Testo - Monografia [IT\ICCU\MOD\1542488]L’ultimo mugnaio La prima parte (intitolata ‘Nel principato di Correggio e nel carcere della vita a Reggio’) prende lo spunto da una lettera del marchese Ippolito Bentivoglio al duca di Modena dei...
moreTesto - Monografia [IT\ICCU\MOD\1542488]L’ultimo mugnaio
La prima parte (intitolata ‘Nel principato di Correggio e nel carcere della vita a Reggio’) prende lo spunto da una lettera del marchese Ippolito Bentivoglio al duca di Modena dei primi anni del ‘600 in cui si narra di un delitto a colpi di archibugio (un mugnaio di Correggio viene ucciso da due archibugiate, ‘una nel petto e l’altra nei pettenecchi’ si scrive) perpetrato presso un mulino nel Principato di Correggio (il mulino di Caprì, antichissimo mulino di cui restano ancora tracce), con strascico di delitti e vendette tra le diverse famiglie di mugnai in contrasto tra loro (buone casate le definisce il marchese). Frugando negli archivi di Ferrara, di Reggio, di Modena e di Correggio, si ricostruisce la storia del delitto e soprattutto della sorte dell’autore dello stesso, che viene trascinato in carcere da Novellara a Reggio. La sua vicenda, narrata sulla base di documentazione d’archivio rigorosamente analizzata e la cui fonte è riportata in nota, con trascrizione dei documenti salienti, si snoda nella pianura tra Correggio, Novellara e Reggio, e termina (tragicamente, con ogni probabilità) a Gualtieri. Essa si intreccia con quella di personaggi storici dell’epoca (tra fine ‘500 ed inizio ‘600): il cardinal Guido Bentivoglio, grande inquisitore di Galileo Galilei, il notaio Ottavio Bolognesi, diplomatico alla corte di Siro, ultimo principe di Correggio, i marchesi Ippolito ed Enzo Bentivoglio. E con le piccole storie di gente comune, finita in carcere per adulteri e omicidi, banali liti e archibugiate, pesca di frodo nelle fosse della Cittadella reggiana o miseri furti di servitori in casa dei padroni. La storia delll’omicida (Giacomo, appartenente ad una famiglia di mugnai, contadini e commercianti di granaglie vissuta nel ‘400 e ‘500 tra Canolo e Correggio, con un ramo che si trapianta per i successivi tre secoli, e oltre, a Gualtieri e dintorni), che ci sorprende con un ulteriore colpo di scena: è infatti accusato da altri galeotti come lui di voler ordire un complotto contro le autorità e poi scappare in Turchia. Si coglie il pretesto di questo riferimento all’Oriente per dar conto di un documento seicentesco che narra di una singolare storia di ebrei e levantini provenienti dalla Terrasanta fermati con 99 libri sacri tra Guastalla e Gualtieri. Il tutto è documentato attraverso i resoconti provenienti dal sinistro carcere detto ‘della vita’, la prigione degli ergastolani (e di altri di passaggio), di Reggio dei primi anni del secolo XVII: si trovava nella Cittadella, che sorgeva ove oggi si trovano i giardini pubblici e il teatro municipale di Reggio Emilia.
Questo primo racconto si conclude con l’elenco stilato dai tre parroci del territorio di Gualtieri, per il marchese Bentivoglio, dei morti (tra cui Giacomo l’assassino ?) ed il numero di sopravvissuti alla ‘cattiva influenza’, come viene definita la peste del 1630.
La seconda parte (‘Nel feudo dei Bentivoglio e alla corte estense’) delle storie (o dello studio, visto che si riporta fedelmente quanto si trova negli archivi), che si svolge tra Seicento e inizi Ottocento nasce dalla scoperta a Modena, antica capitale, di un documento del primo gennaio del 1721: un mugnaio supplica il ‘serenissimo’ duca d’Este di restituirgli il governo di un suo mulino natante in Po a Gualtieri. E’ stesa e firmata di suo pugno: con scrittura un po’ sgrammaticata Giobatta, che definiremo l’ultimo mugnaio, e che discende direttamente dal ramo degli antenati di Canolo e Correggio, racconta le vicende di una famiglia che da centocinquant’anni si tramanda il mestiere difficile di comandare su quegli straordinari e complessi opifici che erano i numerosissimi mulini sul Po. Riprendere il filo di queste vicende è il pretesto per raccontare, attraverso le tracce lasciate in almeno due secoli di documenti, la vita, i luoghi, i beni di questi ed altri abitanti del territorio di Gualtieri, ma anche di quelli vicini. Ci si imbatte in documenti attestanti le proprietà, le cavalcature, gli attrezzi dei mulini. O in storie di conflitti tra la Comunità (il Comune di allora) e il podestà, ‘scioperi’ dei mugnai, naufragi e tempeste sul Po, ‘gride’ contro la criminalità o sul mercato settimanale e la pesa pubblica. Storie minute di gente come tanta che, grazie al mestiere che svolgeva (i mugnai dovevano saper leggere e scrivere, far di conto, e render conto) ha lasciato tracce consistenti nei documenti d’archivio. Storie che rappresentano, per esempio, la condizione delle donne in quei secoli (anziane madri, vedove per causa delle guerre e delle malattie, sorelle cui viene negata la dote, donne i crimini contro le quali erano valutati diversamente a seconda della loro condizione sociale o ‘morale’). O della sanità (con la necessità di pagarsi le cure ma anche l’esistenza di un medico di Comunità, oltre che di un maestro) e della giustizia (con la grida ove si ordina a chi va in udienza davanti al giudice di depositare prima le armi nell’andito del palazzo di giustizia). Si trascrivono in special modo (ma non solo) le vicende che attengono ai mulini natanti nei territori del ducato estense fino ai confini con il mantovano. Con le ‘gride’ seicentesche contro osti e donne di malaffare che mugnai e barcaroli ospitano in questi luoghi quasi extraterritoriali. Si riferisce di storie di contrabbando tra le due sponde del fiume tra Gualtieri e Pomponesco e Viadana (che attestano, sia detto per inciso, che si mangiavano lasagne fin dal ‘600), con documentazione precisa dei mulini di Boretto, di Dosolo, Casalmaggiore, Viadana, o degli incerti confini con Guastalla. Con qualche escursione più indietro nel tempo, come laddove si elencano tutti i mulini (coi nomi dei proprietari) che c’erano nell’antichissimo ramo del Po di Ferrara nel ‘400. Si narra di furti e rapimenti sui mulini nei territori del Polesine gìà ferrarese, passato alla Repubblica di Venezia dopo la guerra del sale. E, per rimanere nella bassa padana, si riportano gli atti di vendita di quote di mulini, con relativi asini, a Luzzara, come descritta in pergamene cinquecentesche nell’Archivio di Stato di Mantova (con riferimenti anche alla vicina piarda di Riva di Suzzara). Si dà conto dell’origine e della funzione di antichi edifici, quale il torrione di Gualtieri (che designa ancor oggi gli impianti del Consorzio di bonifica Bentivoglio-Enza), dove abitarono per lungo tempo gli esponenti della ‘casata’ di cui si parla (è una definizione di Enzo Bentivoglio, che nulla ha a che fare, sia chiaro, con la nobiltà), che diede il nome a questo edificio e che fa da filo conduttore e pretesto per legare nel corso dei secoli le storie narrate. Sono certo presenti gli ecclesiastici (la religiosità permeava la vita dei secoli scorsi), con la testimonianza di un prete di Pieve Saliceto, discendente dall’ultimo mugnaio, come lo si è definito, che descrive la disastrosa alluvione del Po del 1765, con il fango e il gelo che sommergono ogni cosa per mesi. Molti documenti sono tratti dagli archivi dei battezzati, dei morti e dei matrimoni, oltre che dei benefici ecclesiastici delle parrocchie. Si documenta alla fine del ‘700 con esempi di atti notaili (compravendite) il conflitto tra il secolo dei lumi che si spegne e la rivoluzione francese che con quell’eredità e con l’epoca feudale deve fare i conti: anziché in nome di Dio, il notaio roga nell’anno 1800 un atto di un discendente dell’ultimo mugnaio in nome della Repubblica Cisalpina nata col nuovo vento francese, ma l’atto contiene ancora antichi oneri feudali. Si ricorda, infine, lo sfondo delle guerre europee dell’epoca tra franco-ispani ed imperiali tedeschi, che, ad esempio, requisiscono la casa di un ramo della famiglia di cui si tratta sull’argine del Crostolo per farne un fortino. O che scorrazzano e si affrontano a decine di migliaia in cruente battaglie all’inizio del Settecento nel territorio di Luzzara, di S. Vittoria, come documentato dal parroco, e di Brescello. Per ricordare in conclusione la Storia con le sue guerre che segnò le terre dei Gonzaga, dei Bentivoglio, degli Este e dei da Correggio e di tutti i Signori grandi e piccoli che là governavano: grande Storia e grandi e piccoli Signori con cui la gente comune di queste terre, mugnai, contadini, donne, preti e soldati, doveva, come si è voluto documentare, far comunque i conti.
ll testo ha un taglio anche archivistico con connotazioni giuridiche, ma vuol tentare di tradurre i documenti in storie vive. La documentazione d’archivio è trascritta per quanto possibile fedelmente, con annotazione precisa della fonte. Si ritiene che la gran parte dei documenti sia inedita. Le note sono circa 160.
Conclude, oltre l’indice generale, un indice dei nomi (numerosissimi) e dei luoghi.