Cesare Lombroso

«Tatuarsi non è un gesto banale: l'irrevocabilità dell'atto, la fuoriuscita del sangue, la presenza del dolore ci fanno assaporare ritualità arcaiche e profonde».
La storia del tatuaggio in Italia raccontata da una giovane ricercatrice e tatuatrice: dall'antichità al medioevo, da Lombroso fino ai nostri giorni.
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CECILIA DE LAURENTIIS, classe 1989, ricercatrice freelance , storica dell'arte e tatuatrice. Da diversi anni studia e promuove in Italia la storia del tatuaggio moderno. Dal 2018 cura una rubrica sulla rivista «Stigmazine»che indaga gli incontri/scontri del tatuaggio con l'arte accademica.

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ERRATA CORRIGE, pag. 47: la festa della Madonna (Natività della Beata Vergine Maria) si compie l'8 settembre. La festa della Venuta (festa della Madonna di Loreto, celebrazione della traslazione della Santa Casa) ricorre il 10 dicembre. Nelle notti tra l'8 e il 10 dicembre, nella regione Marche e in Umbria,  si svolge la Festa del Passaggio (o Festa del Transito) in cui si accendono grandi falò (i focaracci o fogaró) per "rischiarare il cammino alla Santa Casa".

Agostino Bassi was the first to translate aetiological ideas on the microbiological genesis of diseases into an actual research programme. Dedicated to his own, private nat- uralistic researches, Bassi demonstrated experimentally that a type of silkworm disease was due to a ‘parasitic fungus.’ He successfully isolated the parasite and used it to infect a healthy animal. He was also responsible for intuitions on the concepts of immunity, healthy carriers, predisposal to contracting infections and the dynamics of epidemics.
He understood that all infections are a product of parasitic beings that invade other living organic beings. This led to the microbiological theory of infectious dis- eases that would make enormous developments with the German, Robert Koch, and Frenchman, Louis Pasteur.

Delia Frigessi, Cesare Lombroso, Torino, Einaudi, 2003, Biblioteca di cultura storica, pp. 426, euro 34,00. «Grande» e «fantastico» Lombroso scriveva Freud a proposito del fondatore dell'antropologia criminale, certificando in qualche modo il successo non solo europeo, ma indubbiamente mondiale, che arrise al medico italiano tra Otto e Novecento. E, al di là della mancanza di un riscontro più decisivo nel rapporto fra l'antropologia lombrosiana e la psicanalisi freudiana, se non appunto che si muovevano in un orizzonte in bilico tra psichico e occulto, il giudizio ci sembra un dato interessante, su cui giustamente insiste l'Autrice per assumere un'adeguata prospettiva storica. Questa infatti sembra nel corso degli anni non tanto essersi smarrita, quanto piuttosto, e le pagine della Frigessi lo mostrano assai chiaramente, soprattutto distorta. La figura di Lombroso, infatti, che in vita fu «la celeberrima e più diffusa merce della nostra esportazione culturale», nel tempo non è scomparsa del tutto dalla storia specialistica della scienza o della filosofia, ed anzi essa permane diffusa anche popolarmente nella memoria di molti italiani, ma ne è restata impressa secondo uno stereotipo in buona parte deformante, legato com'è alla parte più vistosa e nota dell'attività lombrosiana, l'antropologia criminale. In particolare, di essa resta indelebile la deterministica associazione fra tipi di delinquenti e le loro specifiche conformazioni somatiche e craniche, per l'individuazione del cosiddetto «delinquente nato». L'apparente grossolanità dell'applicazione del metodo positivo, come oggi sembra per lo più letta l'antropologia criminale, ha quindi tramandato, a cominciare dalle critiche dell'idealismo gentiliano, un giudizio di sostanziale sufficienza, che spesso è divenuto il paradigma con cui si rischia di leggere anche molta parte di un'intera stagione della scienza e della filosofia, nella quale viceversa corsero conflitti e discussioni accesissime e assai complesse, e fu percorsa da forti suggestioni pratiche e teoriche che sono lontane dall'essersi esaurite. Il lavoro che viene ora pubblicato presenta perciò, a nostro avviso, almeno un duplice pregio. In primo luogo, l'estremo equilibrio dei giudizi, lontani da un'improponibile apologia, ma interessati soprattutto a mettere in luce le conquiste teoriche di Lombroso, e i molti loro limiti, entro il panorama delle scienze della vita, dalla medicina alla biologia, dalla psichiatria all'antropologia, che stavano divenendo le protagoniste non solo della scienza ma anche del pensiero filosofico, sociale e politico della fine del secolo diciannovesimo. E grazie a ciò, l'Autrice riesce nel contributo di illuminare la complessità di quella stagione che già Eugenio Garin suggeriva di chiamare, a causa appunto della vasta e varia morfologia con cui si avvicendarono storicamente le applicazioni di quel metodo, «dei positivismi». In secondo luogo, consente di tornare a fare i conti con la molteplice e articolata opera lombrosiana, la quale viene osservata e studiata in tutta la sua ampiezza. Ciò in virtù della predisposizione di un percorso che permette di seguire l'evolversi del pensiero e delle teorie sin dalla giovanile e fondamentale amicizia con il linguista e glottologo Paolo Marzolo («il Darwin dell'antropologia italiana» come egli amerà definirlo); sino agli anni maturi, nei quali si comincerebbero ad avvertire alcune significative contraddizioni e ambiguità, come ad esempio il conflittuale rapporto con il darwinismo. Prima, «nella sua veste di scienziato sociale» Lombroso si collocava «tra i darwinisti sociali», ma nella fase di crisi delle teorie darwiniane avvenuta dopo gli anni Novanta del XIX secolo, ne prederebbe le distanze in buona parte per «motivi che potremmo chiamare tattici e di opportunità», in ogni caso non scientifici ma legati alle vicende politiche del momento storico. Ma in queste contraddizioni l'Autrice prende a considerare, coerentemente con una tendenza culturale diffusa a cavallo dei secoli, alcune altre posizioni che assunse lo stesso positivismo lombrosiano, quando si volle orientare in modo sempre più spiccato verso applicazioni sociali di natura preventiva e coercitiva delle libertà individuali, da dove emergerebbe una sorta di conservatorismo politico del Lombroso, appiattito sulle necessità del controllo sociale dello Stato. Allo Stato infatti egli avrebbe fornito importanti categorie scientifiche per legittimare la prevenzione sulle fasce sociali delinquenziali secondo la legge dell'atavismo; salvo poi arrivare a sostenere le trasgressioni e le devianze come una necessaria fase evolutiva del progresso, che rompe gli schemi consunti, liberando le forze nuove per il tramite, ad esempio, della degenerazione o della follia del genio. Non è da credere, perciò, che il libro della Frigessi, non ostante il laconico titolo, si possa considerare una biografia lombrosiana. La forza dello studio non risiede infatti nella ricostruzione del 'personaggio' Lombroso, magari con intimi documenti inediti, quanto invece proprio nella ampiezza con cui le riflessioni dell'antropologo vengono studiate e

_The Physiology of Love and Other Writings_ is the first English annotated collection of Mantegazza’s selected works. In my extensive introductory essay, Mantegazza’s hybrid contributions from fiction, travel-writing, and ethnography to physiology, medicine, and politics are reevaluated as instances of a proto-cultural-studies approach attuned to the cross-fertilization of disciplines and the circulation of ideas in a period of European intellectual history that defied the notion of specialization.
Table of contents:
The Physiology of Love
And Selections from:
On The Hygienic and Medicinal Virtues of the Coca Plant and on Nervine Nourishment in General
One Day in Madeira
A Voyage to Lapland with my Friend Stephen Sommier
India
Epicurus: Essay in a Physiology of the Beautiful
The Neurosic Century
The Tartuffe Century
Head: Or, Sowing Ideas to Create New Deeds
Political Memoirs of a Foot Soldier in the Italian Parliament
The Year 3000: A Dream
The Psychology of Translation

This Paper deals with the trial of the La Gala brothers and their band of brigands in 1864. It argues that contingent circumstances pertaining to the difficult process of Italian political unification made this trial the starting point for the criminalisation of Southern Italy and its people in the minds of Italian politicians, bureaucrats, scientists and ultimately, the public.

Please excuse the lack of some footnotes.

Questo saggio prende in considerazione la funzione che il positivismo ottocentesco e la poetica naturalistica ad esso ispirata hanno nell'opera di Federico De Roberto, in particolare nel romanzo I Viceré. Il positivismo non è qui presentato come un paradigma monolitico, ma come un campo di tensioni epistemologiche che rende conto, al proprio interno, della crisi dell'oggettività sperimentale. Ne I Viceré, a fare le spese di una tale crisi è la nozione naturalistica e zoliana d'ereditarietà, che tuttavia non scompare dal romanzo ma vi riveste un'importante funzione retorica. Questa funzione risulta preliminare a una riflessione condotta nelle pagine conclusive del romanzo-sul vuoto costitutivo del potere politico. Tale vuoto, percepito da De Roberto alla fine dell'800, sembra anticipare inquietudini che caratterizzeranno la politica italiana da lì a pochi decenni.

Nel XIX secolo, Napoleone Colajanni pone le basi della sua sociologia criminale fornendo una critica dettagliata della frenologia e del suo uso incongruo da parte della scuola italiana di criminologia, rappresentata da Cesare Lombroso, Enrico Ferri e Raffaele Garofalo. Colajanni rifiuta l'idea che il crimine possa essere spiegato concentrandosi sulle caratteristiche biologiche, razziali e anatomiche di popolazioni o individui e sottolinea il primato delle determinanti sociali ed economiche. Il suo approccio dottrinale riceve meno attenzione rispetto a quello della scuola rivale, ma retrospettivamente possiamo riconoscere che era in anticipo sui tempi.

Both the genetic endowment we have been equipped with, and the environment we had to be born and raised in, were not-and never are-for us to choose; both are pure luck, a random ticket in this enormously inventive cosmic lottery of existence. If it is luck that has makes us the persons we are, and since our decisions and choices depend largely on the kind of persons we are, it seems that everything we do or fail to do may only be attributed to luck. This paper focuses on criminal behavior, with special emphasis on Tarde's and Lombroso's views, to discuss free will and agency, and their interplay with moral luck, that is, the fixed boundaries set by our nature and the circumstances that surround us.

Abstract: We all know that Lombroso was not always correct in his conclusions, that his methods were flawed and that he can be seen as both misogynist and racist. Even if many of these problematic areas are due to the social, political and geographical context in which he worked, they are still open for criticism and they still deserve a study. In reading Lombroso’s Criminal Woman, the Prostitute, and the Normal Woman (in a new, more complete, translation by Hahn Rafter and Gibson from 2004) it is interesting to see not only his general conclusion about the superiority of men, it is also interesting to see how he set about proving his claims of the inferiority of women in general, and criminals and prostitutes in particular. He tried to introduce science into what was later to become criminology, one major contribution was the introduction of a control group (of normal women), but the indicators he used for establishing certain facts are anything but uncomplicated and often not very scientific at all and sometimes quite controversial, at least for the modern criminologist. This paper will provide a reading of Lombroso’s Criminal Woman… and a scrutiny of his arguments. It is not only important to know his general ideas; it is as important and, not least, interesting, to see how he actually argued his case.

In various writings Michel Foucault has shown how, in the beginning of the 19th century, in settings such as army barracks, psychiatric hospitals and penitentiary institutions, the modern human sciences were ‹born› as an ensemble of disciplines (medical biology, psychiatry, psychology, criminology, and the like). From the beginning, the nature-nurture debate has been one of its key disputes. Are human individuals malleable by environmental factors (such as psychiatric treatments or disciplinary regimes), or do they rather display inborn predispositions for delinquency and other forms of antisocial behaviour? In the current era of genetic testing, in behavioural genomics and neuroscience, this issue is as controversial and topical as ever. Büchner’s unfinished drama Woyzeck (written in 1836) is a remarkable anticipation of this debate, staging the birth of the human individual as a research subject. It is the story of a destitute soldier who, according to his superiors, displays errant behaviour and is therefore recruited to serve as a research subject in an experiment. His army physician turns him into a ‹case›, which can be meticulously monitored and studied so as to record the genesis of a crime. In this paper, Büchner’s unsettling play is analysed in detail as one of the great anticipatory literary documents of the 19th century, exploring the idea of predictive psychiatry and the quest for genetic predispositions: a primal scene as it were of the nature-nurture debate as it unfolds from predictive criminology up to behavioural genomics.

Essay on mutual relations between mental illness, social opression, genius, art and creativity. Contains references to ideas of Hans Prinzhorn, Cesare Lombroso, Michel Foucault and Thomas Szasz, as well as works of Paul Klee, Andre Masson, Adolf Wölfli, Jean Dubuffet and the like.

A distanza di poco più di un secolo dalla morte, Ia figura di Cesare Lombroso continua a essere oggetto di numerosi studi, analisi e polemiche. Attraverso l’esame di alcune delle sue opere principali e dell’ambiente storico e sociale in cui furono prodotte, la presente opera rilegge l’impresa lombrosiana come una macchina simbolica e ideologica che colma sul piano dell’immaginario l’assenza di legittimazione dello Stato unitario. Mediante un’analisi serrata delle strategie discorsive e degli stratagemmi retorici impiegati, da una parte viene demistificata la scientificità da alcuni ancora invocata nei confronti di Lombroso.
Dall’altra, la riflessione mira a porre
domande più generali sullo statuto
delle scienze umane e sociali con riguardo
ai criteri della loro utilità e
ragionevolezza.

This book, often cited in the literature on the subject, has for the first time analyzed the work of Lombroso in the history of science. He probed the origins of the idea of ​​atavism. He then identified criminogenesis as the backbone of internal evolution to criminal anthropology.

Dividido en siete capítulos, "Los negros brujos" arranca con «la carta a modo de prólogo» que firma Cesare Lombroso, quien aplaude la descripción que el joven abogado hace del fenómeno de la santería, subrayando además la novedad de ciertas expresiones.

Resumo: os manuais de criminologia costumam mencionar como marco fundacional desta ciência o livro "O homem Delinquente", de Cesare Lombroso. No entanto, poucos criminólogos analisam o discurso lombrosiano sobre a criminalidade feminina, presente no livro "A mulher criminosa, a prostituta e a mulher normal". Segundo a narrativa de Lombroso, existem caracteres bioantropológicos que determinam a criminalidade feminina, bem como a existência de uma "prostituta nata". Sendo assim, o objetivo central do artigo consiste em examinar a obra mencionada, avaliando o discurso defendido pelo criminólogo positivista, que reforça as concepções patológicas sobre a prostituição e a estigmatização social deste grupo de mulheres. Palavras-chave: prostituição; criminologia etiológica; criminalidade feminina. 1. Introdução É possível afirmar, inicialmente, que não existe consenso entre os teóricos das ciências criminais sobre o surgimento da criminologia, delimitando o período (ou momento) histórico em que isto ocorreu. Uma das principais referências utilizadas para estabelecer o marco fundante da criminologia é Cesare Lombroso, representante da Escola Antropológica Italiana, embora não se considerasse efetivamente um criminólogo. 2 De acordo com esta perspectiva 3 , a criminologia nasce enquanto ciência com o positivismo 4 , desenvolvendo a ideia de que a 1 Este artigo foi publicado como capítulo de livro da obra "Criminologia: feminismos, mídia e protestos sociais" (Editora Virtual Gratuita), publicada em 2018. 2 "[...] muitos são os autores que, de alguma forma, tangenciaram a questão sem se dar conta de que faziam de seu objeto de estudo aquilo que, hoje, convencionamos chamar criminologia. Lombroso, por exemplo, uma das mais lembradas referências para se indicar o termo inicial do estudo criminológico, intitulava-se da Escola Antropológica italiana e não se dizia criminólogo". SHECAIRA, Sérgio Salomão. Criminologia. 5. ed. rev.

I firmly believe that books from which this chapter is derived are the carrier of civilization and providers of knowledge. They help in the production of new regimes of knowledge and without books, history is silent, literature irrelevant and obsolete, science disabled and crippled, especially in the societal context. It is a common phenomenon for people to conclude that in Uganda the reading culture is very low that reading is not in the societal cultural patterns and trimmings. How will people develop a reading culture where there is no facilitated writing culture? Without contextualized knowledge challenge for a change for a better future is always a dream, and inspiration in vein. I write in reference to the conventional practice which I will preface with a brief experience account. I have taught social policy for several years in several universities in Uganda. It is common phenomena in the academia to look for existing literature for teaching and instruction. However, most of the scholarly works on several social policy issues are written by foreigners with foreign illustrations such as the welfare state, poor law in Britain. These illustrations are abstract to social policy students in Africa. The resultant effect to this scenario is that the inspiration among the students to apply the acquired body of knowledge is as I said earlier at a standstill.

While attention to availability of social policy texts is well merited, intervention to write texts with explorations and historical accounts of our Ugandan and African own policies with authentic illustrations is imperative. This position is visibly lacking in existing texts on social policy issues. While writing this book and this chapter in particular, I worked with a presumption that it will contribute to the filling of this gap, so that social policy as a discipline can find its theoretical and empirical location in our own academic space and on the web of science.

An analysis of Arthur Conan Doyle's Holmesian Canon in the light of the scientific theorizations of his time is here proposed, aimed at highlighting how they shape the use of Gothic spatial tropes in the representation of London. The city, seen in its double capacity of capital of the Empire and positivistic rational environment, is internally disrupted in many of its facets, from the microcosm of the house, to the urban fabric, to the composition of its social body. Introduced by deviant individuals or polluting substances, the atavistic or degenerative threat invades the metropolis, materializing the anxieties underlying the late Victorian psyche: the persistence of the past in the present, and the possibility of reversion. The detective, armed with the tools that rationality and the scientific method itself offer, is tasked with the almost impossible duty of fighting Nature with its own means: his taxonomical organization of London is the ultimate attempt at normalising what eschews categorisation. Yet in so doing, he also reveals the contradictions and disruptions of the society he is trying to protect, effectively disclosing the very items it wishes to repress. Among the many disturbances that rippled through the purportedly smooth surface of Victorian and Edwardian life, scientific advancement and the consequential development of a scientistic mindset were two of the most pervasive and uncanny. Innovative means of communication consolidated Britain's position as head of an empire, immensely speeding the trading of goods and people with the most remote outskirts of its dominions and the exchange of information both at a domestic and at an international level. At the same time, they also rendered the "motherland" permeable to centripetal forces forever altering its sense of wholeness and unblem-ished isolation. New scientific (or pseudo-scientific) theorizations escalated, rather than rationalized , this profound unease, offering perhaps the greatest shock to Victorian psyche.

Il volume ricostruisce la biografia di Carlo Livi (1823-1877) focalizzandosi sulla sua opera medico-psichiatrica e sul suo percorso di uomo e di intellettuale vissuto durante il Risorgimento. Livi fu una figura chiave della psichiatria italiana, a metà strada – nella pratica e nell’elaborazione teorica – tra l’ottimismo terapeutico del primo Ottocento e il pessimismo della psichiatria post-darwiniana. Lo studio evidenzia come il trattamento morale applicato dalla psichiatria ottocentesca in tutta Europa si intrecci in questo caso con le vicende risorgimentali. L’istanza moralizzatrice ed educativa e lo studio antropologico dell’uomo erano rivolti ai malati, ai pazzi, ai bambini, ai criminali e al popolo per realizzare un progetto nazionale e laico di rigenerazione sociale del paese.

This dissertation provides a wider insight into the topic of Physiognomy by drawing upon the findings gathered from the works of Cesare Lombroso. Primary research has been carried out to assess whether the facial characteristics identified by Lombroso, are still used in the 21st century when identifying the perception of physiological representations of criminality.
Primary research has been undertaken based on the researcher’s personal interest in positivism, and the criminal man alongside the desire to add to the lacking academic literature on this enthralling subject. By the application of a survey and photo-fit activity followed by statistical analysis and discussion of findings.
Following the positivist perspective this primary research has been conducted using convenience sampling on 20 non-criminology students at the University of Bedfordshire; between the ages of 18 and 25 throughout April 2014.
Findings were drawn from two studies a survey followed by a photo-fit activity.
The survey findings show; that the facial features most associated with criminality were; a narrow and elongated face, an abundance of wrinkles (in particular, on the eyes and forehead), deep-set eyes, an aquiline nose, large and protruding ears; thin and straight lips, gapped teeth, an elongated chin, bushy eyebrows and a lack of hair.
The photo-fit activity findings showed participants associated criminality mostly with a narrow and elongated face, deep-set eyes, a flattened nose, large and protruding ears, thin and straight lips and bushy eyebrows. 
Data gathered has undergone rigorous analysis alongside comparison to Lombroso’s findings on the ‘criminal man’. Findings supported the physical stigmata expressed by Lombroso with the exception of the shape of the lips, hair and the eyes. Lombroso stated that the fleshy and protruding lip, dark and thick hair and drooping of the upper eyelid were most associated with criminality.
The high abundance of similarities with the works of Cesare Lombroso is accounted for by the influence of media. Lombroso’s stigmata have penetrated the imagery in media and this in turn has enveloped the minds of society compiling a physiological stereotype of the ‘typical’ criminal in the 21st century. However, this thesis has illumined the fact that societies perception of the criminal is changing with reference to lips, hair and eyes.
Discussion into the reasoning behind the physical stigmata set out my Lombroso is criticised in the light of poverty. This thesis has illuminated the idea that Lombroso’s stigmata are the result of a malnourished, poverty ridden society and these physiological characteristics cannot be pinned onto the biological and genetic influences alone. We must take into account the economic state and its repercussions on the physiognomy of the population, in particular, it criminal individuals.
Key words:  Atavism, Criminal Man, Criminal type, Lombroso, Physiognomy, Physiological characteristic, Positivism, Primary research.

Lombrosians and the people. Social sciences and lower classes in Italy between 19th and 20th centuries The article analyzes the representation of the "subaltern" in studies carried out between the late 19th and the early 20th centuries by two of Cesare Lombroso's pupils, Alfredo Niceforo and Scipio Sighele. The two works focus on Lombroso's theories and devote a particular attention to psychological and cultural hierarchies.

How are we to understand the attention that nineteenth-century medical sciences paid to Italian music, and to some of its emblematic figures? To what extent were such disciplines less interested in specific works than in the musical phenomenon itself, including its effects on the body and the imagination? How did Italian music feed into original medical approaches, or take hold of them? These are some of the questions which are raised in this issue, which thus embarks on a terrain little explored by both the history of medicine and the history of music, by way of three main sections. The first, entitled “Healing With Music”, examines the therapeutic experiments conducted in Aversa and Palermo in the first half of the nineteenth century. The second, “Anatomies of the Voice”, focuses on the singer’s body, poised between virtuosity and medical knowledge. Finally, the third section explores the question of musical genius as it comes to be medicalised in the eyes of phrenologists or of Cesare Lombroso.

Il contributo intende delineare brevemente la figura e la pratica clinica dello psichiatra Giuseppe Amadei (1854-1919), per mettere in luce il suo rapporto complesso con il positivismo lombrosiano. Vengono approfonditi in particolare i suoi studi sulla categoria nosografica del “mattoide geniale”, anche attraverso la ricostruzione di uno dei casi principali analizzati dal medico (Angelo Motta il “metallizzatore”).

Vinculada à linha de pesquisa de Criminologia e Controle Social do Programa de Pós-Graduação em Ciências Criminais da Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul, a presente dissertação investiga quais e de que modo dispositivos operaram saberes e práticas para que se alcançasse este atual estado em que a morte de uma pessoa passou a ser controlada pela técnica médica de um modo tão natural que qualquer gesto de resistência tem o potencial de ativar o sistema penal com o anúncio de um crime contra a vida. A partir da chave conceitual biopolítica, que tem permitido uma melhor compreensão das relações humanas modernas, e da deflexão dessa configuração teórica, denominada  tanatopolítica, oferece-se uma nova lente para a investigação social capaz de evidenciar um complexo dispositivo de economia da morte. A primeira metade da dissertação é dedicada à análise da construção teórica desses conceitos através dos escritos de três grandes nomes que se dedicaram ao tema: Michel Foucault, Giorgio Agamben e Roberto Esposito. São também analisadas as reflexões de Timothy Campbell, quem supriu uma lacuna doutrinária ao resgatar a relação da técnica com a economia da vida e da morte. Com a intenção de provar a relevância e a atualidade do problema e de  apresentar sugestões interpretativas inéditas para fenômenos violentos mal compreendidos, a primeira parte do segundo capítulo reexamina sob o viés tanatopolítico diversos fenômenos contemporâneos que reproduzem um programa discursivo e prático de extermínio do outro, sejam eles naturalizados (violência policial, política amnésica) ou escandalosos (estupro, terrorismo) à cultura vigente. A partir desse ponto, mergulha-se num breve histórico da emergência de uma medicina biopolítica, na narrativa das revoluções médicas do século XX, na abertura de um horizonte médico tanatopolítico e em três evidências da operacionalidade dessa nova economia de vida e morte: a escamoteação da morte, o direcionamento farmacêutico da vida e a interposição da medicina no processo de morte através da revolução da complexidade técnica. Ao final, a partir de notórios precedentes judiciais, relata-se como decisões e atos de médicos e pacientes desafiaram o gerenciamento técnico e burocrático da morte ao lhe subtrair vidas suspensas.

Linked to the Criminology and Social Control research line of the Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul’s Graduation Program in Criminal Sciences, this dissertation inquires which and how apparatus operated knowledge and practices  in order that the  current  status could be achieved, in which one’s death has been controlled by medical technique in such a natural way that any resistant gesture has the potentiality to activate the penal system by announcing a crime against life. Making use of  the  biopolitics  conceptual key, which has enabled a better understanding of modern human relations, and its deflection entitled  thanatopolitics, a new social study reading is able to evidence a complex apparatus of the death economy. The first half of this essay analyzes the theoretical  elaboration of these concepts through Michel Foucault’s, Giorgio Agamben’s and Roberto Esposito’s writings. Timothy Campbell’s  thoughts,  that have complemented a doctrinaire gap by bringing to light the relation between technique and life-and-death economy, are also examined. Intending to prove this question’s relevance and topicality, and to present unprecedented interpretative suggestions  to violent and misunderstood phenomena,  the second chapter’s first part re-examines, through thanatopolitical lens, several present-day events that reproduce a discursive and practical scheme of destruction of the  other, whether naturalized (police violence, amnesic politics) or scandalous (rape, terrorism) to modern  culture. Then, this study immerses in a brief history of the emergence of a biopolitical medicine, in the narrative of the 20th century medical revolutions, in the disclosure  of a medical thanatopolitical horizon and in three evidences of this new life-and-death economy operability: the “death against death” (Illich), the pharmaceutical guidance of life and the interposition of medicine in the process of death through the technical complexity revolution. In the end, grounded on notorious judicial cases, it is reported how doctors’ and patients’ decisions and actions defied the technical and bureaucratic management of death by rifling suspended lives.

The vindication of the Gypsy as a hero in some works by Manuel Falla and Federico García Lorca and through the cante jondo competition of 1922 is well known to scholars. What is perhaps less known is that Falla and Lorca reacted against a long tradition of abusing Gypsies in the media, that peaked during the Restoration. This article analyses the cultural production that prompted Falla and Lorca to write in defence of the Gypsy, and pays particular attention to the work of Rafael Salillas, Eugenio Noel, and journalists writing in reaction to the rise of flamenquismo from the 1880s on

"Zu Beginn des 20. Jahrhunderts ist der Lustmörder eine kulturelle Ikone. Am rasanten Aufstieg dieser Figur sind Kriminologen, Psychiater und Literaten gleichermaßen beteiligt. In wissenschaftlichen und literarischen Fallgeschichten erzählen sie vom Lustmord als einer allgegenwärtigen Gefahr, in deren Ausgrenzung sich eine Gesellschaft ihre eigenen Gesetze und Normen vorzuschreiben versucht.         
Vor diesem Hintergrund rekonstruiert dieses Buch die Entstehung kriminologischen Wissens im Schnittfeld von Wissenschaft und Literatur. Dem Lustmord kommt dabei eine Schlüsselrolle zu: Seine besondere Spektakularität trägt nicht nur zur Veranschaulichung und Popularisierung kriminologischer Konzepte bei, sie ist auch ein wesentlicher Bestandteil ihrer Epistemologie."

Ernst Jünger’s detective novel 'Eine gefährliche Begegnung' (1985) dramatizes a clash between the concept of adventure and the principles of order and modern scientific inquiry. Set in Paris, in 1888, the text tells the story of a murder investigation. Two adventurers embody, respectively, adventure’s origins in medieval chivalry and adventure’s eighteenth- and nineteenth-century form of colonial exploration; the detective embodies nineteenth-century advances in applied science as well as modern anthropological and psychological theories. Jünger’s narrative engages with defining nineteenth-century texts, such as Bertillon’s writings on anthropometric identification, Cesare Lombroso’s theories on the nature of the criminal, and Gustave Le Bon’s analysis of mass psychology. These texts articulate a rationalist ethos, advocated in Jünger’s novel by the detective. The opposing principles of unregulated individual freedom and a fanciful code of honor, embodied by the adventurers, are depicted as relics of a bygone age, whose passing can only be lamented, not remedied.

A guardarla, mai avresti sospettato fosse una diva. Eppure, quella donna, massiccia e volgarotta, oriunda di Minervino Murge, era conosciuta in tutto il mondo per le proprie doti di “maga”. Non una delle tante fattucchiere di paese, che disegnano croci nell’aria a suon di abracadabra e avemarie. Bensì una pitonessa, o meglio una medium, come da un po’ si era preso a dire, in grado di mettere in comunicazione con l’anima dei defunti. O se non altro, con l’aria da smargiassa, così lei sosteneva.
Bella, non era. Colta, tantomeno. Visto che a malapena sapeva scrivere il proprio nome: Eusapia Palladino. O Sapia Padalino e mille altre varianti. Giacché, abbandonato il paese natio e arrivata, non si sa come, nella Napoli postunitaria, ricordava solo che da piccola la chiamavano “Sapiuccia”. Senza un vero nome, senza alcuna forma di autoconsapevolezza, senza appoggi, si sarebbe potuta perdere tra i vicoli scoscesi della grande città. La qual cosa all’inizio pare stesse accadendo davvero, finché trovò chi, rimasto a bocca aperta dinanzi ai prodigi che si inanellavano al suo cospetto – tavolini che ballavano all’impazzata, tende che si gonfiavano come volessero partorire spiriti bambini, luci che d’un tratto squarciavano il buio delle sedute – decise di farla diventare una star. Una regina dell’occulto, che, qualche dote forse l’aveva pure; ma comunque non disdegnava di ricorrere a trucchetti da saltimbanco…
È a questa vicenda che io e Lorenzo Leporiere abbiamo dedicato, tra il serio e il faceto,  il volume La pitonessa, il pirata e l’acuto osservatore. Spiritismo e scienza nell’Italia della belle époque che, per i tipi della Editrice Bibliografica, giunge in libreria proprio in questi giorni. Una tempistica casuale? No. La scaltra Eusapia non si affidava mai alle bizzarrie della sorte e così abbiamo fatto noi, decidendo di pubblicare il libro in occasione dei cento anni dalla sua morte, avvenuta appunto il 13 maggio 1918. Non perché ci sia da credere che quel giorno lei possa far capolino dall’aldilà. O chissà: questo è stato tuttavia irrilevante nelle nostre scelte. Ma in quanto ora, a bocce ferme, ci si può serenamente interrogare su quella moda – un delirio collettivo forse? – che tra la metà dell’Ottocento e le prime decadi del secolo successivo, imperversò prima in America e poi in Europa. Fu allora che gli spiriti, i quali erano da sempre rimasti nel mondo dei morti senza dar troppo fastidio, da un momento all’altro sembrarono starci così stretti da voler evadere per andare a trovare i congiunti ancora viventi. Ci si potrebbe chiedere: per comunicar loro che cosa? Solitamente nulla di così inimmaginabile: che stavano bene e li ricordavano con affetto. Ah, vabbè.
Ci avranno creduto in quattro sciocchi, potrebbe immaginare qualcuno. Ma non è così, perché al cospetto di quella pitonessa moderna di Eusapia si convertirono allo spiritismo – alla possibilità cioè di evocare i disincarnati – o almeno al medianismo – a quella di scatenare forze misteriose – le più belle menti dell’epoca. Teste d’uovo che negli occhi della minervin-partenopea scorsero i riverberi delle plaghe dell’occulto. Persino Premi Nobel. Come Pierre Curie, il quale, lavorando su quella sorta di incoercibile anima energetica delle cose che in quegli anni si stava iniziando a chiamare “radioattività”, dopo aver partecipato, a Parigi, a delle sedute con lei, confidò a un corrispondente: “A mio parere, ci troviamo dinanzi a un intero campo di stati fisici completamente nuovi che non possiamo immaginare”. Come se davvero le meraviglie eusapiane potessero far sgretolare l’edificio della fisica classica, allo stesso modo in cui lo stavano facendo le nuove scoperte su radio e uranio. Non ebbe però il tempo di approfondire, il povero Pierre. Appena cinque giorni dopo aver messo nero su bianco queste parole, egli, a causa della pioggia, scivolò per strada finendo sotto una carrozza. Morì. Da solo. Tragicamente. Banalmente. Era il 19 aprile 1906. E se si vuol dar credito a una testimonianza, qualche giorno dopo, la solitamente algida Marie Curie avrebbe chiesto una seduta privata proprio con Eusapia, che si trovava ancora a Parigi. Dilaniata dal dolore, la grande scienziata, anzi la vedova si sarebbe presentata in seduta con in mano gli abiti indossati da Pierre il giorno dell’incidente, verosimilmente per provare a mettersi in contatto con lui. Pierre, ci sei?
Ma allora non può esser tutto falso! Come avrebbe potuto una donna grezza e analfabeta mettere nel sacco i più stimati cattedratici del tempo? È quello che, con Lorenzo Leporiere, mi son più volte domandato in questi anni di ricerca. Certo, Eusapia non era una sciocca. “Se quella lì è una sempliciona”, ironizzava un critico, “la volpe è l’animale più calunniato che ci sia sotto la cappa del cielo”. Come avrà fatto allora? Ehm, ecco: era una manolesta, la maga di Minervino. Con un repertorio di trucchi, da usare alla bisogna. Come ad esempio il far intravvedere a scienziati di mezz’età, tra le ombre, quella della compianta madre. E si sa, la mamma è sempre la mamma. Per un uomo tutto d’un pezzo, in particolare. Il libro è in fondo dedicato a questo: agli slanci e alla fragilità della ragione, allora come ora non di rado preda di furbacchioni e illusionisti. Perché è il medium-incantatore di turno a indurci a vedere una realtà che non esiste. O che non è così come ce la dipinge lui. Insomma, pasticciando un po’ con il latino, si potrebbe dire che “in medium” stat virtus.

Francesco Paolo de Ceglia

Le trame della scrittura. Questo il titolo pensato per la presente tesi, che si pone come intento principale lo studio e la valorizzazione di una serie di testimonianze documentarie dirette prodotte da soggetti reclusi in strutture psichiatriche e carcerarie di vario tipo, ad oggi fonti preziose per la ricomposizione del panorama di studi condotti nella seconda metà dell’Ottocento sul tema della diversità e della devianza.
Tale tematica è stata sviluppata a partire da un’esperienza formativa svolta presso il Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino, nel corso della quale è stata intrapresa attività di schedatura, coniugandola successivamente a quella di studio, su di una parte dei materiali conservati all’interno dell’Archivio storico. Il contesto specifico di un museo universitario di storia della scienza, ha necessariamente prescritto l’esigenza di adottare una prospettiva che considerasse il contenitore oltre che il contenuto.
Il lavoro è pertanto organizzato in due differenti percorsi di approfondimento.
Il primo vuole essere una riflessione sul tema dei musei universitari. Si sofferma sull’esame delle vicende storiche riguardanti i Musei dell’Università di Torino e, nello specifico il Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”. Si concentra poi sulla collezione di autografi dei devianti costituita da Cesare Lombroso, di cui è stata realizzata la schedatura analitica. I risultati del lavoro, sono stati organizzati in tabelle, che si riferiscono in particolare alle unità archivistiche 490 e 491, i due Album di Autografi degli Alienati e 783, l’Album di Autografi di Criminali.
Il secondo percorso, suscitato dal confronto degli originali conservati in Museo con le riproduzioni inserite all’interno delle pubblicazioni lombrosiane, e principalmente nel suo manuale intitolato Grafologia, propone una rilettura critica della collezione di autografi, attraverso la quale si è cercato di rispondere ad alcuni interrogativi riguardo alle motivazioni e agli scopi alla base della loro raccolta e della loro destinazione editoriale, oltre alle vicende di cui sono stati oggetto, inserendoli in una prospettiva più ampia che li consideri al contempo il prodotto di orientamenti scientifici e di pratiche e di fenomeni culturali che hanno caratterizzato in maniera significativa la società ottocentesca.

A distanza di poco più di un secolo dalla morte, la persona e l’opera di Cesare Lombroso continuano a essere oggetto di numerosi studi e analisi. Lungi dall’essere un argomento concluso, infatti, l’ambigua eredità di Lombroso, del suo pensiero e di quella che è senza dubbio un’originale impresa intellettuale e politica di cui non si sono ancora spenti gli echi, sembra costituire un appetibile banco di prova per chiunque vi si accosti con interesse critico.
Attraverso l'analisi del testo su "Gli Anarchici" (1894), il saggio - che è parte di uno studio più ampio di prossima pubblicazione -  pone il problema della perdurante "ragionevolezza" dell’opera lombrosiana fondata nel legame istituito tra senso comune e razionalità scientifica e mediante l'impiego di strategie retoriche e argomentative che si articolano su un registro fallace se non di aperta menzogna.
Riflettere su Lombroso può così fornire l’occasione per verificare come la scientificità di alcune formazioni discorsive o, in altri termini, la razionalità di forme di sapere tuttora indicate come scientifiche, siano da ricercarsi più sul lato delle condizioni socioculturali della loro emergenza, dei valori ideologici e delle forme simboliche che vi sono veicolati, delle strutture discorsive radicate in un determinato periodo storico e nella loro utilità strumentale e meno nella correttezza dei criteri interni e nella coerenza epistemologica, sul piano teoretico e sperimentale, vantati più che stabilmente dimostrati.