Notiziario Archeologico
della Soprintendenza di Palermo
33/2018
a cura della Sezione Archeologica della Soprintendenza per i Beni
culturali e ambientali di Palermo
ATTIVITÀ 2016 DELLA SEZIONE PER I BENI ARCHEOLOGICI DELLA
SOPRINTENDENZA DI PALERMO
STEFANO VASSALLO, CARLA ALEO NERO, GIUSEPPINA BATTAGLIA, MONICA CHIOVARO, ROSA MARIA CUCCO
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This new contribution aims to provide an overview of the scientific and
popular activities carried out, during 2016, by Sezione Archeologica of
Soprintendenza BB.CC.AA. of Palermo.
In relation to the previous contribution about the activities of 2015, we
have tried to create more extensive forms, also correlated with an essential
bibliography. Once again, above all the daily work of protecting the
territory and the interventions of preventive archaeology (both public and
private) have allowed to highlight significant results and archaeological
innovations that concern the entire territory of the province of Palermo; of
course, the contributions are preliminary reports, however we believe it is
right to make available to the scientific community the new data collected,
even if still in the study phase. Moreover, the Unità Operativa Beni
Archeologici has been engaged – as it has been previously – in activities of
scientific valorisation and communication, also with important
repercussions in the field of social commitment, confirming the role of
cultural "control" that this Institute plays, in spite of everything.
INTRODUZIONE
L’attività di ricerca e di tutela svolta nel 2016 dalla Sezione Archeologica della Soprintendenza, nel territorio
della provincia di Palermo, è stata intensa e ricca di risultati positivi, grazie anche al costruttivo dialogo con gli
enti pubblici con i quali si è operato in spirito di collaborazione e di disponibilità nella programmazione degli
interventi di archeologia preventiva.
Come insito nella natura stessa del lavoro delle Soprintendenze, la possibilità di intervenire in aree non note
in precedenza per l’interesse archeologico, in quanto legate solamente ai luoghi nei quali devono essere realizzati
i lavori, ha permesso non soltanto di individuare contesti stratificati finora sconosciuti, ma anche di spaziare in
periodi storici e fasi culturali che vanno dalla preistoria all’età moderna, consentendo una ricostruzione dei siti
più articolata nel tempo e nelle funzioni delle varie parti. È questo il caso di Palermo, dove la plurimillenaria
storia della città e della sua periferia, costituitasi anche attraverso complesse trasformazioni culturali e politiche,
ci ha dato la possibilità di recuperare, con lo scavo, informazioni sul territorio da età preistorica, com’è avvenuto
nelle tombe eneolitiche di via Venere a Mondello, al XX secolo, con la scoperta delle aquile di ferro che
ornavano, fino all’ultima guerra, la copertura della Stazione Ferroviaria. Sempre a Palermo sono emersi
numerosi dati per una nuova lettura della città medievale di Balarm, nel delicato passaggio dalla fase islamica,
con importanti testimonianze di abitato periferico, a quella normanna.
Altre indagini, inserite in un contesto più tradizionale di ricerche sistematiche, hanno evidenziato la
necessità di operare con continuità in siti più complessi per condurre studi articolati nel tempo, che possano
restituire con maggiore profondità di dettaglio la loro storia. Un’attività, questa, difficile da realizzare a causa dei
finanziamenti sempre più ridotti e di una carenza ormai congenita dei quadri del personale tecnico nelle nostre
Soprintendenze. Il caso più significativo sono gli scavi al castello di Vicari, ripresi dopo qualche anno, in
occasione del completamento dei restauri e di valorizzazione del monumento, che ha permesso di indagare una
serie di problematiche rimaste insolute nelle precedenti esplorazioni: è stato possibile chiarire meglio l’impianto
architettonico dell’area superiore del castello, fra XIII e XIV secolo e definire le fasi più antiche della chiesetta
medievale di Santa Maria di Boikos, ubicata alla base del castello, dove sono state messe in luce alcune ricche
sepolture trecentesche.
Un altro risultato, che riteniamo molto significativo, è l’implementazione del “Notiziario Archeologico” della
Soprintendenza di Palermo, strumento di divulgazione rivelatosi prezioso non soltanto per dare notizia
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Soprintendenza Beni culturali e ambientali di Palermo, Via P. Calvi 13, 90139 Palermo; contatti: vassallo.stefano@gmail.com tel.
0917071455,
aleoneroca@gmail.com
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0917071217,
giuseppina.battaglia@regione.sicilia.it
tel.
0917071453,
monica_chiovaro@regione.sicilia.it, tel. 0917071454, rm.cucco@libero.it tel. 0917071456.
Regione Siciliana
Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana
Dipartimanto dei Beni culturali e dell’Identità siciliana
www.regione.sicilia.it/beniculturali
Soprintendenza dei Beni culturali e ambientali di Palermo
sopripa.uo5@regione.sicilia.it
S. Vassallo et alii, Attività 2016 della Sezione per i Beni archeologici della Soprintendenza di Palermo
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preliminare dell’attività svolta, ma aperto anche a contributi storici e archeologici su ricerche che riguardano la
nostra provincia. Nel 2017 sono stati pubblicati 18 numeri, scaricabili dal sito del Dipartimento dei Beni
Culturali e da quello di Academia.edu/Notiziario Archeologico Soprintendenza Palermo, in formato A4.
L’elevato numero di visite del sito e di copie scaricate ci incoraggia a proseguire nei prossimi anni con questo
strumento di divulgazione efficace e utilissimo a informare in tempo reale delle nostre indagini tutta la comunità
scientifica.
1Sito: Palermo, Palazzo dei Normanni, Ala Maqueda. Scoperta del muro esterno del
palazzo di età normanna
Motivazione e periodo della ricerca: lavori realizzati dall’Assemblea Regionale per la realizzazione del nuovo
ingresso turistico al Palazzo. Marzo-Aprile 2016.
Responsabili della ricerca: Monica Chiovaro, Antonio Di Maggio, Stefano Vassallo.
Risultati: il Palazzo insiste sul punto più elevato
della piattaforma calcarenitica sulla quale si
sviluppa la città di Palermo, occupata dall’età
antica ai nostri giorni senza soluzione di
continuità. Il persistente stanziamento nell’area
ha generato nei secoli una consistente
stratificazione spessa più di 8 metri, come ci
indicano saggi di scavo realizzati nel secolo
scorso all’interno del Palazzo, confermati dalle
recenti indagini. Per questo motivo la Sezione
Archeologica della Soprintendenza BB.CC.AA.
ha ritenuto opportuno fare precedere i lavori in
progetto da uno scavo archeologico, localizzato
nel grande ambiente chiamato Ala Maqueda –
dal nome del vicerè che ne completò la
realizzazione -, all’altezza del grande portale
seicentesco che si apre oggi sulla Piazza del
Parlamento (fig. 1a, b, c). Il saggio ha consentito
di rinvenire strutture archeologiche poste già a
pochi centimetri dall’attuale pavimento; infatti,
una
volta
rimosso
la
pavimentazione
dell’ambiente e i sottoservizi, si è messo in luce
una possente cortina muraria (fig. 2) spessa m
5,20 ca., costituita da blocchetti sbozzati di
arenaria biancastra poco compatta, allettati in
filari regolari con malta di terra; la struttura si
conserva in elevato per m 2 ca., ha un
orientamento NO-SE ed è in parte sfruttata
come fondazione della facciata esterna della
Fig. 1a La città antica con la localizzazione del Palazzo dei
moderna Ala Maqueda, che presenta uno
Normanni
spessore ridotto rispetto al muro più antico
sottostante. La poderosa cortina muraria è a sua
volta fondata su un solido basamento che
sporge rispetto al muro di 1 metro ca. (fig. 3) e
che è costituito, anch’esso, da blocchetti in
arenaria biancastra allettati con malta di terra.
La costruzione della cortina muraria deve avere
intercettato e distrutto una sistemazione
precedente dell’area (fig. 4); infatti, nella parte
più profonda del saggio sono stati rinvenuti due
brevi tratti di muro - in parte sovrapposti - una
serie di piani in materiale tufaceo pressato e un
pozzo, elementi che sembrano obliterati in
tarda età islamica, ma la cui organizzazione, al
momento, non è interpretabile.
Fig. 1b Il Palazzo nell'aspetto assunto dopo gli interventi
seicenteschi
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Fig. 1c Pianta del Palazzo con localizzazione dell’intervento di
scavo
Fig. 4 Sulla sinistra in basso, strutture precedenti alla
costruzione del muro normanno
3
Fig. 2 Sovrapposizione schematica dell’allineamento
della facciata dell’Ala Maqueda con quello del muro
rinvenuto durante lo scavo
Fig. 3 Particolare del basamento su cui poggia il
muro rinvenuto
Il basamento della spessa cortina muraria è coperto da una
serie di strati che si appoggiano anche al tratto sud-est del
muraglione e che, probabilmente, sono relativi alla sua
costruzione. Tra i materiali recuperati sono rari i
frammenti di catini carenati e, invece, numerose le coppe
emisferiche con orlo a breve tesa (fig. 5a). Sono presenti
anche reperti di una certa qualità, inconsueti nei contesti
palermitani di età medievale, come, per esempio, i
frammenti di una coppa con un impasto a base silicea
(fritware ?), decorata sulla superficie esterna con incisioni
a sinuosi motivi arabeschi e rivestita – su entrambi i lati con una vetrina gialla screpolata (fig. 5b); il reperto è
probabilmente un’importazione dall’Egitto o dalla Siria,
dove questo tipo di ceramica era prodotta. Un altro
frammento significativo è, per esempio, un fondo
(ritagliato?) ornato con un elegante uccello acquatico reso
in bruno su un fondale smeraldino (fig. 5c), un tipo di
decorazione probabilmente di tradizione orientale, forse
proveniente dall’area dell’attuale Iraq. Sono presenti anche
i frammenti di una coppa decorata all’interno con un
motivo pseudo-epigrafico reso con caratteri arabi stilizzati
(fig. 5d) e un frammento architettonico (?) in terracotta
rivestita con vetrina verde (fig. 5e).
5a
5c
5b
5d
5e
Figg. 5a-e I frammenti di materiali rinvenuti
durante gli scavi
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Questi reperti confermerebbero l’occupazione dell’area del Palazzo anche in età
islamica; interessante, inoltre, la presenza negli stessi strati di pochi ma significativi
reperti di età più antica (frammenti a vernice nera di produzione locale, frammenti di
sigillata e di anfore bizantine) che, insieme a una moneta di Caracalla (215 d.C.) (fig.
6) recuperata sulla sommità del muro, costituiscono un’ulteriore riprova
dell’esistenza ininterrotta di uno stanziamento in questa parte rilevata della città.
A un primo esame, questi strati, relativi alla costruzione del muro, sembrano essere
databili tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo e sono sigillati da un piano molto
compatto e tenace (fig. 7), che abbiamo interpretato come il pavimento di età
normanna connesso all’uso del muro.
Fig. 6 Moneta dell’impeLa cortina continua rinvenuta, in un momento di poco successivo alla sua
ratore Caracalla
realizzazione, è stata rimaneggiata per permettere l’apertura di una porta
ampia poco più di tre metri e di cui si distinguono i due stipiti interni. La
parte più leggibile del varco è quella SE, dove si nota, sul paramento interno
e nello spessore del muro, che alcuni conci sono stati riposizionati e allettati
con una malta biancastra; inoltre, proprio per sistemare il passaggio, sono
stati utilizzati blocchi di grande formato (fig. 4). Contestuale all’apertura
della porta è la costruzione di un grande canale per lo smaltimento delle
acque all’esterno del Palazzo; il collettore, che attraversava il varco creato
dall’accesso, era coperto da grandi lastre litiche (fig. 8), attraversava la
cortina muraria e ne tagliava i filari inferiori (fig. 9). L’apertura dell’accesso e
la costruzione del canale sembra coincidere con una fase di generale riassetto
della struttura muraria, che forse fu anche ispessita e rafforzata, come
sembrano indicare anche i grossi blocchi utilizzati per realizzare il
paramento esterno del muro (fig. 10), solidali con la risistemazione
dell’angolo interno già descritto. La cortina muraria rinvenuta costituisce,
probabilmente, il fronte verso la città dell’insediamento che i Normanni al
loro arrivo costruirono (o ricostruirono); infatti, le fonti narrano che nel
1072, dopo numerosi attacchi, Roberto il Guiscardo e il Conte Ruggero Fig. 7 Piano pavimentale di età
conquistarono la città e ne fortificarono il luogo più rilevato (oppure normanna
rinforzarono ulteriormente questo sito arroccato già munito?), innalzando
muri e torri. All’inizio l’insediamento normanno dovette avere un carattere
militare; il cosiddetto Castrum Superius, citato dalle fonti, doveva essere
essenzialmente un grande recinto fortificato dove fare stanziare al sicuro la
milizia normanna che era relativamente esigua e che aveva l’impegnativo
compito di tenere sotto controllo la ex M’dina. La successiva risistemazione
della cortina muraria – con blocchi di dimensioni maggiori rispetto al muro
precedente – e l’apertura di una porta verso la città, forse, può essere messa
in relazione con la trasformazione del fortilizio in una reggia munita, così
come voluto da Ruggero II; al sovrano, infatti, si deve la riorganizzazione del
palazzo fortificato. Il nuovo tratto murario rinvenuto, con il suo accesso, si
trova a pochi metri di distanza delle absidi della cosiddetta cripta (o Chiesa
Inferiore) della Cappella Palatina. Inoltre, anche le fonti sembrano indicare
che nella parte del Palazzo rivolta verso la città si aprisse un ingresso che si Fig. 8 Il canale coperto da grandi
trovava nei pressi della Cappella Regia.
lastre litiche
Fig. 9 Sulla sinistra, il canale che taglia i filari inferiori
della cortina muraria normanna
Fig. 10 Al centro, i grossi blocchi del paramento
esterno del muro normanno
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Un saggio di approfondimento aperto sull’odierna
Piazza del Parlamento, ha messo in luce un’altra
struttura - probabilmente databile alla prima età
normanna - appoggiata perpendicolarmente alla
spessa cortina muraria e di cui non è stato possibile
misurare lo spessore poiché esplorata soltanto
parzialmente e per un breve tratto; anche questo
muro è costituito da blocchetti in arenaria
biancastra allettati con terra (fig. 11). Per la sua
localizzazione, prossima alla porta, si potrebbe
pensare a un elemento relativo a un sistema
collocato a protezione esterna dell’ingresso, oppure
pertinente in qualche modo alle strutture
congiunte al Palazzo, tra le quali è stata ipotizzata
anche l’Aula Verde, descritta dalle fonti come
caratterizzata da un insieme di portici e abbellita
da una vegetazione rigogliosa; tuttavia, è
opportuno ricordare che a tutt’oggi l’esatta
Fig. 11 Struttura appoggiata all’esterno del muro normanno
localizzazione di questo edificio - all’esterno o
all’interno del Palazzo - è ancora dibattuta.
Anche il tratto NO (oltre il varco della porta) della cortina muraria si conserva in elevato per m 2 ca. e poggia su
un basamento molto sporgente rispetto al muro; al paramento interno della cortina si addossa
perpendicolarmente una parete (fig. 12a) che presenta sul fronte settentrionale un rivestimento in intonaco sul
quale si trovano alcuni segni (a impressione digitale, a carboncino e a graffito) (fig. 12b). Poiché gli strati relativi
a queste strutture si datano all’età moderna, forse i segni grafici sulla superficie intonacata sono in qualche
modo connessi alla destinazione d’uso del palazzo nel XVI secolo, sede del tribunale dell’Inquisizione e di una
guarnigione militare. In seguito, su questo tratto della cortina muraria, rasato, fu poggiato un pavimento in
mattoni di terracotta disposti per taglio, a formare un disegno a spina di pesce (fig. 12a). La realizzazione di
questa pavimentazione è probabilmente connessa alle fasi di sistemazione della moderna dell’Ala Maqueda.
Fig. 12a Tratto nord-ovest del muro normanno, coperto dal
pavimento realizzato con mattoni disposti a “spina di
pesce”, la freccia indica la parete che si appoggia
perpendicolarmente al muro
Fig. 12b Segni realizzati sull’intonaco della parete
appoggiata al tratto nord-ovest del muro normanno
(rilievo di Valeria Brunazzi)
DI FEDE M.S. 2000, Il Palazzo Reale di Palermo tra XVI e XVII secolo, Palermo.
DUFOUR L. 1992, Atlante storico della Sicilia – Le città costiere nella cartografia manoscritta 1500-1823, n.16,
Palermo.
GUIOTTO M. 1957, Palazzo ex Reale di Palermo. Recenti restauri e ritrovamenti, Palermo.
LA DUCA R. 1997, Il Palazzo dei Normanni, Palermo.
LONGO R. 2011, Il Palazzo Reale di Palermo. La Fabbrica medievale, in M. ANDALORO (a cura di), Il Palazzo
Reale di Palermo, Modena, pp. 51-118.
ZORIĆ V. 2002, Arx praeclara quam Palatium Regale appellant; le sue origini e la prima cappella della corte
normanna, in F. D’ANGELO (a cura di), La città di Palermo nel medioevo, Palermo, pp. 85-193.
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Sito: Stazione Centrale di Palermo. Resti dell’abitato e di due fornaci di età islamica
Motivo: realizzazione di infrastrutture complementari – centro commerciale, terminal bus e locale archivi –
nell'area della Stazione Centrale di Palermo.
Ditta: Grandi Stazioni.
Periodo di ricerca: luglio – novembre 2016.
Responsabili della ricerca: Giuseppina Battaglia, Emanuele Canzonieri
Risultati: gli scavi archeologici presso la Stazione Centrale di Palermo hanno restituito nuovi e importanti
elementi per ricostruire l’assetto urbano di questo settore meridionale della Palermo islamica (fig. 13).
Fig. 13 Planimetria della zona della Stazione Centrale con indicate le due aree d'intervento: 1) “Locale archivio”; 2)
“Secondo terminal bus”
A Sud-Est dell'attuale Stazione, nell'area del Terminal bus (lato Corso dei Mille), dov’è prevista la realizzazione
di un locale destinato ad archivio, è stata scoperta una strada, larga tre metri, con andamento N/S, databile ad
età islamica (figg. 14a-b). A ridosso del tracciato stradale, con il medesimo orientamento, sono state messe in
luce delle strutture murarie - realizzate con blocchi sbozzati poggiati sul piano roccioso - che definiscono alcuni
ambienti (fig. 15), riferibili ad una porzione di abitato esterno alla cerchia delle mura urbiche medievali, che si
ritiene corretto mettere in relazione con i recenti ritrovamenti effettuati in Corso dei Mille, durante i lavori per la
rete tramviaria. Già nella seconda metà del XIX secolo, a Sud-Ovest dell'attuale Stazione (lato via Oreto) (fig. 16)
- nell'area destinata ad accogliere il secondo Terminal bus – i lavori per la realizzazione della linea PalermoBagheria avevano modificato i livelli del suolo, operando profondi tagli e asportando gli strati legati a precedenti
fasi di occupazione dell’area, raggiungendo uniformemente lo strato naturale, costituito da calcarenite, la roccia
tipica del sottosuolo palermitano.
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Figg. 14a-b Particolare dell'area “Locale archivio”: a) Il tratteggio rosso delimita il tracciato stradale; b) Le frecce rosse
indicano due dei tre pavimenti stradali
Fig. 15 Particolare dell'area “Locale archivio”: zona con
tracce di abitato
Fig. 16 “Secondo terminal bus”: veduta panoramica
In questo stesso spazio erano stati, successivamente, edificati i locali destinati a servizi ferroviari (officina,
mensa per i ferrovieri, ecc.). I lavori per la costruzione del nuovo Terminal sono stati realizzati sotto il costante
controllo della Soprintendenza, con risultati significativi: negli strati di riempimento superficiali costituiti da
discariche di materiali formatesi dopo la seconda guerra mondiale, è stata rinvenuta una delle aquile in metallo
(figg. 17a-b) collocata al momento della costruzione della Stazione, alla fine del XIX secolo, come ornamento
della tettoia di copertura dei binari, smontata nel corso della Seconda Guerra Mondiale, per il recupero del
materiale (fig. 18 da www.siciliaintreno.org).
Fig. 17 “Secondo terminal bus”: a) L'aquila smontata, così come rinvenuta durante le indagini; b) una porzione del
girale floreale su cui poggiava l'aquila
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Fig. 18 “Secondo terminal bus”: La tettoia di copertura della Stazione Centrale di Palermo (da www.siciliaintreno.org)
La scoperta più interessante è però avvenuta
nell’indagine dei livelli più profondi, sul piano roccioso,
dove sono stati localizzati ed esplorati i resti di due
fornaci in mattoni (fig. 19) e cinque cavità scavate nella
calcarenite (fig. 20). Le fornaci (A e B), conservatesi
parzialmente proprio perché costruite entro profondi
tagli nella roccia, presentano una planimetria “a barca”,
con uno sviluppo allungato culminante, a una estremità,
con una cuspide e sul lato corto opposto con un
segmento retto. Entrambe le strutture in laterizi
presentano due fasi costruttive sovrapposte che, nel
caso della fornace A, danno luogo a un sensibile
restringimento. Sul fondo di entrambi i forni,
soprattutto del più piccolo forno B, si conservano
residui di calce bianca. La funzione di calcara
contraddistingue un momento d'uso dei due forni,
mentre per quanto concerne l’altro periodo produttivo
si dispone solamente di consistenti scarichi di materiale
ceramico allocato sia in una fossa adiacente alla fornace
A, sia nelle colmature delle sopraccitate cavità, a circa
40 m a SE delle stesse fornaci. Tutti gli strati hanno
restituito un corposo quantitativo di forme ceramiche
databili, per associazione ad anfore con ansa solcata
(fig. 21) e a lucerne a piattello e a cupoletta (fig. 22), tra
la fine del IX e la prima metà del X secolo. Un veloce
esame delle forme evidenzia una notevole uniformità e
la preponderanza di due tipi ceramici: vaso a sezione
tronco-conica con due anse verticali opposte e fondo
umbonato; contenitore a profilo cilindrico, sempre con
fondo umbonato e orlo a tesa.
Fig. 19 “Secondo terminal bus”: le fornaci A e B in
mattoni
Fig. 20 “Secondo terminal bus”: le cinque cavità nei
pressi delle fornaci utilizzate come scarichi
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Significativa anche la presenza di
ceramica da fuoco, fra cui si distingue la
pentola con corpo globulare e piccolo orlo
svasato.
In sintesi, queste indagini confermano il
quadro di quartieri artigianali nati nella
prima fase islamica della città, in una
zona periferica, esterna a quello che
successivamente sarà l’abitato palermitano chiuso dalla cinta fortificata della
seguente età normanna.
Fig. 21 “Secondo terminal
Fig.
22
“Secondo
terminal
bus”:
ALEO NERO C. cds, Palermo. Ceramica da bus”: Frammenti di anse sol- Lucerna a piattello e cupoletta dalla
contesti urbani di età medievale, cate provenienti dallo scari- cavità “D”
circolazione e consumo. Lo scavo nel co adiacente alla fornace A
Convento di Sant'Antonino (2013), in Atti
XLVIII Convegno Internazionale sulla Ceramica, Savona (2015).
BATTAGLIA G., RIOLO L., ANICETI V. 2016, Produzioni artigianali nella Palermo islamica, in Notiziario
Archeologico Soprintendenza Palermo, poster n. 19.
BATTAGLIA G., CANZONIERI E. 2016, Fornaci e scarichi alla Stazione, in Notiziario Archeologico Soprintendenza
Palermo, poster n. 18.
GUADAGNINO G., PEZZINI E. 2014, Ceramiche di età islamica rinvenute tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del
Novecento durante i lavori per la costruzione della stazione ferroviaria e delle case dei ferrovieri di Palermo,
in Atti XLVI Convegno Internazionale della Ceramica. Ceramica e Architettura, Savona 24-25 Maggio 2013,
pp. 337-349.
MAURICI F. 2015, Palermo araba. Una sintesi dell’evoluzione urbanistica, Palermo.
SPATAFORA F., BIFARELLA A., PAPA M. A., SCIORTINO G. 2012, Palermo. L’area archeologica di via Imera: notizie
preliminare e spunti di ricerca, in Archeologia Postmedievale, 16, pp. 61–67.
3)-
Sito: Palermo, Piazza Tarzanà
Motivazione e periodo ricerca: lavori di restauro ricostruttivo di immobile privato. Settembre 2016.
Responsabili della ricerca: Monica Chiovaro, Antonio Di Maggio.
Risultati: l’intervento, ricadente all’interno del centro storico della città e prossimo all’odierna Cala (fig. 23), ha
messo in luce un livello di terra melmosa posto a m 1,25 ca. s.l.m., tagliato dalle fondazioni di una struttura di
età moderna, in grandi blocchi di arenaria giallastra. Nello strato, povero di frammenti ceramici, non
diagnostici, sono state rinvenute numerose vertebre di grossi pesci, alcune ancora in connessione anatomica.
Fig. 23 Palermo, Piazza Tarzanà, inquadramento topografico
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Questa terra ricopriva una struttura muraria a doppio paramento, costituita da blocchetti di calcare biancastro
grossolanamente sbozzati in facciavista, allettati senza malta (fig. 24); il muro si trovava nei pressi dell’angolo
ovest dell’area indagata.
La struttura era orientata diversamente rispetto a quella di età
moderna, grossomodo in senso nord-ovest/sud-est (fig. 25); si
conservava per una lunghezza massima di m 3,60 ca. ed era
spessa cm 60/65. La parte nord era stata tagliata dalla
costruzione in blocchi di arenaria di età moderna e pertanto il
muro a doppio paramento era anteriore a queste strutture;
probabilmente si può fare risalire la sua cronologia all’età
medievale, senza tuttavia essere in grado di precisarne
ulteriormente la datazione. Purtroppo la struttura è stata – nel
giro di poche ore - sommersa dall’acqua. Un piccolo saggio
lungo il paramento est del muro ha consentito di verificare che
era costituito da almeno due filari, di cui quello inferiore
leggermente sporgente rispetto al primo; sembra, pertanto,
che si tratti già di una fondazione. E’ stato possibile mettere in
luce anche qualche altro blocco dello stesso materiale situato
poco più a Est dell’allineamento rinvenuto e ciò ha fatto
supporre la presenza di un’altra struttura - perpendicolare alla
prima (fig. 26) – che è stata, però, sommersa immediatamente. Vista la vicinanza alla costa, si può ipotizzare che i
brevi tratti di muro rinvenuti siano relativi a edifici in cui si
svolgevano attività legate al mare; inoltre, il toponimo della
piazza rimanda chiaramente alle citazioni dell’arsenale nuovo
(per distinguerlo da quello più antico, probabilmente risalente
all’età islamica, i cui resti sono stati rinvenuti in recenti
interventi archeologici realizzati nell’area della vicina Piazza
Marina) indicato proprio come “tarzanà” nei documenti del
Fig. 24 Struttura muraria a doppio paramento
tardo medioevo.
Fig. 25 Particolare della struttura
a doppio paramento
Fig. 26 Ricostruzione ipotetica delle strutture rinvenute (rilievo di Antonio Di
Maggio)
D’ANGELO F., PEZZINI E. c.d.s., La gestione delle acque a Palermo in età medievale.
SPATAFORA F. et alii 2012, Palermo. Uno scavo d'emergenza nell'area di Piazza Marina, in Sicilia occidentale.
Studi, rassegne, ricerche, Atti VII Giornate Internazionali di Studi sull'area elima (12-15 ottobre 2009), II,
Pisa, pp. 23-36.
http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/NotiziarioArcheoPalermo.html
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4)-
11
Sito: Palermo, Palazzo Scavuzzo Trigona di Sant’Elia
Motivazione e periodo ricerca: lavori di restauro dell’edificio, 2016.
Responsabili della ricerca: Carla Aleo Nero, Antonio Di Maggio, Giancarlo Guadagnino.
Risultati: nell’ambito dei lavori di restauro di Palazzo Trigona (fig. 27) – dove, in un intervento precedente, era
stato messo in luce un lembo di necropoli di età ellenistica - la Soprintendenza ha avuto modo di realizzare uno
scavo in un ambiente dell’edificio, situato al piano terreno, lungo la via Garibaldi.
Fig. 27 Stralcio della carta tecnica, scala 1:500, in rosso localizzazione delle fornaci
L’indagine ha consentito di mettere in luce, tra l’altro, in un angolo del
vano oggetto dell’indagine, poco più della metà di una fornace (figg. 2829) destinata alla cottura di tegole (figg. 30-31), forse anche laterizi,
probabilmente databile all’età islamica sulla base dei pochi frammenti
ceramici rinvenuti. La struttura, a pianta circolare, del diametro di circa
3 m e conservata relativamente alla camera di combustione per
un’altezza di circa 2 m, è costruita in mattoni crudi, i quali presentano la
faccia, esposta al fuoco vivo, vetrificata (fig. 32); la suola della camera di
cottura era sostenuta da un sistema di archi e pilastri, anch’essi in
mattoni crudi di varie dimensioni.
La fornace ricade all’interno dello spazio urbano di età medievale, nel
settore sudorientale, precisamente nei pressi di altri impianti destinati
alla produzione ceramica, già rinvenuti in precedenti interventi di tutela
della Soprintendenza.
Calcestruzzo
moderno
Fig. 28 Veduta della fornace
Fig. 29 Interno della fornace, prefurnio
Figg. 30-31 Scarto di fornace
costituito da un gruppo di tegole
fuse per l’elevata temperatura
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Fig. 32 Interno della fornace, tracce
di un arco di sostegno della suola
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Ci riferiamo, in particolare, alle due fornaci, di cui una del tipo a barre, scoperte nel vicino Teatro di Santa
Cecilia (fig. 27, localizzazione dell’impianto) e databili all’età normanna, ed agli scarichi di materiale ceramico e
scarti di fornace rinvenuti, il primo nei pressi dell’Arco dei Cartari, databile alla tarda età islamica, il secondo a
Palazzo Lungarini, di età normanna. Inoltre, distanziatori di fornace – indicatori inequivocabili di attività
produttiva relativa agli oggetti fittili – sono stati rinvenuti anche nella vicina via Vetriera.
Il dato sembra indicare che nello stesso comprensorio artigianale erano concentrati vari impianti dello stesso
tipo; inoltre, il quadro distributivo di queste strutture, sebbene ancora provvisorio e oggetto di uno studio che si
è appena avviato, evidenzia che il maggior numero di impianti relativi alla produzione della ceramica fossero
localizzati nella parte meridionale della città, anche se bisogna considerare la scarsa disponibilità di dati relativi
al settore settentrionale dell’area urbana in età medievale. Più in generale è possibile osservare che la maggior
parte di attestazioni relative ad attività produttive a Palermo nel Medioevo riguarda gli stabilimenti per la
produzione della ceramica, anche se sono testimoniati anche altri tipi di attività quali, per esempio, la
produzione del vetro, la lavorazione dei metalli o della cannamele.
ALEO NERO C. 2016, Attività produttive a Palermo nel Medioevo, in Notiziario Archeologico della
Soprintendenza di Palermo, poster n. 16.
D’ANGELO F. 2012, Un "gectaturi" del XII secolo a Palermo: lo scarico di fornace di Palazzo Lungarini, in
«Archeologia Postmedievale» 16, pp. 35-43.
SPATAFORA F. 2005, Da Panormos a Balarm. Nuove ricerche di archeologia urbana. Palermo, pp. 66-71.
SPATAFORA F., CANZONIERI E., DI LEONARDO L. 2012, Ceramica da mensa nella Palermo di XI secolo: dalla
fornace al butto, in «Archeologia Postmedievale» 16, 23-33.
SPATAFORA F., DI LEONARDO L. 2012, Palermo (Palazzo Trigona): su un lembo di necropoli tardo-ellenistica,
poster in La Città e le città della Sicilia antica, Pisa 18 – 21 dicembre 2012, Atti delle Ottave Giornate
Internazionali di Studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nel contesto mediterraneo.
5)-
Sito: Palermo, Via del Celso, Palazzo Barone Fraccia
Motivazione e periodo ricerca: saggi preventivi, 2016.
Responsabili della ricerca: C. Aleo Nero, E. Canzonieri.
Risultati: nell’area di sedime del palazzo,
distrutto dai bombardamenti dell’ultimo
conflitto e utilizzata negli anni ’50-’60 quale
sede di un’arena all’aperto ed in seguito come
parcheggio, è stato realizzato un ampio saggio
preventivo
per
verificare
l’interesse
archeologico (figg. 33-34). Le indagini hanno
dato risultati estremamente positivi e saranno,
a breve, oggetto di una comunicazione
specifica; infatti, sono stati messi in luce i resti
in fondazione di una grande struttura muraria
molto
probabilmente
ricollegabile
alla
fortificazione della Palermo punica di età
ellenistica, di cui era già stata documentata
l’esistenza a poca distanza da questo
rinvenimento, sia verso Est (Palazzo Trabia in
via Candelai), sia verso Ovest (Palazzo S.
Isidoro).
Nel saggio di scavo, ampio circa m 11 x 11 e
posizionato in prossimità del muro fondale
dell’arena, si è evidenziato che le fondazioni
del palazzo Barone Fraccia, il cui impianto
probabilmente risale ad epoca cinquecentesca,
affondano
direttamente
nei
depositi Fig. 33 Stralcio della carta tecnica, scala 1:500, evidenziata in
rosso l’area del palazzo del barone Fraccia
archeologici, che qui si conservano per uno
spessore di circa 2,50 metri, a partire dalla quota dell’attuale via del Celso (fig. 35).
Oltre agli strati relativi alle fasi edilizie di impianto ed uso connesse al palazzo, sono venuti alla luce i livelli
pertinenti alle fasi medievali e le strutture risalenti all’età ellenistica, insieme ad abbondante quantità di
materiali ceramici. Tali ritrovamenti confermano che ci troviamo in piena area dell’abitato dell’antica
Panormos.
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Alla profondità di circa 2 m è stata riportata in luce una poderosa struttura muraria per un tratto di circa 5 m,
spessa circa 2 m, orientata in senso E-O; l’apparecchiatura dei blocchi è irregolare, con notevoli eccedenze e
rientranze rispetto al filo esterno. La possente struttura, conservata per due filari su un allettamento di scaglie
calcarenitiche a regolarizzare il fondale roccioso, utilizza conci di reimpiego; si ritiene di avere intercettato il
fronte interno della linea settentrionale delle fortificazioni della città punica, mentre, invece, lo spazio limitato
non ci ha consentito di mettere in luce il prospetto esterno nord delle fortificazioni, che rimane probabilmente
sotto il muro fondale dell’arena (fig. 36).
Fig. 34 Ubicazione del saggio 1 e
planimetria generale dello scavo, s.
1:100
Fig. 35 Saggio 1 a inizio scavo
Fig. 36 Saggio 1 a fine scavo
La fortificazione ingloba una più antica costruzione ad essa perpendicolare – cioè con orientamento N-S realizzata con tecnica a telaio, sicuramente pertinente a più antichi edifici dell’abitato punico. Contrariamente a
quanto riscontrato nel tratto di fortificazioni messo in luce nello scavo di Palazzo Trabia in via Candelai, che
costituisce per molti aspetti tecnici un valido riscontro, non si conserva l’elevato a grossi conci, ma soltanto le
fondazioni in blocchi di pezzatura variabile ed apparecchiati molto irregolarmente. Così come già si è potuto
osservare nel caso di Palazzo Trabia, sembra che le mura di fortificazione abbiano obliterato e inglobato edifici
di età ellenistica - che qui si conservano in peggiore stato - utilizzandone anche il materiale da costruzione,
sicché tale evento documenta ancora una volta, sul fronte nord del terrazzo calcarenitico su cui sorgeva la città, il
definitivo mutamento della destinazione d'uso di porzioni dell’abitato in spazi utilizzati per scopi difensivi.
SPATAFORA F. 2012, Rassegna d’archeologia: scavi nel territorio di Palermo (2007-2009), in AMPOLO C. (a cura
di), Sicilia occidentale. Studi, rassegne, ricerche, Atti VII Giornate Internazionali di Studi sull’area elima (12-15
ottobre 2009), II, Pisa, pp. 13-22.
ALEO NERO C. 2012, Reperti ceramici medievali e postmedievali dallo scavo presso le mura urbiche di Via
Candelai a Palermo, in Atti Convegno Internazionale della Ceramica XLIV/2011, Firenze, pp. 299-312.
6-
Sito: Viale dell'Olimpo, Partanna-Mondello. Scoperta di un tratto di Qanat
Motivo: posa della rete dell'Alta Tensione da Tommaso Natale a Pallavicino.
Ditta: TERNA.
Periodo di ricerca: gennaio – giugno 2016.
Responsabili della ricerca: Giuseppina Battaglia,
Giuseppa Maria Scopelliti.
Risultati: durante la sorveglianza archeologica per la
posa della rete dell'Alta Tensione, in viale dell'Olimpo
è stato rinvenuto un breve tratto di un qanat, con
andamento NW/SE, all'altezza della via Panzini, nei
pressi dell'aiuola-spartitraffico (figg. 37-38). La
sommità si trova a una profondità di circa 1 m
dall'attuale piano stradale e l'altezza complessiva
supera i 3 m; all'interno del canale è stata collocata, in
tempi recenti, una conduttura.
Fig. 37 Tratto del qanat individuato durante i lavori per la
posa del cavo dell'alta tensione
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Fig. 38 Planimetria generale dell'area d'intervento TERNA: 1) Porzione necropoli eneolitica di Viale Venere; 2)
Segnalazione di una tomba eneolitica in Via Marte n.2; 3) Tratto di qanat in Viale dell'Olimpo/Panzini
BIANCONE V., TUSA S. 1997, I qanat dell’area centro-settentrionale della Piana di Palermo, in Archeologia e
Territorio, Palermo, pp. 375–389.
GUELI D. 2002, Palermo sotterranea. Per il recupero, la salvaguardia, la conoscenza della città nascosta,
Palermo.
TODARO P. 2002, Guida di Palermo sotterranea, Palermo.
7-
Sito: Viale Venere, Mondello. Tombe a pozzo di età eneolitica
Motivo: posa della rete dell'Alta Tensione da Tommaso Natale a Pallavicino.
Ditta: TERNA.
Periodo di ricerca: gennaio – giugno 2016.
Responsabili della ricerca: Giuseppina Battaglia, Giuseppa Maria Scopelliti, Paola Vaccarello (rilievo).
Sintesi: durante la sorveglianza archeologica per la posa della rete dell'Alta Tensione, in viale Venere, tra i civici
9 e 11, sono state rinvenute tre tombe a cella ipogeica precedute da pozzetto (T.1, T.2 e T.3), scavate nella roccia
tenera, sabbiosa, bianca, molto friabile (fig. 39).
Lo scavo si è effettuato all'interno della trincea larga circa 1,5 m realizzata per la posa dei cavi (fig. 40). Le celle
presentano pianta sub-circolare del diametro compreso fra 1,5 e 2 m, altezza di circa 1 m e si attestano a circa –
1,70 m dal piano stradale. Si tratta certamente di deposizioni multiple i cui resti si sono rinvenuti in un pessimo
stato di conservazione e dei quali sono in corso le analisi radiocarboniche e osteologiche.
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Fig. 39 Planimetria con la localizzazione delle tombe rinvenute
15
Fig. 40 Trincea con la cella della tomba 1
sulla sinistra
Nel 1970, in via Marte 2, a meno
di cento metri in linea d'aria dal
ritrovamento
attuale,
venne
individuata una tomba analoga a
queste tre. In base alla tipologia
delle strutture funerarie e dei
corredi in esse rinvenuti, si
ipotizza
l'esistenza
di
una
necropoli databile all'Eneolitico
Antico
che
occupa
un'area
abbastanza estesa (fig. 41).
Tomba 1 con pozzetto d'accesso
verticale a SW della cella che era
stata tagliata da un precedente
scavo per la posa di una condotta
Fig. 41 Planimetria dell'area del rinvenimento: 1) tombe indagate; 2) tomba
elettrica (fig. 42).
segnalata
Il corredo – collocato a SE ed
attribuibile alla facies di San
Cono-Piano Notaro – è costituito
da un'olletta a corpo ovoidale
integra, un'olla a corpo globulare e
orlo svasato, lacunosa, due olle (?)
con orlo svasato di cui si
conservano solo alcuni frammenti,
una
scodella
tronco-conica
lacunosa, una tazza con ansa a
nastro insellata integra (fig. 43),
una
conchiglia
(arctica
islandica?). Nel pozzetto (fig. 44),
fra il pietrame di riempimento, è
stata rinvenuta, inoltre, una
grossa scheggia in quarzite con
ritocco laterale destro. Si tratta
probabilmente di uno strumento
di scavo (pick), come quelli
rinvenuti in diverse necropoli
coeve nella Sicilia occidentale.
Fig. 42 Tomba 1: rilievo sezione e pianta (rilievo di Paola Vaccarello)
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Diversamente dalla tomba
1, per le tombe 2 e 3 manca
parte dei pozzetti d'accesso
a causa dell'apertura della
trincea, mentre le celle
erano integre al momento
della scoperta.
Tomba 2 con pozzetto
d'accesso verticale a NE
della cella, tangente a
quello della T.3. Il corredo
– collocato a SE ed Fig. 43 Tomba 1: elementi del corredo
attribuibile alla facies di funerario in corso di scavo
San Cono-Piano Notaro –
è costituito da una tazza
carenata con decorazione
excisa riempita di ocra
rossa e priva dell'ansa, una
tazza a corpo ovoidale
priva dell'ansa, un'olla
globulare
con
orlo
leggermente svasato, integra.
Completavano il corredo Fig. 45 Tomba 2: elementi del corredo Fig. 44 Tomba 1: apertura del pozzetto verso
la cella
diverse conchiglie e una funerario in corso di scavo
lastra litica utilizzata probabilmente
come poggiatesta, con evidenti tracce di
ocra rossa (fig. 45). Alcune ossa lunghe
si trovavano collocate a NW – nei pressi
dell'imboccatura della cella – e
presentano anch'esse evidenti tracce di
ocra rossa.
Tomba 3 con pozzetto d'accesso a piano
inclinato a W della cella, tangente a
quello della T.2 e chiuso da due lastre
litiche, poste di taglio, una alla sommità
e l'altra alla base. Il corredo – collocato
a W, davanti all'imboccatura della cella
ed attribuibile alla facies di San ConoPiano Notaro – è costituito da due olle
globulari con orlo leggermente svasato,
integre (fig. 46).
Qui si è riscontrato il peggiore stato di
conservazione dei resti umani; infatti,
di una deposizione in giacitura supina
vi era solo un'impronta di “polvere”
Fig. 46 Tomba 3: elementi del corredo funerario in corso di scavo
d'ossa e due ossa lunghe, collocate nei
pressi dell'ingresso a S, fra l'impronta
dello scheletro e la parete.
Un'altra caratteristica di questa cella è la presenza di una banchina ricavata lungo la parete verso N.
In questa zona, oltre alla già ricordata tomba di Via Marte 2, si conoscono la necropoli e il villaggio di Valdesi –
che si trovano nella fascia pedemontana fra il Viale Regina Margherita e Monte Pellegrino, al limite del Parco
della Favorita – e il villaggio del Giusino sempre all'interno della Favorita.
DI STEFANO C.A. 1991, Una tomba dell'età del rame alle falde occidentali del Monte Pellegrino, in Panormus III
pp. 135-152.
MANNINO G. 2008, Guida alla preistoria del Palermitano, Palermo.
TUSA S. 1999, La Sicilia nella preistoria, Palermo.
(**),
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8-
17
Proposta per il redigendo PRG della città di Palermo delle aree d'interesse archeologico
Periodo: 2016.
Referente: Giuseppina Battaglia – Paola Vaccarello.
Risultati: nell'elaborare la proposta per la tutela delle zone archeologiche presenti nel territorio comunale da
inserire nel redigendo P.R.G. di Palermo, si è effettuato un lavoro di ricerca e di analisi relativo all'archeologia
dei paesaggi: dalla toponomastica ai documenti d'archivio, dalla cartografia antica all'iconografia. Grazie a
questa lettura incrociata dei dati e alla opportunità offerta dalla realizzazione di alcuni lavori pubblici, si sono
effettuati scavi archeologici d'emergenza che hanno contribuito ad aggiungere alcuni tasselli alla conoscenza
della città antica e del suo suburbio. Così, in diversi casi, si sono ampliate le perimetrazioni delle aree già
tutelate ma, soprattutto, è stato possibile inserire nuove aree d'interesse archeologico.
A – Attuale piano regolatore con le aree d'interesse archeologico
B – Proposta per il nuovo piano regolatore con le aree d'interesse archeologico
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18
AA.VV. 2011, Bozza di manifesto per la società dei territorialisti/e.
CHIRCO A. 2006, Palermo la città ritrovata. Itinerari fuori le mura dalla Conca d’Oro ai Colli a Mondello,
Palermo.
Comune di Palermo, Relazione Generale «Palermo città di città» - Variante generale P.R.G., Palermo
Novembre 1994.
DE SETA C., DI MAURO L. 1981, La città nella storia d’Italia. Palermo, Roma-Bari.
DI STEFANO C.A., MANNINO G. 1983, Carta archeologica della Sicilia. Carta d'Italia F. 249, Palermo.
LO PICCOLO F. 1995, In rure sacra. Le chiese rurali dell’ agro palermitano dall’indagine di Antonino Mongitore
ai giorni nostri, Palermo.
MAURICI F. 2015, Palermo araba. Una sintesi dell’evoluzione urbanistica, Palermo.
SPATAFORA F. 2004, Palermo, la città punico-romana. Guida breve, Palermo.
TAMBURELLO I. 1998, Rinvenimenti e storia degli scavi, in Palermo punica, Palermo, pp. 107–118.
9-
Sito: Altavilla Milicia, Chiesa di Santa Maria di Campogrosso (San Michele del Golfo)
Motivazione e periodo ricerca: campagna di scavi archeologici in convenzione tra la Soprintendenza di
Palermo, l'Istituto di Archeologia ed Etnologia di Wroclaw e l'Istituto di Archeologia ed Etnologia di Varsavia,
anno 2016.
Responsabili della ricerca: Slawomir Mozdzioch e Tadeusz Baranowski.
Referenti per la Soprintendenza: Valeria Brunazzi, Monica Chiovaro, Stefano Vassallo.
Risultati: nell’anno 2016 lo staff del Centro Ricerche sulla Cultura della Tarda Antichità e dell’Alto Medioevo
dell'Istituto di Archeologia ed Etnologia dell’Accademia Polacca di Scienze ha continuato le operazioni di scavo
ad Altavilla Milicia - in convenzione con la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Palermo - nella
chiesa di San Michele del Golfo (figg. 47-50).
Fig. 47 Veduta verso Ovest dal sito della chiesa di San Michele del Golfo
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Fig. 48 Foto aerea con indicazione dell’area della chiesa
Fig. 49 Foto aerea della chiesa vista da Sud-Est
Fig. 50 Resti della facciata della chiesa di S. Michele del Golfo
L’obiettivo della ricerca era chiarire il momento di fondazione e di abbandono sia della chiesa, sia del
monastero, citato dalle fonti e del quale non è stata scoperta ancora l’ubicazione. Secondo i documenti, la
fondazione del monastero avvenne nella seconda metà dell’XI secolo, ad opera o del Conte Ruggero (poco prima
del 1072, anno della conquista di Palermo) o di Roberto il Guiscardo. Negli anni successivi l’abazia ampliò il
proprio territorio di influenza, fino dell’inevitabile conflitto - tra 1172 e il 1174 - con i terreni del confinante
monastero di Santa Maria di Ammirato (dell’Ammiraglio). Nella seconda metà del XIII secolo, sotto il dominio
degli Angioini, cominciò un periodo di declino del monastero e nell’anno dei Vespri Siciliani (1282) tutta la zona
del fiume San Michele fu saccheggiata. In un documento del 1285 è citato per l’ultima volta l’abate di
Campogrosso. Dopo secoli di silenzio, nel XVI sec. la chiesa - indicata ora come San Michele del Golfo – è
ricordata come un luogo abbandonato, frequentato da briganti che si nascondevano tra le rovine dell’edificio;
per questo motivo ne fu decisa la sconsacrazione e la distruzione.
Gli interventi di scavo del 2016 si sono realizzati sia all’esterno della chiesa, lungo il muro sud (figg. 51a-b), sia
all’interno, nei pressi del presbiterio e del transetto. Lo scavo all’esterno ha consentito di mettere in luce parte di
un’area cimiteriale nella quale sono stati rinvenuti 17 inumati, orientati in senso est/ovest e senza alcun tipo di
corredo (figg. 52a-b).
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Fig. 51a Il muro sud della chiesa
Fig. 52a Parte orientale dell’area cimiteriale rinvenuta
Fig. 51b Ortofotopiano dell’area di scavo lungo il muro sud
della chiesa
Fig. 52b saggio 1, tomba 1 (disegno di E. Guminska)
L’esame antropologico ha rivelato che si tratta di 7 tombe maschili, 4 femminili e 6 di bambini. In particolare,
notevole è la monumentale tomba n. 4, costituita da blocchi litici (figg. 53a-b), e la n. 8, che presenta una
sistemazione in pietra all’altezza della testa del defunto. Quest’ultima sepoltura è stata riusata più volte, come
testimonia la presenza di alcuni resti ossei che non sono pertinenti all’inumato in connessione. Per quanto
riguarda la cronologia, le tombe sono certamente successive alla costruzione della chiesa, alla cui struttura si
appoggiano; inoltre, in una delle sepolture infantili, sono state rinvenute due monete: si tratta di un denaro
cosiddetto enriciano, coniato nella zecca di Lucca, e di un altro coniato da Thibaud II, reggente di Champagne.
Questo tipo di emissioni giunsero in Sicilia probabilmente nella seconda metà del XII secolo, a seguito degli
spostamenti dei pellegrini che si recavano in Terra Santa; inoltre, la cronologia sembra confermata dalla
datazione C14 di un’altra delle sepolture infantili. E’ stato rinvenuto anche un interessante frammento di stele
funeraria con iscrizione in caratteri cufici, che riporta un frammento di sura del Corano (9:33) (fig. 54).
Fig. 53a La tomba 4 al momento dello scavo
Fig. 53b Ortofoto della tomba 4
Fig. 54 Fr. di stele funeraria con
iscrizione in caratteri cufici
La costruzione di una chiesa di queste dimensioni in un’area rurale può essere interpretata come volontà di
dimostrare la potenza dei nuovi governanti cristiani, oltre che di controllare il percorso che univa l’Est con
l’Ovest dell’isola. L’edificio era costituito da un’unica navata e tre absidi poste sul lato orientale del transetto (fig.
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55); le fondazioni della navata e del transetto poggiano direttamente sulla roccia. Sui blocchi della costruzione si
trovano segni dei lapicidi; ne sono stati identificati almeno un centinaio, alcuni simili a quelli usati nella
costruzione del duomo di Cefalù o del Castello di Maredolce di Palermo. L’analisi delle incisioni conferma che
l’edificio presenta una fase costruttiva unitaria, senza ripensamenti in corso d’opera. Per quanto riguarda la
planimetria, chiese simili sono presenti nell’Italia meridionale, ma anche nell’Europa occidentale. Le indagini
condotte con metodi non invasivi (elettroresistenza, georadar, magnetometria) (fig. 56a) del terreno circostante
l’edificio hanno confermato la presenza di strutture regolari sia a Ovest, sia a Sud della chiesa (fig. 56b), dove
potrebbero trovarsi i resti del monastero relativo all’edificio e dove si spera possano riprendere le ricerche.
Fig. 55 Pianta delle strutture della Fig. 56a Momento della realizzazione delle
chiesa e fotopiano della facciata indagini condotte con metodo non invasivo
esterna della parete sud
Fig. 56b Rilievo dei risultati delle indagini realizzate con metodo non
invasivo
GUIOTTO M. 1955, La chiesa di S. Michele in territorio di Altavilla Milicia, in Atti del VII Congresso Nazionale di
Storia dell’Architettura, Palermo.
MOŹDZIOCH S., BARANOWSKI T., STANISŁAWSKI B. 2017, Rapporto preliminare della I campagna di scavi
archeologici condotti nel sito della Chiesa di Santa Maria di Campogrosso (San Michele del Golfo) – Altavilla
Milicia-PA, Notiziario Archeologico Soprintendenza Palermo, n. 19, pp. 1-13.
ZORIČ V. 1989, Alcuni risultati di una ricerca nella Sicilia Normanna: i marchi dei lapicidi quale mezzo per la
datazione dei monumenti e la ricostruzione dei loro cantieri, in Actes du VIe Colloque International de
Glyptographie de Samoens, Braine-Le-Château, pp. 567-649.
10-
Sito: Castronovo di Sicilia - Monte Kassar, Casale San Pietro, Colle San Vitale
Motivazione e periodo ricerca: campagna di scavi archeologici in convenzione tra la Soprintendenza BB.CC.AA.
di Palermo, l’Università di Roma “Tor Vergata” e l’Università di York - progetto di ricerca “Sicily in Transition”,
settembre 2016.
Responsabili della ricerca: Alessandra Molinari, Martin Carver.
Referenti per la Soprintendenza: Monica Chiovaro, Stefano Vassallo.
Risultati: durante la terza campagna del progetto internazionale SICTRANSIT sul Monte Kassar (figg. 57a-b) è
stata scavata l’area della cosiddetta “casermetta” (fig. 58), già in parte nota grazie a indagini realizzate nel secolo
scorso; le ricerche hanno permesso di ricostruire le vicende edilizie dell’edificio, che era situato in un’area non
occupata da strutture precedenti. I pochi manufatti ceramici rinvenuti fanno datare gli strati di abbandono delle
strutture all’età altomedievale ed è interessante la compresenza, nei crolli delle coperture, di coppi striati
insieme a tegole vacuolate, striate o prive di decorazione.
Fig. 57a Localizzazione del Kassar di Castronovo
Fig. 57b Rilievo delle fortificazioni del Kassar
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Per
quanto
riguarda
l’interpretazione,
l’edificio
probabilmente costituiva l’alloggio di una guarnigione, vista
la sua vicinanza a una delle porte che si aprono nella
possente cortina muraria del Kassar (fig. 59). Un altro
intervento ha interessato l’area del casale San Pietro (fig.
60), dove è stato aperto un saggio nel quale si è messa in luce
una interessante sequenza stratigrafica che si sviluppava,
senza soluzione di continuità, dall’età tardoantica fino al XII
secolo, quando l’area fu destinata all’uso agricolo. Gli strati
più antichi erano associati a una struttura muraria che già
tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo fu inglobata nella
costruzione di nuovi edifici. Tra il X e XI secolo il complesso
fu ampiamente rimaneggiato, mentre l’intera area venne
definitivamente abbandonata alla fine del XII secolo (figg.
61a, b). La ceramica rinvenuta, principalmente anfore e
catini invetriati, è costituita soprattutto da produzioni
palermitane sia per quanto riguarda l’età islamica, sia
relativamente ai livelli normanni. Inoltre, sono stati
rinvenuti due anelli di epoca bizantina in lega di rame (uno
con castone ovale decorato con un uccello e l’altro con un
motivo a occhi di dado) e due monete di età normanna
(mezzo follaro di Guglielmo I e un follaro di Guglielmo II).
Relativamente ai risultati archeozoologici, anche se
preliminari, è interessante l’attestazione – per l’età islamica
– di un’alta percentuale di suini, oltre che di caprini.
Indagini sono state realizzate anche nel centro storico di
Castronovo (di cui è stato mappato l’intero patrimonio
edilizio) e alle pendici del Colle San Vitale; sono stati
individuati alcuni fabbricati di notevole interesse ed è stato
possibile definire il nucleo originario del centro urbano. Lo
studio ha mostrato anche l’esistenza di un sistema di
gestione delle acque integrato tra l’antica area urbanizzata e
la vallata destinata allo sfruttamento agricolo.
22
Fig. 58 Area della cosiddetta “Casermetta”
Fig. 59 Particolare di un tratto della cortina
muraria del Kassar
Fig. 60 Il Casale San Pietro
Figg. 61a-b L’area di scavo nei pressi del Casale San Pietro
CARVER M., MOLINARI A. 2015, Sicily in Transition Research Project. Investigations at Castronovo di Sicilia.
Results and Prospects, in The Journal of Fasti Online 2016 (www.fastionline.org).
CARVER M., MOLINARI A. et alii 2017, Ricerche 2016 a Castronovo di Sicilia. Sicily in Transition (Progetto E R C
advanced grant 2016-693600), in Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo n. 23.
VASSALLO S. et alii 2015, La fortificazione bizantina del Kassar. Relazione di scavo 2005, Palermo.
VASSALLO S. et alii 2016, Attività 2015 della Sezione per i Beni Archeologici della Soprintendenza di Palermo, in
Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo n.9, pp. 26-27.
VILLA A. 1997, Indagini archeologiche e ricognizioni nel territorio di Castronovo di Sicilia, in Atti delle II
giornate internazionali di studi sull'area Elima (Gibellina, 22-26 ottobre 1994), III, Pisa, pp. 1385-1397.
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Sito: Roccapalumba, località Le Rocche. Recupero di ceramica neolitica e eneolitica
Motivazione e periodo ricerca: consegna alla Soprintendenza di materiale archeologico.
Responsabili della ricerca: Monica Chiovaro, Stefano Vassallo, Filippo Iannì.
Risultati: il sito de Le Rocche è posto
in una felice posizione collinare che
controlla le fertili aree vallive lungo il
corso del fiume Torto; l’area, occupata
da uno dei pochi insediamenti del
Neolitico finora attestati nel territorio
del Palermitano e, in seguito, da un
villaggio di età medievale, è nota solo
attraverso informazioni frammentarie
che provengono da notizie relative a
ritrovamenti sporadici e a una
campagna di scavo realizzata nel
secolo scorso. La segnalazione del sito
è avvenuta nel 1980 a causa
dell’apertura di una cava di calcare
(fig.
62)
sul
piccolo
rilievo
denominato Le Rocche (m 411), a un
chilometro
dal
paese
di
Roccapalumba; in questa occasione
sono stati recuperati numerosi
frammenti ceramici a decorazione Fig. 62 La cava in località Le Rocche
impressa o dipinta, risalenti all’età
preistorica.
Fig. 63 Frammenti di ceramica impressa e incisa con superfici
nerastre
Al rinvenimento è seguito uno scavo archeologico,
realizzato dalla Soprintendenza di Palermo, che ha messo
in luce un abbondante deposito di età preistorica,
contenuto in una fenditura naturale del terreno roccioso. Si
tratta di frammenti appartenenti al neolitico antico (facies
di Stentinello) e medio (ceramica bicromica e tricromica),
oltre a numerosissimi strumenti litici (di ossidiana e - in
quantità minore - di selce) e in osso, adesso in deposito al
Museo Archeologico “A. Salinas” di Palermo.
Nel 2016 è stato consegnato alla Soprintendenza materiale
archeologico della stessa tipologia e cronologia dei reperti
già noti, recuperati dallo stesso contesto delle Rocche. Si
tratta di un esiguo numero di frammenti di ceramica
impressa con superfici nerastre ben lisciate e lucidate, su
cui la composizione degli ornati – realizzati nell’argilla
Fig. 64a Frammenti di ceramica bicromica e
tricromica
Fig. 64b Frammenti
tricromica
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di
ceramica
bicromica
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e
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prima della cottura - è molto equilibrata (fig. 63); molto
numerosi sono, inoltre, i frammenti di ceramica figulina,
con decorazione bicromica e tricromica, dipinta a bande o a
fiamme rosse (realizzate in ossido di ferro) marginate in
nero (ottenuto con ossido di manganese o grafite) su un
fondo color crema o arancio; la presenza di bande e
fiamme rosse spesso bordate di nero la differenzia da
quella rinvenuta al Castellaro vecchio di Lipari e nei
villaggi materani. Trova confronti più puntuali, invece, con
la ceramica rinvenuta a Lipari Castello e con quella
proveniente dalla grotta delle Felci a Capri (figg. 64a-b).
Pochi i frammenti di ceramica dello stile di Diana. Sono
anche presenti alcuni frammenti decorati con piccole
bugne o di impasto bruno-nerastro ornato con sottili
incisioni che ad una prima analisi sembrano rientrare in
una classe attestata al Castello di Lipari, dal caratteristico
impasto scuro, molto levigato e lucido, quasi sempre non
Fig. 65 Strumenti in ossidiana
decorata, ma a volte con decorazione graffita.
Abbiamo, inoltre un pezzo inciso (decorato a “cotto”) e alcuni graffiti a crudo, di un tipo anch’esso presente a
Lipari. Probabilmente il gruppo più consistente dei frammenti rinvenuti è databile a una fase abbastanza
circoscritta del Neolitico medio. Numerosissimi sono gli strumenti, soprattutto lame, in ossidiana verosimilmente proveniente da Lipari - (fig. 65) e in osso, per la maggior parte punteruoli e spatole (figg. 66a,
b). Il nuovo materiale, in corso di studio, conferma ulteriormente l’eccezionalità del sito de Le Rocche, il cui
deposito archeologico - per numero e per qualità di reperti senza precedenti nell’isola - costituirà il nucleo di
un’esposizione museale in corso di allestimento nel Comune di Roccapalumba. Il rinvenimento di questo gruppo
di materiali, in un contesto dell’entroterra siciliano, è una importante novità, soprattutto se pensiamo che
Bernabò Brea ha rilevato che, mentre nelle Eolie fioriva la ceramica dipinta a bande o fiamme rosse dello stile di
Capri, nell’isola maggiore si assisteva a un attardamento della civiltà di Stentinello. Il contesto di Roccapalumba,
invece, per le associazioni delle classi ceramiche presenti, è identico a quello trovato al Castello di Lipari e trova
confronto soprattutto a Stretto-Partanna; pertanto va rimarcata l’importanza dell’ubicazione di questo
insediamento, sulla media valle del Fiume Torto, che pone stimolanti e nuove riflessioni sulle dinamiche
culturali dell’età neolitica, ancora poco note.
Figg. 66a-b Strumenti in osso
FORGIA V. 2002, Nuovi rinvenimenti di età preistorica a Cozzo Rocca del Drago, in BELVEDERE O. et alii (a cura
di), Himera III, 2, Prospezione archeologica nel territorio, Roma, pp. 429-435.
GIARDINA LO BIANCO D. 2007, Roccapalumba, in VASSALLO S. (a cura di), Archeologia nelle vallate del Fiume
Torto e del San Leonardo, Roccapalumba (PA), pp. 99-102.
NATALI E., FORGIA V. 2017, The beginning of the Neolithic in Southern Italy and Sicily, in Quaternary
International xxx, http://dx.doi.org/10.1016/j.qua int.2017.07.004, pp. 1-17.
MANNINO G. 1998, Il Neolitico nel Palermitano e la nuova scoperta nell’isola di Ustica, in Quaderni del Museo
Archeologico Regionale “Antonino Salinas” 4, pp. 45-80.
TUSA S. 1983, La Sicilia nella preistoria, Palermo, p. 186.
TUSA V., L’attività della Soprintendenza archeologica della Sicilia occidentale nel quadriennio maggio 1976 aprile 1980, in Kokalos XXVI-XXVII, p. 828.
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Sito: Termini Imerese, vico Monastero. Scoperta di un nuovo tratto dell’anfiteatro
Motivazione e periodo ricerca: lavori di restauro di immobile privato. Settembre 2016.
Responsabile della ricerca: Monica Chiovaro.
Risultati: il lotto oggetto dell’intervento insiste sulle strutture dell’anfiteatro di Termini Imerese, di cui sono
ancora visibili alcuni elementi e del quale è ben riconoscibile la pianta analizzando il tessuto urbano della città
moderna (figg. 67a-b).
Fig. 67a Ortofoto di Termini Imerese, nel cerchio l’area
dell’anfiteatro, il circuito in rosso indica i limiti probabili
della città antica
Fig. 67b Termini Imerese, intervento di scavo in Vico
Monastero, inquadramento topografico
Lo scavo realizzato ha messo in luce, al di
sotto di un pavimento in scaglie di
cemento, un basolato in lastre disposte in
senso diagonale rispetto al fronte
dell’immobile e databile verosimilmente
all’inizio del secolo scorso. Dismessa
anche questa pavimentazione, è stato
rinvenuto uno strato soffice, spesso quasi
cm 50, costituito da terra, sabbia, ciottoli
fluviali di medie dimensioni e rari
frammenti ceramici (di età moderna). Lo
strato copriva un piano realizzato in
mattoni in cotto quadrati (cm 28x28), in
cattivo stato di conservazione; a meno di
cm 20 al di sotto da questo, al centro
dell’area di intervento, si è rinvenuta una
struttura a doppio paramento, orientata in
senso nord-sud e costituita da grosse
pietre biancastre sbozzate, allettate con
malta cementizia a base di calce, sassolini Fig. 68 Struttura a doppio paramento rinvenuta durante lo scavo
e pochissimi frammenti ceramici, non
diagnostici (fig. 68). Lo spessore misurava
m 1,80 ca., il paramento ovest messo in luce m 2,90 ca., il paramento est m 2,20 ca. Appoggiato al paramento
occidentale è stato rinvenuto anche un tratto di acciottolato. Purtroppo non è stato possibile seguire lo sviluppo
della struttura muraria fino al limite dell’ambiente, per non indebolire le fondazioni della costruzione nella quale
si è realizzato l’intervento; infatti, l’edificio moderno certamente sfrutta la preesistenza archeologica, vista anche
la peculiarità della pianta quasi romboidale dei vani moderni, disposti non in asse tra di loro (fig. 69).
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Il tratto murario rinvenuto è probabilmente un elemento relativo al
settore nord-ovest dell’anfiteatro di Therme, anche se la limitatezza
dell’indagine non consente al momento ulteriori precisazioni;
tuttavia, dal punto di vista costruttivo, è compatibile con le
strutture di età romana ritrovate negli interventi precedenti in
alcuni saggi realizzati da A. Salinas prima e da O. Belvedere poi,
che hanno messo in luce resti del monumento nel piano Barlaci, nel
giardino dell’ex-monastero di S. Marco e all’interno del convento di
S. Chiara. L’edificio – il più piccolo dei tre soli anfiteatri della
Sicilia - era stato costruito alla fine del I secolo d.C., forse in
un’area non intensamente abitata; ricordato da Edrisi, l’anfiteatro
era già in rovina nel XVI secolo. Il nuovo tratto murario rinvenuto
– prossimo al Piano Barlaci – offre un piccolo ma significativo
tassello utile alla ricostruzione della pianta della struttura
monumentale.
Fig. 69 Posizionamento della struttura rinvenuta all’interno degli
ambienti moderni; da notare la peculiare pianta degli stessi
BELVEDERE O. 1982, L’anfiteatro di Termini Imerese riscoperto, in GUALANDI M.L., MASSEI L., SETTIS S. (a cura
di), APARCHAI, Studi sulla Magna Grecia e la Sicilia antica in onore di P. E. Arias, Pisa, II, pp. 647-660.
BELVEDERE O. et alii 1993, Termini Imerese. Ricerche di topografia e di archeologia urbana, Palermo.
BUSCEMI F. 2007, Architettura e romanizzazione nella Sicilia di età imperiale: gli anfiteatri, in Archivio Storico
Siracusano s. III, XXI, pp. 7-53.
13-
Sito: Termini Imerese, area ampliamento cimitero
Motivazione e periodo ricerca: Projet Financing per la realizzazione dell’allargamento del cimitero – saggi
preventivi in area di interesse archeologico. Novembre-Dicembre 2016.
Responsabili della ricerca: Monica Chiovaro, Emanuele Canzonieri.
Risultati: i saggi archeologici sono stati localizzati nell’area immediatamente a Sud dell’attuale cimitero di
Termini Imerese (fig. 70) e precisamente nel piazzale che precede l’ingresso e nella grande area del parcheggio
sottostante. In totale sono stati realizzati dieci ampi sondaggi, di cui solo due positivi; il primo è prossimo alla
via Molinelli, lungo la quale si vedono tuttora – in sezione – strutture murarie e piani in cocciopesto tranciati
per la realizzazione del percorso moderno. Nel saggio sono state rinvenute, a m 0,90 ca. dall’attuale piano di
campagna, due strutture murarie formanti un angolo retto, spesse cm 60 ca. e realizzate con pietre sbozzate,
legate con malta biancastra. Il secondo saggio ha consentito di mettere meglio in luce una poderosa struttura già
parzialmente a vista. Il sondaggio è stato realizzato al di sotto del piazzale del parcheggio moderno, nei pressi
del suo angolo sud-ovest (fig. 71); qui si è rinvenuta una struttura quadrangolare costituita da lastrine litiche e
ciottoli fluviali legati con una tenace malta biancastra (fig. 72). Il muro N-S della costruzione si conserva per una
lunghezza di m 11,40, mentre i limiti settentrionale e meridionale della struttura si individuano per una
lunghezza massima rispettivamente di m 3,20 per la parte nord (che non si è ulteriormente indagata a causa
della presenza del massiccio interramento) e m 6,50 per la parte sud (fig. 73), interrotta dalla costruzione di
strutture moderne.
Fig. 70 Ortofoto di Termini Imerese con indicazione
dell’area del cimitero, il circuito in rosso indica i limiti
probabili della città antica
Fig. 71 Foto aerea dell’area del parcheggio del
cimitero, sulla sinistra l’area del secondo sondaggio
positivo
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Fig. 72 I resti della struttura quadrangolare rinvenuta
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Fig. 73 L’angolo sud-ovest della struttura
Gli spigoli dell’edificio sono realizzati con elementi di maggiori dimensioni rispetto a quelli utilizzati per il
paramento esterno; la struttura si conserva per alcuni filari, per un’altezza massima di cm 50 ca. e uno spessore
di cm 95 ca. sul lato ovest, cm 85-90 sui lati nord e sud; all’interno dell’ambiente si trova - a m 2 80-85 ca.
dall’angolo S-O – un tramezzo interno spesso cm 80-85, che si è indagato per un breve tratto e solo
relativamente al filare superiore superstite, per via del notevole interramento che non ha consentito di definirne
con maggiore certezza la lunghezza. Nei pressi dell’angolo nord-ovest della struttura, al suo esterno, è stato
rinvenuto il lembo di una sorta di piano orizzontale in malta, forse interpretabile come originario piano di
calpestio. Anche se l’edificio è stato indagato solo superficialmente, a causa della limitatezza dei tempi e dei
mezzi messi a disposizione dalla Committenza, tuttavia è evidente che deve trattarsi di una struttura
significativa, situata in una posizione rilevata, prossima a una delle principali vie di accesso alla città e all’area
della necropoli monumentale di Therme.
BELVEDERE O. et alii 1993, Termini Imerese. Ricerche di topografia e di archeologia urbana, Palermo, pp. 1719.
CHIOVARO M., RONDINELLA M.T. 2017, Nuove scoperte nelle necropoli di Termini Imerese: tombe monumentali
e basilica cimiteriale, in Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo, n. 22.
14-
Sito: Vicari, castello e chiesa di Santa Maria di Boikos
Motivazione e periodo ricerca: completamento del restauro del Castello, sistemazione dell'area, realizzazione di
attrezzature polifunzionali e servizi aggiuntivi, lavori realizzati dal Comune nell’ambito del PO FESR Sicilia 2007-2013. Gennaio-Dicembre 2016.
Responsabili della ricerca: Stefano Vassallo, Emanuele Canzonieri, Monica Chiovaro.
Risultati: i lavori dell’intervento di
restauro, iniziato già l’anno precedente, sono stati realizzati contemporaneamente all'indagine archeologica
e hanno messo in luce nuovi particolari aspetti del castello (figg. 74a-b),
tra cui uno stretto percorso lastricato
che metteva in comunicazione l'area
interna con la torre centrale, sul cui
fianco orientale si trova la cosiddetta
“Porta Fausa”. Il nome deriva da un
percorso nascosto (invisibile da
fondovalle) che dalla torre stessa
conduce alla base dello sperone
roccioso sul quale sorge il castello.
Lo scavo dell'area nord del complesso
ha interessato tutta la zona antistante Fig. 74a Veduta del Castello di Vicari
le tre torri della fortificazione e ha
anche riportato in luce un grande vano a pianta rettangolare (mt 9 x mt 20 circa), bipartito e pavimentato con
mattoni di terracotta (fig. 75). Questo ambiente presenta due accessi sui lati brevi e, lungo le pareti, raddoppi
murari probabilmente realizzati per necessità di consolidamento. Tutte le strutture della parte superiore del
castello sono fondate, infatti, su un piano di roccia fortemente in pendenza verso Ovest. Per quanto riguarda la
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torre occidentale (figg. 76a, b), lo scavo ha evidenziato che al momento della sua realizzazione (nella prima metà
del XIV secolo), la costruzione si addossò a un muro di cinta preesistente (fig. 77), obliterando una monofora.
Fig. 74b Veduta dei resti del Castello di Vicari
Fig. 75 La zona antistante le torri e il vano rettangolare
Fig. 76a Veduta della torre occidentale
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Fig. 76b Veduta della torre occidentale prima dello scavo
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Fig. 77 La torre occidentale vista dall’alto; in basso si nota
lo spessore del muro di cinta a cui si è addossata
Come già verificato nelle campagne di scavo precedenti, quindi, anche nel settore più elevato del castello la fase
di vita trecentesca coincide con un allargamento della cerchia muraria più antica. La torre era costituita da due
vani collegati mediante un arco a sesto acuto – oggi in parte crollato – (fig. 78a) e presentava un pavimento
lastricato (fig. 78b); probabilmente, come nelle altre due torri poste sul lato settentrionale della fortezza, la
risega interna coincidente con il colmo dell'arco indica che esso reggeva un piano superiore. La torre era
organizzata in tre piani che avevano funzioni differenti: il livello inferiore, che per motivi di sicurezza non è stato
possibile esplorare, era utilizzato come riserva idrica o di derrate e vi si accedeva da una stretta botola quadrata;
il livello intermedio era destinato alla residenza dei serventes ed era munito di latrina, mentre il livello superiore
era adibito al controllo e alla difesa.
Fig. 78a Vano intermedio della torre occidentale;
l’arco a sesto acuto in parte crollato
Fig. 78b Pavimento lastricato del vano intermedio della torre
occidentale
Ai piedi del castello si è concentrato l’altro intervento di scavo, all’interno della chiesa di Santa Maria di Boikòs,
posta lungo il principale accesso alla rocca fortificata; l’esplorazione era iniziata da un piano di campagna molto
elevato rispetto alla sedimentazione archeologica (fig. 79a). La rimozione dello spesso strato formato da
accumuli recenti, principalmente originato da crolli, ha messo in luce i limiti di una chiesa databile alla
metà/fine del XVIII secolo, formata da un'unica navata culminante in un altare principale; inoltre, al centro dei
lati lunghi si trovavano due altari minori (fig. 79b).
Questa configurazione moderna, di cui restano a vista frustuli di decorazioni a stucco, si sovrappone a strutture
murarie relative ad una chiesa trecentesca e ai resti di un impianto a tre navate databile probabilmente
successivamente alla prima metà dell’XI secolo. Inoltre, lo scavo ha consentito di mettere in luce, nella parte più
prossima all’ingresso e immediatamente al di sotto dello strato di preparazione del pavimento moderno in cotto,
un altro livello pavimentale realizzato con pietrame irregolarmente sbozzato (fig. 79c), databile alla prima metà
del XIV secolo. Il piano sigillava, a sua volta, numerose sepolture (fig. 80) con inumati ornati da oggetti preziosi.
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Fig. 79a L’area della Chiesa di Santa Maria di Boikòs
all’inizio dello scavo
Fig. 79b Interno della Chiesa di Santa Maria di Boikòs
nella sua fase più recente
Fig. 79c Livello pavimentale medievale
Fig. 80 Le sepolture al di sotto dei livelli pavimentali
Fig. 81a Tomba di giovane donna
Infatti, al centro della navata, all’inizio della seconda
arcata, è stata rinvenuta – in una fossa terragna - la
tomba di una giovane donna, ornata da un copricapo
costituito da un’intelaiatura in fascette di bronzo e
una cuffia realizzata con fili dorati, decorata con Fig. 81b Tomba femminile con ricco corredo
elementi in pietre dure (fig. 81a).
Al di sotto di questa, si trovava un’altra inumazione femminile (fig. 81b); al centro del torace presentava una
fibbia, ornata da un motivo ad onda, e vicina a questa, sul lato destro, una scatolina quadrangolare di ferro
(forse un piccolo reliquiario?).
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Nelle mani la donna aveva quattro
anelli, due d’oro e due d’argento; il
primo anello aureo (figg. 82a-c) aveva
un castone sopraelevato costituito da
una fascetta, sulla quale da un lato
erano raffigurate tre spighe, chiusa ai
lati da due valve – di cui una perduta ornate da un motivo a reticolo;
sull’anello, ai lati del castone, si trovava
da una parte la rappresentazione
dell’Agnus Dei, dall’altra quella di due
leoni rampanti in lotta.
Il secondo anello aureo aveva anch’esso
un castone molto soprelevato (figg. 83ac) che doveva essere ornato da una
Figg. 82a-c L’anello aureo Agnus Dei e particolari delle incisioni
pietra, oggi perduta; sulla fascia erano
cesellate alcune iscrizioni separate da
lettere di maggiori dimensioni e
racchiuse all’interno di un ovale. Anche
uno degli anelli d’argento aveva un
castone molto sopraelevato e conteneva
una gemma adesso molto degradata; la
fascia dell’anello era, invece, decorata
con un motivo geometrico a spina di
pesce reso a incisione. Attorno alla
tomba si trovavano altre sepolture di
Figg. 83a-c Il secondo anello aureo
rango, con inumati che avevano alle
e particolari delle lettere iscritte
dita altri anelli d’argento; al di sotto di
questo livello, è stato rinvenuto uno
strato di sepolture più antiche.
Si trattava di inumazioni più povere, ma deposte in
fosse rivestite da lastre litiche (fig. 84). Si è poi
anche intervenuti nell’area della navata destra della
chiesa; l’edificio, infatti, aveva originariamente tre
navate (fig. 85), come si poteva evincere dalla traccia
sulle pareti di archi in seguito murati (fig. 79a). Lo
scavo ha messo in luce la piccola abside della navata
laterale (fig. 86) e anche un lembo del suo pavimento
in terra battuta, databile – grazie a un sondaggio
realizzato – probabilmente dopo la metà dell’XI
secolo e sopraelevato rispetto al livello attuale del
piano pavimentale della chiesa. E’ stato anche
rinvenuta la fondazione del muro esterno dalla
navata, costituito – come per le altre murature - da
Fig. 84 Sepoltura a lastre litiche del secondo livello di
lastrine di calcarenite bianco-grigiastra, chiaramente
inumazioni
cavata sul posto. Questo muro laterale doveva
sfruttare in qualche modo il banco roccioso
affiorante, come si evince dalla superficie rocciosa a
contatto con il paramento sud del muro, in alcuni
punti rozzamente regolarizzata. La struttura muraria
si lega ad angolo retto con un altro muro,
perpendicolare alla parete laterale destra della
chiesa moderna. Quest’ultima struttura sembra
possa essere la chiusura a Ovest della prima fase
costruttiva della chiesa, evidentemente meno
sviluppata – rispetto al fabbricato trecentesco – in
senso longitudinale (fig. 85) e dotata all'esterno di
un pavimento di mattoni quadrati in cotto.
Fig. 85 Pianta schematica della strutture rinvenute della
Chiesa di Santa Maria di Boikòs
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La chiesa della prima fase aveva quindi una ripartizione a tre navate (quella centrale larga circa due volte quelle
laterali) messe in comunicazione da arcate sopra le quali si trovano due finestre che indicano che le navate
laterali avevano coperture più basse rispetto alle falde centrali. Inoltre, all’esterno delle absidi, nella terra che si
appoggia a queste, sono state rinvenute altre sepolture, probabilmente databili successivamente alla metà
dell’XI secolo (figg. 87a-b).
Fig. 86 Particolare dell’abside della navata laterale
Fig. 87a Area esterna della navata laterale
Fig. 87b Particolare di una delle sepolture situate nell’area
esterna della navata laterale
Alla luce dei rinvenimenti si può supporre che l’edificio presenti varie fasi: la prima costituita da una chiesa a tre
navate, di proporzioni ridotte, in cui il rapporto tra larghezza e lunghezza è quasi 1:1; questa fase probabilmente
si può datare dopo la prima metà dell’XI secolo, quando le fonti attestano una sosta del Gran Conte Ruggero a
Vicari nella sua avanzata di conquista e una donazione al monastero annesso alla chiesa di S. Maria di Boikòs. In
seguito, forse per ragioni statiche, fu eliminata la navata laterale destra e murati gli archi di collegamento;
probabilmente in questo periodo furono deposte le ricche sepolture rinvenute nella navata centrale della chiesa.
Forse queste trasformazioni si possono datare tra l’ultimo decennio del XIII e i primi anni del XIV secolo; si
tratta dello stesso periodo in cui il soprastante castello fu ampliato, quando il bene – che fino a quel momento
era stato demaniale – fu infeudato. Tra i vari passaggi da una famiglia nobile all’altra, la terra e il castello furono
concessi anche all’importante casato dei Chiaramonte. In seguito la chiesa fu riconfigurata così come ci appariva
all’inizio dello scavo e furono realizzati i due altari laterali che restrinsero ulteriormente gli spazi dell’edificio
(fig. 79b).
CANZONIERI E. 2007, Vicari, in VASSALLO S. (a cura di), Archeologia nelle vallate del Fiume Torto e del San
Leonardo, Roccapalumba (PA), pp. 121-137.
VASSALLO S. et alii 2016, Attività 2015 della Sezione per i Beni Archeologici della Soprintendenza di Palermo, in
Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo 9, pp. 23-24.
15-
Sito: Carini- C.da San Nicola
Motivazione e periodo della ricerca: Summer School Archeologica in collaborazione con la Società Cooperativa
“ArcheOfficina”, 22 agosto 2016 – 02 settembre 2016.
Responsabili della ricerca: Rosa Maria Cucco, Marco Correra, Daniela Raia, Stefano Vassallo.
Risultati: l’organizzazione di una Summer School Archeologica è stata l’occasione per riprendere gli scavi nel
sito tardo antico e medievale di San Nicola di Carini (fig. 88), identificabile con la Hykkara dell’Itinerarium
Antonini.
Lo scavo ha interessato un terreno demaniale di proprietà del comune tutelato con vincolo archeologico diretto e
limitrofo all’agrumeto in cui nel 2005 sono venuti in luce due pavimenti a mosaico con motivi geometrici.
All’indagine ha partecipato un gruppo di studenti dell’Università di Palermo.
Il rinvenimento più rilevante, all’interno del saggio realizzato, è identificabile con un muro di orientamento
nord-sud realizzato in una sorta di “opera vittata”, sulla faccia occidentale resa con l’utilizzo di filari di conci
squadrati di calcare intervallati con filari di laterizi (fig. 89). Sulla faccia orientale, invece, non compaiono filari
in laterizio e i conci di pietra non sembrano rifiniti.
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Fig. 88 Il cantiere di scavo
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Fig. 89 Il muro in “opera vittata” (USM 16)
Addossato alla parte inferiore della parete est del muro è stato individuato un gradino realizzato con intonaco
lisciato, allo stato attuale di dubbia interpretazione.
Tra i reperti mobili si segnala il rinvenimento di tessere di mosaico (fig. 90), di frammenti di ceramica da mensa
di produzione africana (fig. 91) e di anfore pertinenti a una fase tardo antica, cui è probabilmente da ricondurre
la realizzazione del muro sopra descritto. E’ stata poi trovata ceramica da fuoco e frammenti di vasi di età
medievale, questi ultimi forse riconducibili a un butto.
Fig. 90 Tessere di mosaico
Fig. 91 Frammenti di ceramica da mensa e da fuoco
CUCCO R.M. 2016, Le ville romane nel territorio di Palermo: da Carini al comprensorio delle Madonie, in Arte
e storia delle Madonie. Studi per Nico Marino, voll. IV-V, Cefalù, pp. 19-35.
CUCCO R.M. 2017, Nuove indagini archeologiche nell’area dell’insediamento di San Nicola a Carini (2012), in
Notiziario Archeologico Soprintendenza Palermo, poster n. 7.
16-
Sito: Castellana Sicula – Calcarelli – C.da Muratore
Motivazione e periodo della ricerca: perizia del Comune di Castellana per “ Lavori di Pulitura delle strutture
archeologiche del parco suburbano di contrada Muratore”, ottobre - dicembre 2016.
Responsabili della ricerca: Rosa Maria Cucco, Santo Ferraro, Stefano Vassallo.
Risultati: i lavori hanno interessato la pulitura di due strutture ipogeiche funerarie e l’approfondimento,
mediante piccoli saggi, di alcune aree limitrofe a quest’ultime.
In particolare sono stati individuati alcuni settori del parco archeologico urbano, dove un’accurata pulitura
poteva evidenziare strutture non ben visibili a causa della vegetazione. Si è scelto di diserbare l’area limitrofa ad
un Palmento (fig. 92) - individuato già da Paolo Mingazzini nel 1937 -, l’area attorno agli ipogei “2” e “3” (il n. 1 è
quello inglobato all’interno del caseggiato rurale, oggi adibito a Museo), l’area che conduce all’edificio absidato indicata come area 1- e quella circostante l’area 2.
Durante la pulizia del palmento, nel terreno tolto dal lacus (vasca di raccolta del mosto) si sono rinvenuti
frammenti di coppi sia del tipo a “pettine”, sia del tipo a “vacuoli”. Interessante un frammento di coppo con
decorazione a pettine (fig. 93) rinvenuto a contatto con la superficie del lacus.
Grazie alla pulitura della zona sovrastante il cosiddetto ipogeo 3, è venuta in luce una tomba a fossa (fig. 94),
finora mai segnalata e documentata, all’interno della quale era cresciuto un alberello di mandorlo.
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Fig. 92 Il Palmento
Fig. 93 Coppo con decorazione a pettine di età bizantina
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Fig. 94 Tomba a fossa sopra l’ “ipogeo 3”
La pulitura dei loculi dell’ipogeo 3 ha permesso di recuperare 3 falangi (o metatarsi), appartenenti probabilmente ad un arto inferiore umano.
All’esterno dell’ipogeo denominato n. 2, sulla sommità del vano sepolcrale (fig. 95), il diserbo e l’asportazione
del terreno di accumulo hanno consentito di mettere in luce una tomba a fossa scavata nella roccia (fig. 96) e, in
prossimità di un foro nella copertura dell’ambiente, una tomba di infante, costituita da coppi con motivi
ondulati impressi e chiusa alle due estremità da due pietre (fig. 97).
Fig. 95 Indicato il luogo di rinvenimento
delle deposizioni sopra l’ipogeo 2
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Fig. 96 Tomba a fossa sopra l’ipogeo 2
Fig. 97 Tomba di infante sopra
l’ipogeo 2
Sito: Castellana Sicula – Calcarelli – C.da Muratore
Motivazione e periodo della ricerca: ampliamento dello scavo della cosiddetta Area 1, in cui si trova l’edificio
con vano absidato, agosto 2016.
Responsabili della ricerca: Angelo Castrorao Barba, Rosa Maria Cucco, Stefano Vassallo.
Risultati: nell’agosto 2016 la Soprintendenza accogliendo la proposta di collaborazione del Comune proprietario dell’area - e di Legambiente Sicilia ha ripreso gli scavi archeologici nel sito tardo antico - con una
continuità di occupazione anche in epoca islamica e normanna (X-XII sec. d. C.) - di c.da Muratore (fig. 98),
avvalendosi della fattiva partecipazione di volontari di Legambiente di diverse nazionalità, che hanno
contribuito al diserbo dell’area archeologica e all’esecuzione dello scavo (figg. 99-101).
Fig. 98 Panoramica dell’area 1 con vano absidato
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Figg. 99-100 Volontari di Legambiente impegnati nel diserbo dell’area archeologica
Fig. 101 Volontari di Legambiente all’opera nel saggio di scavo a NE dell’Area 1
A Nord-Est dell’Area 1 si è aperto un saggio di
scavo per verificare l’estensione del muro
rinvenuto nelle precedenti campagne di scavo e
riferibile alla fase di occupazione medievale di
questa porzione dell’insediamento.
Dallo scavo dello strato sottostante il terreno
agricolo, provengono numerosi frammenti di
tegole soprattutto del tipo con paglia di epoca
medievale; tra i reperti significativi si segnalano
una piccola moneta di bronzo di difficile lettura
ma molto probabilmente medievale, poche ossa
animali, una placchetta in bronzo, un piccolo
frammento di vetro turchese/azzurro e
frammenti di ceramica invetriata. Il livello è Fig. 102 Muro medievale
interpretabile come accumulo successivo
all’abbandono
delle
strutture
di epoca
medievale. Al di sotto di questo si è rinvenuta la prosecuzione nord-est del muro medievale rinvenuto in
precedenza (fig. 102).
VALENTINO M., VASSALLO S. 2016, Scavi archeologici di contrada Muratore (Castellana Sicula), in Notiziario
Archeologico Soprintendenza Palermo, n. 7.
18-
Sito: Castello a Mare di Palermo
Motivazione: progetto Fatti un giro bellezza. Museo senza barriere. I giovani dell’Istituto penale Malaspina
incontrano l’archeologia.
Responsabili del progetto e periodo: Valeria Brunazzi, Rosa Maria
Cucco, Riccardo Sapia, marzo - giugno 2016.
Risultati: il progetto è stato realizzato in collaborazione con il
Dipartimento BB.CC. e I.S., ICOM Italia (International Council of
Museum) e con l'Istituto penale per i minorenni “Malaspina” di
Palermo.
L'iniziativa ha visto i giovani del Malaspina impegnati in attività volte
a valorizzare l'area archeologica del Castello a Mare di Palermo (fig.
103) e, attraverso una serie di laboratori, sopralluoghi e campagne
fotografiche, sono stati creati pannelli didattici, percorsi di visita e
modelli 3D dei singoli elementi architettonici che fanno parte del
complesso monumentale (figg. 104-107).
Inoltre, i ragazzi, mettendo in gioco le proprie capacità, hanno
proposto una loro interpretazione del sito, elaborando racconti e
storytelling anche in dialetto, intrecciando le loro esperienze personali
con la storia del luogo .
I colori dei pannelli didattici, rosa e nero, come quelli della squadra
del Palermo, scelti dai giovani del Malaspina durante i laboratori,
comunicano in una forma più viva e meno accademica le informazioni
sui monumenti (figg. 108-111).
Fig. 103 Il castello a mare di Palermo
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A conclusione degli incontri è stato pubblicato un opuscolo che racconta le varie fasi del progetto e come questa
esperienza è stata vissuta dai vari soggetti coinvolti (fig. 112).
Figg. 104-105 Momenti del laboratorio all’interno dell’IPM “Malaspina”
Fig. 106 Modelli 3D dei monumenti che compongono il
Castello a Mare.
Fig. 107 Percorso di visita con segnaletica realizzata dai
giovani dell’IPM “Malaspina”
Figg. 108-109 Pannelli didattici composti dai giovani dell’IPM “Malaspina”
Fig. 112 Pubblicazione conclusiva del
laboratorio
Figg. 110-111 Pannelli didattici, disegni e plastici esposti dentro la Porta
Aragonese il giorno di presentazione al pubblico del progetto
AA.VV. 2016, MUSEO SENZA BARRIERE. I giovani dell'Istituto penale Malaspina incontrano l'archeologia. Il
Castello a Mare di Palermo, Palermo.
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Sito: Montelepre
Motivazione: consegna reperti archeologici alla Soprintendenza da parte dei Carabinieri di Montelepre.
Responsabili della ricerca: Rosa Maria Cucco, Stefano Vassallo.
Risultati: si tratta di un notevole gruppo di reperti databili tra l’età arcaica e l’età ellenistica, che per tipologia e
classi di appartenenza potrebbero provenire dal sito di Monte d’Oro, centro di origine indigena, forse da
identificare con la città sicana di Hykkara citata dalle fonti, in vita tra l’età arcaica ed il III sec. a.C. Il buono stato
di conservazione dei materiali sembra indiziare la loro pertinenza a corredi di tombe della necropoli di Manico
di Quarara, connessa all’insediamento suddetto e situata ad Ovest di questo. Sia l’area dell’abitato che la
necropoli sono da anni deturpate da scavi clandestini.
I reperti consegnati, in prevalenza di medie e piccole dimensioni (coppe, skyphoi, lucerne, lekythoi, gutti,
brocche), comprendono vasi di produzione attica - a vernice nera e a figure rosse - e probabilmente di
produzione coloniale; ceramica comune e vasi di produzione indigena, tra cui spicca un’hydria con motivo
decorativo dipinto a bande e spirali (figg. 113a-b).
Figg. 113a-b I reperti consegnati
Si segnala una coppa a vernice nera, tipo C, con iscrizione incisa sul fondo del piede: ANEP (fig. 114). Un unico
esemplare di anfora è del tipo “ad echino”. Numerosi i pesi da telaio. Un ulteriore gruppo di otto pesi da telaio,
alcuni con bollo (illeggibile) è stato consegnato ai Carabinieri a fine gennaio 2016. Tutti i reperti descritti,
provengono probabilmente da scavi non autorizzati e da rinvenimenti fortuiti effettuati a Montelepre.
La Soprintendenza, al fine di una loro valorizzazione nei luoghi di rinvenimento e di una sensibilizzazione della
cittadinanza nei confronti di questi reperti quali “beni comuni” che, qualora detenuti da privati, devono essere
restituiti alla pubblica fruizione, ha deciso di esporne una significativa selezione presso la Torre dei Ventimiglia,
attuale sede del Museo Civico di Montelepre (figg. 115-117).
R.M. Cucco, G. Polizzi, O. Tribulato, Recente recupero di reperti archeologici da Montelepre (PA): un nuovo
abecedario, in Notiziario Archeologico Soprintendenza Palermo, n. 17/2017.
Fig. 114 Piede di coppa con lettere incise
Fig. 115 Vetrine con esposizione dei reperti
consegnati
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S. Vassallo et alii, Attività 2016 della Sezione per i Beni archeologici della Soprintendenza di Palermo
Fig. 116 Torre dei Ventimiglia, sede del Museo Civico di Montelepre
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Fig. 117 Locandina dell’esposizione al
Museo Civico di Montelepre dei reperti
recentemente rinvenuti
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