DAVIDE FERRARIS
IL CULTO DEL PROFETA ELIA
TRA ORIENTE E OCCIDENTE
ESTRATTO
da
RIVISTA DI STORIA E LETTERATURA RELIGIOSA
2016/1 ~ a. 52
Anno LII - 2016 - n. 1
Rivista di Storia e
Letteratura Religiosa
diretta da
G. Cracco, G. Dagron†, C. Ossola
F. A. Pennacchietti, M. Rosa, B. Stock
Leo S. Olschki Editore
Firenze
Rivista di Storia e Letteratura Religiosa
diretta da
Giorgio CraCCo - gilbert Dagron† - Carlo ossola
Fabrizio a. PennaCChietti - Mario rosa - brian stoCk
Periodico quadrimestrale
redatto presso l’Università degli Studi di Torino
Direzione
Cesare Alzati, Giorgio Cracco, Gilbert Dagron†, Francisco Jarauta
Carlo Ossola, Benedetta Papàsogli, Fabrizio A. Pennacchietti, Daniela Rando,
Mario Rosa, Maddalena Scopello, Brian Stock
Redazione
Linda Bisello, Paolo Cozzo, Valerio Gigliotti, Giacomo Jori, Marco Maggi,
Chiara Pilocane, Davide Scotto
Articoli
D. Piay Augusto, De Higinio de Córdoba a Braulio de Zaragoza. Crónica del
antipriscilianismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.
D. Ferraris, Il culto del profeta Elia tra Oriente e Occidente . . . . . . . . . . . . . . »
P. Cattani, «Les vertus de la pauvreté». Désintéressement et littérature chez
André Suarès et Charles Péguy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
3
47
65
Fénelon: una presenza
B. Papàsogli, Il libro XIV del Télémaque: oltre la visione . . . . . . . . . . . . . . .
A. Mezzadri, Difficile paradoxe. Une analyse stylistique des œuvres devotes
de Fénelon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
M. Chevallier, Fénelon convertisseur . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
85
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149
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Note e testi
N. Pace, Orígenes, Sobre los principios. Osservazioni su una recente edizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Recensioni
R. Taft – S. Parenti, Storia della Liturgia di San Giovanni Crisostomo, vol. 2:
Il grande ingresso (A. Nicolotti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le figures de David à la Renaissance, edité par E. Boillet, S. Cavicchioli,
P.-A. Mellet, Genève, Droz, 2015 (C. Mazzarelli) . . . . . . . . . . . . . . . . .
L. Castelvetro, Lettere Rime Carmina, edizione critica e commentata
a cura di E. Garavelli, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2015
(M. Al Kalak) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
N. Balzamo – O. Christin – F. Flückiger, L’Atlas Marianus de Wilhelm
Gumppenberg. Édition et traduction, Neuchâtel, Éditions Alphil-Presses
Universitaires Suisses, 2015 (G. Alonge) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Pubblicazioni ricevute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Anno LII - 2016 - n. 1
Rivista di Storia e
Letteratura Religiosa
diretta da
G. Cracco, G. Dagron†, C. Ossola
F. A. Pennacchietti, M. Rosa, B. Stock
Leo S. Olschki Editore
Firenze
Comitato dei Referenti
Gérard Ferreyrolles (Université Paris-Sorbonne) – Giuseppe Ghiberti (Professore Emerito
della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale) – Paolo Grossi
(Professore Emerito dell’Università di Firenze) – Moshe Idel (Hebrew University, Jerusalem)
Francesco Margiotta Broglio (Professore Emerito dell’Università di Firenze)
Corrado Martone (Università di Torino) – Agostino Paravicini Bagliani
(Professeur Honoraire de l’Université de Lausanne) – Marco Pellegrini
(Università di Bergamo) – Michel Yves Perrin (École Pratique des Hautes Études, Paris)
Maria Cristina Pitassi (Université de Genève) – Victor Stoichita (Università di Friburgo)
Roberto Tottoli (Università degli Studi di Napoli L’Orientale)
Stefano Villani (University of Maryland) – Francesco Zambon (Università di Trento)
Gli articoli presi in considerazione per la pubblicazione saranno valutati in ‘doppio cieco’.
Sulla base delle indicazioni dei referees, l’autore può essere invitato a rivedere il proprio testo.
La decisione finale in merito alla pubblicazione spetta alla Direzione.
IL CULTO DEL PROFETA ELIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Nell’introduzione a I simboli cristiani: catechesi e Bibbia, Martine Dulaey affronta il problema della graduale ma costante diminuzione della
conoscenza della tradizione cristiana, e più in generale della Bibbia, da
parte della civiltà occidentale.1
Le prove di questo allontanamento dalle radici non solo cristiane ma
anche greco-romane della letteratura e dell’arte europea sono numerose.
Uno degli esempi forse più significativi è il caso del profeta Elia.
Scrive la Dulaey:
Coloro che si sono divertiti con Tre uomini in barca di Jerome K. Jerome
ricorderanno il ritratto che egli delinea del cane Montmorency, un fox terrier
dall’aria così angelica che il suo padrone in un primo tempo aveva pensato:
«Questo cane non vivrà! Sarà rapito nel cielo luminoso su un carro!», prima che
le sue malefatte lo convincessero che, «a conti fatti, lo lasceranno per qualche
tempo sulla terra»; aveva infatti ricevuto una dose di peccato originale doppia
del normale. Molti lettori avranno attribuito quella rif lessione al tipico umorismo inglese e saranno passati oltre, senza aver riconosciuto nel testo un’allusione al rapimento in cielo del profeta Elia sul carro di fuoco di Dio. E anche se
1 «La letteratura e l’arte europee affondano le radici sia nella Bibbia sia nel mondo
greco-romano e se dobbiamo riconoscere che l’antichità classica è poco conosciuta, la Bibbia e la tradizione cristiana lo sono ancora di meno. Eppure, la musica barocca suscita
l’entusiasmo di numerosi appassionati che spesso oggi dispongono del libretto dei canti
che ascoltano; i visitatori affollano musei e cattedrali, dove molti leggono con attenzione
le didascalie informative. Ma ne penetrano veramente il significato? Un giovane collega
in storia dell’arte mi raccontava che davanti a una Vergine con Bambino, i suoi studenti
vedevano solo «una donna con un bimbo in braccio». [...] Quando, nella galleria di pitture
religiose del Seicento francese al Louvre, leggo che Laurent La Hyre ha dipinto Labano che
rovista le tende di Giacobbe, anche ammettendo che l’episodio mi ricordi qualcosa, avrei
però capito anche la ragione che spinse l’artista a scegliere un tema che a prima vista mi
appare privo di interesse? Nel medioevo, e ancora nel secolo di Luigi XIV, in questo campo,
l’uomo della strada ne sapeva più di noi quando ascoltava la predica del parroco e guardava
le immagini della sua chiesa. Presto capiremo meno i testi medievali o classici dei miti bantù» (M. Dulaey, I simboli cristiani: catechesi e Bibbia, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo,
2004, pp. 7-8).
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qualche edizione scolastica lo spiega, c’è da temere che l’osservazione dell’umorista perda il suo gusto per il lettore che non ha viva in mente l’atmosfera
solenne della teofania dell’episodio biblico (2 Re 2), che forma un divertente
contrasto con quel briccone di cane che si diverte solo a scorrazzare per le
strade in dubbia compagnia.2
Le parole della studiosa f rancese credo illustrino perfettamente il
caso del fondatore dei Carmelitani: pur essendo uno dei profeti più
importanti dell’Antico Testamento, come testimoniano anche i numerosi passi dei Vangeli che a lui fanno riferimento, e nonostante la
sua presenza, insieme a Mosè, sul Monte Tabor durante la Trasfigurazione di Cristo, pare infatti che in Occidente, a differenza di ciò che
accade in Oriente, Elia non sia conosciuto tanto quanto sarebbe lecito
attendersi.3
Per comprendere le possibili cause delle differenze esistenti tra
Oriente ed Occidente, occorrerà innanzitutto ricostruire le dinamiche
legate alla nascita del culto di questo profeta veterotestamentario.
La particolare devozione nei confronti di Elia, come quella verso tutti i personaggi dell’Antico Testamento, trova uno dei suoi punti di forza
nei luoghi della Palestina che sono stati sede di manifestazioni divine o
di eventi fondamentali nella storia della Salvezza.
Tali siti sono stati a lungo meta di pellegrinaggio da parte di fedeli
che, in questo modo, desideravano accostarsi a determinati personaggi
2 Un caso simile, per certi aspetti, è in James Joyce, Gente di Dublino; l’ottavo racconto,
infatti, si intitola Una piccola nube, in riferimento alla nuvola in cui Elia, raccoltosi in preghiera sul Monte Carmelo, vide un segnale dell’imminente fine della siccità. Esattamente
come per il cane Montmorency, anche in questo caso se non vi fosse in nota una precisazione del traduttore che spiega il riferimento biblico sarebbe probabilmente molto difficoltoso individuare la corretta interpretazione del titolo del racconto (Dulaey, I simboli
cristiani, cit., p. 7; cfr. l’ed. J. Joyce, Gente di Dublino, a cura di D. Benati, Milano, Feltrinelli,
2013, pp. 62-77).
3 La vicenda di Elia è narrata principalmente nei Libri dei Re. Importanti riferimenti
al profeta sono presenti però anche nel Libro del Siracide (Sir 48, 1-11), nel primo Libro
dei Maccabei (I Mac 2, 50-52, 58), nel secondo Libro delle Cronache (II Cr 21, 12-15) e nel
Libro di Malachia (Ml 3, 23-24). Numerose sono le citazioni anche all’interno del Nuovo
Testamento in cui Elia viene non solo sovente accostato a Giovanni Battista (Lc 1, 13-17; Gv
1, 19-27; Mt 11, 7-15; Mc 9, 11-13; Lc 9, 7-9), ma perfino citato direttamente da Cristo come
esempio di profeta inascoltato in patria (Lc 4, 16-27). Elia viene inoltre nominato anche durante la Crocifissione (Mt 27, 46-49) ed è fisicamente presente durante la Trasfigurazione di
Cristo (Mt 17, 1-9). Citato infine nella Lettera di Giovanni (Gc 5, 16-18), il profeta compare
anche in alcuni testi apocrifi apocalittici. Cfr. Apocalisse di Elia, a cura di C. Gianotto, in Apocrifi dell’Antico Testamento, a cura di P. Sacchi, vol. III, Brescia, Paideia Editrice, 1999; Apocrifi
del Nuovo Testamento, a cura di L. Moraldi, III, Casale Monferrato, Piemme, 1994; I Vangeli
apocrifi, a cura di M. Craveri, Torino, Einaudi Tascabili, 1990.
IL CULTO DEL PROFETA ELIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
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ed eventi dell’Antico Testamento o, più semplicemente, pregare in un
luogo significativo per la propria fede.4
Il punto di origine del culto di Elia può essere considerato il Monte
Carmelo.
In questo luogo, infatti, il profeta non solo si scontrò con i profeti
di Baal e ricevette l’annuncio della fine della siccità ma, stando ad una
controversa tradizione sostenuta dai Carmelitani, visse e fondò l’Ordine
della Beata Vergine del Monte Carmelo.5
A dimostrazione della centralità di questo sito per il culto di Elia troviamo una serie di leggende che, oltre a mettere in relazione la grotta ove
4 Dom B. Botte, Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne, in Élie le prophèt, Bruges, Presses
Saint-Augustin pour les Éditions Desclée De Brouwer, 1956, pp. 208-209.
5 Gli studiosi sono concordi nel ritenere che il Monte Carmelo sia stato, ben prima
della fondazione dei Carmelitani, un luogo di culto di grande importanza. I primi abitanti
a stabilirsi in questo sito furono i Fenici: lo testimoniano da un lato i resti archeologici delle
città nei pressi del Carmelo e, dall’altra, la denominazione stessa del monte (‘promontorio del santuario’) così come appare nell’elenco dei territori conquistati da Thutmosi III.
Nel Periplo dello Pseuso-Skylax, testo risalente alla fine del IV secolo a.C., si afferma che il
Carmelo è una montagna sacra a Zeus. Tacito sostiene che sul Carmelo vi sia un luogo di
culto dedicato ad una divinità omonima e, in aggiunta, riporta la notizia, confermata anche
da Svetonio, secondo la quale Vespasiano si sarebbe recato su questo monte per offrire un
sacrificio e consultare il dio riguardo al suo futuro. Il ritrovamento di un piede votivo, databile al II-III secolo d.C., ha confermato la presenza di un centro di culto dove si adorava
probabilmente Baal con il nome di Zeus del Carmelo (l’incisione sul basamento del piede
recita infatti «A Zeus Eliopolitano del Carmelo da Gaio Giulio Eutico, colono di Cesarea»).
Il filosofo del IV secolo d.C., Giamblico ricorda infine la leggenda secondo la quale anche
Pitagora si sarebbe ritirato per un certo periodo in solitudine sul Carmelo. Secondo le tradizioni carmelitane più antiche Elia, dopo aver scelto Eliseo come suo successore, si sarebbe
stabilito in questi medesimi luoghi insieme ai suoi seguaci esortandoli non solo a rispettare
i voti di castità, povertà ed obbedienza ma anche a vivere in solitudine nelle grotte della
montagna (le incisioni dello Speculum Carmelitanum mostrano il profeta intento a radunare i
suoi discepoli sul Monte Carmelo e, successivamente, a costruire un oratorio). Nonostante
siano giunte testimonianze storicamente attendibili che collocano sulle pendici del monte
alcuni monasteri bizantini (riconducibili al movimento monastico palestinese sviluppatosi
tra il IV e il VII secolo e andati distrutti durante l’invasione di Cosroe II), non esiste alcuna
prova che essi siano riconducibili direttamente ad Elia a cui non può essere attribuita la fondazione né di un ordine religioso né di una comunità monastica. La nascita dei Carmelitani
dovrà essere dunque collocata nel corso del XII secolo quando alcuni laici decisero di vivere
insieme, in preghiera e penitenza, nei luoghi che avevano visto operare il profeta Elia e che,
successivamente, erano divenuti sede di una lunga tradizione monastica (R. Fornara, Il
Monte Carmelo nella Bibbia, in Il Carmelo in Terra Santa dalle origini ai giorni nostri, a cura di
S. Giordano, Genova, Sagep Editrice, 1994, p. 13; E. Friedman, I primi Carmelitani del Monte
Carmelo, Roma, Edizioni O.C.D., 1987, pp. 85-89, 135-139, 159-162; D. Baldi, Carmelo, in
Enciclopedia cattolica, Città del Vaticano, Roma, Ente per l’enciclopedia cattolica e per il libro
cattolico, 1949, pp. 899-900; J. Briend, Il Carmelo, montagna sacra, «Il mondo della Bibbia.
Rivista bimestrale internazionale», VIII, 1991, pp. 12-13; S. Giordano, Gli eremiti del Monte
Carmelo, in Il Carmelo in Terra Santa dalle origini ai giorni nostri, cit., pp. 55-56).
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avrebbe vissuto con la storia di Maria e della Sacra Famiglia, richiamano
il ruolo centrale ricoperto dal profeta anche nell’Ebraismo 6 e nell’Islam.7
6 Gli elementi leggendari e le rif lessioni teologiche con cui, nel corso del tempo, la narrazione veterotestamentaria della vita del profeta è stata ampliata ed approfondita costituiscono forse la prova più evidente dell’importanza di cui Elia gode nella religione ebraica. A
titolo esemplificativo si possono riportare tre differenti tradizioni: in base alla prima la cintura
di Elia sarebbe stata ricavata dalla pelle del capro immolato da Abramo in sostituzione del
figlio Isacco, mentre stando alla seconda (fortemente criticata negli Acta Sanctorum a causa di
discrepanze cronologiche) Giona e il figlio della vedova di Sarepta (la cui resurrezione, nella
letteratura rabbinica, costituisce una prova della resurrezione dei morti) sarebbero in realtà
la medesima persona. Una terza tradizione, piuttosto rara, fa riferimento infine a uno degli
affreschi che ornano la sinagoga di Dura Europos. Si narra, infatti, che i sacerdoti di Baal, ben
consapevoli che la loro preghiera non sarebbe stata esaudita, si fossero accordati con Chiel
affinché si nascondesse sotto il loro altare, posto accanto a quello di Elia sul monte Carmelo,
per dare fuoco alla legna al momento opportuno. Tale astuzia non portò tuttavia all’esito sperato: come appare nella raffigurazione presente nel tempio. Chiel sarebbe stato infatti ucciso
da un serpente inviato da Dio provocando il fallimento del piano dei falsi profeti. Il tema che
pare interessare però maggiormente i commentatori è la misteriosa sparizione di Elia. Nonostante la consuetudine preveda che il profeta sia stato portato in cielo con il suo corpo, non
sono mancate infatti le perplessità circa la reale possibilità che un essere umano potesse essere
sorretto dall’aria. Alcuni studiosi hanno dunque ipotizzato che in realtà il profeta, nel turbine
che lo ha avvolto, abbia abbandonato il corpo materiale per assumerne uno luminoso. Altri,
invece, si sono spinti ad affermare che egli fosse un angelo disceso sulla Terra (tesi confutata
da Sant’Epifanio), o che sia stato semplicemente nascosto e che continui a vivere in un luogo
misterioso. Si narra che in cielo Elia si occupi di scrivere in un libro le azioni degli uomini
buoni, di portare in Paradiso le anime dei giusti e di intercedere per Israele (invia a Ioram una
lettera, il cui testo è riportato nel secondo Libro delle Cronache, per biasimare il suo comportamento e, secondo una particolare consuetudine, sarebbe intervenuto a favore degli Ebrei
quando vengono condannati a morte da Aman). La tradizione ebraica vede in lui non solo un
amico dei saggi e degli studiosi della Torah, ma anche un protettore dei poveri, degli umili e,
in generale, di tutti coloro che si trovano in difficoltà. A queste persone il profeta può apparire
sotto varie forme, in sogno o nella realtà, al fine di trasmettere la propria sapienza e portare
aiuto, consiglio o la guarigione dalle malattie. Il ricordo di Elia è così forte presso gli Ebrei che,
durante la cerimonia della circoncisione, si riserva a lui una sedia per invocare la sua presenza
in quanto “garante” del patto di Alleanza a cui il bambino, con tale rito, aderisce. Durante la
cena di Pasqua, similmente, oltre ad aprire le porte per permettere al profeta di entrare in casa,
viene lasciata per lui una coppa di vino con cui si vuole commemorare la liberazione dall’Egitto e, contemporaneamente, anticipare la futura salvezza che giungerà con il Messia (cfr.
M.-J. Stiassny, Le prophète Élie dans le Judaïsme, in Élie le prophète, Bruges, Presses Saint-Augustin
pour les Éditions Desclée De Brouwer, 1956, pp. 205, 207, 210, 212-213, 215-250; J. Briend, Il ciclo di Elia a Dura Europos, «Il mondo della Bibbia. Rivista bimestrale internazionale», VIII, 1991,
p. 11; A.M. Di Nola, Elia, in Enciclopedia delle religioni, Firenze, Vallecchi, 1970, pp. 1137-1139;
J. Van Seters, Elia, in Enciclopedia delle religioni - Ebraismo, Milano, Città Nuova-Jaca Book, 2003,
p. 221; J. Bapt. Sollerius – J. Pinius – G. Cuperus – P. Boschio, Acta Sanctorum Iulii, V, Anversa,
1727, pp. 13, 21; A. Guigui, Le prophète Élie dans la liturgie juive, in Élie le prophète, Bible, Tradition,
Iconographie: Colloques des 10 et 11 novembre 1985 Bruxelles, a cura di G.F. Willems (Pubblication
de l’Institum Judaicum), Leuven, Éditions Peeters, 1988, pp. 118-119; M. Bocian, Grande dizionario illustrato dei personaggi biblici, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 1991, pp. 155-158;
I. Zwi Kanner, Fiabe ebraiche, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1991, pp. 98-101, 173-174,
181-182, 186-188, 198-200; L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, II, Milano, Adelphi, 1997, p. 100;
P. Roland De Vaux, Le cycle d’Élie dans le Livres des Rois, in Élie le prophète, Bruges, Presses SaintAugustin pour les Éditions Desclée De Brouwer, 1956, pp. 56-57.
IL CULTO DEL PROFETA ELIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
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7A titolo esemplificativo si può ricordare la tradizione secondo la qua-
le Maria si sarebbe recata in questo luogo per ben due volte: la prima, in
età infantile, accompagnata da Gioacchino ed Anna; la seconda, durante
il viaggio di ritorno dall’Egitto, con Giuseppe e Gesù Bambino insieme
ai quali avrebbe sostato all’interno della grotta che un tempo fu la cella
di Elia.8
7 Nel Corano Ilyās viene citato in due sure: nella prima il suo nome compare all’interno di un elenco di profeti comprendente anche Zaccaria, Giovanni Battista e Gesù (sura
6, 85-86); nella seconda vengono invece ricordate le parole che il profeta avrebbe rivolto al
popolo nel tentativo di convincerlo ad abbandonare il culto del dio Baal (sura 37, 123-130).
Al fine di meglio interpretare e contestualizzare queste sure, i commentatori hanno di volta
in volta rievocato i vari episodi della vita di Elia: dalla carestia all’invocazione della pioggia,
dal confronto con i profeti di Baal all’omicidio di Nabot, dalla scelta come suo successore di
Eliseo (confuso talora con il figlio della vedova di Sarepta) al rapimento in cielo su un carro
di fuoco (durante il quale il profeta sarebbe stato tramutato in un essere per metà umano e
per metà angelico). Molti sono anche coloro che associano ad Elia la figura di Al-Khadir (o
Al-Khidr) il Verdeggiante che Mosè, come si legge nel Corano (sura 18, 59-82), incontrò durante un viaggio e da cui ricevette il privilegio di essere istruito. La storia dell’incontro tra
il legislatore del popolo ebraico e questo misterioso personaggio, conoscitore della scienza
segreta di Dio, mostra numerose analogie con la narrazione delle prove imposte a rabbi Joshua Ben Levi da Elia, ed è proprio sulla base di queste similitudini che, secondo i commentatori, Al-Khadir dovrebbe essere identificato con il profeta biblico (cfr. A.J. Wensinck, Ilyās,
in Enciclopédie de l’Islam, III, Leyde, E. J. Brill, 1971, p. 1184; Di Nola, Elia, cit., pp. 1140-1141;
R. Arnaldez, Elia nelle tradizioni musulmane, in Il mondo della Bibbia, Parigi, Bayard-Presse,
1991, p. 39; Mirkond, La Bibbia vista dall’Islam: Rawzat-us-Safa ovvero Il giardino della purezza,
Milano, Luni Editrice, 1996, pp. 162-168; A.J. Wensinck, Al-Khadir, in Enciclopédie de l’Islam,
IV, Leyde, E.J. Brill, 1978, pp. 935-936; Stiassny, Le prophète Élie, cit., pp. 231-232; Bocian,
Grande dizionario, cit., pp. 158-159; E. Wiessel, Le storie dei saggi. I maestri della Bibbia, del
Talmud e del Chassidismo, Milano, Garzanti, 2006, pp. 266-284).
8 Secondo numerosi autori e viaggiatori (tra i quali Giovanni Phocas e Willibrand di
Oldenburg) la Sacra Famiglia avrebbe sostato nella grotta in cui Elia avrebbe vissuto e ove
egli avrebbe radunato i suoi discepoli per pregare insieme e per istruirli. Una leggenda narra
che il profeta fosse solito lasciare la sua grotta per passeggiare lungo la montagna e pregare:
in una di queste occasioni Elia, passando in un campo di meloni, avrebbe chiesto al proprietario di poterne assaggiare uno. Di fronte al rifiuto dell’uomo il profeta, adirato, avrebbe
quindi lanciato una maledizione trasformando i frutti in pietra. Da tale leggenda derivano
non solo i nomi attribuiti a questo terreno (‘campo della maledizione’, ‘giardino di Elia’,
‘campo dei meloni’), ma anche il particolare interesse da parte di pellegrini e visitatori nei
confronti delle rocce sferiche visibili sulle pendici del monte Carmelo (era opinione diffusa
che, qualora aperte, emettessero profumo e pare che alcune di esse furono frantumate da
viaggiatori musulmani nella speranza di trovarvi all’interno tesori). Possibile luogo di incontro tra la Sunamita ed Eliseo, la grotta di Elia, secondo una tradizione ebraica, sarebbe
divenuta il rifugio anche di Gesù che, nel tentativo di sfuggire a Yehudah il Giardiniere,
ne avrebbe ostruito l’accesso con una formula magica. Nonostante questa precauzione il
rabbino fece comunque il suo ingresso nell’antro ma non riuscì a catturare Gesù che, tramutatosi in gallo, ne uscì volando. Le fonti analizzate rimandano, per queste tradizioni e
leggende, a due testi: lo Speculum fratum ordinis beatae Mariae de Monte Carmelo di Jean de
Cheminot, e il Compendium historicum de statu antiquo et moderno sancti Montis Carmeli di
Giambattista di Sant’Alessio (cfr. R. Fornara, Elia, Eliseo e il Monte Carmelo, in Il Carmelo in
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Ritornata infine a Nazareth, Maria avrebbe perfino fondato, forse nei
pressi proprio del monte Carmelo, un monastero femminile nel quale
avrebbe vissuto, osservando la regola di Elia, insieme a centocinquanta
religiose tra cui Marta, Maria di Magdala e Marcella.9
Queste ultime, sempre secondo la tradizione, si sarebbero successivamente trasferite in Provenza per dedicarsi all’evangelizzazione mentre
altre religiose, rimaste nei pressi del Carmelo, avrebbero aiutato Sant’Elena nella ricerca della Vera Croce ottenendo, come ricompensa, la fondazione di un monastero sul Monte Calvario.10
I siti ricollegabili al profeta Elia, anche tralasciando le leggende e le
fonti storicamente non verificabili, sono comunque numerosi.
L’Itinerarium Burdigalense permette di individuarne alcuni tra i quali
occorre menzionare, oltre al già citato Monte Carmelo, Sarepta, la montagna della Trasfigurazione, la collina dalla quale il profeta fu rapito in
cielo, la valle del Giordano e la zona in cui il profeta risiedette al tempo
del re Achab.11
In prossimità di alcune di queste mete di pellegrinaggio è documentata infine la presenza di celebri santuari: tra i più noti si ricordano quello
Terra Santa dalle origini ai giorni nostri, a cura di S. Giordano, Genova, Sagep Editrice, 1994,
p. 19; E. Friedman, Leggende cristiane sul Monte Carmelo, in Il Carmelo in Terra Santa dalle origini ai giorni nostri, cit., pp. 121, 123; Id., I primi Carmelitani del Monte Carmelo, cit., pp. 27-31,
127; T. Brandsma, Carmes, in Dictionnaire de spiritualité. Ascétique et mystique, doctrine et histoire, II, Parigi, Beauchesne, 1953, p. 166; S. Giordano, La Tradizione Eliana, in Il Carmelo in Terra Santa dalle origini ai giorni nostri, cit., p. 35; Zwi Kanner, Fiabe ebraiche, cit., pp. 100-101.
9 Friedman, I primi Carmelitani del Monte Carmelo, cit., p. 130.
10 Maria, che «chiamava i Carmelitani Fratelli», non fu però la sola ad accostarsi alla
spiritualità dell’ordine fondato da Elia. La tradizione, ricordata dal Mâle, narra infatti che
anche uno dei pretendenti di Maria, di nome Agabus, sarebbe entrato nell’ordine e avrebbe
costruito sul monte Carmelo una chiesa in onore della Vergine al cui interno avrebbe collocato il ritratto eseguito da San Luca. Perfino San Giovanni Battista «era uno di loro» e «la sua
parola e il suo esempio conferirono all’ordine del Carmelo una nuova vita. Alla sua morte,
continua il Mâle, «questi Carmelitani dell’epoca apostolica si fecero discepoli di Gesù Cristo, e l’indomani della Pentecoste di unirono agli apostoli» (É. Mâle, L’arte religiosa nel 600:
Italia, Francia, Spagna, Fiandra, Milano, Arti Grafiche Leva S.S. Giovanni, 1984, p. 375).
11 Una menzione particolare deve essere riservata al monastero greco-ortodosso di
Sant’Elia, ubicato nei pressi di Gerusalemme, nelle cui vicinanze viene segnalata la presenza di una roccia sulla quale sarebbe rimasta miracolosamente impressa l’immagine del
corpo del profeta. La tradizione narra infatti che Elia, forse fuggendo dalla collera di Jezabel
dopo il sacrificio sul monte Carmelo, si sia fermato in questo luogo per riposare lasciando
un segno indelebile su un masso. L’eccessiva devozione dei fedeli, soliti asportare un frammento della roccia come ricordo del pellegrinaggio al monastero, avrebbe reso necessario
effettuare un intervento di ricostruzione della miracolosa scultura. Dom Botte, Le culte
d’Élie dans l’Église chrétienne, cit., pp. 210-211; Stiassny, Le prophète Élie, cit., p. 209; Sollerius –
Pinius – Cuperus – Boschio, Acta Sanctorum Iulii, cit., p. 7.
IL CULTO DEL PROFETA ELIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
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sul monte Horeb (citato da Eteria alla fine del IV secolo) 12 e quello di
Sarepta ove i fedeli, come testimoniano San Girolamo e San Gregorio di
Nazianzo, si recavano numerosi per richiedere l’intervento del profeta
considerato taumaturgo per aver resuscitato il figlio della vedova.13
Dalla Palestina, luogo di nascita e di iniziale sviluppo, il culto di Elia
si espanse molto presto anche in altri Paesi.
Ne sono testimonianza non solo la diffusione delle celebrazioni in
suo onore, attestate in date differenti sia nei Patriarcati di Alessandria ed
Antiochia sia in varie Chiese Orientali,14 ma anche alcune iscrizioni che
indicano la presenza di fedeli devoti al profeta nella provincia d’Arabia e
ad Ezra, in Siria, dove nel 542 risulta edificata una chiesa a lui intitolata.15
Contemporaneamente anche a Costantinopoli iniziarono ad emergere i primi segni di una crescente devozione nei confronti di Elia: nel V
secolo, secondo una tradizione riportata negli Acta Sanctorum, l’imperatore Zenone,16 forse insieme alla regina Ariadne, avrebbe infatti stabilito
di far erigere il Petrion come forma di ringraziamento per il profeta che
era apparso ai suoi soldati di ritorno dalla Persia.17
12 Eteria (o Egeria) è una religiosa aquitana, forse parente di Teodosio I il Grande, che
intraprese un lungo pellegrinaggio dalla Galizia al Sinai fino a giungere a Costantinopoli.
Dom Botte, Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne, cit., p. 210.
13 San Girolamo, narrando il suo viaggio in Palestina, descrive Santa Paola mentre
entra per pregare nella torre della vedova a Sarepta. Da altre fonti veniamo a conoscenza
del fatto che, in virtù dei numerosi miracoli verificatisi, i fedeli erano soliti depositare in
questo luogo numerose offerte (Dom Botte, Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne, cit., p. 210;
Sollerius – Pinius – Cuperus – Boschio, Acta Sanctorum Iulii, cit., p. 6).
14 Il fatto che, nelle varie Chiese, Elia venga ricordato in giorni differenti ha indotto gli studiosi a ipotizzare che queste celebrazioni in onore del profeta, seppur nate dal
medesimo sentimento di devozione, fossero indipendenti. Sembra pertanto da escludere
l’ipotesi che si debba invece fare riferimento ad una festività nata in una specifica Chiesa e,
successivamente, diffusasi nelle altre (cfr. Dom Botte, Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne,
cit., pp. 212-213; M. Hayek, Élie dans la tradition syriaque, in Élie le prophète, Bruges, Presses
Saint-Augustin pour les Éditions Desclée De Brouwer, 1956, pp. 159-160).
15 Dom Botte, Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne, cit., p. 211.
16 Capo del popolo degli Isauri, Tarasicodissa sposò nel 466 Ariadne, figlia dell’imperatore Leone I, assumendo il nome greco di Zenone. Alla morte del sovrano, nel 474, salì al
trono il nipote Leone II, figlio di Ariadne e Zenone il quale assunse però la reggenza vista
la giovane età del ragazzo. Morto Leone II, gli succedette Zenone che regnò dal 474 al 491,
anche se dal 475 al 476 una congiura pose sul trono Basilisco il quale riuscì però solo momentaneamente ad allontanare il legittimo sovrano. Durante il suo regno Zenone dovette
spesso sedare rivolte e lotte interne, oltre ad affrontare, nel 476, le conseguenze della caduta
dell’Impero Romano d’Occidente (cfr. G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino,
Einaudi, 1993, pp. 53-56; G. Ravegnani, Introduzione alla storia bizantina, Bologna, il Mulino,
2006, pp. 33-37).
17 Sembra che un luogo di culto dedicato ad Elia fosse presente a Costantinopoli anche
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DAVIDE FERRARIS
Nel IX secolo questo santuario, ormai in rovina, sarebbe stato restaurato da Basilio I il Macedone 18 a cui spetterebbe anche il merito di
aver fatto edificare non solo due chiese dedicate al profeta in città (una
nel quartiere di Mangani, l’altra intitolata anche al nome del Salvatore
e a San Michele), ma addirittura una cappella all’interno della reggia.19
Stando a Costantino VII Porfirogenito,20 la causa di questa particolare devozione dell’imperatore sarebbe da ricercarsi nell’apparizione che
Elia avrebbe fatto in sogno alla madre del sovrano per esortarla ad inviaprima dell’avvento di Zenone. Lo dimostrerebbe il fatto che Eusebio sottoscrisse i canoni
del Concilio di Calcedonia in qualità di presbitero ed archimandrita del monastero di Elia.
Anche il Concilio di Costantinopoli fu sottoscritto da Silas con il titolo di abate del monastero di Elia. La data della festa del profeta a Costantinopoli era fissata al 20 luglio (Dom Botte,
Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne, cit., pp. 211, 226; Sollerius – Pinius – Cuperus – Boschio, Acta Sanctorum Iulii, cit., p. 7).
18 Nato nei pressi di Adrianopoli da una famiglia di umili origini, il futuro Basilio I vide
iniziare a mutare la sua condizione sociale nel momento in cui riuscì ad entrare al servizio
di un parente del sovrano Michele III che lo portò con sé nel Peloponneso. Giunto successivamente a Costantinopoli riuscì a farsi notare, grazie alla sua notevole forza, proprio dal
sovrano che gli consentì di entrare a far parte della sua corte in qualità di scudiero. Con
il trascorrere del tempo l’approvazione e la predilezione di Michele III nei suoi confronti
continuarono a crescere fino a quando, nell’856, il sovrano decise di affidargli un importante incarico alimentando però in tal modo la forte rivalità esistente tra Basilio e Barda. Lo
scontro che ne seguì si concluse con la morte di Barda per mano di Basilio a cui, nell’866,
il sovrano offrì la corona di co-imperatore. A partire già dall’anno seguente i rapporti tra il
sovrano e il suo prediletto iniziarono però a deteriorarsi: nell’867, postosi a capo di una congiura, Basilio uccise Michele III divenendo così l’unico imperatore. Durante il suo regno,
che ebbe come termini l’867 e l’886 e che diede inizio alla cosiddetta dinastia macedone,
Basilio mostrò di possedere notevoli capacità di governo. Si occupò infatti non solo dei
contrasti religiosi, destituendo il patriarca Fozio e reintegrando Ignazio, ma riordinò anche
le finanze e promosse la revisione del diritto. In politica estera rafforzò la sua autorità nell’Italia meridionale e, in Oriente, difese l’impero dagli arabi (Ostrogorsky, Storia dell’impero
bizantino, cit., pp. 211-219; Ravegnani, Introduzione, cit., pp. 94-98).
19 Il Sinassario Costantinopolitano segnala la dedicazione di una chiesa in onore del profeta anche nel monastero di Batyriax (Dom Botte, Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne, cit.,
p. 212; G.M. Fornari, Anno memorabile de Carmelitani nel quale a giorno per giorno si rappresentano le vite, l’opere, e i miracoli di S. Elia profeta loro patriarca e di tutti li santi, e sante, beati, e
venerabili eroi del suo sacro ordine, II, Milano, Per Carmelo Federico Gagliardi, 1688, pp. 217219; Sollerius – Pinius – Cuperus – Boschio, Acta Sanctorum Iulii, cit., pp. 7-8).
20 Il regno di Costantino VII Porfirogenito ufficialmente ebbe inizio nel 913 e si concluse nel 959 ma, in realtà, egli governò solamente a partire dal 945 poiché negli anni precedenti il potere fu saldamente controllato prima dello zio Alessandro, poi della madre Zoe
e, infine, del suocero Romano I Lecapeno. D’altra parte più che al governo dell’impero,
Costantino VII preferì dedicarsi allo studio e alla composizione di varie opere letterarie
tra cui si ricorda proprio la biografia di Basilio I in cui l’autore cerca di esaltare la figura
dell’antenato forse nel tentativo di nascondere gli aspetti più oscuri della sua ascesa al trono
(Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, cit., pp. 231-246; Ravegnani, Introduzione, cit.,
pp. 100-106).
IL CULTO DEL PROFETA ELIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
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re il figlio a Costantinopoli in modo che potesse compiere il suo destino
e porsi a guida dell’impero.21
Pare che Basilio riconducesse ad Elia tutte le sue vittorie e nutrisse
una grande fiducia nella sua protezione: la tradizione, riportata ancora
una volta negli Acta Sanctorum, vuole che nel tesoro imperiale fosse custodito non solo il mantello del profeta, ma anche un dipinto raffigurante l’imperatore, incoronato da San Gabriele, mentre regge nella mano
sinistra un globo e nella destra, insieme ad Elia, il labaro.22
Prova inconfutabile della grande diffusione del culto di Elia in Oriente è l’elevato numero di chiese edificate in suo onore: se pare accertata,
ad esempio, l’esistenza a Costantinopoli nel X secolo di una chiesa dedicata al profeta e riservata ai mercenari della Guardia Variaga arruolati
nell’esercito imperiale, è opinione diffusa che la prima chiesa cristiana su
suolo russo fosse intitolata proprio ad Elia.
Tra i soldati del principe Igor 23 è stata infatti dimostrata la presenza
di soldati mercenari che, pur essendo a contatto con popolazioni locali,
non rinunciarono ai propri costumi tradizionali e alla propria religione costruendo a Kiev una cattedrale, dedicata appunto ad Elia, in cui si
firmavano i trattati, si celebravano cerimonie ufficiali e si effettuavano
preghiere pubbliche secondo un cerimoniale stabilito.24
Nel momento in cui il principe Vladimir I impose il Cristianesimo
come religione di Stato, il culto di Elia era dunque ormai già fortemente radicato presso la popolazione grazie alla presenza di questi soldati
mercenari che avevano importato la devozione al profeta dell’Antico
Testamento.25
21 Dom Botte, Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne, cit., p. 212; Sollerus – Pinius – Cuperus – Boschio, Acta Sanctorum Iulii, cit., p. 7.
22 Il dipinto, sempre secondo gli Acta Sanctorum, recava l’iscrizione ‘O AΓΙΟC ΗΛΙΑC
BACIΛEIOC ΔECΠOTHC APXICTPATHΓOC ΓABPIΗΛ’ (Sollerius – Pinius – Cuperus –
Boschio, Acta Sanctorum Iulii, cit., p. 7).
23 Igor, figlio di Rjurik e gran principe di Kiev dal 912, è ricordato per aver combattuto
sia contro i Peceneghi, popolazione della steppa orientale, sia contro Bisanzio con cui stipulò, nel 945, un trattato commerciale (Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, cit., p. 244;
Ravegnani, Introduzione, cit., p. 103).
24 Secondo Goloubinsky questa cattedrale sarebbe figlia della chiesa di Costantinopoli
fatta edificare dall’imperatore Zenone ed in seguito ricostruita sotto Basilio il Macedone sul
Corno d’Oro (cfr. T. Spasky, Le culte du prophète Élie et sa figure dans la tradition orientale, in
Élie le prophèt, Bruges, Presses Saint-Augustin pour les Éditions Desclée De Brouwer, 1956,
pp. 226-227).
25 Vladimir I Sviatoslavič, detto il Santo o il Grande, è figlio di Sviatoslav, principe di
Novgorod, e, dal 980 al 1015, fu gran principe di Kiev. Detronizzato il fratello maggiore
Jaropolk I, nel 980, estese la sua autorità su tutti i territori del principato di Kiev. Sostenitore
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DAVIDE FERRARIS
A causa delle invasioni delle popolazioni nomadi, la sede principale
della religione cristiana fu successivamente trasferita a Novgorod ove
alla tradizione di Kiev, recepita interamente, fu data continuità.26
In questa città del nord, risparmiata dalle incursioni, la prima chiesa
dedicata ad Elia risale al 1105: seguono, per fare solo qualche esempio,
la chiesa di Sant’Elia sulla Collina (nel 1198), un convento dedicato al
profeta (nel 1416) e, infine, una chiesa a Pskov, nei pressi di Novgorod,
eretta nel XV secolo.27
Se in alcuni casi il Cristianesimo in Russia riuscì a soppiantare completamente le religioni precedenti, in altri andò incontro invece ad un
processo di sincretismo con i culti tradizionali.
A tal proposito è interessante ricordare l’ipotesi secondo la quale il
culto di Elia, soprattutto in determinati territori, sarebbe andato a sovrapporsi a quello di Perun, dio del tuono e dei fulmini.28
del paganesimo russo-slavo, fece costruire numerosi idoli di divinità come Perun e Chors
benché in seguito fu costretto a modificare le sue convinzioni religiose. Il matrimonio con
Anna Porfirogenita, sorella dell’imperatore Basilio II, lo portò infatti a legarsi politicamente
a Costantinopoli e ciò favorì la conversione sua e del suo popolo al cristianesimo di rito ortodosso. La conseguente distruzione di templi e statue di divinità pagane non sembrò però
portare risultati completamente positivi come dimostra la sopravvivenza, almeno in alcuni
casi, di culti politeistici accanto alle nuove credenze cristiane. Il fatto che la conversione del
popolo, avvenuta attraverso un battesimo di massa nelle acque del vicino fiume, sia stata
effettuata con la forza non pare aver d’altro canto agevolato il processo di cristianizzazione
del Paese (Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, cit., p. 264; Ravegnani, Introduzione,
cit., p. 113; I. Dujčev, Vladimiro, in Bibliotheca Sanctorum, XII, Grottaferrata di Roma, Istituto
Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Tipografia Mariapoli di Città Nuova Editrice, 1970, pp. 1323-1329).
26 Spasky, Le culte du prophète Élie, cit., p. 227.
27 Nel 1169 le fonti ricordano l’esistenza a Novgorod di una via Sant’Elia. Non vi è
accordo, tuttavia, se tale intitolazione debba ricollegarsi ad una chiesa, dedicata al profeta,
che allora si stava costruendo o al nome del principe Elia Jaroslavič che governò Novgorod
nell’XI secolo. Il padre del principe Elia era Jaroslav I Vladimirovič il Saggio, gran principe
di Kiev, che aveva ricevuto a sua volta dal padre, Vladimir Svjatoslavič il Santo, Rostov e
Novgorod e che, dopo aver cacciato il fratello maggiore Sviatopolk I, si era impossessato
del trono di Kiev. Successivamente egli era riuscito a stringere legami con Bisanzio e con
l’Occidente dando in sposa la figlia Anna al re di Francia Enrico I. Nell’XI secolo aveva fondato, sul fiume Volga, la città di Jaroslavl’ in cui si trova una chiesa dedicata a Elia risalente
al XVII secolo. Nel XV secolo si ricordano anche la fondazione di un convento intitolato a
Sant’Elia nei pressi di Mosca, che stava divenendo il principale centro religioso, e di un monastero in Moldavia per volontà di Stefano il Grande (L. Réau, Iconographie de l’art chretienne,
II, Paris, Presse Universitaires de France, 1958, p. 414; Spasky, Le culte du prophète Élie, cit.,
pp. 227-228; L. Réau, L’iconographie du prophète Élie, in Élie le prophète, Bruges, Presses SaintAugustin pour les Éditions Desclée De Brouwer, 1956, p. 239.
28 Nella mitologia slava Perun è il dio del fulmine, della tempesta e del tuono. Nella
Russia precristiana era a capo di tutti gli dei e si riteneva che risiedesse nella quercia, albero
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A sostegno di questa teoria vi sarebbe non solo l’epiteto ‘il tonante’,
con cui i fedeli erano soliti rivolgersi al profeta, ma anche il fatto che
alla sua attività venivano ricollegate le piogge e la siccità: il tuono stesso,
secondo la tradizione, sarebbe il rumore prodotto dalle ruote del carro
di Elia a cui i fedeli chiedevano di intercedere presso Dio per il lavoro nei
campi.29
Ancora oggi il profeta Elia è ricordato con particolare devozione nella liturgia ortodossa.
La sua memoria, che risulta associata anche alla celebrazione
dell’Eucarestia e della festa della Sinassi degli Archistrateghi Michele e
Gabriele,30 viene onorata, insieme a quella di Eliseo, il 20 luglio (giorno
della sua ascensione sul carro di fuoco), oppure, sulla base del calendario
giuliano, il 2 agosto.31
La figura del fondatore dei Carmelitani, oltre che in queste occasioni, è onorata inoltre nelle omelie, negli inni liturgici e, naturalmente,
nelle iconostasi.32
a lui sacro. È opinioni diffusa che, almeno a Kiev e Novgorod, il culto di Perun sia stato
accostato a quello di Thor grazie anche alle somiglianze tra le due divinità. Le critiche
avanzate da alcuni autori ecclesiastici testimoniano come il processo di cristianizzazione di
questi territori non sia riuscito a sradicare completamente il culto per questa divinità (a cui
viene fatto corrispondere con certezza il dio supremo delle popolazioni baltiche Perkunas).
Cfr. V. Pisani, Le religioni precristiane degli Slavi, dei Balti e dei Celti, in Storia delle religioni, II,
Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1971, pp. 382-384; K. Sass, Perun, in Grande
dizionario delle religioni, II, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 1988, pp. 1611-1612.
29 Réau, Iconographie de l’art chretienne, cit., pp. 348-349; A. Tradigo, Icone di santi
d’Oriente, Milano, Mondadori Electa, 2004, pp. 81-85; Pisani, Le religioni precristiane, cit.,
pp. 382-384; Sass, Perun, cit., pp. 1611-1612.
30 In questa occasione vengono commemorati tutti gli angeli e, in particolare, l’arcangelo Gabriele e l’arcangelo Michele che, come Elia, interviene con le sue apparizioni nella
vita degli uomini in qualità di strumento della giustizia divina (G. Gharib, Icone di santi:
storia e culto, Roma, Città Nuova Editrice, 1990, pp. 94-99).
31 La fusione delle feste dei due santi, documentata nella tradizione orientale ancora
nel VIII secolo, non dipende solamente dal testo biblico che associa i due profeti, ma anche
dalle circostanze all’origine delle celebrazioni in onore di Eliseo. Quando nel IV secolo, sotto il patriarca Teofilo d’Alessandria, furono ritrovate le reliquie di Eliseo alcuni frammenti
furono portati prima a Costantinopoli, nella Basilica dei Santi Apostoli, e in seguito, sotto il
regno di Teodosio, a Ravenna ove successivamente andarono però perduti. Secondo alcune
fonti il trasferimento delle reliquie a Costantinopoli fu eseguito proprio il 20 luglio: da ciò
deriverebbe la decisione di commemorare Eliseo anche in questo giorno e non, solamente,
il 14 giugno. Pare che nella chiesa di Sant’Apollinare Nuovo, in epoca successiva, fosse stato esposto la reliquia del cranio di Eliseo (Spasky, Le culte du prophète Élie, cit., pp. 219-220;
T. Stramare – F. Spadafora, Eliseo, in Bibliotheca Sanctorum, IV, Grottaferrata di Roma, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Tipografia Mariapoli di Città
Nuova Editrice, 1964, pp. 1127-1131).
32 Spasky, Le culte du prophète Élie, cit., pp. 220-223.
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Le icone, nel rispetto degli schemi compositivi tradizionali, solitamente mostrano al fedele il profeta in piedi con in mano un cartiglio recante l’iscrizione «Io sono pieno di zelo per Jahweh, il Dio degli eserciti»
(I Re 19, 10).
In alcuni casi, tuttavia, Elia può essere raffigurato anche durante l’ascensione al cielo, la Trasfigurazione di Cristo, l’Apocalisse oppure come
monaco ed asceta con barba e capelli lunghi ed un mantello sulle spalle
realizzato con la pelle di un animale.33
In Occidente, a differenza di quanto accaduto in Oriente, la diffusione del culto di Elia pare essere andata incontro a numerose difficoltà.
Le motivazioni possibili sono numerose: indebolimento dei f lussi
di pellegrini che si recavano in Palestina, scarsa conoscenza del greco
da parte dei viaggiatori (da cui dipese una maggiore superficialità nei
contatti), particolare attenzione, da parte della liturgia della Chiesa Romana, nei confronti dei martiri che avevano sacrificato la loro vita per la
fede a discapito delle figure centrali dell’Antico Testamento.34
Escluso dal calendario liturgico, il profeta Elia non poteva neppure
essere preso a modello dai monaci i quali, vivendo in comunità sotto la
Regola di San Benedetto o San Cesareo, non sentivano, come gli eremiti
orientali, la necessità di ispirarsi al profeta veterotestamentario.35
33 Ivi, pp. 223-225; J. Van Laarhoven, Storia dell’arte cristiana, Milano, Bruno Mondadori Editore, 1979, pp. 64, 68, 72; Tradigo, Icone di santi d’Oriente, cit., pp. 81-85.
34 «D’autre part, dans l’Église romaine, dont la liturgie s’imposa bientôt à presque tout
l’Occident, les saints qui étaient fêtés dans la liturgie étaient presque uniquement des martyrs; puis des évêques qui avaient lutté pour la foi orthodoxe leur furent assimilés sous le
titre de confesseurs. Une seule fête de saints de l’Ancien Testament pénétra dans la liturgie
romaine: celle des Macchabées, au I août. C’étaient des martyrs» (Dom Botte, Le culte d’Élie
dans l’Église chrétienne, cit., pp. 213-214).
35 Molti autori cristiani hanno associato Elia al celibato, alla povertà, alla permanenza
volontaria nel deserto, al digiuno e alla preghiera. Ciò ha indotto i monaci anacoreti a vedere nel fondatore dei Carmelitani una figura di riferimento e un modello, se non addirittura
l’istitutore stesso del monachesimo (sono di questo avviso San Girolamo e San Cassiano).
Tale interpretazione trova conferma nelle parole non solo di Sant’Atanasio, che nella Vita
Antonii suggerisce ai monaci di guardare al profeta come ad un modello e ad un patrono,
ma anche di Origene (De oratione), di Gregorio di Nissa (De Virginitate) e di Sant’Ambrogio.
Quest’ultimo, nel De Helia et jejunio, presenta il profeta come perfetto esempio di applicazione della pratica del digiuno ritenuta fondamentale per allontanarsi dalle tentazioni
ed elevare la propria anima (Dom Botte, Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne, cit., p. 214;
G. Bardy, Élie chez les pères grecs, in Élie le prophète, Bruges, Presses Saint-Augustin pour les
Éditions Desclée De Brouwer, 1956, pp. 136-139, 145; C. Kannengiesser – M. Perraymond,
Elia, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Casale Monferrato, Institutum Patristicum Augustinianum-Roma, Editrice Marietti, 1983, pp. 1132-1133; H. De L’incarnation,
Élie chez les pères latins, in Élie le prophète, Bruges, Presses Saint-Augustin pour les Éditions
Desclée De Brouwer, 1956, pp. 179-207; Hayek, Élie dans la tradition syriaque, cit., p. 159;
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Appurate queste premesse, non stupisce dunque che le tracce lasciate in Occidente dal culto di Elia, prima della venuta dell’Ordine dei Carmelitani, non siano numerose.
Una delle testimonianze più significative è racchiusa nella biografia
di San Patrizio.
In un passo della Confessione, infatti, l’autore narra che una notte Satana cercò di tentarlo assalendolo e privandolo di ogni forza.36
In risposta a questo attacco il santo ricorda di aver invocato con tutte
le forze Elia e di aver immediatamente visto levarsi in cielo il sole che,
con i suoi raggi, scaccia il Diavolo e, con esso, il senso di angoscia:
Eadem vero nocte eram dormiens et fortiter temptavit me Satanas, quod
memor ero quamdiu fuero in hoc corpore, et cecidit super me veluti saxum ingens
et nihil membrorum meorum prevalens. Sed unde me venit ignarum in spiritu
ut Heliam vocarem? Et inter haec vidi in caelum solem oriri et dum clamarem
«Heliam, Heliam» viribus meis, ecce splendor solis illius decidit super me et statim discussit a me omnem gravitudinem, et credo quod a Cristo Domino meo
subuentus sum et spiritus eius iam tunc clamabat pro me et spero quod sic erit
in die pressurae meae, sicut in evangelio inquit: In illa die, Dominus testatur, non
vos estis qui loquimini sed spiritus Patris vestri qui loquitur in vobis.37
Tenendo in considerazione che questo episodio si colloca prima della permanenza in Gallia, e che dunque all’epoca la formazione cristiana
di Patrizio era fortemente inf luenzata dal contesto celtico, si può realisticamente ritenere che egli abbia invocato Elia perché nella sua cultura
di appartenenza il profeta era onorato in qualità di santo.38
In Francia San Patrizio visse ad Auxerre, ove ricoprì la carica di diacono, e proprio in questa città si trova l’unica traccia a noi nota di festa
R.E. Murphy – C. Peters, Élie, in Dictionnaire de spiritualité. Ascétique et mystique, doctrine et
histoire, IV, Parigi, Beauchesne, 1974, p. 568.
36 Dom Botte, Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne, cit., p. 214; Sollerius – Pinius – Cuperus – Boschio, Acta Sanctorum Iulii, cit., p. 9; Fornari, Anno memorabile de Carmelitani, cit.,
p. 45.
37 Patricius <Santus>, Confession et lettre à Coroticus. Introduction, texte critique, traduction et notes par Richard P. C. Hanson; avec la collaboration de Cécile Blanc, Parigi, Les
éditions du Cerf, 1978, pp. 92-94.
38 L’accostamento al sole dimostra inoltre che San Patrizio era a conoscenza del fatto
che molti associavano il nome di Elia a quello del dio Elios: «Le rapprochement avec le
soleil montre aussi qu’il était au courant du rapprochement des noms: Helios-Helias. Ce jeu
de mot n’était pas inconnu des latins: Sedulius l’avait expliqué dans un des ses poèmes, et
des représentations comme l’ascension d’Élie devaient server aussi à rappeler le rapprochement» (Dom Botte, Le culte d’Élie dans l’Église chrétienne, cit., p. 214).
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DAVIDE FERRARIS
liturgica in onore di Elia, se si esclude la menzione in alcune litanie,
prima del XV secolo.
Poiché Auxerre era probabilmente una tappa nel cammino dei pellegrini bretoni, Bernard Botte ha dunque avanzato l’ipotesi che siano stati
proprio questi viaggiatori a importare dall’Oriente, circa nel VI secolo,
il culto del profeta.39
Con l’affermazione del rito romano su quello gallicano la festa in
onore del profeta scomparve però anche ad Auxerre e, mentre, grazie
all’inf luenza dei menologi bizantini, i santi dell’Antico Testamento iniziarono gradualmente ad entrare nei martirologi, Elia dovette attendere
fino all’editio princeps del Martirologio Romano nel 1583.40
Significative resistenze alla diffusione del culto di Elia sembrerebbero essersi presentate anche in Italia ove, a prima vista, parrebbe difficoltoso individuare chiese a lui intitolate o all’interno delle quali il profeta
fosse regolarmente invocato per ottenere la pioggia o la protezione e la
guarigione dalle malattie.
Costituiscono un’eccezione i territori meridionali del Paese ove l’inf luenza della cultura orientale è evidentemente più intensa: esemplare è
il caso di Sperone, località in provincia di Avellino.41
39 La data in cui era probabilmente celebrato il ricordo di Elia era il 20 luglio (ivi,
pp. 214-216).
40 Prima di questa data Elia non compare in nessun antico martirologio (ivi, p. 216).
41 Attualmente Elia risulta patrono, oltre che di Sperone, anche di Buonabitacolo (SA),
Maschito (PZ), Peschici (FG), Castel Sant’Elia (VT) e Malito (CS). In passato pare che Elia
fosse oggetto di un particolare culto anche a Viggiù e a Cremona. Nel pressi della prima città,
stando alla tradizione, si sarebbe trovata infatti una chiesa all’interno della quale era conservato un affresco, raffigurante il profeta sul carro di fuoco, meta di annuali pellegrinaggi da
parte dei fedeli che desideravano ringraziare Elia per la protezione dalle malattie o per la fine
della siccità. Nella cattedrale di Cremona sarebbe stato invece conservato un frammento
della sedia su cui il profeta sedette nella casa della vedova di Sarepta. Quest’ultimo è solo uno
dei molti esempi possibili di chiese o monasteri ove, secondo la leggenda, erano conservate
le reliquie del profeta. Secondo una tradizione, riportata con riserva dagli Acta Sanctorum,
nel monastero dell’Escorial sarebbe stato custodito ad esempio un frammento del mantello
di Elia. Sulla credibilità di tale tradizione peserebbero tuttavia alcuni dubbi derivanti dall’impossibilità di stabilire in quale periodo la reliquia sarebbe giunta in Spagna e dalla notizia in
base alla quale il mantello del profeta, conservato originariamente nel monastero del Monte
Carmelo, sarebbe andato distrutto nell’incendio divampato durante l’assalto dei Saraceni
(altri frammenti del mantello vengono segnalati nella Cattedrale del Salvatore a Oviedo e
nel Convento di San Pantaleone a Colonia). Riconosciuto come protettore degli aviatori e
dei cocchieri nonché, in virtù del suo zelo nei confronti dell’idolatria, dell’Inquisizione, Elia
viene tuttora considerato patrono della Bosnia-Erzegovina ed è invocato sia per ottenere la
pioggia, sia per porre fine alla siccità (Fornari, Anno memorabile de Carmelitani, cit., pp. 39,
217-219; Sollerius – Pinius – Cuperus – Boschio, Acta Sanctorum Iulii, cit., pp. 9-10; Bocian,
Grande dizionario, cit., pp. 160-161; Réau, L’iconographie du prophète Élie, cit., pp. 241-243).
IL CULTO DEL PROFETA ELIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
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La tradizione narra infatti che, nel 1656, Elia sia apparso in sogno al
parroco del luogo promettendo la cessazione della pestilenza, che aff liggeva in quel tempo la popolazione, in cambio del restauro dell’antica
chiesa parrocchiale andata completamente distrutta ad eccezione di una
parete su cui era raffigurato appunto il profeta.42
Secondo un’altra tradizione il profeta sarebbe intervenuto anche per
assistere Ruggero I durante il suo tentativo di sottrarre la Sicilia al controllo dei Saraceni: giunto alle porte di Troina il condottiero cristiano
avrebbe infatti scorto in cielo Elia che, brandendo in mano la spada, lo
esortava a proseguire la lotta contro i nemici.
Radunati dunque i soldati e gli abitanti cristiani del luogo, Ruggero I
riuscì a conquistare la città e, per ringraziare il profeta, avrebbe fatto
edificare una chiesa ed un monastero intitolati a Sant’Elia Eboli (ossia
del ‘buon consiglio’).43
Alcune delle tradizioni fin qui ricordate, oltre ad essere riportate
negli Acta Sanctorum e nell’Anno memorabile de Carmelitani di Giuseppe
Maria Fornari, vengono raffigurate anche nelle preziose incisioni che
ornano lo Speculum Carmelitanum.
Questo testo costituisce un’ulteriore prova dell’importanza cruciale
della figura di Elia per l’Ordine Carmelitano che non a caso può essere
ritenuto il principale sostenitore e promotore del culto del profeta veterotestamentario in Occidente.
42 La vicenda del miracoloso intervento di Elia viene riportata non solo negli Acta Sanctorum ma anche nel testo di Giovanni Maria Fornari. Si narra che il profeta abbia riportato la
salute ad una donna, malata di peste, che si era recata a pregare davanti all’immagine di Elia
nella chiesa di Sperone e che, spinta dalla fede, si era cosparsa la ferita con l’olio della lampada
che ardeva davanti all’affresco. La fama del miracolo, rafforzata da altre guarigioni, si diffuse
molto velocemente e raggiunse probabilmente l’apice con la fine dell’epidemia. L’avidità di
alcune persone che si erano impossessate dei doni e del denaro che i fedeli avevano lasciato in
chiesa in segno di ringraziamento, indusse però le autorità ecclesiastiche a limitare l’apertura
del luogo sacro. La conseguenza di tale decisione fu l’immediato ritorno della pestilenza. Con
la somma di denaro ottenuta grazie alle offerte lasciate dai malati che si recavano in pellegrinaggio alla chiesa, le autorità decisero di ricostruire l’edificio nelle sue forme originarie e
di acquistare i terreni circostanti con i quali si sarebbero dovuti sostentare economicamente
alcuni cappellani con il compito di celebrare quotidianamente la messa. Venuti a conoscenza
di questo miracolo, sembra che il clero, i governanti e la popolazione di Capua avessero deciso
di eleggere Elia patrono della città, di festeggiarlo il 20 luglio con una solenne processione e
di considerarlo come loro protettore in tempo di peste (Sollerius – Pinius – Cuperus – Boschio, Acta Sanctorum Iulii, cit., pp. 8-9; Fornari, Anno memorabile de Carmelitani, cit., p. 46).
43 L’edificazione di tali edifici religiosi risalirebbe al 1080 circa. Una tradizione vorrebbe che i primi abitanti della Sicilia avessero impiegato pietre di enormi dimensioni per
costruire una grande chiesa in onore del profeta (Sollerius – Pinius – Cuperus – Boschio,
Acta Sanctorum Iulii, cit., p. 8; Fornari, Anno memorabile de Carmelitani, cit., pp. 217-219).
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DAVIDE FERRARIS
Sarà sufficiente, a tal proposito, ricordare lo scontro tra l’ordine,
impegnato a difendere strenuamente le proprie tradizioni, e i Gesuiti
Bollandisti che, proprio negli Acta Sanctorum, misero in discussione la
presunta discendenza diretta e senza soluzione di continuità dei Carmelitani dal profeta Elia andando incontro perfino alla condanna dell’Inquisizione spagnola.44
Nonostante queste vicende e l’impegno profuso dall’ordine a difesa e
sostegno del proprio fondatore, emergono tuttavia alcuni aspetti insoliti.
Un rapido sguardo alle opere raffiguranti Elia rivela, ad esempio,
come la committenza (anche carmelitana) abbia mostrato, in ogni epoca, particolare attenzione nei confronti degli episodi che meglio di altri
potevano ricordare i grandi eventi miracolosi di cui Elia fu protagonista
o la particolare vicinanza che egli ebbe con Dio (con particolare attenzione ai soggetti con una forte valenza allegorica e prefigurativa come il
sacrificio sul Monte Carmelo, il ritorno della pioggia, Elia e l’angelo, Elia
sul carro di fuoco, Elia nutrito dai corvi).45
Completamente differente pare essere stato invece l’atteggiamento
nei confronti di altri episodi della vita del profeta come l’uccisione dei
profeti di Baal e Astarte, la morte dei soldati del re Achazia o l’avverarsi
delle profezie di Elia.
La rarità con cui queste scene sono state raffigurate, nonostante la
loro importanza, può essere forse spiegata con la violenza con cui il Ti44 La polemica scoppiò nel 1675 quando i Bollandisti pubblicarono, all’interno del primo volume del mese di aprile degli Acta Sanctorum, la vita di Sant’Alberto redatta da Daniel
von Papebroch. In questa biografia, infatti, veniva affermato che l’origine dell’ordine carmelitano doveva essere posta al XII secolo e che dunque le tradizioni che lo vedevano fondato direttamente da Elia sul Monte Carmelo dovevano essere considerate prive di fondamento. I Carmelitani, in tutta risposta, portarono la questione all’attenzione dell’Inquisizione
spagnola che nel 1695 condannò quattordici volumi degli Acta Sanctorum (la condanna fu
annullata nel 1715). La fine dello scontro venne raggiunta nel 1725 quando Benedetto XIII
approvò le tradizioni dei Carmelitani permettendo loro di collocare nella Basilica di San
Pietro, tra le sculture raffiguranti i fondatori degli ordini religiosi, la statua di Elia recante
sul basamento l’iscrizione «Universus carmelitarum ordo fondatori suo S. Eliae prophetae
erexit». Attualmente anche i Carmelitani hanno accantonato l’idea di una discendenza diretta da Elia preferendo vedere in lui un modello ispiratore ed il fondatore spirituale dell’ordine (L.-M. Du Christ, La succesion Élianique devant la critique, in Élie le prophète, Bruges,
Presses Saint-Augustin pour les Éditions Desclée De Brouwer, 1956, pp. 124-125; pp. 127133; C. Testore, Daniel von Papebroch, in Enciclopedia cattolica, Roma, Ente per l’enciclopedia cattolica e per il libro cattolico, Città del Vaticano, 1952, p. 780; M. De Ste-Marie, Carme,
in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastique, Parigi, Librairie Letouzey et Ané, 1949,
pp. 1075-1076; G. Henschen – D. Von Papebroch, Acta SS. Aprilis, I, Anversa, 1675, p. 785).
45 Cfr. D. Ferraris, Il profeta Elia a Genova. Spunti di rif lessione per un catalogo iconografico, «Arte Cristiana», CIII, 2015, pp. 297-313.
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sbita porta a complimento il suo compito senza mostrare alcuna misericordia o clemenza nei confronti degli empi sovrani e dei falsi profeti.
Seppur motivato, stando ai commentatori, dalla necessità di sottolineare il rispetto dovuto ai veri profeti, tale zelo nella lotta all’idolatria
avrebbe infatti potuto costituire, quantomeno in alcuni contesti, un
ostacolo alla diffusione di determinati soggetti.46
È possibile dunque che in Occidente taluni aspetti della personalità
e della vita di Elia abbiano suscitato qualche perplessità e che, conseguentemente, anche la diffusione del suo culto abbia subito significativi
rallentamenti.
Gli stessi Carmelitani d’altra parte inserirono la festa di Elia nel messale valido per l’intero ordine solo nel 1551, mentre le celebrazioni in
onore di Eliseo risultano presenti già nel 1369.
Occorre però ricordare che alla base di questo ritardo non si trova
una debole devozione nei confronti del profeta bensì il dubbio sull’opportunità di celebrare il culto liturgico di un uomo che non era ancora
morto e che, come si legge nell’Apocalisse (Ap 11, 3-13),47 sarebbe dovuto tornare durante il Giudizio Universale per essere martirizzato.48
Davide Ferraris
46 Numerosi episodi della vita di Elia ed Eliseo sono caratterizzati da azioni particolarmente energiche e violente. I commentatori hanno più volte sottolineato come, in realtà,
ogni gesto e ogni decisione presa dai due uomini mirasse a ricordate al popolo il rispetto che
deve essere nutrito nei confronti dei profeti (esemplare a tal proposito la vicenda con Eliseo
e l’orso). Per l’episodio dell’uccisione dei profeti di Baal, viene inoltre chiamata in causa la
necessità di rispettare da una parte la legge del taglione (Es 21, 23-25) e, dall’altra, le indicazioni contenute nel Deuteronomio in relazione alla pena da inf liggere agli idolatri e ai falsi
profeti (Dt 17, 2-7; Dt 13, 2-4, 6). Cfr. De Vaux, Le cycle d’Élie dans le Livres des Rois, cit., pp. 64,
75; J. Steinman, Élie dans l’ancien testament, in Élie le prophète, Bruges, Presses Saint-Augustin
pour les Éditions Desclée De Brouwer, 1956, pp. 105, 112; E. Mangenot, Élie, in Dictionnaire
de la Bible, II, Parigi, Letouzey et Ané, 1899, pp. 1671-1672.
47 L’identità dei due testimoni descritti da San Giovanni è stata oggetto di varie interpretazioni, anche allegoriche e simboliche. La tradizione più consolidata vuole però che
essi siano Elia ed Enoch (cfr. Réau, L’iconographie du prophète Élie, cit., pp. 237, 263-265; Id.,
Iconographie de l’art chrétienne, cit., vol. III, pp. 706-707; Di Nola, Elia, cit., p. 1140; M.-É.
Boismard, Élie dans le nouveau testament, in Élie le prophète, Bruges, Presses Saint-Augustin
pour les Éditions Desclée De Brouwer, 1956, pp. 126-127.
48 La festa di Elia, una volta superate le perplessità, fu fissata al venti luglio probabilmente ad imitazione della liturgia ortodossa che, come già ricordato, commemora in
questo giorno il ricordo del profeta (cfr. P. Kallenberg, Le culte liturgique d’Élie dans l’Ordre
du Carmel, in Élie le prophète, Bruges, Presses Saint-Augustin pour les Éditions Desclée De
Brouwer, 1956, pp. 134-145).
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DAVIDE FERRARIS
Abstract – The cult of Elia has reached a high level of expansion in the Orient,
where he is still venerated, but not in the West. In the catholic church indeed
Elia hasn’t received a lot of attention (less of what it could have been expected).
That is the starting point of this paper, indeed the purpose of this article is
to evaluate the Cult of Elia at first in Palestina and then the expansion in the
Middle East and Russia. Another relevant part of the paper is the evaluation
of the cult in the West and in particular in Italy. The activity of the carmelite
order has covered only in part the difference between the abundant availability
of traditions and stories related to Elia in the East and the lack of information
in the West.
FINITO DI STAMPARE
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Pubblicato nel mese di giugno 2016
ISSN 0035-6573