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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea magistrale in Musicologia e beni musicali «Meco trarrotti a riveder le stelle» Lettura comparata delle trascrizioni novecentesche dell’Orfeo di Monteverdi Relatore : Prof. Davide DAOLMI Correlatore: Prof. Emilio SALA Tesi di Laurea di: Federico LAZZARO Matr. 685815 Anno Accademico 2006/2007 La storia della musica è anche, ma ciò vale per tutti i fenomeni culturali, una storia di riletture. (Edoardo Sanguineti) Indice Indice 5 Introduzione 7 1. Quali e quanti Orfei I.1. Il I.2 15 corpus 16 Classificazione del corpus 20 2. Il mito dell’Orfeo II.1. 31 Nascita di un mito II.2. I primi revisori II.2.1 Robert II.3. 31 34 Eitner evoluzionista 34 II.2.2 «Non ci ricorda Wagner?» 37 II.2.3 Rolland, d’Indy e il biografismo 41 II.2.4. Vicino agli Amici della Musica: Gaetano Cesari e il giudizio a posteriori 45 II.2.5 Malipiero 47 e il «divino Claudio» tra amore e fanatismo Altre posizioni 51 II.3.1. 52 Per una drammaturgia dei mezzi musicali: «Possente spirto» II.3.2. Da poeta a musicista II.3.3. Sintesi 54 vs. accostamento 56 II.3.4. L’orchestra espressiva 57 II.3.5. Costruzione drammaturgica del libretto 58 II.4. Dal mito ‘per sentito dire’ al mito ascoltato: la Prima alla Schola cantorum 3. Apertura e chiusura dell’Orfeo III.1. Chiusura III.1.2. Una 65 dell’OM III.1.1. Retorica 59 65 e passioni 67 tragedia greca 69 5 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Indice III.1.3. Cinque atti III.1.4. Il 71 Prologo premonitore III.1.5. Simmetrie III.1.6. che sono tre 74 e organizzazione tonale Cellule tematiche III.1.7. L’OM 79 meta-arte 80 III.2. Apertura dell’OM III.2.1. Una III.2.3. Il 81 partitura descrittiva III.2.2. Fioriture 83 melodiche 89 doppio finale III.3. Conclusione: 91 la spinta comparativa 4. Analisi comparata IV.1. «Meco IV.2. La 75 91 93 trarrotti a riveder le stelle» 93 struttura generale 111 IV.2.1. Tre tipologie editoriali 111 IV.2.2. Tre tipi di interventi 113 IV.2.3. L’importanza IV.2.4. Modifiche IV.3. Agogiche, alla struttura generale dinamiche, segni d’espressione IV.4. L’adattamento IV.5. Orchestre della comprensione scenico 126 151 152 a confronto IV.6. Realizzazione 116 163 del continuo tra armonia e fioritura 177 IV.6.1. Armonia 177 IV.6.2. Fioriture 190 IV.7. Conclusione: la spinta storiografica 219 Appendice 1: Incipitario brani strumentali 225 Appendice 2: Il mito di Orfeo nel Novecento musicale 227 Indice delle tabelle e degli esempi musicali 237 Bibliografia 239 a) Edizioni dell’OM analizzate 239 b) Altre partiture 241 b) Contributi critici 242 6 Introduzione: 400 anni di Orfeo, 100 di Orfei We are left in any case with the same problem of reconstructing (which really means composing) music suitable and worthy to fill in the many gaps or incomplete passages in the surviving scores.1 A questi rivisitatori le musiche del passato sembrano perfettibili ma non perfette e dunque, con l’imprecisa coscienza storica della distanza che li separa da esse, si danno a perfezionarle mediante un’operazione estetizzante che nasconde la consapevolezza di un doppio, ambiguo, livello di inadeguatezza: di queste musiche, così come sono, non riproponibili alla lettera, ma anche del presente incapace di apprezzarle.2 Sono trascorsi 400 anni dalla prima rappresentazione (Mantova, 24 febbraio 1607) dell’Orfeo di Monteverdi.3 E poco più di 100 dalla sua prima ripresa moderna (25 febbraio 1904) alla Schola cantorum di Parigi nell’adattamento di Vincent d’Indy. Spesso gli anniversari sono la ragione sufficiente a spingere verso lo studio del tal compositore o della tale opera (pur con quel sapore un po’ lugubre e ‘da circostanza’ dei monumenti ai caduti); non è il caso del mio lavoro, semplicemente perché mi sono accorto della felice ricorrenza quando ormai lavoravo già da mesi sull’OM. Ed ho iniziato a lavorarci quasi per sbaglio: mi incuriosiva, infatti, indagare il mito di Orfeo nel Novecento musicale (argomento sterminato); e tra un Orfeo e l’altro continuavo ad imbattermi in trascrizioni, elaborazioni, edizioni più o meno ‘personalizzate’ dell’OM. Mi è stato suggerito di restringere il campo su questo fenomeno, se non altro per illuminarlo; una volta 1 DONINGTON 1968, p. 259 NICOLODI 1982, p. 152. 3 D’ora in poi OM. 2 7 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Introduzione constatata la presenza di tutti questi Orfei, le linee di indagine da cui affrontarli certo non mancavano: 1) innanzitutto perché proprio l’OM e non un’altra delle ‘prime opere’: quando e perché nasce il mito dell’OM, da dove nasce l’interesse di così tanti revisori, soprattutto compositori, per l’OM in relazione al constesto culturale e musicale in cui vivono, e come le loro edizioni hanno influenzato la conoscenza e la ricezione dell’opera (v. capitolo 2: Il mito dell’Orfeo); 2) in secondo luogo, quali sono le condizioni delle fonti che ne favoriscono la fruizione (e lo ‘sfruttamento’) più che per altre opere, in che misura il testo dell’OM si presta a interventi, quindi sostanzialmente quali sono gli elementi che gli conferiscono quella ‘chiusura’ che lo rende un Werk e quali d’altro canto quelli che gli lasciano un carattere di ‘apertura’ tale da invogliare i compositori di 300 anni dopo a darne una propria versione (v. capitolo 3: Apertura e chiusura dell’OM); 3) addentrandosi nelle questioni tecniche, che cosa risulta da un’analisi comparativa4 delle edizioni moderne dell’OM: interventi sulla struttura generale, scelte strumentali, adattamenti ritmici e melodici, realizzazione armonica e così via (v. capitolo 4: Analisi comparata). Dopo aver dato, nel primo capitolo (Quali e quanti Orfei), uno sguardo d’insieme al panorama della fortuna dell’OM, cercherò di rispondere a queste domande. E per farlo mi affiderò molto alle opinioni espresse dai revisori stessi, quasi ad indagare, più che la filologia e la tecnica dei loro lavori, la loro poetica; mi concentrerò sul ruolo del compositore come trascrittore-adattatore che interviene materialmente sull’opera e in questo modo ne offre la propria interpretazione: un’interpretazione diversa da quella concettualizzata dello studioso e da quella esecutiva del concertista. È su tale livello di ‘interpretazione (ri)compositiva’ che il titolo «Meco trarrotti a riveder le stelle» vorrebbe richiamare l’attenzione. Sempre giocando sulla decontestualizazione e risemantizzazione di un verso dell’OM avrei potuto scegliere ad esempio «Ecco pur ch’a voi ritorno» (frase che risulterebbe non più indirizzata da Orfeo alle «care selve e piagge amate», ma dall’Orfeo agli uomini del XX secolo); ma non è forse più efficace far pronun- ciare ai compositori trascrittori quel «Meco trarrotti a riveder le stelle» che ne proietta la connotazione quasi eroica di novelli Orfei? Costoro, grazie alla loro arte, riportano alla 4 Per la scelta di tale approccio v. infra nell’Introduzione e III.3. 8 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Introduzione luce questa Euridice, dimenticata da secoli in qualche sotterraneo deposito di biblioteca, che è l’OM. (Senza contare che Orfeo non ha avuto un grande successo nella sua impresa risuscitatrice: e loro?) Ne emergerà una storia della ricezione novecentesca dell’OM e, per estensione, della costruzione del pensiero che ha portato all’affermazione della cosiddetta prassi esecutiva ‘storicamente informata’.5 In questo senso l’OM funge quasi da pretesto, da caso emblematico, per un’indagine più ampia sul rapporto del secolo appena concluso con la storia della musica, di cui offre un interessante spaccato: dall’approccio evoluzionista di Eitner, a quello biografico di d’Indy, passando per l’idealismo dominante in Italia – che tra le sue facce ha il fanatismo per il «divino Claudio» esternato da Malipiero –, fino al postmodernismo dello happening di Luciano Berio nel 1984 e alla musicologia accademica che, dagli anni ’70, commenta, spesso ridicolizza, le elaborazioni dell’OM e ne propugna semmai l’edizione critica. Il mio punto di partenza, si diceva, è stato il mito di Orfeo nel Novecento musicale: ora attualizzato, ora decostruito, ora ri-usato come pretesto, ora decisamente forzato, è un soggetto che dire ricorrente sarebbe riduttivo. Anche se non si potrà approfondire la questione, ritengo opportuno, se non altro a livello introduttivo, suggerire una lettura della fortuna dell’OM – al di là delle ragioni storiografiche e, perché no, di moda – in ragione del suo tema: il mito dell’Orfeo alla luce del mito di Orfeo, insomma. Basti ricordare che tra i compositori impegnati nelle loro versioni dell’OM, Gian Francesco Malipiero aveva affrontato il soggetto orfico nell’Orfeide (1920 e 1925) e Luciano Berio in Opera (1970 e 1977; Ludovico Einaudi, uno dei giovani compositori impegnati nello happening beriano al Maggio musicale fiorentino del 1984, nella stessa occasione presentava il suo balletto Sul filo di Orfeo); e, quasi un circolo vizioso (dagli Orfei all’Orfeo e dall’Orfeo agli Orfei), la critica ha più volte letto l’Orpheus di Stravinskij (1947) come un ‘derivato’ dell’OM.6 5 L’utilizzo di questa locuzione di origine anglosassone, ormai abituale, dovrebbe essere rimpiazzato o perlomeno affiancato da un equivalente italiano che magari specifichi meglio il pensiero e la pratica degli esecutori che vi si riconoscono, e cioè il carattere di ricerca del loro lavoro nell’ambito della prassi esecutiva: il che pone l’accento sull’aspetto dinamico dell’operazione, senza sbilanciamenti sul risultato (la cui ‘storicità’ effettiva è indimostrabile). 6 Cfr. VINAY 1987, pp. 124 sgg. e l’interessante opinione di HUNKEMÖLLER 1986 secondo cui Stravinskij sarebbe stato influenzato piuttosto dalle esecuzioni degli anni ’30 (in particolare quelle a cura di Nadia Boulanger) della musica di Monteverdi. 9 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Introduzione Rimando pertanto alla bibliografia disponibile per approfondire questa linea d’indagine: oltre alle panoramiche più o meno approfondite sul mito di Orfeo dall’antichità ad oggi (dal difficilmente reperibile WARDEN 1982 all’indispensabile SEGAL 1989 – alla cui prospettiva prettamente letteraria si può affiancare l’interdisciplinare GUIDORIZZI–MELOTTI 2005; in particolare sul Novecento italiano CANNAS 2004), un approccio più specificamente musicale si trova in PISTONE–BRUNEL 1999 (che rimane però largamente divulgativo), DALMONTE 1994 e LEONI 1999 (in particolare cfr. CHIESA 1999, la cui elencazione integro – senz’altro non esaustivamente – nell’Appendice 2); interessante in una prospettiva di ricezione e rielaborazione del mito è poi il confronto tra l’approccio semiotico di BARTHES 1957 e quello più complesso e decostruito di VEYNE 1983. Rimarrebbe da accennare alla spinosa questione dell’identità dell’opera. Quanto l’OM di d’Indy (o di Orefice, o di Benvenuti, o di Respighi) è l’Orfeo di Monteverdi? Qual è il limite che non bisogna superare per snaturare l’opera e iniziare a parlare per esempio di ‘fantasia su temi di’? Penso che si possa momentaneamente mettere tra parentesi il problema (e dare per acquisita la filosofia di Roman Ingarden, secondo cui l’opera è un «oggetto intenzionale» costituito da uno schema – il testo – e dalle possibili realizzazioni dei suoi punti di indeterminazione)7 se si ribadisce l’oggetto della mia indagine soprattutto in termini di ‘ricezione (ri)compositiva’:8 cosa che dà per scontato che il punto di partenza sia un Werk che si riconosce come tale e che si recepisce in modo diverso a seconda del proprio contesto culturale e della propria poetica, in modo molto simile all’atteggiamento interpretativo che avvicina un esecutore ad un testo musicale (anche se si vedrà che, davanti ad un testo-canovaccio come quello dell’OM, ci si pone come davanti ad un pre-testo che necessita di un completamento ancor prima che di un soffio di vita esecutivo, e pertanto si finisce col considerarlo in gran parte un pre-testo per un gioco compositivo di sapore neoclassico; v. infra IV.1). Senza tralasciare le più recenti riflessioni sul ruolo sempre e comunque attivo dell’editore sul testo che cura: come è stato sostenuto da BRETT 1988 e poi ripreso nel più ampio lavoro di James Grier (1996), la soggettività ha un ruolo inevitabile 7 8 Cfr. INGARDEN 1958 (1962); un recente contributo critico è MAZZONI 2004, in particolare pp. 55 sgg. Sul tema della ricezione in musica faccio riferimento all’antologia critica BORIO–GARDA 1989. 10 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Introduzione nell’editing dei testi musicali: «editing […] consists of series of choices, educated, critically informed choices; in short, the act of interpretation. Editing, moreover, consists of the interaction between the authority of the composer and the autority of the editor».9 Etimologicamente un’edizione critica è tale proprio perché basata sul giudizio, lungi dall’oggettività (che il fallimento concettuale del metodo Urtext ha rivelato essere fasulla): a iniziare dalla scelta dell’opera cui dedicare il proprio lavoro editoriale, i copisti e, oggi, i curatori sono sempre stati dei mediatori tra il compositore e il pubblico; addirittura si può affermare che «editing is analogous to performance».10 Per questo motivo nel corpus che analizzo sono presenti lavori all’apparenza così divergenti nei metodi e negli intenti come una libera elaborazione alla Orff e un’edizione «di studio» quale GALLICO 2004: non si tratta di evidenziare una improbabile ‘via verso la correttezza editoriale’ ma un ampio fenomeno ricettivo nelle sue più svariate manifestazioni, convinti del fatto che ci troviamo comunque dinanzi a delle interpretazioni concepite da individui che si rivolgono ad un determinato pubblico e si accostano all’OM con un pensiero che rivelano ora negli scritti ora nella partitura stessa. Lungi da una ricognizione pedissequa degli ‘errori’ di trascrizione e delle varianti testuali minime, l’indagine filologica lascerà spazio a quella drammaturgica che confronti le risposte dei diversi revisori ai dubbi offerti dal testo-canovaccio rappresentato dall’edizione secentesca della partitura e ne indaghi la coerenza: coerenza nei confronti di Monteverdi, delle soluzioni proposte dai revisori precedenti, del resto del nuovo testo-interpretazione che si compone. Non si tenderà pertanto a giudicare le singole realizzazioni in astratto o in relazione all’originale, quanto a compararle tra di loro e a scoprire la duttilità e l’apertura di quel canovaccio che è l’OM. Il linguista Antoine Meillet nel 1925, nel suo fondamentale Le méthode comparative en linguistique historique, definiva in questi termini il metodo comparativo: 9 [Editare comporta una serie di scelte, di scelte studiate e criticamente orientate; in breve, un atto interpretativo. Editare, in più, comporta l’interazione tra l’autorità del compositore e quella dell’editore] GRIER 1996, p. 2. 10 Ibidem, p. 6. 11 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Introduzione Vi sono due modi diversi di praticare la comparazione: si può comparare per dedurre dalla comparazione alcune leggi universali, oppure per ricavarne indicazioni storiche.11 Naturalmente la mia prospettiva è più vicina alla seconda accezione, che è poi il new deal che proponeva Meillet: gli interessava studiare la storia delle lingue, non formalizzare le leggi del linguaggio. E così io, comparando le varianti diacroniche (e diatopiche) dell’OM, in un certo senso intendo tracciarne la storia, limitata alla sua fortuna come testo da integrare, senza tuttavia tralasciare, perlomeno a livello di elenco, di citare le interpretazioni che non hanno assunto veste grafica ma sonora: la tabella I.1 permette di inquadrare le edizioni nella storia esecutiva dell’OM nel Novecento, quindi nella sua fortuna in senso più lato. L’indagine sulle realizzazioni scritte sarà poi limitata a quelle pubblicate: si tratta naturalmente di una scelta dettata dall’esigenza di delimitare il corpus; una scelta che ha dalla sua una forte dose di oggettività (o qualcosa è pubblicato o non lo è) e che da un certo punto di vista può ricevere anche una giustificazione in termini di fruibilità omogenea: non si tratta tanto della maggiore accessibilità delle fonti a stampa (spesso è più facile consultare i manoscritti autografi piuttosto che reperirne alcune),12 quanto del loro carattere di implicita potenziale circolazione sia in termini di studio che di esecuzione (anche a distanza di anni), rispetto alle versioni approntate per una specifica occasione senza velleità di riproposizione. In altre parole un’edizione a stampa ha una certa stabilità e allo stesso tempo non si esaurisce in se stessa ma, dal momento che (potenzialmente) circola, (potenzialmente) è oggetto di più interpretazioni. Questo non toglie che laddove il caso lo domandi si farà riferimento anche alle revisioni manoscritte, che però restano escluse dal corpus di base delle comparazioni. Ne deriva una sorta di indagine a campione (molto allargato, invero) che ha il vantaggio di una minor dispersione e indica delle vie di ricerca che restano aperte (cosa inevitabile, dal momento che la trattatistica con presunzione di esaustività ha ormai dimostrato da tempo la sua fragilità). Ora che è tempo di addentrarsi nel testo non si può che auspicare «che sien degni d’Orfeo nostri concenti». 11 MEILLET 1925 (1991), p. 19. Tant’è, l’accesso ad alcune non mi è stato possibile (v. infra). Ciò non toglie che il corpus considerato non sia comunque, mi si passi il calembour, corposo e foriero di notevoli spunti critici. 12 12 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Introduzione I brani strumentali dell’OM verranno indicati con una sigla alfabetica (es. Ritornello A, Sinfonia C, etc.): la legenda di tali denominazioni si può trovare nell’Appendice 1, l’incipitario di questi brani; la loro posizione nell’opera, come quella dei numeri vocali citati, si può ricavare dalla tabella IV.4. Ringrazio, per avermi messo a disposizione fonti altrimenti inaccessibili, l’editore Sugarmusic (in particolare Paola Mazzini e Nicole Echle), la Casa musicale Sonzogno (Sig. ra Olivieri) e Casa Ricordi-BMG (dott. Marco Mazzolini); per la loro pazienza davanti a richieste problematiche e spesso introvabili, gli addetti al servizio di Prestito interbibliotecario dell’Università; Maria Gloria Visintini Comar per l’indispensabile aiuto con le traduzioni più ardue; Daniele Ficola per le informazioni gentilmente fornitemi; per la disponibilità accordatami la dott. Silvana De Capua (Biblioteca nazionale centrale di Roma) e il M. Luca Francesconi; e, dato che la manualistica considera «di cattivo gusto ringraziare il relatore»,13 ringrazio Davide Daolmi ed Emilio Sala in quanto maestri di acribia e curiosità, disposizioni senza le quali la musicologia rischia di cadere nell’autocompiacimento fumoso o nel settorialismo più grigio. 13 ECO 1977, naturalmente (p. 197). 13 1. Quali e quanti Orfei E così, per restringermi al solo caso in parola, non si deve adesso domandare soltanto «quale Orfeo» (se quello di Monteverdi, di Luigi Rossi o di Gluck) ma ancora «quale Orfeo di Monteverdi», se quello di Orefice o di Malipiero, di Benvenuti o di Respighi.1 Per mettere un po’ d’ordine nella miriade di versioni dell’OM conviene classificarle in gruppi. Il problema è individuare i criteri più appropriati: «nessuna classificazione in sé è sbagliata. Potrà essere, rispetto a certi fini, più o meno utile, sensata»2. Non so quali fossero i suoi fini, ma i mezzi (terminologici) di Nigel Fortune nel suo fondamentale contributo allo studio dell’OM nel Novecento3 sono piuttosto ‘ideologici’: in base alla tendenza di ascendenze strutturaliste della divisione in classi binarie, Fortune riempie i due grossi insiemi «‘impure’ or ‘re-creative’ versions», «free adaptions» per la maggior parte opera di compositori, e «products of ‘pure’ attitude», «scholarly versions and ‘authentic’ performances» per la maggior parte opera di non-compositori (a parte Malipiero e Hindemith).4 La cosa positiva di una simile divisione è che permette di introdurre egregiamente in che cosa consista questa ‘miriade di versioni dell’OM’; posto che esisto- 1 CONFALONIERI 1945, p. 29. GARRONI 1977, p. 48 e passim. Questo monito è quanto mai attuale in un lavoro come il mio, nel quale – per rimanere nei termini della riflessione di Emilio Garroni – la componente descrittivistica e quella esplicativa si compenetrano pericolosamente. 3 FORTUNE 1986. Questo saggio è senz’altro il più completo contributo edito alla questione; la prima a pubblicare un, se pur conciso, articolo sulle revisioni novecentesche dell’OM fu Jane Glover (1975); altri studi monografici, ma non pubblicati, sono la tesi di laurea di BUSANI 1987, che si concentra solo su cinque revisioni, e la tesi di dottorato di REICHHART 1986; si noti la curiosa contemporaneità dei tre lavori, in periodo di scottante dibattito sul concetto di ‘autenticità’ nell’esecuzione della early music (cfr. HARNONCOURT 1982, DONINGTON 1983, DREYFUS 1983, HARNONCOURT 1984, TARUSKIN 1995 [contiene saggi degli anni ’80], LEECH-WILKINSON 1984, ISOTTA 1984, PHILIPP 1984, KERMAN 1985; per una ricostruzione del dibattito NATTIEZ 2002). 4 FORTUNE 1986, p. 83 sgg. 2 15 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei no due stampe dell’Orfeo quasi contemporanee alla sua prima esecuzione (1607),5 nel XX secolo l’opera viene ripubblicata in numerose edizioni: alcune che, a grandi linee, si limitano a trascrivere il testo musicale in notazione moderna e – spesso – a realizzare il basso continuo, quindi sostanzialmente a rendere ‘leggibile’ da un moderno una partitura molto lontana dai nostri criteri di scrittura musicale (sono quelle che Fortune considera ‘pure’); altre (‘impure’) sono invece le elaborazioni più o meno libere, con tagli, interpolazioni, orchestrazione ecc. Come si può notare, una simile dicotomia, seppure imprescindibile a livello di chiarificazione del panorama da studiare, presenta delle incongruenze; la più vistosa è il fatto che la realizzazione del basso continuo non sia considerata come elaborazione personale ma atteggiamento ‘puro’: si vedrà però che, soprattutto in un’opera dall’armonia spesso non univoca come l’OM, un simile intervento è tutt’altro che neutrale. Con ciò non voglio dire che sia ‘sbagliato’ decidere di realizzare il continuo in un’edizione ‘moderna’, ma che forse la classificazione di Nigel Fortune può essere perfezionata. I.1. Il corpus Innanzitutto è bene tentare una presentazione neutra del corpus. La tabella I.1 (in coda al capitolo) elenca in ordine cronologico gran parte delle versioni moderne dell’OM dal 1881 (la prima) ad oggi. Non si considerano le trascrizioni di frammenti utilizzate a mo’ di esempi esplicativi all’interno di libri o antologie.6 La data tra parentesi indica che non si tratta di una versione pubblicata ma di un manoscritto utilizzato a fini esecutivi. Ho ritenuto opportuno indicare la prima esecuzione di ciascuna versione e, se esiste, un’incisione discografica; sottolineo che non si tratta di un elenco di tutti gli allestimenti 5 Entrambe edite a Venezia da Ricciardo Amadino, rispettivamente nel 1609 e nel 1615. La seconda è sostanzialmente una ristampa che «ne présente aucune différence significative» (MORRIER 2002, p. 16). Tavole comparative con le differenze tra le due stampe si trovano in SANDBERGER 1927 e REICHHART 1986 (pp. 35-44). Ogni volta che nel mio lavoro mi riferirò all’edizione originale dell’OM intenderò quella del 1609. 6 I primi excerpta dell’OM a me noti sono quelli in HAWKINS 1776, II, pp. 526-529. A ben vedere, anche EITNER 1881 fa parte di un’antologia: l’OM compare infatti insieme all’Euridice di Giulio Caccini (1600) e alla Dafne di Marco da Gagliano (1608) nel primo volume della raccolta Die Oper von ihren ersten Anfängen bis zu Mitte des 18. Jahrhunderts nach den Quellen hergestellt […], ma, a differenza delle altre due, viene trascritto quasi integralmente per la sua ‘superiorità’ (sull’idea di superiorità dell’OM rispetto alle opere coeve v. infra capitolo 2). 16 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei dell’OM: laddove si sa per certo che una determinata esecuzione si è servita – senza essere la prima a farlo – di una delle versioni della partitura elencate in tabella, tale esecuzione non figura (ad esempio, il 2 maggio 1911 ebbe luogo al Théâtre Réjane di Parigi il primo allestimento scenico moderno dell’OM sotto la direzione di Marcel Labey: questo evento, senz’altro di rilievo, non è segnalato nel mio elenco in quanto la realizzazione della partitura ad opera di Vincent d’Indy, utilizzata in tale occasione, era già stata eseguita in forma di concerto alla Schola cantorum il 25 febbraio 1904). Tra le versioni non pubblicate, si distinguano innanzitutto i ‘pionieri’: Hans Erdmann-Guckel, storico della musica, nel 1913 (per il centenario della nascita di Wagner!)7 elaborò ed eseguì un’Orfeo con molti tagli che da alcuni recensori coevi fu segnalato come il primo allestimento scenico moderno dell’opera (segno che quello del 1911, che poche righe sopra consideravo essere un evento «senz’altro di rilievo», tale evidentemente non fu per i contemporanei).8 In Inghilterra ebbero modo di ascoltare l’OM nella versione per canto e pianoforte pubblicata dall’editore Chester (MALIPIERO 1923), ma, insoddisfatti, commissionarono al giovane Jack Allan Westrup, che sarebbe divenuto un esperto di Monteverdi, una nuova trascrizione con traduzione in lingua inglese – che Fortune include tra le ‘pure’9 – di cui venne pubblicata in seguito una sola aria; partitura che fu alla base non solo del primo allestimento scenico britannico dell’opera, ma della sua prima esecuzione pubblica integrale dopo 300 anni.10 Se Westrup era ancora un musicologo in erba, fu Hans Redlich il primo studioso (accademico) specialista di Monteverdi a preparare una propria trascrizione dell’Orfeo, nel 1936.11 Ad autoincludersi tra i pionieri è, infine, Jean Barraqué: egli curò insieme a Maurice Le Roux quella che considera la prima esecuzione francese dell’OM, in quanto tutte le precedenti si erano servite dell’elaborazione di d’Indy – che a suo avviso «rend l’oeuvre pour ainsi dire méconnaissable»;12 il suo ruolo nella nuova versione fu 7 Per i rapporti tra Monteverdi e Wagner nella ricezione per tutta la prima metà del Novecento, v. infra, II.2.2. 8 Le informazioni su questa e le altre versioni dell’OM cui accenno si trovano nel citato capitolo di Nigel Fortune (1986). L’Orfeo di Erdmann-Guckel è trattato alle pp. 89-90. 9 Per una riflessione su traduzione e autenticità v. infra, IV.2.3. 10 FORTUNE 1986, pp. 100-104. 11 Ibidem, pp. 104-105. 12 [rende l’opera per così dire irriconoscibile] BARRAQUÉ 1955, p. 119. 17 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei la transcription orchestrale des passages symphoniques et de l’accompagnement instrumental des parties chorales. Sans tomber dans l’excès maniaque d’un calque de l’exécution de 1607 – avec les instruments anciens dont disposait Monteverdi –, ni dans la traduction fantaisiste d’une adaptation, il a été recherché la plus grande simplicité, dans un profond respect de l’écriture monteverdienne.13 [la trascrizione orchestrale dei passaggi sinfonici e dell’acompagnamento strumentale delle parti corali. Senza cadere nell’eccesso maniacale di un calco dell’esecuzione del 1607 – con gli strumenti antichi di cui disponeva Monteverdi –, né nella traduzione libera di un adattamento, si è cercata la massima semplicità, nel profondo rispetto della scrittura monteverdiana] Vi sono poi, sempre tra le versioni non pubblicate, quelle di Thurston Dart (1950) e Alceo Toni (1957), che Fortune classifica come realizzate «for purely local performance, perhaps basing their work on an existing plain edition such as Malipiero’s of 1930 and with no thought of publication»;14 a queste si possono assimilare, negli anni ’60, le interpretazioni di Cesare Brero (1964), Raymond Leppard (1965), Harold Badger (1967), Herbert Handt (1967). Si faccia caso pertanto, se il particolare era sfuggito, che fanno parte dei «products of ‘pure’ attitude» anche le «‘authentic’ performances». È forse impossibile stabilire se i gruppi specializzati in esecuzioni con strumenti ‘antichi’ e prassi esecutiva ‘storicamente informata’ si siano basati, per le loro interpretazioni, direttamente sul fac simile della prima edizione (il primo è stato pubblicato già nel 1927) oppure se si siano serviti come testo base di una trascrizione completa in notazione moderna (oltre a MALIPIERO 1930, nel 1967 – quattrocentenario dell’OM – si davano all’impresa Denis Stevens e Edward H. Tarr) che poi hanno opportunamente integrato.15 Per quanto riguarda il pioniere dell’utilizzo degli strumenti antichi nell’OM, Paul Collaer (nel 1942), si sa che egli si servì 13 Ibidem, p. 121. [Per esecuzioni squisitamente locali, che probabilmente basavano il loro lavoro su edizioni semplici esistenti come quella di Malipiero del 1930, senza velleità di pubblicazione] FORTUNE 1986, p. 107. 15 Il fatto che nei booklet dei dischi si dichiari che l’esecuzione è basata sull’edizione originale non toglie il dubbio che, in pratica, questa sia servita come testimone d’eccellenza con cui correggere un’edizione d’uso (CETRANGOLO 2000, p. 207: «non conosco specialisti di musica antica che non abbiano adoperato o non adoperino tutt’ora edizioni monteverdiane di Malipiero»); ci sono comunque gruppi che, come ho potuto constatare ad una recente messa in scena dell’OM, leggono direttamente dal fac simile. Tuttavia la sostanza non cambia: ciò che fa la differenza è il tipo di approccio. Tramite comunicazione personale ho saputo che l’interpretazione di Gabriel Garrido si appoggia allo studio di entrambe le edizioni compiuto dalle istituzioni musicologiche palermitane (l’Istituto di Storia della musica dell’Università e l’Associazione per la musica antica «Antonio il Verso»). 14 18 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei di MALIPIERO 1930;16 quanto all’edizione di Tarr, essa fu alla base dell’interpretazione di Michel Corboz del 1967, interpretazione che aprì la strada delle numerose esecuzioni-incisioni discografiche dell’OM; seguono, per citare solo le principali, la storica impresa di Nikolaus Harnoncourt – che, dopo l’importante incisione dell’OM nel 1969, propose col regista Jean-Pierre Ponnelle la trilogia operistica di Monteverdi nel 1976 –, l’incisione di Jürgen Jürgens (1974), la versione in traduzione inglese di Jane Glover (1975; la traduzione di Anne Ridler venne utilizzata anche da John Eliot Gardiner nel 1981 e da Clifford Bartlett nel 1990), il tentativo di ricostruire l’ultimo atto dionisiaco di Siegfried Heinrich (1980; tentativo ripetuto da Sergio Vartolo nel 1996), i due Orfei del Maggio musicale fiorentino del 1984 (Roger Norrington e Luciano Berio),17 Philip Pickett (1991), e nel 1993 (350° dalla morte di Monteverdi) Gwendolyn Toth, René Jacobs, Jordi Savall, Marc Minkowski, la trilogia palermitana di Gabriel Garrido a partire dal 1996, fino alle recenti incisioni di Emmanuelle Haïm (2003) e dell’ensamble La Venexiana (2006), precedute dai concerti purtroppo non registrati di gruppi quali Il Giardino armonico (1999) e l’Accademia bizantina (2003). Della maggior parte degli allestimenti elencati, come si diceva, si ignora la partitura utilizzata: si tratta, quasi sempre, di concertazioni concepite ‘ad uso privato’ per un’occasione esecutiva, normalmente approntate dal direttore (che inserisco infatti tra parentesi quadre come autore della revisione), basandosi su un fac simile della stampa secentesca o su un’edizione ‘pulita’ che viene utilizzata come testo base.18 Dalla tabella si evince la fortuna dell’OM nel Novecento: una fortuna che si esplicita nelle prime riedizioni fortemente localizzate e che dagli anni Sessanta inizia a moltiplicarsi fino ad arrivare alla quantità di allestimenti (ripeto che si parla di singoli allestimenti, i quali spesso sono stati replicati più volte) che ha riempito gli anni Ottana e Novanta fino ad oggi, un 2007 quattrocentenario della prima esecuzione che registrerà un picco di riproposte dell’opera in tutto il mondo. In ogni caso, ai fini della mia ricerca, queste informa16 Cfr. COLLAER 1968. Costui aveva già realizzato con strumenti originali nel 1936 la Rappresentazione di Anima e di Corpo di Emilio de’ Cavalieri (1600) e il Ballo delle ingrate di Monteverdi (1638). 17 Inserito in questo elenco per contiguità spazio-temporale all’interpretazione di Roger Norrington, l’evento a cura di Berio è tutt’altro che un’esecuzione ‘storicamente informata’. V. infra, IV.1. 18 La King’s Music di Clifford Bartlett, ad esempio, si presenta come specializzata «in the provision and publication of facsimile or Urtext performing editions. Most of our output has originated from the requirement of professional baroque orchestras and ensembles» (www.kings-music.co.uk/index.htm, consultato nel maggio 2007). 19 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei zioni servono solo a dare un’idea del contesto in cui si cala il corpus di cui mi occuperò, limitato a gran parte delle versioni edite: EITNER 1881, D’INDY 1905, OREFICE 1909, MALIPIERO 1923, MALIPIERO 1930, BENVENUTI 1934, RESPIGHI 1935, ORFF 1940, BENVENUTI 1942, HINDEMITH 1943, MALIPIERO 1949, WENZINGER 1955, PODOLSKI 1966, MADERNA 1967, STEVENS 1967, BUCCHI 1968, TARR 1974, GALLICO 2004.19 I.2. Classificazione del corpus A questo punto si può tornare al problema che ci si poneva all’inizio, e cioè la classificazione della «miriade di versioni dell’OM». Abbandonando i termini ‘impure’ e ‘pure’ a favore, ad esempio, di ‘elaborazioni (ri)creative’ e ‘trascrizioni’, si può considerare, come ho già detto, la bipartizione di Nigel Fortune nel complesso valida; fatto salvo però che una cosa sono le intenzioni del revisore, un’altra il giudizio che possiamo avere oggi del suo prodotto: sicché il citato Barraqué, ad esempio, considerava l’esecuzione con gli strumenti prescritti da Monteverdi un «excès maniaque», MALIPIERO 1923 restituiva all’originario splendore la partitura – salvandola dai ‘disastri’ alla d’Indy – pubblicandone una riduzione per canto e pianoforte, il povero d’Indy era stato acclamato all’epoca dell’esecuzione del suo Orfeo per orchestra, tutto tagliato e in francese, come eccellente risuscitatore dell’arte antica… Una proposta di classificazione in base alle intenzioni del revisore si trova in STENZL 1989 (che si occupa della ricezione di Monteverdi in generale, non precipuamente dell’Orfeo). Questi innanzitutto opera una bipartizione cronologica che ha il suo asse intorno al 1960: 19 Restano escluse solo quelle di R. Leppard (1965), G. Schuller (1971), J. E. Gardiner (1980), C. Bartlett (1990), B. Lorentzen (1992), che non mi è stato possibile reperire e che comunque, come denunciano le date in cui sono venute alla luce, saranno a grandi linee assimilabili: trascrizioni integrali piuttosto corrette, con realizzazione del continuo, indicazioni strumentali e forse apparato critico (quella di Bartlett, spiega Jeremy Barlow, ha «editorial figures added to the bass line, but no chordal realisations or editorial instrumental indications in the music», JOHN 1992, p. 195). Ho consultato anche le ristampe anastatiche a cura di A. Sandberger (1927) e E. Schmierer (1998), di cui citerò le prefazioni. Sul criterio di scelta v. supra nell’introduzione e infra a fine capitolo. 20 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei Revisioni di compositori Prima del 1960 ca. Revisioni per l’esecuzione Revisioni di musicologi Revisioni di direttori Revisioni di musicologi Dopo il 1960 ca. Revisioni per incisione discografica Revisioni di direttori Il criterio che informa tale divisione, come risulta dallo schema qui sopra, si potrebbe definire ‘intenzionale’; il vantaggio, a prima vista, è che offre più obiettività rispetto ad un tentativo di catalogazione della poetica che guida il revisore: la decisiva prevalenza delle incisioni discografiche dagli anni ’60 in poi risulta evidente anche dalla tabella I.1, ed è stato più volte analizzato come il fenomeno early music sia fortemente legato al disco e al mercato discografico; e Stenzl, che tende a sottolineare già dal titolo l’ascendenza benjaminiana del suo studio, tematizza questo aspetto: Il Monteverdi che risulta dalla produzione discografica degli anni Cinquanta e Sessanta si distingueva da quello rappresentato in teatro solo per il fatto che, accanto alle revisioni dei direttori d’orchestra […], esistevano versioni in disco che non avevano alcun equivalente nella vita concertistica e operistica e che pertanto vanno considerate il Monteverdi realmente specifico dei mezzi di riproduzione tecnica. Con ciò intendo le revisioni dei musicologi, che rinunciano a un’‘orchestrazione’ tradizionale, ma nello stesso tempo non accettano l’impostazione di Wenzinger: quella di uno «storicismo con intenti ricostruttivi».20 La cultura musicale non si basa più su esecuzioni in sale da concerto e in teatri d’opera, che sono transitorie, ma su modelli di esecuzioni che si possono sempre riascoltare e che assumono una funzione normativa.21 È evidente pertanto che anche la divisione di Stenzl non è così obiettiva ma soffre anch’essa di ‘ideologia’: pone come unica discriminante il medium, à la McLuhan, e quello che gli preme sottolineare è il percorso compiuto da Monteverdi nella sua riscoperta moderna, da esplorato marginale a divo della early music in base al mutamento di paradigma della sua ricezione: Alla fine degli anni Sessanta il mutamento di paradigma è compiuto. Monteverdi è ora uno dei grandi compositori nell’ambito della early music, una personalità cen20 21 STENZL 1989, trad. italiana parziale, p. 171 (corsivi miei). Ibidem, p. 175. 21 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei trale di quel settore della cultura musicale, per il quale il disco rappresenta una conditio sine qua non.22 Sinceramente non me la sentirei di concordare con Stenzl sul fatto che la differenza stia solo nel medium; tanto più che le particolarità specificamente legate al disco che egli elenca per supportare la sua tesi non convincono pienamente: a) le trascrizioni non sono pubblicate – afferma –, ma valgono solo per un determinato interprete (questo avveniva anche per esecuzioni teatrali: si pensi a Erdmann-Guckel, Vito Frazzi, Harold Badger, etc.); b) non hanno il problema dei limiti di tempo (i quali non erano legati solo alla durata ‘giusta’ di uno spettacolo teatrale, ma erano anche imposti dal disco a 78 o a 45 giri, e dunque è una differenza all’interno dello stesso sistema mediatico); c) si rifanno all’idea commerciale di ‘autenticità’ (alla stessa idea si rifaceva, se pur con fini più culturali che di marketing anche un Malipiero rispetto ad un d’Indy).23 Pertanto, più che una netta cesura nei fini e nei mezzi, vedrei una sostanziale continuità di alcune linee di tendenza proprie della riproposta di Monteverdi da fine Ottocento in poi che si arricchiscono via via di ulteriori connotazioni (come può essere quella di ‘esecuzione modello’) grazie al cambiamento del medium prevalente, salvo restando che non si attua una sostituzione netta, ma permangono, accanto alle revisioni con finalità prettamente discografiche (Harnoncourt – pure non slegata all’occasione teatrale –, Jürgens, Pickett, Vartolo, etc.), anche quelle che diventano tali solo in seguito ad un’incisione live dell’evento teatrale che era la loro prima destinazione (Garrido, Jacobs–Brown, Savall, etc.), quelle che rimangono teatrali tout court (Glover, Norrington, etc.), quelle non indirizzate all’esecuzione ma alla scientificità editoriale (contraltare accademico, se vogliamo, dell’‘autenticità’ discografica: GALLICO 2004, o l’edizione, non ancora pubblicata, negli opera omnia a cura della Fondazione Monteverdi di Cremona). Una volta chiarito ciò, si noti che la classificazione di Stenzl suddivide i due macrogruppi ‘intenzionali’ in base all’identità del revisore: compositori, musicologi, direttori d’orchestra. La scomparsa dei primi dal gruppo delle revisioni con finalità discografiche è effettivamente sensata: finalità del compositore è ‘interpretare’ l’opera coi mezzi 22 23 Ibid., p. 175. Ibid., p. 176. 22 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei che gli sono propri, e cioè, in un sistema musicale ‘litteralista’,24 riscrivendo la partitura; ciò non toglie che dagli anni ’60 ci sono state le elaborazioni di Maderna e Berio, per tacere di altre.25 Inoltre, sempre per rimanere nel secondo macrogruppo, ci sono revisioni di musicologi per un particolare ensemble (come quella a cura dell’Università di Palermo e dell’Associazione «Antonio il Verso» per Gabriel Garrido), assimilabili a quelle che Stenzl definisce come compiute «da un interprete specialista, che dev[ono] rimanere riservat[e] a quest’unico interprete»,26 ma anche edizioni di musicologi per musicologi o musicisti qualsiasi che null’altro devono fare che acquistare la partitura. Quanto a ciò che accadeva prima degli anni ’60, l’epoca sceglie situazioni di confine particolarmente scivolose: si pensi al caso dei compositori che si comportano da musicologi (come Malipiero); a questo punto ci si ritrova, come accadeva con la classificazione di Fortune, ad assimilare secondo un criterio pur valido oggetti affatto diversi: sotto l’etichetta ‘revisioni ad opera di compositori’ si troverebbero pericolosamente accanto d’Indy e Malipiero, Respighi ed Hindemith, Maderna e Berio… Senza contare che l’edizione principale di Malipiero (1930) non era neanche strettamente ‘per l’esecuzione’; e tanto meno quella di Eitner in chiavi antiche… In conclusione, mi sembra evidente che una classificazione del corpus risulta comunque imperfetta poiché troppi sono i criteri che si possono di volta in volta scegliere come distintivi e troppi i casi particolari o contraddittori. Rimane piuttosto valida la strada che proponevo nei primi paragrafi, e cioè quella di evidenziare alcune tendenze: 1) una linea più rispettosa del testo monteverdiano, che si esplicita ora a) in trascrizioni in notazione moderna, senza tagli o specifiche di strumentazione, e con al massimo la realizzazione del continuo (intesa più come ‘guida alla lettura’ che come interpretazione), ora b) in esecuzioni con prassi esecutiva storicamente informata e strumenti con- 24 Per il concetto di ‘litteralismo’ nella cultura musicale occidentale cfr. ad esempio TREITLER 1986 e GIANNATTASIO 1998. 25 Nella biblioteca del Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano (segnatura P.GF.12.107) si trova ad esempio una elaborazione parziale (Toccata e Prologo) dell’OM, senza data (ma degli anni ‘80), ad opera di Valerio Rossi (all’epoca allievo della classe di composizione di Adriano Guarnieri presso l’Istituto); e chissà quanti altri si sono cimentati in simili esercizi la cui destinazione fu al massimo un saggio scolastico. (Per dare un’idea del tipo di lavoro riporto l’organico: Archi primi [6 vl. I, 4 vl. II, 2 va. I, 2 va. II, 2 vc., 2 cb.] – Archi secondi [idem] – Legni [2 fl., 2 ob., 2 cl., 2 fag., 1 cfag.] – Ottoni [2 cr., 4 tr. in do, 2 tbn. tenori, 2 tbn. tenor-bassi] – Percussioni [in 2 gruppi: 2 vibr., 2 glock., 2 timp., 2 arpe, 1 cel., 1 chit.]). 26 STENZL 1989, trad. parziale italiana, p. 176. 23 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei formi alle indicazioni del compositore; 2) un’altra linea più appropriativa, che tramite tagli, integrazioni, orchestrazione a) cerca di calare nel presente una partitura sentita come troppo lontana oppure b) semplicemente ne sfrutta i vuoti prescrittivi da ‘opera aperta’ per poterci ‘giocare’; entrambe le tendenze hanno ora fini divulgativi, ora archeologici, ora spettacolari, ora di studio, e si esplicitano di volta in volta in edizioni su carta o in esecuzioni. Sarà più fertile a questo punto entrare nel dettaglio del corpus ed operarne una descrizione comparativa; considerata la sua entità, ho scelto di occuparmi in modo specifico, come ho già detto nell’Introduzione, delle edizioni a stampa: ribadisco che si tratta di un criterio assolutamente opinabile, ma allo stesso tempo pratico e oggettivo; suo punto forte, a mio avviso, è che le edizioni a stampa, grazie alla loro potenziale (e spesso effettiva) diffusione sia cronologica sia geografica, vanno al di là dello studio di singoli eventi puntuali (come possono essere quelli basati su manoscritti prodotti all’uopo);27 diffusione che spesso ha fatto sì che le precedenti edizioni fossero conosciute e tenute in considerazione dai successivi revisori, con un effetto di moltiplicazione delle fonti di partenza ed intenti anche di superamento rispetto a ciò che i contemporanei28 avevano prodotto. Ma prima di affrontare da vicino il corpus cerchiamo di far luce sui motivi della sua consistenza: perché tanti Orfei? 27 Ribadisco che si tratta di una potenzialità che in alcuni casi viene contraddetta: ad esempio «il fatto che Maderna abbia pubblicato le sue versioni appare in verità del tutto secondario, che quei materiali depositati presso il suo editore siano di uso squisitamente personale è in lui più che verosimile» (CETRANGOLO 2000, p. 211). 28 Contemporanei in quanto abitatori del «secolo breve» (che, a differenza di quanto propone HOBSBAWM 1994, in storia della musica si tende a far cominciare nel 1880). 24 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei Data edizione, editore Revisore I esecuzione 1881, Leipzig: Breitkopf & Härtel (Publikationen älterer praktischer und theoretischer Musikwerke, 10) Robert Eitner 1905, Paris: Schola cantorum Vincent d'Indy (trad. francese sua; trad. tedesca H. Jalowetz, 1928; trad. portoghese del 1932) 25/02/1904 a Parigi, Schola cantorum (dir. V. d'Indy) 1909, Milano: Amici della musica Giacomo Orefice (1912 trad. inglese) 30/11/1909 a Milano, Conservatorio (dir. Amilcare Zanella) (1913) Hans Erdmann-Guckel (trad. tedesca sua) 8/06/1913 a Breslavia (Wrocław), Stadttheater (dir. H. Erdmann-Guckel) (1922) Hans Günther (solo atto II) Dresda 1923, London: Chester Gian Francesco Malipiero [canto e pf.] (trad. inglese di Robert Stuart) 11/05/1929 a Northampton (Mass.), Smith College (dir. Werner Josten) (1923); 1925 pubblicato il libretto, Mainz: Schott Carl Orff (trad. tedesca Dorothee Günther) [I versione] 17/04/1925 a Mannheim, National-Theater (dir. Werner von Bülow) 1927, Augsburg: Filser facsimile 1615 a cura di Adolf Sandberger GMBH (1928) Gian Francesco Malipiero [versione orchestrata] 5/12/1928 a Leningrado 1929, London: Oxford University Press (solo Vi ricorda, o bosch' ombrosi) Jack Allan Westrup (trad. inglese Robert L. Stuart) 7/12/1925 a Oxford, Oxford University Operatic Society (dir. William H. Harris) (1929) Carl Orff (trad. tedesca Dorothee Günther) [II versione] 10/12/1929 a Monaco, Residenztheater (dir. Franz Hallasch) 1930, Asolo (Claudio Monteverdi: tutte le opere, 11) Gian Francesco Malipiero (trad. francese J. Paillot, 1960) incisione del 1939, Milano, Teatro alla Scala, pubblicata nel 1940 in 12 78 giri nella collezione Musiche italiane antiche della EMI (prima incisione integrale dell’opera, dir. Ferruccio Calusio, partitura di Malipiero adattata per l’esecuzione da Giacomo Benvenuti), poi in LP nel 1964 e in CD nel 1979; ed. rimasterizzata Walhall, 2001 [1930], Milano: Ricordi Gian Francesco Malipiero [Sinfonie e ritornelli per orchestra esiste incisione RAI del 1951, dir. Vittorio Gui 25 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei d'archi] 1934, Milano: Ricordi (Classici musicali italiani) Giacomo Benvenuti (libr. adattato da Arturo Rossato) 26(o27?)/12/1934 a Roma, Teatro reale dell'Opera (dir. Tullio Serafin) 1935, Milano: Carisch Ottorino Respighi (libr. adattato da Claudio Guastalla; trad. ungherese V. Lányi, 1936) 16/03/1935 a Milano, Teatro alla Scala (dir. Gino Marinuzzi); esiste incisione CLAVES registrata a Lucca il 22/07/1984, Orchestra da camera lucchese (dir. Herbert Handt) e pubblicata nel 1995 (1936) Hans F. Redlich 10/02/1936 a Zurigo (1937) Ruggiero Guerlin, trad. fr. André Badet 29/07/1937 a Orange-Mornaz, Teatro antico (dir. R. Guerlin) 1940, Mainz: Schott; ristampato in Lamenti. Trittico teatrale liberamente tratto dalla opere di Claudio Monteverdi, Mainz: Schott, 1958 Carl Orff (trad. tedesca Dorothee Günther) [III versione, del 1939] 4/10/1940 a Dresda, Staatsoper (dir. Karl Böhm); esiste incisione 1972, dir. Kurt Eichhorn (rimasterizzata nel 2004 ARTS ARCHIVES) 1942, Milano: I classici musicali italiani Giacomo Benvenuti (1942) Paul Collaer (si basa su Malipiero 1930) 2/05/1942 a Bruxelles (dir. Paul Collaer); Robert Wangermée farà una revisione del lavoro di Collaer per un’esecuzione del 1960 a Bruxelles, Théâtre de la Monnaie (dir. Edgard Doneux), di cui esiste un video (1943) Vito Frazzi Cremona, Teatro Ponchielli (dir. Antonio Guarnieri); più celebre la sua ripresa al Maggio musicale fiorentino del 1949 (1943) edita [1953], s. l.: s. e. Paul Hindemith 1944 alla Yale University; prima esecuzione pubblica 3/06/1954, a Vienna, Redoutensaal (dir. P. Hindemith) (1949) Hans Striehl 1949 radiofonica, Solistenvereinigung des Berliner Rundfunks, Kammerorchester Berlin (dir. Helmut Koch); incisione Dicophiles français 1951, ora rimasterizzata Berlin Classics Documents, 2001 1949, Milano: Suvini Zerboni Gian Francesco Malipiero [versione scenica in 2 atti] (1950) Thurston Dart (si basa su Malipiero) 9/06/1950 a Cambridge, giardini del Girton College (dir. Th. Dart) (1950) [Hans Rosbaud] Aix-en-Provence, Arcivescovado (dir. Hans Rosbaud) (1952) [Walter Goehr] 6/06/1952 Londra, radiofonica (dir. Walter Goehr) (1955) Jean Barraqué e Maurice Le Roux agosto 1955, Festival di Aix-les-Bains (1955) Erich Kraack sicuramente 5/02/1961 a Wuppertal e nel ’71 al 26 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei Festival di Salisburgo (dir. Bernhard Conz) 1955, Kassel: Bärenreiter August Wenzinger Hitzacker, Sommerliche Musiktage; esiste incisione ARCHIV del 1955, la prima registrazione con strumenti antichi; ed. rimasterizzata 1997 (1957) Alceo Toni (si basa su Malipiero) 1/04/1957 a Milano, Piccola Scala (dir. Antonino Votto) (1957) [Emilio Tieri] Firenze, Giardino di Boboli (dir. Emilio Tieri) (1964) Giulio Cesare Brero maggio 1964 a Versailles (dir. Giianfranco Rivoli?) 1965, London: Faber Raymond Leppard 6/06/1965 a Cambridge, Arts Theatre (dir. R. Leppard) 1966, Bruxelles: Publications du Centre international des études de la musique ancienne, I/1 Michel Podolski (1966) [Ennio Gerelli] video RAI (dir. Ennio Gerelli) (1967) Harold Badger 2/10/1967 a Melbourne, Melba memorial conservatorium (dir. Harold Badger) (1967) Herbert Handt (nel 1984 inciderà l’elaborazione di respighi) 1967 a Oxford, Oxford Bach festival (dir. Herbert Handt) (1967) [Jakob Kobelt] 29/10/1967, a Zurigo, Tonhalle (dir. Jakob Kobelt) 1967, Milano: Suvini Zerboni Bruno Maderna (esiste anche una Suite inedita eseguita a Utrecht il 2/05/1969) 17/06/1967 ad Amsterdam, Théâtre Carré (dir. B. Maderna); ripreso nel ’91 a Montpellier 1967, London: Novello Denis Stevens 18/05/1967 a Lisbona, Teatro São Carlos (dir. Gianfranco Rivoli) 1968, Milano: Carisch Valentino Bucchi 1967 radiofonica, Orchestra della RAI di Milano (dir. Nino Sanzogno) (1968) [Nikolaus Harnoncourt] 1969, Concentus Musicus (dir. N. Harnoncourt), incisione TELDEC (rimasterizzata fino al 1992); poi 1976 a Zurigo, Ensemble Monteverdi dell’Opera di Zurigo, incisione TELEFUNKEN (ora DVD DG, 2007) (1969) [David Machado] Palermo, Teatro Massimo (dir. David Machado) [1971], Margun music Gunther Schuller 24/02/1971 a Boston, New England Conservatory Opera Theater (dir. G. Schuller) (1971) [Bernhard Conz] Salisburgo, Festival (dir. Bernhard Conz) (1971) [Lajos Soltesz] Nantes, Maison de la culture (dir. Lajos Soltesz) (1971) [?] in giapponese Tokio, Tokyo Chamber Orchestra (1972) [Byron Dean Ryan] febbraio, San Francisco, Spring Opera Theater (dir. Byron Dean Ryan) 1972, Farnborough: Gregg anastatica 1615 a cura di Denis Stevens 27 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei (1973) [Claudio Gallico] Verona e 9/09 Mantova, Teatro Accademico (dir. Claudio Gallico); anche 1990 a Mantova, Palazzo Ducale (1973) [Richard Divall] 2/07/1973 Melbourne, Victoria State Opera (dir. Richard Divall) (1973) [Lewis Jones] 10/12/1873 York, Lyons Concert Hall, University of York (dir. Lewis Jones) 1974, Paris: Castallat Edward H. Tarr 1967 incisione ERATO (dir. Michel Corboz); rimasterizzata 1985 (1974) [Jürgen Jürgens] 1974, Camerata accademica Hamburg, incisione nel 1995 ARCHIV; rimasterizzata (1975) [Jane Glover] (trad. inglese Anne Ridler) 18/02/1975 a Oxford, Offord University Opera Club (dir. J. Glover) (1976) [Ernst Märzendorfer] 1976, a Hellbrunn (1976) [Roger Norrington] (trad. inglese Anne Ridler) 3/06/1976 a Bath, Kent Opera (dir. R. Norrington) (1978) [Bruno D’Astoli] 1978 a Buenos Aires, Teatro Colón (dir. Bruno D'Astoli) (1980) [Philip Brett] 2/02/1980 a Berkeley, Herz Hall, University of California (dir. Philip Brett) (1980) Siegfried Heinrich [tenta ricostruzione ultimo atto sul materiale del balletto Tirsi e Clori] 1980, Bad Hersfeld, Abbazia locale (dir. S. Heinrich); esiste incisione TOL 1981 (1980) Nikša Bareza 1980 a Split (1980) [Claire Gibault] Lione, Opéra (dir. Claire Gibault); anche 1998 1980, London: Chester John Eliot Gardiner (trad. inglese Anne Ridler) 1969 a Londra, Henry Wood Promenade Concerts (solo I e II atto, in italiano); 1981 a Nottingham e Londra; incisione ARCHIV del 1987, English baroque soloists, in italiano (1982) [?] 4/02/1982 a Parigi, Palais de Chaillot (dir. Charles Ravier) (1983) [Nigel Rogers] 1984, Ensemble Chiaroscuro, incisione EMI (dir. Charles Medlam); rimasterizzata nel 1994 e nel 2005 (1984) [Roger Norrington] 18/06/1984 a Firenze, Palazzo Vecchio (dir. R. Norrington) (1984) Luciano Berio, Ludovico Einaudi, Luca Francesconi, Gennaro Urbani, Betty Olivero, Maurizio Dini Ciacci, Marco Stroppa 30/06/1984 a Firenze, Palazzo Pitti; ripreso nel 1985 a Colmar 1990, Redcroft: King’s Music Clifford Bartlett (1990) [Philippe Herreweghe] Anversa, Opéra des Flandres (dir. Philippe Herreweghe) 28 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei (1991) [Philip Pickett] 1991, New London Consort (dir. Ph. Pickett), incisione OISEAU-LYRE (1991) [Ingo Metzmacher] Montpellier, Opéra Berlioz (dir. Ingo Metzmacher) 1992, Copenhagen: Hansen Bent Lorentzen (ha scritto anche 3 Orfeo suite) (1992) [Andrew Parrott] Oslo, Festival d'été (dir. Andrew Parrott); anche 1992 a Beaune, Festival (1992) [Harry Bicket] Londra, Coliseum (dir. Harry Bicket) 1993, Firenze: Studio per edizioni scelte anastatica 1609 (1993) [Jan-Willem de Vriend] (1993) [Gwendolyn Toth] Lucerna, Stadttheater (dir. Jan-Willem de Vriend) 1993 a New York, Artek (dir. G. Toth), incisione LYRICHORD (1993) [René Jacobs] 1993 al Festival di Salisburgo, Concerto Vocale (dir. R. Jacobs), incisione HARMONIA MUNDI; esiste anche video del 1998, Bruxelles, Théâtre de la Monnaie (1993) [Jordi Savall] 1993 a Barcellona, Teatro del Liceu; video OPUS ARTE registrato ibidem, 31/12/2002, LeConcert des nations (dir. J. Savall) (1993) [Marc Minkowski] 7/11/1993 Nancy, Opéra (dir. M. Minkowski) (1994) [Howard Williams] Londra, Bach Festival (dir. Howard Williams) (1995) [Stephen Stubbs] Amsterdam, Opéra (dir. Stephen Stubbs); video OPUS ARTE 1997 (1996) [Nicholas Kok] Londra, Coliseum (dir. Nicholas Kok) (1996) [Gabriel Garrido] 1996 a Palermo, Teatro Massimo, Ensemble Elyma (dir. G. Garrido) (1996) [Corrado Rovaris] Torino, Teatro Carignano (dir. Corrado Rovaris) (1996) [Sergio Vartolo] 1996 incisione NAXOS; 2006 incisione BRILLIANT (1997) [Anthony Rolfe Johnson] Saint Louis, Opéra (dir. Anthony Rolfe Johnson); anche Londra, Coliseum 1999 (1998) [Thomas Hengelbrock] Vienna, Wiener Festwochen (dir. Thomas Hengelbrock) (1998) [Christopher Jackson] Sceaux, Les Gémeaux (dir. Christopher Jackson) 1998, Kassel: Bärenreiter facsimile 1609 a cura di Wolfgang Osthoff 1998, Laaber: Laaber Verlag facsimile 1609 a cura di Elisabeth Schmierer (1999) [Véronique Carrot] Losanna, Théâtre Municipal (dir. Véronique Carrot) (1999) [Ivor Bolton] Monaco, Festival (dir. Ivor Bolton) (1999) [Giovanni Antonini] Graz, Schauspielhaus (Styriarte Festival), Il 29 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 1. Quali e quanti Orfei Giardino armonico (G. Antonini) (2000) [Jean-Claude Malgoire] Saint-Quentin (dir. Jean-Claude Malgoire); anche 2001 a Parigi, Théâtre des Champs-Elysées e 2004, di cui esiste incisione DYNAMIC (2001) [Jeannette Sorrel] (in inglese) Apollo’s fire baroque orchestra (dir. J. Sorrel), incisione ELECTRA 2001 (2001) [Christoph Spering] 19/10/2001, Düsseldorf, Düsseldorfs Oper am Rhein, Ensemble NRW für Alte Musik (dir. Christoph Spering), incisione DEUTCHEN OPER AM RHEIN (2003) [Ottavio Dantone] 5/12/2003 a Brescia, Teatro Grande, Accademia bizantina (O. Dantone) (2003) [Emmanuelle Haïm] 2004, Le Concert d’Astrée (dir. E. Haïm), incisione VIRGIN 2004, Londra: Eulenburg Claudio Gallico usata come base per l’esecuzione nel 400° anniversario a Mantova, 24/02/2007 a Mantova, Teatro Bibiena, Concerto palatino (dir. Roberto Gini) (2004) [Antony Walker] Orchestra of the Antipodes (dir. A. Walker), incisione ABC (2006) [Claudio Cavina] 7/02/2006 a Milano, Ensemble La Venexiana (dir. C. Cavina), incisione GLOSSA 2006 (2006) [James Conway] (trad. inglese di Anne Ridler) 6/10/2006 a Londra, Hackney Empire, English Touring Opera (dir. J. Conway) Tabella I.1 Fonti: «ASOpéra» 2002 (molte lacune, non indica quale ed. viene usata ma il cast completo), WHENHAM 1986 (che ha errori e lacune, indica spesso la data precisa, la revisione utilizzata e il direttore ma non il cast), MADERNA 1985, REICHHART 1986, SCHNEIDER 1986, CARNOVALE 1987, JOHN 1992, http://perso.orange.fr/jean-claude.brenac/MONTEVERDI_ORFEO.htm). Il fondino grigio indica le revisioni pubblicate. 30 2. Il mito dell’Orfeo D’ailleurs, la question de la priorité importe peu; seuls, les premiers chefsd’œuvre sont les premiers inventeurs.1 On a écouté et admiré, à la Schola, de longs fragments d’une œuvre de Monteverdi. De Peri, Caccini, Gagliano, on n’en aurait pas supporté le quart ; pas même d’Emilio de Cavalieri ou autres.2 II.1. Nascita di un mito «Orfeo dal nome famoso», recita il più antico frammento greco in cui compare il nome del mitico cantore.3 Orfeo era già ‘famoso’ nel primo documento che ce ne parla, facendoci immaginare chissà quale secolare tradizione perduta, o perché disintegrata, o perché squisitamente orale. Lo stesso effetto producono i primi documenti non coevi dell’Orfeo. Il primo a trattare diffusamente l’opera è HAWKINS 1776 e le attribuisce senza indugio il primato: l’OM è la prima opera stampata (non è vero), non ci sono esempi di recitativo più antichi (non è vero), quindi Monteverdi è il padre dell’opera. BURNEY 1789, invece che trarre conclusioni affrettate da presupposti sbagliati, critica ciò che ‘si dice’, e cioè che Monteverdi è tanto superiore rispetto ai propri predecessori da poter essere considerato l’inventore dell’opera: egli confronta puntigliosamente l’Euridice di Peri con l’OM, trascrive esempi dell’una e dell’altro e si dichiara infine «unable to discover Monteverde’s superiority»; anzi elenca una serie di ‘errori’ di armonia e conduzione delle parti considerati come propri di una fase primitiva in cui si sperimenta a scopo effettistico e di cui molto è stato in seguito abbandonato.4 C’è da dire che la posi1 ROLLAND 1895, p. 79. MARNOLD 1904, p. 242. 3 Frammento di Ibico, VI sec. a. C. 4 Burney critica le quinte e ottave parallele, le settime non preparate e le anticipazioni dissonanti: queste ultime sono però definite da Giulio Caccini nella sua prefazione all’Euridice (1600) come proprie del 2 31 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo zione critica di Burney resta isolata fino alla riconsiderazione (postmoderna) del valore effettivo delle prime opere: l’articolo di Massimo Mila (1933) su Jacopo Peri, la prefazione all’edizione dell’Euridice ad opera di Enrico Magni Dufflocq (1934) e la sua incisione realizzata da A. Ephrikian5 sono i primi (e fino ad allora) unici lavori,6 secondo VACCHELLI 1968, a non considerare «il Peri e gli altri musicisti fiorentini, nel migliore dei casi, come iniziatori di un nuovo genere che essi avrebbero elaborato per primi, riuscendo però a realizzarlo solo allo stato di tentativo»7. E se ho avanzato tra parentesi l’epiteto di «postmoderno» – nell’accezione di riconsideratore della cultura non ritenuta ‘alta’8 – riferendomi all’atteggiamento che tende alla loro riabilitazione, questo mi è stato dettato dalla lettura dell’intervento di Nino Pirrotta in calce alla relazione di Anna Maria Monterosso Vacchelli: egli afferma che per vedere la grandezza di Monteverdi non bisogna rimpicciolire gli altri, anzi, se si dimostra che anch’essi sono artistici, tanto più esserne migliori è un pregio;9 il che non è altro che ribadire la superiorità di Monteverdi. A onor del vero la posizione dello studioso è molto più fine e si ricava da una conferenza che tenne nel 1963 alla Fondazione Cini di Venezia.10 Prendendo atto che «si tende a fare di Monteverdi non soltanto il sommo tra i musicisti del suo tempo, ma anche l’unico capace di vedere sempre giusto», Pirrotta dichiara un proposito «eretico»: calare Monteverdi nel suo contesto e vedere come la sua attività operistica «abbia radici nel suo tempo e ne condivida in parte le illusioni fallaci».11 Procede dunque ad un’onesta comparazione tra Euridice di Peri e OM, ne rileva le differenze e le comunanze, considerate giustamente come punti che Monteverdi ha voluto ricalcare: si tenga nuovo stile. Ma le cosiddette ‘storiche prefazioni’ sono di comprensione tutt’altro che univoca; per una loro rilettura critica cfr. GARGIULO 2000a. 5 Disco AVRS 5002/3. 6 In realtà c’è da aggiungere alla breve lista almeno PAOLI 1950. Recentemente è stato compilato un volume interamente dedicato all’Euridice di Rinuccini e dintorni, (DECROISETTE et alii 2001). 7 VACCHELLI 1968, p. 117. 8 Una esauriente disamina dei concetti di moderno e postmoderno in senso lato e in relazione al fenomeno early music è il capitolo Historical performance at the crossroads of modernism and postmodernism in BUTT 2002, pp. 125-164. 9 VACCHELLI 1968, p. 127. 10 Monteverdi e i problemi dell’opera, pubblicata in miscellanea nel 1971 (PIRROTTA 1963); a condividere in pieno la sua posizione e a ripercorrere questo intervento è CARTER 2002, pp. 1-16 (capitolo che intitola proprio Monteverdi and ‘the problems of opera’). 11 PIRROTTA 1963, p. 321. 32 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo presente che non si era ancora in un’epoca di novità a tutti i costi ma di perizia nel saper ricavare dai modelli ciò che li faceva tali. La valutazione dell’OM come prima vera opera artisticamente valida è dunque una costante che attraversa i contributi sull’argomento perlomeno dal Settecento, ma verosimilmente la tradizione di tale giudizio risale all’epoca delle sue prime rappresentazioni;12 c’è da dire però che anche l’Euridice di Peri circolò parecchio e chiaramente con successo se, dopo la prima esecuzione alle feste fiorentine per le nozze di Maria de’ Medici con Enrico IV di Francia nel 1600 e conseguente stampa della partitura, venne ristampata a Venezia nel 1608; e quella di Caccini, stampata sempre nel 1600, ebbe sorte analoga: ristampa veneziana del 1615 (stesso luogo e stesso anno della ristampa riveduta dell’OM). Il giudizio sull’OM però avrà la meglio e la doxa,13 la Fama greca che tanto spesso stravolge i fatti, lo trasformerà in pregiudizio; e se anche si era a conoscenza dell’Euridice (come ad esempio HAWKINS 1776)14 si dava comunque per scontato che l’OM fosse superiore (e che cosa sarà mai saltato in mente a Burney di confrontarle?). Vincent d’Indy possedeva il dizionario di CHORON–FAYOLLE 181115 e anche la traduzione francese della quarta edizione di quello positivista di Hugo Riemann,16 che immancabilmente recita: 12 È curioso però che Pietro della Valle, ad esempio, riferisca della Dafne, dell’Euridice, e dell’Arianna come delle prime buone opere del nuovo genere, e non citi l’Orfeo… (cit. in BURNEY 1789, II, p. 525). Per un elenco recente ed autorevole delle repliche dell’OM cfr. WHENHAM 2006. 13 Per eccesso di maniacalità preciso che per le traslitterazioni dal greco utilizzo i seguenti criteri: riproduco l’accento solo sulle parole ossitone, indico il segno di vocale lunga su eta e omega (tranne se accentate e tranne in caso di iota sottoscritto, es. traslittero ọ la omega con iota sottoscritto); per il resto seguo il protocollo ISO 843 1997 TR (così come pubblicato su http://transliteration.eki.ee, pagina aggiornata nel luglio 2005 in cui si può trovare una comparazione tra diversi protocolli di traslitterazione). 14 HAWKINS 1776, p. 525, ne constata addirittura la somiglianza «that is to say, it consists of airs and chorusses, with an intermixture of recitative» (si noti come la ‘strana’ opera, descritta in questo modo, sembri esattamente un melodramma della sua epoca, se non fosse che, come spiega poi unitamente alla trascrizione del duetto Apollo–Orfeo, recitativi e arie sono molto diversi: «a specimen of recitative music […] cannot at this day but be deemed a curiosity; as must also an air in one of the first operas ever composed», p. 526). Probabilmente le notizie sull’Euridice gli giungevano di seconda mano: se avesse avuto tra le mani la partitura si sarebbe accorto che era stata stampata prima dell’OM… 15 Che fa un po’ di confusione: «[Monteverdi] mit en musique en 1600 l’Ariane de Rinuccini, et son récitatif fut jugé supérieur à celui des compositeurs ses rivaux» (CHORON–FAYOLLE 1811, p. 63). 16 Cfr. l’interessantissimo catalogo dei libri posseduti dal compositore, ANDRIEUX 1933. 33 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo [Monteverdi] au temps de la formation du style musical moderne (1600), de la simple négation d’un Caccini, d’un Peri et d’autres, passa à l’acte positif de la création17 [Monteverdi, all’epoca della formazione dello stile musicale moderno (1600), dalla semplice negazione di un Caccini, di un Peri e di altri, passò all’atto positivo della creazione] e naturalmente l’Orfeo, sua prima opera, «réussit brillament»;18 e aggiunge: [il] se meut enfin dans une harmonie qui se rapproche beaucoup à celle des nos jours. 19 [si muove in un’armonia che si avvicina molto a quella dei giorni nostri.] II.2. I primi revisori II.2.1 Robert Eitner evoluzionista L’intento di Robert Eitner, come si legge chiaramente nella prefazione al primo volume della raccolta di trascrizioni parziali di opere Die Oper von ihren ersten Anfängen bis zur Mitte des 18. Jahrhunderts, è antologico. A proposito dell’Euridice di Caccini20 afferma: Man wird mich keiner Inkonsequenz zeihen, wenn ich von meinem bisher verfolgten und oft ausgesprochenen Grundsatze abgehe und die Opern nicht in ihrem ganzen Umfange mitteile. Ich will mich niht auf den Usus der Theaterfreiheit beziehen, die von jeher sich das Recht zugesprochen hat, die dramatischen Werke zu kürzen, sondern ich war von die Alternative gestellt: entweder einen kurzen Zeittraum zu wählen und aus diesem mehrere Opern vollständig mitzuteilen, oder eine längere Zeit ins Auge zu fassen und aus dieser das Beste teils vollständig, teils im Auszuge aufzunehmen. Da die Bestrebungen der Gesellschaft für Musikforschung sich nur um die historischen Interessen bewegen, so konnte ich nicht im Zweifel sein, welchen Weg ich einzuschlagen hatte, und werde daher die Opern in der Weise wiedergeben, dass der Leser ein vollständiges und übersichtliches Bild jeder Periode und jedes hervorragenden Werkes, soweit die Quellen zu beschaffen sind, erhält.21 [Non mi si tacci di incongruenza se ora mi discosto dai principi sin qui adottati e sovente espressi e non trasmetto l’opera nella sua interezza. Non voglio richiamar17 RIEMANN 1900, p. 531 (corsivo mio). Ibidem, p. 532. 19 Ibid., p. 531. 20 «Non si parla del Peri perché il suo primo lavoro di tal genere [«l’opera, che solo più tardi si chiamò così»], la Dafne, non è conservato, e il secondo, l’Euridice, edito da G. G. Guidi di Firenze di recente, 1863, è consultabile da tutti (prezzo 3,20 Marchi)» (Einleitung a EITNER 1881, col. 12). 21 Ibidem, coll. 12-13. 18 34 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo mi alla libertà in uso nel teatro, dove chiunque si è arrogato il diritto di abbreviare i drammi, ma mi si è posta un’alternativa: scegliere un lasso di tempo breve e informare con completezza su più opere, ovvero abbracciare un periodo più lungo dal quale ricavare il meglio in forma completa o riassunta. Dato che gli sforzi della Gesellschaft für Musikforschung convergono unicamente sull’interesse storico, non ho dubbi sul percorso da prendere, e riferirò in modo che il lettore abbia un quadro completo e chiaro di ogni periodo, di ogni opera importante nonché delle fonti.] Egli era infatti convinto che la storia della musica avesse un’imperdonabile lacuna da colmare, quella della conoscenza precisa della produzione dei primi secoli (non è chiaro da quando);22 conoscenza che si attua, prima ancora che a livello biografico-critico, passando in rassegna gli antichi capolavori.23 A differenza di quanto fa negli altri casi, Eitner ritiene opportuno riprodurre l’OM quasi integralmente: Bei der Bedeutung, die Monteverde’s Oper den übrigen gegenüber einnimmt, fand ich es für notwendig, die ganze Oper zu veröffentlichen und sind davon nur einige unwichtige Stellen ausgeschlossen, um den Raum für andere Leistungen nicht allzusehr zu bescränken.24 [Vista la superiorità dell’opera di Monteverde rispetto alle altre, ho ritenuto opportuno pubblicare tutta l’opera escludendo solo alcune parti insignificanti così da lasciare spazio ad altri lavori.] E a più riprese ne postula la superiorità avveniristica: Monteverde die neue Form und zwar in mannigfachen Versuchen zu seinem Eigenem machte und sie zu erweitern bestrebt war. Vergleichen wir z. B. die Euridice von Peri oder Caccini vom Jahre 1600 mit dem Orfeo von Monteverde vom Jahre 1607, so tritt der ungeheure FOrtschritt recht auffallend ins hellste Licht. Dort noch der schnüchterne Versuch, hier bereits die Ansätze zur späteren Form der Oper, dort die fast ununterbrochen fortlaufenden Recitative, hier eine immerwährende Abwechselung in der musikalischen Darstellung.25 [Monteverde si appropriò in vario modo della nuova forma e si adoperò per ampliarla. Confrontiamo ad esempio l’Euridice del Peri o del Caccini del 1600 con l’Orfeo di Monteverde del 1607: salta agli occhi l’enorme progresso già fatto. Là 22 A questo proposito cito un’interessante elucubrazione di Eugène Borrel: «Armide de Lulli, une suite de Bach appartiennent bien à la catégorie dénommée musique ancienne. Mais un motet de R. de Lassus, une séquence d'Adam de Saint-Victor, un graduel du VIe siècle, l'Hymne à Apollon, font-ils partie, eux aussi, de la musique ancienne? Cruelle énigme! Ou y a-t-il une musica antiquissima?» (D’INDY 1927, p. 133). 23 Il pensiero di Eitner si può leggere nei «Monatshefte für Musik-Geschichte» che pubblica dal 1869 al 1905. I concetti che ho riportato si trovano nel n. 2 (1870), p. 81 e nel n. 21 (1889), p. 1, e sono citati in traduzione inglese da OCHS 1992, p. 1217. 24 Einleitung a EITNER 1881, col. 18. 25 Ibid., coll. 10-11 (corsivo mio). 35 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo ancora un timido tentativo, qui già i presupposti della futura forma dell’opera; là il recitativo continuo quasi ininterrotto, qui il continuo variare della rappresentazione musicale.] Vergleicht man dagegen die beiden Kompositionen, so sollte man meinen Monteverde’s Orfeo müsse ein Jahrzehnt später komponiert sein als Gagliano’s Dafne. Dies bestimmte mich den Monteverde nach Gagliano folgen zu lassan. Was bei Caccini und Gagliano erst in Keime vorhanden ist und in schüchternen Versuchen sich kundgiebt, das stellt Monteverde mit kühner Hand hin und zeichnet mit klaren Umrissen seinen Zeitgenossen die Form vor, in der sich die Oper bewegen und entwickeln kann. Wir finden im Orfeo alle Momente der künftigen Oper vor, von der Instrumental-Einleitung ab bis zum Schlussatze, wenn auch in kleinen Verhältnissen und bescheidenen Ansprüchen. Selbst die dreiteilige Form bricht sich hier und da schon Bahn […]. Auch die grosse Bravour-Arie ist bereits vorhanden …26 [Se si confronta [l’OM (1607) con la Dafne di Marco da Gagliano (1608)], si è portati a pensare che l’Orfeo sia stato composto un decennio più tardi e ciò mi ha convinto a posporlo all’opera di Gagliano. Il Monteverde addita con mano felice ciò che nel Caccini e nel Gagliano esiste in forma embrionale e sotto forma di timidi tentativi, e prefigura ai suoi contemporanei la forma in cui l’opera si può muovere ed evolvere. Nell’Orfeo incontriamo, anche se in piccolo e con modeste pretese, tutti i momenti dell’opera futura, dall’introduzione strumentale al brano conclusivo. Qua e là comincia a frasi strada la forma tripartita […], è già presente la grande aria di bravura [«Possente spirto»] …] Pare dunque che la superiorità dell’OM risieda, per Eitner, nella sua evoluzione rispetto alle altre, e cioè che la superiorità estetica derivi dall’essere avanti rispetto ai tempi, dall’essere un’opera progressiva – decisamente in linea con l’evoluzionismo del secondo Ottocento. Lo stesso atteggiamento valutativo permane quando l’analisi passa dalla macroforma (quel «continuo variare» così moderno) ai particolari tecnici: Ì Le anticipazioni dissonanti: Er greift hierbei seiner Zeit um ein bedeutendes vor, denn erst am Ende dieses Jahrhunderts wird diese Ausdrucksweise zum Allgemeingut, in der sich Vorhalt an Vorhalt reiht, reichlich versehen mit vorausgenommenen, sogenannten antizipierten Tönen. [Egli anticipa di molto i suoi tempi, infatti è solo alla fine del secolo che questo modo espressivo diverrà patrimonio comune, dove a ritardo segue ritardo, con abbondanza di suoni scritti in anticipo, le cosiddette anticipazioni.] Ì L’accordo di quarta e sesta: Monteverde nur selten den Bass beziffert; allerdings findet sich nur hier un da eine 4 oder eine 4 6 eingezeichnet und ist damit jedesmal der Quartsextakkord gemeint.27 26 27 Ibid., coll. 16-17. Ibid., coll. 17-18. 36 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo [Monteverde numera raramente il basso; comunque di quando in quando troviamo segnata una 4 o una 4 6, che stanno a significare un accordo di quarta e sesta. Questa presenza merita rispetto per la storia dell’armonia.] Ì Successioni di triadi per gradi congiunti: Lebbaft erinnerte mich manche Akkordfolge an Richard Wagner, der es auch liebt tonische Dreiklänge unvermittelt aneinander zu reihen.28 [Mi ricordava alcune sequenze di accordi in Richard Wagner, che ama a sua volta infilare una all’altra triadi di tonica consecutive.] II.2.2. «Non ci ricorda Wagner?»29 Ecco Wagner, immancabile punto di riferimento rimbalzato in un inseparabile odi et amo: si paragona Monteverdi a Wagner per esaltarne la modernità e allo stesso tempo ci si rifugia in Monteverdi per sfuggire a Wagner. Il declamato continuo del recitativo,30 i ritornelli-interludi strumentali, addirittura si possono evidenziare rimandi tematici, per non parlare delle affinità di poetica; a questo proposito è emblematico il paragrafo di ROLLAND 1895 intitolato Le premier théâtre d’opéra. Comparaison des théories d’Emilio del Cavalliere avec celles de Gluck et Wagner, in cui il fondatore della cattedra di Storia della musica alla Sorbona riassume la prefazione alla Rappresentazione di Anima e di Corpo e compara «ces idées à celles de Wagner, sur le théâtre de Bayreuth»: [1] La salle ne doit pas contenir plus de mille spectateurs, commodément assis, dans le plus grand silence … [2] Le nombre des instruments doit être proportionné au lieu du spectacle. L’orchestre est invisible, caché derrière la toile … [3] L’acteur cherchera à acquérir une perfection absolue dans la voix, le physique, les gestes, la démarche, les pas mêmes […], il aura bien le soin de prononcer distinctement les paroles […], les choeurs ne se croiront pas dispensés de jouer … [4] Les représentations ne passeront pas deux heures […] Trois actes suffisent, et l’on veillera à y semer de la variété […] Il sera bon d’entremêler les soli et les choeurs […], d’introduire des ballets, des intermèdes (quatre par pièce), des pantomimes … Gluck et Wagner ont bien peu ajouté à ces règles …31 28 Ibid., col. 15. Ibid., col. 18. 30 Naturalmente il termine ‘recitativo’ nell’OM, come ha brillantemente spiegato Claude Palisca (1995), è altamente riduttivo: sotto questa etichetta, oltre al recitativo propriamente detto, si affastellano infatti stili affatto diversi, e in particolare l’‘aria’ (intesa in senso antico come uno schema melodico su cui intonare dei versi) e il madrigale, cui si affiancano le più riconoscibili ‘canzonette’ o simili generi danzerecci. È da segnalare che già CESARI 1910 auspicava «uno studio interessante da fare che ci condurrebbe a distinguere meglio fra la canzone a ballo e l’aria stilizzata dai cantanti-compositori» (p. 143). 31 [Queste idee a quelle di Wagner sul teatro di Bayreuth] ROLLAND 1895, pp. 81-82. 29 37 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo [(1) La sala non deve contenere più di mille spettatori, seduti comodamente, nel massimo silenzio … (2) Il numero di strumenti deve essere proporzionato al luogo dello spettacolo. L’orchestra è invisibile, nascosta dietro la tela … (3) L’attore cerchi di acquisire una perfezione assoluta nella voce, nel fisico, nei gesti, nell’andatura …, avrà cura di pronunciare distintamente le parole …, i cori non si credano dispensati dalla recitazione … (4) Le rappresentazioni non supererino le due ore … Tre atti sono sufficienti, e si abbia cura di introdurvi la varietà … Si alternino i soli e i cori …, si introducano balletti, intermedi (quattro per opera), pantomime … Gluck e Wagner hanno aggiunto ben poco a queste regole …] Restringendo il campo su Monteverdi, Romain Rolland, nel capitolo successivo, dedicato al cremonese, lo compara a Wagner e rileva punti di contatto e differenze sostanziali, fatto salvo che il reste entre l’un et l’autre, la distance du dix-septième au dix-neuvième siècle, et d’une langue sobre, simple et abstraite, à une langue raffinée et précise jusqu’à la subtilité.32 [rimane tra i due la distanza dal XVII al XIX secolo, e da un linguaggio sobrio, semplice e schematico a uno raffinato e preciso sino alla sottigliezza.] Monteverdi differisce da Wagner sostanzialmente dans sa conception de l’art dramatique. Il n’a pas de prétentions philosophiques, et l’objet de son drame musical n’est pas une conception du monde, mais purement et simplement l’homme.33 [nella sua concezione dell’arte drammatica. Non ha pretese filosofiche, e l’oggetto del suo dramma musicale non è una concezione del mondo, ma puramente e semplicemente l’uomo.] Suo protagonista è «l’homme moyen et pondéré, dont le coeur est parent du nôtre»,34 non l’eroe; ed è proprio il rifiuto di soggetti inutilmente soprannaturali e la capacità di esprimere le emozioni umane a dettare il successo di Monteverdi che si fonda sugli stessi mezzi wagneriani: Il est curieux de remarquer que c’est au nom de cette même mélodie, affranchie des règles, obéissant au seul mouvement des passions («la Mélodie de la forêt»), que Wagner, comme Monteverde, fit sa révolution et se heurta aux mêmes critiques.35 32 Ibidem, p. 100 (nota 5). Ibid., pp. 96-97. 34 [L’uomo medio ed equilibrato, il cui cuore è simile al nostro] Ibid., p. 97. 35 Ibid., p. 96. 33 38 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo [È curioso evidenziare che è in nome di questa stessa melodia, libera dalle regole, che ubbidisce al solo moto delle passioni («la Melodia della foresta»), che Wagner, come Monteverde, fece la sua rivoluzione e si scontrò con le medesime critiche.] Quali sono questi mezzi: [1] L’orchestre derrière la scène; [2] l’idée de l’instrumentation représentative d’un caractère; [3] le sentiment de la puissance expressive des timbres […]; [4] la recherche des effets nouveaux pour l’orchestre; [5] l’abus même de certains procédés;36 [6] mais surtout l’amour de la vie et l’intuition des âmes; [7] le bonheur avec lequel ils excellent à peindre d’une touche rapide les caractères individuels […]; – autant de traits communs qui rapprochent le premier maître du drame lyrique, du dernier et du plus puissant.37 [(1) L’orchestra dietro le quinte; (2) l’idea della strumentazione che rappre3senta un carattere; (3) il sentimento della potenza espressiva dei timbri …; (4) la ricerca di nuovi effetti orchestrali; (5) l’abuso stesso di alcuni procedimenti; (6) ma soprattutto l’amore per la vita e l’intuizione degli animi; (7) la felicità con cui eccellono nel dipingere con una pennellata rapida i singoli caratteri …; – tanti tratti comuni avvicinano il primo maestro del dramma lirico all’ultimo e più straordinario.] Dunque poetiche diverse ma realizzate con procedimenti affini e destinate a reazioni ricettive simili; è, dopotutto, la solita storia del genio che crea una cesura col passato e dopo un insuccesso scandaloso si impone come modello per innumerevoli epigoni: «les choses restent éternellement les mêmes».38 L’assimilazione di Monteverdi e Wagner è, se vogliamo, un inquadramento categoriale: per raccontare un genio lontano lo si paragona al più attuale; e infatti è sempre il primo che viene paragonato al secondo, non si postula una discendenza di Wagner da Monteverdi: A ce trait, on reconnaît encore l’artiste de la race de Wagner …39 [Ecco che si riconosce ancora l’artista della razza di Wagner …] Leggendo tali affermazioni risulta chiaro che tacciare di antiwagnerismo tout court i movimenti di riscoperta del repertorio antico che sorgevano a Parigi (e non solo) è quantomeno impreciso: si recuperavano certo il gregoriano e la polifonia secondo un’estetica del ritorno al naïf, alla clarté, all’esprit de finesse, da contrapporre all’eccesso wagneriano (il ‘troppo complicato’) e italiano-verista (il ‘troppo popola36 Interessante questa condivisione di tratti nel bene e nel male; in nota si specifica: «Par exemple, le trémolo. Voir Combattimento di Tancredo [sic]. Cf. second acte de Lohengrin» (nota 4, p. 100). 37 Ibid., p. 100. 38 [Le cose rimangono eternamente le stesse] Ibid., p. 96. 39 Ibid., p. 99. 39 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo re’),40 ma in molti casi questo avveniva all’insegna del già sottolineato odi et amo: quando Charles Bordes, direttore degli Chanteurs de Saint-Gervais, si associava al Vincent d’Indy della Schola cantorum, il tutto sotto l’egida di Romain Rolland, non si può certo dire che fosse una combriccola di antiwagneriani; la loro attività di recupero dell’antico si svolgeva all’insegna del ritorno alle origini per rinnovare la musica presente e futura, ma senza rinnegare quella passata, semmai denigrando gli epigoni, ma sempre venerando il grande Wagner. Diversa è la questione se ci spostiamo in Italia: il nazionalismo fervido a partire dagli anni ’10 del Novecento ha gli stessi nemici delle associazioni indipendenti francesi (eccesso germanico e verismo popolare) e gli stessi fini (rinnovare la musica presente e futura ripescando nell’antico e incorrotto);41 ma, a differenza di un d’Indy, i protagonisti della crociata, ad esempio un Malipiero, non si ‘contaminano’ col nemico: «non si è mai visto ristaurare [sic] un affresco di Giotto ridipingendolo come un Paolo Veronese»42. D’Annunzio, nel Fuoco, è chiarissimo: Nulla è più lontano dall’Orestiade quanto la tetralogia dell’Anello: penetrarono assai più profondamente l’essenza della tragedia greca i fiorentini di Casa Bardi.43 Ne derivano un’elaborazione dell’OM a cura di d’Indy che è un’assimilazione nella propria poetica e con sonorità tardoromantiche, e un’edizione a cura di Malipiero che è il lavoro di un amanuense inginocchiato.44 Che cosa pensava Wagner di tutto ciò? Nei suoi scritti non compare mai il nome di Monteverdi.45 Tuttavia non sarebbe corretto affermare con PANNAIN 1964 che per 40 Per questi concetti cfr. NICOLODI 1991. Quanto l’‘eccesso’ in Wagner sia una categoria ricettiva nata a fine Ottocento e quanto sia invece una qualità ‘oggettiva’ del suo teatro musicale è un altro discorso: in questa sede ci interessa entrare nell’ottica dei protagonisti dell’OM renaissance, e pertanto accettare i loro giudizi come testimoni di un contesto musicale. 41 «Un’evoluzione musicale, cioè una rivendicazione del nostro passato» (MALIPIERO 1920, p. 13). 42 MALIPIERO 1984 (Per un istituto di studi monteverdiani, 1943), p. 159. C’è da dire che Malipiero vedeva anch’egli – però con orrore – nella musica di Monteverdi terra fertile per le interpretazioni tardoromantiche, quando afferma che la sua musica religiosa «per il suo carattere si presta alle grandi sonorità wagneriane» (MALIPIERO 1966, p. 110). 43 D’ANNUNZIO 1900, p. 651. 44 Sull’approccio negativo, la ricerca di frattura di Malipiero nei confronti del mondo musicale cfr. PESTALOZZA 1977 e il dibattito che segue l’intervento; sul suo rapporto ‘religioso’ e ‘medianico’ con Monteverdi cfr. MALIPIERO 1967 e il commento di BARBLAN 1977. 40 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo questo motivo «forse lo ignorava del tutto» («eppure», aggiunge, « proprio il Monteverdi, nell’armonizzare parole e suoni, crea un corpo drammaticamente vivo che ha tanta spirituale affinità con quello al quale lui, Wagner, tendeva»).46 Immagino che Pannain avanzasse il suo dubbio sulla scorta della lettura di Oper und Drama nella traduzione di Luigi Torchi del 1929; alle pp. 35-37, nel capitolo L’opera e l’essenza della musica, a proposito della nascita dell’opera come unione di aria, ballo e recitativo, Wagner illustra che il recitativo non è un’invenzione operistica «portatavi dal desiderio di seguirvi un intendimento drammatico», in quanto «molto prima che questa maniera di parlare fosse introdotta nell’opera la Chiesa cristiana se ne era servita per far recitare i versetti della Bibbia» con un carattere «indifferentemente melodico più che espressivo»: Torchi ne dedusse che Wagner non doveva conoscere le prime opere, ma solo il recitativo stilizzato dei decenni successivi, e pertanto si ritiene in dovere di inserire in una nota a piè pagina esempi dall’Euridice di Caccini, dall’OM (nell’edizione di Eitner) e del Giasone (1649) di Cavalli, affinché il lettore potesse giudicare come «il recitativo delle prime opere italiane del 1600 si eleva talora ad espressioni drammatiche mirabili. […] E non si può negare, a meno di non negare la storia, che questa forma musicale fosse usata con intendimenti drammatici: lo affermano gli stessi compositori nelle prefazioni delle loro opere». La cosa certa è che i contemporanei non esitarono a paragonare Wagner al cremonese: Wilhelm Ambros, dopo aver assistito, nel febbraio 1874, ad un’anteprima per pochi intimi del primo atto della Valchiria, definì l’autore un «modernen Monteverdi».47 II.2.3. Rolland, d’Indy e il biografismo Tornando alle ragioni della scelta dell’OM, secondo Romain Rolland il segreto del successo e la superiorità di Monteverdi rispetto ai fiorentini risiedono nella sua poetica ‘realista’, la cui forza trova fondamento nelle vicende umane del compositore, e nella sua vena ‘colorista’, che lo pervade per influsso ambientale: 45 Ho interrogato con i lemmi Monteverdi e Monteverde il di Wagner (WAGNER 2004) e non risulta nessuna occorrenza. 46 PANNAIN 1964, p. 111. 47 Notizia esposta in GREGOR-DELLIN 1983, p. 726. 41 CD-ROM in cui sono digitalizzati gli scritti F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo [il] est différent de Peri et Caccini, de toute la distance qui sépare un artiste vénitien d’un artiste florentin. Il est de la race des coloristes, de Titien et de Gabrieli.48 [è differente da Peri e da Caccini con tutta la distanza che separa un artista veneto da uno fiorentino. È della stirpe dei coloristi, di Tiziano e di Gabrieli.] (Naturalmente Monteverdi all’epoca dell’Orfeo non era ancora a Venezia, ma sia Cremona sia Mantova si trovavano assai vicine al confine colla Repubblica Serenissima e piuttosto distanti da Firenze…). Passando oltre questo commento ingenuo – il fatto che nell’OM ci siano indicazioni strumentali non significa che le opere dei fiorentini non potessero essere orchestrate in modo altrettanto affascinante –, torniamo al punto più argomentato dal musicologo francese: il difetto degli esperimenti fiorentini era la loro esclusività aristocratica, la loro natura di gioco colto: Ce beau spectacle […] était exclusivement princier; son aristocratique perfection l’éloignait de la vie commune et de l’âme populaire, sans laquelle on ne bâtit rien de fort. […] Ce n’était pas un besoin, c’était un calcul intelligent de l’esprit.49 [Questo bello spettacolo … era esclusivamente principesco; la sua perfezione aristocratica lo allontanava dalla vita comune e dall’anima popolare, senza la quale non si può costruire nulla di forte … Non era un bisogno, era un calcolo intelligente dello spirito.] Non starò a puntigliare sul fatto che l’Accademia degli Invaghiti per la quale si rappresentò la Prima dell’OM era un circolo ancora più esclusivo del pubblico degli spettacoli fiorentini per il matrimonio principesco del 1600; è più fertile seguire Rolland nella sua tesi che «un art n’est populaire que lorsqu’il a un caractère de necessité passionnée, ou tout au moins d’expression spontanée de la nature».50 Per dirla con Malipiero, «egli vuole esprimere soltanto le passioni umane»:51 48 ROLLAND 1895, pp. 85-86. Rolland conosceva le prime opere dall’edizione di Eitner (1881), e non aveva capito che l’OM vi era trascritto quasi integralmente e le altre solo antologisticamente; tant’è, egli ritiene che per constatare «les belles sonorités, les sensualités de la forme, l’abondance de verve» dell’opera monteverdiana «de simples chiffres son déjà instructifs. Dans l’édition allemande de R. Eitner, tandis que la musique de l’Euridice de Caccini tient seulement 41 pages, et celle de la Dafné de Gagliano 38 seulement, l’Orfeo de Monteverde en compte plus de 110, et il abonde en chœurs, en sinfonie très développées, en danses mêlées à l’action. La partie musicale l’emporte de beaucoup sur la partie purement dramatique» (Ibidem, nota 1). 49 Ibid., p. 83. 50 [Un’arte non è popolare finché non ha un carattere di appassionata necessità, o perlomeno l’espressione spontanea della natura] Ibid., p. 83. 51 MALIPIERO 1930a, p. 35. 42 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo Monteverde revendique les droits des sens et de la libre musique […] ; il veut qu’elle n’écoute plus que les mouvements de son coeur. [Monteverde rivendica i diritti dei sensi e della musica libera … ; vuole che essa non ascolti che i moti del suo cuore.] E grazie a ciò «ses efforts ont amené la création du premier théâtre de musique pour le peuple» (il salto logico è solo apparente: bisogna tener presente che nella sua opera, proprio perché basata sulla sincerità e naturalezza delle passioni lungi da esperimenti cervellotici «on sent […] un peu de l’âme populaire»).52 Fin qui Rolland sembra attribuire a Monteverdi semplicemente una poetica di sincerità affettiva desunta dal successo popolare e (probabilmente) dall’analisi della musica del compositore. Ma ecco dietro l’angolo affacciarsi la spiegazione biografica di tale perizia: Il n’est plus un artiste de salon, un virtuose de cour, abrité du monde réel par la sécurité de sa vie et le caractère désintéressé, presque inutile, de ses recherches. Monteverdi a vécu ; il a connu la souffrance et les amertumes de la lutte ; il s’est débattu contre la misère ; il a été frappé dans ses affections les plus chères, et on trouve dans sa musique l’écho de ses propres douleurs.53 [Non è più un artista da salotto, un virtuoso di corte, al riparo dal mondo reale grazie alla sicurezza della sua vita e all’atteggiamento elitario, quasi inutile, delle sue ricerche. Monteverdi ha vissuto; ha conosciuto la sofferenza e l’amarezza del lutto; ha combattuto contro la miseria; è stato sconvolto nei suoi affetti più cari, e i suoi dolori riecheggiano nella sua musica.] L’Orfeo, naturalmente, porta evidenti tracce della sofferenza dell’autore: la malattia e la morte della moglie Claudia nel 1607, sembrano emergere da «cette belle partition, dont tant de pages ont un caractère si personnel. La sombre gravité des symphonies infernales, les cris de douleur d’Orphée …».54 52 [I suoi sforzi hanno portato alla creazione del primo teatro musicale per il popolo // riecheggia l’anima popolare] ROLLAND 1895, p. 84. 53 Ibid., p. 87 (corsivo mio). 54 [Questa bella partitura, in cui tanti passaggi sono così distintamente caratterizzati. La cupa gravità delle sinfonie infernali, il grido di dolore di Orfeo …] Ibid., p. 87, nota 2. La tradizione vuole che direttamente ispirato dalla morte della moglie (settembre 1607, l’Orfeo risale alla primavera, durante la malattia di Claudia) sia il Lamento d’Arianna (cfr. ad es. ROLLAND 1904, p. 3). MALIPIERO 1930a, pp. 17 sgg., irride queste leggende storiografiche ottocentesche frutto delle ricerche d’archivio del tutto slegate dalla conoscenza della musica: «Quantunque dunque tutti i biografi siano convinti che dopo la morte di Claudia, sua moglie, il Monteverdi abbia condotto una vita castissima (le lettere amorose difficilmente vanno a finire negli archivi di Stato) non c’è musicista più sensuale di lui. Sensualissima è gran parte della sua musica e spesso quasi lascivi i versi che preferiva» (p. 24). 43 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo A questo punto si potrebbe obiettare che l’imitazione delle passioni in musica è elemento proprio della poetica della Camerata de’ Bardi, ma Rolland evidenzia subito la differenza: «Monteverde oppose deux écoles», quella fiammingo-contrappuntistica («dont l’idéal est la perfection de l’harmonie»), e quella madrigalistico-monodica (che «met tout son effort à la perfection de la mélodie […] et lui soumet l’harmonie»), in cui «la poésie […] siège à la première place […], mais par sa seule raison»; la sua è invece una ‘terza via’ la cui essenza è «l’observation et l’‘imitation’ des passions (non pas seulement de la parole passionée)», dove dunque la musica, a differenza che nei madrigali e nella monodia aurorale, «ne s’attache pas servilement au texte, mail elle lit au fond de sa pensée» e, wagnerianamente, «tient compte ‘de son passé et de son avvenir’ […], c’est à dire de son caractère général ; et nous voici bien près du leit-motiv [sic] moderne, où se résume une âme, que l’on voit vivre et se transformer au cours d’une action dramatique».55 Al di là delle fioriture romantiche, ritengo che non si possa che essere d’accordo con Rolland: gli elementi cruciali che motivano la scelta dell’OM da parte della «miriade di revisori» novecenteschi a scapito delle altre ‘prime opere’ sono: a) i numerosi ritornelli strumentali, che rompono la continuità dei recititativi e degli ariosi decisamente lontana dal gusto moderno: lontana non tanto per l’assenza di una struttura a numeri chiusi (perlomeno in senso classico) a favore di un declamato continuo, di cui anzi il gusto wagneriano non poteva che godere (altro motivo della percepita vicinanza dell’OM al compositore-mito), quanto per la mancanza di quel tessuto orchestrale senza il quale l’opera di Wagner non starebbe in piedi;56 b) il carattere popolare di Monteverdi, non nel senso classista («Il en appelle d’ailleurs au peuple contre l’élite»),57 né valutativo al ribasso (‘pop’), ma di notorietà, di fama, di successo, che ha fatto sì che quando si scelse di riesumare i lavori musicali del passato si iniziasse da quelli degli Autori, la cui conoscenza (ancora legata alla fama e non alle opere) si era tramandata indissociabi55 [Non si attacca servilmente al testo, ma legge in fondo al suo pensiero // tiene conto ‘del suo passato e del suo avvenire’ …, cioè del suo carattere generale; siamo molto vicini al Leitmotiv moderno, nel quale si riassume un’anima che vediamo vivere e trasformarsi nel corso dell’azione drammatica.] ROLLAND 1895, pp. 92-95. 56 Di questo era consapevole anche Malipiero (pur strenuo avversario di ogni elaborazione libera di Monteverdi). Che la differentia specifica dell’OM dall’Euridice di Peri stia nei ritornelli è stato rilevato da VACCHELLI 1968, p. 120 (che non ne trova altre sostanziali). 57 [Si richiama d’altronde al popolo contro l’élite] ROLLAND 1895, p. 84. 44 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo le dal valore attribuito loro; cosicché quando si trattò di eleggere la ‘prima vera opera’ si optò per l’OM, non tanto perché fosse un Orfeo (il che pure non sarebbe da sottovalutare, se non fosse che lo è anche l’Euridice) o per chissà quale altro motivo, ma perché è del «divino Claudio», e dunque senz’altro un capolavoro. Pertanto il «nome famoso» dell’Orfeo è dettato dal «nome famoso» di Claudio Monteverdi. II.2.4. Vicino agli Amici della Musica: Gaetano Cesari e il giudizio a posteriori Un ricco documento sulla considerazione per l’OM nell’Italia all’epoca della sua esecuzione a Milano del dicembre 1909 nell’adattamento di Giacomo Orefice, è la lunga recensione dell’evento pubblicata da Gaetano Cesari sulla «Rivista musicale italiana» (1910). Il musicologo fu uno dei padri della riscoperta della musica antica in Italia, uno dei pochi che agivano in questa direzione non con intenti fascisti di ricerca dello splendore italico, ma con spirito scientifico più vicino alla cura filologica che alla ricreazione pomposa. Dopo aver elogiato l’iniziativa promossa dall’Associazione Italiana Amici della Musica, compila una tabella in cui compara i tagli di Eitner, d’Indy e Orefice e fa le sue considerazioni sulla cura da usare negli adattamenti di antiche opere: […] mentre noi riproduciamo davanti a noi stessi, integrandola nelle parti manchevoli, l’altrui opera d’arte, l’imaginazione nostra entra direttamente in giuoco. Sarà dunque necessario che l’artista […], ove non voglia sconfinare nell’arbitrario, non dimentichi l’archeologo, allo stesso modo che l’opera di questi, per non riuscir sterile, dovrà far concorrere l’intuizione dell’artista ad infonderle, idealmente, l’anima del tempo.58 Dopodichè, inizia il discorso che ci interessa in questa sede: considera cioè le ragioni della presunta supremazia dell’OM sulle altre ‘prime opere’. Per rendere l’idea di quanto fosse complicato, all’epoca, accedere a questi materiali (se non nelle loro riproduzioni parziali di fine Ottocento, come quelle pubblicate da Eitner), cosa che senz’altro influiva sulla percezione distorta che se ne poteva ricavare, cito questa nota: Porgo a Sua Eccellenza il Ministro della Pubblica Istruzione, al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, ed agli Onorevoli Bibliotecari Prof. Cavaliere Pagliaini dell’Università di Genova e Prof. Commendatore Fumagalli della Braidense di Milano, i miei più vivi ringraziamenti per avermi concessa la consultazione in Milano 58 CESARI 1910, pp. 136-137. 45 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo dell’esemplare dell’Orfeo, a stampa Amadino, 1609, posseduto dalla Biblioteca dell’Università di Genova.59 L’idea di fondo di Cesari è chiara: le Euridici fiorentine, e in generale la produzione vicina alla Camerata de’ Bardi, e l’OM non sono poi tanto diversi; non lo sono negli intenti né nei mezzi utilizzati (come invece afferma la prefazione alla partitura di Orefice): in entrambi i casi siamo di fronte ad un desiderio di emulazione della tragedia greca (che però «fu un sogno, e, se vogliamo, anche un pretesto»)60 che si attua tramite l’alternanza di recitativi stricto sensu e ariosi; insomma, il Seicento non distingueva troppo, e non poneva almeno fra i due compositori [Peri e Monteverdi], quella barriera che sembra vogliamo porci noi. Tuttavia, a motivo del raffinamento della nostra sensibilità musicale, noi siamo in grado di distinguere meglio la forza drammatica pulsante nelle migliori pagine del Nostro.61 Solo noi, oggi, siamo in grado di valutare la differenza estetica (la sola che c’è) tra questi lavori perché ‘sappiamo come dev’essere una vera opera’, sembra dire Cesari. Ecco quali sono gli elementi di superiorità che si rinvengono: [a] Monteverdi porta nel pathos drammatico una nota veramente soggettiva […]; è la mano del genio, insomma, che plasma vigorosamente la materia preparata dagli altri.62 [b] Un elemento nuovo certamente il Monteverdi l’ha portato nelle canzoni d’Orfeo: elemento da lui colto, come un fiore, sulla bocca del popolo.63 Segue una lunga analisi dello strumentario monteverdiano, a confutare un saggio pionieristico sull’argomento,64 che si conclude senza trarre conclusioni affrettate, bensì manifestando la necessità di approfondire la storia sugli intermedi prima di potersi pronunciare con rigore: il che è sintomatico dell’encomiabile esigenza documentaria e testimone della consapevolezza delle lacune della musicologia; motori questi del movimeto di riscoperta del patrimonio musicale antico di cui i vari Eitner, d’Indy, Rolland, Ore- 59 Ibidem, p. 137, nota 1. Non ho normalizzato l’uso delle maiuscole per dare un’idea del tono ossequioso dell’appunto. 60 Ibid., p. 141. 61 Ibid., p. 143. 62 Ibid., p. 143. 63 Ibid., p. 145. 64 Si tratta di TORCHI 1894. 46 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo fice, Cesari sono stati coraggiosi protagonisti e promotori, al di là dei giudizi che si possono oggi attribuire ai loro contributi. II.2.5. Malipiero e il «divino Claudio» tra amore e fanatismo Nell’atteggiamento di culto nei confronti di Monteverdi vanno inquadrate le trascrizioni malipieriane dell’OM: nell’ambito del nostro discorso, pertanto, si può dire che Malipiero non scelse l’Orfeo ma il suo autore. Come è stato rilevato, è difficile stabilire se la predilezione del compositore veneto per il suo conterraneo d’adozione fosse dettata più da amore personale o più da convenienza ‘politica’, e cioè quanto, nel rivolgersi alla «vera origine della nostra musica», egli fosse consapevole della scelta culturale e quanto seguisse semplicemente il suo gusto.65 Comunque sia, Malipiero ha dedicato non poco (dal 1926 al 1941, seppure con una pausa di nove anni dopo il 1932) all’edizione degli opera omnia monteverdiani. Un’impresa che va inquadrata nel panorama nazionalista, politico e per estensione estetico, che si opponeva con vigore all’idea che il melodramma fosse la musica italiana tout court, critica che inizia ad ufficializzarsi nel 1908 con i dibattiti dell’Associazione dei musicologi italiani di Guido Gasperini; un proposito di ‘ritorno all’antico’ che per i compositori della ‘generazione dell’ottanta’ ha più che altro sviluppi pratici: «un’evoluzione musicale, cioè una rivendicazione del nostro passato».66 Una serie di operazioni riconducibili alle cinque sfaccettature che Gianfranco Vinay riconosce nel ‘neoclassicismo’: 1) la rievocazione di una stagione ‘classica’ di mitica purezza non contaminata dal romanticismo,67 2) la deformazione ironico-grottesca della tradizione, 3) il restauro di opere del passato riadattate al gusto moderno, 4) la parodia intesa come ricalco della tradizione classica, 5) i pastiches e collages di brani del passato.68 Quanto ai sostegni nazionalistici si pensi al Torrefranca che vede nella tradizione 65 Cfr. DEGRADA 1973, pp. 414 sgg. e DEGRADA 1981, p. 88. MALIPIERO 1920, p. 13. «Come certe famiglie nobilissime cercano fra i vecchi documenti nuovi titoli di nobiltà, così noi oggi dobbiamo rievocare i fasti della nostra arte musicale. […] Se noi saliremo verso le sorgenti della nostra arte musicale, con maggior forza potremo lanciarci nell’avvenire, evitando di precipitare nelle voragini del caotico presente» (MALIPIERO 1930a, pp. 40-41). 67 C’è anche chi, come Giannotto Bastianelli, vedeva ancora l’antico in modo romantico, e cioè come naïf, ingenuo, senza regole (NICOLODI 1991, p. 475). 68 VINAY 1986, pp. 82 sgg. (oppure VINAY 1987, pp. 21 sgg.); per una visione un po’ diversa del ‘neoclassicismo’, focalizzata sull’idea/ideologia di «rappel à l’ordre» più che di recupero caratterizzato da una frattura (col romanticismo), cfr. POZZI 2001. 66 47 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo italica il germoglio della musica universale, al progetto de «I Classici della musica italiana», o al D’Annunzio che, «all’insegna del Vittoriale degli Italiani», patrocina l’edizione Monteverdi–Malipiero.69 Alla luce di tale contesto si può passare ad uno zoom più potente per osservare da vicino, attraverso il filtro degli scritti di Malipiero stesso, la visione ‘mitica’ che egli ha di Monteverdi e conseguentemente dell’Orfeo (di cui preparò ben quattro trascrizioni: 1923, 1928, 1930, 1949). A dir la verità la storia d’amore tra i due compositori nacque grazie a Poppea (che allora si chiamava Nerone): nel 1902 il giovane musicista, secondo nella storia, chiese di consultare il manoscritto dell’opera alla Biblioteca Marciana, e «in quel contatto, […] quasi per un magico richiamo della sorte, cercava […] la linfa che alimentasse l’interiore sua forza spirituale e creatrice, di cui si sentiva conscio».70 Ma ciò che quasi lo costrinse a darsi da fare in prima persona per ridare alla luce tutte le opere di Monteverdi fu uno spiacevole incontro proprio con Orfeo: Da un piccolo libraio veneziano acquistai una sbiadita, ma leggibile copia fotografica dell’Orfeo, […] la studiai […]. Io fui sempre favorito dal caso, difatti come per incanto quando ormai conoscevo profondamente l’Orfeo, si presentò l’occasione di assistere (prima del 1918), a una sua esecuzione che mi sbalordì. Non riesco a capire come uno pseudo musicista scegliesse allora (e le cose oggi non vanno meglio di prima) un’opera di Monteverdi, riducendola irriconoscibile. […] Non si capisce perché un abile falsificatore di opere pittoriche venga punito dalla legge, mentre i maldestri raffazzonatori di capolavori musicali antichi vengano generosamente premiati.71 Pertanto egli trovò la sua missione nel ripubblicare «tutte le opere di Claudio Monteverdi, senza vandaliche deturpazioni, né amputazioni ed evitando i rifacimenti e le correzioni arbitrarie» e in questo modo scrivere «la più bella vita del divino Claudio» in quanto «le opere soltanto possono rivelare la vera vita di un grande artefice»:72 69 Su questo panorama cfr. DEGRADA 1981, NICOLODI 1982 e 1991, nonché, in modo specifico sul ruolo di Malipiero – oltre agli scritti del compositore citati passim –, DEGRADA 1973, BARBLAN 1977, PESTALOZZA 1977. 70 BARBLAN 1977, p. 21. MALIPIERO 1967 fa cominciare la «storia del [suo] monteverdismo» proprio con quel contatto (p. 9). 71 MALIPIERO 1967, p. 10 e 20. L’esecuzione incriminata può essere quella dell’aprile 1910 a Venezia (dir. Amilcare Zanella, revisione OREFICE 1909) oppure quella dell’11 aprile 1913 a Parigi, Théâtre Réjane, dir. Marcel Labey, revisione di D’INDY 1905; l’epiteto di «pseudo musicista» potrebbe indirizzare su Orefice piuttosto che su d’Indy. 72 MALIPIERO 1930a, p. 3. 48 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo Si è fatto il possibile per «lasciar morire» non solo Arianna, ma tutte le creature monteverdiane; e forse certe ripubblicazioni recenti dimostrano che gli esumatori vinti dalla commozione han cercato di dare il colpo di grazia all’espressione musicale del divino Claudio onde «farla morire» per sempre…73 I musicologi da una parte, correggendo le armonie che non capiscono, gli elaboratori dall’altra per assicurarsi il successo del pubblico, straziano la musica del divino Claudio […]74 Malipiero è convinto che sia possibile far rivivere la «Musica Moderna» di Monteverdi, «l’Incoronazione di Poppea e l’Orfeo si dovrebbero rappresentare tuttora sulle scene italiane»,75 purché si restituisca «alla musica il suo carattere originale, senza vandalici ritocchi e se non si [ritocchino] invece i libretti».76 Quest’ultima affermazione è se non altro curiosa nel clima di devozione passiva che sembra pervadere l’idea malipieriana di una corretta edizione Monteverdi; e lascia trasparire che, sebbene fosse contro la sua epoca, egli vi era tuttavia immerso ed era cosciente della necessità di adattamenti, soprattutto quando l’attenzione sulla musica antica come ispirazione per nuove creazioni si sposta sull’importanza di farla conoscere, e quindi alla sua istanza esecutivoeducativa; ecco cosa fa dire a Monteverdi nel messaggio che afferma di aver «captato forse per vie medianiche»: Per rivivere mi è indispensabile la reincarnazione. I miei libretti vanno corretti da quei difetti che derivano dal poeta dilettante che attraverso la musica sfrutta la moda per mettersi in vista. E poi all’orchestra non si può rinunziare come, per rivivere, alla reincarnazione. […] E [gli strumenti] caduti in disuso, non si devono rimpiangere né rimettere in orchestra, vanno considerati esperimenti mal riusciti e abbandonati […]. Nell’Orfeo soltanto c’è un istrumento necessario, l’arpa doppia che imita la lira […].77 73 Ibidem, p. 4. MALIPIERO 1966, p. 109. Ecco come definisce il musicologo MALIPIERO 1984 (Vocabolario italiano della critica musicale, 1931), p. 116: «Musicologo è colui che si occupa di musica antica perché non può capire nessuna musica. Preferisce la musica inedita e sconosciuta che gli evita pericolose contestazioni. Si deve ai musicologi l’indifferenza del pubblico per l’arte del passato, perché nemmeno le riduzioni e le deformazioni armoniche (applicate onde ‘ottocentizzare’ tutte le musiche) han potuto vincere la noia, anzi ad un bagaglio già noiosissimo se n’è aggiunto uno più noioso ancora» (da come scrive pare che ritenga noiose le opere del passato…). 75 MALIPIERO 1930a, p. 37. La definizione di Monteverdi come «uno de’ primi a introdurre la Musica Moderna» è a p. 9. 76 MALIPIERO 1966, p. 98. 77 MALIPIERO 1967, pp. 13-14. 74 49 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo E circa la prassi esecutiva dichiara: Dalla abitudine dell’improvvisazione sul basso hanno avuto origine tutte le deturpazioni del divino, ma ahimé troppo oltraggiato Claudio.78 Le interpretazioni che Claudio Monteverdi ha subito […] c’inducono a reclamare l’istituzione di una scuola per l’interpretazione delle opere di Claudio Monteverdi.79 Il tutto convinto di essere il depositario della Verità: Ci illudiamo di aver ridato alla luce ‘tutte le opere’ di Claudio Monteverdi senza deformarle e senza incontrare difficoltà di interpretazione o dubbi sulla grafia originale perché lo spirito di Claudio Monteverdi ci ha guidati. […] se Monteverdi non ci ha avvertiti vuol dire che egli forse preferisce la nostra apparentemente erronea interpretazione a quella dei falsi eruditi. In questa edizione molto è dovuto a fenomeni medianici […]. L’aggiunta arbitraria di accidenti non è giustificata da nessuna regola, né legge, solo dal bisogno di cui sono vittime certi musicisti e musicologi, di volgarizzare la musica. È per questa volgarizzazione che deploriamo le esecuzioni, trascrizioni, ripubblicazioni e registrazioni fonografiche fatte sulla nostra edizione, grazie al cielo però non compromessa dal fatto che trascrittori ed esecutori non hanno indicato la fonte.80 Lette oggi queste posizioni fanno sobbalzare: Malipiero criticava senza riserve chi faceva adattamenti liberi pur dichiarati, ma riteneva ‘storicamente’ e addirittura ‘medianicamente informati’ i suoi!81 Tuttavia non si dimentichi che l’idea di prassi esecutiva storica, pur iniziando a bussare già dai lavori di Arnold Dolmetsch, Wanda Landowska, Robert Haas e Arnold Schering nel primo trentennio del XX secolo, è di tarda applica- zione a largo raggio: ancora negli anni Settanta Francesco Degrada scriveva, senza sicuramente essere fuori dal coro, di essere scettico circa le esecuzioni con strumenti originali, pratiche «tuttora sostanzialmente estranee al nostro costume musicale».82 78 MALIPIERO 1966, p. 107. MALIPIERO 1943, p. 159. 80 MALIPIERO 1942. 81 Si tenga conto che nel clima culturale di fine Ottocento/inizio Novecento l’occultismo e la medianicità erano diffusissimi e presi molto sul serio, soprattutto grazie alla fortuna della Società teosofica (per un panorama cfr. ad esempio ELIADE 1974 e il IV capitolo di NOLL 1994). 82 DEGRADA 1973, p. 428. 79 50 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo II.3. Altre posizioni L’Euridice di Peri […] creatura gentile, amabile e vitale (ma fragile).83 In terms of theatre, ‘Orfeo’ is a more successful opera than ‘Euridice’.84 Oltre che negli scritti di coloro la cui scelta di recuperare l’OM dipende dalla presunta superiorità che gli attribuiscono rispetto ad altre ‘prime opere’, valutazioni comparative (o acriticamente affermative)85 di questi lavori germogliano qua e là in molti commentatori. Non si dimentichi che, a grandi linee fino agli anni Settanta, gli interventi critici sono fortemente condizionati in senso crociano e pertanto più interessati all’esaltazione del ‘genio’ di Monteverdi che all’analisi. E la lettura del seguente passo di Guido Pannain (titolo del testo: Da Monteverdi a Wagner, 1955) la dice lunga sulla prospettiva secondo cui si cercava la prima ‘vera’ opera: Il genere, in arte, sappiamo che cosa sia; è l’isolamento e l’astrazione di tutto ciò che è comune e impersonale. In esso rientra e si adagia la mediocrità. L’artista è unico e non confondibile, individuabile nel momento preciso della sua attività creatrice. Egli dà, per natura, nell’imprevedibile e nell’inimmaginabile.86 Così, oggi, l’apporto di certi studi è più utile per la ricostruzione di una temperie culturale e del suo immaginario ricettivo, che per un’indagine per quanto possibile esplicativa più che valutativa. Dal momento che l’immaginario ricettivo che più interessa in questa sede è quello che si delinea dagli scritti dei revisori dell’OM (o di chi fu a stretto contatto con loro e con le prime riprese pubbliche dell’opera), di cui ho riportato alcuni punti salienti, ora la selezione degli interventi sarà orientata dalla loro validità critica a tutt’oggi. 83 PIRROTTA 1975, p. 310. MC GEE 1982, p. 179. 85 Ad esempio quella di GALLICO 2000, p. 3: «quell’Orfeo di Striggio–Monteverdi, piccolo grande salto di qualità genialmente attuato durante quella impressionante stagione di primizie». 86 PANNAIN 1955, p. 26. 84 51 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo II.3.1. Per una drammaturgia dei mezzi musicali: «Possente spirto» Paolo Possiedi ritiene che la superiorità dell’OM rispetto alle Euridici di Peri e Caccini sia iscritta nel testo musicale e in particolare in «Possente spirto»; detto così potrebbe sembrare una delle tante analisi volte a dimostrare una maggiore ricercatezza di scrittura, un certo virtuosismo stilistico che può essere tanto evidente quanto soggettivo; ma, in modo molto più interessante, quello dello studioso è un discorso finemente drammaturgico. La poetica imitativa classica, in cui si calano le prime opere, potrebbe essere definita «a poetic of signification and transparence»: la melodia imita gli affetti e significa quegli affetti dal momento che li suscita, per esempio «a melody that would arouse melancholy in the audience signifies the melancholy, the sadness of the character who performs it»;87 pertanto la musica rappresenta qualcosa di extra-musicale,88 e, a questo punto, the problem of the operatic composers of Orphic melodrammi, becomes apparent. Since their compositions were proposed as signifiers of non-musical object, how was it possible then to signify Orpheus’ magic song […]?89 [il problema dei compositori di melodrammi su Orfeo appare evidente. Dal momento che le loro composizioni si proponevano di rappresentare oggetti non musicali, com’era possibile rappresentare il canto magico di Orfeo?] Ciò che distingue Monteverdi dagli altri sta proprio in questo: il monologo dell’Orfeo agl’inferi di Peri e Caccini è musicato come un qualsiasi (seppur molto bello e commovente, non è in ballo il giudizio di valore) recitativo, quello monteverdiano invece è «fully differentiated from those of his antagonists»: Orpheus displayed what properly belongs to him, namely the power of his music and singing. Against the diction of Charon, a plain recitar cantando, he opposes the most spectacular bel canto, accompanied by the most precious and sophisticated instrumental ornamentations.90 87 [Una melodia che susciti malinconia nel pubblico significa la malinconia, la tristezza del personaggio che la canta] POSSIEDI 1982, p. 71. 88 Se mi si permette un gioco di parole, gli affetti sono extra-musicali nel senso che non sono oggetti sonori (‘extra’ nel senso di ‘fuori da’), ma allo stesso tempo sono arci-musicali (‘extra’ superlativo, ‘stra’), in quanto altamente veicolati dalla musica. Lo stesso Possiedi concluderà il suo intervento su questa falsariga in quanto il suo discorso lo porterà inevitabilmente sul potere magico, irrazionale della musica, e giungerà a considerare l’Orfeo come «the story of an exorcism» (POSSIEDI 1982, p. 76). 89 POSSIEDI 1982, p. 72. 90 Ibidem, p. 73. 52 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo [Orfeo esibisce la sua sua caratteristica specifica, cioè il potere delle sua musica e del suo canto. In opposizione alla recitazione di Caronte, un semplice ‘recitar cantando’, egli ostenta il ‘bel canto’ più spettacolare, accompagnato dalle più prezione e virtuosistiche ornamentazioni strumentali.] Ne deriva che la doppia versione, con e senza ornamentazioni scritte per esteso, di «Possente spirto» è indice della specificità del brano, che secondo il mio punto di vista deve essere fiorito, e nel modo più virtuoso possibile, al contrario dei restanti recitativi che, secondo i dettami dei fiorentini, vanno eseguiti in maniera chiara, deutlich, scopo la piena intelligibilità del testo:91 il canto di Orfeo imita il potere della musica e Monteverdi compone per questi versi secondo questa drammaturgia ben precisa. Quando SCHMIERER 1998 scrive che «can be precluded» che la «simpler alternative version […] should have been embellished through improvisation, […] since composers such as Peri and Caccini were strictly against such practices»,92 cade, a mio avviso, proprio in questo tranello: una cosa sono i recitativi con la loro esigenza di chiarezza, ben altra la metamusicalità di «Possente spirto». Che Monteverdi abbia scritto la versione non ornata «for an ‘emergency’ situation in which the role of Orfeo could be performed by a less gifted singer»93 può essere anche vero, ma ciò non toglie che, al di là delle esigenze pratiche, ciò che richiede la drammaturgia del testo è un’esecuzione virtuosistica. Pertanto non sono d’accordo con DONINGTON 1968 quando scrive che la versione non ornata di «Possente spirto» sia per chi non vuole fiorire o per chi sa fiorire estemporaneamente: ritengo che sia solo per i secondi, in quanto la fioritura è drammaturgicamente richiesta e necessaria; PIRROTTA 1975 valuta la versione semplice «una piena realizzazione della preghiera che segue i principi oratori del primo stile rappresentativo» e ne giustifica la «piena validità artistica» in quanto la didascalia monteverdiana recita: «Orfeo al suono del organo di legno et un chitarrone canta una sola de le due parti»;94 questo non toglie, a mio avviso, che Monteverdi non prevedesse una libera fioritura da parte del cantante: non si sta discutendo il valore artistico del brano ma quello drammaturgico, non si tratta di una semplice preghiera, ma dell’oggettivarsi della musica. Vale la pena a questo pun91 Su tale questione v. infra, II.3.1 e III.2.2. [Si può escludere che la versione alternativa semplificata si dovesse abbellire improvvisando, poiché i compositori come Peri e Caccini erano nettamente contrari a tale prassi] SCHMIERER 1998, p. XV. 93 [Per una situazione ‘d’emergenza’ in cui il ruolo di Orfeo debba essere interpretato da un cantante meno abile] Ibidem, p. XV. 94 PIRROTTA 1975, pp. 317-318 e nota 121 (p. 333). 92 53 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo to citare l’incisione dell’OM di Sergio Vartolo (1997) come esempio che contraddice sia la prescrizione in partitura sia la mia teoria: il suo Orfeo infatti canta ogni strofa di «Possente spirto» una prima volta senza fioriture né interventi strumentali e una seconda con virtuosismi e strumenti… II.3.2. Da poeta a musicista Le affermazioni già commentate di Elisabeth Schmierer su «Possente spirto», dalle quali pareva che la studiosa non cogliesse l’importanza musicale del brano, contrastano con la sua teoria sull’OM in relazione alle altre ‘prime opere’ sullo stesso soggetto: ciò che sostiene nella sua introduzione alla ristampa anastatica della partitura del 1609 è infatti che ci sia un cambio di prospettiva per cui, se prima Orfeo era poeta e si esprimeva in termini retorici, con Monteverdi diventa cantore e si esprime in termini musicali (donde la maggior pregnanza dell’OM come opera piuttosto che come tragedia ‘cantillata’). La tradizione degli Orfei secenteschi affonda le sue radici nella Fabula di Orfeo (1480) di Angelo Poliziano, in cui the music under consideration was viewed as poetry and not as music. The music in question involves simple one-voice songs («ballate» and «strambotti») which the singer – not uncommonly the lyric writer himself – either improvised ad hoc or wrote for a particular occasion, and to which he accompanied himself on a string instrument. Consequently, the plucked lute or the bowed lira da braccio as they appear in contemporary depictions of Orpheus are not attributes of a musician, but rather of a poet.95 [la musica presa in considerazione era vista come poesia e non come musica. Tale musica riveste semplici canzoni monodiche («ballate» e «strambotti») che il cantante – non raramente proprio l’autore del testo – o improvvisava ad hoc o scriveva per un’occasione particolare, accompagnandosi con uno strumento a corda. Di conseguenza, il liuto pizzicato o la ‘lira da braccio’ suonata con l’arco che appaiono nella contemporanea iconografia di Orfeo non sono attributi del musico ma piuttosto del poeta.] È la prassi antica ma ancora all’epoca attuale di intonare la poesia (si pensi alle pubblicazioni cinquecentesche degli aeri per cantare i capituli, cioè le terzine, la cui influenza sul recitativo delle prime opere è stata evidenziata da PALISCA 1995): l’Orfeo di Poliziano è ancora un poeta, che «owes his power over death and devil not to his music, 95 SCHMIERER 1998, p. XIII. 54 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo but to his retorical skills – ‘suo dolce parlare’».96 La tesi della Schmierer è che ancora nelle opere di Peri e Caccini Orfeo sia più poeta che cantore: la musica è un tentativo di ricreare la tragedia greca, e dunque subordinata e funzionale al parlato. In the dialogue with Pluto and Proserpina Orfeo does not reach his goal with the resources of a virtuosic singer [come invece avviene nell’OM], but with those of a poet: with a well-constructed and expressively delivered speech […]97 [Nel dialogo con Plutone e Proserpina Orfeo non ottiene il suo scopo con le risorse di un cantante virtuoso [come invece avviene nell’OM], ma con quelle di un poeta: con un discorso ben costruito e pronunciato espressivamente …] A questo punto si capisce che anche per lei il virtuosismo di «Possente spirto» è richiesto drammaturgicamente (e ci si continua a chiedere perché osteggi la fioritura estemporanea della versione semplice, dal momento che sembra appurato che consideri questo brano non come una semplice intonazione di un testo poetico ma dotato di un suo statuto musicale, sottolineato non poco dal suo carattere concertato). L’Orfeo monteverdiano, che ancora alla fine dell’atto II – continua la Schmierer – si poneva più come poeta («se i versi alcuna cosa ponno, | n’andrò sicuro a’ più profondi abissi | e, intenerito il cor del re de l’ombre, | meco trarrotti a riveder le stelle»), nel terzo afferma il superamento dei mezzi puramente poetici a favore di quelli musicali: non è riuscito a commuovere Caronte con le parole, ma lo fa addormentare con il canto e il suono («Ei dorme, e la mia cetra [strumento del poeta] | se pietà non impetra | ne l’indurato core, almeno il sonno | fuggir al mio cantar gli occhi non ponno»). E nell’opera a più riprese si pone l’accento sulla centralità della musica: basti pensare al Prologo dove è la Musica a parlare, non più la Tragedia di Rinuccini, e al finale della partitura, in cui Apollo, dio della musica, porta in cielo Orfeo, una apoteosi della musica e non più dell’amore.98 L’OM si pone deliberatamente come prima opera non solo con musica ma in musica. 96 [Deve il suo potere sulla morte e sull’inferno non alla sua musica, ma alle sue capacità retoriche – il suo ‘dolce parlare’] Ibidem, p. XIII. Sul recitativo come «diastemazia del parlato» v. infra III.2.2. 97 Ibid., p. XIV. 98 Ibid., p. XIV. 55 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo II.3.3. Sintesi vs. accostamento Hans Ferdinand Redlich, autore nel 1936 di un’edizione manoscritta dell’OM, è probabilmente il primo a spiegare estesamente la forza dell’opera come sintesi (non semplice accostamento) di tutti gli elementi stilistici conosciuti all’epoca, con il risultato di un prodotto innovativo. The first opera composer è il titolo del capitolo;99 non certo in termini cronologici, si affretta a giustificarsi l’autore, ma per la «immense distance» che separa l’OM dai suoi diretti predecessori. Il confronto coi fiorentini, però, non è il punto di partenza di Redlich: egli traccia una sorta di storia (in pillole)100 delle «operatic tendencies», dai drammi liturgici medievali ai ballets de court, dalle laude spirituali alle sacre rappresentazioni, dai tornei agli intermedi, dai madrigali (dove la musica impara a seguire la parola poetica) – prima a più voci tutte cantate poi per solista e accompagnamento strumentale – alla monodia accompagnata: basta accostarne tante ed ecco l’opera fiorentina, che però non è ancora ‘dramma’ ma è «more in the nature of recited plays»: Peri’s orchestra consists solely of four ‘fundamental’ instruments, and the deficiencies in the choral forces, in the contrasts between the dramatic situations, in the musical ensemble or simply in the orchestra as an independent unit, condemned these works to crippling monotony.101 [L’orchestra di Peri è fatta semplicemente di quattro strumenti ‘di fondamento’, e la debolezza delle sezioni corali, dei contrasti tra situazioni drammatiche, dell’ensemble strumentale come unità autonoma, condannano questo lavoro a una rovinosa monotonia.] Monteverdi sfugge alla monotonia e allo stesso tempo nella varietà degli stili evidenzia le differenti situazioni drammatiche («dramatic unifying of disparate elements of form»):102 Orfeo is the product of two epochs. It combines the dramatic aspirations of the Early Renaissance (courtly ‘Intermedium’ and pastoral poetry) and of Humanism (the atmosphere of Greek Tragedy and the tragic commentary of the Chorus) with the achievements of the Florentine ‘Camerata’ and of the pioneers of the gradually evolving style of the Thorough Bass.103 99 REDLICH 1970, pp. 94 sgg. Per uno studio esauriente sulla questione delle forme preoperistiche a partire dal XV secolo cfr. PIRROTTA 1975. 101 Ibidem, p. 96. 102 [Unificzione drammatica di elementi formali disparati] Ibid., p. 98. 103 Ibid., p. 99. 100 56 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo [Orfeo è il prodotto di due epoche. Combina le tendenze drammatiche del primo Rinascimento (gli intermedi di corte e la poesia pastorale) e dell’Umanesimo (l’atmosfera da tragedia greca e il commento del coro) con le conquiste della ‘Camerata’ fiorentina e dei pionieri dell’emergente basso continuo] Egli non solo usa ma riusa secondo le connotazioni specifiche il madrigale e la monodia, il balletto e la canzone, l’orchestra degli intermedi e gli strumenti del basso continuo istituendo in tal modo uno dei principi fondamentali dell’opera in quanto genere, e cioè la continua varietà e il contrasto. II.3.4. L’orchestra espressiva Che la differenza sostanziale tra fiorentini e Monteverdi stia nella strumentazione è quanto illustra Rodolfo Baroncini: non un dislivello qualitativo o quantitativo – quali e quanti strumenti richiesti, quanti passi loro destinati – ma, ancora una volta, drammaturgico. La poetica della Camerata de’ Bardi era legata alla «realizzazione di un progetto letterario», «fedele a un ideale di poesia cantata» che voleva negli strumenti un mero sostegno per la voce: questa concezione svela in realtà – al di là di ossessive e reiterate preoccupazioni nei confronti di sovrapposizioni potenzialmente nocive all’intelligenza del testo – un disinteresse sonoro assai più esteso e radicale, fondato sul pregiudizio che l’«armonia», «la copia delle consonanze» e, in sintesi, il «suono artificioso» siano di per sé «privi di significazione» e inessenziali alla comunicazione.104 Monteverdi invece – continua Baroncini –, «fiducioso nelle possibilità comunicative del medium strumentale», ne fa un uso non tanto evocativo (come Peri che nell’Euridice prescrive un «triflauto» che richiami le antiche tibiae) o solo simbolico (tipico della tradizione degli intermedi, che pur è presente nell’oltretomba dell’OM), ma, in modo più moderno, lo rende espressivo «non già con la varietà del timbro, ma con la specificità della frase e del disegno»,105 trasformando quello che era sostanzialmente un gesto scenico in un numero ben caratterizzato e autonomo (alla faccia di Malipiero che afferma: «la sua musica istrumentale è sempre inferiore e sottomessa a quella vocale»).106 104 BARONCINI 1993, p. 307. Ibidem, p. 291. 106 MALIPIERO 1930a, p. 32. 105 57 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo II.3.5. Costruzione drammaturgica del libretto Dal punto di vista del libretto,107 poi, è Paolo Fabbri a comparare Euridice e Orfeo a favore del secondo, e, ancora, non lo fa in chiave di valore estetico: anzi, ammette che Striggio fosse «dotato d’inferiore sapienza e finezza letterarie rispetto a Rinuccini», però «coglie in maniera più bruciante la sostanza drammaturgica»;108 in particolare ci sono due momenti del testo in cui Striggio opta per una rappresentazione «a vista» a scapito della più antiquata e meno operistica (secondo il nostro concetto di opera come dramma del «presente assoluto»)109 narrazione in terza persona. Il primo è quanto segue all’annuncio della morte di Euridice: in Striggio («Tu se’ morta, mia vita, ed io respiro?») Orfeo esprime il suo dolore e decide di andare a riprendersi l’amata, in Rinuccini («Non piango e non sospiro») Orfeo scompare dalla scena – sembra che vada a suicidarsi – e solo successivamente Arcetro narra che il cantore si è recato nel luogo dove era morta Euridice, ne riporta un discorso diretto («indi tremando disse: o sangue | o caro sangue» etc.), e poi descrive di aver assistito alla meraviglia di Venere che ex machina «candida man per sollevarlo stese». Inoltre in Striggio «tutte agìte direttamente davanti agli occhi degli spettatori sono poi le scene infernali, specie il contrasto Orfeo– Caronte110 e più tardi l’assai vivace ritorno di Orfeo in compagnia di Euridice e la sua perdita definitiva, in Rinuccini anch’esse solo raccontate»111 (da Aminta: «Quando al tempio n’andaste io mi pensai»). Andando in cerca di motivi ‘dimostrabili’ del perché l’OM sia sempre stato visto come ‘superiore’ ci si è imbattuti in una serie di tesi – più o meno condivisibili – che se non altro hanno il merito di pervenire a delle conclusioni attraverso l’analisi e non per semplice presa di posizione. Tutti questi contributi tendono a dimostrare non una superiorità dell’OM dal punto di vista estetico ma, come si è visto, drammaturgico: l’OM è più opera (col senno di poi) dell’Euridice e simili. Probabilmente si tratta di elementi che i revisori e i commentatori più ingenui subodoravano ma non sapevano esplicitare. Ora è opportuno indagare in che modo, nell’OM, interagiscano varietà e unità formale, 107 Per una panoramica sui libretti orfici da Poliziano a Gluck cfr. BULLER 1995. FABBRI 1984, p. 211. 109 Cfr. DALHAUS 1988, p. 7 e passim. 110 Nell’Euridice tale contrasto manca in quanto Orfeo affronta direttamente Plutone. 111 FABBRI 1984, p. 212. 108 58 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo quanto sia strutturato e quando lasciato da rielaborare, insomma i suoi livelli di chiusura e apertura. II.4. Dal mito ‘per sentito dire’ al mito ascoltato: la Prima alla Schola cantorum … on a peut-être tort de jouer toujours les mêmes choses, ce qui peut faire croire à des honnêtes gens que la musique est née hier, tandis qu’elle a un Passé dont il faudrait remuer les cendres: elles contiennent cette flamme inéteignable à laquelle notre Présent devra toujours une part de sa splendeur.112 Prima di farlo bisogna, però, completare il discorso sulla ricezione ‘mitica’ dell’OM contestualmente alle sue prime esecuzioni. Fecero bene i primi revisori ad eleggerlo tra le opere cui ridare la vita? Quale fu la reazione del pubblico che finalmente potè ascoltarlo? In che modo le esecuzioni agirono sul contesto musicale (compositivo, di ascolto) e musicologico in cui ebbero luogo? È un discorso che richiederebbe un’indagine a sé, ma come saggio basti affrontare l’argomento relativamente a quella che è ricordata come la prima esecuzione moderna, quella di d’Indy. Dico la prima ‘ricordata’ poiché non si tratta della prima assoluta. François Joseph Fétis fece eseguire frammenti dell’OM (e dell’Euridice, «musique de Peri et de Caccini») nel primo dei suoi «Concerts historiques», l’8 aprile 1832 (ripreso il 2 aprile 1833), istituzione che ebbe vita breve (quinto e ultimo appuntamento il 14 aprile 1835) ma che è sintomo della prima tipologia di approccio alla musica antica: è una delle vie dell’interesse tutto romantico per la couleur locale, non solo geografica ma anche cronologica.113 Da sottolineare che gli strumenti utilizzati furono viole, bassi di viola, clavicembalo, organo, chitarre e arpe, i cantanti i grandi nomi della scena operistica. Un’altra ‘prima esecuzione moderna’ dell’OM (Fétis era già stato dimenticato) era progettata per l’Esposizione internazionale di musica di Bologna del 1888, ma non se ne 112 DEBUSSY 1903 p. 147. I programmi dei «Concerts historiques» e la loro contestualizzazione sono in SALA 1983. Il primo concerto fu introdotto da un Discours sur l’origine et les progrès de l’opéra depuis 1581 jusqu’en 1650, in cui Fétis definisce i frammenti dell’Euridice che eseguirà come «un des monuments les plus curieux de la musique» (la curiosità: elemento paradigmatico della couleur locale; cito dalla trascrizione in SALA 1983, p. 149) 113 59 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo fece poi nulla; è interessante notare che in tale occasione c’era l’intenzione di utilizzare gli strumenti antichi, cosa che fece Victor Mahillon (costruttore e collezionista di strumenti musicali belga: si intravedono le radici della cultura della musica antica in questi paesi) nei suoi «concerti storici». Per l’esecuzione dell’OM ci si sarebbe dovuti avvalere della trascrizione di Eitner, ma erano troppe le difficoltà esecutive. L’idea che guidava la riesumazione della musica antica era propriamente da esposizione universale, una curiosità alla pari degli esotismi messi in mostra: l’utilizzo degli strumenti antichi era dunque ancora un elemento di couleur locale, ben lontano dall’attenzione filologica.114 Sia i concerti storici di Fétis sia quelli di Mahillon sono manifestazioni documentate di un’attenzione nei confronti della riesumazione dell’OM che era già viva nell’Ottocento (e ci saranno probabilmente altri casi di progetti esecutivi dimenticati), sintomo preparatorio della sua esplosione novecentesca. La Prima moderna ‘ricordata’ è dunque quella che ebbe luogo giovedì 25 febbraio 1904 alla Schola cantorum di Parigi. Une des caractéristiques de la Schola est précisément d'avoir révélé les trésors oubliés de la musique ancienne, et de les avoir rendus tellement familiers, qu'aujourd'hui on ne peut imaginer le temps où tous ces chefs-d'oeuvre n'étaient appréciés que de quelques érudits115 [Una delle caratteristiche della Schola è precisamente d’aver rivelato i tesori dimenticati della musica antica e di averli resi talmente familiari che oggi non si riesce ad immaginare il tempo in cui tutti questi capolavori non erano apprezzati che da qualche erudito.] scrive Eugène Borrel nel suo capitolo La Schola et la restauration de la musique ancienne incluso nella pubblicazione dedicata alla storia di questa istituzione: partiture di Schütz, Monteverdi, Rameau – per restare ai maggiori – sepolte tra la polvere delle biblioteche, sono state eseguite (più o meno adattate) e il pubblico ha potuto associare un corrispettivo sonoro ai nomi e ai titoli incontrati nei testi di storia della musica:116 Tout cela est très beau et tout cela est une révélation, la révélation d’un génie que nous avions accoutumé jusqu’ici de respecter sur parole et que nous pouvons apprendre à admirer aujourd’hui comme il le mérite117 114 La ricostruzione delle vicende relative all’Esposizione di Bologna del 1888 è in FIORI 2004. A differenza delle esecuzioni di Fétis, il progetto relativo a tale occasione non fu dimenticato e lo si ritrova menzionato in CESARI 1910, p. 136, nota 2, e BUCCHI 1949, p. 35. 115 D’INDY 1927, p. 134. 116 Per il dettaglio delle riscoperte offerte dalla Schola cantorum cfr. D’INDY 1927. 117 POUGIN 1905, p. 52. 60 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo [Tutto ciò è molto bello e una rivelazione, la rivelazione di un genio che abbiamo abituato fino ad oggi a venerare sulla parola e che ora possiamo insegnare ad ammirare come merita.] riferisce entusiasta Arthur Pougin dopo aver assistito alla rappresentazione per il grande pubblico dell’OM alla Salle Pleyel, un anno dopo le prime esecuzioni interne alla Schola cantorum. Ma lo spettacolo fu un successo già in queste occasioni («un public nombreux et enthousiaste»).118 Si apprezza la traduzione e l’orchestrazione – giudicata sobria – di d’Indy (molto apprezzati gli sforzi di ‘autenticità’ come l’uso del clavicembalo, ma non si concepirebbe un’esecuzione senza adattamento: «on du lui faire un brin de toilette»),119 si è dispiaciuti dei tagli – non perché inficino la struttura dell’opera, ma perché se ne sarebbe voluta ascoltare di più («à nôtre vif regret»)120 – ma se ne comprende l’esigenza «pour diverses raisons».121 La scena che ha più colpito il pubblico, così come i commentatori, è quella della Messaggera (scena che, perlomeno in Italia, non doveva essere del tutto sconosciuta dal momento che Alessandro Parisotti ne aveva inclusa una parte nella sua antologia di Arie antiche pubblicata tra il 1885 e il 1898 a chiaro scopo esecutivo).122 Lo spoglio dei principali periodici parigini dell’epoca (tabella II.1) è testimone della risonanza dell’evento e del carattere sempre didattico delle recensioni, molto incentrate sulla presentazione dell’autore e della sua superiorità sui fiorentini: riecheggia il ‘mito’ di Monteverdi, della sua genialità che consistette nell’infondere umanità e passione nell’esercizio colto ma freddo dei suoi antecedenti; riecheggia anche il richiamo a Wagner123 e si discute sulla somiglianza tra l’OM e il Pelléas et Mélisande di Debussy (che era stato il grande evento operistico di quegli anni – la prima risale al 1902).124 Gli articoli pubblicati sul periodico della Schola cantorum non sono delle recensioni ma delle presentazioni dell’opera a scopo pubblicitario, sempre precedenti ai con118 [Un pubblico numeroso ed entusiasta] SAUERWEIN 1904, p. 193. [Bisognò fargli un pizzico di toilette] LAURENCIE 1906, p. 242 120 [Con nostro grande rammarico] MANGEOT 1905. 121 [Per diverse ragioni] POUGIN 1905, p. 52. 122 CLAUDIO MONTEVERDI, In un fiorito prato, dall’opera ‘Orfeo’, in PARISOTTI [1885-1898], III, pp. 24-26. Nella presentazione del brano si legge che è il racconto di «un messaggiero». 123 Anche senza senso: «Ce récit [della Messaggera] est une merveille d’émotion profonde et noble, tous les accents en sont neufs, expressifs, et harmonieux en même temps ; le cygne de Lohengrin luimême en reconnaîtrait quelques-uns» (LALOY 1904). 124 Al rapporto tra le due opere fu dedicato più tardi uno studio: DE PAOLI 1939. 119 61 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo certi. Si constatata la familiarità che via via si acquisiva con l’opera: dai primi articoli in cui ci si sente in dovere di presentare Monteverdi e il suo contesto storico, a D’INDY 1914 che non vede motivo di parlare dell’OM dal momento che ormai «est trop cunnu», e addirittura, nel suo Cours de composition musicale, lo cita come termine di paragone di repertorio: [il tema del Gloria della Messa in Re di Beethoven] est une sonnerie de trompette, en ré, que l'on trouve notamment dans l'Ouverture de l'Orfeo de Monteverdi, et aussi dans le Gloria de la messe de Bach.125 [è uno squillo di tromba, in re, che si trova notoriamente nell’Ouverture dell’OM, e nel Gloria della Messa di Bach.] La renaissance dei capolavori di musica antica promossa dalla Schola cantorum aveva anche fini compositivo-patriottici: andare alla ricerca di un’arte musicale (che deve esistere!) superiore a quella degenerata tedesca e italiana, far acquisire dai giovani compositori questi modelli incorrotti cui ispirarsi. Romain Rolland lo scrisse a chiare lettere in una sua recensione all’OM,126 e la storia della musica presenta un exemplum della riuscita di questi intenti ad esempio in Eric Satie, allievo della Schola, la cui attitudine prevalentemente lineare viene fatta derivare tradizionalmente dalla familiarità col canto piano. 125 126 D’INDY–SERIEUX [1903-1950], III, p. 279. ROLLAND 1904a, p. 49. 62 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo 15/02/1904 «Les Tablettes de la Schola» Annuncio della Prima; presentazione di Monteverdi e dell’opera (L. de la LAURENCIE). 25/02/1904: Prima dell’OM. «Concert de musique italienne des XVIe et XVIIe siècles», prima parte «Trois madrigaux dramatiques» (di O. Vecchi e A. Banchieri) e «Quatre pièces d’orgue» (A. Gabrieli, V. Pellegrini, G. Frescobaldi, M. Rossi), seconda parte OM – Salle de la Schola cantorum, h. 21 (prova generale alle 14). er La Musique Marie Pironnay I Berger J. David e La Messagère Marthe Legrand II Berger, un Esprit Monsieur Tremblay Eurydice Laure Flé Caron, un Esprit Monsieur Tarquini d’Or e Orfeo L. Bourgeois III Berger Mademoiselle de Kerval Les Chanteurs de Saint-Gervais et les cours d’ensemble vocal de la Schola – orgue: Alexandre Guilmant – Clavecin : Marcel Labey – Direction : Vincent d’Indy. 1/03/1904 «Les Tablettes de la Schola» Presentazione di Monteverdi e dell’opera (R. ROLLAND). 2/03/1904: replica del concerto del 25 febbraio 6/03/1904 «Le Ménestrel» J. TIERSOT: «L’Orfeo […] nous a révélé une forme lyrique qui n’a pas des rapports avec celles qui nous étaient familières, soit de l’époque antérieure, soit d’après»;127 considerazioni sull’armonia, l’orchestrazione, commenti ai numeri; «Tout cela est à la fois très savant et très naïf».128 15/03/1904 «Le Courier musical» Recensione dell’esecuzione (J. SAUERWEIN). 15/03/1904 «La Revue musicale» Louis Laloy [marzo] 1904 «La Revue d’art dramatique Spiegazione storico-estetica della superiorità dell’OM rispetet musical» to all’Euridice e alle altre opere di Monteverdi; recensione dei due concerti alla Schola (R. ROLLAND [1904a]).129 aprile 1904 «Mercure de France» Confutazione dell’analogia OM/Pelléas; storia della nascita dell’armonia; contesto dell’OM (J. MARNOLD). 15/01/1905 «Les Tablettes de la Schola» Presentazione dell’opera (estratto dall’articolo precedente, R. ROLLAND). 27/01/1905: concerto che prevede nella prima parte «Musique française du XVII siècle» e nella seconda l’OM (cambia interprete del III pastore: Claire Hugon) – Schola cantorum. 6/02/1905: OM alla Salle Pleyel 12/02/1905 «Le Ménestrel» Recensione dell’esecuzione dopo una lunga presentazione dei fiorentini, di Monteverdi e dell’opera (A. POUGIN) 15/02/1905 «La Revue musicale» Louis Laloy130 127 [L’Orfeo ci ha rivelato una forma lirica che non ha rapporti con quelle che ci erano familiari, sia dell’epoca precedente, sia successive] TIERSOT 1904, p. 75 128 [Tutto ciò è ad un tempo assai dotto e assai ingenuo] Ibidem, p. 76. 129 Non mi è stato possibile accedere a questo numero della rivista; l’articolo è stato in parte tradotto in WHENHAM 1986, pp. 119-125. 130 Non mi è stato possibile reperire questo numero della rivista. Traggo l’informazione da GOUBAULT 1984, p. 114. Dall’articolo di Laloy segnalato, si ricaverebbe la data dell’esecuzione dell’OM alla Salle Pleyel, non segnalata sulle «Tablettes de la Schola». 63 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 2. Il mito dell’Orfeo 15/02/1905 «Les Tablettes de la Schola» Annuncio dell’esecuzione dell’Incoronazione di Poppea il seguente 24 febbraio. D’INDY presenta l’opera e cita il simile lavoro di adattamento compiuto con l’OM. 28/02/1905 «Le Monde musical» 15/01/1906 «Les Tablettes de la Schola» Presentazione dell’opera (L. de la LAURENCIE). Presentazione dell’opera e recensione dell’adattamento (A. MANGEOT). 2/02/1906: «Les premiers essais de la musique dramatique en France, en Allemagne, en Italie»; prima parte selezione di Le Ballet comique de la Royne e La Philothée; seconda parte OM (cambiano gli interpreti del I e II Pastore – Leclerc e Marc David – e di Caronte/Spirito, Monsieur Villard) – Salle de la Schola cantorum. febbraio 1908 «Les Tablettes de la Schola» Anuncio dell’Incoronazine di Poppea a metà marzo; riproduzione della prefazione alla partitura di D’INDY; da notare che fa continui rimandi all’OM come opera ormai acquisita che può fungere da modello di paragone. aprile 1909 «Les Tablettes de la Schola» Annuncio del concerto del 30 aprile alla Schola cantorum «Les Orphées musicales», in cui si eseguiranno frammenti dell’Euridice di Peri, dell’OM, dell’Orphée descendant aux Enfers di Charpentier, dell’Orphoeus di Reinhart Keiser, dell’Orphée et Eurydice di Gluck;131 articolo di M. BRE132 NET. aprile/maggio «Les Tablettes de la Schola» Annuncio di un concerto dedicato interamente a Monteverdi 1914 il 24 aprile alla Salle Gaveau: Salve regina, Ariane abandonnée [Lamento d’Arianna], Trois madrigaux [dal IV libro], OM (degli interpreti delle prime esecuzioni restano la Musica e Orfeo). D’INDY presenta gli altri brani, e, prima di riprodurre ROLLAND 1905, scrive: «L’Orfeo est trop connu, depuis dix ans, du public de la Schola, pour que nous nous attardions à une description inutile».133 Tabella II.1: Spoglio dei periodici parigini contemporanei alle prime esecuzioni dell’OM nella revisione di Vincent d’Indy. 131 A proposito dell’Orfeo di Gluck si noti ciò che scrive D’INDY 1910, specchio del desiderio di ‘autenticità’ bloccato dalle convenzioni del tempo: «C’est dans l’intention de protester contre la mutilation des œuvres d’art que se permettent trop souvent de négligents ou d’ignorants directeurs de théâtre que nous avons tenu à présenter – en sa presque intégralité – la partition de l’Orphée de Gluck, telle que le génial auteur d’Alceste et d’Armide l’écrivit pour l’Académie de musique de Paris, et non point suivant la version bâtarde et d’un goût déplorable qu’on nous sert actuellement dans la plupart des théâtres de Paris et de Province [la revisione di Berlioz del 1859]. […] Afin de ne point dépasser les limites de la durée ordinaire des concerts, nous avons du supprimer quelques passages de la partition». 132 In quegli anni dilagava la moda del soggetto orfico, perlomeno nella Schola cantorum. Nel febbraio 1911 sulle «Tablettes» (X/2, p. 38) viene pubblicato il testo in latino del mito nella versione virgiliana (Georgiche, IV) per «en comparer la musique à l’inspiration de son illustre commentateur du XVIIIe siècle [Gluck]», e poche pagine dopo La vraie légende d’Orphéé, «conte inédit» di Etienne Rey (già apparso su «La Figaro» il 18 dicembre 1909. 133 [L’Orfeo è troppo noto, da dieci anni a questa parte, al pubblico della Schola, per attardarsi in una descrizione inutile] D’INDY 1914, p. 67. 64 3. Apertura e chiusura dell’Orfeo L’OM, lo abbiamo appurato, ha suscitato la sua attrazione sui posteri con varie armi di seduzione: il nome dell’autore, l’anno di composizione, la compresenza di stili musicali diversi, la sua assimilabilità wagneriana o, per altri, la sua illibatezza rispetto ad essa; non poca importanza ha poi giocato il fattore disponibilità, e cioè la felice circostanza per cui se ne possiede l’edizione (anzi due) a stampa: questo dona all’opera quella dose di definitività negata ai manoscritti, e con essa una certa autorità. E se la partitura a stampa secentesca non è abbastanza esaustiva per un musicista di tre secoli dopo, tuttavia lo è per considerare l’opera un Werk con una struttura definita e per offrire numerosi spunti esecutivi. In questo senso si può affermare che l’OM è un’opera ‘chiusa’ dal punto di vista della sua costruzione e ‘aperta’ da quello della sua attuazione. III.1. Chiusura dell’OM L’Euridice può essere paragonata ad un fregio di metope; l’Orfeo ascende verso un culmine e ne declina come il frontone triangolare di un tempio.1 Non c’è che dire: da qualunque parte lo si esamini, l’OM appare felicemente coeso, strutturato; i sottotesti che porta con sé sono diversi a seconda degli analisti eppure tutti validi, sovrapponibili; le scelte degli intervalli di segmentazione2 spesso non combaciano o addirittura si negano a vicenda, ma porgono il destro agli studiosi per interpretazioni egualmente valide. Comune a tutti è comunque la ricerca di una struttura, d’impianto e allusiva,3 ben definita che renda l’OM un’Opera e come tale un modello. 1 PIRROTTA 1963, p. 332. Riprende il concetto in PIRROTTA 1975, p. 309 (dove sostituisce «timpano» a «frontone»). 2 Pare che le tre operazioni costanti per ogni tipo di analisi musicale siano segmentazione, gerarchizzazione e stratificazione, onde svelare un livello profondo che funga da nucleo a quello di superficie. 3 «Due direttrici tra loro complementari: l’aspirazione ad una regolarità d’impianto che ne penetrasse possibilmente ogni aspetto e che tradiva un’esigenza di modelli da imitare/emulare, ed il cospicuo grado di allusività delle sue componenti, decodificabili da parte di un uditorio culturalmente scelto quale il con- 65 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo Operazione che, se compiuta ingenuamente, può risultare anche deviante: infatti, se, come spiega Nicholas Cook, «analizzare un nuovo brano in base alla forma consisteva essenzialmente nell’assimilarlo a uno dei prototipi formali già esistenti»,4 spiegarne uno antico con parametri contemporanei poteva risultare chiarificatore (illustrare in modo familiare ciò che non si riuscirebbe altrimenti ad afferrare), ma assolutamente erroneo dal punto di vista storico: è il tranello in cui quasi cade il già citato HAWKINS 1776 – il primo analista dell’OM, appunto – che, evidentemente abituato alle ouverture bipartite alla francese, unisce Toccata («a short prelude, eight bars of breve time in length, in five parts, for a trumpet and other instruments») e Ritornello (che invece, verosimilmente, è già parte del Prologo) in quella che definisce «ouverture, if it may be called by that name, […] and consists of two movements».5 Le analogie con l’opera francese espressiva à la Lully saranno poco dopo il tema conduttore della descrizione di BURNEY 1789, probabilmente per farsi capire da un lettore che la possedeva nel suo bagaglio di cultura musicale: That the time is changed as frequently as in the old French serious operas, and thought the word aria sometimes occurs, it is as difficult to distinguish air from recitative, in this drama, by any superiority of melody, as in those of Lulli; except in the choruses which were sung and danced at the same time, like those on the French stage.6 [Sebbene i tempi cambino frequentemente come nella vecchia opera seria francese e il termine aria ricorra qualche volta, in quest’opera distinguere tra recitativo ed sesso di un’accademia, ma probabilmente dotate di scarso valore connotatorio per un pubblico più vasto ed eterogeneo» (FABBRI 1984, p. 204, che si dedica all’analisi del libretto). 4 COOK 1987, p. 27. 5 [Ouverture, se così si può chiamare, costituita da due movimenti] HAWKINS 1776, p. 525. Unire Toccata e Ritornello e farne un’ouverture ABA’ sarà d’altronde l’operazione messa in atto da d’Indy, che la giustifica nella prefazione nel modo seguente: «Cette toccata devait se ‘sonner’ trois fois de suite avant le lever de la toile. Afin d’éviter la monotonie d’une triple répétition, j’ai substitué à la seconde le Ritornello en ré mineur qui figure, dans l’exemplaire original, à la même page que la toccata […] et qui semble bien ainsi, sans toutefois que je puisse l’affirmer, se rattacher ici à l’Ouverture» (D’INDY 1905, prefazione senza numeri di pagina). Stessa operazione si ritrova in OREFICE 1909 e RESPIGHI 1935. La giustificazione di quanto affermo (e cioè dell’appartenenza del Ritornello A al Prologo) risiede nel fatto che il Ritornello A’ verrà riproposto come refrain tra le strofe del Prologo e poi ripreso nella sua forma più estesa iniziale (Ritornello A) a conclusione del Prologo stesso. Ciò non toglie che la mia visione strutturale di questo elemento possa essere tacciata di interpretazione ‘modernizzata’ tanto quanto quella di Hawkins o d’Indy: se ai loro tempi era ovvio riconoscere un’Ouverture tripartita, oggi lo è individuare un rondò. Sul (presunto) errore del connubio Toccata–Ritornello A cfr. HARNONCOURT 1984, pp. 149-150. 6 BURNEY 1789, II, p. 516. 66 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo aria per una qualche superiorità della melodia è arduo quanto in quelle di Lulli, fatta eccezione per i cori che erano cantati e danzati allo stesso tempo, come quelli sulla scena francese.] Naturalmente non c’è nulla di male in un’operazione simile in quanto non stravolge il testo; ma bisogna sempre stare in guardia nell’allontanarsi dai codici in vigore all’epoca della creazione di un’opera: come ammonisce Joël Heuillon, la ricezione dell’OM attraverso filtri e codici lontani da quelli dell’epoca ci restituisce un discorso apparentemente efficace ma vuotato in parte del suo senso originale.7 A questo punto è opportuno considerare, pertanto, le diverse chiavi di lettura che hanno guidato gli studiosi nelle loro analisi dell’OM. III.1.1. Retorica e passioni Dal momento che si è citato Heuillon, diamogli la precedenza nell’esporre la sua teoria sulla struttura espressiva dell’OM. Egli ritiene che si debba leggere l’opera all’insegna del codice retorico classico: Ì inventio: il principe determina l’occasione, l’utilità e il soggetto dell’opera, per- tanto ne partecipa alla creazione; è allora anche in questa luce, mi viene da aggiungere, e non solo di omaggio al mecenate, che va letta la Toccata, che, come si è a lungo sostenuto, sarebbe un simbolo dei Gonzaga staccato dalla diegesi (tant’è che si ritrova nel Vespro della Beata Vergine del 1610), così come la raffigurazione del committente nelle opere pittoriche;8 Ì dispositio: tutta la vicenda è la storia della passione irascibile di Orfeo; il tomi- smo prevede tre tipi di passioni: concupiscibili (deboli, legate ai bisogni primari), edificanti (l’amore del bene porta a desiderare un oggetto che sarà il vero bene) e irascibili, che subentrano allorché il processo di tensione al bene instaurato da una passione edificante non va a buon fine, e hanno la forma dell’ira, del dolore, della tristezza, passioni condannate in quanto tengono a lungo lo spirito sotto il loro dominio privandolo della 7 HEUILLON 2002, p. 98. Inutile precisare che questa interpretazione è affascinante quanto forzata. La riproposta della Toccata nel Vespro potrebbe essere semplicemente il riciclo di un materiale che probabilmente aveva avuto successo; oppure altrettanto verosimilmente che i Gonzaga potrebbe rappresentare Monteverdi stesso e fungerne da firma; molto più semplicemente potrebbe trattarsi del riuso di un gesto musicale assolutamente neutro tipico delle fanfare introduttive (magari utilizzato abitualmente senza essere scritto nelle parttiture). 8 67 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo ragione; le passioni irascibili erano le più rappresentate nelle arti in quanto si prestavano ad avanzare dei contro-esempi virtuosi. Nell’OM la storia della passione irascibile di Orfeo si snoda in sei momenti: tristezza iniziale (Euridice lo rifiuta, si tratta di un antefatto narrato), felicità (lo sposa), tristezza (muore), felicità (Proserpina convince Plutone a ridarle la vita), tristezza (seconda morte di Euridice), felicità (apoteosi di Orfeo). Se si inseriscono questi sei momenti nella tabella III.1 (che mette a confronto le interpretazioni strutturali della macroforma dell’OM), risulta subito evidente come essi non siano distribuiti in modo regolare tra gli atti. MORRIER 1995 analizza in particolare la disposizione degli affetti nell’atto III: Speranza: Orfeo e la Speranza («Scorto da te, mio nume) Disperazione:9 partenza della Speranza («Dove, ah dove ten vai») Insensibilità: Caronte («O tu ch’innanzi morte a queste rive») Charme di Orfeo («Possente spirto e formidabil nume») Insensibilità: Caronte («Ben mi lusinga alquanto») Disperazione: Orfeo («Ahi sventurato amante») Speranza: Orfeo dopo aver fatto addormentare Caronte («Ei dorme, e la mia cetra») Come si può vedere non solo ricorre l’alternanza di affetti contrastanti, ma essi creano una struttura simmetrica tipica dell’OM a più livelli. Cambi scena Tensione Passioni Atto II Campi di Tracia tristezza felicità tristezza Atto III Inferi episodio: minima II ep.: cresce III ep.: climax IV ep.: dimin. V ep.: felicità Prologo Atto I Atto IV Atto v Campi di Tracia I felicità tristezza Peripezie I morte di Euridice II morte di Euridice Ritornello A Ritornello A «Ecco Orfeo» I canzone di Orfeo Sinfonia C Sinfonia C II canzone di Orfeo Ritornello A «Vanne Orfeo» minima Prologo Corrispondenze musicali I strofa II strofa sfera del terrestre m. humana III strofa m. mundana IV strofa m. humana V strofa sfera del terrestre Tabella III.1 Ì lasciando da parte la memoria, relativa alla produzione e non all’opera, Heuillon rileva come elocutio (lessico, stile, ornamentazione) e actio (realizzazione di voci, gesti, 9 L’etimologia di ‘opposto della speranza’ è più chiara in francese: éspoir/désespoir. 68 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo etc.) siano gli unici aspetti curati dalla prassi esecutiva ‘storicamente informata’ che si rivela pertanto incompleta: il rischio è quello della riduzione del discorso ai suoi effetti stilistici. III.1.2. Una tragedia greca «È stata opinione di molti, Cristianissima Regina, che gli antichi Greci e Romani cantassero sulle scene le tragedie intere». Così il celebre incipit della prefazione di Jacopo Peri alla sua Euridice ribadisce il modello virtuale (perché in fondo solo supposto) cui tendevano i suoi esperimenti umanistici: un teatro alla greca. Se nell’opera del fiorentino l’elemento di ricerca più evidente e dichiarato in tale direzione è senza dubbio il recitar cantando come riesumazione della parakatalogé, e se vogliamo la presenza dei cori, ben più simile ad una tragedia greca anche dal punto di vista strutturale è l’OM. Innanzitutto è subito evidente la divisione in cinque atti corrispondenti a cinque episodi (secondo la standardizzazione della studiatissima Ars poetica di Orazio) disposti simmetricamente all’apogeo del terzo, corrispondente al nucleo semantico principale dell’opera: la potenza della musica (v. tabella III.1). Ognuno degli atti-episodi termina con uno stasimo, il coro di commento gestito da corifeo e coristi (che non sono personaggi appartenenti alla diegesi ma emanazione di un’identità collettiva); altri cori tipici sono la parodos, l’ingresso del coro, di andamento processionale, il kommós, il lamento funebre, e l’exodos, l’uscita del coro, che nel libretto, ma non nella musica a stampa, è in forma di baccanale. La tabella III.2 illustra la ‘struttura greca’ dell’OM.10 È una ricostruzione certo affascinante e in linea di massima pertinente che rileva se non altro una trama di simmetrie: quasi che il ritorno all’antico non fosse solamente il ricalco di una forma ma anche l’accettazione di quella filosofia dell’ordine e del calcolo che conferisce a quest’opera dal carattere pienamente barocco (v. anche infra, III.1.7), un ‘classicismo’ forse inatteso, fatto di pesi e contrappesi in equilibrio. E non si tratta di un’esegesi fine a se stessa: la lettura di «Lasciate i monti» suggerita, ad esempio, è utile a risolvere un problema testuale della partitura, continuamente dibattuto, circa l’ordine di esecuzione delle strofe (a causa della mancanza dei segni di ritornello); per tacere delle implicazioni registiche. 10 La fonte principale di quanto scrivo è l’esauriente MORRIER 2002. 69 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo Prologo · Personaggio astratto introduce in recitativo la vicenda ad un pubblico che la conosce già in quanto mitica. · Parodos: «Vieni Imeneo, deh vieni» (epithalamios, canto di nozze); il Pastore è il corifeo. Atto I · «Lasciate i monti», balletto organizzato secondo lo schema strophé/antistrophé (1a + 1b = responsio): 1a) strophé, danza verso destra: «Lasciate i monti»; 1b) antistrophé, danza verso sinistra: «Qui miri il sole»; 2) epọdós, ritornello strumentale; 1a) strophé, danza verso destra: «Lasciate i monti»; 1b’) antistrophé, danza verso sinistra: «Poi di bei fiori»; 2) epọdós, ritornello strumentale; · I Episodio: le nozze, con ripresa del balletto e della parodos. · Stasimos moraleggiante e processionale: «Alcun non sia che disperato in preda» Atto II · II Episodio con I peripezia: morte di Euridice (NB: i flautini in corrispondenza dell’evocazione del dio Pan simboleggiano l’aulós). · Stasimos: «Ahi, caso acerbo» (kommós) Atto III · III Episodio: Orfeo agli inferi. · Stasimos moraleggiante: «Nulla impresa per uom si tenta invano». Atto IV · IV Episodio con II peripezia: II morte di Euridice. · Stasimos moraleggiante: «È la virtute un raggio». Atto V · V Episodio: dionisiaco nel libretto, apollineo nella partitura. · Exodos: «Vanne Orfeo» + moresca; nel libretto baccanale. Tabella III.2: La struttura da tragedia greca dell’OM. Caratteristica del teatro antico è poi la teichoskopia, la non presenza scenica delle azioni ma il loro racconto in tempo reale: nell’OM questa componente è assente, mentre è presente quella della narrazione degli antefatti (Euridice non voleva sposare Orfeo ma ora le cose sono cambiate) e il fatto che molti avvenimenti anche importanti hanno luogo fuori scena (il matrimonio durante «Alcun non sia che disperato in preda» e la prima peripezia, la morte di Euridice, narrata dalla Messaggera); dopodichè ecco lo strappo all’unità di luogo e la discesa gli inferi: d’ora in poi tutto avviene in scena, la spettacolarità barocca ha la meglio e «Possente spirto» è una vera e propria azione in musica, un numero diegetico (Orfeo si rivolge cantando a Caronte) la cui forma è anche la sua sostanza: la musica è l’azione. È forse questa la grande novità, il grande distacco dalla tragedia greca e il punto chiave dell’opera in musica. 70 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo Un particolare correlato alla ‘questione greca’ è poi quello, non strutturale ma organologico e di strumentazione, della differenza tra ‘cetera’ e ‘lira’: la prima è ciò che noi chiamiamo cetra o lira, ed il suo effetto è creato da Monteverdi con l’arpa o gli strumenti a corda pizzicata (chitarroni); la seconda rimanda invece alla rinascimentale ‘lira da braccio’, strumento a 7 corde (numero di Apollo, dei pianeti…) sfregate accordalmente, e pertanto evocata dall’ensemble di strumenti ad arco. Nell’atto III ci sono due momenti in cui Monteverdi sembra voler creare questo effetto: l’accompagnamento della strofa «O de le luci mie luci serene» di «Possente spirto» (sebbene Orfeo stia dicendo: «sopra un’aurea cetra | sol di corde soavi armo le dita») e la Sinfonia D durante la quale Caronte si assopisce (ma, ancora, Orfeo dice: «Ei dorme, e la mia cetra | se pietà non impetra | ne l’indurato core | almeno il sonno | fuggir al mio cantar [rectius suonar…] gli occhi non ponno»; ottima pertanto la traduzione di d’Indy: «Il dort… ma triste lyre n’a pu faire naître la pitié dans son coeur, mais elle a su appeler le sommeil sur sa paupière»). III.1.3. Cinque atti che sono tre La rigida strutturazione in cinque episodi, seppur così convincente e quasi evidente (o forse proprio per questo), è stata messa in discussione da WHENHAM 2001: i veri momenti di segmentazione dell’opera sono i cambi di scena, non gli atti (tra i quali anzi l’azione è continua).11 La spettacolarità del connubio visione/musica, derivata dagli intermedi, è fondamentale, secondo Whenham («visual aspects and stage engineering were at least as important as music and text»),12 proprio nell’ottica delle aspettative del pubblico coevo (colto) il cui godimento stava nel ritrovare illustrati i mondi che aveva letto negli antichi e in Dante: gli inferi.13 E così ciò che conta nell’OM è la sua tripartizione Tracia–inferi–Tracia e la spettacolarità sarà tanto più forte quanto più il cambio di scena sarà rapido: 11 Aveva già accennato a ciò PIRROTTA 1963, secondo cui «il coro finale è il vero termine dell’atto, e la divisione in atti non significa che vi fosse un’interruzione dello spettacolo». Le sinfonie, a differenza dei ritornelli tra un brano e l’altro, servirebbero ad «accompagnare qualche azione scenica (inclusi i cambiamenti di scena a vista)» (p. 329). 12 [Gli aspetti visuali e la scenotecnica erano importanti almeno quanto la musica e il testo] WHENHAM 2000, p. 74. 13 Dante, dimenticato nel Rinascimento, iniziava ad essere riletto: citarlo era segno di ulteriore elitarismo del testo. 71 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo I believe that the intention was not only they should be sudden and surprising, plunging us first from the light of the upper world to the gloom of the approaches to Hades, and then equally suddenly back again as Orfeo is unceremoniously ejectet from the underworld.14 [Credo che non dovessero essere solo improvvisi e sorprendenti, nel gettarci dalla luce del sole all’oscurità delle soglie dell’Ade, e poi allo stesso modo indietro quando Orfeo viene espulso senza cerimonie dall’oltretomba.] E anche se non possediamo bozzetti scenici delle prime rappresentazioni, la regia è esplicita sia nel testo sia nella musica: i personaggi stessi – non ci sono didascalie – descrivono il luogo in cui si trovano (ad esempio: «Ecco pur ch’a voi ritorno care selve e piagge amate», «Ecco l’atra palude … ‘Lasciate ogni speranza voi ch’entrate’», «Questi i campi di Tracia»); la musica poi (v. tabella mondo: il Ritornello A III.1), sembra sottolineare il cambio di rappresenterebbe il mondo pastorale, la Sinfonia C quello infer- nale. C’è da dire che per quanto riguarda quest’ultima non ci sono dubbi, basti pensare che «qui entrano li tromboni, cornetti et regali, et tacciono le viole da braccio et organi di legno, clavicembali, et si muta la scena», come recita la partitura – a quanto pare non descrivendo ciò che avvenne alla prima rappresentazione (come avviene nelle didascalie del tipo: «Questo canto fu concertato al suono di tutti gli strumenti»), ma prescrivendo un particolare colore nettamente connotato e contrastante rispetto a quello del Ritornello A appena precedente; la ripetizione di questa sinfonia tra il III e il IV atto avrebbe però funzione inversa: non ‘cambio di mondo’, ma esplicitazione del fatto che si rimane agli inferi anche se i personaggi in scena cambiano (non più Orfeo e Caronte ma Proserpina e Plutone), pertanto la funzione ‘cambio di mondo’ esiste ma deriva da quella che potremmo chiamare ‘denotazione musicale di un mondo’.15 Il mondo denotato dal Ritornello A sarebbe dunque quello pastorale: la sua presenza alla fine dell’atto II prima della sinfonia ‘infernale’ sarebbe una sorta di addio (una specie di dissolvenza incrociata) e tra il IV e il V assumerebbe in pieno la funzione ‘cambio di mondo’; il problema è che se c’è un luogo della partitura per eccellenza a cui associamo questo ritornello è il Prologo: e il Prologo non è verosimilmente in nessun luogo ed è altamente allusivo. Ne deriva un’interpretazione drammaturgica del ritornello parimenti astratta: esso richiamerebbe la musica e il suo potere. Dapprima associato alla Musica in persona, alla fine dell’atto II, quando Orfeo parte per l’aldilà, ne prefigurerebbe il potere (o esprimerebbe la spe14 15 Ibidem, p. 76. GLOVER 1986, p. 142, parla di «aural topographical pointer». 72 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo ranza di esso): il mitico cantore vincerà il «destin crudele» con armi musicali; inutile dire che la ricorrenza di questo brano nell’opera ne sottolineerebbe la metamusicalità (opera sulla musica); a questo punto però la presenza del Ritornello A tra IV e V atto – così pertinente in termini di ‘denotazione musicale di un mondo’ e allo stesso tempo di ‘passaggio di mondo’ – risulterebbe quantomeno debole: Orfeo ha appena perso per la seconda volta Euridice, nulla poté la musica se non una consolazione effimera. Denis Morrier attribuisce al Ritornello A la funzione di ‘passaggio di mondo’ senza associargli quella di ‘denotazione musicale di un mondo’ in particolare; nel vedere questo brano come un collante tra i livelli egli ritiene che si possa appunto leggerlo come simbolo della musica: A la fin du IIme acte, [la Ritournelle] annonce le passage du monde terrestre vers le monde infernal. Au début du Vme, elle confirme le retour d’Orphée parmi les humains. Sa présence dans le Prologue peut également signifier un autre passage : celui de Musica qui quitte les sphères divines pour descendre dans la sphère terrestre. Ainsi, ce magnifique Ritornello doit être considéré comme la musique qui unit les trois mondes : divin, terrestre et infernal.16 [Alla fine del II atto, il Ritornello annuncia il passaggio dal mondo terrestre a quello infernale. All’inizio del quinto, conferma il ritorno di Orfeo tra gli uomini. La sua presenza nel Prologo può ugualmente rappresentare un altro passaggio: quello della Musica che lascia le sfere celesti per discendere nella sfera terrestre. Così, questo magnifico Ritornello dev’essere considerato come la musica che unisce i tre mondi: divino, terrestre e infero.] La validità della questione motivica appena affrontata è pericolosamente minacciata dai moderni schemi interpretativi inevitabilmente impregnati di Leitmotiv,17 ed è più prudente lasciarla sul piano ermeneutico, senz’altro utile per una messa in scena, piuttosto che evidenziarne troppo la valenza strutturale. Meno scivoloso è un altro argomento a favore della tesi di Whenham: quello della continuità dell’azione tra gli atti a scapito della pentapartizione degli episodi. Sarebbe Monteverdi stesso, con una modifica del libretto, ad unire il I ed il II atto: Orfeo rientra 16 MORRIER 2002, p. 30. «Quasi un ‘tema d’Orfeo’» è la definizione del Ritornello A di GALLICO 1976, p. 44 (già PRUNIERES 1931 ne aveva parlato come di «leit motiv d’Orphée», convinto che «tout à fait particulier à Monteverdi, c’est l’emploi de morceaux symphoniques à la manière de véritables motifs conducteurs pour assurer l’unité du drame et exprimer des sentiments déterminés», p. 53). MALIPIERO 1923, p. iii, antiwagneriano doc, ‘vorrebbe e non vorrebbe’: «i ‘ritornelli’ pur non potendoli paragonare ai celebratissimi leitmotivs [sic], sono equilibrati da una speciale sensibilità che non li distribuisce a caso»; e WESTRUP 1940: «It is an exaggeration to call it [il Ritornello A] a Leitmotiv, but its power of suggestion is considerable» (p. 243). 17 73 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo dalle nozze alla fine del I, ce lo dice il coro («Ecco Orfeo, cui pur dianzi», e non come aveva scritto Striggio: «Orfeo, cui pur dianzi»), e in questo modo si crea unità se non altro temporale, non ci sono ellissi. (Colgo l’occasione per rilevare un ulteriore elemento di simmetria che contribuisce alla tesi di un’accurata costruzione dell’OM: il coro «Vanne Orfeo» alla fine dell’atto V sembra proprio richiamare «Ecco Orfeo».) Tra il III e il IV ci sarebbe unità d’azione: «Possente spirto», l’aria centrale dell’opera (sia come posizione sia drammaticamente), non produce alcun effetto su Caronte, ma colpisce invece Proserpina (nel IV atto), quindi non si può parlare di due azioni distinte, ma della presenza – seppure non scenica – degli dei inferi durante «Possente spirto» e del suo effetto nell’atto successivo.18 Un esempio di messa in scena che tiene conto della presenza (più o meno fisica) di Proserpina e Plutone negli inferi da subito è il magistrale spettacolo di Jean-Pierre Ponnelle: i coniugi divini entrano al suono della ‘sinfonia infernale’ che assume le vesti di una fanfara regale, così come all’inizio dell’opera i Gonzaga (che poi si rivelano essere la Musica e Apollo) fanno il loro ingresso in scena (per assistere-partecipare) alla rappresentazione accompagnati dalla Toccata. Ecco dunque che nel testo (verbale e musicale) dell’OM, secondo Whenham, sono intessute le indicazioni registiche per la messa in scena dell’opera: sostanzialmente niente intervalli, e cambi di scena a sipario aperto quanto più repentini e spettacolari. III.1.4. Il Prologo premonitore Il già citato Denis Morrier19 sostiene la tesi che le cinque stanze del Prologo siano organizzate simmetricamente in modo molto simile ai cinque atti dell’intera opera (v. tabella III.1): il Prologo cioè sarebbe una sorta di proiezione ortogonale dell’opera e avrebbe una funzione simile ad un blueprint, la presentazione in breve dei punti che saranno sviluppati nel corso del lavoro; Morrier parla di relazione microcosmo/macrocosmo che «n’est pas sans évoquer la cosmologie ancienne».20 Le stanze 1 (omaggio ai nobili committenti) e 5 (richiesta di attenzione e silenzio alla natura) sarebbero legate, come 18 WHENHAM 2000, pp. 80 sgg. Si noti però che l’azione caratteristica del IV episodio secondo l’interpretazione ‘greca’ non sarebbe l’effetto del canto di Orfeo, ma la seconda morte di Euridice; Whenham privilegiando il luogo all’azione riunisce sotto un’unica etichetta ciò che avviene nell’aldilà: l’unità di luogo fa l’unità d’azione. 19 Cfr. MORRIER 1995 e 2002, pp. 27-29. 20 [Non manca di evocare la cosmologia antica] MORRIER 2002, p. 29. 74 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo gli atti I e V, dalla appartenenza al «domaine terrestre et mortel»; Le stanze 2 (il potere della musica) e 4 (il potere della musica attraverso il suo «champion» Orfeo), come gli atti II e IV, presentano le ‘peripezie’, ovvero gli avvenimenti che sconvolgono lo status quo e danno una svolta alla vicenda: naturalmente non essendoci nel Prologo alcuna vicenda, a mio avviso il termine ‘peripezia’ è inadeguato, resta però il fatto che esiste una simmetria tra queste due strofe – in quale modo però il potere della musica possa relazionarsi con le due morti di Euridice non è chiaro; la stanza e l’atto centrale sono entrambi l’apice, l’apogeo, l’asse di simmetria: l’armonia sonora delle sfere celesti e il canto magico di Orfeo che, se vogliamo usare i termini della teoria medievale, descriverebbero la musica mundana (le stanze 2 e 4 quella humana, e, se proprio si vuol tirare la similitudine per i capelli, il restante ambito del terrestre e del caduco starebbe in relazione con la più vile musica instrumentalis). III.1.5. Simmetrie e organizzazione tonale Da quanto analizzato nei paragrafi precedenti si può senz’altro eleggere la simmetria a criterio organizzativo più ricorrente nell’OM: a livello di mutazioni sceniche (Traciainferi-Tracia), di tensione (climax al centro dell’opera), di disposizione delle peripezie, di corrispondenze musicali, il tutto eventualmente prefigurato nel Prologo (cfr. tabella III.1). A scendere dalla considerazione dell’intera opera a quella dei singoli atti le cose non cambiano: si pensi a quanto detto sopra a proposito dell’alternanza speranza/disperazione nell’atto III e si aggiunga quanto schematizzato da molti commentatori circa la distribuzione dei numeri in ogni atto e tra atti corrispondenti.21 Al di là degli schemi formali ‘cosmologici’, che ripagano col loro fascino le conclusioni talvolta forzate, c’è chi ha indagato più da vicino la musica dell’OM, pur restando in un tipo di indagine sulla macroforma: la drammaturgia dei piani tonali e delle scelte strumentali. Dal momento che di quest’ultima parlerò in seguito (v. infra, III.2.1) , è bene spendere qualche riga sulla ‘chiusura’ dell’OM dal punto di vista delle scelte to21 Cfr. LEOPOLD 1982, pp. 102-118 e MORRIER 2002, pp. 32 (atto I), 44 (atto II), 68 (atto IV). CHAFE 1992, p. 130, fa notare come ci sarebbe corrispondenza simmetrica tra la struttura ‘a rondò’ del coro finale del I e del V atto se in quest’ultimo fosse musicato sul libretto dionisiaco (ritornello «Evohè padre Lieo» alternato a 3 interventi di Baccanti, come nell’atto I il Ritornello C alternato a 3 interventi di pastori). Già CESARI 1910 evidenzia «l’elemento formale puro che entra nell’economia generale dell’opera e vi crea dei blocchi interessanti» e accusa Orefice di averli stravolti (pp. 176 sgg.). 75 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo nali, dal momento che ne emerge ancora una volta una constatazione di simmetrie. Ad affrontare la questione in modo approfondito è stato Eric T. Chafe (1992): Monteverdi instaura una corrispondenza più o meno tassativa tra zone tonali e situazioni drammatiche o personaggi (Orfeo tende ad alternare sol minore e maggiore; le zone di fa e do sono utilizzate soprattutto dai pastori, Caronte e Plutone; la Speranza canta in sib e la perdita di speranza viene espressa nel suo diretto opposto – relazione di tritono –, in mi minore), e d’altro canto ci sono delle simmetrie costruite con percorsi modulanti (già nel Prologo, l’alternanza di percorsi tonali speculari, dalla zona di re a quella di la nella strofa e viceversa nel ritornello). Tant’è che Chafe ritiene che «the drama can be narrated in terms of its tonal devices»22 proprio come si poteva fare, ad esempio, con l’alternanza felicità/tristezza. Mi preme di sottolineare questi aspetti costruttivi così equilibrati innanzitutto per i rischi che li minacciano qualora si procede a tagli o spostamenti di numeri nell’opera, e in secondo luogo perché, a quanto mi risulta, le questioni relative all’organizzazione formale delle arti barocche sono poco studiate. In campo musicale si pone l’accento sulla spettacolarità e sull’abbellimento (la cosiddetta estetica della ‘meraviglia’) e si sottolinea più la disomogeneità (dei complessi strumentali, del contrasto d’affetti) che la coerenza d’impianto: in chiave retorica si può dire che ci si fermi più sulle figure di parola e sui loro effetti che sulla loro organizzazione (inventio), come notava il citato HEUILLON 2002 (v. supra, III.1.1). È una tendenza critica che, perlomeno in Italia, deriva senz’altro dalla storiografia letteraria d’ascendenza crociana;23 sta di fatto che anche chi programmaticamente vi si opponeva, ad esempio la storiografia marxista, non esitava a porre in primo piano del barocco le tendenze antinormative.24 La griglia a più livelli 22 [Il dramma potrebbe essere esposto in termini di piani tonali] CHAFE 1992, p. 135. Il primo a ricorrere al termine «barocco», a netta connotazione negativa, per la storia della letteratura è CROCE 1929, che naturalmente non era interessato alle forme. A questo proposito è ancora esemplare il già citato PANNAIN 1955, un vero e proprio compendio di estetica idealista: «Di solito, particolarmente quando si parla di musica del passato, nell’illusione d’individuare lo spirito della forma, si procede allo smontaggio della struttura, come di un meccanismo. Ma l’operazione è improduttiva. Perché ogni forma ha un suo stato corporeo e quale esso sia importa solamente in quanto aderisca ad uno stato espressivo del quale è causa ed effetto insieme. […] Ed è una pena sentire quello che ne dice il Prunières con la consunta secchezza d’un linguaggio senza anima: “… la curieuse ritournelle qui précède le trio des bergers est un veritable ricercar d’orgue … deux thèmes y sont travaillés en canon avec ingéniosité”» (p. 28; la citazione è da PRUNIÈRES 1931, p. 55). 24 Cfr. ad esempio FERRONI 1992, pp. 395 segg. (contemporaneo a CHAFE 1992). 23 76 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo simmetrica dell’OM è una caso a sé? Deriva solo dai suoi auspici sostanzialmente classicisti di ridar vita alla tragedia greca? Questo influisce senz’altro, ma credo non si debba guardarlo come un unicum: piuttosto che come una somma disordinata di elementi eccessivi, l’arte barocca dovrebbe essere osservata in termini di mediazione tra un rigoroso e ‘antico’, per forme e contenuti, Rinascimento e quel Barocco che non ha nulla da dire e cerca di innovare a tutti i costi, ma senza un programma, così come viene presentato dalla vulgata storiografica. A supportare questa terza via esistono anche (pochi) studi inerenti al barocco letterario:25 penso in particolare all’indagine sulle «formalizzazioni» dell’Adone (1623) di Giovan Battista Marino condotta, decisamente controcorrente rispetto alla tradizionale considerazione del poema, da Giovanni Pozzi,26 che evidenzia giustappunto i principi di simmetria (una grande famiglia retorica figlia della ‘regola del due’) che organizzano il testo soprattutto (a differenza che nell’OM) a livello di microforma (struttura delle parole nei versi e dei versi nelle ottave), pur ritrovandosi nella macroforma in termini di regioni tematiche e di relazioni fra concatenazioni; una simmetria che, manieristicamente, si trasforma anche nel suo simmetrico, cioè nell’asimmetria: ‘barocchismo’ esegetico? Ciò che conta in questa sede è segnalare questo importante esempio, sostanzialmente contemporaneo a Monteverdi, di simmetria come trait d’union formale fra tradizione e innovazione, poetica dialettica sotto la cui luce bisognerebbe considerare maggiormente il barocco svelandone la «programmaticità».27 In generale sull’importanza della dispositio sono chiarissimi i trattati di retorica, anche musicale, dell’epoca: nella Musica poetica di Burmeister (1606), giusto per citare uno dei maggiori, è esplicitato che la bravura si mostra in essa; pur non riferendosi alla simmetria ma piuttosto alla tripartizione tipica del discorso verbale (exordium, confirmatio ed epilogus),28 ciò che conta è che venga sottolineata l’importanza, sia a livello compositivo sia ricettivo-valutativo, della strutturazione. Che alla dispositio prettamente retorica si affianchino costruzioni formali più propriamente musicali, come la simme25 Riguardo al barocco musicale DAOLMI 1998 evidenzia, ad esempio, l’«organizzazione formale, speculativa affatto, che provoca, bisogna ammetterlo, una certa vertigine» (p. 169) delle musiche di Primero es la honra di Antonio Draghi (che però appartiene al secondo Seicento: 1634-1700). 26 POZZI 1976, in particolare il paragrafo intitolato appunto Le formalizzazioni, pp. 75-87. 27 Cfr. PANZERI 2006. Simmetria non priva della componente mistico-numerologica tipica dell’epoca. 28 BURMEISTER 1606, cap. XV: De analysi sive dispositione carminis musici. Per una panoramica condotta sulle fonti circa la dispositio in musica cfr. UNGER 1941, pp. 85-105. 77 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo tria, è indice di quella ‘terza via’ tra tradizione classica ed innovazione (che diventerà teoria delle forme) che si è proposta come chiave di certa arte barocca; Hans-Heinrich Unger (1941) è illuminante sulla differenza tra i due momenti limite architettura retorica/teoria delle forme: […] la dispositio musicale non va confusa con una ‘teoria delle forme’ [Formenlehre] di qualche genere. Se è vero che anche la dispositio stabilisce con precisione le parti di una composizione, essa tuttavia non divenne mai un sistema rigido e rimase invece in continua evoluzione, adattandosi con estrema facilità alle caratteristiche peculiari dei vari pezzi musicali senza perdere la propria forza plasmante. È quest’elasticità che la differenzia, a parer mio, dalla teoria delle forme: il dogmatismo di quest’ultima fa sì che la forma entri troppo facilmente in conflitto con il contenuto e debba essere quindi ‘infranta’ dal compositore; cionondimeno, se il contenuto è valido, questa distruzione della forma da sola non potrà compromettere l’esito dell’opera d’arte, mentre la distruzione della dispositio ne comporta necessariamente la morte. Si può affermare quindi che la dispositio, al contrario della teoria delle forme, si identifica sempre con il contenuto dell’opera.29 Tornando all’OM, CHAFE 1992 parla di «dualistic imagery»: a livello di affetti e di ambientazioni (livello contenutistico e simbolico), così come di piani modali/tonali (in particolare di cantus durus e cantus mollis: si pensi all’alternanza sol maggiore/minore che rileva essere tipica del canto Orfeo) e organizzazione formale (livello strutturale). Sia il livello contenutistico-simbolico sia quello strutturale si pongono su un piano di ordine imposto dal librettista e dal compositore ‘onniscienti’ («the symmetrical structures in Orfeo are the image of this higher order – structure ex machina, one might say. […] There is, therefore, a powerful sense in which Orfeo is deliberately undramatic, and the various symmetries are part of its realization») e vengono minati dalle passioni interne alla diegesi: su un impianto fortemente intellettualistico i personaggi, ignari dell’ordine in cui sono immersi, creano irregolarità («[the] tendency toward uncontrolled emotional extremes have counterparts in a tonal language whose inner antitheses conflict with its overall conceptual patterns»). È esattamente quello che vuole suggerire il libretto: esistenza di un ordine sovrannaturale e pericolo derivante dall’affidarsi alle proprie passioni. «In this respect Orfeo is a metaphor for the relationship between theory and practice», tra forma classica e moto di liberazione moderno: in tal senso barocco.30 29 UNGER 1941, p. 85. Le citazioni sono da CHAFE 1992, pp. 125-129 [Le strutture simmetriche dell’OM sono immagine di questo livello più alto – struttura ex machina, si potrebbe dire … Sotto un certo rispetto, pertanto, l’OM è 30 78 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo III.1.6. Cellule tematiche Oltre alle analisi della macroforma, va citato lo studio di Robert Donington sulla struttura ‘tematica’ dell’OM. Egli ritiene che gran parte dei temi dell’opera derivino «certainly with intention and probably with conscious intention»31 da quella cellula tematica allo stesso tempo così semplice ed efficace che è la scala diatonica: scala che si sente proprio al principio della Toccata e che ricorrerebbe, ascendente o discendente, in almeno tutto il prologo e il primo atto. Ora, gli esempi che propone32 certo non lo smentiscono, però la sua tesi non convince: non mi sembra particolarmente pregnante dimostrare la ricorrenza di una scala diatonica… E, a parte la questione tecnica, c’è un problema di ordine drammaturgico: se la Toccata è veramente simbolo dei Gonzaga, in un certo senso è come accostata all’opera ma non ne fa parte, è una sorta di dedica, certamente inseparabile dal resto del lavoro, ma fuori dalla diegesi; dunque sarebbe se mai più sensato il contrario, e cioè che, dato che un elemento ricorrente dell’opera è la scala, allora, per saldare strettamente la Toccata-dedica al lavoro la si farà iniziare con una scala, così come in un affresco il mecenate sarà incluso tra i devoti che si prostrano, ad esempio, alla Madonna e non diversamente occupato o quant’altro. Al contrario, l’ipotesi di Donington potrebbe essere suffragata dalla funzione segnaletica della Toccata, funzione che indubbiamente riveste – al di là del fatto che sia ricoperta della simbologia dedicatoria o meno – e che potrebbe aggiungere alla suo intento primario (‘Signori, silenzio, inizia lo spettacolo’) anche quello di anticipazione del materiale a mo’ di ‘guida all’ascolto’ a fini di dimostrazione di abilità (‘Non seguite solo la vicenda, ma, da uomini colti quali siete, fate caso a come è tutto correlato’). L’idea di Donington, dopotutto, è che l’OM sia una sorta di Wozzeck dove la costruzione c’è ma non si sente: «very flexible in details, very formal in construction», e cioè la musica segue allo stesso tempo le parole e le sue leggi, in questo risiedendo la sua genialità rispetto ai primi tentativi operistici fiorentini.33 Convince di più Claudio Gallico quando rileva la ricorrenza del deliberatamente non-drammatico, e le varie simmetrie sono parte della realizzazione di ciò. // La tendenza verso gli estremi emozionali incontrollati ha la sua controparte in un linguaggio tonale le cui antitesi interne contrastano con i suoi elementi soprattutto contrappuntistici. // In questo senso l’OM è una metafora delle relazioni tra teoria e pratica]. 31 [Certamente con intenzione e probabilmente con intenzione conscia] DONINGTON 1968, p. 260. 32 Gli esempi musicali sono in DONINGTON 1968, p. 262. 33 Ibidem, pp. 260-261 [Molto flessibile nei dettagli, molto strutturato nella forma] e 270-271. 79 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo tatracordo frigio discendente (che, alla greca, chiama dorico: per intendersi quello «col semitono in ultima sede discendendo»), cellula base del Ritornello A (di cui si è vista l’importanza), che rispetto alla genericità di una scala ha un notevole bagaglio simbolico.34 Per tornare a Donington, più arricchente dell’evidenziazione di alcune scale è senz’altro l’altra cellula tematica trattata: riferendosi all’alternanza espressiva felicità/tristezza (luce/tenebra, Apollo/Plutone, intelletto/passione) di cui sopra, egli rileva che il passaggio dall’uno all’altro stato è spesso caratterizzato musicalmente da un intervallo melodico di tritono (spesso si tratta di una discesa di quarta con nota d’aggancio cromatica), in particolare riporta gli esempi di salto re-sol#(-la),35 la cui prima comparsa è nell’incipit di Euridice «Io non dirò qual sia», decisamente contrastante con l’allegria che esprime («Io non dirò qual sia […] la gioia mia») quasi a presagire la tragedia e a tematizzare la compresenza necessaria di felicità e tristezza. III.1.7. L’OM meta-arte Tanti livelli di ‘chiusura’ sono forse la massima ‘apertura’? Infatti, la scelta di quale sostrato espressivo o costruttivo mettere di volta in volta più in evidenza fa di un’opera complessa un serbatoio di possibilità da attuare. Ora come ora, per chi è nella condizione di far passare tra le mani tutte queste interpretazioni, l’OM appare, assai modernamente, meta-arte;36 a differenza dell’‘opera d’arte totale’, che intende convogliare verso un’unità completa diverse discipline che si sorreggono l’un l’altra, l’OM-meta-arte ci parla di varie forme artistiche ed intellettuali (il teatro greco, gli intermedi, l’esegesi del mito, la tripartizione boeziana della musica) usandone altre già affermate o in via di affermazione, senza fonderle ma accostandole (il madrigale, la monodia accompagnata, il contrappunto severo, la danza) e che utilizza vicendevolmente a seconda del fine espressivo – cosicché, quasi insegnandoci quale sia il loro uso più opportuno, in realtà ci parla anche di queste. Ritengo che sia in tale sfruttamento completo e armonico delle 34 GALLICO 1976, pp. 45-47. Lo studioso nota inoltre l’importanza del tetracordo discendente nell’Orpheus di Stravinsky; su questo punto e in generale sulla ‘ricezione compositiva’ di Monteverdi in questo balletto cfr. HUNKEMÖLLER 1986. 35 Esempi in DONINGTON 1968, p. 265; incredibilmente non cita quello che viene ripetuto più volte, «Ahi fato empio e crudele» (che REDLICH 1970, p. 98 definisce «strongly marked leitmotive»). 36 È forse superfluo far notare che il personaggio stesso di Orfeo è meta-artistico… 80 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo sue risorse e nel suo carico di discorsi estetici e poetici la forza esemplare dell’OM, quella forza che alcuni commentatori (ad esempio REDLICH 1970, v. supra, II.3.3) individuano nell’accostamento di tutti i generi musicali a disposizione di Monteverdi, ma senza spiegarla: anche l’Euridice di Peri ha, oltre al recitativo, dei madrigali e delle canzonette, anch’essa dunque fa uso dei diversi generi, ma quello che le manca è il discorso su di essi (a causa della preponderanza del recitativo) e gli altri sottotesti. L’OM, parlandoci del suo mondo (musicale e non) ed inglobandolo, è davvero un’opera barocca.37 III.2. Apertura dell’OM Tra le recenti produzioni di musica strumentale possiamo notare alcune composizioni contrassegnate da una caratteristica comune: la particolare autonomia esecutiva concessa all’interprete… «…il quale non è soltanto libero di intendere secondo la propria sensibilità le indicazioni del compositore (come avviene per la musica tradizionale), ma deve addirittura intervenire sulla forma della composizione, spesso determinando la durata delle note o la successione dei suoni in un atto di improvvisazione creativa».38 La situazione descritta da Umberto Eco nel celebre incipit di Opera aperta è, naturalmente, quella che stava nascendo nei primi anni ’60 con l’arrivo dell’alea nelle nuove composizioni. Decontestualizzare (consci di farlo) spesso aiuta a vedere alcuni fenomeni sotto una luce meno parziale: per questo motivo, oltre che per evidenti richiami terminologici, ho deciso di utilizzare l’incipit di Opera aperta come punto di partenza per la riflessione sull’‘apertura’ dell’OM; innanzitutto, come sospettavo poche righe fa, la decontestualizzazione porta a vedere l’oggetto della trattazione come meno astruso: senza sapere che Eco stava parlando di musica aleatoria, e citandolo all’interno di un saggio su Monteverdi, potevamo senza dubbio credere che egli si riferisse alla prassi esecutiva baroc- 37 Rispetto a quanto asserito da Gino Stefani, che vede l’opera barocca come «un formato ridotto, una miniatura della festa globale», «lo specchio della società barocca, ma attraverso il diaframma della festa», una mera trasposizione semiotica, dunque, di un evento totale, l’OM non si limita a ricalcare ma parla anche di altri aspetti della cultura dell’epoca (cfr. STEFANI 1987, p. 26 e in generale il capitolo sulla festa e sul suo ruolo di matrice del melodramma, pp. 9 sgg.). 38 ECO 1962, p. 31. 81 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo ca, per il qual motivo la musica aleatoria si rivela molto più vicina alla musica del passato di quanto si poteva supporre (o al contrario, con TARUSKIN 1995, la prassi esecutiva che tenta di ricreare quella barocca si rivela molto moderna). Anche nell’OM l’esecutore spesso deve determinare «la durata delle note o la successione dei suoni in un atto di composizione creativa»: è quanto fa quotidianamente un buon continuista. Certo, la differenza fondamentale sta nel grado di apertura: il continuista ‘farcisce’ in modo estemporaneo un’opera che ha già una sua struttura, mentre la poetica indagata da Eco rifiuta esplicitamente la «forma organizzata univocamente»39 e richiede all’interprete di costruirla di volta in volta. Non si può negare però (ecco ancora il fascino ‘moderno’ della musica ‘antica’) che, pur possedendo ogni opera d’arte un certo livello di ‘apertura’ dovuta al vissuto personale che il fruitore vi inserisce,40 alcune opere in teoria ‘chiuse’ (quindi escluse quelle dichiaratamente aleatorie) siano più ‘aperte’ di altre: in generale le opere musicali lo sono più di quelle letterarie o visive (a causa del doppio livello di fruizione del testo: intreprete e ascoltatore), in particolare le opere musicali ad esempio barocche lo sono più di quelle romantiche. A tale proposito Stanley Boorman distingue tra una «written transmission» («the written symbol carries almost complete authority, and […] it should be preserved as far as possible»), una «literate transmission» (è il nostro caso: «a work somehow based on the written text, but in which the musical effects and details are derived from oral experience»), e una «oral transmission» (priva del testo scritto).41 Un particolare essenziale è che il compositore prevedeva l’intervento dell’interprete: la «literate transmision» è interazione tra testo scritto e tradizione orale; il problema sorge quando la tradizione performativa su cui l’autore contava si perde, perché a quel punto è come affidare una formula chimica atta a produrre una determinata sostanza a qualcuno che non conosce il significato dei simboli degli elementi utilizzati; colui che la metterà in pratica rispetterà i rapporti tra i dosaggi ma utilizzando altri reagenti rispetto a quelli prescritti, con un risultato probabilmente molto diverso da quello previsto seppur ottenuto seguendo le dosi e le procedure 39 Ibidem, p. 33. Ibid., p. 34. 41 [Il simbolo scritto gode di piena autorità e va rispettato il più possibile // Un lavoro basato in un certo modo sul testo scritto, ma i cui effetti musicali e i cui dettagli esecutivi derivano da un’esperienza orale] BOORMAN 1992, pp. 49 sgg. Il saggio (sulla early music) si apre con un aneddoto su John Cage e la sua incapacità di riconoscere un suo brano durante un’esecuzione. 40 82 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo indicate. Così il testo stenografico dell’OM fungeva da langue da vivificare con la parole degli ensemble mantovani del primo Seicento; una parole differente vìola le ‘intenzioni del compositore’ in quanto non è quella che egli prevedeva al momento della redazione del suo codice? La questione è spinosa, ma sterile in quanto la porzione orale prevista dal testo è perduta: c’è chi sceglie di cercare di ricrearla calandosi nei documenti coevi e chi sfrutta questa lacuna per poter rendere ‘un po’ sua’ l’opera, riempiendone la percentuale ‘aperta’ con il proprio gusto ed il proprio linguaggio. L’apertura dell’OM è palese soprattutto per quanto riguarda l’armonia: a parte cori e ritornelli, tutti i numeri sono notati in forma di linea vocale e basso (assai raramente numerato). Si vedrà dettagliatamente nel prossimo capitolo (in particolare IV.6.1) la quantità di soluzioni possibili che ciò comporta. Dedicherò i prossimi paragrafi, invece, ad altri livelli della partitura lasciati ‘aperti’: la strumentazione, le fioriture melodiche e il finale. III.2.1. Una partitura descrittiva Il faut probablement appréhender les deux partitions imprimées de l'Orfeo davantage comme ‘partitions documentaires’ que comme des sources à lecture ‘imperative’.42 La strumentazione dell’OM è uno degli argomenti più dibattuti.43 Com’è noto, nelle pagine introduttive della partitura a stampa è presente un elenco di strumenti; inoltre, indicazioni strumentali ricorrono all’interno della partitura; ben lungi da risultare un elemento di maggior chiusura del testo musicale rispetto a quelli coevi senza indicazioni simili, l’elenco presenta due problemi sostanziali: a) comprensione precisa degli strumenti denotati, b) non corrispondenza tra gli strumenti elencati e quelli di volta in volta nominati. La più grossa cantonata l’ha presa senz’altro HAWKINS 1976: dal momento che l’elenco degli strumenti è incolonnato a destra di quello dei personaggi egli ha cre42 JACOBS 1995 (CD), p. 21. A partire da HAWKINS 1776; per limitarsi agli studi monografici: WESTRUP 1940, DONINGTON 1968, COLLAER 1969, CAMMAROTA 1976, HARNONCOURT 1984, GLOVER 1986, BARONCINI 1993, STUBBS 1994, LEOPOLD 1996. A questi si aggiungano le prefazioni a TARR 1974, STEVENS 1967, GALLICO 2004 e gli studi su specifici strumenti, come i contributi sull’arpa in SCHAIK 1994, o il saggio sulle trombe di TARR 1970. 43 83 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo duto che «the airs performed by the several singers were sustained by instruments of various kinds assigned to each character respectively in the dramatis personae»;44 in questo modo alcune delle associazioni personaggio–strumento sarebbero anche sensate (Euridice: dieci viole da braccio; coro di ninfe e pastori: arpa doppia; Speranza: due violini piccoli alla francese; coro di spiriti infernali: due organi di legno; Plutone: quattro tromboni; coro dei pastori che fecero la moresca finale: due cornetti, un flautino, un clarino con tre trombe sordine),45 altre al massimo plausibili (la Musica: due clavicembali; Caronte: due chitarroni), anche se errate dal punto di vista della drammaturgia dei timbri (Apollo: un regale), altre decisamente imbarazzanti (Orfeo: due contrabbassi di viola; Proserpina: tre bassi di gamba). Nella tabella III.3 si può leggere l’elenco degli strumenti indicati da Monteverdi all’inizio della partitura, le divergenze da esso presenti nel corso dell’opera e un commento sommario di carattere organologico. Al di là delle questioni tecniche sulla natura degli strumenti e sulla prassi esecutiva (per cui rimando agli studi citati), comunque notevoli in una prospettiva di ‘apertura’ dell’opera (dovuta però alla distanza cronologica che rende difficile una decodifica, e pertanto priva di valenze strutturali o drammaturgiche insite nel testo), ciò che preme indagare in questa sede è quanto questo organico sia prescrittivo e quanto descrittivo (di una particolare esecuzione, verosimilmente la prima).46 Le didascalie di Monteverdi spingono talvolta in un senso talvolta in un altro: ad esempio, il fatto che la Toccata «si suona avanti il levar de la tela tre volte con tutti li strumenti et si fa un tuono più alto volendo sonar le trombe con le sordine» ha carattere decisamente prescrittivo (tant’è che si prospetta anche una possibile scelta, se usare o meno le sordine, e dunque non si riferisce ad una determinata esecuzione),47 mentre tutte le didascalie introdotte da «questo 44 [Le arie interpretate dai diversi cantanti erano sostenute da strumenti vari corrispondenti ai vari personaggi] HAWKINS 1776, II, p. 525. 45 Dal momento che il numero degli strumenti eccede di due quello dei personaggi, Hawkins attribuisce all’ultimo personaggio (il coro dei pastori) tre strumenti. 46 Anche se non è da escludere che la lista di strumenti riportata in partitura volesse semplicemente esibire la vastità dell’organico di corte, senza corrispondere ad una precisa esecuzione né a specifiche indicazioni di carattere. 47 A dire il vero, più che una scelta, l’usare le sordine – che alzavano il suono reale di un tono – è opportuno se non si vuole sentire lo scarto tra la Toccata in do e il Ritornello A in re. Su altre ipotesi sull’interpretazione della didascalia che precede la Toccata e derivanti tonalità reali e modalità d’esecuzione cfr. CAMMAROTA 1976, pp. 22-25 e 32-33. 84 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo Duoi gravicembani strumento che contrappone alla spinetta attacco forte e poca risonanza Duoi contrabassi de viola = violoni Dieci viole da brazzo 2 soprani I, 2 II, 2 contralti, 2 tenori, 2 bassi (divisibili in 2 cori da 5) Un’arpa doppia cromatica Duoi violini piccoli alla francese suonano un’8va sopra (pochette) + 1 (atto II) + ceteroni (un tipo di liuto, atto 48 V) Duoi chitaroni tipici per l’accompagnamento della monodia Duoi organi di legno Tre bassi da gamba Quattro tromboni + 1 (Sinfonia C, atto III) Un regale «regali» (atti III e IV) Duoi cornetti Un flautino alla vigesima seconda + 1 (atto II) flauto diritto (traverso = piffaro); suona tre 8ve sopra (forse rispetto al flauto basso) Un clarino con tre trombe sordine + 1 tromba ordinaria («quinta», Toccata) + 1 vulcano (un registro della tromba, Toccata) si tratta di 4 trombe, di cui una suonata nel registro acuto (clarino) Tabella III.3 Affetto positivo Archi Flautini Cornetti Ottoni Regale Organo di legno Clavicembalo Chitarroni Arpa Affetto negativo Prescr. Descr. Prescr. Descr. 1 3 2 5 (1) 2 1 1 3 1 1 4 4 1 2 1 2 6 2 (1) 6 (1) 2 Ambientazione pastorale Prescr. Descr. 1 (1) 4 2 (1) 5 (1) 1 3 2 4 4 1 Ambientazione infernale Prescr. Descr. 5 2 2 2 3 5 1 2 1 Tabella III.4 48 Per dare un’idea dei problemi interpretativi che quest’elenco ha comportato, basti ricordare che CAMMAROTA 1976 (p. 25, nota 6) aveva spiegato – decisamente fuori rotta – che «Et ceteroni» starebbe per «eccetera». 85 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo … fu concertato», «fu cantato al suono di …», «fu suonato da …» hanno un forte sapore di documento; in che misura Monteverdi desiderava che anche per le esecuzioni successive si usasse lo stesso colore strumentale? Il quesito posto in questi termini non è destinato a poter ricevere una risposta, né ha molto senso: bisogna invece chiedersi se l’organico usato nella (prima) rappresentazione fosse determinato da istanze drammaturgiche, il che rivelerebbe un ulteriore livello di ‘chiusura’ dell’opera adombrato dalla sua apparenza di indeterminatezza legata all’occasione esecutiva. Analizzo le didascalie nella tabella III.4: secondo quanto rilevato nella tabella III.1 e nei paragrafi dedicati alla ‘chiusura’ dell’OM, l’opera è costruita sull’alternanza di affetti positivi e negativi (gioia/dolore, speranza/disperazione) e caratterizzata da due ambientazioni contrastanti (pastorale e infernale); si veda come sono utilizzate le famiglie di strumenti nelle diverse situazioni. Ho tralasciato di classificare la Toccata e gli una tantum: i «violini piccioli alla francese» ricorrono soltanto nel Ritornello D; «Possente spirto», che in quanto ‘perno’ e climax non ha un affetto dominante è stato inserito tra gli affetti negativi per via della situazione drammatica in cui si trova; l’indicazione relativa a «Vieni Imeneo, deh vieni» («Questo canto fu concertato al suono di tutti gli stromenti») non è stata conteggiata: infatti se fossero stati veramente tutti gli strumenti la cosa non inficerebbe il totale, se invece fossero ‘tutti tranne quelli che non c’entrano’ (il «tutti relativo» suggerito da Lionello Cammarota),49 secondo un codice orale allora ben noto, è se mai da scoprire al termine dell’analisi di cui la tabella è strumento; tra parentesi c’è la strumentazione relativa al primo intervento del pastore dopo l’arrivo della Messaggera, «Qual suon dolente il lieto dì perturba»: qui l’affetto relativo alla situazione drammatica è negativo, ma il pastore in realtà non ha ancora capito ed è ancora gioioso da festa di nozze. Che cosa rivela l’analisi della tabella? Innanzitutto, è evidente che l’ambientazione infernale doveva avere un colore timbrico ben preciso:50 infatti quasi tutte le indicazioni strumentali nell’aldilà sono prescrittive; si aggiunga che gli archi ricorrono soprattutto nei ritornelli 49 Che comprenderebbe tutti gli strumenti del primo atto (CAMMAROTA 1976, p. 25). Per LEOPOLD– ZEDLACHER 1996, sulla base delle convenzioni già presenti nell’orchestra degli intermedi, si può concludere che «Monteverdi clearly distinguished between two groups of instruments, those of the underworld and those of the world of the living. Trombones most certainly were not included in the ‘tutto strumeni’ [sic] of the accompaniment of the wedding chorus» (p. 267). Nonostante l’evidenza ‘a pelle’ di questa bipartizione ho preferito indagarla induttivamente per spiegare i punti equivoci. 50 Si aggiunga che anche il coro diventa di sole voci maschili. 86 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo virtuosistici di «Possente spirto» e pertanto non hanno una connotazione infernale ma rimandano al potere della musica che l’aria pare simboleggiare. Sempre per restare nell’Ade, si noti come per alcuni strumenti il luogo sia più importante dell’affetto: così ad esempio il regale viene utilizzato nel coro finale dell’atto III («Nulla impresa per uom si tenta invano»), che esalta le virtù rinascimentali dell’homo faber, in quanto cantato da «spirti», nonostante la positività del testo: si può concludere quindi che il regale è connotato topograficamente ma non espressivamente (sempre che la topografia non sia espressiva: la scelta di rompere l’unità di luogo ed ambientare una parte dell’opera nell’oltretomba può essere una scelta espressiva più che spettacolare, e cioè l’attribuzione di un determinato registro espressivo ad una sequenza drammatica grazie alla sua ambientazione in un luogo ben connotato); lo stesso valga per gli ottoni e i cornetti. Più complesso è il caso dell’organo di legno, non connotato per ambientazione (ricorre in egual misura tra i pastori e tra i morti) e presente prevalentemente in situazioni tristi, ma non solo: esso appare insieme al solo chitarrone con la Messaggera, in contrasto con la sonorità brillante degli archi e del cembalo; i due strumenti ricompaiono in «Possente spirto», e nella Sinfonia D insieme agli archi (la lira da braccio con cui Orfeo addormenta Caronte); Orfeo è riuscito a mettere fuori gioco il traghettatore infernale e si impossessa tutto orgoglioso della sua barca: nonostante l’affetto positivo, canta «al suono del organo di legno solamente»; gli spiriti del coro sono accompagnati dagli strumenti tipici degl’inferi (ottoni e regale), ma anche dall’organo di legno; nell’atto IV il turbamento di Orfeo si esprime con clavicembalo, chitarrone e viola da braccio basso («Ma che odo, ohimé lasso?» e «Ma qual’eclissi ohimé v’oscura?») e l’oasi di beatitudine corrispondente all’attimo in cui incontra lo sguardo di Euridice coll’organo di legno; l’ultima occorrenza del Ritornello A, il ritorno al mondo pastorale (ora pieno di tristezza), è in forte opposizione timbrica con la sinfonia infernale appena precedente: a cornetti, tromboni e regali si sostituiscono «viole da braccio, organi [di legno], clavicembani, contrabbasso et arpe et chitaroni et ceteroni». Si può concludere che l’organo di legno è usato sostanzialmente come contrasto col clavicembalo o col regale in situazioni caratterizzate da dolore («it carries the stigma of death»),51 spesso in modo procli51 [Porta con sé il marchio della morte] LEOPOLD–ZEDLACHER 1996, p. 268. Allo stesso modo la tradizione conferisce la liuto la caratterizzazione dell’età dell’oro e «the harp was the instrument not only of the heavens and of paradise but, as a continuo instrument, of women. […] This tradition, without being consciously acknowledged, is still valid today» (p. 267). 87 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo tico (quando Orfeo addormenta Caronte così come quando si volta verso l’amata, è felice, ma l’organo di legno sottolinea l’atmosfera comunque mesta e soprattutto la breve durata della gioia). Nel mondo pastorale la tendenza prevalente è quella descrittiva, eccezion fatta per la sequenza della Messaggera. Macroscopicamente si può constatare la compresenza quasi costante di clavicembalo e chitarrone (in opposizione alla coppia organo di legno– chitarrone di cui sopra); quanto agli strumenti particolari, flautini e violini piccoli, penso che siano fortemente legati alla disponibilità dei diversi ensemble di corte: Monteverdi riporta i punti dove li ha utilizzati in modo da suggerire una certa sonorità che in mancanza di quei precisi strumenti si poteva ricreare con ciò che si aveva a disposizione; i flautini del Ritornllo D’ potrebbero evocare l’aulos richiamato dalla citazione di Pan nella strofa precedente.52 Si noti soltanto, nell’atto II, la serie di indicazioni ‘stereofoniche’: il Ritornello D «fu suonato di dentro da un clavicembano, duoi chitarroni et duoi violini piccioli alla francese», il Ritornello E «fu sonato [fuori] da duoi violini ordinari da braccio, un basso de viola da braccio, un clavicembano et duoi chitarroni», il Ritornello D’ «fu sonato di dentro da duoi chitarroni, un clavicembano et duoi flautini», il Ritonello F «di dentro da cinque viole da braccio, un contrabbasso, duoi clavicembani et tre chitarroni»; probabilmente quest’ultimo ritornello fu invece suonato fuori per continuare l’alternanza dentro/fuori e poiché la giustificazione dell’orchestra dentro sembra risiedere negli strumenti molto acuti che se no ‘sparerebbero’ (e che nel Ritornello F non ci sono), oppure, fatta la conta degli strumenti, potrebbe essere stato suonato sia dentro sia fuori sommando le due orchestre (ecco il totale di due clavicembali). Penso sia superfluo evidenziare l’importanza di queste osservazioni relativamente alle elaborazioni riorchestrate dell’OM. E dal momento che, come riassume STUBBS 1994, i criteri che guidavano la scelta degli strumenti con cui realizzare il continuo dipendevano da fattori spesso inconciliabili (associazione con il personaggio, l’affetto, il luogo e 52 Questo suggerimento è di MORRIER 2002, p. 46. Sono meno d’accordo sul fatto che «la lyre d’Orphée se fait alors entendre, symbolisée par l’ensemble des cinq viole da braccio» nel successivo Ritornello F che preludia «Vi ricorda, o boschi ombrosi»: infatti la scrittura è ben lontana da quella accordale tipica di quello strumento così come mimato nella citata Sinfonia D. Sulla giustificazione ‘padana’ del largo impiego dell’ensemble di archi, motivato pertanto geografico-stilisticamente e non simbolicodrammaturgicamente, cfr. BARONCINI 1993, pp. 296-305 e passim. 88 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo l’atmosfera, la sonorità, il contesto esecutivo, il simbolismo),53 l’‘apertura’ in questo campo è notevole. III.2.2. Fioriture melodiche Quanto i compositori volevano che si fiorisse la linea vocale fa parte di quelle questioni di prassi esecutiva che difficilmente trovano una risposta, anche perché essi stessi non sono chiari nei loro scritti – da cui trapela semmai la libertà lasciata all’interprete: «quelle vaghezze e leggiadrie che non si possono scrivere, e scrivendole non si imparono da gli scritti»54 – e anzi a volte paiono contraddirsi: così se Peri elogia la virtuosa Vittoria Archilei per «quei gruppi e quei lunghi giri di voce semplici e doppi»55 e Caccini prevede i «passaggi» sulla linea di canto da lui scritta,56 allo stesso tempo però chiariscono che la musica è innanzitutto «la favella et il ritmo et il suono per ultimo»57 e Monteverdi, per il Combattimento di Tancredi e Clorinda (1624), raccomanda che «la voce del testo doverà essere chiara, ferma et di bona pronuntia alquanto discosta da gli ustrimenti, atiò meglio sii intesa nel oratione. Non doverà far gorghe né trilli in altro loco che solamente nel canto de la stanza che incomincia: ‘Notte’»;58 primato dell’intelligibilità, dunque, ma non mera riproduzione di ciò che è scritto: il punto fondamentale, che concilia le due posizioni, è che il fine del cantante dev’essere quello di «in armonia favellare», di rendere naturale il canto come il parlato e in questo modo far risaltare l’affetto, cosa che si fa con «una certa nobile sprezzatura del canto»:59 «il rimanente porterà le pronuntie a similitudine delle passioni del’oratione».60 Ciò che veniva apprezzato nei cantanti era proprio la forza espressiva della loro interpretazione purché, come chiosa Nino Pirrotta, seguissero sostanzialmente le intenzioni del compositore, in quanto «faceva parte della natura del nuovo stile l’opporsi a interpolazioni inopportune e il subordinare il virtuosismo vocale alle esigenze espressive della musica quali 53 STUBBS 1994, pp. 92 sgg. Prefazione all’Euridice (1600), in SOLERTI 1903, p. 48. 55 Ibid., p. 47. 56 Prefazione all’Euridice (1600), in SOLERTI 1903, p. 51. 57 Prefazione a Le nuove musiche (1601) di Caccini, in SOLERTI 1903, p. 56. 58 Cito il testo riportato da FABBRI 1985, pp. 248-249. 59 Prefazione a Le nuove musiche, in SOLERTI 1903, p. 57. 60 Prefazione al Combattimento di Tancerdi e Clorinda, in FABBRI 1985, p. 248. 54 89 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo erano state concepite dal compositore».61 Inoltre, sempre Pirrotta richiama l’attenzione sullo «stile concertato» inteso non tanto come contesa (da concertare) né come ‘porre insieme’ (da conserere) quanto come «raggiungere un accordo», ricordando che «anche la più semplice ‘rappresentazione per musica’ era provata e riprovata per mesi prima che si giungesse alla presentazione ufficiale; ci confondiamo le idee quando diciamo che quegli elementi venivano improvvisati al momento dell’esecuzione».62 Il pericolo che vuole arginare Monteverdi nella prefazione citata è forse quello di un abbandono al virtuosismo sterile che probabilmente stava dilagando – siamo nel 1624 – ora che il recitar cantando non era più una novità: un po’ il medesimo pericolo spesso rilevato dai critici nei confronti di certe esecuzioni ‘storicamente informate’ da quando la prassi esecutiva barocca non è più una riscoperta da topi di biblioteca ma un fenomeno spesso competitivo. È stato però rilevato come non sia del tutto corretto cercare nel parlato naturale il modello del recitar cantando, e che bisogna invece rifarsi al parlato proprio della recitazione e dell’oratoria: «sì come nel parlar comune la eloquenza e ai colori rettorici assimiglierei i passaggi, i trilli e gli altri simili ornamenti, che sparsamente in ogni affetto si possono tal’ora introdurre».63 Non si dimentichi infatti la convenzionalità e codificazione della teoria degli affetti che, se ha l’intento di riprodurre la naturalezza, tuttavia lo fa in modo artificiale, imitando la natura con figure precise e non abbandonandosi al realismo così come modernamente inteso.64 In questo senso, dunque, il recitativo è «una definizione di segno musicale della recitazione dell’attore», è diastemazia della recitazione e pertanto standardizzazione di una prassi (tema ricorrente nella storia della musica…), quella della declamazione attoriale: «il progetto essenzialmente conferisce alla dizione, alla pronuncia, che è in sé elemento vago e volatile, una controllata normalità morfologica».65 61 PIRROTTA 1975, p. 291. Ibidem, p. 297 e nota 74 (pp. 327-328). 63 Prefazione all’edizione del 1614 de Le nuove musiche di Caccini, in SOLERTI 1903, p. 75. 64 Anche la ricezione era soggetta a classificazioni, cfr. GALLICO 2000, p. 4. 65 GALLICO 2000, p. 6. Sulla questione cfr. anche DI BENEDETTO 1988. Sul caso particolarissimo di «Possente spirto» si è già detto supra, II.3.1. 62 90 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo III.2.3. Il doppio finale L’elemento di ‘apertura’ a livello più ampio è senz’altro il fatto che, nel quinto atto, il libretto dell’OM non coincide con la musica: al finale dionisiaco di Striggio con il rito orgiastico delle Baccanti si sostituisce quello apollineo-cristiano di ascesa al cielo e superiorità della contemplazione sul possesso materiale.66 Non è chiaro il motivo della divergenza: c’è chi ritiene che il finale apollineo fosse l’originale, ma vi si dovette rinunciare per l’impossibilità di calare nell’ambiente ristretto della prima rappresentazione una macchina per l’apoteosi; al contrario altri asseriscono che il finale dionisiaco era quello previsto, musicato da Monteverdi e rappresentato forse alla prima, per pochi colti accademici che potevano chiudere mentalmente la vicenda (sbranamento di Orfeo), poi sostituito da quello didattico-controriformista il cui coro finale, «una svelta intonazione strofica lontanissima dall’elaborato stile madrigalesco che contraddistingue tutti quelli precedenti […] tende […] a porre tutta la vicenda rappresentata sotto il segno preciso di un’esperienza religiosa specificamente cristiana – estranea al testo fin lì recitato».67 Comunque sia, la Moresca è stata spesso intesa come un reperto-testimone della danza bacchica, e come tale fu usata da quei revisori che hanno tentato di ricostruire il finale fedele al libretto: RESPIGHI 1935, MALIPIERO 1949 e l’incisione di Sergio Vartolo del 1996.68 III.3. Conclusione: la spinta comparativa Come si sarà capito, il capitolo che si conclude è servito ad individuare una serie di punti d’osservazione tattici da cui studiare le edizioni novecentesche dell’OM. Sarà fertile farlo in modo comparativo, alla luce della domanda: come si sono comportati i revisori relativamente a questo o quest’altro snodo? In direzione macroscopicoˆmicroscopico si osserveranno i mutamenti apposti alla struttura generale, le traduzioni, le orchestrazioni (in chiave drammaturgica), le realizzazioni armoniche e le tecniche di realizzazione del basso continuo di alcuni passi esemplari. Per un’analisi dettagliata ma ‘a compartimenti 66 HANNING 2003 avanza l’ipotesi (e la dimostra in termini stilistici) che il finale apollineo sia di Rinuccini; SCHMIERER 1998, senza gustificare la sua posizione, afferma che «in all probability the final version was written by Ferdinando Gonzaga» (p. XIV). 67 FABBRI 1985, pp. 103-104. 68 Per l’analisi di questi finali v. infra IV.2.4. 91 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 3. Aperura e chiusura dell’Orfeo stagni’, molto incentrata sulle microvarianti testuali rispetto all’originale e quasi per niente sulla comparazione tra revisioni, esiste l’imponente lavoro di Renate Reichhart (1986). 92 4. Analisi comparata L’odiosità dei confronti diventa, nel nostro caso, la sola norma legittima.1 IV.1. «Meco trarrotti a riveder le stelle» Una nuova forma appare non per esprimere un nuovo contenuto, ma per sostituire una forma vecchia che abbia ormai perduto il proprio valore artistico.2 Come da un lato esistono varie traduzioni omeriche o virgiliane, destinate ai molti che non sono in grado di leggere il testo originale, dall'altro lato infiniti studi di filologia pura, che chiariscono dubbi, che collazionano testi, così possono coesistere, senza darsi noia, le trascrizioni dei musicisti e quelle dei musicologi e che le une anzi debbano completare le altre.3 Come aggancio con la conclusione del capitolo precedente – che, simile alle sinfonie di fine atto dell’OM, è servita più ad introdurre quanto segue che a riassumere ciò che la precede – darò la parola ai revisori stessi: proprio loro, nella maggior parte dei casi, hanno suggerito la via comparativa dichiarando nelle prefazioni alle loro edizioni di aver voluto correggere quello che nelle precedenti rielaborazioni dell’opera non consideravano valido: esiste dunque una forte componente di confronto tra ‘colleghi’ oltre che di rapporto servil-devoto con il ‘Maestro’; si può anzi affermare che l’impulso trascrittorio nasca proprio con intenti di superamento di quanto fatto dagli altri e considerato inadueguato: l’inadeguatezza è relativa ora all’originale (si contestano alle revisioni 1 CONFALONIERI 1945, p. 30. Viktor Šklovskij citato in TODOROV 1965, p. 49. 3 DALLAPICCOLA 1943, p. 431. 2 93 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata precedenti errori insostenibili), ora al contesto culturale ed esecutivo in cui la nuova edizione vede la luce. La realizzazione di Vincent d’Indy del 1904 è il primo esempio di quest’ultima linea: il musicista voleva far conoscere e far amare dal suo pubblico l’OM, e all’uopo aveva bisogno di un’edizione d’uso. Il suo scopo era «rendre la vie à ce squelette» che è la partitura originale, ma l’unica trascrizione allora esistente (EITNER 1881) non poteva fare al caso suo;4 nell’economia del nostro discorso si rilevi come d’Indy sottolinei il netto contrasto del suo modus operandi con quello di Eitner: […] je n’ai pas eu l’intention de faire œuvre de musicographe, mais œuvre de musicien. Mon but n’est pas de présenter un fac similé de la partition originale traduite en notation moderne ; ce travail a déjà été fait assez exactement quant à la sincérité du texte, quoi qu’avec une parfaite absence de goût et une lourdeur bien allemandes, par Robert Eitner.5 [… non ho avuto l’intenzione di fare un lavoro da musicologo, ma da musicista. Il mio fine non è la presentazione di un fac simile della partitura originale tradotta in notazione moderna; un lavoro simile è già stato fatto da Robert Eitner, con tanta esattezza nella correttezza testuale, quanta assenza di gusto e pesantezza tedesca.] Inoltre, per giocare con armi pari, d’Indy aveva intenzione di «publier prochainement une reproduction exacte de la partition originale»,6 cosa che però non farà. Nella sua monografia su Monteverdi (1921),7 peraltro assai poco valida, Louis Schneider, quindici anni dopo l’elaborazione di d’Indy, ne condivide ancora appieno l’intento: 4 [Ridare vita a questo scheletro] Che d’Indy abbia utilizzato l’edizione di Eitner è però evidente allorché si confrontano gli errori di trascrizione del libretto, che coincidono (ad esempio «Dal mio Permesso amato» diviene «Dal mio promesso amato», o «Mira ch’a sé n’alletta», che in Eitner è «Mira ch’a sen’alletta» e in d’Indy, che sembra voler correggere Eitner senza però consultare l’originale, «Mira ch’al sen’alletta»), o alcune ‘correzioni’ armoniche (ad esempio alla fine della seconda strofa del Prologo, alle parole «le più gelate menti» vi è una dissonanza tra canto – si naturale – e basso – do#: Eitner, seguito da d’Indy, corregge il basso in re# col ruisultato di un accordo di dominante si-re#-fa#-la del successivo misi). 5 D’INDY 1905, prefazione senza numeri di pagina. 6 [Pubblicare prossimamente una riproduzione esatta della partitura originale] Ibidem. 7 SCHNEIDER 1921. Scriveva Malipiero a Guido M. Gatti nel 1928: «Prunières [1931] e Schneider (Louis) hanno scritto i loro due volumi su Monteverdi senza conoscere la musica del loro autore» (lettera da Asolo, 10 febbraio 1928, in MALIPIERO 1997, lettera 276, pp. 222-223: 223); si noti che Prunières gli aveva dedicato il suo lavoro. 94 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata […] l’audition de la partition intégrale [dell’OM] ferait éprouver un peu de lassitude par l’effet de la répétition abusive de certaines ritournelles, par l’intervention de certaines airs, de certains choeurs, qui jouent dans ces cinq actes un rôle moins actif que plastique.8 [… l’ascolto della partitura integrale stancherebbe alquanto a causa della ripetizione eccessiva di certi ritornelli, della presenza di certe arie e di certi cori che giocano nei cinque atti un ruolo meno attivo che coeografico.] Dunque è giusto fare tagli. Ed ecco arrivare l’immancabile paragone con Wagner: ma questa volta colorato con tinte vagamente ‘dissacranti’ che, anche se prive di patente ironia, lo inseriscono nel clima cocteauiano in cui si trovava: Est-ce que certaines pages de Wagner, avec leurs récits interminables et ressassés… à perte d’oreille, ne paraissent pas diffuses, même aux musiciens le plus avertis? Au nom de quelle religion artistique, intransigeante et sectaire, faudrait-il être condamné à subir ces longueurs ? Ne demandons pas aux génies de savoir se borner : […] endiguer le génie c’est vouloir en tuer l’inspiration ; mais quand il s’agit de faire une vulgarisation de son œuvre, rien ne doit empêcher d’y pratiquer de pieuses coupures ; et c’est à quoi s’est vouée l’incontestable autorité de M. Vincent d’Indy.9 [Forse che alcuni passaggi di Wagner, con i loro declamati interminabili e insistiti… a perdita d’orecchio, non appaiono troppo lunghi anche al musicista più avvertito? In nome di quale religione artistica, intransigente e settaria, dovremmo essere condannati a subire tali lungaggini? Non chiediamo ai geni di sapersi limitare: … arginare il genio significa volergli tagliare l’ispirazione; ma, quando si tratta di fare una volgarizzazione della sua opera, niente deve impedire di praticare dei tagli rispettosi; ed è ciò cui si è votata l’incontestabile autorità di Vincent d’Indy.] Per fare «cosa utile all’Arte italiana», l’Associazione Italiana Amici della Musica affidò a Giacomo Orefice il compito di preparare una versione eseguibile dell’OM. Dal momento che la sua pubblicazione da parte di Eitner era «a puro scopo di studio per i musicologi», e nella sua «realizzazione con intendimenti artistici» Vincent d’Indy aveva operato troppi tagli, era opportuno imbarcarsi in questa nuova elaborazione; non che l’Associazione demonizzasse i tagli, anzi dichiara apertamente che, per «fare cosa sommamente utile alla cultura e all’arte» sia necessario eseguire «nel modo più completo possibile» (corsivo mio) le opere che ci restano di Monteverdi, «questo Grande» il cui nome «è tuttora celebre […], le sue opere invece sono sconosciute al gran pubblico». L’orchestrazione è indispensabile, è un’esigenza non solo fruitiva (rendere accessi- 8 9 SCHNEIDER 1921, p. 263. Ibidem. 95 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata bile un lavoro antico oggi nelle mutate abitudini d’ascolto), ma insita nell’opera e nella prassi esecutiva ad essa coeva: si scrivessero o meno volta per volta gli accompagnamenti, è indubitato che essi non consistevano in una secca realizzazione del basso, ma in una vera e propria opera di istrumentazione, che coloriva e sosteneva il canto. Da ciò appare chiaro l’errore che commetterebbe chi si accingesse ad eseguire un’opera del Seicento sopra una semplice realizzazione degli accordi del basso numerato. Pur non disponendo più degli strumenti dell’epoca10 e non conoscendo le convenzioni esecutive (si noti l’evidenza data alla vexata quaestio su quanto si improvvisasse), L’Associazione ritiene che sia comunque opportuno e possibile realizzare una partitura informata allo spirito dell’epoca: Per dar modo al pubblico di accostarsi al capolavoro e di comprenderne le infinite bellezze, occorreva l’opera di un artista che cercasse di riprodurre con colori appropriati l’orchestra monteverdiana, che realizzasse l’accompagnamento con senso di arte elevata, pur rispettando rigorosamente il canto e il sistema armonico del tempo [...] Pertanto, se «la sua fu opera d’artista, non d’archeologo»,11 lo fu tuttavia con l’intento programmatico di non voler fare qualcosa di ‘moderno’ ma di conforme al testo e alla sua prassi esecutiva non scritta. Quanto ai tagli, «si è fatta una selezione, ma tale da dare un’idea completa dell’opera originale. Le arie di Proserpina e Plutone nel IV atto sono completamente inedite, perché né l’Eitner, né il d’Indy le hanno pubblicate».12 L’esecuzione avvenne in forma di concerto, scelta chiarita e apprezzata da Gaetano Ceari nella sua recensione (1910): «nessuno potrà mettere in dubbio che la forma accademica, adottata per l’esecuzione della favola, non fosse la sola alla quale ci si potesse adattare», dal momento che «la favola dello Striggi [sic] manca d’azione: difetto […] troppo grave di fronte a noi, moderni, per la sua rappresentabilità. In tali condizioni, se 10 Come faceva giustamente notare già WESTRUP 1940 quest’esigenza di ‘modernizzare’ l’orchestra monteverdiana è stata una lamentela esagerata: «Apart from the cornetts, there is no instrument here which does not exist to-day or cannot easily and effectively be replaced by its modern equivalent» (p. 240). Il punto semmai è, più che trovare dei sostituti per strumenti desueti, integrare l’orchestrazione suggerita dalla partitura: «[a] reworking of the opera […] is necessitated by the fragmentary instrumentation» (SCHMIERER 1998, p. XII). 11 Si ricordi la già citata opinione di Gaetano Cesari in proposito (v. supra, II.2.4). 12 Le citazioni sono tratte dalla prefazione a OREFICE 1909, quattro pagine non numerate, firmata «Associazione Italiana Amici della Musica». 96 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata la riproduzione scenica avrebbe potuto essere interessantissima cosa per la storia del costume, del macchinario, del vestiario [poco prima diceva quanto la spettacolarità fosse, tra Rinascimento e Barocco, parte integrante di una rappresentazione], nulla, o poco meno, essa avrebbe giovato all’interesse che proviene dall’essenza intima del dramma, e forse ne avrebbe messo a nudo le manchevolezze più evidenti».13 Dunque non prendevano neanche in considerazione il fatto che, così come si è ammodernata la musica, allo stesso modo si poteva comportarsi con la messa in scena? A onor del vero, quella dell’esecuzione in forma di concerto fu quasi l’unica scelta apprezzata da Cesari, che cerca di capire «quali saranno state le linee musicali animatrici, definitive, di questo abbozzo di quadro, quali i colori».14 Dopo aver ripercorso le fonti sull’ornamentazione, la realizzazione del continuo e la strumentazione, conclude che «la realizzazione del basso non poté essere che assai semplice» ed affidata a clavicembalo, chitarrone, organo di legno e viola da gamba o da braccio bassa: quanto di più lontano dalla convinzione degli Amici della Musica, sulla scia di TORCHI 1894, che l’orchestra monteverdiana si basasse «sul quartetto di strumenti ad arco e specialmente sui violini»:15 Applicando all’Orfeo gli stessi criteri tecnici che stanno a fondamento del melodramma tipico del ’600, il melodramma veneziano, gli Amici della Musica hanno tenuto troppo poco conto della distanza che li divide […].16 L’embrione, sia pure d’un’arte grande, alla quale abbisognarono alcuni secoli avanti di giungere all’odierno stato di maturità, non può assumere gli atteggiamenti, il linguaggio, le proporzioni in cui s’evolse nel periodo del suo pieno sviluppo, senza cessare d’essere… l’embrione.17 Ecco il punto chiave che separa la posizione di Cesari da quelle sinora riportate: non si può appropriarsi di un’opera del passato senza curarsi del suo contesto storico perché la si stravolge. E così i tagli che ne alterano la struttura formale ben precisa, le modifiche ritmiche per rendere più bilanciata la linea melodica, la divisione in battute che restringe il recitativo in un rigido schema accentuativo «in antagonismo coi principi del ‘parlar 13 CESARI 1910, pp. 133-135. Ibidem, p. 151. 15 OREFICE 1909, prefazione. 16 CESARI 1910, p. 164. 17 Ibidem, p. 169. 14 97 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata cantando’»,18 la realizzazione armonica che non tiene conto della prassi del tempo, tutti questi interventi «da artista» e non «d’archeologo» saranno pur funzionali alle «facili suggestioni che la curiosità dell’opera può aver esercitato sul pubblico gradimento»,19 ma se Orefice fosse stato più ligio al testo e alle convenzioni secentesche «l’arte […] gliene sarebbe stata grata».20 Certamente l’Arcadia, l’Arcadia della storia, con le sue esagerazioni e le sue pastorellerie, avrebbe potuto sembrarci un po’ gonfia e leziosa; ma in nome di quale canone artistico saremmo noi autorizzati a mutarle abito addosso? […] la cultura non si lagnerebbe che tanto sforzo audace [di Orefice], osato senza le garanzie d’una indispensabile prefazione storica, dovesse restare vano ed infecondo.21 Emerge da queste note la posizione ancora fortemente evoluzionista di Cesari (l’OM è un «embrione», la storia della musica è storia di perfezionamenti). Tuttavia, o forse proprio per questo motivo, egli considera fondamentale la contestualizzazione di un’opera del passato, la sua resa ‘per quello che era’. Seguendo questa filosofia, una decina d’anni dopo si incontra Gian Francesco Malipiero. Di quanto costui fosse polemico e ‘contro’ si è già detto;22 non stupirà dunque che egli apra la prefazione alla sua prima revisione dell’OM (per canto e pianoforte, 1923) in questi termini: Non è difficile sapere che dell’Orfeo di Claudio Monteverdi esistono alcune edizioni moderne, con e senza il basso realizzato, ma è difficile che valgano a dare un’idea dell’opera originale perché non sono complete e la scelta dei frammenti, nonché l’armonizzazione, in esse sono troppo individuali e in contrasto con lo spirito monteverdiano.23 Anche l’introduzione degli opera omnia è esemplare per il suo forte atteggiamento negativo; Malipiero descrive il suo lavoro elencando gli ‘errori’ che non ha fatto (e di cui invece sono colpevoli gli altri prima di lui): 18 Ibid., p. 169. A proposito del successo dell’opera, SANDBERGER 1927, che dichiara di aver assistito ad una rappresentazione dell’arrangiamento di Orefice a Verona nel 1910, riporta: «Il pubblico veronese, ignaro di quale peggioramento (al fine di migliorare) gli veniva messo davanti, dimostrò un entusiasmo patriottico che malgrado tutto conteneva qualcosa di commovente». 20 Ibid., p. 178. 21 Ibid., p. 178. 22 V. supra, II.2.5. 23 MALIPIERO 1923, p. i. 19 98 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata In questa edizione non si troveranno né amputazioni, né deturpazioni dello stile. L’originale si riproduce integralmente e fedelmente. La prodigiosa sensibilità armonica di Claudio Monteverdi viene rispettata perché non si considerano errori di stampa quegli ‘accidenti’ che rappresentano l’espressione grafica di un musicista che non ha vissuto nel 1848.24 Nemmeno si modificano le tonalità, quantunque si sappia che queste si trasportavano adattandole alle voci di cui si disponeva. Anche oggi, in caso di esecuzione, si può fare altrettanto. Non si aggiunge il riassunto per pianoforte tanto caro ai dilettanti […]25 Non c’è dubbio che d’Indy e Malipiero avessero due concezioni diverse di che cosa potesse significare ‘fare il bene’ dell’OM: da un lato lo scopo primario era farlo piacere agli ascoltatori, con il compromesso di avvicinarlo al loro gusto non avvezzo all’antico, dall’altro invece si delineava l’ideale dell’‘autenticità’, della ‘fedeltà’. «Ma fedeli a che cosa?», si chiederà Giulio Confalonieri nel 1943, in un brano che mi piace riportare per la sua pregnanza: Fedeli è un bellissimo attributo. Ma fedeli a che cosa? A un documento enigmatico, il quale, con molte probabilità, voleva proprio esser tale, cioè lasciare assai campo a quell'arte dell’improvvisazione esecutiva che noi abbiamo totalmente perduta? Fedeli a un artista, che nella pratica spicciola era infedelissimo; fedeli a un genere musicale che, ancor sorpreso d'esser venuto alla luce, andava adattandosi, di esecuzione in esecuzione, ai gusti e alle esigenze dei pubblici?26 Nello stesso anno, il trecentenario della morte di Monteverdi, Paul Hindemith optava per una terza via; il compositore, che allora insegnava negli Stati Uniti, non era interessato né a una versione rielaborata e attualizzata (conosceva quella di Carl Orff), né ad una realizzazione dell’opera come sempre autentica («wie immer auch authentischen»), ma volle effettuare un esperimento storico, la ricostruzione di un documento sonoro: in breve, un tentativo di ricostruzione della prima esecuzione.27 In questo modo 24 Cfr. EITNER 1881, p. 16: «Anche la musica contiene errori che possono indurre a incomprensioni che ho corretto come meglio ho potuto, e in una nota ho riportato l’originale. Non ho evidenziato gli errori insignificanti, che sono numerosi, perché riconoscibili come refusi». 25 Prefazione al I volume (Il primo libro dei madrigali, 1926) degli opera omnia Monteverdiani a cura di Malipiero, senza numero di pagina. 26 CONFALONIERI 1945, Monteverdi a Cremona, pp. 22-31: 29-30. 27 Versuch einer Rekonstruktion der ersten Aufführung è il sottotitolo della Dirigierpartitur autografa. Ricavo le informazioni sull’Orfeo di Hindemith da ACKERMANN 1994 e REICHHART 1986, pp. 218-233; ho potuto consultare solo l’edizione per canto e pianoforte, data alle stampe nel 1953: tutto il materiale manoscritto (una Dirigierpartitur con le indicazioni strumentali, una serie di schizzi e appunti e il discorso fatto ai liutisti romani sulla realizzazione del continuo) è conservato al Paul Hindemith Institut di Francoforte. 99 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata non mirava a ricostruire un’immediatezza estetica ormai irrecuperabile ma accettava e anzi voleva la frattura; si trattava di un’operazione a fini didattici (Hindemith aveva la cattedra di Storia della musica alla Yale University) che perderà efficacia nelle pubbliche esecuzioni europee (a Vienna nel 1954, a Francoforte nel 1960, a Roma nel 1963) dove già solo la modernità dei teatri contribuirà a cancellare l’aura di ricalco storico e per questo si esigerà un maggiore intervento del compositore. Questo è sintomatico di come in quegli anni l’aspettativa del pubblico fosse ancora fortemente attualizzante: la via di d’Indy era ancora valida, l’ascolto dell’antico era accettato previa una mediazione, la matrice ‘neoclassica’ dei compositori che rielaborano per riportare in vita (sia in termini di assorbimento stilistico del passato in concezione evoluzionista – dall’Orfeo di d’Indy a Le donne del buon umore di Scarlatti/Tommasini –, sia in termini di ricreazione dovuta all’accettazione della frattura col passato – da Pulcinella di Pergolesi/Strawinsky all’Orpheus di Orff)28 era ancora imperante per la possibilità di fruizione di un determinato repertorio. Al di là delle dispute teoriche e degli esperimenti accademici (prima di Hindemith si pensi ad esempio a Westrup, Oxford 1929), la realtà era quella dei teatri che richiedevano a questo o quel compositore un ‘adattamento scenico’ di quest’opera così ‘altra’: nel 1935 si accese una vera e propria disputa Roma vs. Milano per via delle elaborazioni Rossato–Benvenuti (al Teatro reale dell’opera) e Guastalla–Respighi (alla Scala). Che bisogno c’era di queste due commissioni così ravvicinate? Perché non utilizzare Benvenuti (del dicembre 1934) anche alla Scala (marzo 1935)? E perché chiedere un’elaborazione a Benvenuti quando c’era già quella di Orefice del 1909? Perché, infine, nel 1909 non si è usata quella di d’Indy – che pur si usava ancora a Parigi e non solo? Sembra proprio confermato che ci troviamo immersi nel paradigma ricettivo ‘neoclassico’ in cui importa più chi e come ha compiuto l’ammodernamento che l’opera di partenza; da questo atteggiamento nascerà il ‘movimento autenticista’, sia come reazione (opporre alla troppa libertà l’eccesso opposto della troppa fedeltà – in senso pedissequo – al testo), sia come continuazione un po’ variata (niente di meglio di un testo che dice poco per dare spazio alla propria fantasia interpretativa più o meno guidata da documenti d’epoca); il punto di partenza è pur sempre la musica antica, cioè la cui tradizione esecutiva, che non può che sussistere oralmente, ci è ignota, e che è al di sopra di ogni sospetto di ‘degenerazione’ moderna: frastornati dalla morte della mu28 Su questo duplice atteggiamento ‘neoclassico’ cfr. VINAY 1986 e supra, II.2.5. 100 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata sica di tradizione classica si cerca la novità nell’ammodernamento dell’antico perché avanguardia e neoavanguardia creano prodotti troppo inadeguati; la riproposta dell’antico – attualizzato o ‘antichizzato’, i due atteggiamenti, si è visto, sono fratelli – è la ‘nuova musica’ di successo – ancora oggi. Non deve stupire, in quest’ottica, che Bruno Maderna (neoavanguardia) abbia preparato un’elaborazione (‘neoclassicismo’) dell’OM (musica antica) per lo Holland Festival del 1967 (epoca dei primi vagiti della ‘prassi filologica’ del ‘movimento autenticista’, nazione che diverrà fortissima in questo campo). La sua prefazione alla partitura contiene, naturalmente, una giustificazione del lavoro (la nostra raccolta di tutte queste spiegazioni d’autore – la cui importanza perdura dall’epoca delle «storiche prefazioni» – dovrebbe rispondere a quella serie di perché del capoverso scorso dal punto di vista dei revisori, per guardare dal di dentro quel panorama che ho cercato di spiegare a posteriori): Molte sono le edizioni di Orfeo, vecchie e nuove, filologiche e pratiche. Tante che viene spontaneo domandarsi per quale ragione io mi sia sentito così incline a farne una nuova. È molto probabile lo abbia fatto per amore; erano anni che attendevo l’occasione di poter ‘interpretare’ l’Orfeo. Oltre a questo fondamentale, vi è un altro motivo che mi ha spinto a questa realizzazione: in nessuna delle edizioni che ebbi occasione di studiare (quasi tutte) o di ascoltare trovai quella vivezza di colore e di fantasia nella realizzazione del basso e dello strumentale che sono, a mio parere, una delle caratteristiche più immediate del «divino Claudio». Alcune sono filologicamente bellissime ma timide e scarne, quasi timorose di troppo ardire; altre (sovente le cosiddette ‘pratiche’), pacchianamente ignorano la storia della cultura, s’abbandonano a slanci retorici e sentimentali che ben rivelano la povertà personale di molti musicisti quando non sono protetti dagli scudi delle ‘tecniche’ e delle ‘estetiche’. È certo che il compito di ridare l’Orfeo nella sua integra bellezza è oggi arduo se non impossibile …29 Siamo alla fine degli anni ’60 e la moda delle continue elaborazioni commissionate dai teatri inizia ad affievolirsi: la ricerca sulla prassi esecutiva antica tenta di imporsi e parallelamente ad essa sbocciano edizioni che si limitano a suggerire la realizzazione del basso continuo, senza tagli o aggiunte e orchestrazioni. I vari revisori, che hanno MALIPIERO 1930 come capostipite, gareggiano sulla correttezza dei loro interventi e sulla giusta interpretazione dei passi dubbi; nascono anche i primi apparati critici. Il biglietto da visita del «Centre international des études de la musique ancienne» di Bruxel- 29 MADERNA 1967, Premessa datata «Darmstadt, 23 aprile 1967», senza numero di pagina. 101 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata les sta tutto nella prima riga della premessa del primo volume delle sue pubblicazioni, l’OM a cura di Michel Podolski, liutista: La présente édition n’est pas une ‘réalisation’, mais un travail d’érudition.30 [La presente edizione non è una ‘realizzazione’, ma un lavoro erudito.] Ciò non vuol dire che abbia uno scopo puramente accademico, anzi è dichiaratamente pratica: inserisce un pentagramma vuoto sopra la linea del basso perché l’interprete si appunti la propria realizzazione del continuo. Sulla stessa linea, metodo scientifico e finalità pratica, si pone Denis Stevens: No thoroughly critical and scholarly transcription has so far appeared, but since the new complete edition of Monteverdi will undoubtedly include one, the present score will confine itself fairly strictly to practical matters. I am well aware that fashions in editing early music come and go, and I am no less aware of the fact that the only excuse for yet another edition of Orfeo is that we may, barring unforseen eventualities, come closer than before to the spirit as well as to the letter of the original.31 [Non è ancora apparsa un’edizione critica e di studio, ma dal momento che la nuova edizione delle opere di Monteverdi ne includerà sicuramente una, la presente partitura si propone con finalità eminentemente pratica. So bene che le mode editoriali su come editare la musica antica vanno e vengono, e so anche che la sola scusa per un’altra edizione dell’OM è che dovremmo, salvo imprevisti, avvicinarci più che in passato allo spirito e al testo originali.] E anche Edward H. Tarr, trombettista (hanno lavorato più o meno contemporaneamente, magari senza saperlo; la versione di Tarr aveva come scopo l’incisione di Michel Corboz del 1968, e se decise di publicarla nel 1974 fu per rivaleggiare con quella di Stevens nel frattempo venuta alle stampe?): Il s’avère […] nécessaire de justifier cette nouvelle édition en précisant qu’elle s’adresse aux artistes modernes, possédant une formation plus complète que leurs aînés dans le domaine du style d’interprétation des oeuvres baroques comme dans la réalisation de la basse continue, de la déclamation vocale et de l’ornementation. Cette édition, tout en suivant très fidèlement l’original de Monteverdi, se prête aisément en même temps aux conditions d’interprétations les plus diverses.32 30 PODOLSKI 1966, Aux lecteurs & ésprits curieux, p. vii. Tutta l’edizione ha una veste grafica molto elegante e le lettere capitali sono tutte miniate – sulla ‘L’ che apre questa prefazione si adagia un liutista: Podolski che parla al lettore… 31 STEVENS 1967, Preface, p. i. 32 TARR 1974, Introduction, p. ii. 102 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata [È necessario giustificare questa nuova edizione precisando che si rivolge agli artisti moderni, dotati di una formazione più completa rispetto ai loro predecessori circa lo stile interpretativo delle opere barocche e la realizzazione del basso continuo, il declamato vocale e l’ornamentazione. Questa edizione, che segue fedelmente l’originale di Monteverdi, si presta agevolmente alle condizioni interpretative più diverse.] Qualche pagina dopo l’editore ci comunica che, per quanto riguarda la realizzazione del continuo, scopo precipuo di Tarr fu quello di cercare «d’autres solutions très différentes de celles de Malipiero».33 Una grande differenza rispetto a Malipiero è che sia Stevens sia Tarr includono un apparato critico. L’edizione critica vera e propria («partitura di studio») apparirà nel 2004 ad opera di Claudio Gallico (studioso che, nel suo amore per Monteverdi, non ha poco in comune con Malipiero).34 Nonostante questa nouvelle vague ‘scientifica’ e il fiorire di trascrizioni operative ad opera di direttori di ensemble che tentano di riesumare ed applicare la prassi esecutiva barocca, la tentazione elaborativo-appropriativa di questo testo agisce ancora. Nel 1968 Valentino Bucchi, allievo di quel Vito Frazzi curatore, vent’anni prima, di un OM al XII Maggio musicale fiorentino (1949) – la parte di Orfeo era per mezzosoprano, affidata a Fedora Barbieri35 –, e che in tale occasione aveva scritto un opuscolo introduttivo all’opera,36 pubblica la sua trascrizione. «Trascrizione» è proprio il termine utilizzato da Bucchi: 33 [Di cercare altre soluzioni diverse da quelle di Malipiero] Ibidem, p. xxxviii. La partitura è GALLICO 2004; si confronti la sua Autobiografia di Claudio Monteverdi (GALLICO 1995) con il Così parlò Claudio Monteverdi malipieriano (MALIPIERO 1967). 35 Anche le prime due versioni di Orff, 1923 e 1929, affidavano il ruolo di Orfeo ad una voce femmilnile (contralto). SCHNEIDER 1986, p. 396. Il motivo può risiedere nell’assimilazione dell’OM alla prassi operistica barocca dei protagonisti maschili castrati, ma non ha giustificazioni nella partitura del 1609 dove la linea di Orfeo è scritta in chiave di tenore – e all’epoca era la chiave a suggerire la voce da utilizzare, criterio utilizzato ad esempio per decifrare la composizione dei brani corali (cfr. MORRIER 2002, p. 18 e la tabella che propone in base a questo criterio la distribuzione dei ruoi secondari dell’OM in CARTER 2002, p. 97). Si aggiunga che è pressoché certa l’interpretazione del ruolo di Orfeo alla Prima mantovana da parte del tenore Francesco Rasi. Inoltre questa prassi antichizzante fa ancora più specie in Orff, il cui lavoro voleva programmaticamente calarsi nella modernità. L’immaginario di Orfeo con voce femminile potrebbe avere la sua genesi nella revisione di Berlioz (1859) dell’Orfeo di Gluck per Pauline Viardot, cantante rimasta celebre tra l’altro proprio per la sua interpretazione particolarmente espressiva di questo ruolo. 36 Bucchi 1949. 34 103 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata […] il lavoro di ‘trascrizione’ nei confronti di opere musicali del passato è analogo a quello di traduzione, ed eventualmente di ‘adattamento scenico’ nei confronti di antichi testi letterari teatrali in prosa. Chi vede il presente come un’appendice cristallizzata del passato è portato alla logica del ‘dov’era, com’era’ […], chi vede il presente come una premessa del futuro – con larghi margini, quindi, di libertà individuale – si propone invece di aprire un discorso di altro genere leggendo il passato in chiave attuale, e sviluppando soltanto ciò che è ancora vivo.37 Dunque Bucchi dichiara di volersi situare nel filone degli ‘arrangiatori’ e di osteggiare quello dei ‘filologi’: Ai conservatori interessa esclusivamente il testo musicale antico per se stesso, indipendentemente da ogni altra considerazione; altri, al contrario, sono esclusivamente interessati al suo significato per gli uomini del nostro tempo.38 […] Ciò vuol dire in altre parole, ricostruire la fecondità di un ‘rapporto’ (col pubblico odierno) e non puntare sul carattere incantatorio di formule e timbri arcaici, depauperati tanto dell’originale quanto di un’attuale significazione.39 Si noti come ciò che oggi tendiamo a vedere come curiosità nei confronti di una prassi esecutiva desueta volta a scoprire un mondo sonoro nuovo (pur nella sua ‘antichità’), veniva valutato da Bucchi (e non solo) come un atteggiamento noiosamente museale, «conservatore» sia in accezione archivistica sia in senso politico, in quanto non interessato al progresso (qualche anno più tardi la ricerca della prassi esecutiva storicamente informata sarà considerata invece ‘di sinistra’).40 Bucchi non era nuovo agli adattamenti di opere del passato. Si era già occupato di Li geus de Robin et de Marion (1952, da Adam de la Halle) e delle Laudes Evangelii (1952, su testi religiosi tardomedievali), sempre ispirato dalla «necessità (artistica e non musicologica) di un’opera di interpretazione e di ricreazione».41 Tale atteggiamento non sorge – come invece a mio avviso accadde con Respighi e Maderna – da un desiderio appropriativo dell’opera in fase compositiva (atteggiamento del tipo: ‘voglio fare il mio OM’, ‘voglio ricamare col mio stile questo canovaccio’), bensì si tratta di un inchinarsi del trascrittore al servizio del suo pubblico (più sulla linea di d’Indy e Orefice)42 con lo scopo di fargli godere l’opera, di cui «è già 37 BUCCHI 1983, pp. 33-34. Ibidem, p. 34. 39 Ibid., p. 36. 40 Cfr. il pamphlet ISOTTA 1984. 41 BUCCHI 1983, p. 49. 42 Per la precisione più di d’Indy, in quanto per Orefice, come si è visto, l’elaborazione non era tanto dettata dall’esigenza di non fare annoiare il pubblico (che era in fin dei conti il problema di d’Indy) quan38 104 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata incerto il modo di decifrarla, ma completamente perduto il modo di intenderla»43, in quanto l’ascoltatore è «mutato irrimediabilmente nelle dimensioni del gusto e del costume».44 Per questo motivo Bucchi è consapevole di non offrire al mondo un suo prodotto artistico, valido comunque perché di Valentino Bucchi, ma una versione funzionale all’hic et nunc: Una trascrizione, […] come una traduzione poetica, non può essere proposta una volta per sempre, ma va rinnovata ad ogni stagione musicale […]45 Siamo di fronte ad un’intenzione ben diversa da quella, ad esempio malipieriana, del proporre la propria edizione, finalmente ‘giusta’, per ‘correggere’ le precedenti, inaccettabili: ogni realizzazione è valida per il contesto in cui e per cui è sorta. Tutti questi concetti erano ben condensati nella prefazione alla partitura: In questa versione dell’Orfeo monteverdiano ho seguito gli stessi principi che mi hanno guidato in quelle di Li geus de Robin et de Marion e delle Laudes Evangelii. Compito del musicologo è stabilire l’esattezza di un testo, indipendentemente dal suo rapporto con l’ascoltatore di un’epoca diversa, compito del compositore ‘trascrittore’ è invece riproporre ogni volta energicamente tale rapporto, essenziale per la sopravvivenza di un’opera d’arte. Poiché ogni periodo storico non può avere che un suo modo per portare alla luce della conoscenza gli elementi di un’opera musicale del passato, cercando di superarne le antitesi e di fonderle in una nuova e diversa concezione di vita. Naturalmente ogni equilibrio raggiunto non è mai definitivo, per cui in ogni epoca successiva i compositori offrono nuove trascrizioni, così come gli esecutori armonizzano i loro criteri interpretativi con le sempre mutevoli istanze del gusto e del costume.46 Chi erano gli ‘arrangiatori’ cui si riferiva più direttamente Bucchi? Il suo predecessore era naturalmente Ottorino Respighi. Non nuovo a elaborazioni di musica antica (prima delle celebri Antiche arie e danze per liuto aveva curato l’orchestrazione del Lamento d’Arianna – il suo battesimo monteverdiano –, che fu eseguita nel 1908 sotto la bacchetta di Arthur Nikisch), quando nel 1935, un anno prima di morire, portò a termine il suo lavoro sull’OM, raccontava che gli pareva «d’averci pensato sempre a ravvivare questo capolavoro», e di averlo fatto «senza impedimenti culturali», non come to dal carattere stesso dell’opera vista in prospettiva storica: all’epoca si ‘orchestrava’, anche oggi, pur con mezzi adeguati al presente, bisogna orchestrare (e contro il pericolo noia c’è l’arma dei tagli). 43 Ibidem, p. 51. 44 Ibid., p. 59. 45 Ibid., p. 57. 46 BUCCHI 1968, senza numero di pagina. 105 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata «riesumazione» ma come «interpretazione».47 In quanto tale valida, appunto, perché «personale»: Altri musicisti hanno prima di me tentato la realizzazione dell’Orfeo di Monteverdi, e una nuova fatica non sarebbe giustificata se non si trattasse di una interpretazione personale. Intendiamoci: fedeltà assoluta al canto e al basso segnato da Monteverdi, ma per tutto ciò che espressamente segnato non era, e per creare un’atmosfera sinfonica, mi sono abbandonato alla mia sensibilità.48 Quasi contemporaneamente a quella di Respighi era stata eseguita l’elaborazione di Giacomo Benvenuti del 1934; e le sue parole sulla validità di tutte le interpretazioni in quanto espressioni di un singolo erano senz’altro dettate anche da sana diplomazia. Benvenuti, che aveva preparato, insieme al librettista Arturo Rossato una versione scenica dell’OM decisamente lontana dall’originale, nel 1939 avrebbe strumentato l’edizione MALIPIERO 1930 per la prima incisione integrale dell’opera (direttore Ferruccio Calusio), e nel 1942 avrebbe pubblicato una riduzione per canto e pianoforte asciutta e rispettosa con tanto di abbozzo di apparato critico, con introduzione all’autore, all’opera e ai suoi problemi testuali, ed elenco delle didascalie monteverdiane. ‘Arrangiatore’ e ‘archeologo’ convivevano nella stessa persona ma si manifestarono in momenti separati a seconda delle diverse destinazioni dei lavori: l’elaborazione del 1934 sfociò in un evento mondano alla presenza di Mussolini, e doveva la sua pomposità alla retorica fascista che incoraggiava la riscoperta dei grandi geni dell’arte italica del passato. Monteverdi era ai primi posti: si pensi agli opera omnia patrocinati da D’Annunzio e alla venerazione malipieriana, e in generale della ‘generazione dell’Ottanta’, per la polifonia e il barocco, che erano non solo oggetto di studio e di riscoperta, ma fonti di ispirazione compositiva per la nuova grande musica di sangue italiano.49 Altro compositore che si è dedicato a più riprese – per quasi vent’anni – all’OM è Carl Orff.50 Fu Curt Sachs a spingerlo verso Monteverdi con finalità ‘didattiche’: 47 Citazioni tratte da interviste a Respighi riportate in parte da BRAGAGLIA–RESPIGHI 1978, pp. 169- 172. 48 Parole di Respigi citate senza indicare la fonte nel booklet (a cura di Potito Pedarra) del CD con la registrazione parziale del suo OM nell’esecuzione lucchese di Herbert Handt del 1984 (pubblicata nel 1995, CD CLAVES 50-9419). 49 Sui rapporti tra il fascismo e Monteverdi, con riferimenti specifici alle trascrizioni dell’OM, cfr. FENLON 2003. 50 Ripercorro l’esauriente studio di Herbert Schneider (1986), cui rimando. 106 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Sie sind der geborene Musikdramatiker, Ihr feld ist die Bühne. Gehen Sie beim ersten Musikdramatiker in die Lehre.51 [Lei è un musicista drammatico nato, il suo settore è la scena. Faccia pratica presso il primo musicista drammatico.] Infatti Orff si pone nei confronti dell’opera da subito con l’atteggiamento di chi è in cerca di una materia prima duttile da poter lavorare, con lo scopo di crearsi uno stile adatto a rinnovare il teatro musicale. Il suo era un approccio fortemente (ri)compositivo: Mir schwebte ja keine wissenschaftliche restauration eines Meisterwerks aus alter Zeit vor, sondern eine Resurrectio auf unserem heutigen Theater. Von allem mußte alles allzu Zeitgebundene des Textes ausgeschaltet werden. Dazu bedurfte es einer grundlegenden Neufassung, die auch eine neue Dramaturgie ergab.52 [Non mi prefiggevo di restaurare scientificamente un capolavoro dell’antichità, bensì di farlo risorgere nel teatro d’oggi. Si dovevano eliminare del tutto gli elementi eccessivamente legati al proprio tempo. Era necessario, a tal scopo, procedere ad un rifacimento radicale, che producesse una nuova drammaturgia.] L’entità e il carattere dell’adattamento traspaiono anche solo dalla lettura di alcuni stralci del libretto (v. infra IV.2.3), nella sensuale versione di Dorothee Günther, pubblicato con una prefazione di Curt Sachs nel 1925. Lo studioso afferma in questi termini lo spirito guida del lavoro: In Monteverdi’s Partitur aber ruhen nicht nur zeitlos unvergängliche Werte. Denn der Orfeo ist kein frei ins Leben hinausgestelltes Kunstwerk, sondern eine Gelegenheitsoper […]. Monteverdi’s Oper in der Urgestalt auf die heutige öffentliche Bühne mit heutigen Publikum zu stellen, wäre eine schwerere Sünde am Geiste des Werks, am Geiste Monteverdi’s, als eine taktvolle, mit künstlerischen und geschichtlichem Verantwortungsgefühl unternommene Neugestaltung. In dieser Erkenntnis liegt das Recht, liegt die Pflicht der vorliegenden Bearbeitung.53 [Nella partitura di Monteverdi non stanno solo valori universali senza tempo, poiché l’Orfeo non è solo un’opera d’arte ma anche un lavoro d’occasione ... Portare l’opera di Monteverdi su un palcoscenico di oggi con un pubblico di oggi sarebbe un grave torto allo spirito dell’opera e di Monteverdi, maggiore di quello di una nuova edizione allestita con rispetto e con senso della responsabilità artistica e storica. Nella consapevolezza di ciò trova base il diritto e il dovere della rielaborazione.] 51 ORFF 1975, p. 14. Ibidem, II, p. 19. 53 GÜNTHER–ORFF 1923, prefazione senza numero di pagina. 52 107 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Il «diritto e il dovere della rielaborazione» spinsero Orff ad approntare tre versioni dell’OM: 1923, 1929 e 1940 (poi riproposta nel trittico Lamenti, del 1958, insieme al Ballo delle ingrate e al Lamento di Arianna).54 Addirittura negli anni ’80, quando il fenomeno early music era ormai consolidato e non più visto esclusivamente in termini archivistico-archeologici ma anzi come uno dei tentacoli del ‘moderno’,55 ci si imbatte in un ulteriore progetto teso ad ‘attualizzare’ l’OM. Non parlo di una nuova elaborazione edita, ma di un evento che ebbe luogo al Maggio musicale fiorentino del 1984 sotto l’egida di Luciano Berio, in linea con il programma di ‘apertura’ (sia in senso contenutistico sia logistico) del festival di quell’anno (diretto dallo stesso Berio): Il 1° maggio Firenze assisterà all’invasione simultanea e prolungata di molte delle sue strade e piazze da parte di bande e drappelli di musicisti, ciclisti e pattinatori ‘preparati’, ballerini, schioccatori di fruste, operatori di computer, zufolatori, campanari, artificieri, eccetera eccetera. […] È un segnale ed anche una festa politica, naturalmente, ma nel senso più ampio e corretto del termine: infatti è un tentativo di reimpostare la presenza dell’Istituzione Maggio in maniera meno esclusiva e rigida, cioè più aperta e dissimulata, fra la gente.56 In Italia, oggi, abbiamo una situazione simile per molti versi a quella dell’epoca dell’Orfeo: nel senso che allora c’erano i principi e i mecenati, e oggi abbiamo un esercito, spesso imbarazzante, di assessori alla cultura. Se il progetto del nostro Orfeo va in porto, potremmo anche pensare di costruire una specie di atelier musicale simile a uno studio di architettura. Con gli architetti/musicisti che si mettono a un tavolo, elaborano dei progetti, li offrono agli Assessorati alla Cultura di varie città italiane, fanno dei sopralluoghi, realizzano il progetto inserendolo nel contesto urbanistico, culturale, sociale. Pensate come sarebbe bello abitare musicalmente certi spazi stupendi che ci sono in Italia. Creare degli eventi musicali in grandi spazi all’aperto.57 Un progetto ‘politico’, dunque, ma anche e altamente artistico: il «grande spazio all’aperto» della sua realizzazione fu la piazza di Santo Spirito, il 30 giugno; la poetica del progetto è stata presentata da Franco Piperno, coordinatore musicologico dell’evento, nel suo articolo I due Orfei nella pubblicazione del Maggio di quell’anno.58 54 Dal momento che pubblicò la partitura solo dell’ultima e che Orff stesso la considerava «endgültig», mi occuperò solo di questa. Una comparazione fra le tre si trova in SCHNEIDER 1986. 55 Cfr. TARUSKIN 1995 e le mie considerazioni supra (in questo paragrafo: la musica antica è la ‘nuova musica’ di successo). 56 BERIO 1984, p. 220. 57 PALOSCIA 1984, p. 217. 58 PIPERNO 1984, pp. 199-202. 108 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata «Due Orfei»: uno, sotto la direzione di Robert Norrington, in versione «iper-filologica, quasi archeologica, che tenta di ricostruire la prassi esecutiva dell’epoca in ogni dettaglio: dagli strumenti alle coreografie, fino all’illuminazione mediante candele […]. L’altra proposta di Orfeo percorre le strade completamente diverse di una iper-, se mai, semiologia. L’accumulazione di segni e di valenze implicite nell’originale monteverdiano viene resa esplicita e interpretata con segni e valenze di oggi».59 Il punto di partenza è che «il testo musicale è una traccia, una struttura portante aperta non tanto a trasformazioni quanto ad amplificazioni, nelle più svariate direzioni, delle potenzialità che essa cela e compendia nel semplice segno grafico»;60 la necessità è quella di ‘svecchiare’ l’OM nel senso di renderlo vicino all’esperienza estetica moderna: si tratta di un’attualizzazione mediatica finalizzata a ricreare la risposta emotiva che poteva destare all’epoca della sua prima esecuzione, renderlo, per dirla con Andrea Frova, «diabatico»:61 Trascrivere Orfeo significa affidarsi ad «ogni sorte» di mezzi strumentali e vocali e stilemi musicali: quelli, nella fattispecie, del nostro tempo.62 L’operazione si inserisce pertanto nella linea più postmoderna delle due, che abbiamo detto essere di ascendenza ‘neoclassica’, che di caso in caso si percorrono una volta che si è scelto di rielaborare l’OM: si è consapevoli di creare una frattura e si usa il materiale del passato dandogli vita nuova con i mezzi attuali. E si può forse parlare di ‘postmoderno al quadrato’, dal momento che detti mezzi sono, in questo caso, pescati senza giudizi classificatori da tutte le forme stilistiche disponibili sincronicamente, dal jazz all’elettronica, dagli ensemble popolari alle bande, sulla base di «convenienti equazioni semantico-stilistiche che consentano di individuare fra i livelli espressivi, culturali ed esecutivi oggi a disposizione quelli più atti a proporsi come moderni equivalenti di quelli rintracciabili nell’Orfeo (l’allegorico, l’infernale, il pastorale, il divino ecc.)».63 La via per poterlo fare trova la sua giustificazione tutto sommato storica, secondo Pi59 Ibidem, p. 199. Ibid., p. 200. 61 FROVA 2006, p. 37. Il fisico conia il termine «musica adiabatica» (cioè senza passaggio di calore, che non muove l’animo dell’ascoltatore) in riferimento alla musica post-tonale, che egli disprezza in termini spesso imbarazzanti. 62 PIPERNO 1984, p. 201. 63 Ibidem, p. 201. 60 109 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata perno, nella sostanziale ‘apertura esecutiva’ lasciata alle opere secentesche e alla ricorrente indicazione: «Per sonar con ogni sorte d’istromenti». Nello specifico ecco come funzionava la corrispondenza connotativa messa in atto al Maggio: Ninfe e pastori, arcadici cantori dell’età dell’oro, verranno immersi in un song-like sound, a mezza strada fra il rock e il jazz, con opportune realizzazioni armoniche dei bassi monteverdiani […]; Orfeo, simbolo della musica, canterà con voce naturale sostenuto da strumenti tradizionali, soprattutto archi; Euridice vedrà inquadrati i propri patetici interventi da una cornice di fiati, mentre ritmica, strumenti rock, manipolazioni elettroniche e registri gravi sottolineeranno la giusta ridicolaggine delle terribilità infernali di Proserpina e Plutone […]; dalla Toccata introduttiva alla Moresca conclusiva i brani strumentali (soprattutto i ritornelli) vedranno protagoniste due bande (una tradizionale ed una sinfonica) grazie alle quali il tessuto connettivo dello happening, nella direzione della decortesizzazione e del volgarizzamento (nel senso etimologico del termine) riceverà il giusto rilievo.64 Hanno lavorato al progetto «Ludovico Einaudi (gruppi rock e popolari), Luca Francesconi e Gennaro Urbani (bande), Betty Olivero e Maurizio Dini Ciacci (strumenti tradizionali), Marco Stroppa (mezzi elettroacustici)».65 Si è delineato uno spettro amplissimo di intenzioni, e con loro metodi, con cui nel Novecento ci si è accostati all’OM. L’ultima linea da segnalare è quella di chi ha ritenuto che il modo migliore per farlo fosse limitarsi a pubblicare un fac simile: il primo a prendere questa decisione è stato SANDBERGER 1927; come tutti i suoi colleghi ha introdotto la propria edizione commentando quelle già apparse: EITNER 1881 («den gewiβ öfter knifflichen Problemen des Monteverdischen Bc. steht der Bearbeiter auffallend hilflos gegenüber und versagt auch bei einfacheren Stellen»),66 D’INDY 1905, OREFICE 1909 (la cui unica cosa buona sarebbe «die Beigabe einiger faksimilierten Seiten aus dem Original in der Ausgabe»),67 l’elaborazione inedita di Hans Erdmann-Guckel del 1913, MALIPIERO 1923 e la prima elaborazione di Orff (1923); questa scorsa al materiale più recente a disposizione relativo allo studio dell’Orfeo gli è sembrata opportuna per dare un’idea del contesto in cui nasce la sua ‘discesa in campo’, anche se – ed ecco la sua filosofia –, «die vorliegende Ausgabe bedarf im Grunde keiner Rechtfertigung, denn 64 Ibid, p. 201. Ibid., p. 201-202. 66 [Visibilmente perplesso di fronte ai frequenti e complicati problemi del basso continuo l’arrangiatore fallisce anche nelle parti più semplici] SANDBERGER 1927, Vorwort, p. 5. 67 [L’aggiunta di alcune pagine dell’originale in fac simile] Ibidem, p. 4. 65 110 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata auch die methodische Erschlieβung alter Musik gründet, wie allgemein bekannt, zuvörderst in den originalen Quellen».68 IV.2. La struttura generale IV.2.1. Tre tipologie editoriali È tempo di osservare più da vicino i testi musicali. Mi ci sto accostando per cerchi concentrici: prima uno sguardo d’assieme, poi alle loro ragioni storiche e poetiche (e dunque al loro contesto) attraverso gli scritti dei loro autori e, quasi anticamera per il testo vero e proprio, le loro prefazioni; il prossimo cerchio è la loro struttura generale: hanno subito tagli, aggiunte, modifiche nell’ordine dei numeri? Sotto che veste ci si presentano? Il primo colpo d’occhio ci aiuta a rispondere a quest’ultima domanda. La casistica che può darsi è triplice (Tabella IV.1): Partitura Monteverdi EITNER 1881 D'INDY 1905 OREFICE 1909 MALIPIERO ORFF BENVENUTI RESPIGHI 1935 HINDEMITH 1943 WENZINGER 1955 PODOLSKI 1966 MADERNA 1967 STEVENS 1967 BUCCHI 1968 TARR 1974 GALLICO 2004 Partitura riorchestrata Spartito canto e pf. x (1928), 1949 1940 1934 x x x 1923 1940 1934, 1942 x x x x x x x x (+ riduz. pf.) 1930 x x x x Tabella IV.1 a) partitura informata sull’edizione del 1609, dove si alternano sistemi con uno o più righi per il canto e un rigo per il basso ad altri (nei ritornelli e nelle sinfonie) con un rigo per ogni strumento; nelle edizioni moderne viene sempre aggiunto un rigo sopra 68 [La presente edizione non richiede nessuna motivazione di fondo, in quanto anche lo studio metodico della musica antica poggia, come universalmente noto, primamente sulle fonti originali] Ibid., p. 3. 111 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata quello del basso per la realizzazione del continuo (nel caso di PODOLSKI 1966 è un rigo vuoto). Naturalmente le edizioni che lasciano questa disposizione sono quelle che vogliono essere più ‘autentiche’: EITNER 1881, MALIPIERO 1930, PODOLSKI 1966,69 STEVENS 1967, TARR 1974, GALLICO 2004. b) partitura riorchestrata: sono le elaborazioni più libere, dove spesso anche la parte del continuo è riccamente strumentata. D’INDY 1905, MALIPIERO 1928 (inedita) e 1949, ORFF 1940, BENVENUTI 1934, RESPIGHI 1935, MADERNA 1967, BUCCHI 1968. Quasi sicuramente esisteva una simile partitura anche per OREFICE 1909, ma è inedita e non ne ho trovato traccia. c) spartiti per canto e pianoforte: tolte le riduzioni delle partiture di cui al punto b (è il caso di D’INDY 1905, verosimilmente OREFICE 1909, ORFF 1940, RESPIGHI 1935, MADERNA 1967, BUCCHI 1968), restano alcuni casi in cui la trascrizione esiste solo in questa veste: MALIPIERO 1923, BENVENUTI 1942 (che è ben altro rispetto alla sua elaborazione del 1934), HINDEMITH 1943 (se si eccettua la Dirigierpartitur manoscritta per cui cfr. supra, IV.1, nota 27), WENZINGER 1955 (che grazie alle sue indicazioni strumentali è pronta a servire per un’esecuzione orchestrale). La differenza con la veste grafica di cui al punto a è che anche gli interventi strumentali vengono ridotti per pianoforte.70 La scelta della veste editoriale è in molti casi già indicativa delle intenzioni del revisore: se si pensa a quanto si diceva nel primo capitolo a proposito delle classificazioni, la tripartizione individuata è quella che a questo livello di analisi ritengo più utile, e cioè una classificazione basata sul testo a prescindere da cronologia e scopi dichiarati del curatore. Infatti per evidenziare i punti di convergenza e divergenza, insomma per comparare i lavori è importante che ci si trovi dinanzi a classi per qualche verso omogenee: nel caso specifico si evidenzieranno con maggior chiarezza le differenze comparando due riduzioni per canto e pianoforte piuttosto che un’edizione critica con un’elaborazione orchestrale… 69 PODOLSKI 1966 in realtà condensa alcune parti strumentali su un solo rigo. In BENVENUTI 1942 ci sono alcuni ritornelli e sinfonie su tre righi (il Ritornello B, la Sinfonia C, la Sinfonia E, il Ritornello A alla fine dell’atto IV, il Ritornello M e la Moresca). 70 112 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata IV.2.2. Tre tipi di interventi Ecco pertanto che nella tabella IV.2 le edizioni vengono raggruppate in ragione della loro veste editoriale: in questo modo risulta più immediato confrontarle per tipologia ma allo stesso tempo è possibile una comparazione incrociata grazie al carattere sinottico della tabella. Siamo ancora ad un livello di analisi osservabile sfogliando le partiture, e gli interventi riscontrabili possono essere considerati di tre tipi: tagli, aggiunte, cambi rispetto all’edizione secentesca (le voci sono poste in modo che a maggior numero di crocette corrisponda un maggior numero di interventi: ad esempio, circa le chiavi, segnalare ‘cambia in chiavi moderne’ è più utile che ‘lascia le chiavi antiche’, sebbene il significato sia lo stesso; in questo modo la crocetta significa ‘intervento’). Uno sguardo d’assieme alla tabella rivela quanto ci si aspettava: le riorchestrazioni si accompagnano ad interventi drastici sul testo (si vedano i tagli di atti di D’INDY 1905, ORFF 1940 – quanto a BENVENUTI 1909 si è già detto del suo status di riduzione), le partiture di tipo a sono quelle con maggior velleità scientifica (donde la presenza dell’apparato critico; EITNER 1881 è l’unico a mantenere le chiavi antiche). Comune a gran parte delle revisioni è la ridefinizione delle battute in base agli accenti musicali e/o prosodici (che ho indicato col termine inglese rebar), spesso accompagnata dalla riduzione dei valori ritmici, specie per alcuni numeri (il più gettonato è la Moresca, i cui valori sono quasi sempre ridotti 4 volte rispetto a quelli originali: da misure di 6/2 a misure di 6/8); delle didascalie monteverdiane vengono normalmente tenute solo quelle ‘di regia’ dell’atto IV («Qui si fa strepito dietro la tela» e «Qui si volta Orfeo»): le indica- zioni strumentali presenti in partitura non vengono naturalmente riportate nelle riorchestrazioni e nelle loro riduzioni per canto e pianoforte (dove semmai sono presenti i riferimenti alla partitura che riducono), e anche nelle edizioni del tipo a spesso vengono sciolte a mo’ di elenco di strumenti in corrispondenza dei righi; si noti l’esiguità delle revisioni che non suggeriscono agogica, dinamiche ed espressione; PODOLSKI 1966 traspone l’intera partitura un tono sotto e WENZINGER 1955 un tono sopra (in ragione delle elucubrazioni circa il diapason secentesco), e il trasporto di alcuni numeri (probabilmente dovuto a problemi di tessitura strumentale o vocale) si trova in MALIPIERO 1949, MADERNA 1967 e BUCCHI 1968; abbiamo due traduzioni integrali del libretto, in francese per D’INDY 1905 e in tedesco per ORFF 1940, a cui si aggiunga la traduzione inglese 113 tra ( ) x 1 x (x) (x) x x x 114 x BENVENUTI 1934 x RESPIGHI 1935 x ORFF 1940 x MALIPIERO 1949 x x BUCCHI 1968 4 x x x x x x x x (x)6 x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x OREFICE 1909 x x x x x x x x x x x x x x x x x x traduzione trasporto x x x x x x x x x x x x x x x x x x a piè p. x x x x 1 t. sotto 5 x D'INDY 1905 riduzione valori ritmici rebar chiavi moderne apparato critico numeri prescrizioni sceniche x x MADERNA 1967 c 3 x GALLICO 2004 x ornamentazione melodica (x) (x) didascalie x 2 TARR 1974 D'INDY 1905 indicazioni strum. x 2 3 STEVENS 1967 b in nota x MALIPIERO 1930 PODOLSKI 1966 realizzaziione bc segni espressione dinamiche agogica didascalie parti di numeri x CAMBI fusione atti EITNER 1881 AGGIUNTE ordine numeri a numeri interi atti TAGLI x 7 x x MALIPIERO 1923 BENVENUTI 1934 RESPIGHI 1935 x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x 1 t. sopra fusione atti x ordine numeri x traduzione x trasporto riduzione valori ritmici x rebar x x chiavi moderne x x apparato critico x numeri indicazioni strum. x x prescrizioni sceniche realizzaziione bc x x CAMBI ornamentazione melodica segni espressione x agogica dinamiche AGGIUNTE didascalie parti di numeri numeri interi atti TAGLI ORFF 1940 BENVENUTI 1942 HINDEMITH 1943 WENZINGER 1955 x MADERNA 1967 BUCCHI 1968 x x 1 8 x (x) x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x (x)9 115 Tabella IV.2 1 Riporta solo la versione fiorita di «Possente spirto». Non copia le didascalie ma elenca al loro posto gli strumenti indicati da Monteverdi (es. «Toccata che si suona avanti il levar de la tela tre volte con tutti li stromenti, e si fa un tuono più alto volendo sonar le trombe con le sordine» diventa «Toccata – Tre volte avanti il levar de la tela – Tutti li stromenti»). 3 Scioglie le indicazioni strumentali come PODOLSKI 1966 ma in fondo, insieme all’apparato critico, riporta le «Monteverdi’s notes on orchestration». 4 Oltre a riportare le didascalie monteverdiane le scioglie accanto al basso e le aggiunge tra [ ] laddove ritenga necessario integrarle (ad esempio nell’alternanaza di interlocutori durante la scena della Messaggera). 5 Con indicazione di quelle originali. 6 Normalmente le riporta in nota e se sono prescrizioni sceniche le traduce («Qui si fa strepito dietro la tela»: «Ici on entend du bruit dans la coulise»). Non riporta la didascalia della Toccata in quanto, rielaborandola, non avrebbero senso le indicazioni di Monteverdi. 7 A causa della traduzione le linee melodiche sono spesso molto diverse dall’originale. 8 C’è una sola dinamica in tutto lo spartito: si tratta di un p nel Prologo, al Ritornello A prima della strofa «Or mentre i canti alterno». 9 Traduce le uniche didascalie monteverdiane che lascia («Si fa strepito dietro la tela»: «Geräusch hinter der Szene»; «Qui si volta Orfeo»: «Wendet sich um»); inoltre sono in tedesco i nomi degli atti («Prolog», «Erster Akt», etc.). 2 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata di Anne Ridler, utilizzata in molte revisioni che non ho avuto modo di consultare (cfr. la tabella I.1) e che è stata pubblicata comunque a sé. Prima di continuare con l’analisi delle partiture propongo una digressione su queste traduzioni. IV.2.3. L’importanza della comprensione Nel primo capitolo accennavo al fatto che Nigel Fortune, nella sua classificazione, includesse tra le ‘pure’ la trascrizione dell’OM di Westrup in traduzione inglese. Certo, se si parla di ‘purezza’ rispetto al testo originale qualcosa non torna, se invece la tanto reclamizzata ricerca dell’‘autenticità’ vuole, per quanto possibile, ricreare anche le reazioni ricettive di un’opera, e cioè, pur in contesti d’ascolto irrimediabilmente mutati, suscitare una percezione concettuale ed emotiva simile a quella dei primi spettatori, allora è fuori di dubbio che un’opera come l’OM, così legata al testo, in Inghilterra possa risultare più ‘autentica’ cantata in inglese. Ed è senz’altro in questa prospettiva che Jane Glover, nel 1975 – pur trovando riprovevoli le elaborazioni alla d’Indy, alla Orefice, alla Orff71 –, così come Roger Norrington l’anno sucessivo e John Eliot Gardiner nel 1980, hanno optato per la ricerca sulla prassi esecutiva barocca e la traduzione del testo cantato. Una riflessione sull’argomento la fa proprio Anne Ridler, la loro traduttrice, nel paragrafo On Translating Opera premesso alle sue versioni ritmiche della trilogia monteverdiana:72 if the original text is so important, ought it ever to be transposed into another tongue – do we not lose something quite irreplaceable? We do, certainly; but then unless we are bilingual, we also lose much by not hearing the text in our native tongue.73 [Se il testo originale è così importante, dovrebbe essere tradotto in un’altra lingua – non si perde qualcosa di insostituibile? Senz’altro, ma a meno che non si sia bilingue, si perde molto anche nel non poter ascoltare il testo nella nostra lingua.] Dal momento, dunque, che una traduzione è opportuna, la Ridler elenca i principi che devono guidarla e che sono molteplici e sostanzialmente inconciliabili: 1) «musical line is always the leader»,74 quindi bisogna rispettare il valore aggiunto dalla musica alla frase o addirittura alla parola che esprime, e questo è spesso difficile per una questione di 71 V. il suo articolo GLOVER 1975. JOHN 1992, pp. 15-18. 73 Ibidem, p. 15. 74 [La linea melodica è sempre al primo posto] Ibid., p. 15. 72 116 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata word-order diverso da una lingua all’altra; 2) «the aim of the translator must be to accomodate the words so pliably to the needs of the voice»,75 e quindi calcolare ad esempio quali siano le vocali migliori per determinati passaggi; 3) tentare di mantenere lo schema di rime originale è più dannoso che altro: «naturalness of speech comes first, and a translation that draws attention to itself […] has failed»;76 4) la questione del metro dei versi poi è complicata: nei recitativi, dove è importante ogni singola parola, le sillabe possono essere ridistribuite per rendere gli accenti più naturali, nelle arie sono invece più importanti il numero delle sillabe e la coerenza tra le strofe, pertanto basta restituire il senso complessivo e rimanere più liberi nella scelta nei vocaboli; 5) ci sono momenti in cui la caratterizzazione affettiva è data anche dal fonosimbolismo, per cui bisognerebbe cercare di «match the actual vowel and consonant sounds of the original, for they are mysteriously involved with the emotion»;77 questo aiuta inoltre i cantanti che si sono già cimentati nell’opera in lingua originale. D’Indy, che pur viveva in un’epoca in cui le ‘traduzioni ritmiche’ certo non scandalizzavano, a onor del vero dispone la linea del canto su due righi, uno in italiano, uno in francese, laddove la diversa sillabazione richieda modifiche nei valori ritmici delle note.78 Agli antipodi da questo scrupolo, però, dichiara senza mezzi termini nella prefazione alla partitura che ha tagliato le prime tre strofe di «Possente spirto», «curieuses par leur écriture vocale et leur intrumentation plutot que vraiment belles», per il solo motivo che sono «intraduisibles en français». Ciò che l’ha guidato nella traduzione non è stata «la prétention de serrer le sens des paroles italiennes», ma «la concordance aussi exacte que possible entre l’accent littéraire et l’accent musical, seule méthode capable de donner à l’auditeur une impression d’art».79 Purtroppo in questo modo si vengono a perdere certi madrigalismi, certi ricalchi sonori della parola presenti nell’opera (era il 75 [Il fine del traduttore dev’essere di modellare le parole seguendo le caratteristiche della voce] Ibid. p. 15. 76 [La naturalezza del discorso innanzitutto: una traduzione autoreferenziale fallisce] Ibid. p. 15. [Mantenere gli stessi suoni vocalici e consonantici dell’originale, poiché sono misteriosamente in relazione con l’emozione] Ibid., p. 18. 78 Questo nella partitura. Lo spartito è solo in francese. 79 [Curiose, più che davvero belle, per la loro scrittura vocale e la loro strumentazione // Intraducibili in francese // La pretesa di mantenere il significato delle parole italiane // La concordanza più esatta possibile tra l’accento prosodico e l’accento musicale, unico metodo in grado di dare all’ascoltatore un’impressione artistica] D’INDY 1905, senza numeri di pagina. 77 117 Testo originale 118 Pittura sonora D’Indy Günther Ridler [Prologo, I strofa, la Musica:] né giunge al ver perch’è tropp’alto il segno. «alto» sulla nota più acuta della strofa (mi, che viene toccato solo un’altra volta in tutto i Prologo) mon rôle est moindre et ma maison moins haute. x yet missed the truth, too high for mortal vision. [Prologo, II strofa, la Musica:] poss’infiammar le più gelate menti. su «gelate» scontro tra do# al basso e si al canto enflammer les esprits les plus calmes. x with rage and desire the coldest heart inflaming [Prologo, V strofa, la Musica:] non si mova augellin fra queste piante, né s’oda in queste rive onda sonante ed ogni auretta in suo cammin s’arresti. pause e cadenza sospesa que nul sanglot ne réponde ; que nulle plante | ne s’élève, que le ruisseau cesse de murmurer | et que la brise en son chemin s’arrête. x Let no bird among the branches be heard, | nor let the waves sound from the river, | and let the breezes attentive pause to here me. [I, «Rosa del ciel», Orfeo:] e più felice l’ora che per te sospirai, poich’al mio sospirar tu sospirasti. suspiratio e climax x Selig die Zeit, | da ich nach dir mich sehnte, | bis all mein Sehnen du in dir erfülltest! More blessed still the moment | when for you I was sighing. | For when you heard my sighs you sighed in pity. [I, coro:] Ecco Orfeo, cui pur dianzi furon cibo i sospir, bevanda il pianto, oggi felice è tanto contrapposizione tra valori lunghi e accordi minori, e ritmo brillante con armonia maggiore x Froher Tag, lichter Tag, | Tag der Liebe! | Alles umfassest du, | Gipfel des Lebens! | Lass auch die Nacht | ertrinken in deinem Glück! See him come, see him come, brave Orfeo! | Who for bread tasted sighs, whose drink was weeping. | Now can he want want for nothing [II, «In un fiorito prato», Messaggera :] le punse un piè con velenoso dente: ed ecco immantinente scolorirsi il bel viso e ne’ suoi occhi sparir que’ lampi salto su nota acuta su «punse», valori rapidi su «immantinente», scala discendente di settima, modulante, a partire da «scolorirsi» Sa dent fatale s’attache au pied si tendre, | et voilà que nous voyons |décolorer ce beau visage et se tenir l’éclat | de ses grands yeux. und alles Licht versinkt in Nacht | in Klagen wandeln sich die frohen Sänge | die Trauer schüttet alles Lachen zu upreared its head and pierced her foot with poison. | And straightaway the colour vanished from her cheeks and she fainted. contrapposizione tra catabasi e anabasi je descendrai vers les profonds abîmes […] tu reverras les autres ! will ich den Weg, den du gezogen suchen, suchen […] so weiß ich doch, | er führt zu dir mich wieder. I shall descend into the deep abysses, […] and draw you with me to see again the starlight. [II, «Non si fidi uom mortale», coro:] che tosto fugge, e spesso a gran salita il precipizio è presso. valori brevi su «che tosto fugge», contrapposizione tra anabasi lenta di «a gran salita» e salto di sesta discendente su «il precipizio» l’illusion fuit sans cesse. | Près du sommet le précipice s’ouvre. so überschattet der Tod uns | Wie warst du glücklich, | nun ging dein Glück zur Nacht. we taste and loose them [= joys]: | and whoso ascends the mountain | finds that a fall must follow. [IV, «Luogo avrai fra le più belle», Orfeo:] danzeranno co’ giri or tardi or presti. veloci fioriture su «giri» e «presti», assenti nei momenti corrispondenti delle altre strofe della canzone danseront sur des rythmes lents ou prestes bis sie [= meine Sehnsucht] endlich gewonnen und dem dunklen Reich entriß! dance in measures with swift or slow gyrations. [V, «Questi i campi di Tracia», Orfeo:] ed io con voi lagrimerò mai sempre scala minore armonica discendente (con intervallo melodico di seconda eccedente) x x With you now I’ll weep, and mourn her loss for ever [V, «Saliam cantando al cielo», Apollo e Orfeo:] Saliam cantando al cielo anabasi (la salita) molto fiorita («cantando») x [Orpheus:] Zum Licht! | Zum Leben wieder | führ’ ich dich, | Eurydike, | singend aus der Nacht, | o folge mir! [Eurydike:] Zum Licht! | Zum Leben wieder | führst du mich aus der Nacht! | Zum Licht, | zum Leben wieder | führst du mich in den Tag! We rise rejoicing to Heaven above. 119 [II, «Tu de’ morta», Orfeo:] n’andrò sicuro ai più profondi abissi […] meco trarrotti a riveder le stelle Tabella IV.3 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 120 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 121 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata punto 1 della Ridler). La tabella IV.3 mette a confronto le traduzioni francese, tedesca e inglese dei più evidenti tra questi passaggi. L’analisi del terzo caso, l’ultima strofa del Prologo, rivela lo stile della traduzione di d’Indy: sostanzialmente letterale, senza velleità poetiche (ad esempio non è quasi mai in rima), modifica largamente la ritmica per adattarla alle parole francesi, e in questo particolare caso sembra voler farcele stare con la forza (murmurer viene accentato mùrmurer), contrariamente al proposito enunciato nella prefazione della «concordance aussi exacte que possible entre l’accent littéraire et l’accent musical». E se la sostituzione di «non si mova augellin» con «que nul sanglot ne réponde» tutto sommato non sconvolge il senso di silenzio che la musica, con le sue pause, vuole ricalcare, quella nota tenuta su sanglot distrugge inesorabilmente il madrigalismo (esempio musicale 1). Interessante è pure il caso della seconda strofa del Prologo: è la presentazione della Musica e del suo potere di «far tranquillo ogni turbato core» e all’opposto «infiammar le più gelate menti» «or di nobil ira, et or d’amore». «Le più gelate menti» è reso con uno scontro tra il si naturale del canto e il do# al basso, ma d’Indy ‘corregge’ – sull’esempio di EITNER 1881 – quello che considerava un errore con un re# al basso, in modo da formare una dominante secondaria (si re# fa# la – mi sol# si re – la do mi); inoltre traduce «le più gelate menti» con «les esprits plus calmes» (esempio musicale 2: si noti come in compenso aggiunge nella parte del cembalo una sottolineatura di «enflammer»). Nell’Orpheus di Orff gli esempi appena trattati non hanno luogo in quanto il Prologo è sostituito dalla narrazione del mito di Orfeo in una versione medievale (di Notker), col fine di dar l’idea «eines zeitlos legendären Spiels».80 In compenso non è presente in d’Indy, che sopprime l’intero primo atto, il caso successivo, tratto da «Rosa del ciel» (esempio musicale 3). La traduzione di Dorothee Günther per Carl Orff è tutt’altro che letterale, e nel caso specifico il verbo chiave del madrigalismo, «sospirare», è sostituito da «sehnen» [desiderare]: la frase significa «beato il tempo in cui ti ho desiderato finché l’intero mio desiderio ti ha riempito», che musicata con le note intermittenti del sospiro assume una sfumatura decisamente sensuale. Né meno sensuale è la prosecuzione dell’aria: l’apollineo «felicissimo il punto che la candida mano | pegno di pura fede a me porgesti» diventa «beata, beatissima quell’ora in cui il mio intero essere fluì in te, 80 [Di uno spettacolo leggendario e senza tempo], ORFF 1975, p. 22. 122 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Euridice!» [«Selig, überselig jene Stunde, | mein ganzes Wesen strömte ein in dich. | Eurydike!].81 In generale il libretto della Günther ha una forte vena simbolista, con un continuo richiamo alla dialettica luce/ombra, giorno/notte; le ‘pastorellerie’ sono evitate, dilaga una forte carica sensuale resa ad esempio con la frequente apostrofe di Orfeo «Eurydike!»: il cantore pronuncia continuamente il nome della sposa, gode nel sentirlo risuonare – un topos questo teso a vivificare la carnalità della persona amata, che si concretizza (proprio lei con quel nome), si fa vera, se non altro nella materia sonora che esce dalla bocca di chi ne ha pronunciato il nome e ha così l’impressione di averla accanto.82 Così «Tu se’ morta» inizia con «Eurydike…» (non ricorda l’apostrofe che apre le strofe di «Che farò senza Euridice?» dell’Orfeo ed Euridice di Gluck?) e «Qual onor di te fia degno», che Orfeo dedica alla sua cetra/lira, si trasforma in un omaggio all’amata: Eurydike, meine Liebe blüht empor in meinem Liedern, grüßt in jauchzendem Entzücken, Eurydike… deines Daseins Wiederkehr! Euridice, il mio amore cresce come un fiore nel mio canto, saluta con incanto esultante, Euridice… il tuo ritorno in vita! Eurydike, meine Sensucht, folgte immer deiner Spur, bis sie endlich ist gewonnen, und dem dunklen Reich entriß! Euridice, il mio desiderio che ha sempre seguito le tue tracce, finalmente ti ha trovata e ti ha strappata dal regno delle ombre! Eurydike, meine Schmerzen sind verloren in der Freude, Alles Leid, das ich trug, war ja nur ein Weg, Eurydike, hin zu dir! Euridice, i miei tormenti si cancellano con la gioia, ogni dolore che ho sopportato è stato solo un mezzo, Euridice, per arrivare qui da te! 81 Per dare un’idea dell’intensità e delle connotazioni mistiche dell’aggettivo, si noti che Selig è usato nella traduzione tedesca della Bibbia nelle cosiddette ‘beatitudini’ del discorso della montagna (Lc 6, 17 sgg.; corrisponde quindi all’italiano ‘beato’, ben più forte del «felice» striggiano). 82 Cfr. il riuso straniato-straniante, fondato sull’esasperazione, di questo topos nel Novecento; penso ad esempio all’incipit di Lolita (1955) di Vladimir Nabokov, in cui lo scrivente sembra proprio gustare il nome della ninfetta (che è la prima parola del romanzo: «Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta. She was Lo, plain Lo in the morning, standing four feet ten in one sock. She was Lola in slacks. She was Dolly at school. She was Dolores on the dottet line. But in my arms she was always Lolita»); o a quella scena memorabile di Baisers volés [Baci rubati] (1968) di François Truffaut, in cui il protagonista ripete vertiginosamente per svariati minuti davanti allo specchio il proprio nome e quello delle due donne che ama. 123 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata (Si noti che il madrigalismo «su danzeranno co’ giri or tardi or presti» scompare – le fioriture cadono su «gewonnen» e addirittura su «dunklen», l’opposto della leggiadria originale –, mentre viene mantenuto sia da d’Indy sia dalla Ridler.) Una rapida ricognizione del libretto rivela che in Striggio83 il nome «Euridice» viene pronunciato 9 volte (di cui 2 da Orfeo, mai come apostrofe), «Eurydike» in Orff 26 (di cui 23 da Orfeo, 20 come apostrofe); l’opera si conclude con queste parole (nella terza colonna il testo corrispondente alla musica, ma non alla posizione nell’opera, nell’originale): Ach, Eurydike, Geliebte, Quell aller Wonnen, du aller Sehnsucht Qual… Ah, Euridice, amore mio, fonte di ogni diletto, tu supplizio della nostalgia… Born aller Tränen, du meiner Liebe Traum, du meines Herzens ganze Seligkeit. Eurydike hab’ich verloren, ewig verloren Euridyke! Sorgente di ogni lagrima, tu sogno del mio amore, tu gioia piena del mio cuore. Ti ho persa, Euridice, ti ho persa per sempre, Euridice! Dove ten vai, mia vita? ecco i’ [ti seguo. Ma chi me ‘l niega, ohimè: [sogno o vaneggio? Qual poter da questi orrori, da questi amati orrori mal mio grado mi tragge, e mi [conduce a l’odiosa luce? Tornando all’indagine sulla resa dei madrigalismi, ci imbattiamo in due esempi successivi che presentano il già citato tema dell’alternanza luce/ombra, giorno/notte: i cori del primo atto «Vieni Imeneo» e «Lasciate i monti» abbandonano la vena arcadica per enfatizzare l’elemento simbolico presente in nuce in Striggio: Preist diesen Tag der Freunde! Preist diesen Tag der Wonne! Preist diesen Tag des Lichtes, der aus dem nächt’gen Dunkel sieghaft sich hebt! Seht, wie der weite Himmel in lichten Golde freudeleuhtend erglüht! Seht, wie die weite Erde zu neuem Leben leibeglühend erwacht! Festeggiate questo giorno di gioia, questo giorno di godimento, questo giorno di luce che dall’oscuro notturno si alza vittorioso! Guardate come l’ampio cielo risplende nella luce dorata della gioia! Guardate come la grande Terra si risveglia in una nuova vita amorosa! Vieni Imeneo, deh vieni, e la tua face ardente sia quasi un sol nascente ch’apporti a questi amanti i dì [sereni. E lunge omai disgombre de gli affanni e del duol gli [orrori e l’ombre. Flieht uns der nächtigen Wolken Dunkel, grüßt uns der Sonne froher Schein. Flieht uns del quälenden Sehnsucht [Kummer, Fugga da noi la nube scura della notte, ci saluti lo splendore del sole nascente. Fugga da noi il tormentoso affanno del desiderio, Lasciate i monti, lasciate i fonti, ninfe vezzose e liete, e in questi prati 83 Nella versione del libretto presente in partitura, in parte tagliata e con alcuni versi mutati rispetto al libretto originario. 124 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata grüßt uns der Liebe süße Macht! Und grüßt uns Sonne, und grüßt uns Liebe, sind Tag und Leben erwacht! ci saluti il dolce potere dell’amore! E ci saluti il sole, ci saluti l’amore, si sono risvegliati il giorno e la vita! a i balli usati leggiadro il piè rendete. Qui miri il sole vostre carole più vaghe assai di quelle ond’a la luna, a l’aria bruna, danzano in ciel le stelle. E così il successivo «Ecco Orfeo» rinuncia al riferimento al protagonista e alla pittura sonora dei suoi affetti a favore della riproposta del tema giorno/notte (v. tabella IV.3). Il racconto della morte di Euridice da parte della Messaggera, poi, diverge completamente dall’originale: niente storia del serpente (cui si accenna solo come «dunkler Bote» [oscuro ambasciatore]), niente Euridice che spira tra gli sguardi impotenti delle ninfe invocando il nome dell’amato, ma solo un tragico moraleggiare pessimista sull’accaduto ancora infarcito di simbologia luce/ombra e in cui si avanza la tematica da tragedia greca dello phthonos theôn, l’invidia degli dei: Mißgünstig ist das Schicksal, und neidvoll trifft es den, der in des Glückes Sonne sich sorglos allzu sicher wähnt! Jäh ziehn an seinem Himmel düstere Wolken auf und alles Licht versinkt in Nacht. In Klagen wandeln sich die frohen Sänge, die Trauer schüttet alles Lachen zu und Tränen rinnen, wo nur Freude war. Der Tod entriß dir ewig Eurydike, sein dunkler Bote führte sie hinab, und willig mußte sie im folgen in jenes ferne Land, das ohne Wiederkehr. Kein Schmerzensschrei, kein Klageruf aus dieser Lichtwelt wird sie mehr erreichen, del Land der Schatten nahm sie auf und das Vergessen. Klage und Schmerzen, Jammer, Glück und Gram kennt nur das Leben! Avverso è il tuo destino e invidioso va verso chi si illude tranquillo e sicuro e senza pensieri nel sole felice! All’improvviso nubi opprimenti portano via dal suo cielo tutta la luce e lo affondano nella notte. Le canzoni gioiose si mutano in lamenti, la tristezza zittisce tutto il riso e le lacrime corrono dove prima c’era la gioia. La morte ti ha strappato per sempre Euridice, il suo oscuro ambasciatore l’ha portata via e lei ha dovuto seguirlo in quella terra lontana senza ritorno. Nessun grido di dolore, nessun richiamo da questo mondo della luce potrà più raggiungerla, il mondo delle ombre e l’oblio l’hanno rapita, dimenticala. Solo la vita conosce lamenti e dolori, lacrime e felicità e pena! Nonostante ciò si può dire che il madrigalismo sia conservato sia in d’Indy (l’acuto ‘a spillo’ su «le punse il piè» slitta su «sa dent», che comunque è un oggetto appuntito; il 125 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata resto è letterale), sia nella Ridler («upreared» è mimato con l’innalzamento della voce; il resto, anche qui, è letterale) sia in Orff (l’acuto intorno alla parola «Licht» e la discesa ‘scolorente’ sulle parole «i canti gioiosi si mutano in lamenti»; v. esempio musicale 4). Si può considerare mantenuto anche il madrigalismo successivo, la contrapposizione tra la discesa agli inferi e il ritorno alla luce, e parzialmente quello che fa contrastare «che tosto fugge», «a gran salita» e «il precipizio»: in d’Indy c’è ancora il ricalco letterale («l’illusion fuit», près du sommet» e «le précipice»), nella Ridler manca solo per il primo termine, in Orff manca per il primo termine, i valori lunghi della «gran salita» sono intrepretati come serenità («Wie warst du glücklich») e il loro figuralismo ascendente si oppone a quello discendente del «precipizio» che diviene «nun ging dein Glück zur Nacht». Da ultimo, il duetto Apollo–Orfeo è trasformato dalla Günther in un duetto Orfeo–Euridice ma la sostanza del salire cantando non muta. IV.2.4. Modifiche alla struttura generale Considerando le traduzioni ci si è imbattuti in parti assenti nell’una o nell’altra opera. È ora di analizzare in dettaglio le modifiche apportate dai vari revisori alla struttura generale dell’OM. La tabella IV.4 mette a confronto le edizioni che hanno operato tagli, ag- giunte, sostituzioni ai numeri dell’opera: EITNER 1881, D’INDY 1905, OREFICE 1909, BENVENUTI 1934, RESPIGHI 1935, ORFF 1940, MALIPIERO 1949, BUCCHI 1968.84 Non ho dedicato una colonna a MADERNA 1967 in quanto i suoi interventi sulla struttura sono velocemente elencabili: nell’atto I fa precedere «Ecco Orfeo» da una ripresa della Toccata; all’inizio dell’atto III fa sentire da subito la Sinfonia D, dopo la Sinfonia C, e ne riprende la seconda parte prima di «O tu ch’innanzi morte a queste rive»; nell’atto IV la Sinfonia E si sente già prima di «Signor quell’infelice» ma non prima di «È la virtute un raggio»; nell’atto V il compositore scrive che «all’apparizione di Apollo può essere eseguita, ancora una volta, la Toccata» (si noti la vicinanza di questo effetto con la regia di Ponnelle secondo cui il principe Gonzaga che entra sulla Toccata si rivela poi essere Apollo, v. supra, III.1.3). 84 Naturalmente si tenga sempre sotto mano la tabella IV.2 che permette un’analisi incrociata: su questa è possibile ad esempio vedere quale revisione ha operato tagli di parti di numeri per poi indagare sulla tabella IV.4 quali siano questi tagli. Nella tabella IV.4 il fondino grigio corrisponde a un taglio, la cella vuota alla non modifica. 126 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Ad un primo livello di analisi, che può fermarsi al frontespizio o all’indice delle partiture, si constata che non tutte le revisioni dell’OM sono in un prologo e cinque atti, il che insospettisce: vi è una semplice ripartizione del materiale (ad esempio la fusione dei primi due atti ‘pastorali’ o di quelli ‘infernali’) senza che vengano operati tagli, oppure la fusione deriva dal taglio di alcune parti e dal conseguente abbreviarsi di ogni atto, oppure alcuni atti sono stati soppressi in toto? Quest’ultimo caso è il meno frequente e si incontra solo in D’INDY 1905 (atto I e V, «inutiles au drame»), OREFICE 1909 (atto V) e ORFF 1940 (il Prologo, sostituito da quello recitato, e in un certo senso anche l’atto V, di cui conserva solo alcuni numeri ma li anticipa tutti inserendoli qua e là nell’opera). Frequente è invece il taglio di interi numeri o di parti di numeri. I più colpiti sono i cori e le sezioni strofiche: tagli a strofe del Prologo (non sempre le stesse) si trovano in D’INDY 1905, OREFICE 1909, RESPIGHI 1935, MALIPIERO 1949 e BUCCHI 1968 e simile sorte tocca a «Possente spirto» (ridotto ad una strofa sia in D’INDY 1905 sia in OREFICE 1909,85 privato di una da RESPIGHI 1935); il coro finale dell’atto I è assente in OREFICE 1909, e quasi del tutto in ORFF 1940 e MALIPIERO 1949; molto tagliate sono anche le canzonette pastorali dell’atto II (OREFICE 1909, ORFF 1940, MALIPIERO 1949), compresa «Vi ricorda o boschi ombrosi» (D’INDY 1905, OREFICE 1909, RESPIGHI 1935, ORFF 1949, MALIPIERO 1949); la scena della Messaggera è spesso snellita in modo da divenire solo un dialogo con Orfeo, senza gli interventi dei pastori (OREFICE 1909, ORFF 1940 – che taglia anche la frase del pastore precedente all’arrivo della Messaggera, «Mira, deh mira, Orfeo», e la trasforma in un assolo di flauto [v. esempio musicale 5] –, MALIPIERO 1949, BUCCHI 1968); ai pastori si negano, del tutto o in parte, anche le lamentationes seguenti (in questo si aggiungono D’INDY 1905 e RESPIGHI 1935); poco successo hanno anche la scena Orfeo–Speranza (assente del tutto fino a BENVENUTI 1934) e Proserpina– Plutone (OREFICE 1909 ne vantava la prima esecuzione, ma è comunque tagliata; total85 L’unica strofa lasciata da OREFICE 1909 è «Orfeo son io», di cui però, su cattivo esempio di EITNER 1881, stravolge il senso con un amletico punto interrogativo: «Orfeo son io?»; per intensificare il senso di dubbio, invece di proporre la frase una sola volta con lunghi melismi la fa ripetere incalzantemente, stravolgendo la natura virtuosistica del pezzo e rendendolo praticamente sillabico. Nella tabella IV.4 si possono incontrare anche altri casi di mislettura del libretto: in EITNER 1881 e D’INDY 1905 invece di scendere dal suo «Permesso amato» starebbe recandosi dal suo «promesso amato» (MALIPIERO 1949 poi scrive «permesso» con la minuscola, senza senso); delle difficoltà di lettura scatenate da «Mira ch’a sé n’alletta» si è già detto supra, IV.1 (nota 4). 127 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Tabella IV.4: incipitario comparato (Prologo e atto I)1 EITNER 1881 Toccata (3 volte) LA MUSICA Ritornello A Dal mio Permesso amato a voi ne vegno Ouverture [Toccata – Rirornello A – Toccata] Aujourd’hui c’est d’Orphée … Ritornello A’ Or mentre i canti alterno or lieti or mesti Ritornello A A mes chants alternés joyeux ou tristes In questo lieto e fortunato giorno [su frammenti della Toccata] Oggi fatt’è pietosa Dunque in sì lieto e fortunato giorno Vieni, Imeneo, deh vieni Muse, onor di Parnaso, amor del cielo CORO Lasciate i monti Qui miri il sole Ritornello B Lasciate i monti PASTORE ORFEO EURIDICE Poi di bei fiori Ritornello B Ma tu, gentil cantor, s’a’ tuoi lamenti Rosa del ciel, vita del mondo, e degna Io non dirò qual sia CORO Lasciate i monti Qui miri il sole CORO PASTORE CORO 1 BENVENUTI ’34 Moi, je suis la Musique dont les accents … Ritornello A’ Io su cetera d’or cantando soglio Ritornello A’ Quinci a dirvi d’Orfeo desio mi sprona CORO NINFA OREFICE 1909 [Toccata – Rir. A – Toccata] (Dal mio promesso amato …) De l’haut de l’Empirée je viens … Dal mio promesso amato … Ritornello A’ Io la Musica son ch’a i dolci accenti PASTORE D’INDY 1905 Ritornello B Vieni, Imeneo, deh vieni Ma s’il nostro gioir dal ciel deriva Ritornello C Alcun non sia che disperato in preda Ritornello C Che, poi che nembo rio gravido il seno Ritornello C E dopo l’aspro gel del verno ignudo Ecco Orfeo, cui pur dianzi Il fondino grigio corrisponde a un taglio. La cella vuota alla non modifica. 128 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Tabella IV.4: incipitario comparato (Prologo e atto I) RESPIGHI 1935 [Toccata – Ritornello A – Toccata] ORFF 1940 (N. 1: Toccata) 2 volte (N. 2) [Prologo recitato] Als einst Orpheus MALIPIERO 1949 BUCCHI ’68 Dal mio permesso amato … [CORO A BOCCA CHIUSA] (ritornello derivato da «E dopo l’aspro gel») In questo lieto e fortunato giorno [su farmmenti del rit. precedente] [accompagnamento come prima] [accompagnamento come prima, prosegue dopo la fine del canto] (N. 3) Preist diesen Tag der Freude! (frammento musicale forse derivato dal Rit. M) Muse, onor di Parnaso (raccordo con lo stesso materiale che precedeva «Muse, onor di Parnaso») [PASTORE:] Mentre oggi proprio al nostro Orfeo [fine del numero, cambia parole] (N. 4: Tanzchor) Flieht uns der nächtigen Wolken Dunkel Und grüßt uns Sonne [non indica rit. ma scrive le 2 strofe una sotto l’altra come Monteverdi] (segue coda con frammenti di «Rosa del ciel») (N. 5) Strahlendes Licht (N. 6) All’ mein’ Sehnen, Orpheus (N. 7 = Ritornello C) (N. 8) Flieht uns der nächtigen Wolken Dunkel Und grüßt uns Sonne (N. 9) Preist diesen Tag der Freude! [accompagnato con frammenti di «E dopo l’aspro gel»] [N. 7: anticipato] (elemento di raccordo ) [segue:] Chiome d’oro [VII libro dei Madrigali] (N. 10) Froher Tag, lichter Tag (N. 11: Moresca = Moresca) 129 Poi di bei fiori F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata prosegue Tabella IV.4: incipitario comparato (Atto II) EITNER 1881 D’INDY 1905 Sinfonia A ORFEO PASTORE DUE PASTORI [ALTRI] DUE PASTORI Ecco pur ch’a voi ritorno Ritornello D Mira ch’a sé n’alletta (Scena 1) Vous voilà, je vous revois Mira ch’a sen’alletta… Ritornello D’ Su quell’erbosa sponda Ritornello E In questo prato adorno Ritornello E Qui Pan dio de’ pastori Ritornello D variato Qui le Napee vezzose (Mira ch’al sen’alletta…) Regarde, Orphée … Prenons pour lit cette herbe Dans ce séjour aimable Ici le dieu des bergers Les fleurs s’épanouissent Ritornello D variato CORO ORFEO PASTORE MESSAGGIERA PASTORE MESS. PASTORE MESS. ORFEO MESS. ORFEO MESS. ORFEO MESS. PASTORE [ALTRO] PASTORE PASTORE ORFEO CORO MESS. DUE PAST. CORO [DUE PAST.] CORO Dunque fa’ degno [degni], Orfeo Ritornello F Vi ricorda, o boschi ombrosi Ritornello F Dite: allor non vi sembrai Ritornello F Vissi già mesto e dolente Ritornello F Sol per te, bella Euridice Mira, deh mira, Orfeo, che d’ogni intorno Ahi caso acerbo, ahi fato empio e crudele Qual suon dolente il lieto dì perturba? Lassa, dunque debb’io Questa è Silvia gentile Pastor, lasciate il canto Donde vieni? ove vai? Ninfa, che porti? A te ne vengo, Orfeo Ohimé, che odo? La tua diletta sposa è morta Ohimé! In un fiorito prato Ahi caso acerbo … Ce bois est digne, Orphée Souviens-toi forêt ombreuse Aujourd’hui belle Eurydice Vois, regarde Orphée (Scena 2) Ah, sort funeste! Ah, fortune cruelle! Quel triste appel vient troubler notre joie Hélas! tandis qu’Orphée C’est la gente Sylvie Bergers, cessez vos chants D’ou viens-tu? Ou vas-tu Nymphe, que veux-tu? Orphée, je viens à toi Hélas! Qu’entends-je? Ton épouse chérie … Ah! Dieux! Dans un riant bosquet Ah, sort funeste! … A l’amara novella Ahi ben avrebbe un cor di tigre o d’orsa Tu se’ morta, mia vita, ed io respiro? Ahi caso acerbo … Non si fidi uom mortale Ma io ch’in questa lingua (Scena 3) Elle est morte! Ah, sort funeste! … O mortel, sache que le bonheur Mais moi, dont la parole Sinfonia B Chi ne consola, ahi lassi? Ahi caso acerbo … Ma dove, ah dove or sono Ahi caso acerbo … Ritornello A 130 OREFICE 1909 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata prosegue Tabella IV.4: incipitario comparato (Atto II) BENVENUTI 1934 RESPIGHI ‘35 [segue:] Rit. D variato ORFF 1940 (N. 12) MALIPIERO 1949 (N. 13) Nehmt mich auf, ihr stillen Wälder Su quest’erbosa … (N. 14) Die Welt versinkt in deinem Sang (N. 15 = 13) Nehmt mich auf … (N. 16 = 14: Rit. +) Die Welt versinkt in deinem Sang (N. 17) Gebt mir Antwort, weite Wälder Gebt mir Antwort … [II strofa] Gebt mir Antwort … [III strofa] [segue: Rit. F] (N. 18) [strumentale] (N. 19) Weh, dunlkles Schicksal! Schweigt, ihr Frohen, hört mich an! Botin des Unheils [segue:] Amor, dov’è la fe’ [Lamento della ninfa, VIII libro madr.] Weh dir, unsel’ger Orpheus Weh mir Unsel’gem! Die Seele deiner Liebe Weh mir! (N. 20) Mißgünstig ist das Schiksal (N. 21) Weh, dunlkles Schicksal! | Wie das Dunkel des Abends [CORO] (N. 22: Lamento) Eurydike [N. 21: anticipato] Weh, dunlkles Schicksal! Wie das Dunkel des Abends [segue rip. abbrev. di:] Amor … [inframm. da Sinf. A] (N. 23) 131 BUCCHI ‘68 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata prosegue Tabella IV.4: incipitario comparato (Atto III) EITNER 1881 D’INDY 1905 OREFICE 1909 Sinfonia C ORFEO SPERANZA ORFEO CARONTE Scorto da te, mio nume Ecco l’atra palude, ecco il nocchiero Dove, ah dove t’en vai O tu ch’innanzi morte a queste rive Sinfonia D ORFEO Possente spirto e formidabil nume Ritornello G Non viv’io, no, poi che di vita è priva Ritornello H A lei volt’ho ‘l camin per l’aer cieco Ritornello I CARONTE ORFEO ORFEO Orfeo son io, che d’Euridice i passi Sol tu, nobile dio, puoi darmi aita Ben mi lusinga alquanto Ahi sventurato amante Sinfonia D Ei dorme, e la mia cetra Sinfonia C’ (Scena 1) Orfeo son io? Orphée je suis et j’ai suivi les pas (Scena 2) Caron, o noble dieu, sol tu peux m’aider O beau poête O malhereux poête (Scena 3) Il dort… ma triste lyre 132 Orfeo son io? BENVENUTI ’34 Sinfonia D Sinfonia C Sinfonia D F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata prosegue Tabella IV.4: incipitario comparato (Atto III) RESPIGHI 1935 ORFF 1940 (N. 24) (N. 25 = Sinfonia D) (Sinfonia D) Scorto da te, mio nume (N. 26) Bin ich hinabgetaucht (Sinfonia D) O tu ch’innanzi morte a queste rive (N. 27 = N. 25) (N. 28) Halt du [accompagnato da coro interno a bocca chiusa] MALIPIERO 1949 [N. 25 e N. 27: anticipata; qui si ripete] (N. 27) (N. 29) Du dunkler Warner Ritornello I Possente spirto [versione semplice e senza interventi strumentali] Dem wehre nicht A mia sposa me’n vo per l’aer cieco Des Lebens Stern [anticipato prima di Possente spirto] Orpheus bin ich Erhör, mächtiger Schatten [solo primo verso] (N. 30) Allbezwingend trägt dein Sang (N. 31) Weh mir, unselig Seligem (N. 32) [Caronte:] Hat ganz des leides Kraft [su musica del N. 30] (N. 33) [Orfeo:] O gib sie mir zurück [= Rendetemi il mio ben, fine del N. 31] (N. 34) (N. 35) Zum licht! [= Saliam (Orefo, Apollo) ma Orfeo, Euridice] 133 BUCCHI 1968 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata prosegue Tabella IV.4: incipitario comparato (Atto IV) EITNER PROSERPINA PLUTONE UN SPIRITO DEL CORO UN ALTRO SPIRITO PROSERPINA PLUTONE CORO DI SPIRITI Signor quell’infelice Deh, se da queste luci Benché severo ed immutabil fato O degli abitator de l’onde [ombre] eterne Trarrà da queste orribili caverne Quali grazie ti rendo Tue soavi parole Pietade oggi ed amore Ecco il gentil cantore ORFEO Ritornello L Qual onor di te fia degno Ritornello L’ Luogo avrai fra le più belle Ritornello L Io per te felice a pieno Ma mentre io canto, chi m’assicura Ma che odo, ohimé lasso? UNO SPIRITO EURIDICE UNO SPIRITO ORFEO CORO DI SPIRITI O dolcissimi lumi, io pur vi veggio Rott’hai la legge, e sei di grazia indegno Ahi, vista troppo dolce e troppo amara Torna a l’ombre di morte Dove ten vai, mia vita? ecco i’ ti seguo Sinfonia E È la virtute un raggio Orfeo vinse l’inferno e vinto poi Sinfonia E Ritornello A D’INDY 1905 OREFICE 1909 (Scena 1) O merveille! La pitié et l’amour Voici le doux poète [UNA NINFA] O ma lyre, quel honneur O ma lyre, ta place O ma lyre, c’est a toi (Scena 2) Mais, tandis que … Mais qu’entendsje? … O regards enchanteurs … Pur le parjure, il n’est plus … Ah! vision trop chére … Vas dans l’ombre … Où vas tu, ma vie ? … (Scena 3) Oui, la vertu … Orphée vainquit … 134 [postic. al Rit. A] BENVENUTI 1934 Pietade oggi ed amor [solo incipit] Canzon quarti toni a 15 di G. Gabrieli Pietade oggi ed amore [solo incipit] Moresca – Rit. B – Lasciate i monti | Qui miri il sole – Rit. B [PASTORELLA E PASTORE:] Bel pastor dal cui bel guardo [IX libro madrigali] [2 PASTORELLE:] Chioma d’oro [VII libro madrigali] [CORO DI NINFE E PASTORI:] Zefiro torna [VI libro madrigali] [ORFEO:] Ecco pur ch’a voi ritorno [CORO:] Ecco Orfeo cui pur dianzi Canzon quarti toni di G. Gabrieli [CORO:] Ecco Orfeo [solo incipit, segue frammento del rit. introduttivo di Chioma d’oro] [UNA VOCE] F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata prosegue Tabella IV.4: incipitario comparato (Atto IV) RESPIGHI ’35 ORFF 1940 MALIPIERO 1949 [un tono sopra] [modula alla tonalità originale] [un tono sopra] [tonalità originale] (N. 36) Besiegt hat Orpheus die Nacht (N. 37 = Ritornello M) Eurydike, meine Liebe Eurydike, meine Sehnsucht Eurydike, meine Schmerzen [coro:] Wie das Licht der hellen Sonne [= Vanne Orfeo, felice a pieno] (N. 38) Eurydike Komm, Geliebte [postposto nel N. 39] (N. 39) Weh, daß del Lebens Sehnsucht [ORFEO:] O laß mich untergehen [= O dolcissimi lumi] Ach, Eurydike (N. 40) [modulante al n. successivo] 135 BUCCHI 1968 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata prosegue Tabella IV.4: incipitario comparato (Atto V) EITNER 1881 ORFEO ECO ORFEO ECO ORFEO ECO ORFEO APOLLO ORFEO APOLLO ORFEO APOLLO ORFEO APOLLO – ORFEO Questi i campi di Tracia e questo è il loco Ahi pianto Cortese Eco amorosa Basti Se gli occhi d’Argo avessi Ahi S’hai del mio mal pietade, io ti ringrazio Ma tu, anima mia, se mai ritorna Tu bella fusti e saggia, e in te ripose Or l’altre donne son superbe e perfide Sinfonia D Perch’a lo sdegno et al dolor in preda Padre cortese, al maggior uopo arrivi Troppo, troppo gioisti Sì non vedrò più mai Nel sole e nelle stelle Ben di cotanto padre Saliam cantando al cielo 1905 OREFICE 1909 BENVENUTI 1934 [CORO CELESTE:] Vieni cantando al cielo Ritornello M CORO D’INDY Vanne Orfeo, felice a pieno Così va chi non s’arretra Moresca 136 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata prosegue Tabella IV.4: incipitario comparato (Atto V) RESPIGHI 1935 Ritornello M [allungato] [CORO:] A noi Bassaridi vindici, Orfeo! [sulla Moresca] ORFF 1940 MALIPIERO 1949 [N. 35 anticipato e adattato per Orfeo e Euridice] [inizio del N. 37: anticipato] [fine del N. 37] [CORO DI BACCANTI:] Evohè, padre Lieo [BACCANTE:] Fuggito è pur da questa destra ultrice [ALTRA BACCANTE:] Non fuggirà che grave [2 BACCANTI:] Cantiam di Bacco intanto, e in vari modi [2 CORI DI BACCANTI:] Evohè, padre Lieo [N. 11: anticipata] [Moresca:] Danza delle baccanti [coro di baccanti:] Evohè, padre Lieo Moresca 137 BUCCHI 1968 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata mente assente anche in ORFF 1940, dove il verdetto di Plutone con relativa clausola è proclamato da Caronte, al n. 32); l’ultimo atto, se non si toglie del tutto, si abbrevia (RESPIGHI 1935, BUCCHI 1968) o si cambia: è la già accennata questione del finale bacchico. Il doppio finale misterioso ha stuzzicato la vis compositiva di alcuni revisori: primo fra tutti RESPIGHI 1935, seguito da MALIPIERO 1949, da Siegfried Heinrich in un’esecuzione del 1980, da Berio nel 1984, da Sergio Vartolo nella sua incisione del 1996. Non ho avuto modo di ascoltare la soluzione di Heinrich, ma pare abbia adattato il libretto dionisiaco a materiale musicale tratto dal balletto Tirsi e Clori (1616) di Monteverdi. Lo happening di Berio terminava fragorosamente con l’arrivo delle Baccanti in motocicletta accompagnate da musica elettronica.86 Quanto a Sergio Vartolo, come – forse non sapendo a quale versione di «Possente spirto» rinunciare – optò per eseguirle entrambe in successione (v. supra, III.2.3), così fece anche per il doppio finale: a «Questi i campi di Tracia» segue la Moresca che introduce un’improvvisazione collettiva (di dubbia efficacia) in cui il testo del libretto bacchico viene recitato-gridato ritmicamente da gruppi di donne mentre gli strumenti rumoreggiano su ritmi vagamente tribali e suonano stralci della Moresca; dopodichè con la Sinfonia D ci si riallaccia al finale apolli- neo. Dal solo ascolto dell’incisione non è chiaro se le Baccanti abbiano sbranato Orfeo e Apollo ne porti cristianamente l’anima in Paradiso, oppure se se ne vadano senza ucciderlo, o addirittura se l’episodio bacchico sia una sorta di incubo di Orfeo, un simbolo del suo tormento che Apollo viene a placare (non si dimentichi infatti che le prime parole del dio sono: «Perché a lo sdegno ed al dolor in preda | così ti doni, o figlio?»). Per tornare alle partiture, anche RESPIGHI 1935 aveva optato per il doppio finale, ma invertito rispetto a Vartolo: al duetto Apollo–Orfeo segue una riscrittura del Ritornello M che invece di introdurre il coro «Vanne Orfeo felice a pieno» è seguito direttamente dalla Moresca cui si adattano le parole «A noi Bassaridi vindici, Orfeo! | Sbranilo il sacro furor! | Chi l’orgie abomina del dio Leneo | scempio alle Menadi muor. | Assisti, o Dioniso, ebre Baccanti | squassano i tirsi per te! | Te, nume, invocano, Evio, Lieo, | Libero, Bacco, evoè!» (testo composto da Claudio Guastalla, l’adattatore del libretto per la realizzazione di Respighi; v. esempio musicale 6). C’è da dire che drammaturgicamente 86 Ricavo questa informazione da alcuni stralci di recensioni su http://perso.orange.fr/jeanclaude.brenac/MONTEVERDI_ORFEO.htm (consultato nel marzo 2007). 138 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 139 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 6: attacco del finale dionisiaco di RESPIGHI 1935. 140 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata resta ancora più coerente l’ordine dei finali di Vartolo: se Apollo ha portato con sé Orfeo in apoteosi, come fanno le Baccanti a sbranarlo? Forse ne ha elevato solo lo spirito e il corpo rimane allo scempio orgiastico? Le didascalie ci spiegano che in realtà Orfeo è ancora lì e Apollo lo porta via dopo che le Baccanti hanno iniziato la loro orgia. Ma allora cos’hanno fatto durante il duetto «Saliam cantando al cielo» che precisamente mima l’apoteosi? Irrompono dai due lati del proscenio le Baccanti furiose, brandendo i tirsi, scuotendo le selvaggie chiome; e s’avventano per inseguire Orfeo e ghermirlo e farne strazio. Ma come se tutta la natura insorgesse a difesa del suo cantore, i tronchi, le radici, i cespugli si personificano e fanno siepe vivente. Gruppi di orgiasti si mescolano alle Baccanti. Gettati i tirsi, le Menadi si lacerano le vesti nel furor dionisiaco, e mentre la danza si sfrena per tutta la valle, Apollo conduce Orfeo verso le dimore immortali, sull’Olimpo coronato di nubi.87 Drammaturgicamente è pertanto preferibile la soluzione di MALIPIERO 1949: niente finale apollineo, solo dionisiaco. Malipiero, dopo vent’anni di prediche sulla sacralità del testo monteverdiano, nel 1943 cede alla sua natura di compositore e predispone una versione scenica dell’OM (pubblicata nel 1949) con tagli e orchestrazione come quelle che tanto aveva denigrato: si può dire che il dionisiaco lo ha invaso dopo troppo apollineo. Nel suo catalogo delle opere scrive: Fedele riproduzione dell’originale, con parecchi tagli e col quinto atto rifatto sul libretto che servì a Mantova per la prima rappresentazione e che è cambiato in peggio (con la ridicola scena di Apollo che viene a prendersi Orfeo e insieme salgono al cielo) […]. Ho potuto rifarlo servendomi della musica che appunto si trova nel quinto atto della seconda versione.88 Dopo «Questi i campi di Tracia» una didascalia annuncia che «appaiono le Baccanti» e inizia la musica di «Vanne Orfeo felice a pieno» con le parole «Evohè, padre Lieo» (v. esempio musicale 7); segue il dialogo tra due Baccanti «Fuggito è pur da questa destra ultrice» e «Non fuggirà che grave» che poi duettano in «Cantiam di Bacco in tanto» (su 87 RESPIGHI 1935 (spartito), pp. 150 e 156. C’è da precisare che nella partitura la pagina con il duetto «Saliam cantando al cielo» è un foglio aggiunto, quasi una brutta copia, non orchestrata: forse Respighi aveva deciso di tagliare l’apoteosi (in questo modo sarebbe più coerente), che aggiunse successivamente. 88 MALIPIERO 1952, p. 273. 141 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 7: una pagina del finale dionisiaco di MALIPIERO 1949. 142 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata musica nuova)89 e riprende il coro inframmezzato dalla Moresca «Danza delle Baccanti» (utilizza quindi solo una parte del libretto di Striggio: è il finale alternativo ma tagliato). Orff si inventa una terza opzione. La sua opera termina con la seconda morte di Euridice, senza né Apollo né Baccanti ma solo con la disperazione di Orfeo (si tenga presente quanto è stato evidenziato a proposito dell’umanità dell’Orpheus). Orfeo finisce di implorare Caronte («O gib sie mie zurück, mächtiger Schatten» corrisponde a «Rendetemi il mio ben, tartarei numi»), il nocchiero scompare e Orfeo si ritrova tra le ombre degli inferi; tra queste vi è Euridice che lo segue duettando («Zum Licht!»): la musica è quella dell’apoteosi Apollo–Orfeo; il coro gioisce con la traduzione di «Pietade oggi ed amore» («Besiegt hat Orpheus die Nacht») cui segue il Ritornello M, che, invece di introdurre la musica di «Vanne Orfeo felice a pieno», è seguito dal Ritornello L e dalla canzone che gli è collegata («Qual onor di te fia degno») il cui testo non è più una lode della «cetra onnipossente» ma di Euridice; ci stiamo avvicinando alla terra, compare il coro di ninfe e pastori che saluta gli amanti «Wie das Licht der hellen Sonne» (che non è nient’altro che «Vanne Orfeo felice a pieno»); sulla soglia degl’inferi Orfeo continua a rivolgersi ad Euridice («Ma mentre io canto»: «Eurydike», «Ma che odo, ohimè lasso?»: «Komm, Geliebte»), le dice che inizia a tormentarlo un dubbio e si volta: Eurydike, fühlst du den Tag, dem wir entgegenschreiten ? Weckt dich des Lichtlands Nähe neu zum Dasein? Blühst du zum Leben wieder auf, bleibst du kein Schatten, der im Tag vergeht? Euridice, senti il giorno verso cui stiamo avanzando? La vicinanza del mondo della luce ti risveglia alla vita? Torni a sbocciare, non rimani un’ombra che svanisce con la luce? Ma mentre io canto, ohimè, chi [m’assicura ch’ella mi segua? ohimè, chi mi [nasconde de l’amate pupille il dolce lume? Ach, Eurydike, wie in Traum ist alles um mich her; wie schwindet mir der sichere Weg, ein banger Zweifel keimt in meinem Herzen, und Angst, die mir das Ziel entrückt. Ah Euridice, tutto ciò che è intorno a me è come un sogno; come svanisce la via sicura, un dubbio terribile assale il mio cuore, e la paura mi allontana dalla Forse d’invidia punte le deità d’Averno, perch’io non sia qua giù felice a [pieno, mi tolgono il mirarvi, luci beate e liete, 89 Nonostante l’affermazione di Malipiero questi brani non corrispondono letteralmente a nessun passaggio preciso del V atto, ma la sonorità è decisamente in stile e alcuni momenti richiamano musica già sentita nell’opera. 143 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata meta. che sol col guardo altrui bear potete? Ach, Eurydike, werd’ich das Lichtland wieder finden? Im Leben lebend wieder sein und dich, Geliebte, wiedersehen, und sollt’ es auch mein Ende sein. Ah Euridice, riuscirò a ritrovare la luce? A tornare in vita, a rivederti, amore mio, e sarà la mia fine. Ma che temi, mio core? ciò che vieta Pluton, comanda Amore. A nume più possente, che vince uomini e dei, ben ubbidir dovrei. Komm, Geliebte, komm, folge mir! Weh mir, ich bin allein, verloren bin ich, längst von dir verlassen, ach, Eurydike! Vieni, amore mio, vieni, seguimi! Ohimè, sono solo, sono perduto, lasciato lontano da te, ah Euridice! Ma che odo, ohimè lasso? S’arman forse a’ miei danni con tal furor le Furie innamorate per rapirmi il mio bene, ed io ‘l [consento? A questo punto, invece di dire «O dolcissimi lumi, io pur vi veggo» è Euridice a prendere la parola («Ahi, vista troppo dolce e troppo amara»: «Weh, daß des Lebens Sehnsucht») e scompare; segue il pianto di Orfeo: sulla musica di «O dolcissimi lumi, io pur vi veggo» esprime il desiderio di seguire l’amata nel mondo dei morti («O laß mich untergehen»), «Dove t’en vai, mia vita?» diviene «Ach, Eurydike» e l’opera termina con la Sinfonia E (quindi con la conclusione dell’atto IV). Si è visto che estrapola alcuni brani dell’atto V e li anticipa (il duetto Apollo-Orfeo e il Ritornello M con «Vanne Orfeo felice a pieno»); la Moresca era slittata dopo «Ecco Orfeo» («Froher Tag, lichter Tag») nella posizione che in Monteverdi coincide con la fine del primo atto. Dico in Monteverdi perché l’elaborazione di Orff è divisa in tre atti (come BENVENUTI 1934 e RESPIGHI 1935); gli schemi che seguono illustrano le divisioni interne di questi lavori in relazione all’originale, su cui è necessaria una precisazione circa la fine e l’inizio esatti degli atti. È difficile dire infatti se le sinfonie/ritornelli di fine atto stiano col precedente (come sembrerebbe dalla partitura) o con il seguente (come risulta evidente dalla musica nel caso della Sinfonia A e della Sinfonia C); in questi casi ‘proclitici’ ho inserito (tra parentesi) il brano nell’atto che inizia: sembrano permetterlo proprio il ritornello iniziale – preposto alla dicitura «Prologo» ma senz’altro facentene parte – nonché le didascalie corrispondenti a questi brani, che prescrivono «qui si muta la scena». Il Ritornello A al termine dell’atto IV, se inteso come denotatore del mondo pastorale andrebbe posto all’inizio del V, se inteso come ‘passaggio di mondo’ è, possiamo dire, un entr’acte bifronte (per il simbolismo di questo ritornello v. supra, III.1.3). Si noti che anche le revisioni che non intervengono sulla struttura generale fanno ‘slittare’ sinfonie e ritornelli: WENZINGER 1955 opera, ad esempio, le mie stesse scelte, con la curio- 144 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata sità che nell’indice la Sinfonia C risulta in apertura dell’atto III, mentre nella partitura è, come in Monteverdi, alla fine del precedente, ma con la didascalia «Vorspiel zum dritten Akt». PODOLSKI 1966 sposta solo la Sinfonia A all’inizio dell’atto II. MADERNA 1967 aggiunge agli spostamenti per cui ho optato lo slittamento della Sinfonia C’ all’inizio dell’atto IV; dell’atto IV. lo stesso fa BENVENUTI 1942, che lascia però il Ritornello A alla fine La stessa decisione l’aveva presa HINDEMITH 1943 che inoltre, incompren- sibilmente, spostava il Ritornello A di fine atto II all’inizio del III. BUCCHI 1968 invece, pur intervenendo sul testo ben più pesantemente, non altera le dislocazioni monteverdiane e suggerisce due opzioni per il raggruppamento degli atti in esecuzione: Per l’esecuzione in forma concertistica propongo il seguente raggruppamento: Prima parte: I e II atto; Seconda parte: III, IV, V atto. Nell’esecuzione in forma scenica si può usare la stessa suddivisione in due parti (ed è da preferirsi) oppure quest’altra: Primo atto: I e II dell’originale; Secondo atto: III dell’originale; Terzo atto: IV e V dell’originale. E ciò per mantenere l’equilibrio necessario alla durata e allo svolgimento dell’azione. 145 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Edizione 1609 Toccata Prologo (Ritornello A) → Ritornello A Dal mio Permesso amato a voi ne vegno Atto I In questo lieto e fortunato giorno → Ecco Orfeo cui pur dianzi Atto II (Sinfonia A) → Ritornello A → Nulla impresa per uom si tenta invano Ecco pur ch’a voi ritorno Atto III (Sinfonia C) Scorto da te, mio nume Sinfonia C’ Atto IV Signor, quell’infelice → Sinfonia E Atto V (Ritornello A) → Moresca Questi i campi di Tracia e questo è il loco EITNER 1881 Toccata Prologo (Ritornello A) → Ritornello A Dal mio promesso amato a voi ne vegno Atto I In questo lieto e fortunato giorno → Ecco Orfeo cui pur dianzi Atto II (Sinfonia A) → Ritornello A → Nulla impresa per uom si tenta invano Ecco pur ch’a voi ritorno Atto III (Sinfonia C) (Sinfonia C’) Sinfonia D Possente spirto e formidabil nume Atto IV Pietade oggi ed amore → (Ritornello A) Atto V Questi i campi di Tracia e questo è il loco → Moresca 146 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata D’INDY 190590 Ouverture Prologue Acte II Scène I Ritornello A → Ritornello A Vous voilà, je vous revois (Ecco pur → Vois, regarde Orphée (Mira, deh mi- ch’a voi ritorno) Scène II Acte III ra, Orfeo) Ah, sort funeste! Ah, fortune cruelle! → Ah, sort funeste! Ah, fortune cruelle! (Ahi caso acerbo, ahi fato empio e (Ahi caso acerbo, ahi fato empio e crudele) crudele) Scène III Elle est morte! (Tu se’ morta) → Sinfonia B Scène I Sinfonia C → Orphée je suis et j’ai suivi les pas (Orfeo son io) Scène II Caron, o noble dieu (Sol tu, nobile → dio) Atto IV O malhereux poête (Ahi sventurato amante) Scène III Il dort… (Ei dorme) → Sinfonia C’ Scène I O merveille ! La pitié et l’amour → O ma lyre, c’est a toi (Io per te felice (Pietade oggi ed amore) Scène II a pieno) Mais, tandis que je chante (Ma men- → Sinfonia E tre io canto) Scène III Oui, la vertu est un rayon (È la virtute un raggio) OREFICE 1909 Toccata Prologo Io la musica son → Ritornello A Atto I Muse, onor di Parnaso → Ritornello B Atto II Sinfonia A → Ritornello A Atto III Sinfonia D → Sinfonia C’ Atto IV Signor, quell’infelice → Orfeo vinse l’inferno 90 D’Indy taglia l’atto I ma non chiama I l’atto II, cosicché la sua revisione è in tre atti chiamati II, III e IV. 147 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata BENVENUTI 1934 Toccata Ritornello A → Ritornello A Quadro I In questo lieto e fortunato giorno → Ecco Orfeo Quadro II Sinfonia A → Ritornello A Sinfonia D → Pietade oggi ed amore Quadro I Moresca → Ritornello A Quadro II Questi i campi di Tracia → Moresca Il Prologo: La Musica Atto I Atto II Atto III RESPIGHI 1935 Atto I Toccata → Chiome d’oro Atto II Sinfonia A → Sinfonia C Atto III Sinfonia D → Moresca ORFF 1940 Einleitung Toccata → [Prologo recitato] 1. Akt Preist diesen Tag der Freude (Vieni, Imeneo, deh bieni) → Moresca 2. Akt Nehmt mich auf, ihr stillen Wälder (Ecco pur ch’a voi ritorno) → Sinfonia B 3. Akt Sinfonia C → Sinfonia E MALIPIERO 1949 → Ritornello A Dal mio permesso amato → Quinci a dirvi d’Orfeo Scena I Ritornello A → Sinfonia A Scena II Sinfonia → Ritornello A [Toccata] Prologo Atto I A [ultime 4 batt. e attacca] Ecco pur ch’a voi ritorno Atto II [Scena I] Sinfonia C → Sinfonia C’ Scena II Signor, quell’infelice → Sinfonia E Scena III Ritornello A → Moresca 148 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Se ci si imbatte nei tagli, capita anche di trovare delle aggiunte. Caso emblematico è BENVENUTI 1934. Dopo il racconto della Messaggera e l’esclamazione del Pastore «Ahi caso acerbo!» inserisce un adattamento del Lamento della ninfa («Amor, dov’è la fe’», dall’VIII libro dei Madrigali di Monteverdi, 1638),91 che ripete dopo «Non si fidi uom mortale» inframmezzato dalla Sinfonia A, accompagnato dalle seguenti prescrizioni sceniche: [la prima volta] Si ode d’improvviso il lamento triste della turba pastorale che porta il corpo di Euridice. Ecco comparire il primo gruppo di donne. Ecco il secondo. Ecco tutta la folla. Distesa sopra una barella fatta di rami d’albero Euridice giace immota, il capo biondo ancora inghirlandato di fiori. La barella viene posata davanti al tempio e circondata dalla folla. Orfeo, impietrito ed immoto, sta davanti alla sposa morta, fissandola senza voce e senza pianto. [la ripresa] I pastori sollevano ancora la barella e salgono lentamente i gradini del tempio seguiti dai pastori e dalle pastorelle. Orfeo, sorretto dal Pastore e dalla Messaggera, cammina dietro la dolce morta singhiozzando.92 Il brano, con il suo ostinato su tetracordo frigio discendente (la sol fa mi) è decisamente adatto all’immagine di processione funebre che accompagna. Il testo è stato opportunamente adeguato (da Arturo Rossato, il collaboratore di Benvenuti per il libretto), mutando il lamento dell’amata tradita e abbandonata in una nenia di compianto per la giovane Euridice sottratta all’amore del suo Orfeo: Testo originale (O. Rinuccini) Testo in BENVENUTI 1934 (A. Rossato) […] Amor (dicea, il ciel mirando il piè fermò), Dove, dov’è la fè che ’l traditor giurò? Amor, Dov’è, dov’è la fè che il suo bel cuor ti die’? (Miserella) 91 92 Fa’ che ritorni il mio amor com’ei pur fu, o tu m’ancidi, ch’io non mi tormenti più. Dov’è il sorriso pio, dov’è la gioventù, o piccioletto iddio, che le donavi tu? (Miserella, ah più no, no, tanto gel soffrir non può) (Miserella, ahi noi! Quanto duol soffri, ahimè!) Non vo’ più ch’ei sospiri se non lontan da me, no, no che i martiri più non dirammi affè. Dove son li sospiri che le salian dal cuor e i suoi martiri che tu le davi, Amor? In partitura è però indicato erroneamente VI libro. BENVENUTI 1934 (spartito), pp. 63-64 e 77. 149 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Perché di lui mi struggo, tutt’orgoglioso sta, che sì, che sì se ’l fuggo ancor mi pregherà? Perché così la morte spense tanta beltà? Per sì crudel sua sorte ognun lagrimerà. Se ciglio ha più sereno colei, che ‘l mio non è, già non rinchiude in seno amor sì bella fè. È morto sì bel sole con lei che non è più; né rose né vïole mai spunteran quaggiù. Né mai sì dolci baci da quella bocca avrai, né più soavi, ah taci, taci, che troppo il sai. […] Né mai sì dolci baci da quella bocca avrai. Dopodichè, tutto prosegue più o meno secondo l’originale. Proserpina convince Plutone a lasciar andare Euridice e il coro di spiriti intona «Pietade oggi ed amore | trionfan ne l’inferno», l’orchestra suona la Canzon quarti toni a 15 di Giovanni Gabrieli, e viene ripetuto l’incipit del coro «Pietade oggi ed amore». Qui finisce l’atto II. Il quadro I dell’atto III è di nuovo pastorale: Il chiaro ombroso prato dell’inizio, nell’ora del tramonto. La gaia folla delle ninfe, dei pastori e delle pastorelle danza già sull’erba riempiendo di voci e di letizia il luminoso crepuscolo. In apertura Benvenuti propone la Moresca, cui seguono il Ritornello B, «Lasciate i monti», e un’altra interpolazione, il duetto tra un pastore e una pastorella «Bel pastor, dal cui bel guardo» (Monteverdi, IX libro dei madrigali, 1651); a questo punto si sente il ritor- nello introduttivo a «Chiome d’oro» (VII libro, 1619), madrigale che viene cantato da due pastorelle (come «Chioma d’oro»). Questo madrigale doveva essere una hit negli anni ’30 dal momento che anche Respighi lo inserì nel suo OM, a chiudere il suo atto I; alle 2 voci femminili aggiunge anche tre voci maschili (che praticamente non fanno che realizzare il continuo omoritmicamente). Per tornare a BENVENUTI 1934, interviene di nuovo il coro con «Zefiro torna e ‘l bel tempo rimena» (VI libro, 1614)93 trasportato una quarta sopra e senza la seconda parte (mesta), da eseguirsi in «Tempo di ‘Scherzo’». Si ode in lontananza Orfeo che canta «Ecco pur ch’a voi ritorno» (che aveva già aperto il quadro II dell’atto I) e giustamente il coro ripete l’incipit di quell’«Ecco Orfeo» che a- veva chiuso il quadro I dell’atto I. Dopo una Canzon quarti toni di Giovanni Gabrieli, vi 93 Benvenuti indica III libro. 150 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata è una sorta di ripresa dei temi sentiti nel corso del quadro: il coro esclama «Ecco Orfeo» e l’orchestra ripropone il ritornello di «Chiome d’oro»; e riprende il IV atto montever- diano da dove lo si era lasciato. Ecco un esempio di quadro pastorale senza né capo né coda, fatto di pezzi chiusi in successione senza logica costruttiva e senza azione, come Monteverdi si è ben guardato dal fare. In conclusione, snellire l’OM è stata un’operazione sentita come necessaria per poterlo eseguire: per dirla con d’Indy, «laisser l’auditeur dans un état de désir d’en entendre davantage plutôt que sur une impression de satiété et de lassitude».94 IV.3. Agogiche, dinamiche, segni d’espressione Bisogna dire che l’ascolto di incisioni d’epoca rivela un’abitudine a esecuzioni lentissime, per cui una edizione con tagli dell’opera poteva finire col risultare più lunga di una integrale coi tempi di un gruppo di musica barocca (alcune importanti incisioni storiche sono riportate nella tabella I.1). E a confermarlo basta leggere qualche indicazione di agogica, magari metronimica di alcuni brani oggi eseguiti con brio: Ritornello A «Lasciate i monti» e Ritornello B Sinfonia A e «Ecco pur ch’a voi ritorno» Ritornello E Ritornello F e «Vi ricorda o boschi ombrosi» D’INDY 1905 Lentement x Modéré Assez modéré Assez modéré OREFICE 1909 Andante sostenuto / Moderato / Lentamente Andante con moto Andantino pastorale Andantino MALIPIERO 1930 Allegro Allegro Allegro energico – Non troppo lento Allegretto Allegro, ma non troppo – Più tarnquillo BENVENUTI 1934 Sostenuto (q = 60) Vivace, leggero (q = 112) Andante molto sostenuto (q = 56-54) Allegretto pastorale (q . = 60-58) Sostenuto, ma vigoroso (q . = 60) – Un poco meno (q . = 56-54) RESPIGHI 1935 Lento espressivo (q = 44) Vivo (h = 116) Andantino (h = 72) Allegretto (q . = 63) Allegretto (q . = 66) x q . = 76 ORFF 1940 q = 66 h = 48 Grazioso (q = 104) – Sehr fliessend (q . = 76) 94 [Lasciare l’ascoltatore desideroso di ascoltarne ancora piuttosto che con un’impressione di sazietà e stanchezza] D’INDY 1905, dalla prefazione alla partitura, senza numeri di pagina. 151 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Senza contare i «ritenuto» (quanti «ritenutissimo» in BENVENUTI 1934!) e i «rallentando» a ogni fine di frase, i romantici «crescendo e ritardando» (OREFICE 1909) con i corrispondenti «diminuendo e rallentando» (BENVENUTI 1934) o il teutonico «molto ritardando e pesante» di ORFF 1940, le corone, i respiri, gli «stringendo» e i «largamente», o gli «a piacere», «wie eine Cadenz» (ORFF 1940). Per quanto riguarda le dinamiche, si va da indicazioni sobrie, giusto all’attacco di ogni brano (MALIPIERO 1930), a revisioni infarcite di sfumature, di «sforzati», di «crescendo», di accenti, accompagnati non raramente da segni di espressione quali «doux», «gaiment», (D’INDY 1905), «ben cantato», «doloroso», «grazioso», «semplice», «lugubre», «deciso» (OREFICE 1909), «delicatamente», «ben declamato», «concitato», «espressivo», «cantando», «cantando con intensa e dolorosa espressione», «disperato», «calmo, attonito», «aspro e doloroso», «sentito», «come un lamento», «cupo», «supplichevole», «con slancio», «presto onestamente» (BENVENUTI 1934), gli «ausbrechend» [scoppiando] di Orfeo ogni volta che grida il nome dell’amata (ORFF 1940). Tali prescrizioni sono in bilico spesso tra l’indicazione esecutiva e quella registica, componente forte in alcune revisioni. IV.4. L’adattamento scenico Già osservando le modifiche apportate dai revisori alla struttura generale mi è capitato di citare alcune didascalie di carattere ‘registico’. Le didascalie dell’edizione del 1609, si è visto, sono soprattutto indicazioni strumentali (prescrittive o descrittive, v. supra, III.2.1); gli unici casi di prescrizioni sceniche sono nel III atto, quando Orfeo, addormen- tato Caronte «entra nella barca e passa cantando al suono del organo di legno», e nel IV, precisamente «Qui si fa strepito dietro la tela» (a giustificare la successiva battuta di Orfeo; «Ma che odo, ohimè lasso?») e il cruciale «Qui si volta Orfeo» poco dopo. Chi (EITNER 1881, D’INDY 1905, MALIPIERO 1923 e 1930, STEVENS 1967, TARR 1974 e GALLICO 2004) trascrive tali e quali le didascalie monteverdiane naturalmente riporta anche queste (che d’Indy traduce anche in quanto funzionali a un’eventuale messa in scena). Chi scioglie le indicazioni strumentali accostandole ai rispettivi pentagrammi o le taglia del tutto, normalmente riporta comunque quelle sceniche.95 E BEN- 95 Fa eccezione ad esempio OREFICE 1909. 152 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata VENUTI 1934, RESPIGHI 1935, ORFF 1940 e MALIPIERO 1949 ne aggiungono numerose altre, che trascrivo qui di seguito. BENVENUTI 1934 Toccata «… che si suona tre volte avanti il levar della tela con tutti gli strumenti [d’ottone]» Prologo Dal velario ancora chiuso uscirà la Musica reggendo nelle mani una piccola cetra d’oro. [Sull’ultimo ritornello] La Musica s’inchina e rientra. Atto I Quadro I Un prato fresco ed ombroso nella chiara luce del mattino. Nel fondo grandi alberi sotto i quali passa un sentiero che si perde lontano. A sinistra, circondato da lauri, un tempietto marmoreo. Gruppi vivaci di ninfe e di pastori stanno sparsi qua e là per il prato, sotto agli alberi e seduti vicino al tempietto. Alcuni intrecciano ghirlandette di fiori; altri, in fondo al sentiero, nascosti sotto gli alberi, guardano come se aspettassero qualcuno; altri ancora, con gli istrumenti pastorali, si preparano a suonare. Orfeo ed Euridice guardano in disparte, ascoltando il pastore, la ninfa ed il coro che li festeggiano. [«Muse, onor di Parnaso»] Avanzando in mezzo alle pastorelle. [«Lasciate i monti»] Movimento vivace e pittoresco dei pastori e delle pastorelle. Il gruppo dei suonatori si dispone a suonare. Un altro gruppo, in atteggiamenti semplici e graziosi, a cantare. Orfeo ed Euridice contemplano la scena campestre. Al suono degli istrumenti pastorali le ninfe cominciano a danzare, mentre i pastori e le pastorelle cantano. [Ritornello B] Ninfe, pastori e pastorelle circondano, come una ghirlanda viva, Orfeo ed Euridice. La Ninfa posa sul capo della fanciulla una corona di fiori. Il Pastore ne posa una sul capo di Orfeo, ed accenna alla cetra che il cantore tiene appesa al fianco. [«Rosa del ciel»] Sorride, avanza di alcuni passi e tocca la cetra cantando ispirato: tutti ascoltano rapiti. [«Io non dirò qual sia»] Tenendosi dolcemente abbracciata ad Orfeo. [«Lasciate i monti»] Ninfe, pastori e pastorelle, con un movimento vivace di gioia, riprendono un’altra volta il canto e le danze. Orfeo tiene abbracciata Euridice, sorridendo. [«Vieni Imeneo, deh vieni»] Ninfe, pastori e pastorelle cadono in ginocchio verso il tempietto invocando ed alzando supplici le braccia. [Ritornello C] Tutti, a gruppi vivaci, si dispongono cantando in due file lungo il sentiero, sotto gli alberi. Orfeo ed Euridice restano soli in mezzo al prato. [Ultimo ritornello] Orfeo ed Euridice, tenendosi dolcemente abbracciati, passano in mezzo ai pastori schierati lungo il sentiero. [«Ecco Orfeo»] Tutti gittano fiori su di essi acclamando. Il sole illumina i due giovani sposi, mentre le ghirlande cadono intorno ad essi e il canto sale nel mattino festoso Quadro II Luogo solitario nel bosco. Nel fondo la facciata a colonne del tempio cui si sale per un’alta gradinata coperta di fiori. A destra un folto gruppo di faggi sotto i quali scorre un ruscello. La porta del tempio è aperta e si vedrà, nella penombra interna, l’altare tutto fiorito. Alcuni pastori e pastorelle stanno seduti sui gradini, altri sotto i faggi. Sole vivissimo. [metà Sinfonia A] Tela. Orfeo, seguito dal pastore e da un gruppo di giovani, entra e guarda al tempio e agli alberi commosso e felice. [«Mira ch’a sé n’alletta»] Indicando gli alberi. [Ritornello E] Il gruppo dei pastori e delle pastorelle, seduto sui gradini del tempio, si raccoglie sotto gli alberi intorno ad Orfeo. 153 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata [Ritornello F] Orfeo si guarda d’intorno, in mezzo ai pastori ammirati, e tocca la cetra cantando. [«Ahi caso acerbo»] (La Messaggera da lontano). D’improvviso un grido di dolore rompe l’incanto pastorale e fa balzare Orfeo e i compagni. Il Pastore corre sui gradini del tempio e guarda oltre il gruppo degli alberi. [«Qual suon dolente»] Guardando e ascoltando ansioso. [«Lassa, dunque debb’io»] Più vicina. [«Questa è Silvia gentile»] Riconoscendo la voce e scorgendo di già la Messaggera. [«Pastor, lasciate il canto»] Affannata, scarmigliata etra di corsa Silvia. Orfeo e i pastori la circondano ansiosi. [Lamento della ninfa] Si ode d’improvviso il lamento triste della turba pastorale che porta il corpo di Euridice. Ecco comparire il primo gruppo di donne. Ecco il secondo. Ecco tutta la folla. Distesa sopra una barella fatta di rami d’albero Euridice giace immota, il capo biondo ancora inghirlandato di fiori. La barella viene posata davanti al tempio e circondata dalla folla. Orfeo, impietrito ed immoto, sta davanti alla sposa morta, fissandola senza voce e senza pianto [«A l’amara novella»] Silenzio profondo un istante. Tutti sono inginocchiati intorno alla barella. Il pastore si avvicina ad Orfeo scuotendolo dolcemente. Ma il giovane cantore, impietrito, guarda in silenzio la morta. Al lamento del Pastore la folla fissa Orfeo impietosita, circondandolo a poco a poco. [«Tu se’ morta»] Si scuote all’improvviso, si libera dei pietosi che lo circondano, si avvicina disperato alla morta, curvandosi su di lei [«Ahi caso acerbo»] Pietosamente, cercando di togliere Orfeo dalla sua disperazione. [«Ma io ch’in questa lingua»] Indicando Orfeo circondato dalle Pastorelle. [Lamento della ninfa] I pastori solevano ancora la barella e salgono lentamente i gradini del tempio seguiti dai pastori e dalle pastorelle. Orfeo, sorretto dal Pastore e dalla Messaggera, cammina dietro la dolce morta singhiozzando. [Ritornello A] La barella entra nel tempio seguita da Orfeo, dal Pastore e dalla Messaggera, mentre la folla cade in ginocchio sui gradini nascondendo il volto fra le mani. Atto II Ampia vallea dell’inferno sommersa in una penombra grigia e misteriosa. Nel fondo si levano cumuli di rocce aguzze che si perdono in alto grandeggiando. A destra, una muraglia nera, in rovina, da un’apertura della quale, per alcuni gradini, si scende nel fiume che scorrerà sotto. A sinistra, si levano grossi massi accavallati uno sull’altro come macerie coperti di viluppi di piante strane a somiglianza di serpi, tra i quali corrono sentieri nascosti e praticabili. Di tanto in tanto, lievi e strane luci azzurre, rosse, gialle percotono le rocce, mentre ondate di fumi salgono da ogni lato dissolvendosi. [«Scorto da te, mio nume»] Orfeo, tenendo appesa al collo la cetra, tenuto a mano dalla giovane dea, Speranza, inoltra passo passo per la vallea guardandosi intorno smarrito. Di fronte a la muraglia dello Stige si ferma e si stringe più vicino a Speranza. [«Ecco l’atra palude»] Indicando oltre la muraglia, attraverso la porta in rovina. [«Dove, ah dove te’n vai»] Si allontana rapida e leggera da sinistra scomparendo dietro i massi. Orfeo, smarrito, la rincorre un poco implorando e supplicando. [«O tu ch’innanzi morte a queste rive»] Sui gradini della nera porta della muraglia – come se montasse dal basso – appare Caronte, un gagliardo vecchio dalla lunga barba e dalle braccia ignude. Tiene in pugno un remo annerito e consunto sul quale si appoggia salendo. Immoto sull’ultimo gradino guardando Orfeo [inizia a cantare]. Una luce viva ed azzurra si diffonde per la vallea schiarendola improvvisamente, come il ricordo del cielo perduto che prende ogni anima sulla soglia del regno tormentoso. Fumi alti e lenti 154 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata salgono dalle rocce in fondo. [fine di «Ben mi lusinga alquanto»] Volge le spalle ad Orfeo, appoggia il remo sull’omero e scende i gradini scomparendo. La luce azzurra si spegne. La vallea ritorna come prima. Ma qua e là, mentre il giovane cantore si guarda intorno sperduto ed implorante, guizzano fra le rocce fuochi fatui come di spiriti trascorrenti: ora in alto, ora a mezzo, ora ai piedi delle macerie splendono, si spengono, riappaiono riempiendo tutto il luogo di un continuo sfavillio. [«Rendetemi il mio ben»] Trabocca col viso a terra piangendo disperatamente. I fuochi fatui, rimasti per un poco immobili come se avessero ascoltato, balzano d’improvviso in aria tremolando e scomparendo. Un flotto di luce giallastra illumina le rocce. E allora dai sentieri nascosti si vedranno lenti cortei di spiriti passare, salire, scendere, scomparire e riapparire riempiendo le tenebre del loro lamento. Orfeo guarda trasognato restando a terra. [Sinfonia C’] D’improvviso una luce rossa percuote vivissima le rocce del fondo. Si leva un ampio fuoco. Tra il fuoco, come entro una nicchia sfolgorante, appare Proserpina. Poco lunge da lei, in un flotto di luce abbagliante, entro uno speco scavato nelle rocce, appare Plutone. Ai loro piedi e sulle rocce di sinistra compariranno nel riflesso della luce rossa gli spiriti infernali che guarderanno e ascolteranno i loro dei. La vallea sfolgora ampia e solenne nella luce infocata. Orfeo, balzando in piedi, ascolta. [«O degli abitator de l’ombre eterne»] La folla immota degli spiriti leva le mani a saluto acclamando. Quindi scompare nelle tenebre e fra le rocce tornate buie. Si vedranno guizzare e correre i fuochi fatui come se gli spiriti scendessero per obbedire al loro signore. Solo le rocce del fondo rimangono nella viva luce rossa. [«Quali grazie ti rendo»] Proserpina s’avvicina allora a Plutone e lo cinge delle sue braccia. [«Pietade oggi ed amore»] La luce rossa si spegne e la visione di Plutone e di Proserpina scompare. [Canzone quarti toni] Allora, da dietro le rocce di sinistra esce un corteggio di spiriti femminili. Una pacata e serena luce azzurra rischiara la vallea. Due spiriti tengono per mano Euridice coperta d’un lungo velo bianco e la traggono verso la porta annerita della muraglia. Sull’ultimo gradino è apparso Caronte col remo posato sulla spalla. Orfeo si precipita verso Euridice, la prende per mano senza guardarla e seguendo Caronte scende i gradini verso il fiume. Tutti gli spiriti – entro la chiara luce azzurra – si affollano contro le mura, salgono rapidi per le rocce e salutano – alte le mani – la barca invisibile che va verso il dolce mondo. [fine] La luce è ancora più chiara e più viva. Fumi leggeri salgono verso il cielo. Gli spiriti agitano i veli e le mani. Atto III Quadro I Il chiaro ombroso prato dell’inizio, nell’ora del tramonto. La gaia folla delle ninfe, dei pastori e delle pastorelle danza già sull’erba riempiendo di voci e di letizia il luminoso crepuscolo. [Ritornello B] D’improvviso la folla si divide in due gruppi festosamente e da questi escono una pastorella ed un pastore che iniziano il loro dialogo giocosamente. [rit. introduttivo di Chioma d’oro] I due pastori si abbracciano; s’intreccia una danza allora intorno ad essi, vagamente. Il cielo, azzurro chiaro, comincia a velarsi delle prime esili ombre del crepuscolo. [«Zefiro torna»] La danza cessa. Pastori, pastorelle e ninfe si raggruppano qua e là, sotto gli alberi, intorno al tempietto e in mezzo al prato. Levano tutti un ramo fiorito che agitano e invocano così, dolcemente, la primavera. [«Ecco pur ch’a voi ritorno»] D’improvviso si ode il canto di Orfeo ancora lontano. LA folla dei pastori ammutolisce di colpo ed ascolta immota. Quindi, mentre il canto si av- 155 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata vicina, si leva guardando verso il sentiero sotto gli alberi. [Ritornello L] Orfeo appare in fondo al sentiero. La folla, commossa e sbigottita, fa un largo cerchio intorno a lui. Orfeo tocca la cetra. Il crepuscolo scende più rapido. [«Ma mentre io canto»] Si volge affannato verso il sentiero. Anche la folla guarda. Ecco, allora, nella lieve ombra del giorno morente apparire Euridice coperta dal lungo velo bianco. Avanza, sola, a passi timidi e lenti, fermandosi a metà del sentiero. [«O dolcissimi lumi»] Toglie il velo dal capo della sposa, contemplandola avidamente. Il bel viso di Euridice appare sorridente allo sguardo dello sposo innamorato. Ma un rombo cupo tuona in cielo. Una improvvisa luce rossa avvolge il bosco e fa spiccare a contrasto la figura bianca e sbigottita di Euridice. Una folla di lievi spiriti infernali balza dagli alberi e circonda la sposa impietrita. La folla cade a terra spaurita. [«Rott’hai la legge»] Orfeo tace affannato. Gli spiriti s’affollano dietro Euridice e due di essi la prendono per la mano trascinandola verso il fondo del sentiero. (Euridice) seguendo gli spiriti e riluttando. [«Torna a l’ombre di morte»] (Spiriti infernali) trascinando Euridice, lontanissimi. [«Dove te’n vai, mia vita»] Implorando, circondato dalla folla. [Sinfonia E] Euridice, gli spiriti e la folla scompaiono nell’ombra. Orfeo cade sulla faccia a terra, piangendo. Dall’oscurità profonda e misteriosa si leva allora un canto. [ripresa della Sinfonia E] Orfeo sempre immoto, col volto a terra, mentre le voci si perdono nell’ombra, lontane. Quadro II Luogo vasto ed ameno, fiorito come un giardino. Una alto gruppo di alberi dai colori vivaci spicca a destra. Sotto gli alberi, dei sedili di marmo. Il fondo si perde in una nebbia azzurra e densa. Una luce misteriosa, come di sogno, è diffusa d’intorno. Voci lontane e leggiadre si levano dalla nebbia azzurra che occupa il fondo. Pace alta e serena. Orfeo appare a passi lenti, trasognato. Si guarda intorno e siede come stanco. La nebbia nel fondo s’inazzurra sempre di più, come se diventasse un cielo profondo: e qua e là dei sottili balenii d’oro. [Sinfonia D] Nasconde il capo fra le mani in atto doloroso e stanco. Ecco, allora, la nebbia azzurra del fondo dileguarsi rapida ed apparire, sfolgorante, una larga ed ampia scalea d’oro che si perde nel cielo. Un flotto di luce vivissima illumina il luogo. Orfeo leva il capo e guarda attonito. Sull’alto della scala appare il giovane e bellissimo Apollo seguito dalle Muse e da altre leggiadre donne. Qua e là sbucano allora i pastori e le ninfe, che rimangono meravigliati e guardano alla visione senza parlare. Orfeo si leva in piedi. Apollo si ferma a metà della scala d’oro che sfolgora [Ritornello M] Orfeo comincia a salire verso Apollo nella sfolgorante luce della scalea dorata e nel soffuso mormorio dei canti. I pastori intimiditi avanzano e salutano commossi. [prima della Moresca] Orfeo sale. È già vicino ad Apollo. I pastori rimasti ai piedi della scala levano i rami fioriti a saluto e danzano una ‘moresca’. RESPIGHI 1935 Atto I Appare un luogo della poetica Pieria, dove i Traci onorano Dioniso e le Muse con riti entusiastici. La valle aprica è ancora avvolta nell’ombra e mal si discernono nel fondo lontano i monti e le selve; soltanto un poggio, coronato da un piccolo tempio di marmo candido, è luminoso in alto, come s il primo raggio di sole, passando attraverso una gola invisibile, vestisse quella vetta sola; ma dinnanzi, sulla campagna e sui prati, s’adagia la nebbia color di perla. Sul poggio, disposta come nella famosa composizione di Raffaello nella stanza vaticana, è adunata la bella Scuola di Apollo: il dio siede tra i lauri, in atto di suonare la viola, e innanzi a lui la Musica canta. 156 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata [sul ritornello prima di «In questo lieto e fortunato giorno»] Nella chiara luce mattutina la visione dilegua. La nebbia in basso si dissolve; sul poggio il tempio splende solitario. Un pastore è accorso, e accennando di lontano chiama i compagni: di qua, di là, i pastori e le ninfe gli si raccolgono intorno mentre egli canta. [sul raccordo strumentale prima di «Lasciate i monti»] I pastori e le ninfe danzano sui prati. Durante il balletto si vedranno venire di lontano Orfeo e Euridice: il corteo nuziale si ferma nel prato al cominciare dell’erta. [prima di «Ma tu gentil cantor»] Un altro pastore muove incontro ad Orfeo e l’invita. [ripresa di «Lasciate i monti»] Ad ogni ritornello mutano gli aggruppamenti e gli atteggiamenti del coro. Mentre le ninfe adunano fiori per giaciglio agli amanti, Orfeo, Euridice e un corteo di pastori ascendono al tempio ed entrano. [«Ecco Orfeo»] Il corteo nuziale riappare sulla soglia del tempio e fa corona agli sposi. [introduzione strumentale di «Chiome d’oro»] Per tutta la valle pastori e ninfe intrecciano danze festose e il coro li accompagna con la sua canzone gioiosamente. Atto II La selva spessa di faggi e di querce: prati sulla riva di un piccolo ruscello. Meriggio alto, d’estate; ma poi rapidamente l’aria imbruna e tutto il paesaggio s’intona alla tristezza dell’azione. All’aprirsi del velario i pastori sono sparsi sul prato, seduti o distesi, al rezzo; subito entra Orfeo rapido e gioioso. [«Ahi caso acerbo»] (La Messaggera) improvvisamente appare sul fondo. L’aria comincia ad imbrunire. [«Qual suon dolente»] Il Pastore si volge. [a metà di «Questa è Silvia gentile», alle parole «Deh sommi dei»] Portando le mani alle tempie. [«Pastor, lasciate il canto»] (La Messaggera) avanzando con gesto di disperato dolore. [«Donde vieni? Ove vai?»] (Orfeo) in grande agitazione. [«Ohimé»] Percosso dall’annuncio mortale, Orfeo vacilla, si appoggia al tronco d’un albero e resta come impietrito dal dolore senza parole e senza lagrime. [«Ahi caso acerbo»] Piangendo. [«Ahi ben avrebbe un cor di tigre o d’orsa»] Volgendosi a Orfeo che è sempre immobile e con lo sguardo fisso nel vuoto. [«Tu se’morta»] Smarrito. [«Ahi caso acerbo»] Orfeo tace affranto. Alcuni pastori gli si raccolgono intorno per vano conforto. [«Ma io ch’in questa lingua»] Con disperata accorazione. [Ritornello A] Tutta la foresta s’è unita al lamento del coro: velate di verde cupo o del color della bruna corteccia, sono uscite dagli alberi le Driadi, sorelle della ninfa morta. In atto di sconsolato stupore e di dolore, con gesti misurati e stilizzati, lentamente, ritmicamente, le ombre seguono Orfeo e il coro che se se va piangendo la sua trenodia. Atto III Appare la gola paurosa dove scorre torbido e sanguigno l’Acheronte. In questa stretta, fra le rupi nude inaccessibili enormi, l’acqua livida gorgoglia e bulica per piccolo tratto poi si perde sotterra. A questa porta del pianto giunge Orfeo guidato dalla Speranza e qui la Speranza l’abbandona. [«Possente spirto»] (Coro a bocca chiusa) Lontani, invisibili. 157 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata [«Ben mi lusinga alquanto»] (Caronte) che, seduto entro la barca e chiuso il mento lanoso nella mano, ha ascoltato attento il canto del poeta. [«Ahi sventurato amante»] (Orfeo) prorompendo. [Sinfonia D] Tocca la cetra in dolci accordi: preso dall’incanto, Caronte si assopisce. [«Ei dorme», prima di «Mentre versan quest’occhi amari fiumi»] Qui entra nella barca e passa cantando. [sulle ultime parole] Appena la barca si muove, la scena si oscura lentamente. Dal buio profondo sorge un coro di spiriti infernali. [Sinfonia C] Al tornare della luce, ma fioca e incerta, si vedranno i prati d’asfodelo, sconfinati, eguali, un paesaggio lineare e monotono che nella sua uniformità dà la sensazione d’un mondo senza principio né fine. Irreale è l’aria senza tempo tinta: insensibilmente alcune ombre escono dalla nebulosa e poi vi si dissolvono. Così appare Plutone, simile in volto ai suoi fratelli Zeus e Poseidon, ma con lineamenti più foschi e i capelli pendenti sulla fronte, e accanto a lui Proserpina nella sua bellezza senza sorriso; intorno, nella nebbia grigia, le minori divinità dell’Ade. [raccordo strumentale prima di «O degli abitator de l’ombre eterne»] Alcune ombre trascorrono e dileguano rapide messaggere. [«Pietade oggi ed amore»] Lentamente Plutone e Proserpina si allontanano per i prati senza confine sfiorando gli sfodeli pallidi e violetti. Un coro di spiriti accompagna il loro disparire. [Ritornello L] Una persona viva accorre: è Orfeo, tutto baldanza per l’inaudita vittoria, levando in alto la trionfal cetra. [appena prima di «Ma mentre io canto»] Appare in un vago alone luminoso, indistinta e pallida, l’ombra di Euridice che segue Orfeo. Ma un dubbio invade l’animo impaziente del poeta. [alle parole «Ma che temi mio core»] L’ombra prende via via consistenza. Orfeo è turbato, ansioso. [prima di «Ma che odo»] Qui si fa strepito dietro alla scena: è come rombo di tuono. La figura di Euridice è vicina e chiara. [«O dolcissimi lumi»] Qui si volta Orfeo. E subito l’ombra di Euridice comincia a impallidire. [«Torna a l’ombre di morte»] Euridice non è più che un barlume. Svanisce. [«Dove te’n vai, mia vita?»] Disperatamente. S’avventa, ma le ombre vane gli sfuggono di qua, di là, e poi s’addensano per respingerlo verso la ribalta dov’è una lama di luce. [Sinfonia E] Le ombre levano al labbro il dito indice della mano destra per comandare il silenzio e la palma aperta della sinistra a precludere il passo. Invano Orfeo tenta aprirsi una via incontro là dove s’è perduta la sposa: inesorabili le ombre e il buio lo accolgono e respingono. Ei cade come corpo morto nella breve zona di luce abbagliante che è nel boccascena. Le ombre sono dileguate nel profondo. [Ritornello A] Qui di nuovo si volge la scena e riappaiono i campi di Pieria, sul limitare della selva: nel fondo lontano è l’Olimpo altissimo, dalla vetta invisibile. A piè del monte alberi di grandi radici, tronchi, arbusti. Luce viva. In questi luoghi della sua gioia e del suo lutto si risveglia Orfeo: è solo e l’Eco sola risponde al suo lamento. [Sinfonia D] Dalle cime dell’Olimpo discende Apollo coll’arco e la faretra tutta chiusa: belle membra armoniose, giovine testa ricciuta, gesto schietto, aereo passo; il manto, gittato sull’avambraccio, palpita come un’ala. Appena lo vede venire a lui, Orfeo piega il ginocchio in atto di commossa reverenza. [«Padre cortese»] (Orfeo) umilmente. [Ritornello M] Irrompono dai due lati del proscenio le Baccanti furiose, brandendo i 158 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata tirsi, scuotendo le selvaggie chiome; e s’avventano per inseguire Orfeo e ghermirlo e farne strazio. Ma come se tutta la natura insorgesse a difesa del suo cantore, i tronchi, le radici, i cespugli si personificano e fanno siepe vivente. Gruppi di orgiasti si mescolano alle Baccanti. [Moresca] Gettati i tirsi, le Menadi si lacerano le vesti nel furor dionisiaco, e mentre la danza si sfrena per tutta la valle, Apollo conduce Orfeo verso le dimore immortali, sull’Olimpo coronato di nubi. ORFF 1940 Toccata 1. Akt 2. Akt 3. Akt Arkadische Landschaft. Paesaggio arcadico. [«Selig der Tag»] Zu Eurydike. A Euridice. Heller, lichter Wald. Foresta chiara, luminosa. [«Nehmt mich auf»] Hinter der Scene, fernher. Dietro le quinte, da lontano. [«Gebt mir Antwort, weite Wälder»] Orpheus tritt auf. Entra Orfeo. [«Weh, dunkles Schicksal!»] Die Botin tritt auf. Entra la Messaggera. [«Weh mir!» prima di «Mißgünstig ist das Schicksal] Ausbrechend. Scoppiando. [Sinfonia B] Orpheus wendet sich zum Gehen. [nella partitura] Orfeo si volta per andare. [«Wie das dunkel des Abendes», alle parole «Wie warst du glücklich»] Zu Orpheus. A Orfeo. [fine di «Eurydike»] Orpheus wendet sich zum gehen. [nel libretto] Orfeo si volta per andare. Unterwelt. Oltretomba. [Sinfonia D] Aus dem Dunkel ragt die überlebensgroße Gestalt des Wächters der Toten. Dall’oscurità emerge la figura di dimensioni soprannaturali del guardiano dei morti. [«Bin ich hinab getaucht»] In blaßem Lichtschein kommt Orpheus. [alle parole «Ach Eurydike»] Vorangehen! Orfeo avanza nella luce fioca. Avanza. [«Weh mir, unselig Seligem»] Ausbrechend. Scoppiando. [prima della Sinfonia C] Die Gestalt des Wächters verschwindet. Der Weg zu den Schatten ist frei. La figura del guardiano scompare. La via verso le ombre è libera. [Sinfonia C] Man sieht in eine weite nächtige Felsenlandschaft (l’inferno di Dante). Orpheus durchschreitet sie. Si vede in lontananza un paesaggio roccioso e notturn (l’inferno di Dante). Orfeo lo attraversa. [«Zum Licht!»] Die Schatten weichen vor ihm zurück, in ihrer Mitte wird Eurydikes schemenhafte Gestalt sichtbar. Sie folgt Orpheus in Entfernung nach. Le ombre si ritraggono da lui, in mezzo a loro si fa visibile la figura spettrale di Euridice. Segue Orfeo a distanza. [«Beischt hat Orpheus die Nacht»] Chor hinter der Scene, unsichtbar. Coro dietro la scena, invisibile. [Ritornello M] Während die Gestalt Eurydikes immer deutlicher sichtbar wird, verblaßt langsam die Unterwelt. Mentre la figura di Euridice diviene sempre più visibile l’aldilà svanisce lentamente. 159 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata [Ritornello M prima di «Wie das Licht der hellen Sonne»] Im Vordergrund sind Hirten und Nymphen aufgetreten, die Orpheus erwarten. In primo piano sono comparsi Pastori e Ninfe che aspettano Orfeo. [«Eurydike»] Orpheus bleibt wie gebannt an der Schwelle der Unterwelt stehen. Orfeo rimane come incantato sulla soglia dell’oltretomba. [«Ach Eurydike»] Ausbrechend. Scoppiando. [«Komm, Geliebte», prima di «Weh mir, ich bin allein»] Plötzlich von Zweifel und Verzweiflung übernannt. Improvvisamente viene preso dal dubbio e dalla disperazione. [prima di «Weh, daß des Lebens Sehnsucht»] Jäh wendet sich Orpheus um nach Eurydike und erblickt sie. [verso la fine del numero] Eurydikes Gestalt verblaßt und entschwindet langsam. Eurydike wie gebannt nachblickend. Improvvisamente Orfeo si gira verso Euridice e la guarda. La figura di Euridice svanisce e scompare lentamente. Euridice guarda come incantata. [«Ach Eurydike, Geliebte»] Ausbrechend. Scoppiando. MALIPIERO 1949 (Davanti al sipario) Prologo Atto I Scena I (Si alza la tela.) Un prato con cespugli e a destra un gruppo di cipressi. Paesaggio arcaico. Pastori e pastorelle (in parte seduti sull’erba) cantano e danzano. [Prima del Ritornello B] (Cala la tela) Scena II (Si alza la tela.) La stessa scena ma la luce è spettrale, tragica. Appare Orfeo. [«Mira ch’a sé n’alletta»] Appare un pastore e a poco a poco gli altri pastori e pastorelle. [Prima di «Ahi caso acerbo»] Appare la Messaggiera. Tutti si fermano e l’ascoltano. [Fine di «Tu se’ morta», Orfeo] Esce lentamente. [Fine del Ritornello A] (Cala la tela) Atto II [Scena I] [Fine della Sinfonia C] (Si alza la tela.) Tetro paesaggio. In fondo alte e nere montagne. A destra la prora della barca di Caronte. Caronte siede appoggiato al remo. Appare la Speranza. La segue Orfeo. [Appena prima di «Dove, ah dove t’en vai»] La Speranza esce. [In «Ei dorme», alle parole «Mentre versan quest’occhi amari fiumi»] Qui Orfeo entra nella barca. [Inizio della successiva Sinfonia C’] Da qui sino alla battuta 1241 [4 batt. prima della fine della scena] a tela abbassata. [A batt. 1241] Si alza la tela. Scena II Lo stesso sfondo di rocce. A sinistra su un trono di pietra, entro una caverna seggono Proserpina e Plutone. [Inizio del Ritornello L] Qui appare Orfeo, lo segue Euridice. [Prima di «Ma che odo?»] Qui si fa strepito dietro la scena. Dietro la scena un forte rullo di grancassa e voci di basso e di tenore che fanno u u u u confusamente, il tutto per circa 7 secondi. [Su «O dolcissimi lumi»] Qui si volta Orfeo. [Inizio Sinfonia E] (Cala la tela) 160 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Scena III (Si alza la tela.) Lo stesso sfondo. Rocce a destra e a sinistra. È notte. [Alla fine del Ritornello A] Appare Orfeo. [All’inizio di «Evohè, padre Lieo»] Esce mentre appaiono le Baccanti. [Alla fine] (La tela cala sulle ultime 8 battute dell’ultima ripresa) Tale fioritura di didascalie, oltre ad essere funzionale alla mise en scène, si situa nella tendenza – che si sviluppa particolarmente da fine Ottocento – della costituzione programmatica del libretto come testo autonomo, da leggersi parallelamente all’ascolto dell’opera.96 Il primo confronto che si può fare è di carattere scenografico: quali mutazioni di scene corrispondono ai vari atti e quadri. (Il che comporta l’osservazione che le scene di MALIPIERO 1949 delimitano delle sequenze di azioni più che dei cambi-scena, che corrispondono agli atti; le sue scene non hanno la stessa valenza, pertanto, dei quadri di BENVENUTI 1934). Fatta eccezione per il Prologo, il libretto striggiano è scenograficamente tripartito (Tracia–inferi–Tracia dell’inizio; un ABA’, insomma); tripartizione che permane in BENVENUTI 1934, seppur ulteriormente differenziata al suo interno (Paesaggio arcadico: a) prato; b) bosco / Oltretomba / Paesaggio arcadico: a) prato; b) locus amoenus). La tripartizione ORFF 1940, invece, ricalca i due quadri dell’atto I di Benvenuti (i primi due atti di Monteverdi) e il suo atto II (gli atti III e IV di Monteverdi): Vallata arcadica–Bosco–Oltretomba. RESPIGHI 1935 sembra comportarsi allo stesso modo, ma in realtà bipartisce il terzo atto: ad un certo punto l’oltretomba si muta in Arcadia. MALIPIERO 1949 condensa ulteriormente questa scelta unendo prato/vallata e bosco in un unico paesaggio arcadico cui si oppone l’oltretomba (mai esplicitato però: «Tetro paesaggio. In fondo alte e nere montagne» e oltre «Lo stesso sfondo di rocce». Sarà forse una scelta contro la spettacolarità barocca, a favore di una mise en scène più interiorizzata in cui l’inferno non è un luogo con continui «flotti di luce», fumo e fuoco come in BENVENUTI 1934, ma uno stato desolato dell’anima, rappresentato da un nudo paesaggio roccioso?). Schematicamente: 96 Su tale questione e per una tipologizzazione in ordine di autonomia letteraria dei libretti tra il 1890 e il 1915 cfr. GUARNIERI CORAZZOL 2005. 161 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Arcadia Striggio–Monteverdi Atto I Atto II Oltretomba Arcadia Atto III Atto IV Atto V Atto II Atto III: Arcadia Atto I: Arcadia Rossato–Benvenuti Guastalla–Respighi Günther–Orff Malipiero Quadro I: prato Quadro II: bosco Quadro I: prato Quadro II: locus amoenus Atto I: vallata Atto II: bosco Atto III: oltretomba, poi Arcadia Atto I: [vallata] Atto II: bosco Atto III: oltretomba Atto I: Arcadia Atto II: oltretomba Più nel dettaglio, sono interessanti gli effetti di spazialità previsti dai revisori con cori fuori scena (RESPIGHI 1935 fa accompagnare «Possente spirto» da un coro a bocca chiusa97 di spiriti «lontani, invisibili»; ORFF 1940, atto III), personaggi che iniziano a cantare dietro le quinte e man mano si avvicinano e compaiono (la Messaggera che si trasforma da grido fuori campo in presenza scenica e la processione del Lamento della ninfa in BENVENUTI 1934; Orfeo che canta «Ecco pur ch’a voi ritorno» sia in BENVENUTI 1934 sia in ORFF 1940), pezzi strumentali a sipario chiuso (la Sinfonia RO C in MALIPIE- 1949). Sono effetti più teatrali che musicali, diversi dalla stereofonia suggerita dalle didascalie monteverdiane (v. supra, III.2.1). Si è detto (sulla scorta di WHENHAM 2000, v. supra, III.1.3) della regia contenuta implicitamente nelle righe del libretto. Nelle prescrizioni sceniche che sto analizzando qualche suggerimento viene esplicitato: ad esempio, dopo il racconto della Messaggera i pastori, riferendosi a Orfeo dicono «rassembla l’infelice un muto sasso», per giustificare la qual frase RESPIGHI 1935 prescrive «Percosso dall’annuncio mortale, Orfeo vacilla, si appoggia al tronco d’un albero e resta come impietrito dal dolore senza parole e senza lagrime. […] Volgendosi a Orfeo che è sempre immobile e con lo sguardo fisso nel vuoto»; perché Orfeo possa cantare disperato «Dove, ah dove te’n vai», Euridice «si allontana rapida e leggera da sinistra scomparendo dietro i massi. Orfeo, smarrito, la rincorre un poco implorando e supplicando»; e tutte le volte che Orfeo canta diegeticamente, le didascalie di BENVENUTI 1934 prescrivono «tocca la cetra». Un caso drammaturgicamente interessante è la Sinfonia D, che, secondo il «tocca la cetra», è da intendersi come diegeticamente suonata da Orfeo per far addormentare Caronte, ma che, quando ricom97 RESPIGHI 1935 fa cantare ad un coro a bocca chiusa anche l’ultimo Ritornello l’accompagnamento di «Rott’hai la legge, e sei di grazia indegno». 162 A del Prologo e F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata pare nell’ultimo atto viene risemantizzata come ‘discesa di Apollo’ (il che si verifica, in modo identico, anche in RESPIGHI 1935). Altro pezzo strumentale cui si applica un significato univoco tramite i movimenti scenici è il Ritornello A che chiude le scene agresti (quello che in Monteverdi si trova alla fine del secondo atto): in BENVENUTI 1934 assume un tono di marcia funebre e accompagna nel tempio la barella con Euridice spirata, in RESPIGHI 1935, similmente, è denominato «trenodia» sulla quale «in atto di sconsolato stupore e di dolore, con gesti misurati e stilizzati, lentamente, ritmicamente, le ombre seguono Orfeo e il coro che se se va piangendo». D’altronde, probabilmente c’è un’esigenza registica intrinseca nei ritornelli: nel Seicento sostenevano forse qualche passo di danza, nel Novecento vi vengono sovrapposte delle brevi pantomime (cfr. ancora le prescrizioni sceniche di BENVENUTI 1934 per il Ritornello B, il Ritornello C, il Ritornello M e la Moresca, che si aggiudica lo status di danza dei pastori – ma con la stessa naturalezza, si è visto, calza gli abiti di un tripudio bacchico –; in RESPIGHI 1935 si veda invece il Ritornello L). Curioso è poi confrontare le modifiche alle didascalie registiche di Monteverdi, e in particolare a «Qui si fa strepito dietro la tela»: in BENVENUTI 1934 non c’è, ma il tuono è successivo al voltarsi di Orfeo quasi a punteggiare la ‘fine dell’incantesimo’; in RESPIGHI 1935 è come rombo di tuono (notato in partitura); in ORFF 1940 al suo posto c’è un ‘rumore psicologico’, «plötzlich von Zweifel und Verzweiflung übernannt»; MADERNA 1967 e BUCCHI 1968 non mettono didascalia, ma l’uno inserisce un improvviso accordo fp dei corni, l’altro un sinistro tremolo di viole; e in MALIPIERO 1949, nel purista Malipiero: «dietro la scena un forte rullo di grancassa e voci di basso e di tenore che fanno u u u u confusamente, il tutto per circa 7 secondi». IV.5. Orchestre a confronto Argomento dibattuto e fonte di infiniti studi, l’orchestrazione dell’OM, lo si è visto, si basa in gran parte su convenzioni espressive che derivano dagli intermedi (v. supra, III.2.1). Dopo uno sguardo agli organici utilizzati nelle diverse edizioni, ritengo sia utile analizzare quanto delle convenzioni e delle simbologie presenti nella partitura sia stato mantenuto, magari ‘tradotto’ dai revisori. 163 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata OTTONI LEGNI MONTEVERDI 1609 D’INDY 1905 RESPIGHI’35 ORFF 1940 MADERNA 1967 Duoi cornetti (2 trombe) [2 oboi] 2 oboi, corno ingl. 3 oboi (1 corno ingl.) 3 oboi (2 oboi d’amore e corni ingl.) Un flautino alla vigesima seconda [+ 1] 2 ottavini 2 flauti, ottavino 3 flauti 2 clar. in sib, 1 clar basso 2 corni di bassetto, 1 clar. basso 3 clar. in sib, 1 clar. basso 2 fagotti 3 fagotti (1 controfag.) 3 fagotti (1 controfag.) ARCHI 3 flauti (2 ottavini, 2 flauti dritti 1 in sol) 2 oboi 2 flauti, 1 ottavino 2 fagotti 2 trombe 3 trombe 3 trombe 3 trombe in do 2 trombe in sib 1 tromba piccola in mib, 3 trombe in do Quattro tromboni [+ 1] 5 tromboni 3 tromboni, basso tuba 4 tromboni 3 tromboni 3 tromboni 3 tromboni Dieci viole da brazzo CORDE PIZZ. 2 oboi Un clarino con tre trombe sordine [+ 1 tromba ordinaria («quinta») + 1 vulcano] 4 corni in re TASTIERE STEVENS 1967 BUCCHI 1968 10 violini e viole 4 corni in fa Archi Archi 10 violini, 6+6 viole 4 corni 6 violini, 4 viole 4+4 viole 2 violini obbligati Duoi violini piccoli 2 violini soli alla francese Tre bassi da gamba 3 violoncelli 5+5 violoncelli 2 violoncelli, 1 viola da gamba basso Duoi contrabassi de viola 2 contrabbassi 6 contrabbassi 2 contrabbassi 4 contrabbassi Duoi chitaroni [+ 1, + ceteroni] 1 arpa «montée en luth» Un’arpa doppia 1 arpa Duoi gravicembani 4 violoncelli 3 liuti 2 chitarre, 1 mandolino 1 liuto, 1 chitarra 2 chitarre 2 arpe 2 arpe 1 arpa 2 arpe 2 clav. 1 clavicembalo 1 clavicembalo 1 clav. Duoi organi di legno Org. («jeux de fonds») 1 organo 1 organo positivo 1organo Un regale [regali] Org. («jeux d’anches») 2 arpe 1 regale 1 celesta Timpani Timpani Timpani Timpani PERCUSSIONI Vibrafono Campane tubolari Tamburino basco Triangolo Grancassa Crotali Tabella IV.5 164 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Nella tabella IV.5 ho diviso per famiglie gli strumenti nominati nella partitura del 1609 e a questi ho accostato gli strumenti più o meno corrispondenti indicati dai vari revisori che hanno prescritto un organico preciso.98 Per D’INDY 1905 il compito è stato semplice in quanto egli stesso dispone gli strumenti accostandoli agli originali, dal che bisogna leggere il suo organico davvero come una sostanziale fedeltà al modello, con alcune ‘traduzioni’ di strumenti desueti (su tutti i cornetti che diventano trombe99 e la «harpe montée en luth»). Ho deciso, per le altre revisioni, di accostare gli oboi ai cornetti perché più di una fonte suggerisce che nelle esecuzioni standard, fino agli anni ’60/’70, si optava per questa equazione, affiancata da quella oboe+clarinetto. WESTRUP 1940 ci informa che nel suo OM a Oxford nel 1925 ha rimpiazzato i cornetti «in the symphonies by oboes and clarinets and in the solo passages by clarinets alone».100 COLLAER 1969 eseguì nel 1942 l’integrale dell’OM basata su MALIPIERO 1930 e usò il flicorno soprano (in francese «bugle», il tedesco flügelhorn, che è sostanzialmente una cornetta a pistoni in sib) «pourvu d’une mauvaise sourdine»: il suo suono secondo «les essais comparatifs faits chez Mahillon, le grand facteur d’instruments à vent» doveva assomigliare molto a quello dei cornetti.101 In CASELLA– MORTARI 1950, p. 101, si legge che il flicorno soprano «di solito sostituisce la ‘buccina’, assai difficile da trovare». ORFF 1940 e BUCCHI 1968 affidano alle trombe gli interventi solistici dei cornetti in «Possente spirto» (RESPIGHI 1935 taglia la strofa con i cornetti).Quanto al clavicembalo, si è visto che era stato utilizzato già da Fétis e da Mahillon nei loro «concerti storici».102 La sua presenza alla Schola cantorum nel 1904 pertanto non stupisce, anche se a mio avviso siamo entrati in un’epoca che non cerca più lo 98 Mancano pertanto le edizioni che si limitano a riprodurre l’orchestrazione monteverdiana (EITNER 1881, MALIPIERO 1930, HINDEMITH 1943, WENZINGER 1955, PODOLSKI 1966, TARR 1974, GALLICO 2004). STEVENS 1967 elenca nell’apparato critico l’organico monteverdiano e le didascalie che ne prescrivono/descrivono l’utilizzo, ma in partitura suggerisce una sua orchestrazione (che è quella che ho trascritto in tabella). Mancano inoltre le elaborazioni di cui ho potuto consultare solo la riduzione per canto e pianoforte (OREFICE 1909, BENVENUTI 1934). 99 Invero d’Indy, nella tavola degli strumenti inserisce queste due trombe tra parentesi affianco ai cornetti, ma scrive in nota: «les cornets ne son employés que dans les premières strophes d’Orphée, au acte e III , non reproduites ici»; nei ritornelli e nelle sinfonie utilizza gli oboi (che non sono elencati ma compaiono in partitura). 100 [Con oboi e clarinetti nelle sinfonie, e con i soli clarinetti negli assoli] WESTRUP 1940, p. 240. 101 [Provvisto di una sordina cattiva] COLLAER 1969, p. 71. 102 Cfr. supra II.4. 165 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata strumento antico come curiosità esotica ma inizia ad utilizzarlo in termini di avvicinamento al passato (e non come mezzo per renderlo ancora più remoto). Si consideri che il primo concerto pubblico di Wanda Landowska risale al 1903; ma non si dimentichi che ancora nel 1928 Malipiero scriveva a Guido M. Gatti: «si potrebbe sostituire il clavicembalo con un complesso di pianoforte–arpa–celesta», e che alcune incisioni di madrigali di Monteverdi a cura di Nadia Boulanger negli anni ’30 realizzano il continuo con pianoforte e contrabbasso pizzicato.103 Altri strumenti difficili da incolonnare sono gli archi: si è visto che con «dieci viole da brazzo» Monteverdi intende l’intera famiglia dei moderni archi raddoppiata, con funzione concertante, cui si aggiungono i «duoi violini piccioli alla francese» solisti e gli archi gravi di continuo («tre bassi da gamba» e «duoi contrabassi de viola»); ciononostante, visto che tale divisione del ruolo degli archi non sembra essere stata colta dagli orchestratori, ho preferito affiancare alle «dieci viole da brazzo» gli archi acuti, ai «bassi da gamba» i violoncelli e ai «contrabassi de viola» i contrabbassi, cercando di avvicinarmi in questo modo a quello che mi pare essere stato il loro ragionamento. Si noti che l’espressione «viole da brazzo», ha spinto MADERNA 1967 a superare il numero dei violini con le viole e BUCCHI 1968 ad evitarli del tutto; lo stesso equivoco ha indotto D’INDY 1905 ad affidare a tre viole e contrabbasso l’accompagnamento di «Sol tu, nobi- le dio» (gli accordi tenuti della lira di Orfeo) – in quanto Monteverdi annota: «Furono sonate le altre parti da tre viole da braccio ed un contrabasso di viola tocchi pian piano» –, e la Sinfonia D a quattro viole, organo e contrabbasso – «Questa sinfonia si sonò pian piano, con viole da braccio, un organo di legno ed un contrabasso del viola da gamba». BUCCHI 1968 in compenso ha colto il carattere stereofonico dell’orchestra monteverdiana (questa volta sì in senso strumentale e non prettamente teatrale) suggerendo una precisa disposizione di cinque sorgenti del suono: 103 Lettera da Asolo del 3 agosto 1928 (in MALIPIERO 1997, lettera 292, pp. 233-236). 166 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata I cinque gruppi degli strumenti vanno così disposti: organo timpani e crotali 2 violini obbligati viole I viole II violoncelli contrabbassi ottavino 2 flauti 2 oboi 2 fagotti tromba piccola in mib 3 trombe in do 3 tromboni 4 corni arpa II clavicambalo arpa I 2 chitarre A unire la stereofonia con la teatralità ci pensano ORFF 1940 e MADERNA 1967, piazzando, in contesto pastorale, alcuni strumenti in scena, che vengono ad assumere un valore diegetico (v. i nn. 13 sgg. di ORFF 1940, che corrispondono alle canzonette dell’inizio del secondo atto monteverdiano; in MADERNA 1967 gli spiriti che diffondono per gl’inferi il decreto di Plutone sono in due punti della scena, uno con tre trombe e un trombone, l’altro con quattro corni e due tromboni; i ritornelli del Prologo sono rimbalzati tra legni in scena e archi in buca, similmente accade in «Lasciate i monti» dove solisti e strumenti in scena si alternano a coro e strumenti in orchestra; nell’atto V il la- mento di Orfeo è accompagnato prima da corni inglesi e chitarre in scena, cui si aggiungono su «Tu bella fusti e saggia» flauto, clarinetti, fagotti, tromboni, direi a scopo prettamente stereofonico, senza giustificazioni drammaturgiche; questi strumenti si alternano poi con l’orchestra nell’esecuzione del Ritornello M). Da notare, tra gli strumenti particolari, i corni di bassetto di ORFF 1940 (cui associa una connotazione luttuosa), il mandolino e la celesta (che richiamano la cetra, ad esempio nel Ritornello L) in MADERNA 1967, nonché, sempre in quest’ultimo, lo stuolo di percussioni, tra cui le campane tubolari che rintoccano a morto a scandire le sentenze che condannano Euridice a tornare tra le ombre, e, direttamente da Darmstadt, il vibrafono (ma «ohne Motor») per la Moresca. Si è detto che gli strumenti di Monteverdi si dividevano per convenzione in due famiglie espressive: quelli usati per l’ambiente agro-pastorale e quelli spiccatamente infernali (ottoni, regale) cui si affiancano gli archi, più versatili, e l’organo di legno, la cui connotazione è affettiva e non logistica (morte, dolore). L’uso ubiquo degli archi ha fatto supporre, da fine Ottocento, che l’orchestra dell’OM fosse basata sul moderno 167 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata quartetto; CESARI 1910 critica questa opinione e l’uso pervasivo degli archi nella realizzazione del continuo di OREFICE 1909;104 caratteristica che si ritrova largamente in RESPIGHI 1935 (e, plausibilmente, in BENVENUTI 1934) e in ORFF 1940, nei quali ci si im- batte sovente nel raddoppio di sapore verista della linea del canto (esempio musicale 8°, p. 9 dello spartito, e 8b).105 La scena della Messaggera di ORFF 1940 è sostenuta dai legni, che evidentemente assumono le veci dell’organo di legno: ma l’equazione legni=organo di legno non è costante, e MADERNA 1967 la smentisce più volte: la sua Messaggera entra sostenuta dai tromboni, dà l’annuncio infausto con arpe, corni e archi, racconta ciò che accadde nel «fiorito prato» accompagnata dai soli archi e decide di ritirarsi in un «solitario speco» seguita da legni e cembalo (che se l’equazione fosse corretta starebbero per organo di legno e cembalo, coppia inconcepibile per Monteverdi in quanto somma degli opposti); in compenso «Tu se’ morta» è cantato coi legni; ma, a dimostrare l’assoluta libertà che ne guida le scelte, Maderna riporta la didascalia «Qui entra nella barca e passa cantando al suono del organo di legno» ma opta per colpo dei corni, archi in tremolo e clarinetti. In D’INDY 1905, che, abbiamo visto, cerca di riprodurre fedelmente l’orchestra monteverdiana, ci s imbatte non raramente nel continuo realizzato dagli archi (figlio della stessa congettura che avrebbe influenzato OREFICE 1909), ma non mancano numeri in cui viene affidato semplicemente al cembalo o all’organo: tuttavia non sembra che d’Indy avesse colto pienamente la differenza di ruolo dei due strumenti, cosicché il solo cembalo accompagna il dubbio di Orfeo («Ma mentre io canto»), dove forse sarebbe più appropriato l’organo di legno, e le sinfonie C ed E sono realizzate senza ottoni (che però accompagnano, giustamente, «Pietade oggi ed amore»). Ma la questione degli ottoni è delicata: se i tromboni che introducono la Messaggera in MADERNA 1967 (e in ORFF 1940) presagiscono la natura luttuosa del suo intervento (un’inferalità estesa, potremmo dire, non limitata logisticamente – e dunque deno104 Il già citato BARONCINI 1993 dimostra l’effettiva ‘cultura dell’arco’ delle corte mantovana; ciò non vuol dire, comunque, che gli archi realizzassero il continuo (è questa l’opinione errata). 105 Da una recensione di Massimo Mila si viene a sapere che ancora la revisione di Alceo Toni (che si poneva dalla parte di quelle ‘fedeli’), andata in scena alla Piccola Scala di Milano nell’aprile del 1957, seguiva la falsa opinione di un’orchestra monteverdiana basata principalmente sugli archi, sebbene a quell’epoca fosse «respinta dagli studiosi, e parzialmente accolta solo per l’ultima opera monteverdiana». Il risultato fu che «lo sferragliare dei due clavicembali o i blandi muggiti degli organi, [spadroneggiavano] fastidiosamente sopra la monotonia degli archi» (MILA 1957, p. 14). 168 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 8a: RESPIGHI 1935 (Atto I, Pastore, «In questo lieto e fortunato giorno») Fagotto Oboe Corno inglese Fagotto C. i. Flauto 169 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Corno inglese Fagotto 170 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Archi 171 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 8b: ORFF 1940 (Atto III, Orfeo, «Ahi sventurato amante» [«Weh mir»]) 172 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 9: BENVENUTI 1934 (Atto II [=IV], «O degli abitator de l’ombre eterne»). 173 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 10: ORFF 1940 (Atto III, Caronte, «Tu ch’innanzi morte a queste rive» [«Halt du»]). 174 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 11: MADERNA 1967 (Atto IV, Euridice, «Ahi vista troppo dolce») 175 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata tativa e quasi scenografica – ma più largamente connotativa), non sempre gli ottoni richiamano l’inferno; questo accadeva nel Seicento, ma nel Novecento la retorica dei timbri non era più così univoca. Negli organici compaiono ad esempio i corni, che possono calarsi senza problemi in ambiente pastorale, e la funzione regale, maestosa, degli ottoni viene ad affiancarsi a quella prettamente oltretombale anche grazie all’utilizzo esteso a tutta la partitura (e non solo alla Toccata) delle trombe con il loro gesto distintivo: lo squillo. Così l’Apollo di RESPIGHI 1935 entra sui ricami delle arpe e poi canta con l’accompagnamento splendente di arpa, corni, trombe e tromboni interni, e si è già detto che quello di MADERNA 1967 può essere accolto dalla ripresa ad libitum della Toccata (ma poi canta accompagnato da mandolini, chitarre, arpe e cembalo: decisamente più ‘apollinei’); e ORFF 1940 aggiunge una sfumatura maestosa a Orfeo sostenendo i virtuosismi di «Orfeo son io» con due trombe e quattro tromboni. Gli squilli di «4 trombe interne, lontane» scandiscono l’omaggio degli spiriti dell’oltretomba al loro signore in BENVENUTI 1934 (esempio musicale 9). Inoltre le trombe entrano sfavillando limpidamente nelle scene pastorali: RESPIGHI 1935 le usa in «Lasciate i monti» e in «Chiome d’oro» (in cui gli strumenti concertanti secondo l’originale dovrebbero essere violini), BUCCHI 1968 affida loro l’ultimo Ritornello A del Prologo e le fa squillare gioiosamente in «Ecco Orfeo», e non tralascia di inserire gli ottoni in «Rosa del ciel» (per il carattere sacro della prima parte del pezzo?). Altro elemento dell’orchestrazione che è legge non scritta della musica occidentale, perlomeno da quando il melodramma ha codificato i caratteri in base alla vocalità e i ruoli maschili non sono più stati scritti per voci femminili, è l’accompagnamento chiaro in tessitura acuta delle voci femminili (a conferirne grazia, angelicità) e scuro e grave di quelle maschili, specie se crudeli. Se ci si pensa la differenza segnalata da Monteverdi è più che altro timbrica: Caronte canta al suono del regale, quindi di un suono aspro, non grave; invece il Wächter di ORFF 1940 non è sostenuto da un suono ‘brutto’ (anzi, agli archi gravi è prescritto di suonare «dolce»!) ma scuro (esempio musicale 10). In modo complementare la sua Euridice canta «Io non dirò qual sia» con accompagnamento terso di viole e violini con sordina, e quella di MADERNA 1967 duetta con un controcanto dei violini molto più acuto della sua melodia su un tappeto delicatissimo degli archi (esempio musicale 11); un netto cambio di registro e di carattere (da inquieto a sereno) si trova poi in RESPIGHI 1935 quando la Speranza prende la parola in risposta a Orfeo (che 176 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata non è ‘crudele’, ma è accompagnato da sonorità scure in quanto appena disceso agl’inferi). IV.6. Realizzazione del continuo tra armonia e fioritura Il problema di spiegare la molteplicità, che al limite si prospetta infinita, delle produzioni, attraverso la capacità generativa d'un repertorio finito di possibilità formali.106 Come si sarà intravisto dagli esempi musicali, non è solo con l’orchestrazione che i trascrittori ‘personalizzano’ la loro realizzazione del basso continuo. Vi è innanzitutto il problema della non univocità delle scelte armoniche che esso sottintende, e in secondo luogo la sua predisposizione a essere infarcito di controcanti, temi ricorrenti, accompagnamenti con un profilo definito che concorre a diversificare e a dotare di una fisionomia individuale i diversi numeri. IV.6.1. Armonia Innanzitutto i problemi di armonia. Ho ritenuto utile compilare un quadro sinottico con le diverse realizzazioni armoniche scelte dai vari revisori di due frasi dell’OM che si prestano a diverse interpretazioni del continuo. Dall’analisi di questi due casi emergono quali siano le alternative più o meno valide107 che si presentano al momento della realizzazione del continuo monteverdiano. Si tratta di un frammento della scena della Messaggera e di uno del lamento di Orfeo «Questi i campi di Tracia» del quinto atto (assente in D’INDY 1905, OREFICE 1909 e ORFF 1940). Ho riportato nel primo rigo la melodia del canto e nell’ultimo la linea del basso (tratte dalla trascrizione di GALLICO 2004), cui ho uniformato i valori ritmici e la divisione in battute delle edizioni che si discostano in questo dall’originale (il rebar è presente praticamente in tutte le revisioni a suggerire la scansione fraseologica del recitativo); ho ridotto su un solo rigo le realizzazioni del continuo tralasciando di riportare il basso; di D’INDY 1905, RESPIGHI 1935 e BUCCHI 1968 106 Noam Chomsky citato da PIAGET 1968, p. 26. Con ‘validità’ mi riferisco alla coerenza col testo (quello di riferimento e quello complessivo della revisione in esame); per un approccio più storiografico (che cerca nel contesto il perché di certe scelte) rimando alle considerazioni infra, e specialmente a IV.7. 107 177 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata ho trascritto la versione per canto e pianoforte, di MADERNA 1967 l’ho fatto nel primo esempio ma non nel secondo, in cui la riduzione era troppo semplificata e non dava l’idea dell’orchestrazione; di Malipero ho riportato l’edizione degli opera omnia del 1930, la cui armonia riproduce in maniera quasi identica l’edizione del 1923 e si limiterà ad essere orchestrata nella riduzione scenica del 1949. Nell’esempio della Messaggera c’è una sorta di bonus, la realizzazione di Vito Frazzi pubblicata (relativamante a questo pezzo e a pochi altri esempi) in ANFUSO–GIANUARIO 1972, che con tutta probabilità corrisponde a quella eseguita al Maggio musicale fiorentino nel 1949 (anche se presenta il copyright del 1972). Iniziamo con la Messaggera (esempio musicale 12). Il passo ha un episodio in un tono lontano (batt. 6-7, passaggio brusco da mi maggiore a mib/do minore) che ha complicato non poco le cose a chi si ostinava a voler considerare l’armonia monteverdiana in modo troppo modernamente tonale. Ì batt. 1: già il primo accordo è un problema: c’è chi lo risolve con una pausa (D’INDY 1905, OREFICE 1909, HINDEMITH 1943), chi decide per una triade maggiore su mi (a causa del sol# che segue al canto), chi minore (Frazzi), chi né maggiore né minore (ORFF 1940, WENZINGER 1955). Quando il basso sale a fa# è chiaro che si va su un re maggiore (magari con un ritardo della fondamentale [WENZINGER 1955] o della terza [STEVENS 1967]; ORFF 1940 tiene il pedale di mi). Frazzi trasforma questo re maggiore in una dominante del successivo mi (con un ritardo non risolto del re naturale). Si noti che continuano a proliferare gli ‘ignavi’ che si salvano con delle pause. Ì batt. 2: il primo accordo è quasi per tutti una triade maggiore su mi (con una strana settima in TARR 1974, normalmente esemplare nella sua realizzazione asciutta e corretta), in MALIPIERO 1930 è un VI di mi – il cui do# non è altro che una nota di passaggio appartenente alla scala melodica di quel mi minore di due tactus successivo – e in Frazzi un curioso la minore in secondo rivolto che si scontra col sol# al canto; si noti la smania di ‘dominantizzare’, che aveva già invaso STEVENS 1967 nella battuta precedente, e che gli fa realizzare questo accordo come un V del successivo V di mi; da segnalare poi la scelta di ORFF 1940, che mette una pausa al sol# del canto per poter far suonare a oboi e corno inglese un mesto sol naturale (inoltre tutta la battuta ha un bel pedale di do che aggiunge un certo sapore di indeterminatezza). È ancora una volta il canto a far decidere se far risolvere il si re# fa# (la) su un mi maggiore o minore: la prima op- 178 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 179 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 180 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 181 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata zione è prediletta, anche se ‘contro il testo’ («infelice»), da coloro che ritengono erroneamente diesis il sol della Messaggera (EITNER 1881, D’INDY 1905, HINDEMITH 1943; OREFICE 1909 si astiene). L’ultima nota del canto sarà un fa o un fa#? Nel dubbio eviterei di inserire degli accordi di passaggio col fa naturale come hanno fatto MALIPIERO 1930, HINDEMITH 1943 e STEVENS 1967; tanto più che siamo di fronte a uno dei rari casi in cui Monteverdi cifra il basso (ci vuole per forza un la), quindi il bell’effetto maggiore/minore di RESPIGHI 1935 e HINDEMITH 1943 (che comporta un sol tenuto, che si prolunga nella battuta successiva continuando a contraddire quel «4» al basso) è ‘filologicamente scorretto’. Ì batt. 3: c’è una successione mi–la da alcuni intesa in modo tonale (col sol#), da altri (i primi tre: sospetto assunzione acritica del ‘modello Eitner’) col sol naturale; si noti la nona di dominante in RESPIGHI 1935 e la compresenza per pedale della sensibile e della tonica nell’accordo risolutivo. Ì batt. 4: si coglie l’occasione per mostrare un altro intervento sulla linea melodica di ORFF 1940 (sono frequentissimi): se a batt. 2 aveva tagliato con una pausa il sol# iniziale, ora dimezza i valori del ribattuto cadenzale sulla parola «funesto», e pertanto per lui il primo accordo di questa battuta, che per tutti è il prolungamento del mi precedente, non c’è; lo stesso avverrà con le ultime due sillabe di «Euridice», a fine battuta. La Messaggera pronuncia delicatamente «la tua bella Euridice» (si noti lo schiarirsi dll’orchestrazione in RESPIGHI 1935 e MADERNA 1967) su un pedale di mi e le opzioni armoniche sono: a) mi maggiore tenuto (il do# del canto è una nota di volta in compresenza col si), b) I-VI-I di mi, c) I-VI-III di mi (che permette a ORFF 1940 una scaletta si do# re#) , d) I-VI-VII/IV dim. di mi (solo D’INDY 1905). Ì batt. 5-6: ecco il punto cruciale del passaggio: il sol# al basso diventa sol natura- le e spunta un si bemolle in chiave. Eitner capisce che non può trovarsi di fronte a uno di quei casi che aveva corretto perché considerati errori di stampa, e allo stesso tempo si sente in dovere di offrire ai suoi contemporanei una ‘spiegazione’ plausibile della modulazione improvvisa: inserisce pertanto un accordo di transizione in un nuovo tactus, modificando la metrica; ma comunque sia l’espediente non conferisce chiarezza al passaggio: vuole modulare da sol# minore a mib maggiore, e lo fa trasformando cromaticamente il sol# minore in un VII di la, che a sua volta cromaticamente diventa una set- tima di dominante di do (evidentemente minore) che risolve con una cadenza di inganno 182 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata sul primo rivolto di mib. D’altronde non avrebbe potuto risolvere a do minore (accordo più adatto a «Ohimè»), col quale oltre che l’affetto anche la modulazione sarebbe stata più chiara, per via del sib al canto; l’unica era andare in sol minore, cosa che fanno tutti gli altri a parte D’INDY 1905 (che evita di inserire l’accordo di transizione ma per il resto copia EITNER 1881: il che vuol dire che fa seguire bruscamente a un sol# minore un solsi-re-fa) e BENVENUTI 1934, che opta anch’egli per il mib ma senza tentativi modulanti: lo affianca semplicemente al sol# minore camuffato enarmonicamente da lab minore; Frazzi presenta in successione tutti gli accordi che era possibile inserire: mib, sol minore, do minore. Ma non finisce qui. Se il basso scende per grado da sol a mib, non dovrebbe esserci il bisogno di armonizzare il fa con un nuovo accordo che congiunga il sol minore al mib o do minore successivo, basterebbe considerarlo una comunissima settima di passaggio, al massimo si può raddoppiarlo per terze con un la (bemolle in BENVENUTI 1942 e MADERNA 1967: diventa un IV di do minore; naturale in ORFF 1940: IV di do minore costruito sulla scala melodica). Invece la mania ‘tonalizzante’ che vede dominanti ovunque ha costruito su quel fa (a partire da EITNER 1881, seguito da D’INDY 1905, OREFICE 1909, BENVENUTI 1934 e Frazzi) un VII di mib che con quella settima di terza specie al canto forma un parente stretto del Tristan-Akkord!108 Ì batt. 7: la strada è duplice: o si sottolinea il testo con un do minore (però in pri- mo rivolto), o si predilige cadenzare in posizione fondamentale con un mib. Poi si ripresenta il problema di prima, ma inverso: bisogna tornare in mi. Eitner seguita ad aggiungere accordi, e questa volta ne mette due: trasforma il mib in mib minore, mette una pausa al basso e lo fa diventare, per vie cromatiche ed enarmoniche, un V/V di mi, e il gioco è fatto. Gli altri invece non si fanno problemi (c’è solo una strana settima vagante in BENVENUTI 1934). Ì batt. 8-9: su «la tua diletta sposa» si ripropone la stessa figurazione di «la tua bella Euridice» (è come se la Messaggera ricominciasse il discorso dopo l’interruzione di Orfeo), e tutti ripetono la loro soluzione precedente tranne MADERNA 1967, che se prima aveva concluso in mi maggiore ora va in sol# minore. «È morta» è una cadenza modale VII naturale–I di la minore (EITNER 1881 e OREFICE 1909 optano per un V natu- 108 Che il Tristan-Akkord si possa leggere come un accordo di settima di terza specie con alcune note scritte in modo enarmonico (fa-si-re#-sol# = fa-dob-mib-lab e cioè fa-lab-dob-mib) penso non ci siano dubbi: il suo mistero è sintattico, non morfologico. 183 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata rale); molto espressivo il ritardo 9 8 di ORFF 1940 (che a mio avviso suona meglio del 4 3 di STEVENS 1967) e l’anticipazione della tonica di MADERNA 1967; Frazzi propone un cromatismo la maggiore–minore. Per tirare qualche conclusione: la quantità di varianti possibili, come si è visto, è ingente, alcune sono più coerenti altre meno, alcune riflettono meglio l’affetto espresso dal testo, alcune si possono tacciare addirittura di essere ‘sbagliate’ in quanto contraddicono le indicazioni di Monteverdi. La tentazione di giustificare tonalmente ogni successione di accordi ha portato EITNER 1881 ad aggiungere degli elementi di raccordo modulanti, e ancora STEVENS 1967 e Frazzi tendono a ‘dominantizzare’ appesantendo l’armonia. Inoltre si possono isolare delle ‘scuole di pensiero’ ed altrettante derivazioni da un modello comune, perlomeno per i passaggi più complicati (anche se forse ‘copiare’ da EITNER 1881 non era una risorsa particolarmente felice): evidentemente siamo di fronte ad un contesto sonoro che accettava un certo colore armonico tardo-ottocentesco che più tardi sarebbe risultato pesante e fuori luogo. Il fatto che nell’esempio successivo (13) non ci siano le realizzazioni di d’Indy e Orefice non è dunque un dramma: probabilmente avrebbero avuto molti punti in comune con EITNER 1881. Questo secondo esempio offre una progressione (interrotta e poi ripresa) e un lungo pedale. Ì batt. 1-5: Ecco qui sotto lo schema della progressione (tabella IV.6): ogni colonna corrisponde a 2/4, nella riga più in basso riporto il basso, in quella appena superiore lo schema armonico corretto (la nota in tondo indica la fondamentale dell’accordo, se maiuscola si tratta di un accordo maggiore) e nelle altre righe le alternative che si riscontrano dal confronto sinottico. 184 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 7 III /Mi La4/6, pausa Mi mi mi IV/Mi sol# su Re7 do# sol IV/La su rit. rit./app. ped. Mi mi Mi VI/Mi ped. Mi V/Re Re VI/Re Re V/Do Do IV/Re IV/Re V/Re V/Re = La VI/La su su su ped. ped. ped. mi do# mi la re batt. 1 si re sol 2 do sib sol la 3 la la fa# La la 4 Tabella IV.6 Come si può vedere è una progressione per toni discendenti: mi–re–do (interrotta) [– sib]–la; il primo e l’ultimo modulo iniziano con la tonica, il secondo, il terzo e il quarto poi interrotto con la dominante che conduce alla tonica (e che è il IV grado della tonica del modulo precedente); caratteristica di ogni modulo è il pedale di dominante tenuto dalla voce su cui si alternano I-VI-I grado: far alternare I-IV-I (MALIPIERO 1930, WENZINGER 1955, BUCCHI 1968) è una scelta infelice poiché il pedale di dominante viene ad essere la nona del IV (per il VI è la settima, più in stile), e in secondo luogo si sente già il IV come dominante che apre il modulo successivo; a onor del vero tra il primo e il se- condo modulo WENZINGER 1955 evita la riproposizione del IV e al suo posto (come BENVENUTI 1934 e RESPIGHI 1935) mette un sol# che funge da ritardo per il fa# del successivo accordo di re maggiore: il problema è che successivamente nessuno di loro ripete lo stesso meccanismo, rompendo in questo modo la progressione. Mettere sul sol del terzo modulo una triade minore spacca la progressione di MALIPIERO 1930 (e contribuisce alla ‘catastrofe’ di quella di WENZINGER 1955). HINDEMITH 1943 aiuta a cogliere la progressione scandendo ogni modulo con un profilo melodico ripetuto (grazie al quale si coglie anche l’ultimo modulo sebbene preceduto da un’interruzione della progressione e sfasato ritmicamente rispetto agli altri). Chi invece non l’ha proprio colta è EITNER 1881: la sua realizzazione del primo modulo non c’entra nulla con quella dei successivi ed è fine a se stessa, essendo sostanzialmente una modulazione da mi minore a la maggiore: mi minore–III7/la–la maggiore precadenzale (II rivolto)–V/la–la maggiore. Si noti 185 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 186 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 187 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata poi il colore delle armonie di BENVENUTI 1934 e RESPIGHI 1935, infarcite di settime e none (esempi a cavallo tra le batt. 2 e 3). Ì batt. 5-6: la batt. 4 si era aperta con una cadenza sospesa sul V di re, che poi, en- trando nel modulo della progressione, si era affermato come I di la; il valore di V di re lo riacquista sul pedale di batt. 5 fino alla cadenza perfetta di batt. 6 (si possono considerare le batt. 4-5 come una lunga perorazione della dominante di re che finalmente risolve sul secondo tactus di batt. 6; anche melodicamente si sta per più di una battuta sul mi, che rispetto a re suona decisamente dominantico, per poi scendere con una scala armonica di re minore che copre una nona fino alla tonica re). Sul lungo pedale le alternative sono: mantenersi sul V di re o far sentire già la tonica precadenzale in II rivolto: tra quelli che non optano per la prima opzione, c’è chi inserisce il re sul secondo tactus (HINDEMITH 1943, STEVENS 1967, BUCCHI 1968), chi sull’ultimo (WENZINGER 1955, TARR 1974), chi armonizza tutta la scala (MADERNA 1967) terminando la battuta sul IV grado (lui maggiore, cioè col si naturale della scala melodica, BENVENUTI 1942 minore). L’unico che non apre la batt. 6 con una cadenza perfetta ma con un più tragico VIIdim/I (con struggente ritardo 6 5) è RESPIGHI 1935, il quale, anche se nella prassi barocca le cadenze perfette erano sempre piccarde, tuttavia ritiene che una frase come «lagrimerò mai sempre», caratterizzata tra l’altro da quella seconda eccedente, non possa finire in maggiore; e condividono la stessa opinione BENVENUTI 1934 e BUCCHI 1968. Ì batt. 6-8: il re maggiore, comunque, arriva subito dopo richiamato dal fa# del canto (anche se c’è chi lo armonizza come VII dim. di sol [RESPIGHI 1935] o VI di re [STEVENS 1967]). Il do# al basso nella batt. 7 richiama ancora un’armonia dominantica di re, che risolve sul terzo tactus (BUCCHI 1968 ancora in minore, accompagnato da STEVENS 1967). Re che funge poi da V di sol (quasi sempre già anticipato in II rivolto, chi maggiore chi minore), con cui finisce il frammento: tutti maggiore, o perché eplicitato o perché si è sentito nella battuta precedente un si naturale; ma quel ritardo 6 5 di RESPIGHI 1935, ricalcato su quello a batt. 6, sembra suggerire ancora una volta che il compositore bolognese seguiva, come d’altronde aveva dichiarato, il suo gusto senza considerazione per la antiquata ‘prassi piccarda’. La tendenza respighiana ad armonie fuori stile e all’evitare le cadenze troppo affermative si può osservare anche nell’esempio 8a, proprio nel punto che poco sopra ci era servito ad illustrare il raddoppio ‘verista’ delle linee vocali da parte degli archi (ul- 188 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata timo sistema della p. 9); e per un esempio di arricchimento armonico del pedale v. l’esempio musicale 14. Esempio musicale 14: Respighi 1935 (Atto ii, Pastori, «Chi ne consola, ahi lassi») Corni Vc. Cb. Il dibattito sulla corretta interpretazione armonica dell’OM era il punto chiave dell’opuscolo con gli esempi di Vito Frazzi succitato.109 Tra l’altro si sosteneva con una certa arroganza che l’incipit di «Ahi caso acerbo» sia sempre stato letto male a causa di una normalizzazione errata. Infatti nell’edizione 1609 si presenta con il diesis posticipato (esempio musicale 15a): Esempio musicale 15 (Atto II, Messaggera, «Ahi caso acerbo») [ottoni] 109 [archi] [ottoni] ANFUSO–GIANUARIO 1972. 189 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata I redattori dell’opuscolo ritengono che se Monteverdi avesse voluto attribuire il diesis al sol (come la lettura normalizzata ha imposto) l’avrebbe scritto prima del sol come fa in tutto il resto dell’opera: è giusto invece lasciarlo lì dov’è, e lo scontro col basso sarebbe un caso di «ottava superflua» (una sorta di lungo ritardo che poi risolve sul sol#). Peccato che lo stesso incipit si ripete altre quattro volte nel giro di poche pagine, e che sia sempre scritto con il sol#. Quindi Frazzi e compagnia hanno preso una bella cantonata; a maggior ragione sarà curioso dare un’occhiata a quella che loro ritenevano l’unica vera armonizzazione del passaggio (esempio musicale 15b). Basta un’alterazione aggiunta o tolta ad indirizzare il revisore verso armonie anche lontanissime, come dimostra questo esempio limite e come già si era visto nell’analisi comparativa di «A te ne vengo Orfeo». Tuttavia anche con tutte le note ‘fisse’ corrette, l’elaboratore riesce a conferire un colore del tutto personale ai passaggi che desidera caricare espressivamente; ne è esempio l’«Ahi caso acerbo» di RESPIGHI 1935 (esempio musicale 15c). Sia chiaro che in tutto questo discorso non ho mai voluto dare delle preferenze estetiche a una o all’altra trascrizione: anche quando, nell’analisi armonica, ho in un certo senso diviso tra ‘buoni’ e ‘cattivi’ l’ho fatto in riferimento alla capacità di interpretare il testo suggerito dal canovaccio: mostrare quali parametri utilizzare per valutare – se si vuole farlo – la vicinanza allo stile di Monteverdi così come traspare dal testo; ci sono soluzioni che per chi cerca l’‘autenticità’ sono più valide, altre che hanno la loro motivazione e coerenza a livello di contesto del trascrittore (v. le armonie di Respighi: la sua scelta ‘anti-piccarda’, ad esempio, non sarà ‘valida’ in una prospettiva di ricalco stilistico monteverdiano – ma chi può davvero saperlo? – ma senz’altro lo è per la sua poetica e per le orecchie degli ascoltatori postromantici). IV.6.2. Fioriture Con questi esempi si può concludere il discorso sull’armonia. Restano ora da individuare gli altri modi con cui gli elaboratori personalizzano i numeri dell’OM: 1) i controcanti, 2) le figurazioni che tipicizzano gli accompagnamenti, 3) le variazioni melodiche. 1) Controcanti. Re dei controcanti è indubbiamente MADERNA 1967, la partitura è ricchissima di linee che vanno ad interagire con le voci. Maderna accoglie, in un certo senso, la componente contrappuntistica che pare dominasse la pratica del basso conti- 190 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 191 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 192 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 193 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 20a: D’INDY 1905 (Atto IV, Ritornello L e Orfeo, «Qual onor di te fia degno») 194 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 20b: MADERNA 1967 (Atto II, Ritornello F e Orfeo, «Vi ricorda, o boschi ombrosi») 195 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata nuo, anche se il gusto è decisamente posteriore e richiama semmai le arie d’opera con strumenti concertanti. Una strada è comporre ex novo melodie affidate a uno strumento solista caratteristico: si vedano gli esempi di Proserpina che si interseca con il flauto e Plutone con il corno (esempio musicale 16a e c); si confronti il primo con il medesimo passo in BUCCHI 1968 (esempio musicale 16b), in cui ci sono sempre i flauti (affiancati dagli oboi), ma il loro ruolo è più di riecheggiare i frammenti melodici appena proposti da Proserpina che di costruire un discorso autonomo: è un controcanto che segue e amplifica la linea principale, non che le si affianca; Bucchi utilizza il medesimo procedimento, in maniera più elaborata, nel duetto «Saliam cantando al cielo», in cui i violini rispondono decisamente ‘per le rime’ ai virtuosismi dei cantanti (esempio musicale 17a); nello stesso brano, Maderna agisce in modo simile ma con logica opposta: gli strumenti infatti anticipano le frasi dei cantanti (esempio musicale 17b); la scelta di HINDEMITH 1943 è di botta e riposta ritmica ma non melodica (esempio musicale 17c). D’altronde, che cosa c’è di più logico di aiutare i cantanti introducendo facendo enunciare l’incipit della loro parte prima dagli strumenti? RESPIGHI 1935 affida all’arpa sola buona parte di «Rosa del ciel» prima che Orfeo inizi a cantarla, naturalmente con non poca teatralità: è Orfeo che «tocca la cetra» improvvisando e poi segue con la voce il risultato della sua esplorazione sullo strumento (inoltre la ripresa strumentale di questo tema farà da postludio a «Io non dirò qual sia», suggellando l’unione tra i due brani e tra i due personaggi che li cantano); il modulo iniziale del pezzo può diventare tematico dell’accompagnamento, qual è il caso di «Tu se’ morta» di HINDEMITH 1943 (esempio musicale 18); OREFICE 1909 addirittura cita in conclusione di «O dolcissimi lumi, io pur vi veggo» l’incipit di «Ahi, vista troppo dolce», in modo da legare i due brani, seppur divisi da «Rott’hai la legge»; questa figurazione diverrà poi tipica dell’accompagnamento alle frasi di Euridice (esempio musicale 19). Sulla falsariga di questo ci sono esempi di controcanti che derivano il loro profilo dal ritornello che precede la sezione cantata (si confrontino tra loro gli esempi di «Qual onor di te fia degno» di D’INDY 1905 e «Vi ricorda o boschi ombrosi» MADERNA 1967, esempio musicale 20a e b), oppure che nascono da materiale appartenente a un numero dell’opera anche distante da quello in cui vengono a inserirsi: è il caso di MADERNA 1967, che ricama il controcanto di «Quest’è Silvia gentile» con materiale di «Muse, onor di Parnaso» (esempio musicale 21), o di BENVENUTI 1934 che riutilizza il materiale della Toccata in 196 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata apertura del primo atto a sottolineare il «lieto e fortunato giorno» (esempio musicale 22a); si confronti questo passaggio con un altro caso di citazione della Toccata nell’esempio dell’ultima strofa del Prologo di Frazzi (22b); sempre Frazzi, inoltre, accompagna «Tu se’ morta» con gli assoli che le arpe riproporranno in «Possente spirto». Esempio limite del riuso di cellule tematiche si trova all’inizio della partitura di Respighi: se si torna a leggere l’esempio musicale 8a ci si accorgerà che «In questo lieto è fortunato giorno» è accompagnato da una figurazione puntata (affidata ai legni), di sapore decisamente bucolico, che va avanti già da una pagina quando il pastore inizia a cantare; è una sorta di ritornello aggiunto dal trascrittore, ed è tutt’altro che libero: il profilo melodico-ritmico è infatti derivato dal duetto di fine atto «E dopo l’aspro gel» (in particolare dal melisma su «veste di fior»). Non è questo l’unico punto in cui Respighi compone dei raccordi: ne propongo come esempio uno che ha valore prettamente scenico (esempio musicale 23). Esempio musicale 21: Maderna 1967 (b) deriva il controcanto di «Questa è Silvia gentile» (Atto II, Pastore) da «Muse, onor di Parnaso» (a) (Atto I, Ninfa). 197 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 22a: BENVENUTI 1934 (Atto I, Pastore, «In questo lieto e fortunato giorno») 198 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 199 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 23: RESPIGHI 1935, raccordo prima di «O degli abitator de l’ombre eterne» (Atto IV) 200 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 2) Moduli d’accompagnamento. L’esempio respighiano di «In questo lieto fortunato giorno» presentava un controcanto che per la sua regolarità veniva ad assumere la veste di un vero e proprio modulo d’accompagnamento che tipicizza notevolmente il numero. Ma non è necessario che questa funzione venga assunta in modo così elaborato, basta l’utilizzo ripetuto di una figurazione ritmica a conferire ad un recitativo una sua fisionomia che lo rende un pezzo chiuso. È quanto avviene, in modo molto semplice, ad esempio, in «Muse onor di Parnaso» di RESPIGHI 1935 (esempio musicale 24). Più interessante ancora è reiterare un modulo pregnante, come fa, sempre Respighi, con la seducente intercessione di Proserpina (notevole anche per l’armonia, esempio musicale 25a), o Maderna con la fredda accoglienza di Caronte nei confronti di Orfeo, in cui lo sfasamento metrico del modulo ne aiuta lo scopo di ‘far sobbalzare’, dal momento che tende a ripresentarsi in momenti lievemente sfasati, per cui non si sa mai quanto comparirà esattamente (esempio musicale 25b; una figurazione molto simile e sempre affidata agli archi c’è anche in RESPIGHI 1935 in corrispondenza dell’altro intervento di Caronte, «Ben mi lusinga alquanto»: che quella di Maderna sia una ‘citazione’?). E dal momento che si è parlato del grande successo del racconto della Messaggera, propongo il confronto tra le fisionomie che viene ad assumere nelle elaborazioni di OREFICE 1909 e RESPIGHI 1935 (esempio musicale 26a e b). Ci sono, nell’OM, molti passaggi concitati: e l’accompagnamento può aiutare ad enfatizzarne il carattere. Ad esempio quando gl’inferi attraggono di nuovo ed inesorabilmente Euridice portandola via da Orfeo, il cantore cerca di inseguirla disperato: si confrontino due diverse rese della sua agitazione in OREFICE 1909 e MADERNA 1967, l’uno che inquadra il canto in un rapido accompagnamento piuttosto standard a terzine, l’altro che invece rende frenetico il passaggio facendo riproporre in successione agli archi f, dal grave all’acuto, il singhiozzante incipit «Dove ten vai», con un effetto di rincorsa affannata, per poi far fare il percorso inverso, dall’acuto al grave, ad una scaletta discendente, ascoltando la quale si visualizza l’immagine di Euridice che viene trascinata rapidamente verso i «più profondi abissi» (esempio musicale 27a e b ). Un effetto se non concitante, dal momento che è in un momento drammaticamente statico, ma senz’altro teso a provocare agitazione è quello che sfrutta RESPIGHI 1935 nella Sinfonia D, anche se alla velocità per cui la prescrive il risultato è molto meno frenetico di quanto possa apparire sulla carta (esempio musicale 28). 201 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 24: RESPIGHI 1935 (Atto I, Ninfa, «Muse, onor di Parnaso») [archi] 202 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 25a: Modulo ritmico in RESPIGHI 1935 (Atto IV, Proserpina, «Signor, quell’infelice») Corni Vc. Cb. 203 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 204 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 26: Atto II, Messaggera, «In un fiorito prato» a) RESPIGHI 1935 Violini 205 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata b) OREFICE 1909 206 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 27: Atto IV, Orfeo, «Dove ten vai, mia vita?» (concitazione) a) OREFICE 1909 207 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata b) MADERNA 1967 208 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 28: Accompagnamento concitante della Sinfonia D in RESPIGHI 1935 [archi] Trombe e Tromboni 209 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 3) Variazioni melodiche. Oltre ad agire sull’accompagnamento ci sono alcuni numeri in cui gli elaboratori hanno modificato il profilo melodico, strumentale o vocale. Il brano più variato è indubbiamente la Toccata: a partire da OREFICE 1909, continuando con RESPIGHI 1935, ORFF 1940 e MADERNA 1967, si sono moltiplicati gli squilli in imitazione, più o meno secondo lo stesso schema (il più singolare è ORFF 1940, esempio musicale 29a e b). BUCCHI 1968 non ha proprio variato il profilo melodico risultante ma ha incastrato senza cadenza le prime due ripetizioni e sulla cadenza (in do maggiore) della seconda ha dato il via alla terza ripresa in mib! BENVENUTI 1934 invece ha agito sul Prologo: le strofe si incastrano senza soluzione di continuità coi ritornelli, i quali sono molto variati rispetto all’originale e fra loro (si veda l’esempio musicale 30 con la fine della quarta strofa la cui ultima nota coincide con la prima del Ritornello A e la sovrabbondante ornamentazione di questo). Quanto alla fioritura delle linee vocali, si è detto (v. supra, III.2.2) del problema della giusta quantità di interventi da parte dell’interprete: WENZINGER 1955, STEVENS 1967 e MADERNA 1967 scrivono per esteso alcuni abbellimenti; il primo in note di dimensione ridotta affiancate all’originale, gli altri due a caratteri normali, senza possibilità di distinguere tra i loro interventi e le fioriture esplicitate da Monteverdi (ce n’è pareccchie ad esempio in «Qual onor di te fia degno», v. supra, IV.2.3, a proposito del problema di rendere in traduzione i madrigali- smi); dei tre STEVENS 1967 è quello che fornisce l’inventario completo dei tipi di abbellimenti: sulle note tenute in cadenza, a sottolineare certe parole (creando così dei nuovi madrigalismi) e l’unione delle due cose (madrigalismi in cadenza; esempio musicale 31). C’è poi il caso «Possente spirto»: quale delle due versioni è stata inclusa nelle diverse edizioni? Posto che, come risulta dalla tabella IV.4, questo numero ha subito pa- recchi tagli, tuttavia è interessante analizzare come è stata trattata anche solo l’unica strofa riportata. A trascrivere la doppia versione dell’aria sono EITNER 1881, MALIPIERO 1923 e 1930, BENVENUTI 1934 e 1942, HINDEMITH 1943, BUCCHI 1968 (che indica come «versione semplificata» quella semplice), TARR 1974, GALLICO 2004; solo la versione semplice: MALIPIERO 1949; solo la versione fiorita: D’INDY 1905, ORFF 1940, WENZINGER 1955, MADERNA 1967; RESPIGHI 1935 fa una via di mezzo, e OREFICE 1909 inizia con la versione fiorita, poi affida i virtuosismi agli strumenti e fa a cantare ad Orfeo un ‘riassunto’ (esempio musicale 32a). Per concludere il discorso su «Possente spirto» va segnalato che ORFF 1940 e MADERNA 1967 fanno anticipare dagli strumenti del conti- 210 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 29a: ORFF 1940 (Toccata) 211 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 29b 212 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 30: BENVENUTI 1934 (Prologo, Ritornello A) 213 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Esempio musicale 31: fioriture melodiche in STEVENS 1967 Esempio musicale 32: Atto III, Orfeo, «Possente spirto» a) OREFICE 1909 214 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata b) ORFF 1940 215 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 216 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata c) MADERNA 1967 217 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata 218 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata nuo gli interventi di quelli solisti prescritti da Monteverdi, amplificandone ulteriormente il caratteristico effetto d’eco (esempio musicale 32b e c). IV.7. Conclusione: la spinta storiografica ... l’opera così concretata conserva infatti i suoi valori espressivi nelle più disparate revisioni ed interpretazioni, e ciò non tanto perché le leggi del suo attuarsi siano date una volta per sempre, ma perché l’idea che l’informa e il suo intimo respiro sono vissuti dall’autore con tale intensità e si manifestano con tanta precisione in ogni particolare elemento, che il tradirla è impossibile senza una premeditata e calcolata volontà in tal senso.110 Questa carrellata di esempi dovrebbe aver dato un’idea della quantità e della qualità di ‘(ri)composizione’ presente in molte delle trascrizioni novecentesche dell’OM. La presentazione di alcuni excerpta in fac simile consente di avere un’idea anche della veste grafica in cui si presentano, e di associare ad un rimando autore–data anche un’immagine concreta di quello che è il lavoro: se il mezzo non sarà forse totalmente il messaggio, tuttavia dà il suo contributo. Cercando di rispondere alla domanda ‘perché l’OM?’ si è venuti a contatto con una cultura musicale impregnata di wagnerismo di cui abbiamo colto i riflessi nell’armonizzazione pratica dell’opera tra fine Ottocento e inizio Novecento. I propositi dichiarati dai compositori circa i loro interventi sull’OM si sono rivelati, all’esame concreto, spesso corrispondenti al vero per chi reclamava la propria libertà (e si è visto in quanti modi è stata esercitata), forse meno per chi si poneva su un livello di ‘fedeltà’ o riproduzione della prima esecuzione (si vedano gli esempi di HINDEMITH 1943). I tagli: tutti i rapporti, le corrispondenze, la simmetria formale e la dispositio simbolica degli elementi dell’OM che si elencavano a proposito della sua ‘chiusura’ in molti casi vengono meno: in alcune ridistribuzioni sceniche scompare l’ABA’ Arcadia–Oltretomba– Arcadia, il valore drammaturgico dei ritornelli viene talvolta semantizzato in modo univoco ma diverso da un caso all’altro, la retorica dei timbri viene adattata ai tempi; dal 110 DOPLICHER 1949. 219 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata lato ‘apertura’ si sfruttano a pieno le zone lasciate ‘da riempire’, col risultato di mettere in risalto come pezzi chiusi alcuni passaggi, evidenziare il tematismo, inquadrare il flusso del recitativo nella reiterazione di moduli ritmici. E così via. L’analisi è servita a conoscere i lavori in oggetto, ad avvicinarli criticamente, a valutarne la coerenza rispetto ad alcuni punti di vista suggeriti dalla partitura-scheletro, a riscattarli da una critica che li aveva quasi sempre valutati negativamente. A questo punto si possono tirare le somme delle considerazioni raccolte e valutare le revisioni dell’OM non tanto in sé, quanto come testimoni dell’epoca in cui sono state redatte; la domanda a cui tentare di rispondere non sarà più in che modo si sono comportati i revisori di fronte ai momenti di apertura dell’OM, ma perché hanno optato per le scelte che sono emerse dall’analisi comparata. Il terreno è sdrucciolevole: si rischia di giungere a conclusioni forzate o di esagerare con i sofismi. Mi limiterò ad alcune considerazioni che diano un’idea della prospettiva suggerita. Si sono già indagati gli atteggiamenti che hanno fatto avvicinare i compositori a quest’opera, e ciò ha messo in luce il mutamento, nel corso del XX secolo, del tipo di approccio con la musica antica. In sintesi, alla luce dei metodi che hanno applicato per attuare i loro propositi: 1) agli albori della riscoperta della musica antica, ancora nell’Ottocento, c’è la ricerca di curiosità: si pensi ai «concerti storici» di Fétis o di Mahillon, in cui gli strumenti antichi sono indispensabili per accentuare il carattere esotico della musica pre-classica e per realizzare un’adeguata couleur locale; 2) lo scopo di d’Indy e Orefice era far piacere l’OM al pubblico e per farlo dovevano alleggerirlo: poco importavano le relazioni formali, le simmetrie che emergono a livello analitico, la loro esigenza era render l’azione drammaticamente viva (v. la soppressione del I atto da parte di d’Indy in quanto giudicato una mera ‘pastorelleria’ inutile al dramma). Tale ‘politica dei tagli’ era un’eredità della prassi antologica tipica del concerto ottocentesco (v. ancora i programmi ‘ad assaggio’ dei concerti della Schola cantorum); 3) atteggiamento simile è quello di Bucchi o Berio: «ricostruire la fecondità di un ‘rapporto’ col pubblico odierno»;111 si tratta di un approccio artistico (e non filologico) alla partitura finalizzato ad una sua fruizione più piena. Se nella prima decade del No111 BUCCHI 1983, p. 36. 220 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata vecento il mezzo più opportuno erano i tagli strutturali, nel 1968 di Bucchi lo sarà sostanzialmente l’orchestrazione moderna e nel 1984 postmoderno di Berio l’arrangiamento plurimediatico e pluristilistico; 4) la differenza con l’approccio artistico di un Respighi o di un Maderna sta nel fatto che questi ultimi non hanno come scopo tanto l’attualizzazione di un rapporto fruitivo, quanto il conferimento della propria impronta al testo-canovaccio: non sono spinti da un’attenzione rivolta al momento dell’ascolto ma a quello della (ri)composizione, si potrebbe dire. Impronta che è decisamente armonica e orchestrale in Respighi, contrappuntistica (i controcanti) e spazializzante (i gruppi strumentali divisi spazialmente o in dialogo timbrico) in Maderna (figlio della nuova attenzione della neo-avanguardia alla stereofonia delle sorgenti sonore; si notino le prescrizioni per il dislocamento dei gruppi strumentali anche nel contemporaneo Bucchi); 5) più nettamente appropriativa è l’azione di Orff: si pensi alla riscrittura non solo linguistica ma stilistica e contenutistica del libretto, alla libertà di trattamento dell’ordine dei brani e alla loro scomposizione ricontestualizzata (v. il duetto ApolloOrfeo che diventa duetto Euridice-Orfeo: siamo di fronte alle contemporanee aggiunta di una sequenza drammatica, dislocazione variata di un numero, scomposizione di un’unità testo-musica); 6) ciò che interessa invece a Malipiero è la presentazione dell’opera ad un pubblico colto di studiosi e compositori (ricordo quel passaggio della prefazione alla partitura: «Non si aggiunge il riassunto per pianoforte tanto caro ai dilettanti»). Scopo che non è in fondo diverso da quello di Eitner: le loro sono trascrizioni da leggere più che da eseguire. Certo cambia l’approccio editoriale: il positivismo eitneriano sceglie criteri quanto più diplomatici (ad iniziare dalle chiavi antiche) e allo stesso tempo rende più comoda la lettura con la cosiddetta (con curiosa espressione latina, forse per nobilitarla) reductio partiturae;112 7) la fusione di filologia testuale e fine esecutivo è il «tentativo di ricostruzione della prima esecuzione» di Hindemith (negli stessi anni si ricordino gli altri tentativi di esecuzione con strumenti antichi: da Collaer nel 1942 a Wenzinger nel 1955); approccio che è sintomo dello sviluppo dell’atteggiamento ‘museale’ nei confronti della musica che avrà i suoi sviluppi nelle edizioni pratiche (ma filologiche) della fine degli anni ’60 112 Tale curioso sintagma è utilizzato ad esempio dall’editore Chester di Londra. 221 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata (Tarr e Stevens) e nella nascita dei gruppi che propongono esecuzioni ‘storicamente informate’. Le scelte tecniche e compositive adottate nelle riscritture dell’OM ci parlano, quindi, non solo del rapporto col Seicento, ma della musica del Novecento. E che la riesumazione del repertorio antico potesse contribuire al rinnovamento della musica contemporanea era convinzione che accomunava d’Indy e Malipiero. Ciò che interessava loro era far conoscere Monteverdi, non la loro elaborazione: in d’Indy questo si traduce in un tentativo di restituire il più fedelmente possibile (e cioè attenendosi alle indicazioni strumentali) un’antologia dell’opera, per Malipiero era essenziale presentarla nella sua interezza (nella veste editoriale dell’edizione 1609 e col continuo realizzato a carattere ridotto): nel ’49, una volta riportata alla luce l’opera nella sua integrità, potrà darne la sua interpretazione, ridurla, cambiare il finale che, si è letto nei suoi scritti, proprio non gli piaceva. Che il finale non funzionasse era stata opinione anche di d’Indy: tant’è che lo incluse tra le parti tagliate. Lo stesso vale per Orefice. Orff opta per un’ambientazione introversa e dunque non sa cosa farsene di un finale esteriore e ‘rumoroso’ come quello bacchico, né di uno spettacolare-simbolico col deus ex machina: entrambi si allontanerebbero troppo dal carattere decadente e dal rapporto umano tra i due protagonisti tratteggiati nel libretto della Günther; la soluzione non può che essere l’assenza dei due finali possibili a favore di una chiusura netta della vicenda sulla seconda morte di Euridice. Non vanno poi sottovalutati i diversi contesti esecutivi che, vista la destinazione pratica della maggior parte delle trascrizioni, guidano non poco il processo (ri)compositivo. Si va dall’occasione ‘sperimentale’ di d’Indy, all’opera pomposa di regime (Benvenuti) – le cui didascalie ricchissime suggeriscono una messa in scena all’insegna del fasto e le cui interpolazioni rendono l’OM fascista un’opera con valenze celebrative della musica italiana, un’occasione mondana che sotto un’opera-ombrello ospiti in realtà un saggio dell’arte secentesca –, allo happening beriano. E forse la disposizione stereofonica dei gruppi strumentali alla Bucchi o alla Maderna, che include già un pensiero registico, non avrebbe senso per un Orefice che considerava l’esecuzione in forma di concerto come la più conveniente a una simile opera. 222 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata Anche le scelte armoniche, sembra paradossale, in alcuni casi sono meno legate al testo e alla sua decifrazione che alla storia della musica del Novecento. Nel senso che le settime, le none, le armonie non scontate di Respighi non servono tanto a conoscere l’OM quanto il linguaggio respighiano e il fatto che costui lo applicasse ovunque (come dimostrano anche le altre sue elaborazioni del repertorio antico). D’altro canto, ripercorrere l’accuratezza con cui, ad esempio, Hindemith riconosce una progressione e decide di renderla evidente è indice di quali siano i metodi dell’atteggiamento ‘purista’: lo studio accurato dei suggerimenti interni al testo al fine di realizzarlo nel modo ‘più giusto possibile’. Un ultima considerazione ancora sul libretto: il suo trattamento spazia dalla traduzione letterale di d’Indy (detatta da necessità precipuamente fruitiva), alla riscrittura in clima tedesco-simbolista di Orff, dal tentativo di ricreare la lingua barocca (in senso negativo) nel finale bacchico di Guastalla–Respighi, al porsi il problema della ‘scienza della buona traduzione’ nella Glover (un problema senz’altro figlio delle riflessioni e dei problemi sollevati dai linguisti e dalla recente ‘moda’ dello studio della semantica), fino al mantenimento del testo originale integrale, pur personalizzando decisamente il linguaggio musicale, in Maderna (cfr. con gli esempi, ricorrenti nella seconda metà del Novecento, di compositori che rimusicano un libretto di un’opera perduta: per restare in ambito monteverdiano si pensi all’Arianna [1995] di Alexander Goehr). Insomma, la storia della ricezione di un’opera non è solo censimento delle occasioni in cui è stata riproposta: è dialogo tra due epoche, lettura condizionata culturalmente, integrazione con le poetiche di chi la riceve; accogliere un’opera del passato è un’azione bicefala: i nuovi paradigmi ricettivi la trasformano, e allo stesso tempo è lei ad influenzare, con la sua diversità, la creazione di nuove opere. La ricezione novecentesca dell’OM è un caso emblematico: come affrontare questo capolavoro, come riproporlo? In molti hanno voluto dire la loro. Un’opera con una storia ricettiva così variegata è, come si diceva nell’introduzione, un pretesto: lo studio delle sue riproposte ha permesso di scattare alcune istantanee alla storia della musica del Novecento, ai cambiamenti degli approcci storiografici, alle idee spesso contrastanti sulla cosiddetta ‘autenticità’, al metodo (ri)compositivo di alcuni compositori più o meno importanti, al mutamento dei contesti della spettacolarità. E dopotutto, poco importa fare delle ‘classifiche’ su chi sia stato ‘più fedele’, ‘più coerente’, ‘più bravo’ nel trascrivere l’OM: vo- 223 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – 4. Analisi comparata lendo farlo si può scegliere il proprio metro di giudizio tra i tanti possibili (come emerge dall’analisi comparata). Non mi sembra, perciò, condivisibile l’atteggiamento di chi osteggia, critica fermamente e ridicolizza le elaborazioni:113 se ne son visti i difetti ma anche i pregi, e soprattutto sono testimonianza di un’epoca. Il non essere fedeli al testo non è un peccato in sé se il risultato dimostra una sua coerenza. Ho cercato di illustrare con degli esempi significativi i vari lavori, il loro rapporto con l’OM, il loro contesto. Il giudizio estetico lo lascio al lettore: giudichi lui se i trascrittori siano stati delle baccanti che hanno dilaniato l’Orfeo o degli apolli che l’hanno elevato al cielo. Scelga lui il finale apollineo o dionisiaco. 113 Agli interventi già citati passim, si aggiunga la critica ‘ideologica’ di Robert Donington a MADERNA 1967 (DONINGTON 1970, pp. 20 sgg.), che ne rimprovera il trasporto di alcuni numeri e lo definisce «Weak and disappointing» – critica condivisa da GLOVER 1975, p. 139. 224 Appendice 1: Incipitario brani strumentali Per la posizione esatta dei ritornelli e delle sinfonie si rimanda alla tabella IV.4. La trascrizione in notazione moderna utilizzata è quella di GALLICO 2004. 225 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Appendice 1 226 Appendice 2: Il mito di Orfeo nel Novecento musicale Fonti: riunisco e integro gli elenchi di PISTONE–BRUNEL 1999 (pp. 187-190) e CHIESA 1999. Anno di composizione [?] Titolo Autore della musica Autore del testo1 Tipologia Orpheus Eugène Bozza per violoncello Plaintes d’Orphée Jacques Leguerney lirica Orphée Christophe Looten per arpa Un chant de flûte pour Orphée Désiré Pâque flauto e pf. 1901 Orpheus with his lute Ralph Vaughan Williams da Shakespeare lirica 1902 Orphée et Pierrot Selim [?] M. Béliard commedia lirica 1906 Orpheus S. Savoia C. Zangarini poemetto in 1 atto 1907 A morte d'Orpheu F. de Azevedo e Silva F. de Azevedo e Silva opera 1913 Orphée Jean RogerDucasse Jean RogerDucasse mimodramma lirico 1919 Le bestiaire ou Le cortège d'Orphée Louis Durey da Apollinaire liriche Le bestiaire ou Le cortège d'Orphée Francis Poulenc da Apollinaire liriche 1920, 1925 L'Orfeide Gian Francesco Malipiero Gian Francesco Malipiero opera 1923 Orpheus und Eurydike Ernst Křenek da Kokoshka opera Orphée au tombeau d’Eurydice Marcel Bertrand 1924 Les malheurs d'Orphée Darius Milhaud Armand Lunel opera 1925 Der neue Orpheus Kurt Weill I. Goll cantata 1 Indicato come «da …» in caso di testo preesistente. 227 mélodie F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Appendice 2 Anno di composizione Titolo Autore della musica Autore del testo1 Tipologia 1925 Orfea D. Beloch cantata 1926 Orphée Jacques-Michel Zoubaloff in Dix pièces pittoresques per pf. 1928 La mort d'Orphée Francis de Bourguignon balletto L’intransigeant Pluton ou Orphée aux enfers Marcel Mihalovici Orfeo tragedia Vittorio Rieti 1930 Orpheus Paul Dessau Robert Seitz radiodramma 1931 Orphée Gustave Charpentier M. Delmas légende lyrique 1932 La favola di Orfeo Alfredo Casella Corrado Pavolini (da Poliziano) opera 1938 Orpheus with his lute Fritz Hart da Shakespeare lirica Orfeus i sta'n [O. in città] Hilding Rosenberg 1939 Orpheus with his lute Roger Quilter da Shakespeare lirica 1941 Orpheus en Euridike Henk Badings W. Buring e L. Andersen balletto Orpheus L. Harrison Sonetti a Orfeo Gianandrea Gavazzeni da Rilke liriche Orpheus John Lessard da Shakespeare lirica Orpheus and his lute W. Schuman da Shakespeare lirica Orphée Jean-Louis Martinet da Shakespeare composizione orchestrale 1946 Orpheus singt Günther Bialas da Rilke voce e orchestra 1947 Orpheus Igor Stravinskij Balanchine balletto Der Tod des Orpheus Helmut Christian Wolff H. Chr. Wolff opera Le cortège d’Orphée Claude Ballif da Apolinaire liriche Mystère orphique George Migot polifonia coreografica 1949 Orphée Georges Auric musica per il film di Jean Cocteau 1950 Pour le tombeau d'Orphée Marius Flothuis per arpa 1943 1944 1948 228 J.-F. Regnard opera musiche di scena balletto balletto F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Appendice 2 Anno di composizione 1950 Titolo Autore della musica Autore del testo1 Tipologia Le tombeau d’Orphée Hans Werner Henze balletto Orpheus in Thrazien Alfred Körppen per pf. Orpheus Roberto Lupi cantata coreografica Orfeo vedovo Alberto Savinio An Orpheus Robert Blum Sonette an Orpheus Roman Palester 1951, 1970 Orphée 51 ou Toute la lyre Pierre Schaeffer, Pierre Henry pantomima lirica 1952 Concerto d’Orphée Henri Sauguet per vl. e orch. 1953, 1958 Orphée 53 Pierre Schaeffer, Pierre Henry mus. di scena, poi cantata (Le voile d’Orphée, 1953), poi balletto (Orphée, 1958) 1954 Orpheus in der Unterwelt Hans Haug L. Anet (da Ovidio e Poliziano) opera 1956 Orfeu da Conceiçao Luís Bonfá V. De Moraes tragedia folk Yuridis Toru Takemitsu per nstro magnet. Meditation on Orpheus Alan Houhaness composizione orchestrale, poi balletto La nuova Euridice Roberto Lupi 1958 Orfeu negro Luís Bonfá e Antonio Carlos Jobim musica per il film di Marcel Camus da V. De Moraes 1959 Le testament d'Orphée Georges Auric musica per il film di Jean Cocteau Sonnets to Orpheus C. J. Hawley da Rilke liriche 5 Sonette an Orpheus Einajuhani Rautavaara da Rilke liriche Orfeo anno Domini Gianni Ramous Salvatore Quasimodo opera-oratorio 1951 1957 1960 MCMXLVII 1961 Orfey i Rodopa Tsvetan Tsvetanov La tragedia di Orfeo Wilhelm Killmayer A Song to Orpheus William Schuman 229 Alberto Savinio opera per 13 fiati da Rilke M. Della Quercia lirica mistero melodrammatico balletto da Poliziano opera, poi balletto fantasia per violonc. e orch. F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Appendice 2 Anno di composizione Titolo Autore della musica Autore del testo1 Tipologia 1961 Orphée Charles Trenet chanson 1962 Rezitationen des schwarzen Orpheus Klaus Hashagen per voce recitante e ensemble Euridikes diatheke [Il testamento di E.] Adriano Lualdi Adriano Lualdi opera 1963 Orphée Bruce Mather da Valéry lirica 1964 Orpheus J. Soler composizione orchestrale, poi (1965) balletto 1965 Ich, Orpheus Rainer Kunad opera Euridice Bent Lorentzen opera radio Aus den Sonetten an Orpheus Ivo Petric The marriage of Orpheus C. Turner composizione orchestrale Western Orpheus David WardSteimann balletto 1966 Orpheu em Lisboa Rui Coelho 1967 Orfejeva protnja Dubravko Detoni per pf. Beat für Orpheus Tomas Kessler balletto Orpheus, Eurydike, Hermes György Kósa Orpheus L. Smith per chit., arpa, clav. Hiroshima no Orphe [O. a H.] Yasushi Akutagawa opera televisiva Orpheus contemporanous Charles Camilleri per quintetto jazz, archi e percussioni Symphonie d'Orphée Krzysztof Meyer Euridice reamada Joge Paixinho Orpheus. Die Unwiederbringlichkeit des Verlorenen Armin Schibler A. Goldmann Hörwerk Orphée I Gabriel Charpentier Gabriel Charpentier liturgia in 7 parti Orpheus Lou Harrison per voce, coro, percussioni e orch. Orfeusz i Eurydyka Jan Dawid Holland balletto Orpheus and Eurydice Donald Russell Hollier opera 1968 1969 230 da Rilke Rui Coelho da Rilke da Valéry per voce e orch. opera cantata sinfonia corale per voce e orch. F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Appendice 2 Anno di composizione Titolo Autore della musica Autore del testo1 Tipologia 1970, 1977 Opera Luciano Berio 1970 Nenia on the Death of Orpheus Harrison Birtwistle Eurydice Włodzimierz Kotónski opera Orpheus Cycle I John Lambert per voce e percussioni Orpheus Cycle II John Lambert per oboe e clavic. 1970 (film 1973) Orfeo 9 Tito Schipa junior 1971 Concentus Eurydicae gui Jan Novak Orpheus et Eurydice Jan Novak Orphei hymni Yannis Andreaou Papaioannou per voce recit. e ensemble 1971, 1972, 1979 Pour en finir avec le pouvoir d'Orphée Bernard Parmeggiani per nastro magnetico 1971 Orfeus Terje Rypdal opera Looking at O. looking G. Samuel composizione orchestrale Phrases from Orpheus C. Wilson balletto Orpheus Martin Dalby per coro, strum. e narratore Eurydice Jean-Michel Damase 1972, 1984 (Orpheus and Eurydice) Orpheus Lukas Foss per vl., va., vc. e orch., rev. del 1984 per 2 vl. e orch. 1973 Orpheosi da Evridici Sulkhan Ivanovitch Nasidze balletto Orpheus Margaret Lucy Wilkins per vl. e pf. 1974 Sonnets to Orpheus George Perle da Rilke per coro 1975 Ur ‘Die Sonette an Orpheus’ H. Hallnäs da Rilke lirica Orfeo Thea Musgrave balletto Orfeo I Thea Musgrave per fl. e nastro magnetico Orfeo II Thea Musgrave per fl. e 15 strum. 1972 231 P. Zinovieff Tito Schipa junior lirica opera rock per archi da Virgilio da Anouhil lirica opera F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Appendice 2 Anno di composizione Titolo Autore della musica Autore del testo1 Tipologia 1975 Orpheus Ruth Zechlin per organo 1976 Orphischer Gesang I Volker David Kirchner per archi Orpheus Günther Klebe scena drammatica per grande orch. The Last Orpheus William Sydeman per ensemble Orpheus-Euridice John White opera Orpheus Louis Andriessen L. de Boer musica di scena Orfeu Gheorghe Dumitrescu Gheorghe Dumitrescu opera A propos d’Orphée 1 Xavier Darasse Orpheus ex machina Iván Eröd P. D. Wolfkind opera Orpheus Hans Werner Henze E. Bond balletto, poi versione per recitante e orch. Erinnerungen an Orpheus Rudolf Kelterborn Orphead: a Spell for Rain Claire Liddel Eurydike Thorkell Sigurbjörnsson Sonetti a Orfeo Fernando Sulpizi Orpheus lives Anne Le Baron Le cortège d'Orphée Jeanne Leleu Orfeu Paulo Brandão balletto Głowa Orfeusza I [La testa d’O.] Elżbieta Sikora per nastro magnetico Ouverture to Orpheus Louis Andriessen per cembalo To Orpheus Susan Morton Blaustein Głowa Orfeusza II [La testa d’O.] Elżbieta Sikora per nastro magnetico Janek Wiśniewski– Grudzeń–Polska (Głowa Orfeusza III) Elżbieta Sikora per nastro magnetico Euridice Reinhard Febel 1977 1978 1980 1981 1982 1983 232 composizione orchestrale G. Mackey Brown liriche per fl. e orch. da Rilke per ottavino, fl. in do, fl. in sol, fl. basso in do opera da camera da Apollinaire da Rilke H. Danninger (da Rinuccini) per voce, coro e orch. per coro opera F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Appendice 2 Anno di composizione Titolo Autore della musica Autore del testo1 Tipologia 1983 Orpheus behind the wire Hans Werner Henze 1984 Orfeo, l'ennesimo Claudio Ambrosini C. D’Altilia opera The Mask of Orpheus Harrison Birtwistle P. Zinovieff opera A propos d’Orphée 2 Xavier Darasse per 16 voci e perc. Sul filo di Orfeo Ludovico Einaudi balletto Orphée Renaud Gagneux opera Enantios 2: dal canto di Orfeo Giuseppe Soccio per 7 esecutori Bestiario o Il corteggio di Orfeo Giulio Castagnoli A propos d’Orphée 3 Xavier Darasse Lamento e danza d’Orfeo Volker David Kirchner Orfeo Volker David Kirchner da Rilke Primo sonetto a Orfeo Alessandro Melchiorre da Rilke Nox apud Orpheus Salvatore Sciarrino A propos d’Orphée 4 Xavier Darasse Orpheus Over and Under David Lang L’école d’Orphée Henri Pousseur Butor per voce recit., org., elettronica Sonnets to Orpheus Richard Danielpour da Rilke liriche Risonanze d’Orfeo Luca Francesconi Orphée Philip Glass [dalla sceneggiatura del film di Cocteau] opera Orfeo Walter Hus M. brouchot, J. Lauwers, W. Hut opera Le cortège d’Orphée Carlos Michans da Apollinaire liriche Orfeo al cinema Orfeo Ivan Fedele Giuliano Corti radioscena musicale 1985 1987 1988 1989 1993 1994 233 per coro a capp. da Apollinaire 8 studi per fl., cl., fag. per corno e pf. per voce, corno e pf. per ensemble per 2 pf. suite strumentale da Monteverdi F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Appendice 2 Anno di composizione 1994 Titolo Autore della musica Autore del testo1 Tipologia Orfeo cantando tolse… Adriano Guarnieri da Poliziano Fabula Alessandro Sborboni da Poliziano Nom des Airs. Una discesa nel suono d'Orfeo Salvatore Sciarrino live electronics 1995 Orphée Suzanne Giraud per ensemble da camera 1996 Sang och Tystnad (Orfeus och Eurudike) E. Bergmann B. Carpelan cantata La nascita d’Orfeo Lorenzo Ferrero L. Ferrero da Euripide e Simonide opera 1998 Orphischer Gesang II Volker David Kirchner per sestetto d’archi 1999 Orfeu Caetano Veloso musica per il film di Carlos Diegues 2001 Orfeo a fumetti Filippo Del Corno [2005] Frammento di Orfeo Jesús Rueda Dino Buzzati 10 azioni liriche opera da camera Sono da segnalare due lavori che hanno a che fare direttamente con l’OM. Si tratta dell’opera di Filippo Del Corno, Orfeo a fumetti (2001) che contiene un arrangiamento di «Vi ricorda, o boschi ombrosi», e di Risonanze d’Orfeo (1993) di Luca Francesconi, una suite dall’OM. Nell’opera di Del Corno, che si basa su Poema a fumetti (1969) di Dino Buzzati, Orfi è un cantante rock che con la sua voce e la sua chitarra delizia gli avventori del Polypus. Nel corso dell’opera il personaggio è interpretato da un baritono, tranne in tre momenti: si tratta di tre canzoni diegetiche, tre punti in cui Orfi ‘canta davvero’, al Polypus, alle soglie infere e per commuovere i morti e ricevere il permesso di cercare la sua Eura. Queste tre canzoni sono affidate, con operazione molto postmoderna, a una rockstar: Omar Pedrini, leader carismatico dei Timoria. Ciò che ci interessa in questa sede è la prima delle tre canzoni, quella che presenta Orfi-Pedrini in quanto divo del Polypus, in quanto si tratta di un arrangiamento per chitarra elettrica, vibrafono, percussioni, pianoforte, violino, violoncello, flauto e clarinetto basso di «Vi ricorda, o boschi ombrosi». 234 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Appendice 2 L’operazione è senz’altro interessante, si situa senza problemi all’interno della tendenza di compresenza dei generi musicali sviluppatasi dagli anni ’80, e richiama alla memoria l’inserto di «Che farò senza Euridice?» dall’Orfeo di Gluck nel musical Orfeo 9 (1970) di Tito Schipa junior. Luca Francesconi sottotitola le sue Risonanze d’Orfeo «Suite strumentale per orchestra di fiati dall’Orfeo di Claudio Monteverdi». Il termine suite farebbe pensare ad un’operazione simile a quella delle Sinfonie e ritornelli per orchestra d’archi di Malipiero [1930], che propone un’antologia2 dei brani strumentali dell’opera così strutturata: 1. Allegro [Toccata] 2. Allegro energico [Ritornello B ˆ Ritornello E ˆ Ritornello B] 3. Lento [Sinfonia D ˆ Ritornello C ˆ Sinfonia D (tutto un tono sopra)] 4. Allegro [Ritornello A ˆ Sinfonia A ˆ Ritornello A ˆ Sinfonia C ˆ Ritornello A ˆ Sinfonia E ˆ Ritornello A] 5. Moresca Il lavoro di Francesconi, commissionatogli dal Festival Antwerpen del 1993 e dal Nederlands Blazers Ensemble ha una sostanziale differenza: è basato sulla strumentazione dei brani vocali, una sorta di medley senza parole che presenta senza soluzione di continuità 49 brevi numeri. Il trattamento del materiale monteverdiano è in sostanza duplice: 1) i brani originariamente strumentali o corali sono riproposti quasi senza interventi del compositore, se non l’arrangiamento per l’ensemble a disposizione, che prevede il seguente organico, così disposto: Trb. 1 Trb. 2 Trb. 3 Cr. 1 Tr. 2 Cr. 2 Fl. 1 (ott) Tr. 1 Trb. 4 Cfag. Fag. 1 Tr. 4 Fag. 2 Cl. 1 (cr. bass.) Tr. 3 Cl. 2 (cl. bass.) Ob. 1 Ob. 2 (cr. ing.) 2) le melodie dei brani vocali sono affidate a uno strumento o frammentati in botte e risposte tra i diversi strumenti, mentre gli altri intervengono ad armonizzare la linea e a creare un ambiente moderatamente effettistico e molto basato sulla timbrica; ogni numero è titolato con l’incipit che parafrasa e le sillabe del testo non più cantato sono so2 Come si può notare dallo schema mancano i ritornelli D, D variato, F, G, H, I, L , M e la Sinfonia B. 235 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Appendice 2 vrapposte alle note della melodia, cosa che rende piuttosto agevole a chi si ritrovi a leggere la partitura (e al direttore) seguire il filo del discorso. Se c’è una cosa che non convince a livello di struttura generale del brano è che il materiale è estrapolato dai soli primi due atti dell’OM. In compenso il titolo è davvero pregnante: l’opera propriamente risuona. I numeri non seguono l’ordine preciso con cui compaiono nell’opera e alcuni vengono ripresi. La Toccata, brano che con un organico simile va a nozze, ad esempio viene elaborata in tre modi: non apre il lavoro ma compare ai numeri 7 e 8 (versione 1 e 2, dopo «Io la Musica son» e «In questo lieto e fortunato giorno»), poi al numero 17 (versione 3, dopo la seconda proposta di «Vieni Imeneo») e chiude il pezzo (versione 1 e 2) con la seguente indicazione figlia dell’era dello happening e della riscossa della componente teatrale-gestuale del suonare: «Ripetere ad libitum mentre gli strumentisti lasciano il palcoscenico suonando. Restano infine i soli due fagotti e il direttore». Forse è questa la nuova via per gli interventi ri-creativi di un’opera del passato: la parafrasi, più che l’ammodernamento dell’intera opera, procedimento molto vivo anche nella musica di consumo (medley, remix).3 3 Esistono anche una suite dall’OM di Maderna e ben tre di Bent Lorentzen (cfr. tabella I.1), che non ho avuto modo di consultare. 236 Indice delle tabelle e degli esempi musicali a) Tabelle I.1 L’OM nel Novecento 25 II.1 Spoglio dei periodici relativi a D’INDY 1905 63 III.1 Interpretazioni strutturali della macroforma 68 III.2 Struttura ‘greca’ dell’OM 70 III.3 Strumentazione dell’OM 85 III.4 Analisi delle prescrizioni strumentali 85 IV.1 Veste editoriale delle revisioni 111 IV.2 Tagli, aggiunte, cambi nelle edizioni 114 IV.3 Madrigalismi nelle traduzioni 118 IV.4 Incipitario comparato 128 IV.5 Organici comparati 164 IV.6 La progressione dell’esempio musicale 13 185 b) Esempi musicali 1 Resa dei madrigalismi in traduzione (D’INDY 1905) 120 2 Resa dei madrigalismi in traduzione (D’INDY 1905) 120 3 Resa dei madrigalismi in traduzione (ORFF 1940) 121 4 Resa dei madrigalismi in traduzione (D’INDY 1905, ORFF 1940) 121 5 Linea vocale che diventa strumentale (ORFF 1940) 139 6 Finale dionisiaco (RESPIGHI 1935) 140 7 Finale dionisiaco (MALIPIERO 1949) 142 8 Ritornello aggiunto per derivazione (RESPIGHI 1935) e raddoppi veristi della melodia (RESPIGHI 1935, ORFF 1940) 169 9 Adattamento della retorica dei timbri (BENVENUTI 1934) 173 10 Adattamento della retorica dei timbri (ORFF 1940) 174 11 Adattamento della retorica dei timbri (MADERNA 1967) 175 12 Realizzazioni armoniche comparate (dall’atto II) 179 237 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Indice delle tabelle e degli esempi musicali 13 Realizzazioni armoniche comparate (dall’atto V) 187 14 Realizzazione armonica (RESPIGHI 1935) 189 15 Realizzazione armonica (RESPIGHI 1935, Frazzi) 189 16 Controcanti melodici (MADERNA 1967, BUCCHI 1968) 191 17 Controcanti imitativi (BUCCHI 1968, MADERNA 1967, HINDEMITH 1943) 192 18 Moduli tematici (HINDEMITH 1943) 193 19 Moduli tematici (OREFICE 1909) 193 20 Controcanti derivati dai ritornelli (D’INDY 1905, MADERNA 1967) 194 21 Controcanti derivati da altri numeri (MADERNA 1967) 197 22 Controcanti derivati da altri numeri (BENVENUTI 1934, Frazzi) 198 23 Raccordi composti ex novo (RESPIGHI 1935) 200 24 Moduli ritmici d’accompagnamento regolari (RESPIGHI 1935) 202 25 Moduli d’accompagnamento irregolari (RESPIGHI 1935, MADERNA 1967) 203 L’accompagnamento della scena della Messaggera (RESPIGHI 1935, 205 26 OREFICE 1909) 27 Accompagnamento concitante (OREFICE 1909, MADERNA 1967) 207 28 Accompagnamento concitante (RESPIGHI 1935) 209 Variazioni della Toccata (ORFF 1940, OREFICE 1909, RESPIGHI 1935, 211 29 MADERNA 1967) 30 Fioriture melodiche strumentali (BENVENUTI 1934) 213 31 Fioriture melodiche vocali (STEVENS 1967) 214 32 Fioriture in «Possente spirto» (OREFICE 1909, ORFF 1940, MADERNA 1967) 214 238 Bibliografia a) Edizioni dell’OM analizzate: EITNER 1881 CLAUDIO MONTEVERDI, L'Orfeo, in Die Oper von ihren ersten Anfängen bis zur Mitte des 18. Jahrhunderts nach den Quellen hergestellt und mit einem ausgesetzten Generalbass versehen von Robert Eitner, I vol. [insieme a Euridice di Caccini e Dafne di Gagliano], Leipzig: Breitkopf & Härtel, 1881 (Älterer praktischer und theoretischer Musikwerke, 10), pp. 121-229. D'INDY 1905 CLAUDIO MONTEVERDI, Orfeo. Sélection conforme à l'exécution donnée par les soins de la Schola Cantorum le 25 février 1904, publié d'après l'édition du temps avec réalisation de la basse, nuances et indications s'exécution par Vincent d'Indy, partitura, Paris: Schola Cantorum, 1905 (Répertoire de la Schola Cantorum) [consultata]; riduzione canto e pf., 1905 (Répertoire de la Schola cantorum) [consultata]; […] Reconstitution d'après l'édition originale, traduction en français, réalisation de la basse continue, nuances et signes d'exécution par Vincent d'Indy, 19152 (Collection de l'Eglantier) [non consultata]. OREFICE 1909 CLAUDIO MONTEVERDI, L'Orfeo. Trascritto dall'edizione originale del 1609 colla realizzazione del basso continuo da Giacomo Orefice, spartito canto e pf., Milano: Associazione Italiana Amici della Musica, 1909. MALIPIERO 1923 CLAUDIO MONTEVERDI, L'Orfeo. Favola in musica […] rappresentata in Mantova l'anno 1607 et novamente data in luce da Gian Francesco Malipiero, spartito per canto e pf., London: Chester, 1923. SANDBERGER 1927 CLAUDIO MONTEVERDI, L'Orfeo, ristampa anastatica dell’edizione 1615 a cura di Adolf Sanberger, Augsburg: Filser GMBH, 1927. 239 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Bibliografia MALIPIERO 1930 CLAUDIO MONTEVERDI, L'Orfeo, in CLAUDIO MONTEVERDI, Opere, a cura di Gian Francesco Malipiero, tomo XI, Asolo–Gardone Riviera: Vittoriale degli italiani, 1930 [consultata]; Wien: Universal, 1930 [non consultata]. BENVENUTI 1934 CLAUDIO MONTEVERDI, L'Orfeo. […] Adattamento in un prologo, tre atti e cinque quadri di Arturo Rossato. Trascrizione ritmica, realizzazione e strumentazione di Giacomo Benvenuti, Milano: Ricordi, 1934 [non consultata]; […] riduzione per canto e pf., Milano: Ricordi, 1934 [consultata]. RESPIGHI 1935 CLAUDIO MONTEVERDI, L'Orfeo. Favola pastorale […] adattata in 3 atti per la rappresentazione da Claudio Guastalla; realizzazione orchestrale di Ottorino Respighi, Milano: Carisch, 1935; […] riduzione per canto e pianoforte di Giovanni Salviucci, Milano: Carisch, 1935 [consultata]. ORFF 1940 CLAUDIO MONTEVERDI, Orpheus: l'Orfeo […] in freier Neugestaltund: Carl Orff; Textfassung: Dorothee Günther, Partitur, Mainz: Schott, 1940 [consultata]; Klavierauszug: Hans Bergese, Mainz: Schott, 1940 [non consultata]. BENVENUTI 1942 CLAUDIO MONTEVERDI, L'Orfeo. […] Realizzazione della partitura del 1609 e riduzione per canto e pianoforte a cura di Giacomo Benvenuti, Milano: I classici musicali italiani (vol. IX), 1942. 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Trascrizione di Gianfrancesco Malipiero per orchestra d’archi, Milano: Ricordi, [1930]. 1993 LUCA FRANCESCONI, Risonanze d’Orfeo. Suite strumentale per orchestra di fiati dall’Orfeo di Claudio Monteverdi, Milano: Ricordi, 1993. 1 Nei casi in cui non è evidente l’autore, inserisco tra parentesi quadre all’inizio del riferimento bibliografico la sigla che ho utilizzato come rimando al testo. 241 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Bibliografia 2001 FILIPPO DEL CORNO, Orfeo a fumetti. Opera da camera tratta da ‘Poema a fumetti’ di Dino Buzzati, partitura provvisoria, 2001. c) Contributi critici: 1606 JOACHIM BURMEISTER, Musica poetica, Rostock: Stephanus Myliander, 1606 (rist. anastatica a cura di Rainer Bayreuther, con introduzione, note e traduzione, Laaber: Laaber, 2004 [Laaber reprints, 7]). 1776 JOHN HAWKINS, A General History of the Science and Practice of Music, 5 voll., London: Payne and Son, 1776; II ed. con annotazioni postume dell’autore, 2 voll., London: Novello, 1853; III ed. con annotazioni postume dell’autore, London: Ever & Co., New York: Peters, 1875 (rist.. anastatica a cura di Othmar Wessely, Graz: Akademische Druck und Verlagenstalt, 1969). 1789 CHARLES BURNEY, A General History of Music from Earliest Ages to the Present Period (1789), ed. a cura di Franc Mercer, 2 voll., London: Foulis & Co., 1935. 1811 ALEXANDRE E. CHORON, FRANÇOIS J.-M. 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Leipzig : Bibliographische Institut, 1882). 242 F. LAZZARO, «Meco trarrotti a riveder le stelle» – Bibliografia 1903 CLAUDE DEBUSSY, Concerts spirituels. «Les Béatitudes» de César Franck, «Gil Blas», 13 aprile 1903, in Monsieur Croche et autres écrits, a cura di François Lesure, Paris: Gallimard, 1971, pp. 143-148; trad. it. L’oblio, in Il signor Croche antidilettante, a cura di Valerio Magrelli, Milano: Adelphi, 2003, pp. 99-100. ANGELO SOLERTI, Le origini del melodramma. Testimonianze dei contemporanei, Torino: Bocca, 1903. [1903-1950] VINCENT D’INDY, AUGUSTE SÉRIEUX, Cours de composition musicale, 3 libri, I (1903): appunti delle lezioni alla Schola Cantorum nel 1897-98, II, I parte (1909): 1899-1900, II, II parte (1933): 1901-02, III (redatto da Guy de Lioncourt, 1950): [1903-07], Paris: Durand, 1903-1950. 1904 LIONEL DE LA LAURENCIE, ‘L’Orfeo’ de Claudio Monteverde, «Les Tablettes de la Schola», III/8, 15 febbraio 1904, pp. 5-6. ROMAIN ROLLAND, ‘L’Orfeo’ de Cl. 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