvam”, poi confermato dalla Corte, possa essere considerato un bilanciamento ad hoc4, circoscritto al caso specifico o se, invece, possa essere spia di un orientamento volto a una “correzione sistematica”5, tale da porre un “nuovo” equilibrio nella dialettica tra interessi costituzionali. Si noti peraltro che, con riferimento alla determinazione del punto di equilibrio tra gli interessi configgenti emersi nel caso concreto, il legislatore, con il cd. decreto - Ilva e successiva legge di conversione, ha rimesso la concreta contemperazione degli interessi alle pubbliche amministrazioni coinvolte nel procedimento di riesame dell’AIA, stabilendo che la legittimità dell’attività produttiva dell’Ilva debba dipendere esclusivamente dal rispetto delle cautele e delle condizioni contenute in tale atto amministrativo complesso: al centro non è la politica, ma l’amministrazione, in quanto è l’AIA ad aver costituito il vero e proprio cuore della ponderazione tra gli interessi in gioco.6 Ci si propone, pertanto, di inquadrare le Si fa riferimento, in particolare, agli autori che, sono intervenuti in seno al Convegno “Il caso Ilva: nel dilemma tra protezione dell’ambiente, tutela della salute e salvaguardia del lavoro, il diritto ci offre soluzioni?”, tenutosi il 15 marzo 2013 e organizzato dall’Istituto Dirpolis della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e i cui interventi sono stati pubblicati in federalismi.it, 15/2013, quali: E. VIVALDI, Il caso Ilva: la “tensione” tra poteri dello Stato ed il bilanciamento dei principi costituzionali; P. CARROZZA, Conclusioni (molto provvisorie…); E. FREDIANI, Autorizzazione integrata ambientale e tutela “sistemica” nella vicenda dell’Ilva di Taranto; E. CRISTIANI, Introduzione al Convegno sul caso Ilva; M. MELI, Ambiente, salute, lavoro: il caso Ilva, in Le nuove leggi civili commentate; A. MARCHETTI, Il “decreto Ilva”: profili di costituzionalità di una legge provvedimento, Intervento al Convegno “Il caso Ilva: nel dilemma tra protezione dell’ambiente, tutela della salute e salvaguardia del lavoro, il diritto ci offre soluzioni?”. Nonché, molti altri autori, tra i quali si citano, senza alcuna ambizione di completezza: U. SALANITRO, Il decreto Ilva tra tutela della salute e salvaguardia dell’occupazione: riflessioni a margine della sentenza della Corte costituzionale, in Il Corriere giuridico, 8-9/2013; F. SANTONASTASO, Tutela della salute, tutela dell’ambiente ed evoluzione della “governance” nelle imprese di interesse strategico nazionale (il caso Ilva); un’applicazione dell’art. 41 Cost. per uno “statuto d’impresa?”, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 2014; F. DI CRISTINA, Gli stabilimenti di interesse strategico nazionale e i poteri del Governo, in Giorn. dir. amm., fasc. 4, 2013, 370; S. STAIANO, Politica e giurisdizione. Piccola cronaca di fatti notevoli, in federalismi.it, fasc. n. 11, 2013, 7-10; L. GENINATTI SATÈ, “Caso Ilva”: la tutela dell’ambiente attraverso la rivalutazione del carattere formale del diritto (una prima lettura di Corte cost., sent. n. 85/2013), in forumcostituzionale.it, 2013. 4 Il bilanciamento, infatti, non comporta la cristallizzazione dell’equilibrio tra i principi individuati, e non va a stabilire una regola fissa di prevalenza tra interessi, posto che la pronuncia della Corte deve ritenersi investita da entrambi i profili del cd. definitional balancing - suscettibile di generalizzazione - e del cd. ad hoc balancing - limitato alla fattispecie concreta. Per una lettura più approfondita sul punto v. per tutti A. MORRONE, voce Bilanciamento (Giustizia costituzionale), Enciclopedia del diritto, Annali, Milano, 2008, vol. II, pp. 185 e ss. 5 U. SALANITRO, Il decreto Ilva tra tutela della salute e salvaguardia dell’occupazione: riflessioni a margine della sentenza della Corte costituzionale, in Il Corriere giuridico, III, 2013, p. 1047. 6 E. FREDIANI, Autorizzazione integrata ambientale e tutela “sistemica” nella vicenda dell’Ilva di Taranto, Intervento al Convegno “Il caso Ilva: nel dilemma tra protezione dell’ambiente, tutela della salute e salvaguardia del lavoro, il diritto ci offre 3 3 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 caratteristiche di tale rinvio e di verificare l’esito di quello che ha rappresentato lo strumento di composizione dei conflitto sociale nel caso di specie. 2.1 Il caso Ilva Prima di proseguire con l’analisi circa il bilanciamento tra valori costituzionali operato nel caso Ilva, è necessario ripercorrere brevemente la vicenda che ha riguardato lo stabilimento siderurgico, nonché gli interventi giudiziari e normativi che si sono susseguiti e, in particolare, le due pronunce della Corte costituzionale: la prima sentenza n. 85/20137, con cui la Corte costituzionale è arrivata a sancire la ragionevolezza di quel complesso bilanciamento tra interessi ambientali, sociali ed economici che, come si è detto, è stato il frutto del rinvio alla P.A., da parte del legislatore (ai sensi dell’art. 1 del cd. decretoIlva del 2012)8 dell’onere di ponderazione; la seconda sentenza n. 58/20189, con la quale la Corte ha sancito l’illegittimità dell’art. 3 del decreto legge 92/201510, e ribadito, guidata da uno spirito certamente più attento alle tematiche ambientali, alcuni dei principi che erano rimasti silenti nella sentenza 85/2013 cit. La traversia che ha portato all’adozione del decreto legge del 3 dicembre 2012, n. 207, è assai nota: a seguito di un accertamento penale avente ad oggetto la gestione dell’impianto siderurgico dell’Ilva S.p.A., il GIP di Taranto - dopo aver effettuato alcuni tentativi di negoziazione con l’azienda - ha adottato due misure cautelari11, ordinando l’immediata interruzione delle attività inquinanti e pericolose e prevedendo soluzioni?” del 15 marzo 2013 organizzato dall’Istituto Dirpolis della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in 15, 2013, pp. 1 ss.; P. CARROZZA, Conclusioni (molto provvisorie…), Intervento al Convegno cit., in federalismi.it, 15, 2013, p. 3. 7 Corte cost., sentenza n. 85 del 9 maggio 2013, pubblicata in G.U. n. 20 del 15 maggio 2013, e consultabile in www.cortecostituzionale.it. 8 Decreto legge del 3 dicembre 2012, n. 207, cd. decreto “Salva-Ilva”, poi convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 l. 24 dicembre 2012, n. 231, in G.U. Serie Generale n. 282 del 3 dicembre 2012, in www.gazzettaufficiale.it. 9 Corte cost., sentenza n. 58 del 23 marzo 2018, pubblicata in G.U. n. 13 del 28 marzo 2018 e consultabile in www.cortecostituzionale.it. 10 D. l. 4 luglio 2015, n. 92, rubricato “Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale” in www.gazzettaufficiale.it. 11 In particolare, il 25 luglio 2012 il Gip di Taranto, su richiesta della Procura della Repubblica locale, aveva disposto l’applicazione di misure cautelari personali e reali con riferimento ai delitti realizzati, secondo l’accusa, nella gestione dell’impianto siderurgico dell’ulva. [Nello specifico, si procedeva per reati ambientali integrati mediante emissioni nocive nell’atmosfera di polveri e gas: artt. 81 e 110 del codice penale; artt. 24 e 25 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, recante «Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183»; artt. 256 e 279 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale»). Si procedeva, inoltre, riguardo ad ipotesi di concorso nei reati (talvolta continuati) di cui agli artt. 434 (Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi), 437 (Rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli federalismi.it, 4 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 il sequestro preventivo di alcune aree dello stabilimento, nonché del prodotto finito e/o semilavorato giacente nelle aree di stoccaggio. Tale vicenda, ha fatto seguito a un’annosa questione: già nel luglio del 1997 il Consiglio dei Ministri aveva dichiarato tale stabilimento “area ad elevato rischio di crisi ambientale”, ma al malcontento dei cittadini di Taranto, i quali premevano perché venissero adottati immediati interventi di risanamento e fossero rispettati i propri diritti alla salute e al lavoro, rispondeva il silenzio del potere politico.12 È stata la Corte di giustizia dell’Unione europea - pronunciandosi sul caso Ilva il 30 marzo 201113 e condannando l’Italia per infrazione della legge comunitaria - ad aprire la strada alla successiva serie di inchieste e processi che sono seguiti. Tale pronuncia si è inserita in un panorama europeo fortemente mutato rispetto agli anni Novanta, dove la sensibilità verso il tema ambientale è cresciuta esponenzialmente, a partire dalla normativa degli anni 2000 ispirata al principio dello sviluppo sostenibile. In tale occasione, la Corte di Lussemburgo ha ritenuto l’Italia inadempiente alla Direttiva 2008/1/CE sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (cd. Direttiva IPPC)14, che obbliga le industrie con un elevato potenziale inquinante, a dotarsi di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), alla Direttiva 89/391/CE, sulla sicurezza e salute sul luogo di lavoro, nonché alla Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale, che prevede la presunzione di responsabilità del gestore di attività industriali infortuni sul lavoro), 439 (Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari), 635 (Danneggiamento), 639 (Deturpamento e imbrattamento di cose altrui), 674 (Getto pericoloso di cose) del codice penale.] Tali provvedimenti cautelari venivano confermati dal tribunale del riesame con due ordinanze: l’una, relativa alle misure restrittive personali, veniva impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione che respingeva il ricorso; l’altra, relativa alle misure reali, non veniva impugnata. Il 22 novembre 2012, il Gip di Taranto disponeva, altresì, il sequestro del prodotto finito e/o semilavorato giacente nelle aree di stoccaggio dello stabilimento Ilva (prevedeva la confisca, ai sensi dell’art. 240, comma 1, c.p. e dell’art. 321, comma 1, c.p.p., trattandosi del prodotto della condotta illecita consistita nella prosecuzione dell’attività industriale inquinante nonostante l’esplicito divieto posto dai provvedimenti giudiziari, nonché le misure personali per il reato di associazione a delinquere ex art. 416, commi 1° e 2°, c.p.). 12 E. VIVALDI, Il caso ILVA: la “tensione” tra poteri dello stato ed il bilanciamento dei principi costituzionali, intervento al Convegno “Il caso Ilva: nel dilemma tra protezione dell’ambiente, tutela della salute e salvaguardia del lavoro, il diritto ci offre soluzioni?” del 15 marzo 2013, organizzato dall’Istituto Dirpolis della scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in federalismi.it, n. 15/2013, pp. 1 ss. 13 v. Corte Giust., sez. VII, Causa C-50/10, sentenza del 31 marzo 2011, in eur-lex.europa.eu. In particolare, la Corte di giustizia dell’Unione europea, con tale pronuncia, accolse il ricorso per infrazione promosso dalla Commissione UE il 29 giugno 2010 ai sensi dell’art. 258 TFUE, Causa C.50/10. In sentenza la Corte dichiara che “l’Italia, non avendo adottato le misure necessarie affinché le autorità competenti controllino, attraverso autorizzazioni rilasciate a norma della direttiva IPPC, ovvero mediante il riesame aggiornato delle prescrizioni, che gli impianti esistenti funzionino secondo i requisiti imposti dall’UE, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva”. 14 Secondo la Direttiva IPPC Direttiva 96/61/CE, sostituita dalla Direttiva 2008/1/CE), l’Autorizzazione Integrata Ambientale può essere rilascia solo a condizione che siano soddisfate specifiche condizioni ambientali e, cioè, che le imprese chele richiedano siano effettivamente responsabili della prevenzione e della riduzione dell’inquinamento, nonché della gestione dei rifiuti. 5 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 pericolose, com’è quella siderurgica, in caso di incidenti.15 La Corte di Giustizia, infatti, ha sostenuto che l’Italia non solo avrebbe dovuto rilasciare l’AIA, ma altresì avrebbe dovuto comunicare il censimento degli impianti industriali a rischio entro l’ottobre 2007, termine che invece fu prorogato dall’Italia fino all’ottobre 2009, così come fu altresì posticipata al 2012 l’entrata in vigore dei valori limite di emissione (con D. Lgs. 155/2010).16 Pertanto, con D.M. 450 del 4 agosto 201117, è stata adottata la prima AIA relativa alla produzione dell’Ilva, in osservanza di quanto previsto dalla disciplina europea; questa, veniva poi riesaminata il 26 ottobre 2012.18 Nell’assenza di un dialogo efficace tra amministranti e amministrati, il GIP è intervenuto nel luglio 2012, a tutela dei diritti della popolazione tarantina, in tal modo svolgendo una funzione anticipatoria nella determinazione dell’assetto di interessi che, successivamente, è stato definito - in senso opposto dall’intervento politico-amministrativo.19 2.2 Il primo decreto “Salva Ilva” del 2012 e la pronuncia della Corte costituzionale nel 2013 È in questo frangente che è intervenuto il citato decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (cd. decreto “Salva-Ilva”, poi convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 l. 24 dicembre 2012, n. 231), con cui il Governo, incidendo sulle misure giudiziarie adottate e di fatto sospendendo l’esecuzione del sequestro, ha di fatto attribuito al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) il potere di autorizzare la prosecuzione di un’attività produttiva, per un tempo determinato non superiore a trentasei mesi, in sede di riesame dell’AIA.20 Accanto a tale disposizione avente carattere generale, il decreto Ilva contiene una disposizione di carattere speciale, espressamente riferita allo stabilimento siderurgico di Taranto (l’art. 3), laddove viene dichiarata l’applicazione di detta disciplina alla società Ilva 15 In particolare, per attività industriali pericolose, come quella siderurgica, individuate nell’allegato III alla Direttiva 2004/35/CE, la disciplina in essa contenuta prevede una responsabilità oggettiva per la cui integrazione è sufficiente la mera prova di nesso causale fra attività e danno, senza la prova dell’elemento soggettivo di colpevolezza sul caso singolo. 16 Il Ministero dell’Ambiente, con nota del 14 aprile 2009, aggravò la propria posizione riferendo alla Commissione UE di non essere venuto in possesso dei dati sulle autorizzazioni concesse sul territorio nazionale per il ritardo degli aggiornamenti da parte delle Regioni, nonostante, per legge, la competenza per il rilascio dell’AIA appartenesse al solo Ministero. 17 Decreto AIA 2011: D.M. n. 450 del 4 agosto 2011, in G.U. n. 195 del 23 agosto 2011. 18 Decreto AIA 2012, di riesame parziale dell’AIA del 2011: D.M. n. 547 del 26 ottobre 2012, in G.U. n. 252 del 27 ottobre 2012. 19 R. BIN, Giurisdizione o amministrazione, chi deve prevenire i reati ambientali? Nota alla sentenza “Ilva”, in Giur. cost. 2013, pp. 1510 ss. 20 La prima Autorizzazione Integrata Ambientale dell’Ilva, è stata adottata con il decreto AIA dell’agosto 2011, e poi è stata riesaminata con decreto AIA dell’ottobre 2012. U. SALANITRO, Il decreto Ilva tra tutela della salute e salvaguardia dell’occupazione: riflessioni a margine della sentenza della Corte costituzionale, cit., p. 1047; E. VIVALDI, op. cit., p. 20. 6 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 che, in quanto ritenuta di “interesse strategico nazionale” e sulla base delle condizioni poste dall’AIA riesaminata, è stata direttamente autorizzata alla prosecuzione dell’attività produttiva e al commercio della relativa produzione. Da qui derivano le critiche e, ancor prima, le censure di illegittimità relative alla violazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione, per un intervento normativo tagliato ad hoc per le esigenze specifiche dell’Ilva, nonostante si proponga di avere una portata regolativa più ampia. In seguito alla conversione in legge del decreto “ad Ilvam”, infatti, il GIP di Taranto ha sollevato molteplici questioni di incostituzionalità21 con riferimento agli articoli 1 e 3 della legge 24 dicembre 2012, n. 231, quali quelle della sovrapposizione tra potere legislativo e potere giudiziario e della sottrazione dei fatti illeciti alla cognizione del loro giudice naturale, dell’adozione di una legge-provvedimento al di fuori dai casi ritenuti ammissibili dalla giurisprudenza, della speciale natura giuridica dell’AIA, e del preteso bilanciamento “diseguale” tra gli interessi in conflitto. Tuttavia, ai fini di questo elaborato, non interessa addentrarsi nell’ambito delle svariate censure sollevate dal giudice a quo, ma si intende limitare l’indagine ai profili direttamente relativi al bilanciamento e alla ponderazione di interessi. Sul punto, il giudice remittente ha ritenuto che la normativa “salva Ilva” non abbia realizzato un bilanciamento ragionevole tra interessi alla salute e all’ambiente, sul combinato disposto degli artt. 2, 9 e 32 Cost., e diritto all’iniziativa economica ai sensi dell’art. 41 Cost., poiché avrebbe offerto una sorta di immunità delle attività illecite e pericolose poste in essere dallo stabilimento siderurgico, rendendo impensabile ogni intervento inibitorio e prevedendo, al massimo, una sanzione pecuniaria nel caso in cui, nella prosecuzione dell’attività produttiva, l’azienda violi le statuizioni previste nell’AIA. Così facendo, sempre nell’opinione del GIP di Taranto, il legislatore non avrebbe effettivamente individuato un punto di equilibrio tra gli interessi in gioco, tutti costituzionalmente garantiti, ma avrebbe deciso di sacrificare a piè pari quelli alla salute e all’ambiente, in favore di quello economico, sulla base di una scelta emergenziale dettata dalla crisi economica. L’ordinanza di remissione ha fatto leva sul carattere di “prevalenza” dei diritti alla salute e all’ambiente salubre, che, pertanto, non potrebbero entrare in bilanciamento con i diritti al lavoro e all’attività produttiva, potendo questi ultimi essere garantiti solo nella misura in cui non rechino pregiudizio ai primi. La Corte, però, (con sentenza n. 85/2013) ha dichiarato tale censura infondata, negando che il bilanciamento del legislatore possa in alcun modo aver operato una illecita compressione dei richiamati valori. In particolare, il giudice costituzionale ha sottolineato che: i) l’AIA è rilasciata dall’Autorità competente solo sulla base dell’adozione, da parte del gestore dell’impianto, delle migliori tecnologie 21 7 Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto, ordinanza r. o. n. 19 del 22 gennaio 2013. federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 disponibili (cd. MTD o, in inglese, BAT - Best Available Techniques)22, e, pertanto, si qualifica come un “provvedimento per sua natura dinamico”, in quanto contenente un programma di riduzione delle emissioni da riesaminare ogni cinque anni (ciò era vero nel 2013, prima che le modifiche apportate con il D.lgs. 46/2014 ampliassero l’efficacia a dieci anni); ii) la ratio della legge non sarebbe quella di limitare le sanzioni ma, al contrario, la sanzione pecuniaria del 10% del fatturato in caso di inosservanza dei termini previsti dall’AIA non debba essere ritenuta sostitutiva delle sanzioni previste dalla disciplina in materia, bensì cumulativa, in tal modo verificandosi un “aggravamento di responsabilità”, anziché un suo svuotamento, come prospettato, invece, dal giudice remittente. Sulla base di quanto premesso, la Corte ha quindi ritenuto che “la ratio della disciplina censurata consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), Con riferimento alla disciplina giuridica delle Migliori Tecnologie Disponibili, v. Direttiva 96/61/CE del 24 novembre 1996, anche chiamata “Direttiva IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control)” recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 59/2005, poi abrogata e sostituita dalla Direttiva 2008/1/CE del 15 gennaio 2008, nota sempre come Direttiva IPPC; v. anche la Direttiva 2010/75/UE, o “Direttiva IED (Industriale Emission Directive)”, recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 46/2014 ed entrata in vigore l’11 aprile 2014, la quale, in materia di BAT (Best Available Techniques) o MTD (l’acronimo italiano equivalente per definire le Migliori Tecniche Disponibili), sancisce che: a) linee di massima del procedimento per la formazione delle medesime (art. 13 IED); b) la periodica adozione di Decisioni sulle BAT al fine di rendere conoscibili e vincolanti 22 per tutti gli Stati membri, con persistenza della vincolatività delle BAT Conclusions adottate in precedenza nelle more dell’adozione di nuove BAT Conslusions (art. 13, co. 5, 6, 7 IED); c) limiti temporali massimi per la revisione periodica delle predette (artt. 21 e 22 delle premesse e 21 IED); d) l’adozione delle BAT quale principio generale informatore degli obblighi fondamentali del Gestore (art. 11, co. 1 lett. b) IED) quale standard di riferimento sia per l’emanazione di norme statali vincolanti sui limiti alle emissioni (art. 17 IED) sia per le autorizzazioni all’esercizio degli impianti (art. 14, co. 3 e 15 e co. 3 IED) secondo un approccio pragmatico e pertanto con riguardo al raggiungimento dei livelli di efficienza associati all’adozione delle MTD più che all’adozione delle MTD stesse. V. inoltre, per il settore industriale della lavorazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, il documento “Integrated Pollution Prevention and Control (IPPC) Reference Document on Best Available Techniques (BRef) for Large Combustion Plants” (luglio 2006) è stato recepito in Italia dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che ha emanato, nell’ambito dei provvedimenti finalizzati all’individuazione delle Linee Guida per l’applicazione delle MTD, i seguenti provvedimenti: D.M. 26 maggio 1999 (Individuazione delle tecnologie da applicare agli impianti industriali ai sensi del punto 6 del decreto interministeriale 23 aprile 1998, recante requisiti di qualità delle acque e caratteristiche degli impianti di depurazione per la tutela della laguna di Venezia) che specifica, per numerose famiglie di contaminanti, le MTD per gli impianti di depurazione delle acque reflue industriali, da utilizzare per la realizzazione e/o l’adeguamento di impianti di trattamento; D.M. 31 gennaio 2005 (Emanazione di linee guida per l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili per le attività elencate nell’allegato I del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372) e D.M. 29 gennaio 2007 (Emanazione di linee guida per l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili in materia di raffinerie, per le attività elencate nell’allegato I del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59) che riporta, in allegato, il documento IPPC “Prevenzione e Riduzione Integrate dell’Inquinamento) – Decreto Legislativo 372/99 (Art. 3 comma 2) – Linee Guida per l’identificazione delle Migliori Tecniche Disponibili – Categoria IPPC 1.2: raffinerie di petrolio e di gas. Una ricognizione della normativa in materia si trova in www.bollettino.net. Tutta la normativa riportata, è consultabile in www.lexitalia.it. 8 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.) […si noti come la Corte non faccia espresso riferimento al diritto all’iniziativa economica ex art. 41], da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso”.23 In via generale, poi, la Corte ha aggiunto che “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile individuare uno tra essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona”24. Così, il giudice costituzionale ha negato la tesi sostenuta nell’ordinanza di remissione secondo cui, invece, esisterebbe un ordine gerarchico “statico” tra valori. 2.3 Il decreto “Salva Ilva” del 2015 e la pronuncia della Corte costituzionale nel 2018 Sull’avvallo della pronuncia della Corte costituzionale del 2013, la vicenda Ilva ha avuto ulteriori e articolati sviluppi che hanno poi portato alla sentenza del 2018. L’azienda, infatti, è stata sottoposta a procedure che hanno permesso la prosecuzione della sua attività produttiva, nonostante essa “abbia comportato e comporti oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a causa della inosservanza reiterata della autorizzazione integrata ambientale”25: prima è stata sottoposta alla vigilanza di un Garante26; successivamente, a quella di un Commissario straordinario (art. 1 del d.l. n. 61 del 2013)27. Intanto, il 26 settembre 2013, successivamente alla riapertura degli stabilimenti produttivi dell’Ilva, la Commissione UE ha inviato all’Italia un avviso di messa in mora, perché si adeguasse alla Direttiva 2010/75/UE sulle emissioni industriali e i grandi impianti di commistioni (cd. Direttiva IED, sostitutiva della Direttiva IPPC) cui ha fatto seguito il parere motivato del 16 ottobre 2014 con il quale la Corte costituzionale, sentenza n. 85 del 9 aprile 2013, § 9, in www.cortecostituzionale.it. Corte costituzionale, sentenza n. 85 del 9 aprile 2013 cit., § 9. 25 Art. 1, comma 1, del d.l. n. 61 del 2013, in www.gazzettaufficiale.it 26 Art. 3, commi 4 e 6, del d.l. n. 207 del 2012, in www.gazzettaufficiale.it. 27 Art. 1, del d.l. n. 61 del 2013 cit., convertito in l. 3 agosto 2013, n. 89, in G.U. n. 181 del 3 agosto 2013. 23 24 9 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 Commissione ha segnalato le molteplici infrazioni commesse dall’Italia.28 La procedura di infrazione in questione (infrazione n. 2013_2177) è ancora aperta.29 Successivamente, sono stati adottati, altresì, il d.l. 31 agosto 2013, n. 10130 (convertito in l. 30 ottobre 2013, n. 125)31, il d.l. 10 dicembre 2013, n. 13632 (convertito in l. 6 febbraio 2014, n. 6)33, i quali hanno specificato gli interventi necessari a superare la situazione emergenziale, nonché i dd.l. 24 giugno 2014, n. 9134 (convertito in l. 11 agosto 2014, n. 116)35, 5 gennaio 2015, n. 136 (convertito in l. 4 marzo 2015, n. 20)37 che ha posto l’Ilva in regime di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, e il d.l. 4 luglio 2015 n. 9238, volto, nuovamente, a consentire il proseguimento dell’attività produttiva dell’Ilva.39 Con riferimento a quest’ultimo, il giudice a quo ha sollevato una pluralità di questioni di legittimità costituzionale. In particolare, ha ritenuto che la disposizione censurata violasse: l’art. 2 Cost., data la pericolosità, per la vita dell’uomo, degli impianti di cui si consentiva l’esercizio; l’art. 3 Cost., data la Le infrazioni contestate, in particolare, sono: 1) la mancata riduzione dei livelli di emissione generati dai processi di produzione dell’acciaio; 2) l’insufficiente monitoraggio del suole e delle acque reflue; 3) la carente gestione dei sottoprodotti e dei rifiuti; 4) l’inosservanza delle condizioni stabilite per le AIA dalla Direttiva IED citata, la quale, in particolare, prevede una procedura AIA più restrittiva di quella precedentemente prevista dalla direttiva IPPC e subordinata all’utilizzo delle migliori tecniche disponibili di prevenzione dell’inquinamento (BAT), nonché al rilascio di una dichiarazione di auto-responsabilità dell’esercente in caso di eventuali danni. 29 Infrazione n. 2013_2177: Stabilimento siderurgico ILVA di Taranto - Direttiva 2008/1/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (cd. direttiva IPPC), fino al 7 gennaio 2014; Direttiva 2010/75/UE sulle emissioni industriali (cd. direttiva IED, a partire dal gennaio 2014. 30 G.U. n. 204 del 31 agosto 2013. 31 G.U. n. 255 del 30 ottobre 2013. 32 G.U. n. 289 del 10 dicembre 2013. 33 G.U. n. 32 dell’8 febbraio 2014. 34 G.U. n. 144 del 24 giugno 2014. 35 G.U. n. 192 del 20 agosto 2014. 36 G.U. n. 3 del 5 gennaio 2015. 37 G.U. n. 53 del 5 marzo 2015. 38 G.U. n. 153 del 4 luglio 2015. 39 Successivamente vengono adottati: il d.l. 4 dicembre n. 191 (convertito in l. n. 13 del 2016) ha modificato il d.l. 1/2015, spostando il termine ultimo per l’attuazione del Piano di risanamento di cui al D.P.C.M. del 14 marzo 2014 al 30 giugno 2017, altresì prorogando, alla stessa data, il termine di trentasei mesi originariamente previsto dal primo decreto “salva Ilva” n. 207 del 2012. Si aggiunga che il d.l. 9 giugno 2016, n. 98 (convertito con l. 1 agosto 2016, n. 151) ha previsto: a modifica dell’art. 1, commi 8 e ss., del citato d.l. 191/2015, che in sede di presentazione delle offerte per la scelta del contraente privato al quale trasferire gli stabilimenti Ilva, potessero essere proposte modifiche del piano di risanamento stesso, corredate da eventuale richiesta di ulteriore proroga del termine; a modifica dell’art 5, comma 2, del citato d.l. 1/2015, che il termine del 30 giugno 2017 possa essere prorogato fino a 18 mesi, su istanza dell’aggiudicatario della procedura di cessione dell’azienda, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di approvazione delle modifiche del piano di risanamento. Infine, il d.l. 30 dicembre n. 244 /convertito dalla l. 27 febbraio n. 19) ha concesso ulteriori modifiche, ritardando ulteriormente il termine per l’attuazione del Piano di risanamento, fissandolo al 30 settembre 2017. Così, conclusasi la procedura di aggiudicazione dell’Ilva con D.M. del 5 giugno 2017, le modifiche al piano di risanamento sono state approvate dal D.P.C.M. del 29 settembre 2017. La Corte costituzionale, con sentenza n. 182 del 2017, ha ritenuto infondate le censure che la Regione Puglia ha rivolto all’art. 1, comma 1, lett. b) del d.l. n. 98 del 2016 cit., che ha previsto una procedura accelerata per la modifica del piano di risanamento ambientale. 28 10 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 disparità di trattamento tra le imprese di interesse strategico nazionale - destinatarie di un ingiustificato privilegio nell’adeguamento agli standard di sicurezza - e le altre aziende non rientranti in tale “fortunata” categoria; l’art. 32 Cost., con riferimento all’irragionevole bilanciamento tra valori, non giustificabile data la pericolosità dell’attività che si andava a consentire; l’art. 41 Cost., il quale comunque esige che l’attività economica privata non rechi in alcun modo danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana; l’art. 112 Cost., che si estende anche alla prevenzione dei reati, oltre che alla loro repressione, e che sarebbe stato violato dal perpetrarsi di una situazione penalmente rilevante. Si aggiunga, per completezza, che nel frattempo, scaduto il termine per la conversione del d.l. n. 92 del 2015 cit., si verificava una situazione singolare: l’art. 1, comma 2, della legge 6 agosto 2015, n. 132 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria) abrogava l’art. 3 cit. (censurato dinanzi alla Corte dal giudice remittente), prevedendo che restassero validi gli atti adottati sulla base della disposizione abrogata e che ne venissero fatti salvi gli effetti. Allo stesso tempo, però, l’art. 21-octies della l. 132 del 2015 riproduceva il contenuto della disposizione, abrogata dall’art. 1 della stessa legge. Non ci si soffermerà, nell’ambito di questa analisi, sulla questione relativa alla “legificazione” o meno dell’AIA rilasciata all’Ilva, né sulle censure circa la natura di legge-provvedimento40 illecito dell’art. 3 del decreto “salva Ilva”. Basti dire che la Corte ha rigettato tali censure, da una parte confermando la natura v. sul punto V. CERULLI IRELLI, Politica e amministrazione tra atti politici e atti di alta amministrazione, in Dir. pubbl., n. 1/2009, pp. 101 e ss; I.D., Costituzione, Politica, Amministrazione, Napoli, 2018, 20 e ss. V. anche G. U. RESCIGNO, Leggi-provvedimento costituzionalmente ammesse e leggi-provvedimento costituzionalmente illegittime, in Diritto pubblico, 2007, 2, p. 320. Sul punto, ex multis, v. anche V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale. L’ordinamento costituzionale italiano (Le fonti normative), Padova, 1993, p. 27; C. MORTATI, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, p. 3. La dottrina, in merito, non è pacifica nell’individuare nei soli caratteri della generalità e dell’astrattezza gli elementi che identificano una norma giuridica: in tal senso si vedano A. PIZZORUSSO, Disposizioni sulla legge in generale. Dalle fonti del diritto (artt. 1-9), in A. SCIALOJA - G. BRANCA (a cura di), Commentario al codice civile, Bologna, 1977, p. 16, secondo cui il carattere identificativo della norma è l’efficacia erga omnes; G. ZAGREBELSKY, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino, 1984, p. 17, secondo cui l’elemento identificativo è la forma dell’atto normativo “da intendersi nel senso pregnante di tipo di funzione di cui sono espressione, del tipo di procedimento e del tipo di soggetti che vi partecipano: se si vuole, del tipo di potere giuridico che li produce”; M. CAMMELLI, Premesse allo studio delle leggi-provvedimento regionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, pp. 1366 e ss.; F. MODUGNO, voce Legge in generale, in Enc. dir. vol. XXIII, Milano, 1973, pp. 872 ss.; A. PIRAINO, Ancora sulle leggi-provvedimento, in Le Regioni, n. 1-2/1987, p. 170; A. FRANCO, Leggi provvedimento, principi generali dell’ordinamento, Principio del giusto procedimento, in Giur. cost., 1989, pp. 1051 ss., R. DICKMANN, La legge in luogo di provvedimento, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, pp. 915 ss.; e molti altri. Più specificamente, per una panoramica sulla questione della censura relativa alla natura di legge-provvedimento dell’art. 3 del decreto Ilva, v. A. MARCHETTI, Il “decreto Ilva”: profili di costituzionalità di una legge provvedimento, Intervento al Convegno “Il caso Ilva: nel dilemma tra protezione dell’ambiente, tutela della salute e salvaguardia del lavoro, il diritto ci offre soluzioni?”, del 15 marzo 2013 organizzato dall’Istituto Dirpolis della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in federalismi.it, 15 del 2016, pp. 5 ss. 40 11 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 di disposizione legislativa a carattere provvedimentale di tale articolo, dall’altro ritenendola perfettamente ammissibile;41 inoltre, il giudice costituzionale ha disatteso la tesi - prospettata dal remittente - della “incorporazione” dell’atto amministrativo in quello legislativo, sostenendo, invece, che vi sia stata una “combinazione” delle due fonti mediante un rinvio di natura formale e non recettizia.42 Pertanto, la Corte, ha assicurato che, rimanendo ferma la natura dell’AIA, non si verificherebbe quel pericoloso rafforzamento del regime giuridico dell’atto amministrativo lamentato dal giudice a quo che avrebbe altrimenti comportato una sua esenzione dai normali rimedi giurisdizionali (i quali, invece, resterebbero esperibili). Con riferimento alla censura relativa al bilanciamento, la Corte ha affermato - richiamando la pronuncia del 2013, - che “è considerata lecita la continuazione dell’attività produttiva di aziende sottoposte a sequestro, a condizione che vengano osservate […] le regole che limitano, circoscrivono e indirizzano la prosecuzione dell’attività stessa” secondo un percorso di risanamento - delineato nella specie dalla nuova AIA - ispirato al bilanciamento tra tutti i beni e i diritti costituzionalmente protetti, tra cui il diritto alla salute, il diritto all’ambiente salubre e il diritto al lavoro.”43 Con riferimento all’art. 3 del d.l. 92 del 2015 cit. - continua la Corte - “il legislatore non ha (invece) rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela alla salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita.”44 Infatti, l’art. 3 del d.l. 92/2015 cit.45, ha subordinato la prosecuzione dell’attività d’impresa esclusivamente Nell’opera monografica di C. MORTATI, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, pp. 3 ss., infatti, si distingue tra “leggi che dispongono in esecuzione a precedenti leggi generali” dette anche “leggi-provvedimento esecutive” e “leggi che innovano a queste per la disciplina di singoli rapporti” dette anche “leggi-provvedimento innovative”, senza peraltro negare la legittimità di alcuna delle due categorie appena delineate; differentemente si esprimeva V. CRISAFULLI, voce Fonti del diritto, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1968, p. 950 e ID., Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1993, pp. 71 e ss., il quale, come oggi conferma parte della dottrina, esprimeva dubbi di legittimità costituzionale con riferimento alle leggi-provvedimento cd. esecutive, per violazione del principio di separazione dei poteri e della riserva di amministrazione. Ancora diversamente, G. U. RESCIGNO, Leggi-provvedimento costituzionalmente ammesse e leggi-provvedimento costituzionalmente illegittime, cit., pp. 326-328, il quale, all’interno della dicotomia individuata dal Mortati, ha ulteriormente distinto, all’interno della species delle leggi-provvedimento innovative, tra quelle determinanti situazioni di vantaggio in favore del soggetto cui la legge è destinata a produrre effetti, e quelle che, invece, determinano situazioni di svantaggio, ritenendo queste ultime incostituzionali, come le leggi-provvedimento esecutive. 42 Corte cost., sentenza 9 maggio 2013, n. 85, cit., Considerato in diritto n. 12.2 e n. 10.3. Sul punto si veda S. STAIANO, Politica e giurisdizione. Piccola cronaca di fatti notevoli, in federalismi.it, fasc. n. 11, 2013, pp. 7-10, il quale afferma che “la specifica Aia concernente l’Ilva di Taranto” può essere concepita “come comando giuridico reso all’interno all’atto con forza di legge”. 43 Corte cost., sentenza n. 58 del 7 febbraio 2018, §3.1, in www.cortecostituzionale.it. 44 Corte cost., sent. 58/2018 cit., § 3.2. 45 L’art. 3 del d.l. n. 92 del 2015, rubricato “Misure urgenti per l’esercizio dell’attività di impresa di stabilimenti oggetto di sequestro giudiziario” e decaduto per mancata conversione, che prevedeva: (1) Al fine di garantire il 41 12 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 alla predisposizione unilaterale di un piano da parte dell’impresa, senza prevedere alcuna partecipazione delle autorità pubbliche (che avrebbero dovuto essere informate solo successivamente, con una mera comunicazione-notizia), concedendo, per la predisposizione del piano, un termine (anche provvisorio) di trenta giorni, senza peraltro richiedere di porre in essere immediate misure volte alla rimozione della situazione di pericolo per l’ambiente e per la salute dei lavoratori e dei cittadini.46 Considerate queste caratteristiche della norma censurata, la Corte ha dunque chiarito che “a differenza di quanto avvenuto nel 2012, il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (artt. 4 e 35 Cost.)”.47 necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva, di salvaguardia dell’occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro, come già previsto dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori; (2) Tenuto conto della rilevanza degli interessi in comparazione, nell’ipotesi di cui al comma 1, l’attività d’impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro; (3) Per la prosecuzione dell’attività degli stabilimenti di cui al comma 1, senza soluzione di continuità, l’impresa deve predisporre, nel termine perentorio di 30 giorni dall’adozione del provvedimento di sequestro, un piano recante misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferite all'impianto oggetto del provvedimento di sequestro. L’avvenuta predisposizione del piano è comunicata all’autorità giudiziaria procedente; (4) Il piano è trasmesso al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, agli uffici della ASL e dell'INAIL competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e controllo, che devono garantire un costante monitoraggio delle aree di produzione oggetto di sequestro, anche mediante lo svolgimento di ispezioni dirette a verificare l'attuazione delle misure ed attività aggiuntive previste nel piano. Le amministrazioni provvedono alle attività previste dal presente comma nell’ambito delle competenze istituzionalmente attribuite, con le risorse previste a legislazione vigente. (5) Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai provvedimenti di sequestro già adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto e i termini di cui ai commi 2 e 3 decorrono dalla medesima data. Pubblicato in G.U. Serie Generale n. 153 del 04/07/2015 e consultabile in www.gazzettaufficiale.it. 46 Per un approfondimento sul punto v. G. CATALISANO, Il caso Ilva: Commento alla sentenza n. 58/2018 della Corte costituzionale, in www.AmbienteDiritto.it, 2018, p. 11. 47 Corte cost., sentenza n. 58/2018 cit., § 3.3. 13 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 Nonostante tale pronuncia abbia sancito l’illegittimità della norma censurata, non ha impedito all’attività produttiva dell’Ilva di proseguire48, in tal modo lasciando che le condizioni ambientale e sanitaria, già critiche e pericolose, risultino tuttora permanenti.49 3. La recente pronuncia della CEDU del 24 gennaio 2019: l’affaire Cordella e altri c. Italia I cittadini di Taranto e dei comuni vicini, dopo il “deludente” intervento della Corte costituzionale nel 2013, dopo le ulteriori misure adottate, successivamente, dal Governo - per un totale di ben dieci decreti cdd. “ad Ilvam” (!) - di fronte alle condizioni ambientali sempre più critiche, hanno adito la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) con i ricorsi n. 54414/13 e n. 54264/15, ai sensi dell’art. 34 della Convenzione, chiedendo la condanna dello Stato italiano per le conseguenze prodotte dalle emissioni inquinanti dell’Ilva, sull’ambiente e sulla salute della popolazione locale. A sostegno dei ricorsi, hanno allegato una serie di rapporti scientifici, quali: i rapporti dell’OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità - del 1997 e del 2002, che dimostrano che nell’area di Taranto il tasso di mortalità maschile per tumore sia superiore del 10,6% rispetto alla media regionale, così come è più elevato il tasso di mortalità femminile; il rapporto dell’ARPA - Agenzia Regionale per la Prevenzione e la protezione Ambientale del 2002; lo Studio epidemiologico del 2009; i rapporti Sentieri del 2012 e del 2014. Intanto, nel 2011 (come si è anticipato) la Corte di Giustizia dell’UE aveva concluso che l’Italia avesse mancato di adempiere alle obbligazioni derivanti dalla direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (poi modificata con direttiva 2010/75/UE), relativa alla prevenzione e alla riduzione integrata dell’inquinamento, sottolineando, in particolare, che il Governo aveva omesso di adottare le misure necessarie a far sì che le installazioni industriali inquinanti venissero sfruttate in conformità a un sistema di autorizzazioni pianificato sulla base della normativa europea.50 Era stata, quindi, aperta una procedura d’infrazione (ancora in corso) contro l’Italia, confluita con l’avviso motivato del 16 ottobre 2014, con il quale la Commissione europea domandava alle autorità italiane di rimediare ai gravi problemi Già nei giorni successivi alla pubblicazione della sentenza della Corte n. 58/2018 cit., i rappresentanti dell’Ilva specificavano che la pronuncia non avrebbe avuto alcun impatto sulla continuità dell’attività produttiva, in quanto la restituzione dell’altoforno 2 era già stata ottenuta nel settembre 2015 non in base al decreto dichiarato illegittimo dalla Corte, ma in forza di un provvedimento della procura che, accogliendo un’istanza presentata dall’impresa, restituiva l’impianto, a condizione che venissero adempiute determinate prescrizioni in materia di sicurezza; pertanto, come poi specificava il commissario straordinario dell’Ilva Enrico Laghi, le norme del decreto avrebbero rappresentato una soluzione alternativa non più perseguibile, ma non l’unica soluzione. 49 Come, peraltro, dimostrano diversi studi - compresi quelli, di cui a breve si dirà, su cui si è basata la Corte europea dei Diritti Umani per determinare la responsabilità dell’Italia - tra cui uno studio epidemiologico del Gruppo di lavoro per la conduzione di studi di epidemiologia analitica Area Taranto e Brindisi del 2016, sugli effetti delle esposizioni ambientali ed occupazionali sulla morbosità e mortalità dei cittadini tarantini, il quale è consultabile su www.sanita.puglia.it. 50 Corte di Giustizia europea, Affaire C-50/10 del 31 marzo 2011, consultabile in curia.europa.eu. 48 14 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 d’inquinamento constatati negli stabilimenti della società Ilva. La Commissione, in particolare, rilevava che il livello elevato di emissioni inquinanti derivante dal processo produttivo dell’acciaio, non si era abbassato, incrementando, così, le conseguenze, già gravi, sull’ambiente e sulla situazione di salute della popolazione locale. La pronuncia della Corte EDU sul caso Ilva è giunta molto di recente: la Prima sezione, con sentenza Cordella e altri c. Italia del 24 gennaio 2019, ha accolto i ricorsi e ritenuto sussistente, ai sensi dell’art. 35 della Convenzione, un grave pregiudizio.51 Così, la CEDU ha dichiarato l’Italia responsabile per la mancata tutela del diritto alla vita privata e familiare (art. 8 CEDU)52, ritenendo che “un grave inquinamento ambientale può influenzare il benessere e impedire (ai cittadini) di godere delle proprie case, in tal modo incidendo sulla loro vita privata (López Ostra c. Spagna n. 16798/1990 del 9 dicembre 1994 e Guerra e altri c. Italia n. 14967/1989 del 19 febbraio 1998)”, e ricordando che “un ricorso difendibile ai sensi dell’art. 8, può sorgere se il livello di severità del rischio ecologico diminuisce significativamente la capacità del ricorrente di godersi la propria vita familiare”, livello minimo che è valutato tenendo conto “dell’intensità e della durata dei disturbi, nonché delle loro conseguenze fisiche o psicologiche sulla salute o sulla qualità di vita dell’individuo (Fadeyeva c. Russia n. 55723/2000 del 9 giugno 2005 e Dubetska e altri c. Ucraina, n. 30499/03 del 21 luglio 2011)”.53 Nello specifico, la Corte ha dichiarato che dall’art. 8 non solo deriva l’obbligo negativo, dello Stato, di astenersi da “interferenze arbitrarie”, ma, altresì, gli obblighi positivi diretti a rendere “effettivo” il rispetto del diritto alla vita privata, mediante l’adozione di misure ragionevoli e adeguate per la protezione dei diritti dell’individuo. La Corte EDU, pertanto, non nega che lo Stato abbia, in merito, un certo margine di apprezzamento - dovendo tener conto del “giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo complesso”54 - ma ritiene che, in ogni caso, “spetta allo Stato giustificare, con elementi precisi e circostanziali, le situazioni in cui determinate persone devono sostenere pesanti oneri in nome degli interessi della società”.55 Sul punto v. Francesco Cordella et autres c. Italie e Lina Ambrogi Melle et autres c. Italie, CEDU, (ricorsi nn. 54414/13 e 54264/15), §135, su cui si è pronuncia la Corte Edu con sentenza del 24 gennaio 2019, consultabile in www.echr.coe.int. Si ricorda che in precedenza la Corte di Giustizia UE aveva condannato l’Italia con sentenza del 31 marzo 2011 per infrazione degli obblighi derivanti dalla direttiva 2008/1/CE sulla prevenzione e riduzione dell’inquinamento - v. Commissione europea c. Repubblica italiana, CGE, 31 marzo 2011, causa C-50/10. v. anche il parere motivato della Commissione europea del 16 ottobre 2014, a seguito della procedura di infrazione n. 2177/2013, con il quale l’Italia veniva sollecitata a risolvere i problemi di inquinamento del sito dell’Ilva, nel rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali. 52 Sentenza CEDU, Cordella et autres, cit., §135. 53 CEDU, Cordella et autres, cit., §157. 54 Corte EDU, Cordella et autres cit., §159. 55 idem, §161. 51 15 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 La Corte ha ritenuto di dover distinguere il caso in esame dalla causa Smaltini c. Italia56, in cui la ricorrente, poi deceduta a causa di leucemia, aveva lamentato che le autorità nazionali non avessero riconosciuto, nel termine del procedimento penale da essa promosso, l’esistenza di un nesso causale tra le emissioni dello stabilimento Ilva di Taranto e la propria patologia. Nell’affaire Smaltini, infatti, la Corte - dichiarando il ricorso inammissibile - aveva sottolineato che, alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili al momento dei fatti e senza pregiudizio dei risultati di futuri studi scientifici, le decisioni internamente adottate dallo Stato italiano, fossero state debitamente motivate. Differentemente, invece, avviene nel caso Cordella, dove le affermazioni dei ricorrenti - che lamentano l’assenza di misure statali per proteggere la loro salute e l’ambiente - sono sostenute da più rapporti scientifici (tra cui il rapporto Sentieri del 2012 e quello ARPA del 2017) che confermano l’esistenza di un nesso causale tra l’esposizione ambientale ad agenti cancerogeni respirabili prodotti dalla società Ilva e lo sviluppo di patologie oncologiche, cardiovascolari, respiratorie e digestive nelle aree colpite, nonché l’aumento del tasso di mortalità nella popolazione locale rispetto alla media regionale. Complice di ciò è stata la lentezza delle procedure di risanamento (si pensi al fatto che, per esempio, le misure raccomandate nel 2012 con l’AIA, non sono state realizzate), mentre ben più solerte è stato il Governo nell’adottare misure urgenti, volte a garantire la prosecuzione delle attività produttive, nonostante la constatazione, da parte delle competenti autorità giudiziarie, dell’esistenza di seri rischi. La Corte EDU non ha mancato, così, di rilevare criticamente anche l’immunità amministrativa e penale concessa ai responsabili.57 4. Il bilanciamento tra interessi costituzionali e il processo di indebolimento della legalità dei principi Dall’analisi delle due sentenze della Corte costituzionale sul caso Ilva, emerge un orientamento oscillante nell’avallare o meno il bilanciamento operato dal legislatore, il quale è decisamente volto a dare prevalenza all’interesse dell’attività produttiva, come risulta evidente dal quadro complessivo della normativa “salvaIlva” citata. Questa, infatti, è contrassegnata dal susseguirsi di continue proroghe e dalla compressione strutturale degli interessi alla salute e all’ambiente, come ha da ultimo rilevato la CEDU nella pronuncia del 24 gennaio 2019. Tra le questioni che vengono in rilievo, vi è quella relativa al rapporto sussistente tra gli eterogenei e tra loro confliggenti valori costituzionali. La prima pronuncia (la n. 85 del 2013), infatti, sembra aver riaperto il dibattito circa l’esistenza o meno di una gerarchia tra valori che offra un criterio certo ai fini della 56 57 Corte EDU, Smaltini c. Italia n. 43961/09 del 16 aprile 2015. Idem, § 169, nonché §58 e §68. 16 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 determinazione dell’interesse prevalente e dell’individuazione di un punto di equilibrio; dibattito che, però, sembrava essere stato superato.58 Se, infatti, fino agli anni Settanta alcuni autori ancora ritenevano potesse essere individuato un ordine gerarchico tra diritti costituzionalmente protetti, ponendo al vertice la categoria dei diritti inviolabili59, oggi la dottrina prevalente conferma la tesi sostenuta dalla Corte costituzionale nella sentenza Ilva del 2013, ritenendo che non vi siano diritti assoluti nel pluralismo dei valori costituzionali60. Così, negando l’esistenza di una gerarchia “astratta e statica” dei valori costituzionalmente garantiti, in forza, invece, di una tutela “sistematica e dinamica” che tenga conto di tutti gli interessi antagonisti: il punto di equilibrio tra di essi non risulta essere prefissato in anticipo, ma è rimesso al bilanciamento del legislatore e, in sede di controllo, del giudice, secondo i criteri di proporzionalità e ragionevolezza. A proposito, si è parlato in dottrina anche di una cd. “gerarchia mobile”, che tenga conto del “modificarsi dell’opinione pubblica, del costume sociale”61 e, in generale, si fa riferimento a un “ordine variabile” tra valori fondamentali in ragione del caso concreto.62 Alcuni autori a commento della sentenza Ilva hanno infatti ritenuto che l’affermazione sulla non esistenza di una gerarchia tra interessi costituisca una novità - v. P. CARROZZA, Conclusioni (molto provvisorie), intervento al Convegno “Il caso Ilva: nel dilemma tra protezione dell’ambiente, tutela della salute e salvaguardia del lavoro, il diritto ci offre soluzioni?” del 5 marzo 2013 organizzato dall’Istituto Dirpolis della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in federalismi.it, n. 5/2013, 2 ss., secondo cui quella della sentenza Ilva n. 85 del 2013 costituirebbe una “nuova tecnica di bilanciamento, altrettanto procedimentalizzato secondo logiche di proporzionalità e ragionevolezza, che impedisce la costruzione di gerarchie stabili tra valori e tra diritti. Nuova dimensione alla quale la Corte sembra decisamente prestarsi, a costo di rinnegare alcuni suoi celebri e celebrati precedenti”. Secondo l’autore, infatti, si passerebbe da una ‘tecnica verticale’ di protezione dei diritti fondamentali, a una ‘tecnica orizzontale’. E. VIVALDI, op. cit., 1 ss.; E. FREDIANI, op. cit., 1 ss. - mentre altri, accordandosi alla dottrina prevalente, riconoscono che in tale circostanza la Corte abbia soltanto confermato un’impostazione già pacifica - v. R. BIN, Giurisdizione o amministrazione, chi deve prevenire i reati ambientali? Nota alla sentenza “Ilva”, in Giur. Cost., 2013, 3, 1505, secondo cui la Corte “ha ancora una volta ripetuto che nessun principio o diritto riconosciuto dalla Costituzione, anche se essa lo definisce (com’è il caso del diritto alla salute) come “fondamentale”, deve essere considerato assoluto e di per sé prevalente, perché tutti i “diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca” e sono perciò soggetti al bilanciamento”. 59 A. BALDASSARRE, Costituzione e teoria dei valori, in Politica del diritto, 1991, p. 639; A. BARBERA, Pari dignità sociale e valore della persona umana nello studio del diritto di libertà personale, in Iustitia, 1972, 1962, pp. 117 e ss.; ID, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1975, pp. 50 e ss. 60 Così, per es., R. BIN, Diritti e argomenti, Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992, pp. 1 ss.; F. RIMOLI, Pluralismo e valori costituzionali. I paradossi dell’integrazione democratica, Torino, 1999, che, a proposito del pluralismo e della democrazia relativista, fa riferimento al cd. “integralismo laico”. Così anche G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992, pp. 16 e ss. 61 Così R. ROMBOLI, Il significato essenziale per le decisioni della Corte costituzionale in tema di diritti e libertà pronunciate a seguito di bilanciamento tra valori costituzionali contrapposti, in V. ANGIOLINI, Libertà e giurisprudenza costituzionale, Torino, 1992, p. 215. Nello stesso senso A. PIZZORUSSO, Ragionevolezza e razionalità nella creazione e nell’applicazione della legge, in M. LA TORRE, A. SPADARO (a cura di), La ragionevolezza nel diritto, Torino, 2002, 55; così C. PINELLI, L’indivisibilità dei diritti fondamentali, in L’essenza della democrazia. I diritti umani e il ruolo dell’avvocatura, a cura del Consiglio Nazionale Forense, Roma, 2010, pp. 153 ss. 62 A. MORRONE, Bilanciamento (Giustizia costituzionale), Enciclopedia del diritto, Annali, Milano, 2008, vol. II, pp. 185 e ss. 58 17 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 La posizione della Corte, in merito, è meno granitica, anche se, tendenzialmente - soprattutto dagli anni Novanta - sembra confermare l’assenza di una gerarchia statica di valori nel paradigma costituzionale. Così, per esempio, nelle due sentenze n. 264/201263 e n. 63/201664 (entrambe richiamate nella più recente sentenza sul caso Ilva, n. 58/2018), è sancito che “il bilanciamento deve, perciò, rispondere a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuni di loro, in modo che sia sempre garantita una tutela unitaria, sistemica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati”65. Quella dell’assenza di una gerarchizzazione astratta tra valori ricavabile dalla Carta costituzionale, non è un’affermazione nuova, in quanto è richiamata in pronunce datate, come, per esempio, nella sentenza 27/1998, dove la Corte ha stabilito che “non è dato sovrapporre le proprie valutazioni di merito a quelle che spettano e sono riservate al legislatore nelle determinazioni volte a predisporre i mezzi necessari a far fronte alle obbligazioni dello Stato nella materia dei cosiddetti diritti sociali. Solo il legislatore è, infatti, costituzionalmente abilitato a compiere gli apprezzamenti necessari a comporre nell’equilibrio del bilancio le scelte di compatibilità e di ‘relativa priorità’ nelle quali si sostanziano le politiche sociali dello Stato”.66 In altre pronunce, però, la Corte si è espressa in senso opposto: con sentenza 467/1991 la Corte - con riferimento al bilanciamento tra il diritto inviolabile alla libertà a professare la propria fede religiosa e il dovere di difendere la Patria mediante il servizio militare di leva - affermava che “occorre raffrontare il particolare bilanciamento operato dal legislatore nell’ipotesi denunziata con la ‘gerarchia’ dei valori coinvolti nella scelta legislativa quale risulta stabilita nelle norme costituzionali”67; con sentenza 127/1990, la Corte ha ritenuto che “il limite massimo di emissione inquinante, non potrà mai superare quello ultimo assoluto e indefettibile rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana e dell’ambiente in cui l’uomo vive: tutela affidata al principio fondamentale di cui all’art. 32 della Costituzione, cui lo stesso art. 41, comma 2, si richiama”68; nella sentenza 19/1994, la Corte faceva riferimento alla “gerarchia dei valori comportata dalle norme, di rango costituzionale e ordinario, che regolano la materia in considerazione”69; con sentenza 68/2012 la Corte, con riferimento alla libertà personale di un soggetto sequestrato e all’interesse economico che rappresenta il patrimonio in caso di sequestro estorsivo, ha dichiarato che “non può esservi comunque alcun dubbio in ordine alla preminenza del primo dei beni Corte cost., sentenza n. 264 del 28 novembre 2012, in Giur. cost., 2012. Corte cost., sentenza n. 63 del 24 marzo 2016, in Giur. cost., 2016. 65 Corte costituzionale sentenza n. 58 del 7 febbraio 2018, § 3.1, in www.cortecostituzionale.it. 66 Corte cost., sentenza n. 27 dei 23-26 febbraio 1998, § 4.2, in www.cortecostituzionale.it. 67 Corte cost., sentenza n. 467 dei 16-19 dicembre 1991, § 2, in www.giurcost.org. 68 Corte cost., sentenza n. 127 del 7 marzo 1990, § 2, in www.giurcost.org. 69 Corte cost., sentenza n. 19 del 24 gennaio 1994, § 4, in www.giurcost.org. 63 64 18 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 sopra indicati rispetto al secondo, nella ‘gerarchia’ costituzionale dei valori”70; e ancora, con sentenza n. 275/2016, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità della legge regionale dell’Abruzzo nella parte in cui prevedeva che “solo nei limiti delle disponibilità finanziarie” si potesse soddisfare il diritto allo studio degli studenti disabili, pronunciandosi così a favore di una scala di priorità tra i principi costituzionalmente garantiti, nella misura in cui il diritto all’istruzione del diversamente abile, sancito dall’art. 38 Cost., viene ritenuto incomprimibile, in quanto “impone alla discrezionalità del legislatore un limite invalicabile”71. La posizione della Corte costituzionale italiana - non affermando l’esistenza di un ordine gerarchico aprioristicamente fissato tra valori costituzionalmente garantiti - non è assimilabile all’orientamento, per esempio, della Corte costituzionale tedesca - la quale ammette che si parli di “ordine oggettivo dei valori”72 con la prevalenza assoluta del diritto alla dignità umana che non può essere bilanciato con altri diritti (ma anche qui la questione è discussa) - o alla dottrina americana della “preferred position”.73 Come si è visto, però, in alcune pronunce il giudice costituzionale, quando fa riferimento agli interessi alla salute e all’ambiente (come ad altri valori cd. primari), non dimentica di sottolinearne la “prevalenza” e la irriducibilità a fronte di altri interessi74. Ciò, non solo si ricava dall’art. 32 Cost., ma anche dall’art. 41 stesso, laddove prevede che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in contrasto con la libertà, la dignità umana e la sicurezza, in quanto è tenuta al rispetto della clausola dell’utilità sociale75. Da ciò, a Corte cost., sentenza n. 68 del 19 marzo 2012, §5, in www.giurcost.org. Corte cost., sentenza n. 275 del 16 dicembre 2016, § 10, in www.cortecostituzionale.it. 72 In Germania, infatti, vale il cd. Bundesverfassungsgericht sulla base del quale il Tribunale costituzionale federale tedesco, al fine di verificare l’esito dei conflitti di interessi, applica la dottrina dell’ordinamento di valori oggettivi (cd objective Wertordnung), sulla base di tecniche di giudizio “scientifiche” che sono state dallo stesso sviluppate. (Per es. il sindacato di Verhältnismäßigkeit). Tuttavia, anche sul sistema tedesco, la dottrina ha orientamenti opposti, in quanto alcuni ritengono che l’impostazione appena esposta sia in realtà del tutto formale, in quanto in sostanza il giudice costituzionale si troverebbe ad avere un ampio potere creativo, al punto che si parla di trasformazione dello Stato di diritto in uno Stato di bilanciamento (Abwägungsstaat). Sul punto v. R. ALEXY, Theorie der Grundrechte, Frankfurt am Main, 1986; F. AMIRANTE, La costituzione come “sistema di valori” e la trasformazione dei diritti fondamentali nella giurisprudenza della corte costituzionale tedesca, in Pol. dir., 1981, 9 ss; W. LEISNER, Der Abwägungsstaat. Verhältnismäßigkeit als Gerechtigkeit?, Berlino, 1997; A. CERVATI, In tema di interpretazione della Costituzione, nuove tecniche argomentativi e “bilanciamento” tra valori costituzionali, in Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Riferimenti comparatitici (Atti del Seminario di Roma, 13-14 ottobre 1992), Milano, 1992, 55 ss.; D. SCHEFOLD, Aspetti di ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale tedesca, ivi, 121 ss; A. MORRONE, op. cit., 3 ss. 73 R. BIN, Diritti e argomenti, cit., 33. 74 Dall’analisi della giurisprudenza costituzionale, si nota, infatti, come, specialmente nel bilanciamento tra diritto alla salute e interessi economici, la Corte abbia più volte ribadito che il limite massimo di emissione inquinante sia quello “assoluto e indefettibile della tollerabilità per la tutela della salute umana e dell’ambiente in cui l’uomo vive”: v. tra tutti Corte costituzionale sentenza n. 127 del 7 marzo 1990, § 2, cit.; n. 250 del 24 luglio 2009, § 6.2. in www.cortecostituzionale.it. 75 v. Corte cost.: Corte costituzionale sentenza n. 127 del 7 marzo 1990, § 2, cit.; n. 250 del 24 luglio 2009, § 6.2. in www.cortecostituzionale.it. Così E. VIVALDI, cit., 25; F. SANTONASTASO, cit., p. 431. Sulla clausola dell’utilità sociale, tuttavia, si v. G. AZZARITI, Il costituzionalismo moderno può sopravvivere?, Roma, 2013, p. 42, il quale rileva la “sostanziale irrilevanza del vincolo costituzionale dell’utilità sociale per le imprese multinazionali, ma forse ormai 70 71 19 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 rigor di logica, dovrebbe derivare l’esplicito assunto per cui alcuni valori - tra cui quello alla vita, alla salute e all’ambiente - debbano essere oggetto della massima tutela e non possano essere ritenuti subordinati rispetto ad altri valori.76 Pertanto, il bilanciamento non dovrebbe poter essere considerato “libero”77, ma occorrerebbe, invece, che fosse condotto tenendo conto di categorie giuridiche quali quella dei “principi supremi” e del “contenuto essenziale dei diritti fondamentali”78. Di questi assunti, però, non risultano chiari né la definizione né gli effetti concreti79: in alcuni casi, infatti, sembrerebbero essere considerati alla stregua di diritti assoluti e per questo non subordinabili ad altri; altre volte rilevano come valori relativi, e quindi in ogni caso comparabili con altri valori; ciò che a tratti sembrerebbe emergere è che tali diritti, essendo espressione della “persona umana”80, siano destinati comunque a prevalere sui diritti che non abbiano tale qualità specifica. Nella prassi risulta, però, che i cd. “valori primari” siano spesso fortemente relativizzati, nei bilanciamenti ad hoc, in virtù di altri diritti costituzionalmente garantiti, in ragione delle esigenze specifiche del contesto reale in cui operano, al punto che ci si domanda se la qualifica che gli viene attribuita abbia una valenza solo formale o qualche conseguenza sostanziale, oltre a quella di una generica prevalenza sui diritti non costituzionalmente garantiti, e quindi di rango inferiore, caratteristica che non sembrerebbe distinguere i “valori primari” dagli altri valori costituzionali. Dalla situazione prospettata, deriva l’impossibilità per l’interprete di ricavare dal dettato costituzionale una gradazione capace di determinare la prevalenza di alcuni principi sugli altri. La sempre maggiore complessità sociale81 in cui versa l’ordinamento, la globalizzazione dei rapporti giuridici82, portano, infatti, alla continua emersione dei cdd. “nuovi diritti” e, così, di una conflittualità più accentuata che non anche per quelle nazionali” in un sistema dove a essere sovrana non sembra più la Costituzione, bensì la c.d. lex mercatoria. 76 Non a caso i valori culturali, paesaggistici e ambientali hanno ricevuto, dal legislatore amministrativo, uno speciale regime di tutela ‘rafforzata’, nella l. 241/1990 e, in particolare, negli artt. 14-quater, comma 3, art. 16, comma 3, art. 17, comma 2, art. 19, comma 1, art. 20, comma 4. v. sul punto L. DE LUCIA, La conferenza di servizi nel decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127, in Rivista giuridica di urbanistica, 2016, 12-40. 77 A. MORRONE, voce Bilanciamento, cit., pp. 1 ss. 78 Corte cost., 29 dicembre 1988, n. 1146, in Giur. cost., pp. 1988, 5565. 79 A. MORRONE, voce Bilanciamento, ult. cit., 14. 80 Per quanto riguarda, in particolare, il diritto alla salute v. Corte cost. 19 gennaio 1987, n. 1, in Giur. cost., 1986, 1430; con riferimento alla tutela dell’ambiente e del paesaggio Corte cost. 27 giugno 1986, n. 151, in Giur. cost. 1986. 81 N. LUHMANN, Potere e complessità sociale, Milano, 1979. Sul punto v. anche A. FALZEA, Complessità giuridica, cit., p. 1 ss. 82 A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, Roma-Bari, 2002; U. BECK, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma, 2000, pp. 1 ss.; ID. Cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Roma, 1999, p. 21 ss; v. anche M. LUCIANI, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, in Rivista di diritto costituzionale, 1996, p. 171. 20 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 facilmente trova soluzione nel dettato costituzionale. Si verifica, così, il passaggio da un costituzionalismo prescrittivo a un costituzionalismo descrittivo. Neanche il legislatore, tuttavia, sembra in grado di individuare aprioristicamente la prevalenza assoluta di un interesse su un altro, e, pertanto, tende a demandare il compito di operare il bilanciamento tra interessi alla Pubblica Amministrazione. Il legislatore, infatti, si limita a determinare standard e indicatori per la gestione dei conflitti tra interessi; tuttavia, soprattutto in materia ambientale, le decisioni necessitano di un apprezzamento altamente tecnico che richiede l’intervento di esperti, la cui libertà decisionale risulta più elevata rispetto alla discrezionalità degli altri soggetti che compartecipano al processo decisionale. Si tratta, infatti, di decisioni a elevato grado di tecnocraticità, cui possono fare fronte le amministrazioni che si trovano a valutare il caso concreto e, così, a effettuare la vera e propria ponderazione tra interessi eterogenei in conflitto.83 È alla P.A. che, pertanto, pertiene l’onere di individuare la regola di diritto volta a definire il caso concreto: per l’appunto, la “regola del conflitto”.84 E ciò, con evidenti conseguenze sul fronte della certezza del diritto. Il processo di amministrativizzazione della funzione normativa, rappresenta la conseguenza della cd. “inflazione normativa”85, dovuta alla crisi del sistema politico-elettorale: la legge, da strumento di selezione degli interessi per mezzo di una “regola di prevalenza”, diviene strumento di coesistenza di tali valori per mezzo di una “regola di compatibilità”.86 Così, per esempio, C. HAM - M. HILL, The Policy Process in the Modern Capitalist State, Hempstead, 1993, p. 178; H. WADE, Administrative Law, Oxford,1967, pp. 1 ss.; J. JOWELL, The legal control of administrative discretion, in Public Law, 1973, pp. 1 e ss. 84 R. MENEGHELLI, Breve spunto di riflessione critica su un aspetto particolare dell’attuale crisi della legge, in Dir. Soc., 1990, p. 220, secondo cui “Se il legislatore non fa più queste scelte e si limita ad indicare gli interessi sui quali, nel momento che avrebbe dovuto essere dell’applicazione, la scelta dovrà essere fatta, allora il diritto sembra essere dato, più che dalle scelte teoricamente possibili del legislatore, da quelle concretamente fatte dalla pubblica amministrazione”. Si vedano anche: M. MAZZAMUTO, La legalità debole dei principi, in Dir. Soc., 1993, pp. 473 ss.; M. NIGRO, Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge), in F. TRIMARCHI (a cura di), Il procedimento amministrativo fra riforme legislative e trasformazioni dell’amministrazione, Atti del convegno, Messina-Taormina, 25-26 febbraio, Milano, 1990, p. 3; S. CASSESE, Introduzione allo studio della normazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1992, p. 319; G. D. COMPORTI, op. cit., p. 102. 85 Sull’inflazione normativa, in particolare, si veda: Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per la funzione pubblica, Rapporto sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni, Roma, 1993, pp. 23-25, richiamata da G. D. COMPORTI, Il coordinamento infrastrutturale, Milano, 1996, p. 100, il quale riferisce che “è stato sottolineato come alla inflazione normativa che caratterizza lo Stato sociale, concorrano in misura determinante le pubbliche amministrazioni (per varie ragioni: ricerca di un riparo dalla responsabilità e dalla resistenza di altre amministrazioni, ideale superamento, tramite leggi generali, del policentrismo amministrativo), con l’effetto principale che “le amministrazioni divengono più rigide, meno adattabili, sclerotiche, ma, nello stesso tempo, più arbitrarie, perché possono scegliere la norma da adottare in ogni singolo caso. La discrezionalità si trasferisce nel campo che è suo proprio, quello amministrativa, a quello della scelta del parametro normativo, e diventa arbitro”. 86 Così S. RODOTÀ, Repertorio di fine secolo, Bari, 1992, pp. 158-162. 83 21 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 Si pensi, per esempio, al principio dello sviluppo sostenibile87 che, coerentemente con quanto già previsto dall’ordinamento europeo, non viene esclusivamente declinato nel senso ambientale della sostenibilità, ma è invece considerato anche nella sua declinazione sociale, sulla base dei tre pilastri che, ugualmente, lo compongono, quali: environment - che richiede un’adeguata protezione dell’ambiente al fine di garantirne la salubrità; economy - che richiede la salvaguardia, altresì, della produzione; equity - a tutela dei livelli occupazionali.88 Tale principio dovrebbe valere come criterio alla stregua del quale operare il bilanciamento tra interessi, tuttavia, la sua portata applicativa lascia spazio a un elevato grado di discrezionalità, posto che propone di individuare un equilibrio tra interessi sociali e interessi economici con il minor sacrificio possibile per ciascuno di essi, in tal modo non offrendo alcuna informazione aggiuntiva circa la prevalenza o meno di un interesse su un altro. Si pensi, inoltre, all’art. 3-quater del Codice dell’Ambiente il quale, pur prevedendo la prioritaria considerazione degli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, non fa riferimento a una prevalenza assoluta di tali valori, limitandosi a indicare la necessità di una “tutela rafforzata” che si riduce, però, nel garantire che tali interessi vengano sempre considerati nei processi decisionali.89 La perdita di prescrittività90 della Costituzione e, in generale, il processo di indebolimento della legalità dei principi91, non possono che comportare una relativizzazione dei diritti fondamentali, e da qui non E anche sulla base di quanto previsto dall’art. 11 TFUE, secondo cui “Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile.” Sullo sviluppo sostenibile come vero e proprio criterio procedurale, v. S. GRASSI, Ambiti della responsabilità e della solidarietà intergenerazionale: tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile, in R. BIFULCO - A. D’ALOIA (a cura di), Un diritto per il futuro, Napoli, pp. 177 e ss. 88 Enviroment, economy ed equity, pilastri del principio di sviluppo sostenibile, così come sono individuati da G. C. BRYNER, Policy devolution and enviromental law: esploring the transition to sustainable development, in Environs envtl. law policy journal, 2002, pp. 16 ss. A proposito v. anche F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Napoli, 2010, pp. 1 e ss.; v. E. FREDIANI, op. cit., pp. 10 ss. In particolare, per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo economico che sia compatibile con l’equità sociale, la tutela ambientale e i diritti, in particolare, delle future generazioni. La prima definizione di sviluppo sostenibile risale al 1987, anno del rapporto Our Common Future o anche detto “Rapporto Brundtland”. Nella seconda metà del XX secolo, infatti, il modello di sviluppo tradizionale era entrato in crisi, e ciò soprattutto grazie alla presa di coscienza di fenomeni come l’effetto serra, il buco dell’ozono, lo smog, lo shock petrolifero degli anni ’70, ecc. Con la presa di coscienza del fatto che le risorse non siano infinite e che sia necessario porre dei limiti allo sviluppo, alla concezione tradizione di sviluppo, nel XX secolo si è affiancato il cd. sustainable development, con l’illusione di far fronte alle scarsità naturali e alle problematicità ambientali, il quale, secondo la regola delle “tre E”, prevede la ricerca di un equilibrio che si collochi proprio al centro tra economia, equità e ambiente. 89 S. GRASSI, M. CECCHETTI, Profili costituzionali della regolazione ambientale nel diritto comunitario e nazionale, in AA. VV., Manuale delle leggi ambientali, Milano, 202, pp. 37 e ss. 90 Sul diritto costituzionale debole, ossia a prescrittività ridotta, v. C. PINELLI, Il diritto per princìpi e la comunità degli interpreti, in Sociologia: Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali, anno XLIV, n. 3/2010, p. 137; ID., Il dibattito sull’interpretazione costituzionale fra teoria e giurisprudenza, in Scritti in memoria di Livio Paladin, III, Napoli, 2004, pp. 1666 ss. 91 Di legalità debole dei principi parla G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992, p. 45, secondo cui “La legge - a questo punto della storia - non è più l’espressione pacifica di una società politica al suo interno coerente, 87 22 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 solo poca chiarezza negli orientamenti della Corte, ma anche, come si è visto, la confusione dell’interprete, nonché una sempre maggiore “liquidità”, per dirla con Bauman, dell’ordinamento92. Le conseguenze di una tale situazione non sono di certo irrilevanti, dal momento che, in ogni caso, lo Stato si trova a rispondere dinanzi ai giudici sovranazionali per il mancato rispetto non solo del diritto europeo a tutela di interessi settoriali - come quello ambientale - ma, ancor prima, per le violazioni dei diritti umani garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Così, è accaduto nel caso Ilva, su cui si sono pronunciate sia la Corte di Giustizia che la CEDU, constatando le gravi violazioni poste in essere dall’Italia per il mancato rispetto degli obblighi internazionali che dovrebbero incidere “globalmente e univocamente” sul contenuto della legge statale.93 Il bilanciamento, pertanto, se non riesce a essere condotto sulla base di chiari criteri costituzionali o legislativi di prevalenza, non può che essere guidato dai criteri che più chiaramente emergono dal sistema europeo e internazionale di tutela dei diritti umani, posto che i giudici nazionali sono chiamati a muoversi nel confronto dialettico con la giurisprudenza delle corti di Strasburgo e del Lussemburgo. 5. La riforma Madia e la nuova dialettica tra interessi Nell’ambito di questa stessa tendenza, può inserirsi la recente riforma del procedimento amministrativo ad opera del decreto Madia (l. 7 agosto 2015, n. 124 e d. lgs. attuativo n. 127 del 2016) 94 la quale, specificamente laddove prevede la modifica della conferenza di servizi (artt. 14 e ss.) e l’introduzione del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni (art. 17 bis), ha comportato un indebolimento della tutela dei c.dd. “interessi sensibili”. Sino all’ultima riforma della legge sul procedimento amministrativo, tali interessi pubblici, sono stati considerati preminenti rispetto agli altri e, per questo, oggetto di una tutela rafforzata. L’esigenza di applicare a tali interessi un trattamento procedimentale differenziato, emerse già durante i lavori parlamentari della l. 241 del 1990, sulla base degli orientamenti contenuti nel progetto di legge Bassanini ma è manifestazione e strumento di competizione e confronto sociali”; e ancora F. MODUGNO - D. NOCILLA, Crisi della legge e sistema delle fonti, in Dir. soc., 1989, pp. 411 ss., secondo cui il pluralismo socio-economico è causa di una polverizzazione del diritto legislativo; infine S. FOIS, voce Legalità (principio di), in Enc. dir., vol XIII, Milano, 1972, p. 696; ID., Crisi delle istituzioni, in Dir. Soc., 1992, pp. 6 ss., il quale fa riferimento ai riflessi che il pluralismo delle fonti ha avuto sulla crisi del principio di legalità. 92 Si fa qui riferimento a Z. BAUMAN, Modernità liquida, Roma-Bari, 2002. 93 Così ha chiarito la Corte costituzionale con le sentenze nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007, consultabili in www.cortecostituzionale.it. 94 L. 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, pubblicato in G.U. n. 187 del 13 agosto 2015; v. anche d. lgs. 30 giugno 2016, n. 127 recante “Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124” pubblicato in G.U. n. 162 del 13 luglio 2016. 23 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 e Becchi.95 Pertanto, l’indirizzo originario fu quello di non applicare alle amministrazioni portatrici degli interessi “alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini” alcune previsioni, quali: la formazione del silenzio assenso in materia di conferenza di servizi (art. 14); i termini per il rilascio di pareri (art. 16); la possibilità di procedere indipendentemente dall'acquisizione dei pareri in caso di mancato rilascio (art. 17); il vincolo di acquisire le valutazioni tecniche da altri soggetti in caso di mancato rilascio. Successivamente, a seguito delle numerose modifiche nel frattempo intervenute96, le disposizioni derogatorie sono nettamente aumentate ed è stato ampliato l’ambito di applicazione a più interessi pubblici, rispetto a quelli originariamente contemplati. In particolare, è stata ampliata97 la categoria degli interessi sensibili, a cui si sono aggiunte la tutela del patrimonio culturale o del patrimonio storicoartistico, la pubblica incolumità, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo, la cittadinanza, l’amministrazione della giustizia, l’amministrazione delle finanze98, nonché le altre materie 95 X Legislatura - AC 1218. Tale esigenza non era infatti emersa né nello schema del d.d.l. predisposto dalla Commissione Nigro e contenente “Disposizioni dirette a migliorare i rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione nello svolgimento dell'attività amministrativa”(dalla relazione presentata dal Presidente del Consiglio dei ministri il 7 settembre 1984), né nel d.d.l. Gloria (Camera dei Deputati - X Legislatura - d.d.l. n. 1913, presentato il 19 novembre 1987 dal Presidente del Consiglio dei ministri On. Gloria - AC 1913); sul punto v. G. SCIULLO, Interessi differenziati e procedimento amministrativo, op. cit., p. 4. v. anche G. CORSO - F. TERESI, Procedimento amministrativo e accesso ai documenti, Rimini, 1991, p. 108. 96 La l. 241 del 7 agosto 1990, è stata successivamente modificata con l. 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005); l. 11 febbraio 2005, n. 15; l. 14 maggio 2005, n. 80; l. 18 giugno 2009, n. 69; l. 30 luglio 2010, n. 122; d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (approvazione del codice del processo amministrativo che ha pure apportato modifiche alla l. 241/90); l. 106 del 2011; l. 190 del 2012; l. 35 del 2012; l. 134 del 2012; l. 221 del 2012; l. 98 del 2013; d.lgs. 33 del 2013; l. 9 del 2014; l. 164 del 2014; l. 124 del 2015; d.lgs. 126 del 2016; d.lgs. 127 del 2016; d.lgs. 104 del 2017. 97 Tra gli interessi sensibili individuati, però, la legge sul procedimento amministrativo conferisce ad alcuni rilevanza generale - come agli interessi alla tutela della salute, della pubblica incolumità, del patrimonio storico-artistico, dell’ambiente e della tutela paesaggistico-territoriale - mentre ad altri offre una tutela più sporadica - quali gli interessi della difesa nazionale, della pubblica sicurezza, dell’immigrazione, dell’asilo, della cittadinanza e dell’amministrazione della giustizia. 98 Si pensi alla disciplina relativa alla conferenza di servizi ex art. 14 e ss., quanto a quella relativa al silenzio assenso ex art. 17-bis, o quella prevista all’art. 16 della l. 241 del 1990. Oppure al’art. 19, comma 1, che esclude l’applicazione della disciplina della SCIA nei “casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistico o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria”. Così, anche all’art. 20, comma 4, secondo cui “le disposizioni del presente articolo [silenzio assenso provvedimentale] non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali…”. 24 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 individuate mediante rinvio, e cioè “i casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi”99. La l. 241 del 1990, pertanto, ha sempre ammesso che la natura degli interessi pubblici coinvolti possa portare all’applicazione di meccanismi procedimentali derogatori rispetto a quelli generali, prevedendo, per esempio, termini di conclusione superiori dei procedimenti, la necessità di acquisire atti di assenso o consultivi, particolari casi di cd. “dissenso qualificato”, l’impossibilità per un’amministrazione di procedere in caso di mancata emissione di un parere che debba essere rilasciato da un’amministrazione preposta alla tutela di interessi sensibili. Tuttavia, tale tutela è stata di volta in volta ridotta dagli interventi finalizzati alla semplificazione e alla razionalizzazione dei moduli di coordinamento tra pubbliche amministrazioni100, mediante l’introduzione di strumenti e modifiche che assicurino il conseguimento della determinazione finale. Pertanto, già con le riforme degli anni Novanta, si è sostituita la regola decisionale dell’unanimità con meccanismi maggioritari o di prevalenza, e si è previsto un meccanismo di spostamento del livello decisionale in sede politica.101 Successivamente, nel 2010, è stata prevista l’applicazione della disciplina del silenzio assenso al caso del mancato pronunciamento di un’amministrazione, seppure preposta ad interessi sensibili.102 99 Alle ipotesi in cui il diritto UE richiede provvedimenti espressi, sono riconducibili gli interessi della tutela della salute, della pubblica incolumità, del patrimonio storico-artistico e dell’ambiente. Ai sensi dell’art. 17-bis, comma 4, infatti, “le disposizioni del presente articolo [silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici] non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi”. In particolare, l’art. 17-bis, al comma 2, prevede che “la disposizione di cui al comma 1 [vincolo di acquisizione da altri soggetti in caso di mancato rilascio] non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini”; al comma 3, prevede che “le disposizioni dei commi 1 e 2 [in tema di termini e di interruzione nonché di silenzio assenso procedimentale] si applicano anche ai casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche. In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all’articolo 2 non prevedano un termine diverso, il nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell’amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito”. 100 Si v., sul punto, V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di diritto amministrativo, Torino, 2016, pp. 370 ss. 101 L’art. 2 della l. 24 dicembre 1993, n. 537, infatti, prevedeva che, nel caso intervenisse un’amministrazione dissenziente, il provvedimento potesse comunque essere adottato in sede politica, dinanzi al Presidente del Consiglio dei Ministri. Successivamente, l’art. 17 della l. 15 maggio 1997, n. 127, prevedeva che il provvedimento potesse essere adottato anche in caso di dissenso, purché venisse previamente comunicato al Presidente del Consiglio dei Ministri; fu poi l’art. 9, comma 1, della l. 24 novembre 2000, n. 340, che conferì all’amministrazione procedente il potere di decidere a maggioranza; successivamente, con la l. 11 febbraio 2005, n. 15, il criterio decisionale della maggioranza è stato sostituito con quello delle c.dd. “posizioni prevalenti”. 102 Si fa riferimento all’art. 49, comma 2, lett. c., del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, che ha modificato la l. 241 del 1990. Per una ricostruzione sul punto, si v. ultimo A. MOLITERNI, Semplificazione amministrativa e tutela degli interessi sensibili: alla ricerca di un equilibrio, in Dir. amm., XXV, n. 4, 2017, pp. 707 e ss. 25 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 Tale tendenza semplificatoria, volta mano a mano ad appianare le differenze procedimentali tra interessi pubblici sensibili e non, si è ulteriormente rinforzata - nelle ipotesi di decisioni pluristrutturate103 - a seguito della riforma Madia, al punto che, in dottrina, si è parlato di “depotenziamento”, “dequotazione”, “cedevolezza” o “normalizzazione” degli interessi sensibili.104 Per quanto specificamente riguarda la conferenza di servizi, a seguito delle modifiche apportate dalla riforma Madia, il dissenso espresso dalle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili non comporta più l’automatico coinvolgimento dell’organo politico, ma ha il solo effetto di sospendere l’efficacia del provvedimento per dieci giorni, durante i quali le amministrazioni dissenzienti - solo qualora abbiano partecipato attivamente ed espresso un dissenso esplicito e ben motivato105 - hanno la facoltà di proporre opposizione dinanzi alla Presidenza del Consiglio. Pertanto, in capo a esse è previsto un doppio onere: quello di dissentire e quello di opporsi, esplicitamente e in tempi brevi, alla determinazione che non abbia tenuto conto del dissenso qualificato da queste manifestato. Un ulteriore aggravio, previsto La riforma Madia, ha usato maggiore cautela nell’estendere i meccanismi di semplificazione agli interessi sensibili al di fuori delle decisioni pluristrutturate; pertanto, i meccanismi di semplificazione relativi al mancato rilascio di pareri o valutazioni tecniche richiesti dall’amministrazione procedente non operano in caso di un coinvolgimento di interessi sensibili. Per es. si vedano gli artt. 16, comma 3 e 17, comma 2, della l. 241/1990. Sul punto v. M. G. DELLA SCALA, Attività consultiva e semplificazioni procedimentali in A. ROMANO (a cura di), L’azione amministrativa, cit., pp. 524 ss.; G. SCIULLO, ‘Interessi differenziati’ e procedimento amministrativo, cit., p. 70; A. MOLITERNI, op. ult. cit., p. 712. Così come per la disciplina del silenzio assenso tra privati e P.A. e per la disciplina della s.c.i.a. su cui v. P. LAZZARA, I procedimenti amministrativi ad istanza di parte. Dalla disciplina generale sul procedimento (L. 241/90) alla direttiva “servizi” (2006/123/CE), Napoli, 2008, pp. 1 ss. 104 Molti autori, a seguito della pubblicazione dei decreti Madia, si sono interrogati sulla questione del possibile “depotenziamento” o “dequotazione” o “cedevolezza” o “normalizzazione” degli interessi sensibili e sull’equilibrio tra esigenze garantiste ed esigenze semplificatorie ai fini di una maggiore efficienza del procedimento amministrativo. Si richiamano i contributi di: R. DIPACE, La resistenza degli interessi sensibili nella nuova disciplina della conferenza di servizi, in federalismi.it, n. 16/2016, p. 1 ss.; A. MOLITERNI, Semplificazione amministrativa e tutela degli interessi sensibili: alla ricerca di un equilibrio, in Dir. amm., 4/2017, pp. 700 e ss., versione ampliata della relazione su “Semplificazione delle decisioni amministrative e interessi pubblici sensibili” tenuta nell’ambito del Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo (AIPDA) presso l’Università degli studi di Bergamo, del 5-7 ottobre 2017; F. SCALIA, Il silenzio assenso nelle c.d. materie sensibili alla luce della riforma Madia, in Urbanistica e appalti, 1/2016, pp. 11 e ss.; G. SCIULLO, “Interessi differenziati” e procedimento amministrativo, in giustamm.it, anno XV, n. 5/2016; E. SCOTTI, La nuova disciplina della conferenza di servizi tra semplificazione e pluralismo, Intervento al convegno AIPDA “I rimedi contro la cattiva amministrazione. Procedimento amministrativo ed attività produttive ed imprenditoriali”, Campobasso, 8-9 aprile 2016, in federalismi.it, n. 16/2016; A. IACOPINO, La resistenza degli interessi sensibili nella nuova disciplina della SCIA, in giustamm.it, 2016. v. anche A. CIOFFI - C. ROMANO - M. G. DELLA SCALA - P. LAZZARA, L’azione amministrativa, Torino, 2016, pp. 1 e ss. 105 L’art. 14 ter, comma 7, l. 241/1990, introdotto dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127, attuativo della l. Madia, prevede, per la conferenza in forma simultanea, che “si considera acquisito l’assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresentante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi, non abbia espresso ai sensi del comma 3 la propria posizione, ovvero abbia espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza”. 103 26 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 dalla riforma, è che tale opposizione - per le amministrazioni statali - deve pervenire non dall’organo amministrativo, bensì dal Ministro competente.106 Si aggiunga, inoltre, che la riforma Madia ha previsto che le amministrazioni statali debbano partecipare in conferenza di servizi con un solo rappresentante “abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante di tutte le predette amministrazioni”107. Una siffatta previsione comporta che il rappresentante unico debba “prendere conoscenza del punto di vista delle amministrazioni che rappresenta e farsene portavoce nel corso della conferenza”108 e, in tal modo, disconosce il pluralismo istituzionale che è alla base stessa della conferenza di servizi.109 Con riferimento alla semplificazione delle decisioni amministrative che coinvolgano interessi sensibili, la riforma Madia ha introdotto, inoltre, il nuovo meccanismo di silenzio-assenso inter-amministrativo, che trova disciplina nell’art. 17-bis. Questo prevede che, nel caso in cui la decisione coinvolga soltanto due amministrazioni110, il mancato e tempestivo rilascio di atti di assenso da parte di una qualsiasi amministrazione - quantunque portatrice di interessi qualificati - equivalga all’accoglimento del provvedimento. Con la sola precisazione che, qualora si tratti di un’amministrazione preposta alla cura di interessi sensibili, è previsto un termine più lungo per l’acquisizione dell’assenso (novanta giorni anziché Sul punto, v. art. 14 quinquies, comma 1, l. 241/1990 il quale prevede che “avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, entro 10 giorni dalla sua comunicazione, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. Per le amministrazioni statali l’opposizione è proposta dal Ministro competente”. Sulle modifiche apportate alla l. Madia alla conferenza dei servizi, si vedano: V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di diritto amministrativo, op. cit., pp. 370 e ss.; L. DE LUCIA, La conferenza di servizi nel d.lgs. 30 giugno 2016 n. 127, in Riv. giur. urb., 2016, 1, pp. 12 ss.; A. MOLITERNI, Semplificazione amministrativa e tutela degli interessi sensibili: alla ricerca di un equilibrio, op. cit., 709; G. VESPERINI, La nuova conferenza di servizi, in Giorn. dir. amm., 2016, pp. 578 ss.; S. BATTINI, La trasformazione della conferenza di servizi e il sogno di Chuang-Tzu, in ID. (a cura di), La nuova disciplina della conferenza di servizi, Roma, 2016, pp. 1 ss.; R. DIPACE, La resistenza degli interessi sensibili nella nuova disciplina della conferenza di servizi, in A. RALLO A. SCONAMIGLIO (a cura di), I rimedi contro la cattiva amministrazione, Napoli, 2016, pp. 227 ss.; E. SCOTTI, La nuova disciplina della conferenza di servizi tra semplificazione e pluralismo, in federalismi.it, n. 16/2016, pp. 1 ss. 107 Prevede, infatti, l’art. 14-ter, comma 1, l. 241/1990, che “ove alla conferenza partecipino anche amministrazioni non statali, le amministrazioni statali sono rappresentate da un unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente in modo univoco e vincolante la posizione di tutte le predette amministrazioni, nominato, anche preventivamente per determinate materie o determinati periodi di tempo, dal Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, ove si tratti soltanto di amministrazioni periferiche, dal Prefetto. Ferma restando l’attribuzione del potere di rappresentanza al suddetto soggetto, le singole amministrazioni statali possono comunque intervenire ai lavori della conferenza in funzione di supporto.” 108 Si veda, in particolare, il parere del Cons. St., comm. spec., 27 aprile 2018, n. 1127, reso sul rappresentante unico delle amministrazioni centrali in seno alla conferenza di servizi simultanea. 109 L. DE LUCIA, op. ult. cit., 1 ss. A. MOLITERNI, op. ult. cit., p. 710. 110 Così, infatti, ha chiarito il Parere del Cons. St., Comm. spec., 13 luglio 2016, n. 1640. 106 27 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019 trenta). Nel caso in cui, invece, ricorra un dissenso espresso, si avrà lo spostamento necessario del livello decisionale in sede politica, dinanzi al Consiglio dei Ministri.111 La tendenza del legislatore appare, pertanto, quella di eliminare progressivamente, anche nell’ambito del procedimento amministrativo, le distinzioni tra interessi, sino alla “normalizzazione” di quelli che, nel disegno originario della 241 del 1990, erano considerati come “preminenti” rispetto ad altri interessi pubblici. D’altra parte, se la Costituzione non prevede alcun rapporto di prevalenza, la dialettica tra interessi costituzionalmente tutelati dipende dai mutevoli indirizzi politico-legislativi, nonché dall'emersione di nuove esigenze nella realtà sociale. In mancanza della previsione di un aprioristico ordine tra valori - sia in sede costituzionale che in sede legislativa - gli interessi appaiono tra loro tutti dialetticamente confrontabili e l’eventuale individuazione di interessi pubblici “prevalenti” è rimessa alla ponderazione amministrativa, nel caso concreto, in virtù dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. Parrebbe, pertanto, che le considerazioni della Corte costituzionale relative all’attuale equilibrio tra interessi d’impresa e interesse ambientale, abbiano avuto conseguenze dirette sulla normativa in materia di procedimento amministrativo (con particolare riferimento alle decisioni pluristrutturate), così come dimostrano le innovazioni introdotte dalla legge Madia. Un ordinamento, che negli ultimi decenni aveva sviluppato un’accentuata sensibilità nei confronti della materia ambientale, risulta oggi - in tempi di crisi - favorire l’impresa e lo sviluppo economico. Se prima si riteneva che, per determinati interessi, le esigenze semplificatorie non potessero in alcun modo sacrificare un’attenta ponderazione112, la ratio della l. 124/2015 va nel senso opposto, così come gli interventi legislativi e governativi volti a salvare attività produttive nocive in nome dell’interesse nazionale. Ne risulta una situazione contraddittoria: da una parte l’ordinamento formalmente sancisce il prius dei diritti alla salute e all’ambiente, dall’altra parte, però, sembra poi sostanzialmente relativizzare tale tutela. E ciò a discapito non solo della certezza del diritto, ma altresì del rispetto dei vincoli europei e internazionali, per la violazione dei quali l’Italia si trova a dover rispondere in più sedi (con riferimento al caso Ilva, come si è detto, si sono pronunciate la Commissione UE, la Corte di Giustizia europea e, da ultimo, la Corte Europea dei Diritti Umani). Si vedano, sul punto. A. MOLITERNI, op. ult. cit., p. 711; M. A. SANDULLI, Gli effetti diretti della legge 7 agosto 2015, n. 124 sulle attività economiche: la novità in materia di s.c.i.a., silenzio assenso e autotutela, in federalismi.it, n. 17/2015, pp. 1 ss; E. SCOTTI, Silenzio assenso tra amministrazioni, in A. ROMANO (a cura di), L’azione amministrativa, Torino, 2016, pp. 566 ss. 112 v. E. CASETTA, La difficoltà di semplificare, in Dir. amm., 1998, pp. 335 ss., secondo cui “non tutti gli interessi tollerano una disciplina procedimentale che comporti una semplificazione in grado di sacrificare la corretta ponderazione di alcuni valori”. 111 28 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 12/2019