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Storia internazionale dell’età contemporanea, collana diretta da Antonio Varsori (Università degli Studi di Padova) Siec Negli ultimi decenni le discipline storiche hanno fatto registrare un crescente interesse nei confronti degli eventi e delle dinamiche di carattere internazionale. Se per lungo tempo tali aspetti erano risultati oggetto quasi esclusivo della storia diplomatica, il diffondersi della “histoire des relations internationales” ha aperto l’interesse degli studiosi ad altre dimensioni: da quella economica a quella sociale, a quella culturale. L’influenza esercitata dalle storiografie britannica e americana, l’attenzione verso ambiti temporali più recenti, la moltiplicazione delle fonti archivistiche, i rapporti con altri settori delle scienze sociali e l’interesse verso temi quali la “guerra fredda” e l’integrazione europea hanno condotto alla sempre più ampia diffusione degli studi di storia delle relazioni internazionali. Inoltre numerosi studiosi di storia contemporanea hanno preso a sottolineare l’importanza del rapporto esistente fra dimensioni politica, economica e sociale interne e quelle internazionali. Infine il processo di “globalizzazione” non poteva lasciare insensibili gli storici. Ciò ha condotto all’emergere di una ampia quanto complessa Storia internazionale. La collana nasce quindi con l’intento di creare uno spazio specifico in cui possa trovare collocazione parte della crescente produzione storica in questo settore: dai lavori di giovani ricercatori ai contributi di studiosi di riconosciuta esperienza,dai manuali universitari di alto livello scientifico agli atti di convegni. Comitato scientifico: Michel Dumoulin (Université de Louvain-la-Neuve), Michael Gehler (Universität Hildeshaim), Wilfried Loth (Universität Duisburg-Essen), Piers Ludlow (London School of Economics), Georges-Henri Soutou (Université de Paris IV Sorbonne). Il comita to a ssicura a ttra verso un processo di peer review la va lidità scientifica dei volumi pubblica ti. I lettori che desiderano informarsi sui libri e le riviste da noi pubblicati possono consultare il nostro sito Internet: www.francoangeli.it e iscriversi nella home page al servizio “Informatemi” per ricevere via e-mail le segnalazioni delle novità Valentine Lomellini La “grande paura” rossa L’Italia delle spie bolsceviche (1917-1922) Prefazione di Georges-Henri Soutou Storia internazionale dell’età contemporanea FRANCOANGELI Il volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’Università degli Studi di Padova. Copyright © 2015 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy Ristampa 0 1 2 3 4 5 6 2015 2016 2017 Anno 2018 2019 2020 2021 L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sui diritti d’autore. Sono vietate e sanzionate (se non espressamente autorizzate) la riproduzione in ogni modo e forma (comprese le fotocopie, la scansione, la memorizzazione elettronica) e la comunicazione (ivi inclusi a titolo esemplificativo ma non esaustivo: la distribuzione, l’adattamento, la traduzione e la rielaborazione, anche a mezzo di canali digitali interattivi e con qualsiasi modalità attualmente nota od in futuro sviluppata). Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali (www.clearedi.org; e-mail autorizzazioni@clearedi.org). Stampa Geca Industrie Grafiche, Via Monferrato 54, 20098 San Giuliano Milanese. A Federico Dimitri e Noemi, il mio sguardo sul futuro Indice pag. 9 Prefazione, di Georges-Henri Soutou » 11 Introduzione – Il nesso tra nazionale e internazionale nell’Italia delle spie bolsceviche » 15 » 25 » 25 » 44 » 62 » 75 » 75 » 92 Abbreviazioni 1. Dalla Rivoluzione russa alla pace di Versailles. L’Italia come obiettivo della sovversione bolscevica 1.1 Dopo Caporetto, la rivoluzione? L’allerta delle autorità italiane all’indomani dei fatti del novembre 1917 1.2 «Babbo ammalato. Mi metto in congedo per 24 ore». L’ultimo anno di guerra: tra propaganda disfattista e annunci rivoluzionari 1.3 E pace sia… purché proletaria. Propaganda nella società e nell’Esercito in vista della Conferenza di Versailles 2. La pandemia bolscevica. Concreti timori di un’insurrezione 2.1 La primavera del 1919: il timore del contagio, la necessità di una credibilità internazionale 2.2 L’estate 1919 (I). Nitti, lo sciopero generale e storie di pericolosi bolscevichi 2.3 L’estate del 1919 (II). Guardie rosse e «mene rivoluzionarie» nella società e nell’Esercito. L’Italia sull’orlo del baratro? 7 » 108 3. Il “biennio rosso” in Italia, la Repubblica dei Consigli in Ungheria. Imprevisti di una special relationship 3.1 Un’Italia filobolscevica o un’Italia bolscevizzata? Scandali internazionali e la questione del prestigio di Roma 3.2 Una «situazione rivoluzionaria latente»: le radici dell’immagine dell’Italia in bilico 3.3 Una nuova patria per Béla Kun? Evoluzioni nel réseau internazionale della sovversione 4. Roma come garante e obiettivo della bolscevizzazione: aspetti interni ed internazionali di una epidemia globale 4.1 «Salvare il Paese della peste più schifosa». L’insofferenza italiana per le infiltrazioni rivoluzionarie 4.2 Strategie contro il bolscevismo. Tra tentativi di collaborazione internazionale e modus operandi italiano: “Conosci il nemico per sconfiggerlo” 4.3 La strumentalizzazione interna del pericolo bolscevico: prove d’istituzione di un regime 5. L’Italia come guardiano della vecchia Europa 5.1 Il tramonto delle infiltrazioni rivoluzionarie 5.2 Un fronte comune antibolscevico: tentativi di intesa nell’Intesa? 5.3 La Missione Caprini a Costantinopoli ed il Servizio di controllo sui cittadini russi pag. 120 » 120 » 140 » 162 » 185 » 185 » 197 » 218 » 228 » 228 » 233 » 242 Conclusioni – La “grande paura rossa”. Da irrazionale panico da rivoluzione a razionale strumento di condizionamento politico » 261 Appendice documentaria » 275 Fonti e bibliografia » 283 Indice dei nomi » 301 8 Abbreviazioni Acs – Archivio Centrale dello Stato Ap – Atti parlamentari Asmae – Archivio storico del Ministero degli affari esteri AsB – Archivio dello Stato di Bologna AsM – Archivio dello Stato di Mantova AsP – Archivio dello Stato di Padova Asubo – Archivio storico dell’Università di Bologna AgA, Csupd – Archivio generale di Ateneo, Centro per la Storia dell’Università di Padova b. – busta CC. RR. – Carabinieri Reali Ddi – Documenti diplomatici italiani Ddf – Documents diplomatiques français Dbfp – Documents on British Foreign Policy Dg – Direzione generale f. – faldone fasc. – fascicolo Frus – Foreign relations of the United States Ifg – Istituto fondazione Gramsci Mae – Ministero degli affari esteri Mi – Ministero dell’Interno Msac – Museo storico dell’Arma dei Carabinieri Pcd’I – Partito comunista d’Italia Ps – Pubblica sicurezza Psi – Partito socialista italiano Psu – Partito socialista ufficiale Sccr – Servizio di controllo sui cittadini russi 9 Prefazione La Grande peur rouge : elle a profondément marqué toute l’Europe dès la fin de la guerre mondiale. Un spectre a hanté la conférence de la Paix de Paris : la Russie bolchevique, absente de la conférence, mais que Wilson cherchait à ramener dans le concert des nations, tandis que Clemenceau et Lloyd George, au contraire, intervenaient militairement dans l’ancien empire des tzars. En particulier parce qu’ils craignaient, outre la contagion révolutionnaire, de voir l’Allemagne vaincue se rapprocher de la nouvelle Russie. En 1967, dans un ouvrage fameux, qui frappa beaucoup à l’époque, Arno J. Mayer avait décrit cet aspect essentiel1. Dans ce livre Arno Mayer consacrait de nombreuses pages à l’Italie, et soulignait que, de tous les Alliés, c’était elle qui connaissait à la fin de la guerre la crise politique, économique et sociale la plus grave, et que dans aucun autre pays politique intérieure et politique extérieure n’étaient aussi étroitement mêlées. La question du communisme en Italie était également l’un des axes du livre d’Angelo Tasca, La Naissance du fascisme, publié en 1938 à Paris sous pseudonyme (Amilcare Rossi)2. Cet ouvrage reste la meilleure description de la prise du pouvoir par les fascistes, à tous les niveaux, national et local, dans un mouvement de résistance aux forces de gauche apparu dans certains secteurs de la société, au départ de façon très décentralisée. D’autre part l’Italie ne pouvait pas ignorer les soubresauts du Bassin danubien, si proche et où elle avait tant d’intérêts, et en particulier la 1 Arno J. Mayer, Politics and Diplomacy of Peacemaking. Containment and Counterrevolution at Versailles, 1918-1919, Alfred A. Knopf, New York, 1967. 2 Il fut republié en 1967, A. Tasca, Naissance du fascisme. L’Italie de l’armistice à la marche sur Rome. 11 crise hongroise et la dictature communiste de Béla Kun, au printemps 1919, dont la brutalité marqua d’ailleurs les contemporains. Le premier grand apport du beau livre de Valentine Lomellini est de réunir ainsi, dans une synthèse très originale, les aspects nationaux et internationaux de la crise bolchevique en Italie, crise qui existe dans beaucoup de pays durant cette période, mais qui revêt dans la péninsule des aspects originaux et qui aura des conséquences spécifiques. Son deuxième apport est de sortir d’une historiographie qui serait purement événementielle, et bien sûr aussi de se dégager de la vision immédiate et quasi policière des contemporains, qui croyaient voir, dans tous les remous de la vie politique et sociale d’une Italie en crise, la «main de Moscou ». Et pour ce faire, elle a recours à la méthodologie mise au point par Georges Lefebvre, dans son livre fameux de 1932 sur la «grande peur» en France durant l’été 1789, qui avait amené les citadins et les paysans à s’armer, contre des menaces vagues et en fait largement mythiques de complot de la part des nobles, mais qui avait ainsi donné une forte impulsion au processus révolutionnaire3. Le complot aristocratique antirévolutionnaire, dans la réalité, n’existait pas. Mais ce qui importe, c’est que les contemporains, eux, y aient cru. C’est tout le poids des mentalités collectives, en particulier en période de crise, ici d’une crise de nationalisme exacerbé, liée la « victoire mutilée » et succédant à la fièvre obsidionale de la guerre. Le corps sacré de la Patrie souffrante ne peut pas engendrer de tels ennemis du pays et de l’ordre social : ils sont étrangers, ou manipulés par l’étranger. Cela dit, même les paranoïaques peuvent avoir des ennemis. Or il existe bien un programme révolutionnaire internationaliste à Moscou, dont les conséquences les plus connues se sont situées en Hongrie et en Allemagne, où eurent lieu différents soulèvements spartakistes puis communistes que connut le pays de 1919 à 1923, avec une présence active des agents du Komintern. A Paris, le Quai d’Orsay, comme Georges Clemenceau puis, à partir de janvier 1920 son successeur à la présidence du Conseil, Alexandre Millerand, sont convaincus de la nature profondément internationale du communisme: pour eux, la révolution ne se limitera pas à la Russie et il faut envisager la résistance au ni- 3 Réédité : G. Lefebvre, La Grande Peur de 1789, suivi de Les foules révolutionnaires, Armand Colin, Paris, 1988, présentation de Jacques Revel. 12 veau de toute l’Europe4. Le 1er mai 1919, très tendu à Paris, rejoint les peurs italiennes au même moment. Mais l’auteur nous montre ici l’aspect italien de ce phénomène européen, auquel on avait insuffisamment prêté attention ici. Et elle nous le montre à la fois au cœur du nœud du national et de l’international, dans le rapport entre politique intérieure et politique étrangère, et dans cette zone si complexe où s’entremêlent réalités, instrumentalisation de ces réalités, perceptions collectives et mythes. Il y a en effet des agents bolcheviques. Mais ils sont finalement peu nombreux, ils poussent à la caricature la notion léninienne de « minorité agissante », et leur rôle est instrumentalisé pour des raisons politiques par les dirigeants, et magnifié hors mesure par une opinion succombant à une perception caricaturale et transformant cette perception déformée de la réalité en véritable mythe. On a d’autres exemples, contemporains, de ce rapport complexe entre réalité, instrumentalisation, déformation et mythe. Lors des mutineries de l’Armée française en juin 1917, l’état-major était convaincu d’avoir affaire à une propagande défaitiste organisée, au service de groupes politiques pacifistes ou anarchistes, exerçant, de l’arrière du front, une influence démoralisante sur les soldats de l’avant. On sait maintenant que, pour l’essentiel, le mouvement des soldats était spontané, et s’expliquait par la durée et la brutalité du conflit et par l’échec sanglant de l’offensive Nivelle en avril-mai5. Mais les responsables politiques et militaires (pas l’opinion, tenue dans l’ignorance de la crise qui frappait l’armée) réagirent par une «grande peur» assez semblable à celle de leurs homologues italiens après la guerre. Ces phénomènes d’emballement collectif obsidional s’appliquent en effet aussi bien aux élites dirigeantes qu’à la masse de la population. Les contemporains de Georges Lefebvre contestaient d’ailleurs parfois ses thèses, même si elles ont triomphé par la suite. Ils voyaient plutôt dans la propagation de la «grande peur» le résultat de manœuvres 4 G.-H. Soutou, dans l’ouvrage collectif Histoire de la Diplomatie française, présentation de Dominique de Villepin, Perrin, Paris, 2007, t. 2, pp. 309-310. 5 G. Pedroncini, Les Mutineries de 1917, Puf, Paris, 1967 ; 4e édition corrigée, 1999. 13 systématiques de certains groupes révolutionnaires, pour déstabiliser le pays pendant l’été 17896. Une fois de plus, le plus difficile pour l’historien est de pénétrer le nexus entre les événements, leur éventuelle instrumentalisation politique, les idéologies et l’univers mental qui encouragent et facilitent cette instrumentalisation, et qui informent les perceptions et les mythes et les gonflent au-delà de toute raison. En analysant la faiblesse de la pénétration bolchevique, face à l’ampleur paranoïaque de la réaction, Valentine Lomellini franchit les difficultés de son sujet avec la méthode la plus sûre, et son livre, au-delà même de l’intérêt de son sujet, pose des principes de méthode que l’on pourra réutiliser dans d’autres cas, de la Guerre froide aux crises du monde actuel. Georges-Henri Soutou Membre de l’Institut de France et Professeur émérite à l’Université de Paris-Sorbonne 6 On pense au plus connu des défenseurs de cette thèse, Augustin Cochin, historien d’avant 1914, dont certains travaux ont été rassemblés et préfacés par Jean Baechler, L’esprit du jacobinisme, Puf, Paris, 1979. 14 Introduzione. Il nesso tra nazionale e internazionale nell’Italia delle spie bolsceviche Nel 1932, dieci anni dopo la Marcia su Roma di Mussolini e un anno prima dell’ascesa di Hitler in Germania, uno storico francese, all’epoca ancora non troppo conosciuto, scrisse uno dei volumi più originali della storiografia internazionale, destinato a diventare una delle pietre miliari per le generazioni degli studiosi a venire. Era Georges Lefebvre, e l’opera – che fu pubblicata dall’editore parigino Armand Colin, sotto il titolo di La grande peur de 1789 – ricostruiva la genesi e gli effetti della “grande paura” della rivoluzione francese, collocandosi sul complesso crinale dell’analisi storica, sociologica e psicologica dei comportamenti collettivi. Il volume fu poi tradotto da Aldo Garosci quando Einaudi ne decise la pubblicazione in italiano, nei primi anni Cinquanta, e percorse innumerevoli altre strade, condizionando certamente un buon numero di studiosi, sino a ritornare nelle mie mani come eco lontana di una delle mie prime letture da appassionata della storia, proprio mentre tentavo di dare una forma all’idea di studiare l’impatto della rivoluzione bolscevica sull’Italia del primo dopoguerra1. Con gli opportuni distinguo (e con la speranza che questo volume conosca almeno una piccola parte dell’apprezzamento che La grand peur ebbe dalla comunità degli storici), questo studio tenta di ricostruire la genesi e l’evoluzione della “grande paura rossa”, la minaccia bolscevica dell’importazione della rivoluzione, da parte delle autorità italiane dell’Italia tardoliberale, tra lo scoppio degli eventi russi del novembre 1917 ed i fatti che anticiparono il compiersi della Marcia su Roma, nell’autunno 1922. La periodizzazione non è affatto casuale: per comprendere e misurare l’esistenza della “grande paura” che contribuì a generare il fascismo, era necessario mantenere un arco temporale nel quale 1 G. Lefebvre, La grande paura del 1789, Einaudi, Torino, 1953; l’opera originale era id., La grande peur de 1789, Armand Colin, Paris, 1932. 15 la situazione italiana era ancora fluida, certo già caratterizzata da una sorta di “guerra civile” ma, al contempo, ancora non cristallizzata nella forma del regime fascista. Il tema dei condizionamenti della rivoluzione bolscevica sull’Italia è stato un argomento battuto dalla storiografia soprattutto tra gli anni Sessanta e Settanta, periodo in seguito al quale l’attenzione degli storici si è rivolta altrove. La presenza di numerose colonie di esuli russi in Italia sin dalla seconda metà dell’Ottocento è stata documentata in volumi di carattere locale e nazionale, fra i quali è senz’altro opportuno segnalare quello di Franco Venturi, Esuli russi in Piemonte dopo il ’48, e lo studio di Tamborra, Esuli russi in Italia, 1905-19172. La dimensione dell’impatto della rivoluzione sullo scenario politico italiano è stata poi ampiamente documentata in altri due libri, stilati da Stefano Caretti e Helmut König, che si sono focalizzati particolarmente sulle conseguenze degli eventi del novembre 1917 sulle dinamiche interne al Partito socialista3. In tempi più recenti, questo filone inerente al condizionamento degli eventi russi sulle culture politiche italiane è stato sviluppato nella tesi di dottorato di Cacelli, con particolare riferimento, in questo caso, a quella cattolica4. La presenza di spie ed emissari bolscevichi in Italia è stato poi ricostruito da uno spoglio della documentazione esistente presso l’Archivio storico del Ministero degli affari esteri, in un volume curato da Accattoli nel 2013, e dall’istituzione di una minuziosa e ricca banca dati, frutto di un progetto, finanziato dal Ministero dell’università e della ricerca, che ha generato il sito russintalia.it5. Giorgio Petracchi, infine, lo studioso che maggiormente ha studiato i rapporti tra l’Italia e la Russia nel primo Novecento, ha messo in rilievo l’importanza delle relazioni italo-russe nella definizione della politica estera italiana, in numerosi interventi pubblicati nel corso di trent’anni di ricerche6. D’altro 2 F. Venturi, Esuli russi in Piemonte dopo il ’48, Einaudi, Torino, 1959; A. Tamborra, Esuli russi in Italia, 1905-1917, Laterza, Bari, 1977. 3 S. Caretti, La rivoluzione russa e il socialismo italiano (1917-1921), Nistri-Lischi, Pisa, 1974; H. König, Lenin e il socialismo italiano, 1915-1921: il Partito socialista italiano e la Terza internazionale, Vallecchi, Firenze, 1972. 4 E. Cacelli, La rivoluzione bolscevica e il comunismo sovietico nella stampa cattolica italiana (1917-1921), Tesi di dottorato, Pisa, 2007. 5 A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie: i russi nei documenti del Ministero degli esteri italiano, Europa Orientalis, Salerno, 2013; www.russinitalia.it. 6 Tra le più recenti pubblicazioni: G. Petracchi, Viaggiatori fascisti e/o fascisti a modo loro nell’Urss e sull’Urss, «Rivista di studi politici internazionali», anno 81, fasc. 321, gennaio-marzo 2014, pp. 35-58. Come opere di riferimento: id., Da San Pie- 16 canto, i maggiori storici che, di recente, si sono occupati della genesi del comunismo e dell’Internazionale comunista, hanno accreditato l’idea che l’Italia costituisse un centro di interesse nella mappa dell’espansione internazionale del bolscevismo: certo, un centro non primario come potevano essere la Germania, la Gran Bretagna o, per certi versi, la Francia7, ma pur sempre un Paese che, per la sua situazione socio-economica e per le proprie endogene caratteristiche, avrebbe potuto costituire una nuova culla per il progetto rivoluzionario bolscevico. Nella sua ultima opera, La rivoluzione globale, Silvio Pons ha rilevato come già nelle settimane immediatamente seguenti alla rivoluzione d’ottobre, il cuore della progettualità bolscevica stesse nella «convinzione incrollabile che fosse imminente lo scoppio di una rivoluzione mondiale»8. Questa fu il motivo per il quale Lenin, nel rapporto tenuto al VII Congresso della Rkp(b), nel marzo 1918, fece appello alla prospettiva di una rivoluzione europea9. L’esportabilità della rivoluzione era un aspetto fondante della ideologia bolscevica: nel 1920, il wishful thinking che pervadeva i lea- troburgo a Mosca: la diplomazia italiana in Russia, 1861-1941, Bonacci Roma, 1993; id., Ideology and Realpolitik: Italo-Soviet relations, 1917-1933, «The Journal of Italian History», vol. 2., n. 3, 1979, pp. 473-520; id., L’intervento italiano in Russia, (19171919), «Storia contemporanea», 1975, anno VI, n. 3, pp. 469-522; id., La cooperazione italiana, il Centrsojuz e la ripresa dei rapporti commerciali tra l'Italia e la Russia sovietica, (1917-1922), il Mulino, Bologna, 1977; id., L’Italia e la preparazione diplomatica della conferenza di Pietrogrado, «Storia e politica», 1971, n. 10, fasc. 1, pp. 11-58; id., Il mito della rivoluzione sovietica in Italia, 1917-1920, «Storia contemporanea: rivista trimestrale di studi storici», 1990, n. 6, pp. 1107-1130; id., L'Italia e la rivoluzione russa di marzo, «Storia contemporanea», 1974, anno 5, n. 1, pp. 93-111; id., Diplomazia di guerra e rivoluzione: Italia e Russia dall'ottobre 1916 al maggio 1917, il Mulino, Bologna, 1974; id., La Russia rivoluzionaria nella politica italiana: le relazioni italosovietiche 1917-25, Roma-Bari, Laterza, 1982. Riguardo al periodo successivo, si veda: id., Russofilia e russofobia: mito e antimito dell'URSS in Italia, 1943-1948, «Storia contemporanea», aprile 1988, anno 19, n. 2, pp. 225-247. 7 Sulla presenza di commissari in Gran Bretagna, si veda R. Service, Spies and commissars: Bolshevik Russia and the West, MacMillan, London, 2011. Vale la pena di accennare, anche se solo brevemente, che la volontà delle classi dirigenti europee di trovare uno stabile assetto postbellico in tempi rapidi era dettato anche dal timore del bolscevismo. Cfr. M. MacMillan, Peacemakers: the Paris conference of 1919 and its attempt to end war, J. Murray, London, 2001. 8 S. Pons, La rivoluzione globale. Storia del comunismo internazionale, 1917-1991, Einaudi, Torino, 2012, p. 8. 9 Ivi, p. 13. 17 der russi li indusse persino a immaginare le future repubbliche sovietiche in Europa10. Non fu un caso. Proprio nel 1920, come ha ricostruito Petracchi, la guerra russo-polacca pareva aprire nuove prospettive per il futuro rivoluzionario dell’Italia. Lenin, persuaso dall’imminenza della sollevazione in Germania, era convinto che Varsavia potesse diventare un «ponte rosso» che avrebbe aperto le porte dell’Europa e, quindi, anche al Regno dei Savoia, ove i dirigenti bolscevichi ritenevano giunto il momento di «promuovere senza indugio la rivoluzione»11. Certo, non solo l’Italia era nei pensieri dei leader comunisti; ma c’era anche l’Italia12. Dato per assodato l’interesse dei bolscevichi per la penisola, il campo di indagine relativo alla presenza di emissari bolscevichi in Italia rimaneva perlopiù inesplorato. In particolare, e questo costituisce il fil rouge del volume, restava da comprendere se ci sia stato e quale sia stato, nell’Italia delle agitazioni sociali e politiche del primo dopoguerra, il peso delle infiltrazioni straniere di matrice comunista nella genesi di quella che, per dirla con Lefebvre, costituì la “grande paura rossa”, l’ossessione dello scivolamento del Regno verso un assetto rivoluzionario. Ammetto, sin dal principio, che il tentativo era, per certi versi, un azzardo. Innanzitutto, la questione della presenza di emissari bolscevichi in Italia si sovrapponeva, saldandosi in certi punti, al contesto politico interno, principalmente in riferimento a tre aspetti: l’influsso del mito della rivoluzione in un Paese lontano; la storia del Partito socialista e delle origini del Partito comunista, da un lato, e della genesi del fascismo, dall’altro, nodi focali della storia italiana a cui numerosi studiosi hanno dedicato lunghi anni di ricerche. Era dunque necessario discernere, ove possibile (perché non sempre lo è stato), tra il timore generato dalle autorità per l’incalzare degli eventi interni e l’ossessione generata dalle intromissioni da parte di propagandisti stranieri. In secondo luogo, si trattava non tanto di ricostruire l’effettiva presenza di agitatori infil10 G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca…, cit., p. 272; S. Pons, La rivoluzione globale…, cit., pp. 28-29. 11 Ivi, p. 28. 12 L’azione degli emissari bolscevichi fu chiaramente percepita e affrontata dalle autorità inglesi, come ha ricostruito Robert Service in Spies and Commissars, e costituì un elemento di un certo rilievo anche nel contesto francese. R. Service, Spies and commissars, cit.; sul caso francese, si veda l’originale lavoro di Giovanni Bernardini: G. Bernardini, «Pour la cause du désordre…». La politica estera francese e il problema bolscevico nel primo dopoguerra, 1917-1920, tesi di laurea, Firenze, A.A. 1999/2000. 18 trati (come vedremo, principalmente russi e ungheresi): l’obiettivo della ricerca era comprendere se la percezione della presenza di tali emissari fosse in qualche modo commisurata all’ansia che tale presenza generò. In altri termini, era necessario capire se, in Italia, in seguito agli avvenimenti del 1917, si ripeté quello che potremmo definire il topos storico della “grande paura”, il panico irrazionale e parzialmente immotivato che scosse la popolazione francese non solo nel 1789, ma anche nel 1703 e nel 1848, o l’Inghilterra nel 1689, quando la minaccia di «un partito o una classe sociale» nei confronti della «vita e i beni della maggioranza della nazione» diede luogo ad una «paura, universale e dappertutto identica» che sfociò in una sorta di panico collettivo, dato dalla somma di «allarmi locali» e amplificato da alcuni «moltiplicatori», vale a dire da alcuni avvenimenti contingenti13. Infine, restava il problema delle fonti. L’Archivio centrale dello Stato poteva essere certamente di aiuto, così come i fondi sui rapporti con la Russia conservati presso l’Archivio storico del Ministero degli affari esteri: carte senz’altro essenziali, ma in parte già utilizzate in passato per gli studi sull’impatto della rivoluzione bolscevica in Italia. Fu così che, quasi per caso, accettai un prezioso consiglio, quello cioè di vedere le carte del Museo storico dell’Arma dei Carabinieri. Grazie alla documentazione archivistica lì conservata, si gode di un punto di vista privilegiato per comprendere come lo Stato, nelle sue varie emanazioni (Ministero dell’interno, Ministero della guerra, Ministero degli affari esteri, ma anche Missioni militari all’estero, Esercito e Arma dei Carabinieri, ovviamente), reagì alla minaccia dell’importazione del bolscevismo. La restante parte della ricerca è strutturata sull’analisi della documentazione reperita presso l’Archivio centrale dello Stato, di cui ringrazio il personale, e dell’Archivio storico del Ministero degli affari esteri: oltre alle carte inerenti ai rapporti italo-russi, ho ritenuto di consultare anche quelle relative all’Ungheria di Béla Kun e ai principali centri di propagazione della propaganda bolscevica in Europa come, a titolo di esempio, la Svezia. Una scelta che, a mio modesto avviso, si è rivelata particolarmente proficua perché mi ha consentito di comprendere il senso di accerchiamento delle autorità italiane nel periodo successivo al 1917, collocando il Regno in una prospettiva più ampia rispetto al solo rapporto bilaterale con Mosca. Nel tentativo di osservare la questione da un angolo visuale originale, ho ritenuto opportuno consultare anche i 13 G. Lefebvre, La grande paura del 1789…, cit., p. 66. 19 documenti delle relazioni politiche con la Francia e l’Inghilterra, conservati presso l’Asmae, con lo scopo di comprendere se l’Intesa tentò di fare fronte comune per contrastare i tentativi di infiltrazione e la minaccia proveniente dal bolscevismo. Infine, lo scavo archivistico è stato arricchito dalla consultazione di alcuni archivi di Stato locali: un’esigenza nata dalla volontà di comprendere, sul piano territoriale, la percezione delle autorità in merito alle infiltrazioni bolsceviche, in alcune città simbolo ove lo scontro politico era particolarmente acceso (Bologna), oppure l’importanza della borghesia e del clero era rilevante (Padova) o, ancora, in quelle città definite “medie” da Renzo De Felice per quanto concerne il grado di lotta politica (come Mantova). La documentazione del Fondo Giacinto Menotti Serrati, conservata presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, ha integrato le fonti analizzate, fornendo un punto di vista differente rispetto a quello statuale e contribuendo, con uno sguardo incrociato, a leggere sotto una luce diversa le paure delle autorità. Utilizzando questa documentazione, e associandola all’analisi dei documenti diplomatici italiani, francesi, inglesi ed americani pubblicati, la ricerca si è interrogata sulla genesi della “grande paura” non tanto, come fece il Lefebvre, conferendo attenzione alla popolazione, quanto più alla classe dirigente e governativa italiana, privilegiando – quindi – il punto di vista dello Stato. L’analisi verte su quattro quesiti, ai quali si tenterà di fornire una risposta – per quanto parziale – nelle pagine a venire. Il primo interrogativo è relativo all’esistenza della “grande paura” e alla sua origine: quale fu, in altri termini, l’origine del panico che attraversò gli ultimi governi dell’Italia tardoliberale? Esso fu solo il frutto delle diffuse agitazioni politico-sociali locali o la paura dell’importazione della rivoluzione e l’opera degli emissari costituì un elemento determinante nella genesi della “grande paura rossa”? La seconda questione è relativa alla proporzione tra l’azione dei propagandisti ed i timori emersi in seno allo Stato. La presenza degli agitatori stranieri, oggi provata, era elemento sufficiente per generare un’ossessione rossa? Quali, tra gli apparati dello Stato, furono responsabili della genesi di tale ossessione e del suo propagarsi a macchia d’olio? Queste domande sono poi correlate ad un’ulteriore, spinosa, questione. Ritengo che si possa dare per assodata l’interpretazione storiografica secondo la quale la minaccia rivoluzionaria di matrice interna abbia rappresentato un proficuo strumento nelle mani del fascismo per la conquista dei ceti medi e, in ultima istanza, del 20 potere. Mi pare sia opportuno chiedersi, tuttavia, se tale ragionamento fosse estendibile anche alla minaccia proveniente dall’esterno. Vi fu qualcuno che strumentalizzò la “grande paura” dell’importazione della rivoluzione? E se sì, chi furono i protagonisti di tale strumentalizzazione, sul piano interno così come a livello internazionale? In altri termini, ritengo sia importante riflettere sull’esistenza (e sugli scopi) di una sorta di “cospirazione”, che utilizzò strumentalmente la presenza di propagandisti stranieri sul suolo italiano ai propri fini. Infine, e questo forse è l’interrogativo più arduo, si cercherà di riflettere sull’effetto ultimo della “grande paura”: essa aggiunse qualcosa a quella del pericolo rivoluzionario interno? Questi sono stati sostanzialmente gli interrogativi di fondo che hanno mosso la ricerca: questioni sospese, alle quali si tenterà di fornire degli elementi di interpretazione nelle prossime pagine. Ogni volume nasce dalla curiosa commistione di interessi personali e relazioni scientifiche. Ogni volume deve qualcosa a un suggerimento particolare o al sostegno di qualcuno. Questo libro, in particolare, credo che debba molto, ed a molte persone. Certo, io l’ho scritto, e la responsabilità di quanto contenuto in queste pagine è interamente mia. Ciò nonostante, senza il sostegno, il confronto e la collaborazione di un gruppo di colleghi e amici, mi sarebbe stato certamente impossibile farlo. In primo luogo, ci terrei a ringraziare il personale archivistico che ha reso possibile il reperimento di una documentazione in parte inedita. In questo senso, il primo ringraziamento va al Maresciallo Giovanni Iannella del Museo storico dell’Arma dei Carabinieri, che mi ha consentito di scoprire dei fondi rimasti sostanzialmente inesplorati per quasi cento anni, e che costituiscono una parte importante dell’ossatura dello scavo archivistico. Un ringraziamento altrettanto sentito va al Generale Alfonso di Palma, che ha acconsentito affinché una parte, seppur minima, della documentazione disponibile, fosse pubblicata in appendice a questo scritto. Al personale dell’Archivio centrale dello Stato di Roma, e degli Archivi dello Stato di Padova (e in particolare al collega Carlo Monaco, esperto nelle ricerche presso l’As padovano), di Mantova e di Bologna (in quest’ultimo caso, alla Dott.ssa Binchi), vanno i miei più sinceri ringraziamenti. Il personale dell’Archivio storico del Ministero degli affari esteri, e in particolare Stefania Ruggeri, ha pazientato di fronte alle mie lungaggini nelle intense ore di consultazione del materiale. La Fonda21 zione Istituto Gramsci di Roma, anche in questa occasione, così come per le mie precedenti ricerche, ha costituito un punto di riferimento imprescindibile, in particolare nelle persone di Giovanna Bosman e Cristiana Pipitone. Infine, a tutto il personale della biblioteca Ettore Anchieri dell’Università di Padova, e in particolare a Natalia De Lorenzo, va la mia più sincera gratitudine per il reperimento di volumi altrimenti introvabili. Vari colleghi e amici mi hanno sostenuto ed aiutato, in modi diversi, durante il percorso che mi ha condotto alla stesura di questo libro. Il primo che desidero ringraziare è Antonio Varsori: la collaborazione iniziata ai tempi della mia laurea magistrale all’Università di Padova si è tramutata in un rapporto professionale e umano consolidato, basato sulla stima reciproca. Non posso far altro che ringraziarlo per l’appoggio che sempre mi ha offerto in questi dieci anni, fornendomi spunti scientifici che altrimenti avrei ignorato e costituendo, ai miei occhi, l’esempio di un docente che sa felicemente coniugare ricerca scientifica, capacità comunicativa e attenzione e rispetto per l’istituzione universitaria. È quindi un ringraziamento grato quello che gli rivolgo, nell’augurio che questa collaborazione possa durare e svilupparsi ulteriormente negli anni a venire. Alba Lazzaretto mi ha tenuta a battesimo nei miei primi passi da studentessa all’ormai ex Facoltà di Scienze politiche: la stima che ho sempre nutrito nei suoi confronti si è accresciuta di nuovi capitoli negli ultimi mesi. Il suo sostegno a tutto tondo mi ha fornito una base sicura dalla quale muovere per tentare l’avventura di questo libro. Posso solo prendere ad esempio il suo atteggiamento da “insegnante”, nel senso più bello e profondo di questo termine, per cercare di tramutare un discorso strettamente scientifico in una ricostruzione che possa essere di qualche utilità alle nuove generazioni, strappandola dal puro esercizio accademico. Inoltre, sono particolarmente grata a Georges-Henri Soutou che, nonostante i suoi numerosi impegni, ha trovato il tempo di dedicare a questo lavoro una prefazione, cosa che – per me – è motivo di grande e profondo orgoglio. Un ringraziamento particolarmente sentito va ai colleghi (ma soprattutto amici) che mi hanno sostenuta in questo periodo: David Burigana, Giovanni Mario Ceci, Michele Marchi, Guido Panvini, sono stati, per varie ragioni, importanti nel confronto scientifico e per la loro solidarietà e amicizia negli ultimi, convulsi, mesi. Un aggiuntivo sincero grazie a Giovanni che è stato ormai ufficialmente nominato mio personale “emissario” all’Archivio centrale dello Stato. Altri studiosi hanno con22 diviso con me riflessioni e perplessità legate alla nascita e all’articolarsi di questo libro. Tra questi, vorrei in particolare ricordare Filiberto Agostini, Juhász Balázs, Giovanni Bernardini, Simona Colarizi, Marco Gervasoni, Marc Lazar, Leopoldo Nuti, Giuseppe Parlato, Giorgio Petracchi, Silvio Pons e Oliver Rathkolb. Questo libro non sarebbe stato possibile senza l’appoggio della mia famiglia. Un ringraziamento va quindi a Francesco, che ha condiviso con me lo stress di una famiglia allegramente disordinata. A mia madre Daniela, che è stata il vero punto di riferimento e di appoggio nell’arco di tutta la mia vita. E ai miei due piccoli, Federico Dimitri e Noemi, che spero mi possano perdonare se questo libro ha strappato la loro mamma per più di qualche giorno, e che mi hanno aiutato a leggere la storia con un nuovo senso di realismo non certo estraneo all’esperienza della maternità. Perché, tutto sommato, è vero quello che dicono loro: «La mamma scriverà anche i libri per i grandi, ma è soprattutto la mamma». 23 1. Dalla Rivoluzione russa alla pace di Versailles. L’Italia come obiettivo della sovversione bolscevica 1.1 Dopo Caporetto, la rivoluzione? L’allerta delle autorità italiane all’indomani dei fatti del novembre 1917 Quando la Rivoluzione bolscevica scoppiò in Russia, lasciando sorpresa buona parte dei governi e dell’opinione pubblica internazionale1, l’Italia affrontava quello che sarebbe passato alla storia come uno dei principali drammi della storia nazionale: la disfatta di Caporetto2. Il neo Presidente del Consiglio Orlando, già Ministro dell’interno nel debole governo Boselli, si trovava a gestire una situazione complessa. Durante il “maggio radioso” che aveva condotto Roma nel mezzo di un conflitto già iniziato, la guerra era parsa come il passo finale verso il completamento del processo risorgimentale; l’ultima guerra di indipendenza – come aveva profetizzato il «Corriere della sera» – che avrebbe condotto l’Italia ad una piena e naturale dimensione territoriale3. 1 La percezione e le ripercussioni della Rivoluzione furono diverse da Paese a Paese ma essere furono ugualmente direttamente proporzionali al livello di crisi economica e sociale in cui versava ciascuna nazione, creando un’atmosfera favorevole all’agitazione e alla rivendicazione sociale. Inoltre, come mostra il caso tedesco, la risonanza degli avvenimenti russi fu profondamente legata da un lato, all’esistenza di rivendicazioni risalenti al periodo prebellico e, dall’altro, alle reazioni delle masse rispetto alla situazione militare. F. L’Huiller, Introduction, in AA.VV., L'opinion publique européenne devant la Révolution russe de 1917, Sirey, Paris, 1968, pp. 7-8; sull’atteggiamento inglese: L. C. Gardner, Safe for Democracy: The Anglo-American Response to Revolution, 1913-1923, New York University Press, Oxford, 1984, pp. 146-150. Si veda il commento di Anna Kuliscioff: Anna Kuliscioff a Bonomi, 31 marzo 1917, Milano, Archivio di Stato di Mantova (di seguito AsM), Carte Bonomi – primo periodo ministeriale (21 luglio 1916 – 13 ottobre 1922), busta 1/A, cc. 161-163. 2 M. Isnenghi, La tragedia necessaria: da Caporetto all'Otto settembre, il Mulino, Bologna, 2013; N. Labanca, Caporetto: storia di una disfatta, Giunti, Firenze, 1997. 3 A. Varsori, Radioso maggio. Come l’Italia entrò in guerra, il Mulino, Bologna, 2015; P. Melograni, Storia politica della Grande Guerra 1915/1918, Laterza, Bari, 25 Alla fine del 1917, era evidente che la situazione era ben diversa da quanto l’influente quotidiano di Albertini aveva auspicato4. La sconfitta di Caporetto e l’ingresso di parte del nemico sul territorio italiano avevano avuto l’effetto di rilanciare lo spirito patriottico sepolto sotto la cenere degli orrori e delle fatiche della guerra5. Ma la popolazione restava esausta ed affamata: una facile preda per un sogno rivoluzionario che diveniva realtà in un Paese distante, dal quale le notizie, pur giungendo ad intermittenza, davano l’impressione di un cambiamento epocale, destinato a condizionare le sorti del proletariato mondiale. Dopo quella di marzo, anche novembre conosceva in Russia un rivolgimento rivoluzionario: ai primi del mese le notizie si rincorrevano confuse sulla stampa italiana. A soli tre giorni dal 7 novembre, il «Corriere della sera» preannunciava una rivoluzione per i primi di dicembre, non immaginando certo che gli eventi si sarebbero succeduti ben più in fretta. In Italia, la notizia della rivoluzione venne battuta l’8 novembre dall’Agenzia Stefani: «I massimalisti sono padroni della città. Kerenskij è stato deposto»6. Nel volgere di pochi giorni, la notizia si prestò a strumentalizzazioni di vario genere ma certamente fu «Il Giornale d’Italia» ad impersonare in modo più convincente uno degli umori prevalenti nelle classi dirigenti italiane: i leninisti venivano accusati di essere «ebrei di origine tedesca, che lavora[va]no per conto della Germania trascinando il Paese alla più sfrenata anarchia per impedirgli di far 1972; su Caporetto in particolare si vedano: pp. 389-458; M. Marchi, L’ Italie, la France et l’entrée italienne dans la Grande Guerre, in F. Turpin (a cura di), Les Pays de Savoie entrent en Grande Guerre, Laboratoire LLSETI, Chambery, 2015, pp. 49-64. 4 Sulla figura del Direttore del «Corriere della sera», Luigi Albertini, si veda: O. Barié (a cura di), Luigi Albertini, Utet, Torino, 1979. E, come raccolte documentarie, decisamente più recenti: L. Monzali (a cura di), I giorni di un liberale: diari 19071923, il Mulino, Bologna, 2000; A. Guiso (a cura di), Il Direttore e il generale: carteggio Albertini-Cadorna, 1915-1928, Fondazione Corriere della sera, Milano, 2014. 5 Non è questa la sede per stilare un quadro della vasta produzione su Caporetto. Mi permetto solo di segnalare, la testimonianza-diario del generale Angelo Gatti: A. Monticone (a cura di), A. Gatti, Caporetto. Diario di guerra, (maggio–dicembre 1917), il Mulino, Bologna 1964, riedito nel 2007; circa la testimonianza particolare sulla situazione delle popolazioni si veda la corrispondenza dei vescovi delle zone occupate dal nemico con il Papa Benedetto XV: A. Scottà (a cura di), I vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-’18, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1991, in particolare vol. II, con le lettere di vescovi di Concordia, di Ceneda e di Udine, pp. 318-379, 423437, 441-592. 6 La notizia fu ripresa dal «Corriere della sera» e da «L’Avanti»; cit. in G. Donnini, Il 1917 di Russia nella stampa italiana, Giuffré, Milano, 1976, p. 355. 26 fronte ai suoi impegni con gli Alleati»7. Il sostegno tedesco alla rivoluzione bolscevica, oggetto di illazioni anche a causa del permanere di Lenin in Germania, è ancora oggetto di dibattito storiografico. Ma ciò che più è rilevante ai fini di questa ricostruzione, è che «Il Giornale d’Italia» dava voce al principale timore che attraversava il pensiero della classe politica dell’Intesa: il rivolgimento del governo russo apriva un interrogativo sulla continuità della partecipazione di Mosca alla guerra. Un’eventualità che venne prontamente respinta dall’ex Ambasciatore italiano a Mosca, il marchese Carlotti che, dopo aver lasciato Pietrogrado, dichiarò da Stoccolma che «la vera Russia sa[peva] benissimo che essa non può difendere la sua libertà ed il suo avvenire in altro modo che colle armi alla mano e difendendo la causa comune degli Alleati»8. Una dichiarazione che sarebbe stata contraddetta nel giro di qualche mese ma che, in questa fase di incertezza, aveva lo scopo di tranquillizzare la società italiana di fronte ad un rivolgimento che avrebbe potenzialmente potuto sancire in modo definitivo le sorti del conflitto, e in termini non certo favorevoli all’Italia. Paradossalmente, il marchese Carlotti non era esattamente la persona più attendibile nel fare pronostici sull’evolversi della situazione in Russia, come già aveva dato prova nel corso della rivoluzione del marzo 1917, durante la quale aveva inviato informazioni incomplete e a singhiozzo al Ministero degli affari esteri a Roma, tanto da suscitare ripetutamente le ire di Sidney Sonnino9. Come ha ricostruito Giorgio Petracchi, lo studioso che con maggiore attenzione si è dedicato allo studio delle 7 Nuova rivoluzione in Russia. Convulsioni, «Il Giornale d’Italia», 10 novembre 1917, cit. in ivi, p. 357. 8 Le idee dell’Ambasciatore italiano sugli avvenimenti russi, Agenzia Stefani, «L’Avanti», 18 novembre 1917, p. 1. 9 G. Petracchi, Diplomazia di guerra e rivoluzione…, cit., pp. 102-103. Sulla figura di Sonnino si veda: P.L. Ballini (a cura di), Sonnino e il suo tempo (1914-1922), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011, e in particolare: G. Sabbatucci, Sonnino e Giolitti, ivi, pp. 357-365; E. Mana, Il leader della vecchia destra: Sidney Sonnino, in M. Isnenghi, D. Ceschin (a cura di), Gli italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai giorni nostri, vol. III, tomo 1, La Grande Guerra: dall’intervento alla “vittoria mutilata”, Utet, Torino, 2008, pp. 317-325. Cfr. P. Pastorelli (a cura di), Diario, Sidney Sonnino, 1916-1922, vol. 3, Laterza, Bari-Roma, 1972; L. Albertini, Venti anni di vita politica, parte seconda, L’Italia nella guerra mondiale, vol. III, Da Caporetto a Vittorio Veneto, Zanichelli editore, Bologna, 1953, pp. 22 e ss. Sulle notizie interne alla Russia e le preoccupazioni italiane nella prima fase della Guerra mondiale: A. Biagini, In Russia fra guerra e rivoluzione. La missione militare italiana 1915-1918, Ufficio Storico Sme, Roma, 1983, pp. 23-36. 27 relazioni italo-russe di questo periodo storico, l’Ambasciatore Carlotti aveva una visione parziale, per dirla con un eufemismo, delle cose russe. Sul finire degli anni Dieci, l’analisi del diplomatico italiano non contemplava affatto il ruolo della Russia sotterranea, quella che sarebbe divenuta la protagonista assoluta con il novembre 1917. L’Ambasciatore Carlotti era convinto che la rivoluzione fosse sostanzialmente opera della Duma e dei partiti liberali; nei suoi rapporti, la figura di Lenin apparse solamente nel 1917 come quella di un ideologo astratto, dissociato dalla Russia e dai suoi rivolgimenti10. A sua discolpa va tuttavia aggiunto che Carlotti non era l’unico a non essere in grado di pronosticare un capovolgimento rivoluzionario nella Russia zarista. Nei mesi precedenti la rivoluzione del novembre 1917, infatti, l’Italia poteva contare su numerosi osservatori in loco. Ben tre erano le missioni che si erano recate, a vario titolo, in Russia: la missione economico-commerciale, creata per iniziativa dei gruppi industriali italiani sotto l’egida governativa, guidata al Ministro plenipotenziario della Torretta; la delegazione politico-militare italiana in Russia, al cui capo era stato posto il Ministro Scialoja; e una missione propagandistica-investigatrice condotta dal consigliere dell’Ambasciata a Londra ed incaricato di affari, Livio Borghese11. Rispetto al ruolo e alla funzione dirigente dei bolscevichi, la visione degli osservatori italiani era fortemente limitata: come ha acutamente osservato Petracchi, essi, oltre ad ignorarne la dottrina, non erano in grado psicologicamente di comprendere il bolscevismo perché la loro forma mentis era plasmata sul modello della diplomazia tradizionale. Per questa ragione tendevano a vedere i bolscevichi esclusivamente come malviventi. L’incapacità degli osservatori a Mosca non era null’altro che una manifestazione evidente della crisi della classe diplomatica italiana, emersa – con tratti talvolta imbarazzanti – nel corso della crisi russa. Le gaffes del Console italiano in Russia Gazzurelli, i cui pensieri sulla necessità di un maggiore intervento dell’Intesa in Russia vennero inavvertitamente resi pubblici, costituirono solo l’esempio più lampante della generale mediocrità di una classe diplomatica in affanno12. Questo avvenimento, tra gli altri, associato ad 10 G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca: la diplomazia italiana in Russia, 1861-1941, Bonacci, Roma, 1993, pp. 173-176. 11 Sulle Missioni economica e militare, cfr. A. Biagini, In Russia fra guerra e rivoluzione…, cit., pp. 177-190. 12 Sull’intervento in Russia e la politica della Francia e della Gran Bretagna nei confronti della Repubblica dei Soviet, si veda: A. J. Mayer, Politics and diplomacy of peacemaking. Containment and coun-terrevolution at Versailles, 1918-1919, Weidenfeld and Nicolson, London, 1968, pp. 294-344. 28 una generale e crescente incomprensione tra la classe dirigente italiana e le élites diplomatiche, ebbe come conseguenza un cambio ai vertici della diplomazia di Roma in Russia, quasi in concomitanza della rivoluzione: Cesare Majoni sostituì infatti l’incauto Gazzurelli, mentre il marchese della Torretta prese il posto dell’esautorato Carlotti. Tuttavia, come ha rilevato Petracchi, la visione della classe politica italiana rimase fortemente condizionata dalla «preoccupazione che l’esempio di una rivoluzione alla russa fosse contagioso e che la diffusione del bolscevismo […] fosse irresistibile»13. Ciò fu particolarmente vero a causa del forte impatto psicologico che ebbe la disfatta di Caporetto sugli umori dei soldati al fronte: nelle trincee serpeggiava il disfattismo e, a partire dalla rivoluzione bolscevica, tale tratto fu sempre più sfruttato dai propagandisti russi, come vedremo a breve. Al contempo, i tumulti di Torino dell’agosto 1917 resero più evidente che le masse operaie erano sensibili al fascino del bolscevismo: il Partito socialista, nel proprio insieme, conquistato dagli avvenimenti russi – almeno in una primissima fase – aveva svolto un’efficace opera di propaganda, la quale affondava le proprie radici nell’insofferenza delle masse nei confronti di una guerra percepita come ingiusta14. Ciò nonostante, gli eventi russi portarono presto all’accentuazione della divisione latente nel Partito socialista: mentre la Rivoluzione bolscevica infiammò la maggioranza del Partito conducendola ad un’intensificazione della lotta contro la «guerra imperialista», la frazione moderata si appellò alla resistenza nazionale, facendo leva sullo spi- 13 Ivi, p. 180. Persino Modigliani fu accusato di esaltare i fatti del novembre nel corso delle sedute segrete del Parlamento. In realtà, come emerge da un’analisi del dibattito parlamentare, Modigliani fu accusato di appoggiare la Rivoluzione perché criticava la posizione del Presidente del Consiglio Orlando, il quale – nel suo discorso di apertura alla seduta parlamentare del 12 dicembre 1917 – sosteneva che alla Russia mancasse una «normale costituzione politica». Modigliani definì come «fanciullesca» la posizione secondo la quale «tutto quello che [era] accaduto il Russia come manifestazione massimalista non [era] altro che il portato di un movimento di fazione». Atti parlamentari (di seguito Ap), Camera dei Deputati, Legislatura XXIV, Prima sessione, Discussioni, tornata del 12 dicembre 1917, p. 15115. Sulla politica estera dei socialisti italiani nei confronti della Russia: C. Pischedda (a cura di), G. Salvemini, Dalla guerra mondiale alla dittatura, 1916-1925, opere III, vol. II, Feltrinelli, Milano, 1964, pp. 24-28. Sui fatti di Torino e la presenza di alcuni delegati dei Soviet si veda la lettera di Luigi Albertini ad Antonio Salandra, citata in G.B. Gifuni, Il diario di Salandra, Pan editrice, Milano, 1969, p. 142. 14 29 rito patriottico ridestato dalla disfatta di Caporetto15. Va tuttavia rilevato come, nel suo complesso, il mondo del socialismo italiano fosse caratterizzato da una «incomprensione profonda e tenace verso lo spirito del bolscevismo»: Antonello Venturi, nei suoi studi sulla relazione tra i rivoluzionari russi ed il mondo del socialismo italiano, ha sottolineato a più riprese come il bolscevismo fosse nella sua sostanza più intrinseca «infinitamente più estraneo alla tradizione socialista italiana di quanto i protagonisti fossero coscienti». Al contempo, per seguire il ragionamento di Venturi, se si vuole tratteggiare un quadro completo del mondo socialista in Italia, non va dimenticato come esso fosse incerto rispetto al reale valore da attribuire agli avvenimenti della Russia rivoluzionaria. Per questa ragione, conclude Venturi, «la rivoluzione russa ebbe sul Psi solo l’influenza di un nuovo affascinante esempio»16 ed ebbe l’effetto, si potrebbe dire, di attivare quelle faglie che, più o meno dormienti, avrebbero portato al terremoto in seno al Partito a Livorno, con la scissione tra socialisti e comunisti nel gennaio 1921. Questa è probabilmente la ragione per la quale, a cavallo tra gli anni Dieci e Venti, i rapporti tra il Partito socialista e gli emissari bolscevichi non furono articolati come ci si aspetterebbe. Facendo una generalizzazione necessaria visto l’ampia documentazione raccolta presso il Museo storico dell’Arma dei Carabinieri e l’Archivio centrale dello Stato, questo tratto ebbe un valore rilevante ma non costituisce l’asse portante del lavoro di ricerca. I nomi di Serrati, Lazzari, Morgari, Bordiga e Gramsci si rincorrono nella ricostruzione storica ma, sino al 1921, trovarono una posizione quasi defilata nelle analisi delle autorità italiane sul pericolo bolscevico proveniente dall’estero. Fu il pericolo dell’importazione della rivoluzione che scosse gli animi della classe politica italiana e, con esso, chiaramente, la possibilità che le infiltrazioni, sempre più sostenute dall’oro di Mosca e favorite da alcuni elementi del Partito socialista, incontrassero un humus favorevole nella società e nell’esercito, rendendo possibile un rivolgimento che, nelle condizioni congiunte di crisi sociale e sforzo bellico, avrebbe ovviamente determinato un crollo del sistema. Nel recente La rivoluzione globale, Silvio Pons ha rilevato come già nelle settimane immediatamente successive alla rivoluzione d’ottobre, il cuore della progettualità bolscevica stava nella «convinzione incrollabile che fosse imminente lo 15 C. Seton-Watson, L’Italia dal liberalismo al fascismo …, cit., pp. 631-632. A. Venturi, Rivoluzionari russi in Italia, 1917-1921, Feltrinelli, Milano, 1979, pp. 10-11. 16 30 scoppio di una rivoluzione mondiale». Era questo tratto, per dirla con Pons, che dava un senso all’azione rivoluzionaria in Russia e, contestualmente, alla rottura con la tradizione del socialismo europeo17. Fu per questa ragione che, nel suo rapporto al VII Congresso della Rkp(b) nel vecchio continente, nel marzo 1918, Lenin fece appello alla prospettiva di una rivoluzione europea18. Alla luce di tali intendimenti e nella confusione generale provocata dalle notizie frammentarie e angosciose che provenivano dalla Russia, l’attenzione delle autorità italiane non poteva che rivolgersi verso quei cittadini russi e, più in generale, stranieri, che, per ragioni di vario tipo, risiedevano in Italia, da alcuni anni. Dalla metà del secolo XIX, infatti, la colonia russa nella penisola si era sempre più allargata. L’Italia esercitava un fascino sottile nei confronti degli esuli russi per il suo clima mite e come terra di libertà: fu fondamentalmente per queste ragioni che, nel periodo tra il 1848 ed il 1916-’17, giunsero ben tre generazioni di esuli russi per sviluppare le proprie attività politiche al di fuori dell’atmosfera oppressiva e gelida delle terre russe19. Dopo il 1848, la prima emigrazione trovò come centro naturale di aggregazione il triangolo compreso tra Nizza, Genova e Torino: come spesso accade nelle storie di emigrazione, gli esuli si riunivano intorno a un punto di riferimento, come una famiglia già residente, e costruivano così la propria colonia20. Ciò fu particolarmente vero per l’emigrazione russa di natura politica e intellettuale, fortemente dipendente – anche dal punto di vista economico – da alcuni “mecenati” della politica e della cultura russa. A partire dall’inizio del Novecento, l’emigrazione russa in Italia si caratterizzò per una forte disomogeneità e frammentarietà. La colonia di Capri, gravitante intorno alla figura di Maksim Gor’kij (lo scrittore ed intellettuale politico, sostenitore di numerosi esuli russi in Italia)21, si 17 S. Pons, La rivoluzione globale. Storia del comunismo internazionale, 19171991, Einaudi, Torino, 2012, p. 8. 18 Ivi, p. 13. 19 A. Tamborra, Esuli russi in Italia…, cit., p. 9. 20 F. Venturi, Esuli russi in Piemonte…, cit., 1959. 21 Il vero nome di Maksim Gor’kij era, in realtà, Aleksej Maksimovič Peškov, il mecenate che rese possibile l’apertura della scuola di Partito nata in Italia sul finire del primo decennio del Novecento. Gor’kij avrebbe poi ospitato per due volte Lenin a Capri, giocando un ruolo di rilievo nel tentativo di evitare una scissione all’interno del Partito socialdemocratico tra i cosiddetti “bolscevichi di sinistra”, come Aleksandr Bogdanov e Anatolij Lunačarskij. Cfr. le indicazioni archivistiche citate in A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie…, cit., p. 64. 31 sarebbe allargata a partire dal 1906 sino alla Prima guerra mondiale, mentre a Napoli e in altri centri universitari, come Padova e Pisa, sarebbe cresciuto il numero di studenti russi che frequentavano gli atenei, orientandosi soprattutto sulla facoltà di medicina22. La colonia di Milano, invece, trovò un appoggio importante nel Partito socialista, sviluppando i contatti dell’ala moderata di Turati e Treves, ma anche con Costantino Lazzari. Una colonia di un certo rilievo si insediò anche a Roma, intorno alla biblioteca Tolstoij, costituita all’inizio del secolo, ma certamente la più interessante fu quella che si stabilì nella riviera ligure, da San Remo sino a La Spezia. Non solo il clima particolarmente mite attraeva gli esuli che, avendo un passato da detenuti o esiliati, spesso abbisognavano di cure, ma la collocazione della colonia era strategica perché favoriva le comunicazioni con altri centri europei di emigrazione rivoluzionaria russa come la Costa Azzurra, Parigi, la Svizzera, l’Austria e la Germania23. Le autorità italiane erano perfettamente al corrente delle attività politiche di questa colonia di esuli e, all’inizio degli anni Dieci, tenevano sotto scrupoloso controllo quegli individui – come Amfiteatroff, protagonista della campagna di protesta contro la visita in Italia dello Zar nel 190924, e Lopatin, il quale, già affiliato all’organizzazione terroristica Narodnaja Volja, era segnalato come un «rivoluzionario pericolosissimo» operante tra l’Italia, la Svizzera e la Francia – i quali, in rapporto con «i più noti rivoluzionari», si riteneva che dirigessero dall’Italia «le mosse principali per l’abolizione della forma attuale di governo in Russia»25. Ai fini di questo studio, vale la pena sottolineare come, affidandosi alla ricostruzione di Tamborra, nella gran parte dei casi, l’emigrazione russa in Italia tra il 1905 ed il 1917 non ebbe nulla a che fare (o lo ebbe solo in parte) con i rivolgimenti dell’ottobre di quest’ultimo anno: essa aveva una sensibilità politica differente rispetto a quella bolscevica e coloro i quali condividevano le speranze della rivoluzione tornarono, nella 22 A titolo di esempio: AgA, Csupd, b. 109, fasc. 62/b, studenti stranieri, 1917; b. 113, fasc. 62, studenti, 1918. 23 A. Tamborra, Esuli russi…, cit., p. 9. 24 Amfiteatroff sarebbe poi rientrato in Russia nell’ottobre del 1916 su proposta di Protopopov, che gli offrì la direzione di un nuovo giornale. Cfr. scheda di Aleksandr Valentinovič Amfiteatroff sul sito www.russintialia.it/dizionario (consultato il 21 agosto 2015). 25 A. Tamborra, Esuli russi…, cit., p. 49. Circa la sua attività come rivoluzionario ma anche giornalista e scrittore, si veda la scheda di German Aleksandrovič Lopatin sul sito www.russintialia.it/dizionario (consultato il 21 agosto 2015). 32 maggioranza dei casi, in Russia, dopo il 1917. Si spiega così, almeno in parte, la ragione per la quale tra i nomi dei sospetti di spionaggio e degli emissari bolscevichi del post 1917 non si ravvisino quei nominativi che le autorità italiane avevano imparato a conoscere sin dagli inizi del secolo. Ciò nonostante, va sottolineato come le autorità italiane fossero ormai abituate ad individuare nell’emigrazione russa, ed in particolare in quella residente sulla riviera ligure, un potenziale elemento di instabilità per la sicurezza nazionale. Dall’inizio del secolo, erano stati due gli avvenimenti che, in particolare, avevano dato luogo a tensioni. Il primo ebbe luogo nel 1909, quando lo Zar era atteso in Italia in ottobre per la firma degli accordi di Racconigi: visto l’aumento della corrispondenza e il rinnovato movimento nella colonia, il delegato di Pubblica sicurezza a Cavi di Lavagna si recò a casa di Amfiteatroff per interrogarlo. La visita dello Zar trascorse senza che avessero luogo attentati terroristici ma il timore delle autorità per l’azione sovversiva in Italia ad opera di rivoluzionari russi non scemò: in quel periodo, «tre espropriatori» afferenti ai «nihilisti russi» avevano compiuto una rapina ai danni della Banca popolare fiumana e si dirigevano verso l’Italia26. Nel 1912, la condotta delle famiglie russe residenti nel Golfo di Spezia, quella degli Amfiteatroff e quella degli Tchernoff, destò nuovamente sospetti. In un rapporto della Pubblica sicurezza risultava che i loro proventi finanziari giungevano dalla Russia e che, appartenendo ai partiti rivoluzionari, pur non esercitando in prima persona attività di spionaggio militare, potevano richiamare «dei veri mestieranti», dei propagandisti che avrebbero certamente causato dei danni in un centro militare di rilievo come quello di Spezia. In definitiva, tali esponenti erano collegati con tutto il «movimento di spionaggio internazionale»: un pericolo che andava fronteggiato, secondo le locali autorità, da un servizio di restrizione nei confronti degli stranieri27. Al di là dei toni allarmistici contenuti nel rapporto, a chi scrive l’atteggiamento delle autorità italiane pareva quello di vigilanza attenta ma discreta: il problema non era tanto la presenza di rivoluzionari sul suolo italiano, presenza che pareva accettata nella gran parte dei casi, o l’importazione della rivoluzione per loro mano, ipotesi in questa 26 Ivi, p. 53. Si noti che l’interrogatorio aveva suscitato il biasimo dello stesso Amfiteatrov e di Lopatin: quest’ultimo aveva scritto una lettera al Ministro dell’interno Giolitti, denunciando il fatto che inficiava la democraticità dell’Italia. In seguito, il Prefetto aveva assicurato i due che l’«inconviente» non si sarebbe più ripetuto (sic!). Ibidem. 27 A. Tamborra, Esuli russi…, cit., p. 55. 33 fase non facilmente concretizzabile, quanto più il timore che essi offuscassero l’immagine di un’Italia liberale, democratica e sicura, agli occhi dell’Europa, o danneggiassero le relazioni internazionali di Roma compiendo atti terroristici o promuovendo manifestazioni pubbliche. Con la rivoluzione dell’ottobre 1917, la situazione cambiò in modo significativo: in gioco non vi era più (soltanto) l’immagine dell’Italia ma anche lo scivolamento della penisola verso una pericolosa deriva estremista. Dopo i fatti dell’ottobre, era l’importazione della rivoluzione che le autorità italiane iniziarono a temere. E nel tentativo di evitare tale possibilità, il primo centro di attività da osservare con attenzione era quello ligure, e in particolare il Consolato russo attivo nella città di Genova. In questa ottica, il Comandante della seconda divisione dei Carabinieri de Bernardis inviò un rapporto al Comando del Corpo d’armata territoriale di Genova, nel quale esprimeva i propri dubbi sulla «moralità, sui sentimenti e sulle vedute politiche» delle persone afferenti al Consolato generale di Russia. Da tutto «un complesso di piccoli indizi», de Bernardis riteneva che l’ambiente del Consolato «non solo non [fosse] molto ligio al nostro Paese, ma che oper[asse] subdolamente ai nostri danni». Il Comandante portava ad esempio lo scontro verbale avvenuto tra il soldato Luigi Casadio, inabile per ferita di guerra, e un fuggiasco russo che il militare stava accompagnando. Il fuggiasco, che aveva espresso i propri dubbi sulla valorosità dei soldati italiani («Vostri sei reggimenti passati agli austriaci con armi e tutto; non buono battere soldato italiano, scappare sempre»), aveva riportato che le notizie sulle quali basava le sue esternazioni vertevano su una comunicazione ricevuta dal Console con il quale aveva da poco conferito28. L’incidente, sottolineava il Comandante de Bernardis, confermava i sospetti che la Regia Questura stava maturando nei confronti del Consolato, che pareva divenuto un covo di agitatori. In particolare, nel rapporto si faceva menzione di un certo Sergio Gontcharoff, noto con il nome di Gongarini, il cui vero nome avrebbe potuto essere Orloff, «ritenuto una spia», e del segretario Costantino Wrangel, «che l’opinione pubblica rit[eneva] fondatamente un cinedo e un pederasta»29. Il Console stesso, poi, non aveva una 28 Alla luce di questa conversazione, per quanto testimonianza particolare e parziale, l’opera di propaganda svolta dalla Missione militare italiana in Russia non aveva sortito grandi effetti. Cfr. A. Biagini, In Russia fra guerra e rivoluzione…, cit., pp. 103113. 29 Comunicazione riservatissima del Tenente Generale Comandante seconda divisione de Bernardis, n. 692, al Comando del Corpo d’armata territoriale di Genova, og- 34 «personalità propria» ed era più che altro dedito al bere; il Consolato si appoggiava così a tale Kagan Miron Borisovich, noto con il nome di Luigi Stene, «sedicente triestino», internato per «propalazione di false notizie» il quale, poi rilasciato, aveva assunto il nome di Kagan e si accompagnava in serate mondane a «un certo Wax» – ritenuto «un disertore russo», «moralmente molto discusso» e sospetto di contrabbando – assieme ad un altro tale, socio in affari del Wax, Angelo Vitale. Il rapporto del Comandante in realtà non faceva altro che mettere insieme piccoli indizi e giudizi morali che non dipingevano certo un quadro netto delle attività illegali e antitaliane condotte dal Consolato. Ciò nonostante, il Comandante concludeva: Tutto questo insieme di figur[e] moralmente discutibili, che si circondano di mistero, che non hanno ritegno di commentare sfavorevolmente ai fuggiaschi la propria nazione, […] le operazioni della nostra guerra, inspirando loro idee di avversione al nostro popolo, è parere dello scrivente che debba essere prontamente epurato per evitare che la loro opera possa portare a gravi conseguenze30. A distanza di qualche giorno, il Comandante si premurò di ripetere l’indicazione al Comando della divisione interna dei Regi Carabinieri di Genova, aggiungendo che il Comando militare delle province della zona di guerra Ovest avevano richiesto un ulteriore approfondimento sulle informazioni circa l’attività delle persone che avevano rapporti con il Consolato russo a Genova31. Secondo le indagini svolte, Vitale era amico anche dell’ex console russo Gorstein (anche identificato come Gorgetto: Consolato generale di Russia in Genova, 11 novembre 1917, Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri (di seguito: Msac), faldone (in seguito f.) 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, p. 1. Si noti che, alla luce della documentazione conservata presso il Ministero degli affari esteri, Costantino Wrangel era, con tutta probabilità, il barone Kostantin Vrangel’, impiegato nell’Ufficio trasporti e genio Torino della Missione militare inviata in Italia dal governo provvisorio russo nel 1917. Cfr. A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie, cit., pp. 282-284. 30 Comunicazione riservatissima del Tenente Generale Comandante di seconda divisione de Bernardis, n. 692, cit., p. 2. 31 Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: consolato generale di Russia, 23 novembre 1917, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, pp. 1-2. 35 nostoieff), da poco trasferitosi a Ginevra, mentre il già citato Luigi Stene si intratteneva con cocottes, colmando di regali gli impiegati del Consolato stesso32. Tra essi, i più sospetti risultavano essere tale Taski, un «uomo depravato dal forte abuso dell’alcol e delle donne» che viaggiava tra la Svizzera e l’Italia per compiere spionaggio ai danni di Roma, poi identificato come il figliastro dell’ex Console russo di Genova Gorstein33; e Teodoro Leikine, ex segretario cancelliere presso il Consolato e rimpatriato «per gravi scorrettezze commesse»34. Nel corso del dicembre 1917, al Comando dell’Arma arrivarono ulteriori informazioni sulle persone gravitanti intorno al Consolato, anche se non sempre tali notizie chiarivano in modo definitivo la situazione. Si confermava la nullità dell’azione del Console, «incapace di reggere l’ufficio» al quale era preposto; si aggiungevano nuovi elementi sul Viceconsole Giovanni Skarzunki, il quale, a più riprese, si era lasciato andare a esternazioni contro l’Intesa ed era soggetto all’influenza del misterioso Goutkaroff35, che era ritenuto «il più influente diplomatico del Consolato». Pur non avendo a suo carico nessun fatto concreto, il Gongarini era «sospetto di 32 Va specificato che, come per gli altri misteriosi personaggi che compaiono nelle pagine del volume, è stata condotta una ricerca sulle fonti disponibili per delinearne con più precisione l’identità, al netto delle errate trascrizioni dell’epoca. In ogni caso, è stata inserita una nota o una specificazione direttamente nel testo; qualora, come nel caso dei personaggi legati al Consolato, non sia stata possibile un’ulteriore identificazione, gli emissari e propagandisti compaiono con il nome originale indicato nei documenti. 33 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Compagnia di Genova interna, oggetto: persone sospette dal consolato russo (risposta ai fogli 8 e 16 n. 3742 e 3756), 26 dicembre 1917, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, pp. 1-3. 34 Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: persone sospette del Consolato russo, 8 dicembre 1917, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, pp. 1-2. Le informazioni raccolte sul Leikine riportavano che, da segretario del Consolato russo a Genova, «si faceva chiamare barone e riceveva in casa numerosi stranieri greci e russi, nonché due Ufficiali italiani, che, dicesi, siano fidanzati delle sue due cognate». Cfr. Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: circa lo straniero Leikin Teodoro, 16 dicembre 1917, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, p. 1. 35 Compare nei documenti anche con il nome di Gonkaroff e lo pseudonimo di Gongarini. 36 spionaggio», posizione aggravata dalla presenza di un altro elemento inquietante e «circondato dal mistero», lo Stene. Dopo aver cambiato generalità nel maggio 1917 con il nome di Kagan, come già ricordato, Stene si era presentato all’autorità di Pubblica sicurezza italiana con un passaporto russo, «asserendo d’essersi rifugiato in Italia sotto falso nome per sfuggire alle ricerche della polizia» di quel Paese. La vicenda parve strana alle autorità italiane così che iniziarono a sospettare che il Consolato rilasciasse falsi passaporti a sudditi di Stati nemici. Il rapporto, infatti, concludeva che lo Stene/Kagan avrebbe potuto essere un «agente del governo austro-ungarico»36. Tutte queste persone erano tuttavia difficilmente sanzionabili vista la labilità delle prove a loro carico e il loro status diplomatico, quanto meno nel periodo compreso tra la fine del 1917 ed il marzo del 1918 quando i contatti tra l’Italia e la Russia si interruppero con il trasferimento ad Arcangelo del corpo diplomatico italiano37. Ma le autorità di Pubblica sicurezza volevano chiarire la situazione prima che divenisse incontrollabile: e così si orientarono ad indagare anche i personaggi gravitanti intorno al Consolato che non erano necessariamente appartenenti al corpo diplomatico; era questo il caso dei fratelli Wax, ed in particolare di Maurizio, il cui nome era già emerso in associazione a quello di Vitale, per l’attività imprenditoriale che condividevano. A partire dal dicembre 1917, le autorità italiane seguirono le sue tracce per capire se chiarendo la sua posizione, si potessero trarre notizie utili circa il funzionamento del Consolato russo come centro di spionaggio ai danni dell’Italia. Agli occhi della Legione territoriale dei Carabinieri di Genova, le attività dei Wax non fecero che confermare la fondatezza dei sospetti ai danni del Consolato. La ditta Wax e Vitale, infatti, aveva conosciuto una crescita tanto «prodigiosa» quanto incredibile: la «celerità» con la 36 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Compagnia di Genova interna, oggetto: Consolato generale di Russia, 8 dicembre 1917, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, pp. 2-3. Analoghi dubbi sorsero circa una tale sig.ra Borovska trovata illecitamente in possesso di un passaporto russo: Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: sig.ra Borovska (colonia russa), 11 febbraio 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917. 37 Cfr. G. Petracchi, Da San Pietroburgo…, cit., p. 182. 37 quale Maurizio Wax si era creato una «vistosa fortuna» generava dubbi sulla «onestà commerciale» dei due imprenditori, che godevano di una «inestinguibile fonte di ricchezza», incomprensibile a fronte del fatto che le transazioni commerciali della ditta con l’estero, da minime, cessarono del tutto con lo scoppio della guerra38. Quasi altrettanto sospetta risultava essere l’attività di ristoro del fratello Nelson, dismessa da qualche tempo, ma fonte di attrattiva per i «marinai stranieri»39. Vale la pena di riportare la conclusione del rapporto, poiché mette in rilievo il convincimento di colpevolezza, basato sostanzialmente su sospetti e in assenza di prove concrete rispetto al coinvolgimento dei due personaggi nello spionaggio internazionale: Se si tiene conto della origine alquanto misteriosa delle loro peregrinazioni attraverso quasi tutta l’Europa, della loro vicenda commerciale più o meno fortunata, delle loro relazioni col personale del locale Consolato russo, sospetto di spionaggio, del loro tenore di vita e specie della vistosa fortuna che in pochi anni il Maurizio, non si sa come, accumulò, si deve concludere che tutti i suddetti individui hanno tutte le parvenze di avventurieri senza scrupoli e capaci di esercitare lo spionaggio o commercio col nemico, per quanto in proposito, non sia stato possibile raccogliere elementi e dati tali da giustificare una proposta concreta in loro confronto40. La mancanza di prove concrete non fu elemento sufficiente per evitare l’internamento dei fratelli Wax e del Vitale: le loro «relazioni con persone straniere, fortemente sospettate di spionaggio» indusse il Comando di Genova a proporre la reclusione, mentre si disponeva un’attiva vigilanza per il Goutkaroff41. I documenti di archivio non lo 38 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Compagnia di Genova interna, oggetto: circa il Consolato russo, 20 marzo 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, p. 2. Si noti che questo rapporto è, in buona sostanza, riassuntivo dei rapporti precedenti sul tema, stilati tra il gennaio ed il marzo 1918. 39 Ibidem, p. 1. 40 Ivi, p. 4. 41 Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: persone sospette del Consolato russo, 24 gennaio 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, p. 2. 38 rivelano esplicitamente, ma pare evidente l’intenzione di arrivare ai veri protagonisti dello spionaggio tramite l’azione nei confronti di personaggi minori. Alla luce di questa riflessione, assume un contorno più preciso anche la particolare vicenda di tale Amalia Morais, venuta all’attenzione delle autorità di sicurezza per il suo fallito tentativo di togliersi la vita gettandosi da una finestra, nel gennaio 1918. La Morais era già conosciuta dai Carabinieri perché imputata di aver fatto segnalazioni in favore di sottomarini nemici e in quanto amica dello Stene e nipote del Vitale, come già ricordato, «implicato nelle indagini in corso circa i membri del Consolato russo»42. Secondo le indagini dei Regi Carabinieri, le ragioni del tentato suicidio andavano ricercate nel fatto che la Morais, impiegata nello stabilimento Ansaldo di Sampierdarena, in provincia di Genova, che sarebbe diventato uno dei centri più osservati per la propaganda bolscevica in Italia, era stata incaricata da un impiegato di fare cinque stampe di un misterioso memoriale, del quale poi aveva restituito solo quattro copie, rifiutandosi di consegnare la quinta o comunque di giustificarne l’assenza43. L’esistenza di un collegamento con i personaggi vicini al Consolato russo aveva fatto dedurre che la vicenda della Morais fosse correlata al caso di spionaggio44. In realtà, nel marzo 1918 il Comando di Genova non era riuscito a recuperare la copia mancante del memoriale in modo da valutarne il contenuto e la sua relazione con il tentativo di suicidio ma, disponendo la debita sorveglianza sulla Morais, presumeva che la causa del tentato suicidio fosse «dolosa» e che ci potesse «trovare di fronte ad un serio caso di organizzato spionaggio»45. Solo il 42 Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: indagini circa certa Morais, 26 gennaio 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, p. 2. 43 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Compagnia di Genova interna, oggetto: tentato suicidio di Morais Amalia, 8 febbraio 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, p. 1. 44 Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: circa la locale colonia russa, 5 febbraio 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, pp. 1-2. 45 Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: sospetti di spionaggio nella perdita di un memoriale per parte di certa Morais Amalia, 30 marzo 1918, Msac, f. 39 mese successivo, sotto l’evidenza dell’inesistenza di prove a loro carico, la Morais e compagni vennero dispensati dalla sorveglianza46. Non fu probabilmente un caso che, a distanza di pochi giorni dal provvedimento in favore della Morais, l’attenzione della Divisione di Genova si spostasse sui componenti della Missione militare russa, inviata nel 1917 dal governo provvisorio di Pietrogrado allo scopo di acquistare e spedire in Russia materiale bellico47. Nell’aprile del 1918, i membri della Missione militare russa in Genova, delegati presso la Sezione tecnica artiglieria del Regio stabilimento Ansaldo, vennero esonerati dal loro servizio: il Colonello Jakovlev si imbarcò per tornare a Pietrogrado48, mentre i Capitani Lissanevič e Kartovič e il Sottotenente Tolmačevskij49 decisero di restare in Liguria per motivi personali. Le autorità italiane non avevano «speciali ragioni per ritenerli indesiderabili nel Regno»; ciò nonostante, visto i loro rapporti con il Goutkaroff del Consolato russo di Genova, si dispose di tenerli sotto stretta osservazio315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 19171919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917, pp. 1-2. 46 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Compagnia di Genova interna, oggetto: sospetti di spionaggio nella perdita di un memoriale per parte di certa Morais Amalia, 18 aprile 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917. A fronte di un ricorso dei fratelli Wax, furono istruite nuove indagini che non portarono nuovi elementi; tuttavia, Maurizio Wax fu oggetto delle attenzioni da parte delle autorità anche nel 1923: cfr. Comunicazione riservata personale del Tenente Generale Comandante la Divisione militare di Genova, oggetto: fratelli Wax, 7 agosto 1918 e legione Territoriale dei CC. RR. di Genova, Divisione di Genova, oggetto: Wax Maurizio – informazioni, 24 aprile 1923, entrambe in Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917. 47 Nell’aprile del 1918, la Missione militare russa in Italia era composta da personale militare e civile. Cfr. A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie, cit., pp. 282-297. 48 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Compagnia di Genova interna, oggetto: Colonnello russo Jakovieff Giovanni, 5 luglio 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917. 49 Questi i veri nomi dei delegati militari che, nelle carte dei Regi Carabinieri compaiono come Lissanerwitch e Kartowitch e Tolmacewski. 40 ne50. Nel giugno questa disposizione veniva rinnovata per due volte51: per il provvedimento preso dalla Commissione di vigilanza e di collaudo in base all’ordinanza dell’ex Ministro delle armi e munizioni, i tre militari non gravitavano più intorno all’Ansaldo, ma si erano trasferiti a Genova52. Come nei casi di Wax e della Morais, tuttavia, le informazioni scarseggiavano: sebbene le autorità fossero persuase che il Consolato fosse un centro di spionaggio, non si riusciva a dipanare la matassa delle sue relazioni, al di là dei vaghi sospetti. Per comprendere meglio il ruolo svolto dai militari in questo senso, il Comando della Divisione militare di Genova dispose che si interrogasse in veste ufficiale il cavaliere Virgilio, dello stabilimento Ansaldo53, il quale – tuttavia – non seppe fornire alcun recapito dei militari russi facenti capo alla Missione54. 50 Note informative sulla Missione militare russa in Italia, 28 aprile 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 19171919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917. Sulla rappresentanza diplomatica in Italia nel periodo e le fonti di riferimento: A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie…, cit., p. 64. 51 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Ufficio di terza divisione, oggetto: membri Missione militare russa, 2 giugno 1918 e Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Compagnia di Genova interna, oggetto: Missione militare russa, 28 giugno 1918, entrambe in Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917. 52 Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: Missione militare russa, 22 giugno 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917. 53 Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: Missione militare russa, 30 giugno 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917. 54 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Compagnia di Genova interna, oggetto: Missione militare russa, 24 luglio 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917. Va rilevato che l’Ansaldo giocava, oltre a un ruolo di primaria importanza nel mondo economico e finanziario italiano, anche un ruolo politico: alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, il gruppo industriale portò avanti una campagna interventista contro Giolitti, mentre negli anni 41 Nell’agosto del 1918, quasi con sollievo, il Comando della Divisione di Genova riferiva alcune notizie sospette sul Capitano Lissanevič e sul Sottotenente Tolmačevskij. Il primo si recava ogni mattina al Consolato russo ed era «ritenuto danaroso»; ma frequentava «la nobiltà cittadina e della colonia russa» quindi poco aveva a che fare con i bolscevichi. Il secondo, invece, era presentato come una «persona politicamente pericolosa»: nella sua casa si «davano convegno misteriosamente diversi russi». E cosa ancor più sospetta, mentre dimorava permanentemente a Milano con la moglie, il Tolmačevskij teneva i propri bauli presso il Consolato russo a Genova55. La questione delle attività spionistiche del Consolato russo non trovò una propria soluzione: sospetti fondati, illazioni varie e considerazioni sulla condotta morale e sociale degli indagati si mescolavano senza lasciar comprendere quanto di tangibile vi fosse negli approfondimenti investigativi. Ciò che emergeva chiaramente in questo complesso di casi era la tensione delle autorità italiane, una “grande paura” che iniziava a delinearsi in modo sempre più preciso: quella dell’importazione della rivoluzione56. Bisognerebbe chiedersi, a questo punto, quanto di concreto vi fosse in questa minaccia rivoluzionaria proveniente dall’estero, alla fine del 1917. Certamente la rivoluzione europea era un aspetto chiave nel pensiero politico bolscevico, addirittura vitale nella logica di sopravvivenza del bolscevismo russo; e Lenin aveva soggiornato in varie occasioni presso la casa di Gor’kij, a Capri, e conosceva la realtà italiana. Ma ciò non portò i leader russi ad interessarsi direttamente al Re- seguenti mise ripetutamente in guardia le autorità circa possibili complotti di matrice tedesca. C. Seton-Watson, L’Italia dal liberalismo, cit., pp. 638-639. 55 Comunicazione del Tenente Generale Comandante della Divisione Favattari, del Comando della Divisione militare di Genova, oggetto: missione militare russa, 20 agosto 1918, Msac, f. 315, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 102, cat. Riservato, specialità 10, pratica 29, oggetto: Consolato generale di Russia a Genova, anno 1917. 56 In questo senso, aveva probabilmente ragione Sergio Panunzio, collaboratore del «Rinnovamento», quando scriveva che si parlava più del necessario di Lenin e del bolscevismo. Ciò che invece conteneva in sé i germi del pericolo era «la paura del bolscevismo», «segno di debolezza» e di insicurezza interna. cfr. G.B. Furiozzi, I sindacalisti rivoluzionari italiani tra Kerenskij e Lenin, «Clio», Vol. 36, n. 4 (ottobre-dicembre 2000), anno XXIV, p. 683. 42 gno57; o non lo fecero almeno in questa fase, con una rivoluzione appena compiuta, la questione della guerra da risolvere, una società intera da riformare. In una frase, risulta alquanto improbabile che questo aspetto costituisse una priorità nel periodo in cui, come ha osservato Andrea Graziosi, «il regime assicurò la propria sopravvivenza»58. Eppure, già nel dicembre 1917, il Ministero della guerra italiano inviava una comunicazione riservata ai Comandi di Corpo d’armata territoriali e al Comando generale dell’Arma dei Reali Carabinieri nel quale si disponevano indagini sulla comparsa di manifesti di propaganda pacifista comparsi fra le truppe e negli stabilimenti ausiliari, nei quali si annunciava come «prossimo», «l’arrivo in Italia di alcuni rappresentanti della rivoluzione russa». Essi erano stati «incaricati di provocare un movimento del proletariato per imporre l’armistizio». I «compagni d’arme» e gli «operai», ai quali era destinato il manifesto, venivano esortati a «rifiutarsi di continuare a fabbricare armi e munizioni», mentre si invitavano i militari dall’astenersi dal combattere. Il Ministro Alfieri disponeva dunque la più attenta vigilanza visto che già a Roma e ad Arezzo i manifestini avevano iniziato a circolare59. La notizia venne confermata anche dall’Ufficio di terza divisione della Legione territoriale dei Carabinieri di Torino: in una lettera proveniente da un circolo socialista del circondario di Novara, si comunicava l’arrivo di una «commissione di propagandisti rivoluzionari», il cui scopo era «propagare e diffondere un nuovo programma di pace, compilato a Stoccolma da socialisti internazionali francesi, inglesi, russi, scandinavi, austro-ungarici e americani». Lo scopo ultimo della commissione era quello di indire uno «sciopero generale» con evidente finalità politica: fermare la guerra 57 R. Service, Bolshevism’s Europe from Lenin to Stalin, 1914-’28, in S. Pons, A. Romano (a cura di), Russia in the age of wars, 1914-1945, Fondazione Feltrinelli, Milano, 2000, p. 70. 58 A. Graziosi, La grande guerra contadina in URSS: bolscevichi e contadini, 19181933, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1999, p. 29; id., L'Urss di Lenin e Stalin: storia dell’Unione Sovietica 1914-1945, il Mulino, Bologna, 2010, pp. 89-102. 59 Comunicazione riservata n. 30102 del Ministro Alfieri, Ministero della guerra, Segretario generale, Divisione di Stato maggiore, sezione 2°, oggetto: manifesti di propaganda pacifista, 29 dicembre 1917, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918. 43 e attuare le «istruzioni di dottrine rivoluzionarie per effettuare la fratellanza e l’accordo internazionale zimmervaldiano»60. 2.2 «Babbo ammalato. Mi metto in congedo per 24 ore». L’ultimo anno di guerra: tra propaganda disfattista e annunci rivoluzionari Disfattismo, emissari bolscevichi stranieri, attentati e scoppi rivoluzionari: questo era il panorama che si stagliava fosco nell’analisi delle autorità italiane per quello che si sarebbe rivelato come l’ultimo anno di guerra, il 1918. Una situazione potenzialmente esplosiva sul piano bellico e sul versante interno che aveva un unico comune denominatore: il «germe» bolscevico proveniente dalla Russia, che si insinuava attraverso la propaganda disfattista nell’Esercito e nella società italiana. Tra la fine di quel cruciale 1917 ed i primi mesi dell’anno successivo, si affollarono sulle scrivanie dei Comandi di Divisione di Novara, Genova e Ferrara le notizie allarmanti di una situazione che pareva sempre più essere fuori controllo. Uno dei fronti principali era proprio quello dell’Esercito che, in una fase particolarmente delicata dopo la disfatta di Caporetto, veniva ora sottoposto ad una propaganda disfattista incessante, da parte bolscevica ma anche austro-tedesca. Liquidato Cadorna, le autorità volevano lasciarsi il disastro del 24 ottobre 1917 alle spalle61: questa volta l’azione del governo fu decisa nel perseguire l’obiettivo di fronteggiare la prossima offensiva austriaca con uno spirito e una preparazione diversi. L’azione del socialista riformista Leonida Bissolati al Ministero dell’assistenza militare, dal gennaio 1918, fu rivolta alla necessità di attuare con convinzione una campagna contro il disfattismo attuato dagli stranieri, fossero essi austriaci62 o, nei 60 Circolare riservata urgente n. 512/47 della Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Ufficio di terza divisione, oggetto: informazioni confidenziali sull’agitazione operaia, 31 dicembre 1917, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918. Sul socialismo italiano e il movimento di Zimmerwald: E. Ragionieri, Il socialismo italiano e il movimento di Zimmerwald, «Belfagor», 1973, n. 2, pp. 129-160. 61 Sul dualismo Cadorna-Diaz, si veda: G.L. Gatti, I due comandanti. Cadorna e Diaz, in M. Isnenghi, D. Ceschin (a cura di), La Grande Guerra…, cit., pp. 409-424. 62 Comunicazione n. 15068 del Comando supremo, Servizio informazioni, Sezione “R”, oggetto: propaganda disfattista, 26 dicembre 1917, Msac, f. 330, Comando 44 mesi successivi, russi63. Nel gennaio 1918, il Comando del Corpo d’armata di Torino inviò una comunicazione che richiamava alla coesione sociale che ponesse «argine all’invasore»: «la Nazione compatta» doveva pensare ed operare «al solo unico scopo della salvezza della Patria». Era quindi necessaria una «opera assidua» per «impedire l’infiltrazione deleteria di rovinose teorie nella gran massa della popolazione»; e poiché «l’azione funesta dei malvagi e degli incoscienti» corrodeva «la resistenza interna», era necessario opporle «l’antidoto di inesorabili sanzioni penali» di cui le singole Autorità gerarchiche, militari e politiche, dovevano farsi carico, per vigilare la immediata applicazione delle sanzioni contro tutti coloro che si facevano «strumento delle insidie nemiche»64. La comunicazione faceva esplicito riferimento alla nuova minaccia che proveniva dall’ex alleato dell’Intesa: non solo la pubblicazione dei trattati segreti da parte dei bolscevichi aveva messo in forte imbarazzo il governo e costretto Sonnino a difendere pubblicamente il Patto di Londra in Parlamento65, ma nelle fila dell’Esercito serpeggiava ormai quasi dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918. Cfr. L. Tosi, La propaganda italiana all’estero nella Prima guerra mondiale: rivendicazioni territoriali e politica delle nazionalità, Del Bianco, Udine, 1977. 63 C. Seton-Watson, L’Italia dal liberalismo…, cit., p. 639. La comunicazione relativa al deferimento al Tribunale militare anche per reati che abitualmente erano giudicati in sede civile rientrava appieno in questa visione: cfr. Comando militare delle provincie zona di guerra Ovest, oggetto: reati di giurisdizione militare, 28 dicembre 1917, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918. Sull’atteggiamento di Bissolati durante la Prima guerra mondiale: C. Baldoli, La classe e la nazione. La “guerra democratica” di Leonida Bissolati, in M. Isnenghi, D. Ceschin (a cura di), La grande guerra…, cit., pp. 393-400. 64 Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Ufficio mobilitazione, oggetto: propaganda e manifestazioni contro la guerra, 3 gennaio 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918. 65 A tal proposito, si veda: P. Pastorelli (a cura di), Sidney Sonnino. Diario 19161922, Laterza, Bari, 1972, p. 225 e p. 335. 45 apertamente una nuova forma di propaganda, quella leninista, che chiamava i soldati all’unità internazionalista e alla rivolta contro i borghesi responsabili del conflitto. Una nota «riservatissima» del Ministero della guerra ai Comandi di Corpo d’armata territoriali faceva il punto su questa nuova forma di propaganda contro la guerra ad opera delle «avanguardie socialiste internazionali», attraverso le stazioni sovversive di Iselle e Varese. Nel gennaio 1918, tali avanguardie avevano esortato le sezioni socialiste ad «intensificare la propaganda contro la guerra», annunciando come «prossimi» i movimenti insurrezionali nelle principali capitali europee e inneggiando alle «idee di Lenin». Il Psi, sottolineava la comunicazione, faceva affidamento a militari, soprattutto gli Ufficiali66 che, prima della guerra, erano iscritti al Partito, per diffondere la propaganda eludendo la vigilanza esercitata sulla sua corrispondenza. Inoltre, alcuni elementi sovversivi erano stati inviati direttamente al fronte come complementi dai centri di mobilitazione di Torino, Genova e Napoli, al fine di sviluppare un’intensa «propaganda disfattista tra le truppe»67. La propaganda diede evidentemente i propri frutti perché le segnalazioni in questo settore si moltiplicarono e, grazie all’azione di alcuni informatori, le autorità riuscirono a reperire il testo dei volantini diffusi tra le truppe. In uno di questi, fatto circolare nel gennaio 1918, si mettevano in risalto i risultati positivi che la propaganda socialista internazionalista aveva fruttato nell’Impero austro-ungarico, dove si ravvisavano «gravi conflitti fra militari e proletari, proteste contro la barbara reazione dei governanti, imperialisti, borghesia e capitalismo». Era, in sostanza, un appello all’unità dei popoli contro la tirannia che aveva imposto la guerra, un «accordo e fratellanza internazionale» sotto la bandiera della dife66 Regia Prefettura di Novara al Comando Divisione dei RR. CC. di Novara, oggetto: movimento socialista – propaganda, 15 gennaio 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918. Nel gennaio 1918, nel carteggio fra Turati e Kuliscioff non vi è menzione alla propaganda disfattista nell’Esercito italiano ad opera di emissari. Cfr. F. Pedone (a cura di), Carteggio. Filippo Turati e Anna Kuliscioff, cit., pp. 816-832. 67 Circolare riservatissima n. 180 del Ministro Alfieri, Ministero della guerra, Segretariato generale, oggetto: propaganda antipatriottica, 14 gennaio 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918. 46 sa dei «diritti economici e politici, la libertà d’azione, senza interessi egoistici d’impero e d’un governo». In definitiva, come il popolo austroungarico si stava battendo contro «la strage dell’imperialismo nefasto, contro l’egoismo e le truffe del capitalismo e [della] borghesia austroungarica», anche il popolo italiano sarebbe stato in grado di insorgere68. I collegamenti internazionali tra la sovversione nei Paesi dell’Intesa e quelli della Triplice iniziavano ad emergere in modo più preciso. All’inizio del 1918, il Ministero dell’interno segnalava alle Prefetture italiane un’informazione secondo la quale il Partito socialista rivoluzionario internazionale aveva preso accordi con la direzione del Partito anarchico internazionale al fine di stampare «molte migliaia di manifesti» da distribuire nei centri ove esistevano «forti organizzazioni operaie» (sic!). I pamphlet dovevano essere poi introdotti in Italia da «agenti segreti», come un tale Sciarli, «persona dai modi distinti ed elegante che si dice[va] nato a Ginevra» e che parlava «correttamente l’italiano e da un anno circa risiede[va] a Firenze». Lo Sciarli, di cui si diceva che avesse guidato i movimenti dell’agosto 1917 a Torino, era sospettato di aver diretto «un’attiva campagna rivoluzionaria» anche in Toscana, nel Lazio e nel napoletano69. Dopo che gli agenti segreti avevano provveduto all’importazione dei materiali disfattisti, i militari venivano quindi spesso invitati a defezionare attraverso i sistemi più strampalati: con manifestini piegati a forma di tavolette di cioccolata70 oppure scrivendo i messaggi sull’interno delle «pezze da piedi»71. Un altro metodo che 68 Regia Prefettura di Novara al Comando Divisione dei RR. CC. di Novara, oggetto: informazioni confidenziali avute sull’agitazione operaia, 26 gennaio 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918, p. 2. 69 Regia Prefettura di Novara al Comando Divisione dei RR. CC. di Novara, oggetto: movimento socialista internazionale per la pace, 22 gennaio 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918, pp. 1-2. 70 Legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Stazione di Ambrogio, oggetto: tavolette di cioccolata contenenti figure a scopo disfattista, 26 maggio 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, fasc. categoria R, specialità 2, pratica 1, cit. 71 Circolare riservata n. 18/14 Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Ufficio mobilitazione, 16 gennaio 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di 47 sarebbe stato deciso in una riunione di leninisti tenutasi a Firenze con la presenza dei fiduciari di Bologna, Genova e Torino, consisteva nell’attirare i militari in licenza invernale nei circoli ricreativi socialisti «con la scusa di bicchierate, banchetti famigliari, divertimenti» e così svolgere propaganda «in senso disfattista, consigliando però, in caso di eventuale abbandono del fronte, di non gettare le armi, ma conservarle e possibilmente non disperdersi ma di aggrupparsi»72. Tipica era poi la diffusione di canti o poesie, con testi opportunamente rivisti in senso filoleniniano e disfattista, come in questo stralcio tratto da un manifesto reperito a Pieve di Teco, in provincia di Cuneo: Gli agnelli vanno al macello, niente dicono e niente sperano, ma almeno non votano per il macellaio che li deve uccidere e per il borghese che li deve mangiare. Più bestia delle bestie, più somaro dei somari, il popolo nomina il suo macellaio ed elegge il suo borghese. […] Sarete vinti sì, vinti ed abbattuti dalla rivoluzione Purgatrice e invan ci morderete, o immondi bruti Mevia fenice A terra i monumenti e le prigioni Spezzati i simulacri contro il muro, Spianate le frontiere, infranti i troni. Ecco il futuro73. Se, secondo le autorità, la propaganda socialista era attivissima74, essa diveniva ancor più efficace quando era coadiuvata da quella cattolica per la fine del conflitto75. Le autorità governative mostravano segnali di preoccupazione e premevano sui Comandi dei Regi Carabinieri affinché Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918. 72 Comunicazione n. 108 dell’Ufficio del Capo di Stato maggiore della Marina, oggetto: movimento insurrezionale, data illeggibile (ma presumibilmente gennaio 1918), Msac, f. 330, ivi. 73 Copia di manifesto trovato a Pieve di Teco dai Reali Carabinieri, Comando della Divisione militare territoriale di Cuneo, 24 gennaio 1918, Msac, f. 330, ivi. 74 Regio Esercito italiano, Comando supremo, oggetto: propaganda contro la guerra nell’Esercito, 11 gennaio 1918, Msac, f. 330, ivi. 75 Comunicazione n. 108 dell’Ufficio del Capo di Stato maggiore della Marina, cit. 48 la propaganda, particolarmente rinvigorita nei primi mesi del 1918, cessasse, adottando «i severi provvedimenti che fossero del caso»76. A partire dalla primavera del 1918, da quanto risulta dalla documentazione reperita, la propaganda disfattista conobbe una nuova evoluzione: quella dell’incitazione alla violenza in seno all’Esercito. Un informatore confidenziale del Comando del Presidio di Bologna mostrò ai Carabinieri un foglietto, «già stampato in quattro milioni di esemplari» e destinato ad essere distribuito «alla truppa e ai borghesi» contemporaneamente in «venti città d’Italia». Uno stralcio del volantino recitava: A morte gli interventisti – assassini del proletariato e sfruttatori della patria – a morte il Re, Salandra e Sonnino – viva la Rivoluzione. Soldati! Uccidete i vostri ufficiali77. Le notizie che giungevano delle rivolte in seno all’Esercito contro gli Ufficiali dalla Russia non potevano non esercitare una temibile eco nelle riflessioni delle autorità78. La minaccia appariva ancor più grave di fronte ai tentativi di coordinamento propagandistici: ormai non si trattava più solo di qualche manifestino, ma di una propaganda strutturata e organizzata. In questa direzione andavano le allarmanti notizie circa un convegno segreto, tenutosi in Italia, «per organizzare ed alimentare la propaganda nell’Esercito e nel Paese». Il Ministero della guerra dispose così di «escludere, con sempre maggiore sicurezza, ogni contatto tra i reparti dipendenti e l’organizzazione sovversive del territorio […] a mezzo di corrispondenza» e, in termini più generali, di esercitare una «oculata vigilanza per scoprire, seguire o reprimere con i mezzi opportuni tutte le infiltrazioni del sovversivismo che tendano a deprimere le forze morali e materiali dell’Esercito»79. Gli obiettivi del disfattismo di 76 Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Ufficio mobilitazione, oggetto: propaganda antipatriottica, 16 gennaio 1918, Msac, f. 330, ivi. 77 Comunicazione riservata speciale n. 730 del Comando della Divisione militare territoriale di Novara ai Comandi delle Compagnie dei CC. RR. di Novara, Vercelli, Ivrea, Pallanza, Biella, oggetto: informazioni confidenziali, 8 febbraio 1918, Msac, f. 330, ivi. 78 Non è secondario rammentare che la conquista del potere attraverso i Soviet avvenne anche in seno all’Esercito russo, ove i Soviet dei rappresentanti si attribuirono la facoltà di nominare e/o destituire gli Ufficiali, minando così definitivamente – secondo l’interpretazione di Zaslavsky – la combattività dell’Esercito russo. Cfr. V. Zaslavsky, Storia del sistema sovietico. L’ascesa, la stabilità, il crollo, Carocci, Roma, 2004, p. 54. 79 Circolare riservatissima del Ministro della guerra alla Compagnia CC. RR. di Ferrara esterna, oggetto: organizzazione e propaganda sovversiva nell’Esercito e nel 49 estrazione russa apparivano chiari ed erano ampiamente condivisi e propagandati da una parte del Partito socialista ufficiale: l’immediata smobilitazione dell’esercito, il ritiro di truppe dalla Russia, il diritto alla libertà fondamentale alla vita civile e l’amnistia per tutti i condannati per reati politici80. Quest’ultima richiesta non era certo casuale: dopo la disfatta di Caporetto, il governo Orlando aveva adottato un atteggiamento molto più rigido nei confronti di coloro che erano indicati come i responsabili del disordine sociale. L’esempio fu dato con il processo rivolto nei confronti di alcuni dirigenti di spicco del Partito socialista, accusati di aver organizzato i tumulti di agosto a Torino, i cui primi incidenti parevano correlati alla carenza di pane, ma che ben presto degenerarono dando luogo a un moto politico che portò a scontri diretti con i militari e le forze di Pubblica sicurezza81. L’arresto di operai e dimostranti giunse a toccare il migliaio mentre i dirigenti del Partito arrestati furono ventiquattro82. Al termine del processo principale per i fatti dell’agosto 1917, iniziato presso il Tribunale militare di Torino nel giugno 1918 e conclusosi nell’agosto dello stesso anno, furono condannati il segretario del Partito, Costantino Lazzari83, un dirigente di spicco della corrente rivoluzionaria, Nicola Bombacci84, e Giacinto Menotti Serrati, il successore Paese, 21 giugno 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, fasc. categoria R, specialità 2, pratica 1, oggetto: agitazione contro la guerra, anno 1918. Circa la «rigorosa applicazione delle misure da prendersi contro coloro che con ogni mezzo indeboliscono la resistenza nazionale» anche la comunicazione della Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Ufficio mobilitazione, oggetto: voci disfattiste, 24 luglio 1918, Msac, f. 330, cit. 80 Telegramma espresso n. 33895 della Regia Prefettura di Genova alle Compagnie dipendenti, 28 dicembre 1918, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, f. 315, Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 4, cat. Riservato, specialità 2, pratica 1, oggetto: agitazioni proletarie, movimento e deliberazioni del Partito socialista ufficiale, anno 1918. 81 P. Spriano, Storia di Torino operaia e socialista: da De Amicis a Gramsci, Einaudi, Torino, 1972, pp. 418-430; si veda anche Id., Torino operaia nella grande Guerra, 19141918, Torino, 1960. 82 Ivi, p. 430. Tra i dirigenti arrestati, si contavano i nomi di Giuseppe Romita, Maria Giudice, Elvira Zocca, Pietro Rabezzana, Virginio Boccignoni e Giuseppe Pianezza. 83 Corte d'appello penale di Roma. Sezione 3, In difesa di Costantino Lazzari e Nicola Bombacci: udienza del 18 maggio 1918, Cooperativa tipografica italiana, Roma, 1918. 84 A. Bombacci, Nicola Bombacci rivoluzionario: 1910-1921, Santerno, Imola, 1983; S. Noiret, Massimalismo e crisi dello stato liberale: Nicola Bombacci, (18791924), FrancoAngeli, Milano, 1992. Circa la curiosa evoluzione politica di Bombacci: G. Salotti, Nicola Bombacci: un comunista a Salò, Mursia, Milano, 2008. 50 di Mussolini alla direzione de «L’Avanti». La scelta si rivelò tuttavia un passo incauto: l’atmosfera non era certo delle più pacifiche e, in occasione dell’inizio del processo, la Legione territoriale dei Carabinieri di Genova paventava la possibilità di uno sciopero generale di protesta di 24 ore anche se, precisava, «le maggioranze [erano] decisamente riluttanti e ogni manifestazione»85. Analoghi timori vennero sollevati circa «pubbliche manifestazioni o comunque [tentativi di] turbare [l’]ordine pubblico»86, in occasione dell’enunciazione delle sentenze. Ma non erano solo i fatti legati alle condanne di Torino ad infiammare il Paese. Per i mesi di gennaio e febbraio 1918, erano già stati previsti «gravi tumulti e sommosse» i cui «esecutori» erano stati reclutati fra gli «anarchici italiani» sotto egida dei tedeschi rivoluzionari. Secondo alcune informazioni confidenziali, gli agenti bolscevichi tedeschi avevano provveduto a portare a Chiasso «esplosivi potentissimi destinati [a] fare saltare officine fabbriche munizioni per il Regno»87. Notizie di uno 85 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Divisione di Genova interna, oggetto: manifestazioni pro-arrestati Barberis, Serrati & compagni, 11 luglio 1918, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, f. 315, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 4, cat. Riservato, specialità 2, pratica 1, oggetto: agitazioni proletarie, movimento e deliberazioni del Partito socialista ufficiale, anno 1918. Va rilevato che un analogo timore emerse in occasione delle previste manifestazioni in occasione dei festeggiamenti del primo maggio che, tuttavia, non si concretizzarono in disordini diffusi, nonostante la preoccupazione mostrata dalle autorità alla fine di aprile che avesse indotto queste ultime ad adottare provvedimenti preventivi. A titolo di esempio: comunicazione del Prefetto Poggi della Prefettura di Genova, 30 aprile 1918; comunicazione del Prefetto Poggi della Prefettura di Genova, 28 aprile 1918, contenute in Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, f. 315, Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 49, cat. Riservato, specialità 2, pratica 7, oggetto: primo maggio, anno 1918. È importante sottolineare inoltre il forte stato di ansia delle autorità in vista del primo maggio anche in relazione alle attività del Partito socialista ufficiale. In una nota dell’Ufficio di terza divisione della Legione territoriale dei Carabinieri reali di Genova, si preannunciavano «moti rivoluzionari» in occasione del primo maggio nelle varie regioni italiane tra le quali il Piemonte e la Lombardia, i promotori delle quali sarebbero stati Morgari, Turati e Treves. Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Ufficio di terza divisione, oggetto: primo maggio, 27 aprile 1918, ivi. 86 Regia Prefettura di Genova, 3 agosto 1918, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, f. 315, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 10, cat. Riservato, specialità 2, pratica 2, oggetto: anarchici e partiti sovversivi in genere, anno 1918. 87 Regia Prefettura di Novara al Comando Divisione dei RR. CC. di Novara, 31 dicembre 1917, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista 51 sciopero che si proponeva di paralizzare alcune zone chiave del Paese giungevano da varie zone del Nord Italia. La Regia Prefettura di Novara avvisava il Comandante della Divisione dei Regi Carabinieri lì di stanza, delle decisioni prese al convegno massimalista tenutosi a Firenze nel novembre 1917, circa l’invito, rivolto a tutte le sezioni socialiste, di «cooperare per un movimento insurrezionalista simultaneo», la cui parola d’ordine per scatenare l’insurrezione sarebbe stata: «Babbo malato. Mi metto in congedo per ventiquattro ore»88. La costituzione di Legioni rosse, istituite – secondo informazioni confidenziali ricevute dalla Divisione dei Carabinieri di Novara – in base all’accordo tra il gruppo parlamentare, la direzione centrale del Partito socialista e la Confederazione generale del lavoro, rendeva evidente agli occhi delle autorità la concretezza della minaccia rivoluzionaria, attuata secondo la linea individuata a livello internazionale e resa fattibile dalla «fratellanza» tra il «proletariato lavoratore» e «maestranze», e «proletariato [di] contadini e di agrari89. Tuttavia, a prescindere dall’esistenza o meno delle nuove formazioni, legate più che altro a realtà locali, i Carabinieri mettevano in rilievo che il movimento operaio era in ogni caso pronto per operare un rovesciamento rivoluzionario. Questa era, ad esempio, la sensazione dei delegati locali a Biella90, ma anche delle zone tipicamente di Sinistra della Romagna – ove la “settimana rossa” era ancora un ricordo tangibile91 – sembravano essere pronte a spendersi per la rivoluzione92. Nel italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. Cfr. anche C.L. Bertrand, War and subversion in Italy: 19171918, «Historical Reflections», Summer 1976, vol. 3, n. 2, p. 117. 88 Comunicazione riservata n. 16, Regia Prefettura di Novara al Comando Divisione dei RR. CC. di Novara, 3 dicembre 1917, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. 89 Costituzione delle Legioni rosse, 9 gennaio 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit., p. 1. 90 Comunicazione riservata della Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Compagnia di Biella, oggetto: informazioni sulla agitazione operaia, 19 febbraio 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. 91 L. Lotti, La settimana rossa: con documenti inediti, Le Monnier, Firenze, 1972. 92 Sul significato della “settimana rossa” come conferma della fragilità dell’alternativa rivoluzionaria e l’opposta stabilità dello Stato liberale: Z. Ciuffoletti, Storia del PSI, vol. 1, Le origini e l’età giolittiana, Laterza, Roma-Bari, 1992, pp. 463-464. Sul punto, con 52 gennaio 1918, il Comando supremo dava ormai come «prossimo un movimento rivoluzionario nella popolazione civile delle Romagne [con] movimento che da Falconara e Jesi si [sarebbe propagato] ad Ancona»93. Il tentativo di fomentare una rivoluzione, preparato da elementi locali ma evidentemente su indicazione e in collaborazione con elementi stranieri di matrice zimmerwaldiana «in appoggio alla rivoluzione russa ed all’agitazione operaia [degli] Imperi centrali» e prevista, contemporaneamente, «in tutto il mondo»94, sarebbe stato concretamente sviluppato provocando una penuria alimentare. Nello specifico, i sobillatori avevano messo in circolazione circa «100.000 tessere falsificate» allo scopo di «fare incetta di generi alimentari» in modo che, data la carenza di tali prodotti, si producesse nella popolazione un «senso di stanchezza contro la guerra», poi «sfruttato» per generare un «movimento insurrezionale pacifista»95. Tale prospettiva non pareva troppo lontana dalla realtà: il Comando di presidio della Divisione militare di Torino, già nel dicembre 1917, segnalò con una certa preoccupazione l’evolversi politico di dimostrazioni per la mancanza di pane in tutto il biellese96, fomentate dalla locale Camera del lavoro che aveva richiamato tutte le principali particolare riferimento ai nuovi codici di risposta delle forze conservatrici: G. Albanese, La settimana rossa tra aspirazioni rivoluzionarie e reazioni d’ordine, in M. Isnenghi, S. Levi Sullam (a cura di), Gli italiani in guerra: conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, vol. II, Le “tre Italie”: dalla presa di Roma alla settimana rossa (1870-1914), Utet, Torino, 2009, pp. 606-612. 93 Legione CC. RR. di Bologna, Compagnia di Ferrara esterna, oggetto: comunicazioni del Comando supremo, 31 gennaio 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, fasc. categoria R, specialità 2, pratica 1, cit. 94 Legione CC. RR. di Bologna, Compagnia di Ferrara esterna, oggetto: propaganda sovversiva, 14 febbraio 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, fasc. categoria R, specialità 2, pratica 1, cit. 95 Comunicazione n. 163-11 del Comando militare delle provincie di guerra-Ovest, oggetto: movimento insurrezionale socialista, 8 gennaio 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. 96 Comunicazione n. 4/5 della Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Compagnia di Biella, oggetto: informazioni confidenziali sull’agitazione operaia, 4 giugno 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. 53 sezioni socialiste d’Italia ad una «azione comune di protesta contro la guerra e contro i fautori e continuatori di essa»97. In quei mesi del 1918, l’arma dello sciopero generale venne brandita ripetutamente con una duplice finalità: spingere il governo all’armistizio e indurlo ad abolire i provvedimenti restrittivi della libertà98. Le autorità si mostrarono particolarmente attente a questa connessione tra il piano nazionale e quello internazionale: secondo le carte del Museo storico dell’Arma dei Carabinieri, sul finire dell’anno, la preoccupazione salì al massimo per le minacce del Partito socialista ufficiale di «provocare manifestazioni pubbliche anche violente oppure uno sciopero generale, per tentare di imporre una pace come che [fosse] ma sollecita»99. Il Presidente del Consiglio Orlando fece così emanare un telespresso riservatissimo destinato alle Prefetture e alle Divisioni dei Carabinieri per dettare la linea circa la gestione dell’emergenza politica e sociale. In primo luogo, era necessario mantenere in efficienza tutti i servizi d’informazione in modo tale che fosse sempre preciso «il senso della realtà della situazione»; in seconda battuta, si riteneva imperativo tenere gli «opportuni contatti» con gli elementi dello stesso Partito socialista che dissentivano dai propositi di azione diretta; infine, specialmente nei grandi centri, sarebbe stato auspicabile approfittare del «grande aiuto» che sarebbe potuto venire dal Fascio nazionale e dalle Associazioni dei mutilati, in un’azione coordinata dalle autorità100. 97 Comando della Divisione militare di Torino, Comando di presidio, oggetto: informazioni confidenziali avute sull’agitazione operaia, 29 dicembre 1917, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. 98 Legione CC. RR. Bologna, Compagnia di Ferrara Est., 11 novembre 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, fasc. categoria R, specialità 2, pratica 1, oggetto: agitazione contro la guerra, anno 1918. 99 Comando del Corpo d’armata di Bologna, n. 10588, riservatissima, oggetto: probabile agitazione pro-pace del Psu, s.d. (probabilmente dell’autunno 1918), Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, fasc. categoria R, specialità 2, pratica 1, oggetto: agitazione contro la guerra, anno 1918, p. 1. 100 Il documento proseguiva specificando: «Sarebbe invece assai pericoloso se essi [i Fasci] passassero ad una propria azione diretta». Cfr. Legione CC. RR. di Bologna, Compagnia di Ferrara, oggetto: manifestazioni popolari per la pace, 27 ottobre 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, fasc. categoria R, cit., p. 2. 54 L’allerta era estremamente alta: dopo la propaganda disfattista e la possibilità di manifestazioni violente, le numerose notizie dell’arrivo di emissari bolscevichi mantenevano le autorità in uno stato di tensione continuo. In febbraio giunse la notizia dell’ingresso nel Regno e in Svizzera di «agenti disfattisti ben provvisti di denaro», reclutati fra gli internati civili e i prigionieri di guerra italiani delle terre invase dagli austro-tedeschi, nonché fra i «camerieri svizzeri» che avevano lavorato in Germania101. In effetti, solo qualche tempo prima, era stata segnalata per sospetto spionaggio la suddita svizzera Eugenia Gross, madre e consigliera102 di quell’Armando che, per la stessa ragione, era già stato internato a Firenze103. Altrettanto sospetta era definita l’attività di tale Lorenzo Bezerady, di origine ungherese e domiciliato a Genova: infermiere sul piroscafo Savoia, veniva presentato come un personaggio di «dubbia condotta», e quindi «capace di esercitare spionaggio». Come nel caso dei fratelli Wax, pur non essendo emersi elementi concreti a suo carico, veniva disposto un provvedimento che gli avrebbe impedito di avvicinarsi a Genova104. Lo stato di allerta delle autorità era evidentemente molto alto se ogni sospetto di spionaggio veniva allontanato dai luoghi chiave dell’agitazione operaia e del fronte. Questo era certo il caso della città ligure che, già meta di noti personaggi legati al bolscevismo, si confermava come uno dei principali centri di propaganda rivoluzionaria: in quell’area, nel corso del 1918, diversi sovversivi definiti pericolosi erano stati segnalati dalle autorità e debitamente sorvegliati105. 101 Servizio informazioni, Riservatissimo confidenziale, Regio Esercito italiano, Comando supremo, Sezione U., 6 gennaio 1918, Msac, f. 330, cit. 102 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Compagnia di Sampierdarena, oggetto: sudditi stranieri sospetti di spionaggio, 7 dicembre 1917, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, ivi. 103 Regia Prefettura di Genova, n. 24986, oggetto: sudditi stranieri sospetti di spionaggio, 12 dicembre 1917, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, f. 315, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 60, cat. Riservato, specialità 10, pratica 18, oggetto: stranieri di Paesi nemici o neutrali dei quali si propone l’allontanamento, anno 1917. 104 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Compagnia di Genova interna, oggetto: Bezerady Lorenzo, 7 dicembre 1917, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, ivi. 105 Regia Prefettura di Genova, oggetto: Pelizza Carlo, socialista rivoluzionario, 30 settembre 1918; comunicazione del Prefetto Poggi della Prefettura di Genova al Comando del Corpo d’armata di Genova, oggetto: Pangotto Guido, sovversivo riformato, 18 maggio 1918, entrambe contenute in Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, f. 315, fasc. Comando della Divisione 55 In una comunicazione del Sottoprefetto di Savona dell’agosto 1918, si metteva in rilievo la preoccupante coesistenza nella città di una concentrazione di elementi sovversivi in un «importante centro industriale produttore di materiale bellico» che era, tra l’altro, un importante snodo «ferroviario, sia per le comunicazioni colla Francia, sia pei trasporti interessanti la nostra efficienza bellica». Il Sottoprefetto richiamava dunque le autorità di Genova, richiedendo che si evitasse l’invio a Savona e nella zona di San Giuseppe di Cairo, di «altri elementi sovversivi e pericolosi» e, anzi, si richiedeva di «provvedere nel modo più sollecito al graduale allontanamento di quelli che vi si trova[va]no»106. Nei primi mesi del 1918, notizie allarmanti circa l’azione di emissari bolscevichi giunsero dagli altri Paesi dell’Intesa. Già alla fine di gennaio, la Sureté Générale di Parigi informò le autorità italiane della possibilità che Genova divenisse teatro di disordini dovuti all’azione di bolscevichi stranieri107. Il Comando supremo dell’Arma dei Carabinieri precisò, a distanza di pochi giorni, che «undici socialisti propagandisti francesi muniti di regolari passaporti» per privati interessi, erano in procinto di venire in Italia a svolgere «propaganda in senso “leninista”, secondo un programma approvato dalle organizzazioni socialiste internazionali»108. Tuttavia, quella francese non era l’unica frontiera permeabile: alla fine dell’anno, la locale Divisione dei Carabinieri mise in guardia i Comandi dipendenti sulla possibilità che «elementi bolscevichi di Spagna tent[assero] introduzione in Italia-Francia et Inghilterra metten- CC. RR. di Genova interna, n. 10, cat. Riservato, specialità 2, pratica 2, oggetto: anarchici e partiti sovversivi in genere, anno 1918. 106 Tra questi, erano elencati: Stiatti Mario, Neri Salamone, Scarabello Policarpo, Papi Ettore, De Luigi Giuseppe, Borghi Duidio, Rossetti Riccardo e Rosati Luigi. Documento n. 15895 della Regia Prefettura di Genova, oggetto: ferrovieri sovversivi, 6 agosto 1918, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, f. 315, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 10, cat. Riservato, specialità 2, pratica 2, oggetto: anarchici e partiti sovversivi in genere, anno 1918. 107 Telegramma della Prefettura di Genova, 25 febbraio 1918, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, f. 315, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 103, cat. Riservato, specialità 2, pratica 8, oggetto: maneggi bolscevichi e massimalisti italiani, anno 1918. 108 Comando supremo, Riassunto delle comunicazioni, Legione CC. RR. di Bologna, Divisione di Ferrara, 28 gennaio 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, cit. 56 dosi fra gli equipaggi»109. Oltre al confine francese e spagnolo, era certamente il “fronte” svizzero quello più inquieto rispetto alla questione del transito di spie e propagandisti. Sin dalla fine del 1917, Berna vantava la prima rappresentanza del governo rivoluzionario russo riconosciuta all’estero, ove operavano il bolscevico di lungo Jan A. Berzin e Angelica Balabanoff110. La Svizzera era quindi un centro di propagazione delle idee rivoluzionarie e la contiguità con i confini italiani rendeva particolarmente facile sfuggire ai controlli, pur rafforzati, alla frontiera111. La stampa rivoluzionaria e disfattista continuava infatti ad entrare nel Regno. Nel giugno 1918, il pubblicista Lodovico Kaul, già espulso dall’Italia per la sua «opera denigratrice», era riuscito ad inviare nella penisola «grandi quantitativi di stampa disfattista»112. Secondo le autorità italiane, Kaul non era certo il solo problema: in una nota della Prefettura di Novara, interessata alla questione per ovvie ragioni geografiche, si denunciava come «prossimo» un «movimento di bolscevichi in Italia ad opera dei rappresentanti bolscevichi residenti in Svizzera», i quali erano ritenuti responsabili di fare «continua propaganda nel Regno specialmente a mezzo [di] pubblicazioni»113. Nel corso dell’ultimo anno di guerra, le infiltrazioni provenienti dalla Svizzera si intensificarono anche fra le truppe destinate a rifornire le unità al fronte, portando in sostanza la propaganda anche nelle trincee114. Verso la fine dell’anno, poi, alla propaganda proveniente dalla Svizzera parve unirsi anche l’esplosivo: nel dicembre, le autorità de109 Divisione dei CC. RR. di Genova interna, oggetto: maneggi massimalisti e bolscevichi, 19 ottobre 1918, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, f. 315, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 103, cat. Riservato, specialità 2, pratica 8, cit. 110 G. Petracchi, Da San Pietroburgo…, cit., p. 200. 111 Legione CC. RR. di Bologna, Compagnia di Ferrara esterna al Comando della Tenenza dei CC. RR. di Capparo, oggetto: movimento bolscevico in Italia, 25 maggio 1918, Msac, f. 290, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, fasc. categoria R, specialità 2, pratica 1, cit. 112 Regia Prefettura di Novara al Comando Divisione RR. CC. Novara, 25 giugno 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, cit. 113 Regia Prefettura di Novara al Comando Divisione RR. CC. di Novara, 25 maggio 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, cit. 114 Regia Prefettura di Novara al Comando Divisione RR. CC. di Novara, 20 giugno 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, cit. 57 nunciavano l’entrata nel Regno di sette tedeschi muniti di passaporti italiani ed il contestuale ingresso di «esplosivi chiusi in barili», insieme a «manifesti eccitanti alla rivoluzione ed alla proclamazione della Repubblica»115. Quando, dopo ripetute sollecitazioni, il valico italo-svizzero prese ad essere ben sorvegliato, i pamphlets incominciarono a provenire dalla frontiera con la Savoia, decisamente più penetrabile116. Ciò nonostante, Berna rimase uno snodo fondamentale anche perché serviva come centro di smistamento della propaganda proveniente dall’Austria e dalla Germania: dai Paesi nemici dell’Italia giungevano periodicamente appelli alla «fratellanza socialista internazionale». Secondo la propaganda diffusa nella penisola, il proletariato austriaco, in comunione di vedute con quello tedesco, stava organizzando «un movimento di protesta contro le idee annessioniste» e per il «raggiungimento della pace generale»117. Le infiltrazioni e la propaganda erano spesso diffuse per il mezzo delle locali sezioni socialiste: in particolare, secondo le osservazioni della Legione territoriale di Bologna, il Partito giovanile socialista, attraverso il suo organo di stampa «Avanguardia», aveva intensificato la propaganda «in maniera veramente allarmante»118. Esso cercava di riu- 115 I bolscevichi in questione rispondevano ai nomi di Manzini, Franchetti, Bonari, Zappa, Castani, Zentini (o Zerbini), Gervani (o Servani): Regia Prefettura di Novara ai Sottoprefetti delle provincie, Comando Divisione RR.CC. di Novara, 4 dicembre 1918; sull’esplosivo, cfr.: Regia Prefettura di Novara ai Sottoprefetti delle provincie, Comando Divisione RR.CC. di Novara, 3 dicembre 1918, entrambi contenuti in Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, oggetto: movimento sovversivo contro la guerra, propaganda disfattista, pacifista e bolscevica, anno 1918. 116 Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Ufficio di terza divisione, oggetto: propaganda bolscevica, 14 dicembre 1918, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. va precisato che, nel dicembre 1918, vista la facilità con la quale era possibile transitare dalla Savoia all’Italia, il Comando di Novara dispose una sorveglianza più attenta: Comando della Divisione militare territoriale di Novara, oggetto: propaganda bolscevica, 14 dicembre 1918, ivi. 117 Legione CC. RR. di Bologna, Compagnia di Ferrara esterna, oggetto: agitazioni sovversive, 3 marzo 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, cit. 118 Sull’attività rivoluzionaria della Gioventù socialista che, a partire dall’autunno 1917, adottò una «tattica sinceramente e strettamente rivoluzionaria», individuando tra i 58 nire i diversi elementi del Partito dell’Emilia e della Romagna per «destinarli, spronandoli vigorosamente, alla più intensa propaganda»119. A Ferrara, nell’agosto 1918, in occasione delle proteste organizzate contro le sentenze pronunciate nei confronti dei dirigenti del Partito socialista, era previsto l’arrivo di «rinnegati czechi […] incaricati di penetrare nei circoli dell’Intesa e di recarsi quindi in Italia e in Francia» che, facendosi passare per «patrioti czechi irredenti» avevano il compito di esercitare una «propaganda disfattista»120. Nel giro di poco tempo, altro centro nevralgico di attività propagandistica divenne Torino, anche per gli appoggi che gli emissari bolscevichi potevano contare in città. In particolare, le autorità disposero una «attivissima vigilanza» sulle relazioni che correvano fra i soldati al fronte ed i «sovversivi della regione torinese». A tal fine, il Comando supremo del Regio Esercito aveva disposto che nella stazione ferroviaria di Torino fosse attivato un servizio atto ad accertare se i militari in partenza e in arrivo portassero «nascosti tra il bagaglio o il vestiario manifesti o documenti sovversivi e disfattisti»121. Ma le spie bolsceviche riuscivano spesso e volentieri a eludere la sorveglianza e la censura: grazie all’azione della locale sezione del Partito socialista di Torino. secondo un informatore abituale, i «socialisti internazionalisti si scambia[va]no continuamente le proprie vedute internazionali, economiche e politiche, propri obiettivi principali, la «propaganda antimilitarista», si veda: A. Riosa, Il Partito socialista italiano dal 1892 al 1918, Cappelli, Bologna, 1969, pp. 194-196. 119 Circolare del Mi, oggetto: Sotgiu Giuseppe, Direttore dell’organo ufficiale del Partito giovanile socialista italiano, «Avanguardia», 21 giugno 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290. In un’altra nota, la Legione dei Carabinieri di Bologna riferiva della distribuzione di materiale bolscevico da parte di giovani socialisti: Legione CC. RR. Bologna, Compagnia di Ferrara est., n. 1/198, R., oggetto: ordine pubblico, 29 dicembre 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, fasc. categoria R, specialità 2, pratica 1, oggetto: agitazione contro la guerra, anno 1918. 120 Legione CC. RR. di Bologna, Compagnia di Ferrara, oggetto: notizie riservate, 18 agosto 1918, Msac, Comando Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, fasc. categoria R. Un altro mezzo di diffusione della propaganda era la stampa sulle monete da 10 centesimi: esemplari di questo tipo recanti le scritte «Abbasso la Monarchia», «proletariato organizzato – Viva la Rivoluzione» erano stati rinvenuti a Ferrara, ivi. 121 Regio Esercito italiano, Comando supremo, Servizio informazioni, oggetto: propaganda sovversiva nell’Esercito, 5 giugno 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, cit., p. 1. 59 pel tramite della direzione socialista internazionale di Berna». Nonostante la censura e il controllo esercitato sulla corrispondenza, le comunicazioni socialiste venivano infatti inviate segretamente tramite i ferrovieri viaggiatori, «scelti fra i compagni di più provata fiducia»122. Nel tentativo di circoscrivere il fenomeno della propaganda bolscevica, i locali Comandi cercarono quindi di introdurre persino delle «gratificazioni in denaro, oltre ai premi d’indole morale» a quei militari che fossero riusciti ad individuare ed arrestare i detentori di manifesti di «propaganda bolscevica, inneggianti alla rivoluzione e al regicidio»123. Le autorità di Torino, sottoposte alla pressione proveniente dalla propaganda straniera, non furono le uniche a tentare di porvi fine. La Legione territoriale dei Carabinieri di Bologna decise infatti di istituire un corpo scelto di specialisti che si dedicassero all’investigazione nei riguardi della propaganda sovversiva e dello spionaggio124. Per ottenere dei risultati apprezzabili, gli investigatori si resero ben presto conto di doversi adeguarsi ai mezzi degli emissari: ecco dunque che, alla propaganda rivoluzionaria fra gli lavoratori «anche a mezzo di persone travestite da operai», i Carabinieri rispondevano a suon di «agenti travestiti per sorprendere» i propagandisti125. La fine della guerra non significò la conclusione della propaganda. Al contrario, dopo l’armistizio di Villa Giusti a Padova la diffusione degli ideali rivoluzionari conobbe un incremento. La maggior parte delle segnalazioni circa la propaganda e le possibilità rivoluzionarie si concentrarono tra il mese di novembre e quello di dicembre 1918. Una comunicazione del Ministero dell’interno francese mise in guardia le auto122 Ordine del giorno della Sezione del Partito socialista di Torino, allegato alla comunicazione del Regio Esercito italiano, Comando supremo, Servizio informazioni, oggetto: propaganda sovversiva nell’Esercito, 5 giugno 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, cit., p. 2. 123 Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Ufficio di terza divisione, riservato, oggetto: propaganda bolscevica, 14 dicembre 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. 124 Comando supremo, Riassunto delle comunicazioni, Legione CC. RR. di Bologna, Divisione di Ferrara, 28 gennaio 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, cit. 125 Legione CC. RR. di Bologna, Compagnia di Ferrara esterna, oggetto: propaganda rivoluzionaria, 14 febbraio 1918, Msac, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, cit. 60 rità italiane circa il fatto che i bolscevichi avessero spedito in Italia, tramite la Germania, una «enorme quantità di pubblicazioni rivoluzionarie, destinate ad essere introdotte nei Paesi alleati»126. La notizia trovò una parziale conferma dopo pochi giorni, quando alcuni manifesti filorussi vennero ritrovati sulla linea ferroviaria Milano-Verona127. Ma era soprattutto la qualità degli emissari a cambiare: Berzin e Balabanoff, espulsi dalla Svizzera, tentarono di «infiltrarsi clandestinamente in Italia per i loro intenti di organizzazione e propaganda bolscevica». Essi venivano segnalati come di passaggio dal territorio austriaco, «abilmente truccati e provvisti di documenti falsi», verso il Regno, ove tentavano di introdursi. Erano indicati come particolarmente pericolosi: provvisti di «molto denaro in rubli e biglietti di banca» avrebbero trovato facilmente appoggio «o mediante corruzione o per accordi con emissari del Partito rivoluzionario in Italia che si trova[va]no già in Svizzera»128. A metà dicembre, il Ministero italiano dell’interno aggiungeva qualche informazione circa la Balabanoff: la rivoluzionaria, «travestita forse anche da uomo», si muoveva al fianco di profughi e prigionieri italiani via Trento e via Svizzera129. In effetti la Balabanoff non era certo l’unica a seguire questo iter. Il Ministero della guerra aveva già messo in rilievo il pericolo di un coordinamento fra «bolscevichi tedeschi con russi ed italiani per [scatenare una] rivoluzione in Italia». Alcuni prigionieri «guadagnati [alla] causa bolscevica stavano attendendo la partenza dall’Italia delle truppe alleate per iniziare la loro azione». Mentre il Ministro Zupelli disponeva affinché «tutti i prigionieri in parola [fossero] attivamente vigilati»130, il Ministero dell’interno ordinava che si procedesse «con ogni 126 Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Ufficio di terza divisione, oggetto: propaganda bolscevica, 25 novembre 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. 127 Riservata speciale n. 5988 del Comando della Divisione militare territoriale di Novara, oggetto: manifesti sovversivi, 4 dicembre 1918, ivi. 128 Comunicazione del Colonnello Gaetano Parenti, Comandante della Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Ufficio di terza divisione, riservato, oggetto: tentativi di infiltrazione, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. 129 Comando supremo, Servizio informazioni, reparto T, oggetto: Balabanoff Angelica, 17 dicembre 1918, ivi. 130 Comunicazione riservatissima personale del Comando della Divisione militare di Bologna, oggetto: comunicazioni, 23 novembre 1918, Msac, Comando dell’Arma dei 61 vigore per l’identificazione di tutti coloro che rientrano nel Regno e per accertare l’autenticità dei loro passaporti»131. L’attenzione delle autorità venne ben presto deviata dai travestimenti della Balabanoff quando giunse la notizia riservata dell’arrivo di alcuni bolscevichi austriaci ritenuti particolarmente pericolosi: il rivoluzionario Friedlander (alias Kampfe) e il leader del Partito comunista austriaco Steinhardt, destinati ad «estendere la loro propaganda alle nuove nostre terre»132. Ma soprattutto, a generare sgomento, fu la notizia di possibili attentati contro i Capi degli Stati in Italia e in Francia, ad opera di emissari inviati da Trockij133. Con la pace si apriva un nuovo fronte interno: l’ultimo anno di pace fu costellato da minacce di attentati e scoppi rivoluzionari, anticipando, anche se di poco, il “biennio rosso”. 1.3 E pace sia… purché proletaria. Propaganda nella società e nell’Esercito in vista della Conferenza di Versailles Nel settembre del 1918, si riunì a Roma il Congresso del Partito socialista: ne uscì una direzione massimalista, cappeggiata da Giacinto Menotti Serrati, confermato per acclamazione anche Direttore de «L’Avanti»134. Le principali decisioni che ne derivavano decretarono Carabinieri di Ferrara, Propaganda sovversiva nel ferrarese – 1918, f. 290, fasc. categoria R, specialità 2, pratica 1, cit. 131 Comando supremo, Servizio informazioni, reparto T, oggetto: Balabanoff Angelica, 17 dicembre 1918, ivi. Cfr. il racconto delle accuse a suo carico e dell’intervento delle autorità italiane che indussero quelle svizzere ad espellerla: A. Balabanoff, La mia vita di rivoluzionaria, Feltrinelli, Milano, 1979, pp. 156-159. 132 Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Ufficio di terza divisione, riservato, oggetto: propaganda leninista, 23 dicembre 1918, Msac, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. Si noti che non è stato possibile raccogliere informazioni aggiuntive circa Friedlander. 133 Raccomandata riservata n. 10168 del capo della Sezione “M” Cesare Bianchini, oggetto: propaganda bolscevica – attentati, 27 dicembre 1918, f. 330, Comando dell’Arma dei Carabinieri di Novara, Partito socialista italiano – 1918, fasc. del Comando della Divisione CC. RR. di Novara, categoria riservata, specialità n. 2, pratica n. 1, cit. 134 Circa lo svolgimento del Congresso, si veda: Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, vol. 3, Avanti, Milano, 1963, pp. 5-44. Sull’azione dei leader del Psi nell’ambito della riforma elettorale e nel suo utilizzo per la costruzione di un partito massimalista centralizzato e per il contestuale rafforzamento dei potere dei vertici del Partito, si veda: S. Noiret, Il Psi e la riforma elettorale del primo dopoguerra, 19181919, in M. Degl’Innocenti, Verso l’Italia dei partiti, FrancoAngeli, Milano, 1993, pp. 62 l’isolamento del Partito nello scenario politico italiano. Ad una nazione che, dopo le divisioni del 1914-’15135, si era ritrovata unita di fronte all’invasione dello straniero austriaco, il Partito socialista offriva un programma che esaltava i contrasti sociali e si mostrava, in quella fase storica, difficilmente condivisibile: intensificazione della campagna contro la guerra e contro gli imperialisti guerrafondai ma anche contro, ugualmente, i combattenti comuni; il rifiuto di ogni collaborazione con gli altri partiti; una strategia che mirava alla genesi di crisi politiche latrici di caos e, quindi, della rivoluzione136. D’altronde i fatti del novembre 1917 – definiti un «avvenimento foriero di […] impensabili sviluppi per la storia dell’umanità»137 – avevano segnato l’identità del Partito. L’immagine del Psi ne uscì irrimediabilmente compromessa: le autorità di Pubblica sicurezza e dell’Arma dei Carabinieri non distinguevano chiaramente (o non ritenevano più attendibile) la classica divisione tra massimalisti e moderati in seno al Partito. Così, nell’aprile 1918, veniva corroborata l’informazione che dava come prossimo uno scoppio rivoluzionario in «Piemonte, in Lombardia e in altre regioni d’Italia» in vista del primo maggio, ad opera degli «On. Morgari, Turati, e Treves»138. Che la festività del primo maggio fosse ormai considerata da tempo una data sensibile, in occasione della quale fosse necessario stabilire la «più rigorosa vigilanza» era ormai dato assodato da qualche tempo139. Ma, al di là di questo aspetto, il documento appare di grande interesse per almeno altre due ragioni: in primo luogo perché esso spiega l’incapacità delle forze per la sicurezza di comprendere che le distinzioni in casa socialista costituivano delle vere e proprie divisioni non solo in termini di propaganda ma anche di strategia. Il fatto che l’attività del deputato so116-165. Sul ruolo di Serrati nel Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista: J. Degras (a cura di), The Communist International, 1919-1943. Documents. vol. I, 19191922, Oxford University press, London, New York, Toronto, 1956, pp. 453-455. 135 Tra le opere più recenti ed originali: F. Cammarano (a cura di), Abbasso la guerra!: neutralisti in piazza alla vigilia della Prima guerra mondiale, Le Monnier, Firenze, 2015. 136 C. Seton-Watson, L’Italia dal liberalismo al fascismo…, cit., pp. 662-663. 137 Il Partito socialista italiano nei suoi congressi…, vol. 3, cit., p. 11. 138 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Ufficio di terza divisione, oggetto: primo maggio, 27 aprile 1918, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, 1917-1919, f. 315, fasc. Comando della Divisione CC. RR. di Genova interna, n. 49, cat. Riservato, specialità 2, pratica 7, oggetto: primo maggio, anno 1918. 139 Comunicazione del Prefetto Poggi della Prefettura di Genova, 28 aprile 1918, ivi. 63 cialista di Sinistra Oddino Morgari potesse svilupparsi nella direzione di favorire un sovvertimento rivoluzionario, poteva non essere improbabile. Morgari aveva infatti tenuto per il Psi i contatti con i socialisti rivoluzionari presenti in Italia e in special modo con Vitkor Černov e con Vsevolod Vladimirovič Lebedintzev, conosciuto anche come Mario Calvino, sin dal 1903, anno in cui quest’ultimo aveva organizzato una manifestazione contro la visita dello Zar Nicola II in Italia140. Ma appare assai meno credibile che a questa attività potesse partecipare attivamente anche Filippo Turati, leader della corrente riformista socialista, proprio nel momento in cui il suo isolamento in seno al Partito era massimo e il conflitto tra massimalisti e riformisti mostrava toni da rottura141. Eppure, il Comandante della Legione dei Reali Carabinieri di Genova disponeva «vigilanza» e «opportune indagini», nonostante nella notizia riservata non fosse ben precisata la fonte di tale indiscrezione142. In secondo luogo, il documento mette in evidenza quale fosse il livello di allerta delle autorità dello Stato, quasi naturalmente predisposto ad ascoltare le voci imprecisate di un informatore, convinto dell’imminenza di uno scoppio rivoluzionario. Così come le autorità statali e dell’Arma dei Carabinieri raccoglievano con attenzione le notizie dell’improbabile arrivo di rivoluzionari russi a sole poche settimane dagli eventi del novembre 1917, allo stesso modo ritenevano effettivamente concretizzabile un sommovimento rivoluzionario ad ogni primo maggio. Questi primi mesi all’indomani dei fatti russi della fine del 1917, rivelavano quanto fosse presente – e in termini nemmeno troppo latenti – una sorta di “psicosi da rivoluzione” nelle autorità italiane. Le fasi finali di una guerra non ancora conclusa, il timore del disfattismo, il malcontento nella popolazione e l’azione del Partito socialista rendevano il quadro particolarmente fosco: dalle carte d’archivio dell’Arma dei Carabinieri, che raccolgono anche quelle del Ministero dell’interno, la possibilità di un’importazione della minaccia bolscevica era estremamente 140 A. Tamborra, Esuli russi in Italia…, cit., pp. 187-189. G. Petracchi, La crisi del dopoguerra e la scissione socialista, in S. Caretti, Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, Lezioni di storia del Partito socialista italiano, 18921976, Cooperativa editrice universitaria, Firenze, 1977 , pp. 148-149; sulla crisi del socialismo italiano e l’ascesa del fascismo: S. Colarizi, Fascismo, crisi della democrazia, internazionalismo, in M. Degl’Innocenti (a cura di), Filippo Turati e il socialismo europeo, Guida Editori, Napoli, 1985, pp. 411-420. 142 Legione territoriale dei CC. RR. di Genova, Ufficio di terza divisione, oggetto: primo maggio, 27 aprile 1918, Msac, Legione territoriale Carabinieri di Genova, Agitazioni operaie in Liguria, ivi. 141 64 concreta, in linea con quanto osservato dall’Ambasciatore della Torretta. A partire dai primi mesi del 1918, quest’ultimo iniziò a considerare il bolscevismo una minaccia reale: come ha osservato acutamente Petracchi, nel diplomatico prevalse, infatti, una visione ideologica del bolscevismo come nemico mortale143. Questa analisi venne sostanzialmente confermata, nel corso del 1918, dalle autorità italiane che si occupavano di sicurezza interna. In particolare, nella prima metà dell’anno, esse temettero che l’arresto del Segretario del Psi Costantino Lazzari e del Vicesegretario Nicola Bombacci potesse compromettere l’ordine pubblico in quelle aree del Paese in cui il Partito socialista godeva di maggiori appoggi così come l’Emilia e la Romagna144. Secondo le notizie riportate dalla Divisione dei Carabinieri di Forlì, lo stesso Lazzari aveva disposto che agenti distribuissero dei «manifestini incitanti allo sciopero immediato» che avrebbe dovuto preludere alla «rivoluzione»145. Una non precisata fonte confidenziale riferiva che i sovversivi miravano all’infiltrazione nel settore militare, promuovendo un’astensione dal lavoro nella «produzione bellica» e nella «cessazione [delle] attività militari [al] fronte». I «rivoltosi», concentratisi «nel piacentino» e nel bolognese, miravano a far scoppiare un «moto insurrezionale» che, «simultaneamente», si sarebbe propagato a «Torino, Milano, Bologna, Firenze» e «Napoli»146. A tal fine, sarebbe stata formata anche una «commissione di propagandisti rivoluzionari francesi» che, nell’inverno del 1918, avrebbe avuto lo scopo di recarsi in Italia per lavorare alla «attuazione del programma socialista internazionale di Stoccolma, provocando anzitutto uno sciopero generale dei metallurgici, 143 G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca…, cit., pp. 180-181. Sulle simpatie di della Torretta per il fascismo, nei primi anni Venti, si veda: G. Giordano, Tra marsine e stiffelius: venticinque anni di politica estera italiana, 1900-1925, Nuova cultura, Roma, 2012, pp. 363-364. 144 Sul punto di vista socialista in merito all’arresto di Lazzari e Bombacci: Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, vol. 3, cit., pp. 11-12. 145 CC. RR. di Bologna, Comando di divisione di Forlì, al Comando della compagnia CC. RR. di Cesena, oggetto: propaganda sovversiva e spionaggio, 27 gennaio 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, riservato, specialità 10, busta 1, anno 1918, oggetto: propaganda e manifestazioni contro la guerra. 146 Comando Presidio militare di Cesena, oggetto: propaganda contro la guerra, 4 febbraio 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, riservato, specialità 10, busta 1, anno 1918, oggetto: propaganda e manifestazioni contro la guerra. 65 allo scopo di sabotare la guerra»147. Si raccomandavano quindi «rigorose indagini» e una «vigilanza» ugualmente «rigorosa e continuativa» affinché si venisse a conoscere «con precisione la portata e sorprendere coloro che [erano] incaricati della propaganda delittuosa»148. Il «mantenimento [dell’]ordine pubblico» andava curato «con tutta [l’]energia» possibile149. Dal coinvolgimento diretto di Lazzari era dunque evidente che il Psi, o una parte di esso, cercava di sfruttare la situazione di difficoltà dello Stato, impegnato militarmente al fronte, per “fare come in Russia”. Come era possibile leggere nella circolare intitolata Da reazionari perfetti, a reazionari d’occasione che – secondo le informazioni del Sottoprefetto di Cesena De Stefanis – il gruppo parlamentare del Psi (che però era a maggioranza riformista, sic!) aveva inviato a tutte le sezioni locali, i deputati socialisti fomentavano la base ad «estendere segretamente [la] propaganda rivoluzionaria inneggiando Lenin»150. Nel corso del 1918, la “psicosi” da rivoluzione passò dall’essere una paura irrazionale ad una forma più reale. La minaccia proveniente dalla Repubblica dei Soviet non era diretta solamente all’Italia: tutti i Paesi dell’Intesa ne erano investiti. Informazioni analoghe circa i tentativi di infiltrazioni nei corpi militari provenivano anche dagli altri Eserciti dei Paesi alleati. Secondo notizie del Comando supremo, erano stati istituiti 147 CC. RR. di Bologna, Comando di divisione di Forlì, al Comando della compagnia CC. RR. di Cesena, oggetto: comunicazioni fatte dal Comando supremo, 25 gennaio 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, riservato, specialità 10, busta 1, anno 1918, oggetto: propaganda e manifestazioni contro la guerra. 148 CC. RR. di Bologna, Comando di divisione di Forlì, al Comando della compagnia CC. RR. di Cesena, oggetto: propaganda sovversiva e spionaggio, 27 gennaio 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, riservato, specialità 10, busta 1, anno 1918, oggetto: propaganda e manifestazioni contro la guerra. 149 Comunicazione riservata dei CC. RR. di Bologna, Comando di divisione di Forlì, al Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, n. 2-216 di PR, e comunicazione del Sottoprefetto di Cesena, oggetto: arresto del socialista Costantino Lazzari, 26 e 28 gennaio 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, ivi. Note analoghe sulla diffusione di volantini incitanti gli operai allo sciopero sono riscontrabili nei seguenti documenti: Sottoprefettura di Cesena al Comando RR. CC. di Cesena, oggetto: sabotamento della guerra – telegramma, 24 gennaio 1918; nota del Comando dipendente, 22 gennaio 1918, entrambe contenute in: Msac, f. 332, 19181919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, ivi. 150 Regia Sottoprefettura di Cesena, Ufficio circondariale di Ps, n. 323 Gab, oggetto: circolare socialista, 1 febbraio 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, cit. 66 dei «corsi di regolamenti militari italiani e francesi» diretti a «Ufficiali destituiti» che, in caso di una ritirata del Regno, avrebbero avuto l’obiettivo di «infiltrarsi travestiti» nelle linee italiane «per portarvi la confusione». Il Comando disponeva un’attenta sorveglianza dei sospetti e perquisizioni al fine di verificare l’esistenza degli «scritti sovversivi»151. Inoltre, nel giorno della firma dell’armistizio a Villa Giusti, l’incaricato d’affari a Berna, il barone Russo, spedì al Presidente del Consiglio Orlando una nota nella quale si metteva in rilievo come fossero da tempo in circolazione manifestini propagandistici firmati da Lenin, Trotskij e Čicerin nei quali si incitavano i popoli francese, inglese, italiano e giapponese alla rivoluzione152. Contestualmente, il Ministro degli esteri francese Pichon, tramite l’Ambasciatore a Parigi Bonin Longare, faceva sapere a Sonnino che riteneva una «urgente necessità» che i governi alleati agissero «energicamente» presso i Paesi neutrali quali Spagna, Svizzera, Olanda e gli Stati scandinavi per ottenere che arrestassero «le manovre bolsceviche»153. Nel settembre 1918, il Service de renseignement francese aveva segnalato a più riprese l’eccessiva tolleranza dimostrata dalla Spagna: in particolare, Barcellona, ove risiedevano un numero cospicuo di russi sospettati di simpatia verso il bolscevismo, stava divenendo una sorta di centrale rivoluzionaria particolarmente pericolosa per la sua vicinanza alla frontiera francese154. Per quanto possa apparire sorprendente, fonti incrociate italiane, francesi e inglesi mostrano come già alla fine del 1918 l’attività propagandistica bolscevica fosse ben avviata nei Paesi dell’Intesa. Nei timori delle autorità politiche e di sicurezza, la fine della guerra e la contestuale riapertura delle frontiere avrebbe potuto favorire la circolazione dei rivoluzionari e, conseguentemente, la diffusione del pericolo insurrezio151 Comunicazione riservata dei CC. RR. di Bologna, Comando di divisione di Forlì, al Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, oggetto: propaganda sovversiva, 27 settembre 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, cit. 152 L’incaricato d’affari a Berna, Barone Russo, al Presidente del Consiglio Orlando, 4 novembre 1918, Ddi, Sesta serie, vol. I, novembre 1918-gennaio 1919, p. 1. 153 L’Ambasciatore a Parigi, Bonin Longare, al Ministro degli esteri, Sonnino, 24 novembre 1918, Ddi, Sesta serie, vol. I, novembre 1918-gennaio 1919, p. 157. 154 G. Bernardini, “Pour la cause du désordre…”. La politica estera francese e il problema bolscevico nel primo dopoguerra, 1917-1920, Tesi di laurea, Relatore: Prof. A. Varsori, A.A. 1999/2000, Firenze, pp. 54-55. Circa la situazione a Barcellona, si vedano le preoccupazioni delle autorità inglesi: Sir. A. Hardinge, Ambassador at Madrid, to Earl Curzon, 30 ottobre 1919, doc. 219, Dbfp, 1919, vol. V, pp. 762-765. 67 nalista. A Roma, Parigi e Londra i timori si concentravano su tre aspetti: il rientro di prigionieri «affetti da bolscevismo», l’attacco ai maggiori centri industriali (punti entrambi articolati, circa il caso italiano, nei paragrafi precedenti), e le infiltrazioni nelle Forze armate155. Come non mancò di sottolineare il Ministro degli Esteri francese nel novembre 1918, la rivoluzione russa era divenuta un problema internazionale: The Bolshevik question has ceased to be solely a Russian matter; it is an international problem […] All our information […] indicates that the Soviet government intends to impose its doctrines and its methods on other nations and to establish everywhere a regime of anarchy, murder, and pillage156. Certo tali considerazioni erano dovute anche a sostenere la tesi della necessità di un intervento in Russia contro i bolscevichi, seguendo la strategia del cordon sanitaire che la Francia perseguiva nei confronti del pericolo rosso e che portò, effettivamente, al coinvolgimento di truppe francesi e inglesi a sostegno delle forze bianche nel corso della guerra civile russa157. Anche nel caso inglese, come è stato di recente messo in luce, la minaccia interna fu utilizzata strumentalmente per far precipitare la crisi con la Russia. Ciò nonostante, è innegabile che serpeggiasse una paura tangibile di infiltrazioni bolsceviche tra le autorità dei Paesi dell’Intesa ove la popolazione, stremata dalla guerra, si trovava a dover affrontare un difficile periodo postbellico158. 155 G. Bernardini, “Pour la cause du désordre…”. La politica…, cit., pp. 65-68. Sul possibile «contagio» delle truppe francesi durante l’intervento in Russia: pp. 86-108. 156 Stephen Pichon al Ministro francese a Berna Paul Dutasta, cit. in M.J. Carley, Episodes from the Early Cold War: Franco-Soviet Relations, 1917–1927, «EuropeAsia Studies», November 2000, vol. 52, issue 7, p. 1276. 157 B. Millman, The problem with generals: Military observers and the origins of the intervention in Russia and the origins of the intervention in Russia and Persia, 1917-1918, «Journal of Contemporary History», April 1998, vol. 33, issue 2, pp. 291320. Sulle posizioni nel panorama italiano e, in particolare, del Partito repubblicano: C. Scibilia, Tra nazione e lotta di classe. I repubblicani e la rivoluzione russa, Gangemi, Roma, 2012, pp. 108-114. 158 V. Madeira, «Because I Don't Trust Him, We are Friends»: Signals Intelligence and the Reluctant Anglo-Soviet Embrace, 1917-24, «Intelligence & National Security», Spring 2004, vol. 19, issue 1, pp. 30-31. Sulla battaglia per la conquista dell’opinione pubblica inglese a sostegno dell’intervento in Russia: C. Alston, Harold Williams and his Circle: the Battle for British and American opinion on the Russian Revolution, «Acta Universitatis Carolinae, Philosophica et Historica», 2003, vol. 56, issue 2, pp. 117128; Id., Russia's Greatest Enemy? Harold Williams and the Russian Revolutions, I. B. 68 I timori della classe politica e delle forze di Pubblica sicurezza in Italia, se non troppo fondati, erano quanto meno condivisi. Nel medio e lungo periodo, la paura per lo scivolamento della working class verso simpatie bolsceviche fu al centro dei pensieri delle classi dirigenti alleate; ma nell’immediato, soprattutto in un Paese in guerra, era necessario innanzitutto mantenere il controllo delle Forze armate. Questa fu la ragione principe per la quale la comunicazione del Comando supremo circa lo stanziamento, da parte del Consiglio dei Commissari del popolo in Russia, di «due milioni di rubli da spendersi (in opere di propaganda rivoluzionaria tanto nell’Esercito che nel popolo) soprattutto in Francia e nel nostro Paese», aveva messo le autorità italiane in uno stato di alta allerta. Secondo indiscrezioni confidenziali, il «lavoro rivoluzionario russo» aveva dato buoni frutti soprattutto nel Regno159. Il riferimento era diretto anche all’attività del «noto socialista rivoluzionario polacco Loewz Low», incaricato – secondo le informazioni diramate dalla Divisione dei Carabinieri di Forlì – di «organizzare un’attiva propaganda socialista in Italia» dal Partito socialista americano. Il sovversivo polacco aveva soggiornato sotto la falsa identità come industriale a Milano, ove si era dedicato a dirigere una «associazione composta di 62 agenti, incaricati di propaganda rivoluzionaria fra le truppe», mantenendosi in «costanti rapporti col Partito socialista italiano»160. Analoga era stata l’attività di collegamento svolta da Angelica Balabanoff: la rivoluzionaria, mettendosi in comunicazione con i «circoli socialisti italiani contrari alla guerra», si era fatta promotrice di una «più intensa propaganda a favore della pace separata fra l’Italia e l’Austria»161. Tauris, New York, 2007; Id., British Journalism and the Russian Civil War 1917-1921, «Revolutionary Russia», June 2007, vol. 20, n. 1, pp. 35-49. 159 Comando supremo al Prefetto di Forlì e alle Sottoprefetture di provincia, 24 gennaio 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, riservato, specialità 10, busta 1, anno 1918, oggetto: propaganda e manifestazioni contro la guerra. 160 Va precisato che non è stato possibile fornire ulteriori elementi su questo personaggio, che non compare in nessuna delle ricostruzioni sulla presenza di russi in Italia attualmente disponibili. 161 Comunicazione riservata dei CC. RR. di Bologna, Comando di divisione di Forlì, al Comando della compagnia CC. RR. di Cesena, n. 2-208, senza data, oggetto: attentati nemici – propaganda sovversiva pacifista, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, riservato, specialità 10, busta 1, cit. 69 Nel corso di quel tormentato 1918, le autorità italiane iniziarono a mettere in rilievo più chiaramente l’azione dei bolscevichi, così come era possibile ricostruire dalle notizie frammentarie che giungevano dagli informatori: l’armistizio separato della Russia con la Germania, firmato il 3 marzo a Brest Litovsk, rendeva la fine della guerra un obiettivo essenziale per i bolscevichi. Non parve dunque casuale alle autorità italiane che, proprio in concomitanza di questo evento internazionale, venissero lasciate trapelare nuove indiscrezioni circa il possibile scoppio di moti rivoluzionari in Italia. In una comunicazione riservatissima del Ministero della guerra, il Partito socialista era identificato come il braccio interno di voleri stranieri che incoraggiavano alla diserzione nel tentativo di mettere in atto «colpi di mano»162. La situazione veniva aggravata dal crollo imminente degli Imperi centrali che dava luogo a movimenti endogeni di natura rivoluzionaria: l’Italia diveniva così l’obiettivo degli appelli del proletariato austriaco, che invitava ad una «protesta generale contro i governanti, gli imperialisti, il capitalismo e la borghesia per un programma di pace generale» e al «legale riconoscimento della fratellanza socialista italiana»163. La minaccia dovette apparire particolarmente attendibile al Comando supremo visto che si tenne a precisare, nel documento diretto alle Divisioni dell’Arma dei Carabinieri, che era necessario non solo «vigilare» ma anche verificare «l’attendibilità di un imminente movimento sovversivo», così come concordato con le «autorità politiche»164. Conferme circa la possibile eversione venivano anche dall’estero, ove era segnalato che alcuni «elementi rivoluzionari residenti in Svizzera» si sarebbero riuniti «segretamente a Ginevra per prendere accordi circa la pubblicazione di manifesti sediziosi redatti in diverse lingue da introdurre clandestinamente in Italia, in Francia ed in Austria per provocare contemporaneamente in detti Paesi gravi disordini in occasione del 1° maggio». La notizia sarebbe stata confermata indirettamente ed involontariamente dal vicesegretario socialista Nicola Bombacci il quale, in una missiva intercettata diretta al Sindaco di Mirando162 Comunicazione riservatissima dal Ministero della guerra, oggetto: informazioni 2 marzo 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, riservato, specialità 10, busta 1, cit. 163 Si noti l’eco della riflessione di Lenin sulla borghesia mondiale: cfr. E. Nolte, Nazionalsocialismo e bolscevismo: la guerra civile europea 1917-1945, Rizzoli, Milano, 1996, p. 50. 164 Sottoprefetto De Stefanis al Vicecommissario di Ps di Cesenatico e al Maggiore di Cesena, oggetto: agitazione sovversiva, 2 aprile 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, riservato, specialità 10, busta 1, cit. 70 la, in provincia di Modena, avrebbe comunicato che «la rivoluzione sociale [era] pronta e [che le] amministrazioni socialiste [dovevano] attendere soltanto l’ordine del Sindaco di Milano per le dimissioni»165. Se ciò non fosse bastato, l’imminenza di un rivolgimento insurrezionale veniva confermata da fonti provenienti dalla Francia, secondo le quali il Partito socialista ufficiale, nel corso di due riunioni tenutesi a Firenze e a Milano, su proposta del Comitato insurrezionale del capoluogo lombardo, aveva deciso di «utilizzare i circoli socialisti» per «attirarvi i soldati lì in licenza invernale, e persuaderli che, grazie ai fondi messi a disposizione dal Partito della Repubblica» bolscevica, una «rivoluzione analoga a quella russa» avrebbe avuto un esito sicuramente positivo in Italia. In questo senso, si incoraggiava la diserzione di «soldati armati» i quali, non appena si fossero concentrati «nelle Romagne, in Toscana e nelle cave nei pressi di Carrara» avrebbero tentato colpi di mano su «depositi militari di armi, viveri e munizioni», mentre la componente operaia era pronta a promuovere uno «sciopero con ostruzionismo e sabotaggio delle fabbriche di munizioni, affidandone la direzione agli operai dei Comitati di azione anarchica»166. Lo scenario, dipinto con tinte incredibilmente precise, riscuoteva una certa attenzione tra le autorità, coadiuvato dalla voce insistente proveniente dal Comando superiore navale di Brindisi secondo la quale, poco prima della disfatta di Caporetto, era circolata una frase sospetta a chiusura della corrispondenza spedita dal personale degli equipaggi a «borghesi, marinai e soldati», come ad incitamento in senso disfattista167. L’ipotesi che Caporetto fosse stata il risultato di un’operazione antibellica tra le truppe era 165 Legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Divisione di Forlì al Comando della Compagnia CC. RR., n. 2/253 di P/llo R/to, oggetto: informazioni, 16 aprile 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, riservato, specialità 10, busta 1, cit. 166 Comunicazione riservata della Legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Divisione di Forlì al Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, oggetto: movimento insurrezionale in Italia, 4 marzo 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, riservato, specialità 10, busta 1, cit. 167 La frase incriminata era: «Quando scrivi a casa falli contenti. Stai allegro. Arrivederci a presto. Famoci coraggio». Comunicazione riservata della Legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Divisione di Forlì al Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, n. 2/242 di P/llo R/to, oggetto: corrispondenze sospette, 9 marzo 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, cit. Sulle cause della sconfitta di Caporetto, si veda: M. Isnenghi, Caporetto. La vita è sogno?, in M. Isnenghi, D. Ceschin (a cura di), Gli italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, vol. III, tomo 2, La Grande Guerra: dall’intervento alla “vittoria mutilata”, Utet, Torino, 2008, pp. 744-752. 71 ovviamente una congettura, oltre che una scusa efficace per giustificare la sconfitta168. Lo stato di allerta era tale che ogni indiscrezione pareva contenere una parte di verità e ogni informazione, un indizio di cedimento alla rivoluzione. Per un Paese in guerra come l’Italia, il mantenimento della disciplina nell’Esercito era essenziale non solo per la vittoria, ma anche per l’esistenza dello Stato. Per questa ragione, la diffusione di opuscoli che intendevano «chiaramente […] minare le basi morali e disciplinar[i] degli eserciti», come quello di Leone Tolstoj, Ai soldati, agli operai, era attentamente considerata dall’Arma per le sue possibili ripercussioni sul morale delle truppe169. In effetti, per quanto appare in certi casi esagerata rispetto al singolo avvenimento, l’attenzione rivolta dalle autorità di sicurezza rispondeva esattamente a quella che si sarebbe rivelata la logica bolscevica. Non può essere un caso che, nel secondo congresso dell’Internazionale comunista, nell’estate 1920, ove i delegati di quarantuno Paesi affrontarono sostanzialmente il tema dell’aiuto da fornire allo Stato sovietico, assumesse un ruolo chiave «la propaganda [e] l’agitazione sistematica» nell’Esercito, ove – all’interno di ogni unità militare – si promuoveva la creazione di una «cellula comunista»170. Se è pur vero che questa indicazione è temporalmente sfasata rispetto alle presunte infiltrazioni bolsceviche nelle Forze armate qui ricostruite, non si può non considerare l’ipotesi che tali direttive – anche se ancora non sistematizzate – fossero state fatte filtrare verso l’Italia dagli emissari operanti nella penisola. Dall’autunno del 1918 in poi, mentre l’Italia usciva faticosamente dalla Prima guerra mondiale riconquistando la propria dignità nazionale agli occhi dell’opinione pubblica interna e internazionale, la situazione continuò a mantenersi instabile. Nuove voci di sciopero si fecero insistenti nell’ottobre, funestando le notizie positive provenienti dal fronte circa il respingimento degli austriaci a Vittorio Veneto e l’evacuazione delle loro truppe dal Veneto. Questa volta l’obiettivo della manifestazione era quello di richiedere la cessazione «senz’altro ogni intervento armato nella 168 M. Isnenghi, La tragedia necessaria: da Caporetto all'Otto settembre, il Mulino, Bologna, 2013; sulla propaganda disfattista nelle ultime fasi della guerra: C.L. Bertrand, War and subversion in Italy: 1917-1918…, cit., p. 116. 169 CC. RR. di Bologna, Comando di divisione di Forlì, al Comando della compagnia CC. RR. di Cesena, oggetto: opuscolo di Leone Tolstoj, 28 gennaio 1918, Msac, f. 332, 1918-1919, fasc. Comando della Compagnia CC. RR. di Cesena, cit. 170 A.B. Ulam, Storia della politica estera sovietica (1917-1967), Rizzoli, Milano, 1968, p. 169. 72 Russia liberata dallo zarismo»171. In questa circostanza, le autorità erano decise ad agire con il massimo rigore: in un momento in cui «si decid[evano] le sorti della Patria», l’agitazione, frutto dell’attività del Partito socialista in commistione con elementi stranieri, andava fatta ricadere sotto «quella forma di tradimento contemplata dal n. 7 dell’art. 72 del codice penale per l’Esercito», ed andava «ad ogni costo evitata e ad ogni modo repressa con la massima energia»: […] serenità e calma, ma decisione ed energia; in nessun caso e per nessuna ragione si patteggerà con i ribelli[;] possibilmente si arrestino i capi ed i sobbillatori e si diferiscano per direttissima al Tribunale di guerra172. L’intersezione tra il piano nazionale ed internazionale emergeva in modo ancor più netto in questa fase: in vista della pace, le autorità denunciavano l’attività indefessa del Partito socialista per influenzare le scelte internazionali del Regno. Nuovamente, poco prima della cruciale battaglia di Vittorio Veneto, il Ministero dell’interno segnalò che i socialisti avevano organizzato «manifestazioni pro-pace ed armistizio» che si sarebbero tenute contemporaneamente in varie città d’Italia173. Si esortavano i Regi Carabinieri a «garantire l’ordine pubblico», ad esercitare una strenua sorveglianza sui socialisti affinché fosse evitata ogni manifestazione contraria alla posizione adottata dal governo Orlando circa la risposta data dal Presidente americano Wilson agli Imperi centrali in merito alla proposta di pace174. Tra le carte d’archivio, la figura del noto socialista di Sinistra Oddino Morgari emergeva nuovamente come il collegamento tra la situazione potenzialmente insurrezionale nella penisola ed uno scenario internazionale di pace e di rivoluzione. Nel luglio del 1918, tramite Sonnino, era giunta sulla scrivania del Ministro a Berna Paulucci una comunicazione del Ministro inglese all’Aja, secondo la quale Morgari si era allineato all’azione svolta 171 H. König, Lenin e il socialismo italiano, 1915-1921: il Partito socialista italiano e la Terza internazionale, Vallecchi, Firenze, 1972, p. 37. 172 Comando del Corpo d’armata di Bologna, riservatissima, oggetto: probabili agitazioni pro-pace, 23 ottobre 1918, Msac, f. 378, fasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 1 bis, oggetto: propaganda e manifestazioni contro la guerra, anno 1918, p. 1. 173 Comunicazione dei CC. RR. di Forlì, oggetto: telegramma Ministero dell’interno, 12 ottobre 1918, Msac, f. 378, fasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 1 bis, cit. 174 Comunicazione urgente e riservatissima della Sottoprefettura del Circondario di Cesena al Comandante della Compagnia dei CC. RR. di Cesena, oggetto: ordine pubblico e vigilanza, 10 ottobre 1918, Msac, f. 378, fasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 1 bis, cit. 73 dal deputato olandese Pieter Jelles Troelstra per la ripresa dei rapporti internazionali socialisti. Il primo frutto di tale sinergia sarebbe stato uno «sciopero generale da proclamarsi in tutti i Paesi belligeranti»175. Inoltre, secondo la Direzione di Pubblica sicurezza, nel marzo 1919, Morgari, che trovava a Berna per la conferenza socialista, si sarebbe poi recato a Berlino da dove «i bolscevichi» lo avrebbero fatto «viaggiare fino a Mosca» con lo scopo di «studiare [il] movimento bolscevico per incarico della Direzione [del] Partito socialista italiano, per incontrare Lenin e per escogitare un mezzo per mandare denaro in Italia per promuovere la rivoluzione»176. L’abbandono dell’assise da parte di Morgari andava nella direzione di confermare definitivamente la tendenza rivoluzionaria del Partito177. Dopo un anno di illazioni, informazioni parziali, dettagli inquietanti e condivisi con le Potenze dell’Intesa che indicavano che l’Italia era avviata, inevitabilmente, sulla via della rivoluzione, le peggiori paure delle autorità italiane sembrarono prendere una più compiuta forma. Lo stato di emergenza determinato dalla crisi sociale ed economica e dalla guerra aveva generato una sorta di ossessione circa l’importazione della rivoluzione ed accresciuto uno stato psicologico di instabilità e precarietà che induceva a scorgere in ogni più piccolo segnale la possibilità di un capovolgimento rivoluzionario. Tuttavia, contrariamente alle previsioni, sarebbe stata la pace, non la guerra, a vedere quello che veniva definito come il «germe bolscevico» insinuarsi nelle terre italiane. 175 Il Ministro degli esteri Sonnino, al Ministro a Berna, Paulucci, 30 luglio 1918, Documenti diplomatici italiani (in seguito Ddi), Quinta serie, volume XI, giugno-novembre 1918, doc. 294, pp. 245-246. La notizia troverebbe conferma nei diari di Sonnino, il quale scriveva di aver ricevuto la notizia dagli inglesi: «L’incaricato d’affari inglese mi informava poi che il socialista olandese Troelstra ora in Svizzera si proponeva di riunione una conferenza di socialisti a Vevey […]. Egli aveva l’approvazione dei socialisti […], come pure dell’On. Morgari». Alla domanda se il governo italiano avrebbe acconsentito alla partecipazione del Psi, Sonnino rispose che avrebbe «comunicata la cosa alla Presidenza del Consiglio e cercato di assumere maggiori informazioni in proposito, per poter prendere una decisione». P. Pastorelli (a cura di), Sidney Sonnino. Diario…, cit., p. 285. 176 Comunicazione dell’Ambasciata a Londra al Dg, Ps, 21 marzo 1919, Archivio storico del Ministero degli esteri (in seguito: Asmae), b. 469, fasc. 1 Rapporti politici – Europa (Jugoslavia- Ungheria) , 1919; L. Cortesi, Le origini del Pci, Bari, 1972, p. 139. 177 S. Noiret, Massimalismo e crisi dello stato liberale…, cit., p. 309; anche Lindemann conferma l’assenza dei delegati italiani: A.S. Lindemann, Socialismo europeo e bolscevismo 1919-1921, il Mulino, Bologna, 1977, p. 114. 74 2. La pandemia bolscevica. Concreti timori di un’insurrezione 2.1 La primavera del 1919: il timore del contagio, la necessità di una credibilità internazionale Nella percezione delle autorità italiane, il 1919 rese il pericolo bolscevico più concreto: la nascita dell’Internazionale comunista e lo scoppio della guerra russo-polacca suggerivano un aumento della forza organizzativa, militare e persuasiva del bolscevismo. Quando Orlando e Sonnino partirono alla volta della capitale francese, le notizie che ricevettero da Mosca erano tutt’altro che rassicuranti1. L’Ambasciatore italiano a Washington girava a Roma voci allarmanti (e allarmistiche) relative alla volontà del governo massimalista russo di procedere ad un «massacro generale di tutta la borghesia»: «ogni possibile misura» doveva essere presa dagli Stati Uniti e dagli Alleati «per impedire che i bolscevichi po[tessero] attuare il loro progetto»2. Il bolscevismo era un pericolo mortale: questo era il pensiero della classe dirigente italiana. Ma non certo solo di quest’ultima. Il Ministero degli affari esteri prendeva in attenta considerazione le informazioni e le opinioni che giungevano dalle altre Potenze: sul finire del 1918, il Ministro di Danimarca a Pietrogrado 1 Si metta in rilievo come Sonnino, già nel 1919, nel corso dei colloqui con gli Alleati, aveva argomentato la necessità di fronteggiare la minaccia bolscevica in modo coeso: si trattava di una «question of self-defense». Sonnino mise in luce come per l’Italia, così come per la Francia, «Bolshevism was already a serious danger in [the] country». Secretary’s notes of a conversation held in M. Pichon’s room at the Quai d’Orsay, Paris, Paris peace conference 180.03101/12, January 21, 1919, Foreign relations of the United States (di seguito Frus), United States Department of State, papers relating to the foreign relations of the United States, 1919, Russia, p. 23. 2 Telegramma di Manzoni per il Mae alla Regia Ambasciata a Londra, oggetto: progetti terroristici del governo bolscevico. Richiesta di aiuto da parte dell’Ambasciata russa a Washington, 12 novembre 1918, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 18611950, fasc. Rapporti politici Europa (Russia-Svizzera), anno 1918, sottofasc. 18, Ambasciata d’Italia a Londra, Russia, 1918. 75 aveva fatto sapere che «la situazione in Russia [era] molto grave»: la «propaganda bolscevica» era «intensissima», «abile», «efficace» e «provvista largamente [di] mezzi». Sonnino girava all’Ambasciata a Londra questa comunicazione, che si concludeva richiamando la necessità di un’azione vigorosa: «Se non si interviene subito ed energicamente l’Europa è gravemente minacciata»3. Gruppi antibolscevichi si andavano costituendo in Europa per fronteggiare questo pericolo4; e anche se alcuni governi, come quello francese, usavano un’estrema cautela nei relazionarsi con essi per non aggravare ulteriormente gli ormai labili (e quasi inesistenti) rapporti con la Repubblica rossa, il loro giudizio sulla minaccia bolscevica era assai grave. Il Ministro degli Esteri francese Pichon riferì all’Ambasciatore italiano a Parigi che era «assai impressionato dalla forza sempre in aumento del bol[s]cevismo in Russia» e che, a suo parere, Pietrogrado avrebbe disposto nel corso del 1919 di «un milione di soldati relativamente bene organizzati»: «il pericolo massimalista» gli pareva sempre più «grave»5. Queste valutazioni trovavano conforto nelle continue notizie circa la rinnovata aggressività della propaganda bolscevica diretta verso i Paesi dell’Intesa dai compiacenti governi neutrali. Da Cristiania giungevano notizie di «losche macchinazioni» dei russi: la polizia locale aveva aperto le casse che gli «ultimi corrieri bolscevichi» avevano lasciato nel deposito della stazione dei treni, rinvenendone «stampati di propaganda rivoluzionaria in inglese, francese e tedesco»6. Da Stoccolma, altro centro dell’attività febbrile propagandistica, giungevano allarmanti notizie dell’attività di un certo Gukowski, un agente bolscevico giunto da Pietrogrado con «60 milioni di rubli imperiali e 20 chili di platino». L’intenzione dell’agente bolscevico era di «acquistare [una] grande quantità di strumenti agricoli e nello stesso tempo di procurare di farsi aprire 3 Comunicazione n. 1725 di Sonnino a Londra, 26 dicembre 1918, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Rapporti politici Europa (Russia-Svizzera), anno 1918, sottofasc. 18, cit. 4 A titolo di esempio dell’atteggiamento italiano sulle organizzazioni antibolsceviche: L’incaricato d’affari a Stoccoloma, Mariani, al Ministro degli esteri, Sonnino, T. gab. s. 3, 9 marzo 1919, Ddi, Sesta serie, 1918-1922, vol. II (18 gennaio-23 marzo 1919), p. 542. 5 Telegramma riservato da Parigi per Sonnino, gab. 678, 4 dicembre 1918, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Rapporti politici Europa (RussiaSvizzera), anno 1918, sottofasc. 18, cit. 6 Comunicazione da Roma a Londra, 29 novembre 1918, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Rapporti politici Europa (Russia-Svizzera), anno 1918, sottofasc. 18, cit. 76 un credito in Inghilterra»7. La grossa cifra di denaro a sua disposizione indusse il Regio Ministro a Stoccolma e «colleghi alleati» ad indagare circa i suoi «scopi effettivi» che apparivano tutt’altro che chiari8. L’azione di contrasto alla propaganda svolta dalle autorità diplomatica si rivelò particolarmente difficile: essa si espletava infatti in ambienti, come quello svizzero, svedese o spagnolo, ufficialmente neutrali ma di fatto piuttosto accomodanti rispetto all’attività degli agenti massimalisti. La creazione della Terza Internazionale, nel marzo 1919, aveva dato nuovo impulso e sistematizzazione all’opera propagandistica: come ha notato Pons, il «marchio d’origine dell’Internazionale comunista fu il nesso tra la realtà del potere bolscevico in lotta per la sopravvivenza e l’ambizione di dare vita a una sua proiezione transnazionale, facendo leva sulla spinta ideale e mitica della rivoluzione»9. Ciò significò quindi un aumento quantitativo della propaganda e – conseguentemente – un’amplificazione della percezione del pericolo da parte delle autorità dell’Intesa. Questa fu la principale ragione che spinse queste ultime ad esercitare forti pressioni sui governi neutrali, affinché adottassero provvedimenti severi nei confronti della diffusione di quella che pareva ormai essere una pandemia bolscevica. La Norvegia si mostrò sensibile a queste esigenze e, all’inizio del 1919, decise di recidere quanto meno un tentacolo della piovra propagandistica rivoluzionaria10. Contestualmente, il Regio Ambasciatore a Madrid riferì che anche la Spagna, ove risiedevano, più o meno stabilmente, circa 200 massimalisti, in gran parte russi, provenienti dall’America del Sud, era decisa «ad applicare seve7 Non è stato possibile identificare ulteriormente questo individuo; si ritiene che difficilmente potesse essere Matvej Aleksandrovič Gukovskij, italianista e studioso di rinascimento, cit. in A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali…, cit., p. 150. 8 Telegramma n. 1147 di Sonnino, Mae per Regia Ambasciata a Londra e Parigi, 29 settembre 1918, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Rapporti politici Europa (Russia-Svizzera), anno 1918, sottofasc. 18, cit. 9 S. Pons, La rivoluzione globale…, cit., p. 18. 10 Telegramma da Manzoni, Roma, all’Ambasciata d’Italia a Londra, 3 febbraio 1919, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950, fasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Norvegia. Si noti che questa decisione fu presa dopo numerose manifestazioni di biasimo da parte delle Potenze dell’Intesa circa l’eccessiva tolleranza mostrata da Oslo nei confronti della diffusione della propaganda bolscevica. L’Ambasciatore a Londra, Imperiali, al Ministro degli esteri, Sonnino, t. 2986/1626, 25 novembre 1918, doc. 338; sull’atteggiamento della Svezia: il Ministro a Cristania, Montagna, al Ministro degli esteri, Sonnino, t. 3057/240, 27 novembre 1918, doc. 367; entrambi in Ddi, Sesta serie, 1918-1922, vol. I (4 novembre 1918-17 gennaio 1919), rispettivamente p. 165; p. 180. 77 ramente le leggi ad ogni tentativo di turbamento dell’ordine pubblico» e si apprestò così a «rimpatriarli appena possibile per la via del Mar Nero»11. Infine, anche la Svizzera, estremamente permeabile alle infiltrazioni bolsceviche, decise sorprendentemente l’espulsione dal territorio svizzero del rappresentante rivoluzionario a Berna12. D’altronde, la propaganda iniziava a turbare persino l’apparente tranquillità della Confederazione elvetica e le rassicurazioni di Pietrogrado circa il blocco della propaganda non avevano lo stesso credito dell’anno precedente. Le valutazioni di della Torretta, il Regio commissario ad Arcangelo, la città portuale sotto il controllo alleato con sbocco sul Mar Bianco, lasciavano intravedere l’ostilità ideologica che il diplomatico aveva sviluppato nei confronti del bolscevismo: Esperienza ha dimostrato governo massimalista non mantiene mai nessun impegno ed agisce costantemente nel modo più arbitrario specialmente per quanto concerne la sicurezza personale proprietà ed interessi privati di sudditi esteri […]13. In questa fase, e sostanzialmente fino al giugno 1919, il bolscevismo fu percepito come bersaglio dell’offensiva dei Generali bianchi: la classe dirigente politica e diplomatica italiana non riteneva dunque essenziale conoscere approfonditamente il fenomeno di per sé14. La lente principale attraverso la quale il bolscevismo fu inteso era quello della sua forza di espansione: era ritenuto un fenomeno dilagante, contagioso, che potenzialmente avrebbe potuto infestare i Paesi europei, fra i quali l’Italia. Il «germe bolscevico», la «infezione» rivoluzionaria, cittadini «affetti» da bolscevismo: la terminologia utilizzata nei rapporti dell’Arma dei Carabinieri, dalle Prefetture così come dal Ministero degli esteri è illuminante: se il bolscevismo era ritenuto una pandemia, aveva avuto esattamente l’effetto che le epidemie generano. Una paura 11 Telegramma di Manzoni per il Mae alla Regia Ambasciata a Londra, oggetto: massimalisti in Ispagna, 16 novembre 1918, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 18611950, fasc. Rapporti politici Europa (Russia-Svizzera), anno 1918, sottofasc. 18, cit. 12 Comunicazione del Barone Russo, Legazione di Berna, 8 novembre 1918, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Rapporti politici Europa (RussiaSvizzera), anno 1918, sottofasc. 18, cit. 13 Comunicazione di della Torretta da Arcangelo, 7 dicembre 1918, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Rapporti politici Europa (Russia-Svizzera), anno 1918, sottofasc. 18, cit., pp. 1-2. 14 G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca…, cit., p. 197. 78 irrazionale, incontrollabile era stata generata dal virus rivoluzionario, ed aveva colpito la classe dirigente italiana (o almeno una parte di essa). Solo così si spiegano le opinioni espresse nell’aprile 1919, dal Direttore del «Corriere della sera» Luigi Albertini, uno dei più raffinati conoscitori della politica italiana e persona non certo ininfluente rispetto alla definizione dell’opinione pubblica né a quella della classe politica, quando scriveva a Orlando dell’imminenza di una guerra civile in Italia. Citando i rapporti delle Prefetture, Albertini avvalorava l’interpretazione secondo la quale, grazie al «diapason insorpassabile» della propaganda rivoluzionaria, si stava preparando a Milano un putsch leninista, sulla falsariga di quanto già avvenuto a Monaco e a Budapest15. È tuttavia necessario precisare che lo stato allarmistico generato dalla rivoluzione del 1917 e nel quale – come abbiamo tentato di mostrare – le autorità italiane versarono sostanzialmente ininterrottamente dal novembre di quell’anno, aveva prodotto una sorta di “vaccino” in alcuni esponenti chiave della classe politica dirigente. In altri termini, era emersa la necessità di distinguere tra lo stato di allarme quasi “ordinario” in cui viveva lo Stato italiano a proposito dei tentativi di insurrezione, e la concreta traducibilità dello sciopero generale in rivoluzione. A tal proposito, è illuminante il breve testo di un telegramma che il Presidente del Consiglio Orlando inviò al Ministro delle colonie Colosimo nel marzo 1919, quando i socialisti presero la decisione di organizzare uno sciopero generale, unendosi ai compagni inglesi e francesi, per l’estate: A proposito dell’accenno contenuto in un tuo telegramma di tentativi diretti alla proclamazione dello sciopero, desidererei che tu mi chiarisca se ciò avviene in forma di minaccia immediata o se invece corrisponde ai noti propositi dei massimalisti italiani, come Serrati ecc. più particolarmente ancora se tali propositi vorrebbero connettersi con gli attuali scioperi del novarese. Ciò perché io possa formarmi un’idea più precisa della situazione16. Allo stato della documentazione rinvenuta, questa realistica posizione di Orlando era tuttavia isolata ed era comunque destinata ad essere travolta dagli eventi interni ed internazionali. Nella primavera del 1919, 15 L. Albertini, Epistolario 1911-1926, O. Barié (a cura di), vol. III, Mondadori, Milano, 1968, pp. 1209-1211. 16 Il Presidente del Consiglio Orlando al Ministro delle colonie Colosimo, 23 marzo 1919, Ddi, Sesta serie, volume II, gennaio-marzo 1919, p. 701. Circa la realizzabilità del «sogno rivoluzionario» cfr. S. Noiret, Massimalismo e crisi dello stato liberale…, cit., pp. 306-309. 79 la breve parentesi della Repubblica dei Consigli a Monaco di Baviera e l’istituzione del governo di Béla Kun nell’instabile Ungheria, reduce dal crollo dell’Impero asburgico, aumentò il senso di accerchiamento di Roma. Per certi versi, l’Italia si sentiva l’epicentro delle pressioni provenienti dalle Repubbliche rosse: Budapest e Monaco non erano certo lontane e, come ricostruito, dai confini francesi, svizzeri e austriaci scivolavano nel territorio nazionale emissari e agenti al soldo della rivoluzione. Inoltre, la special relationship instauratasi da lungo tempo tra Roma e Budapest chiamava direttamente in causa l’Italia nel momento in cui la situazione pareva promettere una rapida istituzione di un regime comunista in Ungheria: nei primi mesi del 1919, numerose furono le richieste di appoggio rivolte da esponenti ungheresi di vario colore politico all’Italia affinché il governo Orlando appoggiasse Budapest alla Conferenza di pace e procedesse «all’occupazione militare dei principali centri dell’Ungheria per ristabilire l’ordine»17. Alla vigilia della creazione della Repubblica rossa ungherese, le notizie che giungevano a Roma dall’Europa centrale erano decisamente inquietanti. Il pericolo del bolscevismo incombeva non solo sull’Ungheria, ma anche sulla Germania e sull’Austria: secondo l’analisi italiana, esso sarebbe persistito fino a quando la popolazione non fosse stata sufficientemente nutrita18. Nel marzo 1919, quando la situazione in Ungheria stava prendendo una piega evidentemente rivoluzionaria, l’Ufficio politico della Missione italiana per l’armistizio inviò una nota al Ministro Sonnino nella quale si palesava il pericolo per la bolscevizzazione di Budapest. Al di là delle informazioni strettamente attinenti alla situazione ungherese, il documento appare di particolare interesse perché offriva spunti di analisi rispetto alla situazione italiana, relativamente ad un possibile scivola17 A titolo di esempio: comunicazione del Sottocapo di Stato maggiore dell’Esercito Badoglio, Comando supremo, Ufficio operazioni, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro degli affari esteri e al Ministro della guerra, oggetto: aspirazioni dell’Ungheria, 14 gennaio 1919, Asmae, b. 1738: Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, febbraio-marzo 1919. Sui rapporti tra l’Italia e la Repubblica dei Consigli ungherese: cfr. E. Santarelli, Italia e Ungheria nella crisi postbellica, 1918-1920, Argalìa, Urbino, 1968; id., La reazione ungherese e la democrazia italiana (1919-1920), L’aventina, Roma, 1963. Sulla vita e sulla carriera militare di Badoglio: P. Pieri, G. Rochat, Pietro Badoglio, Utet, Torino, 1974; N. Labanca, La carriera di un generale: Pietro Badoglio, in M. Isnenghi, D. Ceschin, La Grande Guerra…, cit., pp. 516-524. 18 Telegramma dalla Divisione militare di Innsbruck, 7 febbraio 1919, Asmae, b. 1738: Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, febbraiomarzo 1919. 80 mento in senso bolscevico della penisola ed al modus operandi seguito dalle forze sovversive per sobillare la rivoluzione. L’incapacità mostrata dal Presidente della neonata Repubblica ungherese, il conte Károlyi, nella gestione delle crisi pareva un monito alla classe dirigente italiana. In particolare, emergeva il ruolo chiave delle Forze armate nell’affermazione della rivoluzione. L’Ufficio politico della Missione italiana vedeva infatti nello scioglimento dell’Esercito da parte del Presidente il definitivo «passo falso» compiuto dalle autorità ungheresi: da un lato, il governo non possedeva più una forza repressiva con la quale gestire l’insurrezione; dall’altro, i soldati si erano riversati nelle piazze aggiungendosi alle maree di disoccupati provenienti dalle fabbriche chiuse dopo la guerra. La propaganda disfattista e antibellica di matrice bolscevica aveva fatto il proprio corso in Ungheria e ad essa si era associata la marea montante della classe operaia nella quale aleggiava un malcontento diffuso. L’Esercito e la classe operaia si erano così rivelate un enorme bacino di consenso per i socialisti che, partecipando già al governo, ne avevano preso in mano le redini. Infine, si poneva il problema del ritorno dei prigionieri di guerra ungheresi dalla Russia. Secondo l’analisi della Missione, essi erano completamente bolscevizzati: […] la vera preoccupazione è per i prigionieri che rientrano dalla Russia. Il loro soggiorno in quel Paese ne ha ormai plasmato la mentalità così che vi è serio motivo di temere che al loro ritorno possano essere immediatamente sfruttati da chi può avere speranza di scatenare nell’Ungheria un turbine rivoluzionario simile a quello che ha spazzato la Russia. Né si tratta qui soltanto di individui isolati, ma anche di vere forze organizzate, di reparti ora militanti in Russia sotto la bandiera del bolscevismo19. Il rapporto si concludeva con toni catastrofici non distanti dalla realtà circa l’instaurazione di un regime del terrore nel quale la «deriva bolscevica» era ormai incontrollabile. La classe dirigente italiana non poteva non sentire l’eco della situazione interna al Regno. La propaganda disfattista, la conquista del consenso dell’Esercito, l’utilizzo del malcontento delle masse e la sapiente azione sobillatrice del Partito socialista: le paure irrazionali della classe 19 Nota per il Ministro Sonnino dal Comando supremo, Missione italiana per l’armistizio, Ufficio Politico, oggetto: situazione interna in Ungheria, 2 marzo 1919, Asmae, b. 1738: Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, febbraio-marzo 1919, p. 7. 81 dirigente italiana circa la realizzabilità della rivoluzione parevano prendere forma secondo il copione seguito per l’instaurazione del regime bolscevico in Ungheria. Ciò che era paventato (e talvolta estremizzato) nei rapporti prefettizi e nelle disposizioni ai Carabinieri, tra la fine del 1917 ed il 1918, stava diventando realtà a Budapest. La necessità di impedire questa deriva indusse il Comando supremo a predisporre provvedimenti affinché tornassero in Ungheria non solo ex prigionieri bolscevizzati, ma anche delle «menti sane», sostenitrici dello Stato liberale. La Missione italiana fece inoltre presente a Sonnino la necessità di intervenire presso gli altri Paesi dell’Intesa perché si rendessero conto di «questa pericolosa situazione» e si mostrassero disponibili a prestare il proprio aiuto al governo magiaro, che aveva avuto «il merito di aver assicurato l’ordine quando vi erano tutte le condizioni per un cataclisma sociale non dissimile da quello russo»20. Il pericolo di un contagio era tanto più tangibile quanto più, a tali riflessioni, nell’aprile 1919, si aggiunsero notizie relative alla presenza di massimalisti italiani operanti in Ungheria e di agenti propagandisti ungheresi ed italiani inviati dal governo comunista di Budapest. Le notizie giungevano cifrate dal marchese Tacoli, di stanza in Ungheria, ed erano incomplete ed imprecise: Budapest xxxx esiste rilevante frazione Partito comunista italiano reclutato fra disertori R. Esercito. Essa tiene riunioni e pubblica manifesti facendo adesione attuale governo. Da altra parte ho sicure informazioni presenza Italia agenti propaganda ungherese ed italiani invitati da governo comunista che […] Onorevole Modigliani21. Visto che il Partito comunista nacque ufficialmente in Italia nel 1921, possiamo immaginare che con la denominazione «frazione del Partito comunista» facesse riferimento ai due gruppi comunisti che si 20 Nota per il Ministro Sonnino dal Comando supremo, Missione italiana per l’armistizio, Ufficio Politico, oggetto: situazione interna in Ungheria, 2 marzo 1919, Asmae, b. 1738: Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, febbraio-marzo 1919, p. 7. Analoghe riflessioni sono presenti anche nel seguente documento: nota per il Ministro Sonnino dal Comando supremo, Missione italiana per l’armistizio, Ufficio Politico, oggetto: la rivoluzione: il governo repubblicano in Ungheria, 26 febbraio 1919, Asmae, ivi. 21 Telegramma cifrato n. 1119 inviato dal marchese Tacoli, delegazione italiana al Congresso della pace, Vienna, 24 aprile 1919, Asmae, b. 1738: Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 82 erano formati in seno al Psi, quello di Bordiga e quello di Gramsci e de «L’Ordine nuovo». Meno chiaro è invece il riferimento a Giuseppe Modigliani che, plausibilmente, per le proprie tendenze gradualistiche, aveva poco a che fare con agenti bolscevichi ungheresi22. La parzialità e imprecisione delle notizie provenienti dai diplomatici italiani si confermava come una caratteristica fondante della loro azione di informazione e di analisi. E la disinformazione faceva il gioco della paura. Tuttavia, a poche settimane dall’istituzione del regime bolscevico, da Budapest iniziarono a giungere notizie che mostravano una marcata volontà di riavvicinamento all’Italia, ritenuta un canale utile per uscire dall’isolamento internazionale in cui era caduta la Repubblica dei Consigli. Di dette aspirazioni, di cui si tratterà più approfonditamente nel prossimo paragrafo in relazione alle accuse di filocomunismo ungherese rivolte all’Italia, anticipiamo solamente qualche elemento circa l’atto di avvio. Alla fine di aprile, il Generale Segre – colui che era riuscito a far ricostituire la delegazione militare a Budapest all’indomani della sua soppressione, delegazione che sarebbe rimasta l’unica a rappresentare i Paesi dell’Intesa durante la Repubblica dei Consigli23 – scrisse al Comando supremo di aver avuto un colloquio con il Commissario del Popolo Svankendov il quale, a nome di Béla Kun, auspicava un «ravvicinamento fra Ungheria e Italia nel campo finanziario-commerciale, ma con presupposta politica». Il delegato aveva assicurato che il governo ungherese non intendeva «fare propaganda bolscevica [in] altri Stati e in particolare [in] Italia, sia mezzo agenti, sia [con] aiuti finanziari, tanto meno [con la] forza armata [o] con [una] alleanza [con l’]esercito rosso russo»24. Il Generale diede parere fortemente positivo ad una ripresa delle relazioni commerciali, sostenendo che era «impossibile prevedere sciagure Paese e eccessi se Intesa non [avesse permesso all’]Italia [di] approvvigionarla e non [avesse tolto] parzialmente il blocco». Aggirando 22 Vale la pena di ricordare solo a margine che Modigliani fu indicato da Lenin come uno dei dirigenti riformisti di cui occorreva liberarsi per poter creare in Italia un partito rivoluzionario. Sulla figura del politico italiano: D. Cherubini, Giuseppe Emanuele Modigliani: un riformista nell'Italia liberale, FrancoAngeli, Milano, 1990. 23 Si noti che l’istituzione della delegazione era avvenuta con il parere contrario del marchese Tacoli. Cfr. telegramma cifrato n. 1941 inviato dal marchese Tacoli, delegazione italiana al Congresso della pace, Vienna, 2 maggio 1919, Asmae, b. 1738: Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 24 Telegramma riservatissimo n. 7024 dal Generale Segre, Vienna al Comando supremo, Ufficio operazioni, 27 aprile 1919, Asmae, b. 1738: Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919, p. 1. 83 l’autorità diplomatica rappresentata da Tacoli, il Generale spingeva per una decisione autonoma del Comando supremo, asserendo di essere sicuro della «simpatia» che Budapest nutriva per Roma, e facendo presente la necessità di «buttar[s]i arditamente avanti», tenuto conto dell’azione di «accerchiamento francese» e delle «lusinghe jugoslave»25. La posizione del Generale Segre era piuttosto isolata non tanto in merito alla possibilità di ristabilire le relazioni in sfregio al blocco imposto dall’Intesa all’Ungheria, quanto relativamente al pericolo che la Repubblica dei Consigli rappresentava per l’Italia. Negli stessi giorni, il Commissario italiano a Vienna Arrigo Tacoli non mancò di ribadire una posizione che aveva avuto già modo di esporre alle autorità politiche: la situazione in Ungheria era di una «eccezionale gravità» ed era densa di pericoli di un concreto «imminente contagio» per l’Austria, e «successivamente per altri Paesi non escluso il nostro». Secondo Tacoli, il movimento bolscevico ungherese, per quanto costituito da «poche migliaia di persone», avrebbe dato luogo «ben presto» a «violenta aggressività»26. La sfiducia del marchese Tacoli nelle intenzioni di Béla Kun era totale: il leader ungherese era considerato un avventuriero persino dai compagni dell’Internazionale comunista, che non condividevano i suoi metodi spregiudicati e poco lungimiranti di fomentare la rivoluzione nei Paesi dell’Intesa senza un preciso piano politico e una valutazione complessiva dello stato della rivoluzione europea27. In merito alle trattative ungheresi con i governi inglese e americano al fine di far cessare la propaganda bolscevica nei due Paesi di lingua anglosassone, Tacoli riferiva che, sulla base di informazioni pervenutegli da «serissima fonte», l’atteggiamento conciliatorio di Béla Kun aveva un carattere «unicamente» «delatorio»: il governo comunista aveva ancora la speranza di «possibili rivolgimenti europei per [il] primo maggio». Tali sovvertimenti erano attesi specialmente in «Romania, Italia, Serbia e Svizzera»; si segnalava, inoltre, la presenza a Budapest di emissari svizzeri provenienti dall’Italia28. Nel senso di una conferma in25 Ivi, p. 2. Telegramma cifrato di Tacoli n. 947 dalla delegazione italiana al Congresso della pace, 10 aprile 1919, Asmae, b. 1738: Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919, p. 1. 27 S. Pons, La rivoluzione globale…, cit., pp. 36-37. 28 Telegramma n. 9936 del Mae per le Ambasciate italiane a Parigi e Londra, Asmae, b. 1738: Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919, p. 1. Una conferma indiretta a tale auspicio era stato dato nell’intervista rilasciata dal leader magiaro alla «Pravda», nell’aprile dello stesso anno, 26 84 diretta a tali nuove, andava una lettera che Costantino Lazzari inviò al Direttore dell’«Avanti» Giacinto Menotti Serrati nel maggio del 1919, nella quale si faceva esplicito riferimento ad un emissario di Béla Kun dal nome indecifrabile, giunto a Roma con incarico del governo bolscevico ungherese e poi ripartito per Budapest in tempi piuttosto rapidi, promettendo un suo prossimo ritorno. Sul finire della primavera del 1919, il suo rientro nella penisola ancora non era avvenuto, visto che Lazzari chiedeva sue notizie al Direttore de «L’Avanti», sottolineando che dalla sua partenza, di tale emissario non si era più saputo nulla29. Le paure per una bolscevizzazione dell’Europa (e di Roma, in particolare) venivano poi strumentalizzate sapientemente da quelle forze che, in Ungheria, si opponevano al regime di Béla Kun. Così Tacoli riferì al marchese Imperiali, dislocato a Parigi, di un suo colloquio con il conte Zichy che, rocambolescamente, era riuscito a passare dall’Ungheria a Vienna. Facendo pressioni per un intervento dell’Intesa, il nobile mise in guardia il diplomatico italiano circa l’errore di ritenere che il movimento comunista ungherese avesse un mero «carattere nazionale»: «il pericolo di diffondere [il] comunismo dall’Ungheria a Paesi limitrofi» era «gravissimo»30. Analoghi timori erano emersi nel corso di un colloquio del Generale Segre con non meglio precisato «noto Deputato ungherese», il quale paventò che «senza [una] energica decisione [dell’]Intesa», non solo l’Ungheria sarebbe definitivamente caduta sotto il bolscevismo, ma vi erano concrete possibilità della «estensione [della] rivoluzione [a] Vienna ed [in] Europa»31. in cui Béla Kun aveva affermato: «Io ritengo che il passaggio al regime comunista avverrà in tutta l’Europa. […] La vittoria del comunismo non si fermerà alle frontiere dell’Ungheria, questo è chiaro». Cfr. Intervista rilasciata al corrispondente del «Vaterland» e riportata sulla «Pravda», poi riprodotta in P. Fornaro (a cura di), Béla Kun. Professione: rivoluzionario. Scritti e discorsi 1918-1936, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1980, p. 115. 29 Lettera di Costantino Lazzari a Serrati, 21 maggio 1919, Istituto fondazione Gramsci (di seguito Ifg), Fondo Serrati, Scatola 2, da 10/1 a 10/40, fogli 10/83-10/86. 30 Telegramma n. 01144 di Sonnino, Mae, al marchese Imperiali, Parigi, 9 aprile 1919, Asmae, b. 469, fasc. Rapporti politici Europa (Jugoslavia-Ungheria), anno 1919, sottofasc. Ministero degli affari esteri, oggetto: Comunismo, f. 6, anno 1921. Circa la possibilità di un intervento dell’Intesa contro la Repubblica dei Consigli, cfr. P. Pastor, Hungary between Wilson and Lenin: the Hungarian revolution of 1918-1919 and the big three, Columbia University press, New York, 1976. 31 Telegramma n. 00951 di Sonnino al marchese Imperiali, Ambasciatore a Parigi, 30 marzo 1919, Asmae, b. 469, fasc. Rapporti politici Europa (Jugoslavia-Ungheria), 85 Queste notizie, che avevano (come già ricordato) un valore in larga parte strumentale, venivano avvalorate dall’infuriare della propaganda bolscevica all’estero. Nei primi mesi del 1919, il Ministero degli affari esteri inviò all’Ambasciata italiana a Londra un rapporto secondo il quale era aumentato l’afflusso dalla Russia in Svezia di «forti somme di denaro» («15 milioni di rubli giunti in una sola volta») e di «pubblicazioni destinate alla propaganda bolscevica specie in Germania ed in Francia»32. Ma anche in Italia le notizie continuavano a rincorrersi e, nelle modalità, riecheggiavano le evoluzioni ungheresi. La questione degli ex prigionieri di guerra pareva dominare i pensieri degli addetti alla Pubblica sicurezza. Notizie giungevano da Stoccolma circa l’arrivo, via Germania, di «un certo numero di prigionieri di guerra austriaci», «incaricati dal governo di Mosca di fare in Italia propaganda massimalista»33. Ad essi si aggiungevano 46 italiani profughi provenienti da Mosca e Pietrogrado che, giunti a Stoccolma sarebbero presto ripartiti per rimpatriare. Tra questi tali venivano segnalati Romeo Scalpellini e Vittorio Ferrari, identificati come «agenti bolscevichi largamente forniti di denaro per propaganda in Italia», e un tale Probo Fiorenzoni, proveniente dalla terra rossa di Suzzara, in provincia di Mantova, che in Russia aveva «notoriamente fatto parte della Guardia rossa»34. Mentre a Monaco e a Berlino si preparavano passaporti falsi «destinati a propagandisti rivoluzionari, specialmente ad agenti commerciali» che avrebbero dovuto entrare in Svizzera, Italia e Francia35, la propaganda bolscevica tra gli ex prigionieri italiani aveva sortito effetti posianno 1919, sottofasc. Ministero degli affari esteri, oggetto: Comunismo, f. 6, anno 1921. 32 Telegramma n. 634 di Manzoni, Mae, all’Ambasciata d’Italia a Londra, oggetto: la Svezia e la propaganda bolscevica, 19 gennaio 1919, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950, fasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Svezia, anno 1919. 33 Comunicazione n. 1101 della Regia Prefettura di Novara, ai Sottoprefetti di Provincia e alla Brigata CC. RR., 24 febbraio 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 34 Regia Prefettura di Novara, ai Sottoprefetti di Provincia e al Comando RR. CC. di Novara, 10 marzo 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. Cfr. A. Biagini, In Russia fra guerra e rivoluzione…, cit., pp. 115-134. 35 Regia Prefettura di Novara, ai Sottoprefetti di Provincia e alla Tenenza RR. CC., 28 febbraio 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 86 tivi. «Amichevoli conversazioni di agenti prezzolati» ed «opuscoli tendenti a deplorare e svalutare l’azione dell’Italia[,] ad attribuire al regime capitalistico […] la responsabilità della guerra, e a dimostrare la necessità della repubblica sociale» avevano lasciato «traccia» della «opera nefasta del nemico»36. Anche la più piccola evoluzione diveniva degna di sospetto. L’Arma dei Carabinieri segnalava così la preparazione di «distintivi metallici» recanti la scritta «Soviet» che facevano presupporre che «la propaganda del bolscevismo stesse per concretizzarsi e per inscenare una manifestazione»37. Come durante il conflitto il morale delle truppe era stato al centro delle preoccupazione dei dirigenti, nelle prime fasi del dopoguerra la smobilitazione delle truppe e il problema dei reduci rendeva necessario esorcizzare le infiltrazioni bolsceviche. La pubblicazione su «L’Avanti» di lettere di reduci che protestavano per la censura nei confronti del quotidiano e che sostenevano apertamente la direzione massimalista di Serrati divennero ben presto elementi di preoccupazione per le autorità38. Le restrizioni imposte alla distribuzione del giornale socialista non impediva che circolassero appelli ai soldati italiani, per mezzi segreti, al fine di denunciare l’azione governativa contro i «fratelli dell’Ungheria e della Russia» e incitando a «rivolgere le armi» contro il «nemico interno»39. Una comunicazione del Ministro Albricci faceva così il punto della situazione su quello che veniva definito un «fenomeno inquietante», quello cioè dell’apparizione di articoli «contrari alle istituzioni» a firma di «più militari»: un sistema – secondo il Ministro – che i «Partiti estremi» utilizzavano «per far credere al popolo che l’Esercito [fosse] con 36 Comunicazione n. 426 del Ministero della guerra, oggetto: propaganda bolscevica, 8 febbraio 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 37 Riservata n. 131/18 della Legione territoriale dei RR. CC di Torino, Ufficio di terza divisione, oggetto: propaganda bolscevica, 18 gennaio 1918, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 38 Comunicazione del Colonello Pietro Casaretto, Comandante della Legione territoriale dei RR. CC. di Novara, Ufficio di terza divisione, 25 settembre 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. Lettera di un soldato sindacalista di Parma, dicembre 1918; e missiva di un socialista soldato a Serrati, s.d., Ifg, Fondo Giacinto Menotti Serrati, scatola 5, Documentazione (guerra), fogli 37/8 e 37/10. 39 Volantino “Soldati italiani!” del Consiglio dei soldati italiani di Milano, 10 giugno 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 87 loro, e per incitare d’altra parte i militari a seguire l’esempio di presunti loro colleghi», utilizzando così un «mezzo subdolo ed insinuante di propaganda sovversiva»40. Il problema della sovversione interna e dell’infiltrazione del bolscevismo nelle pieghe delle Forze armate costituiva solo un aspetto dell’instabilità in cui versava la penisola. Da un lato, la partecipazione del Presidente del Consiglio e del Ministro degli esteri alla Conferenza di pace a Parigi parve ai più la prova definitiva che l’Italia si era spesa per non ottenere quello che si era prefissata e per il quale aveva duramente combattuto: la propaganda sulla “vittoria mutilata” divenne l’efficace punto di contatto e di sinergia tra culture politiche diverse e talvolta antitetiche41. La pantomima di Orlando e Sonnino, con il loro andirivieni da Parigi, del tutto trascurato dalle altre Potenze, gettò il più totale discredito sui politici che avevano governato l’Italia nel corso della guerra. Le dimissioni di Vittorio Emanuele Orlando, nel giugno 1919, furono in gran parte determinate dal fallimento diplomatico del governo legato al suo nome42. Dall’altro, non va sottovalutato come la percezione di una forte instabilità interna – segnata dalle continue minacce di sciopero generale e di imminenza rivoluzionaria – contribuì ad avvalorare l’esistenza di una minaccia di un sovvertimento per mezzo di agenti stranieri, grazie alla penetrazione delle idee rivoluzionarie nel già predisposto substrato politico italiano. Dopo un anno e mezzo di annunci, lo sciopero generale iniziava a prendere una forma e veniva programmato per il luglio 1919. Ma già nella primavera dello stesso anno, esso fu anticipato da un’astensione dal lavoro nella capitale. Dimostrazioni di segno opposto e la distruzione della sede de «L’Avanti» a Milano diedero luogo a nuove manifestazioni nel capoluogo lombardo e a Torino. Contestualmente, dimostrazioni pubbliche in favore della rivoluzione russa ebbero luogo anche a Berlino, Monaco e Budapest, così come nelle altre grandi città occidentali. Nuovi 40 Comunicazione del Ministro Albricci, agosto 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 41 G. Albanese, Versailles/”Versaglia”: la “vittoria mutilata”, in M. Isnenghi, D. Ceschin (a cura di), La Grande Guerra: dall’intervento alla “vittoria mutilata”…, cit., pp. 889-896. 42 H.J. Burgwyn, The legend of the mutilated victory: Italy, the Great War, and the Paris peace conference, 1915-1919, Greenwood press, Westport, Conn., 1993. 88 scioperi furono organizzate nel maggio, in particolare nel biellese, tra i metallurgici di Roma e nei settori tranviari e alberghieri43. Nella lettura delle autorità, questa situazione, che era potenzialmente rivoluzionaria per ragioni endogene, rispondeva alla logica dell’Internazionale comunista e veniva fomentata dall’esterno. All’inizio di aprile, il Ministero dell’interno dava notizia alle Prefetture della recente costituzione a Zurigo di una «Commissione esecutiva del Partito socialista italiano», della quale facevano parte «connazionali noti per fanatismo rivoluzionario», che promuoveva attivamente la propaganda in Italia «per attirare nel campo rivoluzionario i militari smobilitati reduci dal fronte e per la preparazione di uno sciopero generale di carattere politico». Ad esso si affiancava, a Basilea, un Comitato centrale «delle organizzazioni svizzere dei soldati» la cui azione era diretta alla «formazione di associazioni di soldati in ciascun centro di mobilitazione, con programma essenzialmente rivoluzionario»44. Contestualmente, nell’Emilia e nelle Marche si disponeva «massima vigilanza» per la costituzione di «comitati segreti rivoluzionari»45. La collaborazione tra le centrali svizzere con quelle interna dei sovversivi veniva messa in luce in una circolare del Ministero dell’interno, nella quale si denunciava una «intensa propaganda rivoluzionaria» in Lombardia, nel Piemonte, nelle Marche e nella Toscana, ove si tentavano di gettare segretamente le basi di «Consigli di operai e soldati», formate da reduci di guerra (e in particolare: «feriti, mutilati, arditi») e da operai addetti in precedenza a industrie belliche46. Questa intensa attività sul fronte delle Sinistre, trovò, com’è noto, una contro-attività: con la costituzione dei Fasci, nel marzo 1919, lo spirito rivoluzionario dovette fare i conti con organizzazioni che trovavano 43 C.S. Maier, La rifondazione dell’Europa borghese, il Mulino, Bologna, 1999, pp. 129-130. 44 Riservatissima, Regia Sottoprefettura di Vergato al Tenente dei RR. CC. di Vergato, n. 13 div. R. Gab., 9 aprile 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, Comando della tenenza di Vergato, cat. R, specialità 10, pratica 1, oggetto: persone appartenenti a partiti sovversivi o comunque sospette per l’ordine pubblico. Riunioni, comizi, ecc., anno 1919. 45 Riservatissima, Regia Sottoprefettura di Vergato al Tenente dei RR. CC. di Vergato, n. 7 div. R. Gab., oggetto: comitati segreti rivoluzionari, 9 aprile 1919, Msac, f. 289, 1913-1921, fasc. 6, Comando della tenenza di Vergato, cat. R, specialità 10, pratica 1, oggetto: persone appartenenti a partiti sovversivi o comunque sospette per l’ordine pubblico. Riunioni, comizi, ecc., anno 1919. 46 Regia Prefettura di Rovigo, riservatissima, 6 giugno 1919, Msac, f. 322, cartella Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 4, pratica 4, oggetto: Movimento socialista. 89 un certo appoggio in seno alle autorità locali le quali, in alcuni casi, le usarono in funzione antisocialista47. Ciò avvenne non solo in Italia, circa la quale Emilio Gentile parla di una «guerra civile» che si protrasse dalla fine degli anni Dieci sino alla Resistenza, ma più generalmente in Europa48, ove notizie di organizzazioni antibolsceviche si rinvengono ripetutamente nella documentazione italiana. A partire dal 1919, la fragilità dell’Italia non dipese più soltanto dalla minaccia bolscevica: come ebbe modo di dichiarare Orlando nel marzo alla Camera, un «cieco mulinello di distruzioni e di disordinata violenza» minacciava il vecchio continente49. L’immagine pubblica dell’Italia sul piano internazionale vacillava e ciò proprio nel momento chiave in cui Orlando e Sonnino si trovavano a Parigi, in una situazione – come è noto – assai complicata. Il Ministero degli affari esteri osservava con attenzione l’umore della stampa internazionale, in particolare inglese e francese, circa la presentazione dell’Italia. Nel giugno 1919, alla vigilia della caduta del governo, giungeva da Londra una nota preoccupata circa la pubblicazione sul «Marchester Guardian» di un articolo sulla situazione politica interna dell’Italia e di un’intervista sul movimento socialista rivoluzionario italiano50. Contestualmente, la stampa tedesca diede ampio spazio alla crisi di governo e all’instabilità della penisola: secondo gli osservatori del Ministero degli esteri, il «Deutsche Allgemeine Zeitung» aveva sposato in pieno la «prognosi» del movimento comunista affermando che l’esempio della Russia sarebbe stato seguito dall’Italia e che i Soviets sarebbero presto sorti nella penisola. Contrariamente a «L’Avanti», che aveva tutto l’interesse a gonfiare gli avvenimenti insurrezionali 47 Sull’atteggiamento dei Prefetti nei confronti della violenza fascista, si veda, a titolo di esempio, quello del Prefetto di Ferrara Samuele Pugliese, M. Saija, I prefetti italiani nella crisi dello Stato liberale, Giuffré, Milano, 2001, pp. 55-58. 48 L’esistenza di una “guerra civile” in Italia fu riconosciuta anche dagli osservatori stranieri, cfr. E. Gentile, In Italia ai tempi di Mussolini. Viaggio in compagnia di osservatori stranieri, Mondadori, Milano, 2014. Sul concetto di “guerra civile”, si veda anche C. Pavone, Una guerra civile: saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 1991. 49 Cit. in C.S. Maier, La rifondazione dell’Europa borghese…, cit., p. 130. 50 Lettera di Ramsay Macdonald al Ministro degli affari esteri Sonnino, 13 giugno 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, Rapporti politici – Europa (Jugoslavia- Ungheria), 1919. Cfr. anche Notiziario n. 6 riservatissimo, dall’Addetto militare a Londra al Comando supremo, delegazione italiana per la pace, il primo aiutante di campo di S.M. il Re e l’Ambasciatore d’Italia a Londra, 24 giugno 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, Rapporti politici – Europa (Jugoslavia- Ungheria), 1919. 90 dell’Italia centrale, lo Stato avrebbe dovuto «osservare le cose dal loro lato puramente obiettivo […] e guardar[s]i dal generalizzare avvenimenti comuni in un Paese che più d’ogni altro [aveva] sempre avuto propensione ai disordini, e dal vedere in essi la “Weltrevolution” in marcia»51. Le autorità italiane presero dunque delle contromisure. Il Ministero degli affari esteri diede le seguenti disposizioni all’Ambasciata a Londra: Urgente. In vista voce circolanti circa nostra situazione interna ritenni oltremodo opportuno qualche telegramma rassicurante per comunicazione alla stampa. Imperiali52 E sul piano locale, le Prefetture diramarono l’ordine che venissero riportati in modo dettagliati tutti i comizi53 e che fossero «evitate assolutamente parole frasi discorsi che comunque po[tessero] essere diretti contri i Paesi alleati in genere e il Presidente Wilson e il Presidente Clemenceau in ispecie»54. Ciò nonostante, l’attenzione della pubblica opinione internazionale nei confronti dell’Italia era destinata a crescere: lo sciopero nazionale generale, proclamato per il 20 e 21 luglio, in contemporanea con altre capitali europee, pareva sembrare il preludio della tanto temuta (e chiacchierata) rivoluzione. L’immagine di un’Italia sull’orlo della rivoluzione bolscevica era assai dannosa per la credibilità internazionale del Regno ed andava evitata ad ogni costo. 51 Notiziario politico-militare riservatissimo, 13 luglio 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, Rapporti politici – Europa (Jugoslavia- Ungheria), 1919. 52 Telegramma n. 1012 di Imperiali per la Regia Ambasciata d’Italia in Londra per il Mae, 11 luglio 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, Rapporti politici – Europa (JugoslaviaUngheria), 1919. 53 Comunicazione urgente della Sottoprefettura di Vergato, oggetto: riferimenti dei comizi e pubbliche conferenze, 12 maggio 1919, Msac, f. 289, 1913-1921, fasc. 2, Comando divisione dei Carabinieri Reali di Bologna interna, cat. Riservato, specialità 10, pratica 3, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria, 1919. 54 Riservata urgentissima della Sottoprefettura del circondario di Vergato (Bologna), oggetto: pubblica manifestazione – astensione dall’avanzare parole e frasi sconvenienti, 26 maggio 1919, Msac, f. 289, 1913-1921, fasc. 2, Comando divisione dei Carabinieri Reali di Bologna interna, cat. Riservato, specialità 10, pratica 3, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria, 1919. Sulla figura di Clemenceau, si veda il recente: M. Marchi, Georges Clemenceau, Il Sole 24 ore, Milano, 2014. 91 2.2 L’estate 1919 (I). Nitti, lo sciopero generale e storie di pericolosi bolscevichi Con il governo di Francesco Saverio Nitti55, la politica italiana nei confronti della Russia bolscevica si modificò sostanzialmente. Negli ultimi mesi del 1919, con la sconfitta dei Generali bianchi56, divenne imperativo conoscere il fenomeno bolscevico che, contrariamente alle aspettative e alle previsioni di molti esponenti della classe politica italiana, era destinato a durare a lungo. Il nuovo Presidente del Consiglio aveva un atteggiamento più pragmatico del suo predecessore nei confronti della Repubblica rossa: sulla scorta della nuova tendenza, il Sottosegretario agli Esteri Carlo Sforza creò alla Consulta un servizio specializzato nella raccolta delle informazioni sulla Russia alla cui guida venne messo Giovanni Cesare Majoni, già Console generale a Mosca, in missione a Odessa. A tale iniziativa, a pochi giorni dalla costituzione del nuovo governo, si affiancò la decisione di non sostituire le truppe inglesi nel Caucaso, annullando la spedizione italiana capitanata dal Generale Pennella57. Nitti dispose poi il ritiro delle truppe italiane dal nord della Russia e dall’Estremo Oriente58. Nel breve volgere, entro il 1920, i tempi apparvero maturi per la ripresa dei rapporti: Nitti contribuì in modo fondamentale all’apertura verso Mosca. La sua premura nel ristabilire le relazioni con la Russia bolscevica nasceva dalla volontà di far pesare la sua 55 Sulla figura di Nitti: G. Vetritto, Francesco Saverio Nitti. Un profilo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013. 56 E. Mawdsley, The Russian civil war, Birlinn, Edinburgh, 2000; G. Swain, The origins of the Russian civil war, Routledge, New York and London, 1996, pp. 249 e ss. 57 M. Petricioli, L’occupazione italiana del Caucaso: un ingrato servizio da rendere a Londra, «Il Politico», n. 1, Giuffré., Pavia, 1971, pp. 11-92. Sforza era sfavorevole a questa ipotesi perché credeva che, nel lungo periodo, avrebbe avuto ripercussioni negative per l’Italia: essa avrebbe potuto essere la causa di una ostilità nei confronti di Roma e la possibile ragione di un’intesa russo-tedesca contro il mondo occidentale. Cfr. C. Sforza, L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Mondadori, Roma, 1944, p. 75. Cfr. anche L. Zeno, Il Conte Sforza. Ritratto di un grande diplomatico, Le Monnier, Firenze, 1999, p. 110. Intorno al pensiero di Sforza sulle relazioni con la Russia: A. Cappa (a cura di), Pensiero e azione di una politica estera italiana. Discorsi e scritti di Carlo Sforza, Laterza, Bari, 1924, pp. 67 e ss. Sull’azione di Sforza durante la Seconda guerra mondiale: A. Varsori, Gli alleati e l’emigrazione democratica antifascista: 1940-1943, Sansoni, Firenze, 1982. 58 E. Serra, Nitti e la Russia, in F. Barbagallo (a cura di), Francesco Saverio Nitti. Meridionalismo e europeismo. Atti del convegno di Potenza, 27-28 settembre 1984, Laterza, Roma-Bari, 1985, p.176. 92 azione diplomatica, evitando così di farsi scavalcare da altri nel complesso intreccio delle relazioni internazionali59. L’atteggiamento di Nitti su questo punto era dettato da una lettura realistica dello scenario diplomatico. Essa, tuttavia, non gli aveva impedito di valutare in modo estremamente negativo l’impatto della rivoluzione bolscevica sul socialismo (che su di lui aveva esercitato, alla fine dell’Ottocento, una forza di attrazione), così come sulla situazione interna all’ex Impero zarista, costituito da una massa «completamente asservita a una minoranza infima di idealisti e di politicanti, che rappresenta[va] una dominazione giacobina senza luce di pensiero»60. Nonostante queste considerazioni negative, Nitti riteneva l’apertura alla Russia bolscevica come parte di un più ampio programma di riconciliazione europea costituito da due pilastri: il reinserimento di Mosca nel sistema delle relazioni internazionali e la pacificazione con la Germania61. In entrambi i casi, il riavvicinamento sarebbe avvenuto tramite il canale economico-commerciale, per poi divenire più precisamente politico. Tuttavia, tale evoluzione sarebbe dovuta avvenire in modo estremamente graduale. Nel suo bel saggio su Nitti e la Russia, pubblicato alla metà degli anni Ottanta, Enrico Serra sostiene che la svolta nella politica estera italiana impressa dallo statista di Melfi fu indipendente dalla situazione parlamentare e dagli umori del Paese. Esso fu il frutto – questa la tesi di Serra – di una riflessione maturata nel periodo in cui Nitti era Ministro del tesoro nel 59 G. Petracchi, Da San Pietroburgo…, cit., pp. 247-248. In quella fase, il governo italiano chiese a quello statunitense un’opinione circa il possibile riconoscimento della Repubblica dei Soviet. Nella lunga (e talvolta nebulosa) risposta, il governo statunitense puntualizzò la questione della propaganda bolscevica: sottolineando la volontà di Mosca di promuovere la rivoluzione in tutto il mondo, gli americani collegarono la questione della propaganda alle difficoltà nel riallacciamento delle relazioni diplomatiche: «The leaders of the Bolsheviki have boasted that their promises of noninterference with other nations would in no wise bind the agents of this body. There is no room for reasonable doubt that such agents would receive the support and protection of any diplomatic agencies the Bolsheviki might have in other countries. Inevitably, therefore, the diplomatic service of the Bolsheviki government would become a channel for intrigues and the propaganda of revolt against the institutions and laws of countries […]». The Secretary of State to the Italian Ambassador (Avezzana), 10 agosto 1920, doc. 760c.61/300b, Frus, 1920, vol. III, p. 467. 60 A. Colombo, Nitti e il concetto di democrazia, in AA.VV., Francesco Saverio Nitti…, cit., pp. 35-36. 61 Più in generale, sul pensiero e la politica di Nitti durante la Prima guerra mondiale: A. Monticone, Nitti e la grande guerra, Giuffré, Milano, 1961. Sulla visione di Nitti del primo dopoguerra: F.S. Nitti, L’Europa senza pace, Bemporand, Firenze, 1921. 93 governo Orlando-Sonnino, «quale conseguenza di un’approfondita meditazione degli immani problemi della pace e della ricostruzione»62. Rispetto a questa tesi, sulla base della documentazione archivistica reperita, possiamo avanzare due ipotesi. O Serra ha ragione, oppure il tentativo di Nitti era quello di imbonire i russi, cercando di limitare le pressioni esterne in una situazione interna che pareva sempre più fuori controllo. Questa seconda ipotesi, tuttavia, pare poco praticabile visto che, nel corso del 1918 e dei primi mesi del 1919, i russi avevano mostrato la loro volontà di interferire nella vita interna dei Paesi europei, facendosi beffe delle promesse ripetutamente fatte sull’interruzione della propaganda all’estero e trincerandosi spesso dietro alla duplicità delle istituzioni russe: in altri termini, essi sostenevano che ciò che faceva il Comintern all’estero non era imputabile direttamente al governo bolscevico63. Già nei primi mesi del 1919, le Potenze occidentali e le stesse autorità italiane – come è stato documentato nel precedente paragrafo – ritenevano che le promesse dei russi fossero vacue e, ancor di più quelle degli ungheresi, le cui azioni venivano definite irresponsabili dagli stessi padri della rivoluzione64. In effetti, alla luce dell’analisi della questione dall’angolo visuale della reazione delle autorità alla presenza di emissari bolscevichi in Italia, l’ipotesi di Serra trova una parziale conferma. In caso contrario, Nitti come avrebbe potuto pensare di aprire ai russi proprio nel momento in cui in Italia le infiltrazioni sembravano raggiungere il proprio apice? All’indomani della fine della Prima guerra mondiale, l’estate del 1919 fu un periodo di intensissima agitazione sociale. Nel giugno, le città della Liguria e della Toscana (in particolare La Spezia, Genova e Carrara) furono scosse da scontri tra le forze dell’ordine e i dimostranti, mentre la sempre irrequieta Torino proclamava uno sciopero di massa per commemorare la morte di Rosa Luxemburg. A distanza di un paio di settimane, anche la Romagna iniziò a dare i primi segnali di insofferenza e, da lì, la protesta si diffuse tra la popolazione, frustrata dall’aumento dei prezzi e dal caro-vita, in varie località italiane65. Entro la fine dell’anno la protesta si sarebbe spostata dai centri urbani alle campagne, dando l’impressione 62 E. Serra, Nitti e la Russia, in AA.VV., Francesco Saverio Nitti…, cit., p. 178. L’articolo fu poi sviluppato in un volume pubblicato nel 1975: E. Serra, Nitti e la Russia, ISPI/Dedalo libri, Bari, 1975. 63 S. Pons, La rivoluzione globale…, cit., pp. 40-41. 64 Sui rapporti tra Béla Kun e Lenin tra il 1920 e ’21, rispetto alla realizzabilità di una rivoluzione mondiale: P. Melograni, Il mito della rivoluzione mondiale. Lenin tra ideologia e ragion di Stato, 1917-’20, Laterza, Roma-Bari, 1985, pp. 103-104. 65 C. Maier, La rifondazione dell’Europa borghese, cit., p. 131. 94 di un’espansione a macchia d’olio dell’insurrezione66. Il governo ritenne necessario dover mostrare un volto mite: le autorità locali ridussero i prezzi sui generi di prima necessità mentre Nitti sancì queste misure con il decreto del 6 luglio67. Ma i provvedimenti legislativi non arrestarono i tumulti. All’inizio del mese il Ministero degli interni inoltrò alle Prefetture un telegramma riservato: da varie fonti, giungeva la conferma che i partiti sovversivi italiani sarebbero stati d’accordo con gli estremisti di Francia ed Inghilterra per una manifestazione contro la pace di Versailles ed in favore di Russia e Ungheria. In Italia, tale manifestazione avrebbe preso la forma di uno sciopero generale68. Il Partito socialista proclamò così uno sciopero generale internazionale per due giorni, il 20 ed il 21 luglio, a sostegno dei popoli della Russia e dell’Ungheria. Anche in questo caso, l’atteggiamento di Nitti fu nuovamente conciliante, quanto meno per quanto concerneva l’aspetto internazionale della lotta69. Come dichiarò alla Camera ad una settimana dallo sciopero: Russi e ungheresi hanno il diritto di fare quello che vogliono ed il governo italiano crede di non dover intervenire per soffocare i movimenti che si son prodotti in Russia e Ungheria70. Diverso era l’atteggiamento dello statista rispetto alle aspirazioni politiche interne della manifestazione: a tre giorni dallo sciopero, Nitti scrisse ai Prefetti che: hanno perduto ogni consistenza i motivi che si potevano addurre per dare un carattere politico allo sciopero generale […]. Questo pertanto non avrebbe più ragione di essere ed il volere persistere nella risoluzione adottata creando 66 Sull’adesione delle campagne alla protesta, si veda: R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo: l’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma, vol. 2, il Mulino, Bologna, 1991, pp. 760-882. 67 Più in generale, sulla politica monetaria di Nitti, si veda il recente: M.L. Cavalcanti, La politica monetaria di Nitti fra le due guerre, FrancoAngeli, Milano, 2011. Per l’azione durante il governo da lui guidato, si vedano in particolare le pp. 29-50. 68 Telegramma espresso di Stato dal Regio Prefetto di Rovigo ai Comandi dipendenti, riservato, n. 1271, 2 luglio 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 4, pratica 4, oggetto: Movimento socialista. 69 Sulla politica di Nitti nei confronti del socialismo: A. Colombo, Nitti e il concetto di democrazia, in AA. VV., Francesco Saverio Nitti. Meridionalismo e europeismo..., cit., pp. 32 e ss. 70 Atti Parlamentari, XXIV Legislatura, Prima Sessione, 14 luglio 1919. Cfr. A. J. Mayer, Politics and diplomacy of peacemaking…, cit., p. 865. 95 l’obbligo per gli organizzatori di procedere colla maggiore cautela per evitare che la manifestazione possa essere sfruttata da elementi torbidi con lo scopo di creare situazioni pericolose71. Nitti raccomandava dunque ai Prefetti di «agire con fermezza e con serena energia»: le leggi andavano rispettate integralmente nella parte che garantiva i diritti di libertà e di lavoro dei singoli, così come in quella che tendeva «ad assicurare la vita e le funzioni dello Stato e la libertà di tutti senza distinzioni di classi o di partiti politici»72. Le preoccupazioni del Presidente del Consiglio non erano certo estranee ad alcune notazioni provenienti dalle autorità periferiche dello Stato: ad un mese dai fatti di luglio, in alcune zone del Nord d’Italia, l’Arma dei Carabinieri faceva sapere che, con le sole forze di cui disponeva, non sarebbe riuscita a fronteggiare uno sciopero generale operaio in concomitanza con quello agricolo per la mietitura73. In realtà, gli scioperi del luglio sancirono la fine dell’ondata di astensioni politiche dal lavoro. Anche agosto conobbe delle serrate, ma di natura non politica: non più per il socialismo, la Russia e la pace, ma per mere ragioni di tipo economico74. Tuttavia, questo aspetto fu chiaro solo a crisi finita: nell’estate del 1919 la situazione sembrava precipitare, seguendo un copione che pareva stilato dalle forze rivoluzionarie internazionali. La naturale predisposizione che alcune frange della popolazione mostravano per la sovversione si sposava perfettamente alla situazione internazionale, effervescente sotto il versante rivoluzionario. L’avvento di Béla Kun, al potere in Ungheria tra il marzo e l’agosto del 1919, segnò anche una riviviscenza della propaganda verso l’estero. Emissari, denaro e propaganda furono fatti filtrare in tutta l’Europa continentale. L’azione di Béla Kun non si fermò certo alla mera propaganda, tentando fattivamente di favorire l’avanzata del comunismo in Europa. In giugno, grazie al sostegno e alla guida di Ernoe Bettelheim, membro del Comitato centrale del Partito co71 Regia Prefettura di Bologna, nota del Presidente del Consiglio dei Ministri, n. 594, 18 luglio 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. 72 Ibidem. 73 Legione territoriale dei CC. RR. di Verona, Tenenza di Adria, n. 3/48 di protocollo riservato, oggetto: azione del Partito socialista, 15 giugno 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 4, pratica 4, oggetto: Movimento socialista. 74 C.S. Maier, La rifondazione dell’Europa…, cit., p. 132. 96 munista ungherese, alcuni dirigenti comunisti austriaci tentarono di portare a buon fine un’insurrezione a Vienna, fallita rapidamente con un numero limitato di vittime e un centinaio di comunisti tratti in arresto. Contestualmente, l’Esercito ungherese entrò in Slovacchia, dove nacque una Repubblica dei Consigli, che durò un solo mese. Nel luglio 1919, alcuni dirigenti comunisti jugoslavi, finanziati da Budapest, organizzarono un’insurrezione nel loro Paese, ma vennero arrestati75. Insomma, i comunisti ungheresi erano sfrontati, quanto disorganizzati e ingenui; tuttavia, essi vennero percepiti come una minaccia reale (e, per certi versi, probabilmente lo furono anche), nonostante il breve lasso di tempo in cui rimasero al potere. Alle notizie di diffusi colpi di Stato nell’Europa centrale, si affiancò la circolazione di informazioni sempre più allarmanti di un nuovo sforzo propagandistico dei bolscevichi all’estero, che avrebbe potuto avere ripercussioni imprevedibili sulla già fragile situazione italiana. A metà giugno, il Regio Ministro a Stoccolma riferiva notizie inquietanti circa le novità emerse durante lo svolgimento del terzo congresso bolscevico svedese: «otto casse e quaranta pacchi di stampati di propaganda bolscevica in diverse lingue» erano stati rinvenuti a Stoccolma76. Sul territorio italiano, l’arrivo di tale propaganda fu annunciato tramite i socialisti filobolscevichi. Il Ministero dell’interno annotava dunque di aver ricevuto la notizia confidenziale che il Segretario dell’Unione socialista romana, Arturo Vella, aveva comunicato ai compagni del Partito dell’arrivo, dalla Russia, in tempi brevi, di «una grande quantità [di] opuscoli contenenti le nuove leggi russe e moltissimi manifesti per essere segretamente distribuiti»77. Dal Ministero della guerra giungevano notizie complementari sul passaggio di manifestini dell’Unione sindacale italiana «inneggianti al comunismo bolscevico», destinati ad essere diffusi fra i militari del Regio Esercito, nonché «medaglie portanti l’effige di Lenin, di [Liebknecht,] di Rosa Luxemburg, e fra75 F.L. Carsten, La rivoluzione nell’Europa centrale, 1918-1919, Feltrinelli, Milano, 1978; B. Lazič, M. Drachkovitch, Lenin and the Comintern, Hoover Institution Press, Stanford, 1972, pp. 118-119; J.P. Newman, Yugoslavia in the shadow of war. Veterans and the limits of State building, 1903-1945, Cambridge University press, Cambridge, 2015, pp. 137-138. 76 Telegramma n. 13634 di Manzoni, Mae, all’Ambasciata d’Italia a Londra, 18 giugno 1919, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950, fasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Svizzera. 77 Comunicazione del Prefetto di Novara alla Divisione dei CC. RR. di Novara, s.d. (ma probabilmente giugno 1919), Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 97 si di incitamento a seguire l’esempio dei rivoluzionari russi e tedeschi»78. Tali notizie erano nella sostanza suffragate dalle autorità francesi che avevano individuato in un certo Pietro Filippi, alias André Tzenovitch, uno degli emissari che aveva portato in italiana «una grande quantità di fogli di propaganda bolscevica e di opuscoli anarchici»79. La propaganda passava soprattutto per la comunicazione diretta alla popolazione; ecco dunque che i Regi Carabinieri mostravano un’alta sensibilità ad ogni genere di manifestazione filobolscevica, fosse anche stata quella di modificare il nome delle vie con quelle di noti rivoluzionari come Rosa Luxemburg80. I manifestini, reperiti rocambolescamente dalle autorità, inneggiavano al bolscevismo ed erano distribuiti dai Circoli socialisti: Oggi nel mondo, chi lavora o non mangia o mangia poco; chi nulla fa, facendo lavorare gli altri, accumula ricchezze. La democrazia predica che il lavoro deve mangiare; il bolscevismo ha decretato qualche cosa di meglio: chi non lavora non mangia. Perciò tutti gli oziosi gridano a morte Lenin!81 L’attività di socialisti e sindacalisti82 per favorire la penetrazione delle idee bolsceviche nella popolazione era osservata con estrema attenzione dalle autorità. In particolare, nel luglio 1919, le Prefetture del Nord d’Italia seguirono con grande interesse un sondaggio, effettuato dall’Unione sindacale italiana di Bologna, con quesiti e risposte sulla 78 Ministero della guerra, Divisione di Stato maggiore, sezione 2°, circolare riservato, oggetto: propaganda sovversiva ed ordine pubblico, 15 maggio 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, cit. 79 Comunicazione del Colonello Pietro Casaretto, Comandante della Legione territoriale dei RR. CC. di Novara, Ufficio di terza divisione, oggetto: propaganda bolscevica, 10 aprile 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, cit. 80 Comando Compagnia CC. RR. di Imola, Telegramma espresso di Stato per il Ministero dell’interno, Oggetto: cambio della denominazione di alcune vie nelle città di Imola, Msac, f. 331, 1918-1919, fasc. 5, Comando della divisione di Bologna esterna, cat. riservato, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda sovversiva – mene rivoluzionarie, 1919. 81 Comando della Divisione dei CC. RR. di Padova alla Compagnia dei CC. RR. di Rovigo, n. 16/41, 6 settembre 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. 82 Sulla posizione dei sindacalisti nel corso del 1917: G.B. Furiozzi, I sindacalisti rivoluzionari italiani tra Kerenskij e Lenin, cit., pp. 669-696. 98 rivoluzione, inviato a tutte le Camere di lavoro d’Italia. La Prefettura di Novara si mostrò particolarmente sensibile e prese disposizioni affinché venissero raccolti ed analizzati con cura i risultati83. Ma nell’estate del 1919 la propaganda non era l’unica e principale preoccupazione delle autorità. Diverse erano le segnalazioni che indicavano l’arrivo di propagandisti e sovversivi filobolscevichi, pronti a fomentare l’insurrezione in Italia. Da informazioni confidenziali provenienti da Berna e da Milano, emergeva che socialisti ed anarchici italiani residenti in Svizzera erano in procinto di preparare «un complotto per introdursi nel Regno attraverso i valichi alpini», preparati ad intervenire «al primo accenno di moti rivoluzionari» che essi si promettevano di «dirigere»84. Secondo le notizie del Ministero dell’interno, tale piano era il frutto di un centro di propaganda bolscevica che si era stabilito a Berna, all’Hotel Bellevue, «con diramazioni in Italia»: i moti rivoluzionari sarebbero scoppiati contemporaneamente a Milano, Bari e Torino85. E proprio quest’ultima città, ove operava anche il gruppo ordinovista, si confermava come uno dei centri propulsori dell’attività sovversiva86: così, ad un mese dallo sciopero generale, il Comando della Divisione militare di Novara segnalava il passaggio di agitatori per il territorio di sua competenza, intenzionati ad estendere lo sciopero generale a tutto il Regno87. Il senso di accerchiamento dell’Italia cresceva di giorno in giorno: bolscevichi francesi e jugoslavi tentavano di introdurre «opuscoli rivo- 83 Prefettura di Novara, oggetto: circolare dell’Unione sindacale italiana, 25 giugno 1919; Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, Compagnia di Novara, oggetto: circolare dell’Unione sindacale italiana, 9 luglio 1919; entrambe in Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 84 Regia Prefettura di Novara, n. 1873 al Sottoprefetti di Provincia e al Comando RR. CC. di Novara, 3 giugno 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, cit. 85 Comunicazione riservata n. 18/100 del Colonello Pietro Casaretto, Comandante della Legione territoriale dei RR. CC. di Novara, Ufficio di terza divisione, oggetto: propaganda bolscevica in Italia, 2 maggio 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, cit. 86 Anche se riferita all’anno 1918, l’ultima parte della monografia di Paolo Spriano su Torino operaia è illuminante sul clima della città in quella fine di decennio: cfr. P. Spriano, Storia di Torino…, cit., pp. 464-480. 87 Comando della Divisione militare di Novara, oggetto: passaggio di agitatori, 14 giugno 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, cit. 99 luzionari e fogli di propaganda bolscevica»88, mentre nella Svizzera tedesca si accumulavano «mitragliatrici e munizioni di provenienza germanica»89. Contestualmente, nella Confederazione elvetica la tolleranza nei confronti dei propagandisti bolscevichi stava ormai diventando eredità del passato. Il fragile contesto del primo dopoguerra esponeva anche uno Stato neutrale come la Svizzera a possibili colpi di mano: così, qualche settimana prima dello sciopero del luglio 1919 il governo svizzero aveva deciso di espellere una serie di bolscevichi ritenuti particolarmente pericolosi. Dato che questi agitatori cercavano una nuova residenza, il Comando supremo dell’Esercito italiano innalzò lo stato di allerta, disponendo la «necessaria vigilanza» specie lungo la linea del confine, al fine di trattenerli e di impedirne l’ingresso nel Regno. Nell’elenco di poco meno di venti persone di vario genere (sospetti poliglotti, impiegati di Banca e danzatrici – sic!), si segnalava in particolare un certo Francesco Bottinello, proveniente da Losanna, «agente rivoluzionario intelligentissimo ed estremamente pericoloso», «condannato per [la] parte avuta [nello] sciopero generale» del novembre 191890. Era solo la prima delle segnalazioni di emissari che tentavano di entrare nel Regno. Nell’estate del 1919 e nei mesi immediatamente successivi, in un periodo – come abbiamo visto – di intense agitazioni sociali91, alcuni individui resero le autorità particolarmente inquiete. Vale la pena di ricostruire rapidamente le ragioni di tale nervosismo e cercare di comprenderne le cause. Il più noto di questi agitatori bolscevichi era tale Mario Mantovani, titolare di un voluminoso fascicolo della Pubblica sicurezza, con documentazione inerente alla sua attività sovversiva 88 Comunicazione del Colonello Pietro Casaretto, Comandante della Legione territoriale dei RR. CC. di Novara, Ufficio di terza divisione, oggetto: propaganda bolscevica, 13 aprile 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, cit. 89 Legione territoriale dei RR. CC. di Torino, Ufficio di terza divisione, oggetto: movimento bolscevico nell’Austria tedesca, 25 aprile 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, cit. 90 Maggiore generale Comandante Superiore Cesare del Comando supremo del Regio Esercito, telegramma n. 26/32 (1919), Padova, 20 giugno 1919, Msac, f. 336, cartella riservata, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, cit. Tra gli altri sospetti, si annoveravano i nomi di: Merningas Alessandro, Acunna Giulio, Jejel Stanislao, Kaleb Albert, Chewchet Sirot, Sibi Marhte, Bertoncini Luisa Enrichetta, Luccinova Maria, Klicek Stanco, Oscar, Zlata, Reidel Joseph, Besaupain Ivan, Szivssj Roberto Enrico. Ibidem. 91 Come testimonianza, si veda: G. Alessio, La crisi dello Stato parlamentare e l’avvento del fascismo, Cedam, Padova, 1946. 100 dalla fine degli anni Dieci sino ai primi anni Quaranta, ove era qualificato come «attentatore», «anarchico pericoloso», «fuoriuscito Belgio», «schedato», «iscritto bollettino ricerche», «iscritto Rubrica Frontiera». Il Mantovani in pubblico riscuoteva «poca fama»: era di «carattere violento e di poca educazione», e si manteneva in corrispondenza con alcuni noti sovversivi ed in contatto diretto con numerosi anarchici92. L’Arma dei Carabinieri iniziò a seguire le sue tracce nella primavera del 1919, quando in una segnalazione della Legione territoriale di Verona si dispose l’arresto per il Mantovani, classe 1897, di statura bassa, snello, con «baffi nascenti», «mento aguzzo» e «andatura spigliata», già indicato come disertore e di professione tipografo, residente a Ginevra, segnalandolo come il «tramite fra l’elemento bolscevico di Germania e di Russia e quello svizzero». Le autorità ritenevano la sua presenza a Monaco di Baviera in quel periodo affatto casuale93. La direzione presa dall’agitatore non era chiara: da voci raccolte pareva in partenza per Mosca, ma indiscrezioni ritenute più attendibili sembravano confermare un suo imminente arrivo in Italia, munito di forti somme. Secondo le autorità, dopo esser stato espulso dalla Spagna, il Mantovani era diretto nel Regno per ragioni di natura sovversiva94. La sorveglianza dunque doveva essere «massima»95: il Mantovani andava fermato al più presto e le autorità prefettizie rivolsero una «spe92 Archivio centrale dello Stato (di seguito Acs), Ministero dell’interno (Mi), Direzione generale di Pubblica sicurezza (Dg, Ps), Casellario Politico Centrale (Cpc), f. 3002, fasc. 3753, Mantovani Mario di Gaetano. Sull’attività sovversiva degli anarchici, si veda: G. Sacchetti, Carte di gabinetto. Gli anarchici italiani nelle fonti di polizia (1921-1991), La Fiaccola, Catania, 2015, per il periodo in esame in particolare le pp. 15-20. 93 Legione territoriale CC. RR. Verona, Ufficio di terza divisione ai Comandi della legione, oggetto: propaganda bolscevica, 19 aprile 1919, Msac, f. 280, fasc. 4, Comando della divisione di Treviso, cat. riservata, oggetto: partiti politici sovversivi e rivoluzione bolscevica (dicitura di difficile decifrazione). 94 Regia Prefettura di Milano, Notizie per il prospetto biografico di Mantovani Mario, 2 marzo 1921, Acs, ivi. Rispetto alla situazione in Spagna, dalla quale Mantovani era stato espulso, in un documento per Lord Curzon, Hardinge definiva la situazione nella penisola politicamente tranquilla, anche grazie all’azione riformista dei sindacati. Cfr. Sir A. Hardinge (Madrid) to Earl Curzon, no. 382 (151258/1134/41), 5 novembre 1919, doc. No. 222, Dbfp, vol. V, pp. 774-775. Sui collegamenti tra Barcellona e Parigi nella creazione di una rete internazionale bolscevica che aveva come obiettivo la rivoluzione, si veda anche: Sir A. Hardinge (Madrid) to Earl Curzon, 3 novembre 1919, doc. 220, Dbfp, 1919, vol. V, p. 765. 95 Telegramma espresso di Stato del Prefetto di Rovigo, 1 maggio 1919, Msac, F. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, 101 ciale raccomandazione» a tal riguardo96. L’attività del pericoloso bolscevico si articolava soprattutto in seno alle Forze armate: nel settembre 1919, da «notizie confidenziali» si evinceva infatti che il disertore si trovava in Italia «per fare propaganda nei campi di prigionieri di guerra ungheresi»97. La sua attività era spesso associata a quella di un altro propagandista, meno noto ma considerato ugualmente pericoloso: Mario Arrigoni, meglio conosciuto come “Arri”, collaboratore del Mantovani ma con una carriera da rivoluzionario più modesta. Qualificato come «anarchico schedato» e iscritto alla Rubrica di Frontiera, era descritto come di «carattere eccitante e di intelligenza viva», assiduo frequentatore di «compagnie di sovversivi». Era stato sorpreso in pubblico a distribuire manifestini di propaganda anarchica ed era sospettato di essere correo di un omicidio avvenuto nel maggio del 1915, in un conflitto tra neutralisti e interventisti. La sua “carriera” aveva conosciuto un’escalation nei primi mesi del 1919, quando risultò «compromesso in un complotto terroristico con esplosivo» scoperto in Svizzera e riparò, quindi, in Germania e poi in Spagna, trascorrendo lunghi periodi a Mosca e in Ungheria, durante il regime di Béla Kun. Dalla penisola iberica fu poi espulso nel 1921 per «ragioni di ordine pubblico» in quanto «sindacalista anarchico [e] agente bolscevico», e tradotto in Italia, dove fu tenuto agni arresti per «diserzione all’estero e per alienazione di effetti militari»98. oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. 96 Regia Prefettura di Treviso per il Comando della Divisione CC. RR. di Treviso, 21 maggio 1919, Msac, f. 280, fasc. 4, Comando della divisione di Treviso, cat. riservata, oggetto: partiti politici sovversivi e rivoluzione bolscevica (dicitura di difficile decifrazione). 97 Si noti che il Mantovani ha ben tre faldoni a suo nome presso l’Archivio centrale dello Stato. Cfr. Comando della Divisione dei CC. RR. di Padova alla Compagnia dei CC. RR. di Rovigo, oggetto: disertore Mantovani Mario, 28 settembre 1919, Msac, F. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, cit. Il Mantovani fu poi rintracciato a Milano nel gennaio 1920, ove venne convocato dalle competenti autorità militari in quanto renitente alla leva. Data la sua attività propagandistica, ne fu proposto l’allontanamento; infine, fu condannato per un anno e mezzo per diserzione. Cfr. Circolare riservata della Prefettura di Milano, Mantovani Mario di Gaetano e di Tacchini Maria, anarchico, 4 settembre 1917, ivi. 98 L’arresto in Italia non avvenne per turbamento dell’ordine pubblico: Arrigoni non fu l’unico ad essere sospettato fortemente di essere un emissario bolscevico ed a essere arrestato con la scusante della diserzione. Circolare riservata della Prefettura di Milano, Arrigoni Enrico detto Ciriaco ed anche Matteo Enrico di Luigi e di Bianchi Giuseppina, anarchico, 29 settembre 1917, Acs, Dg, Ps, Cpc, f. 201, fasc. 4603. 102 Tra i bolscevichi incaricati da Béla Kun di fomentare la rivoluzione in Italia si annoverava anche il nominativo di tale Zoraldo Frattini: nel giugno 1919, il Comando dei Carabinieri di Rovigo ricevette una segnalazione secondo la quale il Frattini, proveniente da Budapest, era transitato clandestinamente attraverso la linea d’armistizio per rientrare nel Regno «a scopo di propaganda bolscevica». Le autorità di Pubblica sicurezza osservarono con attenzione questo caso: le indiscrezioni trapelate lasciavano comprendere molto del modus operandi degli agitatori attivi sul suolo italiano. Il Frattini, arrestato a Carrara il mese precedente, era stato tradotto a Roma ove aveva confidato ad un «compagno di prigionia» di esser giunto alla scalo ferroviario di Verona: «vestito da soldato» e in compagnia di due bolscevichi russi, era andato in città dove si era procurato abiti borghesi. Da lì, il Frattini si era mosso per Mantova, Vicenza e Rovigo al fine di diffondere la propria propaganda99. La storia del Frattini era tutto tranne che isolata. Nel luglio 1919, si moltiplicarono le notizie di agenti provenienti dall’Ungheria che, per conto del governo di Béla Kun, tentavano di influire in modo determinante sugli scioperi del 20-21, al fine di far scoppiare una rivoluzione. Le prime segnalazioni, provenienti da «fonte fiduciaria», giunsero al Comando supremo sul finire di giugno: esse riguardavano alcuni personaggi residenti a Budapest (Morini, diretto in Tirolo, e Alice e Dizian, già entrati nel Regno), i quali avevano ricevuto i passaporti da Béla Kun per recarsi in Italia «a scopo di propaganda bolscevica». Le informazioni riportavano che gli emissari erano «provvisti di cinquemila corone ciascuno e di denaro romeno» e portavano con sé «timbri falsi» da utilizzare per le vidimazioni che avrebbero potuto rendersi necessarie lungo il viaggio. In aggiunta, la fonte confidenziale riferiva che il governo comunista un- 99 Comunicazione riservata e urgente della Prefettura di Rovigo, n. 1193, 20 giugno 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. Si noti che i Carabinieri di Rovigo avevano negato il suo passaggio in città e assicurato che egli non aveva comunque lasciato «fondi per la propaganda» né aveva preso contatti con alcuno. Cfr. comunicazione per il Prefetto di Rovigo, n. 14/22, oggetto: sovversivo Frattini Zoraldo, 26 giugno 1919, ibidem. Presso l’Archivio di Stato di Mantova non è stato possibile trovare un fascicolo a suo nome: difficilmente le autorità di Pubblica sicurezza avevano fascicoli di individui che passavano per il territorio di loro competenza, ma non vi operavano a lungo. 103 gherese ricompensava le famiglie dei propagandisti con «sussidi mensili da 1200 a 1400 corone»100. Il trattamento di favore riservato agli agitatori e ai loro familiari aveva favorito l’acquisizione di nuovi elementi sulla propaganda. Ad una settimana dallo sciopero generale, la Direzione generale di Pubblica sicurezza del Ministero dell’interno informava che i membri della commissione della Croce rossa ungherese «Luigi Leopold» e «Biro-Becke» avevano ricevuto disposizioni «di recarsi in Italia per la propaganda» e se ne disponeva il respingimento e in caso di ingresso, l’arresto101. Si ordinava poi di rintracciare con urgenza un altro emissario triestino filoungherese, Francesco Bisiach, che si era unito ai due102. A distanza di un paio di giorni, le informazioni dirette ai Prefetti si fecero più dettagliate: secondo i calcoli fatti dai banchieri ungheresi, riportati in una comunicazione del Ministero degli esteri italiano, risultava che il governo magiaro aveva già speso per la propaganda «oltre due miliardi di corone rubate ai legittimi proprietari» e che le fila degli agitatori si stavano arricchendo: i propagandisti russi Ak-Decker e Dorelcinet, raccomandati da Čicerin, erano in viaggio da Budapest per l’Italia, sotto la falsa identità di giornalisti italo-americani di Chicago, mentre altri avevano già provveduto a richiedere il passaporto103. La stupefacente facilità ad 100 Comunicazione riservata della Regia Prefettura di Rovigo, n. 1226 di prot. R., oggetto: propaganda bolscevica in Italia, 26 giugno 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, cit. 101 Ministero dell’interno, Dg, Ps, Ufficio riservato ai Prefetti e al Comando generale dell’Arma del CC. RR., Ufficio speciale di investigazioni, riservata, oggetto: propaganda bolscevica in Italia, membri della Commissione della Croce rossa ungherese, 14 luglio 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. 102 Si noti che il primo compare, in un altro documento, con i nomi di Luigi Leopold Junior; il secondo, invece, viene presentato come se si trattasse di due individui distinti, «Biro» e «Beke». Cfr. Comunicazione riservata del Comando della Divisione dei CC. RR. di Padova alla Compagnia dei CC. RR. di Rovigo, n. 16/25 di prot. R., oggetto: propagandisti comunisti ungheresi, 22 luglio 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. 103 Tra essi: Gobrief Melech, Victor Ziminej, Nathan, Longroff, Olga Mowbray. Ministero dell’interno, Dg, Ps, Ufficio riservato ai Prefetti, Comando supremo (Segretariato generale affari civili Padova) e al Comando generale dell’Arma del CC. RR., oggetto: propaganda bolscevica all’estero fatta dal governo ungherese, 15 luglio 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi di Cara- 104 ottenere documenti falsi per il viaggio era confermata dal governo bavarese insediatosi dopo il breve periodo della Repubblica dei Consigli: Monaco aveva fatto sapere che durante il regime dei Soviet erano stati rilasciati a propagandisti bolscevichi «passaporti spagnuoli e olandesi falsificati» grazie ai quali diversi sovversivi erano riusciti a penetrare in territorio elvetico104 e, da lì, con tutta probabilità, nei Paesi dell’Intesa. E se i passaporti non potevano essere falsificati, gli emissari bolscevichi li sottraevano ai loro legittimi proprietari, assumendone l’identità per poi recarsi in Italia e Francia. Sulla base di questa indicazione, le autorità d’Oltralpe inviarono una lista a Roma, contenente «i nomi di individui che [facevano] parte di una Commissione di propaganda bolscevica di Pietrogrado e che viaggia[va]no attualmente in Europa»105. Se, nel 1918, gli agitatori parevano battitori liberi, nell’anno seguente la trama sovversiva internazionale si precisò meglio. Nel luglio 1919, il Ministero dell’interno comunicò di aver avuto la conferma che il governo ungherese aveva mandato «emissari muniti [di] larghi mezzi per i propri movimenti»106. Con riferimento ad una nota nella quale si comunicava la falsificazione di «gran sto[c]k di carta moneta inglese, francese, italiana ed americana» da parte dei bolscevichi russi, una nuova comunicazione diretta alla Divisione di Padova della Legione territoriale dei Reali Carabinieri di Verona, aggiungeva informazioni fondamentali per contrastare le infiltrazioni: bienieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, cit. 104 Comunicazione del Comandante della Divisione Maggiore Federico Luparia, Comando della Divisione CC. RR. Padova, n. 16/22, oggetto: passaporti tedeschi, spagnoli e olandesi falsificati, 10 luglio 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, cit. 105 Ministero dell’interno, Dg, Ps, Uff. ris., riservatissima ai Prefetti del Regno e al Comando generale dell’Arma dei CC. RR. di Roma, oggetto: agenti russi di propaganda bolscevica muniti di falsi documenti, 30 luglio 1919, Msac, fasc. Comando della Divisione di Bologna esterna, Propaganda sovversivi, mene rivoluzionarie, categoria riservata, specialità 2, pratica 2, anno 1919. Sulla analoga situazione in Francia, cfr. G. Bernardini, “Pour la cause du désordre…”, cit. 106 Comunicazione riservata della Regia Prefettura di Rovigo, n. 1364 di prot. R., 21 luglio 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. Cfr. anche la comunicazione riservata del Comando della Divisione dei CC. RR. di Padova alla Compagnia dei CC. RR. di Rovigo, n. 16/30 di prot. R., oggetto: propaganda bolscevica, 24 luglio 1919, ibidem. 105 È già corsa con insistenza voce che governo bolscevico ungherese di B[é]la Kun, seguendo esempio Lenin, si sia dato fabbricare biglietti banca falsi dei Paesi stranieri. Da comunicazioni recenti dalla Banca nazionale svizzera risulta che si trovano circolazione biglietti falsi olandesi da 40 e da 50 fiorini. Risulta inoltre che sono attualmente circolazione biglietti banca inglesi falsificati da Ic [Internazionale comunista] s.e di cui qualche esemplare è stato già trovato in Francia107. L’ampia disponibilità di denaro rendeva i propagandisti particolarmente pericolosi: si raccomandava dunque «diligentissima vigilanza per arresto emissari predetti»108. Le autorità rilevavano infiltrazioni anche in seno alla penisola, e non necessariamente tra le fila socialiste. Secondo le informazioni trasmesse dal Ministero dell’interno, Béla Kun si serviva anche degli italiani votati alla sua causa: si trattava di Carlo Debarda, Ubaldo Somaghini, Licinio Moretti, la cui militanza filobolscevica risultava ancora più pericolosa per il loro passato da Regi Carabinieri109. La propaganda proveniente dall’Ungheria era senz’altro ritenuta la più pericolosa e insidiosa da parte delle autorità. In luglio, contestualmente ai tentativi di rivoluzione nell’Europa centrale, il Comando supremo segnalò che alcuni individui provenienti da Trieste si erano recati all’Ambasciata ungherese di Vienna per ottenere il visto al fine di proseguire per Budapest: Antonio Fugara, Mario Lilla e Cleuco Stofle intendevano recarsi nella capitale magiara «per accordarsi col Partito comunista ed avere l’appoggio pecuniario del governo ungherese per la propaganda a Trieste ed in Italia»110. 107 Comunicazione riservata della Legione territoriale dei CC. RR. di Verona, Divisione di Padova al Comando della Compagnia CC. RR. di Rovigo, n. 16/23, oggetto: carta moneta fabbricata dal governo bolscevico russo, 14 luglio 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, cit. 108 Comunicazione riservata della Regia Prefettura di Rovigo, n. 1364 di prot. R., 21 luglio 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. Cfr. anche la comunicazione riservata del Comando della Divisione dei CC. RR. di Padova alla Compagnia dei CC. RR. di Rovigo, n. 16/30 di prot. R., oggetto: propaganda bolscevica, 24 luglio 1919, ibidem. 109 Nota della Prefettura di Bologna, oggetto: propaganda bolscevica all’estero fatta dal governo comunista ungherese, 22 luglio 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, cit. 110 Comando della Divisione dei CC. RR. di Padova alla Compagnia dei CC. RR. di Rovigo, oggetto: propaganda comunista, 27 luglio 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando 106 Data la pericolosità degli elementi, le autorità ne disposero l’arresto immediato nel caso in cui fossero stati trovati nel Regno111. Le forze di Pubblica sicurezza non fermarono i tre, ma raccolsero maggiori informazioni su quello che pareva il più pericoloso, quello Glenco Stofle il cui vero nome risultava invece essere Glauco Stolfa. Quest’ultimo, spacciandosi per membro della Missione italiana a Vienna, distribuiva «manifestini sovversivi tra le truppe» del Regno di stanza all’estero, ed era stato da poco tempo a Bologna e a Milano dove aveva avuto dei colloqui con i «compagni comunisti», durante i quali si era vantato delle sue precedenti imprese112. L’attenzione delle autorità fu poi attratta dall’attività di Paolo Ruegg, cittadino svizzero e conosciuto propagandista, noto in Italia anche con il nome falso di Luigi Polano e in Germania con l’identità di Arnold Masuc, in contatto diretto con «i più ferventi comunisti di Vienna, Budapest e Berlino». Il Ruegg era stato arrestato mentre si proponeva di recarsi in Italia per prendere parte a «un comizio di giovani comunisti» a Roma, in veste di rappresentante della gioventù comunista svizzera. In seguito al fermo, l’agitatore aveva chiesto di essere lasciato proseguire per l’Italia «ove affermava essere imminente un decisivo movimento comunista[,] preludio della rivoluzione nazionale nel prossimo inverno»113. Infine, un’altra fonte di preoccupazione per la Pubblica sicurezza era quella degli italiani rimpatriati dalla Russia e «affetti da bolscevismo»: della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. 111 Comando della Divisione dei CC. RR. di Padova alla Compagnia dei CC. RR. di Rovigo, oggetto: propaganda bolscevica all’estero fatta dal governo comunista ungherese, 29 luglio 1919, ibidem. 112 Lo Stolfa aveva riferito che l’ultima volta che era stato nel Regno era riuscito ad introdurre 25.000 lire, ma fu poi arrestato. Privato del salvacondotto che gli aveva rilasciato il Comando della terza armata, il nostro l’aveva prontamente sostituito con uno dell’Ottava. Ministero dell’interno, Direzione generale della Ps, Ufficio riservato per i Prefetti e al Comando Generale dell’Arma dei Reali Carabinieri, oggetto: propaganda comunista – Fugara Antonio, Lilla Mario e Stofle Glenco, 24 agosto 1919, Msac, f. 331, fasc. Comando della Divisione di Bologna esterna, Propaganda sovversivi, mene rivoluzionarie, categoria riservata, specilità 2, pratica 2, anno 1919. 113 Nota riservata della legione Territoriale dei CC. RR. di Bologna, Ufficio di terza divisione, ai Comandi delle divisioni dipendenti dei CC. RR., oggetto: Ruegg Paolo, cittadino svizzero, agitatore bolscevico, 18 novembre 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. 107 di questo aspetto si è occupato approfonditamente Petracchi nel suo bel volume Da San Pietroburgo a Mosca, ma faremmo una mancanza se, nell’analisi della paura della diffusione del bolscevismo tra le autorità, non menzionassimo almeno brevemente la presenza di Romeo Scalpellini e Vittorio Ferrari, «agenti bolscevichi largamente forniti [di] denaro per [la] propaganda in Italia», e parte di quei rimpatriati «affetti da bolscevismo ex irredenti provenienti dal 97° Reggimento Fanteria austroungarica» rimpatriati in Italia nel dicembre 1918. Tra quel gruppo, sosteneva il Ministero degli interni, «oltre ad elementi sani», vi erano «assai numerosi disertori e bolscevichi fra i quali anche Probo Fiorenzani», già citato membro della Guardia rossa nella Repubblica dei Soviet114. 2.3 L’estate del 1919 (II). Guardie rosse e «mene rivoluzionarie» nella società e nell’Esercito. L’Italia sull’orlo del baratro? L’intreccio fra le «mene rivoluzionarie» e l’uso di militari e di armi per fini insurrezionali iniziò a farsi spazio nelle preoccupazioni delle autorità, divenendo poi una delle fonti principali di angoscia nel corso del 1920. Il possibile uso illecito di armi e la necessità di consegnarle, insieme «a munizioni ed esplodenti di qualsiasi specie», era reso necessario dalla situazione postbellica del Regno. L’obbligo di consegnare le munizioni detenute illegalmente dalla fine del conflitto era stato sancito in un decreto nel corso del 1919 ma la scarsa collaborazione da parte della popolazione indusse il Ministro di grazia e giustizia a «raccomandare vivamente» ai Regi Carabinieri la «pronta esecuzione dei provvedimenti contenuti nel decreto e la massima energia ed oculatezza perché questi [raggiungessero] praticamente il fine della prevenzione della sicurezza sociale», specialmente per quanto concerneva «la facoltà di immediata perquisizione dei locali ove, per qualche notizia od indizio» potevano rinvenirsi gli oggetti indicati, la cui presenza andava riferita immediatamente e direttamente all’Ufficio del Procuratore del Re115. I 114 Comunicazione riservata della Legione territoriale dei CC. RR. di Verona, Divisione di Padova ai Comandi dipendenti e al Comando della Compagnia CC. RR. di Rovigo, oggetto: telegramma a mano, propaganda rivoluzionaria, 23 marzo 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, cit. 115 Procuratore del Re, Rovigo, ai Prefetti e ai Commissari e delegati di Ps, oggetto: Circa l’obbligo della denunzia e consegna delle armi, munizioni ed esplodenti, 10 agosto 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specia- 108 timori di un’insurrezione armata erano tanto più vivi quanto più diversi fattori rivelavano una maggiore organizzazione dei sovversivi, nella direzione di un coordinamento tra gli emissari stranieri e gli agenti rivoluzionari italiani. A questo proposito, in concomitanza agli scioperi programmati per l’estate del 1919, le autorità si ritrovarono a fronteggiare alcuni fenomeni che destarono particolare preoccupazione, e che qui affronteremo in sintesi: la nascita di Guardie e gruppi di ciclisti rossi; il coordinamento tra comunisti ed anarchici; e le infiltrazioni nell’Esercito attuate mediante il traffico di uniformi. Le Guardie ed i «ciclisti rossi» erano organizzazioni coordinate dai Partiti socialisti locali, che – sulla scorta dell’esempio russo – avevano «l’incarico di portare avvisi ed ordini da un paese all’altro e di vigilare i principali stabilimenti nell’eventualità d’improvvisa sospensione [del] lavoro», in caso di sciopero generale o di «movimento rivoluzionario, operaio o politico». La loro costituzione avveniva su base volontaria: per partecipare era sufficiente mostrare un deciso convincimento rivoluzionario e possedere una bicicletta116. Dalle informazioni confidenziali raccolte dai Carabinieri risultava che le Guardie rosse avessero «diramazioni anche all’estero», i cui affidatari erano stati incaricati di «fomentare il movimento comunista in Italia e sostituire l’attuale servizio di Polizia in caso di rivoluzione e nell’eventualità del trionfo del comunismo». Nella primavera del 1919, i compiti delle Guardie rosse erano di mera vigilanza e sorveglianza dei cortei ma, al momento opportuno, sarebbero state “risvegliate” per adempiere ai propri compiti rivoluzionari117. Compiti da “staffetta” erano adempiuti dai «giovani ciclisti rossi» che, secondo le rilevalità 10, pratica 50, oggetto: Circa l’obbligo della denuncia e consegna delle armi, munizioni ed esplodenti, anno 1919. Cfr. anche: Prefettura di Rovigo, oggetto: denuncia armi, esplosivi etc., 6 settembre 1919, Msac, ivi. 116 Il Capitano Attilio De Lorenzo, Comandante della Compagnia di Novara della Legione CC. RR. di Torino, oggetto: movimento anarchico – Guardie rosse, 6 luglio 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. Cfr. Riservata della Legione territoriale dei CC. RR. di Torino al Comando della Divisione dei CC. RR. di Novara, oggetto: istituzione di “giovani ciclisti rossi”, 9 luglio 1919, ivi. 117 Riservata del Colonnello Pietro Casaretto, Comandante della Legione, oggetto: istituzione delle Guardie rosse, 12 giugno 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. Sull’attività delle Guardie rosse: A. Dadà, L’anarchismo in Italia, fra movimento e partito, Teti, Milano, 1984, p. 372; G. Subbrero, Le Guardie Rosse: economia, politica e lotte sociali nell'ovadese nel primo dopoguerra (1919-1922), Pesce, Ovada, 1999. 109 zioni dei Regi Carabinieri, erano presenti soprattutto nel novarese, ove le adesioni superavano il migliaio118. I Carabinieri avevano l’ordine di tracciare il movimento e tentare di quantificarlo: il loro impegno era favorito dal fatto che l’appartenenza ai «ciclisti rossi» veniva palesata dai giovani indossando un braccialetto dello stesso colore, sul quale era impressa l’omonima scritta. Uno studio della Compagnia di Vercelli, facente capo alla Legione territoriale dei Reali Carabinieri di Torino, metteva in rilievo la presenza di tali gruppi in tutta la provincia della città, con una diffusione pressoché capillare119. A tali formazioni, con carattere di sorveglianza ma non apertamente paramilitare, nel novarese si affiancavano nascenti «gruppi armati», i quali avevano il compito di «dirigere e sorvegliare [l’]andamento [delle] manifestazioni proletarie ovvero di vigilare e difendere [le] sedi [delle] Camere del lavoro», dei «partiti estremi» e dei «loro giornali»120. I Regi Carabinieri venivano sollecitati continuamente alla sorveglianza di questi gruppi: le autorità parevano spaventate dalla possibilità che lo sciopero del 20-21 luglio divenisse l’incipit di un moto rivoluzionario che minacciava di estendersi a tutti i principali centri urbani e anche alle campagne121. Questo spiega perché, 118 Il Capitano Attilio De Lorenzo, Comandante della Compagnia di Novara della Legione CC. RR. di Torino, oggetto: movimento anarchico – Guardie rosse, 6 luglio 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. Cfr. Riservata della Legione territoriale dei CC. RR. di Torino al Comando della Divisione dei CC. RR. di Novara, oggetto: istituzione di “giovani ciclisti rossi”, 9 luglio 1919, ivi. 119 I «ciclisti» risultavano così ripartiti: trenta presso la Casa del popolo di Vercelli; dieci alla Lega socialista di Tricerro; 10 alla Lega socialista di Costanzana; trenta presso la Camera del lavoro di Santhià; dieci alla Sezione giovanile socialista di Carisio; quaranta presso la Casa del popolo di Trino e altrettanti intorno al Circolo giovanile socialista di Gattinara. Capitano Comandante Ivaldi Ugo della Compagnia di Vercelli, Legione territoriale dei CC. RR. di Torino, n. 7/47 riservato, oggetto: movimento rivoluzionario – Guardie rosse, 25 luglio 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 120 Regia Prefettura di Novara, ai Sottoprefetti di Provincia e al Comando RR. CC. di Novara, 29 aprile 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 121 E. Gentile, Storia del partito fascista: 1919-1922. Movimento e milizia, Laterza, Roma-Bari, 1989, p. 45. Si veda la posizione di Gramsci su questo punto: P. Spriano (a cura di), A. Gramsci, Scritti politici: la guerra, la rivoluzione russa e i nuovi problemi del socialismo italiano (1916-1919), Editori Riuniti, Roma, 1978, pp. 224-225. Si veda, a titolo di esempio, il documento del Prefetto Verdinois, Prefettura della provincia di Padova, 18 luglio 1918, AsP, Gabinetto di Prefettura, b. 284, cat. XVII «Informazioni», 110 tra i canali riservati, venne dato un gran risalto ad un articolo dello «Deutsche Zeitung», nel quale si riportavano alcuni dati sull’organizzazione degli elementi sovversivi e sui metodi adottati per il «combattimento su strada», diffuso a livello internazionale. La comunicazione si commenta da sola e vale forse la pena di riportarne uno stralcio: […] i politicanti “delle granate a mano” hanno elaborato un regolamento per il combattimento nelle strade e questo regolamento è stato recentemente migliorato e completato da un comunista di nome Kalter. Nel regolamento stesso che porta il moto “l’offesa è il miglior mezzo di difesa”, si dice: OCCUPAZIONE. Penetrare rapidamente e con forze sufficienti per evitare una reazione. Dovendo eseguire una operazione in grande stile, studiare con cura i dettagli; approfittare delle ore del mattino per poter sorprendere l’avversario nel sonno – la miglior formazione è in colonna mista. Se la punta della colonna incontra resistenza in un paese durante l’ingresso […] curare di avere sempre libero il campo di tiro. Norma principale per il combattimento stradale, anche per i posti isolati è: il più illimitato uso delle armi. Sbarrare i vicoli laterali. Una volta riusciti a penetrare nell’edificio, occuparne immediatamente i punti più importanti. […] ATTACCO. Dovendo prendere d’assalto edifici e blocchi di case, conviene anzitutto circondarli, assicurandosi la libertà alle spalle. Eseguire grandi ed accurati sbarramenti a scopo di garantire il successo. Tenere in iscasso i difensori con artiglieria, mitragliatrici e tiratori scelti. All’occorrenza eseguire azioni di fuoco tenendosi pronti per l’assalto; non economizzare munizioni. Il reparto d’assalto non dovrà esporsi al fuoco ma avanzare lungo le case. Portare seco granate a mano, rivoltelle e munizioni in larga misura. Uso della armi illimitato! Non fare prigionieri! Levare agli avversari feriti o morti tutti gli oggetti, come armi, munizioni ed oggetti di vestiario (specialmente scarpe, cappotti, giubbe, pantaloni ed oggetti di valore). Nel paese occupato procedere a sequestri senza riguardo alcuno. DIFESA. La difesa di un edificio non dovrà mai avvenire nell’edificio stesso! Lasciare nella casa da difendersi soltanto gli uomini strettamente necessari e procurarsi campo libero davanti alla casa stessa per non permettere al nemico nel quale si diceva: «[…] invito tutti i cittadini alla scrupolosa osservanza delle disposizioni in vigore e di quelle che dalle competenti autorità verranno […]nate pel mantenimento dell’ordine pubblico, diffidando gli sconsigliati [che] credessero di poter commettere disordini ad astenersi da ogni attività criminosa, perché nessun attentato alla libertà del lavoro nessun tentativo di violenza sarà consentito, ma qualsiasi eccesso sarà energicamente ed inesorabilmente represso con tutti i mezzi che sono a disposizione dell’autorità. Nel grave periodo che attraversa l’Italia, ogni tolleranza, ogni debolezza, sarebbe colpevole». 111 di mettere in azione dell’artiglieria. Sbarrare le strade vicine con barricate, occupare fortemente le case d’angolo e fornirle con mitragliatrici. Tenere pronta una forte riserva al di fuori della casa per potere respingere eventuali attacchi. Non permettere al nemico di sparare sulle uscite. Curare un buon collegamento. Sbarrare bene le uscite prive d’importanza122. Grazie a questo articolo, le autorità ritenevano di aver accumulato una serie importante di notizie su come i sovversivi intendevano muoversi in caso di rivoluzione. Il timore di un’evoluzione insurrezionale degli scioperi di luglio divenne sempre più evidente. Così il Ministro Caviglia inviò un telegramma riservatissimo al Comando del Corpo d’armata per riferire le notizie in merito raccolte dal Ministero dell’interno, secondo le quali, in caso di moti rivoluzionari, i sovversivi avrebbero proceduto immediatamente alla «distruzione» dei mezzi aerei «per impedirne [l’]uso in sostituzione [del] telegrafo et telefono»123. Vista la prevista adesione della classe dei telegrafisti allo sciopero, questo avrebbe impedito alle autorità una qualsiasi forma di coordinamento, favorendo il caos generale e ostacolando la risposta ai sovversivi. Per questa ragione, il Ministero della guerra richiamava l’attenzione dei Comandi dei Corpi d’armata alla «necessità di provvedere adeguatamente [alla] difesa [del] campo [di] aviazione et simili»124. A tali preoccupazioni, si aggiungevano quelle per l’azione del Partito socialista: una «fonte fiduciaria» riferiva che nelle sezioni del Psi di tutta l’Italia circolavano «ordini segreti di tenersi pronti alla prima occasione». Secondo le confidenze raccolte, Lazzari e Bombacci stavano tentando di costituire, in seno alle sezioni del Partito, «speciali comitati segreti, incaricati di organizzare tecnicamente la rivoluzione e di preparare l’avvento del proletariato al potere strappato con la violenza». Nella comunicazione «riservatissima» del Prefetto di Bologna, quest’ultimo specificava di 122 Legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Ufficio di terza divisione ai comandi delle divisioni dipendenti CC.RR., oggetto: regolamento di combattimento dei rossi, riservato, 12 dicembre 1919, Msac, f. 331, fasc. Comando della Divisione di Bologna esterna, Propaganda sovversivi, mene rivoluzionarie, categoria riservata, specialità 2, pratica 2, anno 1919. 123 L’interruzione delle comunicazioni era stata caratteristica anche delle proteste legate alla “settimana rossa”. Cfr. G. Albanese, La settimana rossa tra aspirazioni rivoluzionarie e reazioni d’ordine…, cit., p. 609. 124 Telegrammi riservatissimi al Comando della Divisione militare di Bologna, 21 aprile 1919, Msac, f. 331, fasc. Comando della Divisione di Bologna esterna, Propaganda sovversivi, mene rivoluzionarie, categoria riservata, specialità 2, pratica 2, anno 1919. 112 ignorare «quale fondamento» avesse tale informazione ma, ugualmente, raccomandava di «far eseguire le opportune indagini» e rinnovava «la raccomandazione della maggiore e più oculata vigilanza» sull’azione che andava svolgendo il Partito socialista ufficiale125. La minaccia di un rivolgimento rivoluzionario fomentato da agenti stranieri in appoggio al Psi e ai nascenti gruppi di eversione armata pareva ancor più grave alla luce del crescente coordinamento tra i gruppi comunisti e quelli anarchici. L’Ufficio di terza divisione della Legione territoriale dei Carabinieri di Torino rese noto al Comando della Divisione di Novara che, in occasione del convegno nazionale anarchico tenutosi a Firenze nell’aprile 1919, si era verificata una «decisa affermazione del programma comunista», «in accordo con gli elementi estremisti affini delle altre organizzazioni proletarie»126. I manifesti propagandistici degli anarchici lasciavano ben pochi dubbi sulla loro volontà sovversiva: lo Stato era «l’alleato e complice» della «plutocrazia capitalistica moderna» e stava al popolo di sostituire ad essa una «organizzazione libertaria e comunista dei rapporti fra gli uomini, divenuti così tutti lavoratori e produttori, avvinti nel mutuo e libero patto della solidarietà»127. D’altronde, lo Stato dava una grande importanza all’istituzione di una sezione italiana dell’Unione anarchica internazionale, avente tra i suoi scopi quello di «adoperarsi alla formazione di un Comitato nazionale di azione rivoluzionaria perché [era] ora che il proletariato rivolu125 Comunicazione riservatissima dal Ministero dell’interno alla Prefettura, oggetto: socialisti con ordine di tenersi pronti ad ogni occasione, 22 aprile 1919, Msac, f. 331, fasc. Comando della Divisione di Bologna esterna, Propaganda sovversivi, mene rivoluzionarie, categoria riservata, specialità 2, pratica 2, anno 1919. 126 Legione territoriale dei Reali Carabinieri di Torino, Ufficio di terza divisione al Comando della divisione dei Reali Carabinieri di Novara, oggetto: movimento anarchico, 12 giugno 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. Sull’anarchismo: J. Préposiet, Storia dell’anarchismo, edizioni Dedalo, Bari, 2005; F. Giulietti, Gli anarchici in Italia dalla Grande Guerra al fascismo, FrancoAngeli, Milano, 2015; G. Cerrito, L’antimilitarismo anarchico in Italia nel primo ventennio del secolo, RL, Pistoia, 1968; G. Berti, L’istruzione integrale come propedeutica all'integrazione del lavoro nel pensiero di alcuni classici dell'anarchismo, La Nuova Firenze, Firenze, 1979; id., Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale, 1872-1932, FrancoAngeli, Milano, 2003. 127 Regia Prefettura di Novara, n. 2923 ai Sottoprefetti di Provincia e al Comando dei RR. CC. di Novara, oggetto: manifesto dell’Unione comunista anarchica italiana, 8 giugno 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 113 zionario si trov[asse] concorde e unanime su un terreno di azione schiettamente rivoluzionaria»128. Nella lettura delle autorità, anche gli anarchici vantavano collegamenti con bolscevichi stranieri: una nota della Prefettura di Rovigo riportava notizie raccolte in Svizzera, secondo le quali il gruppo anarchico «Malatesta» di Ancona era in relazione con «gruppi soviettisti ungheresi e croati», che potevano contare su un servizio informativo costituito da marinai in transito tra le sponde di Ancona e della Dalmazia129. Infine, l’ultimo elemento di preoccupazione mostrato dalle autorità poteva parere curioso, ma veniva ritenuto centrale nel contrastare i piani dei sovversivi: era il traffico di indumenti militari. Così come per la questione delle armi, quest’ultimo aspetto permetteva e favoriva l’infiltrazione nell’Esercito, considerato – non a torto – uno dei principali obiettivi degli agenti stranieri ed elemento chiave per la sicurezza dello Stato. Numerose «raccomandazioni di vigilanza» erano state fatte circolare tra gli addetti alla Pubblica sicurezza «per impedire e reprimere la propaganda sovversiva fra le truppe» ed ostacolare il «traffico abusivo di indumenti militari da parte degli affigliati ai partiti estremi»130. Nel corso dei primi mesi del 1919, in varie occasioni le divisioni locali dei Carabinieri avevano messo in luce l’esistenza di tentativi di infiltrazione. Solo per citare due esempi, nell’aprile, alcuni giovani socialisti di Imola avevano tentato di reperire divise militari presso soldati in licenza illimitata o congedati, al fine di «infiltrarsi in uniforme fra le truppe chiamate a tutela dell’ordine pubblico, od introdursi nelle caserme per incitare i soldati alla rivolta, o per compiere atti inconsulti a danni dei Comandanti»131. Un altro episodio a cui venne conferito un certo rilievo 128 Regia Prefettura di Novara, n. 2707, al Sottoprefetti di Provincia e al Comando dei RR. CC. di Novara, oggetto: movimento anarchico, 31 maggio 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 129 Telegramma espresso di Stato della Prefettura di Rovigo, n. 155, 24 aprile 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. 130 Comunicazione n. 18/138 del Colonello Pietro Casaretto, Comandante della Legione territoriale dei RR. CC. di Novara, Ufficio di terza divisione, oggetto: propaganda sovversiva ed ordine pubblico – raccomandazioni di vigilanza, 27 maggio 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 131 Riservata n. 18/85 della Legione territoriale dei RR. CC. di Novara, Ufficio di terza divisione, oggetto: ordine pubblico – mene rivoluzionarie, 26 aprile 1919, Msac, 114 avvenne a Domodossola, dove – in un campo di concentramento per militari che dovevano essere rimpatriati – mostrava di aver un certo successo la propaganda rivoluzionaria: l’Arma mise in guardia le autorità centrali sul fatto che quei soldati, che si trovavano in «uno stato d’animo facilmente eccitabile e propenso a caldeggiare risoluzioni di carattere estremo», in caso di movimenti rivoluzionari, si sarebbero certamente associati ai disordini.132 Infine, l’Ufficio di terza divisione dei Reali Carabinieri di Bologna rendeva noto il piano secondo il quale i socialisti si davano la pena di recuperare le divise dei militari in congedo. Nell’eventualità di un confronto italo-jugoslavo per risolvere la questione di Fiume, occupata da D’Annunzio133, le forze facenti capo al Partito socialista sarebbero insorte «non solo per impedire una nuova guerra, ma per iniziare apertamente la rivoluzione». Per tale scopo – si notava – i soci aderenti al Partito socialista, fossero ex Ufficiali o ex graduati di truppa, avrebbero avuto il compito di «indossare la divisa per fare con tutto agio opera di persuasione presso i militari regolari ed indurli a passare nelle file del proletariato, disubbidendo ai loro superiori diretti» che sarebbero stati dichiarati decaduti e costretti a consegnare le armi, mentre «i rivoluzionari civili» avrebbero istituito subito «la dittatura dei consigli dei soldati, degli operai, dei contadini»134. Dalla lettura delle f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. Sui propositi dei socialisti rispetto ai furti di indumenti, cfr. Legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Divisione di Imola, oggetto: mene rivoluzionarie (socialisti travestiti da militari), 13 aprile 1919, Msac, f. 331, fasc. 5, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda sovversiva – mene rivoluzionarie, 1919. 132 Comunicazione n. 19/12 della Legione territoriale dei RR. CC. di Torino, Compagnia di Vallanza, oggetto: propaganda rivoluzionaria, 17 aprile 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 133 Sulla questione di Fiume e la figura di Nitti, si veda: P. Alatri, Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica, Feltrinelli, Milano, 1976. Sulla situazione di Fiume durante il governo Nitti e la sua caduta, cfr. anche G. Parlato, Mezzo secolo di Fiume. Economia e società a Fiume nella prima metà del Novecento, Cantagalli, Siena, 2009, pp. 69-112. 134 Notizie sulla circolazione di «falsi Ufficiali et con decorazioni» che facevano una propaganda sovversiva particolarmente pericolosa «perché confortata [dal] prestigio del grado», erano segnalati anche dal Comando del Corpo d’armata di Bologna. Cfr. Riservata personale urgentissima dal Comando del Corpo d’armata di Bologna al comando della Divisione militare di Bologna, 20 agosto 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. Sul peculiare stato politico-sociale di Bolo- 115 carte dell’Arma, i socialisti parevano pronti all’azione e finemente organizzati: non solo a Bologna, in via Zamboni, era stato creato un laboratorio per la confezione di indumenti militari diretto dal socialista ufficiale Guerrino Zanardi, ma si aveva motivo di ritenere che nella Camera del Lavoro della città emiliana vi fossero conservate «bombe a mano in quantità considerevole»135. Le autorità non avevano intenzione di farsi cogliere di sorpresa. Una circolare riservata del Ministro della guerra restituiva il senso di pericolo avvertito dagli organi dello Stato e la ferma volontà di contenere il movimento rivoluzionario, endogeno ed esogeno. In primo luogo, andava stroncato il traffico di indumenti, ritenuto particolarmente pericoloso: È mio intendimento che le autorità militari facciano tutto quanto sta in loro per impedire il traffico in questione e, soprat[t]utto, per rendere impossibile l’effettuazione di criminosi propositi da parte di chi eventualmente riuscisse a procurarsi e ad indossare abusivamente la divisa militare. Il Ministro Caviglia dava poi delle disposizioni precise circa le modalità per evitare la diffusione illegale delle divise. In particolare, disponeva di accertare che «i militari inviati in licenza od in congedo [avessero] una sola serie di vestiario». Tali verifiche andavano esercitate «non solo all’atto della partenza dei militari dai corpi, ma anche sui treni ed alle stazioni di partenza e di arrivo dei militari stessi». Era necessario sorvegliare affinché non venissero trasportati fuori dalle caserme indumenti di alcun genere; forme di controllo speciali erano disposte in modo «da impedire nel modo più assoluto che [riuscissero] ad introdurvisi [nelle caserme] individui che vestano abusivamente l’uniforme militare». Si disponeva infine che gli Ufficiali mantenessero un «diretto costante contatto» con i propri soldati al fine di «conoscerli personalmengna, anche se con particolare riferimento ai fatti del 1920, si consulti: B. Della Casa, La Bologna di Palazzo d’Accursio, in M. Isnenghi, G. Albanese (a cura di), Il Ventennio fascista…, cit., pp. 332-338. 135 Nota riservata della legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Ufficio di terza divisione alle divisioni dipendenti, oggetto: mene rivoluzionarie, 3 ottobre 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. Analoghi casi di propaganda sovversiva avvenivano, secondo i report delle autorità, anche tra le fila del Partito repubblicano. Cfr. Legione territoriale dei RR. CC. di Bologna, Ufficio di terza divisione ai comandi delle divisioni dipendenti, oggetto: diffusione fra le truppe di opuscoli sovversivi, 13 agosto 1919, Msac, ibidem. 116 te» e di evitare infiltrazioni136. La Presidenza del Consiglio condivideva le preoccupazioni del Ministero della guerra: in seguito alla dimostrazione avvenuta a Roma, il 25 giugno, Nitti approvò un giro di vite al controllo delle manifestazioni: [si rende partecipi della] convinzione che in caso di turbamento dell’ordine, i funzionari e gli agenti chiamati a ristabilirlo non possono usare riguardi personali ad alcuno, quale che ne sia il grado e la condizione sociale. Distinzioni ed eccezioni in momenti siffatti, oltre che impossibili, sarebbero dannose ed imprudenti; ma sopra[t]tutto non debbono desiderare tolleranze coloro che, vestendo la divisa militare dovrebbero, anziché secondare inconsulte agitazioni di folle faziose, concorrere e fare rispettare gli ordini legalmente dati da chi ne ha il dovere e la responsabilità, e dar l’esempio del più rigido ossequio alla disciplina»137. Il Ministro della Guerra Albricci esortava ad evitare «eccezioni e distinzioni» in questo campo e istituiva un «servizio di Ufficiali dell’Arma» creato ad hoc, che, «con opera oculata ed energica», operasse per «impedire che Ufficiali in uniforme frammischiati alla folla [avessero] a partecipare alla dimostrazione, traendo – ove occorr[esse] – in arresto i riottosi, e sopra tutto di evitare che Ufficiali in divisa [avessero] ad essere malmenati ed arrestati da loro inferiori, il che [avrebbe costituito] indubbiamente un fatto gravemente lesivo della disciplina militare»138. L’Arma dei Carabinieri non tardò a mettere in opera le indicazioni provenienti dal Ministero della guerra. A partire dal giugno 1919 fino all’autunno dello stesso anno, quando le tradotte ferroviarie furono soppresse, fu istituito un servizio di controllo su tali mezzi di trasporto, con lo scopo di bloccare sul nascere la propaganda bolscevica139. Gli accer136 Ministero della guerra, Divisione di Stato maggiore, circolare riservata, con oggetto: traffico abusivo di indumenti militari, 3 maggio 1919, Msac, f. 331, fasc. 5, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda sovversiva – mene rivoluzionarie, 1919. 137 Ministero della guerra, Divisione di Stato maggiore, Sezione seconda al Comando Generale dell’Arma dei CC.RR. di Roma, 2 settembre 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. 138 Ibidem. 139 Comunicazione riservata della Legione territoriale dei Reali Carabinieri di Bologna, Ufficio terza divisione, oggetto: propaganda bolscevica sulle tradotte. Relazione settimanale, 26 ottobre 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e 117 tamenti, previsti sulle tradotte di maggior frequentazione e transitanti per centri sensibili alla sovversione, davano luogo ad una relazione settimanale nella quale veniva esaminata la presenza di propaganda ad opera di agenti stranieri e italiani filobolscevichi, e del trasporto illegale di armi e munizioni. In sostanza, con cadenza giornaliera, Carabinieri travestiti da soldati vigilavano e riferivano l’attività di propagandisti così come movimenti sospetti. La massima attenzione che venne deputata a questo elemento ci lascia lo spazio per una considerazione. Va infatti rilevato come, da un esame complessivo della documentazione sul servizio di segnalazione delle tradotte, anche nel momento più critico in cui lo sciopero generale, nel luglio 1919, parve a molti come il segnale di un’imminente rivoluzione, l’Arma dei Carabinieri non trasmise che notizie dell’attività di sovversivi minori e atti circoscritti di filobolscevismo, come l’esposizione di una «piccola bandiera rossa» o la lettura di giornali di tendenza comunista. Appare dunque evidente come, mentre un’analisi locale della realtà – così come emerge dalle carte dei Regi Carabinieri – restituiva un quadro tutto sommato non troppo fosco in merito alle infiltrazioni straniere, le comunicazioni provenienti dagli alti piani fossero di tutt’altro tenore. Il Ministero dell’interno, il Ministero della guerra, il Ministero degli affari esteri e la Presidenza del Consiglio giravano circolari dai caratteri fortemente allarmati e allarmanti, tali da indurre a ritenere che un rivolgimento rivoluzionario non solo fosse possibile ma fosse anche imminente. Alla luce di questa considerazione, ci si può dunque chiedere quanto vi fosse di vero in questa sorta di “allucinazione collettiva” e quanto di strumentale: tutto sommato, le simpatie i sostegni che il nascente movimento fascista vantava tra i Prefetti non sono certo un mistero, anche se – come ha ricostruito Renzo De Felice – «da parte del governo centrale si ebbe cura di mostrare in ogni modo di volerl[i] impedire ed ostacolare»140. Dalla lettura della documentazione archivistica, tuttaordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. Vale la pena di ricordare che nel maggio dell’anno successivo, con il Regio decreto 1802, furono istituiti dei “battaglioni autonomi”, destinati ad essere impiegati nei casi di maggior turbamento dell’ordine. Su questo aspetto e il filofascismo dell’Arma, si veda: M. Mondini, L’Arma, in M. Isnenghi, G. Albanese, Gli italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, vol. IV, tomo I, Il Ventennio fascista. Dall’impresa di Fiume alla Seconda Guerra Mondiale, Utet, Torino, 2008, pp. 159-165. 140 R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920, Einaudi, Torino, 1963, p. 602. 118 via, non ci pare di scorgere un’azione strumentale nel tenere alta l’allerta delle forze di Pubblica sicurezza, come invece sarebbe successo nel 1921’22 (argomento che verrà trattato nel prossimo capitolo). A chi scrive sembra, piuttosto, che i continui riferimenti alla minaccia proveniente dalla Sinistra si fossero consolidati e stratificati nella percezione della classe dirigente al potere, generando un effetto psicologico di stato di allerta generalizzato e quotidiano che, in particolare nell’estate del 1919, fu rinforzato da alcuni «moltiplicatori», fattori contingenti, di natura internazionale ed interna: la costruzione di un’immagine aggressiva del bolscevismo con la costituzione dell’Internazionale comunista e l’effettiva esistenza di minacce provenienti dalla sovversione bolscevica straniera; l’infuriare della guerra russo-polacca; il consolidamento del bolscevismo al potere con la sconfitta dei Generali bianchi. Inoltre, un capitolo a parte merita la verifica dell’attendibilità della minaccia ungherese. Sebbene possa risultare a posteriori poco credibile che le autorità italiane credessero all’invio di emissari da Budapest, muniti di larghi mezzi, a solo un mese dalla fine della Repubblica dei Consigli, non va dimenticato come, proprio in quella fase, Béla Kun tentò alcuni colpi di Stato – poi falliti – nei Paesi dell’Europa centrale141. Nella visione del governo italiano, dunque, all’evidente declino dell’esperimento ungherese poteva non corrispondere l’abbandono del tentativo di esportazione della rivoluzione. In definitiva, dopo quasi due anni di individuazione di agenti sovversivi, emergeva con chiarezza una cacofonia nei messaggi delle autorità, le quali, raccogliendo informazioni confidenziali – attendibili e non – e accogliendo come buone le notizie provenienti dall’estero, ritenevano che l’insurrezione fosse imminente, in particolare nel momento in cui lo sforzo rivoluzionario sul piano europeo trovava una favorevole congiuntura in chiave interna. Nell’introiezione del pericolo rivoluzionario, il continuo reiterarsi dell’imminenza della minaccia bolscevica nelle comunicazioni aveva avuto l’effetto di rendere questi timori concreti. Insomma: repetita iuvant. 141 F.L. Carsten, La rivoluzione nell’Europa centrale, cit. 119 3. Il “biennio rosso” in Italia, la Repubblica dei Consigli in Ungheria. Imprevisti di una special relationship 3.1 Un’Italia filobolscevica o un’Italia bolscevizzata? Scandali internazionali e la questione del prestigio di Roma Nel corso del 1919, l’Ungheria rappresentò uno dei principali elementi di tensione per l’Italia. Stando alla documentazione reperita, le infiltrazioni di agenti bolscevichi nel territorio del Regno iniziarono già all’indomani della proclamazione della Repubblica dei Consigli. Ma nel corso dell’anno, le preoccupazioni non riguardarono soltanto l’attività degli emissari di Béla Kun. L’attenzione delle autorità italiane si concentrò su alcuni temi ben specifici, che – in non poche occasioni – misero in difficoltà l’apparato dello Stato: nell’estate, la rovinosa fine del regime ungherese e la conseguente presa di responsabilità dell’Italia; l’emergere di uno scandalo relativo alla presunta vendita di armi italiane alla Repubblica bolscevica magiara; la questione dell’immagine e della credibilità internazionale dell’Italia, sempre più indicata come l’anello debole dell’Intesa, il Paese ove le infiltrazioni trovavano una sponda interna, collaborazione che amplificava le possibilità di un rivolgimento rivoluzionario. Nell’estate del 1919, notizie contrastanti giunsero da Budapest. Da un lato, dopo il fallimento delle rivoluzioni nell’Europa centrale, la Repubblica dei Consigli appariva isolata e, per certi versi, debole. Dall’altro, tuttavia, le continue indiscrezioni sull’attività sobillatrice all’estero lasciavano supporre che il regime – pur sfibrato – continuasse ad essere abbastanza forte da rivolgersi al proprio esterno per proseguire nell’intento di espansione della rivoluzione. In aggiunta, informazioni provenienti dal Commissario politico italiano a Budapest indicavano una rinnovata aggressività del regime nei confronti dell’appropriazione di beni privati, anche all’estero. Dopo essersi impossessato di «gran parte del denaro, dei gioielli e pietre preziose di proprietà privata», in base 120 ad un decreto, la Repubblica si avocava la possibilità di «alienare all’estero una parte importantissima del patrimonio privato ungherese, calcolata da 4 a 6 miliardi disponendo pei propri scopi comunistici e sottraendo così agli Alleati una garanzia per il pagamento dell’indennità di guerra e per le forniture di materie prime e merci»1. Il provvedimento veniva approvato in seguito al tentativo di acquisizione, da parte della Repubblica, di tutti i beni in possesso di stranieri sul territorio magiaro, rispetto alla quale gli Alleati avevano promosso un’azione di tutela collettiva degli interessi dei loro sudditi in Ungheria, su proposta del Commissario politico italiano Vittorio Cerruti. Quest’ultimo era in effetti intervenuto direttamente presso Béla Kun, il quale non l’aveva affatto rassicurato intorno a questo punto: Cerruti si era quindi convinto che il governo ungherese «a parole» dicesse di voler rispettare gli interessi stranieri, ma di fatto non avrebbe concesso agli italiani «un trattamento in nulla migliore» di quello che era riservato alle proprietà dei sudditi magiari2. Nel volgere di poche settimane, tuttavia, il regime di Béla Kun manifestò forti segnali di instabilità: agli occhi delle autorità italiane, il pericolo costituito dalla presenza di una Repubblica comunista a qualche centinaia di chilometri dall’Italia venne così sostituito dalla minaccia di un nuovo rivolgimento ancor più estremista rispetto a quello del passato marzo. Agli inizi di agosto, il Commissario politico italiano riportava i disastrosi risultati delle truppe rosse contro quelle romene, che tentavano di rovesciare il regime.3 Secondo le informazioni da Budapest, negli ultimi tempi Béla Kun aveva sostenuto la lotta contro il partito estremista di Szamuely e aveva promosso la lotta contro i «soldati terroristi detti figli di Lenin»: sorprendentemente, il leader magiaro sosteneva di aver compreso, solo in quel frangente, che si trattava di «elementi pericolosi». Alla luce di queste notizie, Cerruti mise in rilievo come fosse 1 Rapporto n. 157 dal Commissario politico a Budapest, oggetto: provvedimenti finanziari del governo comunista ungherese, 1 luglio 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, cartella Rapporti politici Europa (Jugoslavia-Ungheria), anno 1919, fasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Ungheria, anno 1919, p. 1. 2 Telegramma n. 18074 dal Mae alla Regia ambasciata italiana a Londra, oggetto: tutela collettiva degli interessi dei sudditi alleati, 8 luglio 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, cartella Rapporti politici Europa (Jugoslavia-Ungheria), anno 1919, fasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Ungheria, anno 1919. Sulle convinzioni di Béla Kun rispetto ad un possibile intervento dell’Intesa: A. J. Mayer, Politics and diplomacy of peacemaking…, cit., p. 838. 3 Sull’atteggiamento dell’Intesa rispetto alla caduta di Béla Kun: ivi, pp. 827-852. 121 giunto il momento «più propizio» per far cadere il governo comunista: il Commissario politico spingeva dunque affinché si prendessero delle decisioni chiare e «prestissimo» altrimenti la situazione sarebbe caduta nelle mani degli «estremisti di S[z]amuel[y]»4. Solo due giorni dopo questa comunicazione, la situazione pareva ormai essere al tracollo: Béla Kun chiese la protezione del Tenente Colonnello Romanelli della Missione militare italiana per le mogli e i figli dei Commissari del popolo che si stavano accingendo a lasciare Budapest. Mentre l’«ordine perfetto» regnava ormai a Budapest e la Missione militare italiana operava in stretta relazione con il neo governo socialista, Romanelli accordò la protezione ai parenti degli ex leader della Repubblica rossa5. Questo speciale ruolo dell’Italia affondava le proprie radici nei pregressi rapporti italo-ungheresi e anche nel fatto che, nel breve periodo di potere della Repubblica dei Consigli, la Missione militare italiana era rimasta l’unico avamposto dell’Intesa in Ungheria. Tale rapporto particolare era riconosciuto anche dalla Gran Bretagna: nelle ore convulse che anticiparono il rovesciamento del regime bolscevico, l’Ambasciata britannica si era rivolta al Ministero degli esteri italiano chiedendo a Roma, in veste di «sola potenza alleata che [avesse] un rappresentante a Budapest», di assumersi la «responsabilità della protezione dei prigionieri» che erano stati tenuti in ostaggio dal regime rosso e la cui sorte rimaneva incerta. Dagli Esteri si era fatto sapere che non vi erano difficoltà affinché il funzionario italiano si facesse carico di questo compito, anche se – era bene precisarlo – era in effetti «sprovvisto di veste ufficiale»6. Le notizie raccolte tramite le confidenze del noto socialista moderato Ernő Garami erano inquietanti: l’ex Ministro dipingeva un quadro a tinte fosche, nel quale il governo socialista instauratosi dopo quello di Béla Kun aveva in realtà una «pericolosa tendenza monarchica» che conferiva una certa credibilità alla possibilità di una restaurazione degli Asburgo: Ciò è pericoloso non solo per Ungheria e per Austria tedesca, che già manifestano allarme, ma anche per Italia perché significa tendenza verso esecuzione piano francese di asservire in grande confederazione danubiana Austria e Ungheria indebolita a preponderante influenza slava del Nord e del Sud. [Garami] 4 Telegramma n. 02591 del Mae alle Regie Ambasciate di Londra e Parigi, 3 agosto 1919, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950. 5 Telegramma n. 3910 da Parigi per Londra, 4 agosto 1919, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950. 6 Telegramma n. 13856 da Manzoni, Mae alla Regia Ambasciata a Londra, 21 giugno 1919, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950. 122 spiegò come occorresse sforzo dopo deplorati estremi comunisti, per non cadere per naturale reazione in estremi opposti, ma essere indispensabile trovare via di mezzo per evitare che socialisti si organizzassero in aperta opposizione e che fra di essi elementi più estremi prendessero sopravvento causando seri gravi disordini e dando pretesto ad organizzazione comunista Italia, Svizzera, Francia […]7. Anche quando il regime di Béla Kun sembrava ormai battuto, le autorità italiane parvero sposare l’idea che la possibilità di uno scivolamento estremista in Ungheria avrebbe potuto condizionare direttamente le sorti del Regno. Il contesto politico interno era, in altri termini, un vulnus fecondo nel quale avrebbe potuto agire ragionevolmente un «moltiplicatore» – le evoluzioni interne allo scenario ungherese – che avrebbe aumentato esponenzialmente le possibilità di uno scivolamento rivoluzionario. bene ricordare che, proprio in questa fase, si tennero le prime elezioni dalla fine della Guerra mondiale, e venne organizzato a Bologna il XVI Congresso del Psi8. Nel corso di tale assise, si votò favorevolmente all’adesione dei socialisti italiani alla Terza Internazionale e si approvarono per acclamazione i due ordini del giorno presentati da Serrati, nei quali si protestava «con tutta l’energia contro la infame e nefasta politica del governo italiano e dell’Intesa in avversione alla Repubblica russa dei Soviet». Il Congresso dava quindi alla Direzione il mandato di occuparsi di «una nuova azione internazionale per venire in aiuto alla Repubblica russa, onde impedire che la reazione “democratica” soffoc[asse] nel sangue, come [aveva] fatto per l’Ungheria, ogni speranza di redenzione proletaria»9. Inoltre, all’indomani della “vittoria mutilata” dell’Italia e nel pieno delle trattative sugli equilibri del dopoguerra, i timori per l’espansione del comunismo vennero affiancati da una crisi della credibilità internazionale dell’Italia. Due erano le criticità che emergevano: lo scandalo 7 Le sottolineature sono presenti nel testo originale. Comunicazione di De Martino, Mae, alle Regie Ambasciate italiane di Londra, Berlino e Parigi, 14 agosto 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, cartella Rapporti politici Europa (Jugoslavia-Ungheria), anno 1919, fasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Ungheria, anno 1919. 8 Circa le campagne elettorali nel primo dopoguerra, si veda: M. Ridolfi, “Partiti elettorali” e trasformazioni della politica nell’Italia unita, in P.L. Ballini, M. Ridolfi (a cura di), Storia delle campagne elettorali in Italia, Mondadori, Milano, 2002, pp. 7881. 9 Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, vol. 3, cit., pp. 45-103, in particolare, p. 68. 123 della presunta vendita di armi all’Ungheria e il possibile scivolamento dell’Italia verso una deriva bolscevica. Con riguardo al primo aspetto, è necessario mettere in rilievo come già nei primi giorni dell’estate del 1919, l’Italia venisse accusata di simpatie nei confronti del regime bolscevico ungherese. Il tentativo di abboccamento commerciale compiuto da Budapest nei confronti dell’Italia durante il periodo del blocco attuato dall’Intesa, di cui abbiamo riferito precedentemente, aveva certamente avuto un impatto su tale percezione. Essa venne poi ulteriormente rafforzata dall’emergere dell’offerta effettuata dal governo ungherese, che aveva proposto al sindacato nazionale di entrare «in trattative commerciali» con un «analogo sindacato italiano»10. A giugno, la voce che l’Italia intendesse «aiutare» il governo bolscevico aveva trovato ascolto in alcuni circoli politici ungheresi, le cui simpatie verso Roma si erano così inevitabilmente raffreddate. Nel febbrile scambio di opinioni interne sulla possibilità (e opportunità) di aprire questo canale con gli ungheresi, le osservazioni riservate parevano essere conformi alla posizione pubblica presa dal governo italiano: il Ministro degli esteri metteva infatti in rilievo come, «per decisione interalleata», non si potevano fornire viveri all’Ungheria finché vi fosse stato un governo bolscevico. Confidenzialmente, venne tuttavia fatta presente l’esistenza di un possibile escamotage, proposto da Sonnino: si sarebbe potuto trattare con un «consorzio [di] privati predisponendo contratti da eseguire immediatamente appena costituito governo responsabile»11. La volontà di apertura nei confronti di Budapest trovava una propria ragione d’essere nel desiderio di affermarsi economicamente come partner privilegiato del mercato ungherese: la creazione di attività sindacali private, secondo il Ministero degli esteri, era ammissibile e sarebbe stata diretta alla ripresa dei traffici. Accettando tale prospettiva, Budapest propose così la formazione di sindacati che avrebbero potuto collaborare senza l’interferenza governativa, offrendosi immediatamente disponibile a versare «oro» e «moneta cartacea» alla Missione dell’armistizio a copertura delle forniture alimentari che sarebbero arrivate. La questione era già intricata di per sé e poneva ovvie questioni di etica politica, soprat10 Telegramma n. 1877, Comando supremo Segr. Gen. Affari Civ., 27 maggio 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 11 Telegramma n. 1921 inviato da Sonnino, delegazione italiana al Congresso della pace, 5 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 124 tutto visto che le trattative erano condotte da un Paese che, nel corso dell’ultima guerra, aveva cambiato schieramento. Se possibile, tuttavia, la situazione si complicò ulteriormente quando emerse l’origine dei fondi utilizzati da Budapest. Secondo un rapporto riservatissimo del Segretario generale del Comando supremo dell’Esercito, i versamenti fatti a favore della Missione, infatti, erano stati prelevati «da un importo asportato illecitamente da[l] governo comunista […] e contrabbandato con [la] cooperazione [di] soldati italiani in Austria tedesca». Nonostante la Missione si fosse dichiarata estranea a tali progetti, si disponevano indagini, nella considerazione che l’apertura delle trattative tra i sindacati dei due Paesi affinché gestissero queste ingenti somme (circa 100 milioni di corone), e la sostanziale collaborazione economica tra Roma e Budapest (anche se in forma privata), avessero dato adito alle voci – avvalorate dallo stesso Béla Kun – secondo le quali l’Italia appoggiava, di fatto, il suo governo. Il Segretario del Comando supremo D’Adamo concludeva così il suo rapporto: Appoggio Italia è desiderato da tutti partiti Ungheria. B[é]la Kun lo considererebbe punto partenza per forte attenuazione suo programma. Pregasi impartire urgenza istruzioni. Qualora non fosse desiderata continuazione trattative iniziate Missione armistizio Vienna troverebbe – sebben non facilmente modo – restituire governo ungherese somme già ricevute. governo ungherese inizierebbe tal caso trattative con altri governi fra cui Jugoslavia dalla quale ebbe già proposte concrete12. La percezione favorevole di alcuni ambienti politici italiani nei confronti dell’Ungheria comunista pareva confermata anche dalla scelta di Roma di non inviare truppe a Budapest per provocare la caduta del regime di Béla Kun. Un telegramma segreto di Tittoni, dalla delegazione alla conferenza di pace, escludeva un intervento italiano «a causa delle attuali condizioni interne dell’Italia e della inevitabile grave ripercussione che tale invio avrebbe [avuto] sull’atteggiamento del Partito socialista italiano». Tale motivazione – continuava Tittoni – non andava espressa pubblicamente: anche la fornitura di «armi e munizioni» non 12 Telegramma del Segretario generale D’Adamo, Comando supremo del Regio Esercito, Segretariato generale per gli affari civili al Mae, Presidenza Consiglio Ministri, Ministero industria, commercio e lavoro, 6 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 125 sarebbe stata eseguita «senza accordi cogli Alleati»13. Il documento pare di particolare interesse, almeno per due ragioni: innanzitutto, mostra con evidenza i timori – reiterati in varie comunicazioni – dell’Italia rispetto alla perdita di una speciale partnership con l’Ungheria e per l’avvicinamento di quest’ultima alla Jugoslavia, scivolamento che avrebbe visto Roma in una posizione isolata e defilata rispetto agli equilibri nell’Europa centro-meridionale14. In secondo luogo, si metteva in rilievo l’evidente condizionamento della politica interna italiana sulla definizione della politica estera, conferendo maggiore consistenza all’ipotesi che il governo italiano temesse concretamente un possibile rivolgimento rivoluzionario. Questo contraddice, almeno in parte, la tesi avanzata da Enrico Serra sull’ininfluenza dello scenario rivoluzionario interno nella definizione della politica estera di Nitti, quanto meno per ciò che concerne un possibile intervento italiano in Ungheria. Nell’estate del 1919, i contatti tra il comunismo ungherese e alcune frange del socialismo italiano emergevano in modo sempre più intellegibile. Il Commissario politico a Budapest aveva trasmesso al Ministero degli esteri un telegramma intercettato, spedito da Costantino Lazzari a Béla Kun, nel quale il primo condannava le dichiarazioni di biasimo nei confronti del regime ungherese da parte del deputato socialista Maffioli, ampiamente sfruttate dalla «stampa borghese». Lazzari teneva a precisare che le considerazioni di Maffioli erano assolutamente «personali» e non appartenevano alla maggioranza del Partito, nel quale il «pensiero dominante» era «senza riserve favorevole alla dittatura proletaria». Secondo quanto affermato dallo stesso Lazzari, la sua manifestazione di sostegno nei confronti di Béla Kun doveva necessariamente avere un carattere riservato, al fine di non turbare lo sforzo di «solidarietà» ad opera dei «proletari d’Italia, Francia [e] Inghilterra» con «vane e bizantine preoccupazioni dottrinali ed accademiche in un momento minaccioso per [la] libertà e vita delle repubbliche soviettiste di Russia e Unghe- 13 Telegramma segreto n. 915 dalla delegazione italiana a Parigi, 15 luglio 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 14 Sulla politica del governo italiano nei confronti della Jugoslavia e l’annosa questione di Fiume: E. Anchieri, L’Italie devant la victoire, in id., Il sistema diplomatico europeo: 1814-1939, FrancoAngeli, Milano, 1977, pp. 183-196; sulla posizione francese in merito all’atteggiamento italiano sul punto: A.A. Gambino, La presenza italiana in Ungheria nella corrispondenza diplomatica francese (1919-1929), pp. 1-2, reperibile al sito www.grotius.hu. 126 ria»15. Assai meno caute, ma sulla stessa lunghezza d’onda, erano le affermazioni pubbliche di Béla Kun del luglio 1919 che, raccolte da Cerruti a Budapest a pochi giorni dallo sciopero generale, suonavano estremamente sinistre: il leader bolscevico aveva infatti dichiarato di essere «sicuro che [l’]Intesa non [avrebbe mai attaccato la] Repubblica comunista ungherese perché [i] sentimenti [delle] classi operaie dei Paesi [dell’]Intesa [erano] tali che qualsiasi azione contro Russia e Ungheria [avrebbe provocato] rivoluzioni». L’evidenza della sua valutazione, concludeva Béla Kun, si sarebbe avuta «nelle grandi dimostrazioni [del] proletariato» pianificate per il 20 e 21 luglio in Italia, Francia, Inghilterra»16. Nel complesso, la somma di questi cauti avvicinamenti dava credito all’ipotesi di un’Italia particolarmente attenta e sensibile alle istanze della Repubblica dei Consigli. Ecco perché, quando emerse lo scandalo della presunta vendita delle armi al regime bolscevico, la supposizione parve realistica a molti. Nel giugno 1919, infatti, nell’ambito del Consiglio supremo economico, gli Alleati formularono pesantissime insinuazioni ai danni dell’Italia, accusandola di aver di fatto violato il blocco istituito nei confronti dell’Ungheria bolscevica. La Commissione americana a Vienna sosteneva di aver appreso, tramite le Missioni francese e inglese, che venti carri ferroviari di munizioni con provenienza sconosciuta erano stati consegnati al governo magiaro, passando la frontiera il 25 maggio. Per lo stesso tragitto, erano stati rilevati movimenti di militari italiani che, nelle loro auto, trasportavano «25 milioni» di corone, risultati poi essere il pagamento di Budapest per merci già consegnate dalla Missione militare di Vienna. Inoltre, gli Alleati affermavano di essere in possesso di documenti provanti il rifornimento di armi italiane a Béla Kun. La delegazione italiana al Congresso di pace abbozzò: nel documento in risposta a questi rilievi si ammetteva infatti che, secondo le informazioni provenienti dal Segretariato civile della delegazione e dalla Sezione militare, fossero «effettivamente corse intese col governo bolscevico per [la] costituzione [del] sindacato e che [il] governo stesso avesse versato [una] forte somma [della] nostra Missione militare [a] 15 Si noti che il telegramma era giunto nelle mani del leader ungherese tramite tale Schweide. Telegramma di Cerruti n. 2320, Regio Commissariato politico – Budapest, 6 luglio 1919, Asmae, b. 1738: Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 16 Telegramma n. 1861 inviato da Cerruti, delegazione italiana al Congresso della pace, Vienna, 5 luglio 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 127 Vienna». Al contempo, il Ministero degli esteri, pur ammettendo la questione delle trattative con i sindacati, escludeva che fosse stata data loro esecuzione. Mentre Borghese era stato incaricato di compiere a Vienna «rigorose indagini», Tacoli dichiarò con certezza che da Vienna non erano mai stati mandati in Ungheria «né armi né munizioni né viveri» ad eccezione fatta per un vagone quindicinale di alimenti per gli italiani di Budapest17. Nonostante le rassicurazioni del Commissario a Vienna, per vie riservate, a distanza di quarantottore, veniva confermata la notizia dell’invio di munizioni verso Vienna, per mezzo di treni americani, e di là in Ungheria: si sarebbe trattato di «nove carri con salnitro sostanze chimiche granate e maschere». La spiegazione, riportata in una comunicazione di Sonnino, sembrava tanto naïve quanto sorprendente: menzionando i nomi di «Pignatelli, Tacoli, [e del] Comandante Carbone», si avanzava l’ipotesi che vi fosse stata «corruzione» e che materiali fossero stati spediti «per essere usati contro [gli] jugoslavi e che gli ungheresi, ingannando [gli] italiani, li [avessero] usati contro i czechi». La questione delle armi aveva aperto un caso diplomatico: il Consigliere dell’Ambasciata di Francia a Roma riferì confidenzialmente al Ministero degli esteri la notizia secondo la quale la Missione italiana a Vienna avrebbe avuto «tre Ufficiali collegamenti con [il] governo di Béla Kun cui avrebbe fornito 5 biplani Caproni, due monoplani, due tanke». Nella stessa comunicazione, si esponeva un’informazione proveniente dal Commissario Tacoli, il quale – riferendo di un suo colloquio con un ufficiale dell’Esercito rosso – riportava che la «grossa artiglieria comunista» era di «provenienza italiana», con particolare riferimento a 84 cannoni che erano passati da Klagenfurt, celati sotto il fieno18. A metà luglio, il progressivo tracollo del regime di Béla Kun consentì il ritrovamento di alcuni documenti presso la legazione ungherese a Vienna, nei quali sarebbe risultato che il già menzionato Generale Segre, forte assertore della necessità di aprire un canale con Budapest, aveva cercato di mettersi in rapporto con Béla Kun «per pregare il governo rivoluzionario ungherese di proteggere gli italiani di Fiume», riconoscendo così di fatto il governo bolscevico. Inoltre, si ripeteva 17 Telegramma riservatissimo n. 737 di Sonnino, delegazione italiana per la pace, 17 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 18 Telegramma n. 747 di Sonnino, 19 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 128 «l’insinuazione» secondo la quale gli italiani avrebbero «fornito armi e munizioni al governo ungherese»19. Lo scandalo della presunta fornitura di armi italiane all’Ungheria comunista contribuì ad esacerbare i rapporti in seno all’Intesa tra la primavera e la fine del 1919, scuotendo la credibilità internazionale dell’Italia, indicata come presunta colpevole di complicità con il nuovo nemico dell’Intesa, il governo comunista ungherese. In realtà, più che a favorire il bolscevismo magiaro, l’atteggiamento italiano era evidentemente mirato ad assicurarsi una solida alleanza con il governo ungherese successore di quello comunista, sulla base di una politica che oscillava tra il realismo ed il cinismo, scevra evidentemente di considerazioni di natura ideologica, e condotta con l’obiettivo di ritrovare una posizione diplomatica di centralità nello scenario europeo. L’importanza della Repubblica magiara nella politica estera italiana era stata ben definita dal marchese Tacoli che, in un telegramma inviato da Vienna al Ministero degli esteri, ritenne suo dovere segnalare l’«assoluto interesse» dell’Italia di ottenere una rapida stabilizzazione della situazione ungherese: Di fronte appelli rivoltimi da ogni partito perché iniziativa intervento parta da Italia, per la quale simpatie sono vivissime, ritengo mio dovere segnalare nostro assoluto interesse aiutare ogni ristabilimento governo normale in Ungheria, che sarà fulcro nostra futura politica orientale; facile pretesto ci è dato da necessità difenderci da propaganda ad onta ogni misura che con Italia permane attivissima20. In altri termini, se l’obiettivo era dunque l’affermazione dell’Italia nell’Europa centro-orientale, la giustificazione sarebbe stata facilmente offerta dalla presenza di propagandisti che costituivano una minaccia per la stabilità interna della penisola. Alla luce di questa logica, parvero coerenti i contatti instaurati tra «fiduciari» italiani e alcuni esponenti ungheresi antibolscevichi che, nel giugno 1919, preparavano la transizione postcomunista, ricercando un accordo con l’Italia «su tutti i pro- 19 Telegramma di Carrobio, Regia Legazione di Copenaghen, 12 luglio 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 20 Telegramma cifrato n. 1240 inviato dal marchese Tacoli, Vienna, 12 maggio 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919, pp. 1-2. 129 blemi di comune interesse»21. Nel frattempo, secondo voci raccolte da Borghese a Vienna, i francesi muovevano le prime pesanti insinuazioni a carico degli italiani: il «progettato contratto» fra i sindacati ungherese e italiano per garantire i rifornimenti all’Ungheria aveva trovato la propria concretizzazione. La voce dei primi pagamenti a favore dell’Italia – un «affare» da «otto milioni»22 – fornivano ulteriori conferme delle simpatie di Roma nei confronti di Budapest: anche a Vienna, infatti, iniziavano a circolare le indiscrezioni relative all’invio di armi e munizioni italiane per «favorire [il] governo comunista» pagate, tra l’altro, «con gioielli rubati e denari privati illegalmente appropriati» dai bolscevichi ungheresi23. La priorità dell’Italia pareva essere la necessità di affermarsi come tutor dell’Ungheria, in un momento in cui il governo bolscevico aveva perso la propria forza ed era attaccato militarmente ed economicamente. Da Vienna, il Commissario Tacoli riferiva compiaciuto il tentativo di ricercare un sostegno dall’Italia da parte dall’ex Presidente della Repubblica, il conte Károlyi, il quale – pur scontando la «insormontabile antipatia» del «partito borghese» – poteva contare sull’appoggio socialista, e si candidava a gestire la situazione postbolscevica purché l’Italia si facesse garante del «mantenimento [dell’]ordine durante [la] smobilitazione e [la] ricostituzione [delle] forze regolari e di polizia nonché [del] rifornimento viveri»24. Nel giugno, la questione della necessità di un immediato invio di generi alimentari e l’improcrastinabilità di una «occupazione militare» italiana vennero sollevate anche dal Prin21 Si noti che analoghi tentativi erano stati avanzati dai francesi e dai serbi. Telegramma n. 665 inviato da Sonnino, delegazione italiana al Congresso della pace per le Ambasciate italiane di Vienna e Budapest, 7 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 22 Telegramma n. 1855 inviato dal marchese Tacoli, delegazione italiana al Congresso della pace, Vienna, 18 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 23 Telegramma cifrato n. 1546 del Principe Borghese da Budapest, 1 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 24 Telegramma cifrato n. 2092 inviato dal marchese Tacoli, Vienna, 23 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. In realtà, Károlyi era persuaso che l’Ungheria non avesse nulla da guadagnare dal sostegno italiano e guardava con assai più interesse ad un’intesa con la Jugoslavia. Come ebbe modo di esprimere in una lettera riservata al barone Zilassy: «In our interest, the only useful orientation is rapprochement with Yugoslavia. Unfortunately, however, we have repeated offers only from Italy». Cit. in P. Pastor, Hungary between Wilson and Lenin…, cit., p. 106. 130 cipe Borghese a Vienna, secondo il quale la situazione in Ungheria era ormai sul punto di esplodere25. Sempre Borghese riferiva poi della questione delle armi, che nel frattempo si era ridimensionata: dopo aver raccolto le opinioni di alcuni «membri del governo» che avevano escluso la possibilità che l’Italia avesse inviato «munizioni ed altre merci» all’Ungheria, il nobile incontrò la giornalista e attivista Stefania Turr, la quale sosteneva di essere stata inviata in Europa centrale dal Ministro della Guerra: la Turr si espresse in modo tale da far ritenere a Borghese di essere a conoscenza dell’avvenuto invio di armi e munizioni, spedizione che sarebbe stata realizzata senza che le massime autorità del Regio governo ne fossero a conoscenza. Contestualmente, Borghese faceva notare che «funzionari americani e inglesi» erano stati inviati nella capitale austriaca per svolgere indagini accurate sulla misteriosa vicenda26. La questione si faceva ancor più complicata se si considera che Stefania Turr, indicata come fiduciaria del Ministero della guerra, era stata segnalata in una precedente comunicazione di Tacoli da Vienna come nota propagandista, diretta a Budapest27. Come si evince anche da questa vicenda, la posizione italiana nell’estate del 1919 nei confronti dell’Ungheria fu particolarmente complessa e, per certi versi, oscillante: da un lato, Roma voleva affermare la propria relazione speciale con l’Ungheria, convinta che sarebbe stata fondamentale per lo sviluppo della centralità italiana nell’Europa orientale e per una positiva soluzione della questione di Fiume; dall’altra, il Regno tentava di gestire la questione della propaganda filobolscevica che notizie davano particolarmente fiorente, sebbene il governo di Béla Kun fosse, da varie fonti, segnalato come in evidente affanno. Al contempo, tuttavia, va rilevato che la questione della propa25 Telegramma cifrato n. 2156 del Principe Borghese da Vienna, 24 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919, p. 2. 26 Telegramma riservato cifrato n. 231 del Principe Borghese da Vienna, 23 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 27 La Turr era stata tra le prime donne inviate nella Guerra mondiale. Redattrice de «La madre italiana», aveva ereditato e plasmato nella versione di genere il ruolo del padre, Stefano, patriota ungherese naturalizzato italiano che aveva partecipato alla spedizione dei Mille. A. Russo, «Viva l’Italia tutta redenta!». Interventiste alla vigilia della Grande Guerra, in L. Guidi (a cura di), Vivere la guerra. Percorsi biografici e ruoli di genere tra Risorgimento e primo conflitto mondiale, Clio press, Napoli, 2007, pp. 129-139. 131 ganda era utilizzata strumentalmente dalle autorità italiane come giustificazione per l’ingerenza negli affari ungheresi. Infine, Roma non poteva continuare a mostrarsi debole sul piano internazionale: la questione della presunta vendita di armi contribuiva a rendere più fragile la già critica immagine internazionale dell’Italia. Era necessaria una presa di posizione chiara, che fugasse i dubbi degli Alleati sull’integrità e fedeltà dell’Italia all’Intesa. L’occasione giunse quando il Colonnello Guido Romanelli, a capo della Missione militare italiana a Budapest, intervenne in favore degli aristocratici che avevano tentato un colpo di Stato contro Kun nel luglio 1919, e che il governo bolscevico aveva prontamente condannato a morte28. La richiesta di sospensione delle pene, ad opera di Romanelli, aveva attirato le ire del leader magiaro, il quale affermò che il comportamento del Colonnello non era stato «conforme» ai «sentimenti veri dell’Italia per il governo comunista». Romanelli si era dunque affrettato a rispondere che la «simpatia» e la «amicizia» dell’Italia era rivolta all’Ungheria e al «popolo ungherese» e non a «questo o quel governo» e che – comunque – quello bolscevico era ritenuto «illegale» in quanto non rappresentava la «volontà di tutte le classi sociali». Nella nota in cui riferiva della vicenda, il Commissario a Budapest Cerruti rilevava, con una certa soddisfazione, come la pronta risposta di Romanelli avesse generato nei circoli antibolscevichi l’effetto «eccellente» di cancellare d’un tratto l’impressione che l’Italia «parteggiasse [per i] comunisti»29. Nel momento in cui il regime di Béla Kun vacillava e l’inclinazione dell’Italia veniva pericolosamente definita filobolscevica, a causa dell’avvicinamento tra i sindacati e la questione degli approvvigionamenti alimentari e del rifornimento di armi e munizioni, andavano evitate altre circostanze che potessero andare a sostegno del discredito di Roma di fronte agli Alleati. In questo senso ritengo che vada letto il diniego di ingresso nel Regno nei confronti dell’ex Presidente della Repubblica ungherese, il conte Károlyi, che aveva richiesto – come ricordato poc’anzi – la protezione dell’Italia per un nuovo corso postcomunista30. Non po28 Sul ruolo svolto da Romanelli: A. Biagini (a cura di), G. Romanelli, Nell’Ungheria di Béla Kun e durante l’occupazione romena: la mia missione (maggionovembre 1919), Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, Roma, 2002. 29 Telegramma cifrato n. 1546 di Cerruti da Budapest via Vienna, 29 giugno 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919, p. 2. 30 Telegramma n. 274 di Borghese, Commissario politico a Vienna, 7 luglio 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 132 teva essere un caso che, nella motivazione a sostegno del rifiuto, il Principe Borghese ricordasse le «insistenti relazioni e simpatie» che Károlyi aveva intrattenuto e nutrito (forse anche in quella fase) nei confronti del governo di Béla Kun. E non fu forse un caso che, nel momento in cui l’Ungheria bolscevica vacillava sotto gli attacchi dell’Esercito romeno ed i condizionamenti dettati dal blocco economico mettevano in ginocchio il Paese, le notizie sull’arrivo di fondi per propagandisti e per emissari si facessero più insistenti. È vero che, come già osservato, anche in questa fase di rapido declino, l’Ungheria si dimostrava molto attiva sul fronte dell’esportazione della rivoluzione. Tuttavia, non può esser trascurato che l’esistenza di una minaccia per la stabilità interna da parte dell’Ungheria potesse costituire un buon alibi sia per l’ingerenza nelle questioni interne magiare, sia per fronteggiare in modo convincente le accuse di filobolscevismo. Alla luce di questa riflessione possono essere lette alcune comunicazioni allarmanti (e per certi versi allarmistiche) provenienti da Vienna secondo le quali, attraverso un «furto legalizzato» ai danni degli azionisti di società di navigazione di Trieste e Fiume, il governo bolscevico avrebbe ottenuto una somma compresa tra i quattro ed i sei miliardi di corone, causando un grave danno per gli Stati dell’Intesa che si sarebbero così trovati di fronte all’insolvenza delle indennità di guerra per impossibilità di pagamento31. Secondo le informazioni raccolte da Roma, queste ingenti quantità di liquidi, sommate ai «due miliardi di corone» già «rubate ai legittimi proprietari», erano state messe a disposizione di «numerosi propagandisti» diretti «nelle campagne e anche all’estero»32. Da un’accurata analisi della documentazione italiana relativa alla denuncia delle infiltrazioni, il vero obiettivo dell’Italia emergeva tra le righe: era quello di gestire il periodo postbolscevico di Budapest, guadagnandosi un alleato fedele in uno scacchiere chiave per Roma. Così, alla vigilia della fine della Repubblica dei Consigli, il Tenente Colonnello Romanelli raccolse la volontà di Béla Kun di «scindere» le proprie responsabilità da quelle del governo comunista che aveva tollerato alcune 31 Telegramma n. 2024 inviato da Cerruti, delegazione italiana al Congresso della pace, 2 luglio 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. Sulla situazione economica e sociale di Fiume nel primo dopoguerra, si veda: G. Parlato, Mezzo secolo di Fiume…, cit., pp. 5368. 32 Telegramma cifrato n. 2105 inviato da Cerruti, da Budapest via Vienna, 8 luglio 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 133 «atrocità» terroristiche in diverse province magiare (sic!). Al contempo, il rappresentante militare italiano divenne il tramite con le forze ungheresi che chiedevano «che cosa avrebbe offerto l’Intesa all’Ungheria qualora fosse stata posta fine al comunismo33. Nei mesi seguenti, l’atteggiamento dello stesso Romanelli fu duramente criticato da Tittoni per i modi con cui aveva gestito la situazione durante la Repubblica dei Consigli: […] il Tenente Colonello Romanell[i] faceva qui una politica personale direttamente ed a mezzo dei suoi agenti. Egli aveva perduto completamente equilibrio ed esaltato dalla popolarità di cui godeva nei circoli ungheresi, dimenticando che Ungheria è tutt’ora in stato di guerra con noi[,] si compiace lusingare sentimento nazionale di questo popolo che non sa rassegnarsi al conflitto e nutre vivissimo desiderio di cominciare […] per conquistare nuovamente i territori perduti. Romanell[i] lasciò ieri Budapest. Vigilerò attentamente che i suoi agenti non intrighino ma hanno spera[t]o e augurato dall’Italia [che] egli non continu[i] [ad] occuparsi ulteriormente [degli] affari ungheresi34. Se questo è il giudizio finale su Romanelli (che Tittoni chiamava ostinatamente Romanello nei suoi documenti, quasi non ne conoscesse l’identità o volesse appositamente fare sfregio del nome del Tenente Colonello), non stupisce che la questione della vendita delle armi alla Repubblica dei Consigli ungherese avesse suscitato un vespaio di critiche anche in seno alle autorità legate al Ministero degli affari esteri e all’Esercito. In realtà, ciò che pareva mancare maggiormente era una linea politica chiara. In un documento riepilogativo e analitico del luglio 1919, l’Ufficio operazioni del Comando supremo dell’Esercito riassumeva la questione mettendo in evidenza le lampanti deficienze delle autorità politiche in merito alla vicenda delle violazioni del blocco stabilito dall’Intesa. Dopo aver ricordato che era stato il Generale Segre ad interessarsi alla possibile stipula di un accordo tra i sindacati, il Generale Diaz segnalava come fossero rimaste senza risposta le ripetute richieste di un chiarimento, rivolte alla Presidenza del Consiglio, in merito alla possibilità di riprendere gli scambi commerciali tra privati, senza che 33 Telegramma cifrato n. 2105 inviato da Cerruti, da Budapest via Vienna, 8 luglio 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919. 34 Comunicazione di Tittoni all’Ambasciata a Londra, 20 novembre 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, cartella Rapporti politici Europa (Jugoslavia-Ungheria), anno 1919, fasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Ungheria, anno 1919 (buste varie p. 68). 134 ciò fosse considerata una violazione del blocco. L’invio di un delegato del governo, nella persona di Di Benedetto, non aveva migliorato la situazione, in quanto quest’ultimo – privo di direttive – aveva stipulato l’accordo a Vienna con i delegati ungheresi sotto pressione di Budapest e della «concorrenza», subordinando tuttavia tale intesa all’approvazione di Roma e impedendone così l’operatività immediata. L’imminenza della caduta del regime di Béla Kun aveva indotto Segre a richiedere ancora una «definizione degli accordi» al Ministero degli esteri, istanza rimasta nuovamente disattesa. Come conclusione della disamina, Diaz difendeva strenuamente l’azione dei propri sottoposti, concludendo che l’azione della «cosiddetta Missione di Vienna» era stata corretta in quanto gli «accordi progettati» erano stati «conclusi sulla base della esecuzione a fine blocco» e non rendevano quindi l’Italia imputabile «di violazione al blocco con l’Ungheria». Il suggerimento, affatto velato, del Generale era quindi quello che non fosse conveniente rinunciare agli accordi, «a vantaggio di altri che ne [avrebbero approfittato] senza scrupoli»35. Per ragioni differenti, Tittoni era giunto alle stesse conclusioni: a partire dalla fine dell’estate del 1919, l’Italia pareva definitivamente scagionata dalle accuse di “tradimento” nei confronti dell’Intesa e a favore dell’Ungheria bolscevica (che ormai non esisteva più). Ciò che più premeva a Roma era l’affermazione di un’immagine internazionale positiva e credibile. Borghese telegrafava, compiaciuto, a Roma, circa un suo colloquio con i rappresentanti dei Paesi dell’Intesa intorno alla questione delle armi: Tutti indistintamente e categoricamente mi hanno dichiarato di aver diligentemente esaminata questione ed aver raggiunto convincimento assoluto completa infondatezza delle voci corse. […] Per quanto ormai possa dirsi che della nota campagna contro di noi più non si parla[;] da molti mi è stato confermato che essa ha avuto origine ed è stato per lo meno incoraggiata da questa missione francese36. Ma se la questione delle armi pareva aver trovato una soluzione, il nodo della credibilità internazionale dell’Italia era ancora tutto da scio35 F. Diaz, Comando supremo del Regio Esercito italiano, Ufficio operazioni alla Presidenza del Consiglio, oggetto: invio di armi, munizioni e viveri all’Ungheria bolscevica, 13 luglio 1919, Asmae, b. 1738, Affari politici, Ungheria, 1919-1930, fasc. Ministero degli affari esteri, aprile-luglio 1919, pp. 2-4. 36 Nota di Tittoni, Ambasciata a Parigi, Londra, 2 agosto 1919, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950. 135 gliere. Tale tema si incrociava con quello della presenza di emissari nella penisola: la loro attività in Italia aveva evidentemente lo scopo di provocare o sostenere imminenti rivolgimenti rivoluzionari. In altri termini, l’Italia veniva additata come un Paese democraticamente fragile, affetto da un bolscevismo indomabile e strisciante, pronto a conquistare il potere non appena se ne fosse presentata l’occasione. Se nel luglio 1919, il Foreign Office inglese definiva l’Italia come un Paese permeato da una forte disillusione, che potenzialmente sarebbe potuto cadere nell’orbita tedesca37, nell’autunno-inverno le preoccupazioni degli Alleati erano quelle di uno scivolamento della penisola verso posizioni di estrema Sinistra, specie dopo le elezioni del novembre 1919 che, secondo la definizione di Maier, sancirono la fine dell’egemonia parlamentare liberale. Il crollo dello storico Partito italiano era dovuto al sopravanzare sferzante del Partito socialista, che passava da 52 a 156 deputati, e a quello popolare, che otteneva 100 eletti. L’incremento delle forze socialiste, dettato dall’industrializzazione e dall’organizzazione della manodopera agricola nel Nord d’Italia ed il conseguente spostamento del baricentro politico del Parlamento, era materia di preoccupazione non solo interna38. L’Ambasciata a Londra raccoglieva impressioni sfavorevoli: il primo commento inglese intorno al risultato delle elezioni italiane giudicava la vittoria socialista come conseguenza della «politica intransigente [di] Wilson». Riconoscendo all’Italia la necessità di vedere soddisfatte le proprie necessità, invocava dagli Alleati la «massima cooperazione» allo scopo di «scongiurare pericoli gravi»39. A Londra poi, l’agenzia Reuter avviò quella che parve, agli occhi italiani, come una campagna stampa contro il Regno. Dalla capitale inglese, l’agenzia batté la notizia secondo la quale, in seguito al risultato delle elezioni politiche, l’Italia sarebbe passata al «regime bolscevico»: il Re avrebbe così tentato il «salvataggio» della dinastia abdicando in favore del duca d’Aosta. Il Ministro degli esteri Scialoja ravvisava nella diffusione di questa notizia una «sistematica campagna» contro l’Italia, 37 Rapporto confidenziale di Sir William Tyrrel, F. O. London, oggetto: general state of feeling in Italy towards Great Britain, 12 luglio 1919, Asmae, b. 469, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Italia, f. 2, anno 1919. 38 C. Maier, La rifondazione…, cit., pp. 139-140. 39 Telegramma n. 1967 dalla Regia Ambasciata d’Italia a Londra al Ministero degli affari esteri, 17 novembre 1919, Asmae, b. 469, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Italia, f. 2, anno 1919. 136 ancor più preoccupante, date «le attinenze governative dell’agenzia»40. Nei giorni seguenti, l’Ambasciata rilevava amaramente che il telegramma della Reuter erano stato ripreso da tutti i giornali, sebbene tali «sensazionali notizie» avessero destato «più sorpresa che credito» e «grande indignazione» tra gli italiani emigrati. Benché il fatto non avesse avuto ripercussioni immediate nella City, l’Ambasciata a Londra rilevava come fosse già la seconda volta che l’agenzia Reuter, «profittando [della] sua riputazione di serietà», tentava di «toccare argomenti vicini ad ogni cuore italiano», ledendo gli «interessi regionali» della penisola41. Erano ovviamente gli interessi politici ed economici del Regno ad essere in gioco, ma anche la credibilità del Paese visto che – secondo i regi osservatori di stanza in Gran Bretagna – la stampa inglese faceva della situazione interna italiana un terreno di scoop politici, intitolando a più riprese con espressioni del seguente tenore: «Trono di Italia in pericolo» e «Abdicazione del Re»42. Ma i rumors dell’agenzia Reuter non avevano fatto breccia solo nell’opinione pubblica. Con un telegramma segretissimo, l’Ambasciatore a Londra scriveva a Nitti: Questo Sovrano [il Re d’Inghilterra] mi ha fatto testé chiedere in via strettamente personale e confidenziale notizie sull’attendibilità informazioni diffuse da […] Reuter che ho segnalato a Tittoni […] premesso desiderio di essere rassicurato specie a riferimento [a] voci concernenti persona di S.M. il Re al quale, come è noto, Re Giorgio è legato da cordiale amicizia […]43. La richiesta di informazioni da parte del Sovrano inglese aveva reso impellente una presa di posizione chiara. Non si trattava più di difendere il Regno da presunte informazioni diffamatorie ma di convincere gli Alleati che l’Italia non stava diventando una Repubblica dei Soviet. Per questa ragione, in occasione della prima riunione parlamentare all’indomani 40 Comunicazione di Scialoja, Londra a Parigi, 1 dicembre 1919, Asmae, b. 469, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Italia, f. 2, anno 1919. 41 Telegramma n. 1460 dalla Regia Ambasciata d’Italia a Londra al Mae, 26 novembre 1919, Asmae, b. 469, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Italia, f. 2, anno 1919. 42 Telegramma n. 1458 della Regia Ambasciata d’Italia a Londra al Mae, 25 novembre 1919, Asmae, b. 469, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Italia, f. 2, anno 1919. 43 Telegramma segretissimo n. 1992 riservato alla persona del Presidente del Consiglio dall’Ambasciata a Londra, 26 novembre 1919, Asmae, b. 469, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Italia, f. 2, anno 1919. 137 delle elezioni, Sforza emise un comunicato nel quale si mettevano in rilievo la solidità dell’istituzione monarchica, il consenso del popolo ai Reali ed il controllo esercitato dallo Stato sul Partito socialista: Seduta reale svoltasi entusiasmo uscita dall’aula del gruppo socialista non sollevato incidente. Lungo percorso Re Regina accolti dimostrazioni deliranti presentaronsi varie volte balcone Quirinale ringraziare innumerevole folla plaudente44. Sforza ritenne di grande importanza dare la «massima pubblicità» alla sua comunicazione in Gran Bretagna, al fine di «svolgere opera [di] propaganda» e smentire le «voci pessimistiche» e i «pregiudizi» ai danni dell’Italia45. Di uguale segno fu il telegramma di Francesco Saverio Nitti sull’apertura della venticinquesima legislatura, inaugurata – secondo la versione del neoeletto Presidente del Consiglio – «con una solenne dimostrazione di lealismo e di devozione per la Monarchia». Ugualmente nei «limiti di compostezza» e «senza alcun incidente» si era tenuta la manifestazione del gruppo socialista: l’ordine pubblico era «ottimo sotto tutti gli aspetti». La nuova legislatura iniziava «sotto auspici sereni» che davano «fede nella sua grande vittoria». Nel comunicare queste notizie a Londra, Nitti chiese espressamente all’Ambasciatore che queste fossero «sollecitamente e nella forma migliore divulgate costà a smentire voci false e tendenziose diramate da fonte interessata»46. Le indiscrezioni su un possibile scivolamento dell’Italia verso il bolscevismo dovevano essere energicamente contraddette anche se, a dire il vero, le autorità a cui competeva la sicurezza pubblica, ritenevano che in Italia permanesse una «latente agitazione» che avrebbe potuto acutizzarsi «da un momento all’altro»: era un’indicazione perentoria delle autorità quella di evitare, data «l’attenzione generale degli animi», ogni tipo di «manifestazione» che potesse compromettere seriamente «la pubblica 44 Telegramma da Sforza alla Regia Ambasciata d’Italia a Londra, oggetto: apertura Parlamento, 1 dicembre 1919, Asmae, b. 469, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Italia, f. 2, anno 1919. 45 Telegramma di Sforza alla Regia Ambasciata d’Italia a Londra, 1 dicembre 1919, Asmae, b. 469, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Italia, f. 2, anno 1919. 46 Telegramma di Nitti alla Regia Ambasciata d’Italia a Londra, 2 dicembre 1919, Asmae, b. 469, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Italia, f. 2, anno 1919. 138 tranquillità e la compagine sociale»47. Le segnalazioni di comizi o di riunioni segrete nelle quali si inneggiava alla rivoluzione, con un sapore antibellico e filobolscevico, aumentarono ulteriormente anche dopo gli scioperi di luglio, al fine di chiedere il riconoscimento della Russia e l’estinzione del debito di guerra48. Informazioni raccolte dalla censura postale davano l’Italia come la preferita tra le mete dei rivoluzionari di professione o anche di quelli, come avremo modo di vedere, costretti all’emigrazione dalla caduta della Repubblica dei Consigli ungherese. Come scrisse uno dei filobolscevichi italiani residenti all’estero e passati all’azione, Eugenio Tonello, in una lettera al fratello (che poi consegnò la missiva alle autorità), vi erano una «quantità di agenti» che si stavano preparando per partire dalla «Svizzera e l’Ungheria» e che sarebbero entrati in Italia «alla prima occasione», per attuare quel progetto di «revoluzione mondiale» progettata insieme ai russi49. Altre notizie ben rendevano il significato di quell’osservazione sulla rivoluzione latente che aveva formulato all’Ufficio di terza divisione dei Carabinieri di Bologna: alla vigilia del Natale 1919, si era dovuto «deplorare per la prima volta in Italia l’insulto, l’offesa e la brutale aggressione di Ufficiali». Biasimando l’avvenuto in una comunicazione riservatissima alla persona del Comandante della Legione dei Reali Carabinieri di Bologna, il Maggiore generale Ciccarelli definiva l’episodio come parte del «programma crudele degli elementi più sanguinari», e concludeva: 47 Nota riservata della Legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Ufficio di terza divisione ai comandi delle divisioni dipendenti, oggetto: ordine pubblico nel Paese, 17 settembre 1919, Msac, f. 289, 1913-1921, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. 48 A titolo di esempio: comizio socialista a Bagni della Porretta con deputati socialisti di Bologna, (Giovanni Martini e Vincenzo Tacirca), 23 novembre 1919; telegramma da Castiglione dei Pepoli, 15 novembre 1919; comizio elettorale socialista con Primo Guidi e vari socialisti locali a Bagni della Porretta (Bologna), 12 novembre 1919; tutti contenuti in: Msac, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 1, Comizi, conferenze, congressi, agitazioni. 49 Lettera di Eugenio Tonello al fratello, 2 dicembre 1919, Acs, Mi, Dg Ps, categoria K 1, propaganda massimalista, fasc. 20, Italia, oggetto: sottofasc. 3, agenti bolscevichi che si recano nel Regno con falsi documenti e clandestinamente, 1919-1923. Cfr. anche Regia Prefettura di Udine, n. 1769, Gab. P.s., oggetto: lettera pervenuta dalla Germania a Tonello Gio Batta, 26 dicembre 1919, ivi. 139 Così è avvenuto in Russia. Potrebbe darsi che i fatti avvenuti fossero un sintomo che si tenti di ripetere in Italia ciò che si è là verificato pagando egregiamente squadre di reduci dalla galera per tale scopo50. Il programma di infiltrazione dell’Esercito, denunciato dall’Arma sin dal 1918, pareva ora trovare una sua più compiuta affermazione. 3.2 Una «situazione rivoluzionaria latente»: le radici dell’immagine dell’Italia in bilico L’Italia si stava muovendo sul filo del rasoio, con il rischio di scivolare rovinosamente nel precipizio di una rivoluzione che ne avrebbe sancito definitivamente non solo l’orientamento politico, ma anche la forma di regime. Questa linea interpretativa pareva ormai trasversalmente condivisa in seno alla classe dirigente del Paese: la minaccia proveniente dall’Ungheria era tangibile, e solo un’azione congiunta e moderata degli Alleati nei confronti di Budapest avrebbe fatto sì che saltasse la saldatura tra le istanze insurrezionaliste interne e le infiltrazioni provenienti dall’estero. Ancora all’inizio di luglio, quando il governo di Béla Kun aveva già iniziato la propria rapida agonia, nell’ambito di un incontro del Consiglio supremo dell’Intesa, il Ministro degli Esteri Tittoni aveva sostenuto che Budapest costituiva una «serious threat» per i Paesi vicini, inclusa l’Italia. Gli inglesi avevano annuito: nelle sue prime fasi, la rivoluzione ungherese era stata persino più pericolosa di quella russa. Da sommovimento «quiet» aveva esercitato una forza di attrazione potente nei confronti delle masse, in Ungheria e non solo51. Balfour 50 Comando della divisione militare territoriale di Bologna, riservatissimo alla persona del Comandante della legione CC. RR. di Bologna, oggetto: disposizioni e previdenze per il caso di perturbamento dell’ordine pubblico, 19 dicembre 1919, Msac, f. 289, 1913-1921, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. 51 Meeting of Supreme Council: 3 p.m., I.C. 201 A, 5th of July 1919, point 2: Political and economic situation in Hungary; consideration of possible Allied military action, Document on British Foreign Policy (in seguito: Dbfp), E.L. Woodward, R. Butler (a cura di), First Series, Vol. I, 1919, pp. 14 e ss. Si noti che, nel giugno dello stesso anno, nonostante i primi colpi al regime fossero già stati messi a segno, Béla Kun non si esimeva dal pronunciare un discorso molto aggressivo nei confronti dell’esportabilità della rivoluzione nei Paesi dell’Intesa: «Questo pacifismo [dell’Intesa] è ormai morto e a noi non resta che continuare la lotta di classe con le armi in pugno e proseguire questa 140 concluse che la propaganda ungherese si era sviluppata «in the most dangerous fashion in the neighbouring countries». La situazione non accennava a migliorare e gli Alleati non potevano «sedersi e vedere l’Armistizio violato di fronte ai loro occhi». L’Intesa avrebbe perso il proprio prestigio e, cosa ancor più grave, «Central Europe was likely to lose more than prestige»52. La visione pessimista degli inglesi trovava un proprio riscontro nell’ottimismo russo: la leadership bolscevica continuava a cercare segnali di quella imminente rivoluzione europea che aveva costituito, sin dal principio, il cuore della elaborazione politicoideologica comunista. Li trovò, tra il 1919 ed il 1920, nelle «evidenti possibilità» nei contesti della Repubblica ceca e dell’Italia del Nord, nonché nelle possibili evoluzioni nel contesto inglese53. Un rapporto intitolato emblematicamente Il pericolo comunista, conservato presso l’Archivio centrale dello Stato, restituisce vividamente l’analisi delle autorità sulle possibilità concrete di un rivolgimento rivoluzionario. Il rapporto inquadrava l’Italia come un Paese accerchiato da Stati nei quali il pericolo bolscevico stava concretizzandosi: in particolare, nei Paesi dell’antica Triplice, la minaccia rossa si proponeva di divenire realtà. Proprio dalla Lega spartachista di Germania provenivano «compagni» il cui compito era «attizzare il movimento rivoluzionario, di già abbastanza forte», al fine di «provocare un’insurrezione comune e contemporanea in tutta l’Italia». I comunisti di Monaco e di Vienna – proseguiva il documento – si erano già messi in collegamento con i compagni italiani a tal fine: mezzi sarebbero stati inviati particolarmente a Firenze, Roma e Napoli, e nell’Alta Italia, ove – a Milano – avrebbe dovuto essere creata una centrale, che avrebbe rimpiazzato quella in attività a Vienna. Secondo il rapporto, dunque, il centro dei movimenti rivoluzionari euguerra rivoluzionaria […]. La nostra guerra rivoluzionaria è stata una conseguenza necessaria del pacifismo dell’Intesa, dal momento che esso consisteva molto semplicemente nella volontà di schiacciare ogni rivoluzione». Discorso di Béla Kun durante il Congresso nazionale dei Consigli, Budapest, 14-23 giugno 1919, cit. in P. Fornaro (a cura di), Béla Kun. Professione: rivoluzionario..., cit., p. 130. Sul potenziale della forza di attrazione delle rivoluzioni russa e ungherese e la risposta del proletariato italiano: P. Spriano (a cura di), A. Gramsci, Scritti politici…, cit., pp. 216-217. 52 Doc. No. 7, Notes of a Meeting of the Heads of Delegations of the Five Great Powers held in M. Pichon’s room at the Quai d’Orsay, Paris, 9th of July 1919, Dbfp, cit., pp. 38 e ss. 53 R. Service, Bolshevism’s Europe from Lenin to Stalin, 1914-’28, in S. Pons, A. Romano (a cura di), Russia in the age of wars, 1914-1945, Fondazione Feltrinelli, Milano, 2000, p. 75. 141 ropei si sarebbe spostato dall’Austria al Regno, seguendo le direttive impartite da Mosca. L’individuazione di Milano come epicentro dell’insurrezione non era casuale: all’analista parvero che vi fossero relazioni sempre più strette tra «le intenzioni dei comunisti» e «l’atteggiamento de “L’Avanti”» che, ormai da tempo, si diceva che navigasse «in acque completamente comuniste». L’analista si dilungava poi sulla necessità di un coordinamento tra i governi attaccati dal «germe comunista»: Ora, allo scopo rendere [di] possibile una lotta vittoriosa contro questi delinquenti pazzoidi e senza scrupoli, e di liberare l’umanità da tali flagelli, è assolutamente necessario che i governi si intendano fra di loro per la comune difesa. È necessario a questo scopo venire ad una reciproca difesa per scambiarsi notizie, fotografie, possibilmente anche impronte digitali, circa i principali personaggi bolscevichi e spartachisti e le loro intenzioni ed i loro piani. Ciò è tanto più urgente, dacché la loro azione per estendere alla Italia il movimento si stà già attuando54. L’autore del rapporto procedeva poi perorando la causa «del nostro povero Paese», con mezzi finanziari «meschini» e assolutamente «insufficienti per riuscire a combattere il comunismo anche al di là delle frontiere». L’attacco propagandistico rivoluzionario dei bolscevichi stranieri rendeva infatti non solo necessario, ma improcrastinabile, il reclutamento di «persone estremamente abili e fidate», che avrebbero dovuto essere «ben retribuite», destinate all’invio in alcuni Paesi confinanti e «anche in regioni più lontane» «per stabilire la presenza di persone sospette, per prevenire disordini, per scoprire congiure contro la sicurezza dello Stato e dell’umanità». L’analista concludeva: Queste sono le linee direttive alle quali si debbono attenere italiani e tedeschi, come anche austriaci, nella lotta contro il bolscevismo, che minaccia gravemente l’esistenza delle nazioni, ed attorno alla cui bandiera si è schierata in primo luogo la delinquenza di tutti i Paesi55. Il documento qui parzialmente riportato apre lo spazio per alcune riflessioni. Innanzitutto, sul tentativo di coordinamento tra le Potenze per 54 I periodi sono sottolineati nell’originale. Il pericolo comunista, s.d. (ma presumibilmente della seconda metà del 1919), Acs, cat. K1, b. 4, f. 12/bis Russia. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Guerra Europea, b. 206, f. Russia 19.29.9. 55 Ivi, p. 3. 142 contrastare la minaccia bolscevica, che fu intavolato più volte e con diversi interlocutori (in questo caso i Paesi dell’ex Triplice, ma in altri – e più di frequente – con gli Alleati) ma che, stando alla documentazione disponibile, non fu mai poi realmente sviluppato. In secondo luogo, lo sviluppo di una connessione sempre più chiara, evidente e perseguibile, tra gli intenti degli emissari e propagandisti bolscevichi e il Partito socialista, ed in particolare con alcuni esponenti chiave di quest’ultimo che da tempo erano sotto il controllo della polizia per le loro frequentazioni poco ortodosse (mi riferisco, in questa fase, soprattutto a Lazzari, Serrati e Morgari)56. Infine, elemento non certo secondario è il tono utilizzato dall’analista: un’ansia messianica per la necessità di salvare il mondo dal bolscevismo, una volontà di redenzione dal pericolo comunista, dottrina che attirava – secondo la lettura qui proposta – in primo luogo delinquenti e poco di buono, e poi fanatici, pazzi ed estremisti. Vi era la totale negazione della legittimità dell’esistenza di un comunismo italiano o straniero, considerato un elemento di ritrovo e di condivisione di elementi malsani e depravati. Alla luce di questa visione, di certo condivisa dall’anonimo lettore del Ministero degli interni, che sottolineò con vigore ampi passaggi del rapporto, appare più chiara la ragione per la quale i funzionari degli Interni accolsero con attenzione quasi spasmodica le indicazioni provenienti dagli Esteri, una vera e propria pioggia di segnalazioni riprese, malamente copiate e talvolta alterate, che davano adito all’idea che una tempesta bolscevica si stesse per abbattere su Roma. Nella percezione delle autorità, le elezioni del novembre 1919 costituivano un momento delicato che avrebbe potuto essere utilizzato dagli agitatori stranieri per il compimento dei loro propositi rivoluzionari. D’altronde, il bolscevismo diventava protagonista anche della campagna elettorale ufficiale, visto che persino Giolitti – rimessosi in campo dopo una lunga assenza dalla scena politica – era stato soprannominato, alla luce del programma proposto, il «bolscevico col Collare dell’Annunziata». Sul territorio, le agitazioni operaie e contadine scuotevano il Paese, rendendo particolarmente pericolosa e difficile da gestire una potenziale situazione insurrezionale, soprattutto a causa della diffusa detenzione ille56 Si noti che, curiosamente, non è stato possibile reperire nessun documento che citasse espressamente contatti degli emissari bolscevichi con Gramsci e Bordiga, almeno per questo periodo storico. Circa il ruolo centrale da essi giocato nella formazione del Partito comunista: P. Spriano, Significato storico della formazione del nuovo gruppo dirigente del Pci, in AA.VV., Problemi di storia del Partito comunista italiano, Editori Riuniti-Istituto Gramsci, Roma, 1971, pp. 9-30. 143 gale di armi che numerosi soldati avevano trattenuto alla fine del conflitto. A questo proposito, già sul finire dell’estate, il Ministero dell’interno aveva sollecitato le Prefetture locali e l’Arma dei Carabinieri ad eseguire «diligenti accertamenti procedendo con ogni rigore contro [i] trasgressori»57. Nonostante lo sciopero nazionale fosse ormai concluso, il permanere di una situazione insurrezionale latente indusse il Ministero di grazia e giustizia a promuovere un’azione energica per imporre la «consegna da parte dei detentori, di armi, di munizioni e di esplodenti di qualsiasi specie». Il Ministero raccomandava la «massima energia ed oculatezza» nell’espletamento delle requisizioni, concedendo anche la «facoltà d’immediata perquisizione dei locali ove, per qualche notizia od indizio», si sospettava di poter rinvenire armi o munizioni58. D’altronde, il Decreto emanato da Vittorio Emanuele III dava alle Prefetture e alle autorità di Pubblica sicurezza ampi poteri per scovare coloro che illegittimamente detenevano armi e munizioni «sottratte allo Stato o altrimenti procacciate», motivo di «grave pericolo per la incolumità dei cittadini, la sicurezza dei trasporti e la tranquillità della vita civile»59. La questione era considerata di rilievo centrale: un nuovo sollecito ai Regi Carabinieri giunse anche nel gennaio 1920, quando il Ministero dell’interno sottolineò come non tutte le autorità di Pubblica sicurezza avessero adempiuto alla disposizione di «reprimere severamente ed efficacemente ogni illegittimo possesso [di] armi e munizioni». Gli Interni sollecitavano dunque ad avvalersi «con maggior larghezza» della «facoltà [di] perquisizioni» espressamente prevista dall’articolo 7 del Regio Decreto dell’agosto 191960. Come già si era potuto evincere dalla questione 57 Prefettura di Rovigo, oggetto: denuncia armi, esplosivi etc., 6 settembre 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. 58 Procuratore del Re, Rovigo, ai Prefetti e ai Commissari e delegati di Ps, oggetto: Circa l’obbligo della denunzia e consegna delle armi, munizioni ed esplodenti, 10 agosto 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. 59 Premessa, Regio decreto n. 1360, 3 agosto 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. 60 Comando della Divisione CC. RR. Padova al Comando della Compagnia CC. RR. di Rovigo, n. 918/22, 1919, prot. Div. 3°, oggetto: illecita detenzione di armi e munizioni, 11 gennaio 1920, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, 144 della vigilanza sulle tradotte, affrontata nel precedente capitolo, anche la vicenda delle armi e munizioni illecitamente detenute costituiva una preoccupazione viva nei Ministeri romani. Diverso, evidentemente, era l’atteggiamento delle autorità locali, che soprassedevano all’applicazione del Regio Decreto, trascurando addirittura di applicare la disposizione che facilitava loro il reperimento delle armi. Il contegno, per certi versi allarmistico, mantenuto dalle autorità centrali si spiega – almeno in parte – con l’incremento dell’arrivo di comunicazioni dai Paesi stranieri, mediante le varie missioni e legazioni italiane all’estero. Secondo le fonti del Ministero degli esteri, emissari comunisti stavano giungendo dagli Stati limitrofi con intenzioni tutt’altro che pacifiche. All’inizio del mese, il Regio commissario politico a Berlino informò Roma che alcuni «noti comunisti propagandisti» intendevano recarsi in Italia «con passaporti falsi»61. La Pubblica sicurezza rilevava movimenti sospetti anche sul confine francese, ove risultavano partiti da Parigi «tre agenti bolscevichi», con l’obiettivo di «partecipare [alla] preparazione [dei] moti rivoluzionari» che sarebbero dovuti scoppiare prima delle elezioni62. Il Ministro disponeva quindi un «rigoroso controllo [su] tutti i passeggeri da oggi fino a nuovo ordine, fermando [e] respingendo tutti coloro cui documenti [avessero offerto il] minimo sospetto [di] irregolarità»63. La notizia veniva accreditata anche dal Ministro Tittoni che, con un telegramma riservato, comunicò al Presidente del Consiglio l’arrivo di questi emissari, dicendosi informato da «fonte attendibile»64. L’intervento del Ministro era rivelatore dello stato di allerta suscitato dalle notizie provenienti oltreconfine. Lo Stato aveva intenzione di reagire in modo particolarmente fermo: se Nitti aveva infatti deciso che i Prefetti avrebbero dovuto rimanere imparziali durante le elezioni (contribuendo così, indirettamente, all’avanzata del Psi e del Partito popolare), ciò non significava che le autorità avrebbero consentito l’infiltrazione di emissari che promuovevano la rivoluzione sul regio categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. 61 Telegramma riservato n. 19661 del Ministero degli affari esteri per il Regio Ministero dell’interno, Dg, Ps, 6 novembre 1919, Acs, cat. K1, b. 4, f. 12/bis Russia. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Guerra Europea, b. 206, f. Russia 19.29.9. 62 Dispaccio telegrafico n. 30857 del Ministero dell’interno, 6 novembre 1919, Acs, ivi. 63 Dispaccio telegrafico n. 30859 del Ministero dell’interno, 6 novembre 1919, Acs, ivi. 64 Telegramma n. 10515 di Tittoni a S.E. Nitti, 6 novembre 1919, Acs, ivi. 145 suolo. Il Ministero dell’interno disponeva così «urgenti categoriche istruzioni» sulla verifica dei documenti, disponendo di «trattenere tutti coloro [che fossero risultati] sospetti e non [avessero potuto] dare esauriente dimostrazione [della] loro identità personale»65. La tipologia dei destinatari dei provvedimenti (i Prefetti di Torino, Porto Maurizio, Sondrio, Como, Novara) suggeriva come il Regio Ministero temesse infiltrazioni in particolar modo dalla Svizzera, divenuta da alcuni anni una delle tradizionale basi di partenza degli emissari bolscevichi66. Anche Sforza rimetteva alla Presidenza del Consiglio analoghe informazioni, ricevute dal Regio Commissario politico a Berlino, relative alla volontà dei comunisti austriaci, tedeschi e italiani di promuovere una «azione comune per intensificare [l’]azione [della] propaganda [del] movimento insurrezionale»67. Il piano degli emissari bolscevichi, rivelato da un telegramma cifrato proveniente da Monaco e diretto a Vienna e a Passau, rispondeva al modus operandi bolscevico così come emerso dalle analisi del Ministero dell’interno e dell’Arma dei Carabinieri già nel corso del 1918. Gli agitatori, in larga parte «italiani o tedeschi già dimoranti in Italia [e] rovinati dalla guerra» avevano un duplice obiettivo: da un lato, intensificare l’agitazione tra i contadini e gli operai, dall’altro, «sobillare [le] truppe con miraggio [di] grandi guadagni»68, ottenendo così il risultato di una sollevazione congiunta da parte di operai, contadini e soldati. Queste notizie, rimodulate a più riprese e date come attendibili da tutti i soggetti coinvolti, suscitarono lo scetticismo di alcuni membri del Ministero dell’interno. Ciò spiegherebbe perché, a margine di uno dei telegrammi informativi sull’arrivo dei bolscevichi, una penna anonima scrisse a mano una nota difficilmente traducibile ma della quale si intuisce il senso. In essa si richiedevano le fotografie di questi presunti emis65 Dispaccio telegrafico del Ministero dell’interno per i Prefetti di Torino, Porto Maurizio, Sondrio, Como, Novara, 7 novembre 1919, Acs, cat. K1, b. 4, f. 12/bis Russia. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Guerra Europea, b. 206, f. Russia 19.29.9. 66 In questa direzione andava la lettera di Eugenio Tonello al fratello Giovanni Battista, portata all’attenzione delle autorità pubbliche da quest’ultimo, secondo la quale elementi spartachisti, in accordo con quelli leninisti, avevano deciso di inviare tramite il confine svizzero «molti agenti rivoluzionari in Italia» allo scopo di «determinare gravi movimenti politici». Comunicazione del Prefetto Masi, telegramma cifrato n. 12851, 23 dicembre 1919, Acs, ivi. 67 Telegramma n. 19762 di Sforza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, 8 novembre 1919, Acs, ivi. 68 Telegramma n. 19762 di Sforza al Regio Ministero dell’interno, Dg, Ps, 9 novembre 1919, Acs, ivi. 146 sari, per evitare di seguire piste fasulle, le «solite vaghe notizie» che non aiutavano nella ricostruzione realistica di una situazione particolarmente complessa69. La riflessione ebbe qualche conseguenza. Il capitano Francesco De Luca, Ufficiale della Missione militare italiana a Berlino e distaccato a Monaco di Baviera, fu chiamato ad inviare immediatamente le fotografie dei sospetti emissari e le «notizie urgenti» sui movimenti bolscevichi70. Il Capitano riferì che le indagini da lui condotte avevano avvalorato l’esistenza di «complotti» da parte dei comunisti bavaresi, aventi come scopo l’invio «in Italia [di] un certo numero di affiliati per fare propaganda delle idee comuniste». Il Capo della Missione militare italiana, il brigadiere generale Bencivenga, aveva dunque disposto che le informazioni circa le necessarie «misure di protezione» e la segnalazione dell’avvenuta partenza «di qualche individuo pericoloso» fossero immediatamente riferite a Roma71. In realtà, il rapporto di De Luca aveva irritato le autorità civili: come nel caso di Romanelli, anche se in misura minore, le azioni dei militari venivano giudicate come ingombranti, più che di aiuto, dalle alte sfere. Così il Ministero dell’interno, lamentando delle «false interpretazioni», del «rinnovarsi di errori» e di «abusi lamentati», ritenne indispensabile mettere in chiaro che la gestione del flusso degli stranieri, soprattutto se sospetti, rimaneva di «esclusiva competenza» degli «agenti diplomatici o consolari» e che il ruolo dei militari era unicamente quello di «utile controllo al fine di respingere al di là della zona di armistizio o della frontiera» i sospetti muniti di falso passaporto72. Le diatribe in seno allo Stato non favorivano né una lucida e ragionata visione d’insieme circa la questione dell’arrivo di emissari in vista 69 Nota a margine, manoscritta e di difficile comprensione, telegramma riservato n. 19661 del Ministero degli affari esteri per il Regio Ministero dell’interno, Dg, Ps, 6 novembre 1919, Acs, cat. K1, b. 4, f. 12/bis Russia. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Guerra Europea, b. 206, f. Russia 19.29.9. 70 Telegramma n. 30421 del Ministero degli affari esteri per il Regio Ministero dell’interno, Dg, Ps, 22 novembre 1919; telegramma n. 30477 del Ministero degli affari esteri per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Regio Ministero dell’interno, Dg, Ps, 23 novembre 1919, entrambi in Acs, ivi. 71 Comunicazione del brigadiere generale Bencivenga, capo della Missione militare italiana in Germania, al Comando della 6° Divisione di Fanteria, novembre 1919, trasmessa con riservata personale dal Comando della 6° Divisione di Fanteria al Comandante della zona di Trento, al Governatore della Venezia Tridentina, al Ministero dell’interno e della guerra, 25 novembre 1919, Acs, ivi. 72 Telegramma n. 36691 urgente del Ministero dell’interno, 27 novembre 1919, Acs, ivi. 147 delle elezioni del novembre 1919, né la risposta nei confronti della minaccia interna. Fu così che, alla fine di novembre, le segnalazioni circa gli emissari conobbero una svolta. Diverse comunicazioni provenienti dal Ministero degli esteri davano come prossimo l’arrivo di alcuni «capi del Partito comunista ungherese», «forniti di somme considerevoli» e aventi l’intento di «provocare scioperi e disordini in Italia»73. Un’altra fonte riferiva che, «per mezzo di corrieri dei Sowiets», erano state introdotte in Italia «grosse somme di denaro per i comunisti italiani»74. L’allarme era tale da indurre il Ministro dell’interno a ordinare «la massima vigilanza» sulla frontiera, disponendo che venissero fermati gli «stranieri sospetti anche se muniti [di] passaporti apparentemente regolari»75. Tra questi, figurava un certo Giuseppe Bogliano, proveniente da Milano, conosciuto per i suoi servizi da corriere «per conto degli agitatori bolscevichi»76 tra la Lombardia, Zurigo e Berna77. Il Regio Ministro a Varsavia confermò la notizia: i bolscevichi avevano «bisogno assoluto di una prossima pace» ed erano così intenzionati a sferzare il colpo finale ai Paesi dell’Intesa, in modo che le classi popolari si potessero sollevare contro i propri governanti ed indurli ad adottare una politica positiva nei confronti di Mosca. Gli agitatori erano destinati ad essere inviati in «tutti i Paesi d’Europa e dell’America», facendoli passare come inviati del Generale dell’Armata bianca Denikin e «munendoli di passaporti tolti ad Ufficiali fucilati»78. La Direzione generale di Pubblica sicurezza del Ministero dell’interno sviluppò così alcuni dossier personali su individui 73 Telegramma n. 30310 del Ministero degli affari esteri per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Regio Ministero dell’interno, Dg, Ps, 24 novembre 1919, Acs, cat. K1, b. 4, f. 12/bis Russia. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Guerra Europea, b. 206, f. Russia 19.29.9. 74 Comunicazione del Maggiore Capo S.M. D’Avanzo, cit. 75 Dispaccio telegrafico n. 33725 del Ministero dell’interno, 22 novembre 1919, Acs, ivi. 76 Espresso del Ministero dell’interno per la Questura di Milano, 29 novembre 1919, Acs, ivi. 77 Comunicazione del Maggiore Capo S.M. D’Avanzo, trasmessa con riservata personale dal Comando della 6° Divisione di Fanteria al Comandante della zona di Trento, al Governatore della Venezia Tridentina, cit. 78 Telegramma n. 31626 del Ministero degli affari esteri per il Regio Ministero dell’interno, Dg, Ps, 16 dicembre 1919; espresso n. 38499 del Ministero dell’interno per i Prefetti, 27 novembre 1919, entrambi in Acs, ivi. 148 che si erano recati nel Regno con espresse intenzioni agitatorie, in vista delle elezioni del novembre 191979. Talvolta, i fascicoli personali erano basati su segnalazioni inattendibili da fonti ritenute, in una prima istanza, affidabili. A partire dal 1919’20, e ancor di più nei due anni seguenti, l’insofferenza nei confronti di presunti fiancheggiatori di bolscevichi emerse nella società italiana e anche tra le fila dei funzionari del Ministero dell’interno, che – sulla scorta del fiume di indiscrezioni circa le infiltrazioni bolsceviche in Italia e la presunta centralità che il Nord Italia avrebbe assunto nelle intenzioni dei russi – cominciarono ad osservare con sempre maggiore sospetto ogni cittadino dell’ex Impero zarista. Fu questo il caso di Michail Kobylinskij, medico e informatore politico. Kobylinskij, con il grado di Maggiore medico, ricopriva la cattedra di clinica psichiatrica all’Università di Genova. Nel 1917, su incarico del Comando italiano, il medico aveva accompagnato la delegazione del Soviet giunta in Italia in missione diplomatica. Kobylinskij aveva seguito i delegati russi anche durante gli incontri con Morgari e Romita, a Torino e poi a Roma, ove si tenne un lungo incontro, presso la sede del Psi, con alcuni influenti membri della Direzione socialista, fra i quali Treves, Modigliani, Prampolini, Morgari e Maffi, nonché con rappresentanti del Comitato direttivo della Cgl D’Aragona e Reina e successivamente, nella stessa serata, con una delegazione dell’Unione sindacale italiana capeggiata da Armando Borghi80. Nonostante questo suo impiego quale informatore intorno alla situazione dei bolscevichi russi in Italia e in Europa per il Ministero degli affari esteri e per la Presidenza del Consiglio, già nel gennaio 1919 iniziarono a sorgere dubbi circa la sua fede politica: tuttavia, le prime perquisizioni nella casa che condivideva con la moglie, «legata da intima amicizia con stranieri indiziati di spionaggio», non diedero 79 Si noti che una notizia analoga era stata raccolta anche dalle autorità inglesi a Berna, ove era stata rinvenuta una circolare bolscevica nella quale – annunciando come prossimo uno sciopero per il 7 novembre – si affermava che non si sarebbe trattata di una sola giornata di protesta, «but as the commencement of a general revolutionary movement, the plans of which will be elaborated by the executive committee of the Third International». Pamphlets dal contenuto simile erano stati rinvenuti anche in Francia ed in Italia. Cfr. Mr. Russel (Berne) to Earl Curzon, 25 ottobre 1919, doc. 209, Dbfp, 1919, vol. V, p. 750. 80 A. Venturi, Rivoluzionari russi in Italia…, cit., pp. 91-96. 149 nessun risultato81. Ma non per questo vennero meno i sospetti sulla sua persona. In una nota manoscritta del Ministero degli interni, intorno al tema della presenza di emissari politici bolscevichi, si raccomandava di ricercare questi ultimi tra i russi residenti in Italia, in special modo quelli che erano vicini all’Ambasciata a Roma, e tra i prigionieri russi, «già concentrati in Austria», che volendo rientrare in Russia o in Ucraina richiedevano il permesso di passare attraverso l’Italia. In questa analisi, compariva – sorprendentemente – il nome del medico: «Costoro sono veri e propri agitatori bolscevichi come ad esempio, il capitano Dott. Kobylinskij, attualmente alla Legione czeco-slovacca, è da antica data rivoluzionario di carattere internazionalista e socialista»82. Questa era, in effetti, parsa la ragione del suo allontanamento dall’Italia. Tuttavia, prove a carico del Kobylinskij continuavano a non essere presentate. Sempre che si escludessero le denunce di un tale Lismondi, disertore arrestato a Genova alla fine del 1918. Il Lismondi sosteneva di aver partecipato ad una riunione di bolscevichi a Parigi, alla quale avrebbero preso parte, tra gli altri, anche Oddino Morgari, «un certo Longo»83, ed un russo chiamato Burstraeff, più probabilmente Vladimir L. Burcev, Direttore di «Obščee Delo», un giornale antibolscevico con base a Parigi84. Quest’ultimo era stato presentato da Kobylinskij come un soggetto «amico dell’Intesa», poiché aveva dichiarato «di voler cooperare a scoprire gli agenti dei bolscevichi». Secondo le indiscrezioni di Lismondi, tuttavia, Burcev era impegnato nel tentativo di «far sollevare la rivoluzione in Italia e in Francia contemporaneamente». La compromissione della sua figura, secondo le pubbliche autorità, inevitabilmente metteva in cattiva luce anche quella del Kobylinskij85. In una nota del dicembre 1918, il Comando supremo stroncò quest’analisi. Il giornale di Burcev era infatti stato sovvenzionato dal governo di Francia, ove trovava appoggio presso il Capo gabinetto della Sureté Nationale, certo difficil81 Nota del dirigente generale della Pubblica sicurezza al Gabinetto del Ministro, 5 gennaio 1919, cit. in www.russinitalia.it, dizionario dei russi in Italia, voce Michail Lazarevič Kobylinskij (consultato il 21 maggio 2015). 82 Nota manoscritta senza autore, 24 novembre 1919, Acs, Ministero dell’interno, Dg, Ps, Aff. Gen., Ristru, 1920, A 11, b. 11, fasc. 245. 83 Difficilmente si poteva trattare di Luigi Longo, noto partigiano e infine segretario del Partito comunista italiano negli anni Sessanta: A. Höbel, Luigi Longo, una vita partigiana (1900-1945), Carocci, Roma, 2013, pp. 25-26. 84 A. Venturi, Rivoluzionari russi in Italia…, cit., pp. 110-111. 85 Nota manoscritta, 26 novembre 1918, Acs, Ministero dell’interno, Dg, Ps, Aff. Gen., Ristru, 1920, A 11, b. 11, fasc. 245. 150 mente sospettabile di bolscevismo86. Con una velocità sorprendente, la nota del Comando supremo cambiò radicalmente la situazione del Kobylinskij: da possibile fiancheggiatore dei bolscevichi, a cavaliere. All’Ufficio riservato della Pubblica sicurezza, giunse infatti la richiesta di parere circa la concessione di «onorificenza cavalleresca» al Kobylinskij, rispetto alla quale la Prefettura di Genova aveva già dato parere positivo87. Il rapporto che il Ministero dell’interno confezionò per questa occasione ben rende la situazione di massima incertezza che riguardava i personaggi sospettati, la cui definizione oscillava tra gli estremi di bolscevico pericoloso e quello di antibolscevico militante. Secondo la relazione, nel luglio del 1917 il Kobylinskij godeva della massima fiducia del Ministero degli affari esteri, che gli accordò ogni sorta di facilitazioni per il suo viaggio di accompagnamento al fianco di De Ambris e della delegazione russa88. La situazione era cambiata quando il Servizio informazioni del Comando supremo aveva inviato alcune notizie relative a certi emissari bolscevichi che si accingevano a recarsi in Italia, inserendo nell’elenco anche il nome del nostro. Il Capitano, definito quindi un «rivoluzionario di carattere internazionalista e socialista», era stato prontamente allontanato dall’Italia e inviato a Praga. Il rapporto concludeva che la sua funzione di accompagnatore della delegazione dei Soviet non provava la sua fede bolscevica (e, d’altronde, come avrebbe potuto, visto che – dalla documentazione – pareva più che altro essere un agente governativo?)89. A distanza di alcuni mesi, il Sottosegretario di Stato del Ministero degli affari esteri, Marco Di Salluzzo Di Paesana, presentò il Kobylinskij al Direttore generale della Pubblica sicurezza Giacomo Vigliani, come un «valentissimo medico», «distinto nostro combattente parecchie volte decorato per il suo valoroso contegno in guerra» e latore di «comunicazioni riservatissime» destinate al dirigen86 Nota del Comando supremo sul capitano Kobylinskij, 19 dicembre 1918, Acs, Ministero dell’interno, Dg, Ps, Aff. Gen., Ristru, 1920, A 11, b. 11, fasc. 245. 87 Appunto per la Direzione generale della Pubblica sicurezza, Ufficio riservato, 30 dicembre 1918, Acs, Ministero dell’interno, Dg, Ps, Aff. Gen., Ristru, 1920, A 11, b. 11, fasc. 245. 88 De Ambris mostrò la propria fiducia nel governo provvisorio russo durante la visita della delegazione bolscevica. Sulle valutazioni del Direttore del «Rinnovamento» intorno alla rivoluzione russa, si veda: G.B. Furiozzi, I sindacalisti rivoluzionari italiani tra Kerenskij e Lenin, «Clio», Vol. 36 n. 4 (ottobre-dicembre 2000), anno XXIV, p. 675 e p. 684. 89 Nota n. 45818 del Ministero dell’interno, 5 gennaio 1919, Acs, Ministero dell’interno, Dg, Ps, Aff. Gen., Ristru, 1920, A 11, b. 11, fasc. 245. 151 te90. In effetti, nel corso dell’anno, Kobylinskij non aveva mancato di informare la Presidenza del Consiglio dei movimenti febbrili dei rivoluzionari russi. Secondo le indiscrezioni raccolte, l’Italia stava divenendo il nuovo centro di attività dei bolscevichi: da Genova, questi si potevano «irradiare» verso la Spagna, mentre Venezia era divenuta il «centro più importante per austriaci, cechi, romeni, jugoslavi». Secondo le informazioni raccolte, grazie al sostegno di alcuni deputati simpatizzanti, in Italia si stava procedendo alla formazione di «gruppi di combattenti spartachiani»91. Il Maggiore riferiva poi che gli agenti erano muniti di «grosse somme», potendo usufruire di «biglietti italiani falsi» provenienti da Lugano, e che stavano trattando per «acquistare giornali, anche a tipo borghese». L’attività rivoluzionaria – secondo la ricostruzione del medico militare – si sarebbe avvalsa della collaborazione dei prigionieri russi per valersene come «primi combattenti bolscevichi». Infine, riferiva Kobylinskij, si confermava l’attività sovversiva di Vodovozov, collaboratore de «L’Avanti» e ben connesso ai circoli socialisti tramite la figura di Bombacci, già soggetto di un provvedimento di espulsione dal Regno per attività sovversiva di propaganda leninista92, in quel momento in partenza con il leader socialista per Copenaghen per fini «tutt’altro che commercial[i]»93. La nota di Sforza che riepilogava le informazioni di Kobylinskij dirette a Nitti, si concludeva con una riflessione del conte: Questa la somma delle informazioni di Kobylinskij; si dovrebbero ritenere come una prova di più dell’inesattezza delle notizie pervenute da altre fonti a 90 Comunicazione del Sottosegretario di Stato del Ministero degli affari esteri, Marco Di Salluzzo Di Paesana, al Direttore generale della Pubblica sicurezza Giacomo Vigliani, 26 ottobre 1920, Acs, Ministero dell’interno, Dg, Ps, Aff. Gen., Ristru, 1920, A 11, b. 11, fasc. 245. 91 Va sottolineato che le ricerche condotte sul deputato Misano, presunto principale punto di riferimento nelle alte sfere di tali attività sovversive, non ha dato alcun esito. 92 A. Venturi, L'emigrazione russa in Italia…, cit., pp. 82-83. 93 Si noti che Copenaghen fu uno dei principali centri della rete di propaganda bolscevica in Europa. A questo proposito, si vedano le rassicurazioni del governo danese, dirette a quello inglese, in merito all’intervento di prevenzione della diffusione della propaganda dalla capitale del Nord Europa: Lord Kilmarnock (Copenhagen) to Earl Curzon, telegramma n. 1444, 7 agosto 1919, doc. 357, Dbfp, 1919, vol. III, p. 472; si veda anche: Sir C. Marling, Minister at Copenhagen to Earl Curzon, 7 luglio 1919, doc. 12, Dbfp, 1919, vol. V, pp. 18-19. 152 V.E. sullo essere bolscevizzante, informazioni giuntele quando io lo proponevo per un viaggio di contatti in Russia94. Se Kobylinskij, pur essendo rimasto vittima dei contrasti tra il potere politico e quello militare, vantava alte coperture e, nel 1920, la sua situazione poteva dirsi ormai assicurata, lo stesso non poteva dirsi per un altro personaggio che, dal 1918 al 1921, turbò i pensieri delle autorità di Pubblica sicurezza: Aleksandr Nikolaevič Erlich. In Italia dal 1910, Erlich – regolarmente coniugato ad un’italiana – nel 1918 fu incluso dalla Questura di Roma tra i 41 russi residenti nella capitale «da considerarsi tra i più attivi propagandisti del nuovo regime rivoluzionario russo e quindi pericolosi nell’attuale momento alla sicurezza e all’ordine pubblico del nostro Paese»95. Secondo il rapporto prefettizio, la capitale era uno dei centri più attivi di propaganda bolscevica sul regio suolo: tra i 110 residenti a Roma, ben 41 appartenevano al Partito leninista96. Tra questi, figurava anche il nome di Erlich assieme a quello del già citato Michail Vodovozov, suo «compagno inseparabile»97. Le sue frequentazioni poco ortodosse portarono ben presto Erlich ad essere segnalato dalle autorità per un provvedimento di espulsione. La sua vicenda, tuttavia, non si risolse così semplicemente. La sua pratica ci offre dunque un punto di vista privilegiato per formulare due osservazioni: in primo luogo, si può rilevare come, con tutta probabilità, questi personaggi – pur invisi da parte delle autorità – non fossero completamente esenti da relazioni che li tutelavano dai provvedimenti presi a loro carico; in seconda battuta, appare evidente l’esistenza di una sovrapposizione tra va94 Telegramma n. 3559 di Sforza per S.E. Nitti, Presidente del Consiglio, 23 marzo 1920, Acs, Ministero dell’interno, Dg, Ps, Aff. Gen., Ristru, 1920, A 11, b. 11, fasc. 245, p. 2. 95 Acs, Mi, Dg, Ps, cat. J5, b. 115, Ufficio centrale d’investigazione (di seguito Uci) 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. Il Prefetto di Roma rilevava come ben 41, tra i russi residenti a Roma, fossero afferenti al Partito leninista. Cfr. anche il sito: www.russinitalia.it, dizionario dei russi in Italia, voce Aleksandr Nikolaevič Erlich (consultato l’11 aprile 2015). Si noti come, al contrario la Questura di Milano non avesse nulla da segnalare circa la sua condotta morale e politica. Cfr. comunicazione dal rapporto inviato alla Sezione R il 7 giugno 1918 n. 2098/2407, s.d.; telegramma n. 2098/2407 del Questore di Milano, 1 giugno 1918, entrambi contenuti in: Acs, Mi, Dg, Ps, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 96 Nota del Ministero dell’interno, oggetto: Erlich Alessandro, s.d., Acs, Mi, Dg, Ps, cat. J5, b. 115, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 97 Stralcio della Ministeriale 6/8/1918, n. 28784, diretto alla Questura di Roma, Acs, Mi, Dg, Ps, cat. J5, b. 115, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 153 ri organi dello Stato che determinava una caotica ignoranza circa l’attività degli emissari bolscevichi di stanza in Italia da lungo tempo. Nell’agosto 1918, l’Erlich venne indicato dalla Prefettura di Roma come un «attivissimo propagandista rivoluzionario», «capace di atti disfattisti», «affiliato al Partito anarchico» e «difensore strenue delle teorie bolsceviche». La sua partecipazione a riunioni notturne con partecipanti altrettanto sospetti lo rendeva un buon candidato per l’espulsione: le autorità prefettizie avevano già proposto una volta la traduzione dell’Erlich in Spagna via Genova, parere reiterato anche sul finire dell’estate 191898. Il Ministero degli interni propose dunque Erlich per l’espulsione, ritenendolo un «pericolosissimo massimalista»99, ottenendo il parere favorevole degli Esteri100: l’Interno diede dunque luogo all’ordine di espulsione nel settembre del 1918101. Erlich era quindi in attesa di essere tradotto in Spagna102, quando giunsero disposizioni che sospendevano il provvedimento dal Sottosegretario di Stato per l’Interno103. Dopo averlo definito una delle menti del bolscevismo straniero in Italia, improvvisamente un anonimo funzionario del Ministero degli interni accettò la delucidazione offerta da Konstantin Ketov, un giornalista rivoluzionario (sic!), che definì Erlich «una brava persona, molto amante dell’Italia», «contro i bolscevichi». Il rapporto dunque concludeva: «Non risulta da vigilanza ed informazioni che l’Erlich faccia del bolscevismo»104. Un anno dopo, agli occhi della Questura di Roma, Erlich era tornato il rivoluzionario di sempre. Nonostante avesse 98 Comunicazione della Prefettura di Roma per il Ministero dell’interno, Dg, Ps, Ufficio riservato, 12 agosto 1918, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 99 Relazione n. 35352 del Ministero dell’interno, 11 settembre 1918, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 100 Circolare n. 32588 riservata urgente del Ministero dell’interno al Ministero degli affari esteri, oggetto: Erlich Alessandro, 29 agosto 1918; telegramma n. 39332 di risposta del Ministero degli affari esteri, 9 settembre 1918, entrambi in: Acs, Uci, 19161919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 101 Ministero dell’interno, s.d. (ma con tutta probabilità databile a metà settembre 1918); circolare n. 35352 del Ministero dell’interno, oggetto: Erlich Alessandro, proposta di espulsione, 11 settembre 1918; entrambi in Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 102 Ivi. 103 Circolare del Ministero dell’interno, 3 ottobre 1918, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 104 Nota n. 1662/3968, oggetto: Erlich, russo sospetto di bolscevismo, 18 dicembre 1918, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 154 beneficiato dell’avvenuta sospensione del provvedimento di espulsione, il russo aveva proseguito «senza tregua a manifestare le proprie teorie estremiste, prendendo parte attivissima a tutte le riunioni che i suoi connazionali rivoluzionari saltuariamente [avevano] tenuto presso la sala di lettura di via delle Colonnette e nell’abitazione del Vodovosoff [Vodovozov] Michele»105: Risulta da fonte ineccepibile che l’Erlich d’accordo col Vodovosoff [Vodovozov], durante le ultime agitazioni pel caro viveri e per lo sciopero politico del 20 e 21 luglio u.s. abbia attivamente lavorato per tenersi al corrente della situazione, rilevando, a suo dire, la vergogna del popolo italiano di non aver voluto aderire allo sciopero generale, lamentando la insufficienza mentale negli italiani per fare la vera rivoluzione e dimostrandosi addolorato dell’abbandono del popolo da parte dei deputati estremisti, i quali parlano di rivoluzione senza averne l’animo e il polso e non seppero camuffare a tempo lo sciopero politico col caroviveri per giungere in tal modo alla rivoluzione106. Come nel caso dei Wax, ricostruito nel primo capitolo, anche per Erlich valevano i pregiudizi tipici della morale dell’Italia liberale: mentre era sospetta l’assenza di una «stabile occupazione», come è possibile rilevare dalla citazione qui riportata, giocavano un certo ruolo i preconcetti nei confronti di questi esuli russi che, pur godendosi la vita nel Regno, si permettevano di criticare i suoi sudditi. Alla luce di queste considerazioni, dettate più dalla morale che dall’esistenza di prove, si concludeva che Erlich e Vodovozov fossero, «con tutta probabilità», «agenti» «del bolscevismo»107. Nel gennaio 1920, la Questura rinnovò la proposta di espulsione dal Regno: Erlich era definito come un emissario «attivissimo, intelligente ed istruito, specie nell’arte meccanica», fattori che lo rendevano «maggiormente pericoloso alla sicurezza pubblica». In aggiunta, egli era «in continua relazione coi correligionari italiani e con 105 Circolare n. 10967 della Questura di Roma per il Ministero degli Interni, oggetto: Erlich Alessandro, 14 agosto 1919, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 106 Ivi. 107 Comunicazione della Questura di Roma per il Ministero degli Interni, oggetto: Erlich Alessandro, 1 dicembre 1919, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. Alessandro Erlich non è da confondere con G.M. Erlich, rappresentante del Bund, l’organizzazione socialdemocratica ebrea su posizioni mensceviche, presso il Comitato esecutivo del Soviet di Pietrogrado. A. Venturi, Rivoluzionari…, cit., p. 9495. 155 i membri della Direzione del Partito socialista ufficiale»108. Le autorità parvero allora reagire con decisione: «in considerazione dell’attuale situazione politica», si decideva dunque per «lo sfratto» di Erlich, a causa del suo tentativo di «svolgere azione sovversiva in rapporto con quella delle personalità più estreme dei nostri Partiti»109. Si dava dunque esecuzione immediata al provvedimento che riguardava anche il compagno Michail Vodovozov. Tuttavia, sorprendentemente, nel giorno della partenza per il confine del Tarvisio, gli Interni comunicarono al Prefetto di Udine di consentire il rientro di Erlich nella capitale110. Una nota alle autorità locali da parte del potente Quaranta, capo della Pubblica sicurezza, non ne spiegava le ragioni e affermava solo, laconicamente: «Pregasi farlo ritornare Roma presentarsi questa Questura»111. Data l’indicazione di Quaranta, Erlich – che aveva passato la frontiera del Tarvisio, diretto a Vienna112 – fu richiamato in Italia: tuttavia, poiché le comunicazioni da Udine avevano un certo ritardo, un dispaccio telegrafico firmato dal Ministro dell’interno sollecitò il Prefetto di Udine a rendere nota la sorte di Erlich113. Alla risposta dell’autorità locale che riferiva di non sapere ove fosse il russo114, Quaranta rispondeva personalmente: «Qualora sentito russo Erlich […] trovisi ancora costà pregasi avvertirlo che può rientrare Regno»115. In seguito a vane ricerche, dopo circa un mese finalmente il Prefetto di Udine, Masi, riuscì ad offrire qualche spiegazione a Roma: Erlich era rientrato nel Regno diretto nella 108 Comunicazione della Questura di Roma n. 10967 per il Ministero degli Interni, oggetto: Erlich Alessandro, 16 gennaio 1920, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 109 Comunicazione del Ministero degli Interni, s.d., Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 110 Comunicazione del Ministero degli Interni,18 gennaio 1920; comunicazione del Ministero degli Interni n. 1404, 21 gennaio 1920, entrambe in: Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 111 Nota di Quaranta per il Prefetto di Udine, 17 gennaio 1920, Acs, Uci, 19161919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 112 Fonogramma n. 8274 del Questore di Roma Mori, 22 gennaio 1920, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 113 Dispaccio telegrafico del Ministero dell’interno per il Prefetto di Udine, 24 gennaio 1920, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 114 Telegramma n. 1939 dalla Prefettura di Udine per il Ministero dell’interno, 24 gennaio 1920, dispaccio telegrafico del Ministero dell’interno per il Prefetto di Udine, 24 gennaio 1920, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 115 Dispaccio telegrafico di Quaranta per il Comando CC. RR. Tarvisio, 26 gennaio 1920, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 156 capitale con un foglio di via, all’inizio del febbraio 1920116. La Questura capitolina, nel pieno dello sconcerto, confermò che il propagandista aveva ripreso residenza a Roma: Senza alcun preavviso da parte Autorità è qui giunto 12 corrente proveniente dall’Austria via Tarwis noto suddito russo testé espulso Regno ERLICH ALESSANDRO, che ha dichiarato aver ricevuto permesso rientrare in Italia dall’Arma CC. RR. di Tarwis direttamente interessata da codesto Ministero. […] Sul suo conto è stata riattivata conveniente vigilanza117. Una anonima nota manoscritta degli Interni spiegava che, effettivamente, il suddito russo era stato autorizzato a rientrare nel Regno, senza aggiungere ulteriori dettagli. Alessandro Venturi ha spiegato questi continui rivolgimenti accettando la versione proposta da «Il Tempo» e avvalorata anche dallo «Obščee Delo», secondo la quale la sospensione del provvedimento era stata ottenuta grazie all’intercessione di alcuni socialisti, in particolare i noti Morgari e Della Seta, durante un colloquio con il Segretario della Presidenza del Consiglio, secondo una prassi ormai consolidata che portava i russi colpiti da atti amministrativi a rivolgersi a deputati socialisti influenti per il tramite dell’Ambasciata russa118. La ricostruzione è in parte suffragata dal già citato riferimento al Sottosegretario degli Interni che inviò il provvedimento; va tuttavia sottolineato come la documentazione primaria reperita non consenta, allo stato attuale, di sciogliere il nodo con certezza. La vicenda di Erlich dimostra comunque assai chiaramente come gli esuli russi di un certo spessore potessero vantare degli appoggi a un livello elevato delle autorità italiane, certamente per il tramite dei socialisti119. 116 Telegramma n. 2277 del Ministero dell’interno, 14 febbraio 1920, dispaccio telegrafico del Ministero dell’interno per il Prefetto di Udine, 24 gennaio 1920, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 117 Lettera espressa della Questura di Roma n. 10967 al Ministero dell’interno, 18 febbraio 1920, dispaccio telegrafico del Ministero dell’interno per il Prefetto di Udine, 24 gennaio 1920, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 118 A. Venturi, Rivoluzionari russi in Italia…, cit., p. 127. 119 Agli occhi dell’opinione pubblica, questo tratto dovette sembrare un elemento a sostegno dell’incapacità governativa di fronteggiare la minaccia proveniente dall’esterno, con la complicità dei sovversivi italiani. Un giudizio severo sul governo Nitti intorno al mancato ruolo da moderatore delle parti sociali, si ritrova in: R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo: l’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma, Bologna, vol. 2, il Mulino, 1991, pp. 556-559. 157 Il 1° maggio del 1920, il Ministero dell’interno sancì un ulteriore decreto di espulsione ai danni di Erlich che, tuttavia, non venne nuovamente eseguito. Anche in questo caso, nessuna spiegazione fu data: una sola laconica frase, «sospeso per ordine superiore»120, impressa a matita sul decreto stesso, definì la sorte dell’Erlich. Nel corso dello stesso mese, il propagandista venne segnalato in piena attività, nuovamente a Roma, mentre riceveva «varie persone appartenenti ai Partiti estremi»121. Lasciamo dunque l’Erlich mentre continua appieno la propria attività sovversiva in modo assolutamente non clandestino, e sotto il controllo (o l’egida?) di alcuni esponenti politici, attività che non cesserà nemmeno negli anni Trenta, quando – presumibilmente da Berlino – avrebbe continuato ad occuparsi del sostegno al movimento comunista in Italia122. Diversa fu invece la sorte delle segnalazioni di due sospetti, Mardho Heller e tale Jacques Rubinovitch, poi identificato come Akim Rabinowitz,123 entrambi meccanici e provenienti da Ancona, giunte 120 Comunicazione n. 5453 del Ministero dell’interno per il Prefetto di Roma, 1 maggio 1920, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 121 Comunicazione n. 7021 della Questura di Roma al Ministero dell’interno, 30 maggio 1921, Acs, Uci, 1916-1919, b. 109, fasc. 3568, Erlich Alessandro. 122 A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie…, cit., pp. 266-267. Si noti come, contestualmente, l’atteggiamento delle autorità francesi nei confronti di uno dei principali rappresentanti all’estero dei bolscevichi, Litvinov, fosse stato radicalmente differente. Il Ministro degli esteri francese Millerand aveva, infatti, esercitato delle pressioni sul collega svedese affinché adottasse un provvedimento di espulsione nei confronti di Litvinov per aver istituito, a Copenaghen, un centro di propaganda rivoluzionaria. Cfr. M. Millerand, Ministre des Affaires Etrangeres, à M. Claudel, Ministre de France à Copenhague, 28 agosto 1920, doc. 407, Ministère des Affaires étrangères, Documents diplomatiques français (di seguito Ddf), 1920, tome II, (19 mai-23 septembre), p. 523. Anche il governo francese si mosse in questa direzione, invitando il governo danese ad espellere Litvinov in quanto «his revolutionary activities constitute a danger to Europe in general and France in particular». Cfr. Telegraphic n. 689 from Mr. Grant Watson (Copenhagen) to Earl Curzon, doc. 764, Dbfp, 1920, vol. XII, p. 766. 123 Si noti che in parte della documentazione Heller viene identificato come Heiler. Heller, noto agli italiani come Chiarini, era uno studente che si trovava in Italia sin dal 1916: Gramsci lo riteneva un personaggio come poco capiva le «quistioni generali», e il socialista di Firenze Pieraccini lo considerava persino una «spia». Cfr. A. Venturi, Rivoluzionari in Italia…, cit., pp. 238-239. Riguardo a Rubinovitch- Rabinowitz, difficilmente si sarebbe potuto trattare del vecchio socialista rivoluzionario Rubanovič, che aveva collaborato con Vovovosov alla formazione della colonia russa di Parigi. Ivi, p. 83. Nel volume di Accattoli sulle spie russe nelle fonti del Ministero degli esteri, compare solo un Isaak Moiseevič Rabinovič, che risulta essere però uno scenografo che poco pareva 158 all’attenzione della Prefettura di Bari nel dicembre 1920. Secondo le dichiarazioni da essi rilasciate, i due erano diretti ad Alessandria d’Egitto per poi proseguire verso la Palestina, alla ricerca di un lavoro. La Prefettura di Bari li aveva trattenuti perché avevano partecipato, il 17 dicembre, a una «riunione segreta» della locale Camera del lavoro, nel corso della quale avevano ricevuto il sostentamento economico necessario a svolgere la propria attività propagandistica grazie ad una colletta tra gli astanti124. Il Rubinovitch era stato poi trovato in possesso di una lettera di raccomandazione di un certo Conti, di Castellammare Adriatico, diretta ad Enrico Meledandri, il Segretario della Camera del lavoro di Bari, nella quale Rubinovitch e Heller erano presentati come «comunisti russi e meritevoli perciò di aiuto»125. Nel corso dell’identificazione, l’atteggiamento dei due aveva confermato i sospetti a loro carico. Heller si era dichiarato di nazionalità polacca, ma le autorità di Pubblica sicurezza avevano ritrovato un documento di identità rilasciato a Roma qualche giorno prima dal delegato commerciale della Repubblica dei Soviet della Russia. Ovviamente, nel corso dell’interrogatorio, condotto a quattro giorni dal fermo, Heller aveva negato di essere iscritto a «sette o associazioni» così come di essere stato espulso da altri Stati126. Tuttavia, l’Ufficio di Pubblica sicurezza di Bari ne concludeva che «lo straniero rinnega[va] la sua nazionalità per nascondere i suoi fini politici e la vera causa della sua venuta in Italia». Occorreva dunque «sfrattarlo dal Regno»127. Più predisposto a illustrare la propria visita in Italia si era mostrato Rubinovitch il quale, pur negando di aver conosciuto alcuno in Italia, «né di aver relazioni con chicchessia», aveva riepilogato ordinatamente le tappe del proprio viaggio nel Regno, rivelandosi o un turista danaroso attratto dai centri di contestazione, o un propagandista particoavere a che fare con questi fatti. cfr. A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie…, cit., p. 137. 124 Comunicazione n. 3273 della Regia Prefettura di Bari al Ministero dell’interno, Dg, Ps, 23 dicembre 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 125 Telegramma n. 28196.a11, della Regia Prefettura di Bari al Ministero dell’interno, 20 dicembre 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 126 Ministero dell’interno, Ufficio di Pubblica sicurezza di Bari, verbale d’interrogatorio, 22 dicembre 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 127 Ministero dell’interno, Ufficio di Pubblica sicurezza di Bari, foglietto di indicazioni di Heller Mordho, 18 dicembre 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 159 larmente inserito nel contesto locale128. Vista la natura melliflua della sua attività in Italia, nonostante le indicazioni negative del Servizio centrale di identificazione della Scuola di polizia scientifica circa l’esistenza di precedenti in Italia129, anche per Rubinovitch veniva disposto l’allontanamento dal Regno130. La volontà dei due di recarsi ad Alessandria d’Egitto fu così assecondata, con un certo giubilo, dalle autorità locali, evidentemente liete di potersi liberare con facilità di due elementi di disturbo: il Prefetto di Bari dispose che le autorità locali di Pubblica sicurezza si assicurassero che le affermazioni dei due rispondessero al vero e che «effettivamente s’imbarcassero» alla volta dell’Egitto e che là non venissero respinti nuovamente verso l’Italia131. I timori del Prefetto trovarono presto una concretizzazione: i due presunti emissari videro la loro richiesta di entrare ad Alessandria respinta dal Console d’Inghilterra, il quale si rifiutò di apporre il visto richiesto trincerandosi dietro il fatto che i due non avevano nessun «documento di richiesta di lavoro da parte di qualche ditta di Alessandria». Heller e Rubinovitch tornarono nuovamente in Italia, ove il Prefetto di Bari, ritenendo «pericoloso lasciarli girovagare liberamente nel Regno», dispose – con l’autorizzazione del Ministero dell’interno – che i due venissero «scortati» fino al confine con Modane, dal quale si erano introdotti in Italia132. Gli Interni autorizzarono poi il passaggio dei due dal confine di 128 Secondo la sua dichiarazione, il Rubinovitch aveva toccato le città di Torino, Genova, Spezia, Ferrara, Massa, Pisa, Livorno, Firenze, Roma, Terni, Fabriano, Ancona. Cfr. Ministero dell’interno, Ufficio di Pubblica sicurezza di Bari, verbale d’interrogatorio a Rabinowitz Akim, 22 dicembre 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 129 Telegramma n. 91 della Scuola di polizia scientifica – Servizio centrale di identificazione, 7 gennaio 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 130 Ministero dell’interno, Ufficio di Pubblica sicurezza di Bari, foglietto di indicazioni di Rabinowitz Akim, 18 dicembre 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 131 Comunicazione n. 28719 del Prefetto di Bari, 4 gennaio 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 132 Telegramma della Prefettura di Bari per il Ministero dell’interno, 22 gennaio 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 160 Ventimiglia133: questi lasciarono finalmente il territorio italiano nel febbraio 1920134. Risolta la questione dei due emissari russi, le autorità volsero la loro attenzione a propagandisti di altre nazionalità. I comunisti ungheresi, considerati prima una minaccia come propagandisti durante il periodo della Repubblica dei Consigli, venivano ora percepiti come ospiti scomodi, che nessuno voleva trovarsi in casa. Nel marzo del 1920, il deputato socialista Arturo Caroti, in una lettera a Giacinto Menotti Serrati, parlò apertamente dell’«intervento» di Litvinov per «il passaggio per l’Italia di molti comunisti, B.K. [Béla Kun] compreso». Caroti comunicò a Serrati che il giorno seguente avrebbe sentito «da Nitti quello che effettivamente [volevano] fare». E concludeva: Del resto, quei comunisti che si diceva fossero frenetici di venire in Italia hanno dichiarato a Schweide ed a me, che preferivano stare a Vienna. A voce ti darò particolari in merito, nonché qualche interessante notizia su alcune gaffe[s] poliziesche che, se pubblicate, farebbero ridere l’Italia alle spalle di Quaranta135. Diversamente dalle carte della Direzione generale di Pubblica sicurezza, che denunciavano l’attività sovversiva della falange estremista del Partito socialista che agevolava l’introduzione dei comunisti ungheresi in Italia, qui si nota un tono del tutto differente. Caroti riferì del suo prossimo colloquio con Nitti sul punto con assoluta nonchalance, come se si trattasse di una pratica consueta anche su una questione così spinosa. Dalla lettera mi pare si possano trarre due considerazioni: da un lato, che – ai vertici politici del Paese – esistesse un dialogo sulla questione dell’arrivo dei comunisti ungheresi e che le azioni dei socialisti italiani in favore dei compagni di Budapest, ricostruite nel prossimo paragrafo, 133 Espresso n. 1869 del Prefetto di Bari per il Ministero dell’interno, gennaio 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 134 Telegramma della Regia Prefettura di Bari al Ministero dell’interno, 16 febbraio 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, Affari generali riservati, A 11, 1921, b. 15, fasc. 312, Heller Mordho e Rubinovitch Jacques, sudditi polacchi – sospetti. 135 Lettera di Arturo Caroti a Giacinto Menotti Serrati, 6 marzo 1920, Ifg, Fondo Serrati, scatola 2, f. 197 bis. Caroti si riferiva a Vincenzo Quaranta, a capo della Pubblica sicurezza tra il luglio 1919 ed il giugno dell’anno seguente. Quaranta era ben conosciuto dagli elementi sovversivi anche per essere stato a capo della Prefettura di Bologna nel 1914, l’anno della cosiddetta settimana rossa. 161 non fossero compiute alle spalle delle autorità. Emerge dunque come vi fosse una spaccatura in seno ai più alti vertici dello Stato: se il Ministero dell’interno e degli esteri producevano un’enorme mole di documenti per denunciare i movimenti dei socialisti in favore dei compagni ungheresi, il Presidente del Consiglio pareva aver aperto quanto meno un dialogo sul punto. Inoltre, e questa è la seconda osservazione, Caroti riteneva evidentemente che lo Stato si stesse agitando troppo sulla questione dell’introduzione di propagandisti bolscevichi in Italia: gli interessi di questi ultimi parevano essere altrove, mentre la visione delle autorità risultava essere fortemente italo-centrica. 3.3 Una nuova patria per Béla Kun? Evoluzioni nel réseau internazionale della sovversione Durante i poco più di cinque mesi di potere di Béla Kun, l’Italia aveva cercato di tessere un filo indissolubile con l’Ungheria, presentandosi come un punto di riferimento imprescindibile per gli Alleati nello scacchiere dell’Europa centrale e tentando di ottenere il massimo vantaggio da accordi commerciali sanciti durante il regime bolscevico. Questa realpolitik, totalmente proiettata sull’idea che il governo comunista avrebbe conosciuto in fretta la propria fine, era stata condotta sul filo del rasoio con un Paese guidato da una leadership irrequieta ed imprevedibile e messa ai margini del sistema delle relazioni internazionali dal blocco economico e dal biasimo politico, ed aveva attirato sovente la condanna da parte delle Potenze dell’Intesa. Tuttavia, le autorità italiane – soprattutto quelle militari che, in larga parte, gestirono la questione – parevano evidentemente convinte che quella fosse la strada principe per assicurarsi una supremazia nei territori orfani dell’ormai ex Impero asburgico. Questa politica, che – segnata da un certo cinismo – aveva una sua lungimiranza, si rivelò tuttavia un’arma a doppio taglio. Non è questa certo la sede per valutare se essa diede infine i risultati economici e commerciali sperati. Ciò che credo si possa sostenere senza dubbio, è che ne derivarono degli aspetti critici che furono, per certi versi, inaspettati. Il forte legame con l’Ungheria, riconosciuto anche dalle Potenze alleate, divenne una sorta di cavallo di Troia in seno all’Italia scossa dagli 162 scioperi e dalle manifestazioni del “biennio rosso”136. In particolare, due sono gli aspetti che vorrei mettere in rilievo: in primo luogo, brevemente, le polemiche internazionali legate al viaggio dei deputati socialisti Della Seta e Vella, in Ungheria, che costituì un motivo di frizione importante con il nuovo governo magiaro, assieme a quello del “terrore bianco”, qui solo accennato; in seconda battuta, la questione dell’accoglienza degli esponenti del governo di Béla Kun (incluso quest’ultimo), nel Regno, tema che divenne centrale anche nel confronto con gli Alleati nel corso del 1920. Quando il regime di Béla Kun venne abbattuto, le autorità magiare internarono nel campo di Karlstein137 i comunisti ungheresi accusati di reati comuni per i quali non era stato possibile definire l’imputazione e anche quei bolscevichi stranieri che, rei di propaganda, erano in attesa di estradizione. Nel complesso e confuso periodo postbolscevico, l’Ungheria iniziava ad essere scossa da un opposto estremismo; questo aspetto, aggiunto alla sommarietà con la quale venivano condotte le carcerazioni, indusse alcuni deputati socialisti italiani ad interessarsi del caso dei comunisti ungheresi internati nel già citato campo. Nel dicembre del 1919, sulla scorta di una visita dei funzionari italiani per l’azione 136 Sul cosiddetto “biennio rosso” esiste una letteratura corposa su scala locale ma non un’opera che raccolga, sistematizzi e sintetizzi la questione a livello nazionale. Sul tema si veda: T. Detti, Biennio Rosso, «Il mondo contemporaneo», vol. 1, Storia d’Italia 1, La Nuova Italia, Firenze, 1980, pp. 47-61; S. Cannarsa, Il socialismo in Parlamento: 25. legislatura: 1. XII. 1919 - 7. IV. 1921: il biennio rosso, 1919-1921, Graphicon Raimondi, Napoli, 1958; F. Bogliani, Il biennio rosso nelle campagne umbre (1919-1920), «Italia contemporanea», n. 123, fasc. 2, aprile-giugno 1976; G. Maione, Il biennio rosso: autonomia e spontaneità operaia contro le organizzazioni tradizionali, (1919-1920), «Storia contemporanea», anno 1, n. 4, 1970, pp. 825-889; M. Federico, Il biennio rosso in Ciociaria, 1919-1920: il movimento operaio e contadino dei circondari di Frosinone e Sora tra dopoguerra e fascismo, E.D.A., Frosinone, 1985; S. Pedini, Il “biennio rosso” ad Imola (1919-1920), Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, anno accademico 1971-’72; G. Muzzioli, Il biennio rosso, la nascita e l’avvento del fascismo, 1919-1922, in Storia illustrata di Modena, fasc. 44, Nuova editoriale Aiep, Milano, 1990, pp. 861-880; L. Tomassini, Mercato del lavoro e lotte sindacali nel biennio rosso, «Annali Cervi», n. 13, 1991, pp. 87-117; G. Pellegrini, Il “biennio rosso” (1919-1920) in Friuli: le lotte delle classi lavoratrici nel quadro della profonda crisi rivoluzionaria del primo dopoguerra, «Storia contemporanea in Friuli», n. 6, 1975, pp. 20-34; G. Bianco, L’attività degli anarchici nel biennio rosso, (19191920), «Il movimento operaio e socialista in Liguria», anno 7, n. 2, aprile-giugno 1961, pp. 123-155. 137 Si fa con tutta probabilità riferimento all’Internierungslager Karlstein an der Thaya, in Austria. 163 di aiuto ai bambini magiari138, il sindaco di Milano, Emilio Caldara, il professore socialista di Bologna, Mario Longhena, e il Segretario degli operai Geofaretti, da Ravenna, ottennero un permesso per la visita a Karlstein. Essi, tuttavia, decisero di non sfruttarlo personalmente. I lasciapassare vennero ceduti ad un altro gruppo di persone, tra i quali un certo Carlo Tomann, redattore della «Die Rote Fahne»139. Gli altri tre, definiti «pretesi italiani»140, erano, con tutta probabilità, il Direttore dell’Ufficio del lavoro di Milano Schiavi, il Dott. Gilardoni, ed il noto corrispondente de «L’Avanti», Schweide141. Secondo le informazioni confidenziali dell’Ambasciata d’Italia a Vienna, pareva che i tre avessero espresso l’intenzione di «iniziare un movimento per la liberazione degli internati»142. La questione preoccupava il Cancelliere austriaco Renner per la materia della pubblica sicurezza. L’Austria era indicata da più parti come il nuovo epicentro dell’eversione rivoluzionaria: mentre i vertici inglesi si mostravano inquietati dall’evoluzione della città di Vienna, che diveniva sempre più «al centro di una intensa agitazione bolscevica in Europa», il Ministero della difesa ungherese aveva inviato alla Missione militare interalleata una nota per segnalare le «mene dei comunisti a Vienna», e chiedere un intervento alleato per fermare i piani rivoluzionari, sensibilizzando le Potenze occidentali affinché acconsen- 138 Telegramma n. 235 di Biancheri, Ambasciata d’Italia a Vienna al Mae, 26 gennaio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1, pp. 1-2. 139 Telegramma n. 296 dell’Ambasciata a Vienna al Mae, 30 gennaio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1, pp. 2-3. 140 Telegramma n. 216 di Biancheri al Mae, 23 gennaio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1, p. 2. 141 Isaak Schweide, conosciuto come Brante Iso ed emigrato nella Svizzera italiana, era il Direttore delle «Russische Nachrichten», l’agenzia di stampa creata dalla Missione russa, nonché collaboratore, come già ricordato, de «L’Avanti» e di «Comunismo». A. Venturi, Rivoluzionari…, cit., p. 200. 142 L’ipotesi era stata rigettata dai socialisti viennesi che avevano fatto presente l’impossibilità dell’azione, visto che era in corso un giudizio di deliberazione in Austria. Nota n. 161 di protocollo confidenziale di Biancheri, Ambasciata d’Italia a Vienna, al Mae, 20 gennaio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 164 tisse ad un rafforzamento dell’Esercito magiaro per contrastare la minaccia rossa143. Ma al di là delle preoccupazioni degli altri Paesi, la questione principale per l’Italia era messa a fuoco in un telegramma da Biancheri, da Vienna: Questo capo della polizia […] ha detto a persona di mia fiducia che il governo italiano non doveva meravigliarsi se elementi sovversivi giungevano facilmente dall’estero. La sorveglianza della zona vicina al nostro confine era così insufficiente ed inadeguata che egli sentivasi forte di far entrare nel Regno chi meglio credette senza che le autorità italiane ne avessero il minimo sentore. Come dato di fatto risulta che il capo dei socialisti ungheresi Jakab Weltner e il comunista ungherese e già Commissario del popolo Kondor[,] ai quali fu rifiutato il visto al passaporto conformemente [alle] istruzioni ministeriali[,] […] trovansi ad Abbazia144. Il diplomatico a Vienna concludeva che la questione era di una tale gravità da esigere un’immediata azione da parte del Ministero dell’interno affinché prendesse gli opportuni accorgimenti. Al contempo, dall’Ambasciata in Austria si suggeriva che «tutte le voci sparse dalla stampa sulle condizioni di vita degli internati di Karlstein [fossero] completamente fantastiche». Per questa ragione, veniva auspicato che «il tema degli internati e del diritto d’asilo non apparisse più nella pubblica discussione, per maggiore tranquillità della popolazione»145. Ma la questione non poteva concludersi così. Secondo le notizie giunte da Roma, il viaggio dei socialisti a Karlstein era servito ad avviare dei «pourparlers» con gli esponenti del Psi «per il trasporto in Italia dei commissari del popolo»; anche se restava tuttavia da «provare» che il governo italiano condividesse «l’entusiasmo dei socialisti milanesi per Béla Kun e compagni»146. Dato il credito conferito a queste indiscrezio143 Lettera di Cerruti, Regio alto commissariato italiano in Budapest, al Mae, oggetto: propaganda comunista a Vienna, 21 giugno 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 144 Nota n. 161 di protocollo confidenziale di Biancheri, Ambasciata d’Italia a Vienna, al Mae, 20 gennaio 1920, Asmae, b. 1741, cit, p. 2. 145 Telegramma n. 296 dell’Ambasciata a Vienna al Mae, 30 gennaio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1, pp. 2-3. 146 Telegramma n. 296 dell’Ambasciata a Vienna al Mae, 30 gennaio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1, pp. 2-3. 165 ni, non fu certo una sorpresa quando, a distanza di alcune settimane, gli Interni furono informati dal Ministero degli esteri che esistevano dei «complotti», «macchinati in Austria con [la] partecipazione di elementi italiani per procurare l’evasione e l’entrata in Italia di Béla Kun e altri comunisti»147. Secondo le informazioni provenienti dall’Esercito nazionale ungherese, l’ex leader della Repubblica dei Consigli sarebbe stato pronto ad entrare illegalmente in Italia con un passaporto falso148. La reputazione di potenza filobolscevica che l’Italia si era fatta non giocava a favore di Roma la quale, alle prese con manifestazioni ed insurrezioni con cadenza quasi giornaliera, certo non bramava di attirare altri rivoluzionari. Nel marzo del 1920, il marchese Torretta, dall’Ambasciata a Vienna, comunicò a Roma che le «macchinazioni» per «procurare [l’]evasione in Italia di Béla Kun e di altri comunisti», con la «partecipazione di alcuni elementi italiani» non meglio precisati, si andavano «intensificando». La ragione di tale fibrillazione andava ricercata nella «voce» secondo la quale il «Regio governo sarebbe [stato] disposto a tollerare [l’]arrivo [dei] comunisti ungheresi». La questione aveva messo in imbarazzo lo stesso Torretta, che – a colloquio col Cancelliere Renner – aveva dovuto abbozzare di fronte alle allusioni di quest’ultimo, mentre cercava (poco discretamente) di informarsi in proposito149. Nel frattempo, l’iniziativa dei socialisti milanesi trovò un proprio seguito in seno al Partito: il livello della questione divenne nazionale quando i deputati socialisti Arturo Vella e Alceste Della Seta ottennero un visto per recarsi a Budapest tramite l’Austria, ufficialmente per fini umanitari, cioè per ottenere il miglioramento delle condizioni sanitarie e di vita dei comunisti internati150. L’attività dei due non passò 147 Telegramma riservato n. 3249 di Lago, Mae, Divisione 3°, al Mi, Dg, Ps, 16 marzo 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 148 Rapporto del Comando supremo dell’Arma nazionale ungherese a Vittorio Cerruti, Commissione interalleata dei generali a Budapest, 31 gennaio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. La notizia era confermata anche nel rapporto del Presidente del Consiglio dei Ministri ungherese Huszar, 9 febbraio 1920, ivi. 149 Telegramma riservato di Torretta, Ambasciata a Vienna, 11 marzo 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 150 Telegramma di Biancheri, Ambasciata a Vienna, oggetto: medicinali, derrate alimentari per comunisti, sollecitazione dei deputati Vella e Della Seta a Vienna, 16 166 inosservata; al contrario, la loro visita fece ottenere una lettera di biasimo all’Alto commissario italiano a Budapest da parte del Presidente del Consiglio ungherese. Nella missiva, quest’ultimo faceva rilevare come il nuovo governo, per fugare ogni possibile dubbio circa le persecuzioni contro gli operai nel periodo postbolscevico, avesse mostrato la propria fattiva disponibilità a consentire agli inviati dell’Intesa di instaurare dei contatti con gli operai ungheresi. Proprio sulla scorta di tale possibilità, i socialisti italiani si erano potuti recare a visitare i campi di internamento e di prigionia. Ciò nonostante, essi avevano mantenuto «une attitude extrêmement déplorable» che meritava una «critique extrêmement sévère sous un point de vue de l’ordre et de la sécurité publique» dell’Ungheria, in una situazione nella quale «les germes du bolchevisme» erano ancora presenti e attivi. Secondo le informazioni provenienti dal governo ungherese, Della Seta e Vella si erano rivolti ai comunisti ed agli ex membri della Guardia rossa, esortandoli a resistere in nome della Terza internazionale151. Tramite il Commissario italiano a Budapest, Vittorio Cerruti, il Ministero degli esteri venne poi in possesso della relazione ufficiale che il Comando del campo d’internamento di Hajmasker aveva inviato al governo ungherese. Secondo il rapporto, l’atteggiamento di Della Seta era stato particolarmente riprovevole: il deputato socialista aveva porto il saluto del proletariato italiano e della Terza Internazionale e gli internati avevano risposto «con entusiasmo» urlando i «loro evviva», cogliendo l’occasione per lagnarsi di ogni aspetto della loro permanenza nel campo. I due socialisti si erano poi intrattenuti con le sorelle dell’ex Commissario del popolo Zoltán Szántó, rassicurandole sul fatto che «presto vi sarebbero [stati] dei cambiamenti che [avrebbero reso] loro la libertà». Particolarmente deprecabile era stato poi il colloquio intrattenuto con Rosa Bogdany, che affermava di essere stata internata in quanto comunista: quando quest’ultima rispose affermativamente alla domanda sulla immutabilità del suo credo politico, i due «le strinsero con effusione la mano dicendole “Brava”», «battendole sulla spalla [e] incoraggiandola a perseverare nella sua fede che aprile 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 151 Lettera riservata n. 930/150 di Cerruti, Regio Alto Commissariato italiano in Budapest, al Mae, oggetto: visita dei deputati della Seta e Vella in Ungheria, 4 maggio 1920; lettera riservata al Presidente del Consiglio ungherese all’Alto commissario a Budapest, oggetto: visita dei deputati Alceste della Seta e Arturo Vella in Ungheria, 30 aprile 1920, entrambi in: Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 167 presto [sarebbero arrivati] tempi migliori». La relazione del Comandante di Hajmasker concludeva in modo tranchant: Le mie osservazioni mi hanno portato alla convinzione che i deputati italiani qui giunti nutrono vere e proprie idee comuniste e di ciò dettero più prove specie in quanto si occuparono quasi unicamente di quegli internati, che si dichiararono comunisti. Scopo della visita era forse solo incoraggiare questa gente a restar federe alle proprie idee. […] Potrei constatare che parecchi facevano osservazioni di questo genere: «Pare che i comunisti si facciano ancora rispettare e che si abbia ancora paura di loro; in tutti i casi è un grande successo che si sia permesso a socialisti stranieri di venirci a visitare per incarico della Terza Internazionale»152. La visita di Della Seta e Vella aveva poi suscitato una discussione in seno all’Assemblea nazionale ungherese, ove il conte Antal Sigray aveva rivolto un’interpellanza al Presidente dei Ministri. Sándor SimonyiSemadam, in quella sede, riferì che i due deputati «erano stati trattati con la massima lealtà» e trasparenza, ma il loro atteggiamento era stato inammissibile: «Non è possibile che proprio in questi giorni noi lasciamo avvicinare i nostri comunisti prigionieri da stranieri i quali cercano di sollevarli»153. Il conte Sigray aveva poi aggiunto che il trattamento benevolo nei confronti dei due deputati nasceva anche dalla sensazione che i due socialisti venissero su «raccomandazione» dell’Alto commissario italiano154. Nelle settimane successive, tuttavia, la dura reprimenda 152 Comunicazione di Cerruti, trasmissione della relazione ufficiale proveniente dal Comando del campo di internamento di Hajmasker, 4 maggio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. Si noti che i due deputati si erano informati presso l’Alto commissario a Budapest per conoscere l’evoluzione riservata della vicenda. Cfr. Telegramma di Cerruti, 1 maggio 1920, ivi. 153 In realtà, già nel corso della visita, i due si videro negata la possibilità di visitare il carcere e riuscirono ad ovviare al diniego solo grazie all’intercessione di Cerruti. Cfr. Telegramma da Budapest, n. 4370, 27 aprile 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 154 Comunicazione di Cerruti, trasmissione del resoconto della riunione dell’Assemblea nazionale ungherese, 4 maggio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. Va rilevato come nel Parlamento italiano, più che sulla questione della visita di Della Seta e Vella, l’attenzione si concentrò sull’attività della Missione italiana a Budapest, in particolare relativamente alla sorte di un deposito di 120 milioni di corone che era stato versato nel giugno 1919 da due delegati dei Consigli in Ungheria per l’acquisto di merci italiane che non ebbe poi luogo. Interrogazione del deputato Chiesa, Atti Parla- 168 che il governo magiaro aveva rivolto all’Italia venne moderata da alcune dichiarazioni riservate: Budapest aveva bisogno di Roma come punto di appoggio per recuperare una posizione internazionale compromessa dall’esito della Prima guerra mondiale e dall’affermazione di un regime bolscevico efferato. Così, il Ministero degli esteri ricevette un telegramma dalla capitale magiara, nel quale si auspicava che l’Italia non interpretasse «come scortesia verso essa» l’atteggiamento del Consiglio dei Ministri nei confronti dei due deputati socialisti: l’Ungheria era «unita da saldi legami [di] riconoscenza» all’Italia, ma chiedeva – al governo e all’opinione pubblica del Regno – comprensione, dovendo difendersi dai «bacilli» della «infezione comunista»155. Deviando in parte dal percorso qui seguito, vale la pena di spendere qualche riga sull’aggravarsi dei rapporti tra Budapest e Roma a causa delle notizie sul “terrore bianco” che giunsero nella regia capitale nell’inverno del 1920. Nel febbraio, il Regio commissario politico nella Repubblica magiara inviò notizie estremamente allarmanti sulla deriva che il nuovo corso ungherese aveva intrapreso. Oltre alla polizia irregolare, a Budapest erano stati creati un «servizio di pubblica sicurezza», che esercitava una «polizia “sui generis” a base di vendette personali», e delle milizie armate, responsabili di «eccessi terroristici nelle campagne» nel periodo immediatamente successivo al terrore rosso. Cerruti aveva raccolto le testimonianze di violenze antisemite e di coercizioni ai danni di socialisti, nonché di sparizioni di giovani e di stupri di matrice politica in senso anticomunista avvenuti su ampia scala nelle ore notturne156. L’assassinio, definito dal Cerruti, «politico», del redattore del giornale socialista «Voce del popolo», aveva inorridito il diplomatico italiano157, che richiedeva quindi l’istituzione di una gendarmeria internazionale sull’esempio di quanto fatto in precedenza, dalle grandi Potenze, in Macedonia, e una presa di posizione netta nei confronti dell’Ammiraglio mentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXV, 1° sessione, discussioni, tornata del 6 maggio 1920, p. 1973. 155 Telegramma n. 4572, da Cerruti, Budapest, al Mae, 1 settembre 1920 (data non perfettamente leggibile), Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 156 Telegramma n. 1639 di Cerruti, Regio Commissariato politico a Budapest, al Ministro Scialoja e al Mae, 24 febbraio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 19191930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 157 Telegrammi di Cerruti, 20 e 23 febbraio 1920, entrambi in Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 169 Horthy il quale, mentre si accingeva a divenire il Capo provvisorio dello Stato, tollerava tali eccessi158. In una lettera a distanza di un paio di settimane, Sforza sollecitava la Presidenza del Consiglio a prendere una posizione chiara: «senza andare a prospettare le sanzioni» auspicate da Cerruti, Sforza riteneva che un «serio avvertimento delle tre Potenze occidentali» avrebbe indotto l’Ungheria a un «regime più umano». Era necessario un «passo collettivo» nei confronti di Budapest159. Ma gli Alleati non erano tutti d’accordo. La Gran Bretagna, in particolare, era contraria ad una presa di posizione condivisa, mostrandosi appena tiepida sulla possibilità di rivolgere al governo ungherese degli «amichevoli consigli»160. Così a Sforza non restò altro da fare che scrivere a Cerruti, riferendogli che non era stato possibile raggiungere un accordo tra gli Alleati161. La questione aprì, inoltre, un fronte interno che contrappose il Ministro degli esteri Scialoja all’Alto commissario italiano a Budapest: il primo definì «eccessive» le dichiarazioni di Cerruti e chiese a Sforza che il Commissario fosse redarguito dal ripetere «simili manifestazioni in pubblico»162. Ma quello che sarebbe diventato, nel giro di pochissimi mesi, il futuro Ministro degli Esteri, non condivideva la linea di Scialoja. Sforza, infatti, parlò con Cerruti ma per invitarlo a far sapere al go158 Telegramma n. 1639 di Cerruti, Regio Commissariato politico a Budapest, al Ministro Scialoja e al Mae, 24 febbraio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 19191930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 159 Telegramma n. 2219 di Sforza, Mae, 3° divisione alle Ambasciate di Londra e Parigi, 10 marzo 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 160 Nota del Ministero degli affari esteri, Londra, oggetto: terrore bianco in Ungheria, 22 marzo 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 161 Telegramma n. 3493 di Sforza, Mae, al Commissario a Budapest, oggetto: terrore bianco in Ungheria, 12 aprile 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 162 Telegramma di Scialoja, Londra, a Sforza, 26 febbraio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. Si noti che la questione dell’atteggiamento degli Alleati nei confronti del problema del “terrore bianco” era stato oggetto di biasimo, da parte di Horthy, in un colloquio con l’Alto commissario francese a Budapest, Fouchet: il tono «sincero» utilizzato da Horthy aveva convinto Fouchet della veridicità del suo diniego, portando quest’ultimo a pensare che il “terrore bianco” fosse il frutto della politica di qualcuno dell’entourage dell’Ammiraglio, e non sua diretta responsabilità. M. Fouchet, HautCommissaire français à Budapest, à M. Millerand, Ministre des affaires étrangères, 3 aprile 1920, doc. 327, Ministère des Affaires étrangères, Ddf, tome I, 1920 (10 janvier18 mai), pp. 469-470. 170 verno magiaro che non era quello il modo in cui «si restaura[va] la forza dello Stato». Sforza aggiunse di aver impartito tali istruzioni «e perché rispond[evano] alla nostra concezione del ben inteso interesse dell’Ungheria ed anche perché [era] certo che i delitti ungheresi [avrebbero trovato una] eco alla Camera»163. In un laconico ma emblematico telegramma, Nitti sconfessava Scialoja a favore di Sforza: «Approvo pienamente istruzioni da Lei date a Cerruti»164. Con anticipo di qualche mese, la visione di Sforza si affermava come la tendenza principale nella politica estera del Regno verso l’Ungheria. Con una nota degli Esteri alla Legazione italiana a Budapest, il governo del Regno rivolgeva più che un «amichevole consiglio» ai magiari, facendo presente «a quali gravi pericoli» il governo ungherese si stava esponendo «continuando in una politica terroristica»165. Nonostante Sforza si fosse raccomandato di far circolare tale linea anche «fuori dei circoli ufficiali»166, non pochi nei Paesi occidentali vedevano gli eccessi del nuovo corso di Horthy come un estremismo di risposta al regime rosso di Béla Kun. 163 Telegramma di Sforza, Mae, a Nitti, Ambasciata italiana, Londra, 22 febbraio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 164 Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 165 Telegramma di Sforza, Mae, a Cerruti, 22 febbraio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. Si noti che, nell’aprile, il governatore del Regno d’Ungheria aveva contestato a Cerruti l’esistenza del «terrore bianco». Cfr. telegramma n. 358 di Cerruti al Presidente del Consiglio e al Ministro Scialoja – Londra, 7 aprile 1920, oggetto: Comunicazione del governatore del Regno d’Ungheria, ivi. 166 Va sottolineato, inoltre, come nel corso di un dibattito parlamentare nel maggio del 1920, Treves avesse richiamato l’attenzione del Presidente del Consiglio alla necessità che avevano gli italiani di «sentire che il nostro Paese […] ha veramente le mani nette» rispetto ai crimini compiuti dal nuovo governo ungherese nei confronti dei comunisti. Nitti aveva replicato duramente all’attacco: «L’onorevole Treves mi ha detto: perché voi non avete agito utilmente e con consiglio di moderazione verso il governo ungherese? Voi che avete detto, per quanto riguarda i territori ungheresi, una parola di giustizia, non l’avete detta nelle questioni interne dell’Ungheria? Onorevole Treves, è lei sicuro che io non l’abbia detta? L’ho detta, l’ho ripetuta ed ho espresso all’Ungheria il nostro sentimento: che l’Italia s’interessa della situazione dell’Ungheria, ma che l’Italia vede con dolore che l’Ungheria sia così profondamente divisa all’interno e che vi siano ancora tante e così profonde ragioni di dolore. Queste cose le ho dette e ripetute». Tale dichiarazione fece insorgere l’estrema Sinistra, ma le parole di Nitti, come ricostruito in questa sede, rispondevano al vero. Cfr. Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXV, 1° sessione, discussioni, tornata dell’8 maggio 1920, p. 2056 e pp. 2070-2071. 171 Questa osservazione ci riporta tuttavia al tema principale qui affrontato, quello dell’atteggiamento delle autorità italiane intorno alla sorte dei comunisti ungheresi. L’Italia liberale, forte della sua tradizione di democrazia, non condivideva la politica di appeasement degli Alleati nei confronti dell’Ammiraglio Horthy. Questo spiega, almeno in parte, perché l’iniziativa di Della Seta e Vella, pur personale, aveva trovato un appoggio nelle autorità diplomatiche italiane dislocate a Budapest. Cerruti aveva accompagnato i due deputati personalmente dal Presidente del Consiglio ungherese: la sua posizione era particolarmente intricata perché, pur essendo ufficialmente l’intermediario con i vertici magiari, l’Alto commissario italiano, nella sua relazione sugli avvenimenti, mise in rilievo come Della Seta e Vella fossero più «ansiosi» di conoscere le evoluzioni in atto in Italia nel periodo del loro viaggio, più che gli sviluppi delle vicende ungheresi. I due avevano chiesto ripetutamente informazioni circa gli avvenimenti in Italia, come se – osservava Cerruti «ritenessero imminente [lo] scoppio [di] gravi moti». Trasportati dall’onda delle emozioni, erano persino giunti a confessare al diplomatico che presto sarebbero ritornati in Italia «per essere sul posto qualora vi fosse [stato] bisogno [della] opera loro»167. In effetti, lo scenario politico interno sembrava in pieno fermento. Nell’aprile 1920, lo sciopero generale indetto a Torino si era esteso a tutto il Piemonte, mentre nei mesi seguenti, anche la Sicilia, la Toscana e la Lombardia avevano dovuto affrontare scioperi agricoli e agitazioni organizzate dai cattolici. Alle astensioni politiche dal lavoro messe in atto dai ferrovieri e dai postelegrafici guidati dagli anarco-sindacalisti, si affiancarono le occupazioni delle fabbriche168. Per quanto gli scioperi fossero spesso disorganizzati e il Partito socialista non riuscisse a sfruttarne appieno le potenzialità insurrezionaliste, la percezione comune era quella di un progressivo scivolamento dell’Italia verso una deriva rivoluzionaria. L’azione dello Stato non si fece attendere: Nitti rinforzò l’Esercito e creò la Guardia Regia. 167 Telegramma n. 2077 di Cerruti, Regia Legazione Budapest, 22 aprile 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 168 P. Spriano, L’occupazione delle fabbriche. Settembre 1920, Einaudi, Torino, 1970; C. Vallauri, Il governo Giolitti e l’occupazione delle fabbriche (1920), Giuffré, Milano, 1974. Si veda il commento di Nitti sugli scioperi, ritenuti predisposti «forse non soltanto da italiani»: Francesco Saverio Nitti (presidente del consiglio) a Bonomi (ministro della guerra), 17 aprile 1920, San Remo, AsM, Carte Bonomi – primo periodo ministeriale (21 luglio 1916 – 13 ottobre 1922), busta 1/B. 172 In questa situazione incandescente, l’ultimo auspicio era quello di importare nuovi rivoluzionari, soprattutto se attivi e spregiudicati come si erano dimostrati nel corso del 1919 quelli ungheresi. D’altro canto, dopo aver importato emissari e propagandisti, ora le autorità straniere segnalavano l’azione di italiani comunisti all’estero. Nel marzo del 1920, giungevano notizie preoccupanti dal Comando supremo dell’Esercito nazionale ungherese circa l’estensione del réseau internazionale della sovversione di matrice comunista all’Italia, ove corrieri e comunisti dichiarati agivano ormai scopertamente in connessione con i compagni viennesi e ungheresi169. Come gli inglesi avevano segnalato in precedenza, Vienna stava divenendo un centro pericoloso dell’eversione comunista; il contributo degli italiani in questo senso pareva alle autorità particolarmente rimarchevole170. D’altronde, tramite canali riservati, il nuovo regime ungherese non mancò di inviare dettagliate indicazioni sul pericolo comunista che correva l’Italia e il mondo intero. La prima indicazione giunse nel dicembre 1919, quando il Comando supremo dell’Esercito nazionale ungherese inviò un rapporto sull’organizzazione ed il funzionamento della propagazione del comunismo, nel quale si affermava che Lenin avesse messo a disposizione la somma di «50 milioni di rubli», consegnati a Béla Kun con l’istruzione di organizzare la rivoluzione bolscevica, tra gli altri Paesi, anche in Italia e – soprattutto – in Ungheria, in modo «indirecte et voilée». Nella relazione si affermava inoltre che: Á l’instant la communication avec l’Italie est la plus vive laquelle est supposée d’être le meilleur terrain pour la révolution par les bolchevistes réunis à Vienne. Il arrive très souvent des nouvelles du groupe italien Morgari relativement aux actions d’organisations très fortes surtout dans l’Italie du Nord171. 169 Nel documenti, erano indicati come corrieri: Lionardo Francelli, A. Zannoni, Stabilio e Borghi; come membri del Partito comunista italiano a Vienna: Lucio Revo, Frattini (alloggiato presso il Generale Piccioni), Giani, Leon Cesoli, Morsili, il triestino Invernitzky, e Volta. Cfr. Nota del Comando supremo dell’Arma nazionale ungherese, n. 84/vkf. 1920, 19 marzo 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 170 Nota riservatissima di Cerruti, al Ministro degli affari esteri, oggetto: attività di comunisti italiani (a Vienna), 31 marzo 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 19191930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 171 Comando supremo dell’Arma nazionale ungherese, Mémoire sur l’activité des bolchevistes hongrois à Vienna, terzo allegato, 30 dicembre 1919, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1, pp. 1-3. 173 Si faceva poi menzione dell’attività del conte Károlyi al quale, come già ricordato, era stato vietato il permesso d’ingresso in Italia per le sue relazioni con il governo bolscevico magiaro. Infine, si concludeva catastroficamente: «La situation générale et la propagation des communistes peuvent provoquer la révolution du monde»172. L’intento di questo genere di comunicazioni era scopertamente strumentale: fomentare nella classe dirigente italiana la «paura rossa» per isolare ulteriormente gli ex leader bolscevichi e giustificare la violenza interna in Ungheria. Solo per circoscrivere l’osservazione al documento presentato, appare piuttosto strano come la costituzione di una nuovo centro internazionale di propagazione della rivoluzione bolscevica fosse costituito da due delegati russi, un ucraino, un tedesco, un francese, un inglese e nessun italiano173 quando il Regno dei Savoia, nel medesimo testo, veniva presentata come il principale obiettivo dei rivoluzionari. Il Comando dell’Esercito ungherese provvide immediatamente a riparare all’errore quando, a distanza di pochi giorni dal primo dispaccio, inviò un secondo rapporto relativo all’organizzazione di un centro bolscevico a Vienna, costituito da «confidents communistes étrangers», provenienti dalla Germania, Boemia, Ungheria, Jugoslavia, Romania, Italia, Polonia e Ucraina, che si erano trovati nella capitale austriaca. La decisione presa dal convegno degli emissari comunisti era di far scoppiare la rivoluzione in Polonia, Austria, Boemia, Jugoslavia e Italia nel mese di marzo del 1920, isolando di fatto l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria dai Paesi dell’Intesa174. A quel punto sarebbe intervenuta l’Armata russa che, coadiuvata dai tedeschi, si sarebbe impossessata del confine occidentale dei Paesi in fase rivoluzionaria. Così si commentava la situazione italiana: 172 Ibidem, p. 4. Ibidem, p. 1. 174 Va rilevato come Serge Noiret abbia ricostruito che, alla fine del 1919, dopo il rovesciamento della maggioranza riformista in seno al Partito socialista, gli inviati bolscevichi di Lenin in Italia esercitarono pressioni attraverso Nicola Bombacci affinché il Partito abbandonasse, momentaneamente, le velleità rivoluzionarie e concentrasse la propria azione nel sostenere la politica revisionista di Nitti, spingendolo così a decidere di riprendere le relazioni commerciali con la Russia. Nitti e Bombacci. Aspetti di un dialogo impossibile. I bolscevichi contro la rivoluzione italiana. Novembre 1919febbraio 1920, «Storia Contemporanea», vol. 17, n. 3, 1986, pp. 397-441. 173 174 […] in Italie le bolchévisme est déjà tellement avancé, que son éclat n’est retenu que par la Russie dans le but que les révolutions ne doivent pas éclater isolément175. Il documento si concludeva poi con una lista dei partecipanti, tra i quali figuravano, per l’Italia, Schweiden (probabilmente Schweide, corrispondente de «L’Avanti»), Saretti a Napoli e Francesco Ciccotti a Roma176. Nel febbraio, arrivarono ben tre rapporti sulla rivoluzione mondiale che i bolscevichi stavano programmando. Gli Stati Uniti, la Polonia, l’India e l’Afghanistan venivano identificati come possibili obiettivi dell’espansione bolscevica177. Nel secondo, veniva messa in luce la possibilità di un rivolgimento comunista a Budapest: le prime indagini avevano chiarito il potenziale utilizzo di un veleno come «instrument de meurtre très dangereux» ed il ruolo pericoloso giocato sia dai comunisti che circolavano liberamente in Austria, sia di quelli internati al campo di Karlstein, dei quali si chiedeva l’estradizione: «Il résulte évidement des faits décrits, que non seulement les intérêts vitaux de la Hongrie sont mis en jeu, mais aussi l’ordre public et le moral du monde civilisé est mis en danger»178. Che l’Internazionale comunista si fosse organizzata per diffondere la rivoluzione nel mondo, anche nei Paesi coloniali, è ormai storia nota: durante il Congresso dei popoli d’Oriente a Baku, nel settembre 1920, venne sancita la decisione di appoggiare, sia a livello statale sia tramite il Comintern, i movimenti rivoluzionari e di emancipazione nazionale in senso antimperialista, in particolar modo quelli che contestavano l’Impero britannico179. 175 Rapporto del Comando supremo dell’Arma nazionale ungherese, 3 gennaio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1, p. 3. 176 Ibidem, p. 5. 177 Rapporto del Comando supremo dell’Arma nazionale ungherese a Vittorio Cerruti, Commissario politico italiano a Budapest, 21 febbraio 1920, Asmae, b. 1741, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 178 Telegramma riservato n. 4640 del Mae al Mi, Dg, Ps, oggetto: complotto comunista, 4 febbraio 1920, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 179 Sulla progressiva ridefinizione delle prospettive della rivoluzione mondiale dal piano europeo a quello extraeuropeo: S. Wolikow, Alle origini della galassia comunista: l’Internazionale, in AA.VV., Il secolo dei comunismi, il Saggiatore, Milano, 2004, pp. 210-211. Si noti che, secondo le fonti ministeriali italiane, anche il Partito socialista si stava muovendo per promuovere nelle colonie italiane, e in particolare in Libia, un 175 Tuttavia, ad una attenta lettura della documentazione, pare evidente come le insistenti informazioni provenienti da Horthy fossero quanto meno interessate, per quanto contenessero un fondo di verità180. Fra la fine di febbraio e marzo 1920, le accuse nei confronti della classe dirigente socialista italiana si precisarono meglio. La conquista dell’Italia all’ideale bolscevico sarebbe stata opera di Nicola Bombacci, guidato dal centro rivoluzionario di Vienna, sotto la direzione dello stesso Béla Kun. E poiché il bolscevismo considerava l’Ungheria come «l’obstable le plus important dans l’Europe centrale», una volta caduta Budapest, Roma avrebbe seguito la stessa sorte181. La forza dell’Esercito bolscevico – composto da «circa 800.000 uomini ben disciplinati, ben equipaggiati, comandati da eccellenti Ufficiali» si sarebbe abbattuta sull’«Europa intera»182. Così come la rivoluzione era globale nelle intenzioni di Lenin, altrettanto comune e unica doveva essere la difesa contro «il pericolo rosso»183. La minaccia era tanto più tangibile per l’Italia a causa della presenza del cavallo di Troia costituito dal Partito socialista. Alcuni tra i suoi elementi più di spicco erano palesemente filorussi. Non era certo una novità quella che il Comando supremo ungherese comunicava a Roma: una certa impressione, tuttavia, dovettero destare le informazioni dettagliate con le quali si riferiva che Oddino Morgari, in stretta relazione con i leader dei socialisti rivoluzionari di stanza movimento anticoloniale. Cfr. Ministero dell’interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, oggetto: inchiesto del Psu sulla Libia, 20 novembre 1920, AsP, Questura, b. 1 bis, cat. Varie (1922-1942) «Rapporti e informazioni riservate. Complotti e indagini». 180 Si veda, a questo proposito, la posizione di Parigi intorno alle notizie, comunicate da Horthy, circa un «attaque brusquée des bolchevistes sur l’Europe centrale»: «Je vous prie de ne pas vous laisser impressionner par la persuasive propagande hongroise qui n’a jamais cessé, à l’exemple des Allemands, d’agiter le spectre bolcheviste pour obtenir la révision du traité et même une politique d’association militaire». Si rinviava, dunque, ad una consultazione con il Maresciallo Foch per una più realistica presa di coscienza della situazione. Cfr. M. Berthelot, secrétaire général du Département, aux représentants diplomatiques français à Budapest, Berlin, Londres, Rome, Varsovie, Prague, 16 gennaio 1921, doc. 1, Ministère des Affaires étrangères, Ddf, 1921, tome I, (16 janvier-23 juin), pp. 1-2. 181 Rapporto del Comando supremo dell’Arma nazionale ungherese a Vittorio Cerruti, 21 febbraio 1920, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 182 Secondo Service, nell’estate del 1920, Lenin sognava che i socialisti di estrema Sinistra preparassero la propria rivoluzione nelle città settentrionali del Paese. R. Service, Lenin. A political life, vol. III, The Iron ring, Macmillan, London, 1995, p. 380. 183 Rapporto del Comando supremo dell’Arma nazionale ungherese a Vittorio Cerruti, Commissario politico italiano a Budapest, 21 febbraio 1920, Asmae, cit. 176 a Vienna, aveva organizzato gli operai del Nord d’Italia al fine di far scoppiare una rivoluzione nei mesi primaverili. Giacinto Menotti Serrati e Francesco Ciccotti erano ugualmente coinvolti in prima persona nella vicenda, visto che la loro presenza era stata segnalata a Vienna nel già citato convegno dei comunisti stranieri184. Ulteriori segnali di una commistione tra gli affari rivoluzionari ungheresi e italiani venivano dal Commissario politico italiano a Budapest, che segnalava le pubbliche esternazioni di giubilo con le quali l’Unione fraterna dei socialisti ungheresi aveva salutato gli scioperi italiani del febbraio 1920185. In realtà, Bombacci e il compagno Angiolo Cabrini, in contatto con i russi su incarico ufficioso del governo italiano per la valutazione di una ripresa del dialogo italo-russo186, fecero un resoconto non troppo ottimistico sulla possibile avanzata della rivoluzione in Italia a Maksim Litvinov, il delegato sovietico a Copenaghen. Tre erano gli ordini di ragioni che facevano ritenere loro che fosse meglio desistere. In primis, il fatto che la frazione realmente rivoluzionaria in seno al Psi fosse minoritaria; in secondo luogo, la politica filobolscevica di Nitti, che svuotava di significato le rivendicazioni socialiste a favore della Russia. Infine, ma non da ultimo, l’idea che l’Italia rivoluzionaria non avrebbe resistito isolata da un blocco economico, e la conseguente necessità di un rivolgimento simultaneo in Italia e in Francia187. Come anticipato, questa vicinanza italo-ungherese si trasformò in un’arma a doppio taglio per Roma: oltre a quello di giustificare le vio184 Nota dello Stato maggiore dell’Esercito nazionale ungherese al Commissario politico italiano a Budapest e nota del Capo di Stato maggiore generale Berzeviczv, 3 marzo 1920, entrambe in: Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 185 Nota dello Stato maggiore dell’Esercito nazionale ungherese al Commissario politico italiano a Budapest, 16 febbraio 1920, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 186 S. Noiret, Le origini della ripresa delle relazioni tra Roma e Mosca. Idealismo massimalista e realismo bolscevico: la missione Bombacci-Cabrini a Copenaghen nell’aprile 1920, «Storia contemporanea», vol. 19, n. 5, 1988, pp. 797-850. Si noti che anche le Potenze dell’Intesa, in accordo con l’Italia, stavano programmando «a committee of investigation into Russia». Cfr. The Ambassador in Great Britain (Davis) to the Acting Secretary of State, 861.00/6453: telegram, London, February 27, 1920, Frus, United States Department of State, Papers relating to the foreign relations of the United States, 1920, vol. III, p. 448. 187 Relazione di Bombacci e di Cabrini, cit. in G. Petracchi, La crisi del dopoguerra e la scissione socialista, in S. Caretti, Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti (a cura di), Lezioni di storia del Partito socialista italiano…, cit., pp. 159-160. 177 lenze interne all’Ungheria, le segnalazioni di Horthy avevano come scopo quello di incidere sulla sorte dei comunisti ungheresi, tra i quali Béla Kun, trattenuti in Austria in attesa di processo. Il nuovo regime magiaro pretendeva il loro ritorno ma le già riportate notizie sul «terrore bianco» generavano dubbi circa il loro destino (e sopravvivenza) una volta tornati in Ungheria. L’Austria si trovava in una situazione particolarmente scomoda. In marzo, Nitti apprese tramite il marchese Torretta che il Cancelliere Renner stava cercando una soluzione alternativa alla residenza austriaca dei prigionieri. Torretta era piuttosto allarmato a tal proposito: i socialisti italiani proposero che i compagni ungheresi fossero tradotti a San Marino, ma le autorità del Regno opposero resistenza a tale opzione. Renner fece «larghe rassicurazioni», facendo «dedurre» di non essere «disposto a facilitare direttamente o indirettamente e con studiata negligenza la fuga in Italia dei comunisti ungheresi». A Torretta, queste intenzioni parvero confermate dal tentativo di creare un accordo per la «reciproca sorveglianza dei movimenti comunisti», sulla linea di quanto fatto dagli austriaci con i cecoslovacchi, accordo di fatto mai attivato per la negligenza del Ministero degli esteri italiano. Un’ulteriore conferma venne dalle segnalazioni di Renner sulla «scarsa vigilanza esistente alla frontiera» e sulla preventiva comunicazione del trasferimento di Béla Kun in manicomio. Ma dalle parole di Torretta trapelava il sospetto: nei discorsi del Cancelliere era emersa una «vaga speranza di sbarazzarsi di ospiti incomodi mediante entrata in Italia», aspettativa nata in Renner dopo un suo colloquio con il cavalier Caroti, in contatto con i rivoluzionari ungheresi al fine di portare a termine la missione di liberarli, con il consenso del Regio governo, «per portarli in Italia». Certo, Renner aveva fatto «trasparire il vago desiderio di liberarsi degli ospiti incomodi, ma sempre subordinandolo al consenso del governo italiano»188; ma il fronte – per l’Italia – rimaneva aperto. L’Austria, per liberarsi degli importuni prigionieri, utilizzò nuovamente la carta dell’Italia filobolscevica. In un telegramma successivo, Torretta riferì di un nuovo e più positivo colloquio con Renner: il diplomatico italiano aveva chiesto, a nome del Regio governo, «le misure preventive le più rigorose onde allontanare ogni possibilità [di] esecuzione [del] complotto tendente a fare fuggire in Italia [i] 188 Telegramma cifrato n. 5953 di Torretta a Nitti, 23 marzo 1920, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 178 comunisti ungheresi»189. Il Cancelliere aveva precisato di aver già preso le «possibili misure», assicurando che avrebbe comunque impartito «nuovi tassativi ordini» «per intensificare» la «sorveglianza». La posizione di Renner pareva cambiata: quasi a titolo di giustificazione, quest’ultimo aveva addotto la scusa che negli ambienti comunisti era circolata la voce che il Regio governo era «disposto ad ammettere che un certo numero di comunisti ungheresi venisse in Italia». Torretta replicò che «noi non [avevamo] mai avuto l’idea che [ci era stata] attribuita»190. Ma la situazione non era affatto chiara. Non lo era nemmeno al Ministero degli esteri ove non sapevano come muoversi. E non sapevano nemmeno cosa era stato fatto. La diplomazia personale ed informale di Nitti talvolta spiazzava anche i suoi collaboratori191. Da una nota degli Esteri, si deduceva che i diplomatici non sapevano esattamente né come si era mosso il Presidente del Consiglio, né quale atteggiamento adottare: Ci sono due telegrammi di Torretta in risposta ad altri inviatigli direttamente da S.E. Nitti dai quali appare che il Presidente del Consiglio aveva effettivamente dato istruzioni a Vienna circa i comunisti ungheresi per il timore che, liberati, potessero venire in Italia senza che peraltro risulti la portata esatta di quelle istruzioni192. Il Ministero concludeva di non essere in grado di valutare la questione e la girava alla Presidenza del Consiglio. La vicenda conobbe un’ulteriore evoluzione quando, nel maggio, gli Esteri inoltrarono agli Interni le fotografie di alcuni comunisti ungheresi, tra i quali Béla Kun, che sembravano pronti giungere in Italia o già vi alloggiavano 189 Sulla presenza di comunisti italiani in Austria, anche se con riferimento al periodo successivo al 1922, si veda: B. McLoughlin, H. Leidinger, V. Moritz (a cura di), Kommunismus in Österreich, 1918-1938, StudienVerlag, Innsbruck-Wien-Bozen, 2009, pp. 153-154. 190 Telegramma cifrato n. 5953 di Torretta a Nitti, 26 marzo 1920, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 191 G. Petracchi, Da San Pietroburgo…, cit., p. 247. 192 Nota del Regio Ministero degli affari esteri, Direzione generale degli affari politici, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 179 sotto falso nome193. In una prima fase, il governo mantenne volutamente una linea fumosa: non voleva certo che i comunisti ungheresi entrassero nel Regno per fomentare disordini in un momento in cui la situazione interna pareva particolarmente precaria; al contempo, tuttavia, il Regno non poteva rendersi complice della certa repressione a cui sarebbero andati incontro una volta tornati in Ungheria. Le voci si rincorrevano, talvolta senza coerenza alcuna: in questa confusione generale, il deputato socialista Cesare Alessandri rivolse un’interpellanza al Presidente del Consiglio circa il preteso intervento della Missione militare italiana a Vienna contro la liberazione dei prigionieri comunisti ungheresi194. L’occasione fu propizia per definire finalmente la linea del governo sulla questione. Negli appunti per la risposta a Alessandri, respingendo risolutamente l’ipotesi che il Regno si fosse opposto alla liberazione dei prigionieri ungheresi, il Presidente del Consiglio precisò che «mai» il governo italiano aveva «concepito l’idea di ostacolare la messa in libertà di quei comunisti», interferenza che sarebbe stata «contraria a quello spirito di moderazione che l’Italia [aveva fino a quel momento] sempre dimostrato di fronte a misure di repressione violenta o di rappresaglia politica». Piuttosto, si faceva presente come la Regia Legazione in Vienna, su indicazione del governo, avesse soltanto «raccomandato» al governo austriaco che, nel caso in cui i comunisti ungheresi fossero stati liberati, fosse disposta una «opportuna vigilanza» affinché essi non «evadessero dal confine verso l’Italia»195. In realtà, il Regio governo aveva fatto molto di più: in una nota informale a uno dei decrittatori, un certo Valentino, un anonimo ricordava che la posizione, pur «informale» delle autorità, era stata quella di non ingerirsi nella questione, purché i comunisti magiari 193 Comunicazione di Lago, Ministero affari esteri al Mi, Dg, Ps, oggetto: comunisti ungheresi, 16 maggio 1920, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 194 Nota del Sottosegretario di Stato Grassi al Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri Carlo Sforza, 20 aprile 1920, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. Si noti che lo stesso Alessandri si era ripetutamente speso per la libertà di opinione e associazione dell’estrema Sinistra. Cfr. ad esempio, la sua interrogazione parlamentare sul divieto di affissione del manifesto recante l’informazione dell’organizzazione della conferenza I problemi di una rivoluzione comunista in Italia: Atti parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXV, 1° sessione, discussioni, tornata del 7 maggio 1920, p. 2025. 195 Appunti per la risposta all’interrogazione dell’Onorevole Alessandri, 23 maggio 1920, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 180 «non venissero in Italia»196. Gli ex leader della Repubblica dei Consigli erano ospiti indesiderati per qualsiasi governo, se si esclude quello sovietico. In una lettera confidenziale di Renner al Ministro plenipotenziario della Repubblica francese Lèfevre-Pontalis, rimessa dallo stesso Renner al governo italiano, il Cancelliere esponeva il punto di vista austriaco, sottolineando come i comunisti ungheresi – sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica – stessero diventando dei veri e propri «martiri», come dimostrava l’incremento delle richieste di incontrarli provenienti da tutti i Paesi dell’Intesa. L’ipotesi di tradurli sul suolo russo non solo era conveniente ma sarebbe stata utile a screditarli197. La missiva del Cancelliere austriaco rese impellente una presa di posizione netta da parte dell’Italia. L’attitudine di Roma fu così formalizzata in un telegramma in partenza dagli Esteri per il delegato italiano alla Conferenza degli Ambasciatori, a Parigi, nel maggio. In riferimento alla possibilità, prospettata dai russi, di un possibile scambio tra i cittadini dei Paesi dell’Intesa trattenuti nella Repubblica rossa, con i comunisti ungheresi, Sforza scrisse: Regio governo non vuole immischiarsi in tale questione che considera questione interna austriaca, si interessa soltanto perché comunisti ungheresi non vengano in Italia, non vede alcuna connessione fra trasferimento di essi in Russia e rimpatrio da colà prigionieri italiani o di altra nazionalità198. 196 Appunto per Valentino, s.d., Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 197 Lettera confidenziale n. 2318/3 di Renner, Départment des Affaires Etrangères de la Répubblique d’Autriche, a Lèfevre-Pontalis, inviato straordinario e Ministro plenipotenziario della Repubblica francese, rimessa dal Cancelliere Renner al Regio governo italiano, 10 giugno 1920, Asmae, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 198 Telegramma n. 392 del Mae al delegato italiano alla conferenza degli Ambasciatori, 26 maggio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. Si noti che gli Stati Uniti e la Francia avevano invece correlato direttamente la possibilità di un loro placet al trasferimento dei comunisti ungheresi in cambio del rilascio dei loro cittadini trattenuti e imprigionati in Russia. Telegramma di Torretta a Nitti, 21 maggio 1920; telegramma n. 1000 al Mae dal delegato italiano alla conferenza degli Ambasciatori, 16 maggio 1920; bozza della risposta del Mae alla Gran Bretagna sul destino di Béla Kun, 4 agosto 1920, ivi. Sulla posizione di Parigi circa il possibile scambio di sudditi russi in Francia e cittadini francesi nella Repubblica dei Soviet, si veda: M. Paléologue, Sécretaire général du Ministère des affaires étrangères, à M. E. Lafont, député de Paris, 19 giugno 1920, doc. 125, Ministère des affaires étrangères, Ddf, 1920, tome II, (19 mai-23 septembre), pp. 156-157; M. Mil- 181 La situazione trovò una propria definizione nel luglio-agosto 1920, ad un anno dalla caduta della Repubblica dei Consigli. Dopo varie ipotesi di passaggio per i Paesi dell’Europa centrale199, secondo le informazioni pervenute all’Ambasciata a Berlino, Béla Kun era stato arrestato a Stettino assieme ai prigionieri russi inviati dall’Austria in Russia, attraverso la Germania200. L’Ungheria, profondamente irritata dalla questione, stava svolgendo indagini per comprendere le responsabilità dell’Austria201 e degli altri Paesi coinvolti202. In una nota riservatissima di Biancheri, da Vienna, per Giolitti – che, nel frattempo, era divenuto Presidente del Consiglio, rivestendo anche la carica di Ministro dell’interno – si riferiva che il Cancelliere austriaco aveva effettuato un vero e proprio scambio tra i comunisti ungheresi e quelli austriaci, trattenuti in Russia. La decisione, si era giustificato Renner, era stata presa dopo un giro di consultazione con i governi alleati: in particolare, visto che il Regio governo non aveva avuto «nulla da eccepire» circa l’invio dei bolscevichi magiari nella Repubblica dei Soviet, «purché il viaggio [non fosse effettuato] attraverso il territorio italia- lerand à M. de Fontenay, Ministre de France à Belgrade, 14 luglio 1920, doc. 203, Ministère des Affaires étrangères, Ddf, 1920, tome II, (19 mai-23 septembre), pp. 260. La politica inglese di rimpatrio dei russi era differente: come emerse in un telegramma di Curzon, «we would allow any Russian whether in prison or not to return to Russia if he desires to do so […] and would give them reasonable facilities for so doing». Cfr. Telegraphic no. 1560 from Earl Curzon to Mr. Grant Watson (Copenhagen), 9 dicembre 1919, doc. 595, Dbfp, 1919, vol. III, p. 690. Circa le proteste di Litvinov in merito, si veda anche: Telegraphic no. 28 from Mr. Grant Watson (Copenhagen) to Earl Curzon, 8 gennaio 1920, doc. 634, Dbfp, 1919, vol. III, p. 750. 199 Comunicazione del Comando supremo dell’Arma nazionale ungherese a Vittorio Cerruti, Commissione interalleata dei generali a Budapest, oggetto: evasione di Béla Kun, 31 gennaio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 200 Telegramma cifrato di Guarneri, Ambasciata a Berlino, 23 luglio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 201 Telegramma cifrato n. 4204 di Cerruti, 7 luglio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 202 Telegramma cifrato n. 4038 di Cerruti, 20 luglio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 182 no», non aveva ritenuto doveroso informare anticipatamente Roma203. Nel frattempo, gli scomodi ospiti erano giunti a Berlino: notizie da Cerruti indicavano che la Germania era titubante a procedere all’internamento di Béla Kun e a provocarne l’estradizione in Ungheria «per timore delle Potenze dell’Intesa»204. Mentre Della Seta e Vella promuovevano un’interpellanza parlamentare per conoscere la sorte dei comunisti ungheresi di cui si erano già occupati in passato205, il Ministero dell’interno ricevette la notizia secondo la quale la Germania aveva ritenuto inopportuno trattenere Béla Kun «in arresto senza alcuna base di diritto» ed aveva perciò deciso di «lasciarlo proseguire» per la destinazione che aveva scelto, cioè la Russia206. L’Ungheria aveva ovviamente risposto con un atteggiamento di pubblico biasimo: Cerruti considerò che le dichiarazioni rilasciate in sede di Assemblea nazionale dal Presidente del Consiglio magiaro, il conte Pál Teleki, fossero dettate da uno «stato d’animo eccessivamente eccitato» che caratterizzava l’atteggiamento della classe dirigente ungherese nel «giudicare dei problemi attinenti al comunismo»207. Se, nel corso del breve periodo della Repubblica dei Consigli, l’Italia si era mostrata l’unico interlocutore possibile per Budapest tra i Paesi dell’Intesa, ora era il timore di favorire un opposto estremismo a 203 Telegramma riservatissimo alla persona da Biancheri, Vienna, a Giolitti, 16 luglio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 204 Telegramma cifrato n. 4212 di Cerruti, 25 luglio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. Si noti che Parigi era intervenuta, su questo tema, presso Berlino, affinché non concedesse l’estradizione di Béla Kun verso l’Ungheria. M. Millerand, Ministre des Affaires Étrangères, à M. Fouchet, Haut-Commissaire français à Budapest, 1 agosto 1920, doc. 278, Ministère des Affaires étrangères, Ddf, 1920, tome II, (19 mai-23 septembre), p. 353. 205 Regio Ministero degli affari esteri, Interrogazione di Della Seta e Vella riguardo alla sorte dei comunisti ungheresi, 7 luglio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 19191930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. Cfr. l’interpellanza di Della Seta e Vella, Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXV, 1° sessione, discussioni, tornata del 6 maggio 1920, p. 1975. 206 Telegramma di De Martino, Berlino, a Roma, luglio 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 207 Telegramma di Cerruti, Budapest, al Mae, 7 agosto 1920, Asmae, b. 1741, Affari politici 1919-1930, cartella Comunismi e Comunisti in Austria e Ungheria, 1920, Ungheria 1. 183 plasmare l’immagine di un’Italia attenta alla sorte dei leader bolscevichi, concorrendo a confermare, agli occhi di alcuni osservatori internazionali, la tendenza filobolscevica del Regno. 184 4. Roma come garante e obiettivo della bolscevizzazione: aspetti interni ed internazionali di una epidemia globale 4.1 «Salvare il Paese della peste più schifosa». L’insofferenza italiana per le infiltrazioni rivoluzionarie Alcuni osservatori contemporanei ritennero il 1920 come l’anno in cui sarebbe realmente potuta scoppiare la rivoluzione in Italia. I forti rivolgimenti agrari e operai imposero al Ministro della guerra Bonomi delle misure precauzionali di carattere militare per fronteggiare colpi di mano rivoluzionari. Il 1920 si attestò anche come un altro anno di segnalazioni di bolscevichi in Italia: la Svizzera, la Germania e l’Ungheria si confermavano come i principali Paesi di provenienza degli emissari. Da Berna, giungevano informazioni riservatissime circa la continua entrata in Italia di «agenti bolscevichi» provenienti dalla città di Briga, che passavano attraverso i villaggi svizzeri di Fiesch e Binn, situati nel Canton Vallese, grazie all’azione di «guide speciali» incaricate di agevolare il loro transito al confine1. I rappresentanti italiani a Berna segnalavano l’assoluta assenza di sorveglianza su quel lato della frontiera e una certa acquiescenza da parte della popolazione e delle autorità locali2. L’esempio che venne portato fu quello dell’atteggiamento di un «Tenente svizzero addetto al servizio della frontiera italo-svizzera» il quale, dopo aver arrestato «quattro individui che sembravano ebrei russi, i quali portavano seco due grossi pacchi pieni di opuscoli rivoluzionari in italiano», li aveva lasciati partire «permettendo di portar via gli opuscoli». Il Tenente aveva poi raccontato la vicenda, precisando che poiché «non disponeva di persone per far accompagnare gli individui in parola fino a Briga, [aveva preferito] di- 1 Telegramma n. 4996 da Berna al Ministero degli affari esteri, 21 aprile 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 2 Dispaccio telegrafico del Ministero dell’interno per i Prefetti di Como, Sondrio e Novara, 23 aprile 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 185 sfarsene lasciandoli penetrare in territorio italiano»3. La politica aperturista di Nitti nei confronti della Russia, prima, e poi quella di appeasement di Giolitti, convinto che lo spirito insurrezionale, una volta sfogato, si sarebbe esaurito da solo4, avevano senz’altro inciso nella definizione dell’immagine internazionale dell’Italia. Notizie poco rassicuranti arrivavano dal Regio agente diplomatico a Tangeri: quest’ultimo aveva raccolto «notizie confidenziali di fonte degna di fede», secondo le quali «agenti tedeschi nella Spagna che durante la guerra [avevano menato] campagna contro gli Alleati si [erano] trasformati in agenti bolscevichi con l’intento di fomentare disordini specialmente in Francia e Italia». Lo scopo di questi individui era quello di «sottrarre la Germania agli obblighi» del Trattato di pace: a tal fine, «somme importanti» erano giunte in Spagna «dalla Russia e Germania», senza che esse fossero «giustificate da necessità economiche»5. Infine, secondo le autorità di Pubblica sicurezza, i propagandisti ungheresi – rimasti senza patria dopo l’ascesa al potere dell’Ammiraglio Horthy – continuavano a costituire una fonte inesauribile di preoccupazione per la sicurezza dell’Italia. Il Regio agente politico a Scutari, nella parte Nord-occidentale dell’Albania, segnalava il peregrinare presso il proprio ufficio di «giovani ungheresi» che richiedevano il passaporto per il Regno facendo «racconti fantastici di persecuzioni serbe». Il diplomatico italiano sosteneva che essi fossero in realtà «emissari bolscevichi» che tentavano di infiltrarsi nella penisola al fine di fomentare disordini6. Notizie sulla presenza in Italia di propagandisti pronti alla rivoluzione provenivano dalle fonti più disparate. Che esse fossero comprovate o solo potenzialmente veritiere, i rapporti informativi, generalmente provenienti dal Ministero degli affari esteri o dalle sue emanazioni locali nei Paesi stranieri, venivano girati agli Interni, e conseguentemente fatti circolare tra i Prefetti di competenza territoriale. Una volta confermata l’attendibilità della fonte in prima battuta, la notizia veniva ripresa dagli organi preposti e ritenuta sostanzial3 Telegramma riservato n. 573 della Regia Legazione di Berna per il Ministero dell’interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, 13 aprile 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 4 Sull’incapacità di Giolitti di mediare tra i diversi estremismi: E. Gentile, L' Italia giolittiana: 1899-1914…, cit., pp. 230-231. Si noti l’impatto che la politica giolittiana ebbe sulla definizione dell’azione prefettizia: M. Saija, I prefetti italiani …, cit., pp. 53-55. 5 Promemoria per il comm. Quaranta: notizie provenienti dal Regio agente diplomatico a Tangeri, 4 giugno 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 6 Telegramma del Ministero degli affari esteri per il Ministero dell’interno, 14 luglio 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 186 mente come veritiera. Questa mi pare essere la ragione per la quale il Ministero degli interni faceva circolare indiscrezioni assai poco verificabili, come quella relativa ad una conversazione avvenuta su un treno in transito per Volterra, in Toscana, tra un socialista italiano non meglio precisato ed un «fanatico» proveniente dall’Ungheria «a scopo di propaganda bolscevica». Il propagandista, che «andava a Volterra per una missione fra quegli operai», agiva in collaborazione con altri «rossi venuti dall’Ungheria e dalla Russia» con lo scopo di «catechizzare le masse italiane». L’agente, assai prolisso, si era lasciato sfuggire che a Roma erano già «settecento i nostri compagni sparsi fra le diverse classi sociali, forti di denaro e di libri di propaganda»; così anche a Pisa, ove molti erano gli «studenti bolscevichi inscritti a quella Università con lo scopo preciso della propaganda rivoluzionaria». Infine, l’emissario chiacchierone aggiunse: […] tutto è pronto per lo scoppio della rivoluzione e l’instaurazione dei Soviet, non appena le Armate rosse, occupata Varsavia, potranno trovare un pretesto per attaccare l’Ungheria7. L’anonimo propagandista, in realtà, una qualche informazione pareva averla. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, la ricostruzione di Petracchi conferma che la caduta di Varsavia fosse considerata un passaggio strategico per il tentativo di una rivoluzione in Italia, sia agli occhi dei bolscevichi, sia a quelli dei socialisti rivoluzionari e comunisti nostrani. Ciò nonostante, non credo sia questo il punto più rilevante della vicenda: il racconto dell’emissario dal carattere espansivo che, sul treno, si lasciava andare a chiacchiere confidenziali con uno sconosciuto, ci porta al problema delle fonti che il Ministero riteneva accreditate. La storia del propagandista veniva infatti dalla testimonianza, inviata per iscritto, del Direttore generale de «La Cremonese», cooperativa che si occupava di assicurazioni e bestiame a Cremona, il quale riferiva in 7 Espresso riservato personale del Ministero dell’interno per i Prefetti di Pisa e Roma, 24 agosto 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. Circa il ruolo strategico della Polonia nella conquista bolscevica dell’Europa, in generale, e dell’Italia, in particolare, si veda questo evocativo volantino: «Italiani, se volete che il vostro Paese turlupinato e derubato dall’Intesa non venga coinvolto nel disastro, obbligate il vostro governo a dichiarare senza ritardo la sua neutralità. Ritirare i vostri crediti e i vostri beni dall’Inghilterra e dalla Francia e richiamate i vostri connazionali in Patria». Messaggio di un gruppo di bolscivichi russi in viaggio, Italia, 6 agosto 1920, Acs, Roma, Ministero dell’interno, Dg, Ps, cat. K 1, b. 6, fasc. 20 Italia, sottofasc. 3. 187 realtà una confidenza che gli aveva fatto il suo Vice, il ragionier Beduzzi, iscritto al Partito socialista8. Nell’inviare la comunicazione ai Prefetti, il Ministero aveva copiato di pari passo l’indiscrezione, non operando nessun taglio o cambiamento sulla storia che potesse anche solo far ripensare all’attendibilità della stessa. In realtà, si trattava solo di una voce riferita che, per quanto echeggiasse caratteri realistici in alcuni tratti, era priva di prove di qualunque natura e condita da considerazioni personali, come questa: A completare la cronaca, aggiungo che l’emissario russo, aveva un corredo completo di profumi, lozioni e biancheria intima, il che sta a dimostrare che certi comunisti hanno dei gusti raffinati!!9 Il continuo pervenire di informative relative all’entrata e alla presenza nel Regno di agenti bolscevichi, spesso acriticamente accettate come fonti veritiere, influì certamente sulla percezione del “pericolo rosso” proveniente dall’estero. In questo senso, come abbiamo già avuto modo di accennare, va sottolineato come le informative provenienti dai Ministeri agissero quasi come un eccitante, un «moltiplicatore», per dirla con Lefevbre, nello svolgimento del lavoro prefettizio: questo risulta evidente dall’enorme disparità tra il materiale proveniente dai Ministeri degli esteri e dell’interno, nel quale la minaccia bolscevica appariva lampante e concreta, e l’atteggiamento tranquillizzante che emergeva dalla documentazione dell’Arma dei Carabinieri. Quest’ultima, pur agendo su indicazione delle alte autorità per prevenire la bolscevizzazione del Paese, restituiva sì un quadro complesso e fortemente irrequieto rispetto alle attività degli italiani, ma rassicurante dal punto di vista del pericolo dell’importazione della rivoluzione10. Il mantenimento di un regime di allerta indusse, da un lato, le autorità a vedere il pericolo anche dove non c’era; dall’altro, portò a un progressivo ma sempre più accentuato scivolamento verso un atteggiamento di insofferenza nei confronti della presenza di rivoluzionari stranieri, condiviso sia da una parte dei funzionari sia dall’opinione pubblica. Por8 Lettera del Direttore generale de «La Cremonese», Cooperativa, assicurazioni, bestiame, Cremona, per la Direzione generale della Pubblica sicurezza, prot. 21212, 22 agosto 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 9 Ivi, p. 2. 10 A titolo di esempio: Regia Questura di Padova, div. Gab. n. 1176, oggetto: giornali politici, 20 luglio 1920, AsP, Gabinetto di Prefettura, b. 292. 188 tando un esempio al primo aspetto menzionato, vale la pena di ricordare la forte preoccupazione suscitata dall’arrivo di un gruppo di uomini, giunti su un piroscafo proveniente da Odessa, via Costantinopoli, per i quali non si avevano indicazioni precise e nemmeno l’Ambasciata russa era in grado di «garantire personalmente»11. Il Ministero dell’interno telegrafò dunque immediatamente al Sottoprefetto di Taranto affinché verificasse le «complete generalità» degli stranieri, nonché la «destinazione» che avrebbero voluto prendere12. In favore del gruppo di russi intervenne Sforza che, in un telegramma urgente, comunicò le informazioni ricevute tramite l’Alto commissario di Costantinopoli dal Cav. Maffei, il Regio agente ad Odessa, che li definiva «persone ineccepibili e fornit[e] di mezzi»: Sforza chiedeva dunque che «nessuna difficoltà [fosse] fatta al loro sbarco»13. Tuttavia, l’intervento di Sforza non incontrò ampio consenso agli Interni. Un’anonima nota del Ministero, concedendo «in via eccezionale» l’ingresso nel Regno ai cittadini provenienti da Odessa, precisava che era da ritenersi negato l’accesso anche nel caso in cui, pur trattandosi «di persone ineccepibili [e] fornite di mezzi», i russi fossero venuti «in Italia senza uno scopo determinato, o per affari la cui sussistenza» non risultasse in modo evidente. È vero, infatti, che mancando nella maggior parte dei casi un reale interesse, questi russi possono [illeggibile] andare in un altro posto e che sceglierebbero effettivamente un altro itinerario, un’altra meta delle loro peregrinazioni se non trovassero, come nel caso in [illeggibile] agevolazioni ed incoraggiamento da parte di [illeggibile] agenti dall’estero14. Si proponeva, dunque, una raccomandazione al Regio agente ad Odessa così come all’Alto commissario in Costantinopoli, affinché evitassero di mettere il Ministero in una simile situazione di imbarazzo o di creare delle situazioni spiacevoli per l’ordine del Paese15. 11 Telegramma urgentissimo n. 1949 del Ministero degli affari esteri per il Ministero dell’interno, 16 febbraio 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 12 Dispaccio telegrafico n. 3041 del Ministero dell’interno per il Sottoprefetto di Taranto, 13 febbraio 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 13 Telegramma n. 4931 da Carlo Sforza, 11 febbraio 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 14 Telegramma n. 4931 del Ministero dell’interno, 13 febbraio 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3 (il documento è manoscritto e di difficile comprensione). 15 Ibidem. 189 In questo caso non era tanto il timore di un’escalation rivoluzionaria a funestare gli animi delle autorità, quanto piuttosto l’opposta reazione estremista che si stava ormai facendo chiaramente strada nella società italiana. Come ha osservato Emilio Gentile, l’attivismo rivoluzionario – combinato con l’esperienza della Grande Guerra e gli echi della rivoluzione russa – produsse esiti diversi e per certi versi contrapposti nella società italiana: il denominatore comune di queste antitetiche risultanze fu «il passaggio dal mito della rivoluzione sociale al mito della “rivoluzione italiana”». Così, la guerra rappresentò per Mussolini ciò che per Gramsci significò la rivoluzione bolscevica: la concretizzazione pratica di ciò che le ideologie avevano teorizzato16. La costituzione dei Fasci di combattimento, nel marzo 1919, e l’abbandono della forma movimentista, fortemente osteggiato da Mussolini in precedenza, con la genesi del Partito fascista nel 1921, non mutò la ragione fondamentale per la quale la Massoneria, le associazioni patriottiche, alcune banche e singoli commercianti, industriali, artigiani sostenevano il fascismo: la lotta antibolscevica17. Una parte importante della società, la cui genesi affondava nel periodo nato dal travaglio della guerra, non necessariamente legata agli ambienti fascisti, condivideva quello che De Felice ha definito come «humus combattentistico», polemico nei confronti del «vecchio mondo liberaldemocratico», colpevole di essere incapace di governare l’Italia che gestiva in base a schemi astratti con esiti assai negativi18. Una parte dell’opinione pubblica sosteneva o, quanto meno, non biasimava i metodi cruenti dei fascisti data la manifesta impotenza dello Stato nel contenere i rigurgiti rivoluzionari in Italia. La tolleranza governativa circa la presenza di agenti ed emissari bolscevichi diveniva un elemento costituente della critica alla classe dirigente al potere. Nel marzo 1921, in piena campagna elettorale per l’appuntamento del maggio, alcuni giornali di matrice conservatrice si resero partecipi di una contestazione contro lo Stato condotta sulla stampa, reo di usare il “guanto di velluto” con i faccendieri di Lenin in Italia. Il provvedimento di espulsione dall’Italia per «mene bolsceviche», emesso ai danni del conte Károlyi, Primo ministro nella fase antecedente alla Repubblica dei 16 E. Gentile, Storia del partito fascista: 1919-1922: movimento e milizia, Laterza, Roma-Bari, 1989, pp. 17-18. 17 Ivi, p. 41; cfr. anche P. Alatri, Le origini del fascismo: nei vizi antichi della classe dirigente italiana, Res Gestae, Milano, 2014, pp. 33-110. 18 R. De Felice, Mussolini il fascista, vol. 1, La conquista del potere, 1921-1925, Einaudi, Torino, 1966, p. 77. 190 Consigli e poi indicato da alcuni come esponente filobolscevico19, era salutato con giubilo da «Il Giornale d’Italia», pubblicato a Roma, fautore di una politica di autorità e prestigio per lo Stato, fortemente critico nei confronti delle posizioni attendiste del Presidente del Consiglio Giolitti sulle questioni del socialismo20. La decisione nei riguardi dell’esponente politico ungherese, a detta de «Il Giornale», era stata un «buon provvedimento» che aveva il solo difetto di non esser stato preso prima. Károlyi era, infatti, solo uno dei numerosi «emissari di Mosca» che lavoravano «per la rivoluzione», disponendo di «moltissimo denaro», e che coprendosi con la propria «immunità diplomatica», costituivano «pel nostro organismo nazionale i microbi più nocivi»: Vogliamo piuttosto parlare dei molti altri individui, russi, ungheresi e di altre nazionalità, che agiscono nel nostro Paese in combutta coi comunisti e con gli anarchici per alimentare la guerriglia civile che infesta e discredita l’Italia. […] È notorio che molti comunisti italiani scialano allegramente con i quattrini russi […] essi sono in continua e diretta comunicazione con gli emissari di Mosca i quali, secondo rivelazioni pubblicate da giornali scandinavi, sommerebbero in Italia ad oltre 60021. «Il Giornale» esortava dunque la polizia ad un ampio «repulisti»: mentre in Francia, Svizzera e Gran Bretagna, le autorità di Pubblica sicurezza si erano mostrate pronte ed efficaci nello smascherare intrighi internazionali rivoluzionari, la polizia italiana era stata «fiacca, quasi timorosa e comunque incerta», il «governo troppo blando» nel «salvare il Paese dalla peste più schifosa» (sic!)22. Giolitti si era mostrato eccessivamente tollerante nei confronti delle infiltrazioni straniere che avevano condotto ad una degenerazione del contesto sociale e politico italiano: Ormai siamo stati anche troppo tolleranti e per questa nostra indulgenza abbiamo lasciato avvelenare una parte delle masse operaie sicché i germi della guerra civile serpeggiano nel Paese producendo qua e là conflitti sanguinosi. 19 Sul governo Károlyi, si veda: J. Gergely, L’Ungheria di Horthy dal 1918 al 1936, in P. Fornaro (a cura di), La tentazione autoritaria. Istituzioni, politica e società nell’Europa centro-orientale tra le due guerre mondiali, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, pp. 12-14. 20 La perdita di consenso dello statista fu anche frutto della sua incapacità di comprendere l’importanza dei ceti medi. E. Gentile, L' Italia giolittiana: 1899-1914, vol. 3, il Mulino, Bologna, 1990, pp. 231-232. 21 Mano straniera, «Il Giornale d’Italia», 8 marzo 1921, p. 1. 22 Ivi. 191 Se il governo agisse risolutamente per espellere tutti gli agenti stranieri di Lenin, sarebbe veramente benemerito della pace sociale23. Il quotidiano entrava poi nel dettaglio di pratici suggerimenti per recidere i tentacoli alla piovra comunista. In primo luogo, era necessario «sorvegliare il flusso del denaro straniero nelle varie banche cercando di tagliare i viveri alla organizzazione comunista»; punto secondo, era necessario ricostruire, caso per caso, le «posizioni personali di tutti gli stranieri residenti in Italia, cacciando via senza pietà gli ospiti indesiderabili»; infine, bisognava «sorvegliare molto da vicino i comunisti di nazionalità italiana». Solo così facendo, sarebbe stato possibile «accelerare il processo di disintossicazione della Nazione, ahimè, avvelenata dalla propaganda bolscevica e dall’oro russo»24. A soli due giorni di distanza, «Il Popolo romano» riprendeva l’adagio contro i bolscevichi infiltrati: prendendo spunto dal caso Károlyj e da quello del conte Bernsdoff, l’ex Ambasciatore tedesco a Washington residente, in quei mesi, a Milano, il quotidiano denunciava la presenza «in tutta Italia» di «tedeschi, russi ed ungheresi» che vivevano «beatamente, provvisti di larghi mezzi», di cui era difficile stabilire la provenienza. Di fronte a un tale fatto, un vero e proprio «pericolo nazionale», «Il Popolo romano» richiamava l’attenzione non solo delle autorità di Pubblica sicurezza, esortandole a «speciali rigori di polizia», ma anche i comuni cittadini, che avrebbero dovuto contribuire ad «un’opera di vigilanza e di salute pubblica». Il quotidiano riteneva dunque opportuno dare l’esempio con una denuncia chiara dei sospetti maturati nell’ambiente romano: Noi, per conto nostro, incominciamo col fare questa precisa denunzia che, regolarmente, indirizziamo al Questore di Roma: in uno stabile di via della Croce hanno preso alloggio alcuni russi […] [i quali] vivono ben provvisti di mezzi, non lavorano. Hanno un breve seguito di damigelle, di cui una va sovente a Parigi. Di quelli, uno ha stretto cordiale amicizia e va a braccetto con un ingegnere italiano, comunista, che fu bocciato nelle ultime elezioni amministrative e che è sposato ad una russa. Tutta la combriccola durante i moti di Toscana, è scomparsa, misteriosamente!25 23 Ivi. Ivi. 25 I russi residenti a Roma. Una denuncia al Questore, «Il Popolo romano», 10 marzo 1921, p. 4. 24 192 Gli elementi portati a conoscenza dell’opinione pubblica da «Il Popolo romano» erano assai vaghi e, sia per la forma sia per il contenuto, parevano più il quesito di un cruciverba che non le prove di una congiura bolscevica. Ciò nonostante, il giornalista concludeva che «troppi indizi, troppi fatti» collimavano «per non trarre quelle deduzioni che i tragici avvenimenti ultimi [imponevano] rigorosamente»26. Le autorità locali si sentirono chiamate in causa e accorsero ad informare il Ministero dell’interno circa il lavoro della Questura capitolina, che esercitava una «continua ininterrotta vigilanza sull’elemento straniero residente o di passaggio nella Capitale e in ispecie sui russi e ungheresi mediante accertamenti anche presso alberghi, locande ed affittacamere e verifiche dei documenti di cui detti stranieri [erano] in possesso». La Prefettura sottolineava il fatto che le autorità locali di Pubblica sicurezza, in numerosi casi, avevano provveduto al «fermo di individui trovati sprovvisti di documenti di identificazione» e che «varie [erano] state le proposte di espulsione di coloro che fu accertato esercitassero propaganda nociva agli interessi italiani». Contestando la cifra riportata dall’articolo circa la presenza di circa seicento individui «giunti dall’estero» e residenti «nella capitale per propaganda bolscevica» (curiosamente, lo stesso numero riportato dall’indiscrezione del loquace agitatore che viaggiava in treno nelle zone di Volterra, di cui abbiamo già parlato, sic!), la Prefettura metteva in rilievo i nomi di alcuni dei noti propagandisti domiciliati a Roma, tra i quali il conosciuto Vodovozov, il suo principale collaboratore Erlich ed il polacco Polanyi27. Il dibattito pubblico sulla presenza di bolscevichi in Italia, emerso strumentalmente nel 1921, dopo più di tre anni di infiltrazioni e quando ormai il fenomeno aveva preso una china discendente, si nutrì di un nuovo capitolo quando fu pubblicato un ulteriore articolo, riportante le notizie del quotidiano francese «Excelsior». Secondo il giornale d’Oltralpe, il Comitato esecutivo della Terza internazionale aveva da tempo un rappresentante ufficiale in Italia, un russo dall’italiano fluente, conosciuto nell’ambiente con il nome di Carlo Niccolini. Questi era 26 Ivi. Potrebbe trattarsi di Karl Polanyi, intellettuale di idee socialiste, anche se la sua collocazione (e soprattutto la sua funzione) in Italia appaiono assai incerte. Telegramma espresso n. 22374 della Prefettura di Roma al Ministero dell’interno, 17 settembre 1919, Acs, Roma, Ministero dell’interno, Dg, Ps, cat. K 1, b. 6, fasc. 20 Italia, sottofasc. 3. Tra gli altri propagandisti, si segnalavano Jacovenko, Sceftel, Kurfist, Schreider, Odon Por, Hays Josph e gli jugoslavi Nokasinovich, Machenovich e Petrovich. 27 193 «una specie di Alto commissario bolscevico per l’Italia, la Svizzera, la Jugoslavia e sembra anche la Francia», ed aveva l’incarico di «dirigere» «il Comitato esecutivo della Terza internazionale» e «la propaganda rivoluzionaria in questi Paesi». Secondo le notizie riportare, il Niccolini, un tempo intimo di Serrati, adottò un atteggiamento estremamente «violento» quando si profilò il confronto al Congresso di Livorno, in merito al quale l’emissario russo si era ardentemente speso «per influire sulle decisioni» da prendere. In seguito alla scissione, il fiduciario della Terza internazionale aveva trovato una nuova accogliente sede presso il Comitato esecutivo del Pcd’I, fungendo da tramite – per il nuovo Partito – con Mosca28. Anche il «Corriere della sera» riprendeva la notizia, con un articolo intitolato La segreta organizzazione bolscevica in Italia e il suo capo a Milano. Nell’articolo, Carlo Niccolini veniva indicato nuovamente come rappresentante della Terza internazionale29. In effetti, la Questura di Milano aveva da tempo un fascicolo a suo carico, e l’aveva identificato come Carlo Ivanenko, un suddito russo d’origine polacca. Il Niccolini-Ivakenko era da tempo una persona attivamente ricercata, come precisavano le fonti della Pubblica sicurezza30. Stupisce e non poco questa nota del 1921 che, pur trattando di Niccolini come persona conosciuta, non rammenta affatto che egli, il cui vero nome era Nikolaj Markovič Ljubarskij, era ben conosciuto dalle autorità di Pubblica sicurezza per essere stato il vero e autorevole rappresentante del Comintern presso il Psi nel periodo tra la fine del 1919 e la prima metà del 1921. Ljubarskij aveva soggiornato a lungo in Italia, nel periodo antecedente alla Prima guerra mondiale, divenendo il curatore della biblioteca italo-russa di Capri e collaboratore di Umberto Zanotti-Bianco31. Nel 1914 si era avvicinato al mondo del socialismo italiano ma due anni più tardi, per questioni personali legate al dissesto economico che aveva colpito la sua famiglia durante la guerra, era tornato in Russia, ove aveva ripreso attivamente la propria attività nelle fila bolsceviche. Nel 1918, Ljubarskij si trovava nel pieno della propria attività da rivoluzionario quando giunse a Berna, in qualità di primo segretario della nuova Ambasciata russa in 28 Chi è il fiduciario del bolscevismo russo, s.d., Acs, Roma, Ministero dell’interno, Dg, Ps, cat. K 1, b. 6, fasc. 20 Italia, sottofasc. 3. Si noti che Niccolini compare anche nei documenti come Nicolini. 29 La segreta organizzazione bolscevica in Italia e il suo capo a Milano, «Corriere della sera», 15 marzo 1921. 30 Comunicazione dal Prefetto di Milano, s.d. (presumibilmente del marzo 1921), Acs, Roma, Ministero dell’interno, Dg, Ps, cat. K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 31 A. Venturi, Rivoluzionari russi in Italia…, cit., p. 196. 194 Svizzera, incarico che aveva ottenuto anche grazie alla sua conoscenza delle cose italiane32. In quel periodo, grazie all’intercessione di Schweide, il noto collaboratore de «L’Avanti», aveva stabilito i primi contatti con i socialisti italiani, guadagnandosi la qualifica di «capo-missione contro l’Italia» agli occhi delle autorità italiane33. Il Ljubarskij, in contatto con Morgari, aveva poi effettivamente creato un rapporto di amicizia con Serrati, del quale era stato anche ospite una volta introdottosi clandestinamente in Italia, nel settembre 1919. La polizia, ampiamente informata sulle attività di Ljubarskij sino alla fine degli anni Dieci, parve dimenticare i suoi pregressi, affibbiandogli persino un nome diverso: la vicenda del ben conosciuto emissario russo, ampiamente correlato alle attività di Serrati e del Partito socialista, fu al centro di questo oblio, lasciando trapelare l’incapacità della Pubblica sicurezza di approfondire in modo accurato la presenza delle infiltrazioni bolsceviche in Italia e la confusione imperante sulle identità degli stessi emissari, il cui nome rimaneva spesso sconosciuto perché questi cercavano di nasconderlo o perché la translitterazione applicata ai nomi russi spesso era imprecisa. Di rapporto in rapporto, i nomi venivano copiati con grossolana disattenzione, attribuendo così un numero imprecisato di appellativi ad uno stesso individuo. Questa approssimazione fu certamente alla base dell’infruttuosità delle ricerche, condotte intorno alle attività rivoluzionarie straniere, come nel caso delle notizie, provenienti dalla Francia, intorno ad alcuni personaggi che circolavano attorno al Niccolini, tra i quali tale Cesare Scazzani, Pietro Savanti (o Savanzi) e Luigi Vincenti, tutti definiti propagandisti comunisti34. Le indagini per scoprire il covo bolscevico di Milano non diedero gli esiti sperati: a distanza di un paio di mesi dalla 32 A.E. Senn, Diplomacy and revolution. The Soviet mission to Switzerland, 1918, Notre Dame-London, 1974, p. 99. 33 «[…] l’organizzazione bolscevica fatta a mezzo di questa delegazione della Repubblica dei Soviet è quasi esclusivamente diretta contro l’Italia: il lavoro è diretto principalmente contro il nostro Paese nella credenza che esso possa portare più rapidamente a dei risultati tangibili. Capo di questa organizzazione bolscevica si assicura sia il signor Lubarski, segretario della delegazione dei Soviet precitata, il quale parla perfettamente l’italiano». Acs, Uci, 1916-1919, III 44, b. 70, fasc. 1937, Prospetto informativo dei bolsceviki – 1918, cit. in A. Venturi, Rivoluzionari russi in Italia…, cit., p. 201. 34 Comunicazione manoscritta dal Ministero degli Interni per il Prefetto di Milano, 25 marzo 1921, Acs, Roma, Ministero dell’interno, Dg, Ps, cat. K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. 195 campagna stampa, dalla Prefettura lombarda, arrivò una comunicazione che riferiva dell’infruttuosità delle ricerche35. Per le autorità politiche e di Pubblica sicurezza, l’attività dei bolscevichi nella capitale e, più in generale, nel Paese diveniva sempre più scomoda. Non solo i fascisti denunciavano l’inettitudine del governo nel fronteggiare la minaccia, ma anche una parte consistente della borghesia pareva conquistata dall’idea di doversi liberare al più presto della «peste bolscevica»36. La posizione delle autorità in merito emerse con nettezza in un telegramma del Ministero degli esteri per gli Interni, in merito ad una comunicazione della delegazione commerciale russa, nella quale si informava della volontà di rimpatrio di alcuni russi che si trovavano in Italia: Questo Ministero è in massima favorevole alla partenza dei russi dal Regno, ed esprime l’opportunità che ne venga facilitato l’imbarco, anche se gli individui non fossero forniti di documenti regolari […]37. Come nel caso della richiesta di asilo degli ungheresi vicini a Béla Kun, il governo adottò una posizione chiara: malgrado il loro passato, le loro inclinazioni politiche e le loro intenzioni rivoluzionarie, gli emissari erano liberi di andare ovunque volessero. Purché la loro destinazione non fosse in Italia. Ciò era particolarmente vero se, come fu, nell’elenco dei sudditi pronti al rimpatrio vi erano anche alcuni degli ex prigionieri trattenuti al carcere dell’Asinara, e persino Vladimir Orloff, già titolare di un fascicolo della Pubblica sicurezza assieme a Vorovskij38. 35 Telegramma della Regia Prefettura di Milano per il Ministero dell’interno, 21 maggio 1921, Acs, Roma, Ministero dell’interno, Dg, Ps, cat. K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3. Cfr. anche la richiesta manoscritta di ulteriori informazioni proveniente da Roma, 16 maggio 1921, ivi. 36 Sulle reazioni da parte della borghesia e il progressivo avvicinamento di quest’ultima al fascismo, si veda: D. Sassoon, Come nasce un dittatore. Le cause del trionfo di Mussolini, Rizzoli, Milano, 2010, pp. 108-114. 37 Telegramma n. 41966 del Ministero degli affari esteri per il Ministero dell’interno, 6 luglio 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, Aff. Gen. Ris., 1921, cat A 11, b. 12, fasc. sudditi russi. 38 Elenco di cittadini russi che si trovano su territorio italiano e desiderano partire per la Russia dei Soviety, s.d. (ma databile 6 luglio 1921), Acs, allegato al telegramma n. 41966, cit., p. 1. 196 4.2 Strategie contro il bolscevismo. Tra tentativi di collaborazione internazionale e modus operandi italiano: “Conosci il nemico per sconfiggerlo” Agli occhi delle autorità, appariva evidente come l’immigrazione clandestina proveniente dalla Russia continuasse a creare disordini in seno al Paese, assecondando e istigando le masse alla rivolta. Nell’agosto del 1920, il Ministero degli affari esteri venne contattato da una organizzazione, con sede a Londra, che si poneva come obiettivo quello di raccogliere dati statistici «sul numero di russi esistenti in tutti i Paesi di Europa». L’iniziativa, volta a sostenere i «sudditi russi bisognosi» che si trovavano al di fuori del proprio territorio, venne attuata con il sostegno del Regno, che si impegnava a fornire i dati sulla presenza dei russi domiciliati in Italia39. Il Ministero degli esteri, grazie alla collaborazione con il Ministero degli interni e le emanazioni locali di quest’ultimo, avviò così un’imponente opera di censimento, che coinvolse tutte le città d’Italia, nel tentativo di identificare e – ovviamente – favorire il controllo dei russi che avevano scelto il Regno per affermarsi nel mondo artistico, condurre una vita agiata o perseguire le proprie idee rivoluzionarie. In un primo rapporto manoscritto diretto al Ministero degli esteri, si identificava in 728 il numero complessivo di russi domiciliati nella penisola: i gruppi più cospicui risiedevano a Napoli (117), Genova (83), Milano (61), Firenze (28), Roma (23), Pisa (22) e Porto Maurizio (17)40. Ovviamente, non era tanto il numero di russi residenti sul territorio ad impensierire le autorità, quanto piuttosto il tipo di attività in cui questi erano impegnati. Ad un’analisi della documentazione riportata nel corposo fascicolo, le forze deputate alla Pubblica sicurezza dovettero sentirsi tranquillizzate. Se era vero che in alcune città la presenza russa era numericamente rilevante, essa appariva nella maggior parte dei casi come politicamente innocua. Nell’identificazione della «professione» o delle «note personali» stilate a margine di ogni profilo, le voci che comparirono più di frequente erano «benestante» e «possi39 Telegramma n. 10814 del Ministero degli affari esteri al Ministero dell’interno, 17 agosto 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, Aff. Gen. Ris., 1921, cat A 11, b. 12, fasc. sudditi russi. 40 Decisamente meno interessanti i dati legati ad altre città, tra le quali: Aquila, Caserta, Catania, Cremona e Ravenna (1); Bari e Como (5), Bergamo e Reggio Emilia (2), Bologna (5), Brescia (8), Cuneo (9), Livorno e Palermo (7), Novara (6), Parma (3), Perugia (14). Rapporto n. 20974 per il Ministero degli affari esteri, s.d. (presumibilmente ottobre 1920), Acs, Mi, Dg, Ps, Aff. Gen. Ris., 1921, cat A 11, b. 12, fasc. sudditi russi. 197 dente»; ad esse, si associavano poi altre categorie lavorative inoffensive, come quelle relative al personale di servizio per i succitati «benestanti». L’appartenenza all’aristocrazia russa e all’emigrazione “bianca” caratterizzavano la tipologia di residenti russi in Italia41, con alcune rimarchevoli eccezioni. Una delle aree da tenere più sotto controllo era, ovviamente, la capitale ove, al già citato Vodovozov, indentificato come «rappresentante commerciale dei Soviet» ma conosciuto come attivo propagandista e organizzatore bolscevico, si affiancavano tale Boris Wachs, «inviato della Repubblica dei Soviet russi» e Gregorio Schreider, con tutta probabilità il nome storpiato di Grigorij Šrejder, già presidente della società Leone Tolstoj di Roma, e «Direttore del periodico socialista “La Russia del lavoro”», nonché rappresentante del Partito rivoluzionario russo in Italia dal maggio 191942. Qualche preoccupazione la destava anche tale Kacinerte Kolff, qualificato come «corrispondente dell’Agenzia ufficiale del governo provvisorio russo» e sottoposto alla «necessaria riservata vigilanza» nella città ove risiedeva e dalla quale spesso partiva per Roma, l’Aquila43. Mentre la Prefettura di Genova, nel lungo elenco inviato agli Interni, citava, senza nessuna nota rimarchevole44, i noti Wax – perseguiti nel 1917 all’indomani della rivoluzione come pericolosi sovversivi in collegamento con il Consolato russo – una qualche considerazione negativa veniva conferita alla presenza di alcuni militari russi, trattenuti nel carcere dell’Asinara. Questi si erano rifiutati 41 Si veda ad esempio la presenza del Principe Alessandro Wolkonsky ad Arezzo, probabilmente Aleksandr Michajlovič Volkonskij, cfr. i dati essenziali di quest’ultimo raccolti sul sito www.russinitalia.it, alla voce a lui dedicata, oppure l’innocua presenza della famiglia Koreneff a Reggio nell’Emilia. Telegramma n. 1132 della Regia Prefettura di Arezzo, 7 settembre 1920; comunicazione n. 961 della Regia Prefettura di Reggio nell’Emilia, Ufficio provinciale di P.s. per il Ministero degli Interni, oggetto: sudditi russi, 20 agosto 1920, entrambe in: Acs, Mi, Dg, Ps, Aff. Gen. Ris., 1921, cat A 11, b. 12, fasc. sudditi russi. 42 Rapporto della Questura di Roma n. 17953, Elenco dei sudditi russi residenti in Roma al 1° settembre 1920, s.d. (presumibilmente ottobre 1920), Acs, Mi, Dg, Ps, Aff. Gen. Ris., 1921, cat A 11, b. 12, fasc. sudditi russi. Cfr. A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie…, cit., p. 284; www.russinitalia.it, dizionario dei russi in Italia, voce Grigorij Il’ič Šrejder (consultato il 3 settembre 2015). 43 Non è stato possibile reperire ulteriori informazioni sul citato personaggio da altre fonti. Comunicazione riservata n. 1458, Regia Prefettura dell’Aquila, oggetto: sudditi russi residenti nella provincia, 16 settembre 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, Aff. Gen. Ris., 1921, cat A 11, b. 12, fasc. sudditi russi. 44 Telegramma della Regia Prefettura di Genova per il Ministero dell’interno, 19 settembre 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, Aff. Gen. Ris., 1921, cat A 11, b. 12, fasc. sudditi russi. 198 di fornire le proprie generalità per evitare il rimpatrio e costituivano dunque, non solo una spesa per lo Stato, ma anche un quesito aperto circa le loro inclinazioni politiche e le loro intenzioni45. I prigionieri russi internati all’Asinara erano circa 4500: catturati dall’esercito austroungarico e poi liberati durante le operazioni militari sul fronte italiano, erano stati oggetto delle preoccupazioni di Turati, Modigliani e soprattutto Bombacci che, ripetutamente, aveva tentato di intercedere per loro conto presso il governo46. L’imponente censimento sviluppato dal Ministero degli interni, su indicazione degli Esteri, non poteva certo essere solamente finalizzato a rispondere alla volontà filantropica di una non meglio specificata società londinese. Era evidente che l’intento delle autorità era quello di fare il punto della situazione sulla presenza russa in Italia, in un momento in cui, da un lato, la situazione interna pareva particolarmente incandescente e, dall’altro, il potere rivoluzionario nella Repubblica dei Soviet conosceva la propria affermazione. È proprio la ricostruzione dello scenario interno ed internazionale che offre qualche indicazione circa il peso di questo censimento. Come già ricordato, il 1920 si era confermato come un anno di grandi movimenti: la protesta si era sviluppata dai grandi centri fino alle campagne, coinvolgendo sia la classe operaia sia gli agrari. D’altro canto, anche il contesto internazionale presentava importanti novità, con la sconfitta delle forze controrivoluzionarie da parte di quelle comuniste. Inoltre, nei primi mesi del 1920, i bolscevichi riuscirono a risolvere alcuni problemi di natura interna non certo irrilevanti47; successivamente, tra il 1920 ed il 1922, essi riportarono al centro della propria azione internazionale il concetto di rivoluzione mondiale, idea fondativa della loro ideologia. La Russia era ancora sottoposta al blocco 45 Telegramma della Regia Prefettura di Sassari al Ministero dell’interno, 5 settembre 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, Aff. Gen. Ris., 1921, cat A 11, b. 12, fasc. sudditi russi. 46 Rispetto al numero di prigionieri, va tuttavia rilevato che nella documentazione primaria dell’Archivio centrale dello Stato, si ritrova una lista dei prigionieri russi che supera di poco le 100 unità e che è quindi ben lontana dal dato di 4500 internati. Cfr. E. Serra, Nitti e la Russia…, cit., p. 92. Responsabile della loro sorte fu poi nominato Vodorosov; cfr. S. Noiret, Nitti e Bombacci. Aspetti di un dialogo impossibile. I bolscevichi contro la rivoluzione italiana. Novembre 1919-febbraio 1920, «Storia Contemporanea», vol. 17, n. 3, 1986, pp. 397-441. Si veda anche, C. Scandura, L’emigrazione russa in Italia: 1917-1940, «Europa orientalis», vol. 14, parte 2, 1995, p. 345. 47 Sulla situazione interna alla Russia nei mesi successivi alla rivoluzione e la questione contadina, si veda: A. Graziosi, Stalinism, Collectivization and the Great Famine, The Ukrainian Studies Fund, Cambridge, 2009, pp. 12-33. 199 economico da parte degli Alleati: Di Nolfo ha osservato che se, da un lato, l’esportazione della rivoluzione non era una strada praticabile perché significava aggravare i contrasti internazionali e portare l’Intesa a passare dal blocco economico ad una guerra, dall’altro, la paura dell’esportabilità dell’insurrezione era reale e motivata48. Questa riflessione si applicava perfettamente al caso italiano: i rivolgimenti interni davano continue preoccupazioni alla Pubblica sicurezza, e ad essi si sommavano le attività di infiltrazione che, secondo le notizie ufficiali, non erano mai realmente cessate a partire dagli ultimi mesi del 1917. Alla fine del 1920, si ripresentava il problema della sorte degli ungheresi comunisti: tre di loro furono arrestati a Bologna, nella località di Castenaso, nel corso di un’adunata di «giovani comunisti», attivi nelle «Guardie rosse», mentre pianificavano una manifestazione di protesta per l’arresto dei compagni del Partito socialista, fermati in seguito alla contestazione dell’insediamento della nuova Amministrazione. I tre – identificati come Ladislao Leipnik, Ladislao Friedbauer e Vladimiro Muller – riferirono di essere giunti in Italia dall’Austria nel maggio del 1920, dopo essere stati «in servizio del governo ungherese durante la dittatura di Béla Kun»49. Essi si dichiaravano perciò «compromessi politicamente» e temevano il ritorno verso il proprio Paese d’origine. Nonostante le giustificazioni dei tre risultassero plausibili, dalle indagini condotte dalle autorità della Pubblica sicurezza si concludeva che questi erano «persone pericolose per l’ordine pubblico» in quanto avevano svolto «nella provincia di Bologna attività rivoluzionaria, procurando di attrarre le masse al bolscevismo», e se ne disponeva dunque «l’espulsione» dal regio territorio. L’ipotesi di farli viaggiare verso la Russia non era percorribile, mancando il «regolare diretto traffico» con alcune parti del Mar Nero; e liberarli a Bologna era assolutamente sconsigliabile, date le «speciali condizioni [di] spirito pubblico» della città50. Per le autorità italiane, la soluzione era solo una: l’espulsione verso l’Austria. Nella comunicazione, si sollecitavano dunque le autorità preposte affinché prendessero accordi con 48 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, vol. I, Dalla pace di Versailles alla conferenza di Potsdam, 1919-1945, Laterza, Roma-Bari, 2015, p. 46. 49 Non v’è traccia di un riferimento a questi tre personaggi nella documentazione dell’Archivio di Stato di Bologna. Vi erano alcuni individui schedati come “bolscevichi” ma essi appartenevano al substrato sovversivo bolognese. Cfr., a titolo di esempio, Arresto di un bolscevico, AsB, Persone pericolose per la sicurezza dello Stato, Radiati, 2768 Gaiba Angelo (1921 mar. ’25 - 1941 feb. ’27). 50 Telegramma n. 1989 del Mae alla Legazione italiana di Vienna, 1 marzo 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 200 la Repubblica austriaca affinché ne consentisse il ritorno, «con [l’]impegno di non consegnarli alle autorità ungheresi»51. Ma Vienna non aveva nessuna intenzione di occuparsi di nuovi emissari bolscevichi che si sarebbero aggiunti alle fila di quelli già presenti nel Paese: con un tono secco, il Ministero dell’interno austriaco rispose alle richieste italiane, facendo osservare che «in Austria vi [erano] già troppi comunisti ungheresi la cui presenza [il] governo è costretto a subire non volendoli consegnare all’Ungheria né, potendo, [espellerli] perché [gli] Stati vicini rifiuta[va]no [di] riceverli»52. Il Regno pareva non avere nessun altra possibilità se non quella di lasciare risiedere sul proprio territorio gli agitatori. L’amara conclusione aprì tuttavia una diatriba interna tra i diplomatici: a parte il Leipnik, gli altri due erano muniti di passaporti ungheresi vistati dall’Alto commissario politico italiano a Budapest53. Come era possibile che si fosse compiuta una tale leggerezza, di fronte a dei «pericolosi comunisti»? Un anonimo commento manoscritto allegato al documento che dava la notizia dell’effettivo rilascio del visto da parte delle autorità italiane, recitava: «Ma che bravi! Ci mancherebbe altro!...Vedremo se risulta come possono aver avuto il visto italiano a Budapest»54. Il Ministero degli affari esteri richiese così spiegazioni alla Legazione italiana a Budapest55. Partì un’indagine in seno al corpo diplomatico di stanza nella capitale ungherese, il cui resoconto fu sottoposto all’attenzione del conte Sforza, nel frattempo divenuto Ministro degli Esteri. Il Ministro plenipotenziario Gaetano Caracciolo di Castagneto, a capo della Legazione d’Italia dal novembre 1920, si dichiarò estraneo ad ogni responsabilità in merito: Muller e Friedbauer avevano infatti ottenuto il visto del Commissariato politico durante la gestione precedente, rispettivamente nell’aprile e nel luglio 1920, quando Vittorio Cerruti (da Commissario politico) ed il Colonnello Romanelli (a capo della Missio51 Telegramma del Mi, Dg, Ps, al Mae, 22 dicembre 1920, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 52 Telegramma decifrato da Vienna, data incomprensibile, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. bolscevismo, n. 6870, anno 1921, p. 1. 53 Telegramma del Mi, Dg, Ps, al Mae, 22 dicembre 1920, cit., p. 1. 54 Appunto manoscritto di commento al telegramma del Mi, Dg, Ps, al Mae, 6 marzo 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. bolscevismo, n. 6870, anno 1921. 55 Telegramma del Mae alla Legazione italiana a Budapest, oggetto: espulsione di sudditi ungheresi, 5 gennaio 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. bolscevismo, n. 6870, anno 1921. 201 ne militare alleata) gestivano la situazione nella capitale magiara. Secondo la ricostruzione di Castagneto, il Regio Console cav. Pittalis era stato colui che fattivamente aveva vistato i passaporti. La vicenda, di per sé circoscritta, ci appare importante perché metteva in luce in modo particolarmente vivido la discontinuità della gestione italiana della situazione politico-diplomatica a Budapest e perché segnò, in un certo qual modo, un punto di svolta nell’atteggiamento aperturista che, sino a quel momento, aveva caratterizzato la presenza diplomatica e militare italiana in Ungheria. Come provvedimento immediato, infatti, Castagneto dispose che «tutti gli ungheresi, senza alcuna distinzione, che [richiedevano] il visto sul passaporto per recarsi in Italia [avrebbero dovuto] presentare alla R. Legazione un certificato del Capo della Polizia, da cui risult[asse] la buona condotta e morale e politica da essi tenuta oppure una raccomandazione del Ministero che val[esse] come garanzia»56. La disposizione di Castagneto aveva due obiettivi: da un lato, evitare di accendere nuovi contrasti con il regime di Horthy, nel quale l’Italia cercava una sponda sulla questione adriatica in quelle fasi di trattativa a Parigi: Roma necessitava dell’appoggio di Budapest sull’irrisolta querelle su Fiume, ed in cambio le offriva il proprio appoggio per assicurarsi un trattato di pace meno severo57. Dall’altro, la decisione di Castagneto andava nella direzione di una maggiore tutela della situazione interna alla penisola: il consolidamento del potere bolscevico significava anche una più concreta possibilità di sostentare gli agitatori nei Paesi stranieri. Nella stessa direzione iniziò a muoversi anche la Legazione di Berna: nel maggio 1921, su indicazione della Direzione generale della Pubblica sicurezza, negava il visto a tale Abramovitch Zalewsky, «detto l’occhio di Mosca»58. Solo poche setti56 Telegramma di Caracciolo di Castagneto della Legazione di Budapest al conte Sforza, Mae, oggetto: espulsione di sudditi ungheresi, 13 gennaio 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 57 Sul rapporto tra ungheresi e italiani sulla questione di Fiume nel periodo prebellico, si veda: G. Volpi, Fiumani, ungheresi, italiani, in M. Cattaruzza (a cura di), Nazionalismi di frontiera. Identità contrapposte sull’Adriatico nord-orientale, 1850-1950, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, in particolare pp. 70-72; si consulti anche E. Santarelli, Italia e Ungheria nella crisi postbellica, 1918-1920…, cit. 58 Regia Legazione d’Italia a Berna, 30 maggio 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. Lo Zaleswki, conosciuto come il segretario di Troskij, era stato arrestato dal Ministero pubblico federale svizzero solo qualche settimana prima, dopo che era stato espulso dalla Francia. Cfr. Telegramma n. 1918 del Mae al Mi, Dg, Ps, 6 maggio 1921; telegramma n. 2357, 27 maggio 1921, ivi. 202 mane prima, la Prefettura di Udine aveva segnalato ripetutamente l’incremento dell’affluenza di stranieri lungo la linea di confine, molti dei quali venivano «spesso rimpatriati o espulsi perché sprovvisti di documenti e di recapiti». Il Ministero dell’interno aveva così disposto che, «data l’importanza di quel centro, l’attuale momento politico e la costatata affluenza in Italia di pericolosi agitatori stranieri», era necessario utilizzare una maglia più stretta per l’accesso al Regno, così come per i controlli da realizzare sul territorio59. In aggiunta, il Ministero degli affari esteri chiedeva di aprire le indagini sulle attività della Banca italorussa la quale sovente chiedeva l’autorizzazione all’ingresso nel Regno in favore di sudditi che venivano in Italia per affari commerciali. Il continuato reiterarsi di tale circostanza aveva indotto gli Esteri a chiedere un approfondimento sulle attività della Banca, «per sapere con esattezza se si [dovesse] o meno agevolare il movimento commerciale iniziato dalla Banca stessa»60, indagini che tuttavia avevano dato esito negativo61. Il nuovo Presidente del Consiglio Bonomi pareva aver abbandonato l’attitudine di Giolitti verso i rivoluzionari, ispirata al principio del laissez-faire: lasciando quest’ultimi liberi di agire entro certi limiti, essi avrebbero finito con «l’impiccarsi con la loro stessa corda»62. Il “patto di pacificazione” tra Psi e fascisti non corrispondeva ad un atteggiamento flessibile nei confronti delle infiltrazioni63. Anzi, con tutta probabilità 59 Comunicazione urgente del Ministero dell’interno per la Direzione del personale della Pubblica sicurezza, 1 gennaio 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, cat. K 1, b. 6, fasc. 20 Italia, sottofasc. 3. 60 Comunicazione n. 55619 del Ministero degli affari esteri, oggetto: Banca italorussa, 8 settembre 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, Aff. Gen. Ris. Cat. A 11, b. 12, fasc. sudditi russi. 61 Il rapporto riservato della Regia Questura di Roma, riferiva che «le richieste di autorizzazione all’ingresso nel Regno di sudditi russi da parte della Banca non hanno ragioni politiche, né tanto meno hanno lo scopo di favorire la venuta in Italia di elementi bolscevichi, ma esse devono attribuirsi al desiderio da parte dei dirigenti di dare sviluppo e vita al predetto Istituto che al presente è quasi inattivo». Comunicazione riservata n. 11937 della Regia Questura di Roma, 23 settembre 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, Aff. Gen. Ris. Cat. A 11, b. 12, fasc. sudditi russi. Cfr. Banca italo-russa, Statuto, Siag, Roma, 1920; Banca italo-russa, Atto costitutivo, Siag, Roma, 1920. 62 Un atteggiamento non dissimile Giolitti lo mantenne nei confronti del fascismo: persuaso che tale fenomeno non sarebbe potuto durare, come ha ricostruito De Felice, Giolitti credette che il modo migliore per incanalarlo nel sistema ed assorbirlo fosse quello di «tenerlo sotto controllo e farne un Partito come tutti gli altri». R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario…, cit., p. 607. 63 Sul “patto di pacificazione”, si veda: R. De Felice, Mussolini il fascista…, vol. 1, cit., pp. 100-201. Cfr. anche il documento del Ministero dell’interno ai sigg. Prefetti del 203 il tentativo di comporre la “guerra civile” nazionale richiedeva di mettere un solido argine alle derive estremistiche. In questo senso, l’atteggiamento di Bonomi nei confronti dell’attività dei bolscevichi stranieri non fu dissimile dalla sua severità nell’applicazione della legge sullo squadrismo64. Sempre in direzione del rafforzamento della pace interna andavano letti i tentativi di coordinamento fra Potenze occidentali, in cui l’Italia fu attore partecipe, anche se non protagonista. L’obiettivo di contrastare gli sforzi propagandistici bolscevichi fu al centro di una serie di tentativi congiunti tra i Paesi occidentali, al fine di costituire «un’azione comune contro i bolscevichi»65. Un primo passo fu la creazione di un «accordo ufficioso per la mutua difesa» tra Italia e Germania, «in attesa che [fossero] allacciate le relazioni internazionali». L’accordo era il frutto di uno sforzo di lungo periodo per creare delle sinergie di base per la tutela dei due Stati contro il bolscevismo e si esplicava in alcune elementari regole di collaborazione, come la reciproca segnalazione di movimenti di comunisti o bolscevichi nazionali verso l’altro Paese. L’accordo sarebbe stato attivato in primo luogo con la Sassonia, «per la difesa reciproca dell’Italia e della Germania contro il bolscevismo». Uno dei primi passi in questa direzione sarebbe stato lo stabilimento di un «funzionario italiano di polizia» a Trento o ad Innsbruck «per agevolare questi scambi di notizie ed impedire inciampi burocratici»66. La Germania si dimostrava particolarmente attenta alla necessità di creare un fronte comune contro il pericolo bolscevico: il Commissario di Stato tedesco per l’ordine pubblico aprì un confronto con il governo inglese su questo punto, e fu organizzata una conferenza, nel settembre 1921, ove intervennero i capi della Pubblica sicurezza di Inghilterra, Spagna, Olanda, Regno, 5 agosto 1921, AsP, Prefettura, Gabinetto, Pubblica sicurezza, busta 282, categoria XV, 1921-1924. 64 Si veda anche l’atteggiamento ostile di Bonomi all’arditismo: E. Francescangeli, Arditi del popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922), Odradek, Roma, 2000 e M. Rossi, Arditi, non gendarmi! Dall’arditismo di guerra agli Arditi del popolo 1917-1922, Bfs, Pisa, 2011. 65 Rapporto della Regia Ambasciata a Berlino sull’azione contro i bolscevichi, 24 giugno 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 66 Telegramma riservato n. 363 di Sforza per il Ministero dell’interno, Dg, Ps, 10 gennaio 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, cat. K 1, b. 6, fasc. 20 Italia, sottofasc. 3. 204 Norvegia, Svezia, Danimarca, Stati Uniti67 e Italia68. Lo scopo immediato era quello di creare un’intesa per la «trasmissione rapida delle notizie» che riguardavano lo spostamento dei bolscevichi sul territorio europeo69. Se le forze tedesche parevano essere le «meglio organizzate» per la prevenzione ed il perseguimento delle attività bolsceviche, esse non parevano troppo preparate dal punto di vista delle previsioni politico-diplomatiche. Il Commissario tedesco Weismann aveva infatti comunicato all’Ambasciatore italiano a Londra che il «regime bolscevista» non sarebbe durato oltre il 1921: la Germania si preparava «a chiudere la frontiera tedesca al momento opportuno, contro i bolscevichi fuggiaschi che in quel momento [sarebbero stati] assai numerosi»70. Weissman avrebbe dovuto aspettare altri settant’anni per vedere le proprie previsioni avverate. Tuttavia, è certo che il 1921 segnò un anno di passaggio sia nella politica interna sia nella politica estera della Repubblica dei Soviet. La dura repressione della ribellione di Kronstadt, l’inaugurazione della Nep, la malattia di Lenin71 e il conseguente passaggio dei poteri al gruppo di Stalin, Zinov’ev e Kamenev incisero profondamente nella ridefinizione del potere sovietico e, conseguentemente, anche della politica estera bolscevica. Tra il 1921 ed il 1933, i bolscevichi si trovarono nella necessità di costruire il socialismo in patria: l’instaurazione del comunismo in un solo Paese implicava, necessariamente, l’accantonamento della proiezione mondiale del progetto bolscevico e la subordinazione degli interessi del movimento comunista mondiale a quelli della Russia dei Soviet. Come ha osservato Ulam, se nel periodo immediatamente successivo al novembre 1917 i bolscevichi ritenevano che la rivoluzione mondiale fosse una questione imminente, negli anni Venti questo credo divenne «qualcosa di simile a uno slogan propagandistico» e, in ultima istanza, funzionale al rafforzamento dello Stato russo, nel tentativo di evitare che esso fosse influenzato dall’estero e di favorire il consolida- 67 Rapporto della Regia Ambasciata a Berlino sull’azione contro i bolscevichi, 24 giugno 1921, cit. 68 Telegramma n. 717 della Regia Ambasciata d’Italia a Londra, 15 giugno 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 69 Rapporto della Regia Ambasciata a Berlino sull’azione contro i bolscevichi, 24 giugno 1921, cit. 70 Telegramma n. 717 della Regia Ambasciata d’Italia a Londra, 15 giugno 1921, cit. 71 Sulle note di pessimismo con cui Lenin leggeva la realtà nel 1921, cfr. R. Service, Lenin. A political life…, vol. III, cit., pp. 390-391. 205 mento della nuova classe dirigente al potere72. Contestualmente, le relazioni internazionali di Mosca conobbero una normalizzazione dopo il periodo di blocco seguito alla rivoluzione del 1917. Nel gennaio del 1920, la Conferenza di pace tolse le tenaglie del blocco economico alla Russia e autorizzò una parziale ripresa degli scambi tra le cooperative occidentali ed il Centrsojuz; a distanza di circa un anno, nel marzo 1921, la Gran Bretagna riconosceva de facto la Russia bolscevica73. Contestualmente, l’incaricato d’affari sovietico Václav Vorovskij avviò in Italia i negoziati che trovarono la propria conclusione solo nell’autunno del 1923, e vennero siglati un anno più tardi74. Tutti gli accordi conclusi tra i Paesi europei, ed i bolscevichi contenevano la reciproca assicurazione della non interferenza negli affari interni. Ciò fu evidente nell’accordo commerciale anglo-russo, nel quale il governo sovietico si impegnò a «non incoraggiare e a non incitare con mezzi diplomatici, militari e o di altro genere qualsiasi Paese asiatico a prendere iniziative contrarie agli interessi britannici o a quelli dell’Impero»75. La verità è che il governo bolscevico non rinunciò mai all’impegno nella propaganda e al sostegno alle forze impegnate nel rovesciamento dei regimi non comunisti; solo che riversò le responsabilità di queste azioni sul Comintern, al fine di mostrare – almeno formalmente – un’immagine pulita di fronte alle Potenze occidentali. 72 A. B. Ulam, Storia della politica estera sovietica (1917-1967)…, cit., pp. 188-189. Sul dibattito interno alla Gran Bretagna in merito all’opportunità di stabilire accordi commerciali, riconoscere la Repubblica e, contestualmente, fermare la propaganda soprattutto nelle zone coloniali inglesi: L.C. Gardner, Safe for Democracy…, cit., pp. 328-337. Sul processo di riavvicinamento, soprattutto economico, si veda: note de M. Kammerer de la Direction des Affaires politiques et commerciales destinée à M. Wise, représentant britannique au Conseil Suprème économique, 18 gennaio 1920, doc. 26, Ministère des Affaires étrangères, Ddf, tome I, cit., pp. 41-42. Si noti che, nel gennaio 1920, nel corso dei colloqui con gli Alleati, il rappresentante francese precisò, rispetto alla questione della ripresa delle relazioni commerciali: «The difficulty was that this had to be done without entering into negotiations which would involve any sort of recognition of the Bolsheviks». Intervento di M. Berthelot, Meeting of American, British, French, and Italian Representatives in Paris, 16 gennaio 1920, K.L. Woodward, R. Butler (a cura di), Dbfp, 1919-1939, 1919, vol. 2, doc. 74, p. 894. 74 T. Fabbri, Fascismo e bolscevismo. Le relazioni nei documenti diplomatici italorussi, Edizioni Libreria universitaria.it, Padova, 2013, pp. 15-16. 75 Vnešnajaja politika Sovetskogo Sojuza, citato in A.B. Ulam, Storia della politica estera sovietica (1917-1967)…, cit., p. 190. 73 206 Mentre la situazione in Russia si stabilizzava gradualmente, anche in Italia la latente situazione rivoluzionaria sembrò conoscere un reflusso: la ripresa economica, il rafforzamento dello Stato e la creazione di cantieri per la ricostruzione delle zone orientali del Paese, distrutte dalla guerra, fecero sì che Giolitti guardasse al futuro con ottimismo. Nel 1921, la nascita dei blocchi liberal-conservatori in funzione antisocialista e appoggiati dai fascisti, vennero percepiti come una risposta positiva al disordine della Sinistra. Sempre più ampi settori del mondo industriale ed agrario vedevano le forze fasciste come un positivo surrogato di uno Stato assente ed incapace. La propaganda proseguì così anche in Italia, ove l’ingresso degli agitatori si era dimostrato piuttosto semplice per la permeabilità delle frontiere e la facilità a reperire un passaporto per entrarvi persino legalmente. L’attività di falsificazione dei documenti di viaggio iniziò ad essere smascherata solo nei primi anni Venti quando la polizia francese arrestò un tale Giuseppe Kalich, il quale – durante un periodo di servizio prestato presso il Regio Consolato di Odessa tra il settembre 1918 ed il gennaio dell’anno successivo – aveva compilato una serie di passaporti falsi. L’attività del Kalich, definito come un «avventuriero di dubbia fama», fu scoperta grazie ad un’inchiesta congiunta tra la polizia d’Oltralpe e l’Arma dei Carabinieri. Secondo la ricostruzione delle autorità italo-francesi, tra i documenti falsificati dal Kalich vi erano anche quelli di due pericolosi agenti bolscevichi, Vladimir Dëgot´ e la sua compagna Elena Sokolosvkaja, entrati nel Regno sotto il falso nome di Vladimiro ed Elena Cardoni. Dalle informazioni ricostruite posteriormente, sappiamo che il Dëgot´ era un bolscevico di vecchia data ed era altresì membro del Comintern: venuto in Italia come rappresentante di questo organismo, era divenuto il principale informatore dell’antico amico Lenin in merito alla fondazione del Pdc’I76. Dalla documentazione della Regia Ambasciata a Costantinopoli, i due risultavano diretti a Milano, con recapito presso «L’Avanti»77. La 76 Si veda la scheda presente sul sito www.russinitalia.it, dizionario dei russi in Italia, voce Vladimir Aleksandrovič (Aronovič) Dëgot´ (consultata il 13 settembre 2015). 77 Telegramma della Regia Ambasciata d’Italia a Costantinopoli al Mae, oggetto: irregolarità consolato Odessa, Giuseppe Kalich, 3 febbraio 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. Cfr. anche il telegramma di Lago, Mae, al Ministero dell’interno, Dg, Ps, oggetto: falsi coniugi Sokolowkaia e Vladimiro Degoat [Dëgot´] – passaporti falsi, 26 febbraio 1921, ivi. Cfr. Accattoli sposa la tesi della presenza dei due presso la sede de «L’Avanti»; personalmente, non ho reperito documenti a sostegno di questa ipotesi che rimane quindi da provare e, secondo la 207 Direzione della Pubblica sicurezza negava, tuttavia, questa informazione: nel marzo del 1921, i due risultarono irreperibili78. A fronte di queste notizie, il Ministero degli esteri sollecitò nuovamente l’Ambasciata a Costantinopoli affinché effettuasse ulteriori ricerche79. Quest’ultima – pur ammettendo che fosse impossibile verificare la «vera sudditanza» dei due segnalati – riferiva che la Sokolowskaia era stata «commissaria bolscevica ad Odessa», e si era diretta in Italia e in Francia, «per incarico del Comitato internazionale bolscevico» di quella città. Dëgot´ invece, era segnalato semplicemente come «agente di propaganda bolscevica»80: al di là del sintetico riferimento al loro presunto appoggio alla sede de «L’Avanti», dei due si persero le tracce81. Le autorità di Pubblica sicurezza furono così attirate dall’attività di Jules Humbert-Droz, segretario dell’Internazionale comunista dal 1921, con la funzione di responsabile dei rapporti con i Partiti comunisti del Mediterraneo82. Nel gennaio del 1921, Sforza, in un telegramma «urgentissimo» e «riservato» al Ministero dell’interno riferì la richiesta del Regio Console di Losanna in merito all’autorizzazione a vistare il passaporto di Humbert-Droz. Quest’ultimo aveva esibito un telegramma a firma del noto deputato Egidio Gennari, animatore dell’ala socialista del Partito e Segretario dopo il Congresso di Bologna del 1918, nel quale si affermava che «il Regio governo gli permette[va] di recarsi al congresso mia opinione, da attribuire alla visione delle autorità italiane. Cfr. A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie…, cit., p. 31. 78 Telegramma del Ministero dell’interno, Dg, Ps, 24 marzo 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 79 Mae alla R. Ambasciata d’Italia a Costantinopoli, 9 aprile 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 80 Telegramma della Regia Ambasciata d’Italia a Costantinopoli, oggetto: Elena Sokolosvkaja e Vladimiro Degoat, 28 aprile 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 81 Telegramma Ministero dell’interno, Dg, Ps, 11 luglio 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. Si rileva che, nello stesso periodo, le autorità si misero alla ricerca di un tale Grunbaum, agitatore bolscevico, che aveva fatto delle dichiarazioni preoccupanti sul movimento comunista in Italia, a Torino. Cfr. telegramma da Berlino, 19 aprile 1921; telegramma del Mae n. 5509 per l’Ambasciata italiana a Berlino, 4 maggio 1921; telegramma del Mae n. 6078 per l’Ambasciata italiana a Berlino, 9 giugno 1921, tutti in: Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. 66/2, Servizio informazioni sul movimento bolscevico, Maggiore Passavant. 82 J. Humbert-Droz, Mémoire de Jules Humbert-Droz, vol. 2, De Lènine à Staline : dix ans au service de l’internationale communiste: 1921-1931, A la Bacconiere, Neuchatel, 1971. 208 socialista di Livorno, avvertendolo di rivolgersi all’On. Morgari ove il nostro Consolato gli avesse fatto difficoltà»83. Il giorno dopo, arrivò la risposta degli Interni, laconica ma chiara: «Questo Ministero consente ingresso Regno per assistere congresso nazionale socialista in Livorno a suddito svizzero Jules Humbert-Droz. R. Console in Losanna potrà pertanto apporre visto ad di lui passaporto»84. Sforza riferiva l’autorizzazione al Console a Losanna con un telegramma di due righe, evitando qualsivoglia commento85. Qualche mese prima, la Terza internazionale aveva richiesto il visto d’ingresso anche per Zinov’ev, uno dei principali dirigenti bolscevichi e capo del Comintern, affinché gli fosse consentito di prendere parte al Congresso del Partito socialista. Al telegramma, che sollevava la circostanza della presenza dell’ala destra dei socialisti indipendenti tedeschi richiedendo che tutte le varie tendenze fossero rappresentate come dettava «la justice, la plus élémentaire», non è stato possibile trovare risposta86. Questi due episodi appaiono quasi surreali: come era possibile che le autorità di Pubblica sicurezza, su precisa indicazione di esponenti politici, consentissero ad esponenti di spicco della Terza internazionale l’ingresso in Italia, per assistere al Congresso che si sarebbe rivelato come l’atto di nascita del Partito comunista, quando poi, ogni agente bolscevico del quale si aveva notizia veniva seguito attraverso il rincorrersi di segnalazioni tra le Prefetture delle diverse città? Va infatti rilevato come, ancora nel corso del 1920 e del 1921, continuarono ad essere diffuse notizie sulla presenza di emissari comunisti 83 Telegramma urgentissimo e riservato n. 1409 del Mae al Ministero dell’interno, Dg, Ps, oggetto: passaporto comunista svizzero Humbert Droz, 10 gennaio 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 84 Telegramma n. 273 di Vigliani, Ministero dell’interno, Dg, Ps, al Mae, 11 gennaio 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 85 Telegramma n. 422 di Sforza alla Legazione di Berna, 15 gennaio 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. Si noti che la Legazione di Berna, nell’agosto 1921, telegrafava a Roma della partenza di Humbert-Droz per la Russia, identificandolo come «Segretario dell’Internazionale comunista». Cfr. Telegramma n. 3481 della Legazione a Berna al Mae, 13 agosto 1921, ivi. 86 Telegramma al Mae da Mosca, 27 dicembre 1920, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. Meno fortunato di HumbertDroz era stato Anatolij Lunačarskij, figura di spicco del bolscevismo russo, nei confronti del quale l’ingresso del Regno era stato negato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Cfr. telegramma n. 1693 del Presidente del Consiglio al Mae, oggetto: congresso Partito socialista, rappresentante russo, 30 settembre 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 209 stranieri in Italia, anche se con un ritmo meno serrato rispetto al biennio precedente. Tra la fine del ’20 ed i primi mesi dell’anno successivo, giunsero informazioni su nuovi agenti bolscevichi diretti in Europa. La situazione era particolarmente delicata in Svizzera, punto di riferimento imprescindibile per i rivoluzionari europei da alcuni anni. Secondo le informazioni raccolte dall’Ambasciatore di Francia, Basilea era divenuta la «rocca forte del comunismo svizzero»: sebbene mancassero i segni di un «aumento nel movimento di propaganda comunista», le banche ginevrine continuavano a ricevere «barre d’oro bolscevico», per il tramite di istituti di credito svedesi87. Assai sospetti erano i movimenti dalla Svizzera per l’Italia: Fritz Platten, l’agente commerciale dei Soviets nella Repubblica elvetica, aveva chiesto di poter entrare nel Regno per conferire con il ben noto Vorovskij88. Nonostante le rassicurazioni delle autorità federali elvetiche, che avevano disposto «ordini severissimi» per la «confisca dei numerosi libelli e fogli di propaganda comunista», alle regie autorità era evidente che vi fosse un collegamento tra i sollevamenti in Germania e in Italia e le poco pacifiche intenzioni della Repubblica dei Soviet: Gli atti violenti anarchici che vanno insanguinando la Germania centrale e l’Italia si ritengono qui manifestazione di quella offensiva bolscevica che voluta da Mosca vociferavasi sarebbe scoppiata verso Pasqua. Al buon senso di ognuno rimane indecifrabile la ragione di questa criminosa attività, la quale nella sua impotenza nel provocare un movimento generale, non fa che fomentare la reazione a scapito della sana democrazia89. La «rinnovata febbrile attività di propaganda» che la Terza internazionale dispiegava «in tutti i centri d’Europa» costituiva il nucleo centrale della denuncia della Legazione d’Italia a Helsingfors: in Francia, toccata fortemente dal fenomeno, la «corruzione bolscevica aveva guadagnato persone e organi della pubblica opinione» ritenuti, fino a quel momento, «insospettabili»; ma anche l’Inghilterra e l’Italia non erano esenti da questo fenomeno90. Marchetti Ferrante comunicò con sconcer87 Telegramma n. 1202 della Legazione di Berna al Mae, 22 marzo 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 88 Si noti che nel documento compare come Worowsky. 89 Telegramma n. 1288 della Regia Legazione di Berna per il Mae, 27 marzo 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 90 Comunicazione molto riservata n. 687/267, di Marchetti Ferrante della Legazione italiana a Helsingfors al marchese della Torretta, Ministro degli affari esteri, oggetto: 210 to agli Esteri che «gli agenti bolscevichi in Italia [riferivano a] Mosca che il loro avvento fa[ceva] progressi, che la loro penetrazione si estende[va]», riuscendo, tra l’altro, nell’acquisizione di «giornali assolutamente insospettabili»91. Altre notizie da Helsingfors, rivelavano il reclutamento di «un corpo di 10.000 comunisti tedeschi in Russia», mobilitati dalla Terza internazionale per fini rivoluzionari92. Le informazioni suscitarono preoccupazioni agli Esteri: con un telegramma, il Ministero chiedeva di «sapere tutto quello» che «più specificatamente [potesse risultare] su persone e giornali italiani ritenuti insospettabili, che i bolscevichi si vanterebbero di aver guadagnato alla loro causa»93. L’obiettivo finale della Terza internazionale e del governo di Mosca, rifletteva in un telegramma «segretissimo» e «riservatissimo» l’Addetto navale italiano a Stoccolma, era e rimaneva quello della «rivoluzione mondiale». La principale differenza rispetto al periodo precedente al 1921 constava nel fatto che le rappresentanze soviettiste all’estero avrebbero gestito, da quel momento in poi, anche gli «affiliati al Partito comunista, non russi»: ciò significava un «intervento moderatore e ritardatore» dei dirigenti bolscevichi, qualora l’azione rivoluzionaria fosse sembrata loro «prematura e non in armonia con l’azione generale internazionale diretta da Mosca»94. Le similitudini tra i vari tentativi insurrezionali rivelavano chiaramente la mano comune che vi era dietro di essi. Il modus operandi dei comunisti era quello di promuovere «energiche agitazioni fra le masse lavoratrici» affinché queste si opponessero «ad ogni riduzione [dei] salari provocando[,] se necessario[,] scioperi e resistenza violenta»95. L’attività di propapropaganda bolscevica e situazione economica europea, 16 novembre 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921, pp. 1-2. 91 Telegramma di Marchetti Ferrante della Legazione italiana a Helsingfors, 16 novembre 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 92 Telegramma n. 50819 del Mae dalla Regia Ambasciata a Berlino, 16 agosto 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 93 Telespresso n. 84828 del Mae alla Legazione italiana di Helsigfors, oggetto: propaganda bolscevica, 10 dicembre 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 94 Rapporto dell’Addetto Navale ai Paesi scandinavi e la Finlandia circa organizzazioni rivoluzionarie della Terza internazionale, 17 aprile 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 95 Telegramma di Marchetti Ferrante della Legazione italiana a Helsingfors, 16 novembre 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 211 ganda era spinta ai massimi livelli, attraverso le azioni di agitatori che trasportavano opuscoli e lettere verso tutti gli Stati europei, e anche verso l’America96. Questo enorme sforzo di diffusione delle idee rivoluzionarie – rilevavano le autorità – era dato dalla riorganizzazione del Ministero della propaganda, attuata con «l’intenzione di intensificare l’infiltrazione delle idee bolsceviche in tutta l’Europa». In una nota al Ministro Sforza, la Legazione a Copenaghen rilevava come i russi avessero deciso di modificare la propria strategia, visto che i «risultati» ottenuti fino a quel momento non avevano corrisposto alle aspettative: «di qui la necessità per la Repubblica dei Sovjets di basare l’azione di propaganda sopra un programma più rispondente alla situazione politica attuale». I comunisti russi avevano scelto «la rotta del Nord» «per lavorare intensamente» sull’Europa: era quindi stata stabilita definitivamente «la linea d’operazione Pietrogrado-Reval-Copenaghen-Londra per cominciare poi da questi Paesi l’offensiva in Lettonia, Polonia, Germania, Austria, Svizzera, Italia, Francia, Belgio». La riorganizzazione dello sforzo propagandistico imponeva l’individuazione di alcuni «centri di lavoro» in Europa, i quali avrebbero servito anche da «sezioni finanziarie di rifornimento per la propaganda». Tali centri venivano individuati nelle città di «Stoccolma, Copenaghen, Londra, Parigi, Barcellona, Roma, Atene e Costantinopoli»97. Nuove liste di sovversivi giungevano poi da Reval, antico nome della città estone di Tallin, ove nell’aprile del 1920 era stata istituita un’Agenzia politica sotto la guida di Agostino Depretis, divenuto il punto di osservazione italiano più avanzato sulle vicende dell’Est Europa. Fra i nomi dei propagandisti, spiccava quello dell’italiano Arturo Cappa, 96 Telegramma riservato n. 270/206 della Regia Legazione d’Italia a Copenaghen, oggetto: propaganda bolscevica, 10 giugno 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 97 Regia Legazione d’Italia a Copenaghen al Mae: oggetto: propaganda bolscevica, 1 marzo 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. In effetti, già nel gennaio 1920, il Ministero dell’interno segnalava ai Prefetti di Venezia, Ancona, Bari, Lecce, Messina, Napoli e Genova l’arrivo, dalla Grecia, di agenti bolscevichi che si stavano recando in Italia. Cfr. dispaccio telegrafico n. 1378 del Ministero dell’interno per il Commissario generale civile, 21 gennaio 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, cat. K 1, b. 6, fasc. 20 Italia, sottofasc. 3. Si veda anche: notiziario del 22 novembre 1920, oggetto: bolscevichi in Italia; dispaccio telegrafico n. 26368 del Ministero dell’interno per i Prefetti di Milano, Torino e Genova, 23 novembre 1921, ivi. Sulle attività a Stoccolma, si consideri lo sguardo preoccupato delle autorità inglesi: Mr. Grant Watson (Copenhagen) to Earl Curzon, 17 settembre 1920, doc. 783, Dbfp, 1920, vol. XII, p. 782. 212 residente a Roma, prima «diplomatico ufficioso» per conto di Nitti, poi divenuto – sotto lo pseudonimo di Ariel – il collegamento tra il Psi e il Partito bolscevico, contribuendo, tra l’altro, a creare sulla stampa russa l’immagine di un’Italia alla vigilia della rivoluzione: secondo il Cappa, un Paese ove la borghesia era in piena disgregazione e i socialisti erano pronti a prendere il potere98. Contestualmente, la Direzione generale della Pubblica sicurezza denunziò la presenza a Fiume di «corrieri comunisti» che, provenienti da Vienna, erano «in relazione con il governo di Mosca». Secondo una «fonte attendibile», questi avevano preso contatti con un «fiduciario bolscevico di cognome Zellarius»99. La Regia Legazione di Fiume comunicava al Ministero degli esteri che tale Zellarius, identificato come un «comunista feroce», era in relazione «con elementi comunisti locali» e riceveva costantemente dall’estero «opuscoli e giornali comunisti»100. La possibilità che Fiume scivolasse verso una deriva bolscevica forse non era completamente realistica, ma la questione fiumana, per quanto apparentemente e temporaneamente risolta con il Trattato di Rapallo e la conseguente istituzione dello Stato libero di Fiume, certo non poteva dirsi risolta101. Nello stesso periodo giunsero le notizie di un tale ingegnere Blume, conosciuto anche con i nomi di Berger e Lorich, il quale si era rivolto al Capo di Stato maggiore della Marina, affermando di essere «iscritto al Partito comunista» ed offrendosi per mettere a conoscenza la polizia italiana di «importanti rivelazioni sull’organizzazione bolscevica in Italia e sui preparativi di rivoluzione in corso». Riferendo di aver svolto analoghi servizi di controspionaggio a favore della polizia svedese, il Blume 98 Telegramma n. 3527/297 del Ministero degli affari esteri per il Ministero dell’interno, oggetto: liste di persone che ricevono materiale bolscevico, 9 gennaio 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921, p. II. Cfr. G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca…, cit., p. 236 e p. 240. Altro punto da tenere sotto osservazione era la Farmacia Denzella a San Remo, luogo di scambio del materiale propagandistico. Telegramma n. 11065 del Mae al Ministero dell’interno, Dg, Ps, oggetto: propaganda bolscevica, 21 febbraio 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 99 Telegramma del Ministero dell’interno, Dg, Ps, 20 febbraio 1921; telegramma n. 13471 di Lago, Mae, alla Regia Legazione di Fiume, oggetto: propaganda comunista, 2 marzo 1921, entrambe in: Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 100 Telegramma della Regia Legazione di Fiume al Mae, 16 marzo 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 101 AA.VV., Fiume nel secolo dei grandi mutamenti, Edit, Fiume, 2001; D.L. Massagrande, Italia e Fiume, 1921-1924, Cisalpino-Goliardica, Milano, 1982. 213 riferiva che si sarebbe dovuto recare in Spagna e in Italia con passaporti falsi, facilmente recuperabili, «a mezzo del Partito comunista» per «ottenere il visto per qualunque Paese». Grazie ad informazioni raccolte presso la polizia svedese, il presunto Blume era risultato essere un tale Berger, un «pericoloso avventuriero, profugo dalla Germania», ricercato dalla polizia tedesca per la «partecipazione attiva da lui avuta al movimento rivoluzionario del 1919». Il Maresciallo Gravina, che aveva raccolto la sua testimonianza, lo descriveva come un uomo con una «espressione prettamente losca»: perennemente «nervoso», non sapeva «star fermo, né seduto, che per soli istanti», e dava «l’impressione di non essere del tutto normale»102. La vicenda del Blume-Berger, per quanto faccia sorridere, ben rivela come le autorità di Pubblica sicurezza, nella ricerca di spie ed emissari, si trovassero ad aver a che fare con ogni sorta di individui. La commistione tra ipotesi, falsità e realtà era evidentemente la caratteristica principale nell’ossessiva ricerca di propagandisti bolscevichi. Essa offuscava, inoltre, la rilevanza della presenza di singole personalità che costituivano un reale pericolo per il fragile equilibrio italiano dell’inizio degli anni Venti. Se si osserva il già citato caso di Dëgot´, emissario di Lenin e in contatto con i comunisti italiani, semplicemente definito – nei rapporti della Pubblica sicurezza – un «agente bolscevico», ben si comprende come la confusione sui ruoli degli esuli ed infiltrati sovietici fosse ai massimi livelli. Lo Stato si rivelava incapace di individuare i pericoli reali e distinguerli dalle indiscrezioni e dalle suggestioni determinate dal panico dettato dalla possibile deriva rivoluzionaria del Paese. Al contempo, le incertezze legate all’identificazione degli emissari giocavano a favore dei tentativi di strumentalizzazione della presenza di propagandisti stranieri in Italia: se non si conosceva l’identità dei bolscevichi, diveniva facile paventare complotti e cospirazioni ai danni dello Stato liberale. Il passo successivo era spontaneo: se lo Stato non riusciva 102 Rapporto dell’Addetto Navale ai Paesi scandinavi e la Finlandia all’Ufficio di S. E. il Capo di Stato maggiore della Marina, oggetto: ingegnere Blume alias Berger alias Lorich, 20 marzo 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. È alquanto curioso che la definizione che Gravina diede di Blume-Berger fosse assai simile a quella di «psychopate» che il delegato tedesco diede di Fritz Platten, l’agente commerciale dei Soviets in Svizzera. Evidentemente, la visione dei bolscevichi come “delinquenti” e “elementi malati” della società non apparteneva solo alla classe dirigente italiana. Cfr. telegramma n. 1202 della Legazione di Berna al Mae, 22 marzo 1921; telegramma n. 1502 della Legazione di Berna al Mae, 11 aprile 1921, entrambi in ivi. 214 a difendersi da solo perché guidato da una classe dirigente incapace e lassista, qualche altra forza politica avrebbe dovuto farsi garante dell’ordine. In questa direzione andavano le numerose indiscrezioni che in Italia circolavano intorno ad alcuni misteriosi personaggi. Nel febbraio 1921, fu segnalata in Italia la presenza dei «corrispondenti bolscevichi Negri e Zacarias»103: le autorità di Pubblica sicurezza e quelle del Ministero degli affari esteri sollecitarono più di una volta la stesura di un rapporto sui due individui104. La tanto attesa relazione giunse circa un mese più tardi: in essa, si escludeva «ogni consistenza delle informazioni» relative all’esistenza di un «complotto comunista» e alla «falsificazione di carta moneta italiana»105. Nel maggio 1921, l’Addetto navale presso gli Stati scandinavi e la Finlandia, inviò da Stoccolma, l’avamposto più importante per il propagandismo in tutta l’Europa sin dal 1919, un rapporto confidenziale nel quale si faceva il punto sul movimento bolscevico in Europa. Il Capitano di Corvetta Manfredi Gravina era probabilmente il militare meglio informato sulle vicende russe, ma pieno di pregiudizi antibolscevichi106: la sua avversione verso Mosca gli sarebbe costata la rimozione dall’incarico di mediatore nello scambio dei prigionieri russi internati all’Asinara con gli italiani trattenuti in 103 Poteva forse trattarsi di Nikos Zachariadis, che all’epoca studiava presso la Koutb (Università comunista dell’Est per la classe lavoratrice), e che divenne poi membro del Partito comunista dell’Unione Sovietica e leader del Partito comunista greco. Cfr. G.C. Papavizas, Claiming Macedonia. The struggle for the heritage, territory and name of the historic hellenic land, 1862-2004, McFarland & Company, JeffersonLondon, 2006, p. 188; sulla sua storia negli anni Quaranta: R. Service, Compagni. Storia globale del comunismo nel XX secolo, Laterza, Bari-Roma, 2007, pp. 333-335. 104 Telegramma del Ministero dell’interno, Dg, Ps, al Mae, 4 febbraio 1921; telegramma del Mae a Ministero dell’interno, Dg, Ps, oggetto: Negri e Zacharias corrispondenti bolscevichi residenti in Italia, 19 ottobre 1921, entrambi in Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. 66/2, Servizio informazioni sul movimento bolscevico, Maggiore Passavant. 105 Telespresso n. 81116 del Mae all’Ambasciata italiana a Berlino, 25 novembre 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. 66/2, Servizio informazioni sul movimento bolscevico, Maggiore Passavant. Si noti che i due vennero coinvolti nella presunta preparazione di un colpo di Stato in Alto Adige, favorito dai tedeschi, che risultò poi una montatura strumentalizzata dal Partito fascista. Per la ricostruzione della vicenda, si veda il paragrafo 4.3. 106 Sulla figura di Manfredi Gravina, si faccia riferimento al suo stretto e particolare rapporto con D’Annunzio: A. Ercolani (a cura di), Carteggio D’Annunzio-Gravina, 1915-1924, Bonacci, Roma, 1993 (anche se il carteggio è per la maggior parte focalizzato sul periodo 1915-1916). 215 Russia, per volere di Sforza107. Ciò nonostante, era senz’altro una delle voci più ascoltate dalle autorità quanto meno per la sua posizione di osservatore speciale delle cose russe. Gravina mise in luce, in particolare, l’equivoco sul quale il «governo sovjettista di Mosca» amava giocare, distinguendo tra gli atti del governo stesso e quelli della Terza internazionale, nel tentativo di investire quest’ultima di tutte le responsabilità legate alla propaganda all’estero. Il Capitano smascherava l’inganno, rilevando come «la corrispondenza contenente istruzioni e direttive di Mosca (sia pure della III Internazionale) arriv[asse] ai centri comunisti degli Stati stranieri per tramite della delegazione ufficiale soviettista»108. La credibilità internazionale del Cremlino ne risultò inevitabilmente compromessa. Nonostante le promesse e gli accordi stilati con i Paesi dell’Intesa, era evidente che Mosca non intendeva mettere un argine all’indebito intervento negli affari interni dei Paesi europei, inclusa l’Italia. Dopo aver fornito alcuni elementi che ci paiono di rilievo nella definizione della percezione della minaccia bolscevica da parte delle autorità, torniamo all’interrogativo di fondo rimasto aperto. Per quale ragione il governo Giolitti autorizzò l’ingresso di elementi particolarmente in vista dell’entourage bolscevico in vista del Congresso di Livorno, quando riceveva notizie allarmanti intorno al ravvivarsi dell’offensiva comunista, che si proponeva di catturare “i cuori e le menti” delle popolazioni europee, scatenando una rivoluzione su larga scala? Un’ipotesi potrebbe essere che le autorità non credessero più all’attendibilità della minaccia bolscevica: che, in altri termini, si fossero “vaccinate” dalla “grande paura”, dopo poco meno di quattro anni di segnalazioni – più o meno credibili – sull’imminenza della rivoluzione. Una seconda ipotesi potrebbe essere correlata all’idea che le autorità considerassero i bolscevichi come un insieme di sbandati, elementi inaffidabili e «psicopatici» e ritenessero che, tutto sommato, la minaccia fosse più di facciata che concreta. Tuttavia, casi come quello di Blume-Berger indicavano che, nel 1921, le autorità (soprattutto quelle militari, che fungevano da osservatori all’estero) erano ormai in grado di distinguere tra veri emissari rivoluzionari e strani individui sospetti. La seguente, terza, ipotesi – che, 107 G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca…, cit., pp. 218-221. Telegramma n. 266/B confidenziale del Ministero della marina al Capo di Stato maggiore della Marina (e poi girato al Mae), oggetto: trasmissione di documenti sul movimento bolscevico, 18 maggio 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 18611950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 108 216 per certi versi, raccoglie insieme le altre due – ci pare la più attendibile: le autorità di Pubblica sicurezza, ormai in grado di distinguere tra sovversivi di professione e elementi fuori dalle righe, si erano in parte “vaccinate” dalla “grande paura rossa”. Esse avevano sviluppato una strategia che evitava di colpire gli emissari più in vista (e conosciuti) del mondo rivoluzionario, per evitare che essi venissero sostituiti da elementi diversi, la cui identificazione avrebbe richiesto tempo e impedito il controllo della minaccia rivoluzionaria. L’atteggiamento di Gravina nei confronti di Aron Zimmermann, cognato di Vorovskij, il delegato bolscevico a Roma, ne costituisce un emblematico esempio. L’ex Addetto navale della Legazione di Russia a Copenaghen, individuato in Stachewsky, aveva tentato di intercedere presso Gravina affinché acconsentisse all’entrata nel Regno di Zimmerman, a suo parere ingiustamente colpito da provvedimenti restrittivi a causa dei rapporti familiari con il Vorovskij, con il quale manteneva, secondo la sua versione, rapporti assai tesi. La risposta di Gravina al suo predecessore fu ferma: dicendosi «sorpreso» che lo Zimmermann l’avesse valutato «così ingenuo» da ritenere possibile che avrebbe creduto alle sue asserzioni, Gravina ricordò che egli era da tempo conosciuto come «noto e attivo propagandista bolscevico, e collaboratore di suo cognato Vorovskij»109. L’Addetto navale italiano riteneva che lo Zimmermann avesse avuto «istruzioni di recarsi in Italia» al fine di «svolgere attività di Partito in accordo col cognato»: lungi da lui era quindi l’idea di rilasciargli il visto sul passaporto. In conclusione, Gravina comunicava le proprie riflessioni, svelando il modus operandi che guidava l’azione delle autorità circa l’attività degli agitatori: Resta a vedere se convenga in realtà rifiutare l’accesso allo Zimmerman, oppure no, e ciò in base a un principio che io ho sviluppato e talvolta favorito quando ero addetto al servizio I.S. presso codesto ufficio. Se noi lasciamo venire lo Zimmermann in Italia, sappiamo bene di chi si tratta, possiamo seguire le sue gesta, possiamo sorvegliarlo, scoprire le sue fila e i suoi intrighi. Se noi rifiutiamo l’accesso allo Zimmermann, la centrale di Mosca lo sostituirà con un altro agente, che noi non conosciamo e che occorreranno forse mesi per scoprirlo110. 109 Nome erroneamente translitterato di Vorovskij. Nota di Manfredi Gravina, Addetto navale ai Paesi scandinavi e la Finlandia, diretta all’ufficio del Capo di Stato maggiore della marina, oggetto: suddito russo Aron Zimmermann, 18 aprile 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 110 217 Lasciare agire il nemico per poterlo più agilmente scovare e controllare: in effetti, se applicato anche per il periodo precedente sino a risalire al primo Novecento, quando l’Italia era divenuta patria accogliente per rivoluzionari russi che apertamente professavano la propria fede, questo ragionamento pare convincente. 4.3 La strumentalizzazione interna del pericolo bolscevico: prove d’istituzione di un regime Quando l’Addetto navale Gravina inviò al Ministero degli esteri le sue riflessioni sulla possibilità di consentire l’accesso al Regno ad emissari, purché conosciuti, per poterli meglio controllare, allegò alcuni documenti che, pur riferendosi in particolare al caso tedesco, erano ritenuti interessanti «per le analogie» che si potevano riscontrare in altri Paesi. Tra le carte allegate, non poteva passare inosservato l’emergere di un movimento antibolscevico che assumeva sempre più i caratteri mondiali di sfida in risposta all’impostazione globale a cui lo stesso comunismo si era sempre ispirato. Leghe e club antibolscevichi erano nati in Germania: queste associazioni, che riunivano uomini di fedi politiche differenti, erano caratterizzate da una visione politica imperniata sulla correlazione tra il trattato di Versailles e l’espansione del bolscevismo. La loro convinzione era che l’applicazione del trattato di Versailles avrebbe portato alla rivoluzione e all’espansione del bolscevismo in Europa111. Questi timori erano condivisi da larga parte della classe dirigente del vecchio continente. La “grande paura” legata all’esportabilità della rivoluzione, costante di ogni rivolgimento politico-sociale112, fu ancor più rafforzata dai risultati positivi che l’Armata rossa stava conseguendo nel conflitto con i polacchi: se nella primavera del 1920, dopo la creazione dell’alleanza con l’Ucraina, le truppe polacche erano riuscite a spingersi fino a Kiev, tra il giugno e l’agosto 1920 i russi recuperarono tutti i territori e arrivarono a Varsavia113. La paura dell’esportazione della rivoluzione, dopo i tentativi falliti del 1919, riprese prepotentemente corpo. In ef111 Allegato n. 3, Copenaghen, 13 aprile 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921, p. 1. 112 G. Lefebvre, La grande peur de 1789…, cit. 113 Sulla battaglia per Varsavia: N. Davies, White Eagle, Red Star. The PolishSoviet war, 1919-1920, and “the miracle of the Vistula”, Pimlico, London, 1972, pp. 188-225. 218 fetti, nonostante i dubbi manifestati da Trockij e Radek nel Comitato centrale del Pcus nel luglio 1920, i dirigenti bolscevichi erano persuasi (ed ossessionati) dalla realizzabilità della rivoluzione in Occidente, punto focale ed originario della loro ideologia. Questo aspetto era a tal punto pregnante che Stalin e Lenin, pervasi da quello che Pons ha definito un wishful thinking, giunsero a discettare sulle future repubbliche sovietiche in Europa114. La posizione di Lenin si rivelò particolarmente dirimente: nel corso della IX Conferenza del Partito, nel settembre 1920, sposò la linea dell’avanzata in Polonia, rifiutando la mediazione inglese. Il leader bolscevico, riponendo la propria fiducia nell’imminente sollevazione della Germania, si era persuaso che Varsavia potesse diventare un «ponte rosso» che avrebbe aperto le porte dell’Europa. Per questa ragione, nel luglio, Lenin inviò un telegramma a Stalin nel quale affermava che occorreva «promuovere senza indugio la rivoluzione in Italia», precisando che questo pensiero era condiviso anche da Zinov’ev e Bucharin115. Secondo l’interpretazione proposta da Petracchi, la decisione di procedere con l’avanzata aveva un’intima relazione con la posizione internazionale dell’Italia: i bolscevichi ritenevano possibile che il Regno conoscesse uno spostamento di campo116. A questa convinzione, si associava un’evoluzione nella strategia rivoluzionaria bolscevica e anche in quella dei socialisti italiani. Infatti, se, dall’inizio del 1920 fino al secondo Congresso del Comintern, nell’estate dello stesso anno, sia i bolscevichi sia i socialisti si dicevano convinti che l’Italia appartenesse al blocco occidentale e non sarebbe stata in grado di mantenere il potere rivoluzionario senza il simultaneo scoppio della rivoluzione in Francia o quanto meno (questa l’idea di Serrati), se Parigi non si fosse astenuta dall’intervenire, a partire dall’estate mutarono idea. Con l’esportazione della rivoluzione in Polonia, la creazione di un «ponte rosso» avrebbe impedito lo strangolamento economico dell’Italia, incapace – da sola – di sostenere un blocco come quello attuato nei confronti della Russia dei Soviet117. Questo modificava sensibilmente le possibilità di attuare una rivoluzione nel Regno dei Savoia, ipotesi ritenuta sino a quel momento concretizzabile da alcuni, galvanizzati dall’ammutinamento militare di 114 G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca …, cit., p. 272; S. Pons, La rivoluzione globale…, cit., pp. 28-29. 115 Ivi, p. 28. 116 G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca …, cit., p. 279. 117 Ivi, p. 282. 219 Ancona del giugno 1920118. Le nuove potenzialità della situazione interna italiana imponevano una riorganizzazione della propaganda. La distribuzione di fondi per il sostentamento del Partito comunista era solo un aspetto della più generale ripensamento della diffusione del “credo” bolscevico. Era evidente che la genesi del Pcd’I, nel gennaio 1921, aveva dato nuova linfa alle speranze di un’affermazione del comunismo in Italia: nei primi mesi dell’anno, le autorità rilevarono una serie di movimenti per rendere la propaganda più efficace. Così, nel giugno 1921, l’Ambasciata a Berlino segnalò l’organizzazione di un ritrovo tra «vari capi bolscevichi» a Kissingen, in Baviera, il cui scopo era «preparare [un] nuovo piano [di] propaganda per organizzare scioperi internazionali operai», soprattutto nel settore dei trasporti e tra le «genti di mare». A tale riunione avrebbero dovuto partecipare anche alcuni russi presenti in Italia, tra i quali il noto «Vodovo[zov], Naglewsky, Kistrinsky, Zurufa e Reich»119, tutti residenti a Roma. Il Commissario per l’ordine pubblico tedesco aveva chiesto all’Italia di intervenire direttamente, negando il visto di uscita ai bolscevichi predetti. La questione, tuttavia, risultava intricata dal fatto che essi godevano di una «posizione quasi diplomatica in Italia», per cui l’Ambasciata italiana proponeva che fosse la Germania a rifiutare il visto d’ingresso120. Alla fine del giugno 1921, il governo Giolitti andava incontro ad una crisi irreversibile: l’offensiva di Salandra sulla nuova mutilazione di Fiume, divenuta Stato libero, non lasciò indifferenti i nazionalisti, i fascisti e alcuni settori della Destra che passarono all’opposizione. L’obiettivo del nuovo governo di Bonomi era quello di evitare la guerra civile e risolvere il contrasto tra socialisti e fascisti. Dato che le infiltrazioni dei bolscevichi andavano contro questa logica, dovevano essere ostacolate in tutti i modi. Il nodo centrale affrontato dalla Pubblica sicu118 Testimone attento del suo tempo, Gaetano Salvemini, in merito ai fatti di Ancona, annotò, sul suo diario: «Giugno 1920: rivolta militare di Ancona per protestare contro la spedizione in Albania: disordini qua e là: nessun tentativo di coordinazione». R. Pertici (a cura di), G. Salvemini, Memorie e soliloqui: diario, 1922-1923, il Mulino, Bologna, 2001, p. 39. 119 Naglewsky era, con tutta probabilità, Aleksandr Naglowskij, funzionario della delegazione sovietica incaricato per le questioni commerciali; Kristinsky era invece il nome storpiato del Nikolaj Nikolaevič Krestinskij, divenuto poi negli anni Trenta Ministero degli esteri dell’Urss; degli altri due non si sono reperite ulteriori notizie; A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie…, cit., p. 221 e p. 294. 120 Telegramma di Frassati, R. Ambasciata a Berlino, 28 giugno 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 220 rezza diveniva il collegamento con il mondo del socialismo e comunismo italiano, i cui principali esponenti si confermarono come protagonisti dei rapporti della Pubblica sicurezza per le loro relazioni con gli emissari bolscevichi. Infatti, se, sino al 1920, le attività dei propagandisti e agitatori stranieri rossi erano parse episodiche e in parte scollegate alla realtà italiana, una sorta di infiltrazione esterna, a partire da quell’anno le segnalazioni del Ministero degli interni si concentrarono sui rapporti con i rivoluzionari locali. La nascita del Partito comunista, dalla scissione di Livorno, nel gennaio 1921, aveva attirato l’attenzione delle autorità per i possibili collegamenti con il mondo del bolscevismo straniero121. La genesi del Pcd’I influì in modo determinante nella percezione della minaccia dell’importazione del bolscevismo. Come abbiamo già avuto modo di osservare nelle carte dell’Arma dei Carabinieri, sino al 1921, agli occhi delle autorità italiane, i collegamenti tra il Psi e gli emissari bolscevichi erano curiosamente rimasti un aspetto di secondo piano: erano stati sottolineati i contatti con Morgari, Lazzari e Serrati – esponenti di spicco del Psi – ma come riferimento secondario, più generale, al contesto di conflittualità endogena al sistema politico italiano. Nella documentazione archivistica dell’Arma, non sono certo numerosi sono i documenti reperiti che indicano contatti tra emissari bolscevichi e il gruppo di Bordiga o quello, torinese, di Gramsci. D’altro canto, talvolta, le autorità cercarono persino di ottenere informazioni intorno al piano insurrezionale bolscevico utilizzando i canali del Partito socialista. Questo aspetto, con il 1921 e la creazione del Partito comunista d’Italia, cambiò completamente. La questione dei contatti tra Mosca ed alcuni esponenti chiave del socialismo e del comunismo italiani (in particolare: Morgari, Lazzari e Gramsci) vennero rilevati con sospetto dalla Pubblica sicurezza, e non solo in una circostanza utilizzati a riprova della con- 121 L. Cortesi, Le origini del Pci, cit., pp. 228 e ss.; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. 1, Da Bordiga a Gramsci, parte prima, L’Unità, Roma, 1990; id. (a cura di), Antonio Gramsci, Il Biennio rosso, la crisi del socialismo e la nascita del Partito comunista, 1919-1921, Editori Riuniti, Roma, 1973; M.M. Drachkovitch, B. Lazitch, The Comintern: historical highlights, Praeger, New York-Washington, 1966, pp. 271-282; R. Martinelli, Il gruppo dirigente nazionale: composizione, meccanismi di formazione e di evoluzione, 1921-1943, «Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli», 1981, pp. 363-385. Sulla formazione del gruppo dirigente del Partito: P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-’24, Feltrinelli, Milano, 1960. 221 creta volontà insurrezionale dei dirigenti comunisti, talvolta in modo strumentale. Le prime notizie relative alla relazione tra il Partito comunista italiano e gli emissari bolscevichi giunsero nel marzo di quell’anno, quando dalla Legazione di Helsingfors fu diramata la notizia che una «notevole somma» era stata spedita dal governo bolscevico, via Svizzera, per la «ricostituzione [del] Partito comunista italiano». Secondo le informazioni pervenute a Roma, la riorganizzazione dell’Ufficio propaganda di Mosca aveva visto il coinvolgimento di «parecchi comunisti italiani» fra i quali Amadeo Bordiga. Nuovamente (e direi: sorprendentemente), si rilevava la presenza in Italia di «agenti rivoluzionari ungheresi» che agivano su precise indicazioni di Béla Kun, rifugiatosi in Russia nel 1920122. La Direzione della Pubblica sicurezza disponeva così ulteriori «accertamenti» relativi alle somme che Mosca aveva versato al Partito comunista italiano123. Secondo la traccia seguita dall’Ambasciata italiana a Berlino, le «grosse somme» sarebbero state versate direttamente a Morgari e «all’On. Tegenburg» (probabilmente Toggenburg, rappresentante della nazione tedesca nella Venezia Tridentina), in Germania, i quali avrebbero avuto il compito di portarle in Italia via Monaco124. Secondo le informazioni raccolte dal Ministero degli esteri, fondi passavano anche per canali insospettabili125. Era questo il caso di Costantino Lazzari: indiscrezioni provenienti da Reval, sostenevano che Lazzari, uscito dalla Russia, passò per quella città con il «portafoglio gonfio di dollari» che cambiò all’ufficio cassa della Legazione bolscevica dell’antica Tallin. Le notizie potevano facilmente destare qualche sospetto: anche Lazzari finanziato dai bolscevichi? Il Reggente della Legazione italiana dava palesemente adito all’idea che i contrasti che, nel corso del tempo, erano emersi tra alcuni esponenti socialisti ed i bolscevichi russi fossero stati solo una facciata dietro alla quale nascondere uno stretto sodalizio. Ecco spiegata, dunque, l’attitudine 122 Telegramma n. 1481 di Lago, Mae, al Ministero dell’interno, Dg, Ps, oggetto: propaganda bolscevica, 8 marzo 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 123 Telegramma del Ministero dell’interno, Dg, Ps, 13 marzo 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 124 Telegramma cifrato di Guarneri, Ambasciata a Berlino, 2 settembre 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. Cfr. anche telegramma urgente del Mae al Ministero dell’interno, Dg, Ps, s.d., ivi. 125 Informazioni sul finanziamento proveniente da Mosca erano giunte anche a Londra, via Cristiania: Telegraphic n. 190 from Sir M. Findlay (Christiania) to Earl Curzon, doc. 766, Dbfp, 1920, vol. XII, p. 767. 222 positiva dimostrata dal Lazzari in un articolo apparso su «L’Avanti» all’inizio del settembre 1921: Le simpatie con le quali il Lazzari parla della Russia e del governo dei Soviets farà forse non poca meraviglia, udendo le diatribe dei dirigenti del recente congresso comunista russo contro il Lazzari e gli uomini del suo gruppo, nel seno del Partito socialista ufficiale italiano, che viene accusato di eccessivo riformismo e di alleanza col parlamentarismo borghese126. La questione della collusione di Lazzari con i bolscevichi conobbe tinte ancor più fosche quando, in un rapporto della Regia Ambasciata a Berlino diretto agli Esteri, si affermava che il Lazzari e l’onorevole Toggenburg erano parte attiva in un «accordo tra la Germania e i rappresentanti dei Soviety per la fornitura di armi e denari agli altoatesini allo scopo di suscitare moti nell’Alto Adige»127. Il rapporto, giunto agli Esteri «in plico riservato personale per il Gabinetto del Ministro» e poi «trasmesso in originale» alla Presidenza all’ufficio 2, la Direzione generale d’Europa e Levante, era inspiegabilmente stato tradotto in qualche modo fuori dai canali riservati. Il rapporto giunse così nelle mani di Benito Mussolini che, nel suo «vibrato discorso» in chiusura del Congresso del Partito fascista, rese note le informazioni relative a «moti comunisti» 126 Telegramma riservato n. 61162 del Mae alla Presidenza del Consiglio, oggetto: Costantino Lazzari, Paolo Cappa, 6 ottobre 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. In effetti, i toni utilizzati dal Lazzari nell’articolo Il grande duello. Ritornando dalla Russia, erano assai lontani da quelli che ci si sarebbe aspettati da un esponente politico colpito frontalmente e accusato di essere preda dei riformisti. Riportiamo giusto un breve estratto per mettere in rilievo questo aspetto: «Ma l’aspro confronto e il dolce ricordo rendono più doveroso per noi socialisti il sentimento dei doveri che abbiamo verso quegli eroici compagni di Russia che con animo impavido e braccio sicuro tengono alta in faccia al mondo del privilegio la bandiera della rivoluzione sociale. […] Dopo cinquant’anni dall’eroico tentativo della Comune parigina il proletariato non è più così ignaro e inconsapevole della sua missione per non capire che nella resistenza nella vittoria della Russia sovietista sta la salvezza e l[a] redenzione del genere umano. La povera classe lavoratrice, che è il fondamento di ogni civiltà, vedrà in questa vittoria la realizzazione delle sue speranze o altrimenti più serva, più vil, più derisa sotto l’orrida verga starà». C. Lazzari, Il grande duello. Ritornando dalla Russia, «L’Avanti», s.d., Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 18611950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. Il corsivo è presente nel testo. 127 Telespresso n. 80969, riservatissimo dal Mae alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, oggetto: rapporto confidenziale da Berlino, 24 novembre 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. 66/2, Servizio informazioni sul movimento bolscevico, Maggiore Passavant. 223 che avrebbero dovuto scoppiare «in Italia e più specialmente nell’Alto Adige alla metà di novembre». Mussolini informò la platea della rimessa di «3 milioni di marchi consegnati al conte Toggenburg», il quale si era recato «appositamente a Berlino insieme con Morgari» per ritirarli: «Il governo tedesco manda[va] armi per il movimento insurrezionale tedesco nell’Alto Adige» e per fare ciò si avvaleva di un cavallo di Troia interno, costituito dai socialisti128. A prescindere dalla veridicità delle indiscrezioni, il problema era divenuto un altro: chi aveva consegnato un rapporto «riservatissimo» proveniente dall’Ambasciata di Berlino a Mussolini? Agli Esteri parevano attoniti: vennero disposte indagini interne per ricostruire, momento per momento, quali furono i passaggi che riguardavano il documento. Gli Esteri sollecitarono anche la Presidenza del Consiglio a disporre le indagini ritenute opportune, concludendo: «É da escludere che indiscrezioni siano state fatte da funzionari di questo Ministero, perché fin al giorno nove [novembre 1921] il rapporto fu ignorato dagli uffici e conservato nell’archivio segreto del Gabinetto»129. La fuga di notizie, concludeva in un telegramma «riservatissimo» dagli Esteri per Berlino, era avvenuta dall’Ufficio di apertura della corrispondenza130. La situazione appariva ancor più inquietante visto che le indagini predisposte dalle autorità avevano smontato la ricostruzione: era assai evidente che la diffusione della relazione fuori dalle mura ministeriali era stata assolutamente strumentale, dato che un successivo rapporto sulla vicenda aveva smentito l’esistenza del complotto. A metà novembre, infatti, erano state condotte indagini nella Venezia Giulia e nella Tridentina per comprendere se il pericolo di un’insurrezione in Alto Adige fosse reale, in modo tale che la Regia Ambasciata a Berlino po- 128 La chiusura del Congresso fascista. Un vibrato discorso dell’on. Mussolini, «Il Messaggero», p. 3. De Felice, nel suo celebre volume su Mussolini, non riferisce di questo aneddoto, concentrandosi in particolare sul confronto tra il Duce e Grandi in occasione del Congresso. Cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista…, vol. 1, cit., pp. 183-198. 129 Telespresso n. 80969, riservatissimo dal Mae alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, oggetto: rapporto confidenziale da Berlino, 24 novembre 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. 66/2, Servizio informazioni sul movimento bolscevico, Maggiore Passavant. 130 Telegramma riservatissimo n. 3365/719 dall’Ambasciata a Berlino per gli Esteri – Roma, 1 novembre 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. 66/2, Servizio informazioni sul movimento bolscevico, Maggiore Passavant. 224 tesse «ottenere altri ragguagli»131. Una lista di emissari bolscevichi venne inviata a Roma: essa comprendeva alcuni personaggi sospetti a Trento, Trieste, Bolzano e il Tarvisio, fra i quali si notavano i nomi dei noti Zacharias, presumibilmente il già citato Zachariadis, e tale Negri. Nel rapporto conclusivo, tuttavia, si escludeva «ogni consistenza» delle informazioni relative ad un possibile putsch comunista in Alto Adige, così come di quelle inerenti alla «falsificazione di carta moneta italiana»132. La conclusione negativa del rapporto era giunta ben prima che le notizie fossero trasmesse a Mussolini. La strumentalità dell’indiscrezione era lampante, anche considerato che i personaggi coinvolti. Frassati, da Berlino, rifletteva: Del resto chiunque conosce vita politica italiana sa che Morgari appartiene alla destra socialista ed è quasi scomunicato – In tutto questo una sola cosa è grave ed è che questo rapporto, consegnato da questa R. Ambasciata […] non sia pervenuto a V. E. cui incaricato d’affari avevalo personalmente diretto ma che trovasi possesso estranei133. La questione aveva suscitato un caso diplomatico anche con Berlino: l’Ambasciata tedesca a Roma inviò una comunicazione al marchese della Torretta, nella quale si deplorava il discorso di Mussolini circa il coinvolgimento della Germania nell’organizzazione di un possibile putsch nell’Alto Adige, criticando anche l’atteggiamento di Frassati, l’Incaricato d’affari italiano a Berlino il quale – secondo l’Ambasciatore – «senza nessuna verificazione di sorte», aveva trasmesso al governo quelle notizie false, poi raccolte e strumentalizzate da Mussolini nel ben noto intervento134. I tentativi di screditare i membri del Partito socialista e di quello comunista denunciando la loro collaborazione con emissari bolscevichi e, conseguentemente, il loro legame con Mosca, fu perpetrato almeno 131 Richiesta riservatissima n. 78185 del Mae al Ministero dell’interno, Dg, Ps, 14 novembre 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. 66/2, Servizio informazioni sul movimento bolscevico, Maggiore Passavant. 132 Telespresso n. 81116 del Mae all’Ambasciata italiana a Berlino, 25 novembre 1921, cit. 133 Telegramma n. 6937 di Frassati, Ambasciata a Berlino al Mae, 11 novembre 1921, Asmae, b. 1526, Affari politici, 1919-1930, fasc. 66/2, Servizio informazioni sul movimento bolscevico, Maggiore Passavant. 134 Telegramma del Deutsche Botfschaft n. I 7544, 21 novembre 1921, Asmae, b. 40, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 225 un’altra volta. Se la linea delle autorità era di lasciar fare gli emissari, quanto meno entro certi limiti, per mantenere il controllo su alcuni personaggi noti, le forze reazionarie (e non solo) ritenevano questo approccio ampiamente deficitario. La velata dialettica tra questi due punti di vista fu messa in rilievo dal contegno assunto nei confronti dei contatti dei comunisti italiani con il mondo del bolscevismo internazionale. La questione della concessione dei visti di uscita per l’Italia tornò di attualità intorno alla questione del viaggio di Egidio Gennari il quale, già Segretario del Psi dopo il Congresso di Bologna del 1918 e tra i fondatori del Pcd’I, era stato segnalato in movimento verso Mosca. Nessuna nota particolare fu apposta sul telegramma degli Esteri diretto alla Presidenza del Consiglio135: il miglioramento delle relazioni internazionali e l’idea che, conoscendo il nemico comunista, lo si sarebbe potuto meglio controllare, giocarono un ruolo fondamentale nel determinare il contegno delle autorità rispetto alla collaborazione tra bolscevichi e comunisti nostrani. Contestualmente, giunse sulla scrivania delle autorità di Pubblica sicurezza la notizia della partecipazione di Gramsci alla riunione del Comitato d’azione della “L.u.r”, la Lega ungherese rivoluzionaria. Nel presunto resoconto che giunse al Ministero degli esteri, diretto in origine a Bucharin e firmato da Gramsci, quest’ultimo affermava di aver partecipato all’incontro in veste di «inviato speciale di fiducia del Comitato esecutivo della Terza internazionale, in sostituzione della compagna A. Balabanoff»136. Il rapporto metteva in rilievo le intenzioni della L.u.r. (valeva a dire l’abbattimento del regime ungherese «nei suoi due esponenti: l’attuale reggente Horthy e Carlo d’Asburgo con la sua famiglia», per una risoluzione finale della questione dinastica), ed il finanziamento offerto dai bolscevichi ed accettato dagli ungheresi alla presenza di Gramsci137. Questa volta, tuttavia, l’inattendibilità della notizia fu rilevata in tempi rapidissimi dalla Direzione generale della Pubblica sicurezza. Le autorità ritennero il rapporto un falso costruito ad arte per screditare Gramsci e metterlo in una scomoda posizione. Svelare l’infondatezza del rapporto non fu difficile, visto che Gramsci era un 135 Telegramma del Mae alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e, per conoscenza, al Ministero dell’interno, Dg, Ps, oggetto: Egidio Germani, 21 ottobre 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 136 Resoconto di Gramsci per il compagno Bucharin del Comitato esecutivo della Terza internazionale, Sezione Estero/3 Nord Est, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921, p. 1. 137 Ivi, p. 2. 226 personaggio alquanto noto ed era sotto costante sorveglianza. Gli Interni constatarono così che non erano «pervenute notizie» che potessero «convalidare l’autenticità del rapporto attribuito al noto comunista Gramsci Antonio», sulla sua partecipazione alla riunione della Lega ungherese rivoluzionaria. Il gioco era scoperto: la Pubblica sicurezza metteva in chiaro che, al di là di «ogni considerazione sulla scarsa attendibilità delle notizie contenute nel presente rapporto», era da escludersi che Gramsci fosse intervenuto al ritrovo, dato che il Prefetto di Torino aveva rilevato che il Direttore de «L’Ordine nuovo» si era allontanato dal Piemonte in direzione di Milano, ove si era trattenuto «tre o quattro giorni pel disbrigo di affari relativi al giornale» di cui era a capo. A parte questo viaggio, effettuato in agosto, secondo le fonti prefettizie Gramsci non si era mosso da Torino138. Era dunque evidente anche alle autorità il tentativo di depistaggio, visto, tra l’altro, che risultava che il leader comunista non avesse richiesto alcun visto per l’estero, anche se la riunione si teneva a Lugano139. La questione dei contatti dei comunisti italiani con Mosca, certo non infondata, pareva sempre più una pedina nella strumentalizzazione della “grande paura rossa”, perfettamente adatta a favorire lo scivolamento dell’Italia verso un’opposta deriva. 138 Telegramma riservato del Ministero dell’interno, Dg, Ps, al Mae, 26 ottobre 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 139 Telegramma della Dg, Ps, al Mae, 28 ottobre 1921, Asmae, b. 446, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. n. 6870, bolscevismo, anno 1921. 227 5. L’Italia come guardiano della vecchia Europa 5.1 Il tramonto delle infiltrazioni rivoluzionarie In Italia, la campagna elettorale della primavera 1921 fu costellata da violenze di segno opposto: la “guerra civile” era ormai un dato di fatto nella vita politica e sociale della penisola. Come ha ricostruito De Felice nel volume Mussolini il fascista, pietra miliare della storiografia italiana, anche nei contesti cittadini «medi», ove cioè non vi erano contrasti da «punte massime», le violenze si susseguivano senza sosta. De Felice ha portato come esempio di tale situazione «media» quella del mantovano, in cui i comunisti erano i responsabili del clima violento: il loro atteggiamento, «intransigente ed aggressivo», mirava – al contempo – a soppiantare il Partito socialista, accusato di essere scivolato verso un «idillio social-borghese», ed a rispondere agli attacchi fascisti, in alcuni casi fiancheggiati dalle forze di Polizia. Se il coinvolgimento dei comunisti era chiaro, altrettanto lo era quello dei fascisti ai quali era imputabile la responsabilità delle aggressioni nella «stragrande maggioranza dei casi»: una strategia violenta che aveva lo scopo di intimidire la popolazione condizionando così l’esito delle elezioni, distruggendo le ultime vestigia del potere rosso. In questo contesto caotico e violento, «l’opinione pubblica si mostrava sgomenta e interdetta»: se, da un lato, la «psicosi del “pericolo rosso” era ancora viva e operante», la classe media mostrava una nuova tendenza. Quella cioè di accomunare in un’unica condanna comunisti e fascisti, in un crescendo di disagio per la situazione instabile e incontrollata che si era venuta a creare1. La montante campagna stampa nei confronti degli esuli russi in Italia proseguiva, e le pubbliche autorità – ben comprendendo il pericolo – desideravano porvi un argine: si rendeva così necessaria una rivalutazione del rischio che comportava l’ospitalità offerta ad alcuni noti personaggi vi1 R. De Felice, Mussolini il fascista…, vol. 1, cit., pp. 88-89. 228 cini alla classe dirigente bolscevica2. La Questura di Roma, quindi, dando seguito alla già citata denuncia del «Popolo romano» circa le sospette abitudini del gruppo di russi residenti in via della Croce a Roma, dispose nuove indagini su Ivan Kopšic, noto artista lirico, e Nikolaj Andreevič Gek, ex ufficiale addetto locale della Missione militare russa3. Mentre le indagini su Kopšic diedero chiaramente un esito negativo, più sospetta risultava la posizione del secondo, già sottoposto a vigilanza nel passato in quanto schedato come «individuo avente idee estremiste», per il quale il Ministero degli interni aveva, in passato, disposto l’allontanamento. Ma l’aspetto saliente della comunicazione ci pare un altro e va ben al di là del giudizio negativo sull’operato del citato Gek. Il «movente», così come viene indicato nel documento, della denuncia al giornale romano che tanta eco ebbe nell’opinione pubblica, era ben lontano dall’avere una valenza politica: Circa il movente dell’articolo comparso sul giornale, risulterebbe che i suaccennati stranieri al tempo della presenza nella capitale delle due compagnie dei “balli russi” che agirono al Costan[zi] e al Salone Margherita, più volte ebbero a riunire nella loro abitazione artisti loro amici, fino a tarda ora e ballando, e ciò provocò il risentimento di alcuni inquilini dello stabile di via della Croce4. In definitiva, la denuncia aveva poco a che fare con le ragioni delle infiltrazioni rosse: era, piuttosto, una sorta di vendetta personale che ebbe tuttavia un’eco importante sulla stampa, segno di come l’opinione pubblica – nel suo complesso – fosse ancora ampiamente coinvolta nella psicosi del “grande pericolo rosso” e guardasse con sempre maggior sospetto agli stranieri che, in Italia, avrebbero potenzialmente potuto svolgere un’azione sobillatrice (e anche a quelli che facevano troppo baccano). Contestualmente, continuavano le segnalazioni generiche che, provenienti in larga parte dal Ministero degli affari esteri, davano per certa 2 Nota manoscritta del Ministero degli interni per il Questore di Roma, 19 marzo 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, categoria K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3, oggetto: agenti bolscevichi che si recano nel Regno con falsi documenti e clandestinamente, 1919-1923. 3 Si noti che Kopšic viene indicato nei documenti come Giovanni Copscik, mentre Nikolaj Andreevič Gek viene presentato con il nome di Nicola Ghek. 4 Comunicazione n. 3145 della Regia Questura di Roma al Ministero degli Interni, 25 marzo 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, categoria K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3, oggetto: agenti bolscevichi che si recano nel Regno con falsi documenti e clandestinamente, 1919-1923. Il Teatro Costanzi è il nome con il quale veniva indicato il Teatro dell’Opera di Roma. 229 la presenza di alcuni (anonimi) propagandisti5: non sappiamo esattamente quale fosse, a questo punto, la reazione riservata delle autorità alle indicazioni, approssimative e ripetute, che riferivano dell’arrivo di propagandisti: se nutrissero dei dubbi sulla vaghezza delle informazioni o se, piuttosto, le accettassero come veritiere. Sappiamo, tuttavia, quale fu la risposta ufficiale del governo alla querelle aperta da alcuni giornali in merito alla sospetta presenza di russi dalle simpatie rivoluzionarie sul territorio italiano. Il senatore Raffaele Garofalo sottopose un’interrogazione parlamentare intorno al problema della propaganda bolscevica in Italia, richiedendo di confermare o smentire cosa vi fosse di vero nella «voce molto diffusa» circa la «venuta in Italia di numerosi agenti bolscevichi», incaricati «di fare propaganda nel nostro Paese, distribuendo ingenti somme allo scopo di fomentare insurrezioni e d’instaurare il comunismo in Italia»6. Gli appunti per la risposta all’interrogazione offrono spunti importanti per comprendere come le autorità intendessero gestire la rinnovata attenzione della stampa sul tema, risvegliata – tra l’altro – dalla scoperta a Parigi di un «complotto comunista», nel quale si diceva coinvolto anche «qualche italiano» residente nella capitale francese. In realtà, la questione del complotto era trapelata alla stampa senza che vi fossero prove effettive circa il coinvolgimento dei «comunisti italiani o con altri agenti stranieri in Italia». Stando così la situazione, il rapporto sottolineava il fatto che anche la notizia riguardante l’arrivo di oro straniero «destinato a fomentare in Italia od in altri Stati d’Europa [l’]insurrezione e di instaurare il governo comunista» non era certo «nuova e periodicamente [veniva] ripetuta». La relazione si soffermava quindi su un punto chiave: la voce della presenza di commissari comunisti era stata più volte raccolta e comunicata dalle nostre autorità all’interno ed all’estero, senza però che fatti positivi, o l’esito di perquisizioni siano venuti fino ad ora a confermare la sussistenza7. 5 È questo il caso della laconica nota riportante esclusivamente la frase: «Prospettasi 20 agenti bolscevichi». Documento con protocollo n. 9460 K 1, 24 marzo 1920, Acs, Mi, Dg, Ps, categoria K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3, oggetto: agenti bolscevichi che si recano nel Regno con falsi documenti e clandestinamente, 1919-1923. 6 Risposta manoscritta n. 5196 all’interrogazione del Senatore Garofalo, 6 febbraio 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, categoria K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3, oggetto: agenti bolscevichi che si recano nel Regno con falsi documenti e clandestinamente, 1919-1923, p. 3. 7 Ibidem. 230 La Direzione generale di Pubblica sicurezza di fatto non confermava nulla delle notizie riportate, nemmeno quella che voleva giunto in Italia un «comunista molto noto, residente in Svizzera» il quale, secondo le voci raccolte, aveva ricevuto «da Mosca 600.000 franchi svizzeri per opere di propaganda, da farsi in Francia, in Svizzera e in Italia». È chiaro che l’atteggiamento delle pubbliche autorità era dettato dalla volontà di circoscrivere, agli occhi dell’opinione pubblica, il fenomeno della presenza di agitatori e propagandisti in una fase nella quale il Presidente del Consiglio Giolitti veniva duramente criticato per il suo atteggiamento moderato nei confronti degli autori delle violenze politiche e sociali. Si soprassedeva sulla presenza di esponenti di rilievo del mondo comunista e sul periodico passaggio di personaggi di primo piano, di cui le autorità erano ampiamente a conoscenza. Nella risposta, tuttavia, vi era una nota di sincerità, quando si affermava che – date le numerosi voci, talvolta coincidenti, raccolte in seno al Paese e negli Stati alleati – non vi erano, in effetti, prove manifeste dell’intenzione dei bolscevichi di trascinare l’Italia nel vortice della rivoluzione. Ciò che emerge anche dalla ricostruzione in sede storica è, infatti, più la cacofonia di queste indiscrezioni, talvolta veritiere, talvolta immaginarie, e l’incapacità del governo di verificarle e di soppesarle. Così, la voce di un manifestino bolscevico appeso in un piccolo paese di una sperduta provincia scatenava la caccia al fanatico comunista quanto le notizie relative all’arrivo in Italia di un conosciuto esponente dell’establishment sovietico. In altri termini, le autorità non parevano in grado di stabilire una gerarchia di notizie: accogliendole tutte come potenzialmente vere, i dirigenti non si mostravano capaci di fornire a ciascuna il giusto peso, aumentando la sensazione di confusione e di potenziale sconvolgimento dell’assetto democratico del Paese in direzione comunista. L’affermazione, contenuta nella lettera di risposta all’interrogazione, secondo la quale si assicurava «continua e rigorosa» «sorveglianza», esercitata nei confronti «di tutti gli stranieri» rispondeva senz’altro ad una volontà precisa ma rivelava, in un certo qual modo, la dispersività dell’azione governativa sul punto. Ad ogni modo, il governo mirava a fornire una risposta rassicurante su tutti i fronti: così, veniva messa in rilievo «l’azione preventiva diretta ad impedire che stranieri sospetti di poter dirigere un’attività politica» entrassero nel Regno, mediante una vigilanza alla frontiera (che sappiamo non sempre efficacemente sorvegliata). Con questa motivazione, era stato negato il visto d’ingresso a Nikolaj Bucharin, il principale sostenitore della tesi della “guerra rivoluzionaria”, al capo del Comintern Grigorij Zinov’ev e ad Angelica Balabanoff, già membro della Direzione del Psi e condirettri231 ce, insieme a Mussolini, durante il suo periodo rivoluzionario, de «L’Avanti»8. Nonostante gli sforzi delle autorità per circoscrivere il problema dell’immigrazione politica bolscevica con alcuni atti pubblici di risonanza per l’opinione pubblica, la campagna stampa continuò, proprio sulla scorta di quelle informazioni governative che, alcune frange dell’opinione pubblica aveva definito «incomplete». Uno dei due personaggi sotto la lente di ingrandimento era il ben noto Vodovozov, il quale – secondo i quotidiani – continuava a vivere a Roma «in una situazione ambigua, che egli si illude[va] di sostenere appoggiandosi agli elementi più avanzati del socialismo italiano». Il secondo elemento di disturbo era rappresentato dalla visita di Vorovskij, il delegato sovietico per la missione economica. Il giornalista concludeva: L’atteggiamento energico della maggior parte del Paese crediamo abbia tolto molte illusioni a coloro che credevano di poter fare all’Italia ciò che è stato fatto della Russia. Domandiamo intanto al Ministero degli esteri di moderare il suo leninismo e al governo in genere di intonarsi alla suddetta maggioranza del Paese che non ammette ingerenze straniere in casa e non tollera alcuna propaganda bolscevica… […] […] non sarebbe male che la Polizia italiana, avesse, per quanto riguarda russi bolscevichi residenti in Italia, informazioni più precise e occhi più vigili9. In realtà, le autorità di Pubblica sicurezza si avvalevano del lavoro di numerosi informatori che, ben inseriti nei locali contesti di Sinistra, fornivano notizie di prima mano sulle evoluzioni in seno al movimento rivoluzionario. Anche in questo caso, tuttavia, le notizie sulla presenza di bolscevichi apparivano fumose: in un promemoria per il Ministero degli interni, l’informatore Angelo Vicario, attivo a Milano e vicino sia alla Camera del Lavoro sia a «L’Avanti», riferiva di voci – riprese nei «circoli politici» – di «emissari russi, di denaro russo per la propaganda bolscevica». Sebbene Milano venisse dipinta come «il centro di codesto genere di affari», Vicario riferiva la confidenza di «un russo che [era] da qualche tempo in Italia e che […] frequenta[va] gli ambienti equivoci», 8 Ivi, pp. 6-7. La propaganda russa in Italia, senza indicazioni (ma presumibilmente «Il Messaggero», 15-16 marzo 1921), Acs, Mi, Dg, Ps, categoria K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3, oggetto: agenti bolscevichi che si recano nel Regno con falsi documenti e clandestinamente, 1919-1923. 9 232 secondo la quale il vero epicentro del «lavorío» era Torino10. Notizie analoghe erano giunte alla Questura di Roma, che aveva raccolto le informazioni relative ad un gruppo di emissari bolscevichi, «venuti in Italia a scopo propagandistico», muniti di un voluminoso pacco contenente propaganda da Baku11. Sebbene nel giro di qualche settimana fosse stato chiarito che si trattava di un falso allarme, i due stranieri, Nicolas Doubrava e George Zaganrellj, continuarono ad essere ritenuti personaggi sospetti. In questo caso, tuttavia, le autorità si tranquillizzarono quando compresero che il loro passaggio in Italia non avveniva a fini propagandistici ma solo come transito verso la Germania12. 5.2 Un fronte comune antibolscevico: tentativi di intesa nell’Intesa? Al di là di qualche isolato caso destinato a ridimensionarsi nel breve periodo, la minaccia derivante dalla propaganda bolscevica straniera continuava ad essere ben presente nella gestione dello scenario interno, così come in quello delle relazioni internazionali ove – consolidando una tendenza già presente nell’anno precedente – si avviò una collaborazione più sistematica tra gli Alleati, per fronteggiare la minaccia del bolscevismo. In particolare, il dialogo con la Francia fu particolarmente proficuo in questo ambito. Dopo il periodo di forte interventismo – che, durante la Presidenza del Consiglio di Alexandre Millerand, aveva condotto all’intervento a fianco della Polonia nella guerra contro la Russia dei Soviet – la Francia tornò ad una politica di difesa non attiva, recuperando l’idea di creare un “cordon sanitaire” attorno alla Repubblica rossa13. 10 Promemoria di Angelo Vicario, 15 marzo 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, categoria K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3, oggetto: agenti bolscevichi che si recano nel Regno con falsi documenti e clandestinamente, 1919-1923, pp. 2-3. 11 Comunicazione per la Questura di Roma, 27 febbraio 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, categoria K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3, oggetto: agenti bolscevichi che si recano nel Regno con falsi documenti e clandestinamente, 1919-1923. Una comunicazione simile era giunta ad alcuni membri del Senato del Regno. Probabilmente era questa la notizia originaria alla quale si rifece la Questura di Roma: Senato del Regno, 24 febbraio 1921, ivi. 12 Comunicazione n. 4100 della Regia Questura di Roma per il Ministero dell’interno, 18 marzo 1921, Acs, Mi, Dg, Ps, categoria K 1, b. 6, fasc. 20, sottofasc. 3, oggetto: agenti bolscevichi che si recano nel Regno con falsi documenti e clandestinamente, 1919-1923. 13 G.-H. Soutou, Le deuil de la puissance (1914-1958), in AA.VV., Histoire de la diplomatie française, vol. II, De 1815 à nos jours, Perrin, Paris, 2005, pp. 309-310. Sulle relazioni italo-francesi in quel periodo, si veda anche: F. Le Moal, La France et 233 Rispetto alla difesa dell’Europa dal comunismo sovietico, la cooperazione tra Francia ed Italia si affermò su due piani14: la conoscenza del fenomeno del proselitismo bolscevico e la collaborazione sul piano investigativo. Affrontando in primis la questione del proselitismo, il primo dato rilevabile è quello dell’assenza – quanto meno nella documentazione reperita negli archivi italiani consultati – di un sistema di comunicazione e condivisione delle informazioni sui propagandisti e agitatori bolscevichi. Come già ricordato in precedenza, la Germania e la Gran Bretagna erano certamente più all’avanguardia su questo aspetto, sul quale si cercò di creare un vero e proprio asse di collaborazione. L’Italia restava ai margini della cooperazione, nonostante la percezione della minaccia dell’importazione della rivoluzione fosse assai vivida e la collocazione territoriale del Regno la rendesse un passaggio quasi naturale per gli spostamenti tra Est e Ovest, oltre, ovviamente, a quello delle abusate linee di transito del Nord Europa15. Passando ora al secondo aspetto, la collaborazione sul piano investigativo si rivelò importante soprattutto nella prevenzione di attentati terroristici contro personalità politiche e, più in generale, contro la popolazione, per mano degli emissari bolscevichi che venivano segnalati in continuo spostamento tra la Francia e il Regno d’Italia. Alla fine di luglio 1921, l’Ambasciata italiana a Parigi richiese la collaborazione delle l’Italie dans les Balkans, 1914-1919: le contentieux adriatique, L’Harmattan, Paris, 2006. 14 E. Decleva, P. Milza (a cura di), La Francia e l'Italia negli anni Venti: tra politica e cultura, Spai, Milano, 1996; J.-B. Duroselle, E. Serra (a cura di), Italia e Francia dal 1919 al 1939, Istituto per gli studi di politica internazionale, Milano, 1981. Per il periodo fascista: W.I. Shorrock, From ally to enemy: the enigma of fascist Italy in French diplomacy, 1920-1940, The Kent State University Press, Kent (Ohio), 1988. 15 Che l’Italia occupasse un ruolo non primario in questo ambito, nonostante la conoscenza sul campo maturata nel corso della Missione Caprini, lo si evince anche dall’importanza conferita alla comunicazione di Sir J. Baird, Sottosegretario per l’Interno della Gran Bretagna, alla Camera dei Comuni. In tal contesto, Baird aveva proposto un’analisi della propaganda bolscevica, dividendola in tre categorie: funzionari comunisti regolarmente pagati; formule di sostegno economico alla stampa estremista; distribuzione di pubblicazioni rivoluzionarie. Il Sottosegretario, concludeva: «Nous avons des preuves qu’une partie eau moins de cet argent est venu directement du gouvernement de Moscou». Les événements de Russie. La Grande-Bretagne et les Soviets, ritaglio di giornale, allegato alla comunicazione della Regia Ambasciata d’Italia a Londra al Ministro degli esteri italiano, oggetto: propaganda bolscevica in Gran Bretagna, 23 aprile 1921, Asmae, b. 512, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Gran Bretagna, f. 5, anno 1921. 234 autorità francesi nell’indagine sulla condotta morale e politica di alcuni italiani residenti in Francia, sospettati di tramare contro le autorità del Regno in visita all’estero16. A fronte di tale richiesta, dopo alcuni giorni, la Préfecture de Police della Repubblica francese segnalò come sospetti i movimenti di alcuni italiani emigrati Oltralpe, indicati come «susceptibles de commettre un attentat sur les personnalités composant la Mission italienne», valeva a dire – in particolare – il Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi ed il Ministro degli Esteri della Torretta, in viaggio in Francia per assistere al Consiglio supremo dell’Intesa. I quattro presunti terroristi erano identificati in Paul Giordano, detto «Jourdan», Amleto Montecuccoli, riminese già arrestato per associazione a delinquere e conosciuto per le sue frequentazioni degli ambienti anarchici, Michele Buzzoni, detto il «Jenova» date le sue origini liguri, sotto sorveglianza dal 1915, e Antonio Pizzati, anch’egli oggetto di vigilanza da parte delle autorità francesi, militare e anarchico17. In realtà, il controllo a cui vennero sottoposti i quattro non rivelò nulla di particolare, stando ai rapporti reperiti, se si esclude la conferma della loro vita “dissoluta” e della conosciuta fede anarchica18. Qualche notizia aggiuntiva fu fornita sul Jourdan, identificato come l’anarchico italiano Paolo Giordano, ufficialmente commerciante in mobili, in Francia dal 1919, ove era andato incontro ad una fortuna economica sospetta. Ma nessun altro dettaglio venne fornito in merito, rivelando l’inconsistenza della traccia seguita dalla Polizia italiana e francese19. Nel frattempo, la situazione in Italia sembrava sulla via di una tragica definizione. Appariva ormai evidente come lo Stato liberale fosse divenuto sempre più impotente: la mancata applicazione della circolare del Ministero dell’interno ai Prefetti, riguardante lo scioglimento delle organizzazioni paramilitari fu solo l’esempio più clamoroso dell’incapacità dello Stato di esercitare la propria autorità. Le forze politiche erano ormai in piena crisi: i liberali, così come i popolari (anche se con le opportune di16 Richiesta dell’Ambasciata d’Italia a Parigi, 31 luglio 1921, Asmae, b. 512, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Gran Bretagna, f. 5, anno 1921, p. 1. 17 Comunicazione della Préfecture de police, Cabinet de Préfet de Paris, oggetto: preteso complotto contro le loro S. E. Bonomi e Torretta, 17 agosto 1921, Asmae, b. 512, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Gran Bretagna, f. 5, anno 1921, pp. 1-3. 18 Ivi, pp. 4-11. 19 Comunicazione, 6 agosto 1921, Asmae, b. 512, Ambasciata Londra 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, Rapporti politici – Gran Bretagna, f. 5, anno 1921, p. 2. 235 stinzioni) erano divisi sull’atteggiamento nei confronti dei fascisti i quali, al contrario, avevano risolto il proprio travaglio interno con il Congresso del novembre 1921, con la nascita del Partito nazionale fascista; dal canto loro, i comunisti – nel marzo 1922 – optarono per la non collaborazione con i socialisti, sancendo il proprio isolamento politico; questi ultimi rimanevano ripiegati sulle loro lotte intestine. Nel febbraio 1922, in una situazione interna politicamente al tracollo e profondamente compromessa anche dal punto di vista economico-bancario, una crisi ministeriale, causata dall’uscita del gruppo democratico dalla maggioranza, sancì la fine del debole governo Bonomi. La nuova compagine governativa, guidata da Facta, era evidentemente spostata a Destra, vista l’inclusione di alcuni salandriani. Il 1922 avrebbe visto così una graduale ma incessabile – e forse inarrestabile – presa di mano da parte dei fascisti che, grazie anche al sostegno delle autorità locali, conquistarono alcune città del Regno, spianando la strada alla marcia su Roma. Dato il clima mutato, l’attenzione della Direzione generale di Pubblica sicurezza e anche quella delle autorità locali che non mostravano compiacenza nei confronti del fascismo, si concentrò soprattutto sul pericolo costituito dalle “camicie nere”; l’interesse nei confronti delle infiltrazioni bolsceviche conobbe un netto tracollo20. Pochi furono i momenti in cui la questione tornò alla ribalta e, come si noterà dai tre casi presentati, l’iniziativa non fu del governo italiano, bensì di quello francese, che ricercava una sinergia con Roma sul tema della lotta al bolscevismo. Nel gennaio 1922, il Senatore conservatore Angelo Valvassori Peroni scrisse una nota agli Interni, chiedendo informazioni circa la Conferenza dei rappresentanti del proletariato dei Paesi lesi dai trattati di Versailles e Saint Germain, sollecitando delucidazioni intorno all’importanza dell’evento da un punto di vista politico e della sicurezza21. In realtà, le preoccupazioni del Senatore parevano esagerate: le informazioni provenienti dal Quai d’Orsay erano estremamente tranquillizzanti. Nulla era risultato dalle indagini condotte dalla delegazione italiana alla Conferenza degli Ambasciatori al Ministero degli affari esteri, e nulla emerse 20 Si veda, a titolo di esempio, le indagini svolte per scoprire gli autori di danneggiamenti a danni di alcune tipografie nella provincia di Padova: Ministero dell’interno, Gabinetto, Roma, precedenza assoluta, 14 maggio 1921, AsP, Prefettura, Gabinetto, Pubblica sicurezza, busta 282, categoria XV, 1921-1924. 21 Telegramma n. 27 di Valvassori Peroni da Roma, 4 gennaio 1922, Asmae, b. 51, fasc. Ministero degli affari esteri, Conferenza del proletariato dei Paesi lesi dai trattati di Versailles, f. 9, 1922. 236 neppure da approfondimenti condotti presso «circoli giornalistici e politici»22. La Conferenza – tenutasi in Francia nel febbraio 1922 – era stata indetta dal Partito socialista ufficiale francese ma l’astensione dei comunisti francesi, di quelli tedeschi e degli italiani aveva sancito il fallimento dell’iniziativa. I socialisti italiani erano stati tra i pochi ad aderire, tra l’altro con una rappresentanza di alto livello, visto che – secondo le informazioni raccolte – era stato Giacinto Menotti Serrati a partecipare all’evento23. Se la Conferenza non aveva avuto nessun «risultato tangibile» nell’organizzare le masse contro l’ordine internazionale sancito a Versailles24, a distanza di pochi mesi, nel maggio, il concreto timore di un possibile complotto rivoluzionario iniziò a diffondersi tra la Francia e l’Italia: ancora una volta, la Repubblica d’Oltralpe chiese un aiuto al Regno d’Italia per seguire gli spostamenti dei bolscevichi. Agli occhi dell’opinione pubblica, il caso esplodeva a causa di una indiscrezione pubblicata in prima pagina sul quotidiano «Le Matin», nel quale si riferiva del tentativo propagandista condotto in alcuni porti militari e in certe industrie belliche di importanza strategica: la Polizia francese aveva già provveduto ad arrestare il Segretario della sezione comunista d’Ivry, Coudom, anche conosciuto come Méric, l’amante di quest’ultimo ed un terzo individuo, François Bettemps. Nel corso dell’interrogatorio – dava conto il giornale – i tre erano stati accusati di aver comunicato a Mosca alcune informazioni strategiche relative alle forze marittime francesi, e di essere in possesso di documenti stranieri sospetti. «Le Matin» concludeva considerando che, date le condizioni assai modeste in cui vivevano i tre, poco faceva sospettare realisticamente che fossero degli emissari di Mosca. Ciò nonostante, la Sureté nationale dichiarava: La Sureté générale est sur la trace d’une affaire extrêmement importante, intéressant la défense nationale. Des arrestations auraient même déjà été opérées, 22 Telegramma n. 91 della delegazione italiana alla Conferenza degli Ambasciatori al Mae, 18 gennaio 1922, Asmae, b. 51, fasc. Ministero degli affari esteri, Conferenza del proletariato dei Paesi lesi dai trattati di Versailles, f. 9, 1922. 23 Telegramma n. 201 dell’Ambasciata d’Italia in Parigi al Mae, 4 febbraio 1922, Asmae, b. 51, fasc. Ministero degli affari esteri, Conferenza del proletariato dei Paesi lesi dai trattati di Versailles, f. 9, 1922. 24 Telegramma n. 213 dell’Ambasciata d’Italia in Parigi al Mae, 7 febbraio 1922, Asmae, b. 51, fasc. Ministero degli affari esteri, Conferenza del proletariato dei Paesi lesi dai trattati di Versailles, f. 9, 1922. 237 mais le plus grand secret est encore conservé à ce sujet. Il ne sera possible de rendre la chose publique que dans quelques jours25. La notizia veniva poi ripresa in Italia dal «Corriere della sera», che amplificava le informazioni: secondo l’autorevole quotidiano milanese, le autorità francesi erano ormai certe di «trovarsi di fronte a una vasta e potente organizzazione decisa a precipitare le cose provocando un movimento rivoluzionario pel quale tutto [era] pronto, armi e denaro». La risoluzione stessa della questione pareva essere a portata di mano, grazie all’efficienza di Parigi: «I capi di questo complotto a tendenza bolscevica dovevano cadere nelle reti della Polizia tutti insieme una decina di giorni fa, ma un ritardo di 24 ore fece fallire il colpo»26. A livello ufficiale, la questione fu ripresa in un rapporto del Prefetto di Genova il quale, basandosi su alcune informazioni trasmessegli dal Capo della Polizia francese, aveva saputo che il complotto era ritenuto effettivamente molto ramificato e pericoloso: si trattava, infatti, di «un vasto servizio di spionaggio organizzato dalla propaganda bolscevica in danno della Francia, e probabilmente anche dell’Italia e di tutte le nazioni dell’Europa occidentale». Stando alle informazioni, alcuni fiduciari bolscevichi avevano diffuso dei questionari concernenti, tra le varie cose, l’armamento delle navi da guerra e la produzione bellica. Le informazioni sensibili, raccolte da un certo Pesci, di nazionalità italiana, «specialmente delegato dai bolscevichi», avrebbero poi dovuto essere inviate alla direzione dell’«Ordine nuovo» di Torino: dal Piemonte, i documenti dovevano essere inoltrati a Roma e consegnati a Vorovskij. E anche se le autorità francesi, brancolando nel buio, avevano arrestato un individuo che non ritenevano essere il Pesci, ma che era comunque russo, il Prefetto di Genova riferiva che il collegamento con il gruppo di Gramsci era provato, visto che il Pesci – chiunque egli fosse – era effettivamente un corrispondente estero dell’«Ordine nuovo»27. Sulla scorta di queste informazioni, Sforza inviò una lettera a Poincaré, richiedendo che tutte le informazioni sul caso venissero condivise con le autorità italiane di Pubblica sicurezza: non solo la provenienza italiana del Pesci coinvol25 Une affaire de espionnage et de propagande communiste, «Le Matin», 4 maggio 1922, p. 1. 26 Un vasto complotto rivoluzionario sventato in Francia?, «Corriere della sera», 4 maggio 1922, p. 5. 27 Telespresso riservato n. 29867 del Mae all’Ambasciata italiana a Parigi, oggetto: complotto rivoluzionario in Francia, 24 maggio 1922, pp. 1-2. 238 geva il Regno, ma anche la tipologia dei documenti ritrovati in possesso dei tre arrestati a Ivry, «riguardanti l’Italia e la Francia», rendeva Roma parte del gioco28. In realtà, i francesi non sembrarono essere troppo disposti a collaborare: a quindici giorni di distanza, il Ministero degli esteri sollecitava l’Ambasciata italiana a Parigi, su indicazione della Direzione generale di Pubblica sicurezza, a sollecitare le informazioni29. Dalla capitale francese, Sforza rassicurò gli Esteri di aver nuovamente reclamato una risposta, senza riuscire tuttavia ad ottenere delle indicazioni in merito30. Finalmente, dopo circa due mesi di attesa, a metà luglio il Ministère des Affaires Étrangères inviò qualche dettaglio all’Ambasciata italiana a Parigi. La risposta, in effetti, appariva particolarmente laconica, soprattutto considerate le settimane di attesa. Nella comunicazione, si rendeva noto che il complotto internazionale si era tramutato in un caso di spionaggio bolscevico, i cui protagonisti erano il già citato Bettemps e un tale Oustymtchouck, e si precisava che le indagini non avevano rivelato «aucun détail susceptible d’intéresser la Défense nationale italienne». Nelle righe successive, tuttavia, la questione non appariva così estranea agli interessi italiani: il Ministero francese riferiva che Il a été seulement établi que l’organisation communiste, au nom de laquelle agissaient les inculpes, recevait des instructions de Rome et expédiait clandestinement chaque semaine un courrier en Italie31. Venne comunque precisato che l’identità degli individui incaricati di mantenere attivo questo canale non era stata rinvenuta. Anche il coinvolgimento del Pesci, effettivamente identificato in Emilio Pesci, già corrispondente de «L’Avanti», non era altro che una «hypothèse qui n’a pas été confirmée»32. 28 Lettera del conte Sforza a Raymond Poincaré, 31 maggio 1922, Asmae, b. 51, fasc. Ministero degli affari esteri, anarchismo. 29 Telespresso del Mae all’Ambasciata italiana a Parigi, oggetto: complotto rivoluzionario in Francia, 14 giugno 1922, Asmae, b. 51, fasc. Ministero degli affari esteri, anarchismo. 30 Telegramma n. 2867 di Sforza, Regia ambasciata d’Italia a Parigi al Mae, oggetto: complotto rivoluzionario in Francia, 19 giugno 1922, Asmae, b. 51, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, anarchismo. 31 Ministère des affaires étrangères all’Ambasciata italiana a Parigi, 10 luglio 1922, Asmae, b. 51, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, anarchismo, p. 1. 32 Ivi, p. 2. Si noti che esiste un fascicolo a nome di Emilio Pesci anche nell’Archivio dell’Università di Bologna; non è stato tuttavia possibile verificare se vi fosse un’effettiva 239 Le autorità italiane furono invece direttamente coinvolte nella ricerca dei responsabili dell’attentato al Teatro Diana, a Milano, avvenuto nel marzo 1921, in cui morirono circa 20 persone più di 100 restarono ferite. La matrice anarchica fu considerata, sin dai primi istanti dopo l’esplosione, la pista principale. Mentre i Fasci devastavano la sede de «L’Avanti», e numerosi furono gli arresti tra i simpatizzanti del movimento anarchico, parte dell’opinione pubblica esprimeva la propria stanchezza e intolleranza nei confronti delle violenze subite negli ultimi anni in nome dell’ideologia rivoluzionaria33. A questo proposito, «Il Messaggero» concludeva che il ristabilimento dell’ordine lo si doveva affidare alla «Guardia Regia e alla reazione spontanea della borghesia che [aveva] da provare con essa che l’Italia non è un Paese invertebrato come la Russia»34. In effetti, a distanza di un mese, nella corrispondenza tra il Consolato generale d’Italia a Zurigo e la Questura di Milano, non vi era alcun dubbio sulla matrice anarchica dell’attentato: dalle informazioni pareva evidente che i sospettati (Pietro Bruzzi, Mario Orazio Perelli, Francesco Ghezzi, Federico Ustori, Silvio Ferdinando Biscaro e Giuseppe Boldrini) appartenevano tutti al gruppo di rivoluzionari che, operanti tra la Francia, la Svizzera e l’Italia, lavoravano da lungo tempo per un rivolgimento in seno a questi Paesi35. In alcuni ambienti libertari si afferma che l’attentato fosse stato strumentalizzato ai danni del movimento anarchico36. Come abbiamo già avuto modo di notare, negli anni successivi alla rivoluzione bolscevica, la questione della possibile esportazione dell’esperimento russo era stata utilizzata strumentalmente da vari attori politici stranieri, prima fra tutti l’Ungheria di Horthy, per convincere l’Italia del proprio “volto pulito” nella gestione del periodo postbellico. E, a livello interno, ovviamente, dagli ambienti del fascismo. Non sorprenderebbe, dunque, che anche nel caso del Teatro Diana, motivazioni simili muovessero gli animi di alcuni dirigenti della Pubblica sicurezza anche se, va sottolineato, le informazioni provenienti coincidenza delle due identità o si trattasse di un mero caso di omonimia. Archivio storico dell’Università di Bologna (Asubo), fascicoli degli studenti, fasc. 40051, Emilio Pesci. 33 R. De Felice, Ordine pubblico e orientamenti delle masse popolari italiane nella prima metà del 1917, «Rivista storica del socialismo», VI, 1963, n. 20, pp. 467-477. 34 F. Giulietti, Gli anarchici italiani dalla Grande Guerra al fascismo, FrancoAngeli, Milano, 2015, p. 153. 35 Documento della Regia Questura di Milano, riservato, trasmesso al Regio Consolato generale d’Italia di Zurigo, 20 aprile 1921, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950, sottofasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Svezia, anno 1919. 36 F. Giulietti, Gli anarchici italiani…, cit., p. 154. 240 dall’estero, ed in particolare dalla Svizzera, parevano confermare il quadro accusatorio a carico degli anarchici. In realtà, nel corso del 1922, la necessità di preservare l’ordine internazionale e l’assetto in seno al proprio Paese spinse la Francia, in particolare, a cercare la collaborazione italiana, anche per contenere le spinte violente in senso antibolscevico: questo aspetto emerse in particolare nel caso della società «Riasanoff» guidata da Savinkov, in merito al quale i due Paesi collaborarono per evitare attentati terroristici. Il caso «Riasanoff» emerse nel corso della complessa gestione della Conferenza di San Remo, nell’aprile del 1922, convocata dai vincitori per ridisegnare l’economia mondiale postbellica e per risolvere la questione dei debiti di guerra, alla quale prese parte anche una delegazione russa, guidata dal Georgij Čičerin. Rispetto alla necessità di fronteggiare la minaccia di attentati bolscevichi, questa volta, la situazione era paradossalmente rovesciata. Le autorità italo-francesi desideravano infatti tutelare la presenza della delegazione russa, la cui partecipazione alla Conferenza aveva una forte valenza simbolica in quanto sanciva, di fatto, l’entrata della Russia bolscevica nello scenario delle relazioni diplomatiche, dal quale era stata formalmente esclusa dopo la rivoluzione d’ottobre. Le prime segnalazioni relative ad un complotto antirusso per mano di otto agenti della società antibolscevica «Riasanoff», muniti di passaporti falsi, erano di pochi giorni antecedenti all’evento internazionale ed erano firmate dal Direttore della Pubblica sicurezza Giacomo Vigliani, il dirigente che, allo scoppiare della Prima guerra mondiale, aveva fortemente voluto la creazione dell’Ufficio centrale investigativo il cui compito era la ricerca di spie e la lotta alla diserzione37. Una nota del conte Sforza per il Presidente del Consiglio francese Raymond Poincaré rivelava la sussistenza della minaccia da fronteggiare «de toute urgence», ricostruendo i movimenti dei sospettati da Parigi fino Genova38. La segnalazione di Sforza fu accolta prontamente dai francesi, i quali disposero una «enquête minutieuse», traccia di una rinnovata sinergia sul piano della prevenzione ai crimini politici tra i due Paesi39. A partire da quel 37 Comunicazione urgente di Vigliani, Roma, 16 aprile 1922, Asmae, b. 51, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, anarchismo. 38 Comunicazione urgente di Sforza per Raymond Poincaré, Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli affari esteri, 17 aprile 1922, Asmae, b. 51, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, anarchismo. 39 Comunicazione del Ministère des affaires étrangères a Sforza, Ambasciata italiana a Parigi, 22 aprile 1922, Asmae, b. 51, Rappresentanza diplomatica in Francia, Pari- 241 momento, l’attenzione delle autorità si concentrò sulle azioni del noto antibolscevico Savinkoff, la cui rintracciabilità era stata persa nelle settimane precedenti all’organizzazione della Conferenza di San Remo40, e che, all’inizio di maggio, era stato scambiato con un russo arrestato a Genova, dal presunto nome di Gwosdovo-Golenko41. Sebbene le notizie di associazioni antibolsceviche nate in vari Paesi europei fossero giunte regolarmente a Roma dalla fine degli anni Dieci, nel 1922 la minaccia iniziò a sembrare più concreta. Segno, questo, che non solo in Italia, la situazione si stava capovolgendo. Con l’affermazione del fascismo in Italia tramontava la “grande paura rossa”42. E nel Regno, essa, pur continuando ad essere utilizzata strumentalmente per acquisire e compattare il consenso intorno al fascismo, avrebbe dovuto cedere il passo ad un altro estremismo. 5.3 La Missione Caprini a Costantinopoli ed il Servizio di controllo sui cittadini russi Nel primo dopoguerra, l’Impero ottomano aveva conosciuto una rapida disgregazione. In questo quadro, l’occupazione di Costantinopoli da parte delle forze alleate fu uno degli aspetti più umilianti per la popolazione turca, erede di un Impero millenario. Dopo la firma dell’armistizio di Mudros, nell’ottobre 1918, le truppe italiane furono impegnate in Turchia per la salvaguardia della pace e degli interessi italiani nell’area. L’Arma dei Carabinieri, parte del Regio Esercito italiagi 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, anarchismo. Cfr. anche nota di Sforza, Ambasciata italiana a Parigi, al Ministero dell’interno, Dg, Ps, 25 aprile 1922, ivi. 40 Comunicazione riservata n. 4480 di Valminate, Roma, 17 aprile 1922, Asmae, b. 51, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, anarchismo. Cfr. anche telespresso riservato dall’Ambasciata italiana di Parigi al Mae, nota su Savinkoff, 6 maggio 1922, ivi. 41 Telespresso riservato del Mae all’Ambasciata italiana di Parigi, oggetto: Gwosdovo-Golenko Elia – presunto Savinkoff (agitatore antibolscevico), 6 maggio 1922, Asmae, b. 51, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950, fasc. Ministero degli affari esteri, anarchismo. Cfr. anche comunicazione a Raymond Poincaré, oggetto: Savinkoff, fotografia; telegramma di Sforza, Regia Ambasciata d’Italia a Parigi al Mae, oggetto: sedicente Gwosdovo-Golenko Elia – presunto Savinkoff, 9 giugno 1922, ivi. 42 C.S. Maier, La rifondazione dell’Europa borghese…, cit. Sull’ascesa del fascismo, si veda la testimonianza di Salandra: A. Salandra, Memorie politiche, 1916-1925, Garzanti, Milano, 1969, pp. 13 e ss. 242 no, prese attivamente parte a quest’opera, adoperandosi in particolare per la riorganizzazione della Gendarmeria ottomana, rimasta allo sbando dopo l’implosione dell’Impero: la presenza italiana si concretizzò anche attraverso l’operatività della Missione Caprini, dal nome del Comandante attivo ad Instanbul dal 1919 come delegato presso la Commissione interalleata di riorganizzazione e controllo della Gendarmeria ottomana. La questione del nuovo assetto da conferire all’Esercito era solo uno dei tanti problemi aperti del magmatico assetto postbellico turco: le umiliazioni subite dalla popolazione si erano rapidamente trasformate in volontà di riscatto: in una situazione siffatta, il bolscevismo ben si confaceva alle aspirazioni rivoluzionarie del movimento kemalista. Le questioni aperte erano sostanzialmente due: impedire l’importazione della rivoluzione in uno contesto in piena fibrillazione, e bloccare la propaganda russa che, attraverso la via turca, arrivava sino in Europa. Alla fine del 1921, la Francia si era mostrata particolarmente sensibile a risolvere il problema: su impulso di Parigi e con il consenso della Gran Bretagna, fu quindi istituito un servizio che controllasse l’attività dei profughi russi nella città di Costantinopoli43. L’Italia, che ormai faceva attivamente parte del condominio di Potenze che occupava la città, non solo non obiettò, ma ritenne opportuno creare un analogo organismo. Nel febbraio 1922, dopo che il Regio governo aveva inviato «istruzioni» all’Ambasciata italiana a Costantinopoli circa la necessità di «sorvegliare i russi provenienti dal Mar Nero e di impedire un loro eventuale contrabbando di stampa e di corrispondenza di propaganda rivoluzionaria diretta in Italia», l’Ambasciatore dispose che fosse istituita una sezione di Polizia italiana che avesse lo speciale compiuto «della sorveglianza dei russi passanti per Costantinopoli». Il Servizio di controllo sui cittadini russi (Sccr), al cui capo fu posto il Tenente Quercia, sarebbe stata agli ordini diretti del Colonnello Balduino Luigi Caprini, delegato italiano al Controllo Polizia44. Nel documento di istituzione, gli incarichi 43 C. Totaro, A. Bagnaia, Missione Caprini. Il contributo dell’Arma dei Carabinieri per il riordino della Gendarmeria ottomana, Pintore, Roma, 2005, pp. 113-114. Cfr. anche la raccolta documentale a cura di A. Bagnaia, Servizio controllo russo – Missione Caprini, 1919-1922, consultabile presso il Museo storico dell’Arma dei Carabinieri. 44 Il Colonnello, inviato nell’aprile 1919 a Costantinopoli ed assegnato a disposizione del Comando delle Forze interalleate d’occupazione in Turchia, sotto la guida del Generale inglese Henry Wilson, fu in seguito nominato membro del Comitato interalleato di controllo della Polizia ottomana. In tale quadro, Caprini ricoprì anche la carica di ispettore e controllore del settore di Polizia di Costantinopoli. Due anni più tardi, nel 1921, Caprini venne assegnato alla Commissione interalleata di controllo ed organizza- 243 del Sccr venivano così definiti: «sorvegliare i russi di passaggio per Costantinopoli onde impedire che facciano contrabbando di corrispondenza o pubblicazioni di propaganda bolscevica per l’Italia»45; coordinarsi con gli analoghi servizi francese e inglese, già operativi sul campo, «scambiare con essi le informazioni circa i russi sospetti e agire possibilmente d’accordo», con l’espressa indicazione di moderare «eventuali esagerazioni degli agenti alleati»; infine, la Sezione italiana avrebbe dovuto impedire «in modo assoluto che perquisizioni, sequestri, arresti e qualunque operazione di polizia» fosse compiuta a «bordo di piroscafi italiani se non per ordine della Sezione di Polizia italiana e per mezzo di mezzi italiani». La questione delle perquisizioni di navi straniere pareva particolarmente importante all’Ambasciatore, tanto da disporre che il Tenente Quercia dovesse presenziare a tutte le perquisizioni di piroscafi italiani provenienti dal Mar Nero46. Non era probabilmente un caso che le istruzioni fossero così precise, onde evitare ogni tipo di interpretazione personale delle direttive: la questione era particolarmente delicata in quanto riguardava direttamente le relazioni diplomatiche italosovietiche e quelle interalleate. A pochi giorni di distanza dall’istituzione del Servizio, si presentò già il primo problema: alcuni sacchi postali provenienti da Batum e destinati all’Ufficio postale italiano, vennero aperti da addetti inglesi e francesi senza alcun preavviso alle autorità italiane in loco, per un controllo atto ad evitare la diffusione della propaganda. La vicenda provocò un esposto ufficiale del Servizio all’Ambasciatore: era evidente che il caso era considerato in modo estremamente serio dal Sccr, in quanto era ritenuto emblematico sia dell’assenza di una fattiva collaborazione interalleata, sia dello sfregio dell’autorità italiana47. In realtà, in una comuzione e diventò membro della Sottocommissione di controllo della Gendarmeria ottomana, partecipando così concretamente, anche in veste di Presidente di tale Sottocommissione, alla riorganizzazione della Gendarmeria turca. 45 L’enfasi è nel testo originale. 46 Alto commissario italiano, Ufficio dell’Addetto militare, Istruzioni per la Sezione italiana di Polizia per la sorveglianza dei russi, 25 febbraio 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 47 Comunicazione della Sezione sorveglianza russi per il Regio Ambasciatore d’Italia a Costantinopoli, 2 marzo 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, 244 nicazione di qualche giorno antecedente, il rappresentante italiano a Tiflis (Tbilisi), Garroni, aveva inviato una nota riservata nella quale comunicava l’esistenza di «prove irrefutabili di attivissima propaganda politica in senso bolscevico attraverso corrispondenza», diretta alla Missione commerciale georgiana. La situazione imponeva dunque che tutti i Regi uffici diplomatici e consolari della città georgiana e di Batum si astenessero «tassativamente dall’accettare per la trasmissione a Costantinopoli qualsiasi corrispondenza sia ufficiale che privata», a meno che non fosse presentata in busta aperta alla Sezione italiana della Polizia, che l’avrebbe sottoposta a censura prima di recapitarla48. La decisione di aprire i sacchi di posta incriminati, nel caso citato poc’anzi, era forse dovuta ad un eccesso di zelo da parte degli inglesi e francesi, ma tutto sommato rispondeva ad un’indicazione ufficiale ricevuta anche da parte italiana. Per quale ragione, dunque, il Tenente Quercia, a capo del nuovo organismo, inviò al Colonnello Caprini un promemoria di biasimo circa questi episodi, nel quale indicava le possibili soluzioni di «alcune questioni di principio» che avrebbero dovuto essere risolte dalle «superiori autorità»? Il fatto appare assai curioso se si considera, tra l’altro, che la decisione di collaborare per «mettre un terme au transport et au débarquement de la littérature communiste» era stata presa di comune accordo nel corso di una conferenza degli Alti Commissari, durante la quale il rappresentante italiano – il marchese Garroni – non aveva aggiunto sostanzialmente nulla a quanto proposto dai francesi: si era convenuto che «les Hauts Commissaires ont déjà ordonné qu’un représentant du Pays du navire assiste à la perquisition»49. Avanzando alcune ipotesi, non si può certo trascurare l’idea di una questione personale. Tuttavia, il rapporto di Quercia, pur essendo un po’ nebuloso, offre qualche idea intorno ad una reazione che, ad una prima istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 48 Comunicazione riservata n. 2029 del Rappresentante italiano a Tiflis, Garroni, 27 febbraio 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 49 Conférence des Hauts Commissaires, seduta del 10 febbraio 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 245 occhiata, appare così spropositata. Secondo il Tenente, nonostante il principio secondo il quale «ogni operazione di polizia (arresto, perquisizione, sequestro) [doveva] essere eseguita da agenti italiani» fosse già stato accettato, le Sezioni di controllo francese e inglese reclamavano la propria partecipazione alle operazioni di controllo, qualora effettuate su loro richiesta, in sfregio alla già citata norma. In altri termini, Quercia lamentava che il principio della rappresentanza straniera nelle operazioni, sostenuto da inglesi e francesi e rivolto sostanzialmente alla perquisizione di navi italiane, costituisse «un’indebita ingerenza» che frustava «quella libertà d’azione e d’esercizio della nostra sovranità a bordo dei nostri piroscafi»50. Il Tenente reclamava dunque la necessità per gli Ufficiali italiani di poter «aver libertà di giudizio e di azione, a bordo dei nostri piroscafi, fino a potersi rifiutare di aderire ad una richiesta francese od inglese, nel caso che ragione di opportunità, sia per la qualità delle persone sospettate, sia per interessi nostri da tutelare» giustificassero tale rifiuto. Il Capo del Servizio biasimava inoltre l’abitudine dei colleghi stranieri di fare affidamento ad «agenti di informazione», «giudiziariamente irresponsabili» e spesso moralmente discutibili, invece che a personale militare. Infine, Quercia si diceva contrario di principio all’esecuzione di operazioni di perquisizioni a bordo dei piroscafi italiani in partenza per il Mar Nero: qualora lo avessero ritenuto necessario, le autorità francesi e inglesi, invece di effettuare le proprie operazioni a bordo, avrebbero potuto perquisire i bagagli sospetti alla dogana dell’imbarco. La presa di posizione del Tenente appariva curiosa e sicuramente non avrebbe facilitato i rapporti con i Servizi alleati. La ragione che lo spingeva a prendere una posizione così netta di fronte ad un superiore era presto spiegata: Le operazioni di polizia compiute a bordo di piroscafi italiani in genere, anche quando richieste dalle autorità francesi od inglesi[,] hanno nella psicologia dei viaggiatori carattere puramente italian[o] e ci creano antipatie dirette. Sembra che sia l’Italia la più interessata, anzi l’unica a creare ai viaggiatori, specie se russi, le maggiori difficoltà51. 50 Prememoria n. 207 del Tenente Quercia al delegato controllo Polizia, s.d. (ma presumibilmente marzo 1922), Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922, p. 1. 51 Ivi, p. 2. 246 E aggiungeva: Ora, ciò essendo contrario ai nostri scopi ed ai nostri interessi, sarebbe opportuno per ora che almeno alla partenza i piroscafi non siano perquisiti tanto più che la ragione che induce a perquisire i piroscafi in arrivo, e cioè quella di rinvenire stampe ed opuscoli di propaganda, manc[a] per quella in partenza e si riduce semplicemente al rinvenimento di qualche lettera clandestina spesso di solo carattere privato52. Il documento appare di grande interesse non fosse altro perché rivelava tre aspetti non secondari: i dissidi interni agli Alleati; la volontà di non compromettere il ristabilimento delle relazioni italo-sovietiche, sorvolando di fatto sulla possibilità del transito di elementi sospetti o di propaganda verso l’Italia (che era la ragione per la quale il Servizio era stato creato, nelle intenzioni del governo); infine, sfatava la convinzione che la propaganda verso l’Italia, via Costantinopoli, fosse pericolosa per la sicurezza del Paese o, quanto meno, che lo fosse meno di quanto potesse essere dannoso il peggioramento delle relazioni italo-sovietiche. Il contrasto in seno ai Servizi dell’Intesa fu l’aspetto più dibattuto del rapporto del Tenente. La relazione del Quercia fu raccolta dal Colonnello Caprini che, a distanza di sole due settimane dalla istituzione del Servizio, indirizzò all’Ambasciatore una missiva ove si indicavano – senza meglio precisarli – «alcuni inconvenienti» che era necessario non si ripetessero per evitare ulteriori «dispiacevoli e gravi inconvenienti» tra gli Alleati. Il Colonello proponeva che il Servizio fosse «regolarizzato e codificato» secondo un criterio che fosse il conferimento di un carattere interalleato, oppure il suo inglobamento nel Servizio controllo Polizia o in quello dei passaporti o, infine, una sua totale indipendenza. Caprini raccomandava poi che il Servizio rimanesse esclusiva competenza di «Ufficiali o funzionari interalleati», affiancati da «agenti propri» e «mai con assimilati», la cui condotta politico-morale non era verificabile53. Il Colonello non lo diceva espressamente ma emergeva tra le righe il complesso rapporto sul tema tra gli Alleati: l’impressione era che, da un la52 Ibidem. Colonnello Caprini, Sezione italiana sorveglianza russi per il Regio Ambasciatore d’Italia a Costantinopoli, 1 marzo 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 53 247 to, gli italiani non volessero trovarsi ai comandi di francesi e inglesi (soprattutto dei primi) nella gestione delle delicate perquisizioni; dall’altro, era piuttosto malcelata la sfiducia con la quale si guardava agli analoghi Servizi di Parigi e Gran Bretagna, condotti spesso con l’ausilio di personale locale di orientamento non ben definito. L’autonomia e sovranità italiana dovevano essere preservate, tanto più che i piroscafi italiani erano praticamente «i soli che [facevano] i servizi del Mar Nero ed [avevano] dei russi a bordo»54. Le critiche mosse da Caprini, coinvolto in prima persona nella vicenda, furono temperate in una lettera inviata all’Ambasciatore dall’Addetto militare Vitale, nella quale si affermava che, in sostanza, il Servizio aveva già assunto un carattere interalleato e che il diritto della Polizia italiana di recarsi a bordo di piroscafi alleati non era mai stato messo in dubbio. In altri termini, il Colonello di Stato maggiore Vitale affermava che il Servizio italiano aveva un rapporto paritario con quelli inglese e francese, e aggiungeva: Gli inconvenienti lamentati non sono di grande importanza. Essi sono già quasi eliminati dacché il Tenente Quercia ha preso contatto con i Servizi alleati. Qualche attrito si è avuto in principio, perché il servizio francese è rimasto contrariato dalla nuova attività della Sezione italiana che limitava la primitiva sua ingerenza a bordo dei piroscafi italiani55. Nonostante il tentativo di Vitale di minimizzare l’accaduto, i disaccordi in seno agli Alleati continuarono. Se quello delle perquisizioni dei piroscafi pareva non trovare una soluzione56, si poneva un’altra, stringente, questione: l’ingresso, a Costantinopoli, di cittadini provenienti dalla Repubblica dei Soviet. In alcuni casi, essi erano privi di passaporto 54 Lettera del Colonnello di Stato maggiore, Addetto militare Vitale, Regia Ambasciata d’Italia, Ufficio dell’Addetto militare, alla Regia Ambasciata d’Italia a Costantinopoli, 13 marzo 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 55 Ibidem. 56 Si vedano le argomentazioni utilizzate nuovamente dal Tenente Quercia per contestare la gestione francese delle perquisizioni dei piroscafi: lettera del Tenente Quercia al Colonnello Caprini, 10 maggio 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 248 o muniti di un documento non vistato dal rappresentante italiano a Tiflis: in quel caso, la politica adottata dal Servizio passaporti era quella di rifiutare l’ingresso, creando tuttavia situazioni spiacevoli che attirarono il biasimo ufficiale del marchese Garroni, il quale richiese che venissero redarguite quelle compagnie navali che trasportavano quel tipo di passeggeri57. La questione era che, in quel caso, era necessario identificare i viaggiatori e, secondo quanto comunicato all’Ambasciatore italiano a Costantinopoli, questo era semplicemente impossibile nei riguardi d’individui che si recavano in Turchia per la prima volta: era necessario interrogare i passeggeri, talvolta anche in più di un’occasione. E ciò si applicava alle persone senza passaporto ma anche a quelle apparentemente munite di documenti validi, strumenti che – come sappiamo – gli emissari bolscevichi non faticavano a procurarsi58. Nonostante si trattasse di una questione di sicurezza, tale trattamento non sempre incontrava la comprensione dei passeggeri. Successe così che, nel marzo del ’22, Marc Kouznetsoff, non mancò di intrattenere i suoi colleghi della conferenza degli Alti Commissari alleati, sulla questione delle «garanzie» assicurate ai cittadini della Repubblica russa che arrivavano a Costantinopoli muniti dei regolari permessi delle autorità alleate. La questione aveva sollevato lo sdegno del rappresentante russo. Fu proprio Garroni a trovare una soluzione, che merita di essere riportata: Le marquis Garroni s’empresse d’informer Monsieur Kouznetsoff que les trois Hautes Commissaires se sont trouvés d’accord à reconnaitre qu’aucune mesure de police ne peut être prise contre les-dits ressortissants, pour toute raison se référant à leurs antécédents et à leur conduite et opinions politiques, avant leur arrivée à Constantinople. Les Autorités de police interalliées se limiteront par conséquent à appliquer éventuellement à ces personnes les mesures qu’ils peuvent adopter envers tout voyageur arrivant en Turquie, c’est-à-dire un interrogatoire pour établir son 57 Lettera del marchese Garroni al Colonnello Vitale, Regio addetto militare, 8 marzo 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 58 Nota per il Regio Ambasciatore d’Italia, 16 marzo 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 249 identité et les buts de son voyage, etc; et un examen de ses bagages et de ses papiers, quand le voyageur donne lieu à des soupçons59. Garroni aggiunse l’augurio che Koutznetsoff si ritenesse pienamente soddisfatto dalla risposta alla questione sollevata (e come non avrebbe potuto visto che sposava in pieno le sue richieste? Sic!)60. La vicenda aveva dell’incredibile, se si pensa che i bolscevichi erano ancora trattati come i paria delle relazioni internazionali: l’idea della contaminazione del «germe bolscevico» ed il giudizio morale, prima che politico, sui comunisti – spesso ritenuti dei malviventi – erano le linee guida delle autorità nella valutazione del bolscevismo italiano e straniero. Eppure, dalla documentazione si evince come l’atteggiamento diplomatico delle autorità fosse estremamente accondiscendente, come fosse ritenuto necessario preservare l’immagine dell’Italia agli occhi dei viaggiatori russi. Il consolidamento del potere bolscevico aveva mutato strutturalmente l’atteggiamento italiano per cui, se antichi timori e pregiudizi continuavano ad esistere, ciò che contava in quella fase era la realpolitik, la ripresa ed il rilancio delle relazioni – soprattutto di quelle commerciali. Dopo aver formalmente rassicurato «la delegazione soviettistica russa», il marchese Garroni inviò anche una lettera al Colonnello Caprini: l’Alto commissario, dopo aver ricevuto «assicurazioni formali in proposito» dai colleghi alleati, desiderava precisare che «l’interrogatorio [condotto nei confronti dei viaggiatori non dovesse] assumere carattere vessatorio». Tutt’altro: come conveniva Garroni, una volta che era stato ammesso il punto secondo il quale «i precedenti politici dell’interrogato non [potevano] venir presi in considerazione per quanto riguarda[va] la sua ammissione allo sbarco ed il suo trattamento», l’interrogatorio si sarebbe ridotto ad una «pura formalità»61. Sul punto, il Tenente Quercia 59 Nota n. 3746 dell’Ambasciatore d’Italia a Costantinopoli per Mr. Koutznetsoff, 5 aprile 1922, allegato 1, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 60 Nota del marchese Garroni, 3 aprile 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 61 Nota riservata n. 3746 del marchese Garroni, Regia Ambasciata d’Italia al Colonnello Balduino Caprini, delegato italiano al controllo Polizia, oggetto: entrata di sudditi russi bolscevichi a Cospoli, 5 aprile 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, 250 inviò una nota a Caprini, nella quale richiamava l’attenzione del superiore sulla necessità di decidere definitivamente «la procedura della concessione dei visti preventivi ai delegati commerciali bolscevichi», evitando nuovi incidenti diplomatici e sollevando gli Ufficiali delle Sezioni alleate, incaricati di esaminare i singoli fascicoli, di dover decidere, caso per caso, quale politica adottare. Il Capo della Sezione sorveglianza russi suggeriva che i controlli venissero eseguiti mantenendo un filo diretto con l’Ambasciata, in modo che la gestione militare e politica della questione fosse coerente62. La risposta arrivò: Quercia non dovette attendere troppo. Con una missiva a stretto giro, l’Ufficio delegato controllo Polizia della Regia Ambasciata d’Italia comunicava che «i sudditi russi [sarebbero stati] liberi di sbarcare e [non avrebbero potuto] in alcun caso essere arrestati dalla Polizia», purché muniti di permesso delle autorità alleate, a prescindere dai loro «precedenti politici»63. Ma non tutti, tra gli Alleati, erano d’accordo. Così, nel luglio, sorsero nuovi equivoci: non sempre la valutazione dell’ammissibilità dei cittadini russi era la medesima per italiani, francesi e inglesi64. Dopo vari tentativi di composizione del conflitto, il marchese Garroni comunicò a Caprini la soluzione trovata. Se solo due Sezioni su tre fossero state favorevoli all’ingresso dei cittadini sovietici, le due favorevoli avrebbero avuto l’opportunità di sottoporre la questione agli Alti Commissari per la decisione finale. Ma Garroni aggiungeva, confidenzialmente: […] l’avverto riservatamente essere, ben inteso, mio intendimento che di questa facoltà di ricorso, la Sezione italiana abbia a valersi soltanto quando la SeReali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 62 Lettera del Tenente Quercia al Colonnello Caprini, 10 maggio 1922, cit. 63 Comunicazione dell’Ufficio delegato controllo Polizia della Regia Ambasciata d’Italia al posto di Kavak e Calata, oggetto: disposizioni concernenti il Servizio sorveglianza russi, 20 maggio 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 64 Comunicazione per il Regio Ambasciatore d’Italia a Costantinopoli, 5 luglio 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922. 251 zione che si oppone giustifica tale atteggiamento con ragioni d’ordine generale e non conclusive; astenendosi dal farla quando invece allega dati o fatti speciali al caso in discussione e che hanno parvenza di ragionevolezza65. Con questo intervento, Garroni proseguiva con la sua posizione conciliante, tentando di preservare l’immagine dell’Italia come Paese liberale e non pregiudizievolmente ostile alla Russia bolscevica. In definitiva, la questione dell’istituzione del Servizio sorveglianza russi, mi pare piuttosto interessante per almeno tre ordini di ragioni. Esso ci rivela i retroscena delle relazioni interalleate, affatto semplici né lineari, il cui filo conduttore era evidentemente la volontà di affermarsi in uno scacchiere ritenuto fondamentale. L’eco – neppure troppo lontana– della scarsa credibilità italiana e di un rapporto fortemente impari tra Roma, Londra e Parigi, risuonava chiaramente nella diatriba sulla questione delle perquisizioni dei piroscafi transitanti per il Mar Nero. Inoltre, mi pare altrettanto evidente l’attenzione e la positiva predisposizione del corpo diplomatico italiano nei confronti dei bolscevichi che, come abbiamo ricordato, pur tacciati dei peggiori epiteti, si erano evidentemente già affermati come un interlocutore non solo possibile, ma anche necessario, della diplomazia del Regno. Certamente, la partecipazione russa alla Conferenza di San Remo aveva segnato un punto di svolta nell’immagine internazionale della Repubblica sovietica. Ma ancor più pregnante, mi pare il fatto che la “ragione di Stato”, in qualche modo prevalesse: la necessità di una realpolitik nel restaurare le relazioni con la Russia aveva la meglio sull’idea che fosse necessario preservare il contesto politico interno dal «germe bolscevico». Questo ragionamento appare comprensibile alla luce del fatto che, nel 1922, il “grande pericolo rosso” stava ormai conoscendo il proprio tramonto in Italia, per essere sostituito, entro l’autunno, dal risuonare degli scarponi fascisti nelle strade di Roma. Ma mentre nel Regno si riducevano drasticamente i margini per una effettiva penetrazione dell’ideale bolscevico nella popolazione, altri Paesi iniziavano a vivere l’esperienza delle infiltrazioni comuniste. La 65 Comunicazione del marchese Garroni al Colonnello Caprini, oggetto: ingresso russi bolscevichi a Cospoli, 19 luglio 1922, Msac, b. Regia Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri, Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi, fasc. n. 207, Ufficio delegato italiano, Controllo Polizia ottomana, cat. 3, spec. 28, pratica 12, oggetto: consegne, istruzioni e disposizioni di massima varie relative al Servizio sorveglianza russi, anno 1922, p. 1. 252 Missione Caprini, e questo mi pare il terzo aspetto interessante, costituì un punto di osservazione privilegiato per conoscere da vicino il bolscevismo e ricostruirne il disegno espansionistico extraeuropeo, contribuendo – e questo mi sembra un punto fondamentale – a mantenere viva l’ormai flebile “paura rossa”. Se in Italia, per il momento, le ambizioni bolsceviche erano state frustrate, ciò non significava che esse non avrebbero trovato una buona accoglienza tra le popolazioni che stavano subendo l’occupazione alleata. Nell’analizzare questo aspetto di perenne testimonianza della “grande paura rossa”, anche nel contesto extraeuropeo, e prima di illustrare alcune delle più evocative testimonianze ed analisi prodotte dalla Missione sul tema, una precisazione va fatta. Mi pare importante sottolineare come dall’attività della Missione a Costantinopoli emerga in modo chiaro la migliore qualità delle informazioni ricavate e delle riflessioni proposte rispetto a quelle, più incerte, confuse e spesso imprecise che giungevano sul tavolo dei Prefetti del Regno in merito alla minaccia bolscevica interna. Alcune di queste notizie giungevano a mo’ di testimonianza, su diretta richiesta del Caprini, di italiani residenti nelle zone sotto osservazione; altre, erano informazioni raccolte mediante la stampa o, di frequente, veri e propri resoconti interni alle fila comuniste, frutto di un lavoro di spionaggio alquanto raffinato. Un emblematico esempio della prima tipologia di informazione raccolta dal Servizio fu la relazione del comm. Basilio Malatakis, nella quale quest’ultimo faceva il punto della situazione economico-commerciale delle imprese italiane presenti nel Caucaso, portando la propria personale esperienza, e fornendo anche alcuni dettagli sulla visione degli industriali rispetto alla politica governativa italiana nei confronti della Russia, in generale, e della zona caucasica, in particolare66. Malatakis descriveva la Russia come una «foresta vergine», dove tutte le risorse erano ancora «da sfruttare». Il commendatore raccontava la propria esperienza sotto la «dominazione bolscevistica» tra il dicembre 1917 ed l’agosto 1918, «un periodo di terrore e di orrore»67, nel corso del quale, egli stesso era stato oggetto di minacce, angherie e soprusi da parte dei bolscevichi: la sua casa 66 Un documento dai toni non dissimili, anche se di un autore differente, è stato pubblicato a cura di Andrea Graziosi. Memoriale di Carlo Anghileri, Consolato d’Italia a Mosca, busta n. 33, 1918, fascicolo «Proprietà e beni italiani», A. Graziosi, La rivoluzione russa del 1917 in sei documenti, «Rivista di storia con-temporanea», 1988, n.3, pp. 432-434. 67 L’enfasi è presente nell’originale. 253 era stata «letteralmente» «svaligiata» e lui stesso era stato obbligato a riparare al Regio Consolato d’Italia a Novorossiysk, sulle coste del Mar Nero, per sfuggire alle minacce dei bolscevichi. Nonostante la truce esperienza vissuta durante la dominazione comunista, il Malatakis denunciava «come vera invasione» l’arrivo di «capitalisti americani, inglesi e francesi», a suo avviso evidente sfida al consolidamento dell’influenza italiana nell’area68. Concludendo con un encomio alla regia rappresentanza diplomatica in Russia, il commendatore vedeva positivamente lo sviluppo di una relazione tra l’Italia e la Russia “soviettista”, in linea con l’opinione prevalente tra le alte sfere della diplomazia del Regno: Finisco questa piccola relazione concludendo che la situazione politica attuale in Russia e le simpatie di cui, oggi, l’Italia vi gode, per le ragioni summenzionate, sia presso i circoli governativi, sia presso la popolazione, creano per essa una occasione eccezionalmente favorevole ch’essa non deve lasciarsi sfuggire imperocché essa potrebbe profittarne vantaggiosamente per la penetrazione e l’espansione politica, economica, industriale e commerciale italiana, tanto nella Russia propriamente detta, quanto nelle sedicenti Repubbliche autonome di oggi, le quali, senza alcun dubbio, scompariranno domani69. I punti salienti della relazione di Malatakis, commissionata dallo stesso Caprini e stilata nell’agosto 1919, mi paiono essere due: in primo luogo, l’idea che l’istituzione di un nuovo regime lasciasse la situazione particolarmente in movimento e quindi concedesse, dal punto di vista politico ed economico, una certa facoltà di manovra nel ridefinire gli assetti geopolitici ed economici dell’area a favore dell’Italia; in seconda battuta, appare evidente come l’industriale ritenesse che il bolscevismo fosse solo un fenomeno transitorio e che l’Italia dovesse approfittare di questa fase incerta per creare relazioni privilegiate che avrebbero fruttato nella fase postbolscevica70. Questa era, in sostanza, la stessa strategia 68 Relazione del comm. Basilio Malatakis, agosto 1919, Msac, Carte Caprini, 1922’23, f. 389. 69 Ivi, pp. 14-15. 70 Si noti che, secondo le informazioni raccolte dal Servizio sorveglianza russi, la situazione per gli italiani residenti nel Caucaso non migliorò affatto negli anni seguenti. Nel novembre 1922, in una nota sul tema, si riferiva della «crisi gravissima» che attanagliava le imprese italiane presenti in zona, a causa delle direttive di Mosca che prevedevano lo strangolamento delle rotte caucasiche per favorire l’affluenza commerciale presso i porti russi. Inoltre, nel rapporto veniva espressamente menzionate le «anghe- 254 adottata dal governo italiano in merito alla questione magiara della nascita e del rapido declino della Repubblica dei Consigli in Ungheria, come messo in rilievo nel terzo capitolo. La diversità stava nell’esito dei due regimi: se quello di Béla Kun non sopravvisse che per qualche mese, la Repubblica dei Soviet conobbe un destino ben diverso. L’aspirazione alla rivoluzione mondiale, mai abbandonata dai bolscevichi, e il tentativo concreto di dare seguito a tale aspirazione furono i temi sui quali si concentrarono le notizie raccolte dalla Missione nel corso del 1922. Mentre nel Regno le probabilità di importazione della rivoluzione si assottigliavano di giorno in giorno, rendendo sempre più prevedibile l’ascesa del fascismo, la Missione costituì un punto di osservazione assolutamente privilegiato per comprendere le ambizioni extraeuropee del bolscevismo russo. Dacché la rivoluzione nel vecchio continente pareva ormai essere il sogno infranto della nuova classe dirigente di Mosca, l’attenzione di quest’ultima si era orientata verso nuovi lidi: i Paesi colonizzati, ove le istanze nazionali si intrecciavano alla lotta anticolonialista nei confronti delle grandi Potenze, e le terre orfane dei grandi Imperi caratterizzate da un assetto politico-sociale-economico completamente stravolto dagli esiti della Prima guerra mondiale, come la Cecoslovacchia e la Turchia. A dispetto del miglioramento delle relazioni internazionali della Russia “soviettista” grazie ai riconoscimenti de facto e de jure concessi da alcuni Stati occidentali71, la Missione aveva compreso, grazie all’intercettazione di documenti del Comintern, che i piani dei bolscevichi non erano mutati. In un documento dei cominternisti, questi dichiaravano chiaramente: «Nous voyons une organisation puissante, dont les moyens et les capacités sont infinis, et dont le but est grandiose et même fantastique; la révolution mondiale». A questo scopo, gli analisti avevano rilevato come i bolscevichi avessero organizzato la propaganda in modo estremamente razionale, suddividendo in sedici gruppi l’attività in Europa (Germania, Polonia, Province baltiche, Scandinavia, Austria, Ungheria, Jugoslavia, Italia, Spagna, Grecia, Francia, Inghilterra, Irlanda, Olanda e Stati Uniti), e in otto quella orientale (Cina, Corea, Giappone, India, Afghanistan, Persia, Turchia, Caucaso e i Paesi senza un rie» a cui venivano sottoposti gli italiani, ritenuti «senza protezione». Cfr. Rapporto, Il Caucaso, appunti vari, novembre 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 71 Sul caso italiano: M. Pizzigallo, Mussolini e il riconoscimento de jure dell’URSS, «Storia e politica», marzo 1977, fasc. 1, pp. 270 e ss. 255 proprio Stato)72. Rispetto alla penetrazione sia nelle aree del vecchio continente sia in quelle extraeuropee, cinque erano gli aspetti a cui era necessario prestare particolare attenzione: in primo luogo, la propaganda di massa, attuata non solo mediante la distribuzione di volantini e pamphlets, ma anche grazie al sapiente uso del cinema73. In seconda battuta, la diplomazia ufficiale, la quale – pur preservando il proprio rispettabile ruolo – sviluppava parallelamente una «activité clandestine très énergique». Terzo elemento, non certo di poco conto, l’utilizzo delle attività commerciali come “cavallo di Troia” per insinuarsi legalmente in seno ai Paesi. Secondo una circolare agli uffici commerciali all’estero, intercettata dagli Alleati, si esortavano le rappresentanze commerciali sovietiche a «servir aux intérêts de la propagande communiste de la IIIème Internationale, sous la direction immédiate du Comité exécutif»74. Questo era, ad esempio, il caso della Cecoslovacchia, ove indiscrezioni di fonte socialdemocratica riferivano come il centro dello spionaggio sovietico coincidesse con la Missione commerciale sovietica, attraverso la quale Mosca veniva regolarmente a conoscenza dei «plans secrets des déplacements des garnisons tchèques» e muoveva le fila della propaganda, premendo sull’opinione pubblica europea per il riconoscimento giuridico della Russia sovietica75. Il quarto aspetto era forse il più avanzato e lungimirante: l’istruzione76. L’apertura di numerose scuole e università dirette a plasmare la forma mentis delle nuove generazioni costituì un aspetto principale della propaganda bolscevica e, probabilmente, il più efficace nel lun- 72 Regia Ambasciata d’Italia, Ufficio delegato controllo Polizia, Sezione sorveglianza russi, L’activité du Komintern communiste internationale à l’étranger, 9 agosto 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389, p. 2. 73 Kharkoff, La propagande bolcheviste à l’étranger. La propagande par le cinéma, «Le Communiste», 15 agosto 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. Su questo aspetto, si segnalava, in particolare, l’attività dell’industria Photo-Kino ed i film Conte des sept pendus e L’avidité. Si aggiungeva poi: «L’Ukraine offre un intérêt aux grandes maisons cinématographiques de l’Europe occidentale et déjà les industriels allemands [montrèrent] leurs désire de collaborer avec Photo-Kino». Ivi, p. 2 . 74 Ivi, p. 3. 75 Documento n. 500, La propagande bolcheviste en Tchécoslovaquie, s.d. (ma presumibilmente dell’estate 1922); documento n. 501, L’espionnage soviétique en Tchécoslovaquie, 23 luglio 1922, entrambi in Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 76 Sull’importanza, in generale, della cultura nella strategia comunista (anche se con particolare riferimento agli anni Trenta): D. Sassoon, La cultura degli europei. Dal 1800 ad oggi, Rizzoli, Milano, 2008, pp. 855-881. 256 go periodo77. Questo elemento, articolato dall’Internazionale comunista non solo in Russia, appariva particolarmente rilevante nei Paesi di religione musulmana. In un rapporto intercettato dal Sccr, il Comitato centrale bolscevico conveniva sul fatto che «vu le développement très arriéré des peuples de l’Orient soit dans les questions politiques, soit celles de la civilisation, le méthode de notre travail doit être changé». Data la maggiore religiosità del popolo turco rispetto a quello europeo, era necessario una opera propagandistica di lungo corso, lavorando sulla questione dell’istruzione, «en ouvrant des écoles, des clubs, des bibliothèques»78. Il medesimo modus operandi fu utilizzato in Turkestan, la cui importanza geostrategica era ritenuta fondamentale per l’influenza sull’Asia, l’India e la Cina. In un contesto considerato chiave, una delle armi principali era proprio quella della valorizzazione dell’istruzione: la costituzione de l’Université des travailleurs de l’Orient e la diffusione di «littérature d’agitation en toutes les langues orientales», a cura della costituita «Rédaction de propagande en Orient» furono i due canali attraverso i quali i bolscevichi auspicavano di conquistare le popolazioni turkmene79. Infine, l’attività in seno alle Forze armate, la cui conquista era necessaria per portare al successo qualsiasi tentativo rivoluzionario: agli occhi delle autorità italiane, questo non poteva che confermare la veridicità e realisticità delle informazioni sulle infiltrazioni in seno all’Esercito del Regno, presenti sin dal 1918. Le informazioni reperite, inoltre, trattavano anche dell’attività della Ceka (la Polizia politica russa), la quale, avendo conosciuto un’importante sviluppo nel corso del 1919, era in grado, in quella fase, di svolgere un’intensa attività all’estero. Il centro direttivo si trovava a Berlino, ed aveva diramazioni in tutte le grandi città europee, nelle quali svolgeva attività di spionaggio e di informazione ai danni di cittadini e organizzazioni che lavoravano contro i sovietici fuori dalla Russia, arrivando anche a compiere «actes terroristes» contro le persone ritenute pericolose per la stabilità della Repubblica80. Questo tipo di azione ai danni dei controrivoluzionari si esplicava in Europa come al di fuori di essa: rispetto a ciò, l’esempio di Costantinopoli costi77 Regia Ambasciata d’Italia, Ufficio delegato controllo Polizia, Sezione sorveglianza russi, L’activité du Komintern…, cit., p. 2. 78 Documento n. 149, Propagande communiste parmi les musulmans, 26 giugno 1922, p. 1. 79 Promemoria riservato personale n. 1/396 per il Regio Ambasciatore d’Italia a Costantinopoli, 14 luglio 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 80 Regia Ambasciata d’Italia, Ufficio delegato controllo Polizia, Sezione sorveglianza russi, L’activité du Komintern…, cit., p. 4. 257 tuiva un punto di riferimento. Secondo una direttiva del Comité de la propagande en Proche Orient, intercettata dal Servizio sorveglianza russi, le varie cellule comuniste si proponevano di schedare gli oppositori al bolscevismo in modo da facilitarne il controllo81. I rapporti che giungevano dalle autorità riferivano che «pour la première fois pendant le régime bolcheviste, des agents sont expédiés spécialement de la Russie à l’étranger pour le travail informatif». L’attività degli agenti era articolata su tre nodi principali: la sorveglianza degli emigrati; il controllo delle organizzazioni politiche russe all’estero; l’acquisizione di documenti provanti il lavorío delle organizzazioni antisovietiche nei Paesi stranieri82. Costantinopoli era considerata senz’altro uno degli snodi essenziali nella gestione della propaganda: alla tradizionale rotta Nord europea, infatti, i bolscevichi affiancarono ben presto una via che poteva aprire nuovi orizzonti verso il Medio oriente, oltre che verso il Mediterraneo. La Sccr prestava grande attenzione alle infiltrazioni bolsceviche in Turchia, diffuse soprattutto tra le classi operaie e nell’Esercito, ove serpeggiava un sentimento di malcelato malcontento. La maggior organizzazione e articolazione dei compiti in seno all’Internazionale comunista aveva reso la penetrazione particolarmente efficace83. Nell’ex Impero ottomano, il movimento kemalista era un ottimo mezzo per la diffusione degli ideali rivoluzionari, anche d’importazione. A Costantinopoli, secondo le informazioni raccolte dalle autorità, gli agenti propagandisti si appoggiavano ai russi già residenti, trovando così un modo semplice di inserirsi nella società ai propri fini, senza suscitare troppi sospetti84. Le informazioni provenienti dal giornale russo «Novoye Vremya», transitate tramite Belgrado, definivano «fiévreuse» l’attività degli agenti bolscevichi in funzione antialleata, in particolare, nelle città di Batum e Odessa: ma anche nella capitale, si cercava di «in81 Comité de la propagande en Proche Orient, documento segreto n. 419/9, Le travail sovietique à Costantinople, 9 settembre 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 82 Si noti che, tra le organizzazioni più sorvegliate, vi era quella di Savinkoff, citato nel precedente paragrafo. Cfr. Regia Ambasciata d’Italia, Ufficio delegato controllo Polizia, Sezione sorveglianza russi, L’espionagge bolscheviste, «Novoie Vremia», 3 ottobre 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 83 Ambasciata d’Italia, Reali Carabinieri – Cospoli, Servizio informazioni & controllo russi per l’Alto commissario ad interim a Costantinopoli, Rapporto. Il bolscevismo in Turchia, 25 settembre 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 84 Comunicazione riservatissima, giugno 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 258 citer la population […] d’entreprendre des actions à main armée contre les Allies». I bolscevichi, seguendo un copione già individuato in altri Paesi occupati, si presentavano come «les vrais amis des turcs» e, congiuntamente al Partito socialista locale, tentavano di conquistare il consenso della popolazione. A questo aspetto politico-propagandistico, aggiungevano «une accumulation imperceptible des soldats et de la populace kémaliste», facendo passare i soldati, riuniti in gruppi di 50100 persone, come rifugiati da Smirne o di altre città devastate dai greci85. Nell’aprile 1922, gli agenti bolscevichi operativi su Costantinopoli erano stati identificati: a differenza delle notizie provenienti dai Ministeri, spesso contraddittorie e profondamente imprecise sui nomi (mal translitterati, mal trascritti), il rapporto del Servizio sorveglianza russi era chiaro nell’identificare i propagandisti, fornendo dettagli sostanziali e non solo personali o di “condotta morale”, come si usava dire all’epoca, in senso lato. A Costantinopoli, i più noti e pericolosi agenti della propaganda tra i popoli d’Oriente, coordinati dall’omonimo ufficio bolscevico, risultavano essere Michael Asiev, il cui vero nome era Yerofeev, capo dell’Ufficio di spionaggio presso la missione sovietica a Tiflis; Alexandre Piatigorski, conosciuto anche con il nome di Gabinski, già Commissario politico della flotta del Volga e poi agente segreto della Sezione speciale sul fronte caucasico, in passato arrestato dai francesi e poi evaso; Doof Ioffe, membro della Ceka (sotto il nome di Vilshtein) e Commissario politico, conosciuto anche come Pipikov86. A questi si aggiungevano altri sospetti di spessore, tra i quali Georges Gordenko, «alias Volkoff, alias camarade Apollon Moisseeff», un agente di lunga data rifugiatosi in passato in Jugoslavia, definito «communiste convaincu, individu très dangereux qui mérite d’être signalé à tous les services compétents balkaniques», in quel momento agli arresti a Costantinopoli in attesa di espatrio verso la Russia87. 85 Regia Ambasciata d’Italia, Ufficio delegato controllo Polizia, Sezione sorveglianza russi, L’activité des bolchevistes à Constantinople, «Novoie Vremia», 3 ottobre 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 86 Gli altri agenti, meno noti, erano Moses Rashkovski, Lanov (che si presentava sotto lo pseudonimo di Gotz), Nicolaj Kremnev, Alexandre Shaverdov, Ilya Shikhanovitch, Aron Kranker, Hassan-Zade, Joseph Vainstein. Cfr. Secret polit., Agents bolchevistes, 1 aprile 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 87 Fiche spéciale de suspect, secret, 5 maggio 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 259 Oltre a operare attivamente sul territorio turco, come abbiamo visto, il Servizio Sorveglianza russi riceveva, filtrava e inoltrava ai Paesi europei informazioni di tentazioni rivoluzionarie che li riguardavano direttamente. Basando la propria analisi su estratti di giornali russi difficilmente reperibili in Europa occidentale, nel giugno del 1922, il Servizio informò sulle intenzioni di screditare il Generale E.K. Klimovič, capo del controspionaggio di Wrangel, per condurre una «campagne antirusse» in Serbia88. Ma al di là di questo, stando alla documentazione reperita, nessun complotto rivoluzionario ai danni dell’Italia era stato scoperto. Segno del passaggio dei tempi o, forse, anche della maggiore attendibilità delle notizie reperite dalla Sccr. 88 Estratto da «Novoje Vremja», n. 333, allegato al promemoria riservato personale n. 1/272 per il Regio Ambasciatore d’Italia a Costantinopoli, 10 giugno 1922, Msac, Carte Caprini, 1922-’23, f. 389. 260 Conclusioni. La “grande paura rossa”. Da irrazionale panico da rivoluzione a razionale strumento di condizionamento politico Come potrà notare chi è giunto sino alle conclusioni di questo volume, L’Italia delle spie bolsceviche è una storia fatta di piccole vicende personali, narrazioni talvolta improbabili di inverosimili bolscevichi ed episodi minori, dai caratteri talora personali. Alla fine dei conti, quanti furono i bolscevichi coinvolti in queste vicende? Cinquanta? Cento? Questa non è certo la Grande Storia, la storia dei grandi avvenimenti. Ciò nonostante, credo che la ricostruzione di questi piccoli, talvolta paradossali episodi, possa gettare una luce nuova sull’impatto che la rivoluzione bolscevica ebbe sull’Italia tardoliberale. È proprio l’esiguità della minaccia dell’importazione della rivoluzione che rivela la sproporzione tra la presenza di emissari comunisti, e la percezione e la risposta dello Stato a tale pericolo. Era la paura irrazionale, il «panico» da rivoluzione, così come lo ha definito Georges Lefevbre, che, alla fine del ’700, si diffuse così velocemente tra la popolazione al punto da far pensare all’emergere contemporaneo, in luoghi diversi e lontani, del terrore dettato dal possibile rovesciamento del regime. L’Italia degli anni Dieci e Venti certo era uno scenario politico profondamente diverso: era in atto quella che Emilio Gentile ha definito come la “guerra civile” italiana, ma – tracciando un parallelo forse un po’ azzardato – si può affermare che quelli che nel 1789 erano “i briganti”, nel primo dopoguerra prendevano il nome di bolscevichi, in una surreale continuità riconosciuta dagli stessi rivoluzionari italiani, che si rifacevano apertamente all’esperienza dell’Ottantanove. Il topos della “grande paura”, che vanta precedenti storici risalenti al 1600, è dunque applicabile al caso italiano, e in particolare al timore dell’importazione della rivoluzione da parte di emissari stranieri che operavano attivamente sul regio suolo? Per chi scrive, la risposta è senz’altro sì, ma 261 l’applicazione del modello della “grande paura” va effettuata con gli opportuni distinguo. Lefebvre parla di «moltiplicatori» riferendosi ad eventi che, nel 1789, ebbero l’effetto di aumentare considerevolmente lo stato di allerta della popolazione. Anche nell’Italia delle spie bolsceviche vi furono alcuni eventi e fattori che amplificarono gli effetti di una paura già latente. In primo luogo, il fattore endogeno, ossia la presenza di un contesto in fermento, percepito come largamente favorevole ad un sovvertimento rivoluzionario. Le connessioni internazionali dei rivoluzionari italiani emersero con chiarezza con gli scioperi a favore della Russia e dell’Ungheria, ma anche i frequenti annunci di manifestazioni e di astensione dal lavoro, soprattutto in settori cruciali come quello siderurgico e bellico, e lo stato generalizzato di tensione, contribuirono non poco ad accrescere il timore che le infiltrazioni straniere avrebbero trovato un terreno favorevole. Il secondo fattore di stress fu determinato dalle continue segnalazioni provenienti dall’estero (dai governi alleati o dalle legazioni e missioni italiane nei Paesi stranieri) relativi ad ingenti finanziamenti agli emissari e all’istituzione di centrali di propaganda bolscevica operanti in Europa, e in particolare nel Nord Italia. Un ruolo di particolare rilievo lo giocò l’esempio ungherese: quando si conobbe come Budapest era caduta sotto il controllo dei bolscevichi, le autorità italiane non poterono non pensare alle segnalazioni interne di infiltrazioni: le precondizioni che avevano reso possibile la caduta del governo Károlyi (la perdita di controllo sull’Esercito, l’esistenza di un sentimento revanscista nelle Forze armate e nella società, la presenza di forze socialiste significative, e, per dirla con due parole, la crisi postbellica) erano tutte presenti in Italia. La presa di potere di Béla Kun ebbe un forte effetto evocativo e può essere a ragione annoverata tra i più significativi «moltiplicatori» della “paura rossa” italiana. Questi due fattori – il contesto interno e le informazioni dall’estero – ebbero un peso determinante nella genesi della “grande paura”. Tuttavia, questi eventi furono in qualche modo contingenti; ad avviso di chi scrive, i «moltiplicatori» più rilevanti ebbero una natura diversa, meno fattuale e più emotivointellettiva. I moltiplicatori di natura emotivo-intellettiva agirono con una sorprendente continuità, attraversando tutti i governi e le leadership del periodo. Il primo elemento da considerare è il totale caos, la più completa confusione che fu la principale caratteristica nell’analisi e nella percezione del pericolo rosso da parte dello Stato. Questo caos, nel periodo 262 1917-1922, conobbe un’evoluzione: sino al 1918 fu generato da una paura irrazionale; dal 1919 sino al 1921 fu causato più che altro dall’incapacità della classe dirigente italiana di comprendere e gestire la minaccia proveniente da Mosca. Ma andiamo con ordine. Il periodo compreso tra gli ultimi mesi del 1917, dopo i fatti del novembre, ed il 1918 fu senz’altro il momento in cui la paura fu più irrazionale ed emotiva. Le carte del Museo storico dell’Arma dei Carabinieri rivelano un governo che, alle prese con una situazione sociale esplosiva e un coinvolgimento nella guerra dalle sorti ancor più incerte dopo i fatti di Caporetto, era alla disperata ricerca di agitatori, spie, emissari, propagandisti, fiancheggiatori. Sorprendentemente, data l’instabile situazione dei bolscevichi, certo difficilmente dediti alle infiltrazioni già nel dicembre 1917, i sospetti si concentrarono sul Consolato russo di Genova, ove – sin dall’inizio del Novecento – era presente un’ampia colonia di esuli, alcuni dei quali politicamente attivi. Non potendo provare nulla delle trame eversive del Consolato contro il Regno, le Forze dell’ordine si lanciarono in disquisizioni di vario genere, più attinenti allo status morale e sociale dei sospettati che non alle effettive prove di una loro attività sovversiva. Intentarono la pista dei fratelli Wax, frequentatori di russi, rei di intrattenersi con piacenti ballerine e possessori di misteriose ricchezze; quando fu evidente che questa traccia non conduceva ai temuti emissari, la Pubblica sicurezza si interessò al tentato suicidio di una giovane vicina ai già citati sospettati, reputata colpevole di tradire il Regno diffondendo materiale militare al nemico. Le storie dei sospetti bolscevichi del 1917-1918 fanno sorridere, ma rivelano il mantenimento di un regime di allerta che indusse le autorità a vedere il pericolo anche dove (ancora) non c’era. L’elemento che pare meno condizionato da questa affannosa ricerca degli emissari fantasma fu la questione delle infiltrazioni in seno all’Esercito. Per un Paese in guerra, dal destino incerto, i tentativi di penetrazione nelle Forze armate risultavano particolarmente pericolosi. Anche in questo ambito, la possibilità che i bolscevichi fossero a tal punto organizzati dall’insinuarsi in seno ad un Esercito di un Paese dell’Intesa, all’indomani della rivoluzione, pare piuttosto fragile. Tuttavia, va rilevato come queste informazioni furono quelle che, nel tempo, trovarono conferma anche in seno alle Forze armate francesi, e che si consolidarono con un modus operandi quasi identico in vari Paesi europei sino ai primi anni Venti. Ma, al di là di questo aspetto, l’ansia delle autorità parve del tutto irrazionale. 263 Nella seconda fase, grossomodo dal 1919 sino al 1921, i governi italiani che si succedettero articolarono in modo differente la propria politica nei confronti della minaccia bolscevica. Se i governi Nitti e Giolitti furono caratterizzati da una sorta di laissez-faire, che portò parte dell’opinione pubblica interna ed internazionale ad identificare nel primo, un filobolscevico, e nel secondo, un uomo di Stato «incapace» e non sufficientemente forte per la difficile congiuntura politico-sociale, il governo Bonomi optò per un atteggiamento più severo. Il tentativo di siglare un “patto di pacificazione” tra comunisti e fascisti imponeva che fosse messo un solido argine alle derive estremistiche. L’ingresso dei sobillatori stranieri, fossero essi ungheresi o russi, fu ostacolato e maggiore attenzione si conferì ai collegamenti con i rivoluzionari italiani, un legame che – inspiegabilmente – era rimasto sempre in secondo piano, sino a quel momento. Al di là delle inevitabili variazioni dettate dai cambiamenti ai vertici, esisteva un «moltiplicatore» che sarebbe sopravvissuto attraverso tutti i governi ed i cambiamenti politici, almeno sino al 1922: un aspetto che si trovava radicato nel profondo della cultura politica dell’epoca e che permeava non solo la classe dirigente politica, ma anche – e forse soprattutto – quella dei funzionari di Stato. Diversamente dal periodo 1917-’18, in questa fase, il «moltiplicatore» del caos fu determinato dall’incapacità della classe dirigente e amministrativa italiana di comprendere, analizzare e gestire la questione della presenza di emissari rivoluzionari in Italia. Un particolare molto banale può rivelare la profonda inadeguatezza dello Stato nel distinguere tra il vero pericolo e la minaccia fasulla: la translitterazione dei nomi russi veniva fatta senza cura alcuna, e anche quando il nome veniva translitterato correttamente, poi veniva ricopiato malamente per decine e decine di volte, fino a che l’indiziato, oltre alle eventuali identità di copertura che utilizzava per i propri fini sovversivi, si trovava ad usufruire di una serie di identità aggiuntive fornite involontariamente proprio dallo Stato italiano. Esemplare, a questo proposito, è la storia di Carlo Niccolini, il cui vero nome era Nikolaj Markovič Ljubarskij, ben conosciuto dalle autorità di Pubblica sicurezza per essere l’autorevole rappresentante del Comintern presso il Psi nel periodo tra la fine del 1919 e la prima metà del 1921, la cui identificazione conobbe un faticosissimo iter alla fine del quale si scoprì che la sua identità era conosciuta dalla Ps da lungo tempo. Ugualmente sorprendente fu il caso di Dëgot´, emissario di Lenin e contatto con i comunisti italiani, semplicemente definito – nei rapporti della Pubblica si264 curezza – un «agente bolscevico». La confusione sui ruoli degli esuli ed infiltrati sovietici era ai massimi livelli: le autorità, trovandosi di fronte a emissari realmente pericolosi, rappresentanti semi-ufficiali della Repubblica dei Soviet e spostati che si autocandidavano al ruolo di spia, come nel caso del Blume-Berger, non mostravano di saper discernere con sicurezza tra le varie casistiche1. La commistione tra ipotesi, falsità e realtà era evidentemente la caratteristica principale nell’ossessiva ricerca di propagandisti bolscevichi. Essa offuscava, inoltre, la rilevanza della presenza di singole personalità che costituivano un reale pericolo per il fragile equilibrio italiano dell’inizio degli anni Venti. Questa incapacità di discernere tra le varie tipologie di propagandisti, e la tendenza a considerarli tutti – in un modo o nell’altro – dei malati di mente (altro moltiplicatore di cui parleremo a breve) indusse le autorità ad appiattire l’analisi ed a percepire un emergere incontrollato di focolai insurrezionali ad opera degli agenti stranieri. Solo nel 1921, trattando di una delle ennesime notizie relative alla presenza, in Italia, di un «comunista molto noto, residente in Svizzera», che riceveva «da Mosca 600.000 franchi svizzeri per opere di propaganda, da farsi in Francia, in Svizzera e in Italia», si mise in rilievo il fatto che non vi erano, in effetti, prove manifeste dell’intenzione dei bolscevichi di trascinare l’Italia nel vortice della rivoluzione. Ma al di là di questo frangente, ciò che emerge in modo dirompente è la cacofonia di queste voci, talvolta veritiere, talvolta immaginarie, e l’incapacità del governo di verificarle e di soppesarle. Le autorità non parevano in grado di stabilire una gerarchia di notizie: accogliendole tutte come potenzialmente vere, non era possibile fornire a ciascuna il giusto peso, e si amplificava esponenzialmente la sensazione di confusione e di potenziale sconvolgimento dell’assetto democratico del Paese in direzione comunista. Vi era poi un altro elemento da considerare: la fonte dalle quali le notizie provenivano. Se si tenta di generalizzare, per quanto possibile, confrontando le fonti del Ministero dell’interno, degli esteri, della guerra e 1 Un altro caso curioso fu quello di Carlo Tolomelli, anche conosciuto come il «bolscevico da Metaponto» ed arrestato per aver dichiarato ad un «ingegnere bolognese di aver preso parte al noto eccidio di Palazzo d’Accursio», e che riuscì ad eludere la sorveglianza del suo carceriere, scappando con la scusa di un malore. Cfr.: Prefettura di Bologna, riservata, Tolomelli Carlo, 15 maggio 1936-XIV, p-2; La fuga del bolscevico di Metaponto ritarda il compimento dell’istruttoria, ritaglio di giornale conservato in Archivio di Stato di Bologna (di seguito: AsB), Persone pericolose per la sicurezza dello Stato, 8476, Tolomelli Carlo, (1920 gen. 02 - 1956 mag. 02, con lacune dal 1943 al 1945). 265 quelle dell’Esercito e dell’Arma dei Carabinieri, appare in modo chiaro che le notizie allarmanti (e talvolta allarmistiche) venivano nella stragrande maggioranza dei casi dal Ministero degli esteri e dalle emanazioni di questo su scala internazionale. Gli Esteri poi passavano le informazioni al Ministero dell’interno che, in genere, non operava alcuna verifica sull’esattezza delle notizie o sulla loro attendibilità, riversandole integralmente ai Prefetti e alle forze dell’ordine locali. Diversamente dai vertici, rispetto al tema delle infiltrazioni, le autorità locali (in particolare quelle dei Carabinieri) restituivano un’immagine totalmente diversa dalla fotografia scattata dalle autorità centrali. Esemplare fu il caso delle tradotte che, in seguito ad un ordine dall’alto, vennero sorvegliate giornalmente da militari travestiti da sovversivi per cogliere segnali di propaganda bolscevica. La relazione settimanale ad opera dei Carabinieri, in genere, era assolutamente tranquillizzante persino nelle zone politicamente più esposte alle insidie comuniste. Ciò nonostante, il servizio di sorveglianza sulle tradotte proseguì ininterrottamente fino alla soppressione di queste ultime. Mentre le autorità politiche (e i funzionari) agivano in modo irrazionale nel gestire le indiscrezioni, le Forze armate mostravano di avere il polso della situazione. Persino la qualità delle informazioni provenienti dalle missioni militari all’estero, come la Missione Caprini, era evidentemente migliore: le notizie erano più precise e dettagliate rispetto a quelle che circolavano a Roma e, attraverso gli Interni, in tutta l’Italia. Ma questo non parve avere nessun impatto sulle autorità politiche e amministrative, ripiegate ostinatamente sulle medesime, vaghe, indiscrezioni. L’abitudine di non verificare le informazioni non era tuttavia tipica solo dei Ministeri romani. Le notizie provenienti dal territorio venivano riportate senza alcuna sorta di revisione da parte delle autorità di Pubblica sicurezza, anche quando esse parevano inverosimili. Fu questo il caso del riferimento di fatti assai pittoreschi, riferiti al Ministero degli interni e da questo messi in circolazione senza alcuna censura o revisione, che riportavano di una conversazione avvenuta su un treno in transito per Volterra, in Toscana, tra un socialista italiano non meglio precisato ed un «fanatico» proveniente dall’Ungheria «a scopo di propaganda bolscevica». Il racconto – tra l’altro una voce riferita, essendo stato riportato da un dipendente socialista al dirigente aziendale che poi l’aveva comunicato alle autorità – era colorito da constatazioni personali e valutazioni moralistiche sulla bella vita dei bolscevichi, che viaggiavano muniti di «biancheria» e «profumi». Ogni indiscrezione o informazione 266 veniva trattata allo stesso modo: una volta accettata, veniva fatta circolare generando uno stato di confusione totale e, contestualmente, la sensazione di uno stato di perenne assedio da parte degli emissari bolscevichi e dei loro sostenitori interni. La “grande paura rossa” dell’importazione della rivoluzione era quindi una questione di disorganizzazione interna ma anche di forma mentis. Due «moltiplicatori» di natura sociale ebbero un impatto decisamente importante nella genesi della “grande paura”. La considerazione del bolscevismo come una malattia infettiva, da un lato, e il pregiudizio morale, dall’altro. Come abbiamo avuto modo di sottolineare a più riprese nei capitoli, il bolscevismo era spesso descritto come un’infezione, un germe, dal quale era necessario ripulire la società. Nelle analisi del Ministero dell’interno come in quelle degli Esteri, un’ansia messianica per la necessità di salvare il mondo dal bolscevismo permeava le parole degli analisti, una volontà di redenzione dal pericolo comunista, dottrina che attirava – secondo la lettura qui proposta – in primo luogo delinquenti e poco di buono, e poi fanatici, pazzi ed estremisti. Vi era qui la totale negazione della legittimità dell’esistenza di un comunismo né italiano né straniero, considerato un elemento di ritrovo e di condivisione di elementi malsani e depravati. Alla luce di questo aspetto, emerge in modo più intellegibile la ragione per la quale i funzionari degli Interni furono predisposti ad accogliere con spasmodica attenzione le indicazioni provenienti dagli Esteri, una vera e propria pioggia di segnalazioni riprese, malamente copiate e talvolta alterate, che davano adito all’idea che una tempesta bolscevica si stesse per abbattere su Roma. Questo aspetto si saldava strettamente con il «moltiplicatore» del pregiudizio nutrito nei confronti dei russi residenti in Italia, un pregiudizio condiviso trasversalmente dal corpo amministrativo ministeriale così come da una parte dell’opinione pubblica, soprattutto a partire dal 1919-’20. In un crescendo dal “biennio rosso” in poi, l’insofferenza nei confronti di presunti fiancheggiatori di bolscevichi emerse nella società italiana e anche tra le fila dei funzionari del Ministero dell’interno, che – sulla scorta del fiume di indiscrezioni circa le infiltrazioni bolsceviche nel Regno e la presunta centralità che il Nord Italia avrebbe assunto nelle intenzioni dei rivoluzionari – cominciarono ad osservare con sempre maggiore sospetto ogni suddito russo. Il caso di Michail Kobylinskij è, a questo proposito, emblematico: prima informatore del Ministero degli esteri, poi accusato di filobolscevismo nelle carte degli Interni e dell’Esercito, infine candida267 to a divenire cavaliere grazie all’intercessione personale del conte Sforza. La parabola della sua vicenda è evidentemente segnata dall’incomunicabilità tra i vari organi dello Stato e simbolo del fatto che, spesso, in questa fase, la diplomazia si faceva con strumenti personali. Ma appare anche chiaro che il pregiudizio che colpiva il Kobylinskij era determinato dalla “grande paura”: la sua nazionalità e i contatti stabiliti con alcuni esponenti bolscevichi furono a tratti considerati la riprova della sua connivenza con i rivoluzionari. Poco importava agli altri organi dello Stato che, nell’accompagnare i sovietici in viaggio, fungesse da informatore per il Ministero degli affari esteri. A partire dai primi anni Venti, questo pregiudizio basato sulla nazionalità fu ancora più efficace in quanto si radicò su un preconcetto morale e sociale: l’assenza di una stabile occupazione, una ricchezza improvvisa e inspiegabile, frequentazioni moralmente poco ortodosse erano tutti elementi che le autorità presentavano come “prove” di un sospetto coinvolgimento nelle trame bolsceviche. Nelle pagine precedenti sono numerosissimi i casi in cui il pregiudizio morale si sostituì pienamente all’esistenza di prove inconfutabili di simpatie rivoluzionarie, in modo del tutto naturale per le autorità, sino – questo, ad esempio il caso dei Wax – a decidere per una carcerazione a fronte di un quadro indiziario assai vago. Al di là del giudizio morale che si può facilmente dare a cent’anni da quegli avvenimenti, era chiaro come la convulsa ricerca di un colpevole interno, sulla base di vaghe indicazioni provenienti dall’estero, contribuiva ad accrescere quel caos nel quale versavano le autorità e, al contempo, ad amplificare la “grande paura”. Questa sorta di “allucinazione collettiva” fu principalmente dovuta alla stratificazione delle notizie delle infiltrazioni, creando un effetto psicologico di stato di allerta generalizzato e quotidiano che, in particolare nell’estate del 1919, fu rinforzato da alcuni fatti reali, di natura internazionale ed interna: dalla costruzione di un’immagine aggressiva del bolscevismo con la costituzione dell’Internazionale comunista, all’effettiva esistenza di minacce proveniente dalla sovversione bolscevica straniera. Salvo qualche rara eccezione, questo sproporzionato stato di confusione nel quale versavano le autorità, fomentato anche dalla presenza di un humus rivoluzionario endogeno, iniziò a conoscere un ordine nei primi anni Venti: dopo lo sciopero dell’estate del 1920, iniziò ad apparire chiaramente, ma gradualmente, che i propositi eversivi d’importazione della rivoluzione non avevano trovato una concretizzazione in Italia. Le relazioni internazionali conoscevano poi un processo 268 di distensione, con il riconoscimento – prima de facto, poi de jure – della realtà della Repubblica dei Soviet. L’ultimo episodio nel quale la politica interna (nella fattispecie: il timore di un’insurrezione ad opera di rivoluzionari interni sostenuti dagli emissari stranieri) condizionò fortemente il corso della politica estera fu proprio l’estate del 1920. Come emerge dalle comunicazioni di Tittoni, il timore di influire negativamente sull’«atteggiamento» del Partito socialista italiano aveva giocato un ruolo di primo piano nella decisione di non inviare truppe contro il regime di Béla Kun. A ciò si associava il pericolo di compromettere la special partnership con l’Ungheria e favorire così l’avvicinamento di quest’ultima alla Jugoslavia, con ripercussioni certamente negative sul ruolo di Roma nello scenario europeo danubiano-balcanico. Ma dopo questa fase, i termini del panico rivoluzionario mutarono significativamente, sotto due punti di vista: la razionalizzazione del fenomeno e la sua strumentalizzazione. Rispetto alla razionalizzazione delle infiltrazioni, va sottolineato come, dopo il 1920-’21, le autorità di Pubblica sicurezza gestissero in modo meno caotico la questione della presenza di emissari. Anche in questo ambito, tuttavia, una distinzione tra autorità militari e politiche è necessaria, poiché le prime furono sempre più coerenti nell’affrontare il pericolo e più efficienti nel gestirlo. Mentre le forze interne dell’ordine tendevano ancora a dare credito ed enfasi ad ogni singola voce, la politica adottata dalle autorità militari fu quella di mantenere sotto controllo la situazione, consentendo a emissari noti di addentrarsi nel territorio nazionale, per evitare che essi potessero essere sostituiti con altri meno conosciuti e quindi più difficili da individuare, come ben ha dimostrato il caso di Aron Zimmermann. Inoltre, mentre la sovrapposizione tra vari organi dello Stato determinava uno stato di caotica ignoranza sull’attività degli emissari bolscevichi di stanza in Italia da lungo tempo, va anche precisato come gli esuli russi di un certo spessore potessero vantare degli appoggi a un livello elevato delle autorità italiane, certamente per il tramite dei socialisti. Questo aspetto è emerso chiaramente nel balletto di ordini di allontanamento e revoche dei provvedimenti di espulsione che le autorità misero in scena tra il 1919 ed il 1921, in merito al caso di Aleksandr Erlich, già segnalato nel 1918 come uno tra i più attivi propagandisti del nuovo regime rivoluzionario. Riguardo al secondo aspetto, quello della strumentalizzazione, va notato come proprio nella fase in cui la “grande paura” irrazionale, amplificata dai fattori che abbiamo citato, iniziò a scemare, il pericolo rosso 269 dato dalla presenza di emissari bolscevichi cominciò ad essere utilizzato a fini personali e politici. Il più banale, ma anche diffuso, di questi fu appunto il tornaconto privato. Come ben dimostra la vicenda emersa sulle pagine de «Il Popolo d’Italia», talvolta la denuncia di sospetti bolscevichi era avanzata per insignificanti ragioni personali: antipatie, incomprensioni tra i vicini, sospetti correlati alle bizzarre attività artistiche degli esuli russi. Ma, al di là delle ragioni sottese alle denunce, la cosa più importante era che queste fornivano un concreto sostegno alla tesi della necessità di una mano forte dello Stato nei confronti del bolscevismo d’importazione (e autoctono). Non fu un caso che il dibattito pubblico sulla presenza di bolscevichi in Italia emergesse strumentalmente solo nel 1921, dopo più di tre anni di infiltrazioni e quando ormai il fenomeno aveva preso una china discendente. Ambienti vicini al mondo del fascismo utilizzarono la questione della presenza degli emissari bolscevichi per denunciare strumentalmente l’incapacità dello Stato e delle autorità di Pubblica sicurezza di ergersi a garante dell’incolumità dei cittadini, per richiedere la presenza di un uomo forte, energico, che difendesse il popolo dalla barbarie comunista. Questo ragionamento, che credo si possa utilizzare, senza troppi distinguo per il “pericolo rosso” generalmente inteso (quindi anche quello di matrice interna), era una leva potentissima nella società italiana, anche rispetto alla questione dell’importazione della rivoluzione. E condusse dove ben sappiamo. Ma la strumentalizzazione della “grande paura” dell’importazione della rivoluzione non si fermò al solo scenario interno. Il pericolo costituito dalla presenza di emissari fu utilizzato in varie situazioni e con scopi assai differenti. Cambiando prospettiva e punto di vista, si può senz’altro affermare che la questione della presenza di emissari bolscevichi in Italia fu impiegata dalle forze antibolsceviche ungheresi al fine di esercitare pressioni su Roma affinché intervenisse contro il regime di Béla Kun. Le continue denunce del carattere internazionale del bolscevismo magiaro e delle sue ambizioni ad una rivoluzione europea, ritenute ancor più forti di quelle di Lenin, furono reiterate nei confronti dei rappresentanti diplomatici italiani all’estero nel corso di tutto il 1919. Il timore che, senza una energica decisione dell’Intesa, non solo l’Ungheria, ma l’intera Europa sarebbe caduta sotto i colpi del bolscevismo, fu ripetuto fino allo sfinimento dagli ungheresi antibolscevichi con i quali gli italiani avevano mantenuto i contatti. Coerentemente a questa linea, quando il regime di Béla Kun fu rovesciato, nell’agosto 1919, il 270 nuovo governo Horthy non mancò di denunciare con cadenza fissa i pericoli a cui l’Italia andava incontro a causa dei piani degli affiliati a Béla Kun, fornendo così una giustificazione formale alle persecuzioni antibolsceviche in Ungheria e, al contempo, un utile paravento dietro al quale nascondere l’esistenza del “terrore bianco” dei primi anni Venti. Sempre in chiave internazionale, la denuncia della presenza degli emissari bolscevichi magiari in Italia fu poi molto utile allo stesso governo italiano. Non bisogna infatti dimenticare che il Regno, in quella fase, non godeva di una forte credibilità internazionale. Sappiamo, ovviamente, che la ragione principale di tale vulnus fu l’atteggiamento ondivago dell’Italia nel corso della Prima guerra mondiale. In aggiunta, una serie di piccoli scandali relativi al presunto filobolscevismo del governo Nitti contribuirono a rendere più delicata l’immagine del Regno. Per quanto concerne il tema di questo volume, i due episodi più significativi ci paiono la campagna stampa dell’agenzia Reuter, che diede per certa la deriva filobolscevica del Paese, in occasione delle prime elezioni del dopoguerra, nel 1919; e la questione della vendita illegale di armi a Budapest durante il regime di Béla Kun e della violazione del blocco economico imposto dagli Alleati all’Ungheria comunista. Se, rispetto al primo caso, la diplomazia italiana e la stessa Presidenza del Consiglio si impegnarono a promuovere un’immagine rassicurante di ordine e sicurezza politico-sociale all’estero, rispetto al secondo evento, le alte gerarchie dell’Esercito ed i rappresentanti diplomatici italiani nell’Europa centrale parvero in seria difficoltà. Agli occhi degli osservatori internazionali, il Regno era un alleato inaffidabile e tradiva la fiducia degli Alleati instaurando un dialogo con i nuovi nemici dell’Intesa, i bolscevichi. Le denunce di filobolscevismo nei confronti dell’Italia furono assai pesanti e potevano contribuire a minare la già labile credibilità internazionale del Paese. Così la presenza di emissari bolscevichi arrecanti una minaccia per la stabilità interna del Regno, da parte dell’Ungheria, era un modo per fronteggiare in modo convincente tali accuse. Se l’Italia fosse stata realmente vicina al regime di Béla Kun, come avrebbe potuto tollerare che quest’ultimo inviasse propagandisti con ampi mezzi per sovvertire l’ordine sociale nel Regno, proprio nel momento in cui la situazione politica interna era particolarmente difficile? Era evidentemente una giustificazione convincente anche nei confronti degli alleati più scettici, che osservavano con sconcerto e disappunto gli atteggiamenti italiani. Nel senso di contrastare questa convinzione andò la ferma posizione di condanna adottata dal Colonnello Romanelli, a capo della Mis271 sione italiana a Budapest, quando intervenne in favore degli aristocratici che avevano tentato un colpo di Stato contro Kun nel luglio 1919, e che il governo bolscevico aveva prontamente condannato a morte. Oltre a questo scopo, nella visione strategica del governo italiano, la denuncia della presenza di emissari ungheresi aveva un altro obiettivo sul piano internazionale. La questione della propaganda magiara sul regio suolo era utilizzata strumentalmente dalle autorità italiane come giustificazione dell’ingerenza negli affari ungheresi. Se Budapest non era in grado di intervenire per fermare il flusso di emissari verso Roma, il regio governo era in dovere di intervenire, influendo però – questo l’obiettivo finale – sul fragile equilibrio postbolscevico, e guadagnandosi un alleato fedele in uno scacchiere chiave per Roma. Fu così che la “grande paura rossa”, da irrazionale panico da rivoluzione divenne un razionale strumento di condizionamento politico. Ciò fu vero senz’altro, come già detto, nel caso dell’utilizzo strumentale sia in chiave interna sia in chiave internazionale. La razionalizzazione della “grande paura” da parte della classe dirigente italiana avvenne tra la fine del 1920 ed il 1922, quando il moltiplicatore interno dato dal contesto insurrezionale del Regno era in fase discendente. Nel favorire la razionalizzazione di quella che era stata la “grande paura”, giocò un ruolo fondamentale la realpolitik e la necessità, condivisa trasversalmente dai governi dell’Intesa, di considerare la Repubblica come un interlocutore non solo possibile ma necessario, dato che l’esperimento dei Soviet, ritenuto inizialmente dagli osservatori un evento di breve respiro, avrebbe consolidato le proprie radici in Russia per lungo tempo. Certamente, la partecipazione russa alla Conferenza di San Remo segnò un punto di svolta nell’immagine internazionale. Ma il fatto che mi pare più centrale è la prevalenza della “ragione di Stato” nella questione delle relazioni con Mosca: la necessità di una realpolitik nel restaurare le relazioni con la Russia, come elemento di un più ampio processo di pacificazione internazionale, aveva la meglio sull’idea che fosse importante preservare il contesto politico interno dal «germe bolscevico». Questo ragionamento, che era stato proprio di Nitti, venne gradualmente acquisito dalla classe dirigente italiana, circostanza che diventò ancor più comprensibile alla luce del fatto che, nel 1922, il “grande pericolo rosso” stava ormai attraversando la propria fase discendente in Italia. Sia che si pensasse che la Repubblica rossa sarebbe durata anni, sia che la si ritenesse un esperimento transitorio, la considerazione finale era sempre la medesima: l’Italia doveva recuperare il proprio ruolo internazionale e il ristabi272 limento delle relazioni con i bolscevichi era assolutamente centrale in questa logica. Nella fase successiva al 1920, quando la “grande paura” assunse, come noto, altri colori, la preminenza della necessità di recuperare le relazioni con la Russia sovietica ed il conseguente soprassedere alla questione delle infiltrazioni fu confermato anche dall’operato del Servizio di controllo sui cittadini russi. Le carte sulla Missione Caprini, istituita nei primi mesi del 1922 nella Costantinopoli occupata dagli Alleati, confermano questa interpretazione mostrando, da un lato, la volontà di non compromettere il ristabilimento delle relazioni italo-sovietiche, trascurando la potenziale pericolosità del transito di elementi sospetti o [di] propaganda verso l’Italia (che era la ragione per la quale il governo aveva creato il Servizio); e, dall’altro, la maggiore consapevolezza da parte delle autorità circa le circoscritte possibilità che la propaganda verso l’Italia, via Costantinopoli, potesse realmente mettere a rischio la sicurezza del Paese. In definitiva, nei primi anni Venti, la realpolitik ebbe un effetto inverso a quello dei moltiplicatori, relegando in secondo piano la “grande paura” e le considerazioni morali sui bolscevichi. Come ben dimostra l’atteggiamento del rappresentante italiano a Tbilisi riguardo alle lamentele circa le perquisizioni ai danni dei sudditi russi avanzate da Koutznetsoff, il ridimensionamento della minaccia bolscevica d’importazione sul suolo italiano ed il contestuale consolidamento del potere bolscevico avevano mutato strutturalmente l’atteggiamento delle autorità del Regno per cui, se antichi timori e pregiudizi continuavano ad esistere, ciò che veniva considerato preminente, in quella fase, era la ripresa ed il rilancio delle relazioni. Mentre la “grande paura rossa” scosse la classe dirigente liberale tra la fine del 1917 ed il 1919, amplificata da numerosi moltiplicatori contingenti e radicati nella coscienza sociale, a partire dal 1920 il timore dell’importazione della rivoluzione da emissari stranieri fu giocato su un piano di piena strumentalità sia da parte delle forze interne fasciste, sia da parte dello stesso governo al fine di raggiungere i propri scopi nello scenario internazionale. Un utilizzo che fu ampiamente efficace: l’effetto ultimo della “grande paura” dell’importazione della rivoluzione fu quello preparare il terreno al fascismo, rendendo quasi naturale l’arrivo messianico di un uomo solo al comando. 273 Appendice documentaria Documento I Regia Prefettura di Treviso Indirizzo: On. le Comando Divisione Reali CC. Treviso 11 ottobre 1919 Conta che alcuni giovani socialisti si siano recati presso un tipografo della città per aver stampato le accluse poesie sovversive a firma Spartacus. Se ne informa la S. V. per le disposizioni di vigilanza necessaria per proibirne la affissione e distribuzione. Il Prefetto 275 I canti di Spartacus (da cantarsi sull’aria di Cara Piccina) I Fuggite o schiavi la malinconia Perché incomincia la felicità Su lo sfacelo della borghesia Nasce l’aurora della libertà Sì La bandiera di Lenin S’inalzerà Nella terra e nel cielo La legge di Lenin trionferà II L’imboscato guerrier nazionalista Innaffia i suoi tartufi col Bordò E il povero soldato trincerista Son tanti giorni che non si sfama Sì Grida il soldato sì Viva Lenin Che i vili parassiti Colpisce colla spada del destin III La pallida figliuola della via Sui marciapiedi il corpo trascinò E la vile sensuale borghesia Per un tozzo di pane la comprò Sì Geme l’afflitta, sì Verrà Lenin Che mi darà il mio pane E punirà l’infamia del destin IV Nei pressi della lurida galera Il figlio dell’ergastolano va E al soffio della rossa primavera Domanda che gli renda il suo papà Sì Grida il bambino, sì 276 Viva Lenin Perché Lenin soltanto Ritorna l’innocente al suo piccin V Venite libertari e socialisti Le turbe degli oppressi a liberar Il santo gonfalon dei comunisti Sventoli vittorioso in ogni mar Sì Grida la folla, sì, Lenin verrà Viva Lenin ch’è amore Ch’è farò di giustizia e libertà Sì La bandiera di Lenin S’inalzerà Nella terra e nel cielo La legge di Lenin trionferà SPARTACUS 277 Inno bolscevico (Sull’aria della Leggenda del Piave) I La Neva contemplava Della folle umile e oscura Il pianto silenzioso e la tortura La plebe sanguinava Come Cristo sulla Croce Svenata dalla borghesia feroce Che non paga di forche e di Siberia Volle ancor della guerra la miseria Ma sorse alfin un uomo di coraggio Che infranse le catene del servaggio E sterminò le piovre fino in fondo Quell’uomo fu Lenin Liberator del mondo II La Neva trasportata Verso il mar di Pietrogrado Il motto di Lenin: “Chi è ricco è ladro” E il motto volando Per i mari e i continenti Destò dal sonno gli schiavi dormenti E valicò gli Urali ed il Kreml’no E giunse fino a Monaco e a Berlino Qui sventolando la bandiera Rossa Spartaco dié il segnal della riscossa E cadde ma alla notte sullo Spea Quale immenso falò la salma risplendea III E la Neva commossa Alla Spea vaticinava Che non invano Spartaco spirava La fiera salma Rossa Ingigantì nella tormenta E “di denti di draghi fu sementa” Oh quanto fu fertile il terreno E non solo sullo Spea e sul Reno Ben dice il duce degli Apartachiani Malgrado tutto ciò sarà mio domani 278 E l’eco ripetea tutta la terra Fra oppressi ed oppressor Non pace mai, ma guerra IV La Neva altri prodigi Non invano prometteva L’incendio all’universo si estendeva Minaccia il Po il Tamigi Il Danudio ed altre sponde Arrosserà dell’Ebro l’acque bionde Spartaco ruggirà dalla sua fossa Eserciti di Schiavi alla riscossa La sozza borghesia… corpo esangue … prona… succhiasse il sangue O casta scellerata, maledetta E giunto anche per noi Il dì della vendetta V Là sulla sacra Neva Sta Lenin che ansioso osserva Se la plebe latina è ancor serva Compagni su mostriamo ai fratelli Bolscevichi Che siamo figli di Romani antichi E le campane pur suonino a festa Per salutare Serrati e Malatesta Noi delle piovre il fegato e il cervello Frantumeremo a colpi di martello Si appressa l’ora del fraterno amore Ma per la borghesia Sia il segno del terrore Spartacus 279 Documento II Legione territoriale dei Reali Carabinieri di Verona, Ufficio di 3° Divisione n. 20/26 di prot. RISERVATO, Verona lì 13 agosto 1919 OGGETTO: Agenti Russi di propaganda bolscevica muniti di falsi documenti Al Comando delle Divisioni dei CC. RR. dipendenti dalla Legione. Per le disposizioni di respingimento ai confini di terra e di mare, qualora alcuno dei sottoindicati tentasse di entrare nel nostro territorio e di arresto nel caso vi fossero già penetrati, il Ministero dell’interno comunica la seguente lista, pervenuta da Autorità Francesi, contenente i nomi di individui che fanno parte di una commissione di propaganda bolscevica di Pietrogrado e che viaggiano attualmente in Europa, muniti di documenti russi rubati ai veri titolari. Nomi reali o supposti tali Apfelbaum Rosenfeld Stimmer Weldexberg Goldmaun Lurje Cederbaum Silberatein Nahamkes Birustein Gerfeld Iljen Nathauson Kogan Kalz Ziberlsohn Nomi che figurano sui documenti rubati di cui sono in possesso Sinevjeff Korenjeeff Sukanoff Meschkffuky Gorjef Larin Martoff Bodganoff Stekloff Svesdin Garin Raskloljkoff Lunaschauky Noledareky Kamkoff Radek Il Colonnello, Comandante della Legione (V. Emanuele Tremi) 280 Documento III LEGIONE TERRITORIALE DEI CARABINIERI REALI DI VERONA UFFICIO DI 3° DIVISIONE N. 27/35 di prot. RISERVATO Verona lì 10 agosto 1919 OGGETTO: manifestino di propaganda rivoluzionaria diretto ai soldati. Al Comando delle Divisioni Reali Carabinieri dipendenti dalla Legione In una perquisizione passata il 4 andante nei locali della Camera del Lavoro di Trieste, fu rinvenuta una notevole quantità di manifestini di propaganda rivoluzionaria diretti ai soldati. Qui di seguito si trascrive tale manifestino, per le indagini intese a scoprire il centro di propaganda e per conoscere se scritti del genere siano stati distribuiti fra le truppe dislocate in codesta giurisdizione: ””” SOLDATI ITALIANI ! Così come Garibaldi si appellò ai suoi fratelli residenti all’estero col grido l’Italia si desta, la patria ci chiama, così ci rivolgiamo oggi a voi sotto la divisa l’Italia si desta, la rivoluzione ci chiama. Noi Italiani in patria ci troviamo in mezzo ad un movimento rivoluzionario che tende ad ottenere non solo il vostro ritorno a casa ma anche assicurare il vostro benessere generale. Ma mentre noi combattiamo nella nostra patria per il raggiungimento della redenzione sociale il governo e le Autorità italiane vi tengono all’oscuro della situazione adoperandovi come strumenti ciechi contro i nostri fratelli dell’Ungheria della Russia della Slovacchia che uscirono trionfanti da una rivoluzione dopo un eroico combattimento. I lavoratori i soldati e contadini della Russia, dell’Ungheria e della Slovacchia vi estendono il braccio fraterno sperando di trovare eco di fraterna solidarietà anche da parte vostra. Non vi chiedono troppo i vostri fratelli stranieri: voi che avete nelle vostre mani tutti i fattori del progresso sociale, voi che sostenete colla violenza il potere dei vostri e dei nostri oppressori, voi comprenderete la necessità di rivolgere le armi che possedete contro il vostro nemico interno, contro i responsabili dell’immane macello anziché contro i vostri pacifici fratelli dei paesi sinceramente, gloriosamente rivoluzionari. Noi vi esortiamo dunque alla disobbedienza militare e statale. Noi vi invitiamo ad ubbidire soldato la vostra coscienza di classe che vi grida: non prestarvi ad essere i sicari dei vostri fratelli Russi, Ungheresi e Slovacchi di essere i traditori della loro causa che è la causa della nostra amata Italia: la causa della rivoluzione mondiale che sorge già sull’orizzonte annunciandoci non una pace capitalistica di sfruttamento, di oppressione, di miseria, di lutto e di dolore, ma una pace sociale in cui vengano fuse tutte le anime della classe lavoratrice che per ben cinque anni ha sanguinato per una causa pro- fondamente ingiusta et criminale. Sappiate che vi si vuol trascinare in 281 una nuova guerra contro i proletariati organizzati dei diversi paesi. Voi non dovete prestarvi al giuoco infame! Noi vogliamo rivedervi, riavervi, riabbracciarvi in patria nostra colla piena sicurezza di poter affidare sulle vostre armi in favore nostro nella sicurezza di poter battere in casa propria in questa grande bella e gloriosa Italia la vile reazione con quel medesimo ardore guerresco e battagliero con cui avete infranto il prepotente militarismo prussiano. Evviva la rivoluzione in Italia ! Evviva la rivoluzione della Russia ! Dell’Ungheria e della Slovacchia ! Evviva la rivoluzione mondiale ! Milano, 10 giugno 1919 Il Consiglio dei soldati italiani di Milano Il COLONNELLO COMANDANTE LA LEGIONE (V. Emanuele Tremi) 282 Fonti e bibliografia Fonti archivistiche Archivio centrale dello Stato Archivio dello Stato di Bologna Archivio dello Stato di Mantova Archivio dello Stato di Padova Archivio storico del Ministero degli affari esteri Istituto Fondazione Gramsci, Fondo Serrati Museo storico dell’Arma dei Carabinieri Fonti edite Atti parlamentari, 1917-1922 Documenti diplomatici italiani, 1917-1922 Documents diplomatiques français, 1918-1922 Documents on British Foreign Policy, 1917-1922 Foreign relations of the United States, 1917-1922 The Communist International 1919-1943, vol. I, Documents. 1919-1922, Oxford University press, London, New York, Toronto, 1956 Storiografia Corte d’appello penale di Roma. 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Accattoli A. 16 e n, 31n, 35n, 40n-41n, 77n, 158n, 159n, 198n, 207n, 208n, 220n Acunna G. 100n Agostini F. 23 Ak-Decker 104 Alatri P. 115n, 190n Albanese G. 53n, 88n, 112n, 116n, 118n Albertini L. 26 e n-27n, 29n, 79 e n Albricci A. 87-88n, 117 Alessandri C. 180 e n Alessio G. 100n Alfieri V.L. 43 e n, 46n Alice 103 Alston C. 68n Amfiteatroff A.V. 32 e n-33 Anchieri E. 22, 126n Anghileri C. 253 Apfelbaum (alias Sinevjeff) 280 Arrigoni E. 102n Arrigoni M. 102 e n Asiev M. (vedi Yerofeev) Baldoli C. 45n Ballini P.L. 27n, 123n Beduzzi (ragionere socialista, Vicedirettore de «La Cremonese») 188 Bencivenga (brigadiere generale) 147 en Berger (vedi Blume) Bernardini G. 18n, 23, 67n-68n, 105n Bernstorff J.H. (anche Bernsdoff) 192 Berthelot 176n, 206n Berti G. 113n Bertoncini L.E. 100n Berzin J.A. 57, 61 Besaupain I. 100n Bettelheim E. 96 Bettemps F. 237, 239 Bezerady L. 55 e n Biagini A. 27n-28n, 34n, 86n, 132n Biancheri (Ambasciata italiana a Vienna)164n-165 e n, 166n, 182183n Bianchi G. 102n Bianco G. 163n Binchi C. 21 Biro-Becke 104 Birustein (alias Svesdin) 280 Biscaro S.F. 240 Bisiach F. 104 Bissolati L. 44-45n Badoglio P. 80n Baechler J. 14n Bagnaia A. 243n Baird J. 234n Balabanoff A. 57, 61 e n-62 e n, 69, 227 301 Blume (ingegnere e presunta spia, alias Berger, alias Lorich) 213-214 e n, 216, 265 Boccignoni V. 50n Bogdany R. 167 Bogdanov A. (anche Bodganoff, alias Silberatein) 31n, 280 Bogliani F. 163n Bogliano G. 148 Boldrini G. 240 Bombacci A. 50n Bombacci N. 50 e n, 65 e n, 70, 112, 152, 174n, 176-177 e n, 178n, 199 en Bonari 58n Bonomi I. 25n, 172n, 185, 203-204 e n, 220, 235 e n-236, 264 Bordiga A. 30, 83, 143n, 221 e n-222 Borghese L. 28, 128, 130 e n-131 e n, 132n-135 Borghi A. 149, 173n Borghi D. 56n Borisovich K.M. (alias L. Stene, alias Kagan) 35, 37 Bosman G. 22 Bottinelli F. 100n Bruzzi P. 240 Bucharin N. 219, 226 e n, 231 Burigana D. 22 Buzzoni M. (alias Jenova) 235 Burcev V.L. (anche Burstraeff) 150 Burgwyn H.J. 88n Butler R. 140n, 206n Caretti S. 16 e n, 64n, 178n Carlo d’Asburgo 226 Carlotti di Riparbella A. 27-29 Caroti A. 161 e n-163 Caracciolo di Castagneto G. 201-202 e n Carbone D. 128 Carley M.J. 68n Carsten F.L. 97n, 119n Carrobio (Legazione italiana a Copenhagen) 129n Casaretto P. 87n, 98n-100n, 109n, 114n Castani 58n Cattaruzza M. 202n Cavalcanti M.L. 95n Caviglia E. 112, 116 Ceci G.M. 22 Cederbaum (alias Martoff) 280 Černov V. 64 Cerrito G. 113n Cerruti V. 121, 127 e n, 132 e n-133n, 134n, 165n-166n, 167 e n-168n, 169 e n-172 e n, 173n, 175n, 176n, 182n-183 e n, 201 Ceschin D. 27n, 44n, 45n, 71n, 80n, 88n Cesoli L. 173n Cherubini D. 83n Chewchet S. 100n Chiarini (vedi M. Heller) Ciccarelli (Maggiore generale) 139 Ciccotti F. 175, 177 Ciuffoletti Z. 52n, 64n, 178n Claudel P. 158n Clemenceau G. 11-12, 91 e n Colarizi S. 23, 64n Colin A. 15 Colombo A. 93n, 95n Colosimo G. 79 e n Cortesi L. 74n, 221n Coudom (Segretario della sezione comunista d’Ivry, alias Méric) 237 Curzon E. 67n, 101n, 149n, 152n, 158n, 182n, 212n, 222n Čicerin G.V. 67, 104, 241 Cabrini A. 177 e n-178n Cacelli E. 16 e n Cadorna L. 26n, 44 e n Caldara E. 164 Calvino M. (vedi V.V. Lebedintzev) Cannarsa S. 163n Cappa A. 92n, 212-213 Cappa P. 223n Caprini B.L. 234n, 242, 243 e n-245, 247 e n-248 e n, 250 e n-251 e n, 252n, 253-254 e n, 255n-260n, 266, 273 Cardoni E. (vedi E. Sokolosvkaja) Cardoni V. (vedi V. Dëgot') Debarda C. 106 Decleva E. 234n 302 Dëgot´ V. (alias V. Cardoni) 207 e n208 e n, 214, 264 Denikin A.I. 148 Detti T. 163n D’Adamo A. 125 e n D’Annunzio G. 115 e n, 215n D’Aragona L. 149 D’Avanzo (Maggiore Capo dello Stato maggiore) 148n de Bernardis (Comandante) 34 e n-35n De Felice R. 20, 119 e n, 190 e n, 203n, 224n, 228 e n, 240n de Fontenay J. 182n De Lorenzo A. 109n De Lorenzo N. 22 De Luca F. 147 De Martino G. 123n, 183n Degl’Innocenti M. 62n, 64n, 178n Della Casa 116n Della Seta A. 157, 163, 166-168 e n, 172, 183 e n De Stefanis G.A. 66, 70n Di Benedetto (incaricato del governo italiano) 135 Diaz F. 44n, 134-135 e n Dizian 103 De Ambris A. 151 e n Di Nolfo 200 e n Di Palma A. 21 Di Salluzzo Di Paesana M. 151-152n Donnini G. 26n Dorelcinet 104 Doubrava N. 233 Drachkovitch M. 97n, 221n Dutasta P. 68n Francescangeli E. 204n Franchetti 58n Frassati A. 220n, 225 e n Frattini Z. 103 e n, 173n Friedbauer L. 200, 201 Friedlander (alias Kampfe) 62 e n Fugara A. 106, 107n Furiozzi G.B. 42n, 98n, 151n Gambino A.A. 126n Garami E. 122-123 Gardner L.C. 25n, 206n Garibaldi G. 281 Garin (vedi Gerfeld) Garosci A. 15 Garroni C. 245, 249 e n, 251, 252 e n Gatti A. 26n Gatti G.L. 44n Gazzurelli A. 28-29 Gek N.A. (anche Ghek) 229 e n Gennari E. 208, 226 Gentile E. 90 e n, 110n, 186n, 190 e n191n, 261 Geofaretti (Segretario degli operai di Ravenna) 164 Gerfeld (alias Garin) 280 Germani E. 226n Gervani (anche Servani) 58n Gervasoni M. 23 Ghezzi F. 240 Giani 173n Gifuni G.B. 29n Gilardoni 164 Giolitti G. 27n, 33n, 41n, 143, 172n, 182-183n, 186 e n, 191, 203 e n, 207, 216, 220, 231, 264 Giordano G. 65n Giordano P. (alias Jourdan) 235 Giorgio V (Re d’Inghilterra) 138 Giudice M. 50n Giulietti F. 113n, 240n Giulietti F. 240n Goldmaun (alias Gorjef) 260 Gongarini (vedi S. Gontcharoff) Gontcharoff S. (alias Gongarini, alias Orloff) 34, 36 e n Gor’kij M. (vedi A.M. Peškov) Erlich A.N. 153 e n-158 e n, 193, 269 Erlich G.M. 155n Fabbri T. 206n Facta L. 236 Federico M. 163n Ferrari V. 86, 108 Filippi P. (alias A. Tzenovitch) 98 Fiorenzoni P. 86 Fornaro P. 85n, 141n, 191n Fouchet A.M. 170n, 183n Francelli L. 173n 303 Gordenko G. (alias Volkoff, alias A. Moisseeff) 259 Gorjef (alias Goldmaun) Gorstein (anche Gornostoieff) 35-36 Gotz (vedi Lanov) Goutkaroff (anche Gonkaroff, alias Gongarini) 36 e n, 38, 40 Gramsci A. 9, 20, 22, 30, 50n, 83, 85n, 110n-111n, 141n, 143n, 158n, 190, 221 e n, 226 e n-227, 238 Grassi G. 180n Gravina M. 214 e n, 215 e n-217 e n, 218 Graziosi A. 43 e n, 199n, 253n Grunbaum 208 Guarneri A. 182n Guidi L. 131n Guidi P. 139n Guiso A. 26n Gukovskij M.A. 77n Gukowski 76 Gwosdovo-Golenko E. (vedi Savinkov) Jacovenko 193n Jakovlev (anche Jakovieff), 40 e n Jejel S. 100n Jenova (vedi Buzzoni) Josph H. 193n Jourdan (vedi P. Giordano) Kagan (vedi K.M. Borisovich) Kaleb A. 100n Kalich G. 207 e n-208n Kalz (alias Kamkoff) 280 Kamenev L.V. 205 Kamkoff (vedi Kalz) Kammerer (Direction des Affaires politiques et commerciales) 206n Kampfe (vedi Friedlander) Károlyi M. 81, 130 e n, 132-133, 174, 190-191 e n, 262 Kartovič (anche Kartowitch) 40 e n Kaul K. 57 Kerenskij A.F. 26, 42n, 98n, 151n Ketov K. 154 Kharkoff 256n Kilmarnock (Lord) 152n Kistrinsky 220 Klicek S. 100n Klimovič E.K. 260 Kobylinskij M. 149-150 e n, 151 e n153, 267, 268 Kogan (alias Noledareky) 280 Kolff K. 198 König H. 16 e n, 73n Kopšic I. 229 e n Kouznetsoff M. (anche Koutznetsoff) 249-250 e n, 273 Kranker A. 259 Kremnev N. 259 Krestinskij N.N. (anche Kristinsky) 220 Kuliscioff A. 25n, 46n Kun B.12, 80, 83, 84, 85 e n, 94n, 96, 102-103, 106, 119, 120-121 e n, 122-123, 125-128, 131-132 e n, 133, 135, 140 e n, 141, 161-163, 165-166, 171, 173, 176, 178, 180181n, 182 e n-183 e n, 196, 200, 222, 255, 262, 269-271 Kurfist 193n Hardinge A. 67n, 101n Hassan-Zade 259 Heiler (vedi M. Heller) Heller M. (anche Heiler, alias Chiarini) 158 e n-160 e n, 161n Hitler A. 15 Höbel A. 151n Horthy M. 170 e n-172, 176 e n, 178, 186, 191n, 202, 226, 240, 271 Humbert-Droz J. 208 e n-209 e n Huszar K. 166n Iannella G. 21 Iljen (alias Raskloljkoff) 280 Imperiali G. 77n, 85 e n, 91 e n Invernitzky 173n Ioffe D. (membro della Čeka e Commissario politico; alias Vilshtein, alias Pipikov) 259 Isnenghi M. 25n, 27n, 44n-45n, 53n, 71n-72n, 80n, 88n, 116n, 118n Ivaldi U. 110n Ivanenko C. (vedi N.M. Ljubarskij) 304 Lafont E. 181n Lago M. 166n, 180n, 207n, 213n, 222n Lanov (alias Gotz) 259 Lazar M. 23 Lazzaretto A. 22 Lazzari C. 30, 32, 50 e n, 65 e n-66 e n, 85 e n, 113, 126, 143, 221-223 e n Lazič B. 97n Lebedintzev V.V. 64 (alias Mario Calvino) 64 Lefebvre G. 12 e n-13, 15 e n, 18-19n, 20n, 218n, 262 Lèfevre-Pontalis P.A. 181 e n Leidinger H. 180n Leikine T. (anche Leikin) 36 e n Leipnik L. 200-201 Lenin V.I. 16n, 17-18, 27-28, 31 e n, 42 e n-43n, 46, 66-67, 70n, 73n-74, 83, 85, 94, 97 e n, 98 e n, 106, 121, 130n, 141n, 151n, 173-174n, 176 e n, 190, 192, 205 e n, 207, 208n, 214, 219, 264, 270, 276-279 Leopold Luigi 104 e n Le Moal F. 233 Levi Sullam S. 53n L’Huiller F. 25 Liebknecht K. 97 Lilla M. 106, 107n Lindemann A.S. 74n Lismondi 150 Lissanevič (anche Lissanerwitch, Colonello) 40,42 Litvinov M. 158n, 161, 177, 182n Ljubarskij N.M. (anche Lubarski; alias Carlo Ivanenko, alias Carlo Niccolini) 194-195, 264 Lloyd George D. 11 Lomellini V. 12, 14 Longare B. 67 e n Longhena M. 164 Longo 150 Longo L. 150n Longroff 104n Lopatin G.A. 32 e n-33n Lorich (vedi Blume) Lotti L. 52n Low L. 69 Luccinova M. 100n Lunačarskij A. 31n, 209n Lurje (alias Larin) 280 Luxemburg R. 94, 97-98 Maffei (Alto commissario di Costantinopoli) 189 Maier C.S. 89n-90n, 94n, 96n, 136 e n, 242n Mayer A.J. 11 e n, 28n, 95n, 122n Melograni P. 25n, 94n Macdonald R. 90n Machenovich 193n MacMillan M. 17n Madeira V. 68n Maffi F. 149 Maffioli U.O. 126 Malatakis B. 253-254 e n Malatesta E. 113n, 279 Maione G. 163n Majoni G.C. 29, 92 Mantovani M. 100-101 e n, 102 e n Manzoni (Ambasciata d’Italia a Londra) 75n, 77n-78n, 86n, 97n, 113n Marchetti Ferrante G. 210 e n-211n Marchi M. 22, 26n, 91n Marling C. 152n Martini G. 139n Martoff (vedi Cederbaum) Masi G. 146n, 156 Masuc (vedi P. Ruegg) Mawdsley E. 92n McLoughlin B. 179n Melech F. 104n Meledandri E. 159 Menotti Serrati G. 20, 30, 50, 51n, 6263n, 79, 85 e n, 87 e n, 123, 143, 161 e n, 177, 194-195, 219, 221, 237. 279 Méric (vedi Coudom) Merningas A. 100n Meschkffuky (vedi Weldexberg) Millerand A. 12, 158n, 170n, 182n, 183n, 233 Millman B. 68n Milza P. 234n 305 Modigliani G.E. 29n, 82-83 e n, 149, 199 Moisseeff A. (vedi G. Gordenko) Monaco C. 21 Mondini M. 118n Montecuccoli A. 235 Monticone A. 26n, 93n Morais A. 39 e n-40 e n, 41 Moretti L. 106 Morgari O. 30, 51n, 63-64, 73-74 e n, 143, 149-150, 157, 174, 177, 195, 209, 221-222, 224-225 Mori C. 156n Morini 103 Moritz V. 179n Morsili 173n Mowbray 104n Muller V. 200-201 Mussolini B. 15, 51, 90n, 119n, 190 e n, 196n, 203n, 223 e n-225, 228 e n, 232, 255n Muzzioli G. 163n Panvini G. 22 Papa Benedetto XV 26n Papavizas G.C. 215n Parenti G. 61n Parlato G. 23, 115n, 133n Passavant (Maggiore) 208n, 215n, 223n-224n Pastor P. 85n, 130n Pastorelli P. 27n, 45n, 74n Paolucci de' Calboli R. 73-74n Pavone C. 90n Pedini S. 163n Pedone F. 46n Pedroncini G. 13n Pellegrini G. 163n Pennella G. 92 Perelli M.O. 240 Pesci E. 238-239, 240n Peškov A.M (anche M. Gor’kij) 31 e n, 42 Petracchi G. 16 e n, 18n, 23, 27 e n-28 e n, 29, 37n, 57n, 64n-65 e n, 78n, 93n, 108, 178n-179n, 187, 213n, 216n, 219 e n Petricioli M. 92n Petrovich 193n Pianezza G. 50n Piatigorski A. (alias Gabinski, Commissario politico della flotta del Volga), 259 Piccioni (Generale) 173n Pichon S. 67, 68n, 75n-76, 141n Pieri P. 80n Pignatelli 128 Pipitone C. 22 Pischedda C. 29n Pittalis F. 202 Pipikov (anche D. Ioffe) Pizzati A. 235 Pizzigallo M. 255n Platten F. 210, 214n Poggi C. 51n, 55n, 63n Poincaré R. 238-239n, 241 e n-242n Polanyi K. 193 e n Polano L. (vedi P. Ruegg) Pons S. 17 e n, 18n, 23, 30-31 e n, 43n, 77 e n, 84n, 94n, 141n, 219 e n Por O. 193n Naglowskij A. (anche Naglewsky) 220 Nahamkes (alias Stekloff) 280 Nathan 104n Nathauson (alias Lunaschauky) 280 Negri 215 e n, 225 Niccolini C. (vedi N.M. Ljubarskij) Nitti F.S. 92 e n-95 e n, 96, 115n, 117, 126, 137-138 e n, 145 e n, 152153n, 157n, 161, 171 e n-172n, 173-174n, 177-179 e n, 181n, 186, 199n, 213, 264, 271-272 Noiret S. 50n, 62n, 74n, 79n, 174n, 177n, 199n Nokasinovich 193n Nuti L. 23 Orlando V.E. 25, 29n, 50, 54, 67 e n, 73, 75, 79 e n-80, 88, 90, 94 Orloff (vedi S. Gontcharoff) Orloff V. 197 Oscar 100 Oustymtchouck 239 Paléologue M. 181n Pangotto G. 55n 306 Prampolini C. 149 Préposiet J. 113n Pugliese S. 90n Savinkov B. (anche Savinkoff, alias E. Gwosdovo-Golenko) 241-242 e n, 258 Scalpellini R. 86, 108 Scandura C. 199n Scazzani C. 195 Sceftel 193n Schiavi (Direttore dell’Ufficio del lavoro di Milano) 164 Schreider 193n Schweide I. (anche Schweiden, alias Brante Iso) 127n, 161, 164 e n, 175, 195 Scialoja V. 28, 136-137n, 169n-170 e n, 171 e n Sciarli 47 Scibilia C. 68n Scottà A. 26n Segre R. 83 e n-85, 128, 134-135 Senn A.E. 195n Serra E. 92n-93, 94 e n, 126, 199n, 234n Service R. 17n-18n, 43n, 141n, 176n, 205n, 215 Seton-Watson C. 30n, 42n, 45n, 63n Sforza C. 92 e n, 138 e n, 146 e n, 152153n, 170 e n-171 e n, 180n-181, 189 e n, 201 e n-202n, 204, 208209 e n, 212, 216, 238-239 e n, 241 e n-242n, 268 Shaverdov A. 259 Shikhanovitch I. 259 Sibi M. 100n Sigray A. 168 Silberatein (alias Bodganoff) 280 Simonyi-Semadam S. 168 Sinevjeff (vedi Apfelbaum) Skarzunki G. 36 Sokolosvkaja E. (alias E. Cardoni) 207-208n Somaghini U. 106 Sonnino S. 27 e n, 45 e n, 49, 67 e n, 73-74n, 75n-77n, 80, 81n-82n, 85n, 88, 90 e n, 94, 124 e n, 128 e n, 130n Sotgiu G. 59n Soutou, G.-H. 13n, 14, 22, 233n Spartacus 275-277, 279 Quaranta V. 156 e n, 161 e n, 186n Quercia (Tenente) 243-245, 246 e n, 247-248 e n, 250-251 e n Rabinowitz A. (anche J. Rubinovitch) 158 e n-160 e n Rabinovič I.M. 159n Rabezzana P. 50n Radek K.B. (anche Ziberlsohn) 219, 280 Ragionieri E. 44n Raskloljkoff (vedi Iljen) Rathkolb O. 23 Reich 220 Reidel J. 100n Reina E.L. 149 Renner K. 164, 166, 178-179, 181 e n182 Revo L. 173n Ridolfi M. 123n Rochat G. 80n Romanelli G. 122, 132 e n-134, 147, 201, 271 Romano A. 43n, 141n Romita G. 50, 149 Rosenfeld (alias Korenjeeff) 280 Rossi A. (vedi A.Tasca) Rossi M. 204n Ruegg P. (alias L. Polano, alias A. Masuc) 107 e n Ruggeri S. 21 Russo (barone) 67 e n, 78n Russo A. 131n Sabbatucci G. 27n Sacchetti G. 101n Saija M. 90n, 186n Salandra A. 29n, 49, 220, 242n Salotti G. 50n Salvemini G. 29n, 220n Santarelli E. 80n, 202n Saretti 175 Sassoon D. 196n, 256n Savanti P. (anche Savanzi) 195 307 Spriano P. 50n, 99n, 110n, 141n, 143n, 172n, 221n Šrejder G. (anche G. Schreider) 193n, 198 Stabilio 173n Steinhardt K. 62 Stene L. (alias Kagan, vedi Borisovic) Stimmer (alias Sukanoff) 280 Stofle C. (anche Stolfa G.) 106-107n Subbrero G. 110n Svesdin (vedi Birustein) Szamuely 121-122 Szántó Z. 167 Szivssj R.E. 100n Ulam A.B. 72n, 205 e n Ustori F. 240 Vainstein J. 259n Valentino 180-181n Vallauri C. 172n Valvassori Peroni A. 236 e n Varsori A. 22, 25n, 67n, 92n Vella A. 97, 163, 166 e n, 167 e n-168 e n, 172, 183 e n Venturi A. 30 e n, 149n, 150n-151n, 152n, 155n, 157n-158n, 164n, 194n-195n Venturi F. 16 e n, 31n Vetritto G. 92n Vicario A. 232-233n Vigliani G. 151-152n, 209n, 241 e n Vilshtein (vedi D. Ioffe) Vincenti L. 195 Vitale A. 35, 37-39 Vitale (Addetto militare) 248 e n-249n Vittorio Emanuele (Re d’Italia) 144 Vivarelli R. 95n, 157n Vodovozov M. (anche Vodovosoff) 152-153, 155-156, 193, 198, 232 Volkoff (vedi G. Gordenko) Volkonskij A.M. (anche A. Wolkonsky) 198n Volpi G. 202n Volta 174n Vorovskij V. 196, 206, 210, 217 e n, 232, 238 Vrangel’ K. 34-35n (anche C. Wrangel) Tacchini M. 102n Tacirca V. 1390n Tacoli A. 82 e n-83n, 84 e n-85, 128129 e n, 130 e n-131 Tamborra A. 16 e n, 31n, 32 e n-33n, 64n Tasca A. (alias A. Rossi) 11 e n Taski 36 Teleki P. 183 Tittoni T. 125, 134 e n-135 e n, 137, 140, 145 e n, 269 Tolmačevskij (anche Tolmacewski, Sottotenente) 40 e n, 42 Tolomelli C. 265n Tolstoj L. 72 e n, 198 Tomann C. 165 Tomasi della Torretta P. (anche della Torretta o Torretta) 28-29, 65 e n, 78 e n, 166 e n, 178 e n-179 e n, 181n, 210n, 225, 235 e n Tomassini L. 163n Tonello E. 139 e n, 146n Tonello G.B. 139n Tosi L. 45n Totaro C. 243 Tremi V.E. 280, 282 Treves C. 32, 51n, 63, 149, 171n Troelstra P.J. 74 e n Trockij L. 62, 219 Turati F. 32, 46n, 51n, 63-64 e n, 199 Turpin F. 26n Turr S. 131 e n Tzenovitch A. (vedi P.Filippi) Wax (fratelli) 35, 37-38, 40n, 41, 55, 155, 198, 263, 268 Weismann (Commissario tedesco) 205 Weldexberg (alias Meschkffuky) 280 Wilson H. 243n Wilson T.W. 11, 73, 85n, 91, 130n, 136 Wise E.F. 206n Wolikow S. 175n Woodward E.L. 140n, 206n Wrangel P.N. 260 308 Yerofeev (alias M. Asiev, capo dell’Ufficio di spionaggio sovietico presso la missione sovietica a Tiflis) 259 Zaslavsky V. 49n Zellarius 213 Zeno L. 92n Zentini (anche Zerbini) 58n Ziberlsohn (alias Radek) 280 Zichy J. 85 Zilassy J. 130n Ziminej 104n Zimmermann A. 217-218 e n. 269 Zinov’ev G. 205, 209, 219, 231 Zocca E. 50n Zupelli V.I. 61 Zurufa 220 Zachariadis N. (anche Zacarias), 215 e n, 225 Zaganrellj G. 233 Zalewsky A. (anche Zalewski) 202 e n Zannoni A. 173n Zanotti-Bianco U. 194 Zappa 58n Zarardi G. 116 309