INDICE
SIGLE E ABBREVIAZIONI……………………………………………………...I
INTRODUZIONE……………………………………………………………….II
CAPITOLO I
I L CONTESTO
NEL
XX
SOCIO - POLITICO , CULTURALE E RELIGIOSO ITALIANO
SECOLO
1.1 La società Italiana tra socialismo e cattolicesimo…………………......1
1.2 Aspetti politici e culturali in Italia nell’età dei totalitarismi…………..8
1.3 L’Italia nel secondo conflitto mondiale………….….………………..13
1.4 La Chiesa italiana e la ricostruzione morale e civile della nazione.….16
CAPITOLO II
VITA, STUDI E MINISTERO DI DON ZENO SALTINI (1900-1981)
2.1 La famiglia Saltini nel contesto storico e culturale di Fossoli............21
2.2 Studi e formazione del giovane Zeno………………………………...23
2.3 La vocazione particolare e i primi anni di ministero sacerdotale.........32
2.4 Nomadelfia: traguardo della sua ricerca e gli ultimi anni di vita.........38
CAPITOLO III
LA SPIRITUALITÀ DI DON ZENO ALLA LUCE DEI SUOI SCRITTI
3.1 Zeno, un profeta incompreso…………………….……….….…….….47
3.2 Il prete e la missione secondo don Zeno……………………………..50
3.2.1 Zeno un contemplativo attivo…………………………………..57
3.2.2 Zeno e la via evangelica per una civiltà dell’amore……………61
3.3 L’utopia di una società cristiana: Nomadelfia………………………..65
3.4 Il significato e l’attualità di don Zeno per la Chiesa
e la società di oggi……………………………………………….........74
CONCLUSIONI …………...………………………………………………….80
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………....82
SIGLE E ABBREVIAZIONI
AAS
Acta Apostolicae Sedis
ASS
Acta Sanctae Sedis
Let I
Lettere da una vita I, don Zeno di Nomadelfia (1900-1952)
Let II
Lettere da una vita II, don Zeno di Nomadelfia (1953-1981)
Let enc.
Lettera enciclica
ZS
Zeno Saltini
DH
Dimidia Hora, scritti di don Zeno inediti (pro manoscritto
1938-1980), raccolta postuma del 1989.
I
INTRODUZIONE
Il tema scelto per il presente lavoro di tesi intitolato “Don Zeno Saltini,
pastore e profeta del Novecento”, vuole essere un modesto contributo per una
più larga conoscenza della esperienza di vita e di opere del prete carpigiano,
che ha percorso quasi per intero il secolo scorso. Ma anche una occasione che
ci permette di potere meglio comprendere il mondo attuale con le sue luci e
ombre, verso il quale la Chiesa è chiamata ad aprire nuovi processi per
l’annuncio del Vangelo. E sarà proprio l’esperienza singolare di un uomo e di
un prete, come quella di don Zeno che ci guiderà ad approfondire il suo
messaggio profetico di speranza.
Saltini si muove nel contesto della storia sociale, politica e cattolica
dell’Italia degli anni Cinquanta, affiancandosi in tal modo ai protagonisti del
suo tempo quali: Alcide De Gasperi, Mario Scelba ed infine padre David
Maria Turoldo. Sono questi gli anni in cui in diverse diocesi italiane si assiste
alla presenza di “preti scomodi” come don Lorenzo Milani e don Primo
Mazzolari, sacerdoti simbolo di una Chiesa che vuole aprirsi ad un dialogo
col mondo. Mentre su questi ultimi la pubblicistica è stata abbastanza ampia,
su don Zeno bisogna registrare uno scarso interesse nel panorama
storiografico italiano.
II
L’importanza del ruolo e della testimonianza di don Zeno si può
riassumere in questi termini: aprire la Chiesa e la società ad un modello di
organizzazione sociale, ispirata dal Vangelo come alternativa alla società
capitalistica. Don Zeno, nella sua analisi non propone il distacco della Chiesa
dalla società ma l’impegno per una società che abbia come suo centro di
interesse l’uomo e i suoi bisogni.
Il presente lavoro è stato così suddiviso in tre capitoli: il primo capitolo
inquadra storicamente la figura di don Saltini nel contesto ecclesiale, sociale,
politico e culturale italiano;
Il secondo capitolo prende in considerazione il suo profilo biografico,
per evidenziare le tappe fondamentali della sua vita e della sua formazione,
con una particolare sottolineatura circa i personaggi che hanno influito sulla
sua maturazione vocazionale;
Nel terzo ed ultimo capitolo, l’attenzione si sposta ad esaminare alcuni
scritti di don Zeno per approfondire il suo pensiero allo scopo di sottolineare i
contenuti profetici in essi presenti e validi anche per il nostro tempo.
Il presente lavoro si avvale delle fonti biografiche e autobiografiche del
Servo di Dio don Zeno Saltini, presenti nell’archivio storico di Nomadelfia
(Gr) e gentilmente messe a disposizione per questo lavoro di ricerca.
III
CAPITOLO I
IL CONTESTO SOCIO-POLITICO, CULTURALE E RELIGIOSO
ITALIANO NEL XX SECOLO
1.1 La società Italiana tra socialismo e cattolicesimo
Negli ultimi decenni del XIX secolo, le campagne italiane furono colpite
da un impoverimento diffuso e persistente. La denutrizione elevò il tasso di
mortalità del Paese. Questo perché nel corso dell’Ottocento e del primo
Novecento si verificò un immenso progresso tecnico, industriale e
commerciale, che comportò un aumento del benessere generale ma per una
parte minoritaria della società.
L’industrializzazione concentrò sempre più ingenti ricchezze nelle mani
di un ristretto gruppo di imprenditori a scapito delle masse degli operai
oppressi dalla miseria e degradati dal lavoro svolto in condizioni disumane. Il
malcontento sociale si alimentò sulla consapevolezza che un certo tipo di
sviluppo industriale arricchiva sempre più una classe dirigente, la borghesia,
1
gravando sulle classi meno abbienti e più povere1. In tal modo la questione
venne affrontata da una nuova corrente ideologica e d’azione: il socialismo.
Il partito socialista, proponendosi come nuova forza politica, come fatto
sociale e come rivoluzione culturale si diffuse tra le classi sociali più povere. I
socialisti si opposero allo stato liberale e borghese allora vigente. I problemi
sociali furono pienamente avvertiti e affrontati, con iniziative sempre più
adeguate, solo dalle forze socialiste. Le terre emiliane, in particolare,
diventarono luogo di rivendicazioni violente e disperate di molti braccianti.
Tra la popolazione del luogo era diffuso l’analfabetismo, la povertà tra le
famiglie dei piccoli coltivatori; Frequenti furono anche le epidemie di tifo, e
la già diffusa denutrizione elevò il tasso di moralità infantile, peggiorando
così un quadro alquanto drammatico. Non meno rari furono anche i casi di
tubercolosi 2. In quest’ambiente, con questa situazione, le idee socialiste
trovarono un terreno ideale per attecchire e diffondersi rapidamente.
Le condizioni subumane delle classi lavoratrici diventarono spesso la
causa di comportamenti e costumi disapprovati (bestemmia, alcolismo,
famiglie irregolari, figli illegittimi, furto). I lavoratori più umili, vittime del
1
Cfr. G. MARTINA, La Chiesa nell’età del totalitarismo, Morcelliana, Brescia, 1984, p.20.
Cfr. R. RINALDI, Storia di don Zeno e Nomadelfia (1900 – 1962), vol. I, Nomadelfia Edizioni, Nomadelfia
(Gr), 2003, p. 26.
2
2
disprezzo degli ambienti borghesi, invece furono respinti ai margini della
società. In questo contesto sociale ed economico, trovò accoglienza
l’ideologia socialista, specie in questi territori già da tempo intrisi di idee
anarchiche.
La provincia di Modena rifletteva in gran parte la situazione italiana, con
rivendicazioni e manifestazioni operaie molto infiammate. Il partito socialista
modenese riuscì a rafforzare la propria organizzazione, raccogliendo consensi
popolari anche nella piccola e media borghesia, affermandosi nel primo
decennio del ‘900. Nel contempo una notevole porzione di popolazione non si
identificò più con la vigente classe politica nazionale 3. A Modena così come a
Carpi e nel territorio circostante, nel primo ventennio del secolo, si
verificarono le prime lotte operaie con gravi conseguenze sul piano
economico 4.
Il socialismo traeva la sua origine dal marxismo, il quale assunse quale
base del suo sistema economico la concezione materialistica, cioè atea della
storia. Così il socialismo divenne antiecclesiale, anticristiano e antireligioso,
3
Ivi, p. 24.
Ivi, p. 48: “In Ancona succedono fatti gravi, che danno origine alla cosiddetta “settimana rossa” (7 – 14
giugno 1914), che producono i loro effetti anche a Modena e provincia. La città è paralizzata dallo sciopero:
treni bloccati, binari divelti, scontri con le forze dell’ordine, i dimostranti sono padroni delle strade.
Interviene l’esercito: cariche di cavalleria, Camera del lavoro occupata militarmente. Accadono gravi episodi
di reazione nazionalista, che sono quasi un presagio di ciò che avverrà nel dopoguerra”.
4
3
contribuendo anche a estraniare ogni sentimento religioso dalle masse,
favorendo un’apostasia della classe operaia dalla Chiesa 5. I cattolici presero
coscienza del problema sociale progressivamente e con un certo ritardo,
perché frenati inizialmente dalla mentalità gerarchica e conservatrice di molti
che erano di estrazione nobile o borghese. Appare chiaro che il
condizionamento dei liberali, che allora erano al governo, e l’incapacità di
confronto
col
socialismo
emergente,
ritardarono
notevolmente
la
comprensione della situazione da parte del cattolicesimo.
Anche da Roma non ci furono direttive chiare e l’azione sociale dei
cattolici fu per questo particolarmente inconsistente6. Sul piano pratico si
intervenne con una serie di iniziative assistenziali e caritative (le iniziative
del Cottolengo, gli oratori e le scuole professionali di don Bosco, e le opere
del Murialdo); sul piano teorico non mancarono i primi appelli al rispetto
della dignità umana dell’operaio, le denunce contro la cupidigia sfrenata della
borghesia, lo scandalo dei salari bassi, dell’eccessive ore lavorative e
soprattutto di un sistema economico privo di ogni principio morale.
5
Cfr. K. BIHLMEYER - H. TUECHLE, Storia della Chiesa, l’epoca moderna, vol. IV, Morcelliana, Brescia,
1978, p. 323.
6
Cfr. G. MARTINA, op. cit., p.35.
4
Intanto la non partecipazione dei cattolici alla vita politica dello Stato, in
seguito al “non expedit”7, fece si che essi si organizzassero in un movimento
di opposizione al di fuori del Parlamento. Furono fondate le prime
associazioni cattoliche su scala nazionale8, raccolte nel 1874 attorno all’Opera
dei Congressi e dei Comitati cattolici 9. Essa svolse un’intensa attività
assistenziale con iniziative volte a procurare qualche beneficio alla vita dei
contadini, soprattutto nel Settentrione. Nel 1891 dopo non poche discussioni,
iniziative e stimoli, papa Leone XIII promulgò l’enciclica “Rerum novarum”,
fissando così il punto di partenza per i cattolici in merito alle questioni sociali.
Certe forme violente di protesta e di lotta, le polemiche scomposte, gli
attentati contro la proprietà, l’anticlericalismo furente, resero ostile il
socialismo ai cattolici. Intanto nel modenese la presenza dei cattolici nella
vita culturale fu pressoché insignificante: i cattolici non seppero rispondere in
modo adeguato alle esigenze di giustizia della povera gente. Si constatò una
certa estraneità della Chiesa locale alle questioni sociali e ai problemi della
povera gente. I comitati diocesani dell’Opera dei Congressi di Modena e
7
Non expedit (Non è conveniente, non è opportuno). È la formula con cui Pio IX proibì, nel 1868, ai cattolici
italiani di partecipare alle elezioni politiche.
8
A Bologna nasce nel 1867 la Società della Gioventù Cattolica Italiana, riconosciuta l’anno successivo da
Pio IX col motto di “preghiera, azione e sacrificio”. Nel 1905 con Pio X prenderà il nome di “Azione
Cattolica” .
9
L’Opera dei Congressi (1875-1904) è una federazione di associazioni cattoliche con il compito di
coordinare tutto il movimento cattolico italiano mediante l’organizzazione di congressi annuali nazionali. Fu
sciolta da Pio X nel 1904, a causa di dissidi interni all’organizzazione.
5
Carpi, erano costituiti in prevalenza da nobili e sacerdoti saldamente ancorati
al loro passato: essi vivevano perciò con distacco i mutamenti sociali in atto 10.
Nei primi del ‘900 in Italia scoppiò la rivoluzione industriale e gli
scioperi indetti dai sindacati si moltiplicarono vertiginosamente. La Chiesa
reagì a quei disordini, condannando quelle agitazioni violente e rifiutando il
sindacalismo 11. Mancava a quel tempo soprattutto in campo cattolico una
visione unitaria sul fenomeno in atto: i cattolici più chiaroveggenti erano
ormai convinti dell’insufficienza del sistema caritativo-assistenziale. Essi
colsero in questo fenomeno sociale, le sue cause ultime, ossia la profonda
esigenza di giustizia sociale che veniva negata dalla borghesia. Così si cercò
di sottrarre questo fenomeno sociale all’esclusivo influsso socialista,
attraverso il sindacalismo cristiano 12.
Sul versante cattolico, nel territorio emiliano, per contrastare l’attività
delle leghe socialiste, ci si organizzò secondo i programmi sindacali e politici
del movimento della prima Democrazia Cristiana Italiana (1905) guidata da
Romolo Murri, che nella Bassa Modenese ottenne gran diffusione13.
10
Cfr. R. RINALDI, op. cit., p. 29.
Cfr. G. MARTINA, op. cit., p.43.
12
Ivi, p.44.
13
.Cfr. R. RINALDI, op. cit., p. 39.
11
6
L'idea di Romolo Murri 14 di costituire una formazione operante in campo
politico trovò ostilità da parte della Santa Sede. Così, diversi democratici
cristiani subirono la condanna insieme ai modernisti da parte della Chiesa15.
Qualcosa si stava evolvendo anche nel cattolicesimo, tant’è che lo stesso
papa Pio X promulgò l’enciclica “Il fermo proposito”16, con la quale venivano
allentati i vincoli del “non expedit” e promossa un’associazione laicale
cattolica per l’apostolato nel mondo, che prese il nome di Azione Cattolica17.
L’Ac diventò lo strumento che la Chiesa utilizzò per l’apostolato, per
l’educazione cattolica giovanile e per contrastare le idee moderniste che allora
si andavano propinando18.
14
Romolo Murri (1870-1944), sacerdote marchigiano. Fu uno dei principali animatori del movimento della
Democrazia Cristiana, che voleva esprimere la posizione dei cattolici nel nuovo clima storico, e si battè a
fondo per la piena autonomia del movimento dall’Opera dei Congressi. Al dissenso pratico di fronte alle
posizioni conservatrici dei dirigenti dell’opera si affiancò gradualmente una critica teorica del cristianesimo.
Le divergenze disciplinari e dottrinali portarono lo portarono alla scomunica nel 1909. La sua critica verteva
principalmente contro la gerarchia, trovando spesso simpatie nelle idee moderniste. La separazione dalla
Chiesa avvenne essenzialmente per la rivendicazione di una autonomia dei cattolici nel campo politico, che
in Murri sfociò in una rivolta disciplinare. Morì tuttavia riconciliato con la Chiesa nel 1944.
15
Cfr. G. MARTINA, op. cit., p.71.
16
PIO X, Lettera Enciclica Il fermo proposito, 11 giugno 1905, in ASS 37 (1905), 741-767.
17
L’AC nasce con l’intento di difendere il papa, successivamente si sviluppa diversamente poiché viene
inserita nell’Opera dei Congressi nel 1874. Con Pio XI invece assume un compito specifico di preparazione e
di formazione dei laici cattolici per una loro presenza nella società, opponendosi ai totalitarismi imperanti.
Sarà antagonista dello stesso fascismo, poiché rappresenterà un’alternativa educativa a quella proposta dal
regime fascista. Papa Pio XI difenderà fervidamente l’AC.
18
Cfr. K. BIHLMEYER - H. TUECHLE, op.cit., p. 313; Col termine “modernismo” si definisce quella corrente
di pensiero razionalistica, sviluppata intorno alla filosofia e alla teologia cattolica, connotata da un forte
impulso a ripensare il messaggio cristiano alla luce delle istanze della società moderna di inizio ‘900.
L’intento di voler adattare il cattolicesimo a tutte le conquiste dell’epoca moderna nel dominio della cultura e
del progresso sociale, furono condannate da Pio X nell’enciclica “Pascendi dominici grecis” del 1907.
7
1.2 Aspetti politici e culturali in Italia nell’età dei totalitarismi
Nel 1914, dopo l'attentato di Sarajevo all’arciduca Francesco Ferdinando
(28 giugno) e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale (28 luglio), l’Italia
rimase inizialmente neutrale19. Il conflitto provocò nel Paese una spaccatura
nella politica italiana: da un lato i neutralisti (cattolici, liberali e socialisti) e
dall’altro
lato
gli
interventisti
(socialisti
rivoluzionari,
democratici,
nazionalisti)20. Ma la guerra incombeva, e i cattolici, in gran parte impreparati
ideologicamente e politicamente, non seppero esprimersi in modo unitario e
originale21. In un clima di manifestazioni a favore del conflitto in tutto il
Paese l’Italia entrò in guerra nel 1915.
Dopo gli eventi che portarono allo scoppio della prima guerra mondiale,
l’azione di Benedetto XV, salito al soglio pontificio il 5 settembre 1914, e dei
vescovi italiani fu caratterizzata da continui interventi di condanna verso il
socialismo 22. In territorio emiliano, il socialismo era alquanto diffuso e
rivoluzionario, e nel modenese, dove le manifestazioni contro la guerra furono
più infuocate, gli stessi vescovi si mantennero su una linea neutrale,
19
Cfr. G. MARTINA, op. cit., p.98.
Ibidem.
21
Ivi, p.94.
22
Cfr. BENEDETTO XV, Nota Alle potenze belligeranti, 1 agosto 1917 in AAS 9 (1917), 417-420.
20
8
traducendo le aspirazioni e i richiami alla pace di Benedetto XV 23. Alla fine
delle ostilità tra Italia e Austria (decretata con la firma dell’armistizio del 4
novembre 1918) l’Italia uscì devastata. Infatti nel primo dopoguerra
iniziarono a manifestarsi i gravi problemi politici, religiosi, morali e sociali
nel Paese.
Quello sociale innanzitutto. Si poneva il problema dell’adattamento dei
reduci nella società italiana. L’esperienza bellica aveva infatti abituato
all’azione violenta e alla logica della mentalità militare. In secondo piano vi
era l’aspetto economico italiano. L’inflazione infatti aveva causato il crollo
dei salari. La crisi delle principali industrie aveva creato una crisi di
occupazione senza precedenti. Inoltre si registrava anche la crisi del mondo
contadino e agricolo. Infine il debito pubblico esplose al termine del conflitto.
Il crollo del valore della lira e una diminuzione dei salari reali, peggiorarono
un quadro di per sé già drammatico.
Il piano politico risentì degli effetti del conflitto. In quegli anni (19191920) in Italia, ci fu un’offensiva decisa da parte della sinistra socialista e dei
sindacati. Il peggioramento delle condizioni di vita delle classi popolari (già
duramente provate dalla guerra) fu la causa immediata dell'ondata di scioperi
23
Cfr. R. RINALDI, op. cit., p. 48.
9
e di agitazioni, iniziata nella primavera del 1919, alla quale non rimase
estranea nessuna categoria di lavoratori.
In provincia di Modena, intorno a quegli anni, le lotte contadine e
operaie diventarono aspre e tra le più violente in Italia. I metodi di lotta delle
leghe rosse provocarono la reazione avversaria24. Nel frattempo don Luigi
Sturzo 25 fondò il Partito Popolare (1919), traendo ispirazione dalla dottrina
sociale cristiana, pur non sottostando alla gerarchia ecclesiastica. Questo
partito ebbe una rapida diffusione grazie anche all’appoggio dell’Azione
Cattolica e dei cattolici. Infatti nello stesso anno fu abrogato il “non expedit”
dalla Penitenzeria, permettendo così la partecipazione dei cattolici nelle
elezioni del 1919 26.
La prima guerra mondiale portò nella popolazione un certo
allontanamento dai principi cattolici che sino ad allora la Chiesa aveva
sempre cercato di trasmettere alla società. Lo strumento principale che il
pontefice Pio XI individuò per restaurare l’influenza della Chiesa sulla società
24
Cfr. Ivi, p. 62.
Luigi Sturzo (1871-1959), sacerdote e politico italiano. Nacque a Caltagirone (CT) nel 1871.
Dopo
essere stato ordinato sacerdote, si trasferì a Roma dove entrò in contatto con R. Murri e G. Toniolo,
avvicinandosi agli ambienti della democrazia cristiana. Tornato a Caltagirone, promosse la costituzione di
cooperative agricole, casse rurali e società operaie, nel quadro di un progetto di rinnovamento dell'economia
meridionale. Nel dopoguerra, fondò il Partito popolare italiano (1919), di cui assunse la carica di segretario.
Costretto a dimettersi da segretario del partito (luglio 1923), fu indotto dal cardinale P. Gasparri a lasciare
l'Italia e si stabilì a Londra, poi a New York (1940). Rientrato in Italia (1946), riprese l'attività politica, pur
non aderendo ufficialmente alla Democrazia cristiana.
26
Cfr. G. MARTINA, op. cit., p.15.
25
10
fu l’Azione Cattolica; nel pensiero di Pio XI questa venne concepita come
l’unione delle forze cattoliche organizzate per l’affermazione, la diffusione e
l’attuazione dei principi cattolici nella vita individuale, familiare e sociale,
fedele alle direttive della Santa Sede e alle strette dipendenze della gerarchia
ecclesiastica27.
In Italia, dopo la marcia su Roma (28 ottobre 1922), i cattolici, sia pure
con una certa prudenza sul carattere della nuova forza politica che si andava
delineando, manifestarono una certa speranza nel fascismo che, anche se con
mezzi straordinari, avrebbe riordinato l’assetto sociale del Paese. Gli ambienti
cattolici furono letteralmente conquistati dalle capacità del fascismo di
provvedere al risanamento e alla tutela della pubblica moralità. L’insieme di
questi provvedimenti del governo fascista, i primi dei quali attuati nel giro di
pochi mesi, creò rapidamente un clima diverso da quello dell’Italia liberale,
un clima che gli ambienti del cattolicesimo definirono di restaurazione di
valori spirituali, di riconoscimento della religione, di risorgimento civile.
Il fascismo, insomma, si mostrò come una forza al tempo stesso
profondamente opposta al socialismo e avversa allo Stato liberale e laico, in
grado di combattere efficacemente e sconfiggere entrambi i grandi avversari
27
Cfr. K. BIHLMEYER - H. TUECHLE, op.cit., p.353.
11
della Chiesa. Così si accentuarono progressivamente all’interno della Chiesa e
del mondo cattolico le tendenze favorevoli al fascismo, mentre questo
continuò ad esercitare un’azione di intimidazione e di violenza verso le
organizzazioni politiche e sindacali popolari allo scopo di disgregarle e
distruggerle: queste azioni si rivolsero anche contro circoli e organizzazioni
dell’Azione Cattolica.
Tra il 1925 e il 1926 il fascismo si tramutò in vera e propria dittatura.
Nell’aprile 1926 le intenzioni totalitarie del fascismo intaccarono un ambito
particolarmente caro alla Chiesa, quello dell’educazione morale e religiosa
della gioventù, minacciata dall’istituzione dell’Opera nazionale Balilla che
tendeva al monopolio nel campo dell’organizzazione giovanile28. Con la
firma dei Patti Lateranensi, nel 1929, il fascismo si assicurò una larga base di
consenso all’interno del mondo cattolico italiano e ottenne, di contro, anche
ampio prestigio sul piano internazionale 29.
Ma nel 1931 scoppiò, fra la Chiesa e il fascismo, un contrasto la cui
origine era legata soprattutto all’attività che l’Azione Cattolica svolgeva nel
campo giovanile. Alla fine di maggio si verificarono aggressioni fasciste a
sedi e a iscritti della Gioventù Cattolica; il 28 maggio 1931, Mussolini ordinò
28
29
Cfr. R. RINALDI, op. cit. , pp. 101-102.
Cfr. G. MARTINA, op. cit., pp. 105-112.
12
lo scioglimento di queste organizzazioni30, causando non molto tempo dopo,
l’intervento di Pio XI nell’enciclica «Non abbiamo bisogno»31.
La convivenza tra la Chiesa e il fascismo proseguì in modo “pacifico”
senza contrasti fino al 1938, quando si riscontrarono nuovi attriti tra la Chiesa
ed il fascismo.
Ben presto la politica adottata dal duce trovò sostegno nella Germania
nazista di Adolf Hitler. La Santa Sede non gradì i risvolti che la politica
mussoliniana stava prendendo, e un amareggiato Pio XI tacitamente protestò
contro le leggi razziali emanate dallo stesso Mussolini nel 1938. Pio XI morì
nel febbraio del 1939.
1.3 L’Italia nel secondo conflitto mondiale
Pio XII, non appena eletto papa, avvertì fin da subito questo pericolo. La
Santa Sede alle prime avvisaglie di guerra, si adoperò per scongiurare lo
scoppio di un imminente conflitto tramite soluzioni diplomatiche, che non
sortirono l’effetto desiderato 32.
30
Cfr. R. RINALDI, op. cit., p.147.
PIO XI, lettera enciclica Non abbiamo bisogno, 29 giugno 1931, in AAS 33 (1931).
32
Cfr. K. BIHLMEYER - H. TUECHLE, op.cit., p.361.
31
13
Il 1 settembre del 1939, nel momento in cui le truppe tedesche invasero
la Polonia, l’Italia annunciò la sua non belligeranza. Le sorti della guerra
subirono una rapida evoluzione in favore della Germania.
Mussolini nutrì sempre più il desiderio di prendere parte al conflitto con
la convinzione che l’Italia ne avrebbe tratto innumerevoli vantaggi: il 10
giugno 1940 l’Italia entrò in guerra. Il secondo conflitto mondiale, però, fece
maturare nella realtà del cattolicesimo italiano, un progressivo allontanamento
dal regime alla luce della stessa scelta di allearsi con la Germania nazista.
Il 25 luglio 1943 il Re dichiarò decaduto il regime fascista e l’8
settembre dello stesso anno, venne resa pubblica la firma dell’Armistizio con
le forze Alleate33. Intanto gli innumerevoli civili che si ribellarono
all’invasione nazifascista furono fucilati.
Il movimento partigiano, come lotta armata contro i nazi-fascisti, si
costituì attraverso un processo di maturazione che durò alcuni mesi,
divenendo attivo a partire dall’inverno 1943 - 1944: furono gli anni della
Resistenza in Italia.
33
Il paese si trovò stretto nella morsa dei tedeschi al nord e degli alleati al sud. Mussolini fu liberato
dai nazisti e condotto a Salò dove, con un gruppo di fedeli fascisti, diede origine alla Repubblica Sociale
Italiana. Il duce infatti fu persuaso di poter dirigere ancora le operazioni di guerra per portare il Paese alla
vittoria a fianco dei tedeschi.
14
Per il movimento partigiano, la Resistenza si configurava come una
guerra di liberazione del territorio italiano dall’occupazione tedesca, ma anche
come l’orgogliosa riconquista di un’identità nazionale. L’idea di una guerra di
classe era invece la speranza dei tanti socialisti, che ritenevano provvidenziale
la rovina dei nazi-fascisti per dare il via alla lotta di classe, preludio alla
dittatura del proletariato.
Riguardo al mondo cattolico e alla sua gerarchia vi era una
contraddizione, quasi insanabile, tra la tendenza ad un atteggiamento “super
partes” rispetto ai conflitti militari e politici, e la crescente consapevolezza
che fosse invece necessario schierarsi, quanto meno dalla parte delle proprie
comunità colpite dalla violenza. Allora molti preti e parroci, a contatto con le
masse popolari, si mossero sul terreno dell’antifascismo e del patriottismo.
I cattolici avvertirono le esigenze delle masse popolari: spinti da ragioni
evangeliche, molti cattolici si fecero attenti agli strati della popolazione
sofferenti a causa della follia dei regimi totalitari. Al di là della partecipazione
diretta alla “resistenza armata” da parte dei cattolici, singolarmente o in
gruppi organizzati, furono importanti quegli episodi di impegno e quotidiana
disobbedienza rispetto all’occupante: davanti ad una situazione di ingiustizia
nei confronti della popolazione civile, la maggior parte dei vescovi, del clero,
15
dei membri dell’associazionismo cattolico scelsero di mettersi dalla parte
delle vittime, qualunque esse fossero, con un atteggiamento compassionevole.
Il 5 giugno 1944 la capitale passò sotto il controllo delle truppe alleate:
Roma finalmente venne liberata.
La lotta nel frattempo si spostò completamente nell’Italia settentrionale.
Il 25 aprile 1945 con la liberazione di Milano, l’Italia poté finalmente dirsi
libera. Con la sua liberazione il secondo conflitto mondiale in Italia si
concluse: cominciò così il lungo periodo della ricostruzione.
1.4 La Chiesa italiana e la ricostruzione morale e civile della nazione
La
popolazione
uscì
dal
conflitto
distrutta
psicologicamente,
politicamente ed economicamente 34.
Nella seconda metà del 1942 alcuni esponenti del laicato cattolico
nazionale (leader del Partito popolare, dirigenti dell’Azione cattolica,
professori dell’Università cattolica) iniziarono a discutere per delineare
l’orizzonte di uno Stato democratico dopo l’auspicata caduta del Fascismo.
Nel marzo del 1943, prese forma nella clandestinità il programma di un
partito democratico cristiano che, dopo l’arresto di Mussolini, venne diffuso
34
Cfr. K. BIHLMEYER - H. TUECHLE, op.cit., p.395.
16
in tutte le sedi dell’Azione cattolica. Così, mentre l’Ac si offriva come punto
di riferimento per la ricostruzione civile nell’Italia, la Democrazia cristiana
(Dc) 35, dal settembre 1943 partecipò al Comitato di liberazione nazionale,
all’organizzazione della Resistenza e infine alla formazione dei governi che
seguirono la liberazione di Roma nel giugno 1944.
Ad Alcide De Gasperi36, leader del partito democratico nascente, fu
affidato nel dicembre 1945, la presidenza del Consiglio nel governo di
coalizione, che condusse l’Italia al referendum istituzionale del 2 giugno
1946.
Col sostegno della Chiesa locale, che considerò per diversi anni questo
partito come “cattolico”, la Dc iniziò ad organizzarsi nel territorio e a mettere
a punto strutture proprie per il confronto con una nuova classe dirigente: sia
con gli esponenti del liberalismo prefascista e sia con i militanti socialisti e
comunisti.
35
Cfr. G. MARTINA, La Chiesa in Italia negli ultimi trent’anni, edizioni Studium, Roma, 1977, p. 22.
La Democrazia Cristiana (DC) è stato un partito politico italiano di ispirazione democratico-cristiana e
moderata. Fu fondato nel 1942, prima della caduta di Mussolini. Questo partito ha avuto un ruolo cardine
nella rinascita democratica italiana e nel processo di integrazione europea. Cfr. G. MARTINA, La Chiesa in
Italia negli ultimi trent’anni, edizioni Studium, Roma, 1977, p. 22
36
De Gasperi Alcide (1881 - 1954), statista e politico italiano. Tra i membri più in vista del Partito popolare
italiano, fu deputato alla Camera nel 1921. Ostile al fascismo, dopo la marcia su Roma sostituì Sturzo alla
direzione del partito e fu membro attivo del Comitato dell'Aventino; fu condannato a 4 anni di carcere per
antifascismo. In seguito fu impiegato nella Biblioteca Vaticana. Riorganizzò durante la Resistenza il Partito
popolare con il nome di Democrazia cristiana; fu presidente del Consiglio fino al 1953. Di particolare
significato rimane l'opera svolta da De G. per la ricostruzione del paese dalle rovine della guerra. La sua
politica estera fu inoltre risolutamente tesa all'inserimento dell'Italia nell'ambito dell'Alleanza atlantica e alla
realizzazione dell'Europa unita.
17
I risultati elettorali del 1946, diedero alla Dc il 35,2 % dei voti validi,
presentandola come il maggiore partito del Paese, davanti a socialisti e
comunisti, e come il raggruppamento politico preminente.
Nel grave contesto internazionale che vedeva l’Italia nazione sconfitta
nella seconda guerra mondiale e nella complessa situazione interna di
ricostruzione socioeconomica, dialogando con la Santa Sede, la Dc si trovò
anche a svolgere il difficile compito di rappresentare il mondo cattolico
italiano nel processo che avrebbe dato al Paese le basi costituzionali della
giovane repubblica. Grazie al consenso elettorale ricevuto, la Dc si pose al
centro degli schieramenti politici, ricercando ampie coalizioni, senza
rinunciare ad esercitare responsabilmente le scelte necessarie37.
In tale scenario va collocato sia il contributo democratico cristiano
all’elaborazione della carta costituzionale, in un meditato percorso di
mediazione con le altre correnti politiche, sia l’esclusione del Partito
comunista italiano (Pci) dal governo nel maggio 1947.
37
Cfr. G. MARTINA, La Chiesa in Italia negli ultimi trent’anni, edizioni Studium, Roma, 1977, p. 29.
18
La Chiesa cattolica italiana e papa Pio XII, compresero l’importanza
della nuova emergenza che si stava delineando, in vista delle prime elezioni
politiche dell’Italia repubblicana del 1948, con la costituzione del Fronte
popolare, che raccoglieva insieme socialisti e comunisti (una forza elettorale
potenzialmente superiore alla Dc)38.
Nell’incipiente clima da Guerra fredda i cattolici rafforzarono il loro
sforzo formativo per favorire non solo un maggiore impegno civile, ma anche
scelte elettorali ispirate al magistero ecclesiale. Contemporaneamente i
liberal-conservatori fecero confluire il loro consenso sul partito democristiano
come perno di un sistema politico democratico e occidentale, contrapposto
alla pretesa egemonica comunista, collegata alla politica sovietica.
Con il risultato delle elezioni del 18 aprile 1948 il cattolicesimo italiano
per mezzo della Dc, partecipava pienamente, per la prima volta nella storia
dello Stato nazionale, al governo del Paese, con l’obiettivo primario di
restituirgli coesione sociale all’interno e credibilità sul piano della politica
estera. Il partito democristiano s’impose come elemento di equilibrio tra
diversi interessi politici e sociali. Auspicata dalla gerarchia cattolica, l’unità
38
Ibidem.
19
dei diversi orientamenti del cattolicesimo politico italiano all’interno della Dc
rese presto più complesso il rapporto tra azione cattolica e azione politica.
Nel mondo cattolico che sosteneva la Dc, non mancavano le aspettative
per un governo impegnato a realizzare il magistero sociale della Chiesa39.
Intanto, il perseguimento di un’efficace politica di alleanze e l’esigenza
di calare i valori della tradizione cristiana nel concreto delle trasformazioni
sociali posero le basi per avviare significative riforme. Si promossero negli
anni Cinquanta la piccola proprietà contadina e la riforma agraria, si
svilupparono piani per l’occupazione e per l’edilizia popolare, si agevolò il
credito per la piccola industria, l’artigianato e la cooperazione, si favorì il
risparmio e la produttività, si coordinò l’assistenza sociale 40.
Nell’Italia che si avviò al boom economico alla fine degli anni
Cinquanta, la Dc si diede una robusta organizzazione, si confrontò con i
soggetti sociali, ricercò aperture ed equilibri politici in grado di sostenere
maggiori riforme. Nello stesso tempo, la Dc continuava a costituire per la
Chiesa italiana un’autorevole interlocutore per delineare il ruolo pubblico dei
cattolici nella vita sociale.
39
Nel 1951 suscitò motivo di riflessione la scelta di Giuseppe Dossetti, già vicesegretario della Dc, di
lasciare la vita politica per quella religiosa.
40
Ibidem.
20
CAPITOLO II
VITA, STUDI E MINISTERO DI DON ZENO SALTINI (1900- 1981)
2.1 La Famiglia Saltini nel contesto storico e culturale di Fossoli
La vicenda personale di don Zeno Saltini non prescinde dal contesto
natio: quest’uomo “non si è fatto tutto da sé”, ma è un prodotto genuino della
sua famiglia, della sua gente, della sua terra, di tutto l’ambiente dove nacque e
venne su nei primi anni.
Nono di dodici figli, Zeno era nato a Fossoli, una piccola frazione del
comune di Carpi ( Modena), il 30 agosto del 1900 da Filomena Righi e Cesare
Saltini. Cresce in un’agiata famiglia patriarcale, economicamente salda e
proprietaria di poderi ben redditizi, unita sotto l’autorevolezza del nonno
Giuseppe e della ricchezza di spirito cristiano della nonna Filomena
Gamberini. Il nonno Giuseppe, agricoltore di singolari capacità ha accumulato
un cospicuo patrimonio fondiario, le cui eredità sono lasciate ai figli.
21
Per la lavorazione dei campi il Giuseppe Saltini si serve anche della
manodopera dei braccianti del luogo, nei confronti dei quali si mostra giusto,
preoccupandosi di una loro equa retribuzione e rispettandone i diritti
sindacali. Inoltre ne conserva anche l’unità, trasmettendo soprattutto ai nipoti
valori ed esempi di comportamento: tutti sentono la loro appartenenza in
quanto membri della stessa famiglia.
Questo sarà occasione di spunto ricorrente nella vita di Zeno, che
confronta la sicurezza che regna nel solido edificio economico e affettivo
della sua famiglia con la precarietà delle famiglie isolate dei braccianti, che
vivono in condizioni di grande miseria: per tutta la vita considererà il modello
familiare dell’infanzia l’archetipo della solidità sociale 41.
La famiglia Saltini è una solida, onesta, ricca famiglia emiliana, che si
caratterizza anche per una religiosità rigorosa ed essenziale, educando più con
l’esempio che con le parole. È una famiglia dai caratteri forti, che si
contraddistingue per la caparbietà e la determinazione nonostante le fatiche, le
difficoltà e le incomprensioni: questa caratteristica sarà assorbita anche nella
personalità di Zeno lungo tutti i suoi anni.
41
Cfr. R. RINALDI, op. cit., p. 31.
22
Sin da fanciullo, Zeno si distingue per una notevole sensibilità familiare
e sociale. I suoi occhi, la sua mente e il suo cuore iniziano ad avvertire i
problemi sociali in cui versava la gran parte della popolazione di quegli anni,
laddove la miseria e la fame si univano alla sete di giustizia dei lavoratori del
luogo.
2.2 Studi e formazione del giovane Zeno
A 14 anni circa, Zeno rifiuta di andare a scuola perché la trovava
“insipida e vuota”, strappando il consenso al padre. Sostiene che la scuola
insegnava cose che non incidevano sulla vita, non insegnava a vivere perché
troppo distaccata e separata dalla vita reale42, preferendo così lavorare tra i
campi, nei poderi di famiglia, a contatto con i problemi reali dei braccianti e
degli operai 43.
Ben presto però constata la miseria della gente del posto e vive in modo
conflittuale la propria condizione di figlio di ricchi possidenti terrieri, assiste
alle schiere di operai che si dirigono al duro lavoro, e da quegli uomini ama
ascoltare le discussioni e le narrazioni circa la rivoluzione necessaria ed
inevitabile della società: il loro credo è quello socialista, da cui percepisce
42
43
Cfr. Z. SALTINI, La chiamata (1900-1913), in “Nomadelfia è una proposta”, 1981, n.9, p.2.
R. RINALDI, op. cit., p.45.
23
l’anelito di giustizia: “anche a lui l’idea che la vita fosse fatta di padroni e di
sudditi, di ricchi e di povera gente non andava giù”44.
Con la formazione cristiana che Zeno riceve in famiglia e l’influsso
decisivo del parroco e dell’ambiente parrocchiale su di lui, Zeno pian piano
capisce che l’urgenza di risolvere i problemi della povera gente è coerente con
la sua fede45: per sua fortuna era arrivato a Fossoli don Sisto Campagnoli
(1884 - 1935), un sacerdote povero, che si era fatto povero per i poveri. Da lui
Zeno imparò soprattutto il bisogno di giustizia sociale. Accanto alle
discussioni dei socialisti, si inserisce l’azione educativa di don Campagnoli,
che dal 1914 è parroco a Fossoli.
Infatti il nuovo parroco intuisce da subito l’indole del ragazzo, lo aiuta a
superare la crisi adolescenziale che sta attraversando, lo coinvolge
nell’Azione Cattolica, gli fa considerare in chiave cristiana ed evangelica i
problemi sociali e lo istruisce nella dottrina sociale cattolica 46.
Zeno si lascia coinvolgere nelle lotte tra socialisti e cattolici,
imponendosi ben presto come capo del gruppetto di giovani di Azione
44
Cfr. D. MONDRONE, Don Zeno Saltini e l’utopia di Nomadelfia, in “La Civiltà Cattolica”, 21 marzo 1981,
p. 539.
45
R. RINALDI, op. cit., p. 46.
46
Cfr. Z. SALTINI, Tra le Zolle, Nomadelfia Edizioni, Nomadelfia (Gr), 1982, cap. VII.
24
Cattolica di Fossoli47. Negli ultimi mesi del primo conflitto mondiale (1918)
viene chiamato alle armi, e destinato a Mantova nel genio dei telegrafisti: la
guerra termina prima che venga mandato al fronte.
Ma, nell’immediato primo dopoguerra, iniziarono a manifestarsi nel
Paese gravi problemi politici e sociali, tuttavia Zeno non elude alcuna
questione anzi si immerge nei problemi sociali, religiosi e morali che si
presentano nel territorio48. Nel frattempo Zeno nel 1920 viene richiamato alle
armi per completare il servizio militare, questa volta viene destinato a
Firenze. Mentre nelle strade e nelle case delle città dominava l’ideologia
socialista, i cattolici venivano scherniti e dispregiati da questi ultimi.
Accadde che un giorno alla presenza di tutta la camerata, Zeno ha una
violenta discussione con un commilitone anarchico, il quale sosteneva che
Cristo e la Chiesa sono di ostacolo al progresso umano. Zeno sostiene il
contrario. Ma l’anarchico è istruito e porta esempi storici che Zeno non riesce
a confutare e nella discussione soccombe tra i fischi degli altri soldati. Zeno
si ritira nella stanza di un amico sergente, da solo, sconvolto, e con
l’intenzione di scrivere al suo parroco:
47
48
Cfr. B. MATANO, Vita di Nomadelfia, Armando Editore, Roma, 1971; cfr. Z. SALTINI, op. cit., p. 62-87.
R. RINALDI, op. cit., p.51.
25
“mi sono messo a piangere, per parecchio, da solo, così, piangevo e pensavo.
Direi che in un quarto d’ora ho smantellato tutta la mia vita e io ero un altro dopo,
ero quello che sono oggi, proprio, dopo non ho cambiato niente della mia vita. Presi
la penna e: “Caro don Sisto, da questo momento sono studente e studio legge e
teologia. Legge, perché voglio conoscere la struttura giuridica dei popoli, teologia
per conoscere la struttura della fede. (…) Da oggi comincio una nuova vita”. 49
Dopo questa esperienza, Zeno decide di riprendere a studiare per
sostenere i propri convincimenti con conoscenze più solide e concretizzare le
sue intuizioni. La discussione con il commilitone anarchico è stato “un
pizzico tremendo di Dio sulla sua coscienza”, che dà una direzione nuova alla
vita del giovane Zeno Saltini. Infatti terminato il servizio militare nell’agosto
del 1920, riprende gli studi.
Dal 1920 al 1923, Zeno si butta a capofitto nello studio, superando gli
esami del ginnasio, del liceo e iscrivendosi persino a giurisprudenza presso
l’Università Cattolica di Milano. Nonostante lo studio, Zeno ha il tempo
anche di dedicarsi a una intensa attività di apostolato in Azione Cattolica,
sempre coerente con le aspirazioni sociali che in quegli anni, sono influenzati
49
Z. SALTINI, op. cit., cap. I
26
dal magistero sociale di Pio XI, ben enucleato nell’enciclica “Quas Primas”
del dicembre 1925 50.
L’Azione Cattolica infatti, come indicato da papa Pio XI nell’enciclica,
aveva assunto il compito di cristianizzare la civiltà. A Carpi iniziano, si
affermano e tramontano in poco tempo, singolari iniziative cattoliche con
centro nella sede dell’oratorio cittadino, diretto da don Armando Benatti 51.
Tuttavia queste nuove attività avranno vita breve, poiché ben presto su
di loro inciderà molto l’opposizione fascista, la quale vorrà prerogativa
sull’educazione della gioventù. Nel 1924 è nominato presidente diocesano
della Gioventù cattolica, e assieme a don Benatti, mettono su a Carpi un’opera
originale: l’Opera Realina52. Il problema che assilla Zeno è quello della
gioventù con ideali sbagliati 53. Don Benatti ha coinvolto alcuni giovani
50
Cfr. PIO XI, Lettera enciclica Quas Primas, 11 dicembre 1925, in AAS 17 (1925), 595-601.
Con l’enciclica “Quas Primas” di Pio XI viene istituita la festa di Cristo Re. Il papa pur affermando il
carattere spirituale del Regno di Cristo, ne mette in evidenza il carattere sociale, poiché gli uomini sono
soggetti alla potestà di Cristo non solo come individui, ma anche uniti in società. La regalità di Cristo deve
manifestarsi in tutte le espressioni della vita sociale, mediante l’accoglimento, nelle leggi e nelle istituzioni
pubbliche, dei principi evangelici insegnati dalla Chiesa.
51
Benatti Armando (1887-1937). Sacerdote nel 1912. Dopo alcuni anni di esperienza pastorale in parrocchia,
è prefetto nel seminario di Carpi, poi insegnante e direttore spirituale. Nel 1922 è pure direttore dell’oratorio
“B. Bernardino Realino” di Carpi. Con un gruppo di giovani cattolici fonda l’Opera Realina per l’educazione
della gioventù povera, che fallisce dopo qualche anno. All’inizio degli anni ’30, fonda l’Istituto B.
Bernardino Realino per la formazione della gioventù povera intenzionata ad avviarsi al sacerdozio.
52
L’Opera Realina nasce nel 1926, su iniziativa di don Armando Benatti e Zeno Saltini. È una scuola operaia
di arti e mestieri dell’unione giovani cattolici operai. Ebbe vita brevissima perché contrastata da debiti e dalle
opposizioni del fascismo imperante. Si prefiggeva il compito di educare i ragazzi più poveri, preparandoli
professionalmente alla vita. Al suo interno erano allestiti laboratori dove i giovani potevano specializzarsi in
varie arti.
53
Cfr. Z. SALTINI, op. cit., cap. III.
27
cattolici in attività di recupero sociale rivolte a un gruppo di giovani di cui
Zeno ne è a capo: i “realini”54.
Quest’opera compie svariate attività multiformi: luogo di ricreazione,
centro animatore e propagatore dell’AC, luogo di formazione e preghiera,
apostolato e recupero sociale, scuola di formazione professionale, centro
sportivo, studio assistito per studenti. Dopo tre anni di attività, l’Opera
Realina è costretta a chiudere.
Nel 1925, Zeno si impegna in attività ricreative, assumendo la
presidenza dell’Associazione ciclistica “pedale Carpigiano”. Fonda anche
“L’Aspirante”, che diverrà in seguito periodico nazionale dei ragazzi di
Azione cattolica. Ben presto però i fascisti irruppero con violenza per
distruggere le sedi delle cooperative, sciogliendo così le società cattoliche.
Nel 1926 accade però un episodio curioso: si tenne a Roma, nei primi di
Novembre, un’udienza di Pio XI con la Gioventù Cattolica Italiana. Durante
l’udienza il papa pronunciò un discorso nel quale trattava l’argomento delle
violenze subite dai giovani cattolici da parte dei fascisti. Nello stesso discorso
il papa si dice lieto di quei circoli cattolici che si occupano delle opere di
54
Cfr. R. RINALDI, op. cit., p.77-121. I “realini” sono un gruppetto di giovani che conduce vita comune, nella
preghiera, nello studio, nell’azione, nel lavoro, presso l’Oratorio Bernardo Realino di Carpi, al fine di
santificare sé stessi e dedicarsi all’apostolato dell’AC.
28
carità sociale a vantaggio della gioventù. Durante i saluti che seguirono
l’udienza, papa Pio XI informato dell’egregia attività svolta nella diocesi di
Carpi, abbracciò il giovane Zeno e lo incoraggiò: “il papa è con te”55.
Il fallimento dell’Opera Realina ha intaccato l’animo di Zeno. Alla
disillusione per la fine di un’iniziativa nella quale aveva riversato tante
speranze, si aggiungeva ora l’incertezza sul significato della sua stessa
esistenza: “che cosa devo fare della mia vita?”.
Nella ricerca sofferta di un significato più profondo da attribuire alla
propria vita, Zeno scopre la sua vocazione al sacerdozio. Nel 1926 si era
iscritto a giurisprudenza presso l’Università Cattolica a Milano, seguendo i
corsi con esiti modesti: decise così di gettarsi nuovamente a capofitto negli
studi. Nell’autunno dello stesso anno si trasferisce a Verona presso don
Giovanni Calabria 56 per completare gli studi. Vi rimarrà due anni, e ben
55
Z. SALTINI, op. cit., p. 57.
Cfr. <https://www.doncalabria.net/cenni-biografici> (29/10/2017, 15.20) p.1.
Giovanni Calabria nacque a Verona da genitori poveri l'8 ottobre 1873 e fu consacrato sacerdote nel 1901.
Fondò nel 1907 la Congregazione dei "Poveri Servi della Divina Provvidenza", composta di Sacerdoti e
Fratelli, e quella parallela delle "Povere Serve della Divina Provvidenza", con la finalità di vivere e portare
nel mondo la fede in Dio Padre e la fiducia nella Divina Provvidenza, dedicandosi primariamente agli orfani,
agli abbandonati, emarginati, ammalati ed anziani. Negli anni seguenti il sacerdote veronese fondò molte
altre Case e scuole con un’attenzione particolare per gli orfani e i ragazzi in difficoltà, che lui chiamava
“Buoni Fanciulli”. Accanto a questa attività, però, don Calabria si dedicò durante la sua vita a molti altri
campi pastorali: dalle parrocchie all’ecumenismo, dall’assistenza agli ammalati alla formazione dei sacerdoti.
Morì il 4 dicembre 1954 e a distanza di tanto tempo, il ricordo di don Calabria è ben vivo nella Chiesa, dove
viene indicato come esempio di fede nel Padre Celeste e di amore verso i più bisognosi, nei quali egli vedeva
le "vive immagini di Gesù". Fu beatificato dal Santo Padre Giovanni Paolo II a Verona il 17 aprile 1988 e
canonizzato dallo stesso Pontefice il 18 aprile 1999 a Roma.
56
29
presto don Calabria diventerà suo confessore e direttore di spirito,
indirizzandolo sulla via del sacerdozio.
Durante gli studi Zeno trascorre anche sette mesi pressola “Casa della
Provvidenza Sociale” di Milano-Niguarda, che accoglie i dimessi dal carcere
agevolando il loro reinserimento sociale: Zeno, d’accordo col direttore, vi
entra in anonimato, spacciandosi per un ex carcerato, con l’intento di poter
conoscere l’anima sofferente dei cosiddetti “delinquenti”.
Nel 1929 si laurea in legge presso l’Università Cattolica di Milano: ora
da avvocato potrà meglio difendere i ragazzi che incappano, a causa della
loro condizione sociale, nelle maglie della Legge e non possono permettersi
un avvocato che li difenda.
Tuttavia Zeno non è soddisfatto: l’intensa attività tra un popolo oppresso
dalla miseria, e il contatto con la gioventù traviata, sconvolgono i sentimenti
di Zeno. Lui non vuol fare il penalista, non vuole difendere i delinquenti,
perché ritiene più utile prevenire la delinquenza che curarla: Zeno ritorna a
Verona da don Calabria.
Seguendo l’incoraggiamento e i consigli di don Calabria, Zeno si
convince che solo la predicazione del messaggio di Cristo nella sua integralità
30
può salvare una società che reputa avviata al baratro 57. Nel gennaio del 1930
decide di entrare in seminario a Carpi e col beneplacito del vescovo, gli
vengono abbreviati in via del tutto eccezionale i tempi, completando gli studi
in meno di un anno 58.
Una vocazione tardiva come quella di Zeno, con una laurea in
giurisprudenza, è un fatto piuttosto insolito in quei tempi. Inoltre Zeno sino a
29 anni, è stato immerso nella vita e nei problemi sociali in pieno. Il vescovo
di Carpi, mons. Pranzini 59 è convinto che una figura di sacerdote non
omologa alla consuetudine può essere utile per smuovere una pratica pastorale
troppo appiattita:
“Io ho bisogno di don Zeno e lo faccio galoppino nella diocesi a svegliare i
dormienti e lui va in tutte le parrocchie e sveglia i dormienti, perché è un dono di Dio
che abbiamo” 60.
57
R. RINALDI, op. cit., p.136-141.
Ivi, p. 142.
59
Pranzini Giovanni (1875-1935). Sacerdote nel 1899, arciprete nella parrocchia di Mirabello. Si distinse per
le notevoli realizzazioni in campo religioso e sociale, che gli meritarono la stima dei socialisti. Nel 1919 è
parroco di S. Isaia in Bologna, ove dà grande impulso alle associazioni cattoliche, particolarmente ai circoli
della Gioventù Cattolica maschile e femminile. Vicario generale nell’arcidiocesi di Bologna nel marzo 1921
è, dopo pochi mesi, vescovo ausiliare. Uomo di profonda pietà eucaristica, di notevole cultura sacra e
profana, di grande pratica pastorale, di buone doti organizzative, di carattere volitivo e intraprendente
temperato dalla squisitezza dei modi, di eloquio elevato ma spontaneo e facile. Scriveva in versi con
naturalezza. Ha lasciato una grande traccia e un ricordo incancellabile nella diocesi di Carpi.
60
Ivi, p.143.
58
31
Il vescovo Pranzini ha notato in Zeno quel fervore che mancava in molti
chierici della sua diocesi. Il prete era estraneo a una società che tendeva a
vivere per conto suo, come se la Chiesa non esistesse, come se il Vangelo non
fosse annunciato. Sono gli anni in cui il secolarismo incombe su larghi strati
della popolazione. Agli occhi del vescovo Zeno appare la persona idonea a
dare uno scossone salutare ai tanti quieti, che operano nella sua diocesi. Per
questo il vescovo decide di ordinare sacerdote don Zeno prima del termine
degli studi teologici.
2.3 La vocazione particolare di Don Zeno e i primi anni di ministero
sacerdotale.
Il 4 gennaio del 1931 a Fossoli, l’avvocato Zeno Saltini all’età di trentun
anni è ordinato sacerdote.
Il 6 gennaio, due giorni dopo l’ordinazione nella cattedrale di Carpi
celebra la prima messa: in quell’occasione prende come figlio adottivo un
giovane di 17 anni, Danilo Barile, appena dimesso dal carcere e già da lui
assistito, che sarà il primo dei tanti figli di cui don Zeno si farà padre.
32
Don Zeno chiede al vescovo di condurre una predicazione itinerante
nelle parrocchie. Per questo viene inviato come cappellano a San Giacomo
Roncole di Mirandola (Modena), un territorio intriso di idee anarchiche e
socialiste, dove Don Zeno si distingue immediatamente per iniziative e stile
pastorale insoliti. La meta del suo apostolato sarà quella di promuovere tra la
popolazione, forme di solidarietà economica.
Nel 1933 fonda l’Opera Piccoli Apostoli per accogliere e formare
ragazzi in stato di abbandono o di miseria, organizzandoli in forma
famigliare. Dotata l’Opera di una piccola tipografia, cura particolarmente la
diffusione di un periodico popolare. Il 3 agosto 1937 un decreto del vescovo
di Carpi riconosce e approva l’Opera Piccoli Apostoli.
Intuisce l’importanza del cinema come fonte d’attrazione per il popolo e
apre una grande sala cinematografica. Il successo tra la gente è notevole.
Durante l’intervallo degli spettacoli, parla con oratoria spontanea, semplice e
irruente, affrontando problemi religiosi, morali, sociali. Il successo lo induce a
ripetere l’esperienza in una decina di piccoli borghi che ne sono privi.
La domenica effettua il giro delle sale, dove giunge interrompe lo
spettacolo e pronuncia un sermone, insieme predica domenicale e apostrofe
politica. È il modo per raggiungere le folle che non frequentano le chiese.
33
Nel frattempo, il fratello don Vincenzo, sacerdote austero, viene
nominato dal vescovo come parroco di S. Giacomo Roncole per contenere gli
eccessi di esuberanza di don Zeno. Anche la sorella Nina, rimasta vedova, e
abbandonati i figli per dedicarsi alla cure delle figlie delle prostitute, si è
rifugiata nella canonica del fratello. Tra i tre fratelli, il profondo affetto e le
differenze di temperamento compongono la sintonia a vigorosi dissensi.
La vita nella parrocchia di San Giacomo Roncole, rifugio di fanciulli
abbandonati, centro di predicazione sociale, culla di un embrionale
movimento del clero innovatore della diocesi costituisce la più straordinaria
avventura umana, apostolica e sociale. Il periodo della seconda Guerra
Mondiale (1939-1945), rappresenta uno dei momenti di maggiore crescita
dell’Opera nata da don Zeno.
Contro il regime fascista Zeno non si è mai scontrato direttamente; negli
anni della dittatura rimprovera più o meno apertamente alla borghesia e al
fascismo di trascurare le misere condizioni di vita dei lavoratori, di
disinteressarsi dei figli dell’abbandono, di aver fatto guerra a popolazioni
lontane a fini colonialistici, di allearsi con il nazismo e le sue odiose teorie
razziste, di condurre il paese verso la guerra.
34
A causa dei suoi discorsi tenuti durante l’intervallo del film, Zeno suscita
commenti sfavorevoli nell’ambiente fascista. La Questura interviene per
vietare di tenere discorsi al popolo. Per tutta risposta don Zeno parla al popolo
in chiesa prima del film, e dimostra di aver sostanzialmente citato il Vangelo:
“è forse sovversivo o antifascista il Vangelo?”. E invita ironicamente il
commissario di polizia a sequestrare il Vangelo. Nel luglio del 1941, mentre
impervia la guerra, una giovane studentessa del paese, Irene, scappa da casa,
si presenta a don Zeno e si dichiara disposta a farsi mamma dei bambini più
piccoli accolti da don Zeno in canonica: è la prima mamma di vocazione.
Nel 1943 dà inizio all’Unione dei Sacerdoti Piccoli Apostoli, poi,
all’Unione dei Padri di Famiglia, ma queste due iniziative, per varie difficoltà,
non ultime quelle della guerra e del dopoguerra, non si affermeranno. Con la
firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943, i tedeschi occupano l’Italia: si
forma un governo fascista repubblicano. Zeno decide di partire per il Sud.
Dopo alcuni giorni parte con 25 giovani per attraversare il fronte che divide
l’Italia in due: il Centro-Nord occupato dai nazisti e il Sud occupato dagli
anglo-americani.
La responsabilità di guidare l’Opera Piccoli Apostoli in questo difficile
periodo è affidata a don Enzo Bertè. Molti giovani Piccoli Apostoli entrano
35
nelle
formazioni partigiane,
mentre alcuni
sacerdoti contribuiscono
all’organizzazione della resistenza clandestina e aiutano centinaia di ebrei e di
perseguitati politici a raggiungere la Svizzera con documenti falsi.
Si hanno in questo periodo i martiri dell’Opera: 7 giovani Piccoli
Apostoli sono martirizzati, altri 3 sacerdoti vengono imprigionati a Bologna, e
un sacerdote, don Elio Monari viene fucilato a Firenze nel 1944. I sei giovani
Piccoli Apostoli sono condotti a s. Giacomo Roncole per essere impiccati
davanti alla sede dell’Opera. In tal modo si vuole colpire una delle fonti
ispiratrici della Resistenza.
Nel frattempo Zeno soggiorna in Campania e nel Lazio. Al termine di un
lungo vagabondaggio giunge a Roma, dove partecipa alle discussioni sul
futuro assetto democratico del paese. La sua idealità evangelica, ricca di
sonorità socialiste e anarchiche, lo spinge alla rivoluzione cristiana, gli fa
aborrire l’idea del partito cattolico moderato. Scrive un memoriale al papa Pio
XII, chiedendo un incontro per poter mostrare le sue idee, ma attende invano
una risposta. Viene nominato vice-sindaco del comune di Mirandola dal
Comitato di Liberazione Nazionale. Promuove un movimento popolare
36
politico con lo slogan “fe du mucc” 61. Ossia i ricchi da una parte e i poveri
dall’altra.
Le scelte maturate nella riflessione romana lo spingono alla più frenetica
predicazione politica. Comincia a percorrere le piazze emiliane lanciando il
motto del “fate due mucchi”. È la risposta ai leader democristiani che hanno
irriso le sue proposte. La Chiesa lo osserva, lo contiene, qualche cardinale gli
dichiara simpatia, il pontefice ora lo invita a colloquio. Il congresso del
movimento popolare politico promosso da don Zeno viene proibito dal
vescovo di Carpi: l’insistenza del governo per il rispetto degli accordi presi
(patti lateranensi) inducono, però, le autorità vaticane a impedirgli l’atto finale
della sua predicazione, ossia il congresso costituente di un grande movimento
sociale.
Infatti questi movimenti, illustrati al popolo con infiammati discorsi sulle
piazze dell’Emilia, indispongono la Democrazia cristiana e il Partito
comunista, disturbano il blocco cattolico intorno alla DC, favorito dalla
Chiesa italiana. Inizia quindi a formarsi una certa opposizione alle idee e ai
disegni di don Zeno.
61
Cfr. Z. SALTINI, Lettere da una vita, I, 1900-1952, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1998, p.113.
Parlando nelle piazze, piene di gente che lo ascoltava, fin dal maggio 1945, don Zeno ebbe l’idea di coniare
uno slogan “Fé du mucc” (“fate due mucchi”), che si sintetizzava un suo ideale politico, spiegandolo così:
“fate due mucchi: chi ha i soldi da una parte, chi non ne ha dall’altra. Giacché siamo la maggioranza se non
ci dividiamo in partiti andremo al potere senza spargimento di sangue”.
37
L’insuccesso degli sforzi per creare un movimento civile da contrapporre
ai partiti che si contendono il consenso nazionale riconduce don Zeno a
concentrare le energie sulla collettività di donne e ragazzi cresciuta attorno a
lui prima della guerra. Nel novembre 1946, propone all’Associazione dei
Padri di famiglia, che aveva creato a s. Giacomo Roncole, di unire le famiglie
in una solidale fraternità sociale. Di fronte al rifiuto dei capifamiglia del
luogo, don Zeno scioglie l’associazione dei Padri di Famiglia, poiché questi
ultimi si limitano soltanto a proporre una società di mutuo soccorso.
2.4 Nomadelfia: traguardo della sua ricerca e gli ultimi anni di vita.
L’accrescersi della sua schiera ormai sparsa per il territorio, con tutta la
numerosa comunità di famiglie, convince il prete carpigiano ad organizzarla
in piccola società autonoma. La ricerca di una sede in cui insediare la sua
comunità incontra notevoli difficoltà per l’acquisto di un grande spazio
immobiliare. Il gusto per i gesti spettacolari lo inducono a scegliere il campo
di concentramento realizzato, durante la guerra, nel suo paese natale, Fossoli.
Dopo aver inutilmente atteso dal governo la concessione dell’ex campo di
concentramento, nel 1947 i Piccoli Apostoli lo occupano pacificamente.
38
L’occupazione pacifica del campo, che coglie di sorpresa il mondo
politico, costituisce un avvenimento di risonanza nazionale. La comunità di
Fossoli diventa il baluardo attorno a cui si combatte un crudo scontro politico
ed ecclesiastico. Ribattezzato Nomadelfia, la città dove “la fraternità è legge”,
l’ex-lager è, per cinque anni, il teatro di uno straordinario esperimento
sociale: la costruzione di un consorzio civile che ricalca la comunità cristiana
descritta dagli Atti degli Apostoli.
Nel giro di pochi anni Nomadelfia supera le mille unità: le richieste di
accoglimento di abbandonati si moltiplicano e nel marzo 1948 vengono
accolti 120 figli dal brefotrofio di Roma. In quella occasione don Zeno viene
invitato ad un colloquio con papa Pio XII, il quale assillato dalle incerte
prospettive del futuro assetto politico italiano, incoraggia don Zeno
dicendogli: “faccia don Zeno, faccia, è il papa che glielo dice, il papa è con
lei”. Nel marzo del 1948, a Nomadelfia, il padre David Maria Turoldo
incontra don Zeno che porterà in seguito alla nascita di un comitato proNomadelfia a Milano, presieduto dalla contessa Maria Giovanna Albertoni
Pirelli.
Le parole e gli atteggiamenti di don Zeno si fanno molteplici e
provocatori nei confronti del governo e della Democrazia cristiana, per la loro
39
noncuranza nei confronti delle necessità economiche di Nomadelfia. Di fronte
al predicatore che traduceva socialmente il Vangelo, sia il partito politico
cattolico che la gerarchia sono fautori e nemici del ribelle: lo scontro si
sviluppa così, per oltre tre anni. Nel 1949 le autorità di governo aprono le
ostilità contro Nomadelfia.
Nel 1950, avvalendosi di un’ambigua autorizzazione del Santo Ufficio,
don Zeno lancia un terzo movimento politico popolare: “il Movimento della
Fraternità umana” che propone l’abolizione di ogni forma di sfruttamento dei
lavoratori e la promozione di una democrazia diretta superando i partiti. Un
tale movimento, però, si esaurisce nel giro di pochi mesi per l’opposizione
delle autorità politiche e religiose.
Nel 1951 don Zeno pubblica un libretto dal titolo “dopo venti secoli”: è
una critica sferzante all’incoerenza dei cristiani; una proposta di riforma della
Chiesa; uno smascheramento del marxismo e del liberalismo accomunati
nello sfruttamento dei poveri e l’oppressione degli umili, complici alcuni
uomini di chiesa. Il linguaggio di don Zeno è urticante.
Nel frattempo il clima politico che si è creato nel paese con la guerra
fredda, convince gran parte del mondo cattolico che le idee e le iniziative di
don Zeno favoriscono il comunismo. Anche esponenti come don Primo
40
Mazzolari esprimono riserve sul conto del prete carpigiano. Nel giugno 1951
ci sono in tutta Italia le elezioni amministrative. Al seggio di Fossoli vengono
scrutinate 105 schede nulle: sono i voti dei Nomadelfi, una chiara protesta
contro la politica della DC del momento.
Il ministro degli interni, Mario Scelba, non approva Nomadelfia “né
assistenzialmente, né socialmente, né politicamente” e pone pesanti
condizioni perché il governo possa intervenire con contributi straordinari. Nel
dicembre del 1951 don Zeno a causa dell’incombere di presagi di guerra
economica e politica, decide di sciogliere in segreto Nomadelfia.
Nel Febbraio 1952 il Santo Ufficio gli ordina di lasciare Nomadelfia e di
mettersi a disposizione del suo vescovo, con facoltà di scegliersi un’altra
diocesi. Don Zeno ubbidisce prontamente. Nel maggio 1952, il cardinale
arcivescovo di Milano Schuster fa pubblicare una sua notificazione con la
quale disapprova Nomadelfia.
Constatando l’impossibilità di far fronte ai debiti, che raggiungono
somme da capogiro, l’11 giugno 1952, i nomadelfi informano che la città di
Nomadelfia ha deciso di sciogliersi e di mettere a disposizione dei creditori i
propri beni. Un commissario prefettizio, con la polizia viene a presidiare il
campo di Fossoli mentre molti figli accolti sono inviati in collegi ed istituti. Il
41
7 settembre i nomadelfi superstiti si riuniscono a Fossoli e decidono di dare
vita alla “società dei nomadelfi”, per continuare a vivere, anche se lontani,
nello spirito dell’ex città di Nomadelfia.
Il prefetto di Modena, con il favore delle autorità di governo, facendo un
uso spregiudicato del diritto fallimentare, decreta la liquidazione coatta
amministrativa di Nomadelfia e dei suoi beni. In ottobre 1952 si svolge a
Bologna un processo contro don Zeno e altri Nomadelfi, accusati di truffa e
millantato credito: il processo si conclude con la piena assoluzione di don
Zeno e dei nomadelfi, riconosciuti innocenti.
Costretti ad abbandonare Fossoli, i nomadelfi si rifugiano a Grosseto e in
diverse località del modenese. Viene anche offerto in uso un terreno vicino a
Limbiate (MI): un gruppo di nomadelfi inizia i lavori per costruire una nuova
borgata. Don Zeno pur lontano dai figli, continua la sua opera di padre
cercando di provvedere alle loro necessità, e sempre più spesso deve
difendere in tribunale dei figli che, strappati dalle famiglie di Nomadelfia,
sono ricaduti nella malavita e sui quali incombe la minaccia del correzionale o
del carcere.
Nel novembre 1953, chiede perciò al Papa di poter rinunciare
temporaneamente all’esercizio del sacerdozio per tornare alla guida dei suoi
42
figli. Gli viene comunicato dalla Santa Sede la laicizzazione pro-gratia, e la
riduzione allo stato laicale e fu durante l’ultima Messa, detta con la
consapevolezza dell’addio, che vide chiarissima la sua condizione. “Avevo
sempre sacrificato Cristo all’altare. Questa volta sacrificavo me stesso”62.
Ripresa la direzione di Nomadelfia, don Zeno si rende subito conto che
la comunità per la situazione grave di sofferenza passata, deve essere riunita.
Il 15 agosto 1954 il vescovo di Grosseto benedice la chiesa di Nomadelfia.
In quell’occasione viene decisa la costituzione dei gruppi famigliari,
formati da tre o quattro famiglie: si rivelerà uno dei pilastri fondamentali della
vita di Nomadelfia. Durante gli ultimi anni del pontificato di papa Pio XII
(1957), don Zeno scrive una lettera al papa (gravemente malato) con una
prima richiesta di riprendere l’esercizio del sacerdozio. Inoltre matura un
diverso atteggiamento delle autorità religiose nei confronti di don Zeno.
La Santa Sede preme sulle autorità di governo perché Nomadelfia, con
tutte le cautele del caso, si risollevi dalla gravissima situazione debitoria e
organizzativa. Viene elaborata una seconda costituzione che chiarisce la
natura di Nomadelfia come popolazione costituita in associazione civile.
62
Cfr. GIORGIO TORELLI, in “Epoca”, Milano, 3 settembre 1972
43
Il 16 novembre 1961 viene approvata la nuova costituzione: Nomadelfia
è riconosciuta popolazione civile di volontari cattolici e viene eretta a
parrocchia, su volontà del papa Giovanni XXIII.
Il 22 gennaio 1962 don Zeno è riammesso all’esercizio del ministero
sacerdotale, e viene nominato parroco della nuova parrocchia di Nomadelfia.
Egli celebra così la sua seconda prima messa solenne nella prima parrocchia
comunitaria della Chiesa. Questo evento è salutato con esultanza dalla
stampa: nel clima del fervore del Concilio, la coscienza cattolica attende un
indirizzo luminoso nello spirito dei tempi nuovi.
Don Zeno accetta la condizione di fare solo il parroco e non intromettersi
nell’amministrazione di Nomadelfia, dedicandosi completamente all’aspetto
religioso della sua comunità e decide di gettare gli ultimi anni della sua vita
in un nuovo apostolato itinerante: sono le cosiddette “serate di Nomadelfia”
che inizieranno dal 1966 63.
Nel 1968 nasce la “scuola familiare”: don Zeno e i nomadelfi ottengono
dal Ministero della Pubblica Istruzione l’autorizzazione ad educare i figli
63
Don Zeno assolda un coreografo, trasforma i ragazzetti della comunità in corpo di ballo, acquista una
tenda, e inizia a percorrere le località di villeggiatura proponendo spettacoli di danza folkloristica che
interrompe con una predica, che il pubblico ascolta con affetto.
44
sotto la loro diretta responsabilità in una propria scuola interna. In questo
modo, i genitori della comunità sottraggono allo Stato, l’educazione e
l’istruzione dei loro figli, accollandosela in proprio, informandola a criteri
pedagogici e didattici nuovi e conformi ai valori cristiani. Tra il 1965 e il
1978 tenta la collaborazione con alcune comunità religiose e movimenti
laicali della Chiesa. Il 12 agosto 1980, don Zeno con i figli di Nomadelfia
offre una serata di danze al papa Giovanni Paolo II a Castel Gandolfo e
durante quell’incontro, il papa afferma:
“Avete portato una testimonianza della vostra vita, della vostra fraternità, della
vostra esperienza che forse è un seme piccolo, ma come seme piccolo deve crescere e
forse permeare la civiltà del mondo futuro (…) se siamo vocati a essere figli di Dio e
tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia è un preavviso e un
preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti!” 64.
Il 6 gennaio 1981 è a Nomadelfia il cardinale Agostino Casaroli,
segretario di stato, per il 50° anniversario di sacerdozio di don Zeno. In questa
occasione inaugura il grande teatro-tenda. Pochi giorni dopo, don Zeno
colpito da infarto muore il 15 gennaio 1981.
64
M. SGARBOSSA, Don Zeno…e poi vinse il sogno, Città Nuova, Roma, 1999, p. 292.
45
Queste le ultime parole:
“A me piacerebbe partire per la vita eterna. Signore, sia fatta la tua volontà...e
facciamola insieme. Abbiamo donato al mondo il mondo nuovo, che da millenni
hanno cercato e voi l’avete trovato. L’avete trovato, altroché! (…) il papa ha lanciato
nel mondo il messaggio di Nomadelfia (…) va’ pure, Signore, tra i miei figli: porta la
tua luce, la tua vita. Vi benedico tutti e dormo, ma non dormo” 65.
Quasi 20 anni sono passati dalla morte di don Zeno 66. Nomadelfia ha
continuato la sua vita. Il 21 maggio 1989 il Papa Giovanni Paolo II visita
Nomadelfia, realizzando così quanto don Zeno aveva detto nella lettera “il
papa ci abbraccerà” (1952). Il 22 maggio 1994 la Santa Sede approva ad
quinquennium la Costituzione di Nomadelfia, rinnovata attraverso la fusione
delle precedenti Costituzioni.
65
Dal testamento spirituale di don Zeno in G. CICERI, E. GAZZI (a cura di), Zeno: un’intervista, una vita,
LEF, Firenze, 1986, p.318-324.
66
In data 9 aprile 2009 è stata introdotta la causa di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio Zeno
Saltini. Cfr. <http://www.toscanaoggi.it/Vita-Chiesa/Nomadelfia-introdotta-la-causa-di-beatificazione-perdon-Zeno#> (29/10/2017, 21.02).
46
CAPITOLO III
LA SPIRITUALITA’ DI DON ZENO ALLA LUCE DEI SUOI
SCRITTI
Le radici della storia e della esperienza personale di Zeno Saltini
analizzati nel capitolo precedente ci aiutano ora a comprendere come la sua
spiritualità sia profondamente sacerdotale. Finalizzata a cercare il volto della
fede, darle un significato concreto e speranza per il presente. Il suo intento è
quello di mostrare fin dove la fede si può applicare nel sociale, per santificare
in qualche modo il sociale, per essere imitatori di Cristo anche a livello
familiare, sociale e politico: Cristo salvatore del mondo, perciò capace di dire
una parola creatrice anche alla famiglia, alla politica, alla società, al lavoro. Il
cristiano, per Zeno, è chiamato ad essere l’uomo nuovo sociale e politico,
capace di annunciare al mondo il suo senso e il suo fine, capace di indicare la
presenza dei segni dell’opera di Dio in esso.
3.1 Zeno un profeta incompreso
Scorrendo tra gli scritti di Zeno ci si accorge subito che la spiritualità del
prete emiliano si carica di una valenza profetica, di una ricerca di essenzialità
evangelica, di una capacità polemica di denuncia sociale dai toni profetici, di
47
una invettiva contro coloro che gli appaiono come corruttori e sfruttatori: uno
strumento don Zeno nelle mani di Dio, come amava definirsi lui stesso:
“Io non sono un eroe né un personaggio: se mi si vuole qualificare, mi si
consideri uno strumento di Dio” 67.
Peculiare dunque in Zeno è la dimensione “profetica”, il cui termine lo
si deve comprenderlo alla luce della S. Scrittura. Chi è il profeta? Il profeta è
una persona che parla in nome di Dio, che parla al popolo con le parole di
Dio. Inserito nella sua cultura, attraverso la sua esperienza personale e
obbedendo a ciò che gli ha ispirato lo Spirito Santo, il profeta osserva il
presente prevedendone le conseguenze alla luce della Parola di Dio.
Pensare a Zeno come ad un profeta parve, a quei tempi, “soltanto un
miscuglio di linguaggio profetico e di allusioni audaci da far tenere il fiato
sospeso”68. Eppure la storia di Nomadelfia rende ragione al suo fondatore, il
quale ha sognato un mondo del tutto diverso, dove esista e si affermi una sola
legge, quella della fraternità, e dove la famiglia naturale sia superata e
67
Cfr. G. MANZONE, La spiritualità di don Zeno in M. GUASCO, P. TRIONFINI (a cura di), Don Zeno e
Nomadelfia, tra società civile e religiosa, Editrice Morcelliana, Brescia, 2001, p.380.
68
D. MONDRONE, op.cit., p.543.
48
riassorbita dalla famiglia di vocazione. Il sogno di una società cristiana,
espone Zeno a critiche, incomprensioni e anche persecuzioni, che culminano
nella prova finale: lo scioglimento di Nomadelfia e l’allontanamento del
fondatore da essa. Nonostante queste dure prove, Zeno non abbandona la sua
missione. Si rimbocca le maniche, prega, lavora, e spinto dalla forza del
Vangelo ricomincia: questo suo modus vivendi porterà la Chiesa a
riammetterlo ai sacri ordini e a riconoscere Nomadelfia come espressione di
quell’unica Chiesa di cui Zeno e la sua comunità fanno parte.
Una spiritualità che si dice profetica deve senz’ombra di dubbio,
caratterizzarsi per questi due aspetti: segnalare i mali della società, le strutture
di peccato che ostacolano un sano sviluppo della persona e della comunità; e
rivelare un’alternativa, una volontà diversa da parte di Dio per il bene di tutti.
49
3.2 Il prete e la missione secondo don Zeno
La concezione del sacerdozio cattolico espressa da Zeno nei suoi scritti
e discorsi, appare chiara sin dal primo colloquio col vescovo Giovanni
Pranzini, e su cui non sembra abbia mai avuto ripensamenti.
“…Guardi, eccellenza, che io sarei un prete rivoluzionario e lei lo sa (…) ma
io non sono d’accordo con il clero, se lo ricordi” 69.
Zeno avverte continuamente il rischio di un certo clericalismo, di un
sacerdozio che non vive radicalmente le istanze evangeliche, ma che fa uso
del suo ministero per imporsi alla comunità, che diventa così “comunità di
sottomessi e non di fratelli”. E questo facevano di lui un personaggio
scomodo. Nonostante la sua avversione verso una certa concezione di
presbitero, rimane che Zeno è portato costantemente a confrontarsi con i suoi
confratelli. Il suo cammino vocazionale è costellato di tante figure di preti e di
santi preti alcuni già noti alla storia della Chiesa che gli forniranno quelle
illuminazioni ed incoraggiamenti a proseguire nel suo proposito.
69
Cfr. M. SGARBOSSA, op. cit., p.64.
50
Primo fra tutti è Giovanni Calabria sacerdote veronese (1873 - 1954),
che gli fu guida spirituale, autentico ‘simbolo di saggezza’ per il suo esempio
di vita sacerdotale dedita al riscatto sociale e morale dei ragazzi poveri. Ebbe
modo Zeno di conoscerlo e di frequentarlo durante gli anni dei suoi studi
universitari a Verona (1928 - 1929), lasciandosi contagiare dal suo ‘umile’
stile sacerdotale e dalla sua ‘solida fede’ nella divina Provvidenza. Zeno
cresce alla scuola di don Calabria.
Entrambi reclamano la coerenza di vita con il Vangelo, vissuto
integralmente; non risparmiano nemmeno un giudizio severo verso lo sfarzo
della Curia romana, il borghesismo e il carrierismo di diversi preti,
auspicando una riforma della Chiesa. Indiscutibile anche la somiglianza nelle
attenzioni che entrambi riservano verso i poveri e i lavoratori, dai quali la
Chiesa si è distaccata.
La seconda figura sacerdotale di riferimento è quella di Luigi Orione
(1872 - 1940)70, santo della carità: per lui Zeno scriverà l’elogio funebre,
emblema di quanto ha imparato e attuato nella vita sacerdotale:
70
Cfr. <http://www.santiebeati.it/dettaglio/44750> (29/10/2017, 16.35) p.1.
Luigi Orione (1872 – 1940), sacerdote. A 13 anni entrò fra i Frati Minori di Voghera. Nel 1886 entrò
nell’oratorio di Torino diretto da san Giovanni Bosco. Nel 1889 entrò nel seminario di Tortona. Il 3 luglio
1892, il giovane chierico Luigi Orione, inaugurò il primo oratorio intitolato a san Luigi. Nel 1893 aprì il
collegio di san Bernardino. Nel 1895, venne ordinato sacerdote. Molteplici furono le attività cui si dedicò.
Morì a Sanremo nel 1940.
51
“È morto don Orione. Beato Lui. Ha saputo vivere e avrà certamente la gioia di
avere già abbracciato Gesù per tutto il bene che ha voluto ai Suoi fanciullini. Sarà
stata una delle rare occasioni in cui Gesù tra le danze degli innocenti saltellanti e
giocanti con le palme del martirio, sarà disceso dal Trono e sarà andato incontro a
don Orione fino alla porta spalancata e addobbata del Paradiso. E don Orione
semplice e commosso si sarà dimenticato di prostrarsi in ginocchio, ma sarà corso ad
abbracciare, baciare, guardare negli occhi Gesù, quel Gesù che ha visto nei
fanciullini e negli oppressi” 71.
Una terza e degna di sottolineatura e l’amicizia sacerdotale tra don Zeno
e Luigi Giussani (1922 - 2005)72 e il movimento di Comunione e Liberazione.
Agli occhi di Zeno “travolgente” nella sua portata, ma “obbediente” nella sua
sostanza 73.
“Caro don Giussani, abbiamo terminato questa mattina l’incontro con i primi
tuoi figli (…) si è visto che il Signore e lo Spirito Santo ci hanno assistiti e condotti
per mano a scendere alle radici del grave problema della ricostruzione della Chiesa e
della società umana in noi stessi (…). Ho l’impressione che questa iniziativa o
tentativo di mettere Nomadelfia in collaborazione con voi, stia per rivelarsi non
solamente possibile, ma anche travolgente. Si è notata una misteriosa affinità tra i
nomadelfi e i tuoi che solamente Dio, attraverso le reciproche angustie, ha potuto
preparare per due vie che appaiono diverse e dirette a due mete non comuni, invece
si sono manifestate con una certa chiarezza, che potremo essere veramente unum e
71
Cfr. Z. SALTINI, Let I, op. cit., p.50.
Cfr. <http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-giussani/> (29/10/2017, 18.12) p.1.
Luigi Giussani, sacerdote italiano (Desio 1922 - Milano 2005). Docente al liceo Berchet di Milano, attratto
dalla problematica educativa, nel 1954 fondò Gioventù Studentesca, da cui, sotto la sua guida, nel 1969,
sorse il movimento Comunione e Liberazione per l'affermazione integrale dell'identità cattolica nella società.
Dopo una prima fase di perplessità da parte di non pochi vescovi italiani nei confronti di CL, il cui
orientamento risultava poco in sintonia con il Concilio Vaticano II, durante il pontificato di Giovanni Paolo II
il movimento presieduto da G. si affermò nella Chiesa, nella società italiana e in numerosi altri paesi.
73
Cfr. Z. SALTINI, lettere da una vita, II, 1953-1981, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1998, vol. II, p.268.
72
52
muoverci addirittura come veri liberi figli di Dio. Preghiamo, operiamo, confidiamo
affinché il Signore possa servirsi di noi per incendiare il mondo della sua giustizia,
del suo amore”.
Infatti, non saranno pochi i tentativi di collaborazione con il movimento
fondato dal prete milanese, con l’intento di condividere gli intenti con tutte le
forze di rinnovamento del mondo cattolico, alieno da certe forme di
contestazione all’autorità, non facente parte della cultura e dei metodi di
Zeno.
Nella cerchia delle amicizie del Saltini compaiono anche Ernesto
Balducci (1922 - 1992) e David Maria Turoldo (1916 - 1992), e da loro trarrà
un insegnamento importante, per ciò che concerne la sua obbedienza alla
Chiesa.
In tempi in cui molti dei contestatori, nati in seno alla Chiesa, si
porranno al di fuori di essa, Zeno avrà modo di chiarire la sua ferma
obbedienza alla Chiesa: non contesterà mai l’autorità religiosa ma riaffermerà
la sua ubbidienza e il suo grande amore per la Chiesa, anche a costi pesanti,
come dirà lo stesso Balducci.
53
“…Il suo modo di sopportare le incomprensioni e le persecuzioni, senza il
piglio del contestatore e senza l’amaro ripiegamento nella solitudine, mi fu sempre di
esempio” 74.
E quando gli verrà comunicato il decreto di allontanamento da
Nomadelfia, Zeno ubbidì, anche se nella più profonda sofferenza. Questo atto
canonico apre a diversi problemi, e non si colloca nella linea di quelli che
saranno chiamati i “preti contestatori”, anche se erroneamente fu associato a
loro in modo acritico.
Turoldo testimonia, che era il suo particolare modo di vivere il
sacerdozio che affascinava e attirava molta gente, come “la sua concezione
della famiglia e della giustizia che risultavano veramente rivoluzionarie”:
“… Ciò che mi attrasse a quei tempi verso di lui, anzitutto, fu una concezione
del sacerdozio che, allora, mise in allarme le gerarchie ecclesiastiche” 75.
Non per ultima, ma tra le amicizie sacerdotali annoveriamo anche quella
con Primo Mazzolari (1890 - 1959)76, il quale a più riprese lo ha sostenuto
7
Cfr. M. GUASCO, don Zeno nella storia del clero del secolo XX, in M. GUASCO, P. TRIONFINI (a cura di) Don
Zeno e Nomadelfia, tra società civile e religiosa, Editrice Morcelliana, Brescia, 2001, p.173.
75
Cfr. R. RINALDI, Don Zeno Turoldo Nomadelfia. Era semplicemente Vangelo, Edizioni Dehoniane,
Bologna, 1998, p. 196.
76
Cfr. <http://www.santiebeati.it/dettaglio/91551> (03/11/2017, 15.53).
Primo Mazzolari (1890-1959) sacerdote. A dieci anni, seguendo la vocazione sacerdotale, entrò nel seminario
di Cremona dove proseguì gli studi fino all’ordinazione del 1912. Scoppiata la Prima guerra mondiale, vi
partecipa con il fervore dei giovani in quel momento. Congedato nel 1920 andò parroco a Bozzolo, dove
cominciò ad assumere posizioni di difesa dei diritti dei poveri. Morì il 12 aprile 1959.
54
durante il periodo di sospensione dal ministero sacerdotale. Visitando
Nomadelfia,
Mazzolari espresse fin da subito, con frasi semplici ma
straordinarie, il proprio sostegno:
“… forse non c’è niente di nuovo a Nomadelfia (…) c’è soltanto che là
77
qualcuno prende sul serio il Vangelo” .
Zeno e Mazzolari si presentano come due personalità differenti, due
modelli di prete cattolico che non si identificano con il modello tradizionale,
due storie di sofferenze e condanne, ma anche due storie di appassionata
fedeltà alla Chiesa.
Lo stile sacerdotale di Zeno era uno stile “essenziale” che partiva da una
prassi e che nasceva dalla sua esigenza di agire, di rifiutare gli adagi in voga
in quel momento. A chi chiedeva “i preti in chiesa”, egli rispondeva “voi non
mi chiuderete in chiesa”78. Uno dei suoi primissimi impegni fu quello di
assicurare giustizia sociale a coloro i quali, assetati di giustizia, erano scartati
ed emarginati socialmente. Così nel confronto con i socialisti, allora in forte
espansione soprattutto in Emilia, che proponevano riforme per cambiare la
77
78
Cfr. P. MAZZOLARI, Confessioni di un comunista, in “Adesso”, 30 Settembre 1949.
Z. SALTINI, Let I, op. cit., p.55.
55
società, Zeno era convinto che i cristiani erano in grado di portare avanti
proposte ancora più radicali, in vista di un cambiamento più profondo:
“… Se Marx ha sconvolto lo spirito umano, io sacerdote mi sento ben più forte
di lui e gli salto nelle masse da lui ipnotizzate per rendere loro quella giustizia cui
79
hanno diritto e per disperdere da esse l’incanto diabolico del materialismo” .
L’intuizione di Zeno fu così l’accoglienza dei più poveri e degli
abbandonati, e la consapevolezza di poter costruire, proprio con i più poveri,
una civiltà diversa e ispirata al Vangelo: fu così che nacque Nomadelfia.
Zeno ha dunque chiara la sua missione e la sua vocazione fin da subito:
essere unum con i poveri, i disoccupati e gli abbandonati. Essere prete lo
intendeva come una donazione totale di sé all’altro in Cristo. Concepiva il
sacerdote “uno come gli altri”, senza alcuna deroga. E questo perché il
sacerdote o si faceva popolo o non era neanche sacerdote: preti dediti al
popolo, veri pastori sull’esempio di Gesù buon Pastore. Solo con quest’ottica
sacerdotale, secondo Zeno, era possibile scuotere un certo tipo di
clericalismo, una cattolicità individualistica e quasi borghese. È in
quest’ottica che viene esercitato il sacerdozio in Nomadelfia, ed esige che i
preti che vi operano siano disposti a entrare in quello spirito:
79
Ivi, p.116.
56
“…Chi venisse solo per fare assistenza religiosa, senza condividere la vita della
comunità, sarebbe un isolato” 80.
Intervistato prima di morire, ai giornalisti che chiedevano quale fosse per
lui la cosa più importante, Zeno rispose:
“… Il mio sacerdozio; null’altro che il mio sacerdozio e non dite che sono un
filantropo, un benefattore, perché non si fa l’assistenza, del bene a tanti figli, senza
81
divenire padre sul serio e figli sul serio: questo è il mio sacerdozio” .
3.2.1 Zeno un contemplativo attivo
La vita di Zeno era un inquieta ricerca dell’amore di Dio, un arrivare a
Dio attraverso l’amore per uomini e la promozione della pienezza di questi
ultimi. Non fu Zeno l’uomo soltanto indaffarato e travolto dall’assillo della
sua missione di creare e dirigere l’opera di Nomadelfia, ma fu sempre un
sacerdote che sapeva dare alla preghiera un tempo che Dio solo conosce.
Imparò a discernere e comprendere la volontà di Dio, sforzandosi di
viverla, ragionando e pregando, giorno per giorno. Attento alle istanze
evangeliche, si è pronunciato non poche volte nei confronti di una società
80
Cfr, Id., Let II, p.108-109.
Trasmissione di F. Bea per il genetliaco di don Zeno, Radio Vaticana, 29 agosto 1980, in M. GUASCO, P.
TRIONFINI (a cura di), op. cit., p.385.
81
57
secolarizzata che ha dimenticato Dio, che si professa laica ma
fondamentalmente atea nella sua essenza, di una cultura che è spesso causa di
disagi morali, di leggi umane ed economiche ingiuste che gravano
pesantemente sulle masse contadine e di una politica italiana ingarbugliata in
sistemi partitici distanti dai bisogni concreti e reali della gente.
Zeno prende alla lettera la Parola di Dio, e alla luce di essa compie scelte
radicali che pone in essere. La società italiana del secondo dopoguerra tra le
varie problematiche non prestava attenzioni adeguate ai bambini e ai ragazzi,
tanto che portava Zeno ad affermare che tutto questo era causato dalla non
curanza dell’uomo nei confronti del proprio simile. Questa condizione lo
portò a considerare la generazione adulta come “poco esemplare e fallita”.
Spesso sono le scelte più difficili da prendere ma sono anche quelle che
contrastano i poteri forti, quelle che potrebbero essere occasione di scandalo:
ma cosa c’è di più scandaloso di un bambino che muore di fame
nell’indifferenza generale?
È una requisitoria che nasce dalle viscere di Zeno, di fronte al dramma
dei bambini, degli abbandonati, dei poveri, dei quali la società facilmente
sidimentica: non risparmia critiche ai ricchi, alle istituzioni, a coloro che
tradiscono i poveri.
58
“… Si fanno delle bellissime chiese, dove si spendono molti soldi. Io non
accetto. Io dico che, prima di tutto, il tempio di Cristo è il sofferente; che sia
comunista o non comunista, ateo o non ateo, il suo volto non ha colore, perché è il
volto di Cristo che soffre” 82.
Lo sguardo che egli getta sulla realtà è quello del prete convinto della
propria missione, dell’educatore, del padre. Gli bastava infatti cogliere gli
elementi essenziali di un fatto, per poterne dare un giudizio di massima.
“ Voi vi commovete se il cagnolino di razza che portate in automobile prende il
raffreddore, e non avvertite che nei tuguri, nelle soffitte delle vostre belle città
migliaia di fratelli piangono per le più aspre sofferenze; voi sperperate capitali
preziosi nel lusso e nella lussuria e non avvertite i vagiti di corpicini innocenti di
poveri bambini raggrinziti dal freddo; voi custodite ed educate le vostre figliole, ma
troppo spesso non vi commuove la rovina di povere giovinette che voi stessi traviate;
voi siete egoisti” 83.
Per Zeno più che dal piano storico della realtà, è mosso dall’interesse per
il piano morale, poiché le civiltà si giudicano dal modo con il quale trattano
l’uomo nelle sue esigenze insopprimibili. Il pensiero di Zeno sulla società
occidentale è attraversato da un radicale pessimismo, infatti denuncia la
82
Cfr. B. SALVARANI, Danzare Dio come una profezia, in M. GUASCO, P. TRIONFINI (a cura di), op. cit.,
p.427.
83
Z. SALTINI, Tra le zolle, op. cit., p.42.
59
presenza di “false idee, di incontrollabili passioni, di egoismi multiformi, di
sensualità sfacciate, di superstizioni, di sistemi vuoti”84 nella società:
“la civiltà moderna si risolve in due concetti: asseconda in tutto la carne, ne
piange le conseguenze ed organizza le grandi opere di assistenza alle vittime 85”.
È il tema della dignità umana calpestata dall’egoismo e dal denaro,
quella che addolora il prete carpigiano. La spiegazione dei mali che
attanagliano la società è ricondotta da Zeno a due cause: il materialismo che
porta a seguire solo l’istino, e il soggettivismo morale che induce a staccarsi
da una legge morale naturale:
“L’attuale nostra dolorosa e sconcertante situazione è dovuta al fatto che siamo
caduti ad essere ciascuno schiavo di se stesso e ciascuno schiavo dell’altro. Il nostro
vivere è tirannia. Ma non può essere che così: l’uomo è diverso da quello che
abbiamo conosciuto” 86.
84
Ivi, p.74.
Ivi, p. 46.
86
ID., L’uomo è diverso, Nomadelfia Edizioni, Grosseto, 1989, p.8.
85
60
3.2.2 Zeno e la via evangelica per una civiltà dell’amore
Dopo il delirio di Auschwitz, l’atomica sulle città giapponesi, il
disorientamento del secondo dopoguerra e la secolarizzazione dilagante, ecco
che Zeno interroga le coscienze individuali e comunitarie, invitando ad un
cambio di rotta inevitabile: era giunto il tempo di cambiare civiltà.
A Zeno appariva evidente la profonda crisi delle strutture tradizionali
della Chiesa, di fronte ad una realtà sociale e politica che stava cambiando in
maniera rapidissima: necessitava una revisione radicale, un aggiornamento.
Egli aveva modo di osservare la crescente perdita di efficacia della
predicazione della Chiesa in un contesto sempre più secolarizzato.
E se ci furono divergenze con la Santa Sede, esse riguardavano i mezzi
pastorali e sociali usati dalla Chiesa, non i princìpi ultimi. All’interno della
Chiesa egli si batte fino in fondo per la traduzione in termini storici della sua
passione evangelica. Alla luce della Parola di Dio, ricercava nuove vie, nuove
esigenze, nuove proposte, nuovi bisogni spirituali per quel tempo di forti
cambiamenti e per questo fine arriverà a denunciare anche nella politica gli
interessi di parte della borghesia:
61
“Il Vangelo mi proponeva una vita nuova da conquistare in me e da portare al
popolo. Vidi che era urgente un cambiamento di rotta nel costume sociale e politico
di noi cattolici, singoli e in massa” 87.
Sapeva bene che non bastava denunciare i mali della società occidentale,
ma occorreva dare un esempio concreto di vita alternativo alla civiltà
contemporanea. Così cogliendo l’invito di papa Pio XII di “proporre al mondo
una nuova civiltà”:
“… Ciascun fedele (dice il Papa), ciascun uomo di buona volontà riesamini,
con risolutezza degna dei grandi momenti della storia umana, quanto personalmente
possa e debba fare (…), per venire in soccorso di un mondo, avviato com’è verso la
rovina (…). È tutto un mondo che occorre rifare dalle fondamenta, che bisogna
trasformare da selvatico in umano, da umano in divino, vale a dire secondo il Cuore
di Dio. Da milioni di uomini si invoca un cambiamento di rotta” 88.
Zeno operò lui stesso cambiamenti, consegnando al mondo un modello
di società che vive il Vangelo nella sua concretezza: Nomadelfia. La sua
proposta ideale di civiltà fondata sul Vangelo, fu soprattutto una risposta di
senso alla vita e alla società stessa:
87
88
G. MANZONE, La spiritualità di don Zeno in M. GUASCO, P. TRIONFINI (a cura di), op. cit., p.380.
PIO XII, Radiomessaggio Ai fedeli romani, 10 febbraio 1952, in AAS 3 (1952), 158-162.
62
“una grande divina proposta al mondo perché raddrizzi i sentieri nel suo vivere
e nel suo costume” 89.
Tuttavia Zeno era combattuto tra il cambiare la civiltà e quindi il
sistema, oppure accontentarsi di ripararla solamente, soffermandosi ad opere
di carità: in lui prevalse il bisogno di giustizia sociale che il popolo chiedeva e
che la civiltà di allora negava. Fu così che rifiutò il rapporto di assistenza,
considerando i poveri e gli abbandonati non più come i destinatari di
assistenza o di beneficenza, ma condividendo con loro un rapporto di amore
fraterno, un legame di vita, non più orfani ma figli: la sua spiritualità fu
segnata da questo amore autentico al prossimo.
Un tale ideale lo porterà a porre rimedio anche al dramma di tante
famiglie e di tanti ragazzi abbandonati: questo carisma particolare della
paternità è decisamente un tratto della spiritualità profetica del Saltini. I tanti
bambini e ragazzi che ha accolto a Nomadelfia (e che tutt’ora accoglie) sono
stati e sono una rivendicazione forte del diritto di ogni bambino ad avere una
propria famiglia, naturale o adottiva. All’epoca infatti non era per nulla
scontato, investire sull’educazione, sulla formazione dei giovani e dei ragazzi
da parte della Chiesa cattolica.
89
Z. SALTINI, Dimidia hora, pro-manuscripto, Nomadelfia (Gr), 1989, p.92.
63
“Il cristiano deve stare nel mondo, così come l’aria e il sole, perché la società
ha bisogno di cristiani autentici, che vivano un modello di vita diverso e radicato
nella Verità, che prendano sul serio la parola evangelica e che diventino fermento di
una nuova civiltà” 90.
La spiritualità profetica di don Zeno, non si esaurisce tanto nella
proposta di un nuovo modello sociale alternativo, di una nuova civiltà, ma in
profondità la sua è una proposta di conversione che tocca le corde del cuore.
Il suo invito risuona ancora oggi molto attuale, interpella l’uomo e
propone alla società di convertirsi, di cambiare vita e di aprire gli occhi già in
questa vita, affinché conosca Dio nel volto di coloro che sono rifiutati e
abbandonati:
“Io non conosco le misure di Dio perché è infinito, però umanamente parlando,
l’abbiamo misurato, l’abbiamo abbracciato, lo abbracciamo” 91.
90
91
Cfr. G. MANZONE, La spiritualità di don Zeno in M. GUASCO, P. TRIONFINI (a cura di), op. cit., p.387
Dal testamento spirituale di don Zeno citato in Ivi, p.395.
64
3.3 L’utopia di una società cristiana: Nomadelfia
L’ideale di vita profonda di Zeno, accarezzato già negli anni giovanili, di
cambiare civiltà, di porre rimedio allo sfascio sociale di quegli anni, e di
mostrare il volto sociale della fede, era considerata in quegli anni semplice
utopia. In un mondo come quello del XX secolo, che aveva posto come
connotazione del proprio sentire e del proprio aspirare, il disincanto sui grandi
ideali, Nomadelfia pareva inconcepibile.
Tuttavia non erano pochi coloro che, all’indomani della fine della
seconda guerra mondiale, si preoccuparono di porre rimedio alla crisi che
piombò sull’Occidente, indicando possibili vie di superamento.
Le esperienze di vita del fondatore di Nomadelfia e il suo particolare
carisma, giocano un ruolo importante nella definizione e nel compito della
comunità da lui fondata nel 1948. Nomadelfia, prima di essere un’esperienza
di vita integrale sul piano religioso, è la graduale elaborazione di una visione
del mondo e della vita, sintetizzata nel nome stesso della comunità:
Nomadelfia, che significa dal greco “dove la fraternità è legge”.Questa
fraternità, il cui fondamento è essenzialmente evangelico, si snoda nei
rapporti tra uomo-uomini-Dio:
65
“Nomadelfia si è strutturata sotto forma di popolo nuovo che, se riuscirà, sarà
senz’altro una nuova civiltà vivente nella vecchia” 92.
Maturò pian piano l’idea di un ritorno alle origini, di un ricostruzione di
ciò che era andato perduto, di una società che tornava a dirsi “cristiana”.
Peculiare però in Zeno fu la precisa consapevolezza della centralità della
giustizia sociale e dell’uguaglianza che doveva caratterizzare una società che
si dicesse cristiana. Mentre molti si concentrarono sul dato istituzionale per
superare la crisi, ossia sul ritorno ad una democrazia statale, Zeno ebbe chiaro
fin da subito che era necessario superare i vincoli della proprietà privata e
proporre un nuovo modello di famiglia che si fondasse sul principio di
gratuità, libera da condizionamenti economici. Ecco posti i presupposti di
quella che sarà Nomadelfia: uso comune dei beni e famiglia comunitaria.
Sulla base di questi presupposti, si può parlare di Nomadelfia come
“proposta”, poiché rappresenta una sfida all’attuale società occidentale,
un’alternativa concreta e vissuta.
Ha senso parlare di “Nomadelfia come proposta” piuttosto che come
utopia, perché a differenza di altre utopie quella della comunità di Zeno non si
92
Z. SALTINI, Introduzione alla pedagogia di Nomadelfia, pro-manuscripto, Nomadelfia (Gr), 1971, p.11-12.
66
basa su una ideologia, non ha una origine intellettuale, ma ha come specifico
quello di essere concreta, praticata, vissuta più che pensata solamente.
Sono due le tradizioni a cui Zeno fa riferimento per il suo progetto
comunitario: la prima inerisce alla grande tradizione delle comunità del
cristianesimo, e la seconda fa riferimento al cosiddetto socialismo religioso
che identificava in Cristo il primo socialista.
Mentre da un lato il prete emiliano intendeva opporre alla cultura liberalborghese la rivalutazione del filone comunitaristico del cristianesimo;
dall’altro, si proponeva di riscoprire la dimensione autenticamente religiosa
del socialismo, contro una deriva materialistica. Queste due fonti a cui Zeno
attinge per la sua proposta di vita, sono decisivi per due temi nevralgici e
ricorrenti negli scritti del Saltini, ossia la questione della proprietà privata e
quella della famiglia.
La linea di azione che Zeno propone per il “cambiamento di rotta” della
società non è dunque quella di un partito politico, che si interessasse ad un
ritorno di una democrazia statale che si dicesse cristiana (Democrazia
Cristiana), ma un cambiamento che minasse alle radici della società stessa, un
cambiamento che ha la sua fonte ispiratrice nel Vangelo stesso.
67
Muovendo da una forte denunzia delle ingiustizie commesse a danno
delle classi più svantaggiate, i poveri e gli abbandonati in primis, Zeno
prospetta qui la necessità di una profonda rivoluzione che sia spirituale e
sociale93. Per superare questo intollerabile stato di cose occorre riscoprire la
dignità del lavoro e rifondare su nuove basi il diritto di proprietà.
È necessario operare una più equa distribuzione dei frutti della terra e del
lavoro dell’uomo per attuare quella giustizia terrena che tutti gli uomini
invocano: passare da una società capitalistica ad una società fraterna.
Una terra che sia di tutti e che si sottrae alla inevitabile presa della
proprietà privata, dovrebbe rappresentare per Zeno, un mezzo di
affratellamento fra gli uomini, e creare le premesse per una società basata
sulla condivisione, sulla eguaglianza, sullo scambio dei beni: è necessario
svincolarsi dalla prospettiva di possesso, di appropriazione dei beni, di
accumulo di beni materiali che la proprietà privata comporta.
Non si tratta di comunismo, ma qui si parla chiaramente di una società
che metta i beni in comune, una società che radicalmente è evangelica, come
quella realizzata dai primi cristiani che “avevano ogni cosa in comune” (At
93
cfr. ID., Tra le zolle, op. cit., p. 46-47. Indicativa, in questa linea, la dura denunzia della civiltà moderna in
quanto essa si risolva nel primato dei beni materiali
68
2,44-45). Zeno quindi non nega radicalmente la proprietà, il possesso dei beni
personali, ma piuttosto lo relativizza, lo indirizza verso la sua “funzione
sociale universale”.
“la appropriazione personale può avvenire soltanto quando sia assicurata a tutti
una giusta quota dei beni della terra” 94.
Zeno non combatte la proprietà privata che, come dice la Gaudium et
Spes al n. 71, “costituisce una delle condizioni delle libertà civili”, ma
sottolinea la sua destinazione personale e sociale in cui trova la sua verità e il
suo compimento:
“I soldi servono solo quando si spendono, cioè solo quando ce ne spogliamo,
per acquistare qualcosa di utile per noi e per i fratelli” 95.
Anche la tipologia di famiglia che si è affermata nella società è causa dei
mali che aggrovigliano l’Occidente. Non è un caso se la tradizionale famiglia
borghese è strettamente legata all’idea di proprietà privata. Infatti Zeno ne
coglie i limiti quando intravede uomini e donne orientati alla “cultura del
94
95
Cfr. ID., Sete di giustizia, Ed. Nomadelfia, Grosseto, 1993, p. 66-67.
ID., DH, op.cit., p.21.
69
privato”, che difficilmente sono disponibili ad uno spirito di condivisione
comunitario 96.
Nel
suo
progetto,
Zeno
crede
fortemente
nel
rinnovamento
dell’istituzione familiare. Nelle comunità familiari di Zeno non solo la coppia
coniugale era salvaguardata e valorizzata, ma una profonda comunione di
valori etici, spirituali e religiosi, appariva la base della convivenza. Egli
intende
trasformarla dall’interno, mostrando quei valori spirituali e
relazionali di cui era capace, ma che spesso venivano oscurati nella famiglia
borghese dai fattori economici. Ecco allora il senso complessivo dell’utopia
di Nomadelfia: creare le premesse di una società nuova mediante il
superamento del concetto di proprietà e di famiglia. La Costituzione dei
Nomadelfi recita così:
“i suoi cittadini rinunciano a possedere beni a qualsiasi titolo e di qualsiasi
natura (art. 2); ogni nomadelfo si impegna in modo particolare a prestare la sua
attività senza alcun compenso economico nelle iniziative della Popolazione (art. 3);la
Popolazione dei Nomadelfi possiede solo i beni necessari per lo svolgimento della
96
Agli occhi di don Zeno, le famiglie erano come cellule di un corpo malato, chiuse nei loro egoistici istinti
borghesi. Per questo auspica un ritorno al comunitarismo cristiano in cui si fa forte l’appello alla solidarietà e
alla riscoperta dello spirito cristiano di queste famiglie.
70
propria attività istituzionale (art. 6); le famiglie sono organizzate in gruppi familiari
(art. 17)” 97.
Il passaggio dalla famiglia nucleare alla famiglia di vocazione è legato
soprattutto alla prevalenza dei legami affettivi sui vincoli di sangue, con gran
parte degli spazi abitativi e dei servizi in comune.
L’esperienza dei Piccoli Apostoli in San Giacomo Roncole, evidenzia
non a caso il superamento del dato biologico, tant’è che don Zeno chiedeva ai
suoi parrocchiani di rinunciare alla proprietà familiare per realizzare una sola
famiglia con tutta la popolazione della piccola frazione, mentre i suoi ragazzi
sarebbero stati affidati, a piccoli gruppi, ai vari nuclei familiari propriamente
detti, anticipando quello che sarà Nomadelfia.
La promozione sociale dei ragazzi e delle famiglie è sempre stata al
centro dei progetti di
Zeno, che culmineranno poi nella “famiglia di
vocazione”, con concezioni profondamente teologiche. Si ritrova infatti negli
scritti del prete carpigiano un espressione molto ricorrente:“il vincolo del
sangue a un certo momento divide” 98. Con questa espressione Zeno,
criticando la famiglia nucleare borghese, approfondirà meglio il nuovo
concetto di paternità che si è rivestito di prospettive nuove. La prospettiva di
97
98
Costituzione dei Nomadelfi del 18/05/2000, Nomadelfia Edizioni, Grosseto, 2006, pp. 7-25.
G. CICERI, E. GAZZI (a cura di), op. cit., p.26.
71
Zeno non è quella dell’assistenzialismo filantropico, e nemmeno si costituisce
come opera caritatevole in favore degli abbandonati, ma scende in profondità,
come dirà nel giorno della sua prima messa: “non più assistiti, ma figli e
fratelli legati dal sangue di Cristo”.
Dai suoi scritti appare evidente come questo tema della famiglia di
vocazione, sia un convincimento profondo, stabile e consolidato:
“potrei imitare la famiglia patriarcale, la quale teneva legati matrimoni e figli,
nipoti e cugini, ed era secolare. Erano secolari quelle famiglie lì. Invece di legarli con
la parentela, li leghiamo con la fede, il loro legame che fosse la fede. Nelle famiglie
patriarcali c’era il legame della parentela. Era molto forte quello lì: la parentela e
l’eredità (…) invece se Nomadelfia si apre formando il gruppo familiare proprio
legato alla fede, allora la fede è una forza superiore al sangue. La fede è una cosa
divina, il sangue è una roba che non è una grande scoperta” 99.
I tanti bambini e ragazzi che Nomadelfia accolse sono segno della
rivendicazione forte di ogni bambino ad avere una famiglia, naturale o
adottiva.
Famiglie il cui vincolo di parentela non è il sangue ma la
Rivelazione la quale eleva anche i rapporti di sangue, questo fu il pensiero di
Zeno e questo attuò in Nomadelfia.
99
B. ANDREOLLI, Dalla famiglia patriarcale alla famiglia di vocazione, in M. GUASCO, P. TRIONFINI (a cura
di), op. cit., p. 26.
72
Forte è il richiamo di Zeno all’unità familiare, in quanto tutti figli dello
stesso Padre e quindi fratelli, stempera la differenza tra famiglia di sangue e
famiglia di vocazione, evidenziando come la stessa famiglia di vocazione è
anche famiglia di sangue, il sangue di Cristo. Per cui in questa prospettiva
teologica, non tutti chiaramente sono padri, ma tutti sono fratelli in ragione
dell’essere figli dello stesso Padre. In Nomadelfia non vi è promiscuità di
relazioni sessuali, anzi la coppia viene riconosciuta nel suo diritto all’intimità,
mentre la vita quotidiana e l’educazione sono realizzati in forma comunitaria.
La maggior parte delle funzioni della famiglia è trasferita alla comunità.
I nomadelfi si sono impegnati eroicamente nella realizzazione del loro
ideale sociale e politico: arrivare ad una forma di popolo socialmente e
politicamente libero. Essere nomadelfi è una vocazione:
“Questa è una rivoluzione (…) che parla al mondo con le parole e
con le opere”100.
100
Z. SALTINI, Nomadelfia è una proposta, Nomadelfia Edizioni, Grosseto, 1965, p.90.
73
3.4 Il significato e l’attualità di don Zeno per la Chiesa e la società di
oggi.
All’alba del terzo millennio, Nomadelfia è ancora una realtà che rende
ragione alle intuizioni del suo fondatore, che testimonia quello che società
potrebbe essere se si edificasse sul Vangelo. Ciò che resta dell’operato del
Saltini non è qualcosa legato solo al passato, alla sola memoria, fossilizzata
nel suo tempo; ma come spesso accade per grandi figure storiche, anche per
Zeno e per la comunità di Nomadelfia, è tempo di vagliare la sua proposta alla
luce dei tempi attuali.
La comunità di Nomadelfia oltre che essere stata oggetto di attenzione
storica, oggi diventa occasione ricorrente di confronto su tematiche trasversali
inerenti la famiglia, la società, la politica e la fede. Il pensiero e l’azione di
Zeno, interrogano le coscienze inquiete di ogni tempo, e lanciano attraverso la
comunità da lui fondata, la sfida di una cultura alternativa all’attuale società,
imbevuta di secolarismo. La nostra società industriale, caratterizzata da
consumismo e avanzamento tecnologico, persegue una logica che la proposta
Saltiniana mette fortemente in discussione.
In don Zeno e in Nomadelfia, anche se è difficile scindere l’uno
dall’altra, appaiono evidenti lo slancio, la forza irresistibile, la vocazione a
74
incarnarsi tra gli uomini per togliere quelle contraddizioni e quelle condizioni
che ne ostacolavano il pieno sviluppo, e di tutto ciò che l’uomo andava
pensando di realizzare in quel mondo, alla luce del Vangelo.
La ricerca di una vita semplice, nella quale le relazioni con gli uomini
ritrovino la loro spontaneità, la loro immediatezza, la loro gratuità è una delle
tante possibilità che don Zeno ha lasciato all’uomo d’oggi. Il modello di vita
che Saltini invita a seguire è substrato di una nuova mentalità, di una nuova
cultura, di una nuova civiltà, che “assicuri al mondo una nuova era”101.
I mali più grandi dei quali oggi soffre la società e la cultura sono quelli
che insidiano le domande di senso dell’esistenza, che indeboliscono la
speranza per il futuro, che respingono ogni tentativo di risposta agli
interrogativi di senso delle giovani generazioni.
In una società caratterizzata sempre più da corruzione politica,
malgoverno, disoccupazione, rottura di alleanze coniugali, malasanità,
mancanza di riferimenti educativi validi, inadeguatezza dei servizi scolastici
all’istruzione, ci si chiede se la profezia civile di Nomadelfia possa ovviare ai
mali che stanno affossando la nostra società.
101
ID., DH, op. cit., p.91.
75
La figura di don Zeno rimane più che mai attuale e illuminante, punto di
riferimento per la formazione delle coscienze, e proposta forte di un senso
della vita e della società. Questa preoccupazione viene condivisa anche dal
Vaticano II, di cui Zeno è inevitabilmente anticipatore teorico, nella
costituzione pastorale Gaudium et Spes, in cui ci si preoccupa di far riscoprire
all’uomo d’oggi il senso stesso del suo stare al mondo, l’altezza della sua
chiamata all’esistenza:
“è dovere permanente della Chiesa (…) rispondere ai perenni interrogativi
degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche.
Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le
sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico” 102.
La cultura secolare del XXI secolo ha sancito l’estraneità di Dio e della
fede da ogni ambito pubblico, relegando ogni discorso inerente la fede allo
spazio privato della propria coscienza. Il richiamo di Zeno a “vivere la
Verità”, a vivere secondo un modello societario alternativo e radicato nel
Vangelo, ad essere fermento di una rivoluzione sociale di Cristo, a vivere da
cristiani nelle forme della vita quotidiana, sembra cadere nel vuoto di questo
mondo secolarizzato.
102
Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione Pastorale Gaudium et Spes (7 dicembre 1965), n. 4.
76
I temi che don Zeno ha messo in luce nel suo operato, le stesse
espressioni veementi nei confronti di un certo “cattolicesimo che allontana”,
che è rito ma non vita, parole chiave come “Chiesa dei poveri”, “giustizia
distributiva”, “fraternità”, “altre religioni”, mostrano quanta attualità hanno le
intuizioni di don Zeno, e come questi temi siano ora più che mai tornati in
auge.
La giustizia distributiva è condizione di comunione e di fraternità fra
tutto il popolo e la fraternità non deve essere una opzione, cioè una scelta
preferenziale per un cristiano, ma una legge, come dice la stessa parola
Nomadelfia, la città dove la fraternità è legge. Di fronte a questo concetto
fondamentale di giustizia, chi ritiene oggi il modello Nomadelfia come una
forma di comunismo, è lo stesso Zeno che risponde a chiare lettere:
“Dall’Italia deve partire la controrivoluzione al comunismo (…). Il popolo
italiano deve salvare il mondo dal marxismo e dal materialismo di tutte le esistenti
correnti politiche (…). Il popolo italiano non è ancora marxista, né liberale,
nell’animo: è cattolico e deve aprire la strada per commuovere tutto il mondo con un
eloquente esempio di osservanza delle leggi naturali date da Dio.” 103
103
Cfr. Lettera a mons. Montini, 24 giugno 1951, in Let I, op.cit., pp. 211-216.
77
Niente comunismo quindi nella sua Nomadelfia. L’opzione per il
modello della Chiesa delle origini è dovuto alla convinzione profonda che
esso corrisponda ad una forma di cristianesimo non solo più pura ma anche
più autentica.
Questo perché il sogno di don Zeno è quello di una Chiesa più unita,
concentrata sulla sua missione e capace di incidere per una riforma della
società in maniera molto immediata e diretta:
“bisogna vincere il mondo che è penetrato nella Chiesa e allo stesso tempo
cambiare il mondo” 104.1
Il cambiamento di mentalità che don Zeno invoca, passa anche
attraverso la formazione delle coscienze e investe la responsabilità della
Chiesa nei confronti della società. Di fronte ai nuovi bisogni e alle nuove
esigenze che nel tempo si succedono, Nomadelfia rappresenta una proposta
forte di un senso della vita e della società, ora più che mai attuale e attuabile.
104
Lettera a Pio XII, gennaio 1950, in M. GUASCO, P. TRIONFINI (a cura di), op. cit., p.296.
78
La spiritualità di don Zeno invita ancora il cristiano ad osare, ad aprire
gli occhi a questo mondo, perché gli sia concesso di conoscere Dio,
soprattutto di rispondere oggi a coloro che vedono nella religione solo
consolazione e suggestione, con criteri di verità per convertire le loro vite.
È dunque necessario annunciare il senso del mondo, la presenza in esso
dei segni dell’opera di Dio: questo è l’obiettivo urgente di una cultura
cristiana. Rendere manifesto il volto di Dio, nonostante tutte le
secolarizzazioni di questo mondo:
“Don Zeno era riuscito a trasmettere alla sua gente questo senso del vangelo
fatto storia: fatto bambino, fatto famiglia, fatto società” 105.
Questo era riuscito a trasmettere don Zeno e questo riesce a trasmettere
ancora oggi Nomadelfia.
105
R. RINALDI, Don Zeno Turoldo Nomadelfia. Era semplicemente Vangelo, op. cit., p.245.
79
CONCLUSIONI
A conclusione di questo lavoro di ricerca sembra utile sottolineare le
originalità del sacerdote emiliano affiorate durante il presente lavoro.
In primis l’attualità di don Zeno Saltini, alla luce dei suoi scritti,
mostrano come le sue intuizioni interroghino ancora la società odierna e
l’uomo d’oggi. Il tentativo di Zeno di realizzare un modello di società
cristiana fondata sulla carità e sulla fratellanza, è l’elemento di spicco di
questo prete. Il tentativo di uscire fuori da un tipo di religiosità a carattere
intimistico e individuale lo porterà a impegnarsi a tradurre nella realtà la vita
fraterna a somiglianza delle prime comunità evangeliche. La vita e l’opera di
don Zeno sono un rimprovero bruciante per tutti quei credenti che vivono in
modo distinto la fede dall’azione.
Un ultimo aspetto che emerge dalla personalità cristiana di don Zeno è la
sua sconfinata carità evangelica, resa manifesta nell’accoglienza degli
abbandonati e degli esclusi dalla società. La sua attualità si riscontra anche in
questo andare contro corrente, ribaltando le logiche mondane ed egoistiche
tipiche delle società contemporanee. A questi modelli capitalistici di società,
don Zeno ha opposto una logica tipicamente evangelica, dove l’uomo si pone
in un atteggiamento solidale e fraterno con gli altri. Il modello offerto da don
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Zeno, anziché essere segno di intransigenza o di utopia, diventa anticipazione
di un traguardo voluto da Dio per tutta l’umanità. Don Zeno realizza il
cristianesimo nella realtà terrena, senza smarrirlo in una ideologia o in partito.
È indubbio che don Zeno e Nomadelfia rappresentino un momento
profetico emerso in seno alla Chiesa in un determinato contesto sociopolitico. Tuttavia la sua attualità mostra come la sua figura e la sua esperienza
siano esemplari. Don Zeno è un modello di prete, uno dei tanti modelli di
santità sacerdotale che risplendono nella Chiesa.
Pur non nascondendo l’ammirazione personale verso questa figura
sacerdotale, sono persuaso che il lettore non si fermi a considerare questa
ricerca come una mera ricostruzione agiografica, ma di accogliere dalla
esperienza di don Zeno uno stimolo a riflettere sulla autenticità della propria
vita cristiana.
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BIBLIOGRAFIA
FONTI PRIMARIE:
Opere di don Zeno Saltini
SALTINI ZENO, Nomadelfia è una proposta, Nomadelfia Edizioni, Grosseto, 1965.
-, Introduzione alla pedagogia di Nomadelfia, pro-manoscritto, 1971.
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-, L’uomo è diverso, Nomadelfia Edizioni, Grosseto, 19894.
-, Sete di giustizia, Nomadelfia Edizioni, Grosseto, 19934.
-, Lettere da una vita, I, 1900-1952, EDB, Bologna, 1998.
-, Lettere da una vita, II, 1953-1981, EDB, Bologna, 1998.
Studi su don Zeno
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1986.
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MATANO BEATRICE, Vita di Nomadelfia, Armando Editore, Roma, 1971.
RINALDI REMO, Don Zeno Turoldo Nomadelfia. Era semplicemente Vangelo, EDB,
Bologna, 1998.
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PIO XI, Lettera enciclica Quas Primas, 11 dicembre 1925, in AAS 17 (1925).
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FONTI SECONDARIE:
Articoli e riviste
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SALTINI ZENO, La chiamata (1900-1913), in “Nomadelfia è una proposta”, 1981, n.9.
TORELLI GIORGIO, in “Epoca”, Milano, 3 settembre 1972
SITOGRAFIA:
https://www.doncalabria.net
http://www.toscanaoggi.it
http://www.santiebeati.it
http://www.treccani.it
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