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Giorgio Tosco Scuola Normale Superiore Pisa, 28 Ottobre 2015 Tesi presentata per l’ottenimento del diploma di licenza Relatore prof. Daniele Menozzi Chiesa, fascismo e colonialismo: p. Vittorino Facchinetti, vicario apostolico della Tripolitania, e il Congresso Eucaristico Nazionale e Intercoloniale di Tripoli (1937) 1 INDICE Introduzione .................................................................................................................................................................... 3 Il “frate microfono” ....................................................................................................................................................... 7 Le relazioni col Duce ..................................................................................................................................................12 La missione in Libia ....................................................................................................................................................19 I Congressi Eucaristici Nazionali in Italia..........................................................................................................28 Il Congresso Eucaristico di Tripoli.......................................................................................................................40 Il pensiero di Facchinetti e il Congresso............................................................................................................46 I risultati del Congresso ............................................................................................................................................51 Conclusioni .....................................................................................................................................................................56 Fonti archivistiche.......................................................................................................................................................59 Bibliografia primaria ………………………………...………………………………………………………………......... 60 Bibliografia secondaria .............................................................................................................................................63 2 Introduzione Il 10 novembre del 1937, nella cattedrale cattolica di Tripoli si svolgeva una cerimonia certamente inconsueta: il cardinale Angelo Maria Dolci, accompagnato da altri due membri del Sacro Collegio, da decine di vescovi, dalle autorità civili e militari della colonia e da una folla festante dichiarava aperto un Congresso Eucaristico Nazionale, in quella che, nonostante la recente massiccia immigrazione italiana, era ancora una città in maggioranza musulmana. La location esotica fu notata dalla stampa, e contribuì indubbiamente a rendere ancora più memorabile un evento già di per sé improntato a sfarzo e solennità. Il principale responsabile dell’organizzazione del Congresso, colui che aveva lanciato l’idea di allestirlo in Libia, il vicario apostolico della Tripolitania monsignor Vittorino Facchinetti, doveva essere molto soddisfatto del proprio lavoro. Una decina di anni dopo, all’indomani della guerra che aveva travolto l’impero coloniale italiano e gran parte delle idee in cui aveva creduto nel corso della propria vita, egli vedeva nel Congresso il principale successo di quegli anni di attività episcopale1. Del resto, l’evento era stato caricato di una molteplicità di significati riguardo a temi che erano stati al centro dell’attività del vicario apostolico, oltre che della politica italiana contemporanea. Una celebrazione cattolica, di un tipo tradizionalmente improntato a una religiosità di stampo intransigente e a una prospettiva di ricostruzione della società cristiana2, veniva declinata in senso fascista, in un ambiente che era al centro delle ambizioni di politica estera e coloniale di Mussolini3, e utilizzata per proporre un’alleanza tra Chiesa e Regime in un momento in cui, nonostante le divergenze che cominciavano ad apparire a livello diplomatico, il supporto dei Cattolici al governo era ancora ampio ed entusiastico4. Lo scopo del presente lavoro è di usare la prospettiva del Congresso di Tripoli per descrivere la figura del vicario apostolico, nel suo ruolo di tramite fra Chiesa e Regime e fra Cattolicesimo e Fascismo, i due poli a cui egli ispirò la propria azione, sia prima sia dopo il suo arrivo a Tripoli. I rapporti fra le due istituzioni, nelle colonie italiane, assunsero un aspetto del tutto peculiare e distinto da ciò che accadeva nella madrepatria, e diversi erano i motivi di collaborazione e i terreni di scontro. Se, per esempio, in Italia l’espansione coloniale del Regime poteva essere letta in termini di evangelizzazione (e non solo nella propaganda dozzinale e nel basso clero, ma perfino da parte di personalità culturalmente avvertite come l’arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster)5, in Africa l’attività di proselitismo era soggetta a molteplici limitazioni da parte dell’autorità coloniale, che aveva ben altre priorità6; d’altra parte, il supporto logistico e assistenziale delle missioni era estremamente apprezzato e 1 Camillo Vittorino Facchinetti (da qui in poi VF), Maledizione alla guerra!, dattiloscritto conservato nell’Archivio della Provincia Lombarda dei Frati Minori (da qui in poi APLFM), 1944, p. 32. 2 Daniele Menozzi, Congressi eucaristici: identità irrisolta, “Il Regno attualità”, n. 18, 1997, pag. 523‐526. 3 4 Nicola Labanca, Oltremare: storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 206 – 209. Lucia Ceci, L’interesse superiore: il Vaticano e l’Italia di Mussolini, Roma – Bari, Laterza, 2013, pp. 158 – 211. Mimmo Franzinelli, Il clero italiano e la “grande mobilitazione”, in Renato Bottoni (a cura di), L’Impero fascista: Italia ed Etiopia (1935 – 1941), Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 251 – 265 e Lucia Ceci, Il Papa non deve parlare: Chiesa, fascismo e guerra d’Etiopia, Roma‐Bari, Laterza, 2010, pp. 85 – 107. 5 Cfr. Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni nel colonialismo italiano (1882­1941), Roma, Giuffrè Editore, 1982. 6 3 favorito, anche se indirizzato di preferenza verso la popolazione italiana presente in colonia7. Sebbene quindi il Congresso fosse un momento di contatto e di collaborazione fra Chiesa e Regime fascista, questo contatto e questa collaborazione avevano una valenza diversa a seconda della sponda del Mediterraneo da cui le si guardava; l’evento quindi fu al centro di una rete di significati e connotazioni ambigua e problematica. Dal canto suo, anche Facchinetti fu una figura complessa e poliedrica, che non ha ancora ricevuto tutta l’attenzione che meriterebbe. Francescano e studioso di agiografia, fu di formazione un predicatore. Fascista convinto e impenitente, seppe crearsi delle notevoli entrature presso il Duce; grazie ad esse e al proprio indubbio carisma, si ritagliò un ruolo significativo nella cultura di massa dell’epoca, diventando un pioniere e una autentica star della predicazione radiofonica dell’EIAR8. Nel 1936 fu nominato vicario apostolico della Tripolitania, ma mantenne le proprie relazioni in Italia, e riuscì a organizzare un evento di portata nazionale come il Congresso del 1937. Infaticabile organizzatore e oratore, propagandò un pensiero in cui Fascismo e Cattolicesimo collaboravano armoniosamente, e sebbene non abbia avuto una particolare profondità od originalità teorica, la sua celebrità e la consonanza delle sue idee con quelle diffuse in ampi settori della popolazione gli conferiscono un’indubbia rilevanza9. Il dispiegarsi della sua attività fra Italia e Libia, inoltre, lo rende particolarmente significativo ai fini di uno studio sui rapporti fra Chiesa e governo fascista in un ambiente coloniale. Il mio lavoro procederà tra i due corni dell’analisi della figura di Facchinetti e del Congresso, per quanto la scarsità di fonti su quest’ultimo mi abbiano spinto a privilegiare il primo aspetto. Nei primi due capitoli descriverò la vita e il pensiero di Facchinetti fino al suo invio in Libia, soffermandomi in particolare sui suoi rapporti con Mussolini. Nel terzo capitolo mi soffermerò invece sulla missione cattolica in Libia e sulla nomina del predicatore a vicario apostolico. Nel quarto capitolo comincerò a occuparmi del Congresso vero e proprio; dopo aver analizzato i suoi precedenti nel periodo fra le due guerre, al fine di individuare le peculiarità di quello di Tripoli, mi soffermerò sulla sua organizzazione e sul suo significato, confrontando le posizioni che emergono da esso con il pensiero (precedente e coevo) di Facchinetti. Infine, tirerò le conclusioni del mio lavoro. Le fonti che ho utilizzato sono diverse e di diversa natura. Del Congresso non furono pubblicati gli atti; tuttavia, due brevi ed eleganti opuscoli a stampa, riccamente illustrati, consentono di conoscere gli interventi più significativi e l’organizzazione della Cfr. per es. Lucia Ceci, Il Papa non deve parlare, op. cit., pp. 170 – 191. Questa è l’unica parte della sua vita che è stata studiata in maniera scientifica. Cfr. Sara Airoldi, Gli inizi dell’apostolato via etere: le radioprediche di p. Vittorino Facchinetti (1926­1936), “Società e storia”, vol. 132, n. 2, 2011, pp. 301 – 330. Ancora utile possono essere inoltre Gianni Isola, Abbassa la tua radio, per favore… storia dell’ascolto radiofonico nell’Italia fascista, Scandicci, La Nuova Italia Editrice, 1990, pp. 146 – 165 e, per una contestualizzazione della sua attività, Idem, L’ha scritto la radio: storia e testi della radio durante il fascismo (1924 – 1944), Milano, Bruno Mondadori, 1998, pp. 109 – 114. 7 8 9 In un suo articolo Renato Moro, dopo aver discusso le varie traiettorie e sfumature teoriche che potevano stare dietro a una collaborazione fra cattolicesimo e fascismo, rilevava come a livello di cultura di massa essa avesse contribuito a formare un linguaggio comune (Moro la chiama una “koinè ideologica”) in cui i due poli si integravano, in maniera forse teoricamente rozza ma indubbiamente convincente. Cfr. Renato Moro, Nazione, cattolicesimo e regime fascista, “Rivista di storia del Cristianesimo”, vol. 1, n. 1, 2004, pp. 129 – 147. Una prospettiva significativa sulla formazione e diffusione di questa “koinè” può essere offerta da figure di divulgatori come Facchinetti. 4 manifestazione, per come furono divulgati al pubblico10. A ciò ho aggiunto l’analisi della copertura dell’evento da parte di alcune riviste specializzate in ambito coloniale e dei giornali “ufficiali” della Chiesa e del Regime, “Il Popolo d’Italia” e “L’Osservatore Romano”. Inoltre, ho utilizzati documenti conservati nell’Archivio Segreto Vaticano, nell’Archivio di Propaganda Fide e in quello del Ministero delle Colonie. Per quanto riguarda Facchinetti, ho avuto solo l’imbarazzo della scelta nella selezione delle opere più significative all’interno della sua vastissima produzione bibliografica, in massima parte, come ricordato, di carattere apologetico e propagandistico11. Per quanto riguarda le fonti d’archivio, invece, mi sono potuto avvalere delle carte che lo riguardano nei fondi della Segreteria Particolare del Duce presso l’Archivio Centrale dello Stato. Ho inoltre consultato i documenti dell’archivio della Provincia Lombarda dei Frati Minori, a cui egli apparteneva, ma nonostante gli sforzi e la disponibilità del personale addetto (che qui ringrazio) esso è ancora poco accessibile, e il disordine dei fondi ne rende difficile l’analisi. I documenti più significativi che vi ho ritrovato sono dei dattiloscritti redatti da Facchinetti e risalenti agli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale o all’immediato dopoguerra. Si tratta di testi di carattere autobiografico, stilisticamente simili a quelli delle sue pubblicazioni, con la stessa prosa espressiva e il frequente ricorso ad aneddoti; anche se non furono mai pubblicati, ci sono riferimenti a eventuali lettori12 e una notevole attenzione all’impressione che essi si sarebbero formati dell’autore. In un caso, per esempio, dopo che Facchinetti scrisse di aver preso una congestione a forza di bere acqua fredda e birra ghiacciata, aggiunse accanto a matita “me la danno gratis”, evidentemente preoccupato dell’immagine che poteva dare un vescovo che in tempo di guerra sperperasse le risorse della diocesi in alcolici13. Un caso più delicato è il suo resoconto di come egli avesse sollecitato un esonero dal servizio di leva per ragioni mediche, sia alla sua prima visita nel 1903, sia in tempo di guerra (dopo essersi tuttavia presentato spontaneamente all’arruolamento – ed essere stato riformato a malincuore – all’indomani della dichiarazione di guerra, in un momento di entusiasmo bellico generalizzato)14. Si trattava di un particolare poco edificante per un uomo già allora impegnato a diffondere una retorica nazionalista di chiara impronta bellicista. La mia impressione è che questi testi fossero volti a rimodellare l’immagine del vescovo dopo la caduta del Fascismo, che egli aveva tanto pubblicamente appoggiato; l’impressione di sincerità (non necessariamente autentica, tuttavia) sarebbe stata quindi funzionale a creare l’immagine di un Facchinetti anche più meschino, ma meno ideologizzato e nazionalista, che poteva invece richiamare a suo favore alcuni innegabili episodi di attività assistenziale svolti durante la guerra. Per quanto si tratti di alcuni dei documenti più significativi ai fini di una ricostruzione della sua biografia, essi vanno quindi adoperati in modo estremamente cauto. Ci sono inoltre due altre tipologie di documenti editi di cui mi sono potuto avvalere, ossia due riviste legate in vario modo a Facchinetti. Ho spogliato le annate più significative di Frate 10 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, numero speciale, vol. 14, fascc. 11‐12 (novembre – dicembre 1937) e Il Congresso eucaristico di Tripoli, Milano, Elli e Pagani, 1938. Una sua bibliografia completa è reperibile in Abele Calufetti, Nel cinquantenario della morte di mons. Vittorino Facchinetti, ofm. Seconda edizione migliorata, Milano, a cura della Provincia Lombarda OFM, 2006. 11 13 VF, Le mie disavventure come vescovo, dattiloscritto, APLFM, 1945?, p. 52. VF, La provvidenza in viaggio, dattiloscritto, APFLM, 1945, p. 1. 14 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 5 – 11. 12 5 Francesco: rivista di coltura francescana, una pubblicazione nata in occasione delle preparazioni per il centenario francescano del 1926 e con cui il frate collaborò fin dagli inizi, che diresse dal 1928 al 1936 ed ebbe comunque anche in seguito sotto il proprio “alto patronato”; ho poi compiuto lo stesso lavoro con Famiglia cristiana, il periodico diocesano di Tripoli, diretto da frati della missione ma, si può immaginare, non certo estraneo al vicario apostolico, il quale comunque pubblicava lì molti dei suoi interventi. Queste pubblicazioni ci possono chiarire il significato di alcune scelte e preferenze di Facchinetti, e tratteggiare l’ambiente culturale in cui si muoveva; i loro articoli erano però in gran parte scritti da altre persone, e si pone il problema dell’eventuale discrasia fra il loro pensiero e quello di Facchinetti, problema tanto più difficile da risolvere in quanto molte di queste figure sono quasi del tutto sconosciute. Oltre a ciò, decisamente diverso era il target di queste due pubblicazioni: da un lato una rivista culturale diffusa su tutto il territorio nazionale e relativamente nota, e dall’altro un foglio diocesano, a diffusione locale, verosimilmente con poche centinaia di abbonati e autori dilettanti. Tutte queste fonti costituiscono un insieme indubbiamente eterogeneo; d’altra parte, il problema che mi sono posto, essendo al centro di vari temi e all’incrocio delle attività di varie istituzioni, non poteva che richiedere un’analisi su vari livelli. Spetterà al lettore valutare in che misura io sia riuscito a compierla. 6 Il “frate microfono” Camillo Facchinetti nacque a Gorlago, presso Bergamo, il 12 maggio 1883, da Gaetano e Anastasia Fumagalli15. La sua famiglia, che fu in seguito descritta come di umile stato16, era invece considerata di “conditio oeconomica (…) bona” in un documento redatto al momento della sua scelta a vicario apostolico17; quel che è certo è che si trattava di una famiglia molto religiosa, in cui egli non fu il solo a prendere i voti18. Un suo zio era francescano, e anche lui si indirizzò presto a quell’ordine, entrandovi a quindici anni di età. Nel 1907 fu ordinato sacerdote, e fu mandato a studiare storia medievale a Lovanio per circa tre anni, anche se non vi completò gli studi e si laureò solo successivamente a Milano, in teologia e storia ecclesiastica. Tornato in Italia, officiò a Brescia e poi, dal 1913, a Milano, nella chiesa francescana di S. Antonio. A Milano ebbe modo di dispiegare le sue doti di predicatore, oltre che le proprie notevoli capacità organizzative, in special modo a favore del Terz’Ordine Francescano. Già a Brescia egli ne diresse una congregazione; a Milano si incaricò di curare il bollettino dell’associazione, da cui nel 1914 fu creato un Circolo di Cultura Francescana. Anche in seguito egli continuò a operare in questo settore, e fino al 1934 diresse le congregazioni maschili e femminili del Terz’Ordine19. Nel frattempo, cominciò a segnalarsi per il suo nazionalismo. Il suo primo testo pubblicato fu un’orazione per i caduti della Guerra in Libia, che egli esaltava, anche se non in una prospettiva specificatamente cattolica, bensì soprattutto in base all’esigenza di civilizzare i Libici e procurare nuova terra ai coloni italiani20. Nel 1915 sostenne l’intervento, e negli anni successivi tenne molte conferenze patriottiche, in Italia e al fronte. In questo periodo egli affiancò alle argomentazioni di stampo più schiettamente laico – come la difesa del Belgio o la rivendicazione dei confini naturali dell’Italia – anche motivazioni che facevano più direttamente riferimento al pensiero cattolico, e interpretò la conflagrazione bellica come una punizione dei peccati del mondo moderno e, allo stesso tempo, un’opportunità per cristianizzare nuovamente la società21; sempre negli stessi testi, descriveva il sacrificio dei caduti e la causa italiana in termini di “martirio” e “santità”22. I dati biografici di massima di Facchinetti possono essere rinvenuti in Abele Calufetti, Nel cinquantenario della morte di mons. Vittorino Facchinetti, ofm, “Studi Francescani”, n. 98, 2001, pp. 179 – 222. Cfr. inoltre Bortolo Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, vol. VI, Bergamo, Bolis, 1959, p. 302 e p. 461 e i testi contenuti in A S.E. Rev.ma Mons. P. Vittorino Facchinetti dei Frati Minori nella solenne consacrazione episcopale. 26 aprile 1936 Milano, Santuario di Sant’Antonio, Milano, 1936. 15 16 A S.E. Rev.ma, op. cit., p. 39. Archivio di Propaganda Fide, Nuova Serie (da qui in poi APF, NS), 39.4, 1936, documento del 21 gennaio. In Archivio Centrale dello Stato (da qui in poi ACS), Segreteria Particolare del Duce (da qui in poi SPD), 513.052 è conservato un trafiletto di necrologio di Gaetano Facchinetti, datato al 16 aprile 1928, che indica tre religiosi su dieci figli vivi. 19 A S.E. Rev.ma, op. cit., pp. 41 – 43. 17 18 20 VF, Ai caduti nella guerra italo­turca. Ottobre 1911: elogio funebre, Brescia, Tip. Ven. A. Luzzago, 1911. VF, Nell’ora che volge: il nostro diritto, il nostro dovere, Milano, Tip. Crespi, 1915. Ivi, pp. 31 – 32. Nella stessa pagina egli comunque precisava che, in senso teologico, il termine “martire” era improprio. 21 22 7 Questa evoluzione rifletteva un cambiamento in corso in parte della cultura cattolica contemporanea, in quanto il conflitto, che stava sancendo l’integrazione dei Cattolici all’interno della comunità nazionale e dello Stato, richiedeva di essere giustificato su basi più solide del tradizionale rispetto delle autorità costituite; era quindi aperta la strada a un’interpretazione più schiettamente confessionale della situazione politica, mentre all’epoca della Guerra di Libia aperture in questo senso, che comunque non erano universalmente diffuse, avevano suscitato richiami da parte della Santa Sede, a causa della persistente freddezza delle relazioni fra Stato e Chiesa23. Per un giovane frate come Facchinetti, replicare le motivazioni “laiche” dell’avventura coloniale senza eccessiva originalità era quindi la scelta più saggia. Pochi anni dopo, invece, l’interpretazione della Grande Guerra e dei suoi massacri come punizione divina per i peccati degli uomini (in primo luogo, in una prospettiva intransigente, l’allontanamento della società dalla dottrina cattolica) si ritrovava sia nel magistero pontificio, sia negli intellettuali e nell’opinione pubblica cattolica (anche se con occasionali perplessità e tentennamenti)24. Dopo la fine del conflitto l’attività di Facchinetti si intensificò molto. Egli continuò la sua opera di predicatore, che lo portò anche all’estero; inoltre cominciò a scrivere libri devozionali, che ebbero un certo successo. Tra questi si contano alcune agiografie, per le quali poteva utilizzare la familiarità con la storia medievale acquisita con i suoi studi, e alcuni saggi sulla storia del proprio ordine25. La sua interpretazione di S. Francesco era improntata a una sua lettura di esso come santo nazionale dalle caratteristiche guerriere e volitive, il cui attivismo era letto come sintomo e anticipazione dell’espansione della nazione italiana. Si trattava di una visione diffusa nella cultura italiana dell’epoca, e che fu codificata sia da Cattolici ansiosi di integrare elementi del proprio patrimonio simbolico nell’interpretazione nazionale della storia italiana, sia da nazionalisti che si rendevano conto delle potenzialità di tali elementi26 (la fortunata definizione di S. Francesco come “il più santo degli Italiani e il più italiano dei santi”, di complessa origine, fu rilanciata e popolarizzata da Gabriele D’Annunzio27). Le competenze di Facchinetti furono riconosciute e valorizzate dal suo confratello Agostino Gemelli, che lo invitò a tenere corsi di storia francescana come libero docente all’Università Cattolica; si trattava di un incarico prestigioso, specialmente se si considera l’importanza che il modello – ovviamente stilizzato e sostanzialmente artificiale – della cristianità medievale28 aveva per la cultura gemelliana e l’evoluzione sociale e politica da lui auspicata29. Una Giovanni Cavagnini, Soffrire, ubbidire, combattere. Prime note sull’episcopato italiano e la guerra libica (1911­ 1912), “Rivista di Storia del Cristianesimo”, vol. 8, n.1, 2011, pp. 27‐44. 24 Sante Lesti, “Iddio vuole le guerre?” L’esegesi cattolica della Grande Guerra fra “ragioni” antiche, condizionamenti politici e “sentimenti” moderni, “Anuario de Historia de la Iglesia”, n. 23, 2014, pp. 61 – 81. 23 L’impostazione ideologica di questi saggi suscitò le critiche di alcuni storici professionisti. Cfr. Daniele Menozzi, “Il più italiano dei santi, il più santo degli italiani”: la nazionalizzazione di san Francesco tra le due guerre, in Daniele Menozzi (a cura di), Cattolicesimo, nazione e nazionalismo/Catholicism, nation and nationalism, Pisa, Edizioni della Normale, 2015, p. 97. 25 26 Sul tema si veda Ivi e Sandra Migliore, Mistica povertà: riscritture francescane fra Otto e Novecento, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 2001. 27 Tommaso Caliò, “Il ritorno di San Francesco”. Il culto francescano nell’Italia fascista, in Tommaso Caliò e Roberto Rusconi (a cura di), San Francesco d’Italia: santità e identità nazionale, Roma, Viella, 2011, p. 51. 28 Sull’origine e le caratteristiche del mito della cristianità medievale nel cattolicesimo contemporaneo cfr. Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, in Giovanni Filoramo – Daniele Menozzi (a cura di), Storia del Cristianesimo, vol. IV (L’età contemporanea), Roma – Bari, Laterza, 20093, pp. 146 – 148. 29 Maria Bocci, Francescanesimo e medievalismo: padre Agostino Gemelli, in Tommaso Caliò e Roberto Rusconi (a cura di), San Francesco d’Italia, op. cit., p. 230. 8 consacrazione più ufficiale, però, avvenne con la preparazione del centenario francescano del 1926. La manifestazione, che provò sul campo le potenzialità della collaborazione fra Chiesa e Regime30, fu promossa attivamente da Facchinetti, il quale partecipò alla redazione della rivista commemorativa dell’evento, Frate Francesco, e in seguito la annesse al proprio Circolo di Cultura Francescana a Milano. In occasione del centenario francescano, inoltre, Facchinetti pronunciò alla radio una conferenza commemorativa sul santo, dove ebbe modo di sfoggiare tutte le proprie doti di predicatore; egli sapeva in particolare adattarsi alle esigenze tecniche richieste dal nuovo mezzo, che procurava un pubblico vasto, fisicamente lontano ed estremamente disomogeneo per livello culturale, e adottò quindi uno stile estremamente accessibile, ripetitivo e con un frequente ricorso all’esemplificazione, che fu molto apprezzato dal pubblico31. Come nota Sara Airoldi, inoltre, la popolarità (perlomeno in ambito lombardo) già ottenuta dal frate con i suoi libri e le sue predicazioni dal vivo gli prometteva un certo seguito di pubblico, tanto più che all’epoca il bacino dei radioutenti, ancora ristretto, poteva coincidere con quello dei suoi lettori e fedeli32. L’intervento alla radio, nato come estemporaneo, si tramutò quindi in una collaborazione durevole, che produsse una rubrica di predicazioni domenicali e cicli di conversazioni religiose infrasettimanali, e fu interrotta soltanto in occasioni dei suoi viaggi all’estero (nelle Americhe e in Terra Santa). Facchinetti (che fu soprannominato da Guido Manacorda “frate Microfono”33) conobbe un grande successo di pubblico, e a migliaia gli ascoltatori gli scrissero per manifestargli il proprio apprezzamento; addirittura, in alcune occasioni egli dovette precisare al microfono che l’ascolto delle sue prediche non poteva e non doveva sostituire la partecipazione (evidentemente meno coinvolgente) alla messa domenicale34. Il frate, del resto, sapeva come fidelizzare i propri uditori, ne sollecitò il sostegno in occasioni di critiche e lo rifornì di pubblicazioni che contenevano i testi dei suoi interventi alla radio. Approfittò inoltre della propria notorietà per pubblicizzare il proprio ordine e altre iniziative culturali, come la rivista Frate Francesco35. Oltre a saper usare radio e pubblicità, Facchinetti si dimostrò disponibile ad altri ritrovati della tecnica moderna. Collaborò a due film su San Francesco e Sant’Antonio, e sostenne di essere riuscito ad ammorbidire la posizione del Papa, inizialmente critica, su questo mezzo di comunicazione36. Dati i suoi numerosi spostamenti, inoltre, sfruttò ampiamente l’aeroplano, Francesco Torchiani, 4 ottobre 1926. San Francesco, il regime e il centenario, in Tommaso Caliò e Roberto Rusconi (a cura di), San Francesco d’Italia, op. cit., pp. 67 – 99. In occasione della conclusione delle celebrazioni, inoltre, Mussolini decise di interessarsi personalmente della conclusione di un concordato con la Chiesa Cattolica (Ivi, p. 89); di quest’atto Facchinetti si intestò in seguito parte del merito (VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., p. 19; cfr. inoltre infra). 30 Gianni Isola, Abbassa la tua radio, op. cit., p. 157 e Sara Airoldi, Gli inizi dell’apostolato, op. cit., pp. 316 – 318. Ivi, p. 311. 33 Gianni Isola, Abbassa la tua radio, op. cit., p. 147. 34 Sara Airoldi, Gli inizi dell’apostolato, op. cit., p. 314. 35 In fondo al volume intitolato I Sacramenti (I Sacramenti: conferenze tenute al microfono della radio Roma­ Napoli nella Quaresima del 1932, Milano, Casa Editrice Santa lega Eucaristica, 1932) c’era una réclame che recitava: “Volete fare cosa grata a p. Facchinetti? Abbonatevi a Frate Francesco”. 31 32 Dalle memorie di mons. Facchinetti, APLFM, dattiloscritto. Sull’atteggiamento di Pio XI verso il cinema, in bilico fra un apprezzamento delle sue potenzialità e la condanna del rischio che avrebbe rappresentato per la morale, cfr. Guido Convents, I cattolici e il cinema, in Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, vol. V (Teorie, strumenti, memorie), Torino, Einaudi, 2001, p. 492. 36 9 di cui esaltò le potenzialità in ambito pastorale e missionario in un libro che intitolò significativamente Con San Francesco in volo, e a cui pose in exergo dei versi ispirati allo stile del Cantico delle Creature di Francesco37. Questo componimento, in cui i nuovi mezzi di trasporto vengono cantati in forme riprese dalla poesia del tredicesimo secolo, esprime in maniera icastica il rapporto di Facchinetti con la modernizzazione; egli ne è un acceso sostenitore, ma in funzione di un progetto politico e sociale che si caratterizza come fortemente antimoderno38. I contenuti delle sue prediche, e in generale dei suoi libri, riprendono i moduli ormai classici dello schema intransigente, che vede un unico movimento regressivo nell’evoluzione della storia, dal Medioevo (interpretato come un’epoca di realizzazione armoniosa del cristianesimo nella società europea) in poi, attraverso gli stadi della Riforma, della Rivoluzione Francese, del liberalismo e infine del comunismo39; tutte dottrine caratterizzate da un individualismo materialista antitetico alla retta dottrina cattolica, oltre che da un’insopprimibile tendenza alla violenza (che sia quella giacobina o bolscevica), lascito necessario dell’apostasia. Il momento culminante di questa involuzione è costituito dall’immediato dopoguerra italiano, visto come un’età di disordini, immoralità e ateismo generalizzato; in seguito il Fascismo avrebbe reimposto alla società una certa misura di ordine cristiano e, con i Patti Lateranensi, riconciliato i due ideali che ogni italiano era chiamato a seguire, la Patria e la Fede cattolica. L’opera di restaurazione morale della società in base ai principi di ordine, gerarchia, disciplina e antimaterialismo era in effetti un’aspirazione comune a Fascismo e Chiesa Cattolica, e stava alla base del loro avvicinamento e della loro alleanza sempre più stretta, nel corso del Ventennio40. Un tale processo non era esente da aporie, come si sarebbe visto nel corso degli anni41, ma nella descrizione che ne dava Facchinetti (oltre che nelle sue convinzioni, così come in quelle di milioni di altri Italiani) l’opera della Chiesa e quella del Regime si integravano senza attriti. La lotta ad alcuni dei valori fondanti della modernità politica e sociale, come l’individualismo o le libertà civili e politiche, si poteva avvalere anche di mezzi forniti dalla società moderna, come le nuove organizzazioni di massa che permettevano di integrare e dirigere vasti gruppi di militanti, o le nuove telecomunicazioni. Questo era il caso del Fascismo e dei regimi di estrema destra, ma a volte (quando non prevaleva il misoneismo) anche della stessa Chiesa, che vide per esempio in nuove forme associative e di sociabilità, o nei mezzi di comunicazione che permettevano la capillare diffusione di miti politici, un modo per realizzare un’ideale di “Laudato si, mi Signore/per sora nostra Ala italica,/che veloce ed audace sorvola gli oceani,/splende nei cieli libera e secura/e di Te e de’ tuoi Angeli,/Altissimo, porta significazione” (Con San Francesco in volo, Milano, Il Maglio, 1935). Va ricordato peraltro che in questo periodo Facchinetti non fu il solo a proporre una riappropriazione simbolica dell’aeroplano in chiave religiosa (cfr. Emma Fattorini, Italia devota: religiosità e culti tra Otto e Novecento, Roma, Carocci, 2012, pp. 74 – 75). 37 38 Sull’uso di queste categorie cfr. Renato Moro, Il “modernismo buono”. La “modernizzazione” cattolica tra fascismo e postfascismo come problema storiografico, “Storia contemporanea”, vol. 19, n. 4, agosto 1988, pp. 625 – 716. Una buona descrizione della valenza ideologica del pensiero di Facchinetti in questo periodo è contenuta in Sara Airoldi, Gli inizi dell’apostolato, op. cit., a cui rimando qui per i vari riferimenti puntuali ai testi del frate. 39 Cfr. Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., p. 143 e p. 173. Sulla sua accettazione da parte del magistero pontificio vedi inoltre ivi, p. 157. 40 Giovanni Miccoli, La Chiesa e il Fascismo, in Giovanni Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato, Marietti, 1985, pp. 112 – 130. 41 Emilio Gentile, Contro Cesare: Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi, Milano, Feltrinelli, 2010. 10 cristianità sostanzialmente antimoderno42. Facchinetti, il “frate microfono”, sempre in volo e sempre in viaggio, era uno dei tanti Cattolici che seguì questa strada, anche se egli la percorse in maniera particolarmente esplicita e radicale, oltre che con un indubbio successo di pubblico. 42 Renato Moro, Il “modernismo buono”, op. cit., p. 699. 11 Le relazioni col Duce43 Nello stesso periodo, mentre consolidava la sua carriera, Facchinetti badava anche alle proprie pubbliche relazioni. In particolare, riuscì a stringere rapporti personali con Mussolini e, dopo alcuni anni, divenne un confidente di alcuni membri della sua famiglia. Il processo di avvicinamento alla cerchia del Duce fu però lungo e complesso. Facchinetti scrisse che il suo primo contatto con Mussolini fu indiretto, allorché, nel 1916, una sua fedele chiese spiegazioni a Benito Mussolini – e ne ottenne delle scuse – per un articolo blasfemo apparso sul “Popolo d’Italia”. La prontezza nella risposta avrebbe impressionato favorevolmente il frate, che in seguito, nel dopoguerra, ammirò il movimento fascista per la sua opera di restaurazione dell’ordine44. Dopo la Marcia su Roma egli inviò a Mussolini un telegramma di congratulazioni45, e nel Natale del 1923 il francescano – “cittadino felice di questa meravigliosa Italia e ammiratore entusiasta del suo Governo” – gli scrisse per offrirgli un suo libro su San Francesco. Il “più Santo degli Italiani e il più Italiano dei Santi”, secondo lui, aveva infatti ispirato il presidente del Consiglio; con la stessa lettera, inoltre, gli comunicava che il suo Circolo di Cultura Francescana aveva indetto un concorso artistico sulla figura del Poverello d’Assisi, e chiedeva a Mussolini “un plauso e un dono” per l’iniziativa46. Mussolini ringraziò educatamente il frate, con una sua lettera autografa (non sappiamo invece cosa ne fu del dono richiesto)47, e al termine del concorso, nel 1926, ricevette personalmente Facchinetti a Palazzo Venezia, per riceverne in regalo il dipinto vincitore48. Nel frattempo Facchinetti aveva dimostrato la propria stima e il proprio sostegno a Mussolini anche in una lettera scritta il 19 giugno 1924, nei giorni più drammatici della crisi seguita all’omicidio di Matteotti; in essa lo incitava a non abbandonare la “sublime missione” che si era assunto e a confidare nell’aiuto della Provvidenza49. In seguito egli inviò al Duce le proprie congratulazioni in seguito al fallimento di un attentato nel settembre del 1926 e lo invitò a rendere grazie a San Francesco per lo scampato pericolo50. Nello stesso periodo, inoltre, chiese più volte di essere ricevuto da Mussolini, in qualche caso per benedire personalmente lui e la sua famiglia51. Sembra che, nella maggior parte dei casi, le sue speranze fossero frustrate. Non per questo, però, Facchinetti tagliò i rapporti. Innanzitutto, anche se solo per lettera, subissò il Duce di richieste. La più significativa fu quella di un abbonamento permanente alle Ferrovie dello Il tema è già stato trattato in maniera molto cursoria da Mimmo Franzinelli in Il clero del duce, il duce del clero: il consenso ecclesiastico nelle lettere a Mussolini, 1922 – 1945, Ragusa, La fiaccola, 1988, pp. 140 – 141. A mio parere, tuttavia, Franzinelli appiattisce Facchinetti sugli aspetti più grotteschi delle sue lettere – e ce ne sono parecchi! – , senza cogliere alcuni particolari e la valenza più generale del rapporto fra il frate e il dittatore. 43 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., p. 12. Uso il condizionale in quanto è molto difficile che un testo autobiografico scritto dopo trent’anni rifletta accuratamente le opinioni del Facchinetti del 1916. Più credibile invece, a giudicare dal suo pensiero e dalla sua biografia, è il sostegno precoce di Facchinetti al movimento fascista. Sull’articolo in questione cfr. Lucia Ceci, L’interesse superiore, op. cit., pp. 37 – 38. 45 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit.,p. 13. 46 ACS, SPD, 513.052. 47 ACS, SPD, 513.052, 15 gennaio 1924 48 ACS, SPD, 513.052, lettera del 1° marzo 1926 e ritaglio di giornale senza data. Questa fu forse il primo incontro personale fra i due; in una lettera del 19 giugno 1924 (ACS, SPD, 513.052) egli scrisse esplicitamente di non averlo mai incontrato prima. 49 ACS, SPD, 513.052. 50 ACS, SPD, 513.052, 15 settembre 1926. 51 ACS, SPD, 513.052, cartolina senza data ma risalente probabilmente al 1927. 44 12 Stato che, inizialmente concesso temporaneamente in occasione del centenario francescano, fu poi rinnovato più e più volte, almeno fino al 1937. La procedura divenne addirittura consueta: all’approssimarsi della scadenza dell’abbonamento, o subito dopo di essa, Facchinetti cominciava a scrivere per chiedere il rinnovo, e nonostante spesso ricevevesse un primo rifiuto per ragioni di bilancio, continuava a insistere, fino a che la spuntava e otteneva l’ennesima proroga, sempre “in via del tutto eccezionale”52. Il fatto è che Facchinetti sapeva che la propria opera era utile al governo. Tra il serio e il faceto, una volta ricordò che da quando aveva ottenuto l’abbonamento non c’erano stati incidenti ferroviari gravi, e che quindi lui poteva essere considerato un portafortuna delle Ferrovie dello Stato…53 Più seriamente, Facchinetti insisteva spesso sulla valenza “patriottica” della propria predicazione religiosa, che quindi era di diretto interesse per il governo; come scrisse al momento di richiedere la prima proroga: “(…) quantunque l’anno francescano sia ormai terminato, io intenderei di continuare con rinnovato ardore la mia propaganda di francescanesimo ed italianità, convinto (modestia a parte) di rendere un prezioso servizio non solo alla Religione ma anche alla Patria.”54 Anche prima di un suo viaggio negli Stati Uniti prometteva che avrebbe esaltato “nel miglior modo l’Italia, il suo Re, il suo Duce mirabile”55. A testimonianza del patriottismo dei propri discorsi, del resto, Facchinetti non poneva solo la propria parola, ma anche articoli di giornale che descrivevano in termini elogiativi i suoi interventi, permeati “di senso religioso, d’amore patrio e di fervore fascista, fra bagliori di arguzie e di sottili ironie”56; del resto “sotto il ruvido saio franescano di P. Facchinetti palpita un cuore generoso, infiammato del santo amore di Dio e del sacro amore per la grande Patria Italiana”57. In un caso, per ribadire il concetto, Facchinetti, impegnato in un giro di conferenze nella Svizzera italiana all’epoca della Guerra d’Etiopia, non esitò a inviare un trafiletto di un giornale chiaramente antifascista. L’articolo era prevedibilmente caustico contro il frate che “in quanto a umiltà non rassomiglia certo al Maestro Francesco da Assisi” (“Verissimo!” annotò a matita qualcuno accanto), descriveva gli applausi dei membri della colonia fascista locale di fronte alle cautele di Facchinetti, che precisava di non occuparsi di politica, ricordava che i “barbari” ai quali l’Italia stava portando la civiltà erano cristiani e concludeva con: “Parla e diverti e ridi, gira l’arrosto sul fuoco e “dieci anni di conversazioni radiofoniche” diventano una esaltazione dell’impresa criminale dell’Italia in Etiopia. E i missionari cosa ci stavano a fare in Abissinia? Ma se i missionari hanno convertito il paese, c’era proprio bisogno di insegnare agli abissini come si massacrano le donne e i fanciulli con quelle “meravigliose ali” pur tanto lodate da padre Facchinetti? Le aquili volano, fissano gli occhi nel sole, ma cadono poi con volo disordinato e finiscono rose dai vermi e beccate magari dagli uccelletti deboli, teneri e musicali. Un imprevidente Mussolini scrisse, in margine a un appunto della segreteria del 17 maggio 1928: “Sì, per tutto il 28 e poi basta”. ACS, SPD, 513.052. 53 ACS, SPD, 513.052, 6 gennaio 1929. 54 ACS, SPD, 513.052, 23 settembre 1927. 55 ACS, SPD, 513.052, San Benedetto 1929. 56 ACS, SPD, 513.052, trafiletto databile al 1935, che riporta la notizia di una conferenza tenuta a Motta di Livenza. 57 ACS, SPD, 513.052, trafiletto del periodico fascista di Foligno “La Fiamma”, 15 dicembre 1928. 52 13 Proporremo a Mussolini che la effige di padre Facchinetti sia posta sui labari. Egli è un buon pro(illeggibile) del Regime.”58 Quando un tale sofisticato uso della stampa non bastava, Facchinetti non esitava poi a ricorrere a richiami ad altre autorità, o a piccoli ricatti morali: “Dopo quanto mi scrisse il Comm. Sebastiani non ho il coraggio d’insistere nel pregare per il rinnovo del Permanente, e lo rimando a V. Eccellenza, con infiniti ringraziamenti. Ho coscienza di essermene sempre servito per motivi di apostolato religioso e patriottico; forse per questo Sua Maestà il Re si degnava, lo scorso mese, assicurarmi personalmente che la carta di libera circolazione mi sarebbe stata rinnovata. Mi spiace solo per il fatto che la mia attività di conferenziere rimarrà – proprio ora! – in gran parte paralizzata. Poiché dal momento ch’io ho sempre parlato a beneficio di qualche Istituzione (Veda, Eccellenza, tanto buono, i trafiletti a parte con le ultime lettere di inviti che non posso accettare) non è giusto il convento ci rimetta anche le spese di viaggio. Potrei, è vero, farmi pagare il biglietto dagli Enti interessati, ma non è decoroso e non mi piace. D’altra parte il bilancio del Ministero delle Comunicazioni non ci perderebbe nulla ugualmente. Sono sempre passato come il porta–fortuna delle Ferrovie e dovrò continuare ad essere così.59” Del resto, le richieste di Facchinetti non si limitavano ai biglietti del treno. In occasione di un suo viaggio in America chiese di avere gratis i biglietti del piroscafo60, e nello stesso periodo domandò anche – sempre gratuitamente – il rinnovo del passaporto. I funzionari della segreteria che si occuparono della richiesta fecero presente che quella non era la prassi corrente od opportuna per ottenerlo61, e ricordarono che loro “non po[tevano] diventare i segretari di padre Facchinetti per le faccende della sua vita privata” (questa frase fu sottolineata e siglata da Mussolini stesso)62. Del resto Facchinetti, essendo un personaggio conosciuto, avrebbe potuto chiedere una raccomandazione a qualcun altro, senza scomodare la segreteria dell’uomo più potente d’Italia63. Facchinetti, però, non richiedeva solo facilitazioni per sé; anzi, come precisò in una lettera, egli era più spesso un tramite per richieste altrui64. Si poteva trattare di suppliche provenienti da persone umili che chiedevano favori personali: un passaporto per emigrare negli Stati Uniti, una raccomandazione per una “povera figliola” contro cui era stata commessa un’ingiustizia…65 In periodo di guerra, egli patrocinò anche domande più eccentriche, come la proposta di costruire un ospedale italiano a Parigi o il progetto di un nuovo tipo di lotteria66. Con particolare frequenza, però, egli si occupava di cause che interessavano tutto l’ordine francescano, come la riconsegna di una chiesa a Monza67, o questioni riguardanti un vescovo missionario in Cina (a proposito del quale domandò un colloquio col segretario particolare ACS, SPD, 513.052. ACS, SPD, 513.052, 22 dicembre 1935. 60 ACS, SPD, 513.052, 23 febbraio 1929. 61 ACS, SPD, 513.052, 4 aprile 1933. 62 ACS, SPD, 513.052, appunto datato al 6 dicembre dell’anno X dell’Era Fascista (da qui in poi E.F.). 63 ACS, SPD, 513.052, appunto senza data ma conservato assieme a documenti del 1933. Davanti a una nota che precisava la fama di Facchinetti, qualcuno annotò “ragioni per cui potrebbe rivolgersi a qualche poliziotto a Milano”. 64 ACS, SPD, 513.052, 21 ottobre 1929. 65 ACS, SPD, 513.052, 15 ottobre 1929. Si veda anche l’appunto conservato nello stesso fondo e redatto il 4 dicembre dell’anno VIII, con l’indicazione di altre cinque pratiche patrocinate da Facchinetti. 66 ACS, SPD, 513.052, 17 ottobre 1942. 67 ACS, SPD, 513.052, 19 dicembre 1929. 58 59 14 Sebastiani)68. In molti casi, egli agiva esplicitamente per conto dei vertici dei Frati Minori, come quando richiese un colloquio insieme al segretario generale delle missioni francescane69, o quando domandò un’udienza per comunicare un messaggio del superiore generale, a nome di tutto l’ordine francescano70. Del resto, l’esistenza di rapporti stretti fra il frate e il Duce era ben nota (anche la stampa parlava della simpatia che riservava a Facchinetti il capo del governo71), ed egli poteva quindi facilmente diventare un “ambasciatore” dell’ordine presso il governo. La sua posizione di intermediario, del resto, funzionava anche nell’altro senso: il 19 giugno 1927 egli informava con compiacimento Mussolini che alle cariche più importanti nell’ordine francescano erano appena stati eletti degli Italiani “di razza, di spirito e di cuore”72. Un francescano con entrature presso il Duce era un utile canale di comunicazione per entrambe le parti coinvolte, e lo stesso superiore generale dei francescani Leonardo Bello cercò di curarne la posizione e aumentarne il prestigio, inviando in regalo al Duce tre opere agiografiche di Facchinetti (su San Francesco, Sant’Antonio e San Bernardino da Siena, “le tre più fulgide glorie italiane e francescane”) in occasione del suo cinquantesimo compleanno73. L’influenza di Facchinetti però valicava anche i confini dell’ordine, se egli patrocinò perfino un’udienza dal Duce per il podestà di Monza74. Del resto, egli richiese anche dei colloqui riguardo a questioni politiche di primaria importanza, come la situazione in Palestina75 o la Conciliazione76. In entrambi i casi, peraltro, egli non fu ricevuto, a riprova che le sue ambizioni di faccendiere erano troppo elevate; nonostante ciò, egli continuò a interessarsi di “alta politica”, e per esempio, in occasione della crisi fra il governo e la Santa Sede del 1931, richiese (invano) informazioni al segretario Sebastiani77. Del resto, lui poteva ritenere di avere qualche titolo a intervenire sulla faccenda, dato che, come ricordato, le trattative che portarono alla Conciliazione furono grandemente favorite dal centenario francescano del 1926, in cui egli aveva avuto una parte importante; addirittura, egli sosteneva di aver dettato personalmente a Mussolini la lettera che egli aveva inviato al consigliere di Stato Domenico Barone il 4 ottobre 1926, e che aveva segnato la ripresa dei colloqui78. In tutte queste questioni Facchinetti aveva agito da un punto di vista “professionale”, come predicatore o come membro del proprio ordine. Egli aveva però anche la speranza di poter stringere un rapporto più personale con Mussolini79, per cui sentiva un affetto e una devozione filiale (nonostante il dittatore fosse un suo coetaneo). Nel 1928 concludeva una lettera con: ACS, SPD, 513.052, 7 novembre 1935. ACS, SPD, 513.052, 13 febbraio 1932. Per inciso, il colloquio non venne concesso, e Mussolini lo pregò di scrivergli riguardo alla questione (ACS, SPD, 513.052, 25 febbraio 1932). 70 ACS, SPD, 513.052, 1° luglio 1933. 71 ACS, SPD, 513.052, trafiletto del periodico fascista di Foligno “La Fiamma”, 15 dicembre 1928. 72 72 ACS, SPD, 513.052, 19 giugno 1927. 73 ACS, SPD, 513.052, 29 luglio 1933. 74 ACS, SPD, 513.052, 16 aprile 1928. Uno degli argomenti di cui il podestà di Monza doveva parlare a Mussolini riguardava peraltro i Francescani. 75 ACS, SPD, 513.052, 19 giugno 1930. 76 ACS, SPD, 513.052, 19 settembre 1927, appunto della segreteria che riassume una lettera di Facchinetti. 77 ACS, SPD, 513.052, 1° luglio 1931. 78 ACS, SPD, 513.052, 1° luglio 1931. Si tratta di un appunto del segretario Sebastiani, in cui però le parole “S. E. scrisse, sotto sua dettatura, la prima lettera all’Avv. Barone per un possibile accordo col Vaticano” erano comprese fra virgolette. Cfr. inoltre VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., p. 19. 79 ACS, SPD, 513.052, 23 settembre 1927. 68 69 15 “Mi senta vicino, come un figlio, tanto più che proprio ieri ho perduto mio padre, al suo cuore paterno! Ogni mattina la mia preghiera più fervida, come ogni sera la mia benedizione più augurale, è per Lei, Eccellenza!”80 E al momento della morte del nipote Sandro scriveva: “Ella sa, Ecc., com’io l’ami, poiché di questo amore non ne ho mai fatto un mistero, come un fratello, un amico, un padre, e per conseguenza quanto vivamente partecipi a tutte le gioie che allietano ed a tutti i dolori che rattristano la sua famiglia, a me carissima. La mia condizione di religioso francescano mi mette nell’impossibilità di manifestare pubblicamente questo mio profondo inestinguibile amore per Lei ed i suoi cari; ma per essere secreta, non è meno viva, ardente e generosa questa mia fraterna carità. Sappia che la preoccupazione della salvezza dell’anima di V.E., non meno che della sua salute ed incolumità fisica e del benessere più completo di tutta la sua famiglia, sta sempre in cima a tutti i miei pensieri e forma il continuo oggetto della mia preghiera.”81 Le risposte di Mussolini a queste accorate invocazioni non andavano oltre il livello della cortesia, e, come si è visto, spesso gli capitava di rifiutare ricevimenti a Facchinetti. In calce a una lettera indirizzata al segretario, che il frate concludeva con “Ella sa che avvicinare anche per un solo momento il Duce, è per me una delle gioie più grandi”, Mussolini vergò la semplice annotazione “evitare”82. Dopo l’ennesimo incontro mancato, timoroso che il Duce “gli avesse tolto o gli togliesse la sua Alta benevolenza”, Facchinetti si sentì in dovere di precisare che anche in quel caso avrebbe comunque continuato a pregare per lui83. Il frate trovò una migliore accoglienza presso la famiglia, coi cui membri finì per relazionarsi direttamente, senza passare per il tramite di Benito. Secondo la sua testimonianza, nel 1926 incontrò la figlia Edda nel collegio fiorentino in cui lei risiedeva, e recapitò personalmente una sua lettera al padre Benito84. Nel 1927, in occasione della nascita del figlio del Duce Romano, chiese di poter inviare un dono preparato da tempo perché fosse collocato sulla culla del neonato85, e nella Pasqua del 1928 comunicò i giovani Edda e Vittorio Mussolini, e chiese quindi al padre di poterli avvicinare in futuro per istruirli86. Dopo la nascita della figlia Anna Maria chiese di poterla battezzare personalmente, convinto che il parroco di Predappio gli avrebbe ceduto facilmente “l’insigne onore, che egli già ebbe, credo, più volte”87; la sottolineatura di queste parole sulla lettera dimostra che la fiducia di Facchinetti era mal posta, e la risposta, cortese ma ferma, chiariva che anche quella volta ad occuparsi del sacramento sarebbe stato il parroco locale88. Il 28 ottobre dello stesso anno, dopo avere avuto un colloquio particolarmente rapido col Duce (“E dire che avrei voluto stare sempre con Lei!”89), gli inviò una sua letterina per la piccola Edda, e a dicembre spedì un omaggio per Anna Maria90. Nel giugno del 1930, durante ACS, SPD, 513.052, 16 aprile 1928. ACS, SPD, 513.052, 30 agosto 1930. 82 ACS, SPD, 513.052, 11 dicembre 1930. 83 ACS, SPD, 513.052, 1° luglio 1931, nota del segretario. 84 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., p. 13. A quanto riporta Facchinetti, nella lettera Edda, tra le altre cose, scriveva al padre che il frate pregava per lui. 85 ACS, SPD, 513.052, 23 settembre 1927. 86 ACS, SPD, 513.052, 16 aprile 1928. 87 ACS, SPD, 513.052, 15 agosto 1929. 88 ACS, SPD, 513.052, 30 agosto 1929. 89 ACS, SPD, 513.052, 28 ottobre 1929. 90 ACS, SPD, 513.052, appunto del IV dicembre anno VIII E.F. 80 81 16 un viaggio in Terrasanta, spedì a Mussolini una cartolina del Santo Sepolcro, con il testo “La ricordo sempre!”91. In seguito, nel messaggio di condoglianze inviato per la morte di Sandro, ricordò di avere conosciuto il giovane92, e qualche anno dopo chiese un colloquio a proposito della madre (ormai vedova) Augusta Bondaini, che egli asseriva di visitare ogni settimana93. Due anni dopo era per il tramite della sorella del Duce Edvige che egli inviava in dono tre copie del suo Con San Francesco in volo (in seguito rispedite a un dopolavoro)94. Ormai, Facchinetti era definitivamente entrato all’interno della famiglia Mussolini. I suoi rapporti con essa ricevettero una consacrazione quando Facchinetti – ormai vescovo, dopo la sua designazione a vicario apostolico della Tripolitania – poté cresimare i figli minori del Duce nel 1937. Anche in seguito egli continuò a interessarsi di loro e a sollecitare la loro frequenza ai sacramenti, in affettuose lettere inviate a donna Rachele, nelle quali esprimeva tutto il suo amore per la famiglia: “Vi voglio troppo bene per non fare di tutto affinchè – più tardi che è possibile, lo dico anche per me! – non veniate alla fine di questa vita, con tutti i vostri cari, in paradiso. Capito?”95 Al di là però dei rapporti di affetto, la relazione di Facchinetti coi famigliari del Duce gli apriva nuovi canali per ottenere facilitazioni e aiuti, non solo peraltro a proprio favore. Nel 1935 rivolse la richiesta dell’abbonamento delle Ferrovie a Vittorio Mussolini (ma mandò in seguito un messaggio di ringraziamento anche a Bruno96), a cui comunicò che il padre certamente non era a conoscenza della sua domanda, dato che altrimenti l’avrebbe già esaudita97. La sollecitazione ebbe buon esito, e il segretario Sebastiani, con la stessa lettera con cui comunicava l’arrivo a Vittorio della missiva, annunciava la concessione della carta di libera circolazione sulle Ferrovie98, “in seguito a nuove istanze pervenuteGli”99. In seguito Facchinetti unì, nello stesso messaggio, la sollecitazione dell’ennesimo rinnovo col ricordo del primo anniversario della cresima ai figli del Duce100, e sollecitò da donna Rachele una grazia per due condannati al confino101. In conclusione Facchinetti, grazie all’importanza della sua predicazione, divenne una figura di raccordo nelle reti clientelari che facevano riferimento a Mussolini. Sebbene il Duce si mostrasse estremamente parco nel riceverlo, la sua efficacia e la sua importanza come strumento di propaganda facevano sì che nei suoi confronti dovesse usare un occhio di riguardo. Al governo ci si rendeva conto del fatto che le prediche del frate non erano un semplice affare di religione, ma avevano una forte valenza patriottica e fascista; grazie all’innegabile facondia e carisma di Facchinetti, i suoi discorsi dovevano colpire gli ascoltatori, almeno quanto li colpivano le sue prediche alla radio, e in Italia come all’estero il francescano poteva quindi dimostrarsi un’arma non disprezzabile per il Regime. L’interminabile vicenda dell’abbonamento ferroviario del frate dimostra, oltre che la cocciutaggine del frate stesso, anche la continuata importanza che Mussolini, nonostante tutto, attribuiva al suo lavoro. ACS, SPD, 513.052, 12 giugno 1930. ACS, SPD, 513.052, 30 agosto 1930. 93 ACS, SPD, 513.052, 1° luglio 1933. 94 ACS, SPD, 513.052, stralcio di lettera del 23 dicembre 1935. 95 ACS, SPD, 513.052, 11 marzo 1940. 96 ACS, SPD, 513.052, biglietto del 24 maggio 1935. 97 ACS, SPD, 513.052, 24 aprile 1935. 98 ACS, SPD, 513.052, 20 maggio 1935. 99 ACS, SPD, 513.052, 14 maggio 1935. 100 ACS, SPD, 513.052, nota del segretario, datata gennaio dell’anno XIX E.F. 101 ACS, SPD, 513.052, 11 marzo 1940. 91 92 17 La vicinanza di Facchinetti al capo del governo gli permise inoltre di essere il tramite fra lui e una vasta congerie di persone che aveva un qualche motivo per chiedergli favori, interessamenti o il privilegio di un’udienza, e che poteva andare da poveri emigranti alle gerarchie dell’ordine francescano, fino addirittura, in un caso, a un uomo politico incardinato nelle strutture statali come il podestà di Monza. Qualunque cosa Mussolini pensasse del frate, si trattava comunque di una persona che aveva accesso a lui relativamente di frequente, ed è probabile che essere raccomandati da lui fosse utile. Allo stesso tempo, il ruolo di tramite di Facchinetti doveva rafforzare la sua posizione verso i suoi interlocutori102, e possiamo immaginare che l’ordine francescano (il cui superiore generale intervenne in seguito in suo favore all’epoca della scelta del vicario apostolico della Tripolitania103) lo tenesse in grande considerazione. Allacciare un rapporto personale col Duce si dimostrò più complicato, ma alla fine Facchinetti riuscì a diventare una presenza relativamente importante all’interno della famiglia Mussolini. Sarebbe forse facile liquidare le espressioni più grottesche delle lettere del frate come frutto di un uomo bizzarro, bisognoso di una forte figura paterna di riferimento104; ma si tratterebbe di un esercizio in fondo sterile, che non illuminerebbe più di tanto il ruolo storico della figura del frate. Ciò che è chiaro è che i legami personali di Facchinetti rinforzarono quelli “professionali” che aveva già stretto, e fornirono nuovi sbocchi e nuovi mezzi alle raccomandazioni di cui egli si faceva già tramite. Era questo un meccanismo circolare caratteristico delle figure di raccordo fra un centro e la periferia, e che si ritrova per esempio anche in gerarchi come Balbo, che utilizzavano il proprio potere locale per consolidare la propria posizione a livello nazionale e viceversa (Salvatore Lupo, Il Fascismo: la politica in un regime totalitario, Roma, Donzelli, 2005, p. 161). 102 APF, NS, 39.4, 1936, marzo (ponenza). È opportuno però considerare che nell’entourage del Duce un linguaggio così magniloquente e adulatorio era molto comune anche fuori dagli ambiti di propaganda, ed era adoperato anche nei colloqui privati fra alti gerarchi, che avevano accesso continuo a Mussolini. Cfr. Salvatore Lupo, Il Fascismo, op. cit., p. 255. 103 104 18 La missione in Libia La vita frenetica di Facchinetti, sempre in giro tra prediche e conferenze, cambiò improvvisamente quando, il 9 marzo 1936, ricevette la notizia di essere stato prescelto come vicario apostolico della Tripolitania. Per quanto fosse già stato nella regione altre volte, per tenere conferenze105, egli non aveva mai svolto un lavoro missionario vero e proprio, e la sua nomina era certamente inaspettata. Tuttavia, essa era spiegabile alla luce del cambiamento che stava vivendo allora la missione cattolica nel paese e della stessa natura della colonizzazione italiana in Libia. La missione cattolica a Tripoli datava al 1628, quando due frati francescani, oriundi di Venezia e di Bergamo, arrivarono nella città106. Allora Tripoli era un centro della corsa barbaresca, e come nelle altre città maghrebine coinvolte in questa attività, l’azione dei missionari era rivolta essenzialmente alla cura degli schiavi cristiani i quali, oltre a soffrire patimenti e umiliazioni, rischiavano di apostatare per convertirsi all’Islam e riottenere la libertà. Trattandosi di un paese con un governo musulmano (ufficialmente parte dell’Impero Ottomano, anche se a lungo de facto autonomo), il proselitismo era da escludersi. Anche dopo l’abolizione della corsa nel Mediterraneo, comunque, il compito dei missionari rimase la cura spirituale dei pochi Cattolici presenti. Per quanto la prefettura apostolica (istituita nel 1669) fosse stata affidata ai Frati Minori italiani, il reclutamento dei missionari era volontario, e spesso difficile. Era quindi presente anche numeroso personale proveniente da altri paesi, come Francia, Spagna o Malta; in particolare, i Maristi francesi avevano istituito nel 1881 una scuola. Le cose cominciarono a cambiare agli inizi del Novecento. Innanzitutto, nel 1907, la missione rinunciò alla protezione ufficiale del console francese – che da secoli difendeva gli interessi delle missioni cattoliche nel Levante ottomano – per richiedere quella del console italiano. Ciò rispondeva a una situazione in cui l’influenza italiana – economica e diplomatica – in Tripolitania era sempre più forte; in particolare, l’aiuto pecuniario dell’Associazione nazionale per soccorrere i missionari italiani all’estero, fondata da Ernesto Schiaparelli, era un potente stimolo a italianizzare completamente la missione107. Il passaggio non fu indolore, e provocò la partenza dei Maristi, oltre che dissapori all’interno della popolazione cristiana, in cui il gruppo più numeroso era costituito da Maltesi (a cura dei quali stavano dei missionari di quella nazionalità)108. L’anno successivo la prefettura veniva affidata alla Provincia Lombarda dei Frati Minori, che si impegnava a garantire un rifornimento costante di missionari. Il cambiamento più importante, però, avvenne con l’invasione italiana della Libia nel 1911. Col nuovo afflusso di Cattolici – soldati, funzionari e in prospettiva coloni – a cui badare, si rendeva necessario un potenziamento della missione; a ciò si aggiungeva anche l’opportunità di rafforzare la posizione del suo vertice di fronte al nuovo potere civile della colonia. Nel 1913, quindi, la prefettura apostolica della Tripolitania fu trasformata in vicariato apostolico, e a suo capo fu posto Lodovico Antomelli, ex ministro provinciale dei francescani lombardi e VF, Il vicariato apostolico di monsignor Tonizza, APLFM, dattiloscritto, p. 46. Filberto Sabbadin, I Frati minori lombardi in Libia, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 1991, pp. 19 – 25. A partire dalla fine dell’Ottocento, il testo scientifico di riferimento sul Cattolicesimo in Libia è però Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e Islam: religione e politica nella Libia italiana, Torino, SEI, 1995, a cui rimando fin da ora per quanto riguarda la descrizione generale della storia della missione. 105 106 107 108 Ivi, p. 90. Ivi, pp. 12 – 13. 19 ora vescovo titolare di Leptis Magna. La scelta non fu felice: i rapporti con gli altri missionari e con il potere civile furono freddi, e le tensioni che nacquero all’interno del vicariato portarono Propaganda Fide a istituire una commissione d’inchiesta. Dopo pochi anni, nel 1919, Antomelli fu rimosso, tramite una promozione a vescovo di Bagnoregio. Del resto, i rapporti con il potere coloniale italiano erano segnati da grossi problemi di fondo. Nonostante gli entusiasmi di alcuni Cattolici, che avevano visto nell’invasione della Libia un’affermazione della civiltà italiana e cristiana contro l’Islam, questo non era un atteggiamento generalizzato, né era affatto scontato. Fino a qualche anno prima, fra i missionari cattolici rimaneva ancora parte della vecchia ostilità allo Stato italiano di origine risorgimentale109, che si era fatta sentire così tanto all’epoca della Prima Guerra Italo‐Etiopica, quando su fogli autorevoli della stampa cattolica si era gioito del fatto che gli Italiani massoni e liberali fossero stati sconfitti dagli eretici, ma pur sempre cristiani, Abissini110. Proprio all’epoca delle campagne in Africa Orientale, peraltro, il comportamento dei missionari sul campo era stato più favorevole all’esercito italiano di quanto si sarebbe potuto pensare, ed erano state poste le basi di un atteggiamento più compromissorio nei confronti dello Stato italiano, in linea del resto con quanto succedeva nella madrepatria111. Nel corso dei primi anni del Novecento, all’interno della missione tripolina, l’atteggiamento nei confronti dell’Italia variò da un deciso sostegno a una linea più cauta112 , ma nel complesso la spedizione militare italiana fu salutata con favore, se non con fervore patriottico113, e molti degli stessi missionari lessero la propria vicenda come un prodromo della colonizzazione114. Le autorità militari italiane, tuttavia, nutrivano forti dubbi sull’idea che italianità e cattolicesimo dovessero avanzare insieme, e ciò sia a causa del retaggio della laicità risorgimentale, sia a causa della politica religiosa coloniale, che non favoriva il proselitismo115. L’atteggiamento degli Italiani nei confronti dei culti indigeni variava da colonia a colonia, ma in genere era improntato a una minimizzazione dei costi e a una massimizzazione dei benefici, senza velleità di evangelizzazione. Laddove quindi erano presenti due culti principali (come in Eritrea, dove erano presenti sia Cristiani Ortodossi che Musulmani) poteva essere contemplata una politica più interventista, basata sul principio del divide et impera, e che si risolveva nel favorire un culto particolare (nello specifico, di solito quello dei Musulmani della costa, percepiti come più evoluti e meno legati all’Impero Etiopico); altrimenti, dove c’era una più forte omogeneità confessionale, era cura delle autorità coloniali evitare accuratamente di minacciare il culto esterno della religione dominante, o tollerare il proselitismo contro di essa116. Le due colonie in cui si verificavano queste condizioni, la Libia e la Somalia, erano Lucia Ceci, Il vessillo e la croce: colonialismo, missioni cattoliche e islam in Somalia (1903 – 1924), Roma, Carocci, 2006, pp. 32 – 33. 109 110 111 Mimmo Franzinelli, Il clero italiano, op. cit., p. 251. Cfr. Claudio Mario Betti, Missioni e colonie in Africa Orientale, Roma, Studium, 1999. Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e Islam, op. cit. pp. 15 – 28. Ivi, pp. 45 – 46. 114 Ivi, pp. 90 – 93. 115 Sulla politica religiosa italiana nelle colonie l’opera di riferimento è Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni, op. cit. 112 113 Il rispetto verso la religione valeva però solo nel caso in cui le strutture religiose non cercassero di resistere alla conquista e all’occupazione italiana, come dimostrò la persecuzione della confraternita della Senussia in Cirenaica. Inoltre, questo rispetto esteriore si accompagnava comunque a una posizione subordinata della popolazione nativa della colonia. 116 20 musulmane, e in entrambi questi paesi i missionari cattolici scoprirono che gli Italiani non erano disposti a favorirli pubblicamente, o a lasciar loro molti margini d’azione117. C’era però un campo in cui la loro azione rimaneva libera, ed era anzi spesso incoraggiata, ossia l’assistenza religiosa ai Cattolici. L’importanza dei missionari quindi era legata alla presenza e alle dimensioni della popolazione italiana, e ciò era particolarmente visibile in Libia. In quel paese era già presente un vecchio nucleo di Italiani e Maltesi, già da prima della conquista. In seguito, i progetti di emigrazione su vasta scala nel nuovo possedimento erano stati al centro delle motivazioni della Guerra Italo‐Turca; tuttavia, la successiva ritirata a pochi ridotti sulla costa all’epoca della Prima Guerra Mondiale e i tentativi di appeasement con la popolazione nell’immediato dopoguerra (tentativi che portarono al noto progetto di concedere un regime parlamentare alla colonia) limitarono per forza di cose la prospettiva di un’emigrazione di massa. Il Fascismo si riappropriò di questi progetti demografici, e per quanto in un primo tempo la colonizzazione agricola fosse stata prevalentemente affidata, più che a coloni, a grandi latifondisti (che impiegavano manodopera locale e non avevano molto interesse a curare l’immigrazione italiana), a livello retorico l’idea della “Quarta Sponda” riprese vigore. Per il momento il Fascismo si dedicò a riportare (o a portare per la prima volta, in molti casi) sotto il completo controllo italiano il territorio libico. In Tripolitania le operazioni militari si conclusero in pochi anni, ma in Cirenaica, dove la resistenza indigena era molto più agguerrita, per stroncare ogni resistenza fu necessario un decennio di feroce controguerriglia, conclusa con la deportazione di gran parte della popolazione indigena in campi di concentramento. Nel frattempo il potere fascista, sulla linea di quanto succedeva anche nella Penisola, rivendicava la valorizzazione della natura nazionale cattolica degli Italiani, e non esitava a vedere nell’espansione della fede cristiana una presa di possesso del territorio, come proclamava a un brindisi per l’inaugurazione della cattedrale di Tripoli il governatore De Bono118. Non bisogna però esagerare l’importanza di questo sostegno. Il Fascismo, nonostante tutte le sue pretese di novità, non capovolse la politica religiosa coloniale dei governi precedenti, e continuò a farsi guidare da una linea di ottimizzazione del rapporto costi/benefici. Ciò che cambiò fu, in primo luogo, che con il crescere delle ambizioni coloniali le vecchie strategie furono applicate più a fondo e in maniera più spregiudicata. Se già in Eritrea i Musulmani della costa erano stati favoriti, nell’Etiopia Italiana le popolazioni musulmane avrebbero fruito di molte agevolazioni negli stessi mesi in cui la furia di Graziani si abbatteva sul nerbo cristiano del vecchio Impero119. Allo stesso tempo, i piani demografici del Regime prevedevano il collocamento nei territori coloniali di vaste popolazioni italiane (e quindi, in stragrande maggioranza, cattoliche), i cui interessi sarebbero stati prioritari su ogni altra considerazione. Non si trattava però comunque di favorire i Cattolici in quanto tali, ma solo nella misura in cui essi appartenevano alla stirpe dei padroni coloniali; il proselitismo, che peraltro rischiava di Faceva eccezione il proselitismo verso i Pagani, che però costituivano un’assoluta minoranza della popolazione soggetta (cfr. ad es. Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni, op. cit., p. 429). 117 Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 39 – 40. Vale la pena ricordare che la Chiesa Ortodossa Etiopica fu profondamente destrutturata dalle repressioni italiane: su quattro vescovi due furono fucilati e uno mandato in esilio, e tutti i monaci di Debra Libanos (il monastero più importante del paese) furono brutalmente massacrati. Sul tema vedi Paolo Borruso, La crisi politica e religiosa dell’Impero etiopico sotto l’occupazione fascista, “Studi Piacentini”, n. 29, 2001, pp. 57‐111. 118 119 21 attenuare la distanza fra dominatori e dominati, non era incoraggiato120, e la reazione delle autorità coloniali all’ordinazione del primo vescovo indigeno cattolico di rito etiopico in Eritrea, nel 1930, fu piuttosto fredda121. Oltre a questi elementi, nel corso degli anni ’30 la politica coloniale fascista assunse un atteggiamento esteriore di favore verso l’Islam in quanto tale. Anche in questo caso si trattava del risultato di un calcolo politico122: in un momento in cui l’Italia ambiva a espandersi nel Mediterraneo a scapito di Francia e Inghilterra, i movimenti anticoloniali che indebolivano gli imperi di quei paesi andavano incoraggiati. È in quest’ottica che, per esempio, Radio Bari cominciò a trasmettere notiziari in arabo nel 1932123. Si trattava di una politica estremamente ambigua, in quanto l’Italia ambiva a sostituirsi ai vecchi imperi coloniali, più che a rovesciarli; senza contare poi che anch’essa aveva dei possedimenti coloniali, i cui sudditi erano esclusi dalla gestione della cosa pubblica, e che solo qualche anno prima la ferocia della repressione in Cirenaica aveva fatto scalpore in tutto il mondo arabo‐islamico124. A titolo di merito il Fascismo poteva fare riferimento alla politica filo‐islamica attuata in Etiopia, e al rispetto della religione musulmana nelle altre colonie; tutto ciò rendeva ancora più necessario, tuttavia, mantenere un trattamento esteriormente deferente nei confronti delle manifestazioni del culto125. Questi elementi si traducevano, nei confronti della missione, in una rinnovata limitazione del proselitismo da un lato e, dall’altro, in un trattamento di favore (che non includeva solo il rispetto esteriore del culto, ma soprattutto sostanziosi finanziamenti) verso i missionari stessi. Questi ultimi erano infatti essenziali per assicurare la cura della popolazione italiana, non solo dal punto di vista religioso, ma anche da quello educativo, sanitario e assistenziale in genere. Gli assegni che il governo coloniale versava al Vicariato per il sostentamento dei missionari erano forniti espressamente in ragione delle funzioni “parrocchiali” che essi svolgevano presso le comunità italiane126, nonostante la formale natura di terra di missione della Libia127. I missionari stessi, del resto, si rendevano conto della situazione, e orientarono la loro attività verso la cura pastorale dei coloni. A guidarli in quel periodo era monsignor Giacinto Tonizza, È sul pericolo per il potere coloniale causato da questa potenziale implicazione dell’evangelizzazione che si conclude il libro già citato di Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni, op. cit. pp. 438 – 439. 121 Ivi, pp. 186 – 189. C’erano stati in effetti in questo periodo, da parte italiana, progetti di “cattolicizzazione” della popolazione eritrea, ma essi furono molto velleitari e non provocarono un significativo cambiamento della politica coloniale (Ivi, pp. 169 – 197). 122 Renzo De Felice, Il Fascismo e l’Oriente: arabi, ebrei e indiani nella politica di Mussolini, Bologna, Il Mulino, 1988. 120 Gianni Isola, Abbassa la tua radio, op. cit., p. 236. Cfr. ad esempio Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, vol. II (Dal Fascismo a Gheddafi), Roma – Bari, Laterza, 1988, pp. 222 – 227. 125 Le autorità coloniali non percepivano alcuna contraddizione fra la discriminazione legale o la repressione della popolazione musulmana e il rispetto formale del suo culto. Nei campi di concentramento della Tripolitania erano morte decine di migliaia di persone, ma le autorità si erano sforzate di fare in modo che in essi fossero sempre presenti delle moschee (Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni, op. cit., pp. 265 – 266). Sulla persistenza di questa ambiguità anche nel periodo di maggiore apertura del Fascismo verso la popolazione libica, ossia il governatorato di Italo Balbo, cfr. Ivi, pp. 282 – 291. 126 Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana presso il Ministero degli Affari Esteri (da qui in poi ASMAI – MAE), Affari Politici, 76/213, 2 agosto 1932. 127 ASMAI – MAE, Affari Politici, 76/213, 5 giugno 1931. Ricordo che il Concordato non fu esteso al territorio coloniale, e che quindi le sovvenzioni alle missioni erano oggetto di contrattazione fra le autorità italiane e la gerarchia ecclesiastica (cfr. Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni, op. cit., pp. 405 – 415). 123 124 22 ex superiore della missione di Costantinopoli e grande conoscitore del mondo islamico, che seppe assicurarsi il rispetto e la stima della popolazione musulmana ed ebraica di Tripoli. Tonizza, inoltre, si relazionò in maniera molto più positiva del predecessore verso i confratelli e l’autorità coloniale. In un contesto di crescita demografica, egli curò la strutturazione in parrocchie dei luoghi di culto a Tripoli e l’edificazione della nuova cattedrale (consacrata nel 1928)128, oltre che di una serie di altri luoghi di culto; sotto di lui, inoltre, fu fondato il mensile della missione, “Famiglia Cristiana”, diretto alla popolazione cattolica della colonia129. Ormai la prospettiva era quella di una “normalizzazione” dell’ambiente cattolico, che tendeva sempre più ad essere assimilato a quello della madrepatria e a perdere le proprie caratteristiche di frontiera missionaria. Il culmine di questo processo fu la fondazione del “Collegio Serafico Missionario” (1929), diretto alla formazione di nuovi frati tratti dalle famiglie coloniali; il collegio, peraltro, non produsse mai molti nuovi missionari (anche se offrì comunque un’istruzione gratuita a molti giovani), e dovette cambiare più volte sede per scarsità di spazi e di allievi130. Il contraltare di tutta questa attività, però, era che i missionari stessi rinunciarono all’obiettivo del proselitismo. Tonizza, uomo che, come ricordato, conosceva da tempo l’ambiente musulmano, era estremamente scettico sulla possibilità di arrivare a risultati in questo campo; del resto, le poche volte che era sembrato che giovani musulmani si volessero convertire, la cosa si era risolta in una mancanza di perseveranza o in un’apostasia dopo la conversione. La mancanza di risultati (e di sforzi) in questo senso, tuttavia, era mal vista dai vertici di Propaganda Fide, i quali d’altra parte non sembravano interessarsi delle difficoltà che i missionari affrontavano per la cura della popolazione italiana131. Come scrivevano nel 1935, in risposta alla relazione annuale sulla colonia: “Per aver poi aumento delle conversioni, sarà utile formare un Padre il quale con la debita preparazione possa entrare in relazione con gli infedeli. Esiguo è il numero dei cattolici indigeni; ma se uno zelante Religioso con ottima conoscenza della lingua indigena e degli errori dominanti avvicinerà la popolazione infedele, ottenendo presso di essa il prestigio del vero missionario, sono certo che si riuscirà a propagare efficacemente la nostra fede. I Padri Francescani in Tripolitania non possono restringere l’opera loro ai soli Italiani, quasi come loro cappellani; ma essendo missionari della regione devono estendere il loro zelo a tutta la popolazione.” Un’altra, seppur minore, difficoltà della missione era data dalla divisione della comunità cattolica in due gruppi nazionali distinti, composti da Italiani (la vasta maggioranza, con 37.000 persone nel 1935) e Maltesi (2000 individui)132, i quali, come ricordato, potevano contare sull’assistenza di alcuni francescani dell’isola. I Maltesi si lamentavano del fatto che gli Italiani insistessero per assimilarli al proprio interno e far loro assumere la cittadinanza italiana, e queste polemiche si riflettevano in dissidi fra i due gruppi di religiosi133 ; dal canto loro, le autorità coloniali guardavano con sospetto i missionari isolani, in quanto questi erano sudditi britannici134. Nel corso degli ultimi mesi del 1935, al culmine della tensione per la Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 37 – 39. Sul periodico cfr. Umile Oldani, Famiglia Cristiana: Periodico religioso del Vicariato Apostolico di Tripoli. La sua gloriosa storia, Tripoli, Tip. Comm. F.lli Barbera, 1968. 128 129 Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., p. 51. Ivi, p. 47. 132 APF, NS, 39.4, 1935, prospetto. 133 APF, NS, 39.4, 1936, lettera del vescovo di Malta Mauro Carvana. 134 Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e islam, op. cit., p. 120. 130 131 23 Guerra d’Etiopia, il francescano maltese Diego Galdes collaborò col consolato inglese per assistere l’emigrazione a Malta di una quarantina di suoi connazionali, e questo portò alla sua espulsione da parte di Italo Balbo (il quale, tuttavia, si premurò di non fare assumere rilievo pubblico all’incidente)135. Tutti questi aspetti influirono sulla nomina di Facchinetti a vicario apostolico della Tripolitania, assieme ad elementi più contingenti. Nel 1935 il vecchio vicario Tonizza morì, e la sua scomparsa fu profondamente sentita anche dalle autorità civili e dalle altre comunità religiose presenti. Il candidato più ovvio alla successione era Costanzo Bergna, un veterano della missione con più di trent’anni di esperienza, che aveva già svolto a lungo la funzione di vicario generale e godeva della stima delle autorità coloniali. Per qualche anno Bergna era stato vicario capitolare della Somalia, al momento del passaggio di consegne nella regione tra Consolatini e Francescani136; tuttavia, al termine di quel periodo, egli non era stato mantenuto là come vicario apostolico, come sarebbe stato naturale aspettarsi, ed era dovuto tornare a Tripoli. Come scoprì egli stesso, mentre riordinava le carte di Tonizza dopo la morte di quest’ultimo, c’era infatti qualcosa che impediva la sua promozione. Egli aveva, a suo carico, una pendenza presso il Sant’Uffizio137. Negli anni ’10 una donna maltese di Tripoli, che si confessava da lui, aveva denunciato di avere ricevuto delle avances da parte sua. Si trattava di un’accusa che aveva molti elementi di debolezza: la donna parlava poco l’italiano, aveva già mostrato segni di squilibrio mentale (per gli anni ’30 ormai era ricoverata in manicomio) e, comunque, mantenne Bergna come proprio confessore anche in seguito al presunto fattaccio. La denuncia era stata raccolta inoltre da un religioso siciliano il quale a sua volta aveva avuto problemi disciplinari, ed era stato in seguito sospeso a divinis, e fu inoltrata a Roma da monsignor Antomelli all’epoca del culmine dei suoi contrasti con i confratelli, proprio mentre a Roma arrivava anche una relazione sullo stato del vicariato scritta (controvoglia) da Bergna, su ordine del visitatore apostolico. In pratica, era probabile che la denuncia contro Bergna fosse una vendetta di Antomelli, il quale del resto, lasciando la Libia, aveva promesso che avrebbe fatto delle vittime. Tonizza aveva in seguito appreso della questione, e si stava preparando a intervenire a Roma per riabilitare il proprio collaboratore, quando fu colpito dalla morte. L’affaire Bergna aveva gravi conseguenze. I tentativi di ottenere l’annullamento della denuncia presso il Sant’Uffizio si conclusero tutti con un non expedire, ed egli risultava quindi ineleggibile. Dato il suo ruolo di candidato in pectore, tuttavia, una sua mancata nomina sarebbe risultata in uno scandalo, che avrebbe dato adito alle supposizioni più sfrenate. D’altra parte, anche le autorità della colonia contavano in una sua elezione, e Balbo si era speso personalmente in suo favore; una mancata promozione sarebbe stata vista come un affronto, ed egli stesso aveva dato segni di irritazione dopo che erano passati mesi senza la nomina prevista. In una lettera a padre Gemelli, che conosceva da tempo138, Bergna si sfogava APF, NS, 39.4, 1936, 2 febbraio. La missione in Somalia, creata dai Trinitari e segnata da profonde difficoltà, passò nel 1924 all’Istituto della Consolata e nel 1930 ai Minori Francescani. Cfr. Lucia Ceci, Il vessillo e la croce, op. cit., p. 264. 137 La descrizione migliore della vicenda è contenuta in un memoriale che Facchinetti inviò al cardinale Sbarretti, prefetto del Sant’Uffizio, e a Propaganda Fide, rispettivamente il 4 e il 6 ottobre 1936 (APF, NS, 39.4, 1936). Il francescano infatti, una volta preso possesso della sede, si interessò al caso e cercò di agire in favore di Bergna, per scagionarlo definitivamente. I suoi sforzi dovettero ottenere un certo successo, perché l’anno successivo Bergna fu nominato prefetto apostolico della nuova sede di Dessiè (Cesare Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni, op. cit., p. 411) – non certo una collocazione prestigiosa, ma il segno che la vecchia preclusione nei suoi confronti era sparita. 138 APF, NS, 39.4, 1936, 9 gennaio. 135 136 24 della sua ingrata posizione, stretta fra un governatore sempre più freddo e una congregazione di Propaganda Fide sempre più distratta ed esigente: Lui [Balbo, nota dell’A.] aveva perorato tanto la causa e sembra che se la sia presa come un’offesa personale o come un ripicco fatto al suo nome. “Le mie benemerenze e generosità verso la missione, specialmente l’ultima della costruzione della chiesa di S. Francesco per più di mezzo milione, a nulla sono valse. Me ne disinteresserò per l’avvenire” Che cosa volevi che rispondessi? Io sono tra l’incudine e il martello. Completamente staccati da Roma, da dove nessuno si fa più vivo. A una mia lettera del Settembre scorso ha risposto gentilmente il card. Fumasoni Biondi l’altro ieri, pregandomi di interessarmi per aumentare il numero dei missionari e possibilmente di estendere ovunque l’assistenza religiosa. Gli avevo scritto che avevo comperato tre motociclette per il servizio più rapido e autonomo e dicevamo tre messe alla domenica.139 Gemelli aveva proposto di risolvere la questione trasferendo a Tripoli il vicario apostolico della Somalia e promuovendo Bergna alla sede di Mogadiscio140. Tuttavia la soluzione adottata fu quella proposta il 2 gennaio 1936 dal superiore generale dell’ordine Bello, il quale suggerì di scegliere un uomo completamente esterno all’ambiente missionario. Una nomina di prestigio sarebbe stata una spiegazione relativamente plausibile per la mancata elezione di Bergna; d’altra parte, le condizioni della missione facevano sì che un uomo di formazione “metropolitana” potesse risultare adatto a guidare quello che era sostanzialmente un gregge di Italiani, in una zona che sembrava destinata a una progressiva assimilazione alla madrepatria, e in cui scarsissima era l’attività di evangelizzazione vera e propria. Come chiariva Bello nella ponenza sul caso: Prima di parlare dei singoli candidati, conviene tener presente uno stato di fatto, per il quale la Missione della Tripolitania si distingue affatto dalle Missioni ad gentes. Nel Vicariato di Tripoli i Missionari fanno praticamente opera di assistenza parrocchiale, provvedendo alla cura di anime degli Italiani e dei pochi stranieri residenti nel Vicariato. Una vera e propria azione missionaria verso gli Arabi maomettani non esiste. Tra i Missionari non vi è alcuno arabista, cioè dotto nella lingua araba e nella legge del Corano. Qualcuno parla un poco arabo. Si fa rilevare questo stato di cose perché si tenga presente che per Tripoli può essere scelto il Vicario Apostolico anche in Italia. Conviene però scegliere un uomo di coltura, perché si interessi anche al problema maomettano.141 Una qualità che invece era necessaria a un futuro vicario era la capacità di relazionarsi col potere civile, il cui sostegno economico e logistico era essenziale per il buon andamento della missione: Conviene pure tener presente che le Autorità italiane di Tripoli aiutano in ogni modo la Missione e che quindi si impone l’attenzione di eleggere una persona che sia grata alle Autorità della Colonia o che almeno abbia attitudini a vivere, servatis servandis, in buoni rapporti con le Autorità.142 Questo fattore d’una importanza non trascurabile, se in certi ambienti può essere accodato ad altri fattori che per determinate circostanze di luogo possono aver maggior APF, NS, 39.4, 1936, 1° febbraio. APF, NS, 39.4, 1936, 9 gennaio. 141 APF, NS, 39.4, 1936, marzo (ponenza). 142 Ibidem. 139 140 25 valore, qui in Colonia invece, si deve collocarlo in primissima linea, anzi supera in un certo modo tutti gli altri fattori, poiché (non è esagerazione e l’esperienza lo conferma) costituisce la condizione =sine qua non= affinchè la nostra Missione, assai difficile, possa vivere in pace e progredire.143 Facchinetti era la persona giusta sotto entrambi questi punti di vista. Le sue doti culturali erano fuori discussione; la sua lunga frequentazione con Mussolini e la sua capacità di ottenere favori e raccomandazioni dall’autorità civile, qualità che l’ordine aveva già avuto modo di apprezzare e sfruttare, lo rendevano inoltre un ottimo candidato alla sede tripolina. Aveva dimostrato sul campo, in più di dieci anni, la sua capacità di relazionarsi con un potere fascista, e con personalità forti come Balbo o Mussolini. Facchinetti era quindi il primo nome della terna proposta dall’ordine, prima di Arcangelo Galli, docente di filosofia all’Università del Sacro Cuore, e Dionisio Mazzola144. Bello era esplicito nell’indicare che Facchinetti era preferito “ob egregias dotes quibus dictus Pater ornatus est et ob favorem quo apud auctoritates civiles merito gaudet”145. A suo favore stavano inoltre la sua conoscenza delle lingue straniere (francese e tedesco, e meno bene inglese e spagnolo) e le sue doti di organizzatore, che si accompagnavano a un certo talento in campo economico: “Est bonus administrator; hoc conjici potest quod, quamvis plures libros in lucem ediderit et saltem unum film (S. Antonii) composuerit, nunquam debita incurrit.” I dubbi semmai erano sulle sue doti morali. Per quanto Bello lo descrivesse come “miti indole; propositi tenax sed sine pertinacia; ingenio non mutabilis”, il vescovo di Bergamo, chiamato a esprimersi su di lui, lo dipingeva in termini molto meno edificanti: “P. Facchinetti non è molto conosciuto in diocesi, avendola lasciata presto. Aveva uno zio religioso francescano al convento del Cividino in diocesi, non molto lontano da Gorlago, e così si avviò ben presto alla vita religiosa. Ebbe un fratello, che appartenne alla Congregazione diocesana dei Preti del S. Cuore. Mi par che abbia anche una o due sorelle maestre, che appartengono ad una nascente Congregazione di qui, le Apostole della scuola. In complesso il predetto padre non gode molta stima in diocesi, per il reclamismo e la sua vanità. Anche con il fratello prete del S. Cuore se la intendeva poco. In diocesi si ricorda qualche volta gli ammonimenti severi che questo fratello, quando era ammalato a morte, fece a P. Vittorino. “Cessa di fare il frate mondano. Sta (sic!) maggiormente in convento”. E poi si narra abbia anche soggiunto, che “la via sua non era quella che conduce in paradiso”. Ma altro al riguardo del padre non conosco. Quand’ero a Milano ebbi più volte occasione di trattare con lui, e certo, se dovessi esprimere la mia convinzione, dovrei dire che mi sembrava troppo poco frate, per la sua vita troppo divagata e per il suo esibizionismo. Ricordo che mi fece pure cattiva impressione l’aver avuto fra le mani libri con “ex libris P.V.F.” in xilografia. A Milano, nel clero, la stima per P.F. non è molta. E penso che tanto a Milano come a Bergamo la sua promozione al posto indicato meraviglierebbe assai. APF, NS, 39.4, 1935, 10 maggio. APF, NS, 39.4, 1936, 2 gennaio. 145 APF, NS, 39.4, 1936, 21 gennaio. 143 144 26 Tuttavia Bello difese Facchinetti, attribuendo quei difetti a ingenuità e semplicità di carattere146, e ogni opposizione fu superata. Il 9 marzo quindi Facchinetti fu nominato vicario apostolico di Tripoli147, e gli fu conferito il seggio episcopale di Nicio148. Il 26 aprile, dietro sua richiesta, fu consacrato vescovo a Milano dal cardinale Dolci, protettore dell’ordine francescano149, e dopo meno di una ventina di giorni arrivò in colonia. Anche se l’accoglienza non fu calorosa, e la delusione della popolazione per la mancata nomina di Bergna si sentì150 , Balbo ringraziò della nomina151, e si impegnò ad accogliere nella maniera più cerimoniosa possibile il nuovo vicario152. In un certo senso, il ruolo di Facchinetti come vicario apostolico era simile a quello che aveva svolto nei dieci anni precedenti. La sua caratteristica principale era di essere una figura di ponte, che sapeva connettere il proprio ordine con le gerarchie fasciste, grazie alla propria inequivocabile e ostentata fede politica, alle proprie capacità propagandistiche e – in effetti – anche alla propria ostinazione nel proporre la propria figura e piatire favori. Può essere che queste qualità non lo portassero a essere un buon francescano, nell’opinione di molti religiosi e di alcuni dei suoi stessi parenti, ma le autorità dell’ordine erano ben disposte a perdonarle, se ciò garantiva loro un filo diretto col Duce e buoni rapporti con Balbo. Allo stesso tempo la nomina di Facchinetti aveva anche un altro significato, in quanto costituiva la consacrazione definitiva del processo con cui la missione si era specializzata nella cura dei coloni italiani, abbandonando le velleità di evangelizzazione. Come si è visto, questa evoluzione non era gradita a molti, in primo luogo negli ambienti di Propaganda Fide; e del resto la nomina di Facchinetti fu dovuta, più che a un consapevole cambio di strategia pastorale, alla circostanza contingente per cui l’unica scelta possibile all’interno del personale missionario era costituita da una persona ineleggibile. Ad ogni modo, l’ambiguità e gli scontri sul ruolo dei missionari non sarebbero scomparsi dopo il 1936. Un aspetto importante di questo contrasto fra le due diverse strategie pastorali del Vicariato è il fatto che l’autorità civile – da cui dipendeva il buon funzionamento della missione – parteggiasse apertamente per una di esse. Da questo punto di vista la nomina di Facchinetti, al di là delle caratteristiche personali del francescano, era una concessione – e insieme il segnale di una disponibilità a una maggiore collaborazione – verso il potere coloniale e le sue esigenze. L’arrivo dell’ex “frate microfono” nella colonia, in quest’ottica, può essere considerato una ricaduta del processo generale di accondiscendenza e accomodamento della Chiesa Cattolica verso la politica coloniale italiana a metà degli anni ’30153. APF, NS, 39.4, 1936, marzo (ponenza). APF, NS, 39.4, 1936, 10 marzo. 148 APF, NS, 39.4, 1936, 14 marzo. 149 Sulla consacrazione esiste anche un opuscolo commemorativo, A S.E. Rev.ma, op. cit. 150 ASMAI – MAE, Affari Politici, 76/213, 18 maggio 1936. 151 APF, NS, 39.4, 1936, 25 marzo. 152 ASMAI – MAE, Affari Politici, 76/213, 18 maggio 1936. 153 Lucia Ceci, Il Papa non deve parlare, op. cit. Come esempi di questa accondiscendenza si può ricordare il silenzio del Papa sulla Guerra d’Etiopia, il supporto esplicito – tollerato anche se non condiviso dal Vaticano – del clero italiano al conflitto e la sostanziale accettazione delle leggi razziali in colonia. 146 147 27 I Congressi Eucaristici Nazionali in Italia Facchinetti scrisse in seguito che già al momento della sua nomina aveva concepito l’idea di tenere a Tripoli un Congresso Eucaristico Nazionale154. Quel che è certo è che egli si mosse fin da subito per cominciare a organizzarlo; durante il suo ricevimento dal Papa prima della partenza gli parlò del progetto155, e in occasione della festa del Corpus Domini del 1936, ossia poche settimane dopo essere arrivato in colonia, egli poteva preannunciare ai Tripolini la probabile convocazione in città del Congresso, per la primavera dell’anno successivo156. All’Immacolata, infine, arrivarono la conferma e le date definitive. Facchinetti doveva conoscere bene i Congressi Eucaristici, dato che aveva svolto la sua attività di predicatore in almeno due di essi157. La convocazione di un Congresso era certamente un’occasione per esercitare le sue notorie doti di organizzatore, ma era anche il segno dell’adesione del vicario apostolico a un tipo di pietà storicamente connotato, con un significato ben definito sul piano dottrinale. I Congressi Eucaristici sono riunioni di clero e di popolo che hanno lo scopo di celebrare l’Eucarestia e discutere del culto eucaristico e delle sue possibili manifestazioni e influenze nella società. Essi hanno, perciò, oltre a un valore puramente devozionale, alcune implicazioni per quanto riguarda l’organizzazione dei Cattolici e la loro azione nella società. Come sintetizzava un opuscolo pubblicato in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale di Teramo del 1934: Perché si celebra il Congresso Eucaristico? 1) Per dare un fervido e solenne omaggio di fede, di amore e di riconoscenza a Gesù Sacramentato. 2) Per prendere edificazione dalla pietà e dall’entusiasmo di tanti buoni. In queste solenni manifestazioni si capisce qualche cosa della grandezza e dell’importanza della nostra santa religione, e nell’esempio degli altri si impara a vincere il rispetto umano e a praticare più fedelmente la nostra fede. 3) Per istruirsi meglio nella dottrina riguardante la SS. Eucarestia.158 Strutturalmente, quindi, la forma del Congresso rinvia a un piano pubblico e collettivo della fede. Oltre a ciò, comunque, era lo stesso culto eucaristico del periodo ad avere presupposti teorici e connotati ideologici ben precisi. Nel corso del XIX secolo, com’è noto, la pietà intransigente rilanciò e risignificò vecchie forme devozionali, come il Sacro Cuore o l’Immacolata Concezione, con lo scopo di combattere le novità moderne e la costruzione di una società e di uno Stato che prescindevano dal Cattolicesimo. Anche l’Eucarestia poteva essere utilizzata in questo senso: l’accentuazione dell’aspetto sacrificale della vicenda di Cristo, che trovava un simbolo visibile e concreto nell’ostia, richiamava infatti gli oltraggi che 154 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 9. Dalle memorie di monsignor Facchinetti, dattiloscritto. Il trionfo eucaristico nella solennità del Corpus Domini, “Famiglia Cristiana”, vol. 13, n. 7 (luglio 1936), p. 26. Quell’anno la festa cadeva l’11 giugno. 157 VI Congresso Eucaristico Nazionale: Bergamo, 8 – 12 settembre 1920, Torino, Off. Poligraf. Subalpina, 1920 (?) (da qui in poi Atti Bergamo), p. 269 e Atti del VII Congresso Eucaristico Nazionale: Genova, 5 – 9 settembre 1923, Genova, Tip. G.B. Marsano, 1925 (da qui in poi Atti Genova), p. 351. 155 156 158 Teramo, XI Congresso Eucaristico Nazionale: Guida­ Ricordo, Teramo, Soc. Anonima Tipogr. Il progresso, 1935. 28 il Messia aveva subito, e questi potevano essere sia quelli sofferti durante la Passione storica, sia quelli che venivano perpetrati ad opera del mondo moderno che “rinnegava” Cristo, e che quindi veniva assimilato ai suoi carnefici. A livello simbolico agiva inoltre l’identificazione dell’ostia, “prigioniera” nel suo tabernacolo, con il Papa “prigioniero” in Vaticano159, e oggetto di una crescente venerazione personale alla fine dell’Ottocento160. Agli oltraggi recati a Cristo e al suo vicario, e rappresentati concretamente nell’ostia, i fedeli erano chiamati a riparare con la loro devozione. L’aspetto penitenziale del culto eucaristico poteva quindi essere interpretato come una riparazione per l’apostasia moderna, nell’ottica di una futura restaurazione dell’ordine cristiano della società161. L’Eucarestia si prestava quindi ad essere valorizzata in senso intransigente; del resto, nei due secoli precedenti, essa era già stata risignificata in senso antigiansenista162. I Giansenisti infatti, a causa del proprio rigorismo morale e della loro enfatizzazione dell’indegnità del fedele, predicavano un accesso poco frequente al sacramento della Comunione, per timore che ad esso ci si accostasse in stato di peccato. In reazione a questa dottrina, Zelanti e Gesuiti raccomandarono una frequente Comunione, e quest’aspetto sarebbe passato in seguito alla mentalità intransigente. Sebbene anche gli Intransigenti enfatizzassero lo stato di peccato dell’uomo, infatti, la Comunione poteva concedere ai fedeli le forze con cui mantenere la purezza della fede e della dottrina di fronte agli assalti del mondo moderno; il pericolo di accedere al sacramento in stato di indegnità morale era compensato dai benefici spirituali che da esso sarebbero comunque derivati163. Il passaggio da un sacrificio eucaristico semplicemente rappresentato agli occhi della maggioranza dei fedeli a uno maggiormente interiorizzato e partecipato andava inoltre incontro a una sensibilità patetica di stampo romantico, diffusa anche in ambito religioso164. La pratica della frequente Comunione, infine, trovò una definitiva consacrazione (e valorizzazione in questo senso) ad opera di papa Pio X165. Su un piano meno teorico si può infine notare come le origini dei Congressi Eucaristici siano strettamente legate allo sviluppo della devozione ottocentesca al Sacro Cuore, di cui sono ben note le implicazioni sul piano politico e sociale166. L’opera che li promosse fu fondata nel 1881, grazie all’azione di monsignor Louis – Gaston de Ségur, uno degli ecclesiastici più impegnati nella risignificazione politica dell’altro culto. Le origini della nuova forma Annibale Zambarbieri, I congressi eucaristici italiani tra Ottocento e Novecento di fronte ai mutamenti culturali e allo sviluppo economico – sociale, in Massimo Marcocchi (a cura di), I congressi eucaristici nella Chiesa e nella società in Italia, Milano, Vita e Pensiero, 1983, pp. 14 – 15. 160 Emma Fattorini, Italia devota, op. cit., pp. 38 – 40. 161 Sul tema dell’espressione del pensiero intransigente nella devozione cattolica nell’età contemporanea cfr. Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., pp. 159 – 166. 159 Anche durante gli stessi Congressi, del resto, il culto eucaristico si accompagnò talvolta alla polemica antigiansenista. Cfr. Atti del X Congresso Eucaristico Nazionale di Loreto: 10 – 14 settembre 1930, Recanati, Tip. Pupilli, 1935, da qui in poi Atti Loreto, p. 188. 163 Antonio Rimoldi, Profilo storico dei congressi eucaristici nazionali, Milano, Centro Direttivo del Comitato per la preparazione del XX CEN, 1981, pp. 5 – 6. 162 Emma Fattorini, Italia devota, op. cit., pp. 35 – 36. Sulla politicizzazione del culto eucaristico in questo periodo, cfr. Maria Paiano, Culto eucaristico e società sotto il pontificato di Pio X: “L’Aurora nel secolo del sacramento” e le leggi di separazione in Francia, “Rivista di Storia del Cristianesimo”, vol. 5, n.2, 2008, pp. 527 – 529. Ricordo che Pio X incoraggiò l’accesso più frequente alla Comunione, e rese più lasche le norme per riceverla. 164 165 Cfr. Daniele Menozzi, Sacro cuore: un culto fra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Roma, Viella, 2001. 166 29 devozionale però non risalgono a lui ma a Emilie Tamisier, appartenente alla congregazione delle ancelle del SS. Sacramento; lei, a quanto scrisse, ebbe l’illuminazione di dedicare la propria vita alla “salvezza della società per mezzo dell’Eucarestia”, quando assistè al pellegrinaggio che un centinaio di deputati cattolici monarchici compì a Paray‐le‐Monial nel 1873, e alla consacrazione della Francia al Sacro Cuore che essi effettuarono. Per quanto la Tamisier non avesse una carica ufficiale all’interno dell’Opera, i legami informali fra lei e Ségur e gli altri ecclesiastici francofoni che se ne occupavano rimanevano stretti. Queste persone, a loro volta, erano in stretto contatto con quelle che animavano la “Société du règne social de Jésus – Christ” a Paray–le–Monial – la località in cui erano avvenute le visioni di suor Alacoque sul Sacro Cuore, e che era diventata la sede di questa devozione167. Con la “Société” essi diffondevano una devozione al Sacro Cuore dal forte rilievo pubblico, improntata per l’appunto all’auspicio di un avvento del “regno sociale” di Cristo, ossia alla restaurazione di una società improntata alla dottrina cattolica168. È in questa temperie culturale, di impronta marcatamente intransigente, che nasce e si sviluppa l’Opera dei Congressi Eucaristici169. L’organizzazione di un Congresso Eucaristico peraltro, come ricordato, di per sé permette un’applicazione di questi schemi teorici sul piano pubblico, e opera in maniera fattiva in direzione di una restaurazione dell’ordine cristiano della società. Come ricordava l’opuscolo sopra citato, un congresso è anche e soprattutto un modo con cui i Cattolici possono discutere di questi temi, e persone provenienti da vari ambienti e varie aree geografiche possono incontrarsi, stabilire relazioni durevoli, scambiarsi idee ed esperienze e concordare linee di azione; in pratica, si tratta di un’opportunità di strutturare e rafforzare le modalità di azione pubblica dei Cattolici, e di trasmettere velocemente nuovi temi e nuove proposte alla massa dei fedeli. Il dibattito pubblico condotto in questi consessi non ha quindi una valenza esclusivamente teorica e intellettuale, ma produce direttive precise in termini di organizzazione e attività sociale. I Congressi, inoltre, hanno anche una valenza simbolica molto chiara ed esplicitamente rivendicata. Si tratta infatti di veri e propri raduni di massa, caratterizzati dall’afflusso di un gran numero di fedeli e da celebrazioni pubbliche fastose e suggestive, in cui l’attenzione è catturata dalla presenza di decine di vescovi, processioni, parate e cortei. In maniera analoga a quanto succede con le nuove manifestazioni politiche che si sviluppano nel periodo, i Congressi sono un modo per mobilitare i fedeli, compattandoli in un corpo unico e superando le loro differenze, e immergerli in uno spazio simbolico che veicola dei precisi valori, che si desidera siano introiettati nelle masse170. Allo stesso tempo, essi permettono di occupare in modo visibile lo spazio pubblico, che viene quindi riconquistato, in maniera effimera ma trionfale, dai Cattolici. Significativa, in questo senso, è la descrizione della processione eucaristica finale del Congresso di Bergamo del 1920: La folla piena di fede che domina e investe e trascina gli indifferenti ed i deboli. Il populus electus che fa scomparire ogni voce ed ogni gesto che disarmonizzi colla mirabile euritmia di ogni cosa in questa ancor più mirabile giornata. La folla dei popolani e dei borghesi, degli artigiani e degli aristocratici, delle donne dalla primitiva ingenuità e degli uomini avvezzi a non batter palpebra dinanzi all’improvvisa meraviglia. La folla dei rozzi ma acuti montanari, dei contadini della pianura, degli operai, dei servi, Ivi, pp. 197 – 211. Ivi, pp. 172 – 182. 169 Daniele Menozzi, Congressi eucaristici, op. cit. 170 Sull’utilizzo di questi elementi simbolici e performativi nella vita politica del periodo cfr. George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Bologna, Il Mulino, 1975 (ed. orig. New York 1974). 167 168 30 degli studiosi, dei commercianti, dei ricchi. La folla dei bergamaschi e degli italiani del nord e del sud. La folla dei laici e degli ecclesiastici, di ogni ordine, di ogni grado. È la folla che compie il trionfo.171 D’altra parte, gli aspetti logistici di queste manifestazioni permettono di confrontarsi col potere politico e di misurare, alla prova dei fatti, la sua apertura alla Chiesa. Per esempio in Italia, dove i Congressi si diffondono in età crispina, la questione dell’autorizzazione a riunirsi in luoghi pubblici diventa all’inizio materia di scontro e contrattazione col prefetto; in seguito un rilievo simile lo assumerà la partecipazione dell’autorità civile alle celebrazioni172. Dopo il primo Congresso di Lille queste manifestazioni quindi si diffondo in fretta, e presto si strutturano secondo una precisa gerarchia. Accanto ai Congressi Internazionali, rivolti all’intero mondo cattolico, compaiono in alcuni paesi Congressi Nazionali, rivolti a singole Chiese. In Italia il loro esordio risale al 1891, e si intreccia alle attività della vecchia Opera dei Congressi e alla nuova sensibilità per la dottrina sociale della Chiesa diffusa nel periodo leonino173. Nel corso del decennio ne vengono organizzati cinque, ma in seguito, in occasione della crisi di fine secolo, essi subiscono una brusca battuta d’arresto, alla cui continuazione non era forse estranea la preoccupazione di Pio X per le possibilità che così grandi raduni di ecclesiastici offrivano alla diffusione delle idee moderniste (per quanto lo stesso Sarto, all’epoca patriarca di Venezia, avesse presieduto l’ultimo Congresso nel 1897)174. Nella stessa epoca, tuttavia, essi si diffondono e si sviluppano a livello inferiore, diocesano e regionale. Nel 1914 si prese infine l’iniziativa per una ripresa dei Congressi Nazionali in Italia, la cui organizzazione venne affidata a un comitato apposito, il cui Statuto fu approvato dalla Santa Sede; a suo capo, dopo la breve presidenza di monsignor Antonio Padovani (morto nel giro di pochi mesi), fu posto Angelo Bartolomasi, destinato a diventare ordinario castrense e, dopo la Prima Guerra Mondiale, vescovo prima di Trieste e poi di Pinerolo175. Il Congresso previsto a Ferrara per il 1915 non potè però avere luogo, a causa del conflitto scoppiato nel frattempo; e quando, giunta la pace, si ripropose la questione, quella sede non era più disponibile. Fu quindi scelta Bergamo, città nella quale il defunto vescovo Radini Tedeschi, particolarmente devoto all’Eucarestia, aveva cercato di organizzare un Congresso Eucaristico Internazionale176. I Congressi Eucaristici organizzati nel periodo fra le due guerre hanno una struttura simile. In tutti, i giorni centrali sono occupati dallo svolgimento di relazioni e discussioni su argomenti correlati al tema del congresso, in cinque sessioni distinte per sacerdoti, uomini, donne, giovani maschi e giovani femmine. Sebbene ci sia un’analogia formale con la struttura dell’Azione Cattolica177, e persone iscritte a quell’associazione vengano coinvolte di frequente, la scelta dei relatori è indipendente dalle sue strutture e dipende dal Comitato Atti Bergamo, op. cit., p. 27. Cfr. Annibale Zambarbieri, I congressi eucaristici, op. cit. 173 Annibale Zambarbieri, I congressi eucaristici, op. cit., pp. 16 – 19. 174 Antonio Rimoldi, Profilo storico, op. cit., pp. 17 – 18. 175 Sul personaggio cfr. Sante Lesti, Autorità, dovere, sacrificio. Il discorso di guerra di mons. Angelo Bartolomasi (1915 – 1918), «Rivista di storia del cristianesimo», vol. 8, n. 1, pp. 45 – 61. 171 172 VI Congresso Eucaristico Nazionale, Bergamo, 8 – 12 settembre 1920: numero unico, Bergamo, Soc. Ed. S. Alessandro, 1920, pp. 9 – 12. 177 L’Azione Cattolica italiana, fondata nel 1923 sulla base dell’associazionismo precedente, era infatti divisa fondamentalmente in quattro rami, dedicati a uomini, donne, gioventù maschile e gioventù femminile; ad essi si aggiunsero via via movimenti specializzati per settore, come la FUCI per gli universitari (Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., p. 219). 176 31 Organizzatore178. In aggiunta alle adunanze separate, inoltre, ci sono delle sessioni comuni aperte a tutti. Prima e dopo questa fase si svolgono alcune celebrazioni e funzioni religiose, fra cui grande rilievo hanno, l’ultimo giorno, l’adorazione notturna (che è un’occasione per illuminare gli edifici e le strade della città) e la trionfale processione eucaristica. Altri elementi importanti sono, ovviamente, le comunioni di massa, fra cui spicca in particolare quella riservata ai bambini e svolta all’inizio del Congresso. In generale tutti i Congressi riservano una particolare attenzione agli aspetti esteriori e performativi, che sovente hanno un peso maggiore delle sessioni di studio, le quali in genere non spiccano per originalità179. Dal punto di vista organizzativo, l’organizzazione dei singoli Congressi (previsti ogni tre anni), per quanto coadiuvata dal comitato centrale, è nelle mani di commissioni locali diocesane, divise per settore180. Esse curano un’intensa attività propagandistica, che si svolge attraverso bollettini e opuscoli riccamente illustrati181, e che porta alla creazione di manifesti, medagliette, inni, ecc… Dopo il Congresso, in genere, vengono stampati degli Atti, che ne descrivono lo svolgimento e ne raccolgono gli interventi; nei casi di Bologna e Tripoli, tuttavia, questo non è avvenuto182 , e anche la stampa degli Atti del Congresso di Loreto dev’essere stata difficoltosa, dato che è avvenuta ben cinque anni dopo il Congresso stesso. I temi dei Congressi riprendevano le linee generali della pietà eucaristica di origine ottocentesca già descritta, con un’enfasi sugli effetti pubblici del culto eucaristico, che avrebbero portato a pace e armonia fra le nazioni e nella società. In funzione di ciò, ovviamente, era rivendicato ancora una volta un maggiore ruolo pubblico dell’Eucarestia, e di conseguenza di tutta la Chiesa. L’accentuazione del carattere peccaminoso della società moderna e della necessità di una devozione penitenziale e riparatrice, del resto, era ben presente nel pontificato di Pio XI183. Una continuità con la spiritualità precedente è visibile anche in altre immagini o tópoi relativi al culto eucaristico, come l’accostamento fra Papa ed Eucarestia, associate magari all’Immacolata in un candido trittico184, o l’accentuazione dell’intensità della devozione eucaristica nelle terre di missione, maggiore di quella riscontrabile in un’Europa allontanatasi dalla fede dei padri185 e causa del maggiore successo dei missionari cattolici rispetto a quelli protestanti186. Cfr. Comitato Permanente dei Congressi Eucaristici in Italia, Statuti e regolamenti pei comitati per i congressi eucaristici, Montalto Marche, Tipografia dell’Istituto Sisto V, 1927, p. 12. 179 Alberto Occhioni, Formazione eucaristica e presenza nella società nei congressi eucaristici italiani tra le due guerre mondiali, in Massimo Marcocchi (a cura di), I congressi eucaristici, op. cit., pp. 51 – 52. 180 Sull’organizzazione dei Congressi, cfr. Comitato Permanente dei Congressi Eucaristici in Italia, Statuti e regolamenti, op. cit. 181 Si ha spesso l’impressione che le immagini fossero più rilevanti e significative degli articoli. Il “numero unico” preparato per il Congresso di Loreto era descritto, negli Atti, come dotato di “26 illustrazioni lumeggiate da opportuni articoli” (Atti Loreto, op. cit., pp. 54 – 55). 182 Luciano Gherardi afferma di averli potuti consultare dattiloscritti presso la segreteria del Comitato Permanente Italiano per i Congressi Eucaristici (Luciano Gherardi, I Congressi eucaristici a Bologna dal 1927 al 1977: nell’arco dei Congressi la nostra storia, Bologna, Centro Editoriale Dehoniano, 1986, p. 30), al cui archivio però io non sono riuscito ad accedere, nonostante le mie richieste presso il Comitato stesso. 183 Guido Verucci, La Chiesa nella società contemporanea, Roma – Bari, Laterza, 1988, p. 79. 184 Cfr. Atti Bergamo, op. cit., p. 261 e Atti Genova, op. cit., p. 344. Sugli antecedenti di questo accostamento, cfr. Maria Paiano, Culto eucaristico e restaurazione di una società cristiana, “L’Aurora del secolo del sacramento” sotto il pontificato di Leone XIII, “Rivista di Storia del Cristianesimo”, vol. 2, n.1, 2005, pp. 124 – 125. 178 Atti Genova, op. cit., pp. 155 – 156. Guido M. Conforti, L’Eucarestia e le Missioni Cattoliche: discorso pronunciato da Monsignor Guido M. Conforti Arcivescovo­Vescovo di Parma Presidente dell’Unione Miss. del Clero Italiano al Congresso Eucaristico Nazionale di Palermo il giorno 6 settembre 1924, s.l., s.n., s.d. (1925?), p. 9. 185 186 32 Un tema estremamente rilevante, oltre che delicato, è costituito dal rapporto fra religione, patria e governo. Il periodo si aprì con la vittoria nella Prima Guerra Mondiale, un conflitto che aveva segnato, in Italia, la definitiva integrazione dei Cattolici all’interno della vita politica e del discorso nazionale; quindi proseguì con un regime nazionalista che ricercò l’appoggio della Chiesa Cattolica e concluse con essa un Concordato. Questo contesto di progressiva nazionalizzazione e fascistizzazione del Cattolicesimo italiano, che ebbe il suo culmine alla metà degli anni ’30, si rifletté anche nei Congressi Eucaristici. Se a Bergamo, nel 1920, ci si era limitati a esprimere la gioia della vittoria e della conquista delle “terre irredente”187, nel corso degli anni si erano accentuate la natura cattolica della nazione italiana, unificata dalla propria fede188, e le benemerenze del Regime verso la Chiesa189. Infine, a Tripoli, Facchinetti avrebbe dato una connotazione decisamente fascista e nazionalista al “proprio” Congresso, programmaticamente destinato, fra le altre cose, a rendere grazie al Cielo per la conquista dell’Etiopia190. Non era però solo l’orgoglio nazionale a innervare i Congressi, ma anche identitarismi e patriottismi locali, che fornivano tra l’altro un consistente armamentario simbolico (ogni volta diverso e caratteristico) ai singoli eventi. Così, per esempio, nel Congresso di Bergamo del 1920 furono rievocati il Carroccio e Pontida, mentre in quello di Genova due anni più tardi la partecipazione ligure alle Crociate; per il Congresso di Teramo del 1934, invece, si sprecarono i riferimenti alla vigoria della gente abruzzese e alla collocazione del Congresso nel centro geografico dell’Italia. Era inoltre riservata una particolare attenzione ai culti e alle devozioni locali191. Si trattava di identità che non venivano solo richiamate simbolicamente, ma anche esplicitamente rivendicate: al Congresso di Loreto del 1930 il cardinal legato salutò la città “come piceno e come italiano”192. Del resto, molti dei congressi (quelli di Bologna, Loreto e Teramo) erano stati pensati su una scala regionale e diocesana prima che nazionale, e probabilmente questa impostazione portò a un’accentuazione dei loro tratti campanilistici. D’altro canto, località minori come Loreto potevano approfittare dei Congressi per costruire opere pubbliche, come una nuova stazione193. Il Congresso di Bergamo del 1920 si svolse in un momento di grande tensione sociale, in cui, anche nella città lombarda, avvenivano occupazioni di fabbriche194. Ciò poneva in rilievo la validità dell’attivismo sociale e organizzativo cattolico nella diocesi, che poteva essere definita “la più organizzata d’Italia”195; un relatore raccomandava quindi di aumentare l’attivismo VI Congresso Eucaristico Nazionale: Bergamo, 8 – 12 settembre 1920, Bergamo, Stab. tipo – litografico Pietro Brevi, 1920, p. IV. 187 Atti Genova, op. cit., p. 343. Cfr. ad esempio Atti Loreto, op. cit., p. 287 o Atti dell'XI congresso eucaristico nazionale: Teramo 4­8 settembre 1935 (da qui in poi Atti Teramo), Teramo, Casa editrice tipografica teramana, 1938, p. 76. 190 Da questo punto di vista, significativa è la consonanza con la periodizzazione dei rapporti fra Cattolicesimo e Fascismo proposta da Renato Moro, che individua un cattolicesimo nazionale (o nazionalista) prima della Conciliazione, un nazional – cattolicesimo successivo, ormai integrato all’interno del Fascismo, e infine in un “universalismo cattolico – fascista” all’epoca delle Guerre d’Etiopia e di Spagna, che segna il culmine dell’avvicinamento e della commistione fra i due (Renato Moro, Nazione, cattolicesimo e regime fascista, op. cit., pp. 137 – 145). 188 189 Cfr. il ritratto della beata bolognese Imelda Lambertini in In ricordo: IX Congresso Eucaristico Nazionale: Bologna, 7­8­9­10­11 settembre 1927, s.l. (Bologna?), La Grafica Emiliana, s.d. (1927?), pp. 4 – 6. 191 Atti Loreto, op. cit. p. 295. Ivi, pp. 52 – 53. 194 Atti Bergamo, op. cit., p. 257. 195 VI Congresso Eucaristico Nazionale, Bergamo, 8 – 12 settembre 1920: numero unico, op. cit., p. 57. 192 193 33 verso gli operai, in funzione antisocialista196, anche se comunque, in un altro intervento, si precisava che le finalità puramente assistenziali dovevano essere subordinate a quelle religiose197. L’altro tema caldo del momento era la guerra, che veniva richiamata anche nella lettera di benedizione del Papa, e i cui straschichi potevano essere risolti dalle capacità pacificatrici dell’Eucarestia198. A proposito della guerra, peraltro, i Cattolici potevano rivendicare lo spirito di sacrificio che era stato inculcato ai propri fedeli dall’Eucarestia, e che era stato così utile nel corso del conflitto199; non mancava però un’attenzione anche agli effetti di laicizzazione e allontanamento dalla religione prodotti dalla guerra, e che il clero con cura d’anime non poteva non notare nei reduci200. Il Congresso successivo si svolse a Genova nel settembre del 1923, in un periodo quindi in cui il nuovo governo fascista, impegnato a consolidarsi e ad accreditarsi agli occhi dell’opinione pubblica, tendeva a proporsi come un interlocutore affidabile della Chiesa, a scapito dello stesso Partito Popolare201 . Il Congresso fu quindi agevolato dalle autorità: il ministro dell’Istruzione Gentile rese disponibili le scuole per alloggiare i partecipanti, il ministro della Guerra Diaz fornì ad essi coperte militari e la Marina si impegnò a partecipare alla processione finale con idroplani e siluranti, salvo poi utilizzare solo una nave, a causa della mobilitazione causata dalla Crisi di Corfù con la Grecia202. Anche nella partecipazione operaia al Congresso si vedeva un segno del miglioramento della situazione politica, che vedeva ora il governo collaborare con profitto con la Chiesa203. D’altra parte, anche i vertici dell’Azione Cattolica poterono approfittare del Congresso per fare il punto sulla libertà dell’associazionismo religioso, riunendosi nello studio del presidente Camillo Corsanego204. Anche a livello municipale, del resto, era evidente una volontà di collaborazione: la giunta cittadina ricevette i vescovi partecipanti in Municipio, dove il sindaco tessé le lodi della storica devozione di Genova, “città guelfa”, alla Chiesa205; va detto, però, che il Comune si guardò bene dal trasformare questo favore politico in un supporto economico, e finanziò solo la luminaria206. I richiami storici, del resto, comparivano spesso negli Atti e nel corso della manifestazione, e si richiamavano a una congerie di avvenimenti e personaggi, che andavano Atti Bergamo, op. cit. p. 52. Ivi, pp. 255 – 256. 198 VI Congresso Eucaristico Nazionale, Bergamo, 8 – 12 settembre 1920: numero unico, op. cit., p. 3. Nel pensiero legato alla pietà eucaristica, l’ostia porta alla pacificazione sociale e internazionale in quanto tutti gli uomini sono affratellati dalla comune condizione di peccatori, redenti dal sacrificio di Cristo; inoltre, l’instaurazione di un ordine cristiano nella società è l’unico modo per rendere stabile e armonica quest’ultima. Come esempio di queste tesi, si veda VF, Pasquale Baylon frate minore. Il Santo dell’Eucarestia, Milano, Tip. Romolo Ghirlanda, 1922, pp. 71 – 73. 199 Ivi, pp. 17 – 18. La valorizzazione dello spirito di sacrificio insegnato dal Cattolicesimo era del resto centrale nel discorso delle chiese cattoliche nazionali sulla Guerra, che enfatizzava il contributo della religione alla patria in pericolo (Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., pp. 195 – 196). 200 Atti Bergamo, op. cit., pp. 50 – 51. 201 Lucia Ceci, L’interesse superiore, op. cit., pp. 53 – 101. 202 Atti Genova, op. cit., p. 23. 203 Ivi, p. 345. 204 Enrico Isola, Immagini e documenti del VII Congresso eucaristico nazionale: Genova, 5 – 9 settembre 1923, in AA. VV., Un popolo che vuole la pace, lavora per la pace: Atti del Convegno relativo al VII Congresso Eucaristico Nazionale svoltosi a Genova nel 1923, s.l. (Genova?), Federazione Operaia Cattolica Ligure, s.d. (2006?), pp. 76 – 77. 196 197 205 206 Atti Genova, op. cit., p. 52. Enrico Isola, Immagini e documenti, op. cit., p. 70. 34 dalle Crociate alla proclamazione della Madonna a Regina di Genova nel 1637, dal Balilla a Colombo a Caterina Fieschi207. Tutti questi elementi erano funzionali ad enfatizzare il ruolo pubblico del culto eucaristico, e trovarono una grandiosa affermazione nella processione finale, che durò tredici ore e comprese un tratto in mare, percorso su una flottiglia che includeva la ricostruzione di un bucintoro, dotato di un altare con un baldacchino alto quindici metri, e una croce galleggiante ancora più alta208. Come commentarono gli Atti: E, in conclusione, noi possiamo e dobbiamo far rilevare quello che fu la caratteristica di questo Congresso, cioè che esso segnò un movimento pubblico ed universale intorno a Gesù Eucaristico. Tutta una società vi partecipò. Uomini e donne, grandi e piccoli, nobili e plebe si diedero la mano pel trionfo di Cristo. Il Papa, i Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti, i Cattolici di Genova e d’Italia lo vollero, l’appoggiarono, l’organizzarono; il Governo intervenne coi suoi rappresentanti e garantì l’ordine pel suo libero svolgimento; il Municipio prestò locali, imbandierò le vie, e i suoi fiduciari ebbero parte nella sua preparazione; le Autorità Militari e Marittime offersero generosamente il loro concorso per la sua buona riuscita. Si inneggiò a Cristo nelle chiese, per le vie, nel porto. Gli porsero omaggio le Truppe, la Milizia, la Marina di Stato e la Marina Mercantile. Per lui pulsarono le officine, rombarono gli aeroplani, tuonarono i cannoni. (…) Ond’è che il Congresso Eucaristico Nazionale di Genova, per grazia di Dio, per volontà di popolo e per favor di circostanze, è stato l’avvenimento che categoricamente ha riconosciuto la sovranità sociale di Cristo, e, meglio dei Congressi passati e fors’anche dei futuri, ha reso a Cristo quell’omaggio pubblico e trionfale cui Egli ha diritto come Re dei popoli e delle Nazioni.209 Il congresso successivo si tenne l’anno successivo, invece che dopo tre anni, come avrebbe richiesto lo Statuto. La diocesi di Palermo, infatti, volle organizzarne uno in concomitanza con le celebrazioni per il terzo centenario del rinvenimento della salma di Santa Rosalia, la patrona della città. L’arcivescovo annunciò la convocazione del Congresso il 15 agosto 1923, e l’avvenimento fu salutato già poche settimane dopo in occasione della chiusura del Congresso di Genova; il 25 ottobre arrivò quindi la nomina ufficiale da parte di Bartolomasi. Come spiegò il vescovo, le celebrazioni per la festa della santa erano una buona occasione per convocare un Congresso nel Mezzogiorno, dove finora non se ne era tenuto neanche uno210. La scelta non dovette però essere esente da polemiche, se durante tutta la preparazione ci si riferì ad esso solo come a un congresso “grande” o “italiano”, e solo durante le celebrazioni Bartolomasi lo proclamò solennemente “VIII Nazionale”211. Al Congresso, per la prima volta, partecipò un rappresentante ufficiale del governo, ossia il palermitano ministro delle Colonie Pietro Lanza di Scalea212. Degna di nota, inoltre, è 207 Cfr. per esempio Atti Genova, op. cit., pp. 374 – 376. Sulla lettura trionfalistica e municipalistica della storia genovese nella storiografia dell’epoca cfr. Luca Lo Basso, La storia moderna. Parte I (1858 – 1957), in Dino Puncuh (a cura di), La società Ligure di Storia Patria nella storiografia italiana, Genova, Società Ligure di Storia Patria, vol. I, pp. 159 – 183. Enrico Isola, Immagini e documenti, op. cit., pp. 70 – 76. Atti Genova, op. cit., p. 68. 210 Atti dell’VIII Congresso Eucaristico Nazionale celebrato in Palermo dal 4 all’8 settembre 1924 in occasione del III centenario di S. Rosalia (da qui in poi Atti Palermo), Palermo, Tipografia Pontificia, 1925, pp. 3 – 5. D’altra parte, dopo Palermo, si sarebbe dovuto aspettare fino al Congresso di Lecce del 1956 per un altro Congresso al Sud. 211 Ivi, p. 204. 212 Ivi, pp. 16 – 17. Cfr. inoltre Alberto Occhioni, Formazione eucaristica, op. cit., p. 38. 208 209 35 l’attenzione rivolta all’espansione del Cattolicesimo, espressa sia dalle preghiera per il ritorno a Roma dei Cristiani scismatici213, sia dall’attenzione all’attività missionaria (a questo proposito, non mancavano riferimenti polemici ai Protestanti e alla laicizzazione in corso in Europa, i cui abitanti si facevano superare in fervore dai nuovi Cristiani)214 . Non bisogna però sovrastimare questi elementi, in quanto il Congresso portò anche a produzione devozionale di carattere più prettamente privato e intimista215. Anche il successivo Congresso di Bologna nacque per esigenze prettamente locali. Fu infatti progettato come congresso regionale, e solo in seguito fu trasformato in nazionale. Purtroppo di questo Congresso non sono stati pubblicati gli Atti, il che mi impedisce di analizzarlo nel dettaglio216. Nel clima di preparazione della Conciliazione si diede particolare importanza al “connubio di Religione e di Patria”, particolarmente rilevante in una città che, come scrisse Bartolomasi, era stata scelta anche in virtù del fatto che era stata particolarmente colpita dal materialismo socialista217. I rapporti fra comitato organizzatore e autorità civili furono comunque cordiali soprattutto a livello municipale, mentre Mussolini si mostrò abbastanza diffidente verso il comitato, e fece in modo che vi fossero inseriti alcuni fascisti fidati218. Questi screzi furono forse all’origine dell’insistenza del cardinal legato Boggiani sul carattere esclusivamente religioso del Congresso219, e di un incidente diplomatico avvenuto nel corso della processione finale, da cui fu esclusa la gioventù di Azione Cattolica; di fronte ai malumori all’interno dell’associazione, l’arcivescovo di Bologna Nasalli Rocca dovette precisare che l’esclusione era stata dovuta solo a motivi logistici, e non era stata imposta dalle autorità civili220 . Ad ogni modo, a testimonianza dell’accordo esterno fra Chiesa e Regime in quell’occasione, rimane l’icastica immagine dell’illuminazione della Torre degli Asinelli, sormontata da un fascio littorio che sorregge una croce221. Dopo il Congresso di Bologna queste manifestazioni non toccarono più grandi o medie città, ma centri relativamente minori, o comunque caratterizzati da notevoli difficoltà logistiche e organizzative. Dopo l’episodio della processione di Bologna, si potrebbe pensare che questa fosse una scelta precisa, dovuta a ragioni di opportunità politica: celebrazioni in cui l’Azione Cattolica aveva un tale ruolo potevano risultare sensibili o sembrare provocatorie in grandi centri, mentre in provincia avrebbero destato meno scandalo. È un’ipotesi suggestiva, ma è destinata a rimanere tale, in assenza di documenti che la suffraghino; è inoltre un’ipotesi non necessaria, dato che la mancanza di città importanti fra le sedi dei Congressi potrebbe derivare da semplice scetticismo da parte dei loro vescovi sul rapporto costi/benefici di manifestazioni così imponenti e costose. Come si vedrà, non era facile trovare diocesi che si 213 Atti Palermo, op. cit., p. 28. Nell’ambito del Congresso si era inoltre tenuto un pontificale di rito greco, il quale venne esplicitamente accostato al culto cristiano dei primi secoli. (Ivi, p. 207). 214 Guido M. Conforti, L’Eucarestia e le missioni cattoliche, op. cit., pp. 9 – 10. 215 Emmanuel: amiamo Gesù eucarestia. Ricordo per il Congresso eucaristico di Palermo 4 – 8 settembre 1924, Palermo, Scuola tipografica Boccone del Povero, 1924. 216 Cfr. però Luciano Gherardi, I Congressi eucaristici a Bologna, op. cit., p. 30. 217 Ivi, p. 12. 218 Ivi, p. 13. A testimonianza della collaborazione con il fascismo locale è probabilmente significativo che una brochure ufficiale del Congresso si chiudesse con l’elogio di Leandro Arpinati, che aveva costruito lo stadio in cui si erano svolte alcune celebrazioni e di cui “Bologna va veramente altera” (In ricordo: IX Congresso Eucaristico Nazionale, op. cit., p. 23). Luciano Gherardi, I Congressi eucaristici a Bologna, op. cit., p. 19. Ivi, pp. 26 – 27. 221 Riprodotta in Franco Cristofori, Bologna: gente e vita dal 1914 al 1945, Bologna, Alfa, 1980, p. 159. 219 220 36 proponessero per l’organizzazione, e in un caso la candidatura fu sollecitata dallo stesso Comitato per i Congressi Eucaristici. Il Congresso di Loreto, il primo a svolgersi dopo la Conciliazione, aveva come tema le relazioni fra l’Eucarestia e la famiglia; un argomento che, per quanto suggerito dal luogo, sede della Santa Casa, era anche particolarmente d’attualità (l’enciclica “Divini illius Magistri” sull’educazione dei giovani datava all’anno precedente)222 e si prestava ad essere apprezzato dal Fascismo, i cui ideali di espansione demografica e conservatorismo morale trovavano una sponda nella dottrina cattolica sulla famiglia223. D’altra parte, l’opposizione al divorzio e l’istruzione religiosa nelle scuole erano altrettante benemerenze del governo nei confronti del magistero cattolico, come si ripetè nel corso del Congresso224. Oltre a ciò, Loreto si prestava anche per un’altra ragione a favorire l’incontro fra Chiesa e Regime, in quanto la particolarità della presenza della Santa Casa sul suolo nazionale era un’occasione per ribadire il primato dell’Italia225, in un momento peraltro in cui il Fascismo operava attivamente per fare della cittadina marchigiana un santuario riconosciuto da tutta la nazione, a scapito della popolarità della straniera Lourdes226. Anche l’associazione di Loreto con l’aviazione, già connotata in senso nazionalistico (la proclamazione della Madonna di Loreto a patrona degli aviatori era stata patrocinata anche da D’Annunzio)227, fu occasione di un nuovo incontro fra Chiesa e Stato, come dimostrò la partecipazione di una squadriglia alle celebrazioni228 e la posa della prima pietra della cappella di un aeroporto vicino229. Non mancavano però anche i motivi di attrito, in quel 1930 che aveva già visto i primi scontri sull’interpretazione dei Patti Lateranensi e sui margini di libertà dell’Azione Cattolica: in modo chiaramente polemico, una relazione rivendicò la libertà di educazione e di insegnamento della Chiesa e delle famiglie, rispetto alle quali lo Stato non doveva assumere che un ruolo complementare230. Un’altra particolarità del Congresso di Loreto fu la sua difficile organizzazione logistica, dati gli spazi ristretti a disposizione (del resto, il Congresso era nato come regionale, e fu trasformato in nazionale solo in un secondo momento). La piccolezza del luogo fu elogiata come occasione di modestia e raccoglimento spirituale, secondo il motto “quod numero inferius, re uberius”231, ma il problema fu risolto solo facendo alloggiare parte dei pellegrini nei paesi vicini232 e stimolando la partecipazione al Congresso a distanza, tramite la preghiera233 e lo scampanio simultaneo delle campane d’Italia al momento della processione eucaristica finale234. 222 X Congresso Eucaristico Nazionale di Loreto, 10 – 14 settembre 1930: numero unico, Loreto, s.n., 1931, p. 7. 223 Guido Verucci, La Chiesa nella società, op. cit. p. 52. Secondo padre Gemelli, che intervenne al Congresso, l’Eucarestia dava ai genitori la forza di “dare nuovi figli al Cielo e nuovi cittadini alla patria” (Atti Loreto, op. cit., p. 63). 224 Atti Loreto, op. cit., p. 287. 225 X Congresso Eucaristico Nazionale di Loreto, 10 – 14 settembre 1930: numero unico, op. cit., p. 32. 226 Emma Fattorini, Italia devota, op. cit., p. 73. 227 Ivi, pp. 73 – 74. 228 Atti Loreto, op. cit., pp. 80 – 81. 229 Ivi, p. 289. 230 Ivi, pp. 218 – 220. 231 Ivi, pp. 4 – 5. 232 Ivi, p. 51. 233 Ivi, pp. 27 – 28. 234 Ivi, p. 285. 37 Nel 1933, secondo il programma del Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali, la manifestazione si sarebbe dovuta svolgere a Bari235; tuttavia, all’inizio di quell’anno, il progetto dovette essere accantonato, sia a causa dell’indizione del Giubileo, che evidentemente avrebbe sottratto energie e visibilità, sia a causa di problemi nelle strutture delle diocesi (ossia la mancanza di alloggi e il ritardo dei restauri della cattedrale)236. Il progetto non fu abbandonato: un documento della fine dello stesso anno allude a un possibile Congresso Nazionale di Bari del 1937, da tenersi dopo uno progettato a Como nel 1935237. Nessuna di queste proposte però andò in porto, e la scadenza dei tre anni fu superata senza che comparisse una sede. Alla fine il Comitato sollecitò la diocesi di Teramo, che aveva organizzato un congresso regionale, a trasformarlo in nazionale, nonostante i problemi logistici che una tale scelta comportava238. Da un punto di vista retorico, nella celebrazione della manifestazione si fece spesso accenno sia alla vigoria e tenacia degli Abruzzesi, sia soprattutto alla collocazione della città al centro geografico dell’Italia, dove si assommavano la “tenacia energetica dell’Italia settentrionale con il fervido entusiasmo dell’Italia meridionale”239 e dove, soprattutto, i frutti del Congresso potevano beneficiare tutta la penisola. In questo senso era valorizzata anche la vicinanza al Gran Sasso, la più alta cima degli Appennini, dove fu collocata una croce e una statua della Madonna240. Una connotazione locale aveva anche la scelta del tema, i rapporti fra l’Eucarestia e la Sacra Scrittura, data la presenza di nuclei protestanti in Abruzzo241, specialmente sensibili al tema. Il Congresso aveva quindi una spiccata connotazione antiprotestante, che si sviluppò in due registri. Da un lato molti degli interventi affrontarono dei problemi di critica biblica242, con l’obiettivo di controbattere le interpretazioni riformate, e argomentarono in maniera relativamente sofisticata (alcuni relatori non esitarono a confrontare il testo greco del Vangelo con il latino della Vulgata, o a ricorrere alla stessa autorità di Lutero per difendere la presenza reale di Cristo nell’ostia consacrata243). Dall’altro lato, tuttavia, molti discorsi si limitavano a identificare Cattolicesimo e italianità e a vedere quindi nel protestantesimo la deprecabile infiltrazione di elementi stranieri244, in un contesto in cui la crescente tensione con l’Inghilterra (si era nel settembre del 1935, subito prima dello scoppio della Guerra d’Etiopia) favorivano l’identificazione dei Riformati con il “nemico” anglicano245. Allo stesso tempo anche il nazismo (condannato per il suo razzismo) veniva associato alla Riforma, di cui era considerata una sorte di paradossale nemesi246. Nel complesso, veniva riaffermata Archivio Diocesano di Susa (da qui in poi ADS), Angelo Bartolomasi, 23, 446, XIV, 10 dicembre 1931. Ibidem e ADS, Angelo Bartolomasi, 23, 446, XIV, 2 gennaio 1933. 237 ADS, Angelo Bartolomasi, 23, 446, XIV, 3 dicembre 1933. 238 Atti Teramo, op. cit., p. 6. 235 236 Ivi, p. 27. Ivi, pp. 33 – 37. 241 Ivi, p. 11. 242 Ivi, p. 145. 243 Ivi, p. 124 e p. 133. 244 Ivi, p. 169. 245 Ivi, p. 36. Sulla diffusione di un antiprotestantesimo xenofobo in occasione del conflitto cfr. Renato Moro, Cattolicesimo e italianità. Antiprotestantesimo e antisemitismo nell’Italia “cattolica”, in Antonio Acerbi (a cura di), La Chiesa e l’Italia: per una storia dei loro rapporti negli ultimi due secoli, Atti del Convegno, Milano, Vita e Pensiero, 2003, p. 328. 239 240 38 l’indistinguibilità fra Nazione e Cattolicesimo, unite in una sola lotta contro un’unica aggressione straniera ed eretica, come recitava uno degli inni del Congresso: Che se di lontano dai monti e dal mare, pattuglie nemiche di Patria e d’Altare, raddoppian le brame d’infranger la legge che modera il gregge di Cristo Signor. (…) Con tutti i fratelli di sangue e di fede indietro, gridiamo, qui Cristo risiede il suolo d’Italia è suol di vittoria che canta la gloria di Cristo Signor.247 246 Atti Teramo, op. cit., p. 288. L’attribuzione alla Riforma della responsabilità del razzismo nazista era in effetti un tema presente nel discorso antiprotestante del periodo. Cfr. Renato Moro, Cattolicesimo e italianità, op. cit., pp. 329 – 331. 247 Atti Teramo, op. cit., p. 330. 39 Il Congresso Eucaristico di Tripoli Se i Congressi precedenti avevano già visto una progressiva espansione del peso riservato alla nazione e al Regime, le cui sorti avevano finito per essere legate a quelle della fede cattolica, questo movimento arrivò al suo culmine nel Congresso di Tripoli. La cosa fu evidente soprattutto nelle celebrazioni esteriori, che del resto risultarono la parte più importante del Congresso, come rilevarono anche studi di impostazione apologetica editi in occasione dei Congressi successivi248. Le relazioni presentate furono meno significative, e del resto il tema scelto (“la SS. Eucarestia nella vita e nella civiltà cristiana”), di per sé, era abbastanza vago. Dalle sedute dell’Azione Cattolica249 uscì una raccomandazione a una maggiore partecipazione e devozione all’Eucarestia. Per il resto, si tennero tre conferenze principali, ad opera di Egilberto Martire, Stefano Cavazzoni e Camillo Corsanego: si trattava di due persone dalle solide credenziali fasciste (Cavazzoni era un senatore cattolico di destra, mentre Martire era stato una delle anime del Centro Nazionale Italiano, sorto negli anni ’20 per avvicinare il Fascismo alla Chiesa Cattolica) e di un ex dirigente dell’Azione Cattolica, già condannato per antifascismo250. I loro inteventi furono solo riassunti nell’opuscolo ufficiale del Congresso, di cui non furono pubblicati gli Atti, evidentemente ritenuti poco rilevanti dagli stessi organizzatori251. Solo l’intervento di Cavazzoni fu riassunto anche dall’ “Osservatore Romano”, che notava come per l’oratore la civiltà latina, e tutta quella occidentale in genere, fosse basata sull’Eucarestia252. Nel corso del Congresso si tennero altri discorsi, che probabilmente ripresero gli stilemi diffusi in quel genere di celebrazioni: un’allocuzione di padre Venturini, per esempio, usava il tema dell’associazione fra Papa ed Eucarestia253. Gli aspetti più importanti, come ricordato, furono però quelli cerimoniali e performativi, per organizzare i quali Facchinetti trovò piena collaborazione da parte di Balbo; il quadrumviro, noto per le sue capacità organizzative e per la sua inclinazione alle manifestazioni pubbliche spettacolari, non si lasciò scappare questa occasione per mettere in mostra su un palcoscenico nazionale la colonia affidata alle proprie cure. In effetti, l’esito fu fastoso. Il cardinale legato Angelo Maria Dolci254 e gran parte dei vescovi arrivarono a Tripoli su un incrociatore messo a disposizione dal governo, sul quale, una volta che fu giunto in porto, salì lo stesso Balbo a salutare. Quindi gli illustri ospiti si imbarcarono su quattro motoscafi per sbarcare sulla terraferma, mentre tutte le navi del porto erano imbandierate, veniva sparata una salva di colpi di cannone e una squadriglia di aeroplani sorvolava la zona. Dopo il saluto della banda 248 Antonio Rimoldi, Profilo storico, op. cit., p. 28. Cfr. Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 24; evidentemente, l’Azione Cattolica era ormai consustanziale all’organizzazione dei Congressi Eucaristici. Al di fuori delle strutture dell’organizzazione si tenne anche un incontro riservato al clero (Ivi, p. 21), rispettando così le tradizionali scansioni delle sedute di studio. 250 Cfr. le loro schede biografiche in Francesco Traniello – Giorgio Campanini (sotto la direzione di), Dizionario storico del Movimento Cattolico in Italia, 1860 – 1980, Casale Monferrato, Marietti, 1981. Per Corsanego vedi la scheda di Lazzaro Maria De Bernardis, vol. III/1 (Le figure rappresentative), pp. 258 – 259, per Cavazzoni quella di Giorgio Vecchio, vol. II (I protagonisti), pp. 100 – 106 e per Martire quella di Andrea Riccardi, vol. II, pp. 336 – 339. 251 Cfr. il riassunto in Il Congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., pp. 49 – 51. 252 “L’Osservatore Romano”, 15 – 16 novembre 1937. 253 “L’Osservatore Romano”, 12 novembre 1937. 254 Si trattava del cardinal protettore dell’ordine francescano, e aveva personalmente consacrato vescovo Facchinetti. La sua scelta fu però imposta da Balbo, un suo conoscente, mentre il vicario apostolico avrebbe preferito il segretario di Propaganda Fide Salotti (Cfr. Dalle memorie di mons. Facchinetti, APLFM, dattiloscritto). 249 40 seguì, lungo le strade impavesate della città, il corteo, in cui il cardinale sedette insieme a Balbo su una carrozza di gala tirata da quattro cavalli bianchi, preceduta da carabinieri e soldati indigeni a cavallo e seguita dalle automobili di scorta; infine il Congresso venne inaugurato ufficialmente nella cattedrale. Nessuno di questi elementi era originale: già a Bergamo un colpo di cannone aveva annunciato la benedizione finale255, mentre, come si è visto, a Genova al Congresso aveva partecipato la Marina Militare e a Loreto l’aviazione. L’unico elemento nuovo era l’inserimento di elementi simbolici fascisti nella musica e nelle bandiere. Dopo la Conciliazione era normale che la banda suonasse l’Inno Pontificio e che le strade fossero decorate con bandiere italiane e vaticane256; a Tripoli si aggiunsero, per la prima (e unica) volta anche l’esecuzione di “Giovinezza”257 e un vessillo nero col fascio littorio fu alternato alle altre due bandiere258. Non sorprendentemente, fu quindi il “fascistissimo” Facchinetti a fascistizzare pienamente l’apparato simbolico dei Congressi. Anche altri elementi del Congresso, del resto, avevano una doppia valenza celebrativa, religiosa e civile. Proprio in quei giorni (10 – 15 novembre) ricorreva il genetliaco del Re, e la rivista militare e il Te Deum relativi furono quindi inclusi nella celebrazioni, partecipando dello sfarzo sfoderato per il Congresso. Inoltre monsignor Bartolomasi, che associava al ruolo di Presidente del Comitato per i Congressi Eucaristici Italiani la carica di ordinario castrense, approfittò dell’occasione per visitare le truppe italiane in Libia, e altri sacerdoti lo seguirono, per celebrare messe davanti all’esercito e somministrare ai soldati Comunioni di massa. Queste messe negli accampamenti del deserto furono probabilmente il momento di maggior esotismo del Congresso, assieme a una funzione svolta fra le rovine romane di Leptis Magna. Questa valenza patriottica fu del resto utilizzata da Facchinetti per richiedere un sostegno al governo, esattamente come a suo tempo egli aveva fatto per le sue prediche. Al ministro delle Colonie Lessona egli chiese a più riprese agevolazioni e biglietti gratuiti per i partecipanti e, in una lettera del 16 maggio 1937, specificò che questo sarebbe stato un modo con cui lo Stato italiano avrebbe potuto ringraziare il clero per il lealismo e il supporto mostrato durante la Guerra d’Etiopia. D’altra parte, il Congresso sarebbe stata un’occasione di grande visibilità per la Libia italiana, ed era quindi opportuno che esso riuscisse nella maniera più sfarzosa possibile, agli occhi della popolazione indigena come di quella delle vicine colonie francesi (dove, in Tunisia, si era tenuto sette anni prima un Congresso Eucaristico Internazionale259)260. Tutte queste ragioni furono accolte dal ministro, che nella sua corrispondenza accennò al fatto che la manifestazione avrebbe attirato “l’interesse dei connazionali e degli stranieri nella nostra Africa mediterranea”261. Alla fine Facchinetti riuscì a spuntare la concessione del viaggio gratuito per i cardinali, arcivescovi e vescovi, mentre gli altri avrebbero fruito di uno sconto del 50% sui piroscafi postali262. Lessona inoltre promise che il suo dicastero avrebbe contribuito al noleggio di una nave presso la Tirrenia per il Atti Bergamo, op. cit., p. 30. Atti Loreto, op. cit., pp. 80 – 81 e Atti Teramo, op. cit., pp. 41 – 42. 257 Nello specifico, dopo il ritornello della “Marcia Reale”, vennero eseguite le prime battute dei tre inni, prima quello pontificio, e in seguito quello nazionale e quello fascista. 258 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., pp. 14 – 15. 259 Su di esso vedi Jacques Alexandropoulos, Entre archéologie, universalité et nationalismes : le trentième congrès eucharistique international de Carthage (1930), “Anabases”, n. 9, 2009, pp. 51 – 68. 255 256 ASMAI – MAE, Affari politici, 76/212. ASMAI – MAE, Affari politici, 76/212, 5 giugno 1937. 262 ASMAI – MAE, Affari politici, 76/212, 4 settembre 1937. 260 261 41 trasporto dei pellegrini, anche se in seguito dovette rimangiarsi la parola per esigenze di bilancio263. Altre strutture del governo centrale si occuparono inoltre di favorire il decoro del Congresso, e presso le carte della Presidenza del Consiglio dei Ministri è ancora consultabile un fascicolo sugli onori tributati al cardinal legato al momento della sua partenza da Roma264. D’altra parte, non erano solo Facchinetti e le autorità fasciste a insistere su questi punti: la Segreteria di Stato vaticana si interessò affinchè l’alloggio concesso al cardinal legato e ai suoi accompagnatori (sei persone in tutto, fra monsignori, camerieri e guardie d’onore) fosse ampio e decoroso, e fosse, beninteso, finanziariamente non a carico della Santa Sede265. Il maggiore benefattore del Congresso fu però lo stesso Balbo, di cui una nota di Bartolomasi elencava le benemerenze: egli aveva procurato l’incrociatore per il viaggio del cardinal legato (il che aveva comportato 200.000 lire di spesa), l’aveva ospitato personalmente nella propria villa, aveva sistemato gratuitamente i vescovi col loro seguito in due alberghi, messo loro a disposizione trenta automobili e finanziato i vari addobbi e le varie manifestazioni esterne, a cui era intervenuto e aveva fatto intervenire in forma ufficiale le altre autorità coloniali266. A ciò si aggiungeva inoltre il suo continuato sostegno per la missione, come comunicava Dolci al Papa267. Nel complesso, egli aveva fatto in modo di mostrare ogni riguardo all’ordine francescano e a Pio XI, nella persona del suo legato, e per questo ricevette una benedizione particolare da parte del Pontefice268. Il Congresso, esteriormente, riuscì quindi adeguatamente fastoso, come dimostrò poi la trionfale processione eucaristica finale per le strade di Tripoli. Ma quali contenuti veicolava? Facchinetti, nel suo discorso d’apertura, fece riferimento a tre finalità, una religiosa, una patriottica e una umanitaria269. La finalità religiosa, peraltro poco sviluppata in quel discorso, era descritta nella lettera pastorale inviata ai fedeli della Colonia per la Quaresima dello stesso anno come duplice: da un lato, essa consisteva nell’impetrazione della regalità sociale di Cristo, secondo lo schema ormai consueto nei Congressi Eucaristici. Dall’altro, essendo la manifestazione in paese di missione, i fedeli avrebbero dovuto chiedere a Dio la conversione di “pagani, ebrei, musulmani”. Si trattava, peraltro, di una richiesta che non violava il divieto al proselitismo imposto dalle autorità coloniali, e che si esplicitava con modalità (“con l’esempio, con la parola e in modo particolare con la preghiera”) di cui il vescovo conosceva bene la scarsa efficacia270. La finalità patriottica consisteva invece nel ringraziamento per la vittoria in Africa Orientale, vista nella luce del prodigio; come specificava, il fatto che tale evento fosse celebrato in La vertenza si trascinò a lungo, perché né il Comitato per i Congressi Eucaristici né la Tirrenia volevano accollarsi l’onere della perdita (corrispondente a 51.000 lire, su un totale di 200.000). Alla fine, nel 1940, fu Mussolini stesso a dover ripianare l’ammanco, ricorrendo ai fondi discrezionali della sua segreteria. Sulla vicenda vedi ACS, SPD, 192.828, lettere del 27 giugno e del 19 luglio 1940. 264 ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2.5.3184. 265 Archivio Segreto Vaticano (da qui in poi ASV), Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15, 12 ottobre 1937. Tra le altre cose, Pacelli raccomandava che il cardinale avesse a disposizione una cabina – cappella sul piroscafo e un salone per i ricevimenti nel suo alloggio a Tripoli. 266 ASD, Angelo Bartolomasi, 23, 446, IX, s.d. 267 Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15, 20 novembre 1937. 268 Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15, s.d. 269 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., pp. 15 – 17. 270 Lettera pastorale per la quaresima del 1937. Preparazione al Congresso Eucaristico, XII nazionale, I intercoloniale, Tripoli, Maggi, 1937, pp. 10 – 11. 263 42 un’assemblea religiosa era il frutto della Conciliazione, che veniva indicata come un merito innegabile del Fascismo: Dal momento, che grazie a Dio non ci troviamo più nei tempi dolorosi nei quali pareva vietato ai Cattolici italiani di unire nel fremito e nel palpito di un medesimo giocondo amore le due più nobili ed eccelse finalità della vita: la Chiesa e la Patria; ma ovunque oggi nell’Italia nostra benedetta e nelle sue più lontane Colonie, in seguito in modo particolare alla Conciliazione, premio e corona degli sforzi generosi e leali di uomini di buona volontà, regnano l’intesa, la concordia, l’armonia più bella e più cara, nessuno può rimanere indifferente alle prove ed alle battaglie della dolce Penisola, non meno che ai suoi trionfi ed alle sue vittorie, specialmente quando sanno di prodigio. È quanto si degnava farmi notare l’Augusto Pontefice in una indimenticabile udienza, concessami alla vigilia della mia venuta a Tripoli e all’indomani dell’entrata delle nostre truppe in Addis Abeba: “Digitus Dei est hic”. Bisogna riconoscerlo: si tratta di un grande, strepitoso avvenimento, date le circostanze a tutti note che accompagnarono la nostra campagna in Africa Orientale – ed è giusto e doveroso ringraziarne pubblicamente l’Altissimo271. Infine c’era la finalità umanitaria, ossia l’impetrazione per la sconfitta del bolscevismo, in Spagna e nel mondo272. Significativamente, la lotta anticomunista non era vista come una scelta politica o un dovere patriottico, ma come una necessità prepolitica, che vedeva schierate in campo solo “forze dell’ordine” e forze “del disordine” – un’interpretazione rigidamente manichea che corrispondeva effettivamente alla lettura cattolica della Guerra Civile Spagnola (in cui il campo repubblicano era sbrigativamente appiattito sulla sua componente più estremista)273 e dell’attivismo comunista. Il cardinal legato nella sua allocuzione inaugurale riprendeva il tema della lotta al bolscevismo, che era però interpretato soprattutto come ateismo, “assetato di odio e armato di dinamite”, e di cui si enfatizzava la radicale opposizione ad “ogni principio di ordine, di vera giustizia e di sana libertà”274. Inoltre si soffermava sulla finalità missionaria del Congresso Eucaristico, i cui benefici venivano per la prima volta275 estesi all’Africa; lo sforzo di Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 16. Una precisazione richiede la frase del Papa, dato che il Pontefice era personalmente contrario alla Guerra d’Etiopia, per la quale cercò (sia pure in maniera velleitaria) di trovare una soluzione diplomatica. Egli, tuttavia, non condannò mai pubblicamente il conflitto in maniera esplicita, e all’indomani della proclamazione dell’Impero, felicitandosi della “letizia trionfale del popolo italiano”, diede ai Cattolici italiani l’impressione di aver sostenuto la conquista (Lucia Ceci, Il Papa non deve parlare, op. cit.; sulla frase in questione cfr. p. 159). È probabile che anche nel colloquio con Facchinetti, se usò la frase, egli l’abbia inserita in un discorso meno nazionalista di come lo descriveva il vicario, ma abbastanza ambiguo da poter essere interpretato in quel modo (soprattutto da un fascista convinto come il frate). Ad ogni modo il discorso del vescovo non fu smentito da “L’Osservatore Romano”, ed è probabile che la citazione del Papa non sia stata particolarmente notata. 272 Si veda il testo della pastorale: “Infine, date le lotte sanguinose che straziano alcune nazioni d’Europa – la povera Spagna specialmente, un tempo così cristiana, generosa, cavalleresca – in preda alla guerra civile, perché invase dalla barbarie bolscevica, noi vogliamo fin d’ora, in vista del nostro Congresso, adunare in un convegno ideale, per una crociata di preghiere, tutte le anime fervorose, allo scopo di scongiurare l’Altissimo perché cessi il grave pericolo che, per il propagarsi del comunismo ateo e selvaggio, incombe sulla civiltà cristiana. Lo esige la solidarietà umana, oltre che la fraterna carità.” Lettera pastorale per la quaresima del 1937, op. cit., p. 12. 273 Cfr. Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., pp. 204 – 205. Sul tema cfr. inoltre Alfonso Botti, “Guerre di religioni” e “crociata” nella Spagna del 1936 – 39, in Mimmo Franzinelli – Riccardo Bottoni (a cura di), Chiesa e guerra: dalla “benedizione delle armi” alla “Pacem in terris”, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 357 – 389. 271 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 20. In realtà non era così dato che, come ricordato, solo sette anni prima c’era stato addirittura un Congresso Internazionale in Tunisia. 274 275 43 evangelizzazione a cui si riferiva il cardinale era però soprattutto rivolto all’Africa subsahariana, e in particolare all’Etiopia, più che a quella mediterranea e islamica276 . Riferimenti all’evangelizzazione si ritrovano anche nella lettera apostolica con cui Pio XI benedì il Congresso Eucaristico, e nella quale però l’attenzione era incentrata sul passato paleocristiano della Tripolitania, che veniva rinnovato dalla cerimonia; nello stesso senso andava inoltre il riferimento al Congresso Eucaristico Internazionale tenuto a Cartagine nel 1930, e che era stato caratterizzato in quel modo (come emergeva dalla scelta del sito, preferito a Tunisi, oltre che dall’ambientazione di molte cerimonie tra le rovine)277: E non mancano in quella regione storici monumenti, che hanno tramandato lungo il corso dei secoli fino ai nostri tempi i primordi della fede cristiana e del culto eucaristico. Rimangono infatti gli elenchi dei vescovi, che sulla fine del secondo e del terzo secolo furono preposti alle Chiese della Tripolitania; rimangono inoltre i resti delle antiche basiliche e le formole liturgiche conservate negli antichi cimiteri cristiani, che le ingiurie del tempo lungamente trascorso non han potuto cancellare; rimangono soprattutto i graffiti coi simboli del pesce e del calice, che manifestano con tanta evidenza il culto eucaristico in quella regione. Meritatamente dunque la Tripolitania è stata scelta per tenere questo Congresso affinchè, confluendo colà i cattolici da tutte le parti d’Italia, col sincero amore per la religione e con la magnificenza dei sacri riti, si rinnovino gli antichi splendori della fede e della pietà, e la società cristiana riceva un grande incremento.278 I riferimenti all’antica chiesa africana, peraltro, erano un tópos all’interno del discorso missionario, e permettevano un facile incontro con la retorica nazionalista italiana sul passato romano della Libia, che tanta parte aveva e aveva avuto nel giustificare la sua colonizzazione: lo stesso bollettino del Congresso (pubblicato insieme a “Famiglia Cristiana”) si intitolava “Lauda Oea Salvatorem”, riprendendo il vecchio nome fenicio e romano di Tripoli. Il tema della connessione con il passato cristiano dell’Africa poteva del resto sia essere una maniera per “cristianizzare” il nuovo discorso imperiale italiano ed evitare che esso si accompagnasse a una apologia del paganesimo, in linea con uno sforzo analogo compiuto dal resto del Cattolicesimo italiano del periodo279, sia un’altra maniera per valorizzare la storia missionaria dell’ordine francescano, che aveva connesso l’eredità paleocristiana con il recente colonialismo280. Come specificava un articolo pubblicato su “Frate Francesco”: La Libia sta facendo il suo abbigliamento geografico restituendo alle risorte città i nomi di Roma che ormai non vivevano più che nella nomenclatura ecclesiastica coi Vescovi e Arcivescovi titolari, cui pareva affidato dalla Chiesa il compito di tener viva la fiamma del Ibidem. Dolci richiamava esplicitamente Daniele Comboni, San Frumenzio (il fondatore della Chiesa Etiopica), il cardinal Massaia, il venerabile De Jacobis e il cardinal Lavigerie; di questi, solo l’ultimo aveva svolto la propria opera nell’Africa del Nord. 277 Jacques Alexandropoulos, Entre archéologie, universalité et nationalismes, op. cit. Va comunque ricordato che, nonostante la scelta della località, lo svolgimento di un Congresso cattolico fu percepito come provocatorio da parte di vasti settori dell’opinione pubblica musulmana tunisina, anche a causa delle spese di organizzazione addossate al governo locale. 278 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 4. Il tema era stato toccato anche dal cardinal legato in un discorso pronunciato appena giunto in Libia prima dell’apertura ufficiale del Congresso, e che non fu pubblicato sull’opuscolo ufficiale. Cfr. “L’Osservatore Romano”, 11 novembre 1937. 279 Cfr. Renato Moro, Il mito dell’impero in Italia fra universalismo cristiano e totalitarismo, in Daniele Menozzi – Renato Moro (a cura di), Cattolicesimo e totalitarismo: Chiesa e culture religiose tra le due guerre mondiali (Italia, Spagna, Francia), Brescia, Morcelliana, 2004, pp. 313 – 372. 276 L’interpretazione delle missioni francescane come un esempio di espansione italiana era un elemento chiave della lettura nazionalista di san Francesco. Cfr. Daniele Menozzi, “Il più italiano dei santi”, op. cit., p. 96. 280 44 cristianesimo sui deserti dell’Africa Mediterranea isteriliti più che dal sole dall’aridità sterminante dell’invasione mussulmana. (…) La vocazione africana di S. Francesco diviene per l’Italia una attualità proprio mediterranea. Quanti Vescovi Minoriti da sette secoli non han portato e non portano tuttora questi nomi vivi di città morte per annunciarne un giorno la cristiana resurrezione? E non sono stati forse i Frati di S. Francesco che mai abbandonarono anche sotto la più avversa fortuna le sponde asiatiche e africane del Mediterraneo per tenerne almeno idealmente il possesso in nome di Cristo?281 In breve, cinque grossi temi caratterizzarono il Congresso: il richiamo al passato romano e cristiano della Libia, l’evangelizzazione della popolazione indigena, l’esaltazione dei successi mondani (connotati in senso fascista) della nazione italiana, l’anticomunismo e la restaurazione dell’ordine cristiano. Se i primi due temi erano peculiari del Congresso di Tripoli, e legati alle specificità del vicariato, gli altri riprendevano argomenti comuni a tutti i Congressi Eucaristici. Tutti questi temi, comunque, erano anche legati in maniera peculiare al pensiero di Facchinetti. 281 Giuseppe De Mori, La vocazione africana di S. Francesco e l’Italia Imperiale, in “Frate Francesco”, anno 9, n. 4 (luglio – agosto 1936), p. 206. Su De Mori, giornalista vicentino direttore dell’Ufficio stampa dell’AC, cfr. la voce scritta da Ermenegildo Reato in Dizionario storico del movimento cattolico, op. cit., vol. III/1 (Le figure rappresentative), p. 306. 45 Il pensiero di Facchinetti e il Congresso Si è già visto come Facchinetti avesse adottato, nella sua predicazione, un atteggiamento nazionalista e filofascista. Egli non esaltava l’Italia e il Regime in una prospettiva semplicemente filocattolica, ma in quanto tali: durante la Prima Guerra Mondiale aveva quindi fatto esplicito riferimento all’irredentismo e alla difesa dei trattati violati dalla Germania282, e nel suo volume Le nostre idealità: la famiglia, la patria e la religione esaltò la bandiera italiana e il giuramento di fedeltà al Duce e al Re283. Per lui la nazione italiana era unita non solo dalla sua cultura, di impronta marcatamente cattolica, ma anche da fattori geografici e genetici284, e la sua espansione in Etiopia non era giustificata con velleità missionarie, ma con motivazioni prettamente “laiche”, ossia “dar terra, pane e lavoro ai prolifici abitanti di un glorioso Paese, bonificato fino all’estremo limite, e [per] aiutare, nel contempo, l’evoluzione progressiva di un popolo semibarbaro”285. Facchinetti era molto esplicito nel descrivere come la stessa morale cattolica potesse essere funzionale a una preservazione della sanità della stirpe dalle connotazioni marcatamente biologiche: L’impurità, specialmente, e l’intemperanza o l’alcoolismo, ecco quello che potrebbero essere le cancrene della patria. Gli antichi chiamavano Venere “la sanguinosa”: la sfrenata lussuria lancia sulle nostre vie generazioni di smidollati e di squilibrati, avvelena la gioventù, uccide la schiatta; mentre l’abuso delle bevande alcooliche popola i manicomi, le cliniche e le case di salute, quando non assassina subdolamente per intossicazione. Malediciamo, quindi, con tutte le nostre forze di cristiani e d’italiani, ogni stravizio che potrebbe diventare un flagello nazionale; pratichiamo la morigeratezza e la temperanza, osserviamo le prescrizioni igieniche, amiamo l’aria libera dei campi e dei monti, più di quella mefitica dei pubblici ritrovi, esercitiamoci anche nella ginnastica e soprattutto alleniamoci nelle virtù evangeliche, che non sono soltanto la salvezza degli individui, ma anche delle famiglie e della società. In tal modo potremo tramandare ai posteri un sangue robusto e generoso, ricco di vitali energie.286 Nel pensiero di Facchinetti, quindi, non c’era una contraddizione fra la società italiana che andava costruendo (o che sperava di costruire) il Fascismo e la società cristiana la cui edificazione rimaneva lo scopo della dottrina intransigente; in lui, per esempio, non si ritrova alcun accenno alla distinzione fra “nazionalismo immoderato” e “nazionalismo sano” (in quanto conforme ai principi cattolici), attraverso la quale il magistero pontificio riuscì a non condannare in toto il nazionalismo del periodo287. Questa visione si integrava con l’aspirazione a una società ierocratica ed organica che caratterizzava il movimento eucaristico, e di cui lui accolse la tesi principale (il culto all’Eucarestia como mezzo per ottenere l’armonia sociale, su un piano interno e internazionale) già molto prima di 282 283 VF, Nell’ora che volge, op. cit., pp. 19 – 20. VF, Le nostre idealità: la famiglia, la patria e la religione, Brescia, Queriniana, 1936, p. 136. Ivi, pp. 85 – 96. Ivi, p. 142. Motivazioni del genere, del resto, erano comuni anche a molti altri religiosi, specialmente a quelli il cui livello culturale permetteva di avvertire l’estraneità (oltre che l’inopportunità) di motivazioni missionarie alla Guerra d’Etiopia. Per una ricostruzione, ad esempio, dell’atteggiamento di “Civiltà Cattolica”, cfr. Massimiliano Nastri, La dottrina di Civiltà Cattolica e la guerra d’Africa, “Atti dell’Accademia Pontaniana di Napoli”, n. 53, 2004, pp. 209 – 231. 284 285 286 287 VF, Le nostre idealità, op. cit., pp. 141 – 142. Daniele Menozzi, La chiesa cattolica, op. cit., pp. 200 – 201. 46 organizzare il Congresso di Tripoli288. Da questo punto di vista, il Congresso era utile sia da un punto di vista laico che religioso, e si opponeva naturalmente a dottrine disorganiche e sovversive come il comunismo. A questo proposito, si è già visto l’inequivocabile significato anticomunista del Congresso. Facchinetti aveva descritto il bolscevismo in termini quasi apocalittici, come un “anticristo delle Missioni”, “ciò che vi ha di più anticivile, utopistico e selvaggio, di spaventoso e di deleterio”289. Un tale atteggiamento non era certo isolato, e sulle pagine di “Famiglia Cristiana” si trova un linguaggio ancora più violento: nel 1936 una poesiola intitolata “Il Saturno moscovita”, dopo una descrizione della Russia stalinista, si concludeva con l’immagine della Croce e del Littorio, protette da un arcangelo, che scacciavano dall’Italia le forze demoniache del comunismo290. In un tale contesto, era chiaro che la lotta antibolscevica fosse prioritaria, e rappresentasse una delle basi della collaborazione fraterna fra Chiesa e Regime. È infine utile rilevare che, nel contesto degli anni Trenta, vi era un’ulteriore possibile valorizzazione del culto eucaristico in senso anticomunista. La tomba del patrono dei Congressi Eucaristici san Pasquale Baylon, francescano aragonese del XVI secolo particolarmente devoto al sacramento, fu infatti profanata durante i tumulti antireligiosi che si scatenarono in Spagna all’inizio della Guerra Civile. Il richiamo al santo, vittima a suo modo della “bufera bolscevica”, aveva quindi un rimando immediato alla contemporaneità, come veniva esplicitato sull’opuscolo ufficiale291, e costituiva un altro tramite fra Eucarestia e anticomunismo. In ambiti meno culturalmente avvertiti, comunque, il culto eucaristico poteva collegarsi al nazionalismo anche attraverso altri percorsi. L’ostia, infatti, in brevi testi pubblicati su “Famiglia cristiana” (quindi, lo ricordo, in un periodico destinato a una circolazione ridotta in un ambito provinciale) era esplicitamente collegata al grano prodotto nei campi delle colonie italiane, in Libia e in Africa Orientale292; in uno di questi brani, inoltre, il sacrificio di Cristo nell’Eucarestia veniva assimilato al sacrificio dei soldati italiani, che morivano dopo essersi comunicati, e il cui sangue rendeva più fecondi i “redenti campi della barbarie”, a beneficio degli Italiani “prediletti figli di Dio”293. Nella produzione di Facchinetti o in quella specificatamente destinata al Congresso, tuttavia, non si ritrovano queste idee. 288 VF, Pasquale Baylon, op. cit., pp. 71 – 73. Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 17. “Neri nel ciel s’addensano/i nembi ammonitori/ma sui bei colli italici/tra vividi fulgori/la Croce ed il Littorio/s’alzano, sicure scolte/pugnaci ed imbattibili/contro le nubi folte./Veglia con lor l’Arcangelo/dalla spada fiammante/che già sconfisse il dèmone/corrusco e sibilante./Veglia e lontan si perdono/i vampiri notturni/che sulla Russia volano/feroci e taciturni.” C.C.D.L., Il Saturno moscovita, “Famiglia Cristiana”, vol. 13, n. 11 (novembre 1936), p. 122. 291 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 23. 292 Fra’ Bonaventura, Affermazione di Fede e di Vita nella luce di un anniversario, in “Famiglia Cristiana”, vol. 15, n. 12 (dicembre 1938), p. 221. Si tratta di un articolo in cui l’arrivo dei “Ventimila” coloni promossa da Balbo veniva accostata al Congresso Eucaristico. Probabilmente, nella produzione di tema eucaristico del periodo fascista si potrebbero trovare molti altri accostamenti di questo genere: già nel 1927, del resto, una brochure redatta per il Congresso Eucaristico di Bologna aveva affermato che i membri delle confraternite del Santissimo Sacramento erano i “soldati” di una “battaglia del grano” condotta per il pane eucaristico (In ricordo: IX Congresso Eucaristico Nazionale: Bologna, op. cit., p. 19). 289 290 Contessa Egloge Cappello Passarelli, La leggenda del chicco di grano, in “Famiglia Cristiana”, vol. 13, n. 9 (settembre 1936), pp. 83 – 84. 293 47 Per quanto riguarda il rapporto con l’Islam, l’approccio di Facchinetti, e quello di tutto il Congresso, emerge nella sua peculiarità. Si è visto come il vescovo francescano, in una pastorale destinata al proprio gregge, avesse impetrato la conversione dei Musulmani libici, anche se al momento dell’apertura del Congresso il tema fu ripreso principalmente dalla lettera del Pontefice e dal discorso del cardinal legato. Gli accenni erano tuttavia molto sfumati, com’era normale che fosse in un contesto in cui l’autorità coloniale italiana limitava il proselitismo, e anzi si atteggiava a protettrice della religione musulmana dentro e fuori i confini (la consegna al Duce della cosiddetta “Spada dell’Islam” risaliva al marzo precedente294). In alcuni brani dell’opuscolo ufficiale sul Congresso, addirittua, la religiosità islamica era valorizzata, e contrapposta a un ben più pericoloso ateismo. Nel brano pubblicato per ultimo (quindi collocato in un posto di grande evidenza) si diceva: Il Rev.mo Monsignor Costanzo Bergna, ora Apostolico di Dessiè e fino a ieri Pro‐Vicario di Tripoli, storico insigne della Libia cristiana, diceva giustamente che il musulmano non può concepire un “senza Dio”, tanto che nel Corano è detto che “basta che i giudei, i cristiani e i maomettani menino vita conforme alla parola di Dio da ciascuna conosciuta e si mettano in grado di dare conto di sé nel giorno dell’inesorabile giudizio”, perché sieno salvi. E un proverbio arabo ammonisce: “Temi l’uomo che non teme Dio”. Mentre i “senza Dio” attaccano l’Africa francese mediterranea295, i Libici han visto che l’Italia è stata restituita a Dio e Dio restituito all’Italia: e questo è anche per loro un segno e un pegno dei suoi destini imperiali.296 Si trattava della ripresa di temi diffusi fuori dall’ambito cattolico, all’interno della propaganda coloniale del Regime297. In un contesto che si voleva dipingere come una lotta globale al materialismo bolscevico l’Italia, ormai diventata “potenza islamica” grazie al suo impero coloniale, mostrava di mobilitare tutte le energie spirituali dei suoi sudditi; allo stesso tempo, le velleità filoislamiche erano un modo per cercare alleati all’interno dei movimenti anticoloniali, che destabilizzavano gli imperi di una Francia e una Gran Bretagna ormai in rotta di collisione con Roma298. Tutte queste ragioni implicavano, come ricordato, la necessità di ostacolare, o perlomeno non favorire, il proselitismo missionario. D’altra parte, andava Il 18 marzo 1937, in una scenografica cerimonia organizzata a Tripoli, Mussolini si era fatto offrire in omaggio quest’arma (in realtà fabbricata a Firenze), come suggello dell’alta protezione che offriva che offriva ai Musulmani del mondo intero. Sull’episodio cfr. Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp. 280 – 286 e John L. Wright, Mussolini, Libya and the Sword of Islam, in Ruth Ben Ghiat – Mia Fuller (eds.), Italian colonialism, New York, Palgrave, 2005, pp. 121 – 130. 294 295 Il riferimento è ai disordini allora in corso nell’Africa Francese del Nord e condotti dai nascenti movimenti anticoloniali, i quali cercarono di trovare una sponda politica nel nuovo governo di Fronte Popolare, che in effetti tentò di introdurre maggiori elementi di democrazia nell’impero coloniale. Erano inoltre attivi nella regione movimenti comunisti (che spesso peraltro facevano prevalentemente proseliti nelle comunità europee ed ebraiche), i quali lottavano anch’essi per l’indipendenza (cfr. Hassine Raouf Hamza, Communisme et nationalisme en Tunisie de la “liberation” à l’indipendence (1943­1956), Universitè de Tunis I, 1994, pp. 73 – 76). L’interpretazione diffusa in ambito anticomunista, sia in Italia che in Francia, era però ovviamente molto più semplicistica, e la responsabilità di scontri e disordini veniva attribuita tout court alla propaganda di Mosca e al lassismo del governo del Fronte Popolare (causato anche dal doppiogiochismo comunista): si veda ad es. Sguardi sul mondo: i “rossi” nell’Africa francese, “L’Italia Coloniale”, ottobre 1937, p. 154 e M. Thiout, Orage sur l’Afrique du Nord, “Le Maroc Catholique”, vol. 17, n. 10 (ottobre 1937), pp. 36 – 38. 296 Giuseppe De Mori, Le tappe della fede nella Tripoli metropolitana, in Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 40. 297 Si veda per esempio l’articolo di Mario Missiroli La politica islamica di Mussolini, sulla “Rivista delle colonie”, settembre 1937, pp. 1103 – 1116 o quello di Spectator, La politica islamica di Mussolini, su “L’Illustrazione italiana”, 16 maggio 1937, pp. 505 – 506. 298 Cfr. Renzo De Felice, Il Fascismo e l’Oriente, op. cit. 48 nella stessa direzione il crescente razzismo delle istituzioni italiane, che temeva una riduzione della distanza fra colonizzatori e colonizzati (quest’ultimo tema, però, non compare nelle opere relative al Congresso)299. Sappiamo che in ambito cattolico la visione dell’Islam come potenziale alleato contro altri nemici laici era spesso ostacolata dal desiderio di evangelizzazione, che non permetteva di vedere nella fede musulmana altro che una spiritualità corrotta e carnale, e un simile approccio era stato anche condiviso da Facchinetti, prima del suo arrivo in Libia300. Tuttavia, in seguito, egli mostrò di rivalutare quella religione, e sembrò abbandonare qualunque velleità proselitistica: in un articolo pubblicato su “Frate Francesco” scrisse di aver pronunciato davanti a uditori musulmani discorsi al limite dell’indifferentismo: Siamo tutti fratelli in Dio e in Adamo, tutti destinati al Paradiso. Ognuno deve sforzarsi di essere buono, onesto e virtuoso per far piacere all’Altissimo, osservando e praticando la propria religione, se vogliamo trovarci insieme in un mondo migliore. Poi dobbiamo volerci bene a vicenda e amare anche la grande Italia, ormai Patria comune.301 Al contrario di altri missionari, quindi, Facchinetti mostrò di accettare senza problemi, e anzi di accogliere entusiasticamente la politica religiosa del Fascismo. Poteva trattarsi di semplice realismo, lo stesso che aveva portato la missione di Tripoli a modificare la propria attività in un senso che aveva condotto al vicariato padre Facchinetti: se i Musulmani erano refrattari alla conversione, e la cura di una popolazione italiana sempre crescente era un impegno gravoso, aveva senso concentrare la propria attività fra questi ultimi e, nel frattempo, salvaguardare le proprie relazioni con la popolazione indigena, rispettandone usi e costumi. Questo rispetto, del resto, avrebbe potuto essere sincero da parte di Facchinetti, e costituire una significativa evoluzione del suo pensiero: sappiamo che lui studiò arabo da un libanese cristiano, e che arrivò al punto di riusciare a pronunciare in quella lingua dei brevi discorsi (tradotti dal suo maestro)302. È inoltre possibile che Facchinetti fosse sollecitato ad opporre ateismo bolscevico a religiosità musulmana dalle vicende spagnole: lui era in contatto col vicario apostolico di Tangeri, che l’aveva incoraggiato a dare al Congresso una valenza anticomunista303, e nello stesso periodo l’intervento delle truppe marocchine in Spagna nelle file dei Nazionalisti era letto nello stesso modo, come un ricorso al vecchio “moro” contro il nuovo “moro” bolscevico ben più pericoloso304 . Sebbene l’ipotesi sia suggestiva, tuttavia, non sono riuscito a verificarla. L’ostacolo che il razzismo istituzionale poneva nei confronti del proselitismo era comunque riconosciuto da Facchinetti nella relazione annuale a Propaganda Fide del 1938: APF, NS, 39.4, 1938. 300 VF, La lotta dei Francescani contro l’islamismo, “Frate Francesco”, anno 8, n. 2 (marzo – aprile 1935), pp. 125 – 130. 301 “Frate Francesco”, Itinerari missionari: verso la perla del deserto, anno 10, n. 4 (luglio – agosto 1937), pp. 201 – 202. 302 “Frate Francesco”, Itinerari missionari: nel Sahara libico, anno 1, n. 2 (marzo – aprile 1938), pp. 74 – 77. Non era un fatto scontato: il predecessore di Facchinetti, Giacinto Tonizza, si era scontrato più volte con i frati della missione di fronte al rifiuto di alcuni di essi di imparare l’arabo. Cfr. Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e islam, op. cit., p. 65. 303 Famiglia cristiana – Il congresso eucaristico di Tripoli, op. cit., p. 17. 304 Robert A. Friedlander, Holy Crusade or Unholy Alliance? Franco’s “National Revolution” and the Moors, “Southwestern Social Science Quarterly”, vol. 44, n. 4, 1964, pp. 346 – 356, Maria Rosa De Madariaga, Imagen del moro en la memoria colectiva del pueblo español y retorno del moro en la Guerra Civil de 1936, “Revista internacional de sociologìa”, vol. 46, n. 4, 1988, pp. 575 – 599 e S. E. Fleming, Spanish Morocco and the Alzamiento Nacional, 1936­1939: the military, economic and political mobilization of a Protectorate, in “Journal of Contemporary History”, vol. 18, n. 1, 1983, pp. 27‐42. Sul ruolo del Marocco nella crisi politica spagnola e nella 299 49 Ad ogni modo, di fronte ai suoi referenti civili e religiosi l’impostazione del Congresso riguardo alla popolazione musulmana aveva un duplice significato. Da un lato Balbo ne fu molto soddisfatto, e in una comunicazione a Roma riportò le impressioni della polizia: L’elemento indigeno arabo più evoluto, al quale non è sfuggita la solennità delle manifestazioni organizzate per il recente Congresso Eucaristico, ha favorevolmente commentato l’avvenimento soprattutto per il perfetto accordo esistente tra gerarchie statali e religiose. Ottima impressione tra gli indigeni, ha prodotto il fatto che durante i ricevimenti dati da S.E. il Governatore Generale, in onore dei Cardinali, gli alti prelati si sono intrattenuti affabilmente con i notabili musulmani ivi intervenuti.305 Diversa invece fu l’accoglienza a Propaganda Fide, nonostante anch’essa si fosse premurata, a suo tempo, di non offendere il sentimento religioso della popolazione locale306: un memoriale di Facchinetti, che descriveva il “muto e deferente stupore” di Ebrei e Musulmani ma riconosceva l’assenza di conversioni in conseguenza della cerimonia veniva riassunto con un secco: “congresso eucaristico coloniale: buoni frutti fra i nazionali – nulla fra gli altri”307 . successiva Guerra Civile cfr. inoltre Sebastian Balfour, Deadly Embrace: Spanish Morocco and the Road to Civil War, Oxford University Press, 2003. ASMAI – MAE, Affari politici, 76/212, 19 dicembre 1937. APF, NS, 39.4, 1937, 19 febbraio. 307 APF, NS, 39.4, 1938, relazione annuale. 305 306 50 I risultati del Congresso Se lo scopo del Congresso era quello di dare alla stampa italiana un’immagine entusiastica dell’ambiente religioso tripolino, probabilmente esso fu raggiunto. Foto e cronache più o meno dettagliate degli avvenimenti comparvero sulle riviste specializzate in ambito coloniale e sullo stesso “Popolo d’Italia”, dove, sulle edizioni dal 9 al 18 novembre, sei diversi articoli descrissero il Congresso in toni entusiastici. I resoconti più accurati, tuttavia, apparvero su “L’Osservatore Romano”, che dedicò all’ultima giornata addirittura l’intera prima pagina del 15 – 16 novembre. Nel complesso, il resoconto del giornale vaticano, in linea con quello che era il pensiero del Papa (come si è visto dal testo della sua benedizione), insisteva sul legame fra la cerimonia attuale e il passato paleocristiano, che i Vandali e i Musulmani non erano riusciti a cancellare definitivamente; si trattava di un’interpretazione analoga a quella del Congresso di Cartagine, che veniva ricordato. Per il resto, si faceva riferimento all’attuale attività missionaria in Africa, che vedeva la Chiesa affrontare “il duro blocco dell’eresia e del paganesimo” (due termini che sembravano rimandare alla situazione etiopica, più che a quella nordafricana)308, mentre della popolazione indigena tripolina si sottolineava lo stupore e la deferenza309. Gli altri resoconti si limitarono spesso alla semplice cronaca, senza suggerire un’interpretazione particolare. La “Rivista delle colonie” riassunse il discorso inaugurale del cardinal legato, che, come si è visto, si concentrava sull’attività missionaria e sull’anticomunismo310. L’aspetto che suscitò più attenzione fu però il rapporto con l’Islam, e il significato del Congresso per la politica religiosa del Fascismo; essa, secondo i commentatori, esprimendo senza tentennamenti la fede cattolica della nazione, riusciva a conciliarsi il rispetto degli indigeni e nello stesso tempo a evitare il contagio comunista, che fioriva dove invece imperverseva l’anticlericalismo laico. Emergeva quindi un drammatico contrasto fra le colonie spagnole e italiane, dove Cattolici e Musulmani insieme si opponevano al bolscevismo, e le colonie francesi in preda ai tumulti fomentati da Mosca: Mentre dunque l’Africa italiana echeggia dei canti di fede e migliaia di persone si prosternano dinnanzi ai simboli sacri, l’Africa francese urla sacrilegamente le bestemmie dei “Senza Dio”. Qui il sorriso e la pace, là la ribellione e la lotta; qui la soddisfazione ed il lavoro, là il malcontento e lo sciopero. L’Islam di fronte a questo duplice spettacolo non esita a dare le sue preferenze a coloro che praticano una religione, anche se differente dalla loro, anziché agli atei, negatori di ogni fede. Il fondo della psicologia araba è mistico ed è per questo che le genti dell’Islam rispettano soltanto coloro che mostrano di servire con amore e convinzione sincera un ideale. Ne dà infatti una chiara dimostrazione il Nord Africa, dove la propaganda bolscevica, propugnata e sostenuta dai frontisti della metropoli, ha sollevato le masse locali, che ne hanno però approfittato per realizzare le loro idee nazionaliste e per cercare ribellandosi, di scuotere il dominio straniero, mentre nel Marocco spagnolo portano il loro aiuto alla Spagna nazionalista di Franco.311 Ancora più esplicita era “L’Italia d’oltremare”, il cui idolo polemico era costituito da un lato dall’indifferentismo laico dei governi liberali, che aveva prodotto un senso di superiorità e di “L’Osservatore Romano”, 12 novembre 1937. “L’Osservatore Romano”, 15‐16 novembre 1937. 310 “Rivista delle colonie”, pp. 1608 – 1609. 311 Sguardi sul mondo, “L’Italia coloniale”, dicembre 1937, p. 188. 308 309 51 disprezzo nei Libici, e dall’altro dai timori di chi trovava pericolosa l’associazione con l’Islam proposta dal Fascismo. La politica italiana che si era espressa nel Congresso di Tripoli, orgogliosa delle propria fede ma tollerante nei confronti degli altri culti, era invece il modo migliore per ottenere “rispetto e collaborazione”312. Si trattava di argomentazioni che riprendevano, e traducevano sul piano religioso, l’impostazione di “associazione senza assimilazione” che Balbo aveva dato al proprio governo in Libia; come il governatore pretendeva di poter trattare con equanimità la comunità musulmana e quella italiana, operando nell’interesse di entrambe senza permettere che si mescolassero313, così una politica di protezione attiva verso entrambe le fedi, quella cattolica e quella musulmana, sarebbe potuta bastare ad appianare eventuali contrasti e ottenere l’appoggio di entrambe. Esisteva però anche un’altra valenza del Congresso, come aveva scritto lo stesso autore due mesi prima, in un articolo che peraltro poi insisteva sul tema del passato paleocristiano della Libia: La scelta della sede è particolarmente significativa. Un Congresso “nazionale” tenuto in terra d’Africa riafferma e consacra la ferma decisione di fare di quella terra un prolungamento senza soluzione di continuità, dell’Italia, della sua potenza, della sua gloria, della sua fede. Un Congresso “intercoloniale” sanziona il proposito di stringere in un vincolo sempre più saldo e in un profondo risveglio di fede romana tutte le vaste terre ove l’Italia svolge opera di cristiana civiltà secondo la missione che la Provvidenza le ha da secoli assegnata.314 La scelta di tenere una manifestazione dai caratteri così spiccatamente metropolitani in colonia sanciva quindi l’avvenuta integrazione della Libia nel territorio della madrepatria. Come nella prospettiva fascista le colonie dovevano rappresentare non una semplice riproduzione dell’Italia, ma una sua nuova versione migliore, più vitale e più fascista315, così, in una prospettiva cattolica e fascista (come quella in cui si muoveva Facchinetti, e che era diffusa alla metà degli anni ’30) la nuova società coloniale poteva e doveva spiccare anche per la sua devozione. È quindi chiaro come la lettura del Congresso da parte della stampa variasse a seconda del punto di vista. “L’Osservatore Romano”, richiamandosi alla posizione del Papa, aveva optato per una valorizzazione del passato paleocristiano che permetteva di obliterare le peculiarità e le difficoltà della situazione politica attuale della Libia; allo stesso tempo, esso non rinunciava all’esaltazione dell’evangelizzazione missionaria. Riviste laiche, invece, leggevano il Congresso secondo le categorie proposte dalla politica coloniale del Fascismo; espungevano quindi i riferimenti all’evangelizzazione, proponevano una valorizzazione dell’Islam in senso anticomunista e vedevano nella manifestazione un esempio della crescente italianizzazione della Libia. L’impressione complessiva, sebbene risultasse armonica agli occhi di Facchinetti e di molti osservatori, celava profonde problematicità. Giulio Castelli, Un alto decisivo collaudo della politica religiosa dell’Italia, “L’Italia d’Oltremare”, 5 dicembre 1937, p. 10. 313 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp. 237 – 245. Si trattava di argomentazioni che appartenevano più alla retorica che alla realtà, dato che il ruolo degli indigeni nella colonia continuò ad essere subordinato agli interessi italiani. 314 Giulio Castelli, Il congresso eucaristico intercoloniale di Tripoli: fede e potenza di Roma in terra d’Africa, “L’Italia d’Oltremare”, 5 ottobre 1937, p. 8. 315 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale, vol. III (La caduta dell’impero), Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 218 – 220. 312 52 Il vescovo, in una relazione inviata al Papa dopo sole due settimane, si dichiarava comunque molto soddisfatto del risultato316. Nella relazione annuale di quell’anno Facchinetti si era soffermato sulla pietà della popolazione italiana, che trovava molto viva, come l’aveva trovata del resto già al suo arrivo in colonia317: particolarmente attiva era Azione Cattolica, e lo scarso numero di unioni illegittime e l’alto numero di nascite testimoniavano a favore della sanità morale della comunità318. L’obiettivo del vescovo era di stimolare questa religiosità, e dopo il Congresso potè dichiarare la propria soddisfazione: Noto solo che i risultati pratici, dal punto di vista spirituale, che noi volevamo raggiungere, sono stati, grazie al cielo, conseguiti. Le Sacre Missioni predicate in antecedenza da dodici Eccellentissimi Vescovi, nei principali centri del Vicariato, provocarono un consolante ed edificante risveglio di pietà cristiana, tanto da poter affermare che in quei giorni benedetti la quasi totalità dei nazionali sia borghesi che militari si sono accostati ai santi Sacramenti e oggi non è spenta l’eco delle fulgide celebrazioni. Prova ne sia, tra l’altro, il fatto che mai come quest’anno la Processione del Corpus Domini per le vie di Tripoli è riuscita così solenne per concorso di popolo, concorde partecipazione di autorità civili politiche militari, muto e deferente stupore degli ebrei e dei mussulmani.319 Era l’evangelizzazione vera e propria che, come riconosceva dopo Facchinetti, non aveva portato a risultati apprezzabili, a causa sia della politica del governo, sia della scarsa suscettibilità dei Musulmani alla conversione. Per questo il vescovo era costretto a una politica poco attiva. Perciò noi missionari ci limitiamo per ora a pregare e a far pregare per la conversione dei Mussulmani, a farci stimare da essi ed a farci amare, in modo da suscitare nel loro spirito e nel loro cuore una specie di battesimo di desiderio. Nel contempo i Missionari – a cominciare dal Vescovo – si preoccupano di imparare i primi rudimenti della lingua araba per poter rivolgere qualche buona parola ai mussulmani; mentre è mio proposito che due o tre giovani Padri si diano allo studio non solo di detta lingua, ma anche della storia e della cultura islamica, per avvicinare i cosi (sic!) detti intellettuali del Corano, nella speranza di poter in tal modo più facilmente avvicinare le masse. Sappiamo che Propaganda Fide fu abbastanza scettica sui risultati del Congresso in termini di evangelizzazione. La sua risposta a Facchinetti fu alquanto brutale: “questa S. Congregazione constata con rammarico che, allo stato attuale delle cose, lo spirito di iniziativa in cotesto Vicariato lascia alquanto a desiderare.”320 Del resto c’erano altri elementi di insoddisfazione, dovuti ad alcuni contrasti fra Balbo e Facchinetti (vedi infra), alla tendenza del vescovo a chiedere troppo spesso il sostegno dell’autorità civile e a problemi contabili (il frate non aveva inserito nell’elenco delle entrate del vicariato un sussidio concesso a lui personalmente dal governo). Già precedentemente, del resto, la Congregazione aveva ripreso Facchinetti per le sue troppo numerose assenze dal vicariato321; “venendo a sollazzarsi quasi mensilmente fra ASV, Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15, 2 dicembre. La parola del vescovo dopo la visita pastorale, Tripoli, Tripoli, tip. Plinio Maggi, 1936 318 APF, NS, 39.4, 1937, relazione annuale. 319 APF, NS, 39.4, 1938, relazione annuale. 320 APF, NS, 39.4, 1938, 20 maggio 1939 (risposta alla relazione). 321 APF, NS, 39.4, 1936, 27 novembre. 316 317 53 amici e conoscenti”, come indicava una denuncia pervenuta alla Congregazione, “fa[ceva] perdere il rispetto dovuto a un vescovo”322. Probabilmente c’era del vero nei rilievi della Congregazione; tuttavia, non si può fare a meno di notare come fosse il ruolo di Facchinetti, più che il suo comportamento, ad essere destinato a ricevere critiche in ogni caso. Era strutturalmente impossibile esercitare un’azione missionaria coerente ed efficace e, al contempo, mantenere i buoni rapporti con le autorità italiane; questo, immaginando che le risorse di mezzi e uomini del vicariato fossero sufficienti a svolgere sia un’opera di evangelizzazione che una di assistenza nei confronti dei coloni, cosa di cui, a leggere le lamentele dei frati e considerando il drammatico incremento della popolazione italiana, c’è da dubitare. Questa ambiguità era la cifra di fondo dell’attività missionaria, e il trade – off esistente fra i due aspetti era ineliminabile; la stessa Propaganda Fide lo confermò indirettamente nel 1939 quando, come si vedrà, tagliò i finanziamenti al vicariato, non considerandolo più terra di missione. D’altra parte, la stessa nomina di Facchinetti andava nel senso di rendere i frati dei “cappellani” dei coloni italiani; cosa ci si poteva aspettare da un frate senza esperienza missionaria, la cui dote migliore era l’allineamento alle direttive del Fascismo e i legami stretti con le sue autorità, se non una gestione del vicariato in accordo con le esigenze del Regime? Il Congresso Eucaristico, da questo punto di vista, era una cartina da tornasole delle ambiguità del ruolo del frate. Lo sfarzo delle sue cerimonie gli aveva certamente conferito un forte valore simbolico ma, paradossalmente, non era chiaro quale ne fosse il significato. Doveva essere un’impetrazione della conversione della popolazione indigena? Della Libia, dove l’evangelizzazione aveva poche prospettive, o dell’Africa in generale? Oppure doveva essere una tappa nel processo di assimilazione alla madrepatria della Tripolitania, ormai divenuta interscambiabile con qualsiasi altra provincia italiana nell’ospitare eventi del genere? O ancora, doveva magnificare la politica coloniale del Regime e mostrare cosa esso potesse offrire ancora al Cattolicesimo, quasi a controbilanciare la manifestazione filoislamica del febbraio precedente? Non tutte queste possibili letture erano contraddittorie, ma certamente il quadro che ne emergeva non era armonico. I vari partecipanti e contributori al Congresso gli attribuivano valori diversi, e così, per esempio, Facchinetti ne esaltò gli effetti positivi sulla pietà e la morale dei coloni di fronte al Papa e le potenzialità patriottiche e d’immagine di fronte a Lessona. Più in generale, nelle intenzioni del vescovo esso doveva mostrare il buon accordo fra Chiesa e Regime, che dopo aver portato al salvataggio della moralità nella metropoli mostrava le sue potenzialità e i suoi benefici anche in ambito coloniale. Il governo si dichiarava ufficialmente cattolico, Balbo acquisiva delle benemerenze presso la Santa Sede, che gli inviava la propria benedizione apostolica323; contemporaneamente la Chiesa italiana, riunita in un’assemblea fastosa e affollata, benediceva la conquista dell’Etiopia e l’intervento in Spagna. Pieno accordo sul piano dottrinale e spirituale, pieno sostegno religioso all’azione mondana del governo; Facchinetti aveva indubbiamente compiuto il suo compito di figura di ponte, chiamato a esprimere nel fasto del Congresso la stessa ideologia che aveva propagandato per anni alla radio. Come si è visto però nei resoconti della stampa, una volta che si fosse cercato di esplicitare i termini di questa concordanza ideale fra Cattolicesimo e Fascismo, essa mostrava la corda. Il principale elemento di dissidio era il rapporto con l’Islam, che era difficile considerare 322 323 APLFM, Deposito Missionario, documento del 15 giugno 1939. ASV, Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15, 20 novembre 1937. 54 contemporaneamente come un culto pagano da sostituire e come un prezioso alleato nei confronti del bolscevismo (per non parlare poi, in prospettiva, della difficoltà nel conciliare entrambi questi aspetti con l’impronta sempre più marcatamente razzista della politica italiana). Se si considera poi che Propaganda Fide riprese il vescovo anche per la sua tendenza a richiedere troppo spesso l’aiuto dell’autorità civile, non si può non notare che anche in quel caso c’era una chiara aporia: se le autorità coloniali procuravano alla Chiesa libica sia i suoi finanziamenti sia i suoi nuovi fedeli, era ben difficile che essa potesse coltivare velleità d’indipendenza di fronte al governo. Più in generale, la visione armonica proposta dal Congresso non poteva dare risposte di fronte alle prevedibili difficoltà che sorgevano quando l’Italia fascista mostrava, per esempio nella sua politica religiosa coloniale, di non essere conforme al modello di società cristiana ierocratica proposto dalla pietà eucaristica. Il Congresso era polisemico, ma ciò non era un caso o un demerito di Facchinetti, bensì una conseguenza inevitabile del fatto che i significati attribuitigli dalle varie parti coinvolte erano differenti. Posto all’incrocio fra Fascismo e Chiesa cattolica, quindi, esso rifletteva tutta la complessità e le ambiguità del loro rapporto. 55 Conclusioni Negli anni successivi al Congresso Facchinetti ebbe modo di assistere al crollo di gran parte di ciò in cui aveva creduto, e dovette guidare la comunità cattolica libica attraverso una delle sue prove più difficili. Tuttavia, ancora per qualche tempo, potè essere il pastore di una Chiesa in rigogliosa espansione, che il Regime provvedeva ad accrescere promuovendo l’emigrazione italiana in Libia. L’aumento della popolazione cattolica portò addirittura a una divisione del vicariato e all’erezione di una prefettura apostolica a Misurata, che Facchinetti volle affidare al clero secolare. Si sarebbe trattato di un passo importante nel processo che doveva rendere la Chiesa libica una parte a tutti gli effetti della Chiesa italiana; tuttavia, per difficoltà nel reperimento del personale e per l’opposizione di Balbo, il progetto non fu attuato e la nuova prefettura fu affidata ad altri clerici regolari, i Frati Minori delle Marche324. D’altra parte, la fine del carattere missionario della colonia trovò una paradossale conferma da parte di Propaganda Fide che, vista la necessità di far fronte alle esigenze delle missioni cinesi travolte dalla Guerra Sino – Giapponese, decise di eliminare i sussidi al vicariato, lasciandolo quindi a dipendere dai finanziamenti governativi325. I rapporti con l’autorità civile, comunque, non erano idilliaci: più di una volta il desiderio di Balbo di intromettersi negli affari del vicariato provocò contrasti326. Nelle sue memorie, in particolare, Facchinetti affermò che Balbo, temendo che il vescovo gli rubasse la scena (e forse influenzato anche dal suo recento viaggio in Germania) l’aveva escluso dalle celebrazioni tenute per l’arrivo dei Ventimila coloni nel 1938, sebbene esse prevedessero una cerimonia prettamente religiosa, ossia la preghiera del Padre Nostro da parte dei coloni radunati davanti al Castello di Tripoli327. Questo però non significa che egli non sostenesse i piani di colonizzazione agricola, tanto è vero che fu premiato per gli sforzi che aveva compiuto, in un suo podere, per la Battaglia del Grano328. L’inizio della guerra non scalfì la fiducia del vescovo in Mussolini, a cui egli ancora nel 1942, attaverso donna Rachele, inviava i suoi sentimenti di “profonda gratitudine”, “immenso affetto” e “inalterata devozione”329, e a cui consigliava, per affrettare la vittoria, di nominare Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 61 – 62. ASMAI – MAE, Affari politici, 76/213, 20 gennaio 1939. 326 Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 59 – 60. Non mi sembra però affatto sostenuta dai documenti l’opinione di Sabbadin, per cui questi contrasti sarebbero la spia di un ripensamento delle proprie convinzioni fasciste da parte di Facchinetti. Ad ogni modo, in Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 50 – 51, egli riaffermò la propria stima e il proprio affetto per il quadrumviro. 327 VF, Le mie disavventure come vescovo, op. cit., pp. 49 – 50. Il vescovo fu sostituito dal suo vicario, padre Illuminato Colombo. Sulla spedizione del Ventimila coloni, vedi Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp. 260 – 265. 328 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 39 – 42. Facchinetti ricevette la medaglia d’oro nel “Concorso del Grano fra Parroci e Sacerdoti”, che era organizzato dal periodico “Italia e Fede” con lo scopo di incoraggiare il clero italiano a operare miglioramenti agricoli nei terreni di propria competenza e, allo stesso tempo, legarlo al Regime fascista. I risultati di questa iniziativa furono evidenti nel 1938, quando una settantina di vescovi e più di duemila parroci, riunitisi a Roma per la premiazione, espressero pubblicamente ed entusiasticamente la propria fedeltà al Duce. Facchinetti fu premiato il 22 gennaio 1939, nell’ambito dell’edizione successiva del Concorso, che fu contrassegnata da un’ampia partecipazione dell’episcopato. Cfr. Takashi Araya, La partecipazione del Clero alla Battaglia del Grano (1925 – 1943): Giulio de’ Rossi dell’Arno e “Italia e Fede” nell’organizzazione del consenso cattolico al regime fascista, tesi di perfezionamento in storia, relatore prof. Daniele Menozzi, Scuola Normale Superiore, 2015, pp. 245 – 246, e ivi, passim, per la descrizione del Concorso e del periodico che lo organizzava. La partecipazione di personale missionario libico al Concorso datava all’edizione 1931 – 1932 (Ivi, p. 182). 324 325 329 ACS, SPD, , 513.052, 18 gennaio 1942. 56 più spesso Dio e la Provvidenza nei suoi discorsi, “come fa il Fhürer (sic!)”330. Fra gli scopi delle sue preghiere c’erano “la pace con giustizia, vale a dire pienamente vittoriosa per l’Italia nostra e per i nostri gloriosi e fedeli Alleati”331 . Nel frattempo, però, il conflitto stava colpendo in maniera pesante il vicariato. Nella primavera del 1940 erano stati evacuati in Europa i bambini della comunità italiana; quella che era cominciata come una separazione temporanea, ufficialmente per permettere ai ragazzi di fruire di campi di vacanza, si trasformò in un distacco definitivo non appena la navigazione nel Mediterraneo divenne insicura. Cominciarono poi le operazioni militari, che devastarono in particolare la Cirenaica, attraversata più volte dai vari eserciti in avanzata e in ritirata. I coloni italiani fuggirono verso la Tripolitania, dove però i bombardamenti alleati stavano diventando una presenza costante. Nel 1942, infine, la comunità maltese libica, sospettata di lealismo verso gli Inglesi, venne internata in Italia332. Facchinetti guidò con fermezza il suo gregge in questo periodo. Mandò un prete della missione ad assistere gli internati maltesi nei loro campi, e andò a visitare personalmente sia loro333, sia i bambini italo – libici in giro per l’Italia, incontrandoli nelle colonie in cui si trovavano e aiutandoli a tenere i contatti coi genitori334. Propose inoltre di evacuare la popolazione civile italiana, attraverso la collaborazione della Santa Sede, ma il governo rifiutò per ragioni di opportunità335. Agli inizi del 1943, infine, gli Alleati entrarono a Tripoli: Facchinetti chiese al Duce, attraverso interposta persona, di conservare la sua fiducia in lui336, e lo implorò di risparmiare la città da eventuali bombardamenti dell’Asse337, dopodichè si apprestò a vivere in territorio occupato. All’arrivo dell’esercito nemico l’autorità civile e militare italiana si era sfaldata, e Facchinetti era diventato uno dei rappresentanti principali della spaurita comunità nazionale, oltre che un punto di riferimento indispensabile per gli Inglesi338. Sulla sua attività del periodo Angelo Del Boca, che si basa su testimonianze di altri Italiani di Tripoli, scrive che egli conservò una fanatica e ostentata fede fascista, che fu peraltro strumentalizzata dagli Inglesi per screditare la comunità italiana339. Il vescovo, nelle sue memorie, si vanta invece di avere avuto un rapporto franco e diretto con le autorità britanniche, a cui non nascose le proprie opinioni politiche (né sarebbe stato possibile il contrario, del resto), ma davanti alle quali si impegnò a mantenere tranquilla la popolazione italiana; in essa censurò l’eccessivo attivismo politico, sia in senso fascista sia in senso antifascista340. I due quadri possono in parte sovrapporsi, in quanto la moderazione delle opinioni antifasciste (egli giunse a condannare dal pulpito il romanzo Fontamara di Silone341) ACS, SPD, 513.052, Giovedì santo 1941. Secondo la sua testimonianza, peraltro, il Duce gli diede retta (VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., p. 59), ma evidentemente questo non bastò ad assicurare il trionfo dell’Asse. 331 ACS, SPD, 513.052, 20 dicembre 1941. 332 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp. 295 – 326 e Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 65 – 67. 333 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 59 – 60. Egli afferma in particolare di aver somministrato i sacramenti della Comunione e della Confermazione ad alcuni internati maltesi nel 1942. 334 Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 65 – 67 e VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 51 – 52. 335 ASMAI presso l’Archivio Centrale dello Stato, Direzione Generali Affari Politici, Archivio Segreto, 16,9/1.1‐1, 27 novembre 1942. In Maledizione alla guerra! Facchinetti afferma di aver favorito questo progetto nei confronti dei profughi della Cirenaica, mentre al contrariò incoraggiò gli Italiani della Tripolitania a rimanere nella regione (op. cit., pp. 94 – 95). 336 ACS, SPD, 513.052, 28 aprile 1943. 337 ACS, SPD, 513.052, 20 gennaio 1943. 338 Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e islam, op. cit., pp. 132 – 133. 339 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp. 337 – 338. 340 VF, Maledizione alla guerra!, op. cit., pp. 113 – 122. 341 Ivi, p. 148. 330 57 non favoriva certo l’immagine della comunità italiana, di fronte agli Alleati e al resto della popolazione indigena, in quel difficile frangente in cui si doveva decidere il futuro politico della Tripolitania. Tuttavia l’esistenza di buoni rapporti con almeno parte dell’amministrazione britannica è attestata da una lettera di condoglianze inviata da uno dei governatori britannici al momento della morte del vescovo342. Quel che è certo è che comunque Facchinetti continuò la propria attività assistenziale verso la comunità italiana, impegnandosi ad esempio per i prigionieri italiani, o per i bambini italo – libici nella penisola, di cui cercò di favorire il ritorno in Africa, sebbene gli occupanti non volessero alterare la situazione demografica del paese343. Testimoniò inoltre sulla sostanziale correttezza del comportamento delle truppe di occupazione, in una comunicazione rivolta alla Segreteria di Stato vaticana – che suscitò le ire di un uomo del Ministero dell’Africa Italiana, forse lo stesso ministro Teruzzi, che annotò sul foglio “Non credo a questo prete” – e in una nota probabilmente di origine inglese e intercettata dai Tedeschi344. Anche gli anni seguenti furono difficili. La comunità italiana della Libia era impoverita, in declino demografico, e doveva adattarsi alla prospettiva di diventare una minoranza straniera in un paese governato dai propri ex sudditi coloniali. Facchinetti, come molti altri, avrebbe preferito un’amministrazione fiduciaria italiana sulla Tripolitania345, ma le sue speranze andarono deluse. Non giunse però a vedere la nascita di una Libia indipendente, in quanto morì in clinica a Milano, il 2 dicembre 1950, pochi giorni dopo il pronunciamento dell’Assemblea Nazionale Libica che avrebbe portato, dopo un anno, all’effettiva indipendenza del paese346. AA. VV., Mons. Camillo Vittorino Facchinetti, ofm, Milano, a cura della Provincia Lombarda S. Carlo Borromeo dei Frati Minori, 1951, pp. 15 – 16. Si trattava della testimonianza di Travers Robert Blackley, ex amministratore capo della Tripolitania, che asseriva di aver goduto dell’amicizia del vescovo e sosteneva che “I could have nothing but admiration for these christian and humanitarian efforts of Monsignor Facchinetti”. 342 Filiberto Sabbadin, I frati minori, op. cit., pp. 70 – 75. ASMAI presso l’Archivio Centrale dello Stato, Direzione Generali Affari Politici, Archivio Segreto, 16,9/1.1‐1, s.d. e 18 febbraio 1943. 345 In un appunto coevo commentava così la situazione libica: “Sfacelo e regresso voluto dalla politica egoista ed assolutista di una nazione vincitrice che ha per base l’odio e l’avversione a tutto ciò che sa di italiano. Regresso provocato dalla ignoranza, dall’ignavia e dalla deficienza di un popolo che non ha mai saputo reggersi da solo, anche se la ingiustizia dell’ONU lo ha voluto costituire a viva forza a rango di Nazione libera.” (APLFM, Scritti in possesso di mons. Facchinetti). Sulle varie accuse rivolte al vescovo di aver aggravato, con il proprio atteggiamento nostalgico e provocatore, la posizione politica della comunità italiana, cfr. Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, op. cit., pp. 337 – 338 e p. 361. 346 Vittorio Ianari, Chiesa, coloni e islam, op. cit., p. 134. 343 344 58 FONTI ARCHIVISTICHE Archivio della Provincia Lombarda dei Frati Minori Deposito missionario. Scritti in possesso di mons. Facchinetti. Archivio Centrale dello Stato Segreteria Particolare del Duce, 172.416. Segreteria Particolare del Duce, 192.828. Segreteria Particolare del Duce, 513.052. Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2.5.3184. Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana, Direzione Generali Affari Politici, Archivio Segreto, 16. Archivio del Ministero degli Affari Esteri Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana, Africa 2, Notiziari politici, 150/33. Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana, Affari politici 76/211. Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana, Affari politici 76/212. Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana, Affari politici 76/213. Archivio Segreto Vaticano Segreteria di Stato, 1936, diocesi, 51. Segreteria di Stato, 1936, chiese, 34. Segreteria di Stato, 1937, solennità e congressi, 15. Segreteria di Stato, 1938, diocesi, 2. Segreteria di Stato, 1938, solennità e congressi, 120. Archivio di Propaganda Fide Nuova serie, 39.4, 1935. Nuova serie, 39.4, 1936. Nuova serie, 39.4, 1937. Nuova serie, 39.4, 1938. Archivio Diocesano di Susa Angelo Bartolomasi, 23, 446. 59 BIBLIOGRAFIA PRIMARIA Libri e articoli di Camillo Vittorino Facchinetti Ai caduti nella guerra italo­turca. Ottobre 1911: elogio funebre, Brescia, Tip. Ven. A. Luzzago, 1911. Nell’ora che volge: il nostro diritto, il nostro dovere, Milano, Tip. Crespi, 1915. I nostri eroi: conferenza religioso­patriottica, Milano, Casa Editrice Ambrosiana, 1915. Il patriottismo del cavaliere umbro, Milano, Casa Editrice Ambrosiana, 1916. Gerusalemme e i francescani, “Vita e pensiero”, n. 49, 20/1/1918. Vittoria e pace!: Discorso religioso patriottico, Pavia, Sc. Tip. 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