Grecia antica

La schiavitù è quella condizione per cui un essere umano è privato delle proprie libertà, divenendo proprietà del suo possessore: si trasforma da soggetto a oggetto, perdendo diritti civili e almeno in parte la propria dignità umana. Con questo articolo voglio mettere le basi per un ciclo che ci porterà a scoprire i meandri della schiavitù, dalle origini fino ai giorni nostri. Personalmente inizierò con l'analizzare le diverse condizioni relative alle schiavitù nell'antica Grecia; non è un caso che abbia usato il plurale anziché il singolare, infatti nella Grecia classica non solo esiste una particolare distinzione tra schiavitù e servitù, ma anche all'interno di queste due macrocategorie esistono numerose microcategorie, ognuna con proprie peculiarità. In questa sede poi avrà una particolare menzione la servitù di tipo ilotico, mio argomenti di tesi durante la laurea triennale. Cercherò nella parte iniziale del nostro ciclo di approfondire tutti quegli aspetti che rendevano l'ilotismo un fenomeno atipico già nell'antichità, per via del particolare asservimento, Greci asserviti da altri greci di diversa stirpe e provenienza. Andrò ad analizzare nel dettaglio le origini sia geografiche che etimologiche delle comunità servili nell'antica Grecia (iloti compresi), il ruolo e i rapporti all'interno della società, il trattamento che ricevevano dai padroni e infine presenterò un'ipotesi sulle stime numeriche della comunità ilotica. La schiavitù, dall'antichità al mondo moderno, ha rappresentato la forma di sfruttamento di lavoro dipendente più redditizio, poiché gli schiavi costituivano la forza lavoro più economica. Lo studio della schiavitù nell'antica Grecia pone un numero considerevole di problemi a livello metodologico, data anche la scarsa e frammentaria documentazione. Nell'età omerica, la società era strutturata in famiglie patriarcali con pochi schiavi. Le principali fonti di schiavitù, in età omerica come in età classica, erano il brigantaggio, la pirateria, la guerra, oltre che la stessa riproduzione delle comunità servili. Lo sviluppo economico delle epoche successive determinò un aumento del numero di schiavi e il peggioramento delle loro condizioni. Anche la terminologia spesso è poco chiara, poiché il greco antico possiede un gran numero di termini per designare lo schiavo ed occorre quindi contestualizzarli per evitare ambiguità. Aiace Oileo che prende Cassandra come bottino di guerra. Particolare di kylix a figure rosse del Pittore di Kodros (440-430 a. C.), Musée du Louvre, Parigi. Foto di Bibi Saint-Pol, pubblico dominio

In questo articolo ci interessiamo a un aspetto particolare ma molto famoso del pensiero di Talete, che consiste nel fatto di individuare quale principio generatore di tutte le cose l'acqua. Tale riferimento al cosiddetto archè dell'acqua è divenuto un elemento chiave nella divulgazione e nell'insegnamento filosofico, tanto che si associa comunemente il nome di Talete all'archè dell'acqua e al teorema del triangolo isoscele. Meno rilievo, invece, viene dato all'attività astronomico-astrologica (le due cose allora non erano scindibili) che forse potrebbe aver costituto, stando alle testimonianze, l'attività principale di Talete. Non avendo fonti dirette, tutto quello che noi sappiamo della teoria di Talete sull'acqua lo dobbiamo fondamentalmente ad Aristotele e in particolare a un brano della Metafisica. Tutti i riferimenti successivi, tranne poche eccezioni, sembrano ricalcare il testo aristotelico. Per il momento fermiamoci qui e vediamo le parole di Aristotele: « Sulla questione se ci debba essere un unico principio, o se debbano essere molti, e quanti, e sulla loro specie, non tutti dicono la medesima cosa. Talete, che è il progenitore di questa specie di filosofia, dice che quel principio è l'acqua, e perciò affermava che anche la terra galleggia sull'acqua. Forse si è formato questa opinione vedendo che il nutrimento di tutte le cose è umido e che perfino il caldo deriva dall'umido e vive di esso; ora, in tutti i casi, ciò da cui una cosa deriva è anche il suo principio. Per questa ragione Talete si formò questa opinione e anche perché i semi di tutte le cose hanno natura umida: ora l'acqua è il principio della natura delle cose umide. Vi sono alcuni i quali ritengono che anche gli antichissimi, di molto anteriori all'attuale generazione, che per primi hanno svolto considerazioni sulle divinità, abbiano condiviso questa credenza intorno alla natura: essi infatti considerarono Oceano e Teti autori del divenire, e ritennero che il giuramento degli dei venisse fatto sull'acqua, quella che essi chiamavano Stige; ora ciò che è più degno di onore è anche più antico, e si giura su ciò che è più degno di onore. Se questa credenza sulla natura sia originaria e antica è forse dubbio, ma si dice che Talete abbia detto qualcosa di simile parlando della causa prima » 1. Altrove poi lo stesso Aristotele sottolinea che per Talete la terra sta ferma perché «galleggia come un legno» 2. Si dice anche che Talete supponesse che l'origine dei terremoti fosse dovuta all'oscillazione di tale legno. Ma veniamo ora alla Mesopotamia, qui nell'area del golfo persico si sviluppa nel IV millennio a.C. la civiltà dei Sumeri; la prima civiltà a creare vere e proprie città e a inventare la scrittura, il tutto prima dei " mitici " egiziani (che stanno tanto a cuore alla cultura italiana e anche all'industria dell'intrattenimento). In effetti, come ha dimostrato Martin Bernal 3 , l'interesse dei greci per l'Egitto è un fattore determinante nella cultura greca, ma questo non deve diventare un pretesto per oscurare il contributo di altre tradizioni. Riprenderemo comunque questo discorso più avanti. Torniamo invece alle più antiche città della storia, come è stata definita Uruk, la città del mitico re Gilgamesh che andò a prendere i tronchi di cedro sulle montagne del libano, o Ur, la città di Abramo, o ancora Eridu la città del dio delle acque dolci Enki (o Ea o Nudimmud, secondo le varie dizioni) e cioè di quello stesso dio che disse ad Utanapishtim di costruire una grande arca per scampare al diluvio universale. Riferiamo queste cose non per fare sensazione o atmosfera, ma per dare da subito l'idea di quanto fosse forte la presenza di questa civiltà e dei suoi innegabili influssi nel bacino del 1 Aristotele, Metafisica, 983 b 18 – 984 2, trad. it. a cura di C.

Il libro che presento al giudizio dei lettori critica la visione tradizionale della medicina a oriente e a occidente che le vede in assoluta contrapposizione: razionale quella greca e irrazionale e magica quella cinese. Il libro mostra un’altra realtà. Presenta un’ampia zona di convergenza tra gli approcci medici e filosofici greci e cinesi e, al tempo stesso, descrive inaspettate concordanze e divergenze non tra i due campi (Grecia e Cina), bensì tra figure e correnti dei due campi.
Emerge un quadro in cui i problemi affrontati e le soluzioni proposte, sulle due sponde del continente euroasiatico, mostrano un intreccio fino ad ora ignorato da un approccio storiografico e filosofico ancora segnato dalle stimmate dell’eurocentrismo.

In questa breve esplorazione proverò a delineare un breve quadro antropologico dei celebri misteri eleusini. Per farlo mi affiderò al saggio Il misticismo greco di Sabbatucci che indaga il fatto eleusino facendolo rientrare nell’ambito della fenomenologia mistica; e al saggio La religione in Grecia di Chirassi Colombo che affronta la tematica mettendo soprattutto in risalto l’integrazione dell’alterità  implicata nel ritualismo eleusino.

Le grec ancien ne connaît pas de terme générique pour désigner la mutilation corporelle ou l’action de mutiler : en revanche, il existe toute une variété de mots pour exprimer l’action de couper, de trancher, d’amputer, de priver un individu d’une partie de son corps. La principale difficulté est que, le plus souvent, ces mots possèdent plusieurs sens, parfois éloignés les uns des autres, au point de compliquer le travail du traducteur, voire de générer des contresens. Nous nous proposons, à titre d’exemple, d’explorer l’un de ces termes. Dans un passage de son discours Sur la couronne, Démosthène invective tous les traîtres qui, dans les principales cités grecques continentales, ont soutenu le parti macédonien : il les accuse d’avoir « mutilé » leurs patries respectives (ἠκρωτηριασμένοι τὰς αὑτῶν ἕκαστοι πατρίδας). Les principaux outils lexicographiques à notre disposition proposent trois sens au verbe employé, akrôtèriazô (ἀκρωτηριάζω) qui émanent des trois définitions du substantif akrôtèrion (ἀκρωτήριον) : amputer un homme d’extrémités du corps – ou akrôtèria (ἀκρωτήρια) – et par extension « mutiler » ; couper les akrôtèria des navires, c’est-à-dire leurs éléments saillants en métal (ceux de la proue en particulier) ; ou encore, dans un contexte géographique, former un promontoire, soit un akrôtèrion. Concernant le passage qui nous intéresse, à en croire Harpocration au IIe siècle de notre ère, suivi par l’ensemble des traducteurs modernes, Démosthène emploie ce terme dans sa première acception, mais au sens figuré : la patrie se trouve ainsi métaphoriquement personnifiée. Cependant, une étude approfondie des occurrences de ce terme jusqu’au début de l’époque impériale laisse entrevoir une apparition très tardive de ce sens dans la littérature conservée.  Il est donc nécessaire de reprendre de manière systématique l’analyse des emplois d’akrôtèriazô afin de mieux appréhender son évolution sémantique. L’étude diachronique se révèle en effet très instructive : avant Démosthène, seul le sens de « couper la proue d’un navire » est attesté. Par ailleurs, l’utilisation de ce verbe pour désigner une amputation d’extrémités de corps humain n’apparaît qu’avec Polybe à la fin du IIe siècle av. J.-C. À partir de là, l’usage de ce terme se généralise, mais le sens classique disparaît. La grande majorité des mentions conservées concerne des ablations de membres, même si, de manière marginale, le sens figuré connaît également un certain usage à l’époque impériale. Ces constatations poussent à réévaluer l’image voulue par Démosthène dans son discours : nous posons l'hypothèse d’y voir, plutôt qu’une métaphore de mutilation corporelle, une comparaison avec des trières que l’on aurait volontairement privées de leur proue offensive, illustrant ainsi la situation d’Athènes et des autres cités grecques désarmées et à la merci de l’envahisseur macédonien.

Ancora un viaggio in forma di dialogo, in cui l’approccio storiografico alle fonti scritte e quello dell’investigazione archeologica, che dà voce ai resti materiali del passato, appaiono strettamente connessi, fino quasi a fondersi, seguendo piste anche inconsuete. Si tratta del Viaggio nella Grecia antica da Oriente a Occidente di Carlo Ruta e Sebastiano Tusa: un libro agile ed essenziale, arricchito da oltre ottanta immagini in bianco e nero, appena uscito per le Edizioni di storia e studi sociali. Un percorso, quello dei due studiosi, inaugurato già da un Viaggio tra Mediterraneo e storia e destinato a continuare, con ulteriori tappe, per illustrare aspetti e vicende del passato, soprattutto mediterraneo, che possano contribuire alla crescita della conoscenza diffusa e, in particolare, a trarre dalla storia lezioni utili per l’oggi.
In questo viaggio-dialogo vengono scandagliati momenti emblematici del mondo greco, seguendo alcuni percorsi-chiave, a partire dagli scambi materiali e immateriali dell’Ellade con altri paesi. L’attenzione degli autori è attratta, in particolare, dai contagi culturali, artistici, tecnici e scientifici che in qualche modo hanno aiutato l’uomo greco a edificare, lungo tutto il perimetro del Mediterraneo, i modelli di civiltà che avrebbero innervato la storia dell’Occidente. Europa e Asia non vengono rappresentate perciò come mondi verticalmente divisi e antagonisti per definizione, ma come due continenti vicini e comunicanti: certamente divisi da conflitti temporanei, anche devastanti, ma legati, in profondità, da relazioni e tradizioni millenarie. E con questo atteggiamento viene perlustrato il mito greco, che, come spiegano Ruta e Tusa, non manca di relazioni con le teogonie orientali, elaborate tuttavia dall’Ellade con estro e originalità. I miti di Europa, di Ade e Persefone, delle Dee Madri e dei mostri che opprimono la terra, contro cui insorgono eroi come Ercole, Teseo, Giasone, Ulisse e tutti gli altri, appaiono al riguardo molto istruttivi.
Gli autori arrivano infine allo snodo della decadenza delle poleis greche, focalizzando lo stato di sofferenza, lenta e irreversibile, della democrazia ateniese, che in apertura del IV secolo a.C. arriva a deliberare addirittura, con il voto dell’assemblea popolare, l’assassinio di Socrate, uno dei più grandi pensatori del mondo antico. E anche se non dichiarato, si avverte in questo passaggio un richiamo all’oggi, ai pericoli che incombono sul nostro tempo. L’esito complessivo è allora quello di un reportage storico, che intende suggerire percorsi utili, di «autocoscienza» se si vuole, per riflettere sulle proprie origini e sul presente.

Carlo Ruta, Sebastiano Tusa, Viaggio nella Grecia antica da Oriente a Occidente, Edizioni di storia e studi sociali, pp. 160, euro 14,00.

Profondamente segnata da un dualismo incessante, l’opera di Alessandro Verri rispecchia con formidabile icasticità l’affascinante incertezza che caratterizza ogni fin de siècle, allorché un’era prossima all’estinzione guerreggia senza soste contro la rivale nascente.
Nella contesa fra due epoche c’è sempre un periodo di convivenza, necessario all’una per vivere, all’altra per morire. Si tratta di una fase in cui l’intenso contatto favorisce il reciproco contagio tra le due forze, generando forme ibridate, atipiche.
Alessandro Verri vive in un momento storico di confine, a cavallo tra Sette e Ottocento, e un esame complessivo della sua carriera rivela una costante tensione riguardante vari aspetti della sua vita: i viaggi (dalla fervida Parigi alla pacata Londra), le città in cui risiede (prima la Milano dei Pugni e del «Caffè» poi la Roma dei papi e degli archeologi), le scelte politico-ideologiche (all’inizio progressiste e successivamente conservatrici) e letterarie (la fusione del milieu neoclassico e di quello preromantico); in sostanza, l’intera esistenza di Verri si sviluppa entro gli estremi di due più universali coordinate: continuità e innovazione.
Questa “lettura guidata” dà voce a testi e documenti accantonati e di difficile fruizione, con la cu¬riosità e la discrezione dell’appassionato che entra, appunto, nella bottega di un “antiquario”.