Giorgio Tosco
Scuola Normale Superiore
Pisa, 28 Ottobre 2015
Tesi presentata per l’ottenimento del diploma di licenza
Relatore prof. Daniele Menozzi
Chiesa, fascismo e colonialismo: p. Vittorino Facchinetti, vicario
apostolico della Tripolitania, e il Congresso Eucaristico Nazionale
e Intercoloniale di Tripoli (1937)
1
INDICE
Introduzione .................................................................................................................................................................... 3
Il “frate microfono” ....................................................................................................................................................... 7
Le relazioni col Duce ..................................................................................................................................................12
La missione in Libia ....................................................................................................................................................19
I Congressi Eucaristici Nazionali in Italia..........................................................................................................28
Il Congresso Eucaristico di Tripoli.......................................................................................................................40
Il pensiero di Facchinetti e il Congresso............................................................................................................46
I risultati del Congresso ............................................................................................................................................51
Conclusioni .....................................................................................................................................................................56
Fonti archivistiche.......................................................................................................................................................59
Bibliografia primaria ………………………………...………………………………………………………………......... 60
Bibliografia secondaria .............................................................................................................................................63
2
Introduzione
Il 10 novembre del 1937, nella cattedrale cattolica di Tripoli si svolgeva una cerimonia
certamente inconsueta: il cardinale Angelo Maria Dolci, accompagnato da altri due membri del
Sacro Collegio, da decine di vescovi, dalle autorità civili e militari della colonia e da una folla
festante dichiarava aperto un Congresso Eucaristico Nazionale, in quella che, nonostante la
recente massiccia immigrazione italiana, era ancora una città in maggioranza musulmana. La
location esotica fu notata dalla stampa, e contribuì indubbiamente a rendere ancora più
memorabile un evento già di per sé improntato a sfarzo e solennità.
Il principale responsabile dell’organizzazione del Congresso, colui che aveva lanciato l’idea di
allestirlo in Libia, il vicario apostolico della Tripolitania monsignor Vittorino Facchinetti,
doveva essere molto soddisfatto del proprio lavoro. Una decina di anni dopo, all’indomani
della guerra che aveva travolto l’impero coloniale italiano e gran parte delle idee in cui aveva
creduto nel corso della propria vita, egli vedeva nel Congresso il principale successo di quegli
anni di attività episcopale1. Del resto, l’evento era stato caricato di una molteplicità di
significati riguardo a temi che erano stati al centro dell’attività del vicario apostolico, oltre che
della politica italiana contemporanea. Una celebrazione cattolica, di un tipo tradizionalmente
improntato a una religiosità di stampo intransigente e a una prospettiva di ricostruzione della
società cristiana2, veniva declinata in senso fascista, in un ambiente che era al centro delle
ambizioni di politica estera e coloniale di Mussolini3, e utilizzata per proporre un’alleanza tra
Chiesa e Regime in un momento in cui, nonostante le divergenze che cominciavano ad
apparire a livello diplomatico, il supporto dei Cattolici al governo era ancora ampio ed
entusiastico4.
Lo scopo del presente lavoro è di usare la prospettiva del Congresso di Tripoli per descrivere
la figura del vicario apostolico, nel suo ruolo di tramite fra Chiesa e Regime e fra Cattolicesimo
e Fascismo, i due poli a cui egli ispirò la propria azione, sia prima sia dopo il suo arrivo a
Tripoli. I rapporti fra le due istituzioni, nelle colonie italiane, assunsero un aspetto del tutto
peculiare e distinto da ciò che accadeva nella madrepatria, e diversi erano i motivi di
collaborazione e i terreni di scontro. Se, per esempio, in Italia l’espansione coloniale del
Regime poteva essere letta in termini di evangelizzazione (e non solo nella propaganda
dozzinale e nel basso clero, ma perfino da parte di personalità culturalmente avvertite come
l’arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster)5, in Africa l’attività di proselitismo era soggetta a
molteplici limitazioni da parte dell’autorità coloniale, che aveva ben altre priorità6; d’altra
parte, il supporto logistico e assistenziale delle missioni era estremamente apprezzato e
1 Camillo Vittorino Facchinetti (da qui in poi VF), Maledizione alla guerra!, dattiloscritto conservato nell’Archivio
della Provincia Lombarda dei Frati Minori (da qui in poi APLFM), 1944, p. 32.
2 Daniele Menozzi, Congressi eucaristici: identità irrisolta, “Il Regno attualità”, n. 18, 1997, pag. 523‐526.
3
4
Nicola Labanca, Oltremare: storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 206 – 209.
Lucia Ceci, L’interesse superiore: il Vaticano e l’Italia di Mussolini, Roma – Bari, Laterza, 2013, pp. 158 – 211.
Mimmo Franzinelli, Il clero italiano e la “grande mobilitazione”, in Renato Bottoni (a cura di), L’Impero fascista:
Italia ed Etiopia (1935 – 1941), Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 251 – 265 e Lucia Ceci, Il Papa non deve parlare:
Chiesa, fascismo e guerra d’Etiopia, Roma‐Bari, Laterza, 2010, pp. 85 – 107.
5
Cfr. Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni nel colonialismo italiano (18821941), Roma, Giuffrè Editore,
1982.
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3
favorito, anche se indirizzato di preferenza verso la popolazione italiana presente in colonia7.
Sebbene quindi il Congresso fosse un momento di contatto e di collaborazione fra Chiesa e
Regime fascista, questo contatto e questa collaborazione avevano una valenza diversa a
seconda della sponda del Mediterraneo da cui le si guardava; l’evento quindi fu al centro di
una rete di significati e connotazioni ambigua e problematica.
Dal canto suo, anche Facchinetti fu una figura complessa e poliedrica, che non ha ancora
ricevuto tutta l’attenzione che meriterebbe. Francescano e studioso di agiografia, fu di
formazione un predicatore. Fascista convinto e impenitente, seppe crearsi delle notevoli
entrature presso il Duce; grazie ad esse e al proprio indubbio carisma, si ritagliò un ruolo
significativo nella cultura di massa dell’epoca, diventando un pioniere e una autentica star
della predicazione radiofonica dell’EIAR8. Nel 1936 fu nominato vicario apostolico della
Tripolitania, ma mantenne le proprie relazioni in Italia, e riuscì a organizzare un evento di
portata nazionale come il Congresso del 1937. Infaticabile organizzatore e oratore,
propagandò un pensiero in cui Fascismo e Cattolicesimo collaboravano armoniosamente, e
sebbene non abbia avuto una particolare profondità od originalità teorica, la sua celebrità e la
consonanza delle sue idee con quelle diffuse in ampi settori della popolazione gli conferiscono
un’indubbia rilevanza9. Il dispiegarsi della sua attività fra Italia e Libia, inoltre, lo rende
particolarmente significativo ai fini di uno studio sui rapporti fra Chiesa e governo fascista in
un ambiente coloniale.
Il mio lavoro procederà tra i due corni dell’analisi della figura di Facchinetti e del Congresso,
per quanto la scarsità di fonti su quest’ultimo mi abbiano spinto a privilegiare il primo
aspetto. Nei primi due capitoli descriverò la vita e il pensiero di Facchinetti fino al suo invio in
Libia, soffermandomi in particolare sui suoi rapporti con Mussolini. Nel terzo capitolo mi
soffermerò invece sulla missione cattolica in Libia e sulla nomina del predicatore a vicario
apostolico. Nel quarto capitolo comincerò a occuparmi del Congresso vero e proprio; dopo
aver analizzato i suoi precedenti nel periodo fra le due guerre, al fine di individuare le
peculiarità di quello di Tripoli, mi soffermerò sulla sua organizzazione e sul suo significato,
confrontando le posizioni che emergono da esso con il pensiero (precedente e coevo) di
Facchinetti. Infine, tirerò le conclusioni del mio lavoro.
Le fonti che ho utilizzato sono diverse e di diversa natura. Del Congresso non furono
pubblicati gli atti; tuttavia, due brevi ed eleganti opuscoli a stampa, riccamente illustrati,
consentono di conoscere gli interventi più significativi e l’organizzazione della
Cfr. per es. Lucia Ceci, Il Papa non deve parlare, op. cit., pp. 170 – 191.
Questa è l’unica parte della sua vita che è stata studiata in maniera scientifica. Cfr. Sara Airoldi, Gli inizi
dell’apostolato via etere: le radioprediche di p. Vittorino Facchinetti (19261936), “Società e storia”, vol. 132, n. 2,
2011, pp. 301 – 330. Ancora utile possono essere inoltre Gianni Isola, Abbassa la tua radio, per favore… storia
dell’ascolto radiofonico nell’Italia fascista, Scandicci, La Nuova Italia Editrice, 1990, pp. 146 – 165 e, per una
contestualizzazione della sua attività, Idem, L’ha scritto la radio: storia e testi della radio durante il fascismo (1924
– 1944), Milano, Bruno Mondadori, 1998, pp. 109 – 114.
7
8
9 In un suo articolo Renato Moro, dopo aver discusso le varie traiettorie e sfumature teoriche che potevano stare
dietro a una collaborazione fra cattolicesimo e fascismo, rilevava come a livello di cultura di massa essa avesse
contribuito a formare un linguaggio comune (Moro la chiama una “koinè ideologica”) in cui i due poli si
integravano, in maniera forse teoricamente rozza ma indubbiamente convincente. Cfr. Renato Moro, Nazione,
cattolicesimo e regime fascista, “Rivista di storia del Cristianesimo”, vol. 1, n. 1, 2004, pp. 129 – 147. Una
prospettiva significativa sulla formazione e diffusione di questa “koinè” può essere offerta da figure di
divulgatori come Facchinetti.
4
manifestazione, per come furono divulgati al pubblico10. A ciò ho aggiunto l’analisi della
copertura dell’evento da parte di alcune riviste specializzate in ambito coloniale e dei giornali
“ufficiali” della Chiesa e del Regime, “Il Popolo d’Italia” e “L’Osservatore Romano”. Inoltre, ho
utilizzati documenti conservati nell’Archivio Segreto Vaticano, nell’Archivio di Propaganda
Fide e in quello del Ministero delle Colonie.
Per quanto riguarda Facchinetti, ho avuto solo l’imbarazzo della scelta nella selezione delle
opere più significative all’interno della sua vastissima produzione bibliografica, in massima
parte, come ricordato, di carattere apologetico e propagandistico11. Per quanto riguarda le
fonti d’archivio, invece, mi sono potuto avvalere delle carte che lo riguardano nei fondi della
Segreteria Particolare del Duce presso l’Archivio Centrale dello Stato. Ho inoltre consultato i
documenti dell’archivio della Provincia Lombarda dei Frati Minori, a cui egli apparteneva, ma
nonostante gli sforzi e la disponibilità del personale addetto (che qui ringrazio) esso è ancora
poco accessibile, e il disordine dei fondi ne rende difficile l’analisi. I documenti più significativi
che vi ho ritrovato sono dei dattiloscritti redatti da Facchinetti e risalenti agli ultimi anni della
Seconda Guerra Mondiale o all’immediato dopoguerra.
Si tratta di testi di carattere autobiografico, stilisticamente simili a quelli delle sue
pubblicazioni, con la stessa prosa espressiva e il frequente ricorso ad aneddoti; anche se non
furono mai pubblicati, ci sono riferimenti a eventuali lettori12 e una notevole attenzione
all’impressione che essi si sarebbero formati dell’autore. In un caso, per esempio, dopo che
Facchinetti scrisse di aver preso una congestione a forza di bere acqua fredda e birra
ghiacciata, aggiunse accanto a matita “me la danno gratis”, evidentemente preoccupato
dell’immagine che poteva dare un vescovo che in tempo di guerra sperperasse le risorse della
diocesi in alcolici13. Un caso più delicato è il suo resoconto di come egli avesse sollecitato un
esonero dal servizio di leva per ragioni mediche, sia alla sua prima visita nel 1903, sia in
tempo di guerra (dopo essersi tuttavia presentato spontaneamente all’arruolamento – ed
essere stato riformato a malincuore – all’indomani della dichiarazione di guerra, in un
momento di entusiasmo bellico generalizzato)14. Si trattava di un particolare poco edificante
per un uomo già allora impegnato a diffondere una retorica nazionalista di chiara impronta
bellicista. La mia impressione è che questi testi fossero volti a rimodellare l’immagine del
vescovo dopo la caduta del Fascismo, che egli aveva tanto pubblicamente appoggiato;
l’impressione di sincerità (non necessariamente autentica, tuttavia) sarebbe stata quindi
funzionale a creare l’immagine di un Facchinetti anche più meschino, ma meno ideologizzato e
nazionalista, che poteva invece richiamare a suo favore alcuni innegabili episodi di attività
assistenziale svolti durante la guerra. Per quanto si tratti di alcuni dei documenti più
significativi ai fini di una ricostruzione della sua biografia, essi vanno quindi adoperati in
modo estremamente cauto.
Ci sono inoltre due altre tipologie di documenti editi di cui mi sono potuto avvalere, ossia due
riviste legate in vario modo a Facchinetti. Ho spogliato le annate più significative di Frate
10 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, numero speciale, vol. 14, fascc. 11‐12 (novembre –
dicembre 1937) e Il Congresso eucaristico di Tripoli, Milano, Elli e Pagani, 1938.
Una sua bibliografia completa è reperibile in Abele Calufetti, Nel cinquantenario della morte di mons. Vittorino
Facchinetti, ofm. Seconda edizione migliorata, Milano, a cura della Provincia Lombarda OFM, 2006.
11
13
VF, Le mie disavventure come vescovo, dattiloscritto, APLFM, 1945?, p. 52.
VF, La provvidenza in viaggio, dattiloscritto, APFLM, 1945, p. 1.
14
VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 5 – 11.
12
5
Francesco: rivista di coltura francescana, una pubblicazione nata in occasione delle
preparazioni per il centenario francescano del 1926 e con cui il frate collaborò fin dagli inizi,
che diresse dal 1928 al 1936 ed ebbe comunque anche in seguito sotto il proprio “alto
patronato”; ho poi compiuto lo stesso lavoro con Famiglia cristiana, il periodico diocesano di
Tripoli, diretto da frati della missione ma, si può immaginare, non certo estraneo al vicario
apostolico, il quale comunque pubblicava lì molti dei suoi interventi. Queste pubblicazioni ci
possono chiarire il significato di alcune scelte e preferenze di Facchinetti, e tratteggiare
l’ambiente culturale in cui si muoveva; i loro articoli erano però in gran parte scritti da altre
persone, e si pone il problema dell’eventuale discrasia fra il loro pensiero e quello di
Facchinetti, problema tanto più difficile da risolvere in quanto molte di queste figure sono
quasi del tutto sconosciute. Oltre a ciò, decisamente diverso era il target di queste due
pubblicazioni: da un lato una rivista culturale diffusa su tutto il territorio nazionale e
relativamente nota, e dall’altro un foglio diocesano, a diffusione locale, verosimilmente con
poche centinaia di abbonati e autori dilettanti.
Tutte queste fonti costituiscono un insieme indubbiamente eterogeneo; d’altra parte, il
problema che mi sono posto, essendo al centro di vari temi e all’incrocio delle attività di varie
istituzioni, non poteva che richiedere un’analisi su vari livelli. Spetterà al lettore valutare in
che misura io sia riuscito a compierla.
6
Il “frate microfono”
Camillo Facchinetti nacque a Gorlago, presso Bergamo, il 12 maggio 1883, da Gaetano e
Anastasia Fumagalli15. La sua famiglia, che fu in seguito descritta come di umile stato16, era
invece considerata di “conditio oeconomica (…) bona” in un documento redatto al momento
della sua scelta a vicario apostolico17; quel che è certo è che si trattava di una famiglia molto
religiosa, in cui egli non fu il solo a prendere i voti18. Un suo zio era francescano, e anche lui si
indirizzò presto a quell’ordine, entrandovi a quindici anni di età. Nel 1907 fu ordinato
sacerdote, e fu mandato a studiare storia medievale a Lovanio per circa tre anni, anche se non
vi completò gli studi e si laureò solo successivamente a Milano, in teologia e storia
ecclesiastica. Tornato in Italia, officiò a Brescia e poi, dal 1913, a Milano, nella chiesa
francescana di S. Antonio.
A Milano ebbe modo di dispiegare le sue doti di predicatore, oltre che le proprie notevoli
capacità organizzative, in special modo a favore del Terz’Ordine Francescano. Già a Brescia
egli ne diresse una congregazione; a Milano si incaricò di curare il bollettino dell’associazione,
da cui nel 1914 fu creato un Circolo di Cultura Francescana. Anche in seguito egli continuò a
operare in questo settore, e fino al 1934 diresse le congregazioni maschili e femminili del
Terz’Ordine19.
Nel frattempo, cominciò a segnalarsi per il suo nazionalismo. Il suo primo testo pubblicato fu
un’orazione per i caduti della Guerra in Libia, che egli esaltava, anche se non in una
prospettiva specificatamente cattolica, bensì soprattutto in base all’esigenza di civilizzare i
Libici e procurare nuova terra ai coloni italiani20. Nel 1915 sostenne l’intervento, e negli anni
successivi tenne molte conferenze patriottiche, in Italia e al fronte. In questo periodo egli
affiancò alle argomentazioni di stampo più schiettamente laico – come la difesa del Belgio o la
rivendicazione dei confini naturali dell’Italia – anche motivazioni che facevano più
direttamente riferimento al pensiero cattolico, e interpretò la conflagrazione bellica come una
punizione dei peccati del mondo moderno e, allo stesso tempo, un’opportunità per
cristianizzare nuovamente la società21; sempre negli stessi testi, descriveva il sacrificio dei
caduti e la causa italiana in termini di “martirio” e “santità”22.
I dati biografici di massima di Facchinetti possono essere rinvenuti in Abele Calufetti, Nel cinquantenario della
morte di mons. Vittorino Facchinetti, ofm, “Studi Francescani”, n. 98, 2001, pp. 179 – 222. Cfr. inoltre Bortolo
Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, vol. VI, Bergamo, Bolis, 1959, p. 302 e p. 461 e i testi contenuti in A
S.E. Rev.ma Mons. P. Vittorino Facchinetti dei Frati Minori nella solenne consacrazione episcopale. 26 aprile 1936
Milano, Santuario di Sant’Antonio, Milano, 1936.
15
16
A S.E. Rev.ma, op. cit., p. 39.
Archivio di Propaganda Fide, Nuova Serie (da qui in poi APF, NS), 39.4, 1936, documento del 21 gennaio.
In Archivio Centrale dello Stato (da qui in poi ACS), Segreteria Particolare del Duce (da qui in poi SPD),
513.052 è conservato un trafiletto di necrologio di Gaetano Facchinetti, datato al 16 aprile 1928, che indica tre
religiosi su dieci figli vivi.
19 A S.E. Rev.ma, op. cit., pp. 41 – 43.
17
18
20
VF, Ai caduti nella guerra italoturca. Ottobre 1911: elogio funebre, Brescia, Tip. Ven. A. Luzzago, 1911.
VF, Nell’ora che volge: il nostro diritto, il nostro dovere, Milano, Tip. Crespi, 1915.
Ivi, pp. 31 – 32. Nella stessa pagina egli comunque precisava che, in senso teologico, il termine “martire” era
improprio.
21
22
7
Questa evoluzione rifletteva un cambiamento in corso in parte della cultura cattolica
contemporanea, in quanto il conflitto, che stava sancendo l’integrazione dei Cattolici
all’interno della comunità nazionale e dello Stato, richiedeva di essere giustificato su basi più
solide del tradizionale rispetto delle autorità costituite; era quindi aperta la strada a
un’interpretazione più schiettamente confessionale della situazione politica, mentre all’epoca
della Guerra di Libia aperture in questo senso, che comunque non erano universalmente
diffuse, avevano suscitato richiami da parte della Santa Sede, a causa della persistente
freddezza delle relazioni fra Stato e Chiesa23. Per un giovane frate come Facchinetti, replicare
le motivazioni “laiche” dell’avventura coloniale senza eccessiva originalità era quindi la scelta
più saggia. Pochi anni dopo, invece, l’interpretazione della Grande Guerra e dei suoi massacri
come punizione divina per i peccati degli uomini (in primo luogo, in una prospettiva
intransigente, l’allontanamento della società dalla dottrina cattolica) si ritrovava sia nel
magistero pontificio, sia negli intellettuali e nell’opinione pubblica cattolica (anche se con
occasionali perplessità e tentennamenti)24.
Dopo la fine del conflitto l’attività di Facchinetti si intensificò molto. Egli continuò la sua opera
di predicatore, che lo portò anche all’estero; inoltre cominciò a scrivere libri devozionali, che
ebbero un certo successo. Tra questi si contano alcune agiografie, per le quali poteva
utilizzare la familiarità con la storia medievale acquisita con i suoi studi, e alcuni saggi sulla
storia del proprio ordine25. La sua interpretazione di S. Francesco era improntata a una sua
lettura di esso come santo nazionale dalle caratteristiche guerriere e volitive, il cui attivismo
era letto come sintomo e anticipazione dell’espansione della nazione italiana. Si trattava di
una visione diffusa nella cultura italiana dell’epoca, e che fu codificata sia da Cattolici ansiosi
di integrare elementi del proprio patrimonio simbolico nell’interpretazione nazionale della
storia italiana, sia da nazionalisti che si rendevano conto delle potenzialità di tali elementi26
(la fortunata definizione di S. Francesco come “il più santo degli Italiani e il più italiano dei
santi”, di complessa origine, fu rilanciata e popolarizzata da Gabriele D’Annunzio27).
Le competenze di Facchinetti furono riconosciute e valorizzate dal suo confratello Agostino
Gemelli, che lo invitò a tenere corsi di storia francescana come libero docente all’Università
Cattolica; si trattava di un incarico prestigioso, specialmente se si considera l’importanza che
il modello – ovviamente stilizzato e sostanzialmente artificiale – della cristianità medievale28
aveva per la cultura gemelliana e l’evoluzione sociale e politica da lui auspicata29. Una
Giovanni Cavagnini, Soffrire, ubbidire, combattere. Prime note sull’episcopato italiano e la guerra libica (1911
1912), “Rivista di Storia del Cristianesimo”, vol. 8, n.1, 2011, pp. 27‐44.
24 Sante Lesti, “Iddio vuole le guerre?” L’esegesi cattolica della Grande Guerra fra “ragioni” antiche,
condizionamenti politici e “sentimenti” moderni, “Anuario de Historia de la Iglesia”, n. 23, 2014, pp. 61 – 81.
23
L’impostazione ideologica di questi saggi suscitò le critiche di alcuni storici professionisti. Cfr. Daniele
Menozzi, “Il più italiano dei santi, il più santo degli italiani”: la nazionalizzazione di san Francesco tra le due guerre,
in Daniele Menozzi (a cura di), Cattolicesimo, nazione e nazionalismo/Catholicism, nation and nationalism, Pisa,
Edizioni della Normale, 2015, p. 97.
25
26 Sul tema si veda Ivi e Sandra Migliore, Mistica povertà: riscritture francescane fra Otto e Novecento, Roma,
Istituto Storico dei Cappuccini, 2001.
27 Tommaso Caliò, “Il ritorno di San Francesco”. Il culto francescano nell’Italia fascista, in Tommaso Caliò e
Roberto Rusconi (a cura di), San Francesco d’Italia: santità e identità nazionale, Roma, Viella, 2011, p. 51.
28 Sull’origine e le caratteristiche del mito della cristianità medievale nel cattolicesimo contemporaneo cfr.
Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, in Giovanni Filoramo – Daniele Menozzi (a cura di), Storia del Cristianesimo,
vol. IV (L’età contemporanea), Roma – Bari, Laterza, 20093, pp. 146 – 148.
29 Maria Bocci, Francescanesimo e medievalismo: padre Agostino Gemelli, in Tommaso Caliò e Roberto Rusconi (a
cura di), San Francesco d’Italia, op. cit., p. 230.
8
consacrazione più ufficiale, però, avvenne con la preparazione del centenario francescano del
1926. La manifestazione, che provò sul campo le potenzialità della collaborazione fra Chiesa e
Regime30, fu promossa attivamente da Facchinetti, il quale partecipò alla redazione della
rivista commemorativa dell’evento, Frate Francesco, e in seguito la annesse al proprio Circolo
di Cultura Francescana a Milano.
In occasione del centenario francescano, inoltre, Facchinetti pronunciò alla radio una
conferenza commemorativa sul santo, dove ebbe modo di sfoggiare tutte le proprie doti di
predicatore; egli sapeva in particolare adattarsi alle esigenze tecniche richieste dal nuovo
mezzo, che procurava un pubblico vasto, fisicamente lontano ed estremamente disomogeneo
per livello culturale, e adottò quindi uno stile estremamente accessibile, ripetitivo e con un
frequente ricorso all’esemplificazione, che fu molto apprezzato dal pubblico31. Come nota Sara
Airoldi, inoltre, la popolarità (perlomeno in ambito lombardo) già ottenuta dal frate con i suoi
libri e le sue predicazioni dal vivo gli prometteva un certo seguito di pubblico, tanto più che
all’epoca il bacino dei radioutenti, ancora ristretto, poteva coincidere con quello dei suoi
lettori e fedeli32.
L’intervento alla radio, nato come estemporaneo, si tramutò quindi in una collaborazione
durevole, che produsse una rubrica di predicazioni domenicali e cicli di conversazioni
religiose infrasettimanali, e fu interrotta soltanto in occasioni dei suoi viaggi all’estero (nelle
Americhe e in Terra Santa). Facchinetti (che fu soprannominato da Guido Manacorda “frate
Microfono”33) conobbe un grande successo di pubblico, e a migliaia gli ascoltatori gli scrissero
per manifestargli il proprio apprezzamento; addirittura, in alcune occasioni egli dovette
precisare al microfono che l’ascolto delle sue prediche non poteva e non doveva sostituire la
partecipazione (evidentemente meno coinvolgente) alla messa domenicale34. Il frate, del
resto, sapeva come fidelizzare i propri uditori, ne sollecitò il sostegno in occasioni di critiche e
lo rifornì di pubblicazioni che contenevano i testi dei suoi interventi alla radio. Approfittò
inoltre della propria notorietà per pubblicizzare il proprio ordine e altre iniziative culturali,
come la rivista Frate Francesco35.
Oltre a saper usare radio e pubblicità, Facchinetti si dimostrò disponibile ad altri ritrovati
della tecnica moderna. Collaborò a due film su San Francesco e Sant’Antonio, e sostenne di
essere riuscito ad ammorbidire la posizione del Papa, inizialmente critica, su questo mezzo di
comunicazione36. Dati i suoi numerosi spostamenti, inoltre, sfruttò ampiamente l’aeroplano,
Francesco Torchiani, 4 ottobre 1926. San Francesco, il regime e il centenario, in Tommaso Caliò e Roberto
Rusconi (a cura di), San Francesco d’Italia, op. cit., pp. 67 – 99. In occasione della conclusione delle celebrazioni,
inoltre, Mussolini decise di interessarsi personalmente della conclusione di un concordato con la Chiesa Cattolica
(Ivi, p. 89); di quest’atto Facchinetti si intestò in seguito parte del merito (VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., p.
19; cfr. inoltre infra).
30
Gianni Isola, Abbassa la tua radio, op. cit., p. 157 e Sara Airoldi, Gli inizi dell’apostolato, op. cit., pp. 316 – 318.
Ivi, p. 311.
33 Gianni Isola, Abbassa la tua radio, op. cit., p. 147.
34 Sara Airoldi, Gli inizi dell’apostolato, op. cit., p. 314.
35 In fondo al volume intitolato I Sacramenti (I Sacramenti: conferenze tenute al microfono della radio Roma
Napoli nella Quaresima del 1932, Milano, Casa Editrice Santa lega Eucaristica, 1932) c’era una réclame che
recitava: “Volete fare cosa grata a p. Facchinetti? Abbonatevi a Frate Francesco”.
31
32
Dalle memorie di mons. Facchinetti, APLFM, dattiloscritto. Sull’atteggiamento di Pio XI verso il cinema, in bilico
fra un apprezzamento delle sue potenzialità e la condanna del rischio che avrebbe rappresentato per la morale,
cfr. Guido Convents, I cattolici e il cinema, in Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, vol. V
(Teorie, strumenti, memorie), Torino, Einaudi, 2001, p. 492.
36
9
di cui esaltò le potenzialità in ambito pastorale e missionario in un libro che intitolò
significativamente Con San Francesco in volo, e a cui pose in exergo dei versi ispirati allo stile
del Cantico delle Creature di Francesco37.
Questo componimento, in cui i nuovi mezzi di trasporto vengono cantati in forme riprese dalla
poesia del tredicesimo secolo, esprime in maniera icastica il rapporto di Facchinetti con la
modernizzazione; egli ne è un acceso sostenitore, ma in funzione di un progetto politico e
sociale che si caratterizza come fortemente antimoderno38. I contenuti delle sue prediche, e in
generale dei suoi libri, riprendono i moduli ormai classici dello schema intransigente, che
vede un unico movimento regressivo nell’evoluzione della storia, dal Medioevo (interpretato
come un’epoca di realizzazione armoniosa del cristianesimo nella società europea) in poi,
attraverso gli stadi della Riforma, della Rivoluzione Francese, del liberalismo e infine del
comunismo39; tutte dottrine caratterizzate da un individualismo materialista antitetico alla
retta dottrina cattolica, oltre che da un’insopprimibile tendenza alla violenza (che sia quella
giacobina o bolscevica), lascito necessario dell’apostasia. Il momento culminante di questa
involuzione è costituito dall’immediato dopoguerra italiano, visto come un’età di disordini,
immoralità e ateismo generalizzato; in seguito il Fascismo avrebbe reimposto alla società una
certa misura di ordine cristiano e, con i Patti Lateranensi, riconciliato i due ideali che ogni
italiano era chiamato a seguire, la Patria e la Fede cattolica.
L’opera di restaurazione morale della società in base ai principi di ordine, gerarchia, disciplina
e antimaterialismo era in effetti un’aspirazione comune a Fascismo e Chiesa Cattolica, e stava
alla base del loro avvicinamento e della loro alleanza sempre più stretta, nel corso del
Ventennio40. Un tale processo non era esente da aporie, come si sarebbe visto nel corso degli
anni41, ma nella descrizione che ne dava Facchinetti (oltre che nelle sue convinzioni, così come
in quelle di milioni di altri Italiani) l’opera della Chiesa e quella del Regime si integravano
senza attriti.
La lotta ad alcuni dei valori fondanti della modernità politica e sociale, come l’individualismo
o le libertà civili e politiche, si poteva avvalere anche di mezzi forniti dalla società moderna,
come le nuove organizzazioni di massa che permettevano di integrare e dirigere vasti gruppi
di militanti, o le nuove telecomunicazioni. Questo era il caso del Fascismo e dei regimi di
estrema destra, ma a volte (quando non prevaleva il misoneismo) anche della stessa Chiesa,
che vide per esempio in nuove forme associative e di sociabilità, o nei mezzi di comunicazione
che permettevano la capillare diffusione di miti politici, un modo per realizzare un’ideale di
“Laudato si, mi Signore/per sora nostra Ala italica,/che veloce ed audace sorvola gli oceani,/splende nei cieli
libera e secura/e di Te e de’ tuoi Angeli,/Altissimo, porta significazione” (Con San Francesco in volo, Milano, Il
Maglio, 1935). Va ricordato peraltro che in questo periodo Facchinetti non fu il solo a proporre una
riappropriazione simbolica dell’aeroplano in chiave religiosa (cfr. Emma Fattorini, Italia devota: religiosità e culti
tra Otto e Novecento, Roma, Carocci, 2012, pp. 74 – 75).
37
38 Sull’uso di queste categorie cfr. Renato Moro, Il “modernismo buono”. La “modernizzazione” cattolica tra
fascismo e postfascismo come problema storiografico, “Storia contemporanea”, vol. 19, n. 4, agosto 1988, pp. 625 –
716. Una buona descrizione della valenza ideologica del pensiero di Facchinetti in questo periodo è contenuta in
Sara Airoldi, Gli inizi dell’apostolato, op. cit., a cui rimando qui per i vari riferimenti puntuali ai testi del frate.
39 Cfr. Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., p. 143 e p. 173. Sulla sua accettazione da parte del magistero
pontificio vedi inoltre ivi, p. 157.
40 Giovanni Miccoli, La Chiesa e il Fascismo, in Giovanni Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione,
Casale Monferrato, Marietti, 1985, pp. 112 – 130.
41
Emilio Gentile, Contro Cesare: Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi, Milano, Feltrinelli, 2010.
10
cristianità sostanzialmente antimoderno42. Facchinetti, il “frate microfono”, sempre in volo e
sempre in viaggio, era uno dei tanti Cattolici che seguì questa strada, anche se egli la percorse
in maniera particolarmente esplicita e radicale, oltre che con un indubbio successo di
pubblico.
42
Renato Moro, Il “modernismo buono”, op. cit., p. 699.
11
Le relazioni col Duce43
Nello stesso periodo, mentre consolidava la sua carriera, Facchinetti badava anche alle
proprie pubbliche relazioni. In particolare, riuscì a stringere rapporti personali con Mussolini
e, dopo alcuni anni, divenne un confidente di alcuni membri della sua famiglia. Il processo di
avvicinamento alla cerchia del Duce fu però lungo e complesso.
Facchinetti scrisse che il suo primo contatto con Mussolini fu indiretto, allorché, nel 1916, una
sua fedele chiese spiegazioni a Benito Mussolini – e ne ottenne delle scuse – per un articolo
blasfemo apparso sul “Popolo d’Italia”. La prontezza nella risposta avrebbe impressionato
favorevolmente il frate, che in seguito, nel dopoguerra, ammirò il movimento fascista per la
sua opera di restaurazione dell’ordine44. Dopo la Marcia su Roma egli inviò a Mussolini un
telegramma di congratulazioni45, e nel Natale del 1923 il francescano – “cittadino felice di
questa meravigliosa Italia e ammiratore entusiasta del suo Governo” – gli scrisse per offrirgli
un suo libro su San Francesco. Il “più Santo degli Italiani e il più Italiano dei Santi”, secondo
lui, aveva infatti ispirato il presidente del Consiglio; con la stessa lettera, inoltre, gli
comunicava che il suo Circolo di Cultura Francescana aveva indetto un concorso artistico sulla
figura del Poverello d’Assisi, e chiedeva a Mussolini “un plauso e un dono” per l’iniziativa46.
Mussolini ringraziò educatamente il frate, con una sua lettera autografa (non sappiamo invece
cosa ne fu del dono richiesto)47, e al termine del concorso, nel 1926, ricevette personalmente
Facchinetti a Palazzo Venezia, per riceverne in regalo il dipinto vincitore48.
Nel frattempo Facchinetti aveva dimostrato la propria stima e il proprio sostegno a Mussolini
anche in una lettera scritta il 19 giugno 1924, nei giorni più drammatici della crisi seguita
all’omicidio di Matteotti; in essa lo incitava a non abbandonare la “sublime missione” che si
era assunto e a confidare nell’aiuto della Provvidenza49. In seguito egli inviò al Duce le proprie
congratulazioni in seguito al fallimento di un attentato nel settembre del 1926 e lo invitò a
rendere grazie a San Francesco per lo scampato pericolo50. Nello stesso periodo, inoltre,
chiese più volte di essere ricevuto da Mussolini, in qualche caso per benedire personalmente
lui e la sua famiglia51.
Sembra che, nella maggior parte dei casi, le sue speranze fossero frustrate. Non per questo,
però, Facchinetti tagliò i rapporti. Innanzitutto, anche se solo per lettera, subissò il Duce di
richieste. La più significativa fu quella di un abbonamento permanente alle Ferrovie dello
Il tema è già stato trattato in maniera molto cursoria da Mimmo Franzinelli in Il clero del duce, il duce del clero:
il consenso ecclesiastico nelle lettere a Mussolini, 1922 – 1945, Ragusa, La fiaccola, 1988, pp. 140 – 141. A mio
parere, tuttavia, Franzinelli appiattisce Facchinetti sugli aspetti più grotteschi delle sue lettere – e ce ne sono
parecchi! – , senza cogliere alcuni particolari e la valenza più generale del rapporto fra il frate e il dittatore.
43
VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., p. 12. Uso il condizionale in quanto è molto difficile che un testo
autobiografico scritto dopo trent’anni rifletta accuratamente le opinioni del Facchinetti del 1916. Più credibile
invece, a giudicare dal suo pensiero e dalla sua biografia, è il sostegno precoce di Facchinetti al movimento
fascista. Sull’articolo in questione cfr. Lucia Ceci, L’interesse superiore, op. cit., pp. 37 – 38.
45 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit.,p. 13.
46 ACS, SPD, 513.052.
47 ACS, SPD, 513.052, 15 gennaio 1924
48 ACS, SPD, 513.052, lettera del 1° marzo 1926 e ritaglio di giornale senza data. Questa fu forse il primo incontro
personale fra i due; in una lettera del 19 giugno 1924 (ACS, SPD, 513.052) egli scrisse esplicitamente di non
averlo mai incontrato prima.
49 ACS, SPD, 513.052.
50 ACS, SPD, 513.052, 15 settembre 1926.
51 ACS, SPD, 513.052, cartolina senza data ma risalente probabilmente al 1927.
44
12
Stato che, inizialmente concesso temporaneamente in occasione del centenario francescano,
fu poi rinnovato più e più volte, almeno fino al 1937. La procedura divenne addirittura
consueta: all’approssimarsi della scadenza dell’abbonamento, o subito dopo di essa,
Facchinetti cominciava a scrivere per chiedere il rinnovo, e nonostante spesso ricevevesse un
primo rifiuto per ragioni di bilancio, continuava a insistere, fino a che la spuntava e otteneva
l’ennesima proroga, sempre “in via del tutto eccezionale”52.
Il fatto è che Facchinetti sapeva che la propria opera era utile al governo. Tra il serio e il
faceto, una volta ricordò che da quando aveva ottenuto l’abbonamento non c’erano stati
incidenti ferroviari gravi, e che quindi lui poteva essere considerato un portafortuna delle
Ferrovie dello Stato…53 Più seriamente, Facchinetti insisteva spesso sulla valenza “patriottica”
della propria predicazione religiosa, che quindi era di diretto interesse per il governo; come
scrisse al momento di richiedere la prima proroga:
“(…) quantunque l’anno francescano sia ormai terminato, io intenderei di continuare con
rinnovato ardore la mia propaganda di francescanesimo ed italianità, convinto
(modestia a parte) di rendere un prezioso servizio non solo alla Religione ma anche alla
Patria.”54
Anche prima di un suo viaggio negli Stati Uniti prometteva che avrebbe esaltato “nel miglior
modo l’Italia, il suo Re, il suo Duce mirabile”55. A testimonianza del patriottismo dei propri
discorsi, del resto, Facchinetti non poneva solo la propria parola, ma anche articoli di giornale
che descrivevano in termini elogiativi i suoi interventi, permeati “di senso religioso, d’amore
patrio e di fervore fascista, fra bagliori di arguzie e di sottili ironie”56; del resto “sotto il ruvido
saio franescano di P. Facchinetti palpita un cuore generoso, infiammato del santo amore di
Dio e del sacro amore per la grande Patria Italiana”57.
In un caso, per ribadire il concetto, Facchinetti, impegnato in un giro di conferenze nella
Svizzera italiana all’epoca della Guerra d’Etiopia, non esitò a inviare un trafiletto di un
giornale chiaramente antifascista. L’articolo era prevedibilmente caustico contro il frate che
“in quanto a umiltà non rassomiglia certo al Maestro Francesco da Assisi” (“Verissimo!”
annotò a matita qualcuno accanto), descriveva gli applausi dei membri della colonia fascista
locale di fronte alle cautele di Facchinetti, che precisava di non occuparsi di politica, ricordava
che i “barbari” ai quali l’Italia stava portando la civiltà erano cristiani e concludeva con:
“Parla e diverti e ridi, gira l’arrosto sul fuoco e “dieci anni di conversazioni radiofoniche”
diventano una esaltazione dell’impresa criminale dell’Italia in Etiopia.
E i missionari cosa ci stavano a fare in Abissinia?
Ma se i missionari hanno convertito il paese, c’era proprio bisogno di insegnare agli
abissini come si massacrano le donne e i fanciulli con quelle “meravigliose ali” pur tanto
lodate da padre Facchinetti?
Le aquili volano, fissano gli occhi nel sole, ma cadono poi con volo disordinato e
finiscono rose dai vermi e beccate magari dagli uccelletti deboli, teneri e musicali.
Un imprevidente Mussolini scrisse, in margine a un appunto della segreteria del 17 maggio 1928: “Sì, per tutto
il 28 e poi basta”. ACS, SPD, 513.052.
53 ACS, SPD, 513.052, 6 gennaio 1929.
54 ACS, SPD, 513.052, 23 settembre 1927.
55 ACS, SPD, 513.052, San Benedetto 1929.
56 ACS, SPD, 513.052, trafiletto databile al 1935, che riporta la notizia di una conferenza tenuta a Motta di
Livenza.
57 ACS, SPD, 513.052, trafiletto del periodico fascista di Foligno “La Fiamma”, 15 dicembre 1928.
52
13
Proporremo a Mussolini che la effige di padre Facchinetti sia posta sui labari. Egli è un
buon pro(illeggibile) del Regime.”58
Quando un tale sofisticato uso della stampa non bastava, Facchinetti non esitava poi a
ricorrere a richiami ad altre autorità, o a piccoli ricatti morali:
“Dopo quanto mi scrisse il Comm. Sebastiani non ho il coraggio d’insistere nel pregare
per il rinnovo del Permanente, e lo rimando a V. Eccellenza, con infiniti ringraziamenti.
Ho coscienza di essermene sempre servito per motivi di apostolato religioso e
patriottico; forse per questo Sua Maestà il Re si degnava, lo scorso mese, assicurarmi
personalmente che la carta di libera circolazione mi sarebbe stata rinnovata. Mi spiace
solo per il fatto che la mia attività di conferenziere rimarrà – proprio ora! – in gran parte
paralizzata. Poiché dal momento ch’io ho sempre parlato a beneficio di qualche
Istituzione (Veda, Eccellenza, tanto buono, i trafiletti a parte con le ultime lettere di inviti
che non posso accettare) non è giusto il convento ci rimetta anche le spese di viaggio.
Potrei, è vero, farmi pagare il biglietto dagli Enti interessati, ma non è decoroso e non mi
piace. D’altra parte il bilancio del Ministero delle Comunicazioni non ci perderebbe nulla
ugualmente. Sono sempre passato come il porta–fortuna delle Ferrovie e dovrò
continuare ad essere così.59”
Del resto, le richieste di Facchinetti non si limitavano ai biglietti del treno. In occasione di un
suo viaggio in America chiese di avere gratis i biglietti del piroscafo60, e nello stesso periodo
domandò anche – sempre gratuitamente – il rinnovo del passaporto. I funzionari della
segreteria che si occuparono della richiesta fecero presente che quella non era la prassi
corrente od opportuna per ottenerlo61, e ricordarono che loro “non po[tevano] diventare i
segretari di padre Facchinetti per le faccende della sua vita privata” (questa frase fu
sottolineata e siglata da Mussolini stesso)62. Del resto Facchinetti, essendo un personaggio
conosciuto, avrebbe potuto chiedere una raccomandazione a qualcun altro, senza scomodare
la segreteria dell’uomo più potente d’Italia63.
Facchinetti, però, non richiedeva solo facilitazioni per sé; anzi, come precisò in una lettera,
egli era più spesso un tramite per richieste altrui64. Si poteva trattare di suppliche provenienti
da persone umili che chiedevano favori personali: un passaporto per emigrare negli Stati
Uniti, una raccomandazione per una “povera figliola” contro cui era stata commessa
un’ingiustizia…65 In periodo di guerra, egli patrocinò anche domande più eccentriche, come la
proposta di costruire un ospedale italiano a Parigi o il progetto di un nuovo tipo di lotteria66.
Con particolare frequenza, però, egli si occupava di cause che interessavano tutto l’ordine
francescano, come la riconsegna di una chiesa a Monza67, o questioni riguardanti un vescovo
missionario in Cina (a proposito del quale domandò un colloquio col segretario particolare
ACS, SPD, 513.052.
ACS, SPD, 513.052, 22 dicembre 1935.
60 ACS, SPD, 513.052, 23 febbraio 1929.
61 ACS, SPD, 513.052, 4 aprile 1933.
62 ACS, SPD, 513.052, appunto datato al 6 dicembre dell’anno X dell’Era Fascista (da qui in poi E.F.).
63 ACS, SPD, 513.052, appunto senza data ma conservato assieme a documenti del 1933. Davanti a una nota che
precisava la fama di Facchinetti, qualcuno annotò “ragioni per cui potrebbe rivolgersi a qualche poliziotto a
Milano”.
64 ACS, SPD, 513.052, 21 ottobre 1929.
65 ACS, SPD, 513.052, 15 ottobre 1929. Si veda anche l’appunto conservato nello stesso fondo e redatto il 4
dicembre dell’anno VIII, con l’indicazione di altre cinque pratiche patrocinate da Facchinetti.
66 ACS, SPD, 513.052, 17 ottobre 1942.
67 ACS, SPD, 513.052, 19 dicembre 1929.
58
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14
Sebastiani)68. In molti casi, egli agiva esplicitamente per conto dei vertici dei Frati Minori,
come quando richiese un colloquio insieme al segretario generale delle missioni
francescane69, o quando domandò un’udienza per comunicare un messaggio del superiore
generale, a nome di tutto l’ordine francescano70. Del resto, l’esistenza di rapporti stretti fra il
frate e il Duce era ben nota (anche la stampa parlava della simpatia che riservava a Facchinetti
il capo del governo71), ed egli poteva quindi facilmente diventare un “ambasciatore”
dell’ordine presso il governo.
La sua posizione di intermediario, del resto, funzionava anche nell’altro senso: il 19 giugno
1927 egli informava con compiacimento Mussolini che alle cariche più importanti nell’ordine
francescano erano appena stati eletti degli Italiani “di razza, di spirito e di cuore”72. Un
francescano con entrature presso il Duce era un utile canale di comunicazione per entrambe
le parti coinvolte, e lo stesso superiore generale dei francescani Leonardo Bello cercò di
curarne la posizione e aumentarne il prestigio, inviando in regalo al Duce tre opere
agiografiche di Facchinetti (su San Francesco, Sant’Antonio e San Bernardino da Siena, “le tre
più fulgide glorie italiane e francescane”) in occasione del suo cinquantesimo compleanno73.
L’influenza di Facchinetti però valicava anche i confini dell’ordine, se egli patrocinò perfino
un’udienza dal Duce per il podestà di Monza74. Del resto, egli richiese anche dei colloqui
riguardo a questioni politiche di primaria importanza, come la situazione in Palestina75 o la
Conciliazione76. In entrambi i casi, peraltro, egli non fu ricevuto, a riprova che le sue ambizioni
di faccendiere erano troppo elevate; nonostante ciò, egli continuò a interessarsi di “alta
politica”, e per esempio, in occasione della crisi fra il governo e la Santa Sede del 1931,
richiese (invano) informazioni al segretario Sebastiani77. Del resto, lui poteva ritenere di
avere qualche titolo a intervenire sulla faccenda, dato che, come ricordato, le trattative che
portarono alla Conciliazione furono grandemente favorite dal centenario francescano del
1926, in cui egli aveva avuto una parte importante; addirittura, egli sosteneva di aver dettato
personalmente a Mussolini la lettera che egli aveva inviato al consigliere di Stato Domenico
Barone il 4 ottobre 1926, e che aveva segnato la ripresa dei colloqui78.
In tutte queste questioni Facchinetti aveva agito da un punto di vista “professionale”, come
predicatore o come membro del proprio ordine. Egli aveva però anche la speranza di poter
stringere un rapporto più personale con Mussolini79, per cui sentiva un affetto e una
devozione filiale (nonostante il dittatore fosse un suo coetaneo). Nel 1928 concludeva una
lettera con:
ACS, SPD, 513.052, 7 novembre 1935.
ACS, SPD, 513.052, 13 febbraio 1932. Per inciso, il colloquio non venne concesso, e Mussolini lo pregò di
scrivergli riguardo alla questione (ACS, SPD, 513.052, 25 febbraio 1932).
70 ACS, SPD, 513.052, 1° luglio 1933.
71 ACS, SPD, 513.052, trafiletto del periodico fascista di Foligno “La Fiamma”, 15 dicembre 1928.
72 72 ACS, SPD, 513.052, 19 giugno 1927.
73 ACS, SPD, 513.052, 29 luglio 1933.
74 ACS, SPD, 513.052, 16 aprile 1928. Uno degli argomenti di cui il podestà di Monza doveva parlare a Mussolini
riguardava peraltro i Francescani.
75 ACS, SPD, 513.052, 19 giugno 1930.
76 ACS, SPD, 513.052, 19 settembre 1927, appunto della segreteria che riassume una lettera di Facchinetti.
77 ACS, SPD, 513.052, 1° luglio 1931.
78 ACS, SPD, 513.052, 1° luglio 1931. Si tratta di un appunto del segretario Sebastiani, in cui però le parole “S. E.
scrisse, sotto sua dettatura, la prima lettera all’Avv. Barone per un possibile accordo col Vaticano” erano
comprese fra virgolette. Cfr. inoltre VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., p. 19.
79 ACS, SPD, 513.052, 23 settembre 1927.
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69
15
“Mi senta vicino, come un figlio, tanto più che proprio ieri ho perduto mio padre, al suo
cuore paterno! Ogni mattina la mia preghiera più fervida, come ogni sera la mia
benedizione più augurale, è per Lei, Eccellenza!”80
E al momento della morte del nipote Sandro scriveva:
“Ella sa, Ecc., com’io l’ami, poiché di questo amore non ne ho mai fatto un mistero, come
un fratello, un amico, un padre, e per conseguenza quanto vivamente partecipi a tutte le
gioie che allietano ed a tutti i dolori che rattristano la sua famiglia, a me carissima. La
mia condizione di religioso francescano mi mette nell’impossibilità di manifestare
pubblicamente questo mio profondo inestinguibile amore per Lei ed i suoi cari; ma per
essere secreta, non è meno viva, ardente e generosa questa mia fraterna carità.
Sappia che la preoccupazione della salvezza dell’anima di V.E., non meno che della sua
salute ed incolumità fisica e del benessere più completo di tutta la sua famiglia, sta
sempre in cima a tutti i miei pensieri e forma il continuo oggetto della mia preghiera.”81
Le risposte di Mussolini a queste accorate invocazioni non andavano oltre il livello della
cortesia, e, come si è visto, spesso gli capitava di rifiutare ricevimenti a Facchinetti. In calce a
una lettera indirizzata al segretario, che il frate concludeva con “Ella sa che avvicinare anche
per un solo momento il Duce, è per me una delle gioie più grandi”, Mussolini vergò la semplice
annotazione “evitare”82. Dopo l’ennesimo incontro mancato, timoroso che il Duce “gli avesse
tolto o gli togliesse la sua Alta benevolenza”, Facchinetti si sentì in dovere di precisare che
anche in quel caso avrebbe comunque continuato a pregare per lui83.
Il frate trovò una migliore accoglienza presso la famiglia, coi cui membri finì per relazionarsi
direttamente, senza passare per il tramite di Benito. Secondo la sua testimonianza, nel 1926
incontrò la figlia Edda nel collegio fiorentino in cui lei risiedeva, e recapitò personalmente una
sua lettera al padre Benito84. Nel 1927, in occasione della nascita del figlio del Duce Romano,
chiese di poter inviare un dono preparato da tempo perché fosse collocato sulla culla del
neonato85, e nella Pasqua del 1928 comunicò i giovani Edda e Vittorio Mussolini, e chiese
quindi al padre di poterli avvicinare in futuro per istruirli86. Dopo la nascita della figlia Anna
Maria chiese di poterla battezzare personalmente, convinto che il parroco di Predappio gli
avrebbe ceduto facilmente “l’insigne onore, che egli già ebbe, credo, più volte”87; la
sottolineatura di queste parole sulla lettera dimostra che la fiducia di Facchinetti era mal
posta, e la risposta, cortese ma ferma, chiariva che anche quella volta ad occuparsi del
sacramento sarebbe stato il parroco locale88.
Il 28 ottobre dello stesso anno, dopo avere avuto un colloquio particolarmente rapido col
Duce (“E dire che avrei voluto stare sempre con Lei!”89), gli inviò una sua letterina per la
piccola Edda, e a dicembre spedì un omaggio per Anna Maria90. Nel giugno del 1930, durante
ACS, SPD, 513.052, 16 aprile 1928.
ACS, SPD, 513.052, 30 agosto 1930.
82 ACS, SPD, 513.052, 11 dicembre 1930.
83 ACS, SPD, 513.052, 1° luglio 1931, nota del segretario.
84 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., p. 13. A quanto riporta Facchinetti, nella lettera Edda, tra le altre cose,
scriveva al padre che il frate pregava per lui.
85 ACS, SPD, 513.052, 23 settembre 1927.
86 ACS, SPD, 513.052, 16 aprile 1928.
87 ACS, SPD, 513.052, 15 agosto 1929.
88 ACS, SPD, 513.052, 30 agosto 1929.
89 ACS, SPD, 513.052, 28 ottobre 1929.
90 ACS, SPD, 513.052, appunto del IV dicembre anno VIII E.F.
80
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16
un viaggio in Terrasanta, spedì a Mussolini una cartolina del Santo Sepolcro, con il testo “La
ricordo sempre!”91. In seguito, nel messaggio di condoglianze inviato per la morte di Sandro,
ricordò di avere conosciuto il giovane92, e qualche anno dopo chiese un colloquio a proposito
della madre (ormai vedova) Augusta Bondaini, che egli asseriva di visitare ogni settimana93.
Due anni dopo era per il tramite della sorella del Duce Edvige che egli inviava in dono tre
copie del suo Con San Francesco in volo (in seguito rispedite a un dopolavoro)94. Ormai,
Facchinetti era definitivamente entrato all’interno della famiglia Mussolini.
I suoi rapporti con essa ricevettero una consacrazione quando Facchinetti – ormai vescovo,
dopo la sua designazione a vicario apostolico della Tripolitania – poté cresimare i figli minori
del Duce nel 1937. Anche in seguito egli continuò a interessarsi di loro e a sollecitare la loro
frequenza ai sacramenti, in affettuose lettere inviate a donna Rachele, nelle quali esprimeva
tutto il suo amore per la famiglia:
“Vi voglio troppo bene per non fare di tutto affinchè – più tardi che è possibile, lo dico
anche per me! – non veniate alla fine di questa vita, con tutti i vostri cari, in paradiso.
Capito?”95
Al di là però dei rapporti di affetto, la relazione di Facchinetti coi famigliari del Duce gli apriva
nuovi canali per ottenere facilitazioni e aiuti, non solo peraltro a proprio favore. Nel 1935
rivolse la richiesta dell’abbonamento delle Ferrovie a Vittorio Mussolini (ma mandò in seguito
un messaggio di ringraziamento anche a Bruno96), a cui comunicò che il padre certamente non
era a conoscenza della sua domanda, dato che altrimenti l’avrebbe già esaudita97. La
sollecitazione ebbe buon esito, e il segretario Sebastiani, con la stessa lettera con cui
comunicava l’arrivo a Vittorio della missiva, annunciava la concessione della carta di libera
circolazione sulle Ferrovie98, “in seguito a nuove istanze pervenuteGli”99. In seguito
Facchinetti unì, nello stesso messaggio, la sollecitazione dell’ennesimo rinnovo col ricordo del
primo anniversario della cresima ai figli del Duce100, e sollecitò da donna Rachele una grazia
per due condannati al confino101.
In conclusione Facchinetti, grazie all’importanza della sua predicazione, divenne una figura di
raccordo nelle reti clientelari che facevano riferimento a Mussolini. Sebbene il Duce si
mostrasse estremamente parco nel riceverlo, la sua efficacia e la sua importanza come
strumento di propaganda facevano sì che nei suoi confronti dovesse usare un occhio di
riguardo. Al governo ci si rendeva conto del fatto che le prediche del frate non erano un
semplice affare di religione, ma avevano una forte valenza patriottica e fascista; grazie
all’innegabile facondia e carisma di Facchinetti, i suoi discorsi dovevano colpire gli ascoltatori,
almeno quanto li colpivano le sue prediche alla radio, e in Italia come all’estero il francescano
poteva quindi dimostrarsi un’arma non disprezzabile per il Regime. L’interminabile vicenda
dell’abbonamento ferroviario del frate dimostra, oltre che la cocciutaggine del frate stesso,
anche la continuata importanza che Mussolini, nonostante tutto, attribuiva al suo lavoro.
ACS, SPD, 513.052, 12 giugno 1930.
ACS, SPD, 513.052, 30 agosto 1930.
93 ACS, SPD, 513.052, 1° luglio 1933.
94 ACS, SPD, 513.052, stralcio di lettera del 23 dicembre 1935.
95 ACS, SPD, 513.052, 11 marzo 1940.
96 ACS, SPD, 513.052, biglietto del 24 maggio 1935.
97 ACS, SPD, 513.052, 24 aprile 1935.
98 ACS, SPD, 513.052, 20 maggio 1935.
99 ACS, SPD, 513.052, 14 maggio 1935.
100 ACS, SPD, 513.052, nota del segretario, datata gennaio dell’anno XIX E.F.
101 ACS, SPD, 513.052, 11 marzo 1940.
91
92
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La vicinanza di Facchinetti al capo del governo gli permise inoltre di essere il tramite fra lui e
una vasta congerie di persone che aveva un qualche motivo per chiedergli favori,
interessamenti o il privilegio di un’udienza, e che poteva andare da poveri emigranti alle
gerarchie dell’ordine francescano, fino addirittura, in un caso, a un uomo politico incardinato
nelle strutture statali come il podestà di Monza. Qualunque cosa Mussolini pensasse del frate,
si trattava comunque di una persona che aveva accesso a lui relativamente di frequente, ed è
probabile che essere raccomandati da lui fosse utile. Allo stesso tempo, il ruolo di tramite di
Facchinetti doveva rafforzare la sua posizione verso i suoi interlocutori102, e possiamo
immaginare che l’ordine francescano (il cui superiore generale intervenne in seguito in suo
favore all’epoca della scelta del vicario apostolico della Tripolitania103) lo tenesse in grande
considerazione.
Allacciare un rapporto personale col Duce si dimostrò più complicato, ma alla fine Facchinetti
riuscì a diventare una presenza relativamente importante all’interno della famiglia Mussolini.
Sarebbe forse facile liquidare le espressioni più grottesche delle lettere del frate come frutto
di un uomo bizzarro, bisognoso di una forte figura paterna di riferimento104; ma si tratterebbe
di un esercizio in fondo sterile, che non illuminerebbe più di tanto il ruolo storico della figura
del frate. Ciò che è chiaro è che i legami personali di Facchinetti rinforzarono quelli
“professionali” che aveva già stretto, e fornirono nuovi sbocchi e nuovi mezzi alle
raccomandazioni di cui egli si faceva già tramite.
Era questo un meccanismo circolare caratteristico delle figure di raccordo fra un centro e la periferia, e che si
ritrova per esempio anche in gerarchi come Balbo, che utilizzavano il proprio potere locale per consolidare la
propria posizione a livello nazionale e viceversa (Salvatore Lupo, Il Fascismo: la politica in un regime totalitario,
Roma, Donzelli, 2005, p. 161).
102
APF, NS, 39.4, 1936, marzo (ponenza).
È opportuno però considerare che nell’entourage del Duce un linguaggio così magniloquente e adulatorio era
molto comune anche fuori dagli ambiti di propaganda, ed era adoperato anche nei colloqui privati fra alti
gerarchi, che avevano accesso continuo a Mussolini. Cfr. Salvatore Lupo, Il Fascismo, op. cit., p. 255.
103
104
18
La missione in Libia
La vita frenetica di Facchinetti, sempre in giro tra prediche e conferenze, cambiò
improvvisamente quando, il 9 marzo 1936, ricevette la notizia di essere stato prescelto come
vicario apostolico della Tripolitania. Per quanto fosse già stato nella regione altre volte, per
tenere conferenze105, egli non aveva mai svolto un lavoro missionario vero e proprio, e la sua
nomina era certamente inaspettata. Tuttavia, essa era spiegabile alla luce del cambiamento
che stava vivendo allora la missione cattolica nel paese e della stessa natura della
colonizzazione italiana in Libia.
La missione cattolica a Tripoli datava al 1628, quando due frati francescani, oriundi di Venezia
e di Bergamo, arrivarono nella città106. Allora Tripoli era un centro della corsa barbaresca, e
come nelle altre città maghrebine coinvolte in questa attività, l’azione dei missionari era
rivolta essenzialmente alla cura degli schiavi cristiani i quali, oltre a soffrire patimenti e
umiliazioni, rischiavano di apostatare per convertirsi all’Islam e riottenere la libertà.
Trattandosi di un paese con un governo musulmano (ufficialmente parte dell’Impero
Ottomano, anche se a lungo de facto autonomo), il proselitismo era da escludersi. Anche dopo
l’abolizione della corsa nel Mediterraneo, comunque, il compito dei missionari rimase la cura
spirituale dei pochi Cattolici presenti. Per quanto la prefettura apostolica (istituita nel 1669)
fosse stata affidata ai Frati Minori italiani, il reclutamento dei missionari era volontario, e
spesso difficile. Era quindi presente anche numeroso personale proveniente da altri paesi,
come Francia, Spagna o Malta; in particolare, i Maristi francesi avevano istituito nel 1881 una
scuola.
Le cose cominciarono a cambiare agli inizi del Novecento. Innanzitutto, nel 1907, la missione
rinunciò alla protezione ufficiale del console francese – che da secoli difendeva gli interessi
delle missioni cattoliche nel Levante ottomano – per richiedere quella del console italiano. Ciò
rispondeva a una situazione in cui l’influenza italiana – economica e diplomatica – in
Tripolitania era sempre più forte; in particolare, l’aiuto pecuniario dell’Associazione nazionale
per soccorrere i missionari italiani all’estero, fondata da Ernesto Schiaparelli, era un potente
stimolo a italianizzare completamente la missione107. Il passaggio non fu indolore, e provocò
la partenza dei Maristi, oltre che dissapori all’interno della popolazione cristiana, in cui il
gruppo più numeroso era costituito da Maltesi (a cura dei quali stavano dei missionari di
quella nazionalità)108. L’anno successivo la prefettura veniva affidata alla Provincia Lombarda
dei Frati Minori, che si impegnava a garantire un rifornimento costante di missionari.
Il cambiamento più importante, però, avvenne con l’invasione italiana della Libia nel 1911. Col
nuovo afflusso di Cattolici – soldati, funzionari e in prospettiva coloni – a cui badare, si
rendeva necessario un potenziamento della missione; a ciò si aggiungeva anche l’opportunità
di rafforzare la posizione del suo vertice di fronte al nuovo potere civile della colonia. Nel
1913, quindi, la prefettura apostolica della Tripolitania fu trasformata in vicariato apostolico,
e a suo capo fu posto Lodovico Antomelli, ex ministro provinciale dei francescani lombardi e
VF, Il vicariato apostolico di monsignor Tonizza, APLFM, dattiloscritto, p. 46.
Filberto Sabbadin, I Frati minori lombardi in Libia, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 1991, pp. 19 – 25.
A partire dalla fine dell’Ottocento, il testo scientifico di riferimento sul Cattolicesimo in Libia è però Vittorio
Ianari, Chiesa, coloni e Islam: religione e politica nella Libia italiana, Torino, SEI, 1995, a cui rimando fin da ora per
quanto riguarda la descrizione generale della storia della missione.
105
106
107
108
Ivi, p. 90.
Ivi, pp. 12 – 13.
19
ora vescovo titolare di Leptis Magna. La scelta non fu felice: i rapporti con gli altri missionari e
con il potere civile furono freddi, e le tensioni che nacquero all’interno del vicariato portarono
Propaganda Fide a istituire una commissione d’inchiesta. Dopo pochi anni, nel 1919,
Antomelli fu rimosso, tramite una promozione a vescovo di Bagnoregio.
Del resto, i rapporti con il potere coloniale italiano erano segnati da grossi problemi di fondo.
Nonostante gli entusiasmi di alcuni Cattolici, che avevano visto nell’invasione della Libia
un’affermazione della civiltà italiana e cristiana contro l’Islam, questo non era un
atteggiamento generalizzato, né era affatto scontato. Fino a qualche anno prima, fra i
missionari cattolici rimaneva ancora parte della vecchia ostilità allo Stato italiano di origine
risorgimentale109, che si era fatta sentire così tanto all’epoca della Prima Guerra Italo‐Etiopica,
quando su fogli autorevoli della stampa cattolica si era gioito del fatto che gli Italiani massoni
e liberali fossero stati sconfitti dagli eretici, ma pur sempre cristiani, Abissini110. Proprio
all’epoca delle campagne in Africa Orientale, peraltro, il comportamento dei missionari sul
campo era stato più favorevole all’esercito italiano di quanto si sarebbe potuto pensare, ed
erano state poste le basi di un atteggiamento più compromissorio nei confronti dello Stato
italiano, in linea del resto con quanto succedeva nella madrepatria111. Nel corso dei primi anni
del Novecento, all’interno della missione tripolina, l’atteggiamento nei confronti dell’Italia
variò da un deciso sostegno a una linea più cauta112 , ma nel complesso la spedizione militare
italiana fu salutata con favore, se non con fervore patriottico113, e molti degli stessi missionari
lessero la propria vicenda come un prodromo della colonizzazione114.
Le autorità militari italiane, tuttavia, nutrivano forti dubbi sull’idea che italianità e
cattolicesimo dovessero avanzare insieme, e ciò sia a causa del retaggio della laicità
risorgimentale, sia a causa della politica religiosa coloniale, che non favoriva il proselitismo115.
L’atteggiamento degli Italiani nei confronti dei culti indigeni variava da colonia a colonia, ma
in genere era improntato a una minimizzazione dei costi e a una massimizzazione dei benefici,
senza velleità di evangelizzazione. Laddove quindi erano presenti due culti principali (come in
Eritrea, dove erano presenti sia Cristiani Ortodossi che Musulmani) poteva essere
contemplata una politica più interventista, basata sul principio del divide et impera, e che si
risolveva nel favorire un culto particolare (nello specifico, di solito quello dei Musulmani della
costa, percepiti come più evoluti e meno legati all’Impero Etiopico); altrimenti, dove c’era una
più forte omogeneità confessionale, era cura delle autorità coloniali evitare accuratamente di
minacciare il culto esterno della religione dominante, o tollerare il proselitismo contro di
essa116. Le due colonie in cui si verificavano queste condizioni, la Libia e la Somalia, erano
Lucia Ceci, Il vessillo e la croce: colonialismo, missioni cattoliche e islam in Somalia (1903 – 1924), Roma,
Carocci, 2006, pp. 32 – 33.
109
110
111
Mimmo Franzinelli, Il clero italiano, op. cit., p. 251.
Cfr. Claudio Mario Betti, Missioni e colonie in Africa Orientale, Roma, Studium, 1999.
Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e Islam, op. cit. pp. 15 – 28.
Ivi, pp. 45 – 46.
114 Ivi, pp. 90 – 93.
115 Sulla politica religiosa italiana nelle colonie l’opera di riferimento è Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e
religioni, op. cit.
112
113
Il rispetto verso la religione valeva però solo nel caso in cui le strutture religiose non cercassero di resistere
alla conquista e all’occupazione italiana, come dimostrò la persecuzione della confraternita della Senussia in
Cirenaica. Inoltre, questo rispetto esteriore si accompagnava comunque a una posizione subordinata della
popolazione nativa della colonia.
116
20
musulmane, e in entrambi questi paesi i missionari cattolici scoprirono che gli Italiani non
erano disposti a favorirli pubblicamente, o a lasciar loro molti margini d’azione117.
C’era però un campo in cui la loro azione rimaneva libera, ed era anzi spesso incoraggiata,
ossia l’assistenza religiosa ai Cattolici. L’importanza dei missionari quindi era legata alla
presenza e alle dimensioni della popolazione italiana, e ciò era particolarmente visibile in
Libia. In quel paese era già presente un vecchio nucleo di Italiani e Maltesi, già da prima della
conquista. In seguito, i progetti di emigrazione su vasta scala nel nuovo possedimento erano
stati al centro delle motivazioni della Guerra Italo‐Turca; tuttavia, la successiva ritirata a
pochi ridotti sulla costa all’epoca della Prima Guerra Mondiale e i tentativi di appeasement con
la popolazione nell’immediato dopoguerra (tentativi che portarono al noto progetto di
concedere un regime parlamentare alla colonia) limitarono per forza di cose la prospettiva di
un’emigrazione di massa. Il Fascismo si riappropriò di questi progetti demografici, e per
quanto in un primo tempo la colonizzazione agricola fosse stata prevalentemente affidata, più
che a coloni, a grandi latifondisti (che impiegavano manodopera locale e non avevano molto
interesse a curare l’immigrazione italiana), a livello retorico l’idea della “Quarta Sponda”
riprese vigore.
Per il momento il Fascismo si dedicò a riportare (o a portare per la prima volta, in molti casi)
sotto il completo controllo italiano il territorio libico. In Tripolitania le operazioni militari si
conclusero in pochi anni, ma in Cirenaica, dove la resistenza indigena era molto più
agguerrita, per stroncare ogni resistenza fu necessario un decennio di feroce controguerriglia,
conclusa con la deportazione di gran parte della popolazione indigena in campi di
concentramento. Nel frattempo il potere fascista, sulla linea di quanto succedeva anche nella
Penisola, rivendicava la valorizzazione della natura nazionale cattolica degli Italiani, e non
esitava a vedere nell’espansione della fede cristiana una presa di possesso del territorio, come
proclamava a un brindisi per l’inaugurazione della cattedrale di Tripoli il governatore De
Bono118.
Non bisogna però esagerare l’importanza di questo sostegno. Il Fascismo, nonostante tutte le
sue pretese di novità, non capovolse la politica religiosa coloniale dei governi precedenti, e
continuò a farsi guidare da una linea di ottimizzazione del rapporto costi/benefici. Ciò che
cambiò fu, in primo luogo, che con il crescere delle ambizioni coloniali le vecchie strategie
furono applicate più a fondo e in maniera più spregiudicata. Se già in Eritrea i Musulmani della
costa erano stati favoriti, nell’Etiopia Italiana le popolazioni musulmane avrebbero fruito di
molte agevolazioni negli stessi mesi in cui la furia di Graziani si abbatteva sul nerbo cristiano
del vecchio Impero119. Allo stesso tempo, i piani demografici del Regime prevedevano il
collocamento nei territori coloniali di vaste popolazioni italiane (e quindi, in stragrande
maggioranza, cattoliche), i cui interessi sarebbero stati prioritari su ogni altra considerazione.
Non si trattava però comunque di favorire i Cattolici in quanto tali, ma solo nella misura in cui
essi appartenevano alla stirpe dei padroni coloniali; il proselitismo, che peraltro rischiava di
Faceva eccezione il proselitismo verso i Pagani, che però costituivano un’assoluta minoranza della
popolazione soggetta (cfr. ad es. Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni, op. cit., p. 429).
117
Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 39 – 40.
Vale la pena ricordare che la Chiesa Ortodossa Etiopica fu profondamente destrutturata dalle repressioni
italiane: su quattro vescovi due furono fucilati e uno mandato in esilio, e tutti i monaci di Debra Libanos (il
monastero più importante del paese) furono brutalmente massacrati. Sul tema vedi Paolo Borruso, La crisi
politica e religiosa dell’Impero etiopico sotto l’occupazione fascista, “Studi Piacentini”, n. 29, 2001, pp. 57‐111.
118
119
21
attenuare la distanza fra dominatori e dominati, non era incoraggiato120, e la reazione delle
autorità coloniali all’ordinazione del primo vescovo indigeno cattolico di rito etiopico in
Eritrea, nel 1930, fu piuttosto fredda121.
Oltre a questi elementi, nel corso degli anni ’30 la politica coloniale fascista assunse un
atteggiamento esteriore di favore verso l’Islam in quanto tale. Anche in questo caso si trattava
del risultato di un calcolo politico122: in un momento in cui l’Italia ambiva a espandersi nel
Mediterraneo a scapito di Francia e Inghilterra, i movimenti anticoloniali che indebolivano gli
imperi di quei paesi andavano incoraggiati. È in quest’ottica che, per esempio, Radio Bari
cominciò a trasmettere notiziari in arabo nel 1932123. Si trattava di una politica estremamente
ambigua, in quanto l’Italia ambiva a sostituirsi ai vecchi imperi coloniali, più che a rovesciarli;
senza contare poi che anch’essa aveva dei possedimenti coloniali, i cui sudditi erano esclusi
dalla gestione della cosa pubblica, e che solo qualche anno prima la ferocia della repressione
in Cirenaica aveva fatto scalpore in tutto il mondo arabo‐islamico124. A titolo di merito il
Fascismo poteva fare riferimento alla politica filo‐islamica attuata in Etiopia, e al rispetto della
religione musulmana nelle altre colonie; tutto ciò rendeva ancora più necessario, tuttavia,
mantenere un trattamento esteriormente deferente nei confronti delle manifestazioni del
culto125.
Questi elementi si traducevano, nei confronti della missione, in una rinnovata limitazione del
proselitismo da un lato e, dall’altro, in un trattamento di favore (che non includeva solo il
rispetto esteriore del culto, ma soprattutto sostanziosi finanziamenti) verso i missionari
stessi. Questi ultimi erano infatti essenziali per assicurare la cura della popolazione italiana,
non solo dal punto di vista religioso, ma anche da quello educativo, sanitario e assistenziale in
genere. Gli assegni che il governo coloniale versava al Vicariato per il sostentamento dei
missionari erano forniti espressamente in ragione delle funzioni “parrocchiali” che essi
svolgevano presso le comunità italiane126, nonostante la formale natura di terra di missione
della Libia127.
I missionari stessi, del resto, si rendevano conto della situazione, e orientarono la loro attività
verso la cura pastorale dei coloni. A guidarli in quel periodo era monsignor Giacinto Tonizza,
È sul pericolo per il potere coloniale causato da questa potenziale implicazione dell’evangelizzazione che si
conclude il libro già citato di Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni, op. cit. pp. 438 – 439.
121 Ivi, pp. 186 – 189. C’erano stati in effetti in questo periodo, da parte italiana, progetti di “cattolicizzazione”
della popolazione eritrea, ma essi furono molto velleitari e non provocarono un significativo cambiamento della
politica coloniale (Ivi, pp. 169 – 197).
122 Renzo De Felice, Il Fascismo e l’Oriente: arabi, ebrei e indiani nella politica di Mussolini, Bologna, Il Mulino,
1988.
120
Gianni Isola, Abbassa la tua radio, op. cit., p. 236.
Cfr. ad esempio Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, vol. II (Dal Fascismo a Gheddafi), Roma – Bari, Laterza,
1988, pp. 222 – 227.
125 Le autorità coloniali non percepivano alcuna contraddizione fra la discriminazione legale o la repressione
della popolazione musulmana e il rispetto formale del suo culto. Nei campi di concentramento della Tripolitania
erano morte decine di migliaia di persone, ma le autorità si erano sforzate di fare in modo che in essi fossero
sempre presenti delle moschee (Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni, op. cit., pp. 265 – 266). Sulla
persistenza di questa ambiguità anche nel periodo di maggiore apertura del Fascismo verso la popolazione libica,
ossia il governatorato di Italo Balbo, cfr. Ivi, pp. 282 – 291.
126 Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana presso il Ministero degli Affari Esteri (da qui in poi ASMAI –
MAE), Affari Politici, 76/213, 2 agosto 1932.
127 ASMAI – MAE, Affari Politici, 76/213, 5 giugno 1931. Ricordo che il Concordato non fu esteso al territorio
coloniale, e che quindi le sovvenzioni alle missioni erano oggetto di contrattazione fra le autorità italiane e la
gerarchia ecclesiastica (cfr. Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni, op. cit., pp. 405 – 415).
123
124
22
ex superiore della missione di Costantinopoli e grande conoscitore del mondo islamico, che
seppe assicurarsi il rispetto e la stima della popolazione musulmana ed ebraica di Tripoli.
Tonizza, inoltre, si relazionò in maniera molto più positiva del predecessore verso i confratelli
e l’autorità coloniale. In un contesto di crescita demografica, egli curò la strutturazione in
parrocchie dei luoghi di culto a Tripoli e l’edificazione della nuova cattedrale (consacrata nel
1928)128, oltre che di una serie di altri luoghi di culto; sotto di lui, inoltre, fu fondato il mensile
della missione, “Famiglia Cristiana”, diretto alla popolazione cattolica della colonia129. Ormai
la prospettiva era quella di una “normalizzazione” dell’ambiente cattolico, che tendeva
sempre più ad essere assimilato a quello della madrepatria e a perdere le proprie
caratteristiche di frontiera missionaria. Il culmine di questo processo fu la fondazione del
“Collegio Serafico Missionario” (1929), diretto alla formazione di nuovi frati tratti dalle
famiglie coloniali; il collegio, peraltro, non produsse mai molti nuovi missionari (anche se offrì
comunque un’istruzione gratuita a molti giovani), e dovette cambiare più volte sede per
scarsità di spazi e di allievi130.
Il contraltare di tutta questa attività, però, era che i missionari stessi rinunciarono
all’obiettivo del proselitismo. Tonizza, uomo che, come ricordato, conosceva da tempo
l’ambiente musulmano, era estremamente scettico sulla possibilità di arrivare a risultati in
questo campo; del resto, le poche volte che era sembrato che giovani musulmani si volessero
convertire, la cosa si era risolta in una mancanza di perseveranza o in un’apostasia dopo la
conversione. La mancanza di risultati (e di sforzi) in questo senso, tuttavia, era mal vista dai
vertici di Propaganda Fide, i quali d’altra parte non sembravano interessarsi delle difficoltà
che i missionari affrontavano per la cura della popolazione italiana131. Come scrivevano nel
1935, in risposta alla relazione annuale sulla colonia:
“Per aver poi aumento delle conversioni, sarà utile formare un Padre il quale con la
debita preparazione possa entrare in relazione con gli infedeli. Esiguo è il numero dei
cattolici indigeni; ma se uno zelante Religioso con ottima conoscenza della lingua
indigena e degli errori dominanti avvicinerà la popolazione infedele, ottenendo presso
di essa il prestigio del vero missionario, sono certo che si riuscirà a propagare
efficacemente la nostra fede. I Padri Francescani in Tripolitania non possono restringere
l’opera loro ai soli Italiani, quasi come loro cappellani; ma essendo missionari della
regione devono estendere il loro zelo a tutta la popolazione.”
Un’altra, seppur minore, difficoltà della missione era data dalla divisione della comunità
cattolica in due gruppi nazionali distinti, composti da Italiani (la vasta maggioranza, con
37.000 persone nel 1935) e Maltesi (2000 individui)132, i quali, come ricordato, potevano
contare sull’assistenza di alcuni francescani dell’isola. I Maltesi si lamentavano del fatto che gli
Italiani insistessero per assimilarli al proprio interno e far loro assumere la cittadinanza
italiana, e queste polemiche si riflettevano in dissidi fra i due gruppi di religiosi133 ; dal canto
loro, le autorità coloniali guardavano con sospetto i missionari isolani, in quanto questi erano
sudditi britannici134. Nel corso degli ultimi mesi del 1935, al culmine della tensione per la
Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 37 – 39.
Sul periodico cfr. Umile Oldani, Famiglia Cristiana: Periodico religioso del Vicariato Apostolico di Tripoli. La sua
gloriosa storia, Tripoli, Tip. Comm. F.lli Barbera, 1968.
128
129
Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., p. 51.
Ivi, p. 47.
132 APF, NS, 39.4, 1935, prospetto.
133 APF, NS, 39.4, 1936, lettera del vescovo di Malta Mauro Carvana.
134 Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e islam, op. cit., p. 120.
130
131
23
Guerra d’Etiopia, il francescano maltese Diego Galdes collaborò col consolato inglese per
assistere l’emigrazione a Malta di una quarantina di suoi connazionali, e questo portò alla sua
espulsione da parte di Italo Balbo (il quale, tuttavia, si premurò di non fare assumere rilievo
pubblico all’incidente)135.
Tutti questi aspetti influirono sulla nomina di Facchinetti a vicario apostolico della
Tripolitania, assieme ad elementi più contingenti. Nel 1935 il vecchio vicario Tonizza morì, e
la sua scomparsa fu profondamente sentita anche dalle autorità civili e dalle altre comunità
religiose presenti. Il candidato più ovvio alla successione era Costanzo Bergna, un veterano
della missione con più di trent’anni di esperienza, che aveva già svolto a lungo la funzione di
vicario generale e godeva della stima delle autorità coloniali. Per qualche anno Bergna era
stato vicario capitolare della Somalia, al momento del passaggio di consegne nella regione tra
Consolatini e Francescani136; tuttavia, al termine di quel periodo, egli non era stato mantenuto
là come vicario apostolico, come sarebbe stato naturale aspettarsi, ed era dovuto tornare a
Tripoli. Come scoprì egli stesso, mentre riordinava le carte di Tonizza dopo la morte di
quest’ultimo, c’era infatti qualcosa che impediva la sua promozione.
Egli aveva, a suo carico, una pendenza presso il Sant’Uffizio137. Negli anni ’10 una donna
maltese di Tripoli, che si confessava da lui, aveva denunciato di avere ricevuto delle avances
da parte sua. Si trattava di un’accusa che aveva molti elementi di debolezza: la donna parlava
poco l’italiano, aveva già mostrato segni di squilibrio mentale (per gli anni ’30 ormai era
ricoverata in manicomio) e, comunque, mantenne Bergna come proprio confessore anche in
seguito al presunto fattaccio. La denuncia era stata raccolta inoltre da un religioso siciliano il
quale a sua volta aveva avuto problemi disciplinari, ed era stato in seguito sospeso a divinis, e
fu inoltrata a Roma da monsignor Antomelli all’epoca del culmine dei suoi contrasti con i
confratelli, proprio mentre a Roma arrivava anche una relazione sullo stato del vicariato
scritta (controvoglia) da Bergna, su ordine del visitatore apostolico. In pratica, era probabile
che la denuncia contro Bergna fosse una vendetta di Antomelli, il quale del resto, lasciando la
Libia, aveva promesso che avrebbe fatto delle vittime. Tonizza aveva in seguito appreso della
questione, e si stava preparando a intervenire a Roma per riabilitare il proprio collaboratore,
quando fu colpito dalla morte.
L’affaire Bergna aveva gravi conseguenze. I tentativi di ottenere l’annullamento della
denuncia presso il Sant’Uffizio si conclusero tutti con un non expedire, ed egli risultava quindi
ineleggibile. Dato il suo ruolo di candidato in pectore, tuttavia, una sua mancata nomina
sarebbe risultata in uno scandalo, che avrebbe dato adito alle supposizioni più sfrenate.
D’altra parte, anche le autorità della colonia contavano in una sua elezione, e Balbo si era
speso personalmente in suo favore; una mancata promozione sarebbe stata vista come un
affronto, ed egli stesso aveva dato segni di irritazione dopo che erano passati mesi senza la
nomina prevista. In una lettera a padre Gemelli, che conosceva da tempo138, Bergna si sfogava
APF, NS, 39.4, 1936, 2 febbraio.
La missione in Somalia, creata dai Trinitari e segnata da profonde difficoltà, passò nel 1924 all’Istituto della
Consolata e nel 1930 ai Minori Francescani. Cfr. Lucia Ceci, Il vessillo e la croce, op. cit., p. 264.
137 La descrizione migliore della vicenda è contenuta in un memoriale che Facchinetti inviò al cardinale Sbarretti,
prefetto del Sant’Uffizio, e a Propaganda Fide, rispettivamente il 4 e il 6 ottobre 1936 (APF, NS, 39.4, 1936). Il
francescano infatti, una volta preso possesso della sede, si interessò al caso e cercò di agire in favore di Bergna,
per scagionarlo definitivamente. I suoi sforzi dovettero ottenere un certo successo, perché l’anno successivo
Bergna fu nominato prefetto apostolico della nuova sede di Dessiè (Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e
religioni, op. cit., p. 411) – non certo una collocazione prestigiosa, ma il segno che la vecchia preclusione nei suoi
confronti era sparita.
138 APF, NS, 39.4, 1936, 9 gennaio.
135
136
24
della sua ingrata posizione, stretta fra un governatore sempre più freddo e una congregazione
di Propaganda Fide sempre più distratta ed esigente:
Lui [Balbo, nota dell’A.] aveva perorato tanto la causa e sembra che se la sia presa come
un’offesa personale o come un ripicco fatto al suo nome. “Le mie benemerenze e
generosità verso la missione, specialmente l’ultima della costruzione della chiesa di S.
Francesco per più di mezzo milione, a nulla sono valse. Me ne disinteresserò per
l’avvenire” Che cosa volevi che rispondessi? Io sono tra l’incudine e il martello.
Completamente staccati da Roma, da dove nessuno si fa più vivo. A una mia lettera del
Settembre scorso ha risposto gentilmente il card. Fumasoni Biondi l’altro ieri,
pregandomi di interessarmi per aumentare il numero dei missionari e possibilmente di
estendere ovunque l’assistenza religiosa. Gli avevo scritto che avevo comperato tre
motociclette per il servizio più rapido e autonomo e dicevamo tre messe alla
domenica.139
Gemelli aveva proposto di risolvere la questione trasferendo a Tripoli il vicario apostolico
della Somalia e promuovendo Bergna alla sede di Mogadiscio140. Tuttavia la soluzione
adottata fu quella proposta il 2 gennaio 1936 dal superiore generale dell’ordine Bello, il quale
suggerì di scegliere un uomo completamente esterno all’ambiente missionario. Una nomina di
prestigio sarebbe stata una spiegazione relativamente plausibile per la mancata elezione di
Bergna; d’altra parte, le condizioni della missione facevano sì che un uomo di formazione
“metropolitana” potesse risultare adatto a guidare quello che era sostanzialmente un gregge
di Italiani, in una zona che sembrava destinata a una progressiva assimilazione alla
madrepatria, e in cui scarsissima era l’attività di evangelizzazione vera e propria. Come
chiariva Bello nella ponenza sul caso:
Prima di parlare dei singoli candidati, conviene tener presente uno stato di fatto, per il
quale la Missione della Tripolitania si distingue affatto dalle Missioni ad gentes. Nel
Vicariato di Tripoli i Missionari fanno praticamente opera di assistenza parrocchiale,
provvedendo alla cura di anime degli Italiani e dei pochi stranieri residenti nel Vicariato.
Una vera e propria azione missionaria verso gli Arabi maomettani non esiste. Tra i
Missionari non vi è alcuno arabista, cioè dotto nella lingua araba e nella legge del
Corano. Qualcuno parla un poco arabo. Si fa rilevare questo stato di cose perché si tenga
presente che per Tripoli può essere scelto il Vicario Apostolico anche in Italia. Conviene
però scegliere un uomo di coltura, perché si interessi anche al problema maomettano.141
Una qualità che invece era necessaria a un futuro vicario era la capacità di relazionarsi col
potere civile, il cui sostegno economico e logistico era essenziale per il buon andamento della
missione:
Conviene pure tener presente che le Autorità italiane di Tripoli aiutano in ogni modo la
Missione e che quindi si impone l’attenzione di eleggere una persona che sia grata alle
Autorità della Colonia o che almeno abbia attitudini a vivere, servatis servandis, in buoni
rapporti con le Autorità.142
Questo fattore d’una importanza non trascurabile, se in certi ambienti può essere
accodato ad altri fattori che per determinate circostanze di luogo possono aver maggior
APF, NS, 39.4, 1936, 1° febbraio.
APF, NS, 39.4, 1936, 9 gennaio.
141 APF, NS, 39.4, 1936, marzo (ponenza).
142 Ibidem.
139
140
25
valore, qui in Colonia invece, si deve collocarlo in primissima linea, anzi supera in un
certo modo tutti gli altri fattori, poiché (non è esagerazione e l’esperienza lo conferma)
costituisce la condizione =sine qua non= affinchè la nostra Missione, assai difficile, possa
vivere in pace e progredire.143
Facchinetti era la persona giusta sotto entrambi questi punti di vista. Le sue doti culturali
erano fuori discussione; la sua lunga frequentazione con Mussolini e la sua capacità di
ottenere favori e raccomandazioni dall’autorità civile, qualità che l’ordine aveva già avuto
modo di apprezzare e sfruttare, lo rendevano inoltre un ottimo candidato alla sede tripolina.
Aveva dimostrato sul campo, in più di dieci anni, la sua capacità di relazionarsi con un potere
fascista, e con personalità forti come Balbo o Mussolini.
Facchinetti era quindi il primo nome della terna proposta dall’ordine, prima di Arcangelo
Galli, docente di filosofia all’Università del Sacro Cuore, e Dionisio Mazzola144. Bello era
esplicito nell’indicare che Facchinetti era preferito “ob egregias dotes quibus dictus Pater
ornatus est et ob favorem quo apud auctoritates civiles merito gaudet”145. A suo favore
stavano inoltre la sua conoscenza delle lingue straniere (francese e tedesco, e meno bene
inglese e spagnolo) e le sue doti di organizzatore, che si accompagnavano a un certo talento in
campo economico:
“Est bonus administrator; hoc conjici potest quod, quamvis plures libros in lucem
ediderit et saltem unum film (S. Antonii) composuerit, nunquam debita incurrit.”
I dubbi semmai erano sulle sue doti morali. Per quanto Bello lo descrivesse come “miti indole;
propositi tenax sed sine pertinacia; ingenio non mutabilis”, il vescovo di Bergamo, chiamato a
esprimersi su di lui, lo dipingeva in termini molto meno edificanti:
“P. Facchinetti non è molto conosciuto in diocesi, avendola lasciata presto. Aveva uno zio
religioso francescano al convento del Cividino in diocesi, non molto lontano da Gorlago,
e così si avviò ben presto alla vita religiosa. Ebbe un fratello, che appartenne alla
Congregazione diocesana dei Preti del S. Cuore. Mi par che abbia anche una o due sorelle
maestre, che appartengono ad una nascente Congregazione di qui, le Apostole della
scuola.
In complesso il predetto padre non gode molta stima in diocesi, per il reclamismo e la
sua vanità. Anche con il fratello prete del S. Cuore se la intendeva poco. In diocesi si
ricorda qualche volta gli ammonimenti severi che questo fratello, quando era ammalato
a morte, fece a P. Vittorino. “Cessa di fare il frate mondano. Sta (sic!) maggiormente in
convento”. E poi si narra abbia anche soggiunto, che “la via sua non era quella che
conduce in paradiso”.
Ma altro al riguardo del padre non conosco.
Quand’ero a Milano ebbi più volte occasione di trattare con lui, e certo, se dovessi
esprimere la mia convinzione, dovrei dire che mi sembrava troppo poco frate, per la sua
vita troppo divagata e per il suo esibizionismo. Ricordo che mi fece pure cattiva
impressione l’aver avuto fra le mani libri con “ex libris P.V.F.” in xilografia. A Milano, nel
clero, la stima per P.F. non è molta. E penso che tanto a Milano come a Bergamo la sua
promozione al posto indicato meraviglierebbe assai.
APF, NS, 39.4, 1935, 10 maggio.
APF, NS, 39.4, 1936, 2 gennaio.
145 APF, NS, 39.4, 1936, 21 gennaio.
143
144
26
Tuttavia Bello difese Facchinetti, attribuendo quei difetti a ingenuità e semplicità di
carattere146, e ogni opposizione fu superata. Il 9 marzo quindi Facchinetti fu nominato vicario
apostolico di Tripoli147, e gli fu conferito il seggio episcopale di Nicio148. Il 26 aprile, dietro sua
richiesta, fu consacrato vescovo a Milano dal cardinale Dolci, protettore dell’ordine
francescano149, e dopo meno di una ventina di giorni arrivò in colonia. Anche se l’accoglienza
non fu calorosa, e la delusione della popolazione per la mancata nomina di Bergna si sentì150 ,
Balbo ringraziò della nomina151, e si impegnò ad accogliere nella maniera più cerimoniosa
possibile il nuovo vicario152.
In un certo senso, il ruolo di Facchinetti come vicario apostolico era simile a quello che aveva
svolto nei dieci anni precedenti. La sua caratteristica principale era di essere una figura di
ponte, che sapeva connettere il proprio ordine con le gerarchie fasciste, grazie alla propria
inequivocabile e ostentata fede politica, alle proprie capacità propagandistiche e – in effetti –
anche alla propria ostinazione nel proporre la propria figura e piatire favori. Può essere che
queste qualità non lo portassero a essere un buon francescano, nell’opinione di molti religiosi
e di alcuni dei suoi stessi parenti, ma le autorità dell’ordine erano ben disposte a perdonarle,
se ciò garantiva loro un filo diretto col Duce e buoni rapporti con Balbo.
Allo stesso tempo la nomina di Facchinetti aveva anche un altro significato, in quanto
costituiva la consacrazione definitiva del processo con cui la missione si era specializzata nella
cura dei coloni italiani, abbandonando le velleità di evangelizzazione. Come si è visto, questa
evoluzione non era gradita a molti, in primo luogo negli ambienti di Propaganda Fide; e del
resto la nomina di Facchinetti fu dovuta, più che a un consapevole cambio di strategia
pastorale, alla circostanza contingente per cui l’unica scelta possibile all’interno del personale
missionario era costituita da una persona ineleggibile. Ad ogni modo, l’ambiguità e gli scontri
sul ruolo dei missionari non sarebbero scomparsi dopo il 1936.
Un aspetto importante di questo contrasto fra le due diverse strategie pastorali del Vicariato è
il fatto che l’autorità civile – da cui dipendeva il buon funzionamento della missione –
parteggiasse apertamente per una di esse. Da questo punto di vista la nomina di Facchinetti, al
di là delle caratteristiche personali del francescano, era una concessione – e insieme il segnale
di una disponibilità a una maggiore collaborazione – verso il potere coloniale e le sue
esigenze. L’arrivo dell’ex “frate microfono” nella colonia, in quest’ottica, può essere
considerato una ricaduta del processo generale di accondiscendenza e accomodamento della
Chiesa Cattolica verso la politica coloniale italiana a metà degli anni ’30153.
APF, NS, 39.4, 1936, marzo (ponenza).
APF, NS, 39.4, 1936, 10 marzo.
148 APF, NS, 39.4, 1936, 14 marzo.
149 Sulla consacrazione esiste anche un opuscolo commemorativo, A S.E. Rev.ma, op. cit.
150 ASMAI – MAE, Affari Politici, 76/213, 18 maggio 1936.
151 APF, NS, 39.4, 1936, 25 marzo.
152 ASMAI – MAE, Affari Politici, 76/213, 18 maggio 1936.
153 Lucia Ceci, Il Papa non deve parlare, op. cit. Come esempi di questa accondiscendenza si può ricordare il
silenzio del Papa sulla Guerra d’Etiopia, il supporto esplicito – tollerato anche se non condiviso dal Vaticano – del
clero italiano al conflitto e la sostanziale accettazione delle leggi razziali in colonia.
146
147
27
I Congressi Eucaristici Nazionali in Italia
Facchinetti scrisse in seguito che già al momento della sua nomina aveva concepito l’idea di
tenere a Tripoli un Congresso Eucaristico Nazionale154. Quel che è certo è che egli si mosse fin
da subito per cominciare a organizzarlo; durante il suo ricevimento dal Papa prima della
partenza gli parlò del progetto155, e in occasione della festa del Corpus Domini del 1936, ossia
poche settimane dopo essere arrivato in colonia, egli poteva preannunciare ai Tripolini la
probabile convocazione in città del Congresso, per la primavera dell’anno successivo156.
All’Immacolata, infine, arrivarono la conferma e le date definitive.
Facchinetti doveva conoscere bene i Congressi Eucaristici, dato che aveva svolto la sua attività
di predicatore in almeno due di essi157. La convocazione di un Congresso era certamente
un’occasione per esercitare le sue notorie doti di organizzatore, ma era anche il segno
dell’adesione del vicario apostolico a un tipo di pietà storicamente connotato, con un
significato ben definito sul piano dottrinale.
I Congressi Eucaristici sono riunioni di clero e di popolo che hanno lo scopo di celebrare
l’Eucarestia e discutere del culto eucaristico e delle sue possibili manifestazioni e influenze
nella società. Essi hanno, perciò, oltre a un valore puramente devozionale, alcune implicazioni
per quanto riguarda l’organizzazione dei Cattolici e la loro azione nella società. Come
sintetizzava un opuscolo pubblicato in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale di
Teramo del 1934:
Perché si celebra il Congresso Eucaristico?
1) Per dare un fervido e solenne omaggio di fede, di amore e di riconoscenza a Gesù
Sacramentato.
2) Per prendere edificazione dalla pietà e dall’entusiasmo di tanti buoni. In queste
solenni manifestazioni si capisce qualche cosa della grandezza e dell’importanza della
nostra santa religione, e nell’esempio degli altri si impara a vincere il rispetto umano e a
praticare più fedelmente la nostra fede.
3) Per istruirsi meglio nella dottrina riguardante la SS. Eucarestia.158
Strutturalmente, quindi, la forma del Congresso rinvia a un piano pubblico e collettivo della
fede. Oltre a ciò, comunque, era lo stesso culto eucaristico del periodo ad avere presupposti
teorici e connotati ideologici ben precisi. Nel corso del XIX secolo, com’è noto, la pietà
intransigente rilanciò e risignificò vecchie forme devozionali, come il Sacro Cuore o
l’Immacolata Concezione, con lo scopo di combattere le novità moderne e la costruzione di
una società e di uno Stato che prescindevano dal Cattolicesimo. Anche l’Eucarestia poteva
essere utilizzata in questo senso: l’accentuazione dell’aspetto sacrificale della vicenda di
Cristo, che trovava un simbolo visibile e concreto nell’ostia, richiamava infatti gli oltraggi che
154
Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 9.
Dalle memorie di monsignor Facchinetti, dattiloscritto.
Il trionfo eucaristico nella solennità del Corpus Domini, “Famiglia Cristiana”, vol. 13, n. 7 (luglio 1936), p. 26.
Quell’anno la festa cadeva l’11 giugno.
157 VI Congresso Eucaristico Nazionale: Bergamo, 8 – 12 settembre 1920, Torino, Off. Poligraf. Subalpina, 1920 (?)
(da qui in poi Atti Bergamo), p. 269 e Atti del VII Congresso Eucaristico Nazionale: Genova, 5 – 9 settembre 1923,
Genova, Tip. G.B. Marsano, 1925 (da qui in poi Atti Genova), p. 351.
155
156
158
Teramo, XI Congresso Eucaristico Nazionale: Guida Ricordo, Teramo, Soc. Anonima Tipogr. Il progresso, 1935.
28
il Messia aveva subito, e questi potevano essere sia quelli sofferti durante la Passione storica,
sia quelli che venivano perpetrati ad opera del mondo moderno che “rinnegava” Cristo, e che
quindi veniva assimilato ai suoi carnefici. A livello simbolico agiva inoltre l’identificazione
dell’ostia, “prigioniera” nel suo tabernacolo, con il Papa “prigioniero” in Vaticano159, e oggetto
di una crescente venerazione personale alla fine dell’Ottocento160. Agli oltraggi recati a Cristo
e al suo vicario, e rappresentati concretamente nell’ostia, i fedeli erano chiamati a riparare
con la loro devozione. L’aspetto penitenziale del culto eucaristico poteva quindi essere
interpretato come una riparazione per l’apostasia moderna, nell’ottica di una futura
restaurazione dell’ordine cristiano della società161.
L’Eucarestia si prestava quindi ad essere valorizzata in senso intransigente; del resto, nei due
secoli precedenti, essa era già stata risignificata in senso antigiansenista162. I Giansenisti
infatti, a causa del proprio rigorismo morale e della loro enfatizzazione dell’indegnità del
fedele, predicavano un accesso poco frequente al sacramento della Comunione, per timore che
ad esso ci si accostasse in stato di peccato. In reazione a questa dottrina, Zelanti e Gesuiti
raccomandarono una frequente Comunione, e quest’aspetto sarebbe passato in seguito alla
mentalità intransigente. Sebbene anche gli Intransigenti enfatizzassero lo stato di peccato
dell’uomo, infatti, la Comunione poteva concedere ai fedeli le forze con cui mantenere la
purezza della fede e della dottrina di fronte agli assalti del mondo moderno; il pericolo di
accedere al sacramento in stato di indegnità morale era compensato dai benefici spirituali che
da esso sarebbero comunque derivati163. Il passaggio da un sacrificio eucaristico
semplicemente rappresentato agli occhi della maggioranza dei fedeli a uno maggiormente
interiorizzato e partecipato andava inoltre incontro a una sensibilità patetica di stampo
romantico, diffusa anche in ambito religioso164. La pratica della frequente Comunione, infine,
trovò una definitiva consacrazione (e valorizzazione in questo senso) ad opera di papa Pio
X165.
Su un piano meno teorico si può infine notare come le origini dei Congressi Eucaristici siano
strettamente legate allo sviluppo della devozione ottocentesca al Sacro Cuore, di cui sono ben
note le implicazioni sul piano politico e sociale166. L’opera che li promosse fu fondata nel
1881, grazie all’azione di monsignor Louis – Gaston de Ségur, uno degli ecclesiastici più
impegnati nella risignificazione politica dell’altro culto. Le origini della nuova forma
Annibale Zambarbieri, I congressi eucaristici italiani tra Ottocento e Novecento di fronte ai mutamenti culturali
e allo sviluppo economico – sociale, in Massimo Marcocchi (a cura di), I congressi eucaristici nella Chiesa e nella
società in Italia, Milano, Vita e Pensiero, 1983, pp. 14 – 15.
160 Emma Fattorini, Italia devota, op. cit., pp. 38 – 40.
161 Sul tema dell’espressione del pensiero intransigente nella devozione cattolica nell’età contemporanea cfr.
Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., pp. 159 – 166.
159
Anche durante gli stessi Congressi, del resto, il culto eucaristico si accompagnò talvolta alla polemica
antigiansenista. Cfr. Atti del X Congresso Eucaristico Nazionale di Loreto: 10 – 14 settembre 1930, Recanati, Tip.
Pupilli, 1935, da qui in poi Atti Loreto, p. 188.
163 Antonio Rimoldi, Profilo storico dei congressi eucaristici nazionali, Milano, Centro Direttivo del Comitato per la
preparazione del XX CEN, 1981, pp. 5 – 6.
162
Emma Fattorini, Italia devota, op. cit., pp. 35 – 36.
Sulla politicizzazione del culto eucaristico in questo periodo, cfr. Maria Paiano, Culto eucaristico e società sotto
il pontificato di Pio X: “L’Aurora nel secolo del sacramento” e le leggi di separazione in Francia, “Rivista di Storia del
Cristianesimo”, vol. 5, n.2, 2008, pp. 527 – 529. Ricordo che Pio X incoraggiò l’accesso più frequente alla
Comunione, e rese più lasche le norme per riceverla.
164
165
Cfr. Daniele Menozzi, Sacro cuore: un culto fra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Roma,
Viella, 2001.
166
29
devozionale però non risalgono a lui ma a Emilie Tamisier, appartenente alla congregazione
delle ancelle del SS. Sacramento; lei, a quanto scrisse, ebbe l’illuminazione di dedicare la
propria vita alla “salvezza della società per mezzo dell’Eucarestia”, quando assistè al
pellegrinaggio che un centinaio di deputati cattolici monarchici compì a Paray‐le‐Monial nel
1873, e alla consacrazione della Francia al Sacro Cuore che essi effettuarono. Per quanto la
Tamisier non avesse una carica ufficiale all’interno dell’Opera, i legami informali fra lei e
Ségur e gli altri ecclesiastici francofoni che se ne occupavano rimanevano stretti. Queste
persone, a loro volta, erano in stretto contatto con quelle che animavano la “Société du règne
social de Jésus – Christ” a Paray–le–Monial – la località in cui erano avvenute le visioni di suor
Alacoque sul Sacro Cuore, e che era diventata la sede di questa devozione167. Con la “Société”
essi diffondevano una devozione al Sacro Cuore dal forte rilievo pubblico, improntata per
l’appunto all’auspicio di un avvento del “regno sociale” di Cristo, ossia alla restaurazione di
una società improntata alla dottrina cattolica168. È in questa temperie culturale, di impronta
marcatamente intransigente, che nasce e si sviluppa l’Opera dei Congressi Eucaristici169.
L’organizzazione di un Congresso Eucaristico peraltro, come ricordato, di per sé permette
un’applicazione di questi schemi teorici sul piano pubblico, e opera in maniera fattiva in
direzione di una restaurazione dell’ordine cristiano della società. Come ricordava l’opuscolo
sopra citato, un congresso è anche e soprattutto un modo con cui i Cattolici possono discutere
di questi temi, e persone provenienti da vari ambienti e varie aree geografiche possono
incontrarsi, stabilire relazioni durevoli, scambiarsi idee ed esperienze e concordare linee di
azione; in pratica, si tratta di un’opportunità di strutturare e rafforzare le modalità di azione
pubblica dei Cattolici, e di trasmettere velocemente nuovi temi e nuove proposte alla massa
dei fedeli. Il dibattito pubblico condotto in questi consessi non ha quindi una valenza
esclusivamente teorica e intellettuale, ma produce direttive precise in termini di
organizzazione e attività sociale.
I Congressi, inoltre, hanno anche una valenza simbolica molto chiara ed esplicitamente
rivendicata. Si tratta infatti di veri e propri raduni di massa, caratterizzati dall’afflusso di un
gran numero di fedeli e da celebrazioni pubbliche fastose e suggestive, in cui l’attenzione è
catturata dalla presenza di decine di vescovi, processioni, parate e cortei. In maniera analoga a
quanto succede con le nuove manifestazioni politiche che si sviluppano nel periodo, i
Congressi sono un modo per mobilitare i fedeli, compattandoli in un corpo unico e superando
le loro differenze, e immergerli in uno spazio simbolico che veicola dei precisi valori, che si
desidera siano introiettati nelle masse170. Allo stesso tempo, essi permettono di occupare in
modo visibile lo spazio pubblico, che viene quindi riconquistato, in maniera effimera ma
trionfale, dai Cattolici. Significativa, in questo senso, è la descrizione della processione
eucaristica finale del Congresso di Bergamo del 1920:
La folla piena di fede che domina e investe e trascina gli indifferenti ed i deboli. Il
populus electus che fa scomparire ogni voce ed ogni gesto che disarmonizzi colla
mirabile euritmia di ogni cosa in questa ancor più mirabile giornata. La folla dei
popolani e dei borghesi, degli artigiani e degli aristocratici, delle donne dalla primitiva
ingenuità e degli uomini avvezzi a non batter palpebra dinanzi all’improvvisa meraviglia.
La folla dei rozzi ma acuti montanari, dei contadini della pianura, degli operai, dei servi,
Ivi, pp. 197 – 211.
Ivi, pp. 172 – 182.
169 Daniele Menozzi, Congressi eucaristici, op. cit.
170 Sull’utilizzo di questi elementi simbolici e performativi nella vita politica del periodo cfr. George L. Mosse, La
nazionalizzazione delle masse, Bologna, Il Mulino, 1975 (ed. orig. New York 1974).
167
168
30
degli studiosi, dei commercianti, dei ricchi. La folla dei bergamaschi e degli italiani del
nord e del sud. La folla dei laici e degli ecclesiastici, di ogni ordine, di ogni grado. È la
folla che compie il trionfo.171
D’altra parte, gli aspetti logistici di queste manifestazioni permettono di confrontarsi col
potere politico e di misurare, alla prova dei fatti, la sua apertura alla Chiesa. Per esempio in
Italia, dove i Congressi si diffondono in età crispina, la questione dell’autorizzazione a riunirsi
in luoghi pubblici diventa all’inizio materia di scontro e contrattazione col prefetto; in seguito
un rilievo simile lo assumerà la partecipazione dell’autorità civile alle celebrazioni172.
Dopo il primo Congresso di Lille queste manifestazioni quindi si diffondo in fretta, e presto si
strutturano secondo una precisa gerarchia. Accanto ai Congressi Internazionali, rivolti
all’intero mondo cattolico, compaiono in alcuni paesi Congressi Nazionali, rivolti a singole
Chiese. In Italia il loro esordio risale al 1891, e si intreccia alle attività della vecchia Opera dei
Congressi e alla nuova sensibilità per la dottrina sociale della Chiesa diffusa nel periodo
leonino173. Nel corso del decennio ne vengono organizzati cinque, ma in seguito, in occasione
della crisi di fine secolo, essi subiscono una brusca battuta d’arresto, alla cui continuazione
non era forse estranea la preoccupazione di Pio X per le possibilità che così grandi raduni di
ecclesiastici offrivano alla diffusione delle idee moderniste (per quanto lo stesso Sarto,
all’epoca patriarca di Venezia, avesse presieduto l’ultimo Congresso nel 1897)174. Nella stessa
epoca, tuttavia, essi si diffondono e si sviluppano a livello inferiore, diocesano e regionale.
Nel 1914 si prese infine l’iniziativa per una ripresa dei Congressi Nazionali in Italia, la cui
organizzazione venne affidata a un comitato apposito, il cui Statuto fu approvato dalla Santa
Sede; a suo capo, dopo la breve presidenza di monsignor Antonio Padovani (morto nel giro di
pochi mesi), fu posto Angelo Bartolomasi, destinato a diventare ordinario castrense e, dopo la
Prima Guerra Mondiale, vescovo prima di Trieste e poi di Pinerolo175. Il Congresso previsto a
Ferrara per il 1915 non potè però avere luogo, a causa del conflitto scoppiato nel frattempo; e
quando, giunta la pace, si ripropose la questione, quella sede non era più disponibile. Fu
quindi scelta Bergamo, città nella quale il defunto vescovo Radini Tedeschi, particolarmente
devoto all’Eucarestia, aveva cercato di organizzare un Congresso Eucaristico
Internazionale176.
I Congressi Eucaristici organizzati nel periodo fra le due guerre hanno una struttura simile. In
tutti, i giorni centrali sono occupati dallo svolgimento di relazioni e discussioni su argomenti
correlati al tema del congresso, in cinque sessioni distinte per sacerdoti, uomini, donne,
giovani maschi e giovani femmine. Sebbene ci sia un’analogia formale con la struttura
dell’Azione Cattolica177, e persone iscritte a quell’associazione vengano coinvolte di frequente,
la scelta dei relatori è indipendente dalle sue strutture e dipende dal Comitato
Atti Bergamo, op. cit., p. 27.
Cfr. Annibale Zambarbieri, I congressi eucaristici, op. cit.
173 Annibale Zambarbieri, I congressi eucaristici, op. cit., pp. 16 – 19.
174 Antonio Rimoldi, Profilo storico, op. cit., pp. 17 – 18.
175 Sul personaggio cfr. Sante Lesti, Autorità, dovere, sacrificio. Il discorso di guerra di mons. Angelo Bartolomasi
(1915 – 1918), «Rivista di storia del cristianesimo», vol. 8, n. 1, pp. 45 – 61.
171
172
VI Congresso Eucaristico Nazionale, Bergamo, 8 – 12 settembre 1920: numero unico, Bergamo, Soc. Ed. S.
Alessandro, 1920, pp. 9 – 12.
177 L’Azione Cattolica italiana, fondata nel 1923 sulla base dell’associazionismo precedente, era infatti divisa
fondamentalmente in quattro rami, dedicati a uomini, donne, gioventù maschile e gioventù femminile; ad essi si
aggiunsero via via movimenti specializzati per settore, come la FUCI per gli universitari (Daniele Menozzi, La
chiesa cattolica, op. cit., p. 219).
176
31
Organizzatore178. In aggiunta alle adunanze separate, inoltre, ci sono delle sessioni comuni
aperte a tutti. Prima e dopo questa fase si svolgono alcune celebrazioni e funzioni religiose, fra
cui grande rilievo hanno, l’ultimo giorno, l’adorazione notturna (che è un’occasione per
illuminare gli edifici e le strade della città) e la trionfale processione eucaristica. Altri elementi
importanti sono, ovviamente, le comunioni di massa, fra cui spicca in particolare quella
riservata ai bambini e svolta all’inizio del Congresso. In generale tutti i Congressi riservano
una particolare attenzione agli aspetti esteriori e performativi, che sovente hanno un peso
maggiore delle sessioni di studio, le quali in genere non spiccano per originalità179.
Dal punto di vista organizzativo, l’organizzazione dei singoli Congressi (previsti ogni tre anni),
per quanto coadiuvata dal comitato centrale, è nelle mani di commissioni locali diocesane,
divise per settore180. Esse curano un’intensa attività propagandistica, che si svolge attraverso
bollettini e opuscoli riccamente illustrati181, e che porta alla creazione di manifesti,
medagliette, inni, ecc… Dopo il Congresso, in genere, vengono stampati degli Atti, che ne
descrivono lo svolgimento e ne raccolgono gli interventi; nei casi di Bologna e Tripoli, tuttavia,
questo non è avvenuto182 , e anche la stampa degli Atti del Congresso di Loreto dev’essere
stata difficoltosa, dato che è avvenuta ben cinque anni dopo il Congresso stesso.
I temi dei Congressi riprendevano le linee generali della pietà eucaristica di origine
ottocentesca già descritta, con un’enfasi sugli effetti pubblici del culto eucaristico, che
avrebbero portato a pace e armonia fra le nazioni e nella società. In funzione di ciò,
ovviamente, era rivendicato ancora una volta un maggiore ruolo pubblico dell’Eucarestia, e di
conseguenza di tutta la Chiesa. L’accentuazione del carattere peccaminoso della società
moderna e della necessità di una devozione penitenziale e riparatrice, del resto, era ben
presente nel pontificato di Pio XI183. Una continuità con la spiritualità precedente è visibile
anche in altre immagini o tópoi relativi al culto eucaristico, come l’accostamento fra Papa ed
Eucarestia, associate magari all’Immacolata in un candido trittico184, o l’accentuazione
dell’intensità della devozione eucaristica nelle terre di missione, maggiore di quella
riscontrabile in un’Europa allontanatasi dalla fede dei padri185 e causa del maggiore successo
dei missionari cattolici rispetto a quelli protestanti186.
Cfr. Comitato Permanente dei Congressi Eucaristici in Italia, Statuti e regolamenti pei comitati per i congressi
eucaristici, Montalto Marche, Tipografia dell’Istituto Sisto V, 1927, p. 12.
179 Alberto Occhioni, Formazione eucaristica e presenza nella società nei congressi eucaristici italiani tra le due
guerre mondiali, in Massimo Marcocchi (a cura di), I congressi eucaristici, op. cit., pp. 51 – 52.
180 Sull’organizzazione dei Congressi, cfr. Comitato Permanente dei Congressi Eucaristici in Italia, Statuti e
regolamenti, op. cit.
181 Si ha spesso l’impressione che le immagini fossero più rilevanti e significative degli articoli. Il “numero unico”
preparato per il Congresso di Loreto era descritto, negli Atti, come dotato di “26 illustrazioni lumeggiate da
opportuni articoli” (Atti Loreto, op. cit., pp. 54 – 55).
182 Luciano Gherardi afferma di averli potuti consultare dattiloscritti presso la segreteria del Comitato
Permanente Italiano per i Congressi Eucaristici (Luciano Gherardi, I Congressi eucaristici a Bologna dal 1927 al
1977: nell’arco dei Congressi la nostra storia, Bologna, Centro Editoriale Dehoniano, 1986, p. 30), al cui archivio
però io non sono riuscito ad accedere, nonostante le mie richieste presso il Comitato stesso.
183 Guido Verucci, La Chiesa nella società contemporanea, Roma – Bari, Laterza, 1988, p. 79.
184 Cfr. Atti Bergamo, op. cit., p. 261 e Atti Genova, op. cit., p. 344. Sugli antecedenti di questo accostamento, cfr.
Maria Paiano, Culto eucaristico e restaurazione di una società cristiana, “L’Aurora del secolo del sacramento” sotto
il pontificato di Leone XIII, “Rivista di Storia del Cristianesimo”, vol. 2, n.1, 2005, pp. 124 – 125.
178
Atti Genova, op. cit., pp. 155 – 156.
Guido M. Conforti, L’Eucarestia e le Missioni Cattoliche: discorso pronunciato da Monsignor Guido M. Conforti
ArcivescovoVescovo di Parma Presidente dell’Unione Miss. del Clero Italiano al Congresso Eucaristico Nazionale di
Palermo il giorno 6 settembre 1924, s.l., s.n., s.d. (1925?), p. 9.
185
186
32
Un tema estremamente rilevante, oltre che delicato, è costituito dal rapporto fra religione,
patria e governo. Il periodo si aprì con la vittoria nella Prima Guerra Mondiale, un conflitto
che aveva segnato, in Italia, la definitiva integrazione dei Cattolici all’interno della vita politica
e del discorso nazionale; quindi proseguì con un regime nazionalista che ricercò l’appoggio
della Chiesa Cattolica e concluse con essa un Concordato. Questo contesto di progressiva
nazionalizzazione e fascistizzazione del Cattolicesimo italiano, che ebbe il suo culmine alla
metà degli anni ’30, si rifletté anche nei Congressi Eucaristici. Se a Bergamo, nel 1920, ci si era
limitati a esprimere la gioia della vittoria e della conquista delle “terre irredente”187, nel corso
degli anni si erano accentuate la natura cattolica della nazione italiana, unificata dalla propria
fede188, e le benemerenze del Regime verso la Chiesa189. Infine, a Tripoli, Facchinetti avrebbe
dato una connotazione decisamente fascista e nazionalista al “proprio” Congresso,
programmaticamente destinato, fra le altre cose, a rendere grazie al Cielo per la conquista
dell’Etiopia190.
Non era però solo l’orgoglio nazionale a innervare i Congressi, ma anche identitarismi e
patriottismi locali, che fornivano tra l’altro un consistente armamentario simbolico (ogni volta
diverso e caratteristico) ai singoli eventi. Così, per esempio, nel Congresso di Bergamo del
1920 furono rievocati il Carroccio e Pontida, mentre in quello di Genova due anni più tardi la
partecipazione ligure alle Crociate; per il Congresso di Teramo del 1934, invece, si sprecarono
i riferimenti alla vigoria della gente abruzzese e alla collocazione del Congresso nel centro
geografico dell’Italia. Era inoltre riservata una particolare attenzione ai culti e alle devozioni
locali191. Si trattava di identità che non venivano solo richiamate simbolicamente, ma anche
esplicitamente rivendicate: al Congresso di Loreto del 1930 il cardinal legato salutò la città
“come piceno e come italiano”192. Del resto, molti dei congressi (quelli di Bologna, Loreto e
Teramo) erano stati pensati su una scala regionale e diocesana prima che nazionale, e
probabilmente questa impostazione portò a un’accentuazione dei loro tratti campanilistici.
D’altro canto, località minori come Loreto potevano approfittare dei Congressi per costruire
opere pubbliche, come una nuova stazione193.
Il Congresso di Bergamo del 1920 si svolse in un momento di grande tensione sociale, in cui,
anche nella città lombarda, avvenivano occupazioni di fabbriche194. Ciò poneva in rilievo la
validità dell’attivismo sociale e organizzativo cattolico nella diocesi, che poteva essere definita
“la più organizzata d’Italia”195; un relatore raccomandava quindi di aumentare l’attivismo
VI Congresso Eucaristico Nazionale: Bergamo, 8 – 12 settembre 1920, Bergamo, Stab. tipo – litografico Pietro
Brevi, 1920, p. IV.
187
Atti Genova, op. cit., p. 343.
Cfr. ad esempio Atti Loreto, op. cit., p. 287 o Atti dell'XI congresso eucaristico nazionale: Teramo 48 settembre
1935 (da qui in poi Atti Teramo), Teramo, Casa editrice tipografica teramana, 1938, p. 76.
190 Da questo punto di vista, significativa è la consonanza con la periodizzazione dei rapporti fra Cattolicesimo e
Fascismo proposta da Renato Moro, che individua un cattolicesimo nazionale (o nazionalista) prima della
Conciliazione, un nazional – cattolicesimo successivo, ormai integrato all’interno del Fascismo, e infine in un
“universalismo cattolico – fascista” all’epoca delle Guerre d’Etiopia e di Spagna, che segna il culmine
dell’avvicinamento e della commistione fra i due (Renato Moro, Nazione, cattolicesimo e regime fascista, op. cit.,
pp. 137 – 145).
188
189
Cfr. il ritratto della beata bolognese Imelda Lambertini in In ricordo: IX Congresso Eucaristico Nazionale:
Bologna, 7891011 settembre 1927, s.l. (Bologna?), La Grafica Emiliana, s.d. (1927?), pp. 4 – 6.
191
Atti Loreto, op. cit. p. 295.
Ivi, pp. 52 – 53.
194 Atti Bergamo, op. cit., p. 257.
195 VI Congresso Eucaristico Nazionale, Bergamo, 8 – 12 settembre 1920: numero unico, op. cit., p. 57.
192
193
33
verso gli operai, in funzione antisocialista196, anche se comunque, in un altro intervento, si
precisava che le finalità puramente assistenziali dovevano essere subordinate a quelle
religiose197. L’altro tema caldo del momento era la guerra, che veniva richiamata anche nella
lettera di benedizione del Papa, e i cui straschichi potevano essere risolti dalle capacità
pacificatrici dell’Eucarestia198. A proposito della guerra, peraltro, i Cattolici potevano
rivendicare lo spirito di sacrificio che era stato inculcato ai propri fedeli dall’Eucarestia, e che
era stato così utile nel corso del conflitto199; non mancava però un’attenzione anche agli effetti
di laicizzazione e allontanamento dalla religione prodotti dalla guerra, e che il clero con cura
d’anime non poteva non notare nei reduci200.
Il Congresso successivo si svolse a Genova nel settembre del 1923, in un periodo quindi in cui
il nuovo governo fascista, impegnato a consolidarsi e ad accreditarsi agli occhi dell’opinione
pubblica, tendeva a proporsi come un interlocutore affidabile della Chiesa, a scapito dello
stesso Partito Popolare201 . Il Congresso fu quindi agevolato dalle autorità: il ministro
dell’Istruzione Gentile rese disponibili le scuole per alloggiare i partecipanti, il ministro della
Guerra Diaz fornì ad essi coperte militari e la Marina si impegnò a partecipare alla
processione finale con idroplani e siluranti, salvo poi utilizzare solo una nave, a causa della
mobilitazione causata dalla Crisi di Corfù con la Grecia202. Anche nella partecipazione operaia
al Congresso si vedeva un segno del miglioramento della situazione politica, che vedeva ora il
governo collaborare con profitto con la Chiesa203. D’altra parte, anche i vertici dell’Azione
Cattolica poterono approfittare del Congresso per fare il punto sulla libertà
dell’associazionismo religioso, riunendosi nello studio del presidente Camillo Corsanego204.
Anche a livello municipale, del resto, era evidente una volontà di collaborazione: la giunta
cittadina ricevette i vescovi partecipanti in Municipio, dove il sindaco tessé le lodi della storica
devozione di Genova, “città guelfa”, alla Chiesa205; va detto, però, che il Comune si guardò bene
dal trasformare questo favore politico in un supporto economico, e finanziò solo la
luminaria206. I richiami storici, del resto, comparivano spesso negli Atti e nel corso della
manifestazione, e si richiamavano a una congerie di avvenimenti e personaggi, che andavano
Atti Bergamo, op. cit. p. 52.
Ivi, pp. 255 – 256.
198 VI Congresso Eucaristico Nazionale, Bergamo, 8 – 12 settembre 1920: numero unico, op. cit., p. 3. Nel pensiero
legato alla pietà eucaristica, l’ostia porta alla pacificazione sociale e internazionale in quanto tutti gli uomini sono
affratellati dalla comune condizione di peccatori, redenti dal sacrificio di Cristo; inoltre, l’instaurazione di un
ordine cristiano nella società è l’unico modo per rendere stabile e armonica quest’ultima. Come esempio di
queste tesi, si veda VF, Pasquale Baylon frate minore. Il Santo dell’Eucarestia, Milano, Tip. Romolo Ghirlanda,
1922, pp. 71 – 73.
199 Ivi, pp. 17 – 18. La valorizzazione dello spirito di sacrificio insegnato dal Cattolicesimo era del resto centrale
nel discorso delle chiese cattoliche nazionali sulla Guerra, che enfatizzava il contributo della religione alla patria
in pericolo (Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., pp. 195 – 196).
200 Atti Bergamo, op. cit., pp. 50 – 51.
201 Lucia Ceci, L’interesse superiore, op. cit., pp. 53 – 101.
202 Atti Genova, op. cit., p. 23.
203 Ivi, p. 345.
204 Enrico Isola, Immagini e documenti del VII Congresso eucaristico nazionale: Genova, 5 – 9 settembre 1923, in
AA. VV., Un popolo che vuole la pace, lavora per la pace: Atti del Convegno relativo al VII Congresso Eucaristico
Nazionale svoltosi a Genova nel 1923, s.l. (Genova?), Federazione Operaia Cattolica Ligure, s.d. (2006?), pp. 76 –
77.
196
197
205
206
Atti Genova, op. cit., p. 52.
Enrico Isola, Immagini e documenti, op. cit., p. 70.
34
dalle Crociate alla proclamazione della Madonna a Regina di Genova nel 1637, dal Balilla a
Colombo a Caterina Fieschi207.
Tutti questi elementi erano funzionali ad enfatizzare il ruolo pubblico del culto eucaristico, e
trovarono una grandiosa affermazione nella processione finale, che durò tredici ore e
comprese un tratto in mare, percorso su una flottiglia che includeva la ricostruzione di un
bucintoro, dotato di un altare con un baldacchino alto quindici metri, e una croce galleggiante
ancora più alta208. Come commentarono gli Atti:
E, in conclusione, noi possiamo e dobbiamo far rilevare quello che fu la caratteristica di
questo Congresso, cioè che esso segnò un movimento pubblico ed universale intorno a
Gesù Eucaristico. Tutta una società vi partecipò. Uomini e donne, grandi e piccoli, nobili
e plebe si diedero la mano pel trionfo di Cristo. Il Papa, i Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti, i
Cattolici di Genova e d’Italia lo vollero, l’appoggiarono, l’organizzarono; il Governo
intervenne coi suoi rappresentanti e garantì l’ordine pel suo libero svolgimento; il
Municipio prestò locali, imbandierò le vie, e i suoi fiduciari ebbero parte nella sua
preparazione; le Autorità Militari e Marittime offersero generosamente il loro concorso
per la sua buona riuscita. Si inneggiò a Cristo nelle chiese, per le vie, nel porto. Gli
porsero omaggio le Truppe, la Milizia, la Marina di Stato e la Marina Mercantile. Per lui
pulsarono le officine, rombarono gli aeroplani, tuonarono i cannoni. (…)
Ond’è che il Congresso Eucaristico Nazionale di Genova, per grazia di Dio, per volontà di
popolo e per favor di circostanze, è stato l’avvenimento che categoricamente ha
riconosciuto la sovranità sociale di Cristo, e, meglio dei Congressi passati e fors’anche
dei futuri, ha reso a Cristo quell’omaggio pubblico e trionfale cui Egli ha diritto come Re
dei popoli e delle Nazioni.209
Il congresso successivo si tenne l’anno successivo, invece che dopo tre anni, come avrebbe
richiesto lo Statuto. La diocesi di Palermo, infatti, volle organizzarne uno in concomitanza con
le celebrazioni per il terzo centenario del rinvenimento della salma di Santa Rosalia, la
patrona della città. L’arcivescovo annunciò la convocazione del Congresso il 15 agosto 1923, e
l’avvenimento fu salutato già poche settimane dopo in occasione della chiusura del Congresso
di Genova; il 25 ottobre arrivò quindi la nomina ufficiale da parte di Bartolomasi. Come spiegò
il vescovo, le celebrazioni per la festa della santa erano una buona occasione per convocare un
Congresso nel Mezzogiorno, dove finora non se ne era tenuto neanche uno210. La scelta non
dovette però essere esente da polemiche, se durante tutta la preparazione ci si riferì ad esso
solo come a un congresso “grande” o “italiano”, e solo durante le celebrazioni Bartolomasi lo
proclamò solennemente “VIII Nazionale”211.
Al Congresso, per la prima volta, partecipò un rappresentante ufficiale del governo, ossia il
palermitano ministro delle Colonie Pietro Lanza di Scalea212. Degna di nota, inoltre, è
207 Cfr. per esempio Atti Genova, op. cit., pp. 374 – 376. Sulla lettura trionfalistica e municipalistica della storia
genovese nella storiografia dell’epoca cfr. Luca Lo Basso, La storia moderna. Parte I (1858 – 1957), in Dino
Puncuh (a cura di), La società Ligure di Storia Patria nella storiografia italiana, Genova, Società Ligure di Storia
Patria, vol. I, pp. 159 – 183.
Enrico Isola, Immagini e documenti, op. cit., pp. 70 – 76.
Atti Genova, op. cit., p. 68.
210 Atti dell’VIII Congresso Eucaristico Nazionale celebrato in Palermo dal 4 all’8 settembre 1924 in occasione del III
centenario di S. Rosalia (da qui in poi Atti Palermo), Palermo, Tipografia Pontificia, 1925, pp. 3 – 5. D’altra parte,
dopo Palermo, si sarebbe dovuto aspettare fino al Congresso di Lecce del 1956 per un altro Congresso al Sud.
211 Ivi, p. 204.
212 Ivi, pp. 16 – 17. Cfr. inoltre Alberto Occhioni, Formazione eucaristica, op. cit., p. 38.
208
209
35
l’attenzione rivolta all’espansione del Cattolicesimo, espressa sia dalle preghiera per il ritorno
a Roma dei Cristiani scismatici213, sia dall’attenzione all’attività missionaria (a questo
proposito, non mancavano riferimenti polemici ai Protestanti e alla laicizzazione in corso in
Europa, i cui abitanti si facevano superare in fervore dai nuovi Cristiani)214 . Non bisogna però
sovrastimare questi elementi, in quanto il Congresso portò anche a produzione devozionale di
carattere più prettamente privato e intimista215.
Anche il successivo Congresso di Bologna nacque per esigenze prettamente locali. Fu infatti
progettato come congresso regionale, e solo in seguito fu trasformato in nazionale. Purtroppo
di questo Congresso non sono stati pubblicati gli Atti, il che mi impedisce di analizzarlo nel
dettaglio216. Nel clima di preparazione della Conciliazione si diede particolare importanza al
“connubio di Religione e di Patria”, particolarmente rilevante in una città che, come scrisse
Bartolomasi, era stata scelta anche in virtù del fatto che era stata particolarmente colpita dal
materialismo socialista217. I rapporti fra comitato organizzatore e autorità civili furono
comunque cordiali soprattutto a livello municipale, mentre Mussolini si mostrò abbastanza
diffidente verso il comitato, e fece in modo che vi fossero inseriti alcuni fascisti fidati218.
Questi screzi furono forse all’origine dell’insistenza del cardinal legato Boggiani sul carattere
esclusivamente religioso del Congresso219, e di un incidente diplomatico avvenuto nel corso
della processione finale, da cui fu esclusa la gioventù di Azione Cattolica; di fronte ai malumori
all’interno dell’associazione, l’arcivescovo di Bologna Nasalli Rocca dovette precisare che
l’esclusione era stata dovuta solo a motivi logistici, e non era stata imposta dalle autorità
civili220 . Ad ogni modo, a testimonianza dell’accordo esterno fra Chiesa e Regime in
quell’occasione, rimane l’icastica immagine dell’illuminazione della Torre degli Asinelli,
sormontata da un fascio littorio che sorregge una croce221.
Dopo il Congresso di Bologna queste manifestazioni non toccarono più grandi o medie città,
ma centri relativamente minori, o comunque caratterizzati da notevoli difficoltà logistiche e
organizzative. Dopo l’episodio della processione di Bologna, si potrebbe pensare che questa
fosse una scelta precisa, dovuta a ragioni di opportunità politica: celebrazioni in cui l’Azione
Cattolica aveva un tale ruolo potevano risultare sensibili o sembrare provocatorie in grandi
centri, mentre in provincia avrebbero destato meno scandalo. È un’ipotesi suggestiva, ma è
destinata a rimanere tale, in assenza di documenti che la suffraghino; è inoltre un’ipotesi non
necessaria, dato che la mancanza di città importanti fra le sedi dei Congressi potrebbe
derivare da semplice scetticismo da parte dei loro vescovi sul rapporto costi/benefici di
manifestazioni così imponenti e costose. Come si vedrà, non era facile trovare diocesi che si
213 Atti Palermo, op. cit., p. 28. Nell’ambito del Congresso si era inoltre tenuto un pontificale di rito greco, il quale
venne esplicitamente accostato al culto cristiano dei primi secoli. (Ivi, p. 207).
214 Guido M. Conforti, L’Eucarestia e le missioni cattoliche, op. cit., pp. 9 – 10.
215 Emmanuel: amiamo Gesù eucarestia. Ricordo per il Congresso eucaristico di Palermo 4 – 8 settembre 1924,
Palermo, Scuola tipografica Boccone del Povero, 1924.
216 Cfr. però Luciano Gherardi, I Congressi eucaristici a Bologna, op. cit., p. 30.
217 Ivi, p. 12.
218 Ivi, p. 13. A testimonianza della collaborazione con il fascismo locale è probabilmente significativo che una
brochure ufficiale del Congresso si chiudesse con l’elogio di Leandro Arpinati, che aveva costruito lo stadio in cui
si erano svolte alcune celebrazioni e di cui “Bologna va veramente altera” (In ricordo: IX Congresso Eucaristico
Nazionale, op. cit., p. 23).
Luciano Gherardi, I Congressi eucaristici a Bologna, op. cit., p. 19.
Ivi, pp. 26 – 27.
221 Riprodotta in Franco Cristofori, Bologna: gente e vita dal 1914 al 1945, Bologna, Alfa, 1980, p. 159.
219
220
36
proponessero per l’organizzazione, e in un caso la candidatura fu sollecitata dallo stesso
Comitato per i Congressi Eucaristici.
Il Congresso di Loreto, il primo a svolgersi dopo la Conciliazione, aveva come tema le relazioni
fra l’Eucarestia e la famiglia; un argomento che, per quanto suggerito dal luogo, sede della
Santa Casa, era anche particolarmente d’attualità (l’enciclica “Divini illius Magistri”
sull’educazione dei giovani datava all’anno precedente)222 e si prestava ad essere apprezzato
dal Fascismo, i cui ideali di espansione demografica e conservatorismo morale trovavano una
sponda nella dottrina cattolica sulla famiglia223. D’altra parte, l’opposizione al divorzio e
l’istruzione religiosa nelle scuole erano altrettante benemerenze del governo nei confronti del
magistero cattolico, come si ripetè nel corso del Congresso224. Oltre a ciò, Loreto si prestava
anche per un’altra ragione a favorire l’incontro fra Chiesa e Regime, in quanto la particolarità
della presenza della Santa Casa sul suolo nazionale era un’occasione per ribadire il primato
dell’Italia225, in un momento peraltro in cui il Fascismo operava attivamente per fare della
cittadina marchigiana un santuario riconosciuto da tutta la nazione, a scapito della popolarità
della straniera Lourdes226.
Anche l’associazione di Loreto con l’aviazione, già connotata in senso nazionalistico (la
proclamazione della Madonna di Loreto a patrona degli aviatori era stata patrocinata anche
da D’Annunzio)227, fu occasione di un nuovo incontro fra Chiesa e Stato, come dimostrò la
partecipazione di una squadriglia alle celebrazioni228 e la posa della prima pietra della
cappella di un aeroporto vicino229. Non mancavano però anche i motivi di attrito, in quel 1930
che aveva già visto i primi scontri sull’interpretazione dei Patti Lateranensi e sui margini di
libertà dell’Azione Cattolica: in modo chiaramente polemico, una relazione rivendicò la libertà
di educazione e di insegnamento della Chiesa e delle famiglie, rispetto alle quali lo Stato non
doveva assumere che un ruolo complementare230.
Un’altra particolarità del Congresso di Loreto fu la sua difficile organizzazione logistica, dati
gli spazi ristretti a disposizione (del resto, il Congresso era nato come regionale, e fu
trasformato in nazionale solo in un secondo momento). La piccolezza del luogo fu elogiata
come occasione di modestia e raccoglimento spirituale, secondo il motto “quod numero
inferius, re uberius”231, ma il problema fu risolto solo facendo alloggiare parte dei pellegrini
nei paesi vicini232 e stimolando la partecipazione al Congresso a distanza, tramite la
preghiera233 e lo scampanio simultaneo delle campane d’Italia al momento della processione
eucaristica finale234.
222
X Congresso Eucaristico Nazionale di Loreto, 10 – 14 settembre 1930: numero unico, Loreto, s.n., 1931, p. 7.
223 Guido Verucci, La Chiesa nella società, op. cit. p. 52. Secondo padre Gemelli, che intervenne al Congresso,
l’Eucarestia dava ai genitori la forza di “dare nuovi figli al Cielo e nuovi cittadini alla patria” (Atti Loreto, op. cit., p.
63).
224 Atti Loreto, op. cit., p. 287.
225 X Congresso Eucaristico Nazionale di Loreto, 10 – 14 settembre 1930: numero unico, op. cit., p. 32.
226 Emma Fattorini, Italia devota, op. cit., p. 73.
227 Ivi, pp. 73 – 74.
228 Atti Loreto, op. cit., pp. 80 – 81.
229 Ivi, p. 289.
230 Ivi, pp. 218 – 220.
231 Ivi, pp. 4 – 5.
232 Ivi, p. 51.
233 Ivi, pp. 27 – 28.
234 Ivi, p. 285.
37
Nel 1933, secondo il programma del Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali, la
manifestazione si sarebbe dovuta svolgere a Bari235; tuttavia, all’inizio di quell’anno, il
progetto dovette essere accantonato, sia a causa dell’indizione del Giubileo, che
evidentemente avrebbe sottratto energie e visibilità, sia a causa di problemi nelle strutture
delle diocesi (ossia la mancanza di alloggi e il ritardo dei restauri della cattedrale)236. Il
progetto non fu abbandonato: un documento della fine dello stesso anno allude a un possibile
Congresso Nazionale di Bari del 1937, da tenersi dopo uno progettato a Como nel 1935237.
Nessuna di queste proposte però andò in porto, e la scadenza dei tre anni fu superata senza
che comparisse una sede.
Alla fine il Comitato sollecitò la diocesi di Teramo, che aveva organizzato un congresso
regionale, a trasformarlo in nazionale, nonostante i problemi logistici che una tale scelta
comportava238. Da un punto di vista retorico, nella celebrazione della manifestazione si fece
spesso accenno sia alla vigoria e tenacia degli Abruzzesi, sia soprattutto alla collocazione della
città al centro geografico dell’Italia, dove si assommavano la “tenacia energetica dell’Italia
settentrionale con il fervido entusiasmo dell’Italia meridionale”239 e dove, soprattutto, i frutti
del Congresso potevano beneficiare tutta la penisola. In questo senso era valorizzata anche la
vicinanza al Gran Sasso, la più alta cima degli Appennini, dove fu collocata una croce e una
statua della Madonna240.
Una connotazione locale aveva anche la scelta del tema, i rapporti fra l’Eucarestia e la Sacra
Scrittura, data la presenza di nuclei protestanti in Abruzzo241, specialmente sensibili al tema.
Il Congresso aveva quindi una spiccata connotazione antiprotestante, che si sviluppò in due
registri. Da un lato molti degli interventi affrontarono dei problemi di critica biblica242, con
l’obiettivo di controbattere le interpretazioni riformate, e argomentarono in maniera
relativamente sofisticata (alcuni relatori non esitarono a confrontare il testo greco del
Vangelo con il latino della Vulgata, o a ricorrere alla stessa autorità di Lutero per difendere la
presenza reale di Cristo nell’ostia consacrata243). Dall’altro lato, tuttavia, molti discorsi si
limitavano a identificare Cattolicesimo e italianità e a vedere quindi nel protestantesimo la
deprecabile infiltrazione di elementi stranieri244, in un contesto in cui la crescente tensione
con l’Inghilterra (si era nel settembre del 1935, subito prima dello scoppio della Guerra
d’Etiopia) favorivano l’identificazione dei Riformati con il “nemico” anglicano245. Allo stesso
tempo anche il nazismo (condannato per il suo razzismo) veniva associato alla Riforma, di cui
era considerata una sorte di paradossale nemesi246. Nel complesso, veniva riaffermata
Archivio Diocesano di Susa (da qui in poi ADS), Angelo Bartolomasi, 23, 446, XIV, 10 dicembre 1931.
Ibidem e ADS, Angelo Bartolomasi, 23, 446, XIV, 2 gennaio 1933.
237 ADS, Angelo Bartolomasi, 23, 446, XIV, 3 dicembre 1933.
238 Atti Teramo, op. cit., p. 6.
235
236
Ivi, p. 27.
Ivi, pp. 33 – 37.
241 Ivi, p. 11.
242 Ivi, p. 145.
243 Ivi, p. 124 e p. 133.
244 Ivi, p. 169.
245 Ivi, p. 36. Sulla diffusione di un antiprotestantesimo xenofobo in occasione del conflitto cfr. Renato Moro,
Cattolicesimo e italianità. Antiprotestantesimo e antisemitismo nell’Italia “cattolica”, in Antonio Acerbi (a cura di),
La Chiesa e l’Italia: per una storia dei loro rapporti negli ultimi due secoli, Atti del Convegno, Milano, Vita e
Pensiero, 2003, p. 328.
239
240
38
l’indistinguibilità fra Nazione e Cattolicesimo, unite in una sola lotta contro un’unica
aggressione straniera ed eretica, come recitava uno degli inni del Congresso:
Che se di lontano dai monti e dal mare,
pattuglie nemiche di Patria e d’Altare,
raddoppian le brame d’infranger la legge
che modera il gregge di Cristo Signor. (…)
Con tutti i fratelli di sangue e di fede
indietro, gridiamo, qui Cristo risiede
il suolo d’Italia è suol di vittoria
che canta la gloria di Cristo Signor.247
246 Atti Teramo, op. cit., p. 288. L’attribuzione alla Riforma della responsabilità del razzismo nazista era in effetti
un tema presente nel discorso antiprotestante del periodo. Cfr. Renato Moro, Cattolicesimo e italianità, op. cit.,
pp. 329 – 331.
247 Atti Teramo, op. cit., p. 330.
39
Il Congresso Eucaristico di Tripoli
Se i Congressi precedenti avevano già visto una progressiva espansione del peso riservato alla
nazione e al Regime, le cui sorti avevano finito per essere legate a quelle della fede cattolica,
questo movimento arrivò al suo culmine nel Congresso di Tripoli. La cosa fu evidente
soprattutto nelle celebrazioni esteriori, che del resto risultarono la parte più importante del
Congresso, come rilevarono anche studi di impostazione apologetica editi in occasione dei
Congressi successivi248. Le relazioni presentate furono meno significative, e del resto il tema
scelto (“la SS. Eucarestia nella vita e nella civiltà cristiana”), di per sé, era abbastanza vago.
Dalle sedute dell’Azione Cattolica249 uscì una raccomandazione a una maggiore partecipazione
e devozione all’Eucarestia. Per il resto, si tennero tre conferenze principali, ad opera di
Egilberto Martire, Stefano Cavazzoni e Camillo Corsanego: si trattava di due persone dalle
solide credenziali fasciste (Cavazzoni era un senatore cattolico di destra, mentre Martire era
stato una delle anime del Centro Nazionale Italiano, sorto negli anni ’20 per avvicinare il
Fascismo alla Chiesa Cattolica) e di un ex dirigente dell’Azione Cattolica, già condannato per
antifascismo250. I loro inteventi furono solo riassunti nell’opuscolo ufficiale del Congresso, di
cui non furono pubblicati gli Atti, evidentemente ritenuti poco rilevanti dagli stessi
organizzatori251. Solo l’intervento di Cavazzoni fu riassunto anche dall’ “Osservatore Romano”,
che notava come per l’oratore la civiltà latina, e tutta quella occidentale in genere, fosse basata
sull’Eucarestia252. Nel corso del Congresso si tennero altri discorsi, che probabilmente
ripresero gli stilemi diffusi in quel genere di celebrazioni: un’allocuzione di padre Venturini,
per esempio, usava il tema dell’associazione fra Papa ed Eucarestia253.
Gli aspetti più importanti, come ricordato, furono però quelli cerimoniali e performativi, per
organizzare i quali Facchinetti trovò piena collaborazione da parte di Balbo; il quadrumviro,
noto per le sue capacità organizzative e per la sua inclinazione alle manifestazioni pubbliche
spettacolari, non si lasciò scappare questa occasione per mettere in mostra su un palcoscenico
nazionale la colonia affidata alle proprie cure. In effetti, l’esito fu fastoso. Il cardinale legato
Angelo Maria Dolci254 e gran parte dei vescovi arrivarono a Tripoli su un incrociatore messo a
disposizione dal governo, sul quale, una volta che fu giunto in porto, salì lo stesso Balbo a
salutare. Quindi gli illustri ospiti si imbarcarono su quattro motoscafi per sbarcare sulla
terraferma, mentre tutte le navi del porto erano imbandierate, veniva sparata una salva di
colpi di cannone e una squadriglia di aeroplani sorvolava la zona. Dopo il saluto della banda
248
Antonio Rimoldi, Profilo storico, op. cit., p. 28.
Cfr. Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 24; evidentemente, l’Azione Cattolica era
ormai consustanziale all’organizzazione dei Congressi Eucaristici. Al di fuori delle strutture dell’organizzazione
si tenne anche un incontro riservato al clero (Ivi, p. 21), rispettando così le tradizionali scansioni delle sedute di
studio.
250 Cfr. le loro schede biografiche in Francesco Traniello – Giorgio Campanini (sotto la direzione di), Dizionario
storico del Movimento Cattolico in Italia, 1860 – 1980, Casale Monferrato, Marietti, 1981. Per Corsanego vedi la
scheda di Lazzaro Maria De Bernardis, vol. III/1 (Le figure rappresentative), pp. 258 – 259, per Cavazzoni quella
di Giorgio Vecchio, vol. II (I protagonisti), pp. 100 – 106 e per Martire quella di Andrea Riccardi, vol. II, pp. 336 –
339.
251 Cfr. il riassunto in Il Congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., pp. 49 – 51.
252 “L’Osservatore Romano”, 15 – 16 novembre 1937.
253 “L’Osservatore Romano”, 12 novembre 1937.
254 Si trattava del cardinal protettore dell’ordine francescano, e aveva personalmente consacrato vescovo
Facchinetti. La sua scelta fu però imposta da Balbo, un suo conoscente, mentre il vicario apostolico avrebbe
preferito il segretario di Propaganda Fide Salotti (Cfr. Dalle memorie di mons. Facchinetti, APLFM, dattiloscritto).
249
40
seguì, lungo le strade impavesate della città, il corteo, in cui il cardinale sedette insieme a
Balbo su una carrozza di gala tirata da quattro cavalli bianchi, preceduta da carabinieri e
soldati indigeni a cavallo e seguita dalle automobili di scorta; infine il Congresso venne
inaugurato ufficialmente nella cattedrale.
Nessuno di questi elementi era originale: già a Bergamo un colpo di cannone aveva
annunciato la benedizione finale255, mentre, come si è visto, a Genova al Congresso aveva
partecipato la Marina Militare e a Loreto l’aviazione. L’unico elemento nuovo era
l’inserimento di elementi simbolici fascisti nella musica e nelle bandiere. Dopo la
Conciliazione era normale che la banda suonasse l’Inno Pontificio e che le strade fossero
decorate con bandiere italiane e vaticane256; a Tripoli si aggiunsero, per la prima (e unica)
volta anche l’esecuzione di “Giovinezza”257 e un vessillo nero col fascio littorio fu alternato alle
altre due bandiere258. Non sorprendentemente, fu quindi il “fascistissimo” Facchinetti a
fascistizzare pienamente l’apparato simbolico dei Congressi.
Anche altri elementi del Congresso, del resto, avevano una doppia valenza celebrativa,
religiosa e civile. Proprio in quei giorni (10 – 15 novembre) ricorreva il genetliaco del Re, e la
rivista militare e il Te Deum relativi furono quindi inclusi nella celebrazioni, partecipando
dello sfarzo sfoderato per il Congresso. Inoltre monsignor Bartolomasi, che associava al ruolo
di Presidente del Comitato per i Congressi Eucaristici Italiani la carica di ordinario castrense,
approfittò dell’occasione per visitare le truppe italiane in Libia, e altri sacerdoti lo seguirono,
per celebrare messe davanti all’esercito e somministrare ai soldati Comunioni di massa.
Queste messe negli accampamenti del deserto furono probabilmente il momento di maggior
esotismo del Congresso, assieme a una funzione svolta fra le rovine romane di Leptis Magna.
Questa valenza patriottica fu del resto utilizzata da Facchinetti per richiedere un sostegno al
governo, esattamente come a suo tempo egli aveva fatto per le sue prediche. Al ministro delle
Colonie Lessona egli chiese a più riprese agevolazioni e biglietti gratuiti per i partecipanti e, in
una lettera del 16 maggio 1937, specificò che questo sarebbe stato un modo con cui lo Stato
italiano avrebbe potuto ringraziare il clero per il lealismo e il supporto mostrato durante la
Guerra d’Etiopia. D’altra parte, il Congresso sarebbe stata un’occasione di grande visibilità per
la Libia italiana, ed era quindi opportuno che esso riuscisse nella maniera più sfarzosa
possibile, agli occhi della popolazione indigena come di quella delle vicine colonie francesi
(dove, in Tunisia, si era tenuto sette anni prima un Congresso Eucaristico
Internazionale259)260. Tutte queste ragioni furono accolte dal ministro, che nella sua
corrispondenza accennò al fatto che la manifestazione avrebbe attirato “l’interesse dei
connazionali e degli stranieri nella nostra Africa mediterranea”261. Alla fine Facchinetti riuscì a
spuntare la concessione del viaggio gratuito per i cardinali, arcivescovi e vescovi, mentre gli
altri avrebbero fruito di uno sconto del 50% sui piroscafi postali262. Lessona inoltre promise
che il suo dicastero avrebbe contribuito al noleggio di una nave presso la Tirrenia per il
Atti Bergamo, op. cit., p. 30.
Atti Loreto, op. cit., pp. 80 – 81 e Atti Teramo, op. cit., pp. 41 – 42.
257 Nello specifico, dopo il ritornello della “Marcia Reale”, vennero eseguite le prime battute dei tre inni, prima
quello pontificio, e in seguito quello nazionale e quello fascista.
258 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., pp. 14 – 15.
259 Su di esso vedi Jacques Alexandropoulos, Entre archéologie, universalité et nationalismes : le trentième congrès
eucharistique international de Carthage (1930), “Anabases”, n. 9, 2009, pp. 51 – 68.
255
256
ASMAI – MAE, Affari politici, 76/212.
ASMAI – MAE, Affari politici, 76/212, 5 giugno 1937.
262 ASMAI – MAE, Affari politici, 76/212, 4 settembre 1937.
260
261
41
trasporto dei pellegrini, anche se in seguito dovette rimangiarsi la parola per esigenze di
bilancio263.
Altre strutture del governo centrale si occuparono inoltre di favorire il decoro del Congresso,
e presso le carte della Presidenza del Consiglio dei Ministri è ancora consultabile un fascicolo
sugli onori tributati al cardinal legato al momento della sua partenza da Roma264. D’altra
parte, non erano solo Facchinetti e le autorità fasciste a insistere su questi punti: la Segreteria
di Stato vaticana si interessò affinchè l’alloggio concesso al cardinal legato e ai suoi
accompagnatori (sei persone in tutto, fra monsignori, camerieri e guardie d’onore) fosse
ampio e decoroso, e fosse, beninteso, finanziariamente non a carico della Santa Sede265.
Il maggiore benefattore del Congresso fu però lo stesso Balbo, di cui una nota di Bartolomasi
elencava le benemerenze: egli aveva procurato l’incrociatore per il viaggio del cardinal legato
(il che aveva comportato 200.000 lire di spesa), l’aveva ospitato personalmente nella propria
villa, aveva sistemato gratuitamente i vescovi col loro seguito in due alberghi, messo loro a
disposizione trenta automobili e finanziato i vari addobbi e le varie manifestazioni esterne, a
cui era intervenuto e aveva fatto intervenire in forma ufficiale le altre autorità coloniali266. A
ciò si aggiungeva inoltre il suo continuato sostegno per la missione, come comunicava Dolci al
Papa267. Nel complesso, egli aveva fatto in modo di mostrare ogni riguardo all’ordine
francescano e a Pio XI, nella persona del suo legato, e per questo ricevette una benedizione
particolare da parte del Pontefice268.
Il Congresso, esteriormente, riuscì quindi adeguatamente fastoso, come dimostrò poi la
trionfale processione eucaristica finale per le strade di Tripoli. Ma quali contenuti veicolava?
Facchinetti, nel suo discorso d’apertura, fece riferimento a tre finalità, una religiosa, una
patriottica e una umanitaria269. La finalità religiosa, peraltro poco sviluppata in quel discorso,
era descritta nella lettera pastorale inviata ai fedeli della Colonia per la Quaresima dello stesso
anno come duplice: da un lato, essa consisteva nell’impetrazione della regalità sociale di
Cristo, secondo lo schema ormai consueto nei Congressi Eucaristici. Dall’altro, essendo la
manifestazione in paese di missione, i fedeli avrebbero dovuto chiedere a Dio la conversione
di “pagani, ebrei, musulmani”. Si trattava, peraltro, di una richiesta che non violava il divieto al
proselitismo imposto dalle autorità coloniali, e che si esplicitava con modalità (“con l’esempio,
con la parola e in modo particolare con la preghiera”) di cui il vescovo conosceva bene la
scarsa efficacia270.
La finalità patriottica consisteva invece nel ringraziamento per la vittoria in Africa Orientale,
vista nella luce del prodigio; come specificava, il fatto che tale evento fosse celebrato in
La vertenza si trascinò a lungo, perché né il Comitato per i Congressi Eucaristici né la Tirrenia volevano
accollarsi l’onere della perdita (corrispondente a 51.000 lire, su un totale di 200.000). Alla fine, nel 1940, fu
Mussolini stesso a dover ripianare l’ammanco, ricorrendo ai fondi discrezionali della sua segreteria. Sulla
vicenda vedi ACS, SPD, 192.828, lettere del 27 giugno e del 19 luglio 1940.
264 ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2.5.3184.
265 Archivio Segreto Vaticano (da qui in poi ASV), Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15, 12 ottobre
1937. Tra le altre cose, Pacelli raccomandava che il cardinale avesse a disposizione una cabina – cappella sul
piroscafo e un salone per i ricevimenti nel suo alloggio a Tripoli.
266 ASD, Angelo Bartolomasi, 23, 446, IX, s.d.
267 Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15, 20 novembre 1937.
268 Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15, s.d.
269 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., pp. 15 – 17.
270 Lettera pastorale per la quaresima del 1937. Preparazione al Congresso Eucaristico, XII nazionale, I
intercoloniale, Tripoli, Maggi, 1937, pp. 10 – 11.
263
42
un’assemblea religiosa era il frutto della Conciliazione, che veniva indicata come un merito
innegabile del Fascismo:
Dal momento, che grazie a Dio non ci troviamo più nei tempi dolorosi nei quali pareva
vietato ai Cattolici italiani di unire nel fremito e nel palpito di un medesimo giocondo
amore le due più nobili ed eccelse finalità della vita: la Chiesa e la Patria; ma ovunque
oggi nell’Italia nostra benedetta e nelle sue più lontane Colonie, in seguito in modo
particolare alla Conciliazione, premio e corona degli sforzi generosi e leali di uomini di
buona volontà, regnano l’intesa, la concordia, l’armonia più bella e più cara, nessuno può
rimanere indifferente alle prove ed alle battaglie della dolce Penisola, non meno che ai
suoi trionfi ed alle sue vittorie, specialmente quando sanno di prodigio. È quanto si
degnava farmi notare l’Augusto Pontefice in una indimenticabile udienza, concessami
alla vigilia della mia venuta a Tripoli e all’indomani dell’entrata delle nostre truppe in
Addis Abeba: “Digitus Dei est hic”. Bisogna riconoscerlo: si tratta di un grande, strepitoso
avvenimento, date le circostanze a tutti note che accompagnarono la nostra campagna in
Africa Orientale – ed è giusto e doveroso ringraziarne pubblicamente l’Altissimo271.
Infine c’era la finalità umanitaria, ossia l’impetrazione per la sconfitta del bolscevismo, in
Spagna e nel mondo272. Significativamente, la lotta anticomunista non era vista come una
scelta politica o un dovere patriottico, ma come una necessità prepolitica, che vedeva
schierate in campo solo “forze dell’ordine” e forze “del disordine” – un’interpretazione
rigidamente manichea che corrispondeva effettivamente alla lettura cattolica della Guerra
Civile Spagnola (in cui il campo repubblicano era sbrigativamente appiattito sulla sua
componente più estremista)273 e dell’attivismo comunista.
Il cardinal legato nella sua allocuzione inaugurale riprendeva il tema della lotta al
bolscevismo, che era però interpretato soprattutto come ateismo, “assetato di odio e armato
di dinamite”, e di cui si enfatizzava la radicale opposizione ad “ogni principio di ordine, di vera
giustizia e di sana libertà”274. Inoltre si soffermava sulla finalità missionaria del Congresso
Eucaristico, i cui benefici venivano per la prima volta275 estesi all’Africa; lo sforzo di
Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 16. Una precisazione richiede la frase del
Papa, dato che il Pontefice era personalmente contrario alla Guerra d’Etiopia, per la quale cercò (sia pure in
maniera velleitaria) di trovare una soluzione diplomatica. Egli, tuttavia, non condannò mai pubblicamente il
conflitto in maniera esplicita, e all’indomani della proclamazione dell’Impero, felicitandosi della “letizia trionfale
del popolo italiano”, diede ai Cattolici italiani l’impressione di aver sostenuto la conquista (Lucia Ceci, Il Papa non
deve parlare, op. cit.; sulla frase in questione cfr. p. 159). È probabile che anche nel colloquio con Facchinetti, se
usò la frase, egli l’abbia inserita in un discorso meno nazionalista di come lo descriveva il vicario, ma abbastanza
ambiguo da poter essere interpretato in quel modo (soprattutto da un fascista convinto come il frate). Ad ogni
modo il discorso del vescovo non fu smentito da “L’Osservatore Romano”, ed è probabile che la citazione del
Papa non sia stata particolarmente notata.
272 Si veda il testo della pastorale: “Infine, date le lotte sanguinose che straziano alcune nazioni d’Europa – la
povera Spagna specialmente, un tempo così cristiana, generosa, cavalleresca – in preda alla guerra civile, perché
invase dalla barbarie bolscevica, noi vogliamo fin d’ora, in vista del nostro Congresso, adunare in un convegno
ideale, per una crociata di preghiere, tutte le anime fervorose, allo scopo di scongiurare l’Altissimo perché cessi il
grave pericolo che, per il propagarsi del comunismo ateo e selvaggio, incombe sulla civiltà cristiana. Lo esige la
solidarietà umana, oltre che la fraterna carità.” Lettera pastorale per la quaresima del 1937, op. cit., p. 12.
273 Cfr. Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., pp. 204 – 205. Sul tema cfr. inoltre Alfonso Botti, “Guerre di
religioni” e “crociata” nella Spagna del 1936 – 39, in Mimmo Franzinelli – Riccardo Bottoni (a cura di), Chiesa e
guerra: dalla “benedizione delle armi” alla “Pacem in terris”, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 357 – 389.
271
Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 20.
In realtà non era così dato che, come ricordato, solo sette anni prima c’era stato addirittura un Congresso
Internazionale in Tunisia.
274
275
43
evangelizzazione a cui si riferiva il cardinale era però soprattutto rivolto all’Africa
subsahariana, e in particolare all’Etiopia, più che a quella mediterranea e islamica276 .
Riferimenti all’evangelizzazione si ritrovano anche nella lettera apostolica con cui Pio XI
benedì il Congresso Eucaristico, e nella quale però l’attenzione era incentrata sul passato
paleocristiano della Tripolitania, che veniva rinnovato dalla cerimonia; nello stesso senso
andava inoltre il riferimento al Congresso Eucaristico Internazionale tenuto a Cartagine nel
1930, e che era stato caratterizzato in quel modo (come emergeva dalla scelta del sito,
preferito a Tunisi, oltre che dall’ambientazione di molte cerimonie tra le rovine)277:
E non mancano in quella regione storici monumenti, che hanno tramandato lungo il
corso dei secoli fino ai nostri tempi i primordi della fede cristiana e del culto eucaristico.
Rimangono infatti gli elenchi dei vescovi, che sulla fine del secondo e del terzo secolo
furono preposti alle Chiese della Tripolitania; rimangono inoltre i resti delle antiche
basiliche e le formole liturgiche conservate negli antichi cimiteri cristiani, che le ingiurie
del tempo lungamente trascorso non han potuto cancellare; rimangono soprattutto i
graffiti coi simboli del pesce e del calice, che manifestano con tanta evidenza il culto
eucaristico in quella regione. Meritatamente dunque la Tripolitania è stata scelta per
tenere questo Congresso affinchè, confluendo colà i cattolici da tutte le parti d’Italia, col
sincero amore per la religione e con la magnificenza dei sacri riti, si rinnovino gli antichi
splendori della fede e della pietà, e la società cristiana riceva un grande incremento.278
I riferimenti all’antica chiesa africana, peraltro, erano un tópos all’interno del discorso
missionario, e permettevano un facile incontro con la retorica nazionalista italiana sul passato
romano della Libia, che tanta parte aveva e aveva avuto nel giustificare la sua colonizzazione:
lo stesso bollettino del Congresso (pubblicato insieme a “Famiglia Cristiana”) si intitolava
“Lauda Oea Salvatorem”, riprendendo il vecchio nome fenicio e romano di Tripoli. Il tema
della connessione con il passato cristiano dell’Africa poteva del resto sia essere una maniera
per “cristianizzare” il nuovo discorso imperiale italiano ed evitare che esso si accompagnasse
a una apologia del paganesimo, in linea con uno sforzo analogo compiuto dal resto del
Cattolicesimo italiano del periodo279, sia un’altra maniera per valorizzare la storia missionaria
dell’ordine francescano, che aveva connesso l’eredità paleocristiana con il recente
colonialismo280. Come specificava un articolo pubblicato su “Frate Francesco”:
La Libia sta facendo il suo abbigliamento geografico restituendo alle risorte città i nomi
di Roma che ormai non vivevano più che nella nomenclatura ecclesiastica coi Vescovi e
Arcivescovi titolari, cui pareva affidato dalla Chiesa il compito di tener viva la fiamma del
Ibidem. Dolci richiamava esplicitamente Daniele Comboni, San Frumenzio (il fondatore della Chiesa Etiopica),
il cardinal Massaia, il venerabile De Jacobis e il cardinal Lavigerie; di questi, solo l’ultimo aveva svolto la propria
opera nell’Africa del Nord.
277 Jacques Alexandropoulos, Entre archéologie, universalité et nationalismes, op. cit. Va comunque ricordato che,
nonostante la scelta della località, lo svolgimento di un Congresso cattolico fu percepito come provocatorio da
parte di vasti settori dell’opinione pubblica musulmana tunisina, anche a causa delle spese di organizzazione
addossate al governo locale.
278 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 4. Il tema era stato toccato anche dal cardinal
legato in un discorso pronunciato appena giunto in Libia prima dell’apertura ufficiale del Congresso, e che non fu
pubblicato sull’opuscolo ufficiale. Cfr. “L’Osservatore Romano”, 11 novembre 1937.
279 Cfr. Renato Moro, Il mito dell’impero in Italia fra universalismo cristiano e totalitarismo, in Daniele Menozzi –
Renato Moro (a cura di), Cattolicesimo e totalitarismo: Chiesa e culture religiose tra le due guerre mondiali (Italia,
Spagna, Francia), Brescia, Morcelliana, 2004, pp. 313 – 372.
276
L’interpretazione delle missioni francescane come un esempio di espansione italiana era un elemento chiave
della lettura nazionalista di san Francesco. Cfr. Daniele Menozzi, “Il più italiano dei santi”, op. cit., p. 96.
280
44
cristianesimo sui deserti dell’Africa Mediterranea isteriliti più che dal sole dall’aridità
sterminante dell’invasione mussulmana.
(…) La vocazione africana di S. Francesco diviene per l’Italia una attualità proprio
mediterranea. Quanti Vescovi Minoriti da sette secoli non han portato e non portano
tuttora questi nomi vivi di città morte per annunciarne un giorno la cristiana
resurrezione? E non sono stati forse i Frati di S. Francesco che mai abbandonarono
anche sotto la più avversa fortuna le sponde asiatiche e africane del Mediterraneo per
tenerne almeno idealmente il possesso in nome di Cristo?281
In breve, cinque grossi temi caratterizzarono il Congresso: il richiamo al passato romano e
cristiano della Libia, l’evangelizzazione della popolazione indigena, l’esaltazione dei successi
mondani (connotati in senso fascista) della nazione italiana, l’anticomunismo e la
restaurazione dell’ordine cristiano. Se i primi due temi erano peculiari del Congresso di
Tripoli, e legati alle specificità del vicariato, gli altri riprendevano argomenti comuni a tutti i
Congressi Eucaristici. Tutti questi temi, comunque, erano anche legati in maniera peculiare al
pensiero di Facchinetti.
281 Giuseppe De Mori, La vocazione africana di S. Francesco e l’Italia Imperiale, in “Frate Francesco”, anno 9, n. 4
(luglio – agosto 1936), p. 206. Su De Mori, giornalista vicentino direttore dell’Ufficio stampa dell’AC, cfr. la voce
scritta da Ermenegildo Reato in Dizionario storico del movimento cattolico, op. cit., vol. III/1 (Le figure
rappresentative), p. 306.
45
Il pensiero di Facchinetti e il Congresso
Si è già visto come Facchinetti avesse adottato, nella sua predicazione, un atteggiamento
nazionalista e filofascista. Egli non esaltava l’Italia e il Regime in una prospettiva
semplicemente filocattolica, ma in quanto tali: durante la Prima Guerra Mondiale aveva quindi
fatto esplicito riferimento all’irredentismo e alla difesa dei trattati violati dalla Germania282, e
nel suo volume Le nostre idealità: la famiglia, la patria e la religione esaltò la bandiera italiana
e il giuramento di fedeltà al Duce e al Re283. Per lui la nazione italiana era unita non solo dalla
sua cultura, di impronta marcatamente cattolica, ma anche da fattori geografici e genetici284, e
la sua espansione in Etiopia non era giustificata con velleità missionarie, ma con motivazioni
prettamente “laiche”, ossia “dar terra, pane e lavoro ai prolifici abitanti di un glorioso Paese,
bonificato fino all’estremo limite, e [per] aiutare, nel contempo, l’evoluzione progressiva di un
popolo semibarbaro”285. Facchinetti era molto esplicito nel descrivere come la stessa morale
cattolica potesse essere funzionale a una preservazione della sanità della stirpe dalle
connotazioni marcatamente biologiche:
L’impurità, specialmente, e l’intemperanza o l’alcoolismo, ecco quello che potrebbero
essere le cancrene della patria. Gli antichi chiamavano Venere “la sanguinosa”: la
sfrenata lussuria lancia sulle nostre vie generazioni di smidollati e di squilibrati,
avvelena la gioventù, uccide la schiatta; mentre l’abuso delle bevande alcooliche popola i
manicomi, le cliniche e le case di salute, quando non assassina subdolamente per
intossicazione. Malediciamo, quindi, con tutte le nostre forze di cristiani e d’italiani, ogni
stravizio che potrebbe diventare un flagello nazionale; pratichiamo la morigeratezza e la
temperanza, osserviamo le prescrizioni igieniche, amiamo l’aria libera dei campi e dei
monti, più di quella mefitica dei pubblici ritrovi, esercitiamoci anche nella ginnastica e
soprattutto alleniamoci nelle virtù evangeliche, che non sono soltanto la salvezza degli
individui, ma anche delle famiglie e della società. In tal modo potremo tramandare ai
posteri un sangue robusto e generoso, ricco di vitali energie.286
Nel pensiero di Facchinetti, quindi, non c’era una contraddizione fra la società italiana che
andava costruendo (o che sperava di costruire) il Fascismo e la società cristiana la cui
edificazione rimaneva lo scopo della dottrina intransigente; in lui, per esempio, non si ritrova
alcun accenno alla distinzione fra “nazionalismo immoderato” e “nazionalismo sano” (in
quanto conforme ai principi cattolici), attraverso la quale il magistero pontificio riuscì a non
condannare in toto il nazionalismo del periodo287. Questa visione si integrava con
l’aspirazione a una società ierocratica ed organica che caratterizzava il movimento
eucaristico, e di cui lui accolse la tesi principale (il culto all’Eucarestia como mezzo per
ottenere l’armonia sociale, su un piano interno e internazionale) già molto prima di
282
283
VF, Nell’ora che volge, op. cit., pp. 19 – 20.
VF, Le nostre idealità: la famiglia, la patria e la religione, Brescia, Queriniana, 1936, p. 136.
Ivi, pp. 85 – 96.
Ivi, p. 142. Motivazioni del genere, del resto, erano comuni anche a molti altri religiosi, specialmente a quelli il
cui livello culturale permetteva di avvertire l’estraneità (oltre che l’inopportunità) di motivazioni missionarie
alla Guerra d’Etiopia. Per una ricostruzione, ad esempio, dell’atteggiamento di “Civiltà Cattolica”, cfr.
Massimiliano Nastri, La dottrina di Civiltà Cattolica e la guerra d’Africa, “Atti dell’Accademia Pontaniana di
Napoli”, n. 53, 2004, pp. 209 – 231.
284
285
286
287
VF, Le nostre idealità, op. cit., pp. 141 – 142.
Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., pp. 200 – 201.
46
organizzare il Congresso di Tripoli288. Da questo punto di vista, il Congresso era utile sia da un
punto di vista laico che religioso, e si opponeva naturalmente a dottrine disorganiche e
sovversive come il comunismo.
A questo proposito, si è già visto l’inequivocabile significato anticomunista del Congresso.
Facchinetti aveva descritto il bolscevismo in termini quasi apocalittici, come un “anticristo
delle Missioni”, “ciò che vi ha di più anticivile, utopistico e selvaggio, di spaventoso e di
deleterio”289. Un tale atteggiamento non era certo isolato, e sulle pagine di “Famiglia Cristiana”
si trova un linguaggio ancora più violento: nel 1936 una poesiola intitolata “Il Saturno
moscovita”, dopo una descrizione della Russia stalinista, si concludeva con l’immagine della
Croce e del Littorio, protette da un arcangelo, che scacciavano dall’Italia le forze demoniache
del comunismo290. In un tale contesto, era chiaro che la lotta antibolscevica fosse prioritaria, e
rappresentasse una delle basi della collaborazione fraterna fra Chiesa e Regime.
È infine utile rilevare che, nel contesto degli anni Trenta, vi era un’ulteriore possibile
valorizzazione del culto eucaristico in senso anticomunista. La tomba del patrono dei
Congressi Eucaristici san Pasquale Baylon, francescano aragonese del XVI secolo
particolarmente devoto al sacramento, fu infatti profanata durante i tumulti antireligiosi che
si scatenarono in Spagna all’inizio della Guerra Civile. Il richiamo al santo, vittima a suo modo
della “bufera bolscevica”, aveva quindi un rimando immediato alla contemporaneità, come
veniva esplicitato sull’opuscolo ufficiale291, e costituiva un altro tramite fra Eucarestia e
anticomunismo.
In ambiti meno culturalmente avvertiti, comunque, il culto eucaristico poteva collegarsi al
nazionalismo anche attraverso altri percorsi. L’ostia, infatti, in brevi testi pubblicati su
“Famiglia cristiana” (quindi, lo ricordo, in un periodico destinato a una circolazione ridotta in
un ambito provinciale) era esplicitamente collegata al grano prodotto nei campi delle colonie
italiane, in Libia e in Africa Orientale292; in uno di questi brani, inoltre, il sacrificio di Cristo
nell’Eucarestia veniva assimilato al sacrificio dei soldati italiani, che morivano dopo essersi
comunicati, e il cui sangue rendeva più fecondi i “redenti campi della barbarie”, a beneficio
degli Italiani “prediletti figli di Dio”293. Nella produzione di Facchinetti o in quella
specificatamente destinata al Congresso, tuttavia, non si ritrovano queste idee.
288
VF, Pasquale Baylon, op. cit., pp. 71 – 73.
Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 17.
“Neri nel ciel s’addensano/i nembi ammonitori/ma sui bei colli italici/tra vividi fulgori/la Croce ed il
Littorio/s’alzano, sicure scolte/pugnaci ed imbattibili/contro le nubi folte./Veglia con lor l’Arcangelo/dalla spada
fiammante/che già sconfisse il dèmone/corrusco e sibilante./Veglia e lontan si perdono/i vampiri notturni/che
sulla Russia volano/feroci e taciturni.” C.C.D.L., Il Saturno moscovita, “Famiglia Cristiana”, vol. 13, n. 11
(novembre 1936), p. 122.
291 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 23.
292 Fra’ Bonaventura, Affermazione di Fede e di Vita nella luce di un anniversario, in “Famiglia Cristiana”, vol. 15, n.
12 (dicembre 1938), p. 221. Si tratta di un articolo in cui l’arrivo dei “Ventimila” coloni promossa da Balbo veniva
accostata al Congresso Eucaristico. Probabilmente, nella produzione di tema eucaristico del periodo fascista si
potrebbero trovare molti altri accostamenti di questo genere: già nel 1927, del resto, una brochure redatta per il
Congresso Eucaristico di Bologna aveva affermato che i membri delle confraternite del Santissimo Sacramento
erano i “soldati” di una “battaglia del grano” condotta per il pane eucaristico (In ricordo: IX Congresso Eucaristico
Nazionale: Bologna, op. cit., p. 19).
289
290
Contessa Egloge Cappello Passarelli, La leggenda del chicco di grano, in “Famiglia Cristiana”, vol. 13, n. 9
(settembre 1936), pp. 83 – 84.
293
47
Per quanto riguarda il rapporto con l’Islam, l’approccio di Facchinetti, e quello di tutto il
Congresso, emerge nella sua peculiarità. Si è visto come il vescovo francescano, in una
pastorale destinata al proprio gregge, avesse impetrato la conversione dei Musulmani libici,
anche se al momento dell’apertura del Congresso il tema fu ripreso principalmente dalla
lettera del Pontefice e dal discorso del cardinal legato. Gli accenni erano tuttavia molto
sfumati, com’era normale che fosse in un contesto in cui l’autorità coloniale italiana limitava il
proselitismo, e anzi si atteggiava a protettrice della religione musulmana dentro e fuori i
confini (la consegna al Duce della cosiddetta “Spada dell’Islam” risaliva al marzo
precedente294). In alcuni brani dell’opuscolo ufficiale sul Congresso, addirittua, la religiosità
islamica era valorizzata, e contrapposta a un ben più pericoloso ateismo. Nel brano pubblicato
per ultimo (quindi collocato in un posto di grande evidenza) si diceva:
Il Rev.mo Monsignor Costanzo Bergna, ora Apostolico di Dessiè e fino a ieri Pro‐Vicario
di Tripoli, storico insigne della Libia cristiana, diceva giustamente che il musulmano non
può concepire un “senza Dio”, tanto che nel Corano è detto che “basta che i giudei, i
cristiani e i maomettani menino vita conforme alla parola di Dio da ciascuna conosciuta
e si mettano in grado di dare conto di sé nel giorno dell’inesorabile giudizio”, perché
sieno salvi. E un proverbio arabo ammonisce: “Temi l’uomo che non teme Dio”.
Mentre i “senza Dio” attaccano l’Africa francese mediterranea295, i Libici han visto che
l’Italia è stata restituita a Dio e Dio restituito all’Italia: e questo è anche per loro un segno
e un pegno dei suoi destini imperiali.296
Si trattava della ripresa di temi diffusi fuori dall’ambito cattolico, all’interno della propaganda
coloniale del Regime297. In un contesto che si voleva dipingere come una lotta globale al
materialismo bolscevico l’Italia, ormai diventata “potenza islamica” grazie al suo impero
coloniale, mostrava di mobilitare tutte le energie spirituali dei suoi sudditi; allo stesso tempo,
le velleità filoislamiche erano un modo per cercare alleati all’interno dei movimenti
anticoloniali, che destabilizzavano gli imperi di una Francia e una Gran Bretagna ormai in
rotta di collisione con Roma298. Tutte queste ragioni implicavano, come ricordato, la necessità
di ostacolare, o perlomeno non favorire, il proselitismo missionario. D’altra parte, andava
Il 18 marzo 1937, in una scenografica cerimonia organizzata a Tripoli, Mussolini si era fatto offrire in omaggio
quest’arma (in realtà fabbricata a Firenze), come suggello dell’alta protezione che offriva che offriva ai
Musulmani del mondo intero. Sull’episodio cfr. Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp. 280 – 286 e John
L. Wright, Mussolini, Libya and the Sword of Islam, in Ruth Ben Ghiat – Mia Fuller (eds.), Italian colonialism, New
York, Palgrave, 2005, pp. 121 – 130.
294
295 Il riferimento è ai disordini allora in corso nell’Africa Francese del Nord e condotti dai nascenti movimenti
anticoloniali, i quali cercarono di trovare una sponda politica nel nuovo governo di Fronte Popolare, che in effetti
tentò di introdurre maggiori elementi di democrazia nell’impero coloniale. Erano inoltre attivi nella regione
movimenti comunisti (che spesso peraltro facevano prevalentemente proseliti nelle comunità europee ed
ebraiche), i quali lottavano anch’essi per l’indipendenza (cfr. Hassine Raouf Hamza, Communisme et nationalisme
en Tunisie de la “liberation” à l’indipendence (19431956), Universitè de Tunis I, 1994, pp. 73 – 76).
L’interpretazione diffusa in ambito anticomunista, sia in Italia che in Francia, era però ovviamente molto più
semplicistica, e la responsabilità di scontri e disordini veniva attribuita tout court alla propaganda di Mosca e al
lassismo del governo del Fronte Popolare (causato anche dal doppiogiochismo comunista): si veda ad es. Sguardi
sul mondo: i “rossi” nell’Africa francese, “L’Italia Coloniale”, ottobre 1937, p. 154 e M. Thiout, Orage sur l’Afrique du
Nord, “Le Maroc Catholique”, vol. 17, n. 10 (ottobre 1937), pp. 36 – 38.
296 Giuseppe De Mori, Le tappe della fede nella Tripoli metropolitana, in Famiglia cristiana – Il congresso
eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 40.
297 Si veda per esempio l’articolo di Mario Missiroli La politica islamica di Mussolini, sulla “Rivista delle colonie”,
settembre 1937, pp. 1103 – 1116 o quello di Spectator, La politica islamica di Mussolini, su “L’Illustrazione
italiana”, 16 maggio 1937, pp. 505 – 506.
298 Cfr. Renzo De Felice, Il Fascismo e l’Oriente, op. cit.
48
nella stessa direzione il crescente razzismo delle istituzioni italiane, che temeva una riduzione
della distanza fra colonizzatori e colonizzati (quest’ultimo tema, però, non compare nelle
opere relative al Congresso)299.
Sappiamo che in ambito cattolico la visione dell’Islam come potenziale alleato contro altri
nemici laici era spesso ostacolata dal desiderio di evangelizzazione, che non permetteva di
vedere nella fede musulmana altro che una spiritualità corrotta e carnale, e un simile
approccio era stato anche condiviso da Facchinetti, prima del suo arrivo in Libia300. Tuttavia,
in seguito, egli mostrò di rivalutare quella religione, e sembrò abbandonare qualunque
velleità proselitistica: in un articolo pubblicato su “Frate Francesco” scrisse di aver
pronunciato davanti a uditori musulmani discorsi al limite dell’indifferentismo:
Siamo tutti fratelli in Dio e in Adamo, tutti destinati al Paradiso. Ognuno deve sforzarsi di
essere buono, onesto e virtuoso per far piacere all’Altissimo, osservando e praticando la
propria religione, se vogliamo trovarci insieme in un mondo migliore. Poi dobbiamo
volerci bene a vicenda e amare anche la grande Italia, ormai Patria comune.301
Al contrario di altri missionari, quindi, Facchinetti mostrò di accettare senza problemi, e anzi
di accogliere entusiasticamente la politica religiosa del Fascismo. Poteva trattarsi di semplice
realismo, lo stesso che aveva portato la missione di Tripoli a modificare la propria attività in
un senso che aveva condotto al vicariato padre Facchinetti: se i Musulmani erano refrattari
alla conversione, e la cura di una popolazione italiana sempre crescente era un impegno
gravoso, aveva senso concentrare la propria attività fra questi ultimi e, nel frattempo,
salvaguardare le proprie relazioni con la popolazione indigena, rispettandone usi e costumi.
Questo rispetto, del resto, avrebbe potuto essere sincero da parte di Facchinetti, e costituire
una significativa evoluzione del suo pensiero: sappiamo che lui studiò arabo da un libanese
cristiano, e che arrivò al punto di riusciare a pronunciare in quella lingua dei brevi discorsi
(tradotti dal suo maestro)302.
È inoltre possibile che Facchinetti fosse sollecitato ad opporre ateismo bolscevico a religiosità
musulmana dalle vicende spagnole: lui era in contatto col vicario apostolico di Tangeri, che
l’aveva incoraggiato a dare al Congresso una valenza anticomunista303, e nello stesso periodo
l’intervento delle truppe marocchine in Spagna nelle file dei Nazionalisti era letto nello stesso
modo, come un ricorso al vecchio “moro” contro il nuovo “moro” bolscevico ben più
pericoloso304 . Sebbene l’ipotesi sia suggestiva, tuttavia, non sono riuscito a verificarla.
L’ostacolo che il razzismo istituzionale poneva nei confronti del proselitismo era comunque riconosciuto da
Facchinetti nella relazione annuale a Propaganda Fide del 1938: APF, NS, 39.4, 1938.
300 VF, La lotta dei Francescani contro l’islamismo, “Frate Francesco”, anno 8, n. 2 (marzo – aprile 1935), pp. 125 –
130.
301 “Frate Francesco”, Itinerari missionari: verso la perla del deserto, anno 10, n. 4 (luglio – agosto 1937), pp. 201 –
202.
302 “Frate Francesco”, Itinerari missionari: nel Sahara libico, anno 1, n. 2 (marzo – aprile 1938), pp. 74 – 77. Non
era un fatto scontato: il predecessore di Facchinetti, Giacinto Tonizza, si era scontrato più volte con i frati della
missione di fronte al rifiuto di alcuni di essi di imparare l’arabo. Cfr. Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e islam, op. cit.,
p. 65.
303 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 17.
304 Robert A. Friedlander, Holy Crusade or Unholy Alliance? Franco’s “National Revolution” and the Moors,
“Southwestern Social Science Quarterly”, vol. 44, n. 4, 1964, pp. 346 – 356, Maria Rosa De Madariaga, Imagen del
moro en la memoria colectiva del pueblo español y retorno del moro en la Guerra Civil de 1936, “Revista
internacional de sociologìa”, vol. 46, n. 4, 1988, pp. 575 – 599 e S. E. Fleming, Spanish Morocco and the Alzamiento
Nacional, 19361939: the military, economic and political mobilization of a Protectorate, in “Journal of
Contemporary History”, vol. 18, n. 1, 1983, pp. 27‐42. Sul ruolo del Marocco nella crisi politica spagnola e nella
299
49
Ad ogni modo, di fronte ai suoi referenti civili e religiosi l’impostazione del Congresso
riguardo alla popolazione musulmana aveva un duplice significato. Da un lato Balbo ne fu
molto soddisfatto, e in una comunicazione a Roma riportò le impressioni della polizia:
L’elemento indigeno arabo più evoluto, al quale non è sfuggita la solennità delle
manifestazioni organizzate per il recente Congresso Eucaristico, ha favorevolmente
commentato l’avvenimento soprattutto per il perfetto accordo esistente tra gerarchie
statali e religiose.
Ottima impressione tra gli indigeni, ha prodotto il fatto che durante i ricevimenti dati da
S.E. il Governatore Generale, in onore dei Cardinali, gli alti prelati si sono intrattenuti
affabilmente con i notabili musulmani ivi intervenuti.305
Diversa invece fu l’accoglienza a Propaganda Fide, nonostante anch’essa si fosse premurata, a
suo tempo, di non offendere il sentimento religioso della popolazione locale306: un memoriale
di Facchinetti, che descriveva il “muto e deferente stupore” di Ebrei e Musulmani ma
riconosceva l’assenza di conversioni in conseguenza della cerimonia veniva riassunto con un
secco: “congresso eucaristico coloniale: buoni frutti fra i nazionali – nulla fra gli altri”307 .
successiva Guerra Civile cfr. inoltre Sebastian Balfour, Deadly Embrace: Spanish Morocco and the Road to Civil
War, Oxford University Press, 2003.
ASMAI – MAE, Affari politici, 76/212, 19 dicembre 1937.
APF, NS, 39.4, 1937, 19 febbraio.
307 APF, NS, 39.4, 1938, relazione annuale.
305
306
50
I risultati del Congresso
Se lo scopo del Congresso era quello di dare alla stampa italiana un’immagine entusiastica
dell’ambiente religioso tripolino, probabilmente esso fu raggiunto. Foto e cronache più o
meno dettagliate degli avvenimenti comparvero sulle riviste specializzate in ambito coloniale
e sullo stesso “Popolo d’Italia”, dove, sulle edizioni dal 9 al 18 novembre, sei diversi articoli
descrissero il Congresso in toni entusiastici. I resoconti più accurati, tuttavia, apparvero su
“L’Osservatore Romano”, che dedicò all’ultima giornata addirittura l’intera prima pagina del
15 – 16 novembre. Nel complesso, il resoconto del giornale vaticano, in linea con quello che
era il pensiero del Papa (come si è visto dal testo della sua benedizione), insisteva sul legame
fra la cerimonia attuale e il passato paleocristiano, che i Vandali e i Musulmani non erano
riusciti a cancellare definitivamente; si trattava di un’interpretazione analoga a quella del
Congresso di Cartagine, che veniva ricordato. Per il resto, si faceva riferimento all’attuale
attività missionaria in Africa, che vedeva la Chiesa affrontare “il duro blocco dell’eresia e del
paganesimo” (due termini che sembravano rimandare alla situazione etiopica, più che a quella
nordafricana)308, mentre della popolazione indigena tripolina si sottolineava lo stupore e la
deferenza309.
Gli altri resoconti si limitarono spesso alla semplice cronaca, senza suggerire
un’interpretazione particolare. La “Rivista delle colonie” riassunse il discorso inaugurale del
cardinal legato, che, come si è visto, si concentrava sull’attività missionaria e
sull’anticomunismo310. L’aspetto che suscitò più attenzione fu però il rapporto con l’Islam, e il
significato del Congresso per la politica religiosa del Fascismo; essa, secondo i commentatori,
esprimendo senza tentennamenti la fede cattolica della nazione, riusciva a conciliarsi il
rispetto degli indigeni e nello stesso tempo a evitare il contagio comunista, che fioriva dove
invece imperverseva l’anticlericalismo laico. Emergeva quindi un drammatico contrasto fra le
colonie spagnole e italiane, dove Cattolici e Musulmani insieme si opponevano al bolscevismo,
e le colonie francesi in preda ai tumulti fomentati da Mosca:
Mentre dunque l’Africa italiana echeggia dei canti di fede e migliaia di persone si
prosternano dinnanzi ai simboli sacri, l’Africa francese urla sacrilegamente le
bestemmie dei “Senza Dio”. Qui il sorriso e la pace, là la ribellione e la lotta; qui la
soddisfazione ed il lavoro, là il malcontento e lo sciopero. L’Islam di fronte a questo
duplice spettacolo non esita a dare le sue preferenze a coloro che praticano una
religione, anche se differente dalla loro, anziché agli atei, negatori di ogni fede. Il fondo
della psicologia araba è mistico ed è per questo che le genti dell’Islam rispettano
soltanto coloro che mostrano di servire con amore e convinzione sincera un ideale. Ne
dà infatti una chiara dimostrazione il Nord Africa, dove la propaganda bolscevica,
propugnata e sostenuta dai frontisti della metropoli, ha sollevato le masse locali, che ne
hanno però approfittato per realizzare le loro idee nazionaliste e per cercare
ribellandosi, di scuotere il dominio straniero, mentre nel Marocco spagnolo portano il
loro aiuto alla Spagna nazionalista di Franco.311
Ancora più esplicita era “L’Italia d’oltremare”, il cui idolo polemico era costituito da un lato
dall’indifferentismo laico dei governi liberali, che aveva prodotto un senso di superiorità e di
“L’Osservatore Romano”, 12 novembre 1937.
“L’Osservatore Romano”, 15‐16 novembre 1937.
310 “Rivista delle colonie”, pp. 1608 – 1609.
311 Sguardi sul mondo, “L’Italia coloniale”, dicembre 1937, p. 188.
308
309
51
disprezzo nei Libici, e dall’altro dai timori di chi trovava pericolosa l’associazione con l’Islam
proposta dal Fascismo. La politica italiana che si era espressa nel Congresso di Tripoli,
orgogliosa delle propria fede ma tollerante nei confronti degli altri culti, era invece il modo
migliore per ottenere “rispetto e collaborazione”312. Si trattava di argomentazioni che
riprendevano, e traducevano sul piano religioso, l’impostazione di “associazione senza
assimilazione” che Balbo aveva dato al proprio governo in Libia; come il governatore
pretendeva di poter trattare con equanimità la comunità musulmana e quella italiana,
operando nell’interesse di entrambe senza permettere che si mescolassero313, così una
politica di protezione attiva verso entrambe le fedi, quella cattolica e quella musulmana,
sarebbe potuta bastare ad appianare eventuali contrasti e ottenere l’appoggio di entrambe.
Esisteva però anche un’altra valenza del Congresso, come aveva scritto lo stesso autore due
mesi prima, in un articolo che peraltro poi insisteva sul tema del passato paleocristiano della
Libia:
La scelta della sede è particolarmente significativa. Un Congresso “nazionale” tenuto in
terra d’Africa riafferma e consacra la ferma decisione di fare di quella terra un
prolungamento senza soluzione di continuità, dell’Italia, della sua potenza, della sua
gloria, della sua fede. Un Congresso “intercoloniale” sanziona il proposito di stringere in
un vincolo sempre più saldo e in un profondo risveglio di fede romana tutte le vaste
terre ove l’Italia svolge opera di cristiana civiltà secondo la missione che la Provvidenza
le ha da secoli assegnata.314
La scelta di tenere una manifestazione dai caratteri così spiccatamente metropolitani in
colonia sanciva quindi l’avvenuta integrazione della Libia nel territorio della madrepatria.
Come nella prospettiva fascista le colonie dovevano rappresentare non una semplice
riproduzione dell’Italia, ma una sua nuova versione migliore, più vitale e più fascista315, così,
in una prospettiva cattolica e fascista (come quella in cui si muoveva Facchinetti, e che era
diffusa alla metà degli anni ’30) la nuova società coloniale poteva e doveva spiccare anche per
la sua devozione.
È quindi chiaro come la lettura del Congresso da parte della stampa variasse a seconda del
punto di vista. “L’Osservatore Romano”, richiamandosi alla posizione del Papa, aveva optato
per una valorizzazione del passato paleocristiano che permetteva di obliterare le peculiarità e
le difficoltà della situazione politica attuale della Libia; allo stesso tempo, esso non rinunciava
all’esaltazione dell’evangelizzazione missionaria. Riviste laiche, invece, leggevano il Congresso
secondo le categorie proposte dalla politica coloniale del Fascismo; espungevano quindi i
riferimenti all’evangelizzazione, proponevano una valorizzazione dell’Islam in senso
anticomunista e vedevano nella manifestazione un esempio della crescente italianizzazione
della Libia. L’impressione complessiva, sebbene risultasse armonica agli occhi di Facchinetti e
di molti osservatori, celava profonde problematicità.
Giulio Castelli, Un alto decisivo collaudo della politica religiosa dell’Italia, “L’Italia d’Oltremare”, 5 dicembre
1937, p. 10.
313 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp. 237 – 245. Si trattava di argomentazioni che appartenevano
più alla retorica che alla realtà, dato che il ruolo degli indigeni nella colonia continuò ad essere subordinato agli
interessi italiani.
314 Giulio Castelli, Il congresso eucaristico intercoloniale di Tripoli: fede e potenza di Roma in terra d’Africa, “L’Italia
d’Oltremare”, 5 ottobre 1937, p. 8.
315 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale, vol. III (La caduta dell’impero), Bologna, Il Mulino, 1982, pp.
218 – 220.
312
52
Il vescovo, in una relazione inviata al Papa dopo sole due settimane, si dichiarava comunque
molto soddisfatto del risultato316. Nella relazione annuale di quell’anno Facchinetti si era
soffermato sulla pietà della popolazione italiana, che trovava molto viva, come l’aveva trovata
del resto già al suo arrivo in colonia317: particolarmente attiva era Azione Cattolica, e lo scarso
numero di unioni illegittime e l’alto numero di nascite testimoniavano a favore della sanità
morale della comunità318. L’obiettivo del vescovo era di stimolare questa religiosità, e dopo il
Congresso potè dichiarare la propria soddisfazione:
Noto solo che i risultati pratici, dal punto di vista spirituale, che noi volevamo
raggiungere, sono stati, grazie al cielo, conseguiti. Le Sacre Missioni predicate in
antecedenza da dodici Eccellentissimi Vescovi, nei principali centri del Vicariato,
provocarono un consolante ed edificante risveglio di pietà cristiana, tanto da poter
affermare che in quei giorni benedetti la quasi totalità dei nazionali sia borghesi che
militari si sono accostati ai santi Sacramenti e oggi non è spenta l’eco delle fulgide
celebrazioni. Prova ne sia, tra l’altro, il fatto che mai come quest’anno la Processione del
Corpus Domini per le vie di Tripoli è riuscita così solenne per concorso di popolo,
concorde partecipazione di autorità civili politiche militari, muto e deferente stupore
degli ebrei e dei mussulmani.319
Era l’evangelizzazione vera e propria che, come riconosceva dopo Facchinetti, non aveva
portato a risultati apprezzabili, a causa sia della politica del governo, sia della scarsa
suscettibilità dei Musulmani alla conversione. Per questo il vescovo era costretto a una
politica poco attiva.
Perciò noi missionari ci limitiamo per ora a pregare e a far pregare per la conversione
dei Mussulmani, a farci stimare da essi ed a farci amare, in modo da suscitare nel loro
spirito e nel loro cuore una specie di battesimo di desiderio. Nel contempo i Missionari –
a cominciare dal Vescovo – si preoccupano di imparare i primi rudimenti della lingua
araba per poter rivolgere qualche buona parola ai mussulmani; mentre è mio proposito
che due o tre giovani Padri si diano allo studio non solo di detta lingua, ma anche della
storia e della cultura islamica, per avvicinare i cosi (sic!) detti intellettuali del Corano,
nella speranza di poter in tal modo più facilmente avvicinare le masse.
Sappiamo che Propaganda Fide fu abbastanza scettica sui risultati del Congresso in termini di
evangelizzazione. La sua risposta a Facchinetti fu alquanto brutale: “questa S. Congregazione
constata con rammarico che, allo stato attuale delle cose, lo spirito di iniziativa in cotesto
Vicariato lascia alquanto a desiderare.”320 Del resto c’erano altri elementi di insoddisfazione,
dovuti ad alcuni contrasti fra Balbo e Facchinetti (vedi infra), alla tendenza del vescovo a
chiedere troppo spesso il sostegno dell’autorità civile e a problemi contabili (il frate non aveva
inserito nell’elenco delle entrate del vicariato un sussidio concesso a lui personalmente dal
governo). Già precedentemente, del resto, la Congregazione aveva ripreso Facchinetti per le
sue troppo numerose assenze dal vicariato321; “venendo a sollazzarsi quasi mensilmente fra
ASV, Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15, 2 dicembre.
La parola del vescovo dopo la visita pastorale, Tripoli, Tripoli, tip. Plinio Maggi, 1936
318 APF, NS, 39.4, 1937, relazione annuale.
319 APF, NS, 39.4, 1938, relazione annuale.
320 APF, NS, 39.4, 1938, 20 maggio 1939 (risposta alla relazione).
321 APF, NS, 39.4, 1936, 27 novembre.
316
317
53
amici e conoscenti”, come indicava una denuncia pervenuta alla Congregazione, “fa[ceva]
perdere il rispetto dovuto a un vescovo”322.
Probabilmente c’era del vero nei rilievi della Congregazione; tuttavia, non si può fare a meno
di notare come fosse il ruolo di Facchinetti, più che il suo comportamento, ad essere destinato
a ricevere critiche in ogni caso. Era strutturalmente impossibile esercitare un’azione
missionaria coerente ed efficace e, al contempo, mantenere i buoni rapporti con le autorità
italiane; questo, immaginando che le risorse di mezzi e uomini del vicariato fossero sufficienti
a svolgere sia un’opera di evangelizzazione che una di assistenza nei confronti dei coloni, cosa
di cui, a leggere le lamentele dei frati e considerando il drammatico incremento della
popolazione italiana, c’è da dubitare. Questa ambiguità era la cifra di fondo dell’attività
missionaria, e il trade – off esistente fra i due aspetti era ineliminabile; la stessa Propaganda
Fide lo confermò indirettamente nel 1939 quando, come si vedrà, tagliò i finanziamenti al
vicariato, non considerandolo più terra di missione. D’altra parte, la stessa nomina di
Facchinetti andava nel senso di rendere i frati dei “cappellani” dei coloni italiani; cosa ci si
poteva aspettare da un frate senza esperienza missionaria, la cui dote migliore era
l’allineamento alle direttive del Fascismo e i legami stretti con le sue autorità, se non una
gestione del vicariato in accordo con le esigenze del Regime?
Il Congresso Eucaristico, da questo punto di vista, era una cartina da tornasole delle ambiguità
del ruolo del frate. Lo sfarzo delle sue cerimonie gli aveva certamente conferito un forte
valore simbolico ma, paradossalmente, non era chiaro quale ne fosse il significato. Doveva
essere un’impetrazione della conversione della popolazione indigena? Della Libia, dove
l’evangelizzazione aveva poche prospettive, o dell’Africa in generale? Oppure doveva essere
una tappa nel processo di assimilazione alla madrepatria della Tripolitania, ormai divenuta
interscambiabile con qualsiasi altra provincia italiana nell’ospitare eventi del genere? O
ancora, doveva magnificare la politica coloniale del Regime e mostrare cosa esso potesse
offrire ancora al Cattolicesimo, quasi a controbilanciare la manifestazione filoislamica del
febbraio precedente? Non tutte queste possibili letture erano contraddittorie, ma certamente
il quadro che ne emergeva non era armonico.
I vari partecipanti e contributori al Congresso gli attribuivano valori diversi, e così, per
esempio, Facchinetti ne esaltò gli effetti positivi sulla pietà e la morale dei coloni di fronte al
Papa e le potenzialità patriottiche e d’immagine di fronte a Lessona. Più in generale, nelle
intenzioni del vescovo esso doveva mostrare il buon accordo fra Chiesa e Regime, che dopo
aver portato al salvataggio della moralità nella metropoli mostrava le sue potenzialità e i suoi
benefici anche in ambito coloniale. Il governo si dichiarava ufficialmente cattolico, Balbo
acquisiva delle benemerenze presso la Santa Sede, che gli inviava la propria benedizione
apostolica323; contemporaneamente la Chiesa italiana, riunita in un’assemblea fastosa e
affollata, benediceva la conquista dell’Etiopia e l’intervento in Spagna. Pieno accordo sul piano
dottrinale e spirituale, pieno sostegno religioso all’azione mondana del governo; Facchinetti
aveva indubbiamente compiuto il suo compito di figura di ponte, chiamato a esprimere nel
fasto del Congresso la stessa ideologia che aveva propagandato per anni alla radio.
Come si è visto però nei resoconti della stampa, una volta che si fosse cercato di esplicitare i
termini di questa concordanza ideale fra Cattolicesimo e Fascismo, essa mostrava la corda. Il
principale elemento di dissidio era il rapporto con l’Islam, che era difficile considerare
322
323
APLFM, Deposito Missionario, documento del 15 giugno 1939.
ASV, Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15, 20 novembre 1937.
54
contemporaneamente come un culto pagano da sostituire e come un prezioso alleato nei
confronti del bolscevismo (per non parlare poi, in prospettiva, della difficoltà nel conciliare
entrambi questi aspetti con l’impronta sempre più marcatamente razzista della politica
italiana). Se si considera poi che Propaganda Fide riprese il vescovo anche per la sua tendenza
a richiedere troppo spesso l’aiuto dell’autorità civile, non si può non notare che anche in quel
caso c’era una chiara aporia: se le autorità coloniali procuravano alla Chiesa libica sia i suoi
finanziamenti sia i suoi nuovi fedeli, era ben difficile che essa potesse coltivare velleità
d’indipendenza di fronte al governo. Più in generale, la visione armonica proposta dal
Congresso non poteva dare risposte di fronte alle prevedibili difficoltà che sorgevano quando
l’Italia fascista mostrava, per esempio nella sua politica religiosa coloniale, di non essere
conforme al modello di società cristiana ierocratica proposto dalla pietà eucaristica. Il
Congresso era polisemico, ma ciò non era un caso o un demerito di Facchinetti, bensì una
conseguenza inevitabile del fatto che i significati attribuitigli dalle varie parti coinvolte erano
differenti. Posto all’incrocio fra Fascismo e Chiesa cattolica, quindi, esso rifletteva tutta la
complessità e le ambiguità del loro rapporto.
55
Conclusioni
Negli anni successivi al Congresso Facchinetti ebbe modo di assistere al crollo di gran parte di
ciò in cui aveva creduto, e dovette guidare la comunità cattolica libica attraverso una delle sue
prove più difficili. Tuttavia, ancora per qualche tempo, potè essere il pastore di una Chiesa in
rigogliosa espansione, che il Regime provvedeva ad accrescere promuovendo l’emigrazione
italiana in Libia. L’aumento della popolazione cattolica portò addirittura a una divisione del
vicariato e all’erezione di una prefettura apostolica a Misurata, che Facchinetti volle affidare al
clero secolare. Si sarebbe trattato di un passo importante nel processo che doveva rendere la
Chiesa libica una parte a tutti gli effetti della Chiesa italiana; tuttavia, per difficoltà nel
reperimento del personale e per l’opposizione di Balbo, il progetto non fu attuato e la nuova
prefettura fu affidata ad altri clerici regolari, i Frati Minori delle Marche324. D’altra parte, la
fine del carattere missionario della colonia trovò una paradossale conferma da parte di
Propaganda Fide che, vista la necessità di far fronte alle esigenze delle missioni cinesi travolte
dalla Guerra Sino – Giapponese, decise di eliminare i sussidi al vicariato, lasciandolo quindi a
dipendere dai finanziamenti governativi325.
I rapporti con l’autorità civile, comunque, non erano idilliaci: più di una volta il desiderio di
Balbo di intromettersi negli affari del vicariato provocò contrasti326. Nelle sue memorie, in
particolare, Facchinetti affermò che Balbo, temendo che il vescovo gli rubasse la scena (e forse
influenzato anche dal suo recento viaggio in Germania) l’aveva escluso dalle celebrazioni
tenute per l’arrivo dei Ventimila coloni nel 1938, sebbene esse prevedessero una cerimonia
prettamente religiosa, ossia la preghiera del Padre Nostro da parte dei coloni radunati davanti
al Castello di Tripoli327. Questo però non significa che egli non sostenesse i piani di
colonizzazione agricola, tanto è vero che fu premiato per gli sforzi che aveva compiuto, in un
suo podere, per la Battaglia del Grano328.
L’inizio della guerra non scalfì la fiducia del vescovo in Mussolini, a cui egli ancora nel 1942,
attaverso donna Rachele, inviava i suoi sentimenti di “profonda gratitudine”, “immenso
affetto” e “inalterata devozione”329, e a cui consigliava, per affrettare la vittoria, di nominare
Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 61 – 62.
ASMAI – MAE, Affari politici, 76/213, 20 gennaio 1939.
326 Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 59 – 60. Non mi sembra però affatto sostenuta dai documenti
l’opinione di Sabbadin, per cui questi contrasti sarebbero la spia di un ripensamento delle proprie convinzioni
fasciste da parte di Facchinetti. Ad ogni modo, in Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 50 – 51, egli riaffermò la
propria stima e il proprio affetto per il quadrumviro.
327 VF, Le mie disavventure come vescovo, op. cit., pp. 49 – 50. Il vescovo fu sostituito dal suo vicario, padre
Illuminato Colombo. Sulla spedizione del Ventimila coloni, vedi Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp.
260 – 265.
328 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 39 – 42. Facchinetti ricevette la medaglia d’oro nel “Concorso del
Grano fra Parroci e Sacerdoti”, che era organizzato dal periodico “Italia e Fede” con lo scopo di incoraggiare il
clero italiano a operare miglioramenti agricoli nei terreni di propria competenza e, allo stesso tempo, legarlo al
Regime fascista. I risultati di questa iniziativa furono evidenti nel 1938, quando una settantina di vescovi e più di
duemila parroci, riunitisi a Roma per la premiazione, espressero pubblicamente ed entusiasticamente la propria
fedeltà al Duce. Facchinetti fu premiato il 22 gennaio 1939, nell’ambito dell’edizione successiva del Concorso, che
fu contrassegnata da un’ampia partecipazione dell’episcopato. Cfr. Takashi Araya, La partecipazione del Clero alla
Battaglia del Grano (1925 – 1943): Giulio de’ Rossi dell’Arno e “Italia e Fede” nell’organizzazione del consenso
cattolico al regime fascista, tesi di perfezionamento in storia, relatore prof. Daniele Menozzi, Scuola Normale
Superiore, 2015, pp. 245 – 246, e ivi, passim, per la descrizione del Concorso e del periodico che lo organizzava.
La partecipazione di personale missionario libico al Concorso datava all’edizione 1931 – 1932 (Ivi, p. 182).
324
325
329
ACS, SPD, , 513.052, 18 gennaio 1942.
56
più spesso Dio e la Provvidenza nei suoi discorsi, “come fa il Fhürer (sic!)”330. Fra gli scopi
delle sue preghiere c’erano “la pace con giustizia, vale a dire pienamente vittoriosa per l’Italia
nostra e per i nostri gloriosi e fedeli Alleati”331 . Nel frattempo, però, il conflitto stava colpendo
in maniera pesante il vicariato. Nella primavera del 1940 erano stati evacuati in Europa i
bambini della comunità italiana; quella che era cominciata come una separazione temporanea,
ufficialmente per permettere ai ragazzi di fruire di campi di vacanza, si trasformò in un
distacco definitivo non appena la navigazione nel Mediterraneo divenne insicura.
Cominciarono poi le operazioni militari, che devastarono in particolare la Cirenaica,
attraversata più volte dai vari eserciti in avanzata e in ritirata. I coloni italiani fuggirono verso
la Tripolitania, dove però i bombardamenti alleati stavano diventando una presenza costante.
Nel 1942, infine, la comunità maltese libica, sospettata di lealismo verso gli Inglesi, venne
internata in Italia332.
Facchinetti guidò con fermezza il suo gregge in questo periodo. Mandò un prete della missione
ad assistere gli internati maltesi nei loro campi, e andò a visitare personalmente sia loro333, sia
i bambini italo – libici in giro per l’Italia, incontrandoli nelle colonie in cui si trovavano e
aiutandoli a tenere i contatti coi genitori334. Propose inoltre di evacuare la popolazione civile
italiana, attraverso la collaborazione della Santa Sede, ma il governo rifiutò per ragioni di
opportunità335. Agli inizi del 1943, infine, gli Alleati entrarono a Tripoli: Facchinetti chiese al
Duce, attraverso interposta persona, di conservare la sua fiducia in lui336, e lo implorò di
risparmiare la città da eventuali bombardamenti dell’Asse337, dopodichè si apprestò a vivere
in territorio occupato. All’arrivo dell’esercito nemico l’autorità civile e militare italiana si era
sfaldata, e Facchinetti era diventato uno dei rappresentanti principali della spaurita comunità
nazionale, oltre che un punto di riferimento indispensabile per gli Inglesi338.
Sulla sua attività del periodo Angelo Del Boca, che si basa su testimonianze di altri Italiani di
Tripoli, scrive che egli conservò una fanatica e ostentata fede fascista, che fu peraltro
strumentalizzata dagli Inglesi per screditare la comunità italiana339. Il vescovo, nelle sue
memorie, si vanta invece di avere avuto un rapporto franco e diretto con le autorità
britanniche, a cui non nascose le proprie opinioni politiche (né sarebbe stato possibile il
contrario, del resto), ma davanti alle quali si impegnò a mantenere tranquilla la popolazione
italiana; in essa censurò l’eccessivo attivismo politico, sia in senso fascista sia in senso
antifascista340. I due quadri possono in parte sovrapporsi, in quanto la moderazione delle
opinioni antifasciste (egli giunse a condannare dal pulpito il romanzo Fontamara di Silone341)
ACS, SPD, 513.052, Giovedì santo 1941. Secondo la sua testimonianza, peraltro, il Duce gli diede retta (VF,
Maledizione alla guerra!, op. cit., p. 59), ma evidentemente questo non bastò ad assicurare il trionfo dell’Asse.
331 ACS, SPD, 513.052, 20 dicembre 1941.
332 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp. 295 – 326 e Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 65 –
67.
333 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 59 – 60. Egli afferma in particolare di aver somministrato i sacramenti
della Comunione e della Confermazione ad alcuni internati maltesi nel 1942.
334 Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 65 – 67 e VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 51 – 52.
335 ASMAI presso l’Archivio Centrale dello Stato, Direzione Generali Affari Politici, Archivio Segreto, 16,9/1.1‐1,
27 novembre 1942. In Maledizione alla guerra! Facchinetti afferma di aver favorito questo progetto nei confronti
dei profughi della Cirenaica, mentre al contrariò incoraggiò gli Italiani della Tripolitania a rimanere nella regione
(op. cit., pp. 94 – 95).
336 ACS, SPD, 513.052, 28 aprile 1943.
337 ACS, SPD, 513.052, 20 gennaio 1943.
338 Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e islam, op. cit., pp. 132 – 133.
339 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp. 337 – 338.
340 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 113 – 122.
341 Ivi, p. 148.
330
57
non favoriva certo l’immagine della comunità italiana, di fronte agli Alleati e al resto della
popolazione indigena, in quel difficile frangente in cui si doveva decidere il futuro politico
della Tripolitania. Tuttavia l’esistenza di buoni rapporti con almeno parte
dell’amministrazione britannica è attestata da una lettera di condoglianze inviata da uno dei
governatori britannici al momento della morte del vescovo342.
Quel che è certo è che comunque Facchinetti continuò la propria attività assistenziale verso la
comunità italiana, impegnandosi ad esempio per i prigionieri italiani, o per i bambini italo –
libici nella penisola, di cui cercò di favorire il ritorno in Africa, sebbene gli occupanti non
volessero alterare la situazione demografica del paese343. Testimoniò inoltre sulla sostanziale
correttezza del comportamento delle truppe di occupazione, in una comunicazione rivolta alla
Segreteria di Stato vaticana – che suscitò le ire di un uomo del Ministero dell’Africa Italiana,
forse lo stesso ministro Teruzzi, che annotò sul foglio “Non credo a questo prete” – e in una
nota probabilmente di origine inglese e intercettata dai Tedeschi344.
Anche gli anni seguenti furono difficili. La comunità italiana della Libia era impoverita, in
declino demografico, e doveva adattarsi alla prospettiva di diventare una minoranza straniera
in un paese governato dai propri ex sudditi coloniali. Facchinetti, come molti altri, avrebbe
preferito un’amministrazione fiduciaria italiana sulla Tripolitania345, ma le sue speranze
andarono deluse. Non giunse però a vedere la nascita di una Libia indipendente, in quanto
morì in clinica a Milano, il 2 dicembre 1950, pochi giorni dopo il pronunciamento
dell’Assemblea Nazionale Libica che avrebbe portato, dopo un anno, all’effettiva indipendenza
del paese346.
AA. VV., Mons. Camillo Vittorino Facchinetti, ofm, Milano, a cura della Provincia Lombarda S. Carlo Borromeo
dei Frati Minori, 1951, pp. 15 – 16. Si trattava della testimonianza di Travers Robert Blackley, ex amministratore
capo della Tripolitania, che asseriva di aver goduto dell’amicizia del vescovo e sosteneva che “I could have
nothing but admiration for these christian and humanitarian efforts of Monsignor Facchinetti”.
342
Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 70 – 75.
ASMAI presso l’Archivio Centrale dello Stato, Direzione Generali Affari Politici, Archivio Segreto, 16,9/1.1‐1,
s.d. e 18 febbraio 1943.
345 In un appunto coevo commentava così la situazione libica: “Sfacelo e regresso voluto dalla politica egoista ed
assolutista di una nazione vincitrice che ha per base l’odio e l’avversione a tutto ciò che sa di italiano. Regresso
provocato dalla ignoranza, dall’ignavia e dalla deficienza di un popolo che non ha mai saputo reggersi da solo,
anche se la ingiustizia dell’ONU lo ha voluto costituire a viva forza a rango di Nazione libera.” (APLFM, Scritti in
possesso di mons. Facchinetti). Sulle varie accuse rivolte al vescovo di aver aggravato, con il proprio
atteggiamento nostalgico e provocatore, la posizione politica della comunità italiana, cfr. Angelo Del Boca, Gli
Italiani in Libia, op. cit., pp. 337 – 338 e p. 361.
346 Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e islam, op. cit., p. 134.
343
344
58
FONTI ARCHIVISTICHE
Archivio della Provincia Lombarda dei Frati Minori
Deposito missionario.
Scritti in possesso di mons. Facchinetti.
Archivio Centrale dello Stato
Segreteria Particolare del Duce, 172.416.
Segreteria Particolare del Duce, 192.828.
Segreteria Particolare del Duce, 513.052.
Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2.5.3184.
Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana, Direzione Generali Affari Politici, Archivio
Segreto, 16.
Archivio del Ministero degli Affari Esteri
Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana, Africa 2, Notiziari politici, 150/33.
Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana, Affari politici 76/211.
Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana, Affari politici 76/212.
Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana, Affari politici 76/213.
Archivio Segreto Vaticano
Segreteria di Stato, 1936, diocesi, 51.
Segreteria di Stato, 1936, chiese, 34.
Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15.
Segreteria di Stato, 1938, diocesi, 2.
Segreteria di Stato, 1938, solennità e congressi, 120.
Archivio di Propaganda Fide
Nuova serie, 39.4, 1935.
Nuova serie, 39.4, 1936.
Nuova serie, 39.4, 1937.
Nuova serie, 39.4, 1938.
Archivio Diocesano di Susa
Angelo Bartolomasi, 23, 446.
59
BIBLIOGRAFIA PRIMARIA
Libri e articoli di Camillo Vittorino Facchinetti
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1911.
Nell’ora che volge: il nostro diritto, il nostro dovere, Milano, Tip. Crespi, 1915.
I nostri eroi: conferenza religiosopatriottica, Milano, Casa Editrice Ambrosiana, 1915.
Il patriottismo del cavaliere umbro, Milano, Casa Editrice Ambrosiana, 1916.
Gerusalemme e i francescani, “Vita e pensiero”, n. 49, 20/1/1918.
Vittoria e pace!: Discorso religioso patriottico, Pavia, Sc. Tip. Artigianelli, 1919.
Pasquale Baylon frate minore. Il Santo dell’Eucarestia, Milano, Tip. Romolo Ghirlanda, 1922
I Sacramenti: conferenze tenute al microfono della radio RomaNapoli nella Quaresima del
1932, Milano, Casa Editrice Santa lega Eucaristica, 1932.
Con San Francesco in volo, Milano, Il Maglio, 1935.
Le nostre idealità: la famiglia, la patria e la religione, Brescia, Queriniana, 1936.
La parola del vescovo dopo la visita pastorale, Tripoli, Maggi, 1936.
Lettera pastorale per la quaresima del 1937. Preparazione al Congresso Eucaristico, XII
nazionale, I intercoloniale, Tripoli, Maggi, 1937.
Lettera pastorale per la quaresima del 1938. Dopo il Congresso Eucaristico. I nostri doveri verso
la SS. Eucarestia, Tripoli, Maggi, 1938.
Memorie, dattiloscritto, 30/1/1940.
Lettera pastorale per la quaresima del 1941. La sacra visita, Tripoli, Maggi, 1941.
Maledizione alla guerra!, dattiloscritto, 30/4/1944.
Le mie disavventure come vescovo, dattiloscritto, 1945?
La provvidenza in viaggio, dattiloscritto, APFLM, 1945
Periodici spogliati
Frate Francesco: rivista di coltura francescana, anni 1935, 1936, 1937, 1938.
Famiglia cristiana: periodico mensile del Vicariato apostolico della Tripolitania, anni 1935,
1936, 1937, 1938, 1939.
L’Illustrazione italiana, marzo 1936 – dicembre 1937.
L’Italia coloniale, marzo 1936 – dicembre 1937.
L’Illustrazione coloniale, marzo 1936 – dicembre 1937.
60
L’Italia d’Oltremare, dicembre 1936 – dicembre 1937.
Africa Italiana, marzo 1936 – dicembre 1937.
Rivista delle Colonie, marzo 1936 – dicembre 1937.
Il Popolo d’Italia, marzo 1936, aprile 1936, novembre 1937.
L’Osservatore Romano, marzo 1936, aprile 1936, novembre 1937.
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Subalpina, 1920 (?).
VI Congresso Eucaristico Nazionale: Bergamo, 8 – 12 settembre 1920, Bergamo, Stab. tipo –
litografico Pietro Brevi, 1920.
VI Congresso Eucaristico Nazionale, Bergamo, 8 – 12 settembre 1920: numero unico, Bergamo,
Soc. Ed. S. Alessandro, 1920.
Atti del VII Congresso Eucaristico Nazionale: Genova, 5 – 9 settembre 1923, Genova, Tip. G.B.
Marsano, 1925.
Atti dell’VIII Congresso Eucaristico Nazionale celebrato in Palermo dal 4 all’8 settembre 1924 in
occasione del III centenario di S. Rosalia, Palermo, Tipografia Pontificia, 1925.
Guido M. Conforti, L’Eucarestia e le Missioni Cattoliche: discorso pronunciato da Monsignor
Guido M. Conforti ArcivescovoVescovo di Parma Presidente dell’Unione Miss. del Clero Italiano
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Emmanuel: amiamo Gesù eucarestia. Ricordo per il Congresso eucaristico di Palermo 4 – 8
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Comitato Permanente dei Congressi Eucaristici in Italia, Statuti e regolamenti pei comitati per i
congressi eucaristici, Montalto Marche, Tipografia dell’Istituto Sisto V, 1927.
In ricordo: IX Congresso Eucaristico Nazionale: Bologna, 7891011 settembre 1927, s.l.
(Bologna?), La Grafica Emiliana, s.d. (1927?).
X Congresso Eucaristico Nazionale di Loreto, 10 – 14 settembre 1930: numero unico, Loreto, s.n.,
1931.
Atti del X Congresso Eucaristico Nazionale di Loreto: 10 – 14 settembre 1930, Recanati, Tip.
Pupilli, 1935.
Letteraappello di mons. Antonio Micozzi vescovo e principe di Teramo per il V congresso
eucaristico regionale, Teramo, Tip. A. De Carolis, 1934.
Atti dell'XI congresso eucaristico nazionale: Teramo 48 settembre 1935, Teramo, Casa editrice
tipografica teramana, 1938.
347
Le opere sono elencate secondo l’ordine cronologico del Congresso a cui fanno riferimento.
61
Teramo, XI Congresso Eucaristico Nazionale: Guida Ricordo, Teramo, Soc. Anonima Tipogr. Il
progresso, 1935.
Filippo Ferrari, Gesù Cristo Re nell’altare della cattedrale di Teramo, Guardiagrele, A.G.
Palmerio, 1935.
Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, num. speciale, anno 14, fascc. 11‐12
(novembre – dicembre 1937).
Il Congresso eucaristico di Tripoli, Milano, Elli e Pagani, 1938.
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episcopale. 26 aprile 1936 Milano, Santuario di Sant’Antonio, Milano, 1936.
Bulletin du comitè de l’Afrique Française: n.2, 11, 12, anno 1937.
Estado general de los misioneros franciscanos en Marruecos, con breve reseña histórica de la
misión y sus casas, preparado por un misionero, Tánger, Tipografía Hispano‐Arábiga de la
Misión Católica, 1947.
La parola del vescovo dopo la visita pastorale, Tripoli, Maggi, 1936.
Le maroc catholique: organ mensuel du Catholicisme au Maroc: gennaio 1937 – marzo 1938.
Lodovico Antomelli, Lettera pastorale per la quaresima del 1915, Tripoli, Stabil d’Arti Grafiche,
1915.
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“Vita e Pensiero”, XXIII, ott. 1937, pp. 472 – 481.
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