Italian late medieval and Renaissance devotional art, ritual, and patronage

A MOST HAVE FOR THE ART HISTORIAN!

Dopo la pubblicazione del primo tomo, che raccoglie il patrimonio architettonico e artistico del Fondo Edifici di Culto di 129 luoghi di culto presenti in Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Abruzzo, L' ERMA in collaborazione con il Ministero dell' Interno prosegue l' opera con il secondo tomo che conterrà il patrimonio artistico-culturale di Roma e del Lazio. Gli edifici di culto raccolti in questo secondo tomo sono 191 di cui 120 sul territorio laziale e 71 nella capitale. Tra i più importanti edifici a Roma ricordiamo Sant' Andrea al Quirinale, Sant' Andrea della Valle, Santa Croce in Gerusalemme, la Basilica di SS. Giovanni e Paolo al Celio, Santa Maria del Popolo, Santa Maria in Aracoeli al Campidoglio, senza però tralasciare tutti gli altri edifici di culto con i loro relativi patrimoni artistici presenti sul territorio romano e laziale.

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Il Corpus Del Fondo Edifici Di Culto è una prestigiosa enciclopedia costituita da 4 volumi, di assoluto valore scientifico in cui saranno illustrati, attraverso delle schede e per mezzo di foto a colori di alta qualità, tutti gli edifici di culto facenti parte del patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell' Interno e tutto il patrimonio artistico-culturale in essi contenuti; il patrimonio del F.E.C., è costituito da oltre 730 edifici di culto di grandissimo pregio storico, architettonico, artistico e culturale, dislocati su tutto il territorio nazionale aperti al pubblico e concessi in uso gratuito all'Autorità Ecclesiastica ma gestiti dal Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l' amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell' Interno. L' importanza dell' opera sarà messa in risalto dalla elegante veste editoriale dei 4 lussuosi volumi imperdibili per gli studiosi del settore ed i collezionisti.

A MOST HAVE FOR ART HISTORIANS!

Proviamo a tornare indietro nel tempo, al fatale 1866. Quell' anno si completava una fase legislativa cominciata sedici anni prima nel Regno di Sardegna con le leggi Siccardi, veniva infatti emanata la legge post-unitaria che soppresse le Corporazioni religiose. Nel 1867 il governo Rattazzi diede avvio alla liquidazione dell' asse ecclesiastico, la parte cattolica si affrettò a definire eversive entrambe le leggi. Da un giorno all' altro, con un semplice tratto di penna, un ordine clericale e feudale sedimentato stratificato e rimasto immutato nei secoli, collassava e si scioglieva rovinosamente.
Passavano alla proprietà e all' uso dello Stato gli edifici di Congregazioni, di monasteri, di conventi subito trasformati in tribunali e in scuole, in ospedali e in ospizi, in galere e in caserme. Una quantità incommensurabile di oggetti d' arte mobili affluiva in massa sul mercato facendo la fortuna di miriadi di antiquari fra i quali primeggiava il mercante internazionale Stefano Bardini. Ciò che non finiva disperso o distrutto, (ed era la parte di gran lunga più grande) alimentò per decenni sia il collezionismo privato che quello pubblico; l' uno e l' altro, nelle miserrime condizioni economiche dell' Italia di allora, a destinazione quasi esclusivamente straniera.
Colossali devastazioni, perdite immense ha provocato la demanializzazione del patrimonio ecclesiastico. Evento forse necessario nella fase di passaggio del nostro Paese dall' Antico Regime alla Modernità e tuttavia brutale, doloroso, destinato a lasciare nella coscienza civile degli italiani ferite rimaste a lungo aperte.
Nel vasto naufragio si salvarono dall' uso improprio gli edifici di culto insieme a limitate porzioni dei complessi monumentali più legate o più contigue al culto. Si salvarono perché protette dalla devozione popolare, dalla letteratura, dalla fama degli artisti che vi erano rappresentati, dal loro essere, in maniera più o meno significativa, documenti della storia e della identità nazionali.
I luoghi sacri conservati al culto pubblico rimasero alla proprietà e quindi alla gestione dello Stato mentre l' autorità religiosa ne assumeva la regolare officiatura. Al F.E.C. (Fondo Edifici di Culto), sono oggi affidate oltre 750 chiese, meno dell' uno per cento del totale (calcolato in circa centomila unità) degli antichi edifici destinati alla pratica religiosa cattolica; dalla Martorana di Palermo a Santa Maria della Misericordia di Taggia, affascinante pinacoteca di pittura ligure-piemontese-fiamminga; da Santa Maria Novella di Firenze a San Bernardino di Aquila, che il terremoto del 2009 ha fatto sentire a tutti noi dolorosamente vicino; dal San Domenico di Napoli, dove dormono i re angioini e aragonesi e Tommaso scrisse la sua Summa Teologia, al Santuario di Fontanellato a Parma, prodigio di eleganza barocca e rococò.
Chi abita da cittadino o attraversa da turista l' Italia storica è difficile che conosca lo status giuridico delle tante chiese dislocate sul territorio nazionale. Del resto che la croce dipinta da Giotto in Santa Maria Novella a Firenze, che i Caravaggio conservati nella Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma, appartengano allo Stato o all' ente parrocchia o all' ordinario diocesano o alla congregazione religiosa che custodisce quel luogo, apparirà al visitatore irrilevante. Altro è ciò che interessa. Interessano la buona fruibilità di quei capolavori, la loro corretta conservazione e manutenzione, la aggiornata ed efficace presentazione didattica e scientifica. E' consolante accorgerci che questi sono gli obiettivi guida della attuale dirigenza F.E.C..
La storia ha costruito l' Italia dissestando distruggendo e poi riassemblando come per un immane rivolgimento tellurico, i suoi strati profondi. Lo strato identitario unificante degli antichi edifici di culto distribuiti su tutto il territorio nazionale dal Piemonte alla Sicilia, è oggi affidato, per una sua piccola ma prestigiosissima porzione, al Fondo Edifici di Culto.
Chi come me ha servito per tanti anni nella amministrazione italiana dei beni culturali e che ora dall' osservatorio privilegiato dei Musei Vaticani è in grado di apprezzare, con attenzione e sensibilità speciali, l' iridescente mirabile mantello di chiese che copre l' Italia, non può che esprimere vivo compiacimento per tale iniziativa editoriale introdotta dalle mie righe.
Una rete di perfetta affidabilità affidata agli architetti e agli storici dell' arte delle Soprintendenze garantisce la qualità dei testi. L' ERMA di BRETSCHNEIDER ci assicura del livello del risultato editoriale, improntato ad eleganza e a rigore come da sua mai disattesa tradizione.

Antonio Paolucci
Direttore dei Musei Vaticani
dalla Presentazione del I volume

Patronage, in its broadest sense, has been established as one of the dominant social processes of pre-industrial Europe. While it has been traditionally viewed simply as the context for extraordinary artistic creativity, patronage has more recently been examined by historians and art historians alike as a comprehensive system of patron-client structures which permeated society and social relations. Focusing specifically on the city of Florence, these essays explore the new understanding of Renaissance Italy as a 'patronage society,' considering its implications for the study of art patronage and patron-client structures wherever they occur.

In 1878, the founder of the Christian Museum in Esztergom, Hungary, Prince Primate and Archbishop János Simor (1813–1891) purchased an entire picture collection from the heirs of a private Roman collector, Canon Raffaele Bertinelli (1802–1878). This "galleria di classici sacri" consisted almost exclusively of Italian Renaissance paintings with religious subjects. The sixty paintings now form the core of the Italian collection in the Christian Museum and are well known to scholars of Italian art.
However, Bertinelli and the history of his gallery remain unknown to art historians. The present book, which is based primarily on archival research and 19th-century publications, provides a biography of the collector, and emphasizes his artistic interests and commissions. A discussion of the picture gallery follows, and it treats the formation of the collection as well as its later history. It establishes with greater precision than heretofore its original contents and defines the concept that guided the collector’s acquisitions.

The first chronicles on the diffusion of the “french disease” in Italy date back to the summer of 1495. As it was interpreted as a divine punishment and a new and incurable illness, the disease was promptly associated to the one that had affected Job. The essay focuses on the analysis of two poems (cantari) in ottava rima: the Historia di sancto Iob propheta of Giuliano Dati, and a briefer remake, the anonymous Prego devotissimo. The two pamphlets were diffused at a low cost and it’s probable that they were publicly read in squares. In respect with the Bible, they supply a very simplified version, where the steady patience of the protagonist in suffering and tribulations is enhanced on the only basis of its prose frame context (instead, the lively poetic dialogue with his friends is almost completely wiped out). To «Saint Job», to whom people appeal so that he could intercede to God in favour of the sinners and persuade them to imitate him, was, therefore, dedicated a cult promoted by confraternities entitled to him. These confraternities founded hospitals for ‘the Incurables’, specifically for french disease-affected patients dedicated in some cases to the same Job, patron of the franciosati. In addition, a series of literary and iconographic documents (fifteen for central-northern Italy) witness the devotion.

This essay examines women’s scribal self-identification in Renaissance Italy through a study of colophons (scribal production notes) left by nuns at the end of the manuscripts they copied. Within the realm of female monastic book production, colophons are often thought to be formulaic and predictable texts that—though valuable for dating the manuscript and sometimes providing notes on production—do not offer much personalized information about the copyists. The author surveys a large number of nuns' colophons from fifteenth and sixteenth-century Italy and demonstrates that these female scribes presented a range of identities in the inscriptions they left – not all of them pious. The range of colophons reflects the diversity of women who were called to or placed in convent life in fifteenth- and sixteenth-century Italy and demonstrates their adaptability to trends in both their religious community and the larger secular society. Treated as a genre of writing, these messages provide a vivid female-authored voice from the ‘anonymous’ walls of the convent and demonstrate how nuns creatively shaped their identity within the often-limiting strictures of monastic life. The study makes important contributions to Renaissance book history scholarship and reshapes an understanding of female agency in the period.

Il saggio approfondisce un aspetto peculiare dell’arte di Antonio di Benedetto Aquili, Antoniazzo Romano (doc. 1452-1508). Per tutta la sua lunga carriera il pittore fu all’opera come copista sacro, un’attività che egli svolse con una perizia tale che i modelli iconografici messi di volta in volta a punto nella sua bottega furono largamente recepiti dai suoi seguaci fin dentro il Cinquecento. Il caso delle copie, su tavola e su tela, della Madonna col Bambino della basilica romana di Santa Maria del Popolo si configura perciò come un ottimo esempio di tale prassi artistica condotta dal maestro e dalla sua bottega. La diffusione delle repliche dell’immagine miracolosa del Popolo, già oggetto di studi e di una prima recensione, è affrontata in maniera globale attraverso la discussione di numerosi esemplari inediti o poco noti disseminati nella penisola italiana, in Ungheria e in Spagna, tra la Catalogna e l’Andalusìa. L’approfondimento della committenza (vescovile, cardinalizia, papale) e delle vicende conservative di tali opere ha permesso così di ridiscutere il contesto storico in cui operò Antoniazzo, nonché il clima religioso in cui crebbe a Roma, nell’ultimo ventennio del Quattrocento, la devozione per la Madonna del Popolo a scapito di altre venerate icone medievali.

This article takes the two exhibitions dedicated to the Florentine Renaissance painter Piero di Cosimo as well as their respective catalogues as a point of departure for a wider discussion of the questions they inspired. It focuses on five interrelated aspects: Piero’s relationship with Filippino Lippi; the impact of Netherlandish art on his style; his altarpieces and issues of chronology and his responses to the art of his day and his patronage networks.

Santa Maria Gloriosa de’ Frari is one of the best-loved and most celebrated churches in Venice, renowned for its imposing Gothic architecture and its rich display of works of art, but it is in no sense a museum.  Founded as the principal church of the Conventual Franciscan order in Venice, the church has been the setting for ritual, sacred music, prayer and preaching ever since the Middle Ages.  This book presents the rich and varied history of the church in a new light.  This is neither a guide book nor a catalogue of the works of art.  Instead, it is the first true monograph on the Frari, whose role included charitable and educational functions as well as devotional life.  Spanning eight centuries, the book explores the lives of the friars, worshippers, local residents and artists, both within its walls and round about.  A profusion of new colour photographs offers the reader the chance to appreciate many details that have never before attracted attention.
The book considers the Frari in the context of the immediate neighbourhood and its local concerns and activities.  The present church was begun in 1328, and the Franciscans continued to occupy its spacious cloisters until the Napoleonic suppression in 1806, which led to their banishment for more than a century.  At this point, the church became the centre of a parish, incorporating the nearby areas of San Tomà and San Polo.  Meanwhile, Titian’s famous Assunta, one of the masterpieces of Venetian Renaissance painting, was removed from the high altar, to be displayed for nearly a hundred years in the galleries of the Accademia.  The altarpiece was not returned to the church until 1920, just two years before the return of the Franciscans. Remarkably, the complete list of the Franciscan guardians and parish priests survives back to 1241 and is included in the book. 
The twenty-three chapters guide the reader through this complex history, allowing a new appreciation of the works of art, whether familiar or little known, in terms of their meaning and devotional function.  The patronage of chapels by prominent families, and by immigrant communities such as the Milanese and Florentines, has enhanced the rich variety of painting and sculpture.  The role of women patrons is highlighted in several cases.  The book examines the importance of relics as the focus of local devotion, and explores the role of the local confraternities (scuole) in the ceremonial and music. 
An important aspect of the Frari was the commemoration of prominent individuals, whose tombs and monuments adorn the walls and floor of the church.  Doges, military leaders, bishops, artists, musicians and businessmen found their last resting place within its walls.  Because of its size and beauty, the church has played a major part in the lives of local residents, and the memorials enshrined within have inspired generations of Venetians and visitors alike.  This uniquely interdisciplinary book contains a wealth of new material and insights into this long and complex institutional history.

The paper focuses on a little-known typology of mural painting: the mural polyptics. These wall paintings, illusionistically reproducing a painted panel with carved wooden frame, served as altarpieces in private chapels, oratories and small churches. The cultural context that produced this kind of trompe-l’œil is investigated as well as the economic and technical reasons behind such preference. This peculiar production is traced in Central Italy from Umbria, where it originated in the second fourth of the 14th century, to Tuscany from the 14th to the first half of the 15th century and beyond. Approximately twenty-five specimen are presented in chronological order and grouped by the frame model of the polyptych, some are published for the first time. In the last part, attention is devoted to murals of vita-icons and of the subsequent type of altarpiece, the ‘pala quadra’, also widely represented on walls and even in illuminated manuscripts.

An Illustrated Guide to the 'One Hundred Churches' of Matilda of Canossa, Countess of Tuscany is the first complete and illustrated listing of the one hundred and thirty six places, churches, hospices, monasteries, and other extant stone constructions, including an arched bridge, built or restored by the Countess Matilda of Canossa (1046-1115).  Her cultural legacy is enormous and includes may of the monuments listed by UNESCO as among the heritage of our world, including churches in Florence, Ferrara, Lucca, Modena, Pisa, Verona, and Volterra.

This is the full text and map book (image document separate from and attached to the end of the text) of my undergraduate Bachelor's thesis completed and defended in May 2010. I received high honors and the Alumni Award in the History of Art for this project.

This is an open access title distributed under the terms of the prevailing CC-BYNC-ND License at the time of publication, which permits any non-commercial use, distribution, and reproduction in any medium, provided no alterations are made and the original author(s) and source are credited.

Behind the Resurrection of Christ, painted by Giorgio Vasari for
the fourth altar of the left nave, a large fresco was discovered
in 2018. After one-year restauration an interesting image of
saint Thomas Aquinas was brought to light. We can relate it
to the chapel which was erected by the friars to honour one
of the Order’s most important saint, close to the date of his
canonisation in 1323. Other novelties reside in the fresco’s
iconography, otherwise unattested. The striking originality of
the Florentine fresco provides us new understanding of Aquinas
iconography and its further development. An early date
is confirmed also by the stylistic analysis: various elements
suggest to attribute the painting to the Master of S. Cecilia’s
style, one of the most relevant Florentine painters beside
Giotto, at the turn of the Fourteenth century.

Nonostante la cattedrale di Grosseto abbia subìto profondi cambiamenti nel corso dei secoli, ha conservato in situ alcune delle sue opere quattrocentesche. Questo saggio prende in esame la committenza della Madonna delle Grazie di Matteo di Giovanni (c. 1475), l’altare ed il fonte battesimale di Antonio Ghini (1470-1474) e le vetrate attribuite al disegno di Benvenuto di Giovanni (seconda metà del quattrocento). In particolare viene evidenziato il ruolo dell’Opera e dell’Operaio del Duomo dalla loro concezione al loro mantenimento nel corso dei secoli.

Nuovi documenti archivistici mostrano come le opere in questione siano giunte fino a noi, e come abbiano nei secoli subìto interventi di restauro intesi a garantirne la conservazione e la fruizione per i fedeli delle future generazioni, continuando a mantenere pressocché intatto il loro uso sia devozionale che decorativo.

L’interazione tra committenza e devozione civica, religiosa e laica ed il loro ruolo nella conservazione di queste opere vengono qui esplorate anche alla luce dei ritrovati statuti dell’antica confraterntita della Vergine nella cattedrale grossetana, datati 1484.

The paper looks at a photographic survey of the frescos of the Offida Church taken in 1909 by the Gabinetto Fotografico Nazionale, that show the devotional interaction between the local community and the cicle of paintings through the signatures and comments on the saints  bodies

This book explores the role of glazed terracotta sculpture in Renaissance Italy, from c. 1450 to the mid-1530s. In its brightness and intense colour glazed terracotta strongly attracted the viewer’s gaze. Its pure and radiant surfaces also had the power to raise the mind and soul of the faithful to contemplation of the divine. The quasi-magical process of firing earthenware coated with tin-based paste, promoted initially by imports from the East, was seized upon by Luca della Robbia, who realised that glazed terracotta was the ideal vehicle for the numinous. He began to create sculptures in the medium in the 1430s, and continued to produce them for the rest of his life. After Luca’s death, his nephew, Andrea della Robbia, inherited his workshop in Florence and continued to develop the medium, together with his sons. The book considers some of the large-scale altarpieces created by the Della Robbia family in parallel with a number of small-scale figures in glazed terracotta, mostly made by unidentified sculptors. The captivating illustrations integrate these two categories of glazed terracotta sculpture into the history of Italian Renaissance art. By focusing on a specific artistic medium which stimulated piety in both ecclesiastical and domestic contexts, this book offers new ways of thinking about the religious art of the Italian Renaissance. The links it establishes between lay devotion and the creation of religious images in glazed terracotta invite reassessment of habitual distinctions between private and public art.

Open Access: https://www.brepolsonline.net/action/showBook?doi=10.1484/M.HMSAH-EB.5.129108