72.1
Un ricco apparato iconografico su singole
architetture a rischio indagate da docenti
e giovani ricercatori completa i contributi
scritti, riportando un estratto degli oltre
cento filmati realizzati dagli studenti delle
principali Scuole italiane di architettura
e presentato, in apertura del convegno,
nella mostra-video Riflessioni sul secondo
Novecento italiano. Architetture a rischio,
i cui risultati costituiscono un primo
censimento oggettivo a livello nazionale
dell’effettivo stato di conservazione e in molti
casi anche della condizione di allarmante
precarietà di alcune delle opere più
significative dell’architettura italiana.
IL DIRITTO ALLA TUTELA
ARCHITETTURA D’AUTORE DEL SECONDO NOVECENTO
Il volume prosegue la serie promossa nel 2012
dalla presidenza della Scuola di Architettura
Civile del Politecnico di Milano,
inaugurata con la pubblicazione dedicata
a Ernesto Nathan Rogers in occasione
del centenario della nascita, cui sono seguiti
i volumi dedicati a Guido Canella (2014),
Carlo De Carli (2016) e Roberto Gabetti (2017).
In quarta di copertina
Vittoriano Viganò, Istituto Marchiondi Spagliardi
a Baggio, Milano, 1953-57. Tutelato con la legge
del diritto d’autore con decreto del 30 ottobre 1995
e per il suo interesse storico artistico architettonico con
decreto del 23 aprile 2008.
Stato di conservazione al 2016 (immagine tratta dal video
Il fascino indiscreto dell’architettura, di Elvio Manganaro
con Riccardo Rapparini, Rocco S. Pagnoni, realizzato
per la mostra-video Riflessioni sul secondo Novecento
italiano. Architetture a rischio, Castello del Valentino,
Torino, 12-13 dicembre 2016).
€ 42,00 (U)
IL DIRITTO
ALLA TUTELA
ARCHITETTURA
D’AUTORE
DEL SECONDO
NOVECENTO
a cura di
Gentucca Canella e Paolo Mellano
Architetti italiani del Novecento
Il volume costituisce una riflessione
di architetti e studiosi di differenti
generazioni sull’architettura d’autore
del secondo Novecento, sempre più oggetto,
in particolare in questi ultimi anni,
di complessi interventi di adeguamento,
manutenzione, ridestinazione funzionale,
che spesso rischiano di compromettere
l’integrità dell’opera alterandone la forma
espressiva, il linguaggio e la percezione
originari.
Il Dipartimento di Architettura e Design
del Politecnico di Torino, nel mese
di dicembre 2016, ha promosso un convegno
di studi nazionale teso a individuare temi
e strumenti di una incisiva “tutela operativa”
di questo patrimonio relativamente
recente, nel quale si concentra la storia
dell’architettura italiana dall’immediato
secondo dopoguerra alla fine del Novecento,
ma che ancora sconta una legislazione
troppo puntuale e spesso inefficace
(la tutela istituzionale di prassi interviene
solo dopo i settant’anni dalla realizzazione),
richiamando il mondo culturale, accademico
e universitario, gli organismi ministeriali,
le Fondazioni, gli Archivi e le Associazioni
a un impegno comune e a una fattiva
assunzione di responsabilità.
In un proficuo confronto di autori e punti
di vista, nelle pagine del volume gli studi
sugli aspetti più direttamente materiali
e costruttivi delle azioni di salvaguardia
e la segnalazione di casi eclatanti per il loro
stato di ingiustificata incuria o di oggettiva
manomissione – con l’identificazione
di variabili comunemente ricorrenti
per quanto riguarda le procedure di gara,
i diritti e la legittimazione degli autori
e degli eredi, il riconoscimento ministeriale,
gli appelli per la salvaguardia, la scelta di
nuove funzioni compatibili –, si affiancano
a considerazioni, anche sotto il profilo
normativo, sui principi di necessarietà,
di autore e autorialità, ma anche sul
significato e sul valore che si vogliono
ancora riconoscere alle intenzioni e
all’impegno civile di alcuni protagonisti
dell’architettura italiana, oggetto di una
riflessione monografica nei volumi di questa
serie divenuta, dal 2018, collana dal titolo
Architetti italiani del Novecento.
IL DIRITTO
ALLA TUTELA
ARCHITETTURA
D’AUTORE
DEL SECONDO
NOVECENTO
a cura di Gentucca Canella e Paolo Mellano
scritti di:
Lisa Accurti, Antonello Alici, Maria Argenti, Paola Ascione,
Carla Bartolozzi, Pasquale Belfiore, Giovanni Bellucci, Giulia Beltramo,
Bruno Bianco, Enrico Bordogna, Tommaso Brighenti, Gentucca Canella,
Ugo Carughi, Alessandro Castagnaro, Domenico Chizzoniti, Isotta Cortesi,
Stefano Cusatelli, Carolina De Falco, Anna Irene Del Monaco,
Marco Dezzi Bardeschi, Riccardo Domenichini, Maria Adriana Giusti,
Roberta Grignolo, Monica Grossi, Margherita Guccione, Gianmario Guidarelli,
Aimaro Isola, Daniela Lattanzi, Monica Mazzolani, Paolo Mellano, Luca Monica,
Guido Montanari, Laura Montanaro, Monica Naretto, Raffaella Neri,
Carlo Olmo, Giulio Orsini, Sergio Pace, Emanuele Palazzotto, Paola Palmero,
Luisa Papotti, Paola Pettenella, Enrico Prandi, Monica Prencipe, Carlo Quintelli,
Antonella Ranaldi, Niccolò Rositani Suckert, Emilia Rosmini, Paolo Sanjust,
Sandro Scarrocchia, Valter Scelsi, Luciano Semerani, Elena Svalduz,
Marco Tanca, Elena Tinacci, Antonio Troisi, Jean-Marc Tulliani,
Stefano Zaggia, Francesca Zanella
Architetti italiani del Novecento
Architetti italiani
del Novecento
direzione
Gentucca Canella
comitato scientifico
Enrico Bordogna
Jean-Louis Cohen
Claudio D’Amato
Paolo Mellano
Luciano Semerani
Angelo Torricelli
La collana Architetti italiani del Novecento,
nata nel 2018, prosegue la serie promossa
dalla Presidenza della Scuola di Architettura
Civile del Politecnico di Milano, con i volumi
dedicati a Ernesto Nathan Rogers (2012),
Guido Canella (2014), Carlo De Carli (2016)
e Roberto Gabetti (2017).
La collana intende valorizzare un indirizzo
di ricerca che si è affermato in diversi ambiti
disciplinari e che è basato sul confronto fra
differenti generazioni, proponendo
una riflessione monografica sulla figura
e l’opera di singoli maestri dell’architettura
italiana del Novecento.
Il pensiero e le opere di questi maestri, personalità
riconosciute nel panorama internazionale,
sono stati pubblicati sulle principali riviste e
monografie italiane e straniere dell’epoca;
i volumi della collana vogliono ricondurli al centro
dell’attuale dibattito culturale sul rapporto
tra modernità e tradizione.
progetto grafico
Mario Piazza
Un ricco apparato iconografico su opere e progetti
(finalizzato a una conoscenza più approfondita
del lavoro progettuale al tavolo da disegno e nel
contraddittorio del cantiere) completa i contributi
scritti, facendo di questi volumi uno strumento
prezioso per approfondire criticamente
i principali protagonisti di queste generazioni,
per non disperderne l’originale visione
dell’architettura e la reinvenzione di un personale
linguaggio figurativo, espressione d’impegno civile
non solo nella ricerca architettonica ma in molti
casi anche nella costruzione del progetto culturale
delle Scuole di architettura.
Il presente volume trae origine
dal convegno nazionale Conservazione,
tutela, ridestinazione per l’architettura
italiana del secondo Novecento: archivi,
diritto d’autore, nuove tecniche
e materiali, promosso nel dicembre
2016 dal Dipartimento di Architettura
e Design del Politecnico di Torino.
Tutti gli interventi allora svolti,
sono stati rielaborati e ampliati
dai rispettivi autori per questa
pubblicazione.
In parallelo al convegno una mostravideo dal titolo Riflessioni sul secondo
Novecento italiano. Architetture
a rischio, documentava lo stato di
conservazione di numerose opere
d’autore a livello nazionale attraverso
brevi filmati realizzati da docenti
e studenti delle principali Scuole
di Architettura italiane, i cui contenuti
sono stati riportati quasi per intero
nella terza sezione del presente
volume.
1. VOCI DELLA CULTURA
NAZIONALE PER L’ARCHITETTURA
ITALIANA DEL SECONDO
NOVECENTO
10
La collana è sottoposta a un processo
di peer review.
Il futuro tradito.
Il caso della Pantanella a Roma
Maria Argenti, Emilia Rosmini
28
Cosa perdiamo quando gli edifici
non sono tutelati. Il riuso del Palavela
e dei Padiglioni delle Regioni in occasione
dei Giochi olimpici Invernali
di Torino del 2006
Carla Bartolozzi
44
54
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Come può l’azione di tutela
non contemplare il ripristino?
Il Centro civico di Segrate:
una testimonianza
Gentucca Canella
La tutela del patrimonio architettonico
italiano del secondo Novecento
Ugo Carughi
80
Preservation, heritage, adaptive reuse.
Il ruolo recente dell’Italia,
le interferenze dal mondo globale
Anna Irene Del Monaco
90
Dei diritti e dei doveri degli architetti
Marco Dezzi Bardeschi
2019 2020 2021 2022 2023 2024 2025 2026 2027 2028
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Sono vietate e sanzionate (se non espressamente autorizzate) la riproduzione in ogni modo e forma
(comprese le fotocopie, la scansione, la memorizzazione elettronica) e la comunicazione
(ivi inclusi a titolo esemplificativo ma non esaustivo: la distribuzione, l’adattamento, la traduzione
e la rielaborazione, anche a mezzo di canali digitali interattivi
e con qualsiasi modalità attualmente nota od in futuro sviluppata).
Costruire la tutela del secondo Novecento.
Una questione generazionale
Enrico Bordogna
72
Anno
0123456789
Eredità e attualità del secondo Novecento.
Architetti e architetture
Antonello Alici
20
Negli apparati si riportano i colophon
del convegno e della mostra.
Parte integrante della collana è la serie Italian
Architects 20th Century, che accoglie la traduzione
inglese di una selezione di testi e immagini dei
volumi pubblicati..
Ristampa
INDICE
100
Criteri di patrimonializzazione
del contemporaneo tra ricerca e tutela
Maria Adriana Giusti
108
Un approccio enciclopedico per la
salvaguardia dell’architettura del XX secolo
Roberta Grignolo
114
Temi e figure della cultura architettonica
del secondo Novecento attraverso
le collezioni del MAXXI Architettura
Margherita Guccione, Elena Tinacci
120
Riciclando architetture e paesaggi
Aimaro Isola
126
La tutela come rilancio del patrimonio
architettonico del Novecento
Monica Mazzolani
132
Il secolo fragile dell’architettura
Paolo Mellano
138
Architetture del secondo Novecento
a rischio. Il caso di Torino
Guido Montanari
146
Il moderno non si conserva per legge
Carlo Olmo
152
L’azione di tutela delle Soprintendenze
piemontesi
Luisa Papotti
160
La funzione formativa del progetto
per la tutela dell’architettura
del Novecento
Carlo Quintelli
166
La tutela delle architetture
del secondo Novecento a Milano
Antonella Ranaldi
176
La tutela dell’opera di architettura
Niccolò Rositani Suckert
184
Le culture – contro
Luciano Semerani
2. ARCHIVI, ASSOCIAZIONI,
FONDAZIONI PER L'ARCHITETTURA
ITALIANA DEL SECONDO
NOVECENTO
194
198
202
210
214
L’Archivio Progetti per il restauro
e la tutela dell’architettura
del secondo Novecento.
Riflessioni e nuove prospettive.
Riccardo Domenichini
Il progetto Archivi di Architettura
della Sardegna
Monica Grossi, Paolo Sanjust
Distinguere le tracce.
Produttori, conservatori e lettori
d'archivi per l'architettura italiana
del secondo Novecento
Sergio Pace
AAA/Italia. Archivi architettura tutela
Paola Pettenella
Archivi da tutelare e per tutelare
Francesca Zanella
3. ARCHITETTURE A RISCHIO
DEL SECONDO NOVECENTO
ITALIANO. UN PRIMO CENSIMENTO
222 “Monumenta” contemporanei.
L’attività della Soprintendenza torinese
per la tutela dell’architettura di Ivrea
città olivettiana
Lisa Accurti
226 Architetture marchigiane
Antonello Alici, Giovanni Bellucci,
Monica Prencipe
242 Modernità a rischio.
La Scuola di Luigi Cosenza a Ercolano
Paola Ascione
248 Mercatino rionale e centro sociale
in Sant’Anna di Palazzo a Napoli,
di Salvatore Bisogni e Anna Buonaiuto
Pasquale Belfiore, Alessandro Castagnaro
254 Le azioni di tutela nella pianificazione
urbanistica
Bruno Bianco
256 L’ospedale come ospedale.
Luciano Semerani, Gigetta Tamaro,
Ospedale di Trieste a Cattinara,
1963-83
Tommaso Brighenti
264 Architettura regionale piemontese:
censimento, autorialità, didattica e progetto
Gentucca Canella
278 Canella, Achilli, Brigidini,
Scuola materna con asilo-nido
a Zerbo di Opera, Milano, 1972-75
Domenico Chizzoniti
284 Tra i semi venuti dal vento:
la dimensione paesaggistica
della Fabbrica Olivetti a Pozzuoli,
di Luigi Cosenza
Isotta Cortesi
288 Vittoriano Viganò o della figurazione:
il Mollificio Bresciano di San Felice
sul Benaco 1968-81
Stefano Cusatelli
294 Per un realismo magico: l’Incisa
di Aurelio Cortesi
Stefano Cusatelli
300 Studio Savioli: da “spazio
di coinvolgimento” a luogo da ridestinare
Carolina De Falco
304 La Scuola ai Saleggi di Locarno
di Livio Vacchini: i fragili interni
di un “monumento” degli anni Settanta
Roberta Grignolo
310 Tre opere in Veneto:
Cinema Altino di Quirino De Giorgio;
Foro Boario di Giuseppe Davanzo;
Dimensione Fuoco di Alvaro Siza
Gianmario Guidarelli, Elena Svalduz,
Stefano Zaggia
314 Interventi conservativi sulle superfici
di un’opera di Gio Ponti:
il caso della Chiesa dell’Ospedale
San Carlo Borromeo a Milano
Daniela Lattanzi
324 Il Piano di manutenzione
e conservazione dei Collegi
dell’Università di Urbino,
di Giancarlo De Carlo.
Analisi metodologica
Monica Mazzolani, Antonio Troisi
330 Metropolitana Milanese Linea 1.
Franco Albini, Franca Helg, Bob Noorda,
1962-64. Fino a che punto
è inevitabile aggiungere le estensioni
del progresso
Luca Monica
360 Il Restauro del Moderno:
un’esperienza di ricerca nel Dottorato
Emanuele Palazzotto
366 Aldo Rossi, il “non finito” e la poetica
dell’incompiuto. Il cimitero di Modena
come monumento da tutelare
nella sua integrità progettuale
Enrico Prandi
374 Tutelare il moderno: il video come
strumento di lettura dell’architettura
del Novecento in Sardegna
Paolo Sanjust, Marco Tanca
380 Sulla decontestualizzazione
e vicarianza del Memoriale italiano
non più ad Auschwitz
Sandro Scarrocchia
388 1946-89, il secolo brevissimo
del Moderno genovese
Valter Scelsi
392 L’innovazione tecnologica
dei materiali al servizio del progetto:
focus sull’Architettura italiana
del secondo Novecento
Jean-Marc Tulliani, Paola Palmero,
Laura Montanaro
APPARATI
336 Dalla ricerca farmaceutica
alla patologia: l’Istituto
e Laboratorio Marxer a Loranzè
tra memoria e oblio
Monica Naretto, Giulia Beltramo
400 Riflessioni sul secondo Novecento
italiano. Architetture a rischio.
Mostra-video
407 Crediti convegno e mostra
346 Riflessioni sul rischio.
Le architetture di Ignazio Gardella
Raffaella Neri
412 Referenze fotografiche
413 Indice dei nomi
354 Cesare Leonardi e Franca Stagi,
Parco Amendola a Modena:
progetto e tutela di un parco urbano
Giulio Orsini
Eredità e attualità
del secondo Novecento.
Architetti e architetture
Antonello Alici
L’Italia continua a mostrarsi incapace di concepire una moderna
politica di tutela del patrimonio contemporaneo con la conseguente costante minaccia alle opere, anche iconiche, del secondo
Novecento. L’ultimo episodio eclatante, gravissimo per l’alto numero di vittime, è stato il cedimento del viadotto del Polcevera a
Genova il 14 agosto 2018. Il dibattito e le polemiche che lo hanno
seguito dimostrano il difficile dialogo tra istituzioni, che non può
che generare scetticismo nell'opinione pubblica, costretta a subire
decisioni senza poterle comprendere a pieno.
In tale quadro, l’appuntamento di Torino è apparso strategico
per aver creato l’occasione per un confronto nazionale tra i gruppi
di ricerca impegnati nel Censimento delle architetture di qualità
realizzate dal secondo dopoguerra1. Esso ha avuto, allo stesso tempo, il merito di sollecitare un dialogo tra generazioni, coinvolgendo gli studenti nell’elaborazione di brevi filmati-interviste che li
hanno portati a diretto contatto con i protagonisti, le opere e i loro
fruitori. Ne è scaturita una prima mappa nazionale del preoccupante stato di salute del patrimonio contemporaneo, tra degrado
e manomissioni, quando non si è già verificata la demolizione totale dell’opera2. Eppure non possiamo negare gli esiti positivi della recente stagione di studi, che continua a mostrare importanti
progressi nella costruzione di un quadro informativo e critico del
secondo Novecento. L’arretramento va registrato, dunque, nella
sempre minore attenzione delle istituzioni e anche in una disaffezione dell’opinione pubblica.
Dobbiamo ripartire da questa emergenza e rendere chiare le motivazioni e le forme per un’azione coordinata e condivisa di salvaguardia di un patrimonio tanto fragile. Quale eredità e quali valori dobbiamo comunicare ai cittadini, e soprattutto alle giovani generazioni, per
sollecitare interesse e consapevolezza? Ripercorrere le tappe dell’intenso dibattito che ha segnato gli anni del dopoguerra può aiutare a
ricostruire lo scenario politico, sociale e culturale che ha favorito la
nascita di una stagione di eccellenza e ha riportato l’Italia al centro
della scena internazionale. Accanto a questo quadro critico è necessaria un’azione educativa ai temi e ai linguaggi della città e dell’architettura contemporanea che consenta il coinvolgimento dei cittadini nei
processi decisionali sul bene pubblico.
10
Voci della cultura nazionale per l’architettura italiana del secondo Novecento
L’eredità, anche morale, del ventennio tra le due guerre, segnato dalla dittatura e seguito dalla guerra e dalla resistenza, è al centro di una ricca letteratura fatta di cronache, manifesti, racconti
di viaggio e sostenuta dal proliferare di riviste letterarie, d’arte e
di architettura a partire dal 1945. Il numero speciale di «Costruzioni-Casabella» del dicembre 1946 affronta il tema partendo dalla memoria di Giuseppe Pagano che l’aveva diretta fino a tre anni
prima ed era morto nel campo di concentramento di Mauthausen
ad aprile 19453. Un’ampia antologia di testi si affianca a memorie
biografiche e ad una selezione delle opere di Pagano. In Catarsi,
Ernesto Nathan Rogers assume il compito molto delicato di chiarire il coinvolgimento degli architetti con il regime, ma allo stesso
tempo distilla i punti cardine di un’eredità di valori ben espressa
dall’azione critica di Giuseppe Pagano4. Egli, scoperto il vero volto
del fascismo, sceglie l’azione estrema – e in qualche modo riparatrice – dell’opposizione aperta e irriducibile al regime e dichiara
di voler accettare «tutti i rischi del gioco per riconquistare quel
prestigio che gli intellettuali hanno perduto e sperare in una vera
rivoluzione, in una vera epurazione morale, in una vera rinascita
dei valori della nostra italianità mediterranea»5.
In quegli stessi mesi trenta voci autorevoli della nostra letteratura si riunivano intorno al programma di Dino Terra di costruire un ritratto dell’Italia uscita dalla guerra: un atlante politico, un
censimento e un compendio di un’Italia smarrita, dal titolo emblematico Dopo il diluvio. Sommario dell’Italia contemporanea6.
Giuseppe Ungaretti, Carlo Levi, Guido Piovene, Alberto Moravia,
Mario Soldati e Alberto Savinio, per citarne solo alcuni – coordinati dal curatore dell’opera coadiuvato a Firenze da Roberto Papi
e a Milano da Orio Vergani – sono chiamati a tratteggiare il volto e
l’anima della penisola «dai paesi ai caratteri ai costumi alle classi
ai lavori alle arti»7. Nel capitolo sulla città, Carlo Levi solleva un
tema centrale negli anni della ricostruzione, quello del rapporto
tra passato e modernità: «Per la prima volta nella sua storia unitaria, l’Italia si è naturalmente (non per volontà o per programma)
staccata dal passato, emancipata: non è più, o non è soltanto, una
“patria”. Avremo nuove architetture e nuove città se questo distacco saprà essere creativo, se questa vita adulta sarà libera, se
cittadini e contadini potranno riconoscersi, gli uni e gli altri, nel
nuovo Stato: cesseremo di essere accademici arcadici e futuristi se
sapremo costruire una democrazia autonomistica e moderna»8. Il
desiderio di cambiamento e di affrancamento da un passato drammatico traspare anche dal vivace racconto che Guido Piovene –
che nel volume di Dino Terra si era occupato del ruolo controverso
della Chiesa – compone nel suo straordinario Viaggio in Italia9. In
un itinerario condotto nell’arco di oltre tre anni, da maggio 1953
a ottobre 1956, da Bolzano alla Sicilia e ritorno, attraverso la Sardegna e fino a Roma, l’autore ha la capacità di cogliere i caratteri
Antonello Alici
11
identitari di ogni contrada, regione per regione, provincia per provincia, e di registrare l’energia e l’entusiasmo che caratterizzano
una febbrile opera di trasformazione del Paese. I ritratti fissati da
Piovene restano una guida infallibile alla conoscenza dei luoghi,
mentre quel che appare molto distante è l’equilibrio che regolava
quelle trasformazioni. Nelle conclusioni egli offre spunti di riflessione di piena attualità: «L’Italia è varia, non complessa. Cambia
da un chilometro all’altro, non solo nei paesaggi, ma nella qualità
degli animi; è un miscuglio di gusti, di usanze, di abitudini, tradizioni, lingue, eredità razziali»10.
Ad arricchire il quadro sociale e culturale contribuisce la profonda introspezione offerta dalla penna di Pier Paolo Pasolini, che
nell’estate 1959 pubblica in tre puntate sulla rivista mensile «Successo» un itinerario alla scoperta della penisola lungo la linea di
costa nei mesi della stagione balneare. La lunga strada di sabbia
è un racconto che mostra, anche attraverso le fotografie di Paolo
Di Paolo, un'altra faccia del Paese in rapido cambiamento, quella
dello svago e anche della vita notturna, nelle profonde differenze
che restano a dividere nord, centro e sud11.
Ai ritratti fatti dall’interno si intreccia lo sguardo dall’estero. È
il caso di due libri che rivelano un rinnovato interesse per la nostra
architettura contemporanea: Neues Bauen in Italien di Paolo Nestler
(1954) e Italy Builds. L’Italia costruisce. Sua architettura moderna
e sua eredità indigena di George Everard Kidder Smith (1955). Gabriele Milelli ne ha messo in rilievo pregi e difetti, sottolineando la
superiore qualità e profondità dell’indagine di Kidder Smith, che seguiva il successo di Switzerland Builds e Sweden Builds12. Il volume
sull’Italia si avvantaggia peraltro della lunga introduzione di Ernesto Rogers, Tradizione dell’architettura moderna italiana, pubblicata anche in forma di editoriale di «Casabella-Continuità»13. Milelli
ci fa notare la qualità grafica del volume e l’uso della fotografia in
bianco e nero, che rilevano «la sensibilità della sua interpretazione primariamente percettiva»14. Kidder Smith dà enfasi al valore del patrimonio storico per una migliore comprensione delle
espressioni di architettura contemporanea e dichiara il desiderio
di «estrarre dal ricchissimo patrimonio italiano alcuni di quei particolari elementi di grandezza che hanno reso così incantevoli le
città italiane»15. Attraverso un’ampia rassegna di città e paesaggi
della penisola, egli offre un prezioso contributo all’acceso dibattito
su modernità e tradizione, conservazione e architettura che era in
atto in quegli anni.
Ad una profonda revisione storiografica del ventennio del regime ma anche delle radici e del lascito del Movimento moderno contribuisce la prima stagione della nuova «Casabella», che
riprende le pubblicazioni nel 1953 sotto la direzione di Ernesto
Rogers con il sottotitolo emblematico di "Continuità" a sugellare programmaticamente il legame con Pagano e Persico16. In tale
12
Voci della cultura nazionale per l’architettura italiana del secondo Novecento
Itinerari delle architetture
del secondo Novecento a rischio.
Ancona.
scenario è significativo - in un serrato contraddittorio con Rogers
- il contributo critico di Giancarlo De Carlo, che era sostenuto dal
testamento spirituale ricevuto da Giuseppe Pagano, prima incontrato nelle file della Resistenza e poi frequentato assiduamente
nei giorni del carcere milanese17. Nel 1958, lasciata la redazione di
«Casabella-Continuità», egli pubblica in «L'architettura. Cronache e storia» un lungo saggio dal titolo Contributo dell’architettura
italiana alla cultura internazionale, che si interroga sulle ragioni
del successo internazionale dell’architettura italiana del dopoguerra, evidente nell’attenzione crescente di critici internazionali
e di riviste straniere – ma anche nel successo delle riviste italiane
all’estero18. Il suo obiettivo è «osservare il fenomeno dall’interno calcolando gli errori prospettici di chi lo apprezza da lontano;
distinguendo quanto nei successi conseguiti è effimero e non supera i limiti della moda, quanto invece è duraturo e promettente,
quanto costituisce speranza e sintomo di una reale ripresa»19. Egli
sottolinea il «significato dell’europeismo di Persico [che], riportando l’architettura italiana nel pieno dibattito culturale europeo,
si proponeva di infonderle una coscienza storica moderna che […]
le avrebbe permesso di intervenire positivamente nella vita della
nazione ristabilendo un rapporto con le sue reali condizioni storiche, riproponendo – in definitiva – la continuità di una autentica
tradizione»20. Suggerisce così un filo rosso con quell’esperienza,
che aveva favorito, in una minoranza resistente, la «coscienza delle relazioni tra l’architettura e le circostanze sociali, economiche
e politiche, le situazioni concrete della produzione, le determinanti dell’ambiente» assicurando agli architetti del dopoguerra
Antonello Alici
13
«un patrimonio vitale [e] una consapevolezza critica [utili per]
superare la crisi in cui si era arrestato lo sviluppo del Movimento
moderno»21.
Il richiamo alla complessità dell’architettura e ad un confronto
«senza riserve con le questioni sociali, politiche, amministrative,
con la tecnica e con la produzione»22 è quanto mai attuale per l’impegno che ci siamo prefissi di creare le condizioni per una migliore
comprensione di quella eredità e del patrimonio di valori e di opere
da difendere.
Cinquant’anni dopo, negli anni di passaggio al nuovo millennio, la politica di sensibilizzazione avviata da un Ministero per i
beni e le attività culturali molto lungimirante ha posto le premesse per una nuova stagione di studi, che ha trovato valido fondamento nella componente più fragile del patrimonio, quella delle
carte d’archivio23. L’allarme suscitato, a livello internazionale, dal
rischio che i disegni degli architetti finissero preda del mercato
dell’arte ha accelerato, tra il 1995 e il 1998, l’alleanza tra le istituzioni più avanzate del Paese nella consapevolezza dell’urgenza di
una più efficace salvaguardia di un patrimonio documentario di
gran pregio e nel rispetto e valorizzazione del policentrismo che
caratterizza la cultura italiana24. La costituzione, nel luglio 1999,
dell’Associazione nazionale degli archivi di architettura contemporanea (AAA Italia) ha catalizzato le migliori energie e, di fatto,
ha suggerito l’avvio del censimento regionale degli archivi privati di architetti e ingegneri ponendo le basi per la creazione di una
banca dati, oggi confluita nel Portale degli archivi degli architetti
del MiBAC25. Una banca dati complementare è quella dell’architettura contemporanea, che raccoglie i risultati del parallelo censimento regionale delle Architetture di qualità dal 1945 ad oggi
avviato dal MiBAC nel 2001 e, come noto, condotto prima attra-
Mostra Archivi di architettura
del ’900 nelle Marche. Dentro
lo studio dell’architetto, Mole
Vanvitelliana, Ancona,
maggio 2008.
Mostra Archivi di architettura
del ’900 nelle Marche.
Dentro lo studio dell’architetto,
Mole Vanvitelliana,
Ancona, maggio 2008.
14
Voci della cultura nazionale per l’architettura italiana del secondo Novecento
verso una ricerca bibliografica e, in una seconda fase, attraverso la
ricognizione sul territorio26. Questi due strumenti rischiano, però,
di restare un puro esercizio accademico se non sono sostenuti da
un’adeguata azione di tutela attraverso un recepimento negli strumenti urbanistici e nel sistema dei vincoli dello stesso Ministero,
per poterne prevenire l’alterazione o la demolizione. Anche una
più sistematica e capillare azione educativa e divulgativa può partire da questi documenti.
È quanto stiamo cercando di fare nelle Marche dopo la positiva
esperienza di quindici anni di ricerca sui due fronti degli archivi
degli architetti e della selezione delle Architetture di qualità dal
1945 ad oggi, che si sono confrontati con le difficoltà di un territorio "periferico" sia geograficamente che culturalmente. La ricerca
sugli archivi privati, condotta in collaborazione con la Soprintendenza archivistica regionale, è stata una vera opera di prima emersione di materiali inediti, che ha dovuto superare la sorpresa e lo
scetticismo degli eredi e ha richiesto dunque tempi molto lunghi27.
I primi risultati hanno portato a circa quaranta fondi archivistici,
alcuni dei quali sono stati depositati negli Archivi di Stato competenti per territorio e dunque salvati dal degrado e dalla dispersione. All’attività di ricognizione sul territorio è stata affiancata quella di studio dei materiali, favorita da una parziale digitalizzazione
di salvaguardia delle carte più fragili e dalla compilazione dei primi inventari dei fondi dichiarati di interesse storico29. La mostra
Dentro lo studio dell’architetto. Archivi di architettura del ’900 nelle
Marche del maggio 2008 e il convegno internazionale La professione dell’architetto. Frammenti dagli archivi privati / The Work of
the architect. Fragments from the private archives del maggio successivo hanno aperto una nuova fase, favorendo il confronto con il
quadro nazionale e internazionale degli studi e il collegamento con
Danilo Guerri, Teatro
delle Muse, Ancona,
Studio della sala concerti.
Disegno di Claudio Polzonetti
e Nicola Guerri, 1998-99.
Archivio Danilo Guerri.
Antonello Alici
15
fondi archivistici presenti in altre regioni29. La guida agli archivi di
architettura nelle Marche, pubblicata nel 2011, che si aggiunge ai
volumi del Lazio, della Toscana e dell’Abruzzo, contiene le biografie e schede informative dei fondi censiti e i primi percorsi di ricerca avviati dallo spoglio dei documenti30. Una nuova rete di contatti
con gli ordini professionali ha contribuito alla sensibilizzazione di
altre famiglie di ingegneri ed architetti del territorio e portato alla
segnalazione di fondi archivistici degli studi professionali non più
attivi.
La crescente disponibilità di materiali inediti ha consentito
di avviare uno studio più sistematico delle biografie dei principali professionisti operanti nella regione dall’Unità d’Italia e confermato i caratteri di marginalità delle Marche, in primo luogo
per l’assenza di centri di formazione di livello universitario, e per
questo anche poco esplorate se non per l’opera di figure di respiro
internazionale come Giancarlo De Carlo, Carlo Aymonino, Guido
Canella e pochi altri. I percorsi di formazione e avvio della professione hanno generalmente privilegiato la scelta di Roma, in continuità con il periodo preunitario: dall’Accademia nazionale di San
Luca all’Accademia di Belle Arti fino alla Scuola superiore di architettura. Qui, sostenuti da una ben radicata comunità di corregionali e dalle opportunità di sostegno finanziario del Pio Sodalizio dei
Piceni, i giovani marchigiani hanno trovato spazi favorevoli anche
dopo la laurea. La lista è prestigiosa, a partire da Giuseppe Sacconi
(1854-1905), che favorisce le brillanti carriere di Vincenzo Pilotti
(1872-1956) in Toscana e di Guido Cirilli (1871-1954) in Veneto.
Tra le generazioni più giovani emergono i nomi di Innocenzo Sabbatini (1891-1983), Gaetano Minnucci (1896-1980), Quadrio Pirani (1898-1970), Dagoberto Ortensi (1902-75), Eugenio Montuori
(1907-82), e poi ancora Alfredo Lambertucci (1928-96), Sergio Danielli (1930-2011) e Danilo Guerri (1939-2016)31. I più si radicano
a Roma, dove stabiliscono studio e residenza, ma senza recidere i
legami con la terra d’origine, che si rivela molto generosa di occasioni professionali, a partire dai concorsi e dalle esposizioni. Per
alcuni la carriera professionale si combina con il ruolo di docenti
nella Facoltà di Architettura, altri occupano posizioni importanti
negli uffici pubblici, come nell’Istituto per le case popolari.
Gli archivi si sono rivelati una base solida su cui fondare la seconda fase del censimento delle architetture, tra il 2015 e il 2016. Le
duecento opere censite hanno messo in luce il forte squilibrio tra le
province del nord, dominanti, e quelle meridionali – Ascoli Piceno,
Fermo e Macerata – ,con scarse tracce di modernità. La mappa che
ne deriva disegna i flussi di relazioni stabiliti nel corso del secondo
Novecento tra i centri principali di formazione e la committenza
più colta e aggiornata, che ha attirato i professionisti di spicco già
ricordati. Siamo certi che questi dati sono allo stesso tempo condizionati dalla maggior attenzione delle riviste e delle principali pubblicazioni per i "maestri" o per i committenti più noti.
Abbiamo di fronte una nuova fase di ricerca più capillare da
svolgere sul territorio, piuttosto che in biblioteca, in un’auspicata
sinergia con i presìdi delle Soprintendenze e gli ordini professionali.
Pietro Castelli, Gruppo
Marche, Progetto di abitazione
dell'architetto, vista prospettica
del soggiorno, Macerata, 1952.
Archivio Gruppo Marche.
16
Voci della cultura nazionale per l’architettura italiana del secondo Novecento
Note
1 I risultati del censimento sono pubblicati nel sito: http://www.architetturecontemporanee.beniculturali.it/architetture/index.php.
2 Gli esiti delle ricerche condotte nei corsi aderenti al progetto sono pubblicati nella
terza parte di questo volume in Architetture a rischio del secondo Novecento italiano.
Un primo censimento.
3 Cfr. Fascicolo speciale dedicato all’architetto Giuseppe Pagano, «Costruzioni-Casabella», n. 195-198, dicembre 1946. Su Giuseppe Pagano vedi A. Alici, Giuseppe Pagano
and Casabella. In defence of modern Italian architecture, in H. Hökerberg (a cura di),
Architecture as propaganda in the twentieth-century totalitarian regimes. History and
heritage, Polistampa, Firenze 2018, pp. 35-58; C. Melograni, Giuseppe Pagano, Il Balcone, Milano 1955; C. de Seta, Architettura e città durante il fascismo: Giuseppe Pagano,
Laterza, Bari-Roma 1976; C. de Seta, Il destino dell’architettura. Persico, Giolli, Pagano,
Laterza, Bari Roma 1985; A. Bassi, L. Castagno, Giuseppe Pagano, Laterza, Roma-Bari
1994.
4 «Gli architetti italiani, dal più al meno, passarono per il fascismo; anche quelli che
non aderirono, vi collaborarono con qualche opera: le mostre, gli edifici, le riviste… solo
pochi restarono estranei al tormentoso cammino…», E. N. Rogers, Catarsi, in «Costruzioni-Casabella», n. 195-198, cit., p. 40.
5 Ivi, p. 42.
6 D. Terra (a cura di), Dopo il diluvio. Sommario dell’Italia contemporanea, rist. a cura
di S.S. Nigro, Sellerio editore, Palermo 2014.
7 Ivi, Introduzione, p. 26.
Antonello Alici
17
8 Cfr. C. Levi, La città, in D. Terra (a cura di), Dopo il diluvio…, cit., p. 44.
9 G. Piovene, Viaggio in Italia, 1957, rist. Baldini & Castoldi, Milano 1993.
10 G. Piovene, Conclusioni del viaggio, Ibidem, p. 855.
11 P.P. Pasolini, La lunga strada di sabbia, in «Successo», luglio, agosto, settembre
1959; ripubblicato in P.P. Pasolini, Romanzi e racconti 1946-1961, Meridiani, Mondadori, Milano 1998; ora in P.P. Pasolini, La lunga strada di sabbia, con fotografie di Philippe Séclier, Contrasto, Roma, 2015.
12 G. Milelli, L’Italia vista da lontano, in M. Argenti, C. Melograni (a cura di), Architetture nell’Italia della ricostruzione, in «Rassegna di architettura e urbanistica», 117,
settembre-dicembre 2005, Edizioni Kappa, Roma pp. 33-44. Switzerland Builds è
pubblicato all’inizio del 1950, alla fine dello stesso anno si conclude il lungo lavoro per
Sweden Builds.
13 E.N. Rogers, Tradizione dell’architettura moderna italiana, in G.E. Kidder Smith,
Italy Builds/L’Italia costruisce. Sua architettura moderna e sua eredità indigena, Edizioni di Comunità, Milano 1955; pubblicato anche in «Casabella-Continuità», n. 206,
luglio-agosto 1955, pp. 1-7.
14 G. Milelli, L’Italia vista da lontano… ,cit., p. 41.
15 G.E. Kidder Smith, Italy Builds… ,cit., p. 15.
16 Nella redazione sono Giancarlo De Carlo, Vittorio Gregotti, Marco Zanuso, e Julia
Banfi è segretaria di redazione. Vedi E.N. Rogers, Continuità, in «Casabella-Continuità», n. 199, dicembre 1953-gennaio 1954, pp. 2-3.
17 Giancarlo De Carlo è nella redazione di «Casabella-Continuità» dal 1954 al 1957.
18 G. De Carlo, Il contributo dell’architettura italiana alla cultura internazionale, in
«L’architettura. Cronache e storia», n. 33, luglio 1958, pp. 186-190.
19 Ibidem, p. 186.
20 Ibidem, p. 188.
21 Ibidem, p. 189.
22 Ibidem.
23 Il Piano nazionale per la tutela del patrimonio documentario dell’architettura del
Novecento, promosso nel 2001 dalla Direzione generale per l’architettura e l’arte contemporanee d’intesa con la Direzione generale per gli archivi, mirava alla costruzione
di una banca dati «cui attingere con diverse chiavi di lettura: quella specialistica che
lavora criticamente sulla storia dell’architettura e per il restauro degli edifici, quella
didattica e professionale, e infine quella divulgativa , legata al crescente interesse della
cultura odierna per l’architettura, l’urbanistica e il design», cfr. P. Baldi, Presentazione,
in M. Guccione, D. Pesce, E. Reale (a cura di), Guida agli archivi privati di architettura
a Roma e nel Lazio. Da Roma capitale al secondo dopoguerra, Gangemi, Roma 2002, p. 7.
24 Al seminario di gennaio 1995 svoltosi presso l’Archivio Progetti dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia è seguita, il 15 maggio 1998, una riunione presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma, che ha posto le basi per la costituzione di
un’associazione mirata alla valorizzazione del patrimonio archivistico nazionale di
architettura, denominata Associazione nazionale per gli archivi di architettura (AAA
Italia).
25 L’associazione AAA Italia ha messo in rete le più avanzate e prestigiose istituzioni archivistiche dedicate all’architettura, all’ingegneria e al design e ha promosso una
serie di iniziative di censimento, ricerca, formazione e divulgazione. Tra gli esiti felici
di questa attività è l’istituzione della Giornata nazionale degli archivi di architettura.
Le attività di AAA Italia e le sue pubblicazioni, in primo luogo il bollettino a cadenza
annuale, sono pubblicate sul sito www.aaa-italia.org. Il Portale degli archivi degli architetti è pubblicato, a cura della Direzione generale Archivi del MiBAC, all’ indirizzo
http://www. architetti.san.beniculturali.it/web/architetti/home.
26 Cfr. http://www.architetturecontemporanee.beniculturali.it/architetture/index.php
27 Cfr. L. Megale, Gli archivi degli architetti nelle Marche: interventi, problematiche
e prospettive, in A. Alici, M. Tosti Croce (a cura di), L’architettura negli archivi. Guida
18
Voci della cultura nazionale per l’architettura italiana del secondo Novecento
agli archivi di architettura nelle Marche, Gangemi, Roma 2011, pp. 25-27.
28 Cfr. A. Alici, M. Tosti Croce (a cura di ), L’architettura negli archivi…, cit.
29 Mostra Archivi di architettura del ‘900 nelle Marche. Dentro lo studio dell’architetto, Mole Vanvitelliana, Ancona, maggio 2008; cfr. A. Formato, Archivi di architettura
in mostra, in A. Alici, M. Tosti Croce (a cura di), L’architettura negli archivi…, cit., pp.
150-152.
30 Cfr. A. Alici, M. Tosti Croce (a cura di ), L’architettura negli archivi…, cit.
31 L’azione di valorizzazione di alcune di queste figure rimaste nell’ombra è in atto,
grazie anche al contributo di tesi di laurea e di dottorato, attraverso seminari, giornate
di studio, mostre e pubblicazioni. In questa sede mi limito a citare le fonti principali.
U. Tramonti, S. Martellucci (a cura di), Vincenzo Pilotti 1872-1956. Città immaginata,
città sognata, Alinea, Firenze 2003; A.G. Cassani, G. Zucconi (a cura di), Guido Cirilli architetto dell’Accademia, Il Poligrafo, Padova 2014; P. Posocco (a cura di), Alfredo
Lambertucci, 1928/1996. Costruire lo spazio, Quodlibet, Macerata 2019.
Antonello Alici
19
Architetture marchigiane
Antonello Alici
Giovanni Bellucci
Monica Prencipe
La difficile sopravvivenza del moderno
Gli anni del secondo dopoguerra sono segnati dall’urgenza della ricostruzione e dal desiderio di risarcimento delle profonde ferite dei
bombardamenti, ma sono anche caratterizzati dalla volontà di migliorare le condizioni di vita dei centri urbani piccoli e grandi attraverso una dotazione di servizi moderni ed efficienti. È una stagione
ricca di energie positive.
Alla necessità di misurarsi con la storia e con la memoria si
aggiunge l’occasione di mettere a punto nuove tipologie e sperimentare le potenzialità strutturali ed estetiche dei nuovi materiali.
Una duplice sfida che, affidata spesso al concorso di architettura
o all’appalto concorso, ha offerto l’occasione ai giovani laureati, a
volte anche agli studenti più intraprendenti, di un confronto aperto
con i colleghi più affermati e di un dialogo proficuo con i maestri.
Al rapporto con il luogo e con la sua comunità si aggiunge quello
con la committenza. Quando il progetto passa alla fase esecutiva si
aprono altri scenari, a partire dai tempi e dalla qualità della sua esecuzione e dalla sua capacità di aggiungere valore al contesto in cui
si inserisce. In Italia siamo purtroppo abituati a opere incompiute,
incomplete o mal costruite, e per questo mai accettate dalla comunità. I casi che abbiamo selezionato sono paradigmatici di questa
complessità di fattori che condizionano la durata dell’opera e mettono a rischio la sua stessa sopravvivenza. (A. A.).
Sergio Danielli, Mercato
coperto, Piazzale Azzolino,
Fermo, 1953-61.
Studi di inserimento
nel contesto,
Ordine degli Architetti di
Fermo. Archivio Sergio Danielli.
Il mercato coperto di Fermo, Sergio Danielli, 1953-61
Il progetto del mercato coperto di Fermo matura negli anni della
ricostruzione ed è il primo di un complesso di infrastrutture moderne legate al ciclo dell’alimentazione insieme alla Centrale del
latte e ai laboratori alimentari. Il tema è complesso, il sito scelto dal
comune è ai margini del centro storico, sulla sommità della collina
dove sorge Palazzo Azzolino.
È dunque un tema di grande complessità per un giovanissimo
progettista come Sergio Danielli (1930-2011), fermano di origine,
che coglie ben presto l’opportunità di lasciare un segno nella sua
città natale, essendo, nel 1953, prossimo alla laurea in architettura alla Sapienza di Roma. L’edificio sfrutta il forte declivio dell’area
per articolare la sua duplice funzione, quella di magazzino al livello
più basso, che si può facilmente raggiungere dalla strada di circonvallazione, e quella della vendita direttamente accessibile al livel-
226
Architetture a rischio del secondo Novecento italiano. Un primo censimento
A. Alici, G. Bellucci, M. Prencipe
227
lo della piazza, contigua al Corso Cefalonia, la principale arteria
della città storica su cui si allineano i palazzi delle grandi famiglie.
L’impegno del progettista nella ricerca del delicato inserimento nel
tessuto storico è testimoniato dai numerosi disegni di studio conservati nell’archivio professionale, oggi conservato presso l’Ordine
degli architetti di Fermo.
L’impiego del cemento armato consente di creare un telaio
strutturale di base che assicura grandi luci al magazzino, su cui si
innesta la sala delle vendite. In piena sintonia con la tendenza a superare la rigidità del razionalismo del ventennio tra le due guerre
espressa dalle più avanzate correnti nazionali, Danielli sagoma i
portali in cemento armato della sala superiore per dilatare lo spazio e consentire l’innesto di una grande lama di luce orizzontale,
replicata in sommità dal lungo lucernario. Le linee del cemento armato portate all’esterno mettono a nudo i nodi strutturali, i grandi
pilastri di base si piegano a mo’ di contrafforti a sorreggere l’aggetto
della sala, mentre le compatte superfici in mattone chiaro dichiarano l’adesione all’identità del luogo così come le coperture a falde
e il raffinato aggetto della cortina muraria alle estremità. La composizione delle aperture riflette la funzione, grandi luci nel corpo
di base che lasciano il posto alle vetrine e alle sottili lame vetrate
protette da brise-soleil nella sala delle vendite.
Il successo dell’opera prima di Sergio Danielli è sugellato dal
Premio In-Arch Marche che l’edificio riceve nel 1961. La commissione giudicatrice, composta da Guido Cavani, Francesco Cotti
Serbelloni, Pierluigi Giordani e Eugenio Montuori, apprezza l’interesse formale e la sobrietà dell’opera nella ricerca di un ambientamento nel contesto1.
La sobrietà del Mercato coperto di Fermo, però, ha mal superato
il vaglio del tempo, la nudità della sua struttura si è rivelata un limite estetico e il degrado dell’opera è stato rapido quando ha perso la
228
Mercato coperto. Stato di fatto
al 2019.
Architetture a rischio del secondo Novecento italiano. Un primo censimento
sua funzione. Il deposito è diventato un triste parcheggio ad uso del
Comune, il piano superiore un relitto mal sopportato dai cittadini.
Negli anni Novanta è arrivata la decisione del Comune di demolire
l’opera, un destino che accomuna il patrimonio architettonico del
secondo Novecento e che merita un’attenta riflessione. Il rischio di
demolizione è stato presto scongiurato, grazie ad una campagna di
rivalutazione dell’opera, anche per la sua componente di sperimentazione strutturale, sostenuta dall’Università di Ancona in piena
sintonia con il Soprintendente dell’epoca, l’architetto Mario Lolli
Ghetti. Così è arrivato il vincolo e oggi, a distanza di vent’anni, il
Mercato coperto è inserito nel censimento del Ministero dei beni e
delle attività culturali e del turismo2. Ma questo non basta, un’opera
priva di funzione è condannata a morte. La piazza su cui si affaccia
il vecchio mercato di Danielli pare affetta dal suo stesso degrado,
abbandonata e forse dimenticata, non più un luogo di socialità ma
di marginalità. L’unica speranza è affidata alla comunità di cittadini
di Fermo, che si riappropri di uno spazio e di un luogo strategico per
ricondurlo nel vivo del suo tessuto sociale. (A. A.).
Gaetano Minnucci e Ancona:
un patrimonio di opere a rischio
La Carta europea del patrimonio architettonico, redatta nell’ottobre del 1975 a seguito del Congresso di Amsterdam, in uno dei primi
punti indica con chiarezza l’importanza del patrimonio per lo sviluppo culturale della società futura. Se per tutta l’architettura del
passato questo concetto appare, probabilmente anche ai profani,
di una certa ovvietà, l’importanza di molte opere del Novecento e
in particolare della seconda metà del secolo spesso è ancora celata nell’ombra. Un’ombra che impedisce di leggere la sfida posta dai
progettisti con architetture realizzate in un secolo che ci ha lasciato una ricca e variegata eterogeneità di linguaggi e di sperimentazioni sia in ambito strutturale che compositivo. La lista degli edifici
che oggi vive la complessa fase di passaggio da semplice architettura funzionale rispondente agli scopi per i quali è stata realizzata
a riferimento culturale è lunga e questo elenco è particolarmente
ricco in provincia. Le piccole e medie città della nostra penisola
sono punteggiate da decine di opere di ingegneria e di architettura
che solo recentemente, grazie a numerose iniziative ministeriali e
accademiche, sono al centro dell’attenzione3.
Tra le realtà provinciali poco note a livello nazionele c’è probabilmente Ancona, capoluogo delle Marche. Ancona ha una storia
millenaria che dal punto di vista architettonico è stata in buona
misura compromessa durante la seconda guerra mondiale a causa
dei bombardamenti alleati. Tra l’autunno del 1943 e la primavera
del 1944 gran parte della città antica è stata cancellata con danni
enormi al patrimonio architettonico. Nella stessa città, a scaden-
A. Alici, G. Bellucci, M. Prencipe
229
ze quasi decennali, si sono abbattute nel secondo Novecento altre
sciagure quali l’alluvione del settembre 1959, il terremoto nel giugno del 1972 e la frana nel dicembre del 1982. Tre momenti terribili
che hanno determinato una profonda revisione e rapidi interventi
nella città, che dal 1945 aveva già iniziato un radicale percorso di
ricostruzione e trasformazione a partire dal Piano di ricostruzione.
La gestione di questo piano emergenziale che ha guidato la ricostruzione del capoluogo dorico viene affidata a Gaetano Minnucci
(1896-1980), ingegnere marchigiano laureato a Roma nel 19204.
Avviata una brillante carriera accademica, pubblicistica e professionale nella capitale, Minnucci lavora nel ventennio ad alcuni dei
principali cantieri della Roma capitale dell’impero (Città universitaria ed E 42 in testa) al fianco di Marcello Piacentini (1881-1960).
Terminata la seconda guerra mondiale Minnucci, pur mantenendo
la sua sede lavorativa prevalente nella capitale, frequentemente
lavora nella sua regione di origine e in particolare ad Ancona, a cominciare proprio dal Piano di ricostruzione della città5. In questo
piano vengono individuati alcuni nodi cruciali da risolvere con piani particolareggiati sui quali l’ingegnere romano si troverà a lavorare nei due decenni successivi: uno di questi è il quartiere Archi
ubicato sul litorale che costeggia la celebre Mole realizzata da Luigi
Vanvitelli (1700-73) negli anni Trenta del Settecento6. Il quartiere,
data la vicinanza a presidi strategici come la stazione ferroviaria
e il porto, viene ripetutamente bombardato tra il 1943 e il 1944 e
in particolare viene distrutto l’attiguo Mercato del pesce. Il primo
incarico che Minnucci ottiene dal Comune di Ancona, pochi mesi
dopo aver consegnato il Piano di ricostruzione, è proprio quello per
la costruzione del nuovo Mercato ittico. Il progetto, a cui egli lavora tra il 1946 e il 1949, è probabilmente uno dei suoi lavori più noti
e ottiene non solo la ribalta nazionale ma anche internazionale7. Il
Mercato, che subisce un primo adeguamento funzionale ad opera
230
Gaetano Minnucci, Mercato
del pesce, Ancona, 1946-49.
Planimetria. L’area per i
Magazzini Commerciali è quella
destinata alla costruzione del
complesso della SIDECOM.
Archivio Centrale dello Stato,
Roma, Fondo Minnucci.
Architetture a rischio del secondo Novecento italiano. Un primo censimento
dello stesso Minnucci tra il 1955 e il 1956, negli anni Ottanta e Novanta è stato oggetto di pesanti interventi di rifunzionalizzazione
al fine di adempiere alle nuove richieste logistiche ed igieniche
imposte dalle normative vigenti per edifici di questa tipologia. In
particolare la grandiosa sala delle aste, la cui inconsueta spazialità
trovava esaltazione nelle foto d’epoca, oggi è del tutto compromessa da una serie di inserimenti. Le balconate metalliche, gli invasivi
impianti tecnici a vista e nuovi volumi soppalcati hanno totalmente
cancellato il magnifico spazio interno che Minnucci aveva genialmente espresso con questo progetto. L’Autorità di Sistema Portuale
del Mare Adriatico Centrale, ambito amministrativo territoriale
a cui oggi il Mercato del pesce fa riferimento, nella primavera del
2018 ha indetto un bando di gara per la sua ristrutturazione di cui si
stanno attendendo gli esiti8.
Negli stessi anni in cui Minnucci lavora alla costruzione del
Mercato del pesce, a poche decine di metri di distanza, è incaricato
di portare a termine la costruzione degli uffici e dei magazzini della
Società Anonima Siderurgica Commerciale (nota anche come SIDECOM) di Roma. Minnucci è chiamato a progettare per l’azienda
un edificio per uffici, un piccolo volume per spazi di servizio e un
grande magazzino per il deposito dell’acciaio. In quest’ultimo l’ingegnere romano mette a punto una delle sue numerose invenzioni, che sono allo stesso tempo strutturali e formali, frutto di anni
di studio e di approfondimento su numerosi riferimenti del genere
sparsi in tutta Europa. La particolare conformazione dei pilastri
a Y rovesciata del magazzino dialoga con l’altrettanto particolare
schema statico del Mercato del pesce. La demolizione quasi completa circa quindici anni fa del presidio, che risultava quasi del
tutto abbandonato da diversi anni, per realizzare un parcheggio e
una rotatoria stradale, rappresenta uno dei numerosi casi di scarsa
conoscenza del reale valore del patrimonio industriale italiano. La
perdita dello scultoreo volume destinato a magazzino merci è solo
una delle tante sconfitte che può annoverare la storia dell’ingegne-
Gaetano Minnucci, Mercato
del pesce, Ancona, 1946-49.
Planimetria. L’area per i
Magazzini Commerciali è quella
destinata alla costruzione del
complesso della SIDECOM.
Archivio Centrale dello Stato,
Roma, Fondo Minnucci.
L’interno. Archivio Centrale
dello Stato, Roma, Fondo
Minnucci, anni Cinquanta.
A. Alici, G. Bellucci, M. Prencipe
231
Gaetano Minnucci, Magazzino
della SIDECOM, Ancona,
1947-48. Archivio Centrale dello
Stato, Roma, Fondo Minnucci,
anni Cinquanta.
ria, ambito disciplinare la cui potenzialità deve ancora essere pienamente compresa dagli studiosi.
Il terzo edificio a cui Minnucci lavora nel quartiere Archi a partire dal 1950 è la chiesa parrocchiale del SS. Crocifisso. L’edificio
testimonia ancora una volta la ricchezza di riferimenti di Minnucci, che in questo progetto emergono con forza ancora maggiore. La
profonda conoscenza dell’architettura olandese, da lui palesata con
numerose pubblicazioni in Italia dalla metà degli anni Venti9, ad
Ancona trova un felice riscontro in questa chiesa, soprattutto per
quanto riguarda l’uso dei materiali. La cortina muraria realizzata in
mattoni faccia vista non fa pensare a un’architettura mediterranea
ma viceversa il pensiero corre a paramenti nord europei dove l’assestamento, la disposizione dei ricorsi, la sporgenza e la rientranza
degli elementi rappresentano da sempre un esercizio di notevole
interesse tecnico e compositivo. Si tratta senza dubbio dell’edificio
meglio mantenuto rispetto a quelli citati e oggi, essendo collocato
in uno dei quartieri più multietnici della città, rappresenta, anche
232
Gaetano Minnucci, Chiesa SS.
Crocifisso, Ancona, 1950-55.
Stato di fatto al 2019.
Foto di G. Bellucci.
Chiesa SS. Crocifisso, Ancona,
1950-55. Particolare della
facciata principale. Stato di fatto
al 2019. Foto di G. Bellucci.
Architetture a rischio del secondo Novecento italiano. Un primo censimento
grazie all’unica piazza del quartiere antistante la chiesa, un importante punto di aggregazione comunitaria.
Nel luglio 2017 il Comune di Ancona ha approvato il piano strategico Ancona 2025 che, a partire dal successivo mese di settembre,
è stato presentato in diverse occasioni alla cittadinanza10. Uno dei
temi del piano ha per oggetto proprio la zona della Mole Vanvitelliana e il quartiere Archi: si auspica, al fine di evitare altri errori,
come nel caso della demolizione dell’ex sede della SIDECOM, una
presa di coscienza del valore del contesto architettonico, urbano e
sociale che da decenni ha smesso di essere al centro degli interessi
degli amministratori, dei tecnici e più in generale dell’intera comunità scientifica. (G.B.).
Il Monumento alla Resistenza di Ancona,
Paola Salmoni, 1964-65 11
Il Monumento alla Resistenza della città di Ancona fu inaugurato
nell’aprile del 1965, con una solenne celebrazione tenuta da Sandro
Pertini. Al di là della risonanza sulle pagine della stampa locale, la
sua realizzazione fu tutt’altro che lineare, soprattutto a causa della
scarsità di fondi da destinare al progetto: infatti, già nel 1957 la città
aveva deciso di commissionare un’opera bronzea all’artista locale
Pericle Fazzini (1913-1987), senza tuttavia individuare un’area da
destinare al progetto.
La svolta decisiva arrivò solo tra il 1964 e il 1965, a ridosso dei
preparativi cittadini per il ventennale della Liberazione.
In tutta fretta fu necessario individuare sia il luogo, sia il progettista del nuovo monumento. Si pensò ad una porzione di terreno
già destinata a parco nel piano per il nuovo quartiere di Borgo Rodi,
posto sulla sommità del colle Astagno, in posizione speculare al Guasco, sul quale si era sviluppata la città storica sino a quel momento.
La scelta del progettista ricadde su Paola Salmoni (1921-2003),
prima donna architetto della regione, attiva già dal 1951. Sino a quel
momento era stata una prolifica protagonista della ricostruzione
della città, soprattutto grazie alle molte commesse residenziali
(pubbliche e private) e alla crescente richiesta di attrezzature scolastiche, mentre qui si sarebbe confrontata per la prima volta con
un tema collettivo, altamente simbolico e profondamente sentito
dalla sua stessa famiglia dopo le lotte clandestine e le persecuzioni
ebraiche del regime fascista.
Superati i primi dubbi, Paola Salmoni accettò l’incarico, ma, dovendosi confrontare con un sito verde in forte pendenza, ottenne
di essere affiancata dal giovane architetto cesenate Gilberto Orioli
(1937-2011), all’epoca assistente alla cattedra di Arte dei giardini
alla Facoltà di architettura di Firenze.
Il risultato, definito quasi interamente sul posto e con pochi
disegni preparatori, contò sull’ampia collaborazione della manodopera locale, nonché sulla possibilità di recuperare alcuni dei mate-
A. Alici, G. Bellucci, M. Prencipe
233
tiere), con un linguaggio semplice, povero, ma non per questo meno
significativo.
Dopo anni di abbandono, nel 2005, lo Studio Salmoni Architetti
Associati (oggi diretto dai due nipoti di Paola Salmoni) si è occupato del progetto di restauro del monumento, seguendo una linea
di intervento strettamente conservativa e valorizzando la struttura
originale con un nuovo impianto di illuminazione.
A poco più di dieci anni da quest’ultimo intervento, si contano
già numerosi i segni di vandalismo sulle opere in cemento e sulle
steli in ferro: apparirebbe così necessario un nuovo intervento pubblico, volto non solo al recupero materiale del bene, ma soprattutto
ad una sensibilizzazione dei suoi cittadini nei confronti della propria storia. (M. P.).
riali necessari dal vicino cantiere navale della Fincantieri: da lì venivano infatti le steli in ferro sulle quali il poeta Franco Antonicelli
(1902-74) riportò le storie dei partigiani che avevano partecipato
alla Resistenza.
Il progetto del monumento consisteva nella definizione di una risalita “difficile”, così come difficile era stato il percorso di redenzione
fisica e morale degli italiani dal regime dittatoriale precedente: dal
grande cancello bronzeo di Gio’ Fiorenzi (1930), si risaliva il declivio
attraverso un percorso segnato da spogli muri in cemento armato.
Seguendo una griglia ortogonale che si adattava alle variazioni
orografiche del sito e che apriva a inaspettati squarci sul paesaggio
circostante, il progetto individuava una serie di soste in cui esporre
le steli in ferro con le parole dei partigiani. E come in una laica via
crucis, in sommità si arrivava ad un piccolo spazio pianeggiante: da
qui si poteva ammirare non solo la statua di Fazzini (che rappresentava appunto il sacrificio di un partigiano), ma anche la città storica, vera protagonista della liberazione assieme ai suoi cittadini.
Un monumento coscientemente anti-monumentale quello di Paola
Salmoni e Gilberto Orioli, che cercava di celebrare la bellezza della
quotidianità (una risalita funzionale attraverso un parco di quar-
234
Paola Salmoni, Monumento alla
Resistenza, Ancona, 1964-65.
Planimetria, prospetto
principale e dettagli.
Archivio privato Claudio
e Paola Salmoni.
Foto d'epoca del complesso
paesaggistico visto da valle.
Sulla sommità svetta la statua
bronzea di Pericle Fazzini,
che raffigura la morte di un
partigiano.
Archivio privato Claudio
e Paola Salmoni.
Percorso di risalita, costituito
da setti in cemento armato
e da una pavimentazione
in ciottoli di mare.
Foto di F. Paci.
Architetture a rischio del secondo Novecento italiano. Un primo censimento
Piazza con centro servizi al quartiere Q1, Passo di Varano,
Ancona, Danilo Guerri, 1984 - non completato12
Nei primi anni Ottanta la città di Ancona iniziò a pianificare la sua
più importante espansione dopo la prima ricostruzione del dopoguerra, a causa sia di un disastroso terremoto (1972) sia di una frana (1982) di un’ampia zona a nord. Il risultato di tale ripensamento
fu l’attento disegno di tre quartieri, la cui superficie complessiva
raddoppiava il confine originario della città. In particolare, i primi
due quartieri – denominati Q1 e Q2 – erano caratterizzati da edifici
ad alta densità abitativa, interrotti in pochi punti strategici da piazze, centri civici e scuole di quartiere.
Il primo di questi nuovi “centri” fu affidato a Danilo Guerri
(1939-2016): noto fino a quel momento per le sue raffinatissime soluzioni residenziali, si scontrò qui con i problemi legati a un’imponente commessa pubblico-privata.
Il progetto di Guerri prevedeva la costruzione di una grande
piazza emiciclica – in parte scavata all’interno del declivio e oggi
denominata Largo Massimo Troisi – su cui si fronteggiavano con
grande equilibrio i diversi soggetti attuativi: a sud-est l’edificio
commerciale e le residenze dei privati, distribuite attorno ad un
ampio ballatoio circolare, mentre a nord e a ovest una serie di
servizi pubblici dovevano contrassegnare la cortina urbana della
piazza: una piscina, una palestra dall’elegante copertura in legno
lamellare, una scuola materna dal disegno “a turbina” e infine una
scuola media, il cui lungo blocco si chiudeva a valle con l’imponente torre del centro civico. L’immagine evocata richiamava chiaramente i molti nuclei urbani sparsi sui colli dell’Italia centrale,
definendo un piccolo borgo contemporaneo articolato attorno allo
spazio pubblico della piazza. All’immagine romantica del borgo
Guerri contrapponeva un’estetica degli edifici prettamente moderna, con dettagli tratti dalla tradizione ridolfiana del primo dopoguerra, fino ai molti riferimenti brutalisti dei due landmark di
ingresso: a nord la già citata “torre civica” e a sud il blocco circola-
A. Alici, G. Bellucci, M. Prencipe
235
Danilo Guerri, Piazza con
attrezzature scolastiche,
sportive, commerciali ed edilizia
residenziale nel quartiere
Monte d'Ago 1, Passo di Varano,
Ancona, 1984-non completato.
Modello del complesso
residenziale e servizi:
a destra la parte residenziale
e commerciale
(a realizzazione privata)
e a sinistra il complesso di
edifici pubblici.
Archivio Danilo Guerri.
re della distribuzione verticale del complesso residenziale.
Particolare attenzione era stata posta sia nella costruzione della sezione interna del blocco residenziale, articolato con appartamenti singoli e duplex, sia nella definizione dei dettagli delle zone
comuni, come il disegno della pavimentazione della piazza e delle
balaustre in ferro.
A causa della difficile gestione del progetto – nonché per il sopraggiungere di nuove richieste di residenze a finanziamento pubblico (che costrinsero l’amministrazione a dirottare parte dei fondi
per le attrezzature sulla nuova espansione del quartiere Q3) – l’opera appare oggi interrotta, tanto da essere di fatto ripudiata dal suo
autore. L’omissione ha chiaramente inficiato la riuscita del pro-
getto, che si è visto sottrarre il significato della piazza come fulcro
delle attività del quartiere, a servizio delle attrezzature pubbliche.
Infine, negli ultimi anni il Comune ha approvato e costruito, al
posto del complesso sportivo e scolastico, nuovi blocchi di edilizia
residenziale convenzionata (tra cui uno progettato nei primi anni
duemila da Cherubino Gambardella), spogliando definitivamente
la piazza del ruolo civico per il quale era stata pensata e abbandonando ogni pretesa di centralità per il quartiere. (M. P.).
Danilo Guerri, disegno di studio
della piazza circolare.
236
Architetture a rischio del secondo Novecento italiano. Un primo censimento
Danilo Guerri, Piazza con
attrezzature scolastiche,
sportive, commerciali ed edilizia
residenziale nel quartiere
Monte d'Ago 1, Passo di Varano,
Ancona, 1984-non completato.
Vista del blocco residenziale
realizzato, con a destra
la scala-torre di distribuzione.
Foto di F. Sasso.
Piazza con centro Servizi al quartiere Q2, Passo di Varano,
Ancona, Guido Canella, 1984 - non completato13
Il piano per il nuovo quartiere Q2 di Ancona – così denominato
in omaggio al QT8 di Piero Bottoni – fu redatto già alla fine degli
Settanta dallo studio romano di Egidio De Grossi. Il piano doveva
rispondere celermente alla carenza di abitazioni della città dopo il
forte terremoto del 1972 che aveva reso definitivamente inagibile
gran parte del centro storico, già semidistrutto dai bombardamenti
della seconda guerra mondiale. Benché necessaria, la nuova espansione non voleva configurarsi come un semplice quartiere-dormitorio, ma cercava di inserirsi armoniosamente nell’orografia altalenante del paesaggio collinare marchigiano, snodandosi attorno a
due grandi piazze civiche, poste ai due capi del quartiere: la prima,
Piazza Salvo d’Acquisto a monte, e la seconda, Piazza Aldo Moro a
valle (a ridosso della piccola fermata ferroviaria di Passo di Varano), affacciata direttamente sui campi circostanti, al limite meridionale dell’espansione urbana.
Proprio quest’ultimo intervento prevedeva un programma fun-
A. Alici, G. Bellucci, M. Prencipe
237
zionale complesso, includendo un vasto parcheggio, un mercato
coperto, una palestra con tribune per 500 posti, un teatro e una serie di laboratori polivalenti. Dopo la prima definizione di massima
dallo studio romano De Grossi, lo sviluppo architettonico dell’area
fu affidato a Guido Canella (1931-2009), che decise di articolare il
complesso attorno al tema della piazza italiana e della città ideale
rinascimentale. Seguendo l’esempio del celebre quadro marchigiano che sotto la dominazione dei Montefeltro aveva suggellato i
principi dell’Umanesimo, l’area di progetto fu organizzata attorno
ad una piazza civica rettangolare, imperniata attorno all’edificio
pubblico a pianta centrale e delimitata a nord e ad ovest da una
cortina edilizia con funzioni commerciali, terziarie e residenziali,
mentre ad est era completamente aperta sul paesaggio. Fulcro del
Guido Canella con Michele
Achilli, Piazza con centro
servizi, attività commerciali,
residenze e uffici al quartiere
Monte d’Ago 2, Passo di Varano,
Ancona, 1984 - non completato.
Vista del modello generale.
Il complesso si sviluppa
attorno alla grande piazza
pubblica. Il progetto originario
comprendeva a sud il centro
servizi, a ovest gli edifici gemelli
commerciali e a nord i due
edifici destinati ad ospitare
uffici e residenze.
Archivio Guido Canella.
Sezione del centro servizi con
i tre livelli del mercato coperto,
della palestra, del teatro coperto
e del teatro all’aperto con
biblioteca e camerini.
Archivio Guido Canella.
238
Architetture a rischio del secondo Novecento italiano. Un primo censimento
progetto era un prisma dodecagonale di 37,5 metri di diametro, a
cui si addossavano tre torri quadrangolari di diversa altezza per
la distribuzione verticale. Infine, una lunga rampa pedonale a otto
tornanti collegava il parcheggio coperto alla piazza stessa, al livello
del teatro coperto sopraelevato.
L’enfasi progettuale sul ruolo del teatro come spazio collettivo
era evocata anche dai molti riferimenti al Globe Theatre londinese: un edificio come macchina scenica complessa (ma figurativamente anche un ingranaggio o un bullone meccanico) al cui
interno si svolgevano contemporaneamente una serie di attività
della comunità.
Si sottolineavano così sia le innumerevoli possibilità di sperimentazione nascoste dietro alla rigorosa applicazione del tema
dell’analogia in architettura, sia l’importanza dell’impegno civile
del progettista nella costruzione ex-novo di una comunità ideale
(aspetto tanto più rilevante se si pensa che quello che si stava configurando era un nuovo quartiere popolare ad alta densità abitativa).
Un ruolo ancora tutto salvifico dell’architettura (e del suo artefice),
che vedeva in questa missione civile la sua stessa ragion d’essere.
Ma così come accadde a molta dell’architettura degli anni Settanta
e Ottanta, l’amministrazione non riuscì a portare a termine la costruzione del complesso, né tantomeno ad alimentare l’auspicata
vocazione culturale (e civica) del quartiere.
Unico edificio realizzato fu proprio il grande fulcro dodecagonale – subito affettuosamente ribattezzato “Panettone” dagli anconetani –, all’interno del quale convivono oggi diverse realtà interessanti, dai circoli sportivi ad uno dei maggiori centri di danza
Guido Canella con Michele
Achilli, Piazza con centro
servizi, attività commerciali,
residenze e uffici al quartiere
Monte d’Ago 2, Passo di Varano,
Ancona, 1984 - non completato.
Vista del modello del centro
servizi. In primo piano la
rampa di ingresso pedonale
per raggiungere il teatro posto
all’ultimo livello.
Archivio Guido Canella.
Particolare del teatro all’aperto
in copertura. La terrazza
raddoppia idealmente lo spazio
del teatro interno, potendo
fungere da vero e proprio “palco”
esterno. Lo sguardo si apre
verso la vallata e il paesaggio
circostante grazie ad un piano
pilotis che sorregge il corpo
pensile della biblioteca.
Foto di Colusso Poeta Paccati
Archivio Guido Canella.
A. Alici, G. Bellucci, M. Prencipe
239
moderna della città, ad un teatro gestito direttamente da una piccola compagnia autofinanziata. Tutt’altra fine è stata invece quella
della piazza, del parcheggio coperto, della grande rampa pedonale,
degli uffici e delle attività commerciali, solo in minima parte realizzati e poi miseramente abbandonati, lasciando enormi carcasse
di cemento come unico sfondo al grande edificio pubblico a pianta
centrale.
Dopo molti decenni di attività con una manutenzione di minima, nel 2018 sono appena iniziati i lavori per il rifacimento della
copertura dell’edificio, mentre ancora nulla si è deciso circa la conclusione dell’area circostante.
In questo difficile quadro politico-amministrativo, ancora più
difficile è il giudizio del critico contemporaneo: era il progetto ad
essere troppo ambizioso, utopico e autoritario, o fu invece il pubblico promotore a impossibilitarne la riuscita non seguendo le indicazioni del progettista fino in fondo? (M. P.).
Note
1 «L’architettura. Cronache e storia», n. 85, 1962.
2 Il progetto di ricerca L’architettura nelle Marche dal 1945 ad oggi. Selezione delle
opere di rilevante interesse storico-artistico è stato affidato nel 2016 dal Ministero dei
beni e delle attività culturali e del turismo, Direzione Generale Arte e Architettura
Contemporanee e Periferie urbane al Dipartimento di ingegneria civile, edile e di architettura dell’Università Politecnica delle Marche, responsabile scientifico Antonello
Alici, gruppo di lavoro Giovanni Bellucci, Patrizia Burattini, Monica Prencipe, Francesco Paci. I risultati sono pubblicati sul sito http://www.architetturecontemporanee.
beniculturali.it/.
3 Oltre al Convegno internazionale Conservazione, tutela, ridestinazione per l’architettura italiana del secondo Novecento: archivi, diritto d’autore, nuove tecniche e materiali, a cura di Ge. Canella e P. Mellano, svolto a Torino il 12 e il 13 dicembre 2016, si
segnala il Censimento delle Architetture Italiane del Secondo Novecento promosso dal
Ministero per i beni e le attività culturali i cui risultati, divisi per ambiti regionali, sono
oggi quasi integralmente consultabili sul sito http://architetturecontemporanee.beniculturali.it.
4 Un esaustivo studio sulla vita e le opere di Minnucci è in corso di ultimazione da
parte dell’autore, a seguito della tesi di dottorato discussa nella primavera del 2012 e
incentrata solo sulle opere marchigiane di Gaetano Minnucci. Vedi G. Bellucci, Gaetano Minnucci. I progetti marchigiani, tesi di dottorato di ricerca in Scienze dell’ingegneria, Curriculum analisi e progetto dell’architettura e del territorio, X ciclo, nuova serie,
tutor A. Alici, Ancona 2011.
5 Predisposto in pochi mesi tra il 1945 e il 1946, nella redazione del Piano di ricostruzione Minnucci è affiancato da professionisti locali: gli ingegneri Claudio Salmoni,
Alberto Podesti, Vittorio Piccioni e gli architetti Eusebio Petetti, Guido Carreras e Costantino Forleo.
6 Il quartiere (o rione) Archi, costruito a partire dalla fine del Settecento, rappresenta la prima consistente espansione cittadina realizzata fuori dalle mura storiche
di Ancona. Impostato su una razionale palazzata con ampi portici fronte mare, il rione
Archi come una nuova piccola città è caratterizzato da subito per avere allo stesso tempo residenze popolari, spazi commerciali e, dalla seconda metà dell’Ottocento, anche
piccoli presidi industriali.
7 Oltre a Luigi Moretti, che segnala sulla rivista «Spazio» il progetto (vedi L. Moretti,
240
Architetture a rischio del secondo Novecento italiano. Un primo censimento
Mercato del pesce in Ancona. Architettura di Gaetano Minnucci, in «Spazio» n. 5, luglio
1951, pp. 48-53), è soprattutto in ambito internazionale che il mercato ottiene un certo
successo: si veda in proposito A. Cassi Ramelli, La halle aux poissons d’Ancone (Italie).
Architecte: Gaetano Minnucci, in «La Technique des Traveaux» nn. 9-10, septembreoctobre 1952, pp. 284-288; G.E. Kidder Smith, L’Italia costruisce. Italy builds, Edizioni
di comunità, Milano 1955, pp. 216-217; Lonja de pescado, Ancona, in «Informes de la
construcción» n. 83, año IX, agosto-settembre 1956, pp. 530-538.
8 L’intervento sul Mercato del pesce fa seguito a una serie di provvedimenti già realizzati e altri in corso di attuazione, quali la demolizione di larga parte delle strutture
dell’ex Fiera della Pesca e lo smantellamento della strada ferrata che collegava il porto e i cantieri navali alla stazione centrale. Il bando di gara per la ristrutturazione del
Mercato del pesce ipotizza un intervento di ammodernamento dell’edificio demaniale
per un importo previsto di circa 360.000 euro; nel piano di fattibilità predisposto su
incarico dell’Autorità Portuale ad alcuni liberi professionisti locali non si fa alcun cenno a interventi di ripristino della conformazione originale dell’edificio. I risultati del
concorso ad oggi non sono ancora stati resi noti.
9 Oltre al celebre volume monografico L’abitazione moderna popolare nell’architettura contemporanea olandese del 1926, Minnucci pubblica su «Architettura e Arti Decorative» articoli dedicati all’opera di architetti e decoratori olandesi a partire dal 1924,
senza dimenticare, sempre nel 1924, l’articolo pubblicato sulla rivista «L’Ingegnere»
dedicato a due capolavori dell’ingegneria olandese, ossia il Noordzeekanaal e le dighe a
delimitazione dello Zuiderzee.
10 Su questo tema si rimanda tra gli altri a Ancona 2015. Il piano strategico della città,
in «Mappe» n. 11, febbraio 2018, pp. 20-25.
11 Alla parte artistica lavorano Pericle Fazzini (statua bronzea), Giovanna Fiorenzi
(cancello di ingresso), Franco Antonicelli (testi delle steli in ferro).
12 Collaborano e lavorano a vario titolo e in più fasi con Danilo Guerri alla definizione
e alla parziale realizzazione del progetto D. Andreoni, G. Morpurgo, P. Bonvini, A. Campitelli, G. Cortesi, V. Curzi, A. Pozzi, G. Raffaeli e M. Turchi.
13 Il progetto è redatto da Guido Canella con Michele Achilli; Fabrizio e Mario De Miranda (strutture). Collaborano Ettore Mezzetti, Marco Molinari, Innocent Okpanum.
A. Alici, G. Bellucci, M. Prencipe
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