Letteratura dialettale

Il volume raccoglie sedici studi che spaziano dalla linguistica alla letteratura in dialetto e alle arti visive. I contributi restituiscono episodi della complessità linguistica dell’italiano nelle sue varietà geografiche e sociali, con particolare attenzione alle sue manifestazioni artistiche passate e contemporanee. Frutto della collaborazione di studiosi di vari paesi, Italia, Italie comprende saggi di Paolo Balboni e Fabio Caon, Francesca Cadel, Lorenzo Coveri, Daniela D’Eugenio, Roberto Dolci, Alberto Gelmi, Pietro Gibellini, Michael Lettieri, Nicoletta Maraschio, Dario Marcucci, Renato Martinoni, Eugenia Paulicelli, Franco Pierno e Matteo Brera, Antonia Rubino, Anthony J. Tamburri e Pietro Trifone.

Prefazione di Claudio Marazzini e postfazione di Monica Calabritto. Co-edited with Daniela D'Eugenio and Dario Marcucci.

Reviews: Lori Repetti, Italica. 98.4 (2021): 1014–18; Paola Luciani, Studi italiani. 33.2 (2021): 167–69; Francesca Leonardi, Letteratura e dialetti. 15 (2022): 134–35; Iuri Moscardi, Forum Italicum. 56.3 (2022), pp. 418–20; Mary Migliozzi, Bookshelf of Annali d’Italianistica, 40 (2022), pp. 587-89.

The concept of identity is particularly complex, seeing that it is an intrinsically ambivalent concept, and used in a variety of contexts. As a multi-faceted phenomenon, identity has generated innumerable studies in the last fifty years; but what interests me, is the appearance, from the early 1980s, of studies focusing on the linguistic aspects of identity. Language is indeed the most evident marker of personal identity, and the first instrument that we use to negotiate our relationships with others.
Despite the existence of important studies on Fenoglio’s use of language (such as Beccaria’s Il ‘grande stile’ di Beppe Fenoglio), no-one, as far as I know, has examined the linguistic features of his tales through the lens of identity. 
This first part of my paper will briefly examine some theories on the language/identity relationship. I will then try to apply these theories to some passages taken from Fenoglio’s short stories, where some characters decide to resort to Piedmontese dialect. My purpose is to explain their language switch, and I will also try to demonstrate how dialects may function as powerful bonding agents, and they can contribute to assert speakers’ personal identity and their belonging to a specific social group.

Riassunto-Il tema del vino denominato Squinzano divenne oggetto di scrittura letteraria in due notevoli autori; tra 1937 e 1950, Francesco Morelli (nato a Squinzano di Lecce nel 1878) compose poesie in elogio di tale vino, mentre Vittorio Bodini (nato a Bari nel 1914 da genitori leccesi) dette vita a un reportage di particolare importanza culturale. Il primo si inseriva poeticamente nella scia di Giosuè Carducci, senza obliare suggestioni alla Pascoli, anche come cantore del bacchico licor. Bodini invece erodeva criticamente l'influenza dell'Ermetismo, per reinventare la realtà anche nei suoi aspetti insoliti e surreali. Per la sua poesia dialettale il Morelli ebbe l'attenzione di Trilussa, famoso poeta romanesco, e visse le interrelazioni con amici e intellettuali della vicina Lecce. Bodini fu poeta, scrittore, docente universitario e ispanista illustre; ancora vitale e significativa è la sua traduzione del Don Chisciotte di Cervantes. ABSRACT-The theme of the wine called 'Squinzano' was important in two famous authors; they were Francesco Morelli, who composed poems in 1937 and also afterward; and Vittorio Bodini in 1950. The first one wrote verses on the model of Giosuè Carducci and Giovanni Pascoli. On the other hand, as poet Bodini followed a direction coming next after Ermetismo school to reinvent the reality, but as essayist he dealt matters about significant economic and social effects. In dialectal poetry, Morelli refered to Trilussa, famous poet who composed verses in Roman vernacular; and furthermore Morelli was in correlation with companions and friends living in Lecce, capital city of Baroque: he also wrote poems about Italian macaroni and became a classical bard of red liquor along the lines of the Italian literary tradition. Thirtysix years stand between them: Morelli was born in 1878 in Squinzano (Lecce), Bodini was born in 1914 in Bari, from parents born in Lecce; he was a poet, a writer and an essayist able to offer the most significant translation of Don Chisciotte by Cervantes. Bodini was also able to represent trough vivid images the hard labour and the subordinate position of southern peasants, who wanted to conquer the precious product of wine.    * Università di Bari.

Nella Canzone in lingua rustica cicolana, testo del XVII secolo conservato nel codice Barb. Lat. 3901 della Biblioteca Apostolica Vaticana, Giovanni Argoli riproduce il (presunto) dialetto di un “rustico” trasferitosi a Roma da Collalto o, più probabilmente, da Collegiove, che nei versi si rivolge direttamente ai propri compaesani ripudiando le sue origini e sostenendo di essersi ormai «romanescato». Facendo riferimento al testo riportato nel Barb. Lat. 3901 – in apparato si segnalano le divergenze di lettura delle due precedenti edizioni rispetto al manoscritto e fra loro – l’articolo propone un’analisi linguistica del componimento, cercando di identificare le diverse componenti della dialettalità riflessa nel testo, riconducibile non soltanto all’area individuata dalla Canzone; si pone poi particolare attenzione ai tratti linguistici di cui il poeta si avvalse per la sua operazione parodistica, e che evidentemente nella sua percezione meglio avrebbero potuto rispondere all’esigenza stilistico espressiva di caratterizzare colui che parla nella Canzone come rustico “cicolano” che millanta di essere ormai divenuto romano: la metafonesi delle vocali toniche, gli esiti del vocalismo atono finale, gli esiti di -(L)L- e della laterale preconsonantica, il trattamento di g,d, b, l’epitesi di -ne, la morfologia dei derivati di ILLE, alcuni aspetti della morfologia verbale come le terze persone plurali dell’indicativo presente sauo e stauo e il rafforzamento dell’imperativo con pó, il que interrogativo. Emerge una varietà caratterizzata da tratti comuni ai dialetti dell’Alta Sabina, del Cicolano, del Carseolano, della Valle dell’Aniene e al dialetto di Tagliacozzo, città natale dell’Argoli – resi, come era prevedibile, con una certa asistematicità e con qualche caso di ipercaratterizzazione – che nel complesso si pongono in direzione“anti-romanesca”, a cui si affiancano alcuni aspetti di segno contrario attraverso i quali la voce poetica che parla nel componimento tenta di fornire una prova linguistica della sua “romaneschizzazione”.

Beppe Fenoglio, attraverso i suoi racconti a tematica contadina e partigiana, non ha mai cercato una semplice “rappresentazione mimetica e fotografica del reale”, e lontano dallo scrittore è sempre stato ogni proposito documentario e autobiografico: egli si è servito, invece, di ambienti e fatti a lui vicini e noti per farne simboli di storia universale. Di conseguenza, da un punto di vista strettamente linguistico, Fenoglio è raramente ricorso al dialetto langarolo per dare voce ai suoi personaggi e narratori, teso com’era verso una “lingua da reinventare, arcaica e al contempo molto sollecitata verso il nuovo”. Lo scrittore albese ha infatti compiuto un’operazione linguistica più complessa, riassumibile nella formula, usata da Luigi Russo per Verga, di “una lingua pensata in dialetto”3. Fenoglio ha dato veste italiana a varietà substandard della lingua – forme colloquiali, popolari ed espressioni idiomatiche piemontesi – alle quali ha altresì aggiunto forme lessicali insolite e letterarie, e anche qualche vocabolo inglese, allo scopo di deviare costantemente dalla forma standard dell’italiano, cercando al tempo stesso un codice linguistico originale e una maggiore concentrazione espressiva. In questa operazione, il dialetto piemontese non ha semplice funzione espressionistica, ma è forma interna dell’italiano, in grado di raccontare in forma
epica la società contadina delle Alte Langhe, protagonista dei racconti di Fenoglio, senza scadere nel bozzettismo paesano.

Come accade alle grandi figure che segnano la storia, Masaniello divenne presto oggetto d'interesse e soggetto letterario. L'intervento proposto mira all'approfondimento di due tra i tentativi più significativi di raccontare in dialetto napoletano e in chiave letteraria la storia del luglio 1647: Napole accoietato di Francesco Oliva e la Storia de li remmure de Napole di Nicola Corvo. Mentre l'opera di Corvo, articolata in Iornate, tende ad un approccio storico, il poema di Oliva è diviso invece in Canti e attinge al repertorio testuale e topico dell'epica.

La poesia di Remigio Bertolino così come quella di Giovanni Pascoli trae spunto da un trauma originario, da una lacerazione che sembra incurabile e si alimenta continuamente con la vicinanza con la natura, nonostante nelle ultime produzioni sembrino esserci segni di cicatrizzazione.
Ma c'è anche altro, "ci sono i suoi "grandi maestri": Rainer Maria Rilke, Antonio Machado, Robert Frost, William Butler Yeats, Sergej A. Esenin e Aleksàndr Blok, ma anche il poeta cinese Ai Qing, Tolstòj e tra gli autori contemporanei Franco Loi, che per Bertolino è un maestro non solo di poesia, ma di vita. Poi un’intensa attenzione per le percezioni sensoriali – visive, uditive, olfattive, un’alta densità metaforica e soprattutto una lucidissima consapevolezza di non essere che uno strumento musicale suonato dalla Poesia: «La poesia è un dono degli dei. Non sappiamo quello che in futuro ci riservano. Bisogna essere pronti, fare un grande vuoto ed aspettare. Niente altro che aspettare. L’amata ci raggiungerà». "

One of the things that makes Italy such a fascinating country is no doubt the existence of an astonishing variety of languages in a rather small national territory. I use the word "language" intentionally when speaking of dialects, because the word "dialect" is usually misunderstood or used quite differently in the English-speaking world, where a dialect is generally taken to be a variation of a well-recognized standard-English-so that even an accent or a regional variety of speech can be considered a form of dialect. And the question of dialect and vernacular, when applied to literature, necessarily concerns matters of style as well, as articulated, for instance, in the following definition of vernacular style: Vernacular style may, of course, be defined in a number of ways, but in the following I shall take it to mean a special category of "substandard" or "common" usage that serves as a marker of class, regional, or age-group affiliation and that includes such speech-oriented lexical and grammatical features as colloquial formulas and epithets, slang, obscenities, and other vulgarisms, and certain kinds of allusive or elliptical morphological and syntactic arrangements. 1

Giuseppe Jovine poeta, narratore, giornalista e saggista Studio critico di Luigi Bonaffini
Giuseppe Jovine, poeta, narratore, giornalista e saggista, si è andato affermando, dopo suo cugino Francesco Jovine e il poeta Eugenio Cirese, come uno degli scrittori ed intellettuali di maggior rilievo della regione Molise.

Publié au sein d’un recueil dédié au genre eroicomico, l’article propose un aperçu de plusieurs textes du XVIIe siècle s’insérant, bon gré mal gré, au sein de ce genre pluriel. Nous y examinons brièvement le legs du 'Roland furieux' de l’Arioste, quelques ottave issues de la production ‘populaire’, la tradition de la littérature en dialecte, deux textes de Giulio Cesare Croce, le 'Malmantile' du florentin Lorenzo Lippi.

Tra i tratti principali del modello antologico, ormai considerato alla stregua di un’autonoma forma letteraria, tanto l’intrinseca deco(n)testualizzazione dei singoli frammenti proposti, quanto la morfologia tesa a (ri)definire nuove intertestualità, appaiono caratteristiche fortemente adattabili al medium della rete.
Il contributo mira dunque a esplorare le possibilità offerte dall’immissione del macrotesto antologico nell’ipertestualità della rete, destinando particolare attenzione alle specificità legate ai contenuti dialettali.

Fabio Della Seta, Panta Rei (e anche i dialetti).

Massimiliano Mancini, Osservare da un cantoncino. Dal teatro della fede alla pantomima cristiana.

Eugenio Ragni, Belli e il suo «popolaccio». Un affresco dell’universo romano.

Massimo Vignali, Caro Peppe mio. Quattro lettere inedite a Mariuccia.

Franco Onorati, Un illustre novantenne. Omaggio a Carlo Muscetta.

Stefania Luttazi, Chi l’avrebbe mai detto. Non ciclo di letture belliane.

Stefania Luttazi, Interviste Improbabili. Ciack, I: Paola Minaccioni, Maurizio Mosetti.

Candida Santoro, Quinze jours en Italie. Il viaggio a Roma di Alexandre Henri Édouard Delessert.

Emerico Giachery, Un’estrosa leggerezza. Saluto a Dell’Arco «barocco».

Laurino Giovanni Nardin, Tullio Kezich, «L’ultimo carnevàl». In scena a Trieste, ottobre 2002.

Fabio Della Seta, Viscere di Buenos Aires. La malavita di Rio de la Plata nell’universo letterario di Borges.

Claudio Costa, Recensione al volume «Al tempo di Belli».

Giovanni Battista Bronzini, Letteratura e dialetti popolari. L’attenzione critica di Giacinto Spagnoletti.

Marcello Teodonio, Io nacqui a Roma di parenti romani. Roma 7 Settembre 1791.

Claudio Costa, Tutte le poesie di Trilussa. La nuova edizione nei «Meridiani».

Il Museo di Roma in Trastevere
Marcello Teodonio, A futura memoria…. 7 Settembre 2002.

L’ingerenza del tempo e la casualità della fortuna spesso agiscono sulla tradizione letteraria, relegando tra gli scaffali impolverati delle biblioteche testi di alto valore. Una tale sorte è toccata all’intera produzione di Giambattista Valentino, che, muovendosi nella Napoli barocca e tra le file dei neonati poeti dialettali, polemizza, in chiave satirica e giocosa, contro la società del suo tempo. I suoi tre poemetti – La Mezacanna co lo vasciello dell’Arbascia (1660), Napole scontraffatto dapò la peste (1665) e La Cecala Napoletana (1674) – pur godendo di una certa fortuna a ridosso della pubblicazione, vennero considerati mediocri da Ferdinando Galiani, responsabile della cattiva sorte del poeta. Il contributo, partendo dalla confutazione della sentenza dell’abate, cercherà di delineare la figura poetica di Valentino, le tematiche trattate nei suoi poemetti, le caratteristiche peculiari della sua lingua e delle sue ottave per recuperare il patrimonio letterario dialettale napoletano nascosto all’ombra dei tre più famosi autori del XVII secolo.

Tra i poeti vernacolari calabresi che meriterebbero una maggiore considerazione è certamente da annoverare l’abate galatrese Antonino Martino, oggi quasi completamente sconosciuto, anche se "La Preghiera del Calabrese al Padre Eterno contro i Piemontesi", del 1874, pubblicata da Umberto Zanotti Bianco, nel 1950, sulla storica rivista Il Ponte di Piero Calamandrei, varcò i confini regionali.
Rocco Distilo definisce Martino “liberale deluso” e Antonio Piromalli nell’ultima edizione della sua Letteratura Calabrese edita da Pellegrini parla di lui come di come di un patriota e di un liberale. Oggi la produzione poetica di martino può rivestire valore di testimonianza nel processo di riesame storico dei fatti che hanno portato alla fine del regno delle Due Sicilie e alla costituzione del regno d’Italia.
Martino, figlio di un bracciante agricolo e di una filatrice, fu un contestatore durante e dopo il governo borbonico; la sua poesia esprime ansia di giustizia prima e dopo l’unità e la sua ribellione mirava a colpire ogni malcostume, tanto da denunciare anche le ingiustizie della chiesa, fino a scagliarsi contro il suo stesso vescovo.
Durante il governo borbonico la sua ribellione sfiorò il fiabesco, ma il corpo più rilevante delle sue poesie politiche, scritto dopo il 1860, all’indomani della spedizione dei Mille, denuncia i delitti, le ingiustizie ed i disastri derivati dall’unificazione nazionale, vizi e limiti di una classe politica che, già all’alba della vita parlamentare del giovanissimo regno d’Italia, appariva aggrappata ai suoi privilegi, lontana anni luce dalle reali esigenze del popolo.