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LORENZO MARILOTTI LA VALUTAZIONE DEL PREFETTO NELL’INTERDITTIVA ANTIMAFIA SOMMARIO: 1. Lo strumento dell’informazione interdittiva antimafia ed il suo ruolo nel diritto della prevenzione. – 2. Il potere valutativo del Prefetto. – 3. Il giudizio prognostico/probabilistico. – 4. I parametri forniti dagli artt. 84 e 91 del codice e le situazioni indiziarie individuate dalla giurisprudenza. – 5. Conclusioni: la possibilità di sindacare le valutazioni del Prefetto in sede giurisdizionale. 1. Lo strumento dell’informazione interdittiva antimafia ed il suo ruolo nel diritto della prevenzione. – Nel sistema delineato dal libro II del d.lgs. 159/2011 (il c.d. codice antimafia), l’informazione costituisce, con la comunicazione, uno dei due istituti che formano la documentazione antimafia. L’art. 84 definisce l’informazione come l’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’art. 67 (1), nonché l’«attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate» (2). Nella parte in cui l’art. 84, comma 3°, fa riferimento all’art. 67, il contenuto dell’informazione è vincolato, in analogia con la comunicazione antimafia, poiché la norma impone che essa si limiti ad attestare l’esistenza di un provvedimento definitivo di prevenzione personale emesso dal Tribunale. (1) L’art. 67 d.lgs. 159/2011 individua, al comma 1° (lett. a), b), c), d), e), f ), g), h)), un vasto elenco di attività precluse ai soggetti colpiti da provvedimento di prevenzione definitivo. (2) Art. 84, comma 3°, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. Cfr. M.A. RIZZI, La documentazione antimafia, in M.E. MALAGNINO (a cura di) Il Codice antimafia. Commento al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, Torino, 2011, pp. 239-240; V. SALAMONE, Il sistema della documentazione antimafia-normativa e giurisprudenza, in www.giustizia-amministrativa.it, 27 marzo 2019; G. D’ANGELO, La documentazione antimafia nel d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159: profili critici, in Urbanistica e appalti, 3, 2013, p. 256 ss.; R. CANTONE, La riforma della documentazione antimafia: davero solo un restyling?, in Giornale dir. amm., 8, 2013, p. 888 ss. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 24 RIVISTA GIURIDICA SARDA La disposizione prevede anche un contenuto discrezionale nella parte in cui è il Prefetto a rilevare la sussistenza dei tentativi di infiltrazione, attraverso i parametri indicati negli artt. 84, comma 4°, e 91, comma 6°, del codice antimafia. In particolare, alcuni elementi sono indicati ope legis come sintomatici di infiltrazione dall’art. 84, comma 4°, lettere a), b), c), f ), mentre le lettere d) ed e), e l’art. 91, comma 6°, contemplano un consistente potere valutativo in capo al Prefetto (3). Proprio in ragione di questo potere valutativo, l’informazione è considerata dalla dottrina «lo strumento più idoneo - rispetto alle comunicazioni - per realizzare un efficace sistema di controllo preventivo-amministrativo ad ampio raggio e, in particolare, sul pericolo di infiltrazione criminale nel settore degli appalti pubblici» (4): essa costituisce pertanto la «massima anticipazione dell’azione di prevenzione» dall’infiltrazione mafiosa attuata dallo Stato nel delicato settore della tutela dell’economia pubblica (5). Rispetto alle stagioni della guerra aperta contro lo Stato, attualmente la mafia si muove nell’universo economico attraverso schemi sempre più asimmetrici (6), e questo le consente di allungare i suoi tentacoli in settori nei quali può essere smascherata solo con strumenti che consentano di attuare una «capillare attività di monitoraggio territoriale», in grado di rispondere ad una «minaccia asimmetrica», con una «frontiera avanzata della prevenzione» (7), della quale l’informativa della Prefettura costituisce, appunto, un importante baluardo difensivo. (3) V. SALAMONE, Il sistema della documentazione antimafia-normativa e giurisprudenza, cit.; cfr. M. NOCCELLI, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, in Foro amm. (Il), fasc. 12, 2017, p. 2524 ss. (4) M.A. RIZZI, La documentazione antimafia, cit., p. 240. (5) Cfr. Cons. St., Sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2867; Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758. Sul punto M. NOCCELLI, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, cit., p. 2526, nonché N. DURANTE, L’interdittiva antimafia, tra tutela anticipatoria ed eterogenesi dei fini, in www.giustizia-amministrativa.it, 26 novembre 2018, passim. (6) Rispetto agli anni ’90, «metodi e obiettivi hanno sempre più accentuato i caratteri della adattabilità alle circostanze più favorevoli al profitto ingente e facile, della imprevedibilità di strategie grazie alla estrema flessibilità nel mutamento di operazioni, alleanze e strategie e della graduale, ma costante penetrazione, con una serie di atti apparentemente non eccezionali o eclatanti, nei più diversi contesti della economia legale, e con una proiezione ormai anche internazionale»: cfr. Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758. (7) Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 25 Attraverso la legislazione antimafia è possibile prevenire «l’insidia della contiguità compiacente accanto a quella c.d. soggiacente», cioè i contegni di quegli imprenditori che, essendo anche eventualmente estranei al fenomeno criminale, «si pongono su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale» (come espresso anche dalla celebre sentenza del Cons. St., Sez. III, 1743/2016). Del resto, come è stato messo in luce dalla giurisprudenza, il pericolo generato da tali condotte non riguarda solo la tutela della pubblica sicurezza e della sana e regolare organizzazione dell’attività economica, ma anche, e soprattutto, la dignità della persona, ex art. 2 Cost., anche in ambito economico. Questo fondamentale valore ben può operare anche «come limite all’attività di impresa» (8) (ex art. 41, comma 2°, Cost.), laddove l’attività imprenditoriale lo rinneghi, come appunto fa la mafia, trasformandolo in «un valore negoziabile nel «patto di affari» stipulato con l’impresa, nel nome di un comune o convergente interesse economico a danno dello Stato» (9). Peraltro, gli effetti conseguenti all’informativa possono essere particolarmente gravosi per l’attività di impresa: per questo, è essenziale definire quale sia la portata del potere valutativo prefettizio. (8) Infatti, come rilevano i giudici di Palazzo Spada, «la disposizione costituzionale prevede che l’iniziativa economica privata, libera, «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o – secondo un climax assiologico di tipo ascendente – in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»; e senza dubbio «qualsiasi forma di contiguità imprenditoriale alla mafia, sia essa soggiacente o, ancor peggio, compiacente, sia un attentato alla libertà dell’impresa, di ogni impresa che voglia regolarmente operare sul mercato, e alla dignità della persona umana, asservita per ragioni economiche a fini di associazioni pericolosamente operanti in radicale antitesi rispetto allo Stato». Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758. La sua natura di provvedimento amministrativo di natura cautelare e preventiva che attua un bilanciamento tra tutela dell’ordine e della sicurezza e la libertà di iniziativa economica, ex art. 41 Cost., è da tempo stata messa in luce, da ultimo da Cons. St., Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3. (9) Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758; vieppiù che questo patto «a discapito del nome è pur sempre una forma di condizionamento, diretto o indiretto a seconda dei casi, esercitato dalla mafia per asservire uomini e mezzi ai suoi fini illeciti e, quindi, una minaccia per la dignità di quegli imprenditori che questo patto stipulano, nell’illusoria prospettiva di un affare, anzitutto contro di sé»; infatti, «chi contratta e collabora con la mafia […] per convenienza o connivenza, non è mai soggetto, ma solo oggetto di contrattazione». Si veda anche Corte cost., 7 dicembre 2017, n. 258; cfr. P. TONNARA, Informative antimafia e discrezionalità del Prefetto, nota a Cons. St., Sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565, in Urbanistica e appalti, 2, 2017, p. 223 ss.; sulla necessità di tutelare il diritto costituzionale alla libera iniziativa economica privata, si veda M. GIUSTINIANI-P. FONTANA, Informazioni interdittive antimafia-La tutela nei confronti delle infiltrazioni mafiose nelle attività economiche, nota a Cons. St., Sez. III, 8 marzo 2017, n. 1109, in Giur. it., 6, 2017, p. 1414 ss. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 26 RIVISTA GIURIDICA SARDA Infatti, l’ampiezza dei parametri e della discrezionalità dei poteri del Prefetto, previsti dal codice antimafia nella disciplina dell’informazione, ex artt. 84, comma 4°, lett. d) ed e) e 91, comma 6°, sconta un deficit di tipicità, come quello ravvisato dalla Corte EDU in materia di misure di prevenzione personali (art. 1 del codice), nella sentenza «De Tommaso c. Italia» (10). L’interdittiva è provvedimento tipico e nominato, perché, appunto, ha un nome e degli effetti previamente definiti dal legislatore; ad ogni modo, è, però, altrettanto vero che il potere che ne sta alla base non è circoscritto, perché i presupposti e i criteri di esercizio sono definiti con concetti giuridici indeterminati, la cui precisazione avviene in concreto da parte del Prefetto, e quindi attraverso la sua personalissima valutazione soggettiva. Inoltre, non basta dire che la perimetrazione avviene attraverso il «fine antimafia», perché lo stesso «fine antimafia» è concetto generico, a determinazione soggettiva (11). Va anche segnalato che il Consiglio di Stato ha chiarito l’opportunità di distinguere ed affrancare la materia del diritto della prevenzione, del quale l’informativa è espressione, dalle categorie penalistiche, poiché «l’accertamento della permeabilità mafiosa prescinde dagli esiti del giudizio penale, eventualmente instaurato, non essendovi alcun rapporto di pregiudizialità, condizionalità o ancillarità tra il giudizio penale e quello amministrativo» (12). Se sussistesse un rapporto di presupposizione tra il giudizio penale e l’informativa, verrebbe meno «l’indubbio valore aggiunto che il diritto della pre(10) Corte EDU, 23 febbraio 2017, ric. n. 43395/09. Sul punto si veda V. MANES, Dalla «fattispecie» al «precedente»: appunti di «deontologia ermeneutica», in Cassazione penale, fasc. 6, 1 giugno 2018, pp. 2235-2236. Per G. AMARELLI, Dalla legolatria alla post-legalità: eclissi o rinnovamento di un principio?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, fasc. 3, 1 settembre 2018, p. 1421, la legalità penale sarebbe stata «aggirata dallo stesso legislatore parlamentare chiamato a governarla, generando situazioni estremamente dubbie sul versante della legittimità costituzionale come il doppio binario sanzionatorio, le misure di prevenzione, le misure di sicurezza patrimoniali e l’interdittiva antimafia ecc., tramite il ricorso a quelle che Kolrausch definiva già nel 1924 frodi delle etichette, vale a dire scelte nominalistico-formali del legislatore che determinano cripto-aggiramenti delle garanzie costituzionali». (11) Cfr. V. MANES, Dalla «fattispecie» al «precedente»: appunti di «deontologia ermeneutica», cit., pp. 2235-2236; G. AMARELLI, Dalla legolatria alla post-legalità: eclissi o rinnovamento di un principio?, cit., p. 1415 ss. (12) L’informativa, dunque, è estranea «a logiche repressive, di stampo penale, «parapenale» o «panpenale». Cfr. M. NOCCELLI, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, cit., p. 2527, nonché N. DURANTE, L’interdittiva antimafia, tra tutela anticipatoria ed eterogenesi dei fini, cit., passim. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 27 venzione assume, seppure sotto l’attento sindacato del giudice amministrativo, quanto agli elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa, che, come detto, non è un fatto di reato, ma un evento di pericolo rilevante a fini preventivi» (13). E, del resto, nella stessa sentenza De Tommaso, la Corte EDU ha ricordato che se «la certezza è altamente auspicabile», la sua ricerca «può portare come strascico una eccessiva rigidità, e la legge deve essere in grado di tenere il passo con il mutare delle circostanze» (14). Su questa linea è anche la giurisprudenza penale, la quale ritiene che le misure di prevenzione siano compatibili con la CEDU (15). La valutazione sottesa a questa materia è perciò particolarmente delicata non solo perché la normativa in esame, al fine di contrastare in via preventiva le insidie della mafia, affida al Prefetto una valutazione decisamente soggettiva, ma anche perché essa è l’esito di un procedimento amministrativo atipico, dove le garanzie canoniche del contraddittorio procedimentale sono limitate: la partecipazione dell’interessato è infatti circoscritta essenzialmente al caso (13) A questo proposito, il Consiglio di Stato ritiene che, «ferma restando ovviamente, se del caso, ogni competenza del giudice europeo per l’applicazione del diritto convenzionale e, rispettivamente, della Corte costituzionale per l’applicazione delle disposizioni costituzionali, non sia prospettabile alcuna violazione dell’art. 1, Protocollo 1 addizionale, CEDU, con riferimento al diritto di proprietà, e, per il tramite di tale parametro interposto, nessuna violazione dell’art. 117 Cost., per la mancanza di una adeguata base legale atta ad evitare provvedimenti arbitrari». Per questo, «l’applicazione delle categorie penalistiche e la traslazione delle istanze proprie del diritto punitivo a questa materia, del tutto estranee alle misure di prevenzione, reca […] in sé una contraddizione di fondo insuperabile, e le premesse della loro stessa dissoluzione al vaglio di un non necessario e non richiesto elevatissimo standard probatorio, che, si noti, nemmeno la stessa giurisprudenza penale richiede nella verifica delle «contigue» e ben più invasive misure di prevenzione personali o patrimoniali, non a caso, e comunque, presidiate da guarentigie giurisdizionali più forti». Ne consegue «la necessità […] di affrancare questa materia da valori e logiche proprie del diritto punitivo, alla quale non appartiene, e da un più o meno consapevole, inappropriato, panpenalismo, senza lasciarsi traviare dal solo superficiale, epidermico, accostamento tra le misure di prevenzione personali e patrimoniali, disciplinate dal I libro del codice antimafia, e il sistema della documentazione antimafia, disciplinato, invece, dal II libro dello stesso codice». Cfr. Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758. (14) Rileva la Corte di Strasburgo che «molte leggi sono inevitabilmente formulate in termini che, in misura maggiore o minore, sono vaghi e la cui interpretazione e applicazione sono questioni di pratica»: per questo, «una legge che conferisce una discrezionalità deve indicare la portata di tale discrezionalità»; cfr. Corte EDU, 23 febbraio 2017, ric. n. 43395/09, §§ 107-108. (15) Infatti, «il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una condizione personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale»; Cass. pen., Sez. II, 1 marzo 2018, n. 30974. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 28 RIVISTA GIURIDICA SARDA dell’art. 93, comma 7°, del codice antimafia, in virtù del quale il Prefetto, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisiti, può invitare, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre ogni informazione ritenuta utile, anche allegando elementi documentali. Dal canto loro, giurisprudenza e dottrina hanno da tempo chiarito che la natura di tali misure è sostanzialmente preventiva e la loro struttura è «parzialmente derogatoria rispetto alle regole generali del procedimento amministrativo, con l’attenuazione delle garanzie previste dalla l. n. 241 del 1990 in ragione delle imperative e preminenti esigenze di ordine pubblico sottese alle misure antimafia» (16). In particolare, in tali procedimenti non sono previsti né la comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7, l. 241/1990, né le garanzie ordinarie di partecipazione del privato. Inoltre, il provvedimento di informazione antimafia è di carattere essenzialmente vincolante per le amministrazioni destinatarie della documentazione antimafia: queste sono, infatti, tenute a recepire l’effetto interdittivo senza che residuino margini di discrezionalità; ciò implica che, a norma dell’art. 21octies, comma 2°, l. n. 241 del 1990, non abbia rilievo alcuno «l’esistenza di errori procedimentali» compiuti nell’emanare i provvedimenti consequenziali al provvedimento prefettizio (17). È dunque evidente la debolezza della tutela procedimentale dell’imprenditore e della sua attività, in questo contesto: nel limitatissimo perimetro in cui è ammessa, la partecipazione è comunque rimessa alla valutazione personale del Prefetto, che «può» disporla, «ove lo ritenga utile» (18). Va inoltre rilevato un altro problema, attinente agli interessi pubblici diversi dalla prevenzione delle infiltrazioni mafiose: si trat(16) Sul punto M. NOCCELLI, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, cit., p. 2526. (17) Sul punto si vedano Cons. St., Sez. III, 28 ottobre 2016, n. 4555; Cons. St., Sez. III, 12 marzo 2015, n. 1292; Cons. St., Sez. III, 24 luglio 2015, n. 3653. (18) Del resto, però, per certa giurisprudenza, il contraddittorio procedimentale «non è un valore assoluto, slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, essendo la disciplina del procedimento amministrativo «rimessa alla discrezionalità del legislatore nei limiti della ragionevolezza e del rispetto degli altri principi costituzionali» (Corte cost., 19 marzo 1993, n. 309), «né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma 2°, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo» (Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758). RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 29 ta di quelli sottesi al contratto già stipulato. Esso ben potrebbe infatti essere coinvolto dall’interdittiva antimafia, laddove il Prefetto ne moduli gli effetti, in particolare imponendo l’interruzione del rapporto contrattuale e così operando nell’ambito di competenza delle relative amministrazioni, in loro sostituzione (19). Sul punto, la dottrina ha manifestato perplessità, poiché un conto è che le prefetture «valutino l’opportunità di adottare le misure anticorruzione, altra cosa è che debbano, a monte, vagliare anche l’opportunità della continuazione del rapporto in luogo delle amministrazioni che vi sono naturalmente deputate» (20). Infatti, se è innegabile «che questa ingerenza prefettizia possa essere un’efficiente soluzione pratica per superare le titubanze delle amministrazioni nell’avvalersi della facoltà di continuare il rapporto nonostante l’interdittiva», essa non è immune dal porre seri dubbi di costituzionalità, in particolare se vi sono coinvolte Amministrazioni aventi competenze che godono di garanzie costituzionali (21). Sul punto, dunque, sono state avanzate due proposte di modifica, de iure condendo, all’attuale normativa. Una prima, che limita la competenza del Prefetto alle mere valutazioni in tema di tutela dell’economia pubblica dalla mafia, rimettendo a ciascuna amministrazione la valutazione dell’interesse pubblico «altro», di propria competenza: così, sarà l’Amministrazione a decidere, «pur in presenza dei rigorosi presupposti di legge» se continuare il rapporto, «mentre alle prefetture spetterebbe semmai, in seconda battuta, di adottare o meno le misure anticorruzione». Una seconda ipotesi di modifica, invece, potrebbe consistere nella previsione che il Prefetto richieda un parere alle Amministrazioni interessate, «nel maggior rispetto possibile dell’urgenza», e «con esclusivo riferimento alla valutazione dell’interesse pubblico «altro» alla conti( 19) Infatti, «l’obiettivo che ineludibilmente legittima e caratterizza i poteri anticorruzione, anche in ragione degli organi coinvolti, è la sterilizzazione della presenza criminale, ma non vi è dubbio che, nel caso dell’interdittiva, la legge demanda ai prefetti anche la tutela degli interessi pubblici «altri» all’eventuale continuazione del rapporto». Cfr. M. M AZZAMUTO, Prevenzione amministrativa antimafia-le interdittive prefettizie tra prevenzione antimafia e salvataggio delle imprese, nota a Cons. St., Sez. III, 27 luglio 2018 , n. 4620 , in Giur. it., 10 , 2018 , p. 2222 . (20) M. MAZZAMUTO, Prevenzione amministrativa antimafia-le interdittive prefettizie tra prevenzione antimafia e salvataggio delle imprese, cit., p. 2222. (21) M. MAZZAMUTO, Prevenzione amministrativa antimafia-le interdittive prefettizie tra prevenzione antimafia e salvataggio delle imprese, cit., p. 2222. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 30 RIVISTA GIURIDICA SARDA nuazione del rapporto e non in relazione all’adozione o meno delle misure anticorruzione» (22). Stante questo quadro, il descritto potere prefettizio pare avvicinarsi a quello contingibile e urgente, e che, per questo, possa facilmente debordare nell’autoritarietà e nell’abuso, qualora il suo esercizio non si attenga scrupolosamente ai principi garantistici del Diritto amministrativo, e, in particolare, alla legalità formale ed all’imparzialità, nella forma della proporzionalità e del minimo mezzo. Da sempre il potere che fronteggia eventi o fenomeni considerati straordinari pone questioni di tutela delle garanzie, perché lo straordinario giustifica l’alterazione del procedimento: è, dunque, opportuno definire i contorni del potere valutativo che la normativa in esame affida alla Prefettura, tra l’esigenza di impedire efficacemente le infiltrazioni mafiose e, dall’altro lato, la necessità che il consistente potere prefettizio non esca dal sentiero della legalità e non pregiudichi i diritti costiuzionalmente garantiti dell’imprenditore. 2. Il potere valutativo del Prefetto. – Come già accennato, l’ampiezza dei poteri valutativi in capo al Prefetto, per il rilascio dell’informativa, discende dalle clausole generali di cui il codice antimafia fa largo uso negli artt. 84 e 91. In dottrina e in giurisprudenza si ritiene che esse non costituiscano «una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa, imprevedibile per il cittadino e insindacabile per il giudice» (23). Infatti, è ben possibile che, in ragione degli attuali caratteri dell’azione della mafia, il Prefetto si trovi a compiere valutazioni atipiche, in ragione degli elementi rilevati attraverso gli accertamenti disposti: il pericolo di infiltrazione della mafia, però, costituisce «sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio», segnando i confini della sua discrezionalità. (22) In tal caso, «se si ritenesse anche quest’ultima soluzione conforme al vincolo costituzionale, si potrebbe persino immaginare qualcosa di più, con un effetto significativo di semplificazione: in presenza di un’interdittiva, attribuire sempre e comunque alle prefetture, con l’ineludibile garanzia del suddetto parere, la decisione sulla eventuale continuazione del rapporto, anche, in ipotesi, senza adottare misure anticorruzione, unificando e superando la divaricazione tra normativa anticorruzione e codice antimafia». M. MAZZAMUTO, Prevenzione amministrativa antimafia-le interdittive prefettizie tra prevenzione antimafia e salvataggio delle imprese, cit., p. 2223. (23) Cons. Stato, Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 31 Sempre secondo l’opinione prevalente, ancorare l’informazione «a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore», circoscrivendovi il potere valutativo discrezionale, renderebbe il relativo provvedimento essenzialmente vincolato e fondato «su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa». Più in generale, negare al Prefetto la possibilità di valutare elementi atipici «vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia» (24). D’altro canto, sempre secondo il prevalente orientamento dottrinale, la Prefettura, vincolata al rispetto dei sommi principi di imparzialità e buon andamento, ex art. 97 Cost., non assume in maniera acritica ed automatica gli elementi indiziari, anche se tipizzati dal legislatore, ma valuta se questi siano provvisti di «individualità, concretezza ed attualità». E la valutazione avviene attraverso una struttura bifasica, costituita dalla «diagnosi dei fatti rilevanti» e dalla «prognosi di permeabilità criminale» (25). Sulla base delle valutazioni prefetti(24) Cons. Stato, Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758. Questa finalità, come ritiene anche la Corte EDU, non può prescindere dal costante aggiornarsi al «mutare delle circostanze»; cfr. la già richiamata sentenza della Corte EDU, 23 febbraio 2017, ric. n. 43395/09, «De Tommaso c. Italia». Le informazioni antimafia, per Noccelli, sono caratterizzate da uno «spiccato momento di autonomia valutativa da parte del Prefetto, nel soppesare il rischio di permeabilità mafiosa dell’impresa, di contenuto discrezionale», dal momento che «ben possono prescindere dagli esiti delle indagini preliminari o dello stesso giudizio penale, che comunque la Prefettura ha il dovere di esaminare in presenza dei cc.dd. delitti spia (art. 84, comma 4°, del d. lgs. n. 159 del 2011), non vincolanti per l’apprezzamento che, a fini preventivi, la Prefettura è chiamata a compiere in ordine al rischio di condizionamento mafioso». Cfr. M. NOCCELLI, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, cit., p. 2524 ss.; a tal proposito, in Cons. St., Sez. III, 2 marzo 2017, n. 892, si rileva che il Prefetto «deve necessariamente tenere in conto l’emissione o, comunque, il sopravvenire di un provvedimento giurisdizionale, nel suo valore estrinseco, tipizzato dal legislatore, di fatto sintomatico dell’infiltrazione mafiosa a fronte di uno dei delitti-spia previsti dall’art. 84, comma 4°, lett. a), del codice delle leggi antimafia, ma deve nel contempo effettuarne un autonomo apprezzamento, nel suo contenuto intrinseco, delle risultanze penali, senza istituire un automatismo tra l’emissione del provvedimento cautelare in sede penale e l’emissione dell’informativa ad effetto interdittivo». (25) Dunque, il potere prefettizio dovrebbe trovare un limite «solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico». Tale procedimento non diverge da quello compiuto dal giudice penale per le misure di sicurezza personali, «lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito». Cfr. Cons. St., Sez. III, RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 32 RIVISTA GIURIDICA SARDA zie, espresse in sede di motivazione dell’informativa, il giudice amministrativo valuterà il quadro indiziario in merito al pericolo di infiltrazione, avendo pieno accesso ai fatti sintomatici del pericolo, e questo gli consentirà «non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti, secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico, per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame» (26). La dottrina ha ulteriormente osservato che gli elementi indiziari «devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata». Allo stesso modo, al giudice amministrativo spetta un approfondito esame di questi elementi, sia singolarmente che nella loro complessità, al fine di garantire la piena tutela alle imprese, evitando che astrattamente l’Amministrazione possa abusare di un potere discrezionale, che è certamente «ampio, ma non indeterminato» (27). Il Consiglio di Stato ha inoltre precisato che ragionevolmente il Prefetto può basare la propria valutazione anche su un solo elemento indiziario, ove questo generi una presunzione «ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari» (28). 31 gennaio 2019, n. 758; sul procedimento valutativo del giudice penale in tema di misure di sicurezza personali si veda Cass., S.U., 30 novembre 2017, n. 111. (26) Secondo questa opinione, dunque, grazie al sindacato sull’eccesso di potere per vizi della motivazione sull’informativa, «anche quando questa rimandi per relationem agli atti istruttori», è possibile evitare il rischio che «la valutazione del Prefetto divenga una «pena del sospetto» e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio»; cfr. Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758; si veda anche A. MEZZOTERO A.-S.P. PUTRINO GALLO, Il sistema delle informative antimafia nei recenti arresti giurisprudenziali, in Rassegna avvocatura dello Stato, 2, 2017, pp. 230-231. (27) V. SALAMONE, Il sistema della documentazione antimafia-normativa e giurisprudenza, cit.; si veda Cons. St., Sez. III, 8 marzo 2017, n. 1109; per l’Autore, ai sensi dell’aggiornamento, ex art. 91, comma 5°, del codice antimafia, tali principi trovano «un punto di equilibrio fondamentale e uno snodo della disciplina di settore, sia in senso favorevole che sfavorevole all’impresa, nella misura in cui si impone all’autorità prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti – se non noti – e si consente all’impresa stessa di rappresentarli all’autorità stessa, laddove da questa non conosciuti»; cfr. anche Cons. St., Sez. III, 5 ottobre 2016, n. 4121. Per Palazzo Spada, il giudice deve valutare le risultanze dell’istruttoria nel loro complesso; cfr. Cons. St., Sez. III, 15 aprile 2019, n. 2413. (28) Questo orientamento porta con sé la conseguenza che «il requisito della concordanza, previsto dall’art. 2729 c.c., perde il carattere di requisito necessario e finisce per essere elemento even- RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 33 Per quanto concerne la motivazione della valutazione prefettizia, al suo interno dovranno essere indicati, con precisione, gli elementi di fatto, nonché, «anche mediante il rinvio, per relationem, alle relazioni eseguite dalle Forze di Polizia, le ragioni che inducono a ritenere probabile che da uno o più di tali elementi, per la loro attualità, univocità e gravità, sia ragionevole desumere il pericolo concreto di infiltrazione mafiosa nell’impresa» (29). 3. Il giudizio prognostico/probabilistico. – Per la costante giurisprudenza di Palazzo Spada, il pericolo di infiltrazione mafiosa, essendo per definizione probabilità di infiltrazione, deve essere valutato dal Prefetto «secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere «più probabile che non», appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa» (30). Questo pericolo non può tuttavia discendere da un mero sospetto del Prefetto o in una vaga intuizione del giudice: se fosse così, l’istituto dell’informativa, da pietra angolare del sistema antimafia, diverrebbe simbolo di un «diritto della paura»; deve, invece, essere fondato su una attenta valutazione delle condotte sintomatiche, avvalorate da elementi fattuali, ricavabili sia nelle tipizzazioni tuale della valutazione presuntiva, destinato ad operare solo laddove ricorra una pluralità di presunzioni»; cfr., Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743; ex plurimis, Cass., Sez. I, 26 marzo 2003, n. 4472. (29) Cosicché, «se la valutazione unitaria non traspare dagli atti del procedimento, occorre che essa sia effettuata dal Prefetto, con una motivazione che può anche non essere analitica e diffusa, ma che richiede un calibrato giudizio sintetico su uno o anche più di detti elementi presuntivi, sopra indicati». Cfr. Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743. (30) Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758; Sez. III, 26 febbraio 2019, n. 1349 e Sez. III, 20 febbraio 2019, n. 1182; cfr. Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743; Cons. St., Sez. III, 7 ottobre 2015, n. 4657. Sul punto si veda anche Cass. civ., Sez. III, 18 luglio 2011, n. 15709, ove si afferma che «la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non, mentre nel processo penale vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio»; cfr. Cons. St., Sez. III, 26 aprile 2017, n. 1923; Sez. III, 28 giugno 2017, n. 3173. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 34 RIVISTA GIURIDICA SARDA (come per il caso dei c.d. delitti spia) che nelle clausole generali definite negli artt. 84 e 91 del codice antimafia (31). Assume, dunque, un ruolo decisivo il criterio civilistico del «più probabile che non», che si pone «quale regola, garanzia e, insieme, strumento di controllo, fondato anche su irrinunciabili dati di esperienza, della valutazione prefettizia», e che consente di verificare «la correttezza dell’inferenza causale che, da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa». Questo tipo di ragionamento si differenzia nettamente dalle logiche del diritto punitivo e dal sistema sanzionatorio, dove invece «vige la regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale» (32). Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato, dunque, secondo una logica probabilistica integrata dai dati della comune esperienza ricavabili da fenomeni sociali, come è, appunto, quello mafioso. Perciò gli elementi posti a fondamento dell’informazione non necessariamente devono essere di rilievo penale e, anzi, possono anche essere stati oggetto di procedimento penale con esito di proscioglimento o assoluzione (33). (31) Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758. (32) V. SALAMONE, Il sistema della documentazione antimafia - normativa e giurisprudenza, cit.; la valutazione in merito all’interdittiva, prevista dal codice antimafia, «non richiede né la prova oltre ogni ragionevole dubbio che questa infiltrazione sia in atto, né in quale misura essa condizioni le scelte dell’impresa, poiché esigere una simile dimostrazione, analoga allo standard probatorio richiesto per il giudizio penale anche nella sola forma del delitto tentato (art. 56 c.p.a.), non solo significherebbe costruire una fattispecie di danno e non più di pericolo, ma implicherebbe una serie di accertamenti e di ragionamenti evidentemente incompatibili con l’efficace, immediata, operatività dello strumento preventivo in questa materia, che si fonda sulla sola prova indiziaria e sul ragionamento sorretto dalla gravità, dalla precisione e dalla concordanza di tali elementi»; cfr. Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 758. La regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio è connessa con la presunzione di non colpevolezza (ex artt. 27, comma 2°, Cost. e 6 CEDU) e non riguarda l’informativa antimafia, dato che questa «non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale, ma riguarda la prevenzione amministrativa antimafia». Ibidem; cfr. G. IADECOLA, La spiegazione causale «più probabile che non» nelle pronunce della Cassazione: una possibile svolta verso (auspicate) posizioni di maggior equilibrio nella responsabilità civile del medico, in Riv. it. medicina legale, fasc. 6, 2010, p. 849 ss. (33) M. NOCCELLI, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, cit., p. 2524 ss. Infatti, «i fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare prescindono dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti, non necessarie per la sua emissione, ma sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che la mafia, in molteplici, cangianti e sempre nuovi modi, può esercitare sull’impresa anche al di là e persino contro la volontà del singolo»; ibidem. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 35 4. I parametri forniti dagli artt. 84 e 91 del codice e le situazioni indiziarie individuate dalla giurisprudenza. – Venendo ora più specificamente ai parametri che guidano il Prefetto nell’informativa, essi, come già visto, sono definiti dagli artt. 84 e 91 del codice antimafia (34): in particolare, l’art. 84, comma 4°, prevede sei differenti modalità attraverso le quali sono desunte le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, che danno luogo all’adozione dell’informativa antimafia interdittiva. Quattro di queste implicano un mero accertamento: si tratta di quelle definite dalle lett. a), b), c), f ) del comma 4° dell’art. 84. Il Prefetto, dunque, si limita ad accertare la sussistenza del requisito previsto dalla disposizione e, nello specifico: a) la presenza di provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per una serie di delitti (35); b) la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione; c) l’omessa denuncia all’autorità giudiziaria di una serie di reatispia, salvo che ricorra l’esimente di cui all’art. 4 della l. 24 novembre 1981, n. 689 (36); f ) le sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società, nonché nella titolarità delle imprese individuali, ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lett. a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei (34) Per una agile analisi delle ultime novità normative in tema di informativa si veda R. CANTONE, La riforma della documentazione antimafia: davvero solo un restyling?, in Giornale dir. amm., 8, 2013, p. 888 ss. (35) Ossia i delitti di cui agli artt. 353, 353-bis, 603-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648ter del codice penale, dei delitti di cui all’art. 51, comma 3°-bis, del codice di procedura penale e di cui all’art. 12-quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 1992, n. 356. (36) Ossia, i reati di cui agli artt. 317 e 629 del codice penale, aggravati ai sensi dell’art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla l. 12 luglio 1991, n. 203, da parte dei soggetti indicati nella lett. b) dell’art. 38 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste. Inoltre, ai sensi del comma 4°-bis dello stesso articolo, «la circostanza di cui al comma 4°, lettera c), deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente alla prefettura della provincia in cui i soggetti richiedenti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, hanno sede ovvero in cui hanno residenza o sede le persone fisiche, le imprese, le associazioni, le società o i consorzi interessati ai contratti e subcontratti di cui all’articolo 91, comma 1°, lettere a) e c) o che siano destinatari degli atti di concessione o erogazione di cui alla lettera b) dello stesso comma 1». RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 36 RIVISTA GIURIDICA SARDA soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia. Nelle lett. d) ed e) e nel comma 6° dell’art. 91, al contrario, la valutazione prefettizia si può basare: d) su accertamenti disposti dal Prefetto stesso, anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno (ai sensi del d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla l. 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all’art. 93 del codice antimafia); e) su accertamenti da effettuarsi in altra provincia, a cura dei Prefetti competenti, su richiesta del Prefetto procedente, ai sensi della lett. d). Ai sensi del comma 6° dell’art. 91, il Prefetto può anche «desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna, anche non definitiva, per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall’accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall’articolo 8bis della legge 24 novembre 1981, n. 689». Il legislatore fornisce un vasto elenco di situazioni sintomatiche, comprendenti una serie di elementi del più vario genere e, spesso, eterogenei se non, addirittura, di segno contrario, «frutto e cristallizzazione normativa di una lunga e vasta esperienza in questa materia» (37). Tali situazioni, tuttavia, non costituiscono un numerus clausus, bensì un catalogo aperto di elementi indiziari che assumono «forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento». E, proprio per questa mutevolezza, il legislatore ha delineato un catalogo di situazioni «aperto al costante aggiornamento della prassi» (38). (37) M. NOCCELLI, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, cit., p. 2527; cfr. V. SALAMONE, Il sistema della documentazione antimafianormativa e giurisprudenza, cit., passim; M.A. RIZZI, La documentazione antimafia, cit., pp. 241245. (38) Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743. Cfr. M. NOCCELLI, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, cit., p. 2530. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 37 Se, prima del 2016, gli orientamenti in merito agli elementi indiziari erano molteplici e talora contrastanti, poiché «adottavano un diverso criterio di giudizio, talvolta più rigoroso, talvolta più flessibile, nell’apprezzare il grado dimostrativo degli elementi sintomatici», con la celebre sen. 1743/2016, la terza sezione del Consiglio di Stato ha fornito delle importanti indicazioni interpretative (39). Infatti, nella sent. n. 1743, è stata definita una dettagliata casistica di elementi indiziari, davanti ai quali il Prefetto può legittimamente ritenere sussistente l’infiltrazione. Vieppiù che tale sussistenza ben può essere rilevata dal Prefetto anche sulla base di uno solo degli elementi. Procedendo con l’analisi delle situazioni indiziarie, innanzitutto rilevano i provvedimenti «sfavorevoli» del giudice penale, ossia quelli con i quali sia stata disposta una misura cautelare o il giudizio, o che rechino una condanna, anche non definitiva, per uno dei delitti-spia previsti dall’art. 84, comma 4°, lett. a), e 91, comma 6°, del codice antimafia (40). (39) M. NOCCELLI, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, cit., p. 2527; cfr. V. SALAMONE, Il sistema della documentazione antimafia-normativa e giurisprudenza, cit., passim. In seguito alla sent. 1743/2016, «molte Prefetture hanno recepito le principali indicazioni, provenienti dall’orientamento interpretativo ormai costantemente seguito dal Consiglio di Stato, e si sono impegnate in un maggiore sforzo motivazionale dei provvedimenti antimafia, in coerenza con le linee dettate in detta sentenza, al punto che la percentuale di annullamento di tali provvedimenti, nel secondo e definitivo grado del giudizio amministrativo, risulta allo stato molto bassa e, sostanzialmente, inferiore al 10%»; parallelamente, la giurisprudenza della terza sezione «si è attestata su una interpretazione per la quale la finalità preventiva dell’istituto e la conseguente necessità di valutarne la motivazione secondo un criterio di probabilità logica devono misurarsi con il quadro indiziario, sovente eterogeneo a seconda delle realtà locali, e comunque sempre mutevole nel tempo, del fenomeno infiltrativo mafioso nel mondo imprenditoriale, dovendo porsi al passo con la rapida evoluzione dell’economia nell’ambito di un sistema ormai improntato alla c.d. globalizzazione e alla dimensione internazionale dei flussi finanziari e degli scambi economici»; ibidem. (40) E tra questi, particolare rilievo hanno quelli di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.), turbata libertà di scelta del contraente (art. 353-bis c.p.), estorsione (art. 629 c.p.), truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.), usura (art. 644 c.p.), riciclaggio (art. 648-bis c.p.) o impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.), e quelli indicati dall’art. 51, comma 3°-bis, c.p.p., cioè, tra gli altri, i delitti di associazione semplice (art. 416 c.p.) o di associazione di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.) o tutti i delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p. o per agevolare le attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché l’art. 12-quinquies del d.l. n. 306 del 1992, convertito con modificazioni dalla l. n. 356 del 1992; cfr. Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743. Si veda anche V. MANES, Corruzione senza tipicità, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, fasc. 3, 1 settembre 2018, p. 1136. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 38 RIVISTA GIURIDICA SARDA Inoltre, un importante ruolo è assunto dalle sentenze di proscioglimento o di assoluzione, le quali hanno una specifica rilevanza, «ove dalla loro motivazione si desuma che titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa, pur essendo andati esenti da condanna, abbiano comunque subìto, ancorché incolpevolmente, un condizionamento mafioso che pregiudichi le libere logiche imprenditoriali» (41). Ulteriore elemento indiziario è costituito dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011, siano esse di natura personale o patrimoniale, nei confronti di titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e dei loro parenti: tale valenza discende dalla logica preventiva e anticipatoria che sta a fondamento di esse. Rilevano anche i rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose. Al rapporto di parentela la Prefettura può dare rilievo «laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del «più probabile che non», che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia, attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto». Assimilati ai rapporti di parentela vi sono anche i c.d. «rapporti di comparaggio, derivanti da consuetudini di vita» (42). L’influenza non può ovviamente essere ricavata assumendo che il parente di un mafioso sia necessariamente un mafioso anch’esso, bensì, dal fatto che «la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo (41) E per Palazzo Spada «può rilevare qualsivoglia provvedimento del giudice civile, penale, amministrativo, contabile o tributario, quale che sia il suo contenuto decisorio, dalla cui motivazione emergano elementi di condizionamento, in qualsiasi forma, delle associazioni malavitose sull’attività dell’impresa o, per converso, l’agevolazione, l’aiuto, il supporto, anche solo logistico, che questa abbia fornito, pur indirettamente, agli interessi e agli affari di tali associazioni». Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743; cfr. V. SALAMONE, Il sistema della documentazione antimafia-normativa e giurisprudenza, cit. (42) Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743. I descritti legami devono essere connotati da «attivi comportamenti di solidarietà e cointeressenza»; cfr. Cons. St., Sez. III, 4 febbraio 2019, n. 864. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 39 fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione» (43). Importanti elementi sintomatici, qualora «non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità», sono i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia. In merito alla frequenza di tali incontri, un episodio isolato è considerato irrilevante, mentre sono considerati significativi «i ripetuti contatti o le ‘frequentazioni’ di soggetti coinvolti in sodalizi criminali, di coloro che risultino avere precedenti penali o che comunque siano stati presi in considerazione da misure di prevenzione». Fondamentale rilievo assumono anche le circostanze con le quali avvengono tali contatti e frequentazioni (modalità, luoghi, orari), al fine di fondare la presunzione, «secondo la logica del «più probabile che non», che l’imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario - scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi» (44). È, inoltre, irrilevante che, all’epoca degli (43) La sentenza 1743 precisa che «hanno rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito)»; cfr. Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743, ove si precisa, inoltre, che in materia «possono risultare utili anche i principi formulati da questo Consiglio, in materia di revoca delle licenze di polizia, quando abbiano ad oggetto armi e munizioni, e cioè in una materia in cui similmente si pongono – sia pure sotto distinti profili – aspetti di protezione dell’ordine pubblico». Infatti, «l’Autorità di polizia può ragionevolmente disporre la revoca quando il titolare della licenza sia un congiunto di un appartenente alla criminalità organizzata e sia con questi convivente: si può senz’altro ritenere sussistente un pericolo di abuso, quando un’arma sia custodita nella stessa abitazione di un appartenente alla criminalità organizzata, non solo perché è concretamente ipotizzabile che vi sia la possibilità di utilizzare l’arma senza il consenso del titolare della licenza, ma anche perché il legame familiare e la convivenza comportano reciproci condizionamenti». Si veda sul punto G. MANGIALARDI, Insufficienza del riferimento a rapporti di parentela a comprovare il tentativo di infiltrazione mafiosa, nota a TAR Salerno, Sez. I, 17 giugno 2013, n. 1348, in Urbanistica e appalti, 11, 2013, p. 1205 ss. (44) Infatti, «quand’anche ciò non risulti punibile (salva l’adozione delle misure di prevenzione), la consapevolezza dell’imprenditore di frequentare soggetti mafiosi e di porsi su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità (che lo Stato deve invece demarcare e difendere ad ogni costo) deve comportare la reazione dello Stato proprio con l’esclusione dell’imprenditore medesimo dal conseguimento di appalti pubblici e comunque degli altri provvedimenti abilitativi individuati dalla legge»; cfr. Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743. L’interdittiva può essere ritenuta le- RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 40 RIVISTA GIURIDICA SARDA incontri tra il destinatario dell’informativa ed il soggetto vicino alla criminalità organizzata, quest’ultimo non abbia ancora ricevuto condanne (45). gittima anche se «adottata sul rilievo che il titolare di impresa individuale immune da pregiudizi penali ha significativi legami con una famiglia vicina alla cosca mafiosa, operante in zona in cui è particolarmente presente il fenomeno mafioso». Infatti, «pur essendo necessario che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la Pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo». V. SALAMONE, Il sistema della documentazione antimafia - normativa e giurisprudenza, cit.; cfr. Cons. St., Sez. III, 13 aprile 2018, n. 2231; Cons. St., Sez. III, 22 giugno 2016, n. 2274. Inoltre il condizionamento mafioso può essere ritenuto sussistente dalla presenza anche di un solo dipendente infiltrato «del quale la mafia si serva per controllare o guidare dall’esterno l’impresa», ma anche dall’assunzione o dalla presenza di dipendenti «aventi precedenti legati alla criminalità organizzata, nonostante non emergano specifici riscontri oggetti sull’influenza nelle scelte dell’impresa». Infatti, «le imprese possono effettuare liberamente le assunzioni quando non intendono avere rapporto con le pubbliche amministrazioni: ove intendano avere, invece, tali rapporti, devono vigilare affinché nella loro organizzazione non vi siano dipendenti contigui al mondo della criminalità organizzata». Inoltre, «quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del «più probabile che non», che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti), ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia»; cfr. Cons. St., Sez. III, 14 settembre 2018, n. 5410. Per quanto concerne invece, l’impresa a conduzione familiare, essa «assume particolare rilievo nell’ambito della prevenzione antimafia, poiché proprio quando dietro la singola realtà d’impresa vi è un nucleo familiare particolarmente compatto e coeso è statisticamente più facile che coloro i quali sono apparentemente al di fuori delle singole realtà aziendali possono curarne (o continuare a curarne) la gestione e, comunque interferire in quest’ultima facendo leva sui più stretti congiunti; proprio il nucleo familiare «allargato», ma unito nel curare gli «affari» di famiglia, è uno degli strumenti di cui più frequentemente si serve la criminalità organizzata di stampo mafioso per la penetrazione legale nell’economia». Il dato della parentela non deve essere considerato «nella sua rigida materialità, ma per le implicazioni logicopresuntive che lo stesso, attentamente esaminato anche alla luce di tutte le circostanze caratterizzanti lo specifico contesto societario e familiare, così come enucleate (più o meno esplicitamente) dall’organo prefettizio, è suscettibile di generare: implicazioni che compete in primo luogo al giudice, in sede di sindacato sulla legittimità dell’informativa interdittiva, attentamente estrapolare dal provvedimento impugnato e dagli atti istruttori che ne hanno preceduto l’adozione». Risulta forse meno convincente l’assunto secondo il quale «la «famiglia», anche da un punto di vista sociologico, in quanto gruppo di persone caratterizzato, in linea tendenziale, dalla condivisione di valori e finalità, costituisce il «naturale» canale di trasmissione di eventuali «propensioni» criminali, le quali finiscono per propagarsi dall’uno all’altro dei suoi membri, da un lato, in virtù dell’appartenenza degli stessi ad un unico habitat socio-economico, dall’altro lato, in forza del legame di solidarietà che, in misura più o meno marcata, li avvince»; cfr. Cons. St., Sez. III, 20settembre 2018, n. 5480. Si veda sul punto V. SALAMONE, Il sistema della documentazione antimafia-normativa e giurisprudenza, cit., passim. (45) Poiché la data della condanna «non cristallizza» il momento dell’avvicinamento alla mafia. Cons. St., Sez. III, 3 marzo 2019, n. 2211. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 41 All’interno della ricca casistica, la giurisprudenza ha individuato anche le vicende anomale nella struttura dell’impresa, sia essa in forma individuale o collettiva, nonché l’abuso della personalità giuridica (46), e, più in generale, tutte le operazioni modificative o manipolative della struttura dell’impresa. In particolare, queste devono essere ritenute fraudolente «quando sono eseguite al malcelato fine di nascondere o confondere il reale assetto gestionale e con un abuso delle forme societarie, dietro il cui schermo si vuol celare la realtà effettiva dell’influenza mafiosa, diretta o indiretta, ma pur sempre dominante» (47). Tra i possibili elementi indiziari devono essere ricomprese anche le vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa, consistenti in fatti «che lasciano intravedere, nelle scelte aziendali, nelle dinamiche realizzative delle strategie imprenditoriali, nella stessa fase operativa e nella quotidiana attività di impresa, evidenti segni di influenza mafiosa» (48). (46) Poiché, ad avviso della giurisprudenza, «tali vicende e tale abuso non sono altrimenti spiegabili, secondo la logica del «più probabile che non», se non con la permeabilità mafiosa dell’impresa e il malcelato intento di dissimularla, come, ad esempio, nei casi previsti dall’art. 84, comma 4°, lett. f ), del d. lgs. n. 159 del 2011 e, cioè, le sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società, nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva con soggetti destinatati di provvedimenti di cui alle lettere a) e b) dello stesso art. 84, comma 4°, del d. lgs. n. 159 del 2011, realizzate con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti e le qualità dei subentranti, «denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia»»; cfr. Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743. (47) Tra le operazioni si possono menzionare «scissioni, fusioni, affitti di azienda o anche solo di ramo di azienda, acquisti di pacchetti azionari o di quote societarie da parte di soggetti, italiani o esteri, al di sopra di ogni sospetto, spostamenti di sede, legale od operativa, in zone apparentemente ‘franche’ dall’influsso mafioso; aumenti di capitale sociale finalizzati a garantire il controllo della società sempre da parte degli stessi soggetti, patti parasociali, rimozione o dimissioni di sindaci o controllori sgraditi; walzer di cariche sociali tra i medesimi soggetti, partecipazioni in altre società colpite da interdittiva antimafia, gestione di diverse società, operanti in settori diversi, ma tutte riconducibili alla medesima governance e spostamenti degli stessi soggetti dalle cariche sociali dell’una o dell’altra, etc.». Ibidem. (48) A titolo esemplificativo: «le cc.dd. teste di legno poste nelle cariche sociali, le sedi legali con uffici deserti e le sedi operative ubicate presso luoghi dove invece hanno sede uffici di altre imprese colpite da antimafia; l’inspiegabile presenza sul cantiere di soggetti affiliati alle associazioni mafiose; il nolo di mezzi esclusivamente da parte di imprese locali gestite dalla mafia; il subappalto o la tacita esecuzione diretta delle opere da parte di altre imprese, gregarie della mafia o colpite da interdittiva antimafia; i rapporti commerciali intrattenuti solo con determinate imprese gestite o ‘raccomandate’ dalla mafia; le irregolarità o le manomissioni contabili determinate dalla necessità di camuffare l’intervento e il tornaconto della mafia nella effettiva esecuzione dell’appalto; gli stati di avanzamento di lavori ‘gonfiati’ o totalmente mendaci; l’utilizzo dei beni aziendali a titolo personale, senza alcuna ragione, da parte di soggetti malavitosi; la promiscuità di forze umane e di RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 42 RIVISTA GIURIDICA SARDA Ultimo elemento individuato nella sent. 1743/2016 è la condivisione, da parte dell’imprenditore, di un sistema di illegalità o abusivismo, al fine di ottenere ingiusti benefici. Tale sistema può essere reiterato e costante, oppure anche solo episodico, e si può legittimamente basare anche «sulla manifestata disponibilità dell’imprenditore di far parte di un sistema di gestione di un settore, caratterizzato da illegalità, con ‘scambi di favori’ (riferibili, ad es., ad una volontaria mancata partecipazione ad una gara, ‘in cambio’ di successivi vantaggi)» (49). 5. Conclusioni: la possibilità di sindacare le valutazioni del Pre- fetto in sede giurisdizionale. – Il contesto normativo e fattuale in cui si inserisce l’informativa prefettizia è dunque estremamente complesso, e tale resta anche alla luce delle precisazioni fornite dal Consiglio di Stato, le quali, proprio perché accurate ed approfondite, non fugano i dubbi di eccessiva ampiezza del potere, pericolosamente sul limite dell’arbitrio: la discrezionalità del Prefetto non ne è infatti chiaramente circoscritta, nell’ambito di un procedimento ispirato alla logica dell’emergenza e del segreto. Se, dunque, il quadro normativo e la sua lettura giurisprudenziale non sono in grado di fornire una sicura limitazione al potere del Prefetto nella prevenzione delle infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici, si tratta di verificare se è possibile fare ciò ricorrendo alle categorie del Diritto amministrativo. Questa indagine ha lo scopo non solo di delineare forme e strumenti di garanzia per gli imprenditori interessati, ma anche, a ben vedere, di cercare di risolvere il problema della tutela degli interessi pubblici «altri», quelli, come visto, sottesi al contratto già stipulato. Infatti, la particolarità del procedimento che porta all’interdittiva comporta, rebus sic stantibus, non solo la pressoché totale assenza di garanzie procedimentali per il privato, ma anche l’impossibilità per le Pubbliche Amministrazioni di curare efficacemente anmezzi con imprese gestite dai medesimi soggetti riconducibili alla criminalità e già colpite, a loro volta, da interdittiva antimafia; l’assunzione esclusiva o prevalente, da parte di imprese medio-piccole, di personale avente precedenti penali gravi o comunque contiguo ad associazioni criminali; i rapporti tra impresa e politici locali collusi con la mafia o addirittura incandidabili, etc.». Ibidem. (49) Ibidem; Cons. St., Sez. III, 21 gennaio 2019, n. 520. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 43 che gli interessi pubblici diversi rispetto a quelli stabiliti a monte dal legislatore antimafia e connessi esclusivamente alla tutela dell’ordine pubblico economico. Se non è, dunque, possibile anticipare la tutela degli interessi pubblici e privati diversi dall’ordine pubblico economico, è, ad ogni modo, necessario esaminare la natura del potere prefettizio e chiedersi, in particolare, fino a che punto le complesse valutazioni, affidate al Prefetto in questo delicato settore, possano essere sindacate dal giudice amministrativo. Per questo motivo, si ritiene utile domandarsi se la valutazione prefettizia rientri nel settore della discrezionalità amministrativa o, al contrario, in quello della discrezionalità tecnica. In tale secondo caso, il g.a. potrebbe avere la possibilità di compiere un sindacato ancora più profondo, indagando «sino alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche, sotto il profilo della correttezza del criterio tecnico individuato e del procedimento seguito dall’Autorità per l’applicazione dello stesso» (50). Orbene, allo stato attuale la dottrina, all’interno della stessa discrezionalità tecnica, distingue tra giudizi tecnici «opinabili e, quindi, soggettivi» e giudizi, invece «che si basano su dati univoci e non opinabili e, dunque, oggettivi». Per questi ultimi il sindacato è di tipo «forte» e il giudice può, dunque, «sostituirsi all’amministrazione nell’esprimere il giudizio che si risolve nell’accertamento di una regola tecnica non controversa». Al contrario, nel caso delle valutazioni opinabili, si ritiene possibile solo «un sindacato di tipo debole, attraverso l’eccesso di potere e le sue figure c.d. sintomatiche»: infatti, in tal caso, sarebbe in contrasto con il basilare principio di separazione dei poteri «sostituire il giudizio soggettivo ed opinabile del giudice a quello (50) E. FOLLIERI, La discrezionalità tecnica, in F.G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2019, p. 179; cfr. G. CORSO, Manuale di Diritto amministrativo, Torino, 2018, pp. 210-211. La possibilità di operare un sindacato di tale portata è stata possibile a partire dalla celeberrima pronuncia della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 601 del 1999 con la quale si è affermata l’autonomia della discrezionalità c.d. tecnica da quella amministrativa. Cfr. Cons. St., Sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601. Per una ricostruzione degli esiti dottrinali che hanno contribuito a tale sentenza si vedano, ex multis, F. LEDDA, Potere tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm., 1983, p. 371 ss.; V. CERULLI-IRELLI, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Dir. porc. amm., 1984, p. 463 ss.; F. SALVIA, Attività amministrativa e discrezionalità tecnica, in Dir. proc. amm., 1992, p. 685 ss.; F.G. SCOCA, Sul trattamento giurisprudenziale della discrezionalità, in Potere discrezionale e controllo giudiziario, Milano, 1998, p. 107 ss.; F. ANCORA, La sussidiarietà e l’individuazione della discrezionalità tecnica, in questa Rivista, 1, 2000, p. 315 ss. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 44 RIVISTA GIURIDICA SARDA altrettanto opinabile dell’amministrazione cui, però, è attribuito il potere di provvedere» (51). A tale proposito, se certamente è possibile un sindacato forte davanti alla discrezionalità tecnica «oggettiva», secondo un condivisibile indirizzo dottrinale sarebbe possibile un sindacato della medesima intensità anche davanti ad un provvedimento amministrativo «applicativo di un parametro tecnico opinabile che fa parte della fattispecie normativa da applicare al caso concreto», poiché, in tal caso, il giudice e l’amministrazione sarebbero posti sullo stesso piano dalla norma attributiva del potere (52). Infatti, qualora il parametro di opinabilità sia introdotto dalla stessa norma attributiva del potere, il giudice «se compie un’indagine piena e diretta sulla valutazione tecnica, dà semplicemente esecuzione alla norma, anche quando i parametri da applicare siano opinabili e rispetta, altresì, la garanzia di tutela affermata dalla Costituzione» (53). Per questo, dal momento che la Carta assicura ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi una tutela piena ed effettiva (ex artt. 24, 111 e 113 Cost.), se il sindacato giudiziario si dovesse «arresta[re] alla superficie, ovvero v[enisse] condotto solo in modo indiretto o estrinseco, si [avrebbe] denegata giustizia» (54). Appurato che, nel caso della discrezionalità tecnica soggettiva ove il parametro di opinabilità sia introdotto direttamente dalla fattispecie normativa, il sindacato del giudice possa essere particolarmente intenso, è d’uopo stabilire se le valutazioni del Prefetto nell’interdittiva antimafia siano espressione di tale tipologia di discrezionalità. (51) E. FOLLIERI, La discrezionalità tecnica, cit., p. 179. Cfr. Cons. St., Sez. VI, 1 ottobre 2002, n. 5156. Sul tema si vedano anche gli studi di teoria generale compiuti da Parodi e contenuti in G. PARODI, Tecnica, ragione e logica nella giurisprudenza amministrativa, Torino, 1990 e in Giudice amministrativo e discrezionalità tecnica, in M. BESSONE-R. GUASTINI (a cura di), La regola del caso. Materiali sul ragionamento giuridico, Padova, 1995, p. 291 ss. (52) E. FOLLIERI, La discrezionalità tecnica, cit., p. 179. Infatti in tal caso «l’amministrazione non fa altro che interpretare il dato normativo, accertare il fatto e valutare, secondo i parametri tecnici della scienza richiamata dalla norma, senza dovere eseguire alcuna valutazione di opportunità o di merito, di per sé estranea all’accertamento di natura tecnica che non è espressione di autorità; nella stessa posizione dell’amministrazione è il giudice rispetto alla norma nel momento in cui l’interpreta, accerta il fatto e valuta il dato tecnico richiamato nelle norme. Non si può affermare, pertanto, che il giudice vada ad esprimere un giudizio riservato al potere dell’amministrazione». Ibidem. (53) E. FOLLIERI, La discrezionalità tecnica, cit., p. 180. (54) F.G. SCOCA, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pub., 2000, p. 1067. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 45 La dottrina maggioritaria ritiene che esse si collochino senz’altro nell’ambito della discrezionalità tecnica, poiché le conseguenze interdittive dell’informazione antimafia conseguono ad un accertamento che avviene «sulla base di risultanze documentali o di rilievi compiuti per la prima volta dalla prefettura», senza alcuna comparazione di interessi (55). Al contrario, la giurisprudenza maggioritaria del Consiglio di Stato ravvisa nelle valutazioni prefettizie «ampia discrezionalità di apprezzamento», la quale «può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati» (56). Tale orientamento sembrerebbe classificare la valutazione prefettizia come discrezionalità amministrativa. Gli orientamenti citati pongono in luce come vi sia ancora forte incertezza nella qualificazione della discrezionalità esercitata nel contesto in esame (57). Dal canto nostro, riteniamo di preferire la tesi che considera la valutazione del Prefetto come espressione di discrezionalità essenzialmente tecnica. Infatti, il quadro ricostruito in queste pagine mostra che il legislatore ha escluso spazi per una ponderazione di interessi da parte del Prefetto: la decisione contenuta nell’informativa è infatti esito di un mero accertamento della sussistenza dei presupposti previsti dalle lett. a), b), c), f ) del comma 4° dell’art. 84, (55) G. SIGISMONDI, Il sindacato sulle valutazioni tecniche nella pratica delle corti, in Riv. trim. dir pub., fasc. 2, 2015, p. 705 ss.; cfr. G. D’ANGELO, La documentazione antimafia nel d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159: profili critici, in Urbanistica e appalti, 2013, p. 256 ss.; mentre, invece, «le conseguenze dell’informazione interdittiva sono rilevanti e incidono su diritti di rilievo costituzionale, circostanza che suggerirebbe un’attenta indagine sulla effettiva sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la misura di prevenzione». Ibidem. Sul punto si vedano anche le riflessioni di J.P. DE JORIO, Le interdittive antimafia ed il difficile bilanciamento con i diritti fondamentali, Napoli, 2019, in particolare pp. 13-16 e 25-28. (56) Cons. St., Sez. III, 1 aprile 2019, n. 2141, Sez. III, 7 gennaio 2019, n. 163; Sez. III, 25 giugno 2014, n. 3208; Sez. VI, 6 ottobre 2013, n. 4119; Sez. III, 3 settembre 2012, n. 4668. Affermano i Giudici di Palazzo Spada: «il sindacato in sede giurisdizionale si attesta nei limiti dell’assenza di eventuali vizi della funzione che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere quanto alla completezza dei dati acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti e alla logicità delle conclusioni»; cfr. Cons. St., Sez. VI, 26 settembre 2011, n. 5366. (57) Essa è «sospesa tra discrezionalità amministrativa (evocata anche dal riferimento all’esistenza di vizi della funzione amministrativa) e valutazioni tecniche riservate». Si veda anche Cons. St., Sez. III, 5 settembre 2012, n. 4709; cfr. G. SIGISMONDI, Il sindacato sulle valutazioni tecniche nella pratica delle corti, cit., p. 705 ss. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 46 RIVISTA GIURIDICA SARDA ovvero dell’applicazione delle sue lett. d) ed e) e dell’art. 91, comma 6°, in termini del tutto soggettivi, e in un contesto procedimentale completamente privo di partecipazione. Il Prefetto, dunque, tiene conto unicamente dell’interesse a prevenire le infiltrazioni mafiose nell’ambito dei contratti pubblici, in virtù di disposizioni normative che, servendosi di concetti giuridici indeterminati, gli rimettono altresì l’individuazione della loro consistenza in concreto. L’indeterminatezza introdotta dalle stesse disposizioni normative attributive del potere comporta peraltro, ad avviso di chi scrive, che questo tipo di valutazione prefettizia sia ascrivibile a quella particolare discrezionalità tecnica opinabile nella quale è possibile un sindacato penetrante del giudice amministrativo. Del resto, l’inquadramento di siffatte prerogative nell’ambito della mera discrezionalità amministrativa significherebbe che in sede processuale il sindacato potrebbe avere ad oggetto unicamente l’iter di formazione della decisione prefettizia, ma non il suo contenuto. Le tutele dell’imprenditore e degli altri interessi pubblici coinvolti dal provvedimento prefettizio sarebbero, dunque, fortemente limitate, non solo in fase procedimentale, ma anche in giudizio. Viceversa, la collocazione nell’ambito di tale particolare discrezionalità tecnica consente al giudice amministrativo di spingersi fino a valutare la decisione in sé, in ragione proprio dell’assenza di qualsivoglia ponderazione d’interessi; inoltre, sindacando sull’effettiva consistenza e sull’applicazione dei concetti giuridici indeterminati sottesi alla fattispecie, il giudice potrebbe anche, al limite, ricorrere ad apposite consulenze che ben potrebbero rimettere in discussione la decisione del Prefetto (58). Siffatto inquadramento consentirebbe di contenere il potere prefettizio nel solco della finalità di lotta alla mafia, non solo in sede processuale, ma, prima ancora, in sede procedimentale, funzionando da deterrente ad eventuali fughe in avanti ma, mantentendo intatta, al contempo, l’essenza di misura di prevenzione proprio dell’informazione interdittiva. (58) Del resto il quarto comma dell’art. 63 c.p.a. prevede che «qualora reputi necessario l’accertamento di fatti o l’acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche, il giudice può ordinare l’esecuzione di una verificazione ovvero, se indispensabile, può disporre una consulenza tecnica». E, ad avviso di chi scrive, nel caso delle valutazioni sugli elementi indiziari che portano all’interdittiva, il requisito dell’indispensabilità della consulenza tecnica è soddisfatto. Cfr. ex multis, C.E. GALLO, Manuale di Giustizia amministrativa, Torino, 2016, pp. 235-236. RIVISTA GIURIDICA SARDA – n. 1/2020 DOTTRINA E VARIETÀ - LORENZO MARILOTTI 47 Bibliografia – AMARELLI G., Dalla legolatria alla post-legalità: eclissi o rinnovamento di un principio?, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 3, 1 settembre 2018, p. 1406 ss. – CANTONE R., La riforma della documentazione antimafia: davero solo un restyling?, in Giornale Dir. amm., 8, 2013, p. 888 ss. – CERULLI-IRELLI V., Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Dir. proc. amm., 1984, p. 463 ss. – CORSO G., Manuale di Diritto amministrativo, Torino, 2018. – D’ANGELO G., La documentazione antimafia nel d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159: profili critici, in Urbanistica e appalti, 2013, p. 256 ss. – D’ANGELO G., Per un diritto amministrativo dell’antimafia: considerazioni sul d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, in www.giustamm.it. – DE JORIO J.P., Le interdittive antimafia ed il difficile bilanciamento con i diritti fondamentali, Napoli, 2019. – DURANTE N., L’interdittiva antimafia, tra tutela anticipatoria ed eterogenesi dei fini, in www.giustizia-amministrativa.it, 26 novembre 2018. – FOLLIERI E., La discrezionalità tecnica, in F.G. 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