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Monografie Nuova serie, 7 Giuseppe Sava L’ARTE E LA REGOLA Le arti figurative nella Provincia di San Vigilio dei Frati Minori (secoli XV-XVIII) con saggi di Daniela Floris, Italo Franceschini, Alessandra Galizzi Kroegel Società di Studi Trentini di Scienze Storiche Fondazione Biblioteca San Bernardino PAT - Soprintendenza per i Beni Culturali Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol © Società di Studi Trentini di Scienze Storiche ISBN: 978-88-8133-044-7 Sava, Giuseppe La regola e l’arte : le arti figurative nella Provincia di San Vigilio dei Frati Minori (secoli XV-XVIII) / Giuseppe Sava ; con saggi di Daniela Floris, Italo Franceschini, Alessandra Galizzi Kroegel. - [Trento] : Società di studi trentini di scienze storiche, 2016. - 556 p. : ill. ; 24 cm. - (Monografie. Nuova serie ; 7) ISBN: 978-88-8133-044-7 1. Conventi francescani - Trentino - Collezioni 2. Francescani - Mecenatismo - Trentino - Sec. 15.-18. I. Floris, Daniela II. Franceschini, Italo III. Galizzi Kroegel, Alessandra 709.45385 Ringraziamenti: don Lamberto Agostini, Marta Albertini, fr. Ciro Andreatta, Suor Angelica Lorenzi, fr. Saverio Biasi, Marcello Bonazza, Franco Cagol, Antonio Carlini, Domizio Cattoi, Ezio Chini, Antonella Chionna, Emanuele Curzel, Laura Dal Prà, Marino Degasperi, Serena Ferrari, Massimo Favilla, Sandro Flaim, Aldo Galli, Luciana Giacomelli, Maria Antonietta Giordano, Walter Landi, Stefano L’Occaso, Lucia Longo, Franco Marzatico, Elvio Mich, Roberto Paoli, Roberto Pancheri, fr. Michele Passamani, fr. Francesco Patton, fr. Germano Pellegrini, Valeria Petricca, Katia Pizzini, Patrizia Pizzini, Domenica Primerano, Graziano Riccadonna, Sara Retrosi, Ruggero Rugolo, fr. Remo Stenico, Sonia Tamanini, Chiara Tozzi, Roberta Zuech. L’autore desidera esprimere un ringraziamento particolare a Giuseppe Dal Ri. Nel corso del loro tirocinio in convenzione con l’Università degli Studi di Trento hanno partecipato al progetto di catalogazione e alla cura redazionale: Giosuè Ceresato, Cristina D’Attomi, Alessia Defranceschi, Silvia Faccio Il progetto è stato voluto e finanziato da: Provincia Tridentina di San Vigilio dei Frati Minori Il presente volume esce con il sostegno economico della Regione Trentino - Alto Adige/Südtirol 1. Martino Teofilo, Madonna con Bambino e angeli in gloria, San Bernardino da Siena e San Francesco d’Assisi, 1605, particolare. Trento, chiesa di San Bernardino 12 L’Ordine delle immagini ALESSANDRA GALIZZI KROEGEL T utti sappiamo o quanto meno intuiamo, memori della ricca decorazione a fresco nella Basilica di San Francesco ad Assisi, che un legame profondo unisce spiritualità francescana e arti figurative. È un legame che affonda le proprie radici nella storia dell’Ordine e che ha avuto ripercussioni fondamentali sullo sviluppo artistico del Due e Trecento, influenzando peraltro anche le raffigurazioni dei secoli successivi. In questa nota introduttiva tenteremo di riassumere la natura di tale rapporto in modo da evidenziare come la ricca produzione artistica legata all’Ordine dei Frati Minori in Trentino si inserisca con grande coerenza all’interno di un contesto veramente ampio, sfaccettato e di cruciale importanza1. Da Francesco alle “Meditationes vitæ Christi”: un mondo d’immagini Il legame fra spiritualità francescana e arti figurative ha origine nella biografia dello stesso fondatore dell’Ordine, della quale può essere considerato una sorta di nascosto Leitmotiv: in vita, Francesco si confrontò col mondo delle immagini in una serie di momenti diversi che si prestano a più livelli di lettura; subito dopo la sua morte, egli divenne il soggetto di numerose raffigurazioni destinate a rivoluzionare la pittura italiana. Tutto ha inizio, inevitabilmente, dalla famosa conversione del santo, risalente al giorno in cui si era raccolto in preghiera davanti a una croce dipinta nella chiesetta di San Damiano. Con una plasticità tipicamente francescana, il biografo Tommaso da Celano racconta di come “l’immagine di Cristo crocifisso” si mettesse a parlare a Francesco “muovendo le labbra”, esortandolo a riparare la sua casa che stava crollando2. La fisicità evocata da questa immagine – un Cristo dipinto su tavola che colloquia con Francesco – torna a proposito dell’intensa devozione di quest’ultimo nei confronti del Natale, una devozione testimoniata prima dalla sua decisione di mettere in scena la Natività col famoso presepe di Greccio, poi dal fatto che egli, durante quella che amava chiamare “festa delle feste”,“baciava con 1 2 Della vastissima bibliografia sull’arte francescana, cioè l’arte commissionata o prodotta nell’ambito dell’Ordine, ricordo solo alcuni dei contributi più recenti: The art of the Franciscan Order in Italy; Blume, Der Orden und die Bilder; Franco, The Funtion of Early Franciscan Art; L’arte di Francesco; Neff, Painting, Devotion, and the Franciscans. Il titolo di questo mio saggio introduttivo prende spunto da Dieter Blume, il quale ha definito i Frati Minori ein Orden der Bilder, “un Ordine delle immagini” (Blume, Der Orden und die Bilder, p. 114). Tommaso da Celano, Memoriale nel desiderio dell’anima, pp. 369-370. 13 animo avido le immagini di quelle membra infantili”3: dunque, con tutta probabilità, almeno a Natale Francesco usava baciare e abbracciare immagini del Bambino Gesù raffigurate su tavola. Non vi è dubbio però che la forte componente visiva della religiosità di Francesco, intuibile anche nella scelta di ridurre il proprio abbigliamento a una veste col cappuccio “per riprodurre l’immagine della croce e tenere lontano tutte le seduzioni del demonio”4, abbia trovato il suo culmine nell’esperienza delle stigmate. Come è noto tale miracolo, che a quel tempo era assolutamente senza precedenti, risale a due anni prima della morte del santo, quando questi si era ritirato in preghiera presso l’eremo della Verna, e si manifestò in concomitanza con la visione di un serafino “confitto ad una croce”5, una visione che nella rielaborazione dell’episodio operata da San Bonaventura venne a identificarsi progressivamente coll’immagine del Cristo crocifisso6. Davanti a quell’immagine, allo stesso tempo splendida e raccapricciante, Francesco aveva sperimentato un’immedesimazione totale nelle sofferenze del Redentore che si era fatto uomo e poi era stato tradito, bistrattato e infine ucciso dall’Umanità. Le stigmate che il futuro santo ricevette come conseguenza di questa immedesimazione – che evidentemente dal piano psicologico si era estesa a quello fisico – trasformarono il suo corpo, trafitto in cinque punti come quello di Cristo sulla croce, in un’immagine vivente del Crocifisso: un’immagine cioè dipinta e incisa sulla carne invece che su una tavola lignea o nella pietra7. Come è noto, questo processo di immedesimazione – in cui è riconoscibile la più autentica forma di compassione, intesa nel senso letterale di “soffrire insieme” – è al centro della spiritualità promossa da San Francesco e i suoi discepoli; essa si basa sulla necessità di una condivisione assoluta delle pene dei più umili e dei più bisognosi perché solo amando quest’ultimi, che sono emuli di Cristo nelle loro sofferenze, l’uomo riesce a immedesimarsi in Cristo, quindi a provare compassione per lui e ad amarlo di quell’amore che è imprescindibile per raggiungere la salvezza (dal punto di vista teologico, sarà poi San Bonaventura a chiarire come questo sentimento d’amore per il Cristo sofferente generi nell’uomo un processo di assimilazione alla natura divina di quello)8. Non stupisce dunque che il tema della compassio per il Cristo patiens abbia costituito sin dall’inizio il tema centrale della devozione dell’Ordine dei Frati Minori; ad esso si affiancò subito il culto per il loro fondatore, celebrato trionfalmente come alter Christus alla luce di molteplici analo3 4 5 6 7 8 14 Tommaso da Celano, Memoriale nel desiderio dell’anima, pp. 492-493; Frugoni, Vita di un uomo, p. 116. Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, pp. 263-264. Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, pp. 313-314. Bonaventura, Legenda maior, Cap. XIII, p. 326-337; Frugoni, Francesco e l’invenzione delle stimmate; Frugoni, Vita di un uomo, pp. 119-146. Belting, Franziskus. Der Körper als Bild. Neff, Painting, Devotion, and the Franciscans, p. 38. gie con l’esperienza terrestre del Figlio di Dio, cioè grazie a una serie di patimenti e miracoli attribuiti al santo, di cui le stigmate erano soltanto il segno più strepitoso. Infine, oltre a Cristo e al suo alter ego Francesco, la devozione dei Frati Minori si è concentrata da sempre anche sulla Vergine Maria, “la Madre di Gesù” che già il Poverello “circondava di un amore indicibile […] perché aveva reso nostro fratello il Signore della maestà”9. I Francescani venerano la Vergine Maria perché ella fu tanto umile da accettare di diventare lo strumento dell’Incarnazione e, di conseguenza, della nostra Redenzione; in lei, archetipo dell’abnegazione materna, quindi interceditrice per eccellenza, i Frati Minori riconoscono l’“Avvocata dell’Ordine” e l’“Avvocata dei poveri”, due titoli attribuitile dallo stesso Francesco10 (fig. 1). Queste premesse di carattere storico e devozionale sono indispensabili per comprendere sia la natura sia l’intensità della produzione artistica che ha caratterizzato l’Ordine fondato da San Francesco fin dalla morte di quest’ultimo e dalla sua immediata canonizzazione, avvenute rispettivamente nel 1226 e 1228. Seguendo la strada indicata dal santo, che delle immagini aveva fatto un uso appassionato, concependole come potente strumento per la meditazione e la preghiera (sia quella del singolo che quella collettiva, come dimostra il presepe di Greccio), i Frati Minori affidarono immediatamente la propria missione evangelizzatrice, nonché la propaganda dell’Ordine, non solo a una predicazione in Volgare infiammata e coinvolgente, ma anche alle arti figurative. Se inizialmente tale strategia di comunicazione dovette essere più intuitiva che calcolata, ben presto essa trovò un’efficace teorizzazione nella teologia di San Bonaventura il quale, difendendo l’uso delle immagini, in particolare quelle di Cristo, osservava con acutezza che esse servono non solo a istruire i fedeli più semplici, ma anche a stimolare la memoria e i sentimenti di tutti “poiché la nostra sensibilità (affectus) viene eccitata dalle cose che vediamo molto più che da quelle che sentiamo” 11. Ecco dunque che dagli anni trenta del XIII secolo in poi le nuove chiese dei Frati Minori, che presero a essere fondate assai numerose in Italia come nel resto d’Europa, si popolarono progressivamente di croci e tavole dipinte raffiguranti non solo il Crocifisso e la Madonna col Bambino, ma anche il nuovo santo Francesco, presentato con le stigmate bene in vista in modo da ribadire l’autenticità di un miracolo che da subito era stato oggetto di dubbi e discussioni molto accese12. Questa intensa produzione di ambito francescano ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo artistico del periodo, e da più punti di vista: innanzitutto essa ha accelerato quel fenomeno di potenziamento dello spazio liturgico che aveva preso a definirsi nei due secoli precedenti in seguito a un generale mutamento 9 10 11 12 Tommaso da Celano, Memoriale nel desiderio dell’anima, p. 492. Tommaso da Celano, Memoriale nel desiderio dell’anima, p. 492. “Plus enim excitatur affectus noster per ea quae vidit, quam per ea quae audit”. Bonaventura, Commentaria, In Tertium Librum Sententiarum, Dist. IX, Art. I, Quaest. II, Conclusio, pp. 203-204. Cook, Images of St. Francis of Assisi. 15 della religiosità occidentale. Si tratta di un fenomeno evidentemente complesso a cui possiamo solo accennare ricordando come dalla fine del primo Millennio, in teologia come nella letteratura devozionale, si registri l’emergere di una spiritualità individuale e introspettiva che si accostava al divino con crescente empatia: ciò comportò il privilegiare la dimensione umana e sofferente del Cristo rispetto alla cristologia trionfante che sino ad allora aveva prevalso, quella secondo cui il Figlio di Dio era stato celebrato soprattutto nei suoi ruoli di vincitore e giudice13. Questa evoluzione spirituale, espressione dell’inesorabile affrancarsi del laicato nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche, implicò il fatto che nei fedeli crescesse un generale Schaubedurfnis, cioè l’“esigenza di vedere”, o di vedere raffigurato, ciò in cui si era invitati a credere, a partire del sacramento dell’Eucarestia14; a tale esigenza la Chiesa rispose potenziando lo spazio liturgico, il che si tradusse soprattutto nell’arricchire gli altari su cui si celebrava la Messa con tavole dipinte di dimensioni più o meno grandi. Questo uso, importato da Bisanzio, era nuovo per le chiese dell’Occidente, dove sino ad allora era prevalsa la decorazione parietale, mentre la venerazione si era concentrata sui reliquiari e su alcune icone di Cristo o della Vergine (raffigurata con o senza Bambino), cioè su dipinti relativamente piccoli. È questo il contesto in cui, nel corso del XIII secolo, si inserì prepotentemente l’arte commissionata da e per le religiones novae, cioè gli ordini mendicanti di recentissima fondazione, i Francescani e i Domenicani. Entrambi contribuirono ad accelerare e diffondere il potenziamento dello spazio liturgico sopra descritto perché promossero in modo rapido e capillare la costruzione di nuove chiese e la loro decorazione in senso moderno, dunque commissionando una gran quantità di croci e tavole dipinte. Non esiste però alcun dubbio sul fatto che in questa impresa i seguaci di San Francesco detengano il primato dal punto di vista sia cronologico sia della quantità della produzione artistica, e probabilmente anche della sua qualità. Tra gli elementi che dovettero influire su tale primato ricordiamo come la spiritualità dell’Ordine fosse naturaliter sensibile al mondo delle immagini mentre, tra immagini e parole, i seguaci di San Domenico privilegiavano sicuramente le seconde. Un ruolo importante ebbe inoltre il fatto che San Francesco fu oggetto di un culto immediato e di un’intensità senza precedenti15. Come già abbiamo accennato, la diffusione di tale culto veniva affidata in gran parte alle raffigurazioni del santo: quelle su tavola conobbero una popolarità notevole in quanto avevano il vantaggio di essere trasportabili, cosa che ben si prestava ad arricchire le processioni con cui i frati spesso celebravano la festa del 4 ottobre16. Ma il contributo dei Frati Minori all’evoluzione delle arti figurative nel 13 14 15 16 16 Fulton, From Judgment to Passion; Derbes, Picturing the Passion in Late Medieval Italy. Belting, Das Bild und sein Publikum, Cap. IV. Krüger, Der frühe Bildkult des Franziskus in Italien. Franco, The Function of Early Franciscan Art; Neff, Painting, Devotion, and the Franciscans, pp. 3537. 2. Pittore del XII secolo, Crocifisso di San Damiano. Assisi, chiesa di Santa Chiara 3. Giunta di Capitino (attr.), Crocifisso dipinto, 1236 ca. Assisi, Museo della Porziuncola 17 Due e Trecento non si è limitato alla diffusione di opere nuove dal punto di vista del medium e del formato; in realtà il fenomeno del potenziamento dello spazio liturgico comportava di per sé un potenziamento del linguaggio figurativo, tanto che già fra il XI e il XII secolo tale linguaggio aveva iniziato a diventare più espressivo e coinvolgente17. Anche in questo caso dunque la produzione artistica di ambito francescano si inserì in un processo già avviato: d’altra parte sono proprio le opere eseguite per i Frati Minori a mostrare per la prima volta in modo coerente un’accentuazione retorica delle immagini al fine di coinvolgere il riguardante da un punto di vista emozionale prima ancora che intellettuale18. Come si ricorderà, questa strategia comunicativa era perfettamente in sintonia con la spiritualità di San Francesco e con la teologia di San Bonaventura, il quale apprezzava le immagini proprio per la loro valenza emotiva. Il fenomeno di cui parliamo può essere esemplificato grazie al confronto fra l’antica croce dipinta della chiesetta di San Damiano, l’opera davanti a cui Francesco aveva sperimentato la propria conversione nel 1205, e quella pregna di modernità che Frate Elia, amico e successore del santo alla guida dell’Ordine, fece eseguire a Giunta Pisano nel 1236 per la nuova chiesa di Assisi, cioè l’attuale Basilica inferiore, eretta per custodire le spoglie di Francesco19. Premettiamo che il famoso Crocifisso di San Damiano, databile alla prima metà del XII secolo, si conserva nella Chiesa di Santa Chiara ad Assisi (fig. 2); invece il Crocifisso di Frate Elia è andato perduto, ma la sua iconografia è ricostruibile poiché funse da modello per una serie di croci eseguite successivamente, prima fra tutte quella oggi al Museo della Porziuncola di Assisi, anch’essa attribuibile a Giunta Pisano e databile verso il 1236 (fig. 3)20. Mentre la croce di San Damiano presenta la figura di Cristo secondo l’antica iconografia del Christus triumphans – un giovane uomo dagli occhi spalancati che fissa imperturbabile il riguardante, mentre il suo corpo è ben dritto e privo di qualsiasi traccia di sofferenza –, la croce di Frate Elia doveva offrire alla vista dei frati, raccolti in preghiera attorno al sepolcro del fondatore del loro Ordine, un Christus patiens di effetto allarmante: il capo piegato, gli occhi chiusi (segno di una sofferenza estrema, forse già della morte), il costato segnato da pieghe profonde e il bacino che scivolava in avanti, verso sinistra, spezzando la linea del corpo in due diagonali. Inoltre, così come la mancanza di pathos nel Crocifisso di San Damiano si riflette nella compostezza degli astanti ritratti nel braccio longitudinale, all’altezza del torso e dei fianchi del corpo di Cristo, la croce di Frate Elia, come suggeriscono le altre opere di Giunta raffiguranti questo soggetto, mostrava nelle due 17 18 19 20 18 Fulton, From Judgment to Passion. Derbes, Picturing the Passion in Late Medieval Italy, Cap. I; Galizzi Kroegel, Zwischen Tradition und Innovation. Faranda, La perduta croce di Assisi. Faranda, La perduta croce di Assisi, pp. 14-15; Tartuferi, Giunta di Capitino. Crocifisso dipinto, 1236 circa. estremità del braccio più corto le figure di Maria e Giovanni, entrambi ritratti in lacrime, con la Vergine che cercava di asciugarsele con un vistoso fazzoletto. Infine sappiamo che ai piedi di questa croce compariva lo stesso Elia, forse da solo, forse in compagnia di San Francesco, ed è probabile che almeno uno dei due frati abbracciasse i piedi sanguinanti del Cristo21. Questa tensione fra Cristo patiens e Maria compatiens, spesso in compagnia di altri compatientes, a partire da San Giovanni e San Francesco, questa commistione di sofferenza e compassione è forse l’elemento più tipico dell’arte di matrice francescana: essa riflette non solo la spiritualità e la predicazione appassionata e popolare di San Francesco e dei suoi seguaci ma anche, se non soprattutto, le tecniche di preghiera e di meditazione che vennero messe a punto in ambito francescano nel corso del XIII e XIV secolo, e che influenzarono la mistica occidentale per molti secoli a venire22. Un ruolo fondamentale in questo senso fu svolto dalle Meditationes vitae Christi, un testo a lungo attribuito a San Bonaventura, che oggi si ritiene composto da un più semplice autore francescano per una clarissa, probabilmente in ambito toscano. Per quanto gli studi più recenti tendano a posticipare la datazione delle Meditationes dalla fine del XIII alla prima metà del XIV secolo, essi concordano sul fatto che l’opera riassume in sé la tradizione di una tecnica per la preghiera di cui già Francesco aveva gettato le basi23: si trattava cioè di aiutare il fedele a immedesimarsi nella storia di Cristo, e soprattutto della sua passione, dilatando il racconto evangelico con episodi e particolari che, stimolata l’immaginazione al punto da risvegliare vista, udito e altro, permettessero a chi leggeva quel racconto di raggiungere un coinvolgimento profondo, premessa indispensabile per l’esperienza mistica. Non stupisce dunque che l’iconografia della Passione, articolata in un numero crescente di scene, sia diventata molto presto un autentico topos dell’arte di committenza francescana sia nella pittura su tavola sia in quella a fresco; allo stesso modo risulta del tutto logico che proprio in questo contesto il linguaggio figurativo del mondo occidentale abbia conosciuto la sua prima forma di “rinascimento”, cioè di riscoperta dell’imitazione della natura come unico mezzo per raffigurare in modo autenticamente umano, e quindi coinvolgente e commuovente, la storia del Figlio di Dio fattosi uomo24. Ci riferiamo ovviamente alla decorazione a fresco della doppia Basilica di Assisi, un’impresa che si estese dalla metà del XIII al primo quarto del XIV secolo e che coinvol- 21 22 23 24 Faranda, La perduta croce di Assisi, pp. 11-14. Sulla possibile influenza di testi come le Meditationes sugli Esercizi di Ignazio di Loyola si veda Freedberg, The Power of Images, pp. 168-171. Mulvaney, The Beholder as Witness, pp. 170-171 (con bibliografia precedente). Angelo Tartuferi ha giustamente ricordato come il rapporto tra spiritualità francescana e il nuovo studio della natura che caratterizza la pittura italiana verso la fine del Duecento fosse stato intuito per la prima volta da Henry Thode nel suo Franz von Assisi und die Anfänge der Kunst der Renaissance in Italien (1885). Tartuferi, I pittori di Francesco, p. 145. Sull’argomento si veda anche (per limitarci a un testo ormai “standard”) Settis, Iconografia dell’arte italiana, pp. 220-229. 19 se numerosi artisti importanti sui quali svetta il nome di Giotto. Come è noto, tra Chiesa inferiore e Chiesa superiore i cicli dedicati alle sofferenze di Cristo, significativamente alternati a scene della vita dell’alter Christus Francesco, sono più di uno, e il tema della Crocefissione torna su più pareti, riproponendosi allo sguardo dei fedeli con un’intensità tutta francescana. Un libro sulle immagini francescane in Trentino Abbiamo dunque appurato che l’Ordine dei Frati Minori ebbe un ruolo veramente cruciale nell’evoluzione delle arti figurative fra Due e Trecento dal punto di vista dei criteri di produzione, dei programmi iconografici e infine – last but not least, è proprio il caso di dirlo – del linguaggio stilistico. Nei secoli successivi, e non solo in Italia, la committenza francescana ha continuato a essere vivace e a dare esiti importanti, restando comunque fedele a quel carattere di coinvolgente narrazione della storia cristiana che già abbiamo descritto; ribadiamo che per storia cristiana l’Ordine intende fondamentalmente la storia di Cristo, di sua Madre, dell’alter Christus Francesco e dei suoi seguaci, cioè i santi francescani delle generazioni successive. Questa situazione si riflette con chiarezza anche nella produzione artistica facente capo all’attuale Provincia di San Vigilio, a cui il presente volume è dedicato. Sebbene l’insediamento dei Frati Minori in territorio trentino risalga addirittura al XIII secolo – un periodo che il saggio di Italo Franceschini ripercorre con grande accuratezza –, le opere qui pubblicate non sono antecedenti alla seconda metà del Quattrocento, cioè alla fondazione del convento osservante di San Bernardino a Trento, avvenuta nel 1452, e al momento in cui i frati vi si insediarono dando inizio alla decorazione della chiesa omonima, una fase databile a partire dal 1460. Le vicende storico-artistiche di San Bernardino, così come quelle dei più rilevanti conventi della Provincia, sono state ricostruite da Giuseppe Sava nel suo importante saggio e nelle numerose schede di catalogo da lui redatte; tali vicende vengono inoltre integrate dalle utili osservazioni di Daniela Floris sull’oreficeria sacra che per quei conventi fu realizzata o acquistata. I contributi di Sava e Floris, ma soprattutto le opere pubblicate, rivelano immediatamente il primato della componente cristologica e mariana di questo patrimonio, un primato conteso soltanto dalle immagini che celebrano San Francesco e, in secondo piano, gli altri santi dell’Ordine, spesso raccolti in serie di ritratti composti da più tele. Queste scelte iconografiche sono rappresentative del fatto che la riforma osservante non comportò cambiamenti importanti rispetto ai temi che da sempre i Frati Minori avevano proposto alla devozione popolare attraverso la predicazione e le immagini: piuttosto, in molti casi quei medesimi temi vennero ampliati25. Per limitarci a una delle figure chia25 20 Per le iconografie ricorrenti nelle chiese dell’Osservanza rimando a Cobianchi, Lo temperato uso, pp. 104-114. ve dell’Osservanza, cioè San Bernardino da Siena, è noto come egli contribuì, soprattutto grazie alle sue prediche di inusitata spettacolarità ed efficacia, a riaccendere il culto per la dimensione umana di Cristo e del Cristo crocifisso. In questo contesto svolse un ruolo fondamentale anche l’invenzione del famoso trigramma IHS che Bernardino usava mostrare al pubblico, iscritto su una tavoletta, per poi farne l’oggetto di una serie di sorprendenti associazioni tra immagini fisiche e mentali: ad esempio, il tratto arrotondato della lettera “h” veniva interpretato dal santo come allusione al ventre rigonfio della Vergine Maria, strumento dell’Incarnazione26. Grazie a questa capacità di riassumere mirabilmente i concetti fondamentali della fede cristiana, il trigramma bernardiniano può essere considerato un vero e proprio logo ante litteram, tanto che sessant’anni fa il suo inventore è stato dichiarato santo patrono dei pubblicitari27: un’ulteriore conferma della forte componente “visiva”, quindi comunicativa, che è insita nella storia dei Frati Minori. San Bernardino da Siena va ricordato anche per aver precorso i tempi nel promuovere il culto dell’Immacolata Concezione, un tema scottante che i Domenicani osteggiarono a lungo sulla base del fatto che nelle Sacre Scritture manca qualsiasi esplicito riferimento all’esenzione di Maria dal peccato originale, mentre i Francescani hanno sempre sostenuto tale esenzione, convinti che alla Madre di Dio spetti ogni tipo di onore, e che al Signore tutto sia possibile (Potuit, decuit, ergo fecit è l’assioma ereditato dalla Scolastica cui i Francescani ricorrevano per difendere la dottrina immacolista). Seppure con prudenza, in più occasioni Bernardino osò affrontare in modo esplicito la questione dell’immacolato concepimento di Maria, e ciò prima ancora che papa Sisto IV confermasse che proprio questo privilegio mariano era l’oggetto della festa dell’8 dicembre.28 In questo senso, risulta fondata e del tutto plausibile l’interpretazione precocemente immacolista che Giuseppe Sava ha proposto per lo splendido polittico databile al settimo decennio del Quattrocento, che un tempo decorava l’altar maggiore di San Bernardino a Trento, e che ora si conserva nel coro della stessa chiesa, purtroppo all’interno di una struttura in finto marmo ben diversa da quella che doveva essere l’ancona originale. Più in generale, non stupisce che la Vergine Immacolata, così come il tema del Cristo patiens nelle sue principali declinazioni (Crocefissione, Deposizione e Compianto), ricorrano con grande frequenza nelle opere che furono eseguite per le chiese e i conven- 26 27 28 Bernardino da Siena, Le prediche volgari. Quaresimale del 1425, vol. II, p. 191, citato in Bolzoni, La rete delle immagini, p. 213. Sul potenziamento del culto del Cristo crocifisso da parte di San Bernardino si veda anche Nova, I tramezzi in Lombardia fra il XV e XVI secolo, p. 210. Si veda il breve Laudativa nuntia promulgato da Pio XII il 19 ottobre 1956. Sulle cosiddette “costituzioni sistine” (si tratta di un breve e due bolle, una delle quali in due versioni distinte, che furono pubblicati fra il 1477 e il 1483), si veda Sericoli, Immaculata B. M. Virginis Conceptio; Söll, Storia dei dogmi mariani, pp. 311-315. Sul pensiero immacolista di San Bernardino si veda Fin, L’Immacolata Concezione di Maria. 21 4. Cerchia di Giovan Pietro da Cemmo, Scene della vita e della passione di Cristo, 1479 ca. Borno, chiesa dell’Annunciata ti dell’Osservanza in Trentino nel corso dei secoli, e di cui questo volume pubblica una selezione significativa. A conclusione di questa introduzione di carattere generale, vogliamo ricordare soltanto un’altra importante opera d’arte che decorava l’antica chiesa di San Bernardino a Trento, un monumentale dipinto che andò distrutto assieme a quell’edificio nel 1693, poco dopo che gli Osservanti si erano visti costretti ad abbandonare il loro primo convento a causa dalle frequenti esondazioni del Fersina. Ci riferiamo al ciclo raffigurante la storia della Passione che era affrescato sul tramezzo della chiesa, cioè su quella grande parete-diaframma, eretta per separare lo spazio dei fedeli dal coro dei frati, che in epoca rinascimentale caratterizzò gran parte dell’architettura dell’Osservanza francescana in area piemontese-lombarda29. Gli esempi di tramezzi affrescati che si conservano mostrano come in genere la storia della Passione fosse suddivisa in più scene raffigurate entro altrettanti riquadri sovrapposti – il numero dei quali poteva variare enormemente, come suggeriscono i cinque riquadri in San Bernardino a Caravaggio e i ventisei nella chiesa dell’Annunciata a Borno in Valcamonica (fig. 4) – e culminasse con la scena della Crocifissione, che 29 22 Nova, I tramezzi in Lombardia fra il XV e XVI secolo; Cobianchi, Lo temperato uso, pp. 112-114. occupava la parte centrale della parete, in corrispondenza dell’arco d’ingresso al coro dei frati. Come Giuseppe Sava ha giustamente osservato, nell’ambito dell’Italia settentrionale il tramezzo affrescato di Trento sembra aver costituito l’esempio più a oriente. Un esempio che oggi è poco noto, almeno negli studi sull’argomento, ma che forse a suo tempo svolse un ruolo tutt’altro che periferico: infatti, alla luce dell’ipotesi secondo cui l’uso dei tramezzi affrescati si sarebbe ispirato ai Fastentücher d’oltralpe, cioè a quelle enormi tele dipinte che venivano appese davanti all’altar maggiore durante la Quaresima per poi essere rimosse con grande effetto nel corso del sermone del mercoledì santo30, viene da chiedersi se non sia possibile che il ciclo della Passione sul tramezzo trentino possa aver contribuito alla diffusione di questo tipo di decorazione al di qua delle Alpi. Comunque siano andate le cose, a noi preme sottolineare che anche in San Bernardino a Trento, dove i frati predicavano ai laici davanti al tramezzo affrescato, il centro della spiritualità collettiva era il grande mistero della Passione, nonché l’appello di San Francesco ad averne la più profonda compassione. 30 Nova, I tramezzi in Lombardia fra il XV e XVI secolo, pp. 209-210. 23