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INTRODUZIONE Il progetto della fenomenologia è stato caratterizzato sin dall’inizio da un duplice aspetto. Proprio questa duplicità di atteggiamento e di procedimento è una delle ragioni dei fraintendimenti e delle incomprensioni della ricerca husserliana. La fenomenologia ha cercato di mediare tra due opposte scuole di pensiero che hanno determinato la sua stessa formazione. Da una parte lo psicologismo di Brentano, da cui deriva la fondamentale nozione d’intenzionalità, e dall’altra il logicismo di Bolzano e in certo senso di Lotze, che suggerisce a Husserl lo statuto formale a priori della verità. La conciliazione data nella lettura fenomenologica ha però dovuto ugualmente guardarsi dagli eccessi rappresentati da una soggettività trascendentale astratta, seguendo il modello kantiano, e da quelli di un campo trascendentale affetto in ultimo dal relativismo storicistico, incapace di una scientificità rigorosa, come secondo Husserl era lo storicismo di Dilthey. Da subito la fenomenologia di Husserl si è caratterizzata come un progetto di mediazione tra le parti, come una ricerca di certezze obiettive che però non fossero ne dogmatiche ne confutabili. E’ proprio quest’aspetto duplice, non assoluto, di relazione tra le parti della fenomenologia quello che la mia ricerca ha cercato di evidenziare. Le analisi di Husserl si pongono sul piano dell’esperienzialità, del rapporto di un soggetto con il proprio mondo, del modo in cui questa relazione si sviluppa e prende coscienza di sé. La fenomenologia è un metodo di analisi di questa relazione, proprio in funzione di una analisi conoscitiva che circoscrive la propria indagine al soggetto esperiente nel momento temporale del presente originario. Il problema è come avviene questa relazione tra un mondo esterno e trascendente e una coscienza esperiente. Per Husserl “noi siamo accadimenti che si situano in questa medesima realtà naturale alla quale siamo legati in duplice maniera, come viventi in essa e come coscienza di essa”. L’analisi fenomenologica si concentra sui vissuti, sulla peculiarità della coscienza di “vivere” un mondo, e vivere un mondo vuole dire soprattutto percepirlo nel suo decorso temporale, nella sua continuità. La percezione è la mediazione fondamentale tra la coscienza ed il suo mondo, la possibilità di avere le stesse percezioni in un periodo temporale è la possibilità di avere delle “conoscenze” stabili e certe. Il problema è come questa relazione percettiva tra coscienza e mondo avviene. Con le parole di Husserl: “come può l’idealità del generale[…] presentarsi nel flusso dei vissuti psichici reali e diventare possesso del soggetto pensante […] ?” Quali sono le leggi che regolano questo rapporto tra due parti eterogenee, un mondo esterno al soggetto trascendente ed un soggetto che conosce tramite immanenze ? Che ruolo ha questo soggetto: è strutturato e trasceso dal mondo esterno, un soggetto quindi debole, oppure è attivo e strutturante, trascendente nel senso kantiano? Il compito della fenomenologia è dare una nuova prospettiva scientifica, partendo proprio dall’esperienzialità non ingenua. Husserl parla di un atteggiamento dogmatico dell’ atteggiamento naturale, nel quale non abbiamo gli occhi aperti rispetto a ciò che ogni giorno vediamo di fronte a noi. Husserl cerca le essenze, le leggi fondamentali, stabili, di questo rapporto e per fare questo non può che “eliminare” tutto ciò che stabile non è, che appartiene, potremmo dire, al mondo delle apparenze, delle ombre platoniche. La messa fuori circuito dell’atteggiamento naturale nella ricerca genetica è uno sforzo, una tensione verso una conoscenza stabile: « ho provato a sufficienza i tormenti derivanti dalla mancanza di chiarezza, dal dubbio destabilizzante. Devo pervenire a una stabilità interiore. […] semplicemente, io non posso più vivere senza chiarezza. Devo e voglio, nel lavoro cui sono dedito, nell’approfondimento puramente oggettivo, avvicinarmi alle grandi mete. Lotto per la mia vita e proprio per questa ragione penso di poter progredire; infatti, la crudelissima necessità esistenziale, la legittima difesa contro il pericolo di morte, danno forze, energie insospettate, illimitate. Io non ambisco qui ad onore e gloria. […] solo una cosa mi soddisferebbe: devo ottenere chiarezza, altrimenti non posso vivere, […] non posso sopportare la vita». Hua XXIV, p. 445 La ricerca delle leggi che regolano la possibilità conoscitiva è per Husserl oltre che una ricerca filosofica, una ricerca esistenziale, un tendere continuo che permette alla fenomenologia di essere una metodologia di ricerca continua, un sistema aperto che non si conclude in se stesso. In questo lavoro ho cercato di evidenziare proprio queste caratteristiche della metodologia husserliana, il tentativo continuo di una ricerca eidetica che si muove attraverso continui dubbi e contraddizioni, rielaborazioni sempre più approfondite, dai primi lavori analitici agli ultimi genetici. Questo lavoro è indirizzato proprio ad un’analisi delle tematiche fondamentali e problematiche della fenomenologia, la percezione ed il suo rapporto con la sensazione ed in genere con le strutture passive e il tempo, ovvero la ricerca dell’origine, dell’apertura della coscienza al mondo e delle leggi che regolano il decorso percettivo della coscienza del soggetto. I testi utilizzati evidenziano come i temi fondamentali della percezione e della temporalità sono costanti nella ricerca fenomenologica di Husserl. Nella scelta dei testi si ha l’evidenza di una progressione, all’interno della ricerca husserliana, in cui le analisi puramente descrittive della percezione lasciano sempre più spazio alla ricerca della sua stessa fondazione, dell’origine e della dinamicità temporale di quest’ultima. Il lavoro svolto cerca di chiarire i momenti fondamentali di questo passaggio metodologico e concettuale, evidenziando una sostanziale continuità tematica all’interno della ricerca filosofica di Husserl e una certa unità tra le due parti in relazione, il soggetto e il mondo, la trascendenza e l’immanenza. CAPITOLO PRIMO LE ORIGINI DELLA FENOMENOLOGIA   1.1 Le origini del metodo fenomenologico Edmund Husserl nasce nel 1859 a Prossnitz, in Moravia. I primi anni dei suoi studi universitari sono caratterizzati dall'interesse per le scienze esatte, inizialmente per l'astronomia e la fisica e in seguito per la matematica pura. Dopo aver seguito i corsi di matematica e fisica all'università di Lipsia, nel 1878 si trasferisce a Berlino, qui compie studi di matematica sotto la guida di Karl Weierstrass, uno dei più importanti matematici del XIX secolo, con lui nel 1883 Husserl si laurea discutendo una tesi dal titolo "Beiträge zur Variationsrechung" (Contributi al calcolo delle variazioni). L’impostazione matematica è fondamentale all’interno della formazione di Husserl soprattutto per l’influenza che avrà nel primo periodo della sua ricerca filosofica. Weierstrass, infatti, diede un apporto notevole a quel processo di "rigorizzazione" e di "riduzione", cui furono sottoposte le discipline matematiche nel corso dell'ottocento e che ispireranno i principi filosofici husserliani in particolare per quanto riguarda il rigore metodologico. Nel 1930 Husserl, in occasione della festa per il suo settantesimo compleanno, ricorderà, infatti, Weierstrass definendolo come uno dei suoi più importanti maestri, il cui insegnamento gli ha lasciato un’importante eredità metodologica. Weierstrass aveva eliminato le oscurità dai concetti dell'analisi matematica, nello stesso modo in cui Husserl tenterà di fare nell'ambito della filosofia, il suo ideale teoretico era, infatti, quello di sostituire, alle oscurità metafisiche tradizionali, la chiarezza e la distinzione di una filosofia basata su un metodo rigoroso. Accanto alla matematica, un’altra componente essenziale nella formazione del primo Husserl è la psicologia: complessivamente la prima fase della sua ricerca si può considerare come un tentativo di mettere in relazione, senza sbilanciarsi eccessivamente dall’una o dall’altra parte, il mondo dei concetti della logica formale e della matematica, con l'ambito soggettivo della psicologia, per prendere, una strada autonoma e superare le due parti in una relazione originale. Alla fine del XIX secolo la psicologia da disciplina puramente filosofica comincia a caratterizzarsi come una scienza autonoma di tipo sperimentale Sulla nascita e lo sviluppo della psicologia sperimentale agli inizi del novecento si veda Meccacci, Storia della psicologia del novecento, Laterza Roma-Bari,1994 pp. 4-94. Il dibattito sulla nuova psicologia sperimentale si sviluppa proprio in Germania attorno alla figura di Wilhem Wundt che nel 1873-74 pubblicò la prima edizione dei "Grundzüge der physiologischen Psycologie" ("lineamenti di psicologia fisiologica"). Wundt diede alla nuova scienza psicologica un impianto concettuale basato, oltre che su di un'interpretazione naturalistico-fisiologica dell'uomo, sull'empirismo di tradizione anglosassone, in particolare di Locke e Mill, da cui derivò i principi dell'atomismo e dell'associazionismo dei dati di coscienza. Verso la fine del secolo si assistette ad un’ascesa della psicologia sperimentale, supportata dal rapido progresso delle scienze fisiche, della biologia e dell'anatomia, a cui faceva in parte riferimento. Il dibattito coinvolgeva ambiti trasversali di ricerca, così come la tradizione più strettamente filosofica. I filosofi e tutti gli studiosi che stavano aprendo la strada allo studio di una psicologia scientifica, ambivano a ricoprire con le loro indagini tutte quelle aree di fenomeni psichici cosiddetti superiori, come i sentimenti, la volontà e il pensiero, dominio tradizionale della riflessione filosofica classica, ma utilizzando nelle loro indagini strumenti quantitativi tipici delle scienze sperimentali: «Caratteristico - afferma al riguardo Heidegger - è che le scienze della natura penetrano, armate del loro metodo, proprio in un territorio che tradizionalmente era riservato alla filosofia. La tendenza di una psicologia scientifico-naturale è di trasferirsi nel campo della filosofia stessa, anzi, in un proseguimento di tempo, di diventare addirittura la scienza fondamentale della filosofia stessa ». E. Husserl e M. Heidegger, Fenomenologia, Unicopli, Milano, a cura di R. Cristin,1999 p. 19 1.2 I primi scritti giovanili tra logicismo e psicologismo Alla sperimentazione psicologica si richiedeva di individuare gli elementi ultimi dell'attività psichica, le sensazioni e le percezioni, attraverso una metodologia propria delle scienze esatte. Queste tematiche diverranno fondamentali nella ricerca filosofica dello stesso Husserl e caratterizzeranno soprattutto, come vedremo, i suoi primi lavori. Si era passati, nello studio della psicologia, da un’analisi di tipo qualitativo ad uno prettamente quantitativo e matematizzabile, che voleva rendere ragione della propria scientificità e quindi validità. Tuttavia, in questo stesso periodo, all’interno della ricerca psicologica si afferma un orientamento differente, in modo specifico per quanto riguarda proprio l’aspetto metodologico, che si basa sugli studi condotti da Franz Brentano. E’ importante analizzare proprio il legame di Husserl con la filosofia di Brentano per capirne meglio le influenze ed isolarne le differenze fondamentali, il dibattito aperto con Brentano, infatti, sarà il punto di partenza della fenomenologia husserliana. Husserl dal 1884 al 1886, seguì all'università di Vienna le lezioni di Franz Brentano, dal quale colse la suggestione di utilizzare un metodo altrettanto rigoroso e descrittivo anche all’interno dell’ambito filosofico: «Ben presto - ricorderà Husserl - i suoi argomenti mi afferrarono, ben presto venni conquistato dalla chiarezza e dall'acutezza dialettica, uniche, delle sue esposizioni, dalla forza in qualche modo catalettica del suo sviluppo dei problemi e delle teorie. Fu solo dalle sue lezioni che ricavai la convinzione che mi diede il coraggio di scegliere la filosofia come professione di vita e cioè che anche la filosofia sia un campo di lavoro serio, che anch'essa possa e quindi debba essere trattata con lo spirito della scienza più rigorosa. La pura praticità con la quale affrontava tutti i problemi, il modo di trattarli per aporie, il fine soppesare dialettico delle diverse argomentazioni possibili, la separazione delle equivocazioni, la riconduzione di ogni concetto filosofico alle sue origini nell'intuizione - tutto ciò mi riempiva di ammirazione e di incrollabile fiducia. Il tono della più sacra serietà e del più puro abbandono alla materia gli vietava, nel parlare, tutti i banali vizi e gli scherzi da cattedratico» F. J. Wetz, Husserl, Il Mulino, Bologna, 2003 p.59. Le due principali concezioni che Husserl eredita da Brentano, senza mai abbandonarle, possono essere individuate nella convinzione che la filosofia debba essere una scienza rigorosa che attinge direttamente alla fonte dell'esperienza e nella nozione di intenzionalità, che sarà tuttavia profondamente rielaborata già a partire dalle Ricerche logiche. Nell'introduzione alle lezioni del semestre estivo del 1925 sulla "Psicologia fenomenologica" Husserl definirà Brentano: “pioniere [Wegbereiter] nella ricerca nell'esperienza interna” Ibidem alla coscienza. Tale esperienza si fonda sull'intenzionalità, che Brentano assume come “proprietà di base della vita psichica” Ivi, p. 62. Anche nell'ultima opera "La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale", elaborata tra il 1935 e il 1937, Husserl riconoscerà a Brentano il grande merito di: «aver avviato, nel suo tentativo di riformare la psicologia, un'analisi del carattere peculiare dello psichico (in contrapposizione al fisico), e [di] aver rilevato tra gli altri suoi caratteri l'intenzionalità» Ibidem E afferma che: «disgraziatamente Brentano rimase impigliato, proprio in ciò che era essenziale, nei pregiudizi della tradizione naturalistica» Ibidem. In altri termini, secondo Husserl, in Brentano permarrebbe un dualismo di tipo cartesiano tra la coscienza, contraddistinta dall'intenzionalità, e il mondo esterno, soggetto alla «causalità psicofisica». In realtà, anche Brentano partiva dal presupposto che la nuova psicologia dovesse prendere le distanze dalla vecchia psicologia razionale, basata su assunzioni metafisiche, e divenire una scienza originaria dei fenomeni di coscienza; tuttavia nella sua "la psicologia dal punto di vista empirico", apparsa come l'opera di Wundt nel 1874, Brentano sostiene differentemente che non è necessario utilizzare la metodologia sperimentale, propria delle scienze fisiche, nell'indagine psicologica per poterne valutare la validità. La psicologia doveva in ogni modo basarsi su dati "empirici", vale a dire non costruiti in maniera speculativa ma derivati dall'esperienza stessa (in questo senso era da considerarsi una psicologia empirica); ma questi stessi dati dovevano essere assunti qualitativamente, attraverso una metodologia di tipo descrittivo che era propria delle “scienze dello spirito” come in seguito le definirà Dilthey. In altri termini, piuttosto che compiere indagini sperimentali e ricavarne teorie naturalistiche, è necessario studiare i fenomeni psichici così come essi vengono direttamente esperiti dalla coscienza, per poi procedere ad una loro classificazione sistematica. A tale scopo Brentano si preoccupa di differenziare i fenomeni psichici dai fenomeni fisici: «ogni fenomeno psichico è caratterizzato da ciò che gli scolastici medioevali hanno chiamato in-esistenza intenzionale [intentionale Inexistenz] (o anche mentale) di un oggetto e che noi, con un’espressione non del tutto esente da ambiguità vorremmo definire relazione ad un contenuto, direzione verso un oggetto [die Richtung auf ein Object] (che non è necessario intendere come una realtà) od oggettività immanente. Ogni fenomeno psichico contiene in sé qualcosa come oggetto, anche se ciascuno secondo un suo modo; nella rappresentazione qualcosa è rappresentato, nel giudizio qualcosa è ammesso o respinto, nell'amore qualcosa è amato, nell'odio odiato, nel desiderio desiderato, ecc.» F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt, a cura di O. Kraus, F. Meiner, Leipzig, 1924. pp. 124-125. Husserl inizierà nella Quinta delle Ricerche logiche proprio da questa distinzione per criticare il concetto brentaniano di intenzionalità insieme a quello di rappresentazione collegato esclusivamente ai fenomeni psichici. Questa concezione dell'intenzionalità, d’impostazione principalmente psicologica, come lo stesso Husserl farà notare, proveniva in realtà da un’eminente tradizione culminata nella scolastica medievale e le cui radici sono rinvenibili, addirittura, già nella psicologia aristotelica: « nel De Anima [Aristotele] dice che il sentito in quanto sentito è presente nel senziente, che il senso recepisce il sentito senza la materia, che il pensato è presente nell'intelletto pensante. Anche in Filone troviamo la dottrina dell'esistenza e dell'in-esistenza mentale. Ma dal momento che egli confonde quest'ultima con l'esistenza in senso proprio, perviene alla sua dottrina, colma di contraddizioni, del logos e delle idee. Lo stesso vale per i neoplatonici. Nella sua dottrina del verbum mentis e dell'emanazione interiore Agostino sfiora lo stesso problema. Anselmo fa altrettanto nel suo celebre argomento ontologico: il fatto che egli consideri l'esistenza mentale come un'esistenza effettivamente reale è stato indicato quale fondamento del suo paralogismo […]. Tommaso d'Aquino insegna che il pensiero è intenzionale in colui che pensa, così come l'oggetto d'amore lo è nell'amante e il desiderato nel desiderante, e utilizza questa idea a scopi teologici. Laddove la Scrittura parla di un'inerenza dello Spirito santo, egli la definisce un'inerenza intenzionale nell'atto d'amore. Nella in-esistenza intenzionale nell'atto del pensare e dell'amare egli cerca di trovare una qualche analogia anche per il mistero della Trinità e per la nascita della parola e dello spirito » F.J. Wetz, op. cit. p. 23. Il recupero e l'utilizzo di questo concetto d’intenzionalità da parte di Brentano, oltre a consentire di distinguere la sfera del mentale da quella prettamente fisica, comportano l'esclusione a priori di ogni problema teoretico della conoscenza. L’analisi brentaniana rimane legata a degli schemi eccessivamente psicolgisti e unicamente descrittivi. L'unico scopo della descrizione dei fenomeni fisici consiste per Brentano nella compilazione delle loro classi fondamentali e nella ricerca del loro rapporto reciproco. Non raggiunge mai un livello di ricerca ontologico né fondativo. L’intenzionalità, quindi, è la "direzione" di un fenomeno psichico verso un oggetto che è un oggetto esclusivamente immanente, e questo sarà uno dei punti di rottura fondamentali tra l’analisi di Brentano e l’intenzionalità fenomenologica di Husserl. In altri termini, come scrive Civita, per Brentano: «l'in-esistenza intenzionale dell'oggetto è propriamente una esistenza-nel fenomeno psichico dell'oggetto intenzionale» A. Civita, La filosofia del vissuto: Brentano, James, Dilthey, Bergson , Husserl, Unicopoli, Milano, 1982. p. 32 . Ciò significa che Brentano utilizza l'espressione intenzionale in riferimento non tanto allo stato di coscienza, bensì al suo contenuto oggettuale. Gli oggetti immanenti verso cui i fenomeni psichici si dirigono intenzionalmente sono i fenomeni fisici. Per esempio, nel caso della percezione sonora, il fenomeno psichico è rappresentato dall'atto dell'ascolto soggettivo del suono; il fenomeno fisico va invece identificato nel suono ascoltato, ossia nell'oggetto cui si riferisce il fenomeno psichico dell'ascoltare. L'oggetto intenzionale, non è necessariamente una "realtà empirica" (Realität). Se, ad esempio: “mi raffiguro un centauro, il fenomeno psichico è questo stesso atto immaginativo, mentre il centauro immaginato sarà, evidentemente, un fenomeno fisico” Brentano, op. cit. p. 125. Il suono, il colore, il caldo e tutti gli altri fenomeni fisici che Brentano cita come esempi, hanno soltanto un'esistenza immanente o intenzionale, non vanno cioè confusi con i corrispondenti oggetti della fisica. Questi ultimi sono gli autentici oggetti esterni, la cui esistenza è postulata teoreticamente e per effetto dei quali sorgono in noi i fenomeni fisici. In altri termini, secondo Brentano la fisica indaga le leggi di un mondo che rimane per noi inconoscibile; tutto ciò che possiamo sapere è che gli oggetti di tale mondo ipotetico sono la causa "trascendente" dei fenomeni fisici e dunque delle nostre percezioni. E' proprio per questo motivo che in Brentano il termine "fenomeno" non indica soltanto «il carattere immediato del dato percepito, ma anche la sua illusorietà. I fenomeni fisici non godono, infatti, di un'esistenza effettiva e ciò equivale a dire che quanto l'esperienza intenzionale ci offre si rivela, in definitiva, privo di un'esistenza che vada oltre l'esperienza stessa» Brentano, op. cit. p. 126. Il fenomeno fisico di per sé è solo un segno dell'esistenza dell'oggetto reale da cui è causato: «I fenomeni della luce, del suono, del calore, della locazione e della locomozione spaziale che (lo scienziato) studia non sono cose che esistono veramente e realmente. Essi sono segni [Zeichen] di qualcosa di reale, qualcosa che, mediante la sua attività causale, produce le rappresentazioni di essi. In verità essi non sono una rappresentazione adeguata di questa realtà, e ce ne danno una conoscenza solo in un senso molto incompleto. Noi possiamo dire che esiste qualcosa che, sotto determinate condizioni, causa questa o quella sensazione. Probabilmente possiamo anche dimostrare che debbono esserci tra queste realtà delle relazioni simili a quelle che vengono a manifestarsi nei fenomeni spaziali di forme e grandezze. Ma non possiamo andare oltre. Noi non abbiamo esperienza di ciò che esiste veramente» Ibidem. In sintesi, per Brentano l'atto mentale o fenomeno psichico si dirige su un oggetto immanente (il fenomeno fisico) il quale a sua volta è "segno" di un mondo esterno, in definitiva inconoscibile, in cui risiedono le cause di tale fenomeno fisico. L'intenzionalità, quindi, mette in relazione il soggetto con un qualcosa di differente dalle sue percezioni o atti mentali, dà un accesso diretto al mondo empirico esterno, ma non alle cosiddette cose in “sé”. L'oggetto immanente è l'unico per noi effettivamente conoscibile. Husserl nelle Ricerche logiche, abbiamo detto, rielabora le stesse tematiche, in particolare quelle sull’intenzionalità e sulla rappresentazione dei fenomeni psichici, per mettere in evidenza i limiti della ricerca brentaniana e per rendere la ricerca descrittiva una ricerca eidetica, seppure ancora formale e vacillante. L’intenzionalità, la sua struttura prettamente fenomenologica e la centralità che assume nel fondamentale rapporto soggetto-oggetto, insieme al suo legame con le strutture percettive e appercettive, sono le costanti di un lavoro che vuole individuare le strutture originarie del soggetto fenomenologico e superare in maniera critica ogni forma di “naturalismo psicologico”. 1.3 La critica alla logica classica e allo storicismo La logica classica, nel clima culturale tedesco della seconda metà dell’Ottocento, si era fatta assorbire, allo stesso modo, dal naturalismo della ricerca psicologica. Verso la fine dell’Ottocento, gli psicologi sperimentali, grazie all'affermazione e al crescente sviluppo della loro disciplina, ambivano ad assorbire l'intero dominio tradizionale del pensiero filosofico. Nel celebre articolo La filosofia come scienza rigorosa, apparso sulla rivista Logos nel 1911, Husserl designerà tale tendenza psicologista in generale come filosofia naturalistica o teoria naturalistica della conoscenza. Essa è caratterizzata dalla naturalizzazione delle idee, vale a dire la riduzione delle verità ideali a processi psicofisici sottoposti all'indagine sperimentale. A ciò si accompagna la naturalizzazione della coscienza: la soggettività diviene una mera variabile dipendente dal fisico, dunque non dissimile da un qualunque altro ente del mondo naturale. In tale programma di ricerca "naturalistico" rientrava lo psicologismo logico, che costituiva l'indirizzo predominante nell'ambito degli studi di logica del tempo. Le origini di questo movimento che si sviluppò in Germania, il cui esponente più illustre può essere considerato Lipps, sono rintracciabili nell’opera del filosofo inglese John Stuart Mill. Questi studiosi di orientamento psicologico, riconducendo le leggi e i concetti logici a "fatti" psichici, finivano per collocare le basi teoretiche della logica nella psicologia. Questa, infatti, era la concezione di Mill: «La logica non è una scienza separata dalla psicologia e ad essa coordinata; nella misura in cui è una scienza, essa è una branca o parte della psicologia, che da essa si distingue, da un lato, come una parte dal tutto, dall'altro come l'arte dalla scienza. Essa è debitrice di tutte le sue basi teoretiche alla psicologia ed include in sé quel tanto di questa scienza che si richiede per fondare le regole della tecnica» L. Meccacci, op. cit. pp. 3-4. Allo stesso modo, per Lipps, la logica è semplicemente un ramo particolare della psicologia: «la logica è una disciplina psicologica con la stessa certezza con cui si può affermare che il conoscere avviene soltanto nella psiche ed il pensiero, che nel conoscere si realizza, è un evento psichico» L.Meccacci, op. cit. p. 5. Lo psicologismo mostra la sua forza persuasiva proprio nell’interpretazione dei principi fondamentali della logica, valga per tutti il "principium contradictionis" (la stessa proposizione non può essere contemporaneamente vera e falsa). In base all'approccio radicalmente empirista di J. S. Mill il principio di non contraddizione è «una delle nostre prime e più naturali generalizzazioni compiute a partire dall'esperienza». La sua origine si spiega con il fatto «che il credere e il non-credere sono due stati d'animo diversi» che si escludono a vicenda: è quanto ci insegna la più semplice introspezione Ibidem. Se invece volgiamo la nostra osservazione verso il mondo esterno: «troviamo anche qui che la luce ed il buio, il rumore ed il silenzio, l'uguaglianza e l'ineguaglianza, il precedere ed il seguire, la successione e la contemporaneità, in breve ogni fenomeno positivo e la sua negazione, sono fenomeni distintive (negative), che si trovano in un rapporto di netta opposizione: l'uno è sempre assente, là dove l'altro è presente. "Io considero" l'assioma in questione come una generalizzazione compiuta a partire da tutti questi fatti» Ibidem. Il principio di non-contraddizione è dunque per Mill semplicemente la generalizzazione di eventi contingenti, di fatti fisici e psichici. Una delle obiezioni fondamentali che Husserl immediatamente solleva contro questa concezione consiste nel fatto che essa non tiene conto della validità apodittica del principio di non contraddizione. Detto altrimenti: considerare una legge logica come una generalizzazione induttiva di eventi empirici significa attribuirle tutt'al più «una probabilità teoreticamente fondata di grado molto elevato» (così come accade per le leggi della fisica), senza essere in grado, in linea di principio, di escludere una possibile falsificazione: «in quali circostanze, si chiederà, gli atti di credenza opposti non possono coesistere? Come tutti sanno, in individui diversi possono ben coesistere giudizi opposti. Dovremo dunque dire più esattamente, esplicitando al tempo stesso il senso della coesistenza reale: nel medesimo individuo, o ancor meglio, nella medesima coscienza non possono permanere per un tratto di tempo, per quanto possa essere breve, atti di credenza contraddittori, Ma questa è realmente una legge? Possiamo realmente esprimerla come fornita di una generalità illimitata? Dove sono le induzioni psicologiche che giustificano la sua assunzione? Non possono forse esistere o non sono mai esistiti uomini che talora hanno ritenute vere nello stesso tempo due cose opposte, ad esempio, perché ingannati da false argomentazioni? Sono state avviate indagini scientifiche per accertare se qualcosa di simile non accada tra i dementi, e forse anche nel caso delle contraddizioni esplicite? Che ne è degli stati di ipnosi, del delirio da febbre, ecc.? Tale legge sarebbe valida anche per gli animali?» F. J. Wetz, op. cit. p. 16 Il principio logico di non-contraddizione, tuttavia, prescrive una validità assoluta, indipendente da tutte le circostanze fattuali e senza alcuna possibile eccezione. In ogni caso, il nucleo della strategia confutatoria consiste nello smascherarne la natura di relativismo scettico, cosa che avviene nel settimo capitolo dei Prolegomeni. A tal fine Husserl stabilisce una definizione rigorosa del concetto di "teorie scettiche". Esse sono: «tutte le teorie le cui tesi indicano espressamente o implicano analiticamente che le condizioni logiche o noetiche di una teoria in generale sono false» E. Husserl, Ricerche logiche, trad. di G. Piana, 2voll. , Il Saggiatore, Milano, 1968, p. 20. Le teorie scettiche si suddividono così in due classi, a seconda che contravvengano alle condizioni noetiche o soggettive di possibilità di una teoria (scetticismo noetico), oppure che contravvengano nel loro «contenuto alle leggi senza le quali una teoria in generale non avrebbe alcun senso "razionale"» Ibidem.(scetticismo logico). In altri termini, lo scetticismo noetico: «contravviene alle condizioni evidenti della possibilità di una teoria in generale» perché elimina la differenza tra una teoria giustificata razionalmente ed un'asserzione arbitraria, nega la preminenza del giudizio evidente rispetto al pregiudizio cieco. Se dunque, contro questa stessa negazione, pretende di essere vero, in realtà è formalmente autocontraddittorio. Lo scetticismo logico contravviene, nel suo stesso contenuto, a quei concetti logici (verità, legge, relazione, oggetto) che rendono una teoria razionalmente giustificata. Esso compie delle infrazioni logiche nei suoi presupposti oppure nelle sue «forme di collegamento teoretico», o nella tesi dimostrata. Ibidem Husserl assesta «il colpo di grazia allo psicologismo» dimostrando che è una forma di scetticismo logico e che dunque le sue tesi contravvengono alle condizioni di possibilità di una teoria razionale. Lo psicologismo si presenta, infatti, come relativismo specifico o antropologismo (termine che userà frequentemente con riferimento alle mode filosofiche del proprio tempo), poiché riferisce le leggi logiche e la loro validità alla costituzione della psiche della specie umana. Essendo dunque un relativismo specifico, lo psicologismo risulta essere una forma di scetticismo, poiché sostanzialmente ritiene che al di fuori della nostra specie, per altri ipotetici esseri intelligenti, i principi logici fondamentali potrebbero non essere validi. Nell'affermare tutto questo lo psicologista-relativista palesemente si contraddice, poiché, sostenendo le sue tesi, continua a pretendere «di parlare di verità nel senso che è fissato dai principi logici fondamentali, quel senso al quale noi esclusivamente ci riferiamo ogni qual volta parliamo di verità». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 22 Lo psicologismo può essere radicalmente superato soltanto quando la confutazione della equiparazione delle idealità logiche alle realtà psicologiche venga completata da una chiarificazione positiva del loro legame, compreso in maniera formalmente corretta. In altri termini, le argomentazioni formali contro lo psicologismo logico nei Prolegomeni risultano insufficienti, in quanto lasciano completamente irrisolto il problema dei modi in cui le idealità, seppure irriducibili ai concreti atti di pensiero, possano presentarsi nel flusso di questi ultimi. Nella introduzione del 1913 al secondo volume delle Ricerche logiche è lo stesso Husserl a chiarire i termini del problema lasciato aperto dalle critiche allo psicologismo: «in che modo dobbiamo intendere il fatto che l’ "in sé" dell'obiettività giunge a "rappresentazione", anzi ad "apprensione" nella conoscenza, ridiventando così soggettivo; che cosa significa che l'oggetto sia "dato in sé" e nella conoscenza; come può l'idealità del generale, in quanto concetto o legge, presentarsi nel flusso dei vissuti psichici reali e diventare possesso conoscitivo del soggetto pensante» Ivi, p. 35. La liberazione degli enti e delle leggi logico-formali dalla loro inclusione all'interno della psicologia empirica aprono dunque la strada ad una ricerca descrittiva del nesso tra questi enti logici e i concreti atti di pensiero. i«Quando anche si era reso evidente - affermerà Husserl nel 1925, riflettendo retrospettivamente sul significato dei Prolegomeni - che gli oggetti ideali, nonostante vengano a formarsi nella coscienza, hanno un loro proprio essere, un'esistenza in sé, si stabilisce così qui un compito grande e mai seriamente visto e affrontato [in ff genommene]: vale a dire quello di rendere tema di ricerca questa peculiare correlazione tra gli oggetti ideali della pura sfera logica e il vivere psichico soggettivo in quanto agire costituente» F. J. Wetz, op. cit. p. 28. La confutazione dello psicologismo logico nei Prolegomeni rinvia dunque ad una fenomenologia dei puri vissuti soggettivi, la quale prende l'avvio con le specifiche indagini descrittive contenute nel secondo volume dell'opera, le Ricerche logiche. Nel 1887 Husserl si trasferisce a Halle per elaborare sotto la guida di Carl Stumpf, che era stato come lui allievo di Brentano a Würzburg, la propria tesi di abilitazione in filosofia, che aveva come tema il concetto di numero (Über den Begriff der Zahl), studiato sulla base di un'analisi psicologica. La tesi di dottorato sarà ripresa e maggiormente approfondita da Husserl nella sua prima opera, filosofia dell’aritmetica, apparsa nel 1891. Il libro, il cui sottotitolo è Ricerche logiche e psicologiche, si articola attorno a due differenti aspetti: nel primo Husserl affronta lo studio psicologico dei concetti, ritenuti fondamentali in ambito aritmetico, di pluralità (Vielheit), unità (Einheit) e di numero cardinale (Anzahl); il secondo aspetto si occupa delle rappresentazioni simboliche o indirette degli stessi concetti. L’introduzione, nello studio dell’aritmetica, dell’intenzionalità degli atti psichici rivolti ai concetti numerici, sembrerebbe riprendere i punti fondamentali della psicologia di Brentano. In realtà Husserl, come abbiamo visto, incominciava a distanziarsi dal concetto brentaniano d'intenzionalità. L'attività intenzionale della coscienza è per Husserl, differentemente che per Brentano, condizionata dal tipo di oggetto verso cui essa si dirige. L’oggetto in questione (ad esempio il numero) possiede a priori una propria “direzionalità” regolata da leggi ideali ed immutabili “a priori”, e quindi si differenzia drasticamente dall’oggetto fisico ed empiricamente reale di Brentano. Il progetto primitivo della Filosofia dell'aritmetica, il quale prevedeva la realizzazione di un secondo volume dedicato allo studio dei fondamenti dei concetti logici alla base dell'aritmetica, non fu mai portato a termine. Gli anni successivi furono caratterizzati da un'intensa attività di approfondimento e di revisione delle tematiche conoscitive che portò Husserl ad elaborare la propria concezione di intenzionalità, strettamente legata con la nascita della metodologia fenomenologica e che si differenziava formalmente dallo psicologismo e, come abbiamo visto, anche dalla logica psicologica. L'intenzionalità husserliana è il principio della correlazione tra ciascun oggetto della nostra esperienza e i modi in cui esso sì dà alla coscienza. In una nota alla terza parte della "Crisi delle scienze europee" Husserl rivela che: «la prima scoperta di questo a priori universale della correlazione tra l'oggetto dell'esperienza e i modi di datità» sarebbe avvenuta intorno al 1898 durante l'elaborazione delle Ricerche logiche. Tale scoperta lo avrebbe scosso «tanto profondamente, che da allora in poi il lavoro» del resto della sua esistenza sarebbe stato «dominato dal compito di elaborarlo sistematicamente». E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. di E. Filippini, Il Saggiatore, Milano, 1961, p. 19 Husserl si dichiara inoltre convinto di essere in grado di chiarire «come l'inserimento della soggettività umana nella problematica della correlazione porti necessariamente a un radicale mutamento di senso di questa stessa problematica, e come esiga la riduzione fenomenologica alla soggettività trascendentale» Ibidem. Sottolineare la natura intenzionale dei fenomeni psichici non significa soltanto affermare che ogni coscienza è coscienza di qualcosa, ma vuol dire disporsi nella prospettiva migliore per comprendere come la soggettività si rapporti verso i suoi oggetti in forme determinate che debbono essere classificate e descritte. Anche se Brentano è l’autore con cui Husserl si confronta per il concetto di intenzionalità, un altro grande autore che influirà profondamente sulla sua formazione, specialmente per il tema della verità, fu Bernhard Bolzano, filosofo e matematico che insegnò a Praga nella prima metà dell’Ottocento. La sua convinzione era che: «si danno verità in sé e che anche noi uomini abbiamo la capacità di conoscerne almeno qualcuna.» B. Bolzano, Wissenschaftslehre, Leipzig, 1929, vol. I p. 59 Husserl riprende la distinzione, tra giudizi analitici e giudizi sintetici, da Bolzano insieme alla convinzione che la logica non ha per oggetto le leggi del pensiero. Le proposizioni, infatti, sono entità logiche che non dipendono dal loro essere pensate da una soggettività e le verità sussistono indipendentemente dal fatto che «vengano o meno scoperte da qualcuno». Rispetto allo psicologismo di Brentano, Bolzano distingue molto chiaramente ciò che è obiettivo da ciò che è solamente soggettivo. Nella sua Wissenschaftslehere distingueva con grande chiarezza il carattere ideale dei significati dalla natura psicologico reale dei vissuti in cui essi divengono accessibili per noi. Le verità e le proposizioni non sono realtà come le altre, ma entità ideali, il cui essere è tutto racchiuso nella tesi secondo la quale si può intendere più volte una stessa proposizione e distinguere la possibilità ideale di un’affermazione dal fatto reale che qualcuno così creda. Husserl riprenderà e approfondirà, nelle Ricerche logiche, gran parte delle discussioni avviate da Bolzano e farà suoi molti degli insegnamenti appresi nella Wissenschaftslehere. Possiamo riscontrare, tuttavia, fondamentali differenze nei lavori dei due filosofi. Nei quattro volumi della Wissenschaftslehere troviamo, più volte, ripetuta la distinzione tra la soggettività del pensiero e l’obiettività del pensato, ma non troviamo mai una discussione effettiva del rapporto tra questi due termini. La lettura della logica di Bolzano ridestava nella riflessione di Husserl diversi interrogativi che nella Prima ricerca formula così: «il fatto che ogni attività del pensiero e del conoscere sia diretta su oggetti o su stati di cose , che essa può cogliere in modo tale che il loro “essere in sé” si manifesti come unità identificabile degli atti reali e posti del pensiero[…] solleva questi interrogativi : in che modo dobbiamo intendere il fatto che l’in sé dell’obiettività giunge a rappresentazione anzi ad apprensione nella conoscenza ; come può l’idealità del generale […] presentarsi nel flusso dei vissuti psichici reali e diventare possesso del soggetto pensante[…]?». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 45 Husserl è consapevole che sebbene le riflessioni sulla logica e sulla teoria del significato abbiano ricevuto un fondamentale contributo da Bolzano, le sue ricerche si sviluppano cercando di rispondere a questi interrogativi che Bolzano elude; dimenticando che lo scopo primario di una filosofia della logica consiste nel chiarire come siano possibili concetti e distinzioni su cui si fonda la possibilità di un pensiero obiettivo come tale. Le Ricerche logiche (Logische Untersuchungen) furono pubblicate ad Halle tra il 1900 e il 1901 ed in qualche modo ripropongono le tematiche del suo primo lavoro di dottorato, sull’aritmetica, del 1898. Prima sono dati alle stampe nel 1900 i Prolegomeni ad una logica pura e, l’anno seguente, le sei specifiche ricerche raccolte con il titolo Ricerche sulla fenomenologia e la teoria della conoscenza. Questo lavoro mostra l’esigenza di una “logica pura”, una mathesis universalis, che permette di ottenere un fondamento discorsivo e argomentativo più solido di quello delle tradizioni psicologiche. Allontanandosi quindi da ciò che definiva in modo dispregiativo “psicologismo”, Husserl propone nella sua prima opera fenomenologica una dottrina dell’intuizione eidetica, che sarà sempre un punto fermo del suo pensiero. Nelle Ricerche logiche, si tracciano i principali piani di ricerca della fenomenologia, con il fine di condurre le idee logiche, i concetti e le leggi, alla chiarezza e alla distinzione da un punto di vista gnoseologico. I concetti logici, sostiene Husserl riprendendo un concetto di Bolzano, sono “unità valide di pensiero” e “devono necessariamente avere origine nell’intuizione”, “sorgere dall’astrazione ideante”, delle intuizioni va afferrato l’eidos, l’essenza, ed essi devono fondarsi sui vissuti. Al centro quindi della sua indagine c’è l’intuizione estetico-esperienziale, e la necessità di afferrarla attraverso una metodologia valida. E’ su questo presupposto che Husserl afferma che: «non ci possono bastare i significati ravvivati da intuizioni lontane e confuse, da intuizioni indirette- quando sono almeno intuizioni. Noi vogliamo tornare alle cose stesse.» E. Husserl, Ricerche, cit. p. 47 Appare chiaro che la fenomenologia nasce dall’incontro di istanze logico-fondative con il descrittivismo di matrice brentaniana. Husserl marca tuttavia un duplice distacco, perché da un lato rigetta una logica intesa come mera tecnologia, dall’altro ne respinge la riduzione alla psicologia empirica. Nel passaggio dalla prima alla seconda edizione delle Ricerche logiche, Husserl osservò che le descrizioni e le ricerche sulle “analisi delle essenze”, che aveva senza dubbio condotto, cercando di distaccarsi dagli aspetti contingenti e psicologici, non sempre sono state condotte con la necessaria consapevolezza. Sicuramente sono anni in cui cerca di rielaborare le influenze dello psicologismo e della logica classica, per definire una metodologia peculiare, la fenomenologia, e per cercare di riconciliare un dualismo che sembrava ormai quasi irreversibile all’interno della ricerca filosofica. E’ appunto quest’esigenza di chiarificazione metodologica che lo porterà, nel 1913, alla stesura del primo volume di Idee per una nuova fenomenologia. Questa risistematizzazione condusse a definire la sua filosofia come fenomenologia trascendentale costitutiva, in cui Husserl introdusse questioni ed orizzonti latenti o assenti nei primi lavori. La svolta concettuale nell’indagine delle strutture della percezione e della coscienza, come vedremo, introdurrà una nuova metodologia, quella genetica, che insieme a quella iniziale descrittiva o statica, dialetticamente contribuirà a delineare la ricerca fenomenologica. Fondamentale, per capire il passaggio da una prima fase delle ricerche che, come abbiamo visto, era caratterizzata da un bilanciamento tra le posizioni di Brentano e Bolzano, è considerare il fiorire delle tematiche sulla temporalità verificatesi attorno ai primi venti anni del Novecento. 1.4 La critica allo storicismo e il tema della temporalità Il primo studioso che ebbe il merito di riconoscere l'importanza delle Ricerche logiche fu Wilhelm Dilthey. Questi, come ricorda Heidegger, non esitò a definirle addirittura: «come il più grande progresso scientifico della filosofia a partire dalla Critica della ragion pura di Kant» W. Dilthey, La dottrina delle visioni del mondo. Trattati per la filosofia della filosofia, Guida Editore, Napoli, 1998. p. 67. Tuttavia già con l’elaborazione delle Ricerche logiche la fenomenologia si delinea come una specifica metodologia “scientifica” che si perfeziona continuamente e che da subito si preoccupa di prendere le distanze sia da, come abbiamo visto, un atteggiamento ingenuamente naturalistico, che dallo psicologismo, e che rifiuta i presupposti dello storicismo e antropologismo fiorenti in quegli stessi anni in Germania. Husserl, infatti, vedeva proprio nello storicismo il pericolo interpretativo che inficiava la ricerca filosofica. Il suo ideale di una filosofia scientifica, di una mathesis universalis, era continuamente messo in crisi dalla prospettiva storicista. Husserl si preoccupò, da subito, di distanziarsi da ogni forma di relativismo; per lui, infatti, la questione di una verità ultima era imprescindibile dalla ricerca filosofica. La prospettiva storicista, che si apriva alla molteplicità delle visioni, delle possibili interpretazioni, minava costantemente i presupposti della possibilità di una filosofia come scienza rigorosa. Questo ideale era già stato perseguito in precedenza dallo stesso Kant e Husserl lo approfondisce convinto anch’egli che dovesse essere possibile giungere con la filosofia alla certezza. L’esigenza husserliana è metodologica, ed è quella di non fermarsi, come fanno gli empiristi e gli storicisti, all’attualità empirica della natura e della storia. Questo significa inserire la descrizione di queste istanze costitutive nel contesto specifico di un processo intenzionale, organico e coordinato, in cui la volontà gnoseologica si accompagna alla consapevolezza del compito generale della filosofia, quella di una conoscenza stabile e universale, obiettiva. Dilthey invece, come altri componenti dello storicismo con cui Husserl, nonostante le differenze, sentiva la necessità di un confronto, sostituì alla filosofia come scienza rigorosa della ragione, una filosofia della Weltanschauungen, che divenne il principale bersaglio della critica di Husserl nell’ambito della sua polemica con lo storicismo. Husserl riconosceva, infatti, solo una «anarchia in tutte le convinzioni profonde»e descriveva la deriva delle Weltanschauungen come inevitabile conseguenza della coscienza storica, la quale doveva condurre «alla distruzione della fede nella validità universale». E. Husserl, Crisi, cit. p. 112 Husserl non poteva accettare il pluralismo delle diverse prospettive, che erano considerate tutte come ugualmente possibili, perché questo presupposto portava all’impossibilità della scelta, e proprio per questo non si poteva accordare nessuna superiorità ad alcuna delle Weltanschauungen in conflitto. Questo atteggiamento relativista si traduceva in un’arbitrarietà irrazionale e nello scetticismo, segno, secondo Husserl, di un profondo malessere sociale e culturale che contraddistingueva la sua epoca: «l’indigenza spirituale del nostro tempo è divenuta in effetti insostenibile. Forse soltanto la mancanza di chiarezza teoretica sul senso delle realtà ricercate nelle scienze della natura e dello spirito.[…]in realtà noi soffriamo del più radicale disagio del vivere, un disagio che non si arresta in nessun punto della nostra vita. L’intera vita è un prendere posizione e ogni prendere posizione sottostà ad un dovere, che sancisce la validità e la non validità, secondo norme di cui si presume l’assoluta validità. Finché queste norme non vennero contestate, minacciate da qualche scepsi e disprezzate,la sola questione vitale riguardava il modo migliore in cui esse potessero essere praticamente soddisfatte. Ma adesso, dove ogni norma è messa in discussione[…]?» F. J. Wetz, op. cit. p. 22 Egli vide come unica risposta a questo dilemma esistenziale, una filosofia concepita come scienza rigorosa, perché: «esiste un solo rimedio:una critica scientifica e, ancor più, una scienza radicale, che proceda[…]poggiando su fondamenta sicure e seguendo il metodo più rigoroso:vale a dire la scienza filosofica» F. J. Wetz, op. cit. , p. 35. L’intera riflessione di Husserl è animata da una tensione etica in cui la conoscenza, la razionalità e la logica sono, principalmente, dei modi per avvicinarsi ad una certezza conoscitiva, ad un’idea di ragione che la filosofia indica come modello di riferimento per la specifica verità dei percorsi scientifici. Nonostante la metodologia fenomenologica permettesse ad Husserl, attraverso il descrittivismo, l’analitica e l’ontologia formale, di raggiungere quegli obiettivi di chiarezza, evidenza e validità cui aspirava, tuttavia essa trascurava ancora o non permetteva di approfondire un campo di indagine imprescindibile per una ricerca sistematica: quello della temporalità. Come vedremo, una nuova sensibilità a queste problematiche, indussero Husserl a modificare il proprio approccio metodologico e ad abbandonare in parte la strada aperta con le Ricerche logiche. Il problema di dover ridefinire un metodo di ricerca valido e chiarificatore, e che non trascurasse alcun aspetto nell’indagine conoscitiva, non lo aveva messo al riparo dalle critiche. Il periodo dal 1905 al 1907 è fondamentale per questa nuova prospettiva di rivisitazione della struttura metodologica. Husserl, infatti, in questo periodo elabora i primi scritti sulla “fenomenologia della coscienza costituente” in cui specifica la direzione intenzionale delle indagini descrittive, applicandole allo spazio e al tempo. Sono questi gli anni in cui progetta e scrive il primo libro di Idee per una nuova fenomenologia insieme con le Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo e con L’idea della fenomenologia. E’ il periodo in cui prepara, tra Gottinga e Friburgo, la fenomenologia trascendentale costitutiva, e si distanzia da quella che riteneva una concezione limitata e rigida dell’ontologia; egli rafforza e rivela il passaggio ad una visione genetica che, attraverso Logica formale e trascendentale del 1928-29, trova la sua piena esplicitazione. Il problema s’incentra quindi sulle genesi, sia attive che passive e sulla resistenza che la temporalità interna oppone all’immediatezza dell’io assoluto. Secondo Husserl non esiste alcuna percezione del presente nella quale non ci sia contemporaneamente “ciò che è stato or ora” e “ciò che sta or ora arrivando” E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, a cura di V. Costa, P. Spinicci, Guerini e Associati Editori Milano 1993, p. 83. L’avere presente originariamente impressionale– ritenzionale- protenzionale, costituisce nel suo insieme un campo di presenza trascorrente. La percezione e l’io, che sta alla base di tutti i vissuti, sono strutturati temporalmente. Il tema della temporalità, insieme a quello del mondo e dell’intersoggettività, erano diventati in quegli anni sempre più insistenti. E’ il momento per Husserl, come vedremo di seguito, di ridefinire la metodologia fenomenologica, non solo per far fronte alle accuse ricevute di eccessivo “kantismo”, ma per poter proseguire nel raggiungere lo scopo primo della fenomenologia, che non si presenta come una filosofia chiusa e sistematica, ma che è invece dinamica, costantemente in discussione e quindi aperta. La fenomenologia è, potremmo dire, una prassi e come tale si modifica costantemente. Gli stessi scritti di Husserl sono in continua rivisitazione, sono, come ha osservato Fink, delle introduzioni al suo pensiero che è presente soprattutto nella immane quantità di inediti, difficilmente sistematizzabili, che ci ha lasciato. 1.5 La fenomenologia statica e genetica E’ già dalle Ricerche logiche che prende l’avvio la specifica strada metodologica della fenomenologia. Il progetto della fenomenologia, come abbiamo visto, è fin dall’inizio caratterizzato da un duplice aspetto, lo psicologismo di Brentano, da cui deriva il concetto d’intenzionalità, e il logicismo di Bolzano, che ha apportato lo statuto formale a priori della verità. Il difficile equilibrio è improntato alla necessità di approfondire l’idea della verità in sé, evitando di ricadere negli eccessi di una soggettività trascendentale d’impronta kantiana e nel relativismo storicista della prospettiva diltheyana. La ricerca di Husserl, attraverso il suo specifico metodo fenomenologica, è improntata, come afferma Wetz, alla continua chiarificazione in nome di principi ultimi indubitabili. Nell’unità, nell’ordine e nella chiarezza egli identifica quindi i supremi valori della ragione senza i quali tutto precipita nella mancanza di senso e stabilità. Nel 1906 scrisse: «ho provato a sufficienza i tormenti derivanti dalla mancanza di chiarezza, dal dubbio destabilizzante. Devo pervenire a una stabilità interiore[…] semplicemente, io non posso più vivere senza chiarezza. Devo e voglio, nel lavoro cui sono dedito, nell’approfondimento puramente oggettivo, avvicinarmi alle grandi mete. Lotto per la mia vita e proprio per questa ragione penso di poter progredire; infatti, la crudelissima necessità esistenziale, la legittima difesa contro il pericolo di morte, danno forze, energie insospettate, illimitate. Io non ambisco qui a onore e gloria[…] solo una cosa mi soddisferebbe: devo ottenere chiarezza, altrimenti non posso vivere[…] non posso sopportare la vita» E. Husserl, Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906-07, a cura di U. Melle, den Haag, M. Nijhoff, 1984, p. 445. Il ricorso alla chiarezza e all’evidenza riconduce all’eredità cartesiana, che in Husserl spesso è rintracciabile, basti pensare alla rivisitazione del dubbio metodico nella “svolta trascendentale” dell’epoché. In realtà egli contestò in modo sostanziale la concezione cartesiana del mondo, non ne condivise il realismo gnoseologico e fu in disaccordo con la sua assolutizzazione delle scienze naturali matematiche. Per Husserl, infatti, bisognava andare oltre la mera descrizione “ingenua” dei fenomeni, per guadagnare il campo della loro manifestatività trascendentale, che precede ogni giudizio naturalistico e ogni ovvietà mondana. Il problema che si apre con le Ricerche logiche, in cui la fenomenologia si occupa dell’aspetto puramente descrittivo e forse ancora eccessivamente naturalistico, è quello di una metodologia soddisfacente, che Husserl non aveva ancora precisato, e che doveva permettere di analizzare in modo esplicativo le tematiche strutturali e fondative della coscienza e distaccarsi definitivamente dalle influenze psicologiste che ancora erano presenti. Le conclusioni di questo primo lavoro prettamente filosofico, dopo i suoi iniziali studi matematici, lasciano aperte numerose questioni; la differenziazione problematica tra atti intenzionali ed oggetti intenzionati, il problema più generale della intenzionalità e della percezione, che manca di un’adeguata analisi temporale, e la fondazione ultima della coscienza. La fenomenologia statica o descrittiva, com’è stata definita l’analisi fenomenologica dei primi scritti husserliani, non poteva dare ragione di queste questioni irrisolte. L’analisi della temporalità, della storia, del mondo e dell’orizzonte a cui gli oggetti appartengono, non veniva soddisfatta e non trovava gli strumenti metodologici adeguati. Husserl non poteva più ignorare le accuse, di una mancata contestualizzazione storica, che gli erano rivolte dai suoi stessi collaboratori, come ad esempio Heidegger, il quale, anche per questo motivo, abbandonò nel 1927 definitivamente ed in modo polemico le posizioni del maestro. Negli anni venti, dopo la stesura di Idee per una nuova fenomenologia, Husserl compie il passaggio sostanziale dal metodo fenomenologico statico a quello genetico, abbandonando il difficile equilibrio iniziale tra logicismo e psicologismo. Si ravvisa facilmente, infatti, un andamento molto differente tra i testi, precedenti il metodo genetico, e quelli che lo seguono, sia dal punto di vista del metodo che dei contenuti. La chiarezza e l’evidenza, peculiari della prima fase delle sue ricerche, riescono a dare ragione di una “genesi” che è inizialmente intesa ancora come psicologica. Solo a partire dal 1916-17 si consuma il passaggio dalla genesi in senso psicologico alla genesi in senso fenomenologico. Fino alla fine degli anni dieci, la fenomenologia non si occupa di questioni genetiche e la terminologia relativa alla genesi è in continua evoluzione. Nel 1908 Husserl inizia una profonda reimpostazione del proprio pensiero, abbandonando in parte, o meglio approfondendo, la strada tracciata dalle Ricerche logiche e introducendo nell’Idea della fenomenologia il concetto di epoché, che mise in discussione lo schema “apprensione-contenuto d’apprensione”, attraverso la scoperta dell’orizzonte temporale implicato in ogni atto. La costituzione degli oggetti e della coscienza costituente, in questa nuova prospettiva metodologica, passa attraverso la nuova scoperta di coscienza trascendentale. L’introduzione dell’epochè, come neutralizzazione del mondo ingenuamente naturale, è il presupposto funzionale all’indagine delle essenze costitutive, che vorrebbe eliminare ogni possibilità d’incertezza. Coscienza e soggettività si costituiscono ora secondo sistemi di leggi a priori di tipo genetico, che approfondiscono quelle già anticipate nelle Ricerche logiche, in particolare quelle riguardanti la motivazione degli atti intenzionali, delle sintesi passive, della temporalità e dell’associazione. La fenomenologia genetica si apre dunque ad un orizzonte temporale e mondano della coscienza, superando, attraverso il concetto di monade, l’isolamento in cui la coscienza trascendentale di Idee per una nuova fenomenologia rischiava di permanere. La percezione legata indissolubilmente all’intenzionalità non è più, nella nuova prospettiva, solo immanente, ma è dinamica e stratificata, come potremo analizzare in particolare nelle Lezioni sulla sintesi passiva. «non è che la percezione nel suo primo ed iniziale ora sia mero contenuto di sensazione, che poi improvvisamente questo contenuto di sensazione cominci ad adombrarsi e contemporaneamente un nuovo contenuto di sensazione emerga in continuità, per poi trapassare a sua volta in adombramento e così di seguito[…]ciò che sussiste nella percezione è questa oggettualità unitaria e non quella ingannevole molteplicità» E. Husserl, Lezioni, op. cit. p. 87. La temporalità insieme al problema dell’autocostituzione del flusso assoluto, della percezione e della soggettività ultima, tracciano una linea di netta separazione dall’impostazione, ancora troppo psicologista e descrittiva, dei primi anni di lavoro. Il Vergani, ad esempio, nel suo studio sul passaggio dalla fenomenologia statica a quella genetica, individua nel passaggio ad una fenomenologia genetica, il filo conduttore di tutte le ricerche successive degli anni venti e trenta. Le diverse direzioni in cui si muove il lavoro di Husserl, si sviluppano attorno al nodo centrale della genesi e soprattutto della temporalità, e sono schematizzate dal Vergani, a mio parere correttamente ed abbastanza esaustivo, nelle seguenti linee fondamentali: M. Vergani, Fatticità e genesi in Edmund Husserl. Un contributo dai manoscritti inediti, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1998, p. 23. - approfondimento in senso genetico delle analisi sulla temporalità. monadologia e intermonadicità derivate dall’analisi genetica dell’ego trascendentale e dell’intersoggettività. Discussione genetica delle tematiche della continuità e discontinuità, della normalità e dell’anormalità. Ridefinizione dell’intenzionalità nel senso dell’intenzionalità pulsionale o istintiva (sintesi passive e logica genetica). Introduzione della tematica della storicità e della Crisi. L’evidenza della centralità riguardo al tema della temporalità nella fenomenologia genetica, come campo da sistematizzare ed approfondire, è confermata dall’incarico che Husserl affidò al suo assistente Eugen Fink, di curare la pubblicazione d’alcuni manoscritti di ricerca relativi proprio al problema della temporalità. L’opera doveva essere divisa in due parti: la prima doveva comprendere le ricerche su temporalità ed individuazione compiute a Bernau nel 1917, la seconda doveva comprendere le ricerche sulla temporalità realizzate tra il 1929 e il 1934, dopo il ritiro dall’insegnamento. Il testo in realtà non fu mai pubblicato, per la difficoltà riscontrata da Fink nel dare un ordine ai manoscritti. I manoscritti L e C, conservati nell’archivio di Lovanio, rivelano il tentativo husserliano di approfondire in senso genetico l’autocostituzione del flusso e dello scaturire della temporalità originaria. Questo cambio di prospettiva non aveva però comportato un completo distacco metodologico rispetto alla fenomenologia statica, si può dire che il passaggio sia più stato un’integrazione più che decisivo cambiamento di rotta. Husserl, infatti, cercò di relazionare i metodi delle analisi statiche a quelle genetiche, dato che per definire il metodo fenomenologico genetico Husserl deve far riferimento al metodo statico. Egli si rende conto che è proprio l’analisi statica a rendere possibile quella genetica, che permette un differente modo di affrontare il medesimo oggetto di ricerca: non si potrebbe risalire alla Bildung senza preventivamente avere descritto i Gebilde. Husserl definisce come «il duplice aspetto della fenomenologia» quest’integrazione dei due metodi, anche se l’apertura al tema della temporalità impone una Rückfrage alla fenomenologia, che non può più accontentarsi della descrizione come strumento chiarificatore delle modalità d’appercezione, della loro costituzione, ma che è costretta a occuparsi e ad analizzare la costituzione dell’appercezione originaria . La possibilità di una descrizione unicamente statica non pare soddisfacente a Husserl, soprattutto per quanto riguarda il problema delle appercezioni, che trascendono il loro contenuto immanente e si costituiscono nel decorso temporale: «l’analisi genetica è la chiarificazione che comprende la costituzione genetica, cioè la costituzione di questa costituzione[…]» E. Husserl, Lezioni, op. cit. p. 56; E ancora Husserl attribuisce alla fenomenologia genetica il compito di: «stabilire le leggi generali e primitive secondo le quali procede la formazione(bildung) delle appercezioni originarie e dedurre sistematicamente le formazioni possibili , dunque chiarire ogni formazione (gebilde) data secondo la sua origine» Ibidem La fenomenologia genetica analizza quindi la costituzione dell’appercezione originaria che trascende il contenuto propriamente immanente, si sviluppa attraverso il decorso temporale e ne ricerca le leggi generali di sviluppo. In questo senso Husserl utilizza la fenomenologia statica e la definisce come fenomenologia descrittiva, poiché analizza le forme essenziali della coscienza, mentre la fenomenologia genetica diventa una fenomenologia esplicativa, che gli permette di ricercare quali sono le connessioni genetiche della costituzione originaria. Nella seconda appendice di Logica formale e trascendentale, Husserl definisce l’analisi statica come quella che vuole descrivere la costituzione dell’oggetto intenzionato e «tende dal modo di datità non chiaro alla chiarezza», mentre « l’analisi intenzionale genetica è indirizzata alla connessione totale concreta» E. Husserl, Logica formale e trascendentale, trad. di G.D. Neri, Laterza, Bari, 1966, p. 114 Husserl giustifica il passaggio dalla fenomenologia statica a quella genetica perché: «dal punto di vista statico non si può dunque descrivere la connessione universale di una monade in quanto tale[…] perché la monade essenzialmente è proprio un’unità genetica» Ibidem. L’indagine genetica quindi è legata ad una struttura coscienziale di tipo monadico, e non più unicamente trascendentale o psicologica, in cui l’io non è solo, come Derrida afferma nelle sue critiche in La voce ed il fenomeno, un soggetto della presenza ma si apre anche ad altre istanze temporali. «la monade , con tutto ciò che le apparteneva e le appartiene, è pre-data al proprio io» J. Derrida, La voce e il fenomeno. Introduzione alla fenomenologia di Husserl, Jaca Book, 1984, p. 18 Se quindi l’io delle Ricerche logiche e di Idee per una nuova fenomenologia può escludere l’implicazione dell’altro e del non-io, ed anzi, per quanto riguarda il soggetto della riduzione fenomenologica, lo esige, nel contesto genetico, invece «l’io non è nulla senza ciò che è estraneo all’io,» e «Nell’io stesso vi è un contrasto e una correlazione tra io e non io» Ibidem. La soggettività fenomenologica, la “monade concreta”, come la definisce Husserl, è in realtà un pre-io, Vor-Ich , o un io anonimo fungente. Il soggetto come monade concreta è un’“unità genetica” in cui l’inizio non è mai dato, ma è sempre in corso di genetica costituzione. Ogni inizio, infatti, rimanda ad un pre-inizio, che è caratterizzato da qualcosa di estraneo, da una correlazione genetica appunto con ciò che Husserl chiama non-io o anche coscienza estranea primordiale. E’ chiaro, nella dinamica struttura del soggetto come monade, il ruolo fondamentale che gioca la temporalità, soprattutto nelle analisi costitutive. Il concetto d’intenzionalità, insieme al ruolo della percezione e in particolare di appercezione , si ampliano in forma considerevole a partire dalle analisi genetiche. La fenomenologia genetica, come nota Carlo Sini usando un’espressione di Husserl, si prospetta come una sorta di “archeologia fenomenologica”, che deve indagare sulle strutture temporali originarie e fondanti, e il cui fine ultimo è quello di risalire alla comprensione del mondo valido per tutti. C. Sini, La fenomenologica e la filosofia dell’esperienza, Unicopli, Milano, 1987, p. 34 Un’apertura alla storia, che però si distanzia, come abbaiamo visto, dalle Weltanschauungen che caratterizzavano parte del panorama filosofico irrazionalista degli anni trenta, e che è indagata su basi rigorosamente fenomenologiche. Il senso della fenomenologia trascendentale e della sua metodologia genetica, si apre alla Lebenswelt, al mondo della vita e alla storicità del flusso coscienziale. La costituzione dell’intenzionalità fenomenologica e la sua correlazione con le percezioni e appercezioni, saranno i temi di cui ci occuperemo nei prossimi capitoli. Il nodo focale sarà proprio questo passaggio da una percezione legata a schemi descrittivi che non tengono conto o non approfondiscono adeguatamente le costituzioni primarie, ad una visione di quest’ultima storicamente data, che si sviluppa sebbene in una centralità dell’immanenza appercettiva in costanti destabilizzazioni, legati alle protenzioni e ritenzioni, alla tematica delle associazioni e in un’ultima analisi al rapporto, messo in luce già dalle Ricerche logiche tra l’intero e la parte. SECONDO CAPITOLO MATERIA SENSIBILITA’ E TEMPORALITA’ NELLE RICERCHE LOGICHE. L’intenzionalità e la classificazione dei vissuti intenzionali Nella Quinta delle Ricerche logiche, che rappresenta, si può dire, il punto di partenza delle più importanti questioni fenomenologiche, Husserl sviluppa un problema di natura fondamentalmente analitica: vuole infatti differenziare i molteplici significati del termine “rappresentazione”. «...L’essenza degli atti come tali non può essere adeguatamente illustrata se non ci si addentra in misura relativamente considerevole in una fenomenologia delle “rappresentazioni”». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 136 Questa operazione di distinzione dei significati porta Husserl a definire uno schema della relazione intenzionale, e in seguito induce ad approfondire le possibili diverse forme dei vissuti e degli atti intenzionali. Nella Quinta ricerca, Husserl distingue tre momenti diversi nella struttura di un atto intenzionale, sono in modo specifico: il suo rapporto con i contenuti intuitivi ed il suo avere una qualità e una materia d’atto. «I vissuti del significare saranno anche atti, e la componente significativa di ogni singolo atto deve trovarsi proprio nel vissuto-atto (Akterlebnis), e non nell’oggetto: essa deve trovarsi in ciò che lo rende un vissuto “intenzionale”, diretto agli oggetti. Così risiede in certi atti anche l’essenza dell’intuizione riempiente: il pensiero e l’intuizione saranno diversi in quanto atti.[…]. Ovviamente, all’indagine dell’essenza fenomenologica degli atti come tali compete anche la chiarificazione della differenza tra carattere d’atto e contenuto d’atto, ed a questo proposito , anche la chiarificazione della differenza tra carattere d’atto e contenuto d’atto.» Ibidem Questi momenti possono essere a loro volta ulteriormente suddivisi, poiché un atto può avere o non avere un contenuto intuitivo, può essere oggettivante o fondato, per ciò che concerne la sua qualità, e può avere una materia più o meno complessa. Il tema dell’intenzionalità nelle Ricerche logiche, come abbiamo visto nel precedente capitolo, è strettamente legato alla distinzione brentaniana tra fenomeni fisici e fenomeni psichici. Il punto di partenza della critica husserliana al concetto di rappresentazione brentaniano si sviluppa proprio attorno all’erronea suddivisione di quest’ ultimo tra fenomeni fisici e fenomeni psichici. B. Rang scrive che: «Ciò che qui è chiamato oggetto del fenomeno psichico, è il fenomeno fisico, che si chiama fisico solo per il fatto che esso è il qualcosa a cui primariamente i fenomeni psichici sono riferiti». B.Rang, Kausalitat und Motivation, Martinus Nijhoff, den Haag 1966, p.14 La tesi, che riguarda l’irrilevanza dell’esistenza reale di un oggetto rappresentato, porta Brentano ad affermare che l’esperienza ci nega la possibilità di parlare dell’esistenza inerente ad un oggetto esterno alla rappresentazione stessa. Ciò di cui abbiamo esperienza sono esclusivamente dei contenuti immanenti e non degli oggetti trascendenti e slegati dalla percezione soggettiva. Come scrive la Lanfredini: «i fenomeni fisici non godono, infatti, di un’esistenza effettiva e ciò equivale a dire che quanto l’esperienza intenzionale ci offre si rivela, in definitiva, privo di un’esistenza che va oltre l’esperienza stessa». R. Lanfredini, Husserl. La teoria dell’intenzionalità, La terza, Bari 1994, p .9 Per Brentano quindi non si potrebbe percepire alcun oggetto “reale”, “in sè”. Noi non percepiamo case o alberi, nella loro “essenza”, ma complessi strutturati di dati di sensazione a cui non sono attribuiti alcuna realtà obiettiva ma esclusivamente correlata alla propria coscienza. A parere di Piazza, il confronto tra Brentano ed Husserl può essere semplificato secondo due tesi principali: La convergenza del concetto di sensazione husserliano e del concetto di fenomeno fisico brentaniano. Una diversa interpretazione della funzione che svolgono le sensazioni o i fenomeni fisici nel rendere possibile attraverso le percezioni il riferimento intenzionale della coscienza ad una realtà trascendentale. T. Piazza, Esperienza e sintesi passiva. La costituzione percettiva nella filosofia di Edmund Husserl, Guerini e Associati Editori, Milano, 2001, pag. 51 Questo schema suppone una certa convergenza tra la teoria brentaniana ed husserliana di sensazione e quella di fenomeno fisico, riscontrando una differenza quindi solo denotativa più che sostanziale, che tuttavia non mi trova in pieno accordo. Credo, infatti, che non si possa trascurare, come vedremo in seguito, la sostanziale complessità e ambivalenza che il concetto di sensazione assume nella teoria della percezione di Husserl, e soprattutto, non si può non rilevare la divergenza sostanziale, di tipo metodologico e tematico, che porta ad un allontanamento definitivo di Husserl dalle influenze brentaniane. Se si seguono le conclusioni di Brentano e s’identificano gli oggetti immanenti, intenzionali, con le sensazioni, si rischia di cadere in un problematico scetticismo. Se non è possibile percepire altro, al di là di un insieme di dati di sensazione, e se non è possibile sostenere una realtà in sé degli oggetti che ci trascende, risulterà difficile, al fine di una possibile accessibilità epistemica, avere una conoscenza stabile e non unicamente soggettiva, l’indagine non sarebbe “scientifica” ma solo investigativa e psicologica. Per Husserl, invece, le analisi sull’intenzionalità sono volte a chiarire proprio la costituzione della trascendenza degli oggetti rispetto alla coscienza stessa. Queste analisi, infatti, conducono ad una fondamentale distinzione tra ciò che è percepito [Wahrgenommenes] e ciò che è esperito [Empfundenes]. La casa che io percepisco, ad esempio, rimane dove io la percepisco anche quando non sono rivolta intenzionalmente ad essa, mentre la gioia che posso provare non è nulla se non all’interno della sua esperibilità. Questa distinzione, segna un inevitabile e funzionale dualismo, tra la cosa in “sé” nella sua realtà esterna alla coscienza percettiva, e la cosa come percepita all’interno del flusso coscienziale. Di qui prende avvio l’indagine fenomenologia, tenendo conto di questa distinzione e scegliendo di non indagare l’aspetto ontologico dell’oggetto in sé, ma di soffermarsi proprio sull’oggetto percepito ed esperito. Una scelta simile potrebbe portare alla conclusione di una certa irrilevanza dell’esistenza dell’oggetto, ma bisogna sempre tenere presente che le scelte di Husserl sono scelte metodologiche, che non implicano un’ontologia o una metafisica, e soprattutto che i dati fenomenologici, sono dati studiati da una posizione d’esperibilità, ma che rimangono in ogni caso, trascendenti e reali rispetto alla coscienza. L’esistenza dell’oggetto è metodologicamente indifferente, nella prospettiva husserliana, nel senso che, ai fini dell’indagine fenomenologica, la sua reale esistenza non ha importanza, perché non è un aspetto su cui la fenomenologia si sofferma. In ogni caso la loro realtà, seppure non indagata, non è mai messa in discussione; gli oggetti sono lo stesso sempre presenti come realtà in se. Ciò che percepiamo, infatti, non è solo un complesso di dati sensibili, ma un oggetto trascendente e che sempre ci trascende, qualcosa che ci si presenta attraverso la sensibilità stessa ma che “è” al di là di questa. Il presupposto di una percezione reale e stabile nel tempo, è l’autonomia che intercorre tra l’oggetto rappresentato e la rappresentazione stessa. Tra le due entità non ci potrà mai essere una totale riconciliazione, la percezione è destinata a non essere mai completa, l’immanenza dell’esperienza del soggetto è in un continuo rapporto dinamico con la realtà trascendente, in una relazione tra le parti che rende la fenomenologia una metodologia al di là delle contrapposizioni dualistiche classiche. In questa prospettiva Husserl sviluppa, nella Quinta ricerca, la sua critica a Brentano, nonostante egli in parte accetta la nozione brentaniana d’intenzionalità, si rifiuta tuttavia di riconoscere nei dati di senso, nei contenuti che ritiene come semplicemente qualitativi, gli oggetti che concorrono negli atti intenzionali. «Più importanti per noi sono le differenze dell’esserci del contenuto nel senso della sensazione cosciente , che non è tuttavia divenuta essa stessa oggetto della percezione , e nel senso, appunto di oggetto della percezione.» E. Husserl, Ricerche, cit. § 14 p. 170. L’oggetto dell’intenzione è sempre qualcosa di autonomo, strutturato, trascendente, mentre l’essere della sensazione al contrario risulta essere vincolato, inorganizzato ed immanente. Tuttavia, a mio parere, Husserl non esamina in modo esaustivo il ruolo della sensazione all’interno dell’atto percettivo, lo sfondo sensoriale rimane, in definitiva, non indagato e, in alcuni casi, difficoltoso, come anche il Mulligan evidenzia. Questa problematicità è evidente soprattutto nelle analisi svolte all’interno della Quinta e Sesta ricerca riguardo alla differenziazione tra materia sensoriale e qualità K. Mulligan in, The Cambridge Companion to Husserl, Cambridge University Press, Cambridge, 1995. p.110 . La sensazione sembra, in queste indagini, svolgere un ruolo puramente fittizio o quanto meno esclusivamente nominale. Nella sostanza, infatti, la percezione coscienziale delle Ricerche logiche si basa quasi esclusivamente sulle qualità intenzionali. Questo “paradosso” può, credo, essere attribuito ad una ancora inadeguata metodologia per un’indagine approfondita della struttura coscienziale ed ad un mancato approfondimento della dimensione temporale della percezione e della coscienza in generale. Nel passaggio ad una fenomenologia genetica Husserl cercherà, come tenterò di dimostrare, di rivedere il ruolo della sensazione e soprattutto di dinamicizzarla all’interno del flusso temporale coscienziale. Husserl distingue tra ciò che è vissuto, ma di cui non si ha coscienza e ciò che è cosciente senza essere vissuto, e questo proprio attraverso il concetto di sensazione, in cui egli differenzia tra oggetto e complesso di dati di senso. Nell’essere rivolti intenzionalmente verso un oggetto, la distinzione, che è interna al vissuto, tra ciò che è conosciuto e l’atto, comporta una necessaria temporalizzazione delle analisi intenzionali. All’oggetto, infatti, nella sua duplice funzione d’essere trascendente e di polo obiettivo della relazione intenzionale, sono corrisposti i molteplici Erlebnisse ad esso intenzionalmente rivolti e che si relazionano in un continuum temporale. L’oggetto, rispetto al vissuto in cui si manifesta, è sempre oltre, irraggiungibile, intessuto di molteplici rinvii alle continue serie percettive, in cui questo ultimo si presenterebbe in tutti i suoi lati esperibili. La percezione si compone quindi in conformità ad un essenziale dualismo, tra l’oggetto in sé e la rappresentazione di quest’ultimo, ma anche sulla base di un’identità, riguardo il medesimo riferimento oggettuale, che viene condiviso in differenti qualità d’atto. L’oggetto percepito è lo stesso anche se gli atti con cui lo percepiamo cambiano. Tuttavia Husserl afferma che quando diversi atti di percezione si rivolgono ad uno stesso oggetto, da diverse prospettive, possiamo osservare come ogni volta, questo stesso oggetto, sebbene noi continuiamo ad attribuirgli le stesse proprietà, si presenta con un corredo sensoriale diverso: per esempio uno stesso suono percepito da diverse distanze, od uno stesso colore visto in tutte le sue sfumature. Su quest’identificazione è fondata una conoscenza, possiamo dire, d’ordine superiore, una sintesi conoscitiva, come la definisce lo stesso Husserl, che sovrappone ed identifica i due dati sulla base di un comune riferimento oggettuale. La coscienza costitutiva di un dato percettivo che dura nel tempo si fonda quindi su un’identificazione. Possiamo dire che la temporalità della percezione delle Ricerche logiche è strettamente immanente e legata a processi di falsificabilità o veridicità e d’identificazione, è solo grazie ad un processo temporale che si possono avere delle possibilità di raffronto e d’identificazione o falsificazione dei dati. Nella Sesta ricerca Husserl affronterà proprio il problema del giudizio e della sua intenzionalità, e sulla possibilità di avere una conoscenza stabile e permanete all’interno di flusso temporale. L’analisi non riesce però a stabilire la possibilità conoscitiva delle strutture pre intenzionali come ad esempio la sensazione, sembra, infatti, che in queste ricerche la conoscibilità sia ancora brentanianamente legata alla rappresentabilità, all’immanenza ed all’intenzionalità nel senso psicologico del termine. La possibilità di stabilire se una percezione è uguale o meno ad un'altra e se perdura nel tempo passa per il modo in cui i contenuti sensoriali sono appresi dalla coscienza, in questo caso anche se in realtà sussistono delle differenze “materiali”, la percezione rimane invariata: «Non sarebbe forse giusto rispondere, in modo pertinente, che, pur essendo i due contenuti sensoriali diversi, essi sono tuttavia appercepiti, appresi nello “stesso senso”, e che l’apprensione secondo questo senso è un carattere di vissuto che costituisce anzitutto l’esserci per me dell’oggetto?». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 172 Ciò che è oggetto della percezione, del ricordo, di una aspettazione lo è in quanto indipendente rispetto alla coscienza. Quando percepiamo qualcosa, un libro per esempio, una delle proprietà fondamentali con cui il libro si offre alla mia percezione, è che esso esisteva prima di essere percepito da me e che continuerà ad esistere anche quando non sarà più percepito, la sua realtà mi trascende. Proprio su questa distinzione tra il vissuto di un atto e l’oggetto in sé Husserl scrive: «il contenuto è allora il vissuto che costituisce realmente (reell) la coscienza; la coscienza stessa è la complessione dei vissuti. Ma il mondo non è in nessun caso il vissuto di un pensante. Vissuto è l’intendere-il-mondo, mentre il mondo stesso è l’oggetto inteso. In rapporto a questa distinzione è indifferente in che modo si ponga il problema di sapere che cosa costituisca l’essere oggettivo, il vero ed effettivo essere-in-sé del mondo o di un altro oggetto qualsiasi, e in che modo si determini l’essere oggettivo come “unità rispetto all’essere pensato soggettivo con la sua “molteplicità”; e così anche in quale senso si possa contrapporre l’essere metafisicamente immanente all’essere metafisicamente trascendente[…]». Ivi p. 175 Il problema che si pone a questo punto, come giustamente osserva il Piazza, è la giustificazione di questo dualismo tra l’oggetto percepito, possiamo dire l’oggetto della mia rappresentazione, e l’oggetto in sé, escluso da ogni forma di intenzionalità. Tutto ciò che noi sappiamo e conosciamo dell’oggetto si basa su sintesi coscienziali che strutturano le qualità dell’oggetto stesso, e quindi anche la sua trascendenza. Questo porterebbe ad un circolo vizioso per cui la trascendenza dell’oggetto non potrebbe essere realmente conoscibile ma solamente presumibile, in quanto la coscienza per essenza non può costituire ciò di cui non ha una esperienzialità. Questo punto delicato ha portato diverse polemiche e distinte interpretazioni. Una fra le tante posizioni critiche vede in Husserl una nuova forma di platonismo, considerando questa trascendenza dell’oggetto come una forma di metafisica, un dualismo che porta o ad una concezione della coscienza come comprensiva del tutto, Assoluta, e quindi fondatrice anche della trascendenza, o come solamente esperienziale, empirista, e quindi relativa ad un preciso momento esperienziale e storico. In realtà, a mio parere, la trascendenza di cui parla Husserl non ha niente a che vedere con un piano strettamente ontologico o metafisico, il dualismo non è irriconciliabile, semplicemente mi sembra un tentativo di non ridurre la ricerca conoscitiva ad un piano esclusivamente esperienziale e quindi soggettivo, il dualismo ancora una volta è esclusivamente metodologico. Facendo un veloce paragone con il dibattito post kantiano tra fenomeno e noumeno, che mi sembra molto vicino al tipo di dualismo husserliano, possiamo dire che la posizione di Husserl sia quella di chi non vuole ricadere in una lettura hegeliana ed idealista del processo conoscitivo ma nemmeno in una lettura estremamente empirista. Credo che la fenomenologia husserliana in questo senso sia una metodologia e una ricerca filosofica che cambia i criteri di giudizio e gli schemi interpretativi della tradizione filosofica classica, questo perché la sua non è una filosofia contrappostivi, come sembrerebbe ad una prima lettura, ma relazionale in cui le parti sono contenute in una sintesi che tuttavia non è chiusa, teleologica, come potrebbe essere la relazione dialettica tra le parti in Hegel, la fenomenologia mantiene una prospettiva di apertura che la rende difficilmente sistematizzabile. La posizione husserliana sviluppa nella sintesi conoscitiva degli atti due momenti distinti, da un lato l’oggetto della rappresentazione, che possiamo dire immanente alla coscienza, e dall’altra l’oggetto in sé, ovvero l’oggetto che ha una propria esistenza indipendente dalla nostra possibilità conoscitiva e che per questo ci trascende. La mediazione che pone in contatto questi due aspetti della sintesi conoscitiva è individuata da Husserl nel concetto di appercezione, i materiali della conoscenza ne sono debitori nella determinatezza del riferimento oggettuale. La percezione, come abbiamo visto, si costruisce attraverso la componente sensoriale ed il riferimento ad un “materiale costruttivo”, questo riferimento evidenzia un processo di strutturazione ed interpretazione alla cui base si pongono le sensazioni. La trascendenza dell’oggetto, la sua inclusione nella sfera degli “oggetti pubblici”, ha come condizione necessaria proprio la non intenzionalità degli oggetti trascendenti e l’apprendimento di questi ultimi come momenti astratti di interi percettivi, in quanto non direttamente esperibili. Come afferma il Mulligan, se supponiamo che percepire significa avere delle sensazioni che si riferiscono necessariamente ad un oggetto, così come pensano anche Brentano e Russell, allora: « Seeing becomes a relation whose second term cannot be a material thing». K. Mulligan, op. cit. ,§14, p.171 trad. mia «il vedere diventa una relazione di cui il secondo termine non può essere un oggetto materiale.» Se, infatti, le sensazioni derivano dall’interazione con gli oggetti materiali, ma allo stesso tempo rappresentano la base costitutiva degli oggetti a cui le percezioni sono dirette, è difficile intendere la relazione intenzionale come relazione che come secondo termine ammette l’occorrenza d’oggetti materiali, proprio perché sembrerebbe che le sensazioni immanenti siano sufficienti alla costituzione percettiva senza un riferimento ad altre realtà trascendenti. La possibilità di mantenere questo dualismo, tra immanenza e trascendenza è data proprio dalla struttura mediatrice dell’appercezione, che relaziona le due componenti rendendo le componenti “materiali” e ininintenzionali, come “coscienziali” e intenzionali. Tuttavia Husserl non specifica molto bene, nella Quinta ricerca, che cosa realmente sia questa funzione della coscienza. Essa svolge una funzione presentativi degli oggetti attraverso le sensazioni stesse, è responsabile, possiamo dire, di una prima fase di “assemblaggio” del materiale percettivo in un’unità spazio temprale minima. L’oggetto nel modo in cui è dato alla coscienza attraverso il processo sensoriale e appercettivo, è la risultante delle componenti immanenti che costituiscono il vissuto corrispondente. E’ evidente che dall’apprensione del contenuto sensibile dell’atto, deriva l’assunzione, da parte delle sensazioni, di un ruolo a loro normalmente estraneo: la presentazione di un oggetto trascendente. Il problema che si pone all’interno di questa struttura, che potremmo definire “pre-percettiva” e proprio quella del rapporto tra l’apprensione e le sensazioni apprese. Husserl scrive riguardo il ruolo dell’appercezione che: «comunque sorgano nella coscienza i contenuti presenti , è pensabile che in essa sussistano gli stessi contenuti sensoriali e che essi siano tuttavia appresi in modo diverso;in altri termini: è pensabile che, sulla base degli stessi contenuti vengano percepiti oggetti diversi. L’apprensione stessa non può essere ridotta in nessun caso ad un afflusso di nuove sensazioni, essa è un carattere d’atto, una “modalità di coscienza”, di “atteggiamento”:noi chiamiamo il vivere le sensazioni in questa modalità di coscienza percezione dell’oggetto corrispondente. Noi comprendiamo quindi anche, come un fatto essenziale e generale, che l’essere del contenuto sensoriale è del tutto diverso dall’essere dell’oggetto percepito, che viene presentato dal contenuto, ma che non è realmente (reell) cosciente». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 171 Come giustamente osserva il Piazza, non è possibile indagare una struttura quale quella appercettiva senza prima esaminare la struttura stessa degli atti e la caratterizzazione che Husserl le da in queste Ricerche logiche. «La possibilità quasi illimitata di variazione dei materiali sensibili nella costanza dell’apprensione, esige, l’integrazione dello schema sensazioni-apprensione con la determinazione dell’essenza intenzionale di un atto attraverso i concetti di materia e qualità». T. Piazza, op. cit. p. 60 2.2 La struttura degli atti tra materia e qualità Husserl introduce la fondamentale e problematica distinzione tra materia e qualità di un atto intenzionale nella Quinta delle Ricerche logiche. Questa distinzione, come vedremo, porterà ad interrogarci sul ruolo assunto all’interno di questo schema conoscitivo dalla sensazione e dalle cosiddette componenti non intenzionali e passive. All’interno delle Ricerche logiche quest’indagine non è affrontata, soprattutto per la struttura metodologica del testo che è essenzialmente descrittiva ed analitica più che esplicativa. Nel §20 della Quinta ricerca Husserl definisce la materia come quella componente di un atto che determina il riferimento, in diverse modalità intenzionali, ad una precisa oggettualità: «la materia[…] conferisce ad esso la sua direzione determinata verso l’oggetto, facendo sì che la rappresentazione , ad esempio, rappresenti proprio questo e null’altro[…]. Dalla materia non viene soltanto nettamente fissata l’oggettualità in genere, intesa nell’atto, ma anche il modo in cui esso la intende». E. Husserl, Lezioni, cit. §20 p. 200-201 Husserl distingue due momenti fondamentali dell’atto: la materia, che come abbiamo visto determina quale sia l’oggetto dell’atto, e la qualità, che determina quale sia la posizione assunta dall’atto nei confronti dell’oggetto “prescritto” dalla materia. Un oggetto percepito può condividere la stessa materia pur differenziandosi per la sua qualità. Due atti qualitativamente diversi possono quindi condividere lo stesso contenuto. Ma cosa significa e soprattutto cosa comporta questa proprietà fondamentale degli atti? Che cosa vuol dire che due atti diversi hanno lo stesso contenuto? «[…]nei diversi atti, l’oggettualità intenzionale resta la stessa. Un unico ed identico stato di cose viene rappresentato nella rappresentazione, posto come valido nel giudizio, desiderato nell’augurio, diventa oggetto di domanda nell’interrogazione. Per la considerazione fenomenologica reale (reell), l’oggettualità stessa non è nulla;essa è , per dirla in termini generali, trascendente rispetto all’atto. Indipendentemente dal senso e dalla legittimità eventuale in cui si parla del suo “essere” e indifferentemente dal fatto che essa sia reale o ideale, vera, possibile o impossibile, l’atto è in ogni caso diretto ad essa». E. Husserl, Lezioni, cit.. §20 p. 198 La materia indirizza intenzionalmente l’atto, come spiega Husserl, indipendentemente dal problema dell’esistenza reale o meno dell’oggetto e altrettanto indipendentemente dalla qualità intenzionale che l’atto può assumere, infatti: «Tutte le differenze nella modalità del riferimento all’oggetto sono differenze descrittive dei vissuti intenzionali correlativi». Ivi, p. 199 L’oggetto, nella sua intenzionalità, si dà solo attraverso la materia e le differenze qualitative si risolvono unicamente in differenze descrittive e non sostanziali. Tuttavia, Husserl dovrà spiegare in che modo e fino a che punto, la percezione e la conoscenza, che sappiamo, costituirsi attraverso degli atti intenzionali, dipendono dalla materia stessa e come i dati materiali e sensoriali sono selezionati dall’attenzione percettiva. La distinzione descrittiva evidenzia la differenza tra la costituzione dell’atto, l’insieme dei caratteri immanenti attraverso cui si spiega la determinazione della nostra conoscenza, e l’oggetto di cui si è coscienti: «Ma può accontentarsi di siffatte ovvietà solo chi non ha mai chiarito a se stesso le differenze fenomenologiche[…] che sussistono in questo caso, ed anzitutto non ha mai compiuto la fondamentale distinzione tra il contenuto come oggetto e il contenuto come materia[…] Tutte queste complicazioni sono dunque necessarie. Oggetti che nella rappresentazione non sono nulla, non possono nemmeno differenziare una rappresentazione dall’altra[…]». E. Husserl, Ricerche, cit. pp. 221-222 Il fatto che due rappresentazioni differiscano riguardo alla propria direzione oggettuale, è una cosa evidente anche al di fuori di una trattazione fenomenologica. Internamente invece questa differenza non è poi così evidente e diventa problematico ricondurla ad un'unica matrice esplicativa e soprattutto compatibile con l’apparato concettuale sviluppato fino ad adesso da Husserl. Per il fenomenologo, abbiamo visto, l’essere dell’oggetto non è importante, la sua trascendenza rispetto alla coscienza non è accertabile, infatti, se non attraverso altri stati coscienziali che porterebbero ad un infinito rimando del problema stesso, tuttavia questo stesso essere non è nemmeno messo in discussione nella sua realtà trascendente. L’essere la possibilità della rappresentazione, potremmo dire, in senso heideggeriano: l’essere la possibilità dell’accesso conoscitivo, non porta ad una maggiore conoscibilità della cosa stessa, bensì ad un’impossibilità strutturale di una conoscenza totale dell’oggetto. Il fatto che l’accesso conoscitivo sia costantemente sottoposto alla mediazione delle rappresentazioni, implica l’inservibilità di qualsiasi accertamento rappresentazionale per ottenere un criterio di decidibilità riguardo questo stesso accertamento. Se, infatti, bisogna spiegare come due diverse rappresentazioni abbiano due oggetti diversi, non posso in alcun caso fare riferimento a quest’ovvietà evidente senza già presupporre, come scontato e già conosciuto, proprio quello che dovrei spiegare, ovvero il sussistere di una peculiare distinzione non tra i due oggetti, ma tra i contenuti descrittivi dei due stati coscienziali, la cui risultante vissuta è la coscienza dei due oggetti nella loro diversità. La distinzione, che Husserl introduce, tra ciò che è vissuto e ciò che è cosciente rimanda alla distinzione tra la costituzione descrittiva dell’atto, l’insieme dei caratteri immanenti attraverso cui si spiega la determinazione della nostra conoscenza, e l’oggetto di cui si ha coscienza che ne è il prodotto. Questa distinzione è quella a cui Husserl fa riferimento specificando i due significati del termine contenuto. Da una parte il contenuto è l’oggetto di cui si è coscienti, dall’altra è ciò che costituisce, in modo immanente, la determinazione del contenuto, ovvero il modo e la direzione con cui l’oggetto sì dà alla coscienza: «Oggetti che nella rappresentazione non sono nulla, non possono nemmeno differenziare una rappresentazione dall’altra, quindi in particolare produrre la differenza, a noi così familiare sulla base del contenuto proprio di ciascuna rappresentazione, in rapporto a ciò che essa rappresenta. Ora, se intendiamo questo, come un contenuto che va distinto dall’oggetto intenzionato e che è insito nella rappresentazione stessa, si chiede allora appunto in che modo esso debba essere compreso». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 222 E continua: «Che una rappresentazione si riferisca ad un certo oggetto secondo una certa modalità, essa non lo deve ad una sua partecipazione attiva all’oggetto che è in sé e per sé, al di fuori di essa: quasi che la rappresentazione si dirigesse ad esso in senso letterale, oppure facesse con o insieme ad esso qualcosa di simile a ciò che fa la mano che scrive con la penna; essa non lo deve in genere a qualcosa che si trova in qualche modo al di fuori di essa, ma esclusivamente alla sua propria particolarità» Ibidem. Il concetto di materia assume, come abbiamo visto, un ruolo fondamentale nella determinazione percettiva della coscienza. Che un atto si riferisca ad un oggetto in un modo piuttosto che in un altro, è dovuto proprio alla sua materia. La materia in parte già pre-costituisce l’intenzionalità dell’atto. Infatti, Husserl dice che: «All’interno dell’atto, la materia deve valere per noi come ciò che conferisce in primo luogo ad esso il riferimento ad una oggettualità, e con una tale determinatezza che dalla materia non viene soltanto nettamente fissata l’oggettualità in genere, intesa dall’atto, ma anche il modo in cui essa la intende. La materia è la proprietà risiedente nel contenuto fenomenologico dell’atto che non si limita a far sì che l’atto apprenda l’oggettualità di volta in volta data, ma che determina anche in che modo esso la apprende, quali attributi, relazioni o forme categoriali l’atto in se stesso le assegna. Che l’atto abbia proprio questo oggetto e nessun altro dipende dalla sua materia; essa è il senso della apprensione oggettuale (o in breve, il senso apprensionale) il senso che fonda la qualità (ma che è indifferente rispetto alle sue differenze). Le stesse materie non possono mai presentare un riferimento diverso all’oggetto; è vero invece che materie diverse possono presentare uno stesso riferimento all’oggetto ». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 201 E’ chiaro che la materia è in un rapporto fondante rispetto alla qualità di un atto, ma cosa comporta questa priorità della materia? L’andamento della teoria dell’intenzionalità e degli atti sono, nelle Ricerche logiche, strettamente legate al discorso della Seconda ricerca sull’intero e la parte. Consideriamo l’atto nella sua totalità, come un intero percepito, il frazionamento di questo ultimo in materia e qualità, evidenzia la posizione fondante della materia. L’atto quindi si costituisce attraverso una serie di rapporti di dipendenza e non dipendenza, in cui sembrerebbe che la materia assuma il ruolo fondante e di non dipendenza e la qualità come più propriamente fondata. Posto che la qualità sia la componente dipendente dalla materia, il problema rimane a questo punto legato al ruolo della materia, alla sua costituzione ed al suo legame inscidibile con l’intenzionalità. La posizione fondante della materia, abbiamo visto, comporta una trascendentalità rispetto alla stessa coscienza percettiva. Questa trascendenza comporterà una serie di problemi legati al processo costitutivo e conoscitivo dell’oggetto. La proprietà della materia, è proprio quella che indagheremo in questo capitolo, per cercare di capire in che modo si è sviluppata nelle successive ricerche fenomenologiche e come abbia assunto progressivamente un ruolo fondamentale e maggiormente dinamico. Innanzitutto sarà importante approfondire le proprietà della materia in queste Ricerche logiche. Attraverso la materia, l’atto acquisisce la particolarità del riferimento all’oggetto e la particolarità del modo di questo riferimento. Le caratteristiche proprietà della materia, non sono tuttavia sue frazioni: «A tali differenze naturalmente non corrisponde alcun frazionamento pensabile nella materia, quasi che una frazione corrispondesse allo stesso oggetto, ed un’altra alla diversa modalità della sua rappresentazione. E’ chiaro che ilo riferimento oggettuale è possibile a priori solo in una modalità determinata; esso può realizzarsi soltanto in una materia pienamente determinata». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 201 Bisognerebbe a questo punto analizzare la relazione tra queste due componenti presenti all’interno di uno stesso atto: da una parte un materiale sensibile e inintenzionale e dall’altra una apprensione animatrice, come la definisce Husserl nel brano riportato poco sopra, che costituisce il riferimento oggettuale. Riprendendo il discorso iniziato sulla relazione reciproca tra materia, senso apprensionale e qualità, possiamo dire che ciò che costituisce “l’esserci per me” dell’oggetto e tutto ciò che dalla sensazione è filtrato e successivamente appreso, è una selezione di diversi stimoli sensoriali. La sensazione quindi non costituisce un vincolo, o una limitazione, per quanto riguarda il riferimento oggettuale di un atto, anzi questa funzione, che potremmo definire come “incanalante”, sembra essere svolta dall’apprensione. Il rapporto di valore tra le parti all’interno della costituzione di un atto sembra entrare in crisi. Non c’è più soltanto un rapporto fondante-fondato tra la materia e la qualità di un atto, ma subentra anche una parte di mediazione che si interpone in questa relazione dualistica rappresentata dall’apprensione. Il ruolo dell’apprensione rispetto alle funzioni attribuibili alla materia degli atti, si identifica con la determinazione del riferimento all’oggetto percepito. La modalità di tale riferimento dipende più dalla caratteristica delle sensazioni che ineriscono all’atto, che dal ruolo dell’apprensione stessa, la quale infatti appercepisce un materiale già strutturato di un determinato oggetto. Il modo peculiare in cui è percepito e rappresentato un determinato oggetto, la sua prospettiva, il tipo d’adombramento implicato nella sua rappresentazione, sembrano rimanere fuori dalla possibilità significazionale nel momento dell’interpretazione appercettiva. La continua modificazione possibile del momento appercettivo di un atto, è resa evidente da Husserl nella differenza che, come abbiamo visto, sottolinea tra contenuto come oggetto inteso, oggetto della rappresentazione, e contenuto come vissuto coscienziale, ovvero in riferimento alle sensazioni. Il contenuto che si riferisce all’oggetto nella sua totalità, rimane costante, mentre il vissuto, al contrario, è in costante mutamento. Per ogni nuova prospettiva dalla quale l’oggetto identico è percepito si produce un mutamento nei costituenti sensibili dell’atto. Scrive, infatti: «Non sarebbe forse giusto rispondere, in modo pertinente, che, pur essendo dati due contenuti sensoriali diversi, essi sono tuttavia appercepiti, appresi nello stesso senso, e che l’apprensione secondo questo senso è un carattere di vissuto che costituisce anzitutto l’esserci per me dell’oggetto?». E. Husserl, Ricerche, cit. § 14 p. 172 La possibilità di riferirsi ad uno stesso oggetto in maniera diversa e secondo modalità dinamiche, è, fenomenologicamente parlando, sia descrivibile nei termini dell’identità del riferimento oggettuale, sia in quelli della diversità del modo di datità dello stesso. E’ evidente che ciò che invece rimarrà sempre costante sarà sempre l’oggetto a cui si fa riferimento. Come osserva il Piazza nel suo studio sull’esperienza e la sintesi passiva, la caratterizzazione del fenomeno percettivo attraverso l’applicazione dei concetti proprio dell’analisi fregeana del riferimento delle espressioni deriva da un argomentazione di tipo analogico: così come posso riferirmi verbalmente ad uno stesso oggetto o ad una stessa persona attraverso l’enumerazione di proprietà diverse dallo stesso,. Questo si può notare, in modo evidente, nel famoso esempio di Husserl in cui quest’ultimo si riferisce a Napoleone come il vincitore di Jena o come lo sconfitto di Waterloo. E’ possibile, quindi, riferirsi ad una nozione generale di significato percettivo, una volta prestata attenzione al fatto che uno stesso oggetto può essere percepito da molteplici punti di vista, da diverse orientazioni. Il significato percettivo sarebbe ciò che di volta in volta costituisce il tramite attraverso il quale lo stesso oggetto è percepito in modo diverso. Questo tipo d’interpretazione della posizione husserliana riguardo alla percezione è definito dal Piazza come internalistica, dal momento che è qualcosa di presente al suo interno, di costitutivo della sua struttura, a determinare il criterio in base a cui valutare il contenuto stesso. La tesi fondamentale di una trattazione internalistica della percezione è rappresentata dall’asserita dipendenza funzionale dell’oggetto di una percezione dal contenuto di un atto percettivo: «Tutte le differenze di modalità del riferimento oggettuale sono differenze descrittive dei vissuti intenzionali correlativi». Husserl, Ricerche, cit. §20 p.199 Come corollario si può aggiungere la compatibilità di uno stesso oggetto con diversi contenuti: «E’ vero […] che materie diverse possono presentare uno stesso riferimento all’oggetto». Ivi p.201 Quello che Husserl afferma, vale a dire che “ le stesse materie non possono mai presentare un riferimento diverso all’oggetto”, può essere facilmente messo in discussione seguendo l’esempio di D. W. Smith, D.W .Smith, “Content and contex of perception”, Synthese, 61,1984, pp.61-87 il quale prende in esame, come esempio, una serie di oggetti identici: diverse palline da tennis in un tubo, in cui la stessa materia può essere riferita non alla prima ma alla seconda pallina collocata esattamente nella stessa posizione. L’indicazione della compatibilità di un contenuto identico con diversi oggetti deve essere intesa come l’indizio della necessità non solo di trattare la percezione come funzione del suo contenuto ma anche di trattare questo ultimo come intenzionalmente connesso con la rappresentazione del contesto in cui l’oggetto debba inserirsi e quindi, con la necessità di indicizzarlo rispetto ad esso. Ritengo quest’osservazione interessante perché rende evidente il problema della contestualizzazione e della temporalizzazione dell’oggetto che abbiamo visto essere tralasciato in parte dall’analisi husserliana. Il fatto che l’oggetto si dia secondo una materia che si struttura in maniera peculiare e si “dà” alla percezione, non elimina la problematica delle identità che si possono creare fra contenuti simili. La lettura di una struttura percettiva internalistica come afferma il Piazza, può essere a mio parere appoggiata, anche se limitatamente alla struttura percettiva delle Ricerche logiche, e nonostante sia ugualmente presente un certo grado di strutturazione coscienziale, mi riferisco in particolare al discorso delle sintesi categoriali e all’incidenza dell’intenzionalità e della qualità rispetto all’oggetto stesso. Prendiamo l’esempio di due contenuti sensoriali diversi: Husserl afferma che l’oggetto percepito rimane sempre lo stesso. «pur essendo dati due contenuti sensoriali diversi, essi sono tuttavia appercepiti , appresi nello stesso senso». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 172 In questo caso la strutturazione sensoriale differente non impedisce un riconoscimento dell’oggetto come uguale, la sintesi finale della coscienza, possiamo dire, “predomina” rispetto alla materia, in questo caso l’atto percettivo non è già dato internalisticamente, ma invece è strutturato dal riconoscimento coscienziale. Husserl parlerà della possibilità di riconoscimento attraverso il giudizio in maniera più specifica nella Sesta ricerca, in cui si soffermerà sul problema della possibilità conoscitiva. 2.3 Il problema della conoscenza e della temporalità Il discorso sulla differenza tra materia e qualità nella struttura degli atti, inerenti in particolare alla Quinta ricerca, ha lasciato alcuni interrogativi in sospeso. In particolare abbiamo visto come attraverso la sensazione, la materia e l’apprensione è sottile e ambigua la differenza tra l’intenzionalità e la non intenzionalità. L’incertezza, in cui egli lascia il rapporto tra i dati di senso e le apprensioni, determina una forte ambiguità tra i rapporti fra le parti. Bisognerà esaminare in che modo l’apprensione agisce sulla materia, e successivamente, come questa materia si strutturi e diventi “contenuto” conoscitivo. Abbiamo osservato che Husserl pone tra le proprietà della materia la possibilità di organizzarsi differentemente per inerire infine ad una stessa rappresentazione, ad uno stesso oggetto. In che modo avviene questo passaggio? In che modo riconosco una rappresentazione e distinguo le differenze sensoriali ad essa inerenti. E’ nella Sesta ricerca che Husserl cercherà di dare una risposta a questi problemi, in particolare è proprio in questa ricerca che cerca di risolvere il problema della conciliazione tra materia e senso apprensionale attraverso l’introduzione della nozione di rappresentanza [Repräsentation], cercando di chiarire i rapporti tra senso apprensionale e dati di senso. E’ sempre in questa ricerca che è indagata la struttura percettiva nella sua temporalità, per quanto Husserl non abbia ancora gli strumenti teorici adeguati ad un’analisi quale quella temporale. E’ proprio all’inizio della Sesta ricerca che egli fa notare la natura prospettica della percezione e, sulla scorta della natura sintetica dei processi percettivi, la caratteristica dell’attesa, fondata sulla struttura del riempimento delle intenzioni vuote connesse ad ogni atto. Il riempimento, in maniera particolare, risulta essere una nozione centrale nella caratterizzazione descrittiva delle componenti intenzionali degli atti, per l’identificazione della pienezza [ fűlle]di un atto e la riproposizione del problema che abbiamo accennato tra la materia sensibile e materie intenzionali da una parte, e il legame di queste ultime con il senso apprensionale. Il mezzo con cui Husserl porta a compimento la possibilità conoscitiva di un atto percettivo, è il giudizio, la possibilità di significazione di un atto che si esprime attraverso l’espressione. Quest’ultima rispetto alla percezione si pone come non essenziale: la percezione, infatti, è la base su cui avviene l’espressione determinata e non ciò intorno a cui avviene propriamente l’espressione. Tuttavia c’è un rapporto di stretta connessione tra queste due componenti come Husserl stesso evidenzia: «La percezione che esibisce l’oggetto e l’enunciato che lo pensa e lo esprime per mezzo del giudizio ovvero degli atti di pensiero intessuti nell’unità del giudizio, vanno completamente separati, benché nel caso in questione del giudizio percettivo essi si trovino in una stretta relazione reciproca, in un rapporto di coincidenza , nell’unità del riempimento». E. Husserl, Ricerche, cit. § 5 p. 321 La percezione offre all’atto espressivo un riempimento, l’espressione, segue Husserl, si presenta, per così dire, come se fosse imposta alla cosa, come se fosse il suo vestito Ivi, p. 324, anche in questo caso è la materia che predomina rispetto alla denotazione. E’ la percezione, infatti, che riempie l’intenzione significante che successivamente rende nominabile l’oggetto a cui si riferisce. Il nome è solo un mezzo che in alcuni casi si fa portatore del significato, ma all’essenza della significazione questo mezzo è del tutto indifferente. Ciò che lega la denominazione e la percezione, garantendo la possibilità di espressione della conoscenza di uno stesso oggetto, è la sovrapposizione del significato linguistico con il significato dell’atto percettivo. L’oggetto della percezione è riconosciuto come lo stesso della denominazione, anche in questo caso la materia, l’oggetto in sé, potremmo dire, nella sua trascendenza, rimane lo stesso, la differenza è meramente qualitativa, risiede nella distinta presentazione di quest’ultimo. E’ attraverso la conoscenza dell’oggetto che si regolano i rapporti tra contenuto percettivo ed espressione. Husserl, infatti, definisce la conoscenza come: «il rapporto d’unità statica tra l’atto espressivo in virtù del quale con un certo nome intendiamo l’oggetto di una percezione e l’atto della percezione stessa. Questa relazione in quanto relazione di denominazione, non è mediata soltanto da atti del significare, ma anche del conoscere». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 331 La conoscenza quindi permette di significare ciò che è precedentemente percepito, è una sintesi che sistematizza il darsi dell’oggetto alla percezione in unità concettuali, in qualche modo sembra avere la funzione dell’io kantiano, procede possiamo dire per categorizzazioni, infatti nel descrivere la conoscibilità di un oggetto leggiamo che: «quando un atto d’intenzione significante si riempie in un’intuizione, in tal caso diciamo anche che l’oggetto dell’intuizione viene conosciuto mediante il suo concetto oppure che il nome corrispondente trova la propria applicazione nell’oggetto che si manifesta». Ivi, p. 332 L’atto espressivo e l’atto percettivo coincidono nell’unità del riempimento, e il riempimento avviene proprio attraverso la percezione. L’unità si raggiunge grazie ad una sintesi d’identificazione, l’oggetto che percepisco viene riconosciuto come tale, in questa identità tra il senso dell’espressione e oggetto percepito si realizza la sintesi del conoscere. Husserl descrive questa sintesi come: « l’essenza intenzionale dell’atto intuitivo[che] collima con l’essenza significazionale dell’atto espressivo». Ibidem Conoscenza dell’oggetto e riempimento del significato divengono espressioni identiche, l’oggetto viene conosciuto attraverso il suo concetto, «l’oggetto viene intuito esattamente come viene pensato» E. Husserl, Ricerche, cit. p. 333. Abbiamo detto che il processo conoscitivo avviene proprio attraverso il riempimento percettivo, ed una delle caratteristiche centrali di quest’ultimo è la materia, che offre all’esperienza conoscitiva la propria determinazione e che permette l’identità delle diverse modalità intenzionali. «Dal confronto tra le intenzioni significanti e le loro intuizioni correlative nell’unità statica e dinamica della coincidenza identificante è risultato poi che questa medesimezza, che veniva definita come materia del significato, si ritrova nell’intuizione corrispondente e media l’identificazione; […] l’atto complessivo […] ha le stesse materie sia in rapporto all’intuizione che al significato; cioè in rapporto a tutte quelle parti del significato che pervengono in generale a traduzione intuitiva». Ivi p. 387 La materia quindi costituisce il fondamento dell’identificazione svolgendo una funzione che come definisce il Piazza è internalistica, di selezione. La materia “significa” l’atto nel momento in cui quest’ultimo si relaziona ad un oggetto determinato in un modo determinato. Questa identificazione della materia con il significato crea un problema per quanto riguarda l’identificazione di oggetti con diversi caratteri d’atto. L’identificazione della materia con il significato esclude di fatto tutte le caratteristiche che mutano nell’identità della materia. La variazione della qualità d’atto sembra non compromettere la caratteristica d’identificazione offerta dalla materia stessa e dalla pienezza che solo essa può dare ad ogni rappresentazione. «Comunque possa variare la pienezza di una rappresentazione all’interno delle sue possibili serie di riempimento, il suo oggetto intenzionale, […] resta lo stesso; in altri termini , resta identica la sua materia. D’altro lato, la materia e la pienezza non sono irrelazionate, e laddove contrapponiamo ad un atto puramente signitivo un atto dell’intuizione che apporta ad esso la pienezza, quest’ultimo non si distingue dal precedente per il fatto che alla materia e alla qualità comune si annette ancora la pienezza, a titolo di un terzo momento, separato da esse». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 388 Ancora una volta nell’economia della costituzione degli atti e della conoscenza, la materia svolge un ruolo fondante fra le parti in questione. Rispetto quindi ad un modello di soggetto, potremmo dire kantiano, ci troviamo di fronte ad una notevole differenza, il soggetto in qualche modo perde la sua centralità organizzatrice ed in qualche modo subisce la struttura della materia. Tornando alla centralità della materia nel riempimento ed alla non separabilità di quest’ultima rispetto alla pienezza, possiamo osservare come questa indifferenziazione della materia risulti difficilmente compatibile con la sua relazione a qualità sempre diverse. Bisognerà investigare il ruolo della pienezza rispetto alla materia. La pienezza [Fülle] di un atto, riguarda i processi stesi di riempimento e si manifesta attraverso la traduzione intuitiva di un significato: «Quest’unità d’identificazione possiede necessariamente il carattere di un’unità di riempimento, in cui il membro intuitivo e non quello signitivo, ha il carattere del membro che riempie, e quindi anche di quello che conferisce pienezza nel senso più proprio. […] Alla rappresentazione signitiva presa in se stessa manca invece qualsiasi pienezza, solo la rappresentazione intuitiva la riconduce ad essa». Ivi § 21 p. 376 Nel § 21 Husserl spiega il concetto di pienezza connettendola con i processi di riempimento e ponendo la componente responsabile del passaggio da una intuizione signitiva ad una intuitiva sullo stesso piano dei due costituenti dell’essenza intenzionale: la materia e la qualità. «questa pienezza è dunque un momento caratteristico delle rappresentazioni accanto alla qualità ed alla materia». E. Husserl, Ricerche, cit. p. 376 Il riempimento, infatti, viene usato da Husserl come strumento per rilevare l’ eccedenza di un atto intuitivo rispetto al suo corrispettivo atto signitivo, in possesso della stessa materia e della stessa qualità. La pienezza del riempimento si può raggiungere soltanto negli atti percettivi o d’immaginazione. «se riuniamo il sistema dei momenti, fungenti sia percettivamente che immagimativamente, della rappresentazione percettiva, abbiamo con ciò la pienezza della rappresentazione stessa» Ivi p. 377. Il Piazza osserva, a mio parere in modo interessante, come confrontando queste pagine con quelle che Husserl dedica all’introduzione delle sensazioni nella Quinta ricerca, emerga una sostanziale identità tra i due concetti di riempimento e sensazione. Così come in quelle analisi, un oggetto si manifestava grazie all’animazione intenzionale di un insieme di materiali sensibili, attraverso cui venivano presentate le determinazioni provenienti dall’oggetto trascendente, allo stesso modo ora i momenti sensibili, percettivi o immaginativi, che all’interno di un atto svolgono la funzione di sostrato per le apprensioni oggettuali, vengono indicati con il nome di pienezza. T. Piazza, op. cit. p. 90 La struttura del discorso husserliano delle Ricerche logiche, sembra avere un andamento ciclico e soprattutto di rimandi ed identità. Questi parallelismi, che evidenzia il Piazza, possono essere a mio parere facilmente rintracciabili grazie proprio alla struttura concettuale dell’opera che si relaziona attorno al rapporto tra un intero, l’oggetto in questo caso, e le sue parti, gli atti ad esso relazionati. Le regole di associazione tra questi elementi determinano le differenze percettive. Ritornando al concetto di pienezza che stavamo analizzando, possiamo dire che Husserl introduce questo concetto, accanto alla materia ed alla qualità, come componente sensuale degli atti all’interno dell’essenza significazionale. Quando due atti, che condividono la stessa materia e anche la stessa oggettualità intenzionale, si relazionano nell’unità del riempimento, l’aggiunta dell’atto intuitivo su quello signitivo apporta un incremento della pienezza stessa. La pienezza sarebbe quindi un elemento aggiuntivo dell’essenza intenzionale, accanto alla materia ed alla qualità. Con la nozione di contenuto intuitivo di un atto, ci si riferisce alla pienezza che un atto intuitivo conferisce, nella relazione del riempimento, ad un atto signitivo della stessa materia. Ma questa pienezza, che coincide con il contenuto intuitivo e con il contenuto percettivo di un atto, non rappresenta un carattere secondario che si relazione con le altre due componenti della materia e della qualità, ma al contrario risulta comprendere sotto di sé già una delle due componenti. La pienezza, coincide con il contenuto intuitivo di un atto e si sovrappone in parte alla materia stessa. Il problema a questo punto è: come la materia possa diventare intenzionale, possa dinamicizzare l’atto. Una risposta data da Husserl, risiede proprio nel concetto di rappresentanza, che viene definita sulla base del rapporto che sussiste tra i materiali della conoscenza, le sensazioni o rappresentanti intuitivi, e l’oggetto della conoscenza, costituito dalla materia che si pone come senso apprensionale e che svolge da un lato una funzione presentativi dei dati di sensazione, dei rappresentanti intuitivi, e dall’altro la determinazione stessa di questo riferimento ai dati sensoriali. Il § 26 della Sesta ricerca è dedicato proprio alla spiegazione del concetto di rappresentanza, per chiarire il ruolo dei rappresentanti, intuitivi e signitivi, all’interno di un atto. Husserl già accennava a questo rapporto in precedenza nel § 25, infatti: «ogni atto oggettivante ha tre componenti: la qualità, la materia e il contenuto rappresentante. Questo contenuto può fungere come rappresentante puramente signitivo o puramente intuitivo, e come rappresentante signitivo ed intuitivo insieme; l’atto sarà allora, rispettivamente, puramente signitivo, puramente intuitivo o misto» E. Husserl, Ricerche, cit. § 25, p. 390. I rappresentanti presenti in un atto possono servire come veicolo di significazione e come veicolo di intuizione e il loro rapporto reciproco è il fondamento della rappresentanza. Husserl definisce la rappresentanza come la determinazione delle funzioni dei rappresentanti attraverso il carattere d’unità tra la materia e i rappresentanti stessi. E’ in questo rapporto che si costituiscono le differenze intuitive e significazionali, ancora una volta all’interno di una relazione tra le parti. Tuttavia Husserl non spiega come avviene questa differenziazione, il livello dell’analisi rimane descrittivo e si muove all’interno di una fenomenologia statica. « se infine si chiede che cosa faccia sì che lo stesso contenuto nel senso della stessa materia possa essere appreso ora come un rappresentante intuitivo, ora come un rappresentante signitivo, o in che cosa consista il diverso carattere della forma apprensionale su questo punto non mi è possibile dare alcuna risposta ulteriore. Si tratta appunto di una differenza fenomenologica irriducibile» Ivi, p. 392. La relazione che si instaura in ogni caso tra i rappresentanti e la materia è per quanto riguarda un atto signitivo, accidentale ed esterno: « la rappresentanza signitiva istituisce un rapporto accidentale ed esterno tra la materia ed il rappresentante», Ibidem mentre per la rappresentanza intuitiva, necessaria ed interna. La rappresentanza nella sua unità esprime il rapporto che si instaura tra le varie componenti rappresentazionali e l’oggetto intenzionale sulla base del suo fondamento fenomenologico. Questo fondamento è rappresentato dalla materia. «Perciò noi chiamiamo l’unità fenomenologica tra materia e rappresentante, in quanto è essa che conferisce a quest’ultimo il carattere di rappresentante, forma della rappresentanza , e l’intero da essi prodotto, rappresentanza sic et simpliciter» E. Husserl, Ricerche, cit. p. 391. E ancora: «Poiché la materia presenta, per così dire, il senso secondo cui viene appreso il contenuto rappresentante, possiamo anche parlare di senso apprensionale; oppure di materia apprensionale» Ibidem. Il rapporto necessario, istituito dalla rappresentanza, tra la materia e i rappresentanti intuitivi, porta ad una limitazione della libertà di interpretare uno stesso contenuto in maniera indipendente, questo implica che la materia intenzionale è determinata da un principio regolativo che è autonomo. Il senso apprensionale, che abbiamo visto corrispondere alla materia stessa ed alla pienezza, è il responsabile di una determinata rappresentazione della cosa, ed è legato necessariamente ai contenuti dei materiali sensibili. La nostra possibilità conoscitiva quindi è ancora una volta determinata dalla materia inintenzionale più che dalle strutture intenzionali della coscienza. Il problema, come abbiamo cercato di delineare, è proprio il passaggio tra un momento inintenzionale ma in qualche modo già strutturato, ed uno intenzionale e rappresentativo dell’oggetto. La determinazione della nostra esperienza sembra giocarsi sulla dialettica tra senso e contenuti, dove questi ultimi sembrano essere determinati dalla materia stessa: « in che modo apprendiamo un contenuto ( in quale senso apprensionale), non è cosa che dipenda interamente dal nostro arbitrio; e non soltanto per motivi empirici – essendo empiricamente necessaria qualsiasi apprensione, compresa quella significativa – ma per il fatto che ci sono posti dei limiti dal contenuto da apprendere per via di una certa sfera di somiglianza e di uguaglianza, quindi per via della sua natura specifica» Ivi ,p. 392. La conoscenza non avviene quindi per una strutturazione puramente soggettiva, ma è già quasi “obbligata” dalla struttura degli stessi materiali, dalla loro organizzazione intrinseca, e soprattutto la conoscenza è sempre una conoscenza d’interi che si danno alla nostra esperienza percettiva. A questo proposito vorrei ricordare il rapporto di contrasto tra Husserl e la scuola della Gestalt, che negli stessi anni ha approfondito delle ricerche inerenti proprio la strutturazione delle parti in un’unità superiore e trascendente che sì dà alla conoscibilità del soggetto. La polemica di Husserl con questi ultimi era scaturita proprio dalla differente visione del rapporto tra le parti. Mentre per la Gestalt l’intero sussumeva le parti in un rapporto di non indipendenza reciproca, per Husserl le parti mantengono anche nell’intero una loro indipendenza, anche se nella Seconda ricerca, egli specifica che solo alcune delle parti godono di questa indipendenza, che in qualche modo le rende unità a se stanti. Abbiamo visto come nelle Ricerche logiche il rapporto tra l’intero e la parte, così come del rapporto tra fondato e fondante, sia regolativo dell’intera struttura concettuale dell’opera, ma questa dialettica porta a delle limitazioni conoscitive ed indagative proprie della fenomenologia statica. Husserl descrive in maniera soddisfacente le diverse fasi in cui l’oggetto viene rappresentato, percepito e conosciuto, ma non è però in grado di spiegare come avvengano questi rapporti, cioè in che modo sia possibile passare da una materia non strutturata, che in modo heideggeriano potremmo definire il nostro orizzonte-mondo, ad una conoscenza di oggetti dotati di significato. Il Piazza osserva che : «Se la fenomenologia, nel suo senso trascendentale, vuole porsi come esplicativa, nel nesso dell’intenzionalità, di un a priori della correlazione, fino a tratteggiare come problema ultimativo il costituirsi, come orizzonte perenne di ogni esperienza, del senso di un mondo trascendente, ciò che deve essere abbandonato è la limitazione, nell’impianto descrittivo delle Ricerche logiche, alla costatazione di determinate strutture e al prendere forma determinata gli oggetti della nostra esperienza sulla base delle strutture ad essa sovraordinate. Maggiore attenzione deve essere infatti rivolta al manifestarsi del problema più generale di una connessione legiforme che regoli non solo la costituzione della nostra esperienza, ma anche e soprattutto quella dei suoi significati» T. Piazza, op. cit. p. 103. Sebbene sia vero, a mio parere, che Husserl necessiti un cambio metodologico per risolvere le questioni aperte con le Ricerche logiche, tuttavia non credo, come afferma il Piazza, che questo spostamento di indagine si debba maggiormente incentrare sui significati, quanto invece sulla sistemazione temporale delle relazioni prese in esame, e soprattutto su una maggiore attenzione ai processi non intenzionali, alle strutture passive, della coscienza stessa. In qualche modo, Husserl deve abbandonare, almeno in parte, il dualismo presente in questa prima opera tra l’oggetto in sé e la rappresentazione, cosa che in qualche modo avviene già in Idee per una nuova fenomenologia, attraverso la scelta di un’analisi privilegiata delle immanenze, anche se l’esclusione a priori della trascendenza creerà nella letteratura critica non pochi fraintendimenti. Il problema tra le due componenti, intenzionali e inintenzionali, abbiamo visto farsi continuamente presente nelle ultime due ricerche. La sovrapposizione tra senso e apprensione ha fortemente messo in dubbio la netta separazione tra sensazione e percezione, ha reso labile il confine che riguarda l’intenzionalità. Riferendoci alle considerazioni del Mulligan a riguardo, possiamo notare come le sensazioni acquisiscono un ruolo che trascende la mera inintenzionalità, determinando una parte di senso a prescindere dalla specificità della componente strettamente intenzionale. Si può parlare, dice, di un vero e proprio piano della costituzione iletica, dove le determinazioni fenomeniche degli oggetti della nostra esperienza percettiva sono già date sulla base dell’articolazione rappresentativa della sensibilità. La materia può autonomamente costituire il senso di un atto significazionale, dove la relazione con i rappresentanti signitivi è extra-essenziale, ma non può completare il senso di un atto percettivo, che per altro Husserl definisce nella Quinta ricerca come costitutivamente sempre incompleta. Il modo in cui un oggetto è percepito è legato al modo in cui la materia si relaziona con i suoi rappresentanti. K. Mulligan, op. cit. p. 173 Per indagare in modo esaustivo il modo in cui queste componenti rappresentative si relazionano con la materia, sarà necessario esaminare come temporalmente si struttura questa relazione, secondo che priorità le componenti si strutturano e che ruolo svolge, all’interno della sintesi conoscitiva, la possibilità cinetica sulla conoscibilità di un’ unità statica. Per iniziare quest’indagine dovremmo rifarci al concetto di pienezza e riempimento che abbiamo analizzato in precedenza. Ogni atto, compresa la percezione, rimanda ad un riempimento che attraverso diverse variazioni determina l’intenzione stessa. Husserl tuttavia distingue tra intenzione legata al riempimento ed aspettazione. Ogni intenzione,ogni rappresentazione intuitiva, può più o meno fondare un aspettativa inerente al futuro decorso di una serie percettiva. Citando un esempio di Husserl, osservando un disegno su un tappeto, siamo istintivamente portati a continuarlo anche per quella parte dello stesso nascosta da un mobile. La percezione non aspetta una reale conferma, si basa su di un processo d’associazioni non necessariamente esperibili, su delle aspettazioni, proprio questo processo di continuità che sarà indagato da Husserl nelle Lezioni sulla sintesi passiva, in particolare approfondendo il ruolo delle associazioni anticipatrici. La percezione dell’oggetto non è mai completa, può esserlo solo in un decorso temporale che porti alla possibilità di un maggiore riempimento, ma questo decorso temporale dovrebbe essere infinito e per questo motivo la percezione non potrà essere mai in assoluto completa. L’oggetto, infatti, trascende la coscienza perché, nonostante la coscienza lo intenzioni con atti qualitativamente diversi e lo possegga nelle diverse serie prospettiche, esso rimane il polo identico del riferimento oggettuale. Ogni percezione è necessariamente unilaterale, sempre prospettica, l’oggetto in se sta sempre oltre. La temporalità delle Ricerche logiche si gioca attorno ai concetti di riempimento, attesa, adombramento, e dimensione prospettica. Il § 14b è strettamente rivolto all’indagine della struttura prospettica della percezione. Questa struttura permette di dinamicizzare maggiormente la percezione di un oggetto. In questo paragrafo, si passa da un piano temporale statico, della presenza, caratterizzato da uno spazio bidimensionale, ad un piano temporale basato sull’attesa del riempimento, del futuro caratterizzato da uno spazio dinamico e tridimensionale. La temporalità è legata alla possibilità del movimento, alla cinestesi, e amplia l’indagine sulla conoscibilità oggettuale. Volendo definire il piano temporale delle Ricerche logiche, potremmo dire che queste si muovono all’interno di un orizzonte basato su istanze del presente e del futuro, in cui non sono ancora presenti le determinazioni ritenzionali, che assumeranno un ruolo di predominanza invece nelle analisi genetiche. Il presente è quello dell’appercezione, della significazione dell’oggetto, mentre il futuro è quello della continua strutturazione dell’oggetto attraverso i suoi rappresentanti sensoriali, della possibilità di determinare il futuro decorso percettivo. La materia, infatti, rimanendo un sostrato invariabile si compone e si presenta secondo diverse angolature non simultaneamente percepibili. Quello che manca nella successione temporale di queste ricerche è il piano inerente al passato, ovvero alle strutturazioni non intenzionali che precedono e in parte si sovrappongono all’intenzionalità degli atti. Alla percezione, in ogni caso, appartiene una dimensione processuale, nonostante in questo processo sia possibile isolare un momento percettivo preciso, ad esempio un lato di una casa, o un momento percettivo, la percezione è sempre di un intero, della casa e non solo del lato momentaneamente percepito, di un processo temporale continuo e non solo di un momento. Anche in questo caso il presente ed il futuro si relazionano in forma dialettica all’interno di un’unità trascendente. Husserl vuole analizzare il legame di reciproca inerenza tra gli atti parziali presenti in ogni serie percettiva, che consta in una determinazione non unilaterale dello stesso oggetto all’interno della necessaria processualità dei decorsi esperienziali. Ogni percezione porta a manifestazione intuitiva quello che era inteso nella componente signitiva, immaginativa o simbolica di un atto, in modo che la reciproca inerenza si può spiegare attraverso l’identità della direzione oggettuale. Husserl le definisce: « identificazioni delle identificazioni di un oggetto con automanifestazioni dello stesso oggetto» E. Husserl, Ricerche, cit. §14b, p. 357. Un oggetto si manifesta in diversi modi, attraverso diversi lati, e la coscienza che noi abbiamo di questi ultimi è coscienza d’unità significazionali e non semplicemente di lati d’oggetti. Nella percezione statica ed istantanea di un oggetto, di un suo lato, il contenuto percettivo è sempre relativo ad una frazione prospettica dell’oggetto percepito e non alla sua totalità, anche se, comunque, il lato è sempre inserito in un’ unità significazionale. Tornando all’esempio, poco sopra riportato, riguardo alla percezione di una casa, notiamo che in essa ciò che percepiamo è rappresentato dalla sua unità spazialmente tridimensionale, che mi si offre però solo nella sua prospetticità, solo un lato infatti mi è visibile, ma ugualmente si raggiunge in questa prospetticità e attraverso questi adombramenti, un contenuto intuitivo dell’unità casa. Come abbiamo già osservato si passa da una percezione statica e bidimensionale e prospettica ad una dinamica e basata sul riempimento. Il Mulligan a proposito di questa distinzione tra percezione statica e dinamica rivolge alcune osservazioni interessanti: il contenuto statico, osserva, a mio parere correttamente, tanto rispetto al fenomeno del riempimento di significato, quanto rispetto a quello dell’attesa riguardante il decorso esperienzale si pone esclusivamente come astrazione. Egli ritiene, infatti, che rispetto al riempimento del significato, è la dinamica del processo percettivo, nella processualità del costante riferimento alla stessa cosa da lati diversi, che presigna la determinazione del contenuto statico, di ciò che costituisce in questo momento, adesso, la mia percezione e che è caratterizzato dalla bipartizione tra intenzioni intuitive e signitive. Rispetto invece all’attesa del decorso esperenziale, osserva come le attese siano motivate sulla base del trascorrere parallelamente e secondo un rapporto di dipendenza funzionale di contenuti sensoriali e serie cinestetiche. La percezione è sempre protesa oltre perché è strutturalmente connessa con l’inattingibilità di pienezza unica e immediata. Ciò che nelle Ricerche logiche precede logicamente ogni processo è la percezione di un oggetto tridimensionale nello spazio, ma ciò che invece è prima per noi è il suo contenuto statico, a quest’ultimo è affidato il ruolo della derivazione teorica del fenomeno percettivo nella sua totalità e concretezza. Tale concretezza risiede solo nella dinamicità del fenomeno percettivo. Solo astraendo possiamo riferirci ad una fase istantanea in cui vediamo solo un lato dell’oggetto. Di fatto, se la nostra esperienza in concreto si costituisse di frammenti infinitesimali, cui la presentazione di un determinato contenuto nell’unilateralità propria del suo scorcio prospettico fosse inerente, ed estranea ad un contenuto dinamico che retroagisse sulle fasi in cui è idealmente scomponibile, in modo da motivare, come già visto, la caratterizzazione dei contenuti statici sulla base della conformazione che essi devono avere per costituire, nel continuum del trapasso vicendevole, un contenuto dinamico, noi avremmo esperienze percettive di lati d’oggetti e non d’oggetti . K. Mulligan op. cit. p.197 TERZO CAPITOLO VERSO UNA FENOMENOLOGIA GENETICA, IL NOEMA E LA STRUTTURA DELLA PERCEZIONE IN IDEE PER UNA NUOVA FENOMENOLOGIA La nozione di noema e le strutture netiche noematiche I dodici anni che separano la pubblicazione delle Ricerche logiche da quella di Idee per una nuova fenomenologia, avvenuta nel 1913, sono anni in cui Husserl ripensa profondamente l’idea di fenomenologia abbandonando in parte una metodologia legata alla psicologica descrittiva e mettendo a punto un progetto di fenomenologia trascendente che permetta un’indagine sulle strutture costitutive. Il progetto husserliano riguardo Idee per una nuova fenomenologia è quello di una diversa indagine metodologica che permette di analizzare in maniera maggiormente esaustiva alcuni dei temi fondamentali d’ordine conoscitivo e costitutivo. In particolare permette una distinta analisi attuata attraverso l’uso della fenomenologia genetica, della percezione e delle nuove strutture noetico-noematiche. La nozione di noema che Husserl precisa in quest’opera costituisce, come vedremo, un punto nodale ed estremamente rilevante per comprendere il passaggio dalla fenomenologia statica a quella genetica. Analizzando la costituzione percettiva all’interno delle Ricerche logiche, abbiamo notato come dipende direttamente dalla materia dell’atto percettivo quale sia l’oggetto della percezione e come sia percepito. Il fatto che io percepisca un oggetto, rispetto ad un altro, è legato in modo imprescindibile al contenuto intenzionale di ogni atto, ovvero alla sua materia. Questa dipendenza della percezione rispetto alla sua materia implica che una teoria fenomenologica, che vuole analizzare la costituzione percettiva, deve assumere la forma di una teoria delle condizioni d’applicazione dei sensi apprensionali. Questa teoria, legata alla fenomenologia descrittiva delle Ricerche logiche, implica una dipendenza dei contenuti percettivi rispetto ai contenuti sensoriali, e richiede nel rapporto tra la sensazione e la percezione, la mediazione del senso apprensionale. Il problema che rimaneva in sospeso nelle Ricerche logiche, era proprio quello del rapporto tra la sensazione e il senso apprensionale. Rimanevano essenzialmente inindagate le strutture passive all’interno della sintesi conoscitiva e percettiva. Il paradosso a cui conducevano le indagini sulle strutture percettive della Quinta e Sesta ricerca non erano facilmente superabili all’interno della metodologia descrittiva. Se da un lato, infatti, il senso assumeva un valore fondante all’interno dell’atto percettivo determinando quale sia l’oggetto dell’atto, dall’altro il fatto che le sensazioni potessero acquisire la funzione di contenuti costitutivi della qualità di un oggetto, dipendevano dalla prestazione intenzionale dell’apprensione, regolata da un senso apprensionale. Questo paradosso richiede una chiarificazione riguardo alla posizione della sensazione rispetto all’apprensione all’interno di relazioni che sono rinvenibili direttamente sul piano della sensibilità e che non implicano la necessità di un piano intenzionale. Questo dualismo tra senso e unità da un lato, e modo di datità di una cosa dall’altro, è una caratteristica che si sviluppa all’interno delle sintesi associative in cui i termini si pongono sempre in reciproca relazione. L’oggetto, infatti, non si dà mai in un piano di pura sensibilità, di sensazioni non interpretate, ma sempre in un insieme che costituisce un’unità e che si contrappone alla molteplicità delle sensazioni. Proprio in Idee Husserl cercherà di superare la circolarità, a cui aveva portato lo schema percettivo apprensione-contenuto apprensionale, attraverso la nuova correlazione noema-noesi. Il noema Husserl lo definisce come l’unità percettiva che si struttura attraverso le diverse noesi secondo uno schema che, ancora una volta, si rifà al rapporto unità-molteplicità. Le noesi si strutturano attorno ad un noema, identico, relativo ad una molteplicità della sensazione, mentre il noema si caratterizza per un suo nocciolo noematico legato ai costituenti iletici dell’atto, i quali costituiscono le operazioni di animazione dell’atto stesso. Quello che vogliamo esaminare è quale ruolo assume la nozione di noema all’interno dell’economia concernente il conoscimento percettivo, ovvero, in che modo, le strutture passive si organizzano nello schema noema-noesi rispetto allo schema apprensione-senso apprensionale delle Ricerche logiche. Gli interrogativi che erano stati lasciati in sospeso da Husserl durante la stesura delle Ricerche logiche, richiedevano di un cambio metodologico che avrebbe permesso di affrontare adeguatamente la tematica delle strutture passive senza ricadere in un insuperabile circolo vizioso. La nuova metodologia fenomenologica, che Husserl rende pubblica per la prima volta in Idee per una nuova fenomenologia, si basa sul concetto di epochè , o per meglio dire, sulla messa tra parentesi del mondo naturalmente inteso, attraverso una sospensione del giudizio e una riduzione fenomenologica. Questa operazione metodologica segna un passaggio fondamentale all’interno della ricerca fenomenologica, ed è in primo luogo un metodo per approfondire il tema della costituzione, ovvero del rapporto tra immanenza e trascendenza. Le tappe, attraverso cui Husserl cerca di realizzare questo percorso, si sviluppano attraverso dei nodi tematici fondamentali. Inizialmente la ricerca si sofferma sulla tematizzazione del problema della trascendenza, ovvero di tutto ciò che non appartiene al flusso dei vissuti immediati e coscienziali. Attraverso il metodo dell’ epochè, e successivamente e conseguentemente attraverso la messa fuori circuito di tutte le tesi oggettive, la ricerca fenomenologica si imposta principalmente su un piano di immanenza reale. Husserl, infine, cerca di recuperare la trascendenza, che è stata sospesa, attraverso l’immanenza stessa, attraverso le operazioni coscienziali e cositutive, ma questo avverrà solo nella ricerca genetica che si sviluppa dopo gli anni ‘10. L’operazione di sospensione del giudizio, porta Husserl ad indagare su quelle strutture immanenti, derivazione del residuo fenomenologico, della messa fuori circuito del mondo trascendente che sono inerenti ad un soggetto trascendentale, e che sono la condizione di possibilità dell’esperienza percettiva. La trascendenza che, nelle Ricerche logiche, non è stata distinta dal piano dell’atteggiamento naturale e psicologico, è momentaneamente messa tra parentesi, è neutralizzata metodologicamente. E’ a partire da questa riduzione che le strutture conoscitive e percettive possono essere nuovamente analizzate. L’epochè è, in un senso generale, apertura alla costituzione intenzionale dell’essere e delle sue “regioni”, ed è trascendentale, in questo senso, in quanto condizione di possibilità della costituzione stessa, costituzione che è afferramento di qualità specifiche delle cose stesse, cui ci si avvicina descrittivamente, non come a “dati di fatto”, ma come ad essenze fenomeniche, essenze di fenomeni intenzionali. La fenomenologia, infatti, è scienza d’essenze e non di dati di fatto, questa scienza è resa possibile solo dalla riduzione eidetica, dalla messa tra parentesi dell’atteggiamento naturale attraverso l’epochè. Lo scopo è quello dell’afferramento di un senso identico, di un quid che è presente nelle cose stesse, acquisito nel contesto di un decorso in cui la variazione intenzionale garantisce la mobilità della relazione tra lo sguardo ed il vissuto. V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci, La fenomenologia, Einauidi, Torino, 2002, p. 130 La domanda che Husserl si pone e che è lo scopo dell’indagine fenomenologica come riassume bene la Ströker è: «Come può il puro fenomeno di conoscenza cogliere qualcosa che non gli sia immanente?» E. Stroker ,The Husserl foundation of science, Kluwer, Dordrect-Boston-London, 1999 p.48. Il presupposto d’indagine si distanzia fortemente rispetto alla metodologia descrittiva delle Ricerche logiche. in quest’opera la costituzione risentiva fortemente dell’organizzazione delle strutture passive, sebbene non indagate, in Idee l’indagine si concentra maggiormente sulle strutture coscienziali ed intenzionali, la stessa materia non è indagata nella sua trascendenza ma nella sua prospetticità coscienziale immanente. E’ fondamentale per comprendere il cambiamento avvenuto tra queste due opere analizzare il ruolo costitutivo del soggetto trascendentale. La coscienza di Idee è il residuo della riduzione eidetica, della messa tra parentesi dell’epochè, è l’affermazione dell’indubitabilità della percezione immanente. Ad ogni corrente di coscienza, ad ogni io, appartiene la possibilità di raggiungere questa evidenza. Il rapporto, tra i vissuti e l’io puro, è concreto, collegato alla nostra esperienza del mondo. Tra i vissuti e l’io primariamente vi è una connessione temporale, che come in seguito approfondiremo, nella sua forma immanente, è la forma unitaria di tutti i vissuti in una corrente d’esperienza di un io “puro”. La temporalità di Idee è indagata all’interno di un orizzonte incessantemente dinamico e la coscienza diventa la forma unitaria di un flusso temporale di vissuti intenzionali. V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci, op. cit. p.142 Prima di approfondire il tema della temporalità, legato alle strutture costitutive dell’io ed in particolare agli atti percettivi, è meglio entrare nello specifico della questione che ci riguarda, ovvero il ruolo delle strutture percettive ed il rapporto tra queste e la sensazione. Abbiamo accennato come questa nuova metodologia abbia portato ad un cambio di prospettiva e quindi anche di nomenclatura per quanto riguarda le strutture degli atti intenzionali ed in particolare quelli percettiva, ora è necessario approfondire maggiormente questi “nuovi” concetti, quello di noema e delle strutture noematiche. Nel § 88 di Idee Husserl introduce la nozione di noema: «ai molteplici dati del contenuto reale, noetico, corrisponde sempre una molteplicità di dati rilevabili dall’intuizione effettivamente pura in un correlativo contenuto noematico, o brevemente nel noema, termine che quindi innanzi useremo costantemente». E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura ed una filosofia fenomenologica, a cura di V. Costa, Einaudi, Torino, 2002, p. 224 Husserl continua equiparando il noema correlato ad ogni atto al suo senso: se l’atto in questione è una percezione il noema è il percepito, se è un ricordo è il ricordato. «La percezione, ad esempio, ha il suo noema, il suo senso di percezione, ossia il percepito in quanto tale. Ugualmente ogni ricordo ha il suo ricordato come tale, precisamente come è preso di mira; e il giudicare ha il suo giudicato come tale[…]». Ivi, p. 225 Il noema quindi non è l’atto del percepire in se, ma è il senso della percezione nella sua X determinabile. Il noema acquisisce un ruolo che ricorda quello del senso apprensionale delle Ricerche logiche. Il noema non è, infatti, l’oggetto nella sua trascendenza ma nella sua immanenza coscienziale, così come il senso apprensionale che dotava i dati sensoriali di un’unità significativa. Continuando la presentazione del concetto di noema, Husserl specifica l’intento dell’indagine noematica: «Che cosa è il percepito come tale, quali momenti essenziali implica in sé in quanto noema percettivo? Noi troviamo la risposta dirigendo il nostro sguardo puro verso ciò che è dato nella sua essenza , e possiamo descrivere fedelmente, in perfetta evidenza, ciò che si manifesta come tale. In altri termini noi possiamo descrivere la percezione sotto l’aspetto noematico». E. Husserl, Idee, cit. ,p. 225. Husserl indica con il termine noema o senso oggettuale il contenuto identico che non cambia, l’essenza degli atti, la loro materia, il modo in cui un oggetto entra nel nostro campo d’esperienza. Il continuo mutare delle sensazioni, il decorrere degli adombramenti e l’apparire dei diversi scorci della cosa, Husserl li definisce come hylè sensoriale, o dati di sensazione. La possibilità conoscitiva dell’oggetto, nella sua sintesi d’identità, è assicurata da ciò che egli chiama morphè intenzionale o noesi. Essa indica ciò attraverso cui i materiali sensibili mostrano una forma, diventano manifestazioni di qualcosa d’oggettuale. Ciò che permette di riconoscere degli oggetti, nella loro unità significazionale, al posto di tanti dati di sensazioni, è attribuibile proprio a questa struttura degli atti. Le strutture, attraverso le quali noi percepiamo oggetti, sono dette strutture trascendentali della coscienza o anche costitutive, strutture che permettono l’esperibilità delle cose. Il soggetto, infatti, deve essere capace di interpretare le sensazioni come qualcosa d’identico, come un quid di cui esse sono i modi di datità soggettivi. Husserl specifica, sia nelle Ricerche logiche che in Idee, che le sensazioni vengono animate da una appercezione che conferisce loro il senso, che permette di cogliere delle unità di significato. Ciò che attraverso il conferimento del senso si manifesta, e che non si manifesterebbe se la nostra coscienza non avesse la capacità di trascendere i puri dati sensoriali, è ciò che abbiamo chiamato noema o morphè intenzionale, senso, mentre la mera sensazione, precedente ad ogni conferimento di senso, è ciò che corrisponde alla hylè sensoriale, questa in sé è priva di un riferimento intenzionale. Il noema, quindi, non è l’oggetto, ma la maniera in cui l’oggetto entra nel nostro campo d’esperienza, il modo in cui l’oggetto è percepito. Riguardo al concetto di noema ed al suo ruolo e significato all’interno di Idee, la letteratura critica è divisa in due distinte interpretazioni. La letteratura, in particolare la posizione di D. Føllesdal, D. Føllesdal, «Husserl’s Notion of the noema»,Journal of Philosofy ,LXVI, n.20(1969) tende ad equiparare il noema con il senso e quindi a ritrovare in esso il correlato della nozione di materia intenzionale delle Ricerche logiche. Dall’altra, ad esempio la fenomenologia gestaltica e la critica di Gurwitsch, A. Gurwitsch, The Field of Consciousness, Duquasne University Press, Pittsburg, 1964 privilegiano una lettura più immediata che vede nel noema un entità fenomenica di natura particolare, definibile come percetto che rappresenta l’oggetto di un atteggiamento puramente descrittivo, che si attiene a ciò che nella percezione è autenticamente dato, nei termini in cui esso è dato. Le due interpretazioni sono rispettivamente definite da Lanfredini come “teoria contenutistica del noema” e la seconda come “teoria oggettuale”, entrambe partono dalla teoria riduzionista dell’epochè. approfondire Nei testi di Husserl non è riscontrabile una precisa definizione riguardo alla funzione noematica che permetta di confutare una delle due posizioni, infatti Lanfredini R. Lanfredini Husserl. La teoria dell’intenzionalità, La Terza, Bari 1994, cap.6 osserva che una volta interpretata correttamente la teoria della riduzione e conseguentemente isolata come sfera puramente fenomenologica quella dei correlati oggettuali, che devono essere descritti puramente per quello che sono e nei limiti in cui si presentano, tutti i passi invocati dai sostenitori della concezione contenutistica del noema risultano parimenti compatibili con la concezione oggettuale. Husserl si è espresso chiaramente riguardo alla connessione del metodo dell’osservazione noematica e della dottrina della riduzione. Nel § 90 di Idee I, afferma che l’esigenza di non porsi più sul piano della attuazione delle tesi, legate all’ingenua posizione della realtà trascendente del mondo, non comporta naturalmente la soppressione del carattere originariamente legato a quelle posizioni di essere posizioni di una coscienza che, come tale, conserva la propria intenzionalità e con essa la proprietà ineliminabile di essere coscienza di oggetti. Ciò che viene meno è semplicemente il terreno di un’interpretazione naturalistica della relazione conoscitiva, che consenta l’ingenua e semplicistica risoluzione del problema attraverso il ricorso ad un apporto psico-fisico, che si fonda costitutivamente, sull’accettazione dei presupposti che un atteggiamento fenomenologico tende a problematizzare. La realtà, con la componente di significato che la filosofia tradizionalmente le ha sempre annesso, non è negata, ma semplicemente neutralizzata, ovvero semplicemente accettata nella limitazione fenomenologica della sua relatività ad una coscienza, e come tale indagata nel suo aspetto più propriamente costitutivo. Una volta operata la riduzione, resta la possibilità di operare il giudizio relativo al fatto che la coscienza è, pur essendo essa posta tra parentesi, coscienza di una realtà; ed oltre a ciò è possibile descrivere questa realtà per come essa si dà, per esempio, nella percezione. E’ allora possibile: «la descrizione di questa realtà come tale che appare coscienzialmente, con le particolari maniere in cui essa è consaputa, ad esempio come percepito soltanto unilateralmente, o in questo orientamento, o in quello, ecc». E. Husserl, Idee, cit. §90 p. 206 La riduzione è quindi la possibilità di indagare sulle pure strutture appercettive senza il pericolo di ricadere in atteggiamenti ingenuamente naturalistici. E’ proprio partendo da questa riduzione che Husserl analizza l’oggetto percepito il noema ed il suo senso noematico, cerca in qualche modo di cogliere delle strutture costitutive che permettono la conoscenza dell’oggetto. Abbiamo visto, come la critica sia divisa sull’interpretazione del ruolo del noema e come lo stesso Husserl non indichi un’univoca interpretazione riguardo a quest’ultimo. Ciò che interessa a quest’indagine però, non è tanto il ruolo contenutistico od oggettuale del noema, quanto il modo in cui la hylè intenzionale si strutturi in un senso noematico e quale ruolo, in particolare, assumono le strutture passive e la temporalità della coscienza trascendentale. Scrive Husserl, riguardo alla percezione noematica: «Nella percezione ridotta (nel vissuto fenomenologicamente puro) noi troviamo, come qualcosa che appartiene ineliminabilmente alla sua essenza, il percepito come tale, che richiede di essere espresso come “cosa materiale”, “pianta”, “albero”, “fiorito”, ecc. le virgolette hanno un significato manifesto: esse esprimono quel mutamento di segno e la corrispondente radicale modificazione di significato. L’albero simpliciter, la cosa della natura, è qualcosa di completamento diverso da questo albero-percepito come tale, che come senso percettivo appartiene inscindibilmente alla percezione.[…] tutto ciò che, in maniera puramente immanente e ridotta , è proprio del vissuto, tutto ciò che non può essere concepito separato da esso, così come esso è in sé, e che nell’atteggiamento eidetico emerge eo ipso come eidos, è separato da un abisso da ogni natura e scienza fisica, e non meno da ogni psicologia: e questa stessa immagine, in quanto naturalistica, non è abbastanza forte per indicare la differenza». E. Husserl, Idee, cit. p. 227-228 Husserl si preoccupa immediatamente di differenziare l’oggetto percepito dall’oggetto in sé, ma questa distinzione, che pure ha già fatto all’interno delle Ricerche logiche, si muove in un’altra direzione, il legame con l’oggetto trascendente è completamente eliminato, è neutralizzato grazie alla riduzione. Questo vuol dire che anche la sensazione non è quella apprensionale delle Ricerche logiche, ma è interna alla coscienza stessa. La differenza sostanziale sta nella non necessarietà dell’esistenza dell’oggetto reale, nell’eliminazione di questo rimando alla sfera “naturale”. Questa messa tra parentesi della realtà però, come abbiamo osservato, non presuppone una svolta idealistica all’interno del percorso fenomenologico, ma unicamente prepara lo sguardo del fenomenologo ad un’analisi più dettagliata ed oggettiva dei processi costitutivi, si concentra su quei processi prettamente immanenti alla coscienza. La facile ricaduta in un ingenuo dualismo tra i due obiectum, quello reale e quello mentale, che presupporrebbe l’idea di una doppia realtà a confronto, viene con forza confutata dallo stesso Husserl, che per altro già si era occupato di questo problema nelle precedenti Ricerche logiche. Scrive, infatti, Husserl, subito dopo averci dato la definizione di noema: «[…] Se noi tentiamo di separare in questo modo l’obiectum reale(nel caso della percezione esterna, la cosa percepita della natura) da quello intenzionale, e di includere in senso effettivo nel vissuto quest’ultimo, in quanto “immanente” alla percezione, cadiamo in questa difficoltà: che ora dovrebbero stare l’una di fronte all’altra due realtà, mentre ne è reperibile e possibile una soltanto. Io percepisco la cosa, l’obiectum della natura, l’albero là nel giardino: questo e niente altro è l’obiectum reale dell’ “intenzione” percettiva. Un secondo albero immanente, o anche un’ “immagine interna” dell’albero reale, che sta là fuori davanti a me, non sono dati in nessun modo; e il supporre ipoteticamente qualcosa di simile conduce all’assurdo. La copia come parte effettiva nella percezione psicologico-reale sarebbe di nuovo qualcosa di reale, e questa realtà fungerebbe da immagine per un altro reale.[…] Di fronte a tali aberrazioni noi dobbiamo attenerci a ciò che è dato nel puro vissuto e assumerlo nel quadro della chiarezza, esattamente così come si dà. L’ obiectum “reale” è dunque da mettere tra parentesi». E. Husserl, Idee, cit. pp.230-231 In questa premessa di carattere, potremmo dire metodologico, Husserl chiarifica, a mio parere, in maniera abbastanza inequivocabile il significato del concetto di noema. Rispetto alla lettura contenutistica od oggettualistica di quest’ultimo, penso che Husserl, ancora una volta, scelga una posizione che eviti di identificare completamente il noema nella sua componente intenzionale o nella sua componente più strettamente oggettuale. Il noema, infatti, è sia contenuto intenzionale su cui si costituisce la percezione, ma è anche obiectum esistente e reale, oggettuale, sebbene messo fuori circuito. E’ l’oggetto percepito che rimanda all’oggetto reale, anche se quest’ultimo nella sua realtà è indifferente all’indagine fenomenologica. In linea con quest’interpretazione neutra del concetto di noema troviamo la posizione di Føllesdal, che risolve il problema in cui si arena la posizione oggettualistica, identificando il noema non con l’oggetto cui l’atto è diretto, ma con la componente in virtù della quale l’atto è diretto al suo oggetto. Se la direzione oggettuale è determinata dal contenuto di un atto, e non è caratteristica dell’oggetto, la questione della sua sussistenza rimane del tutto indifferente essendo logicamente equivalente che l’atto colga effettivamente il suo oggetto oppure no . Il noema, secondo quest’interpretazione, è una funzione, un percetto, piuttosto che un concetto. Husserl cerca in qualche modo di aggirare gli ostacoli che si erano presentati durante la stesura delle Ricerche logiche riguardo alla sovrapposizione della trascendenza dell’oggetto reale rispetto all’indagine costitutiva ed immanente dell’oggetto percepito. Il dualismo in cui la metodologia statica era forzatamente ricaduta, rendeva, come abbiamo osservato, quasi impossibile, un’analisi costitutiva degli atti percettivi e sicuramente ambiguo il rapporto tra l’apprensione ed il senso apprensionale. Il concetto di noema, attraverso la nuova metodologia riduzionista e di prospettiva genetica, sembra invece permettere a Husserl un’analisi epistemica maggiormente approfondita, permette di attuare una “micro chirurgia” dei processi costitutivi e noematici. Lo spostamento delle indagini all’interno della soggettività non comporta però la perdita, all’interno dell’economia costitutiva, delle strutture passive e dei materiali che, abbiamo visto già nelle Ricerche logiche, essere fondative dei contenuti percettivi. All’interno della genesi, infatti, particolare risalto è dato alla tematica delle sintesi passive e proprio partendo da questa considerazione che si manifesta l’aporia stessa dell’opera. La costituzione, non è più interpretata solo come operare di un soggetto in conformità a dei significati identici nella loro oggettività ideale, ma anche come processo temporale, nel quale la coscienza appare impegnata in un’operazione di costituzione che è radicata principalmente nelle sintesi ritenzionali e protenzionali. In queste sintesi il soggetto è sempre annesso passivamente ad un orizzonte d’indeterminatezza a proposito di ciò che rappresenta il futuro corso dell’esperienza, sul fondamento di un passato costellato di quelle formazioni di senso che sono già state, in passato, costituite. Ritornando all’indagine sulle strutture noematiche e sul noema, notiamo come Husserl riprenda in parte la struttura basica delle Ricerche logiche, partendo dal ruolo dell’attenzione e della selezione percettiva, per proseguire in seguito la sua analisi concentrandosi sull’unità del noema e sulla sua costituzione “stratificata”, all’interno di un rapporto che si gioca tra i ruoli dell’intero e delle parti. Husserl evidenzia, analizzando la percezione di un oggetto, i cambiamenti relativi agli adombramenti possibili rispetto al colore “oggettivo” e osserva come le strutture passive, legate alla sensazione, possano modificare o invalidare la percezione stessa del noema: «Il medesimo colore noematico, che nell’unità continua di una coscienza percettiva che si modifica continuamente | è dato alla coscienza come identico e in sé invariato, si adombra in una molteplicità continua di sensazioni cromatiche[…] Se ora riflettiamo sulle sensazioni, sugli adombramenti, li afferriamo come datità evidenti e, se variamo l’atteggiamento e la direzione dell’attenzione, possiamo con perfetta evidenza mettere in relazione gli adombramenti stessi e i corrispondenti e vedere quindi senz’altro che per esempio gli adombramenti cromatici relativi al colore che è stato fissato come il colore della cosa si rapportano a questa come una “molteplicità” continua si rapporta ad un’ “unità”.[…] L’oggetto albero può manifestarsi in quanto oggettivamente così determinato come si manifesta in essa solamente se i momenti iletici sono precisamente questi e non altri. Ne consegue che ogni alterazione dello statuto iletico della percezione, deve comportare almeno come risultato che ciò che si manifesta diventi qualcosa di oggettivamente altro, sia in se stesso, sia nel modo di orientazione inerente alla sua manifestazione, ecc». E. Husserl, Idee, cit. pp.248-249 Le strutture iletiche sono responsabili della costituzione del noema ed ogni modificazione comporta una differenza percettiva. Riguardo alle strutture passive egli continua scrivendo: «[…] Le materie sono, dicemmo già in precedenza, “animate” da momenti noetici, ossia subiscono (mentre l’io non presta attenzione a esse, ma all’oggetto) delle “apprensioni”, dei “conferimenti di senso”, che nella riflessione noi afferriamo appunto nelle e con le materie». Ivi p. 251 Gli atti percettivi possiedono uno stesso noema percettivo, sono atti nei quali uno stesso oggetto si presenta attraverso lo stesso modo di datità sensibile. Il noema è l’unità percettiva attorno alla quale confluiscono le sensazioni apprese, il polo unitario correlativo alle molteplicità iletiche ed apprensionali. Il Piazza osserva che: «Fintanto che il noema, sulla scorta dell’interpretazione asimmetrica del parallelismo noetico- noematico, viene assunto nella sua qualificazione di polo unitario correlativo alle molteplicità iletiche e apprensionali, risulta impossibile identificare in esso, a sua volta, una struttura di correlazione tra le sensazioni, intese come manifestazioni di (e quindi nell’essere già animate da un senso), e l’ oggetto, come polo identico di una serie di atti. Risulta cioè impossibile comprendere il senso nel quale Husserl afferma, ripetutamente, la covarianza di adombramenti e noema, pur nell’identità del riferimento oggettuale». T. Piazza, op. cit. pp. 180-181 Il problema quindi non è tanto il concetto di noema nella sua unità ed identità, quanto la sua relazione con le strutture passive, con il suo riferimento all’oggetto trascendente neutralizzato. In accordo con l’osservazione del Piazza, penso che l’analisi husserliana di Idee, in particolare riguardo al tema della percezione e della costituzione, non riescano a entrare a pieno titolo all’interno della fenomenologia genetica e che siano ancora fortemente influenzate dall’impostazione metodologica delle Ricerche logiche. Idee, come opera, si colloca storicamente in un momento di passaggio della ricerca fenomenologica husserliana, cerca, infatti, di aprirsi alle tematiche costitutive e genetiche conservando tuttavia una struttura ancora descrittiva. Husserl prosegue nella sua analisi riguardo al noema specificando, nel § 129, la differenza tra il riferimento dell’atto al suo oggetto e il riferimento dell’atto al suo noema, ovvero al suo quid intenzionale. Il pieno noema, abbiamo già visto, non coincide con l’oggetto nella sua realtà trascendente, ma è caratterizzato da quei costituenti che corrispondono ai caratteri tetici, di posizione. Il noema si distingue riguardo l’atto a cui si riferisce, il suo quid si distingue noeticamente negli atti percettivi come oggetto percepito e in quelli immaginativi come oggetto immaginato. «Ricordiamo le nostre precedenti analisi, troviamo la piena noesi riferita al pieno noema come al suo quid intenzionale. Ma è chiaro che questa relazione non può essere quella a cui si pensa parlando della relazione della coscienza al suo intenzionale elemento oggettivo; perché ad ogni momento noetico, specialmente se tetico-noetico, corrisponde un momento del noema, e in questo distinguiamo di fronte al complesso dei caratteri tetici il nucleo noematico caratterizzato mediante essi». E. Husserl, Idee, cit. p.290 Il pieno noema rappresenta una struttura composita riferita all’oggetto in esso consaputo: «Penetrando con maggiore precisione in tutto ciò, ci persuaderemo che nel fatto la distinzione tra contenuto e oggetto è da compiere non soltanto per la coscienza, per l’Erlebnis intenzionale, ma anche per il noema preso per sé. Dunque anche il noema si riferisce ad un oggetto e possiede un contenuto, per mezzo del quale si riferisce all’oggetto: dove l’oggetto è il medesimo di quello della noesi; e il parallelismo è di nuovo universalmente confermato». Ivi pp. 290-291 Ogni atto percettivo intende il proprio oggetto in maniera prospettica e nella limitazione di quest’ultima. La differenza percettiva confluisce nel noema. Gli atti nei quali uno stesso oggetto è percepito da punti di vista diversi, possono caratterizzarsi come differenti, in relazione al noema, perché mentre in entrambi l’elemento oggettivo inteso è lo stesso, è l’x determinabile, i sensi noematici predicati, gli oggetti nel come delle loro determinatezze ed indeterminatezze, sono diversi. Gli oggetti, nel come delle loro determinatezze e indeterminatezze, possono essere diversi se gli atti intendono lo stesso oggetto da prospettive diverse, questa possibilità è data dal fatto che pur intuito da prospettive diverse l’oggetto si da attraverso lo stesso senso noematico, attraverso lo stesso soggetto nel come delle sue determinatezze. Questo viene rilevato dalle considerazioni di Husserl a riguardo, in cui specifica che al noema appartiene un’ oggettività con un certo stato noematico. Tale elemento oggettivo, nel modo in cui è supposto, in altre parole l’x di cui l’oggetto nel come delle sue determinatezze è predicato, deve essere descritto con espressioni che evitano ogni riferimento ad una soggettività esperiente: «In altre parole, al suo noema appartiene una “oggettività” con un certo stato noematico che si palesa in una descrizione di determinato limite, e precisamente tale che, come descrizione dell’elemento oggettivo, supposto come è supposto evita tutte le espressioni “soggettive”». E. Husserl, Idee, cit. p. 291 Riferendosi al senso Husserl afferma che: «Il “senso” è questo noematico “oggetto nel come”, con tutto ciò che la descrizione sopra caratterizzata consente di trovare in esso e di esprimere concettualmente». Ibidem Si deduce da queste considerazioni che due atti percettivi possono intendere da prospettive diverse lo stesso oggetto nonostante i loro noemata siano caratterizzati dallo stesso senso, dallo stesso “oggetto nel come”. L’oggetto nel come del suo modo di datità afferisce, nel pieno noema, ai gradi della chiarezza con cui l’oggetto nel come delle sue determinatezze è consaputo. «Se teniamo fermo il senso, ossia il supposto esattamente col contenuto di determinazione in cui è supposto, sorge chiaramente un secondo concetto di “oggetto nel come”, nel come delle sue maniere di datità.[…] sorgono le differenze della chiarezza, tanto importanti conoscitivamente». Ivi, p. 295 La dipendenza dell’oggetto, nel come del suo modo di datità dal contenuto sensibile dell’atto, è chiaro. Possiamo stabilire una corrispondenza diretta tra chiarezza delle sensazioni, che illustrano un determinato oggetto nel come delle sue determinazioni, e i gradi di chiarezza dell’oggetto, nel come del suo modo di datità. La relazione, che sussiste tra sensazioni e oggetto nel come delle sue determinazioni, non è sovrapponibile, infatti, se anche l’oggetto nel suo modo di datità rimane identico, le sensazioni nei due casi saranno qualitativamente distinte. Questo è un dogma della fenomenologia statica che ritroviamo immutato nella trattazione del noema. La stessa proprietà oggettiva, attribuita predicativamente attraverso l’oggetto nel come, può illustrarsi intuitivamente attraverso sensazioni distinte. Differenze nel contenuto sensibile producono variazioni nel pieno noema, lo stesso oggetto assunto nel soddisfare una determinata descrizione può darsi da prospettive diverse, e il darsi attraverso prospettive diverse comporta il riferimento ad un contenuto di sensazione che varia, essendone con ciò toccata anche l’identità dei pieni noemata: questi mutano non esclusivamente in relazione alla pienezza, ma anche in relazione alla prospettiva. «Ma questa mutata caratterizzazione noematica indica quindi, insieme, che ha luogo anche un cambiamento nel rimanente senso oggettuale (come orientamento e simili). Tutto questo esige ricerche più approfondite». E. Husserl, Idee, cit p. 381 Il Piazza distingue due modi essenziali in cui Husserl caratterizza la particolare modalità del riferimento di un atto percettivo. Un primo modo è definito come epistemico, nella misura in cui il correlato di un atto è un oggetto, dato attraverso certe determinate caratteristiche, e che presuppone il possesso di altre determinazioni. In questo senso il correlato dell’atto è l’oggetto nel come delle sue determinatezze e indeterminatezze. Tale oggetto è un oggetto che non si lega intrinsecamente alla prospetticità dell’esperienza, perché, come abbiamo visto, lo stesso oggetto, nel come delle sue determinatezze ed indeterminatezze, può essere comune ad atti distinti nella loro successione temporale, nei quali l’oggetto è dato da prospettive diverse. Un secondo modo con cui Husserl si riferisce alle modalità di intenzionamento percettivo/intuitivo, lo definisce come sensibile, in cui l’oggetto adombrato in un modo o in un altro, giunge a datità intuitiva come lo stesso senso oggettuale, rimane una polarità identica rispetto a scene sensoriali distinte. Quindi nel primo caso, quello epistemico, si tratta di un oggetto che rimeni identico nella successione temporale e che è caratterizzato da contenuti identici e determinati, in cui i materiali sono uguali. Il secondo caso, che è definito come sensibile, si riferisce a contenuti materiali distinti che però sono riferiti ad un oggetto percepito come identico. Ad esempio, in questo tipo di modalità di riferimento all’oggetto, lo stesso elemento oggettivo, ad esempio il verde dell’albero, può giungere a manifestazione attraverso adombramenti distinti, attraverso distinte prospettive cromatiche T. Piazza, op .cit. p 183. Husserl, scrivendo della correlazione tra modificazioni iletiche e modificazioni noematiche, dice esplicitamente che alle prime: «corrispondono, anche se non nel “colore stesso”, che continua ad apparire immodificato, paralleli nomatici, nel mutevole “modo di datità”, ad esempio nel suo orientamento rispetto a me». E. Husserl, Idee, cit. p.232 In queste righe è chiarito ciò che ha affermato in precedenza. Egli evidenzia come l’alterità determinata da quello che è definito mutamento nel contenuto di sensazione è analizzabile come mutamento noematico, come distinzione inerente al modo in cui il correlato trascendente si manifesta all’interno della percezione. Husserl con il concetto di noema ha cercato di approfondire ulteriormente il rapporto di dipendenza tra dati di senso e senso apprensionale, evidenziando come sia possibile riferirsi ad un senso oggettuale partendo da un dato contenuto sensibile. Quello che dobbiamo cercare di capire è se il noema possa avere uno spessore costitutivo, se attraverso la nuova metodologia di Idee, Husserl sia in grado di analizzare il ruolo della sensibilità rispetto all’unità percettiva noematica. In realtà sembra che il noema non riesca a raggiungere un valore esplicativo a livello delle analisi sensoriali. La prospettiva ed i mutevoli caratteri sensoriali, i materiali in genere, sono ancora i due elementi fondamentali all’interno della conoscibilità percettiva. La sensibilità e le strutture passive e trascendenti svolgono, anche in questa opera un ruolo fondante rispetto alla determinazione del senso dell’esperienza, alle strutture più propriamente attive. La nuova metodologia messa a punto da Husserl in quest’opera non ha portato nell’indagine sulle strutture costitutive un apporto rilevante. Il noema nonostante abbia, rispetto al senso apprensionale delle Ricerche logiche, una maggiore definizione concettuale, non permette lo stesso di risolvere il problema della relazione trascendentale e della costituzione temporale. L’analisi genetica è unicamente concentrata sull’immanenza “purificata” dalla riduzione. Tuttavia l’importanza di quest’opera, potremmo dire di “passaggio”, all’interno della ricerca fenomenologica, riguarda l’analisi della temporalità anche se non è geneticamente approfondita nella sua complessità. Quello che è interessante, ai fini della nostra trattazione, è l’analisi dei ruoli di protezione e ritenzione, costitutivi della percezione e legati alle strutture passive, ai dati sensoriali, ruoli che Husserl approfondirà, in maniera sistematica, nelle Lezioni sulla sintesi passiva. 3.2 La temporalità nella costituzione percettiva di Idee Abbiamo fino ad ora analizzato il concetto di noema come una nuova sintesi percettiva, abbiamo visto come la differente metodologia di Idee non abbia tuttavia portato ad una vera analisi costitutiva, ma come la materia sia fondante e costitutiva rispetto alle strutture coscienziali e noematiche. E’ necessario adesso analizzare il ruolo della prospetticità all’interno della sintesi noematica. La temporalità delle Ricerche logiche, era essenzialmente una temporalità della presenza, dell’immediatezza e di una prospetticità sempre proiettata verso un futuro riempimento. A riguardo è opportuno ricordare che la metodologia fenomenologica delle Ricerche, non aveva ancora “depurato” lo sguardo del fenomenologo da un atteggiamento ingenuamente naturalistico, il soggetto delle Ricerche, infatti, è un soggetto immerso nel mondo della trascendenza degli oggetti. E’ un soggetto che sembra “subisca” la materia nella sua trascendenza, subisca le strutture passive. Il soggetto trascendentale di Idee invece è il residuo della riduzione fenomenologica, è “depurato” dalla trascendenza del mondo e degli oggetti. Le analisi husserliane si concentrano attorno all’immanenza delle strutture coscienziali cercando di evidenziare le componenti costitutive dell’esperienza. Ciò che è necessario comprendere è come si costituisce l’x determinata di un noema e in che modo la coscienza coglie l’unità significativa dalla molteplicità dei dati sensoriali. Per approfondire il rapporto dei materiali sensibili rispetto all’unità noematica è imprescindibile il riferimento alla processualità temporale della coscienza. Husserl, come nota Vincenzo Costa, in quest’opera, ignora volontariamente il tema della temporalità, nel senso che non si preoccupa di inserire il soggetto percipiente all’interno di un piano temporale trascendente. L’esclusione della temporalità influenza tutta la struttura dell’opera. Scrive Costa: «l’esclusione della temporalità impedisce l’assunzione di una effettiva prospettiva trascendentale e costitutiva perchè la temporalità rappresenta il motivo che legittima la possibilità di una considerazione fenomenologica-trascendentale dell’oggetto intenzionale. Il tempo non è una caratteristica della coscienza umana, ma la condizione di possibilità della manifestazione di qualsiasi oggetto e per questo costituisce un fondamento cardine di tutte le cosiddette teorie dell’esperienza. Di conseguenza è solo la struttura costituente della temporalità che permette una considerazione fenomenologica del problema trascendentale e costitutivo. Ora, se IdeeI vogliono accedere alla fenomenologia seguendo la struttura dell’esperienza sensibile, nella misura in cui si esclude il terreno della temporalità è chiaro che sia la struttura dell’esperienza sensibile sia quella della soggettività costituente apparirà monca». V. Costa, la posizione di Idee I nel pensiero di Husserl,Einaudi ,Torino, 2002. pp. 460-461 Costa mette in evidenza uno dei limiti dell’opera di Husserl, ovvero il mancato approfondimento delle strutture temporali nella loro trascendenza, che invalida a priori le analisi sulla soggettività costituente e che costringono Husserl a non raggiungere lo scopo che con la fenomenologia genetica si era prefissato. Tuttavia è opportuno sottolineare, analizzando la struttura stessa dell’opera, come la riduzione eidetica, la messa fuori circuito dell’atteggiamento naturale, abbia apportato un primo contributo all’interno della fenomenologia genetica. La metodologia di Idee è funzionale all’indagine di strutture costitutive coscienziali ma, in linea con la posizione delle Ricerche logiche, non è a priori interessata ad una ricerca trascendentale ed esplicativa, nel senso di una analisi delle strutture non coscienziali. Proprio per questo motivo anche il discorso sulla temporalità non viene affrontato da Husserl, come invece si preoccupa di approfondisce Heidegger, ma si concentra attorno a quei “micro-processi” che la riduzione eidetica ha permesso di evidenziare. Analizzando il concetto di noema, abbiamo visto come i dati iletici siano fondamentali nella determinazione intenzionale del noema. Quest’ultimo è, in ogni modo, soggetto alla prospetticità ed all’adombramento che rendono il raggiungimento della x determinabile processuale e temporale. Husserl nel capitolo secondo dell’opera, analizzando le strutture generali della coscienza pura, prima ancora di definire il concetto di noema, introduce il tema della temporalità coscienziale. Parte, innanzi tutto, proprio dal tema della riduzione eidetica e dal suo residuo fenomenologico, la coscienza trascendentale, e da questo presupposto analizza il concetto di vissuto, esautorato della componente più ingenuamente naturalistica. L’intento di Husserl è quello di distinguere tra un vissuto immediato, presente, ed un vissuto non presente, non immanente ma tuttavia esperito nella coscienza. «Ogni io vive i suoi vissuti; e in questi sono effettivamente e intenzionalmente incluse una molteplicità di cose. Il fatto che egli li viva non significa che gli abbia nello sguardo, essi e ciò che è in loro incluso, e che li afferri nel modo dell’esperienza immanente o di un’altra intuizione o rappresentazione immanente. Ogni vissuto che non sia nello sguardo può, conformemente a una possibilità ideale, essere “visto”, nella misura in cui una riflessione dell’io si dirige su di esso, che diventa così oggetto per l’io». E. Husserl, Idee, cit. § 77 p. 184 Husserl evidenzia la possibilità di esperire un vissuto che non necessariamente deve essermi a “portata di sguardo”, che, possiamo dire, rimane sullo sfondo, non intenzionato, e soprattutto osserva come il vissuto non intenzionale possa, a sua volta, diventare intenzionale attraverso il dirigersi della riflessione dell’io. Husserl, in questo schema temporale del vissuto, in cui, l’oggetto costituito e presente alla coscienza, può essere precedentemente irriflesso, distingue diversi momenti nella costituzione noematica della percezione di un oggetto. Un momento percettivo è quello legato al ricordo, al passato, ad un “essere stato percepito”, ad una ritezione, ed uno allo “stare per essere percepito” implicito in ogni attesa, legato ad una dimensione futura e di completamento della cosa percepita, una protezione, quella stessa dimensione analizzata e presente all’interno della costituzione percettiva delle Ricerche logiche. Husserl individua nella riflessione il punto di partenza per l’analisi dei vissuti e specifica che: «Bisogna anzitutto mettere in chiaro che qualunque specie di “riflessione” ha il carattere di una modificazione di coscienza, e precisamente di una modificazione tale che per principio ogni coscienza la può subire. Possiamo parlare qui di modificazione in quanto ogni riflessione scaturisce per essenza da un mutamento di atteggiamento attraverso cui un vissuto o un dato vissuto già dato in precedenza (in maniera irriflessa) subisce una certa trasformazione, e precisamente in quanto diviene un oggetto nel modo della coscienza riflessa ( o dell’oggetto della coscienza riflessa)». E. Husserl, Idee, cit. p. 188 Il nostro studio è intenzionato a esplicitare e mettere in evidenza i processi costitutivi che permettono di passare da una sensazione inintenzionata ad una percezione intenzionale. Bisognerà indagare come, da mere sensazioni, si passi al manifestarsi di un senso oggettuale, e questo può avvenire solo attraverso una fenomenologia genetica è solo quest’ultima infatti che cerca di seguire: «la storia necessaria di questa obiettivazione e quindi la storia dell’oggetto stesso in quanto oggetto di una possibile conoscenza». E. Husserl, Metodo fenomenologico statico e genetico, trad. di M. Vergani, Il Saggiatore, Milano, 2003 p. 345 Husserl però in quest’opera non riesce a spiegare la genesi dell’esperienza percettiva, infatti, l’oggetto, in quanto oggetto di una possibile conoscenza, viene indagato unicamente nella sua dimensione immanente alla coscienza. L’oggetto analizzato è unicamente quello intenzionale. L’importanza delle analisi sulla temporalità di Idee non è, a mio parere, tanto legata alla possibilità esplicativa e costitutiva, quanto all’analisi dettagliata dei processi coscienziali nella loro immanenza. La temporalità dei processi percettivi del residuo fenomenologico, come nelle precedenti Ricerche logiche, svolge un ruolo fondamentale proprio all’interno del processo della costituzione noematica. La percezione di un oggetto, abbiamo visto, non si da per interi immediati, ma è sempre prospettica, è sempre suscettibile di diversi adombramenti. E’ la dimensione processuale che rende possibile la conoscibilità e la riconoscibilità, in altre parole la possibilità di riconoscere un oggetto non solo attraverso le sue componenti intenzionali e presenti ma anche, per esempio, attraverso il ricordo. Sebbene nelle Ricerche logiche la percezione prospettica fosse basata sul riempimento, e si strutturava attorno ad una dimensione costantemente “in potenza”, proiettata verso un futuro riempimento, inteso in senso di maggiore avvicinamento alla trascendentalità dell’oggetto, mancava tuttavia di un’analisi a priori, era assente la processualità, il riferimento a delle strutture fondanti ed inintenzionali. Il processo percettivo era descritto partendo da un’immediatezza psicologica e naturale, solo in seguito ne venivano colti i limiti e la prospetticità costitutiva. In Idee invece, attraverso il concetto di noema, la riduzione eidetica e la messa fuori circuito dell’atteggiamento psicologico e naturale, il senso della prospetticità non è più quello della pienezza, della relazione con l’oggetto trascendente, ma è strettamente legata ai processi temporali coscienziali, è una prospetticità processuale. I processi temporali della coscienza, sono a loro volta legati ad un flusso del divenire trascendentale, immersi nel “mondo della vita”, in una lebenswelt fondante. La coscienza di Idee è una coscienza temporale, dinamica, inserita in flusso processuale continuo, legato ad una lebenswelt che la trascende. «Ogni vissuto è in se stesso un flusso del divenire, è quello che è, in una generazione originaria di un immutabile tipo essenziale: un flusso costante di ritenzioni e protezioni mediate da una fase, pure fluente, di “originarietà”, nella quale è dato alla coscienza l’ “adesso” vivente del vissuto di fronte al suo “prima” e al suo “dopo”. […] Ogni vissuto ha il suo omologo “esattamente corrispondente”, e tuttavia completamente modificato, in una rimemorazione, in un’anticipazione che deriva dal ricordo, in una possibile mera fantasia e, di nuovo, nelle iterazioni di tali variazioni». E. Husserl, Idee , cit. , p. 189 La coscienza percepisce momenti singoli estrapolati da un flusso temporale continuo. Husserl descrive questa corrente di vissuti come continua ed infinita. «la corrente dei vissuti è un’unità infinita, e la forma della corrente è una forma che necessariamente abbraccia tutti i vissuti di un io puro. […] ogni vissuto fa parte di una connessione di vissuti essenzialmente in sé conclusa, non soltanto dal punto di vista della successione temporale, ma anche da quello della simultaneità. Ciò significa che ogni vissuto-adesso ha un orizzonte di vissuti che hanno anch’essi la forma originaria dell’“adesso” e come tali costituiscono l’unitario orizzonte di originarietà dell’io puro, il suo complessivo originario adesso di coscienza». E. Husserl, Idee, cit. p. 189 La costituzione percettiva è dinamica, inserita in un flusso costante di protezioni e ritenzioni che influiscono, a livello costitutivo, sulle strutture percettive. Il presente non è mai statico, ma è costantemente attraversato da anticipazioni relative al corso futuro dell’esperienza, da protezioni che, abbiamo visto, agiscono in maniera decisiva nella nostra rappresentazione di ciò che sta accadendo o nella determinazione di ciò di fronte a cui ci troviamo. La struttura processuale della percezione in Idee mette in primo piano il ruolo fondamentale delle protezioni e delle ritenzioni, ovvero delle anticipazioni e del ricordo, delle strutture sensoriali inintenzionate e passive. Il limite di quest’opera sta nel non avere approfondito in maniera adeguata proprio queste strutture passive responsabili della costituzione percettiva. L’analisi di Husserl, possiamo concludere, non si è completamente distaccata dall’influenza delle Ricerche logiche, non è riuscita a porsi su un piano effettivamente genetico. Se, infatti, la fenomenologia statica, intesa come fenomenologia costitutiva, deve esibire la struttura teleologica che collega le diverse appercezioni già formate, limitandosi a mostrare come una certa appercezione ne presupponga una fondante, il compito della fenomenologia genetica è, come abbiamo già detto, quello di spiegare come da un’appercezione ne sorge un’altra, i motivi, in sintesi, che conducono da semplici elementi sensoriali ad oggetti tridimensionali, perseguendo la storia necessaria di quest’obiettivazione e la storia dell’oggetto stesso in quanto oggetto di una possibile conoscenza. QUARTO CAPITOLO: LA FENOMENOLOGIA GENETICA E IL PROBLEMA DELL’ORIGINE. La nascita della fenomenologia genetica Nel precedente capitolo abbiamo esaminato il problema relativo al rapporto percezione- percepito attraverso la riduzione fenomenologica . L’analisi husserliana delle noesi e del noema, abbiamo concluso come sia ancora saldamente legata allo schema apprensione-contenuto d’apprensione delle Ricerche Logiche. Il problema che Husserl non riesce ad approfondire attraverso la metodologia statica è quello concernente l’origine ed alla costituzione. Quello che in particolare non è stato chiarito nelle sue analisi precedenti è come sia possibile il passaggio da un piano sensoriale ad uno percettivo intenzionale, e soprattutto in che modo avvenga la costituzione degli oggetti temporalmente immanenti. L’analisi si apre a delle istanze genetiche e costitutive che richiedono una nuova metodologia che tenga conto della inevitabile struttura temporale correlata ai processi costitutivi e conoscitivi, ed è proprio in questi manoscritti che nasce l’esigenza di mettere a punto una nuova metodologia. L’ampliamento metodologico e l’apertura verso una prospettiva genetica avvengono attorno agli anni ’20 e proseguono negli anni ’30. Tuttavia Husserl inizia a lavorare sul tema della temporalità già precedentemente, almeno già negli anni 1007-09, prima della pubblicazione di Idee per una nuova fenomenologia. Husserl parla della temporalità della coscienza e di una coscienza assoluta, per la prima volta, nelle sue lezioni tenute nel 1905 e1906/07 e nel semestre estivo del 1909. Le analisi sulla temporalità, condotte in precedenza, prendevano in considerazione un modello di coscienza ancora legata ad una concezione naturalistica, attraverso una metodologia descrittiva ed analitica. Il periodo che va dalla pubblicazione delle Ricerche Logiche a quello di Idee per una nuova fenomenologia è fondamentale per l’approfondimento di alcuni presupposti metodologici della fenomenologia. Durante la sua esperienza universitaria ad Halle, Husserl resterà ad Halle fino al 1901, anno della prima pubblicazione delle Ricerche logichela fenomenologia husserliana si basa essenzialmente su istanze logico-fondative e di matrice descrittiva, derivante, quest’ultima, dagli studi brentaniani sulla psicologia. Il trasferimento all’università di Gottinga, dove è chiamato come professore straordinario, coinciderà con l’interrogarsi, da parte di Husserl, sul senso trascendentale dell’esperienza empirica. Questo periodo è caratterizzato da un ampio lavoro didattico, che sarà pubblicato in parte solo dopo la sua morte, in cui egli approfondisce alcuni dei concetti precedentemente esaminati all’interno delle Ricerche logiche. Negli anni ‘06/’07 Husserl studia a fondo, come abbiamo detto, il significato esperenziale della temporalità ed il ruolo della temporalità all’interno della coscienza. La temporalità, che Husserl cerca di approfondire soprattutto nel periodo successivo ad Idee, risente ancora delle strutture descrittive caratteristiche delle Ricerche logiche, in particolare quella concernente lo schema apprensione –contenuto d’apprensione. Il materiale conservato negli archivi, riguardante le lezioni, gli appunti e i manoscritti attraverso cui conduceva le sue analisi, non sempre era destinato alla pubblicazione Parte di questo materiale inedito era stato affidato dallo stesso Husserl ai suoi assistenti, in maniera particolare Fink e Stein, per renderlo pubblicabile. In queste lezioni, l’intento husserliano è quello di approfondire i temi riguardanti la temporalità e la costituzione, che nelle opere precedenti il 1913 erano state quasi completamente trascurate. Questa esigenza di approfondire temi di tipo costitutivo porterà Husserl ad un ripensamento metodologico, ad incentrare la sua analisi fenomenologica sui processi costitutivi. E’ la coscienza assoluta e la coscienza costituente che, a partire da questi anni, diventerà il tema principale attorno a cui si svilupperanno le analisi della fenomenologia genetica. La nuova ricerca fenomenologica, che si apre a delle analisi genetiche, si basa su un concetto di filosofia irriducibile ad un sistema chiuso, nel senso che la ricerca non si conclude all’interno di rigide definizioni e nemmeno si auto limita. Anche se la ricerca genetica è legata soprattutto al periodo friburghese Husserl si trasferisce a Friburgo nel 1916, dove rimarrà fino al 1928, anno in cui abbandona l’insegnamento per limiti d’età ed in cui romperà il sodalizio con il suo collaboratore Heidegger, ed al lavoro che Husserl approfondisce dopo la pubblicazione di: Idee per una nuova fenomenologia, possiamo dire che i primi tentativi di un’analisi genetica e temporale risalgono già alle lezioni della seconda metà degli anni ‘10. E’, infatti, in queste lezioni, dell’inverno 1906/07 e dell’estate 1909, che Husserl approfondisce il tema della temporalità coscienziale, e che distingue due diversi tipi di coscienza , una coscienza come mera esperienza ed una coscienza come propriamente intenzionale. Su questa distinzione si basano le sue analisi temporali dei manoscritti –L, nel § 42 delle lezioni del ‘06/’07 Husserl specifica: «adesso prendiamo in considerazione un’analisi edietica e nel fare questo costituiamo un concetto di esperienza che si applica ad ogni datum o dabile che si estende nella temporalità fenomenologica. Costituiamo il concetto di mera esperienza come qualcosa della coscienza primaria in cui il datum non è ancora diventato obiettivo ed ancora è un essere pre-fenomenale , e in ciò che è, e che evidentemente deve essere». E. Husserl, Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906-07, a cura di U. Melle, den Haag, M. Nijhoff, 1984 (Hua XXIV), p.245. “ Wir vollziehen nun eine Wesensanalyse und konstituieren so den Begriff des Erlebnisses, der jedes in phänomenologischer Zeitlichkeit extendierte datum oder dabile betrifft, und wir konstituieren den Begriff des bloßen Erlebnisses als des Uberwußtseins, in dem das datum noch nicth gegenständlich geworden, aber doch ist, in dem es sein vorphänomenales Sein hat und mit Evidenz haben muß» Caratteristica di questo tipo di coscienza è che essa si interseca con la coscienza di un oggetto, con una coscienza intenzionale e strutturata. Questo implica che avvenga un’appercezione o un’apprensione che permette a qualcosa di apparire. Oltre questa coscienza intenzionale che si sovrappone in qualche modo a quell’esperienziale, Husserl distingue un tipo di coscienza come presa di posizione. Entrambi questi due tipi di coscienza, la coscienza come presa di posizione e la coscienza come intenzionale, non possono sussistere separatamente nel modello di coscienza che abbiamo appena analizzato. La coscienza può prendere una posizione solo riguardo a ciò che è già stato presentato, il punto è come avviene la presentazione di un oggetto all’interno della coscienza temporale. Ancora una volta, nel § 42, Husserl rileva che, la coscienza di un mondo oggettivo, non deve essere confusa con la coscienza di un senso esperienziale. Un’ apprensione che trasforma ciò che è esperito in qualcosa di oggettivo non avviene in una coscienza di tipo esperienziale. Nelle sue lezioni dell’estate 1909, in una sezione che è stata pubblicata nella sezione B della Hua X come “testo n.39”, Husserl parla del tempo coscienziale di una coscienza assoluta. Nell’esempio portato da Husserl in questo testo, è presa in esame la sensazione sonora, il tono. In particolare egli si chiede se l’immanenza degli oggetti percepiti, immanenti alla coscienza, debba portare a considerare la coscienza come un contenitore vuoto, in cui siano collocati i diversi oggetti, così come nella tradizione empirista. Se nella percezione esterna questo pericolo è abbastanza lontano, poiché gli oggetti ci trascendono in maniera significativa, nella percezione interna, in cui l’oggetto percepito è qualcosa di immanente, la tentazione è molto forte, anche per una pura evidenza psicologica. Riguardo alla costituzione temporale di un oggetto immanente Husserl scrive: «e nello stesso tempo, notiamo che quest’immanenza di un identico oggetto temporale, il suono, deve essere sicuramente distinta dalle immanenze degli adombramenti del suono e dalle apprensioni di questi adombramenti, che formano la coscienza del darsi del suono. Ciò che è dato come un’unità e, come presupponiamo qui, essendo dato adeguatamente come individuale e conseguentemente temporale, non è dato realmente e immanentemente nel senso assoluto e finale- che è come dire, non dato come una componente della coscienza assoluta. Immanente può denominare l’antitesi di trascendente, e in questo senso l’oggetto temporale, il suono, è immanente. Ma può anche significare ciò che esiste nel senso di una coscienza assoluta, ed in questo caso il suono non è immanente». E. Husserl, Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins 1918-1926, a cura di W. Biemel, den Haag, M. Nijhoff, 1962 (Hua X), p. 283-4, trad. mia In questo testo Husserl conclude che l’oggetto immanente, nella sua interezza, così come l’insieme di tutti i momenti costituenti dello stesso oggetto, considerati separatamente, non possono essere compresi nel flusso coscienziale in maniera veramente immanente, ma sono strutturati intenzionalmente. E’ possibile da quest’analisi distinguere due tipi diversi d’immanenza e partendo da questa distinzione collegarsi alla nozione di una coscienza assoluta ed originaria. Il discorso della temporalità si associa, infatti, in maniera indissolubile, al discorso sull’origine. Nell’analisi sulla costituzione degli oggetti immanenti alla coscienza, Husserl riprende il principio classico berkeleyano dell’esse est percipi, perché l’essere stesso dell’oggetto è interno alla sua percezione, la sola possibilità percettiva ne sancisce l’essere. Tuttavia egli ha sempre rifiutato in maniera decisa le ricadute relativistiche proprie di questo principio berkeleyano, in particolare per quanto riguarda la percezione degli oggetti esterni, per quanto riguarda la percezione degli oggetti esterni. L’esse est percipi, come principio, infatti, non permette quelle condizioni di oggettività che la fenomenologia husserliana ricerca. Husserl utilizza la definizione berkeleyana utilizzando i doverosi distinguo e sottolineando una distinzione fondamentale, che lo allontana dal rischio di un relativismo soggettivo. Il percipi, infatti, per Husserl non include l’esse come componente reale. L’essere del percepito come immanente, non è reale, nel senso husserliano del termine, il quale collega alla reale esistenza delle cose una necessaria trascendenza. L’oggetto immanente si dissolve nel suo essere percepito all’interno del flusso coscienziale, nella sua realtà unicamente immanente. L’oggetto immanente ed il flusso della coscienza assoluta non possono sussistere separatamente. Se, infatti, esistesse un flusso coscienziale assoluto, dovrebbe esistere anche un oggetto immanente ad esso inerente e viceversa. Husserl approfondirà questo tema, relativo alla costituzione degli oggetti immanenti, in maniera maggiormente approfondita nei manoscritti- L, in cui distinguerà chiaramente la costituzione di un oggetto immanente da quella di un oggetto trascendente. Nei testi che abbiamo preso in considerazione, quelli delle lezioni tenute negli anni ‘06/’07, Husserl considera la coscienza assoluta ancora come una coscienza esclusivamente esperienziale. Lo stesso flusso coscienziale, come abbiamo esaminato nel § 42, è descritto come una mera esperienza di un oggetto immanente. Questa coscienza è distinta da quella intenzionale proprio perché, come lo stesso Husserl più di una volta ha sottolineato, non ha una connotazione temporale. Potremmo dire che questa coscienza assoluta, contenete gli oggetti immanenti, è la parte sensoriale delle apprensioni che ha già preso in esame, senza approfondirne l’origine, nelle Ricerche logiche. Vi è una distinzione vera e propria tra due diversi tipi di coscienza, un’intenzionale, che permette alle cose stesse di farsi percepire ed una, possiamo dire, pre-conscia, in cui gli oggetti sono contenuti in maniera immanente. Il problema, che Husserl ancora una volta dovrà risolvere, riguarda la riconciliazione di questi due aspetti, ovvero di com’è possibile passare da un livello coscienziale originario ed inintenzionale, ad uno intenzionale e costitutivo. Non pochi saranno i problemi in un’analisi costitutiva del fenomeno percettivo, soprattutto in questo momento di passaggio da una fenomenologia statica ad una genetica. Husserl sviluppa il discorso sulla coscienza assoluta nelle lezioni estive del 1909, in particolare in un testo pubblicato in Hua XXIII, precisamente il “Testo No. 8”, in cui confronta la coscienza di un contenuto sensoriale, che è la coscienza in cui questo contenuto è esperito, con la coscienza di un “sottofondo”, di una percezione esterna. «Possiamo forse affermare: se la casa sta di fronte a me ma io non volgo la mia attenzione su di essa, allora la coscienza appartenente all’apparenza percettiva è stata causata come precedentemente è stata causata la sensazione». E. Husserl, Phantasie, Bildbewußtsein, Einnerung. Zur PhäNomenologie der anschaulichen vergegenwärtigungen. Texte aus ddem Nachlaß (1898-1925) (Hua XXIII), a cura di E. Marbach, den Haag, M. Nijoff, 1980. p. 322 trad. mia Il tempo coscienziale, della coscienza assoluta, che nelle lezioni del 1906/07 Husserl considerava come pura esperienzialità, nelle lezioni del ‘09, diventa una coscienza costituiva. La questione, che rimane fondamentale nell’analisi husserliano, è quali siano le condizioni di possibilità per l’afferramento autocosciente di un oggetto che si dia alla coscienza. Nelle lezioni degli anni 1904/07, le riflessioni riguardo a queste condizioni di possibilità conoscitiva, rimangono all’interno di un’immanenza poco strutturata dell’oggetto all’interno di una coscienza esperienziale. Solo successivamente, come abbiamo poco sopra osservato, Husserl distingue una coscienza assoluta in cui i processi costitutivi non sono unicamente esperienziali ma già strutturati intenzionalmente. In questa nuova prospettiva, l’esperienza sensoriale non è inintenzionale, o semplicemente uno sfondo legato ad un flusso coscienziale temporale, ma è essa stessa già una coscienza intenzionale. Lo stesso oggetto coscienziale, percepito in questa nuova prospettiva, non è più lo stesso. Se, infatti, si parla di un oggetto all’interno di una coscienza temporale assoluta, il termine stesso “oggetto” è da mettere tra virgolette, perché in questo caso non si riferisce ad un oggetto afferrato od oggettivato dalla stessa coscienza, ma si tratta, come abbiamo visto, d’oggetti immanenti alla coscienza stessa, anche se strutturati intenzionalmente. Nel suo approfondimento riguardo al tempo coscienziale Husserl nota e afferma che il momento dell’oggetto immanente, che è simultaneamente presentato insieme alle fasi percettive, non può essere dato in modo veramente immanente se non all’interno delle fasi percettive stesse. In questo modo Husserl inizia a tracciare una struttura temporale della coscienza in cui un oggetto non è mai dato in un momento intuitivo assoluto, ma che è sempre legato a fasi percettive distinte. Il cambio di posizione riguardo al significato del tempo coscienziale, che si sposta sempre di più verso la delineazione di una coscienza assoluta, è anche connessa con un altro sviluppo del pensiero husserliano di quegli anni. E’, infatti, negli anni successivi alle lezioni del biennio ‘04/’05, che Husserl introduce il tema della riduzione fenomenologica che, come abbiamo visto, modifica la struttura stessa della fenomenologia husserliana, indirizzandola sempre più verso un’analisi genetica. Attraverso la riduzione, l’analisi fenomenologica non comprende solo le componenti intuitive e immanenti, quelle cioè psicologiche della percezione, infatti l’oggetto esterno non viene eliminato, come abbiamo osservato nel precedente capitolo, ma solo neutralizzato nel suo essere messo tra parentesi. Ogni datum diventa passibile di un’ analisi fenomenologica, lo stesso percepito in quanto tale, la noesi, viene analizzata fenomenologicamente. Sicuramente questa nuova prospettiva fenomenologica, che si apre ad istanze genetiche, è fondamentale nello sviluppo dell’analisi husserliana della coscienza assoluta, in quanto rappresenta la possibilità di risolvere i numerosi problemi riscontrati nelle sue analisi descrittive sulla percezione e sulla costituzione. Tuttavia l’analisi della coscienza assoluta e del tempo coscienziale assoluto non risolvono facilmente questi problemi, forse perché in questo momento di transizione da una fenomenologia statica ad una genetica è proprio la confusione metodologica che crea i maggiori problemi, come avremo meglio modo di osservare. In realtà il cambiamento metodologico e l’incentrarsi delle analisi in un ambito temporale e costitutivo, non sempre comporterà la risoluzione dei problemi delle analisi descrittive. Lo stesso Bernet, che ha curato l’edizione del manuale-C relativo proprio alle analisi temporali della coscienza, sottolinea come la fenomenologia genetica e la nozione di coscienza assoluta non risolvano nessuno dei problemi delle analisi descrittive, ma che anzi portano una serie di complicazioni, soprattutto, a mio parere, per quanto riguarda la difficoltà nominale di alcuni processi e strutture, che spesso inducono a travisare e confondere lo stesso pensiero husserliano. La presentazione e la scoperta da parte di Husserl di una coscienza assoluta, è stata fortemente criticata ed esaminata all’interno della letteratura husserliana. Secondo J.C.Evans, la nozione husserliana di coscienza assoluta è di fatto insostenibile. La sua critica è primariamente indirizzata alla distinzione tra un contenuto realmente immanente della coscienza ed un’apprensione che invece anima quest’ultimo. Evans osserva che la coscienza assoluta non è una scoperta, ma più che altro una costruzione a posteriore, data dai suoi stessi presupposti. Se, infatti, si presuppone l’esistenza di una componente della coscienza realmente immanente, diventa inevitabile, considerando la temporalità fluente dei contenuti inerenti a questa stessa coscienza, presupporre una coscienza assoluta unificatrice di tutti questi contenuti, allo stesso modo in cui le sintesi coscienziali, le qualità d’atto, unificavano i contenuti appresi. Se invece le componenti immanenti alla coscienza vengono eliminate, la nozione di una coscienza assoluta costitutiva diviene superflua. J.C. Evans, “The Myth of Absolute Cosciousness” in: A.B. Dallery et al. (eds.), Crises in Continental Philosophy,Albahy: State University of New York Press, 1990, pp. 35-43 La critica di Evans riguardo alla nozione di una temporalità coscienziale assoluta parte dalla validità dello schema apprensione-contenuto d’apprensione. Possiamo dire che Evans si distacca dal resto della critica proprio rispetto a quest’aspetto. Secondo l’interpretazione prevalente, la scoperta della coscienza assoluta deve essere vista come una risoluzione o come un superamento dello schema apprensione-contenuto d’apprensione. In effetti, questa nuova prospettiva evidenzia che la sensazione-contenuto considerata come realmente immanente alla coscienza non è invece realmente immanente, ma è essa stessa il prodotto di una costituzione intenzionale che avviene proprio attraverso la temporalità della coscienza assoluta. R. Boehm, «Einleitung des Herausgebers,» (Hua X) pp. 30-36. Evans rileva come la coscienza assoluta sia necessaria proprio perché Husserl parte da uno schema come quello dell’apprensione-contenuto d’apprensione. In questo caso la coscienza assoluta non è una forma di rottura rispetto alle analisi precedenti, ma bensì una diretta conseguenza di queste ultime. Abbiamo visto come anche Piazza ha fatto una considerazione simile, rintracciando nello schema noesi-noema gli stessi presupposti dello schema apprensione-apprensione contenuto. Io penso che questo tipo di critica rispetto all’indagine filosofica husserliana sia riduttivo, non permette, infatti, di tenere in conto d’alcuni presupposti fondamentali della fenomenologia husserliana. Uno di questi è, sicuramente, la necessità di un’ oggettività non passibile di facili psicologismi o relativismi, e la coscienza assoluta, sebbene non sia forse il presupposto adeguato, è uno strumento fondamentale proprio per una fenomenologia scientifica e genetica. Per quanto riguarda il mantenimento dello schema apprensione-contenuto d’apprensione, penso che sia Evans che Piazza hanno ragione nell’individuare questo schema reiterato anche nelle analisi genetiche. Allo stesso modo penso che questo sia un problema prettamente strutturale della filosofia husserliana, oltre che metodologico. La filosofia di Husserl si basa su un bilanciamento di rapporti tra le parti, siano esse costitutive o meno, e questo presuppone un dualismo strutturale che, all’interno della riflessione husserliana, è difficilmente risolvibile, ma che in ogni caso permette quella tensione relazionale che rende la fenomenologia una metodologia dinamica e processuale, di costante ricerca. T. Kortooms individua due tendenze fondamentali all’interno della riflessione husserliana della coscienza: la prima è che la validità dello schema apprensione-contenuto d’apprensione non è determinabile senza il presupposto di una coscienza assoluta. La scoperta della nozione di coscienza assoluta e l’approfondimento di questa nozione negli anni successivi presuppone l’abbandono dello schema apprensione-contenuto d’apprensione, perché è solo attraverso la nozione di una coscienza assoluta che si può mettere in relazione questo schema. La seconda tendenza, è quella che può essere definita esterna, nel senso che non riguarda propriamente le analisi del tempo coscienziale, poiché consiste in uno sviluppo della teoria generale di Husserl sulla coscienza. T. Kortooms, Phenomenology of time: Edmund Husserl’s analysis of time-consciousness, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht/ Boston/ London, 2002, pp 88-89, In queste analisi riguardo alla coscienza lo schema apprensione-contenuto d’apprensione viene abbandonato, e questo proprio grazie alla scoperta della coscienza assoluta. In questo caso penso di essere d’accordo con Kortooms, per il quale la scoperta della coscienza assoluta diventa un presupposto necessario dell’abbandono di uno schematismo oppositivo in cui gli oggetti immanenti inintenzionali vengono presupposti e non spiegati e in cui l’apprensione svolge un ruolo costitutivo di kantiana memoria. Tuttavia, sebbene venga dato, all’interno della fenomenologia genetica, maggiore rilievo ai processi costitutivi e vengano chiariti in parte i processi in intenzionali, penso, come spiegavo prima, che questo schema in parte permanga all’interno del pensiero husserliano, soprattutto nella sua dinamica relazionale e dualistica. Nella mia analisi proverò a dimostrare come si è passati da un’analisi descrittiva, in cui le componenti passive e gli oggetti trascendenti rimanevano all’interno di un dualismo inconciliabile e soprattutto inconoscibile, ad un’ analisi in cui la temporalità in tutta la sua complessità diviene il presupposto costitutivo sia degli oggetti immanenti che di quelli esterni attraverso le strutture passive, che sebbene non risolvano completamente i problemi costitutivi, sono delle componenti fondanti all’interno della costituzione percettiva. Queste analisi vogliono anche dimostrare come la fenomenologia di Husserl non possa essere classificata in maniera chiara e sistematica, ma come sia sempre in un precario equilibrio tra unità e dualismo, tra rapporti fondanti e fondati, e come sia una filosofia estremamente dinamica e niente affatto chiusa. D. Zahavi interpreta la nozione husserliana della coscienza assoluta e della sua temporalità in un modo che si distacca dalla letteratura precedente, rifiutando infatti un’interpretazione della coscienza assoluta come livello più profondo di coscienza. Nella sua interpretazione egli distingue tre livelli di coscienza: il primo, il livello degli oggetti trascendenti che si manifestano all’interno di una temporalità oggettiva; Il secondo, il livello degli oggetti immanenti che si manifestano all’interno di un tempo immanente; e un terzo, il livello di una temporalità coscienziale assoluta che costituisce l’unità degli oggetti immanenti e trascendenti, una coscienza di sintesi. Le sue critiche sono indirizzate in maniera particolare ad una caratteristica della coscienza assoluta che essendo una coscienza costitutiva non volge la sua attenzione verso il proprio oggetto, non è auto cosciente dei propri processi costitutivi, ma è un contenitore che comprende tutti gli oggetti senza però averne coscienza. D.Zahavi, Self-Awareness and Alterity. A Phenomenological Investigation, Evanston Northwestern University Press, 1999 pp. 70-72 trad. mia Tuttavia Zahavi non ha considerato che il carattere propriamente costitutivo della coscienza assoluta scoperta da Husserl nell’estate 1909 allega al rifiuto dell’interpretazione su cui si basa la critica di Zahavi stesso. Nel testo No. 8, che abbiamo preso in considerazione precedentemente, infatti, viene chiaramente evidenziato che la scoperta della costituzione, che avviene all’interno del tempo coscienziale assoluto, avviene in parallelo alla volontà di considerare questa coscienza analogamente alla coscienza degli oggetti-sfondo. In questo studio Husserl sottolinea un collegamento tra la coscienza esperienziale in intenzionale, inattentiva, che precede la coscienza riflessiva e intenzionale e la coscienza in intenzionale degli oggetti-sfondo. vedi (Hua III/1), p.95, Cf. H. Schmalenbach, “Das Sein des Bewusstseins „ Philosophischer Anzeiger, 4(1929/1930): 354-432, p.404. In questo studio Schmalenbach osserva che riguardo alla sua analisi sulla coscienza esperenziale, Husserl prende una posizione che già Brentano aveva criticato nella sua analisi sulla coscienza interna. A partire dagli scritti dell’inverno ‘06/’07 fino alla stesura del Manoscritto- C, possiamo dunque dire che Husserl non utilizza il concetto di coscienza assoluta come il livello più profondo della coscienza costitutiva. La temporalità coscienziale nei manoscritti di Bernau: tre modelli a confronto La riflessione husserliana riguardo alla temporalità della coscienza e al concetto di coscienza assoluta, è approfondita in maniera specifica nei così detti manoscritti-L o manoscritti di Bernau, che prendono nome dal luogo in cui Husserl scrisse gran parte dei manoscritti negli anni subito dopo la prima guerra mondiale 1917/18. L’interesse di Husserl nell’approfondire la tematica della temporalità coscienziale, è sempre stata presente, almeno già a partire dalle Ricerche Logiche, ma lo spunto per una ulteriore e più specifica riflessione riguardo a questo tema viene suggerita dalla rielaborazione che la Stein fece dei suoi manoscritti sulla fenomenologia del tempo a partire dagli anni 1904/’05. E. Stein fu assistente di Husserl a Friburgo negli anni 1916/1918 e iniziò la rielaborazione dei manoscritti di Bernau nell’estate del 1916. Possiamo notare che i manoscritti indicati come manoscritti di Bernau o manoscritti -L, non coincidono completamente, non sono la stessa cosa. I manoscritti- L non comprendono tutti gli scritti di Husserl del periodo 1917 e 1918 e comprendono invece alcuni manoscritti che non vennero scritti durante il periodo di Bernau. I manoscritti- L sono quelli che Fink, assistente di Husserl a Friburgo, dal 1928 fino al 1938, ha reso pubblici all’archivio Husserl solo nel 1969. Fink aveva ricevuto questi manoscritti dallo stesso Husserl nel 1928 con la richiesta di sistemarli in modo da renderne possibile una pubblicazione. I manoscritti sono divisi in due gruppi, L I e L II, e ogni parte comprende 21 unità. La maggior parte degli scritti del gruppo L II è costituita dalla trascrizione dei manoscritti husserliani rivisitati dalla Stein, da Landgrebe e Fink. Questo gruppo L II coincide in gran parte con le appendici dell’edizione del 1928 degli “Studi husserliani sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo”. Questi manoscritti per lungo tempo non sono stati accessibili, proprio perché non erano stati conservati nell’archivio Husserl ma nell’ufficio privato di Fink, fino al 1969. I manoscritti –L vengono chiamati anche manoscritti di ricerca, perché Husserl sviluppa le sue teorie durante la stessa scrittura. Non sono scritti indirizzati ad una pubblicazione e nemmeno per delle lezioni, circostanza che li rende molto più difficili da leggere e da sistematizzare. Una delle caratteristiche maggiormente evidenti in questi manoscritti è che spesso mancano di conclusioni definitive e che al loro interno sono presenti parecchie ripetizioni. La mia scelta di prendere in considerazione questi manoscritti è data proprio dalla struttura sperimentale di questi ultimi, dal fatto che le tematiche proprie della fenomenologia genetica vengono delineate nella loro essenza, e perché anticipano, a mio parere, le riflessioni proprie delle Lezioni sulla sintesi passiva. Nell’introduzione del primo volume della Husserliano, che è basato principalmente su questi manoscritti di ricerca, Iso Kern, che ne ha curato l’edizione negli anni settanta, traccia delle linee generali. Egli ritiene che Husserl, nella stesura di questi manoscritti non si preoccupi tanto di spiegare ciò che realmente riteneva di conoscere riguardo a questi argomenti. Egli anzi vuole mettersi alla prova, vuole utilizzare la scrittura come laboratorio, come prassi teorica per focalizzarsi su tematiche che ignora e che non ha ancora approfondito. Lo scopo di una ricerca così sperimentale era quello di trovare una conoscenza nuova riguardo a tematiche quali la costituzione e la temporalità, cercando di superare i limiti delle analisi descrittive condotte fino ad ora. Kern nota come spesso questa metodologia, possiamo dire dell’improvvisazione, non porta Husserl ad un miglioramento teorico e che anzi spesso lo conduce in direzioni “sbagliate” e confuse di pensiero. I. Kern “Einleitung des Herausgebers” in E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass, Erster Teil: 1905-1920 (Hua. XIII) a cura di I. Kern,Den Haag , M. Nijhoff, 1973, p. 39 In ogni caso questi manoscritti rimangono, a mio parere, interessanti, non solo per la loro metodologia sperimentale, ma anche per le tematiche sviluppate e in particolare per la delineazione di alcuni concetti fondamentali quali quelli di protenzione, ritenzione e coscienza assoluta. Ho voluto per questo motivo riportare all’interno della mia ricerca l’analisi compiuta da T. Kortooms sul manoscritto –L, perché credo sia chiara ed essenziale e renda evidente le principali tematiche di questi manoscritti. E’, infatti, qui che, come abbiamo appena detto, egli enuclea i temi principali che saranno in seguito approfonditi nelle Lezioni sulla Sintesi passiva, negli anni che vanno dal 1918 al 1926, in una prospettiva propriamente genetica. Bisogna ricordare che proprio in quegli anni Husserl stava elaborando la nuova prospettiva genetica che renderà possibile un ulteriore sviluppo delle tematiche che emergono in questi manoscritti. Kortooms legge il manoscritto–L riconoscendo tre principali modelli che Husserl individuerebbe riguardo alla temporalità e alla coscienza ad essa legata. Il criterio che ha portato Kortooms ad isolare questi tre modelli che si susseguono teoricamente, non è propriamente cronologico quanto tematico. La scelta di riportare la sua analisi all’interno della mia ricerca è dovuta alla chiarificazione che apporta nella lettura di questi manoscritti, complessi, sia strutturalmente che tematicamente T. Kortooms, op .cit. pp.110-112. In essi Husserl introduce una serie di termini nuovi, quali per esempio quelli di protenzione e ritenzione, che saranno ripresi ed ulteriormente approfonditi nelle sue analisi delle Lezioni sulla Sintesi passiva. Tra la coscienza ritenzionale e protenzionale si trova una tipologia di coscienza che Husserl definisce come coscienza della presentazione primaria (urpräsentierendes). La presentazione primaria è la coscienza in cui qualcosa è dato come presente adesso. Rispetto alle analisi degli anni precedenti, questa coscienza primaria non è solamente esperienziale e passiva, ma svolge un ruolo attivo all’interno della costituzione percettiva, può essere identificata con una coscienza di tipo intenzionale. All’ interno di questa nuova prospettiva, la definizione stessa di tempo coscienziale cambia, non si parla più di un campo temporale originario, come negli scritti del 1905, ma di un tempo-presenza (Präsenzzeit). Per indicare il modo di darsi del tempo-presenza Husserl utilizza il termine “presenza momentanea” (momentane Präsenz), che corrisponde alla fase coscienziale in cui, grazie alla ritenzione, protezione e presentazione primaria, il tempo-presenza viene dato intuitivamente. Nei manoscritti–L Husserl parte dal presupposto che la coscienza del tempo è essa stessa compresa in una dimensione temporale, questo presuppone che egli non si fermi ad una mera descrizione delle fasi temporali momentanee, ma che queste stesse fasi vengano analizzate e strutturate come un continuum. «Come un continuum di fasi momentanee, […] il tempo coscienziale è coscienza del flusso in ogni fase, e ciò che è stato detto delle presenze così come di ciò che è presente in ogni fase, adesso deve essere completato nel senso che ognuna di queste fasi è caratterizzata come fluente. E che inoltre ogni momento della coscienza non è solo cosciente della fase della presentazione primaria come fluente, che è coscienza momentanea di qualcosa di fluente, ma anche della coscienza che si estende al di là del momento rispetto al flusso e, nel fare ciò, rende coscienti entrambi le componenti attraverso le loro posizioni temporali, nella loro durata, e le presenze come fluenti attraverso il loro essere continuamente fluenti.» “Als Kontinuum von Momentanphasen […] ist es in jeder Phase Bewusstsein vom Strömen, und was von den Präsenzen gesagt ist und von dem Präsenten jeder Phase, ist nun dahin zu ergänzen, dass jede dieser Phasen als strömende charakterisiert ist. Und dass somit jeder Bewusstseinsaugenblick nicht nur Bewusstsein der urpräsenten Phase ist als strömender, also Momentanbewusstsein von Strömens , sondern dass das Bewusstsein über den Moment hinsichtlich des Strömens hinausreicht und dabei sowohl die Inhalte durch ihre Zeitstellen, in ihrer Dauer als auch die Präsenzen als strömende durch ihre Stromkontinuität bewusst macht“ E. Husserl, Die “Bernauer Manuskripte” über das Zeitbewußtsein (1917/18 ) a cura di R. Breeuer, Kluwer Academy, Dordrecht, 1999 (Hua XXXIII) p.100, traduzione mia La questione di come possa avvenire la connessione intenzionale tra le successive fasi di coscienza, quella protenzionale, ritenzionale e della presentazione primaria, è al centro delle riflessioni dei manoscritti–L . Ogni fase momentanea è costituita da un presente primario e da una serie di presenti secondari; nel presente primario, a cui Husserl si riferisce con il termine presentazione primaria, il punto temporale Ek di un evento E viene dato come presente in senso stretto. La serie dei presenti secondari che Husserl generalmente nomina come protenzioni sono i modi in cui sono dati i punti temporali di un evento che precede il punto temporale Ek. Bisogna tuttavia considerare che oltre l’evento E, prettamente esperenziale, vi è anche la questione che riguarda la costituzione di questo stesso evento E, cosa che, come vedremo, causerà non pochi problemi nell’analisi husserliana di questi manoscritti, sempre in bilico tra una possibilità esplicativa dei processi ed una tautologica e di regresso infinito. Dopo queste considerazioni di carattere introduttivo, passiamo all’analisi di questi tre modelli identificati da Kortooms all’interno dei manoscritti-L . Il primo modello Il primo modello che Husserl mette a punto può essere definito come un modello in cui egli parte dall’assunzione dell’esistenza di una coscienza originaria. In questo modo egli distingue un livello di coscienza che è inerente esclusivamente alla costituzione degli oggetti temporali immanenti, che è separato dalla coscienza intenzionale, una coscienza che potremmo definire originaria. Tuttavia quest’ultima non è ancora una coscienza assoluta perché manca delle caratteristiche peculiari di una tale coscienza. In questo modello notiamo come sia ancora ben presente lo schema apprensione-contenuto d’apprensione, nel senso che anche in questo modello, all’interno della coscienza originaria, Husserl utilizza la nozione di data reali di coscienza che funzionano come dei contenuti immanenti che devono successivamente essere appresi. L’auto-costituzione, caratteristica della coscienza assoluta, anche in questo primo modello manca completamente. Nell’elaborazione del primo modello Husserl ritorna su un tema che è stato centrale nelle sue lezioni già negli anni ‘04/’05: ovvero la transizione continua che dall’oggetto percepito con una presentazione primaria porta fino alla ritenzione. Il punto di partenza del primo modello è la considerazione che un punto temporale di un oggetto immanente si dà completamente nella presentazione primaria, in cui, infatti, si può distinguere tra un contenuto e l’apprensione di questo contenuto: però, per comprendere questa distinzione, è necessario presupporre una coscienza anteriore in cui siano contenuti i data della successiva apprensione. In altre parole, senza il presupposto di una coscienza sottostante, non può essere fatta una distinzione nella presentazione primaria tra l’oggetto che appare e l’apprensione che rende possibile l’apparizione di quest’oggetto: i due processi sono immanenti e l’oggetto stesso è percepito nella sua immanenza. Husserl, analizzando lo status della presentazione primaria, si chiede come sia possibile, partendo da questo presupposto, collocare la struttura della ritenzione e come quest’ultima si colleghi alla presentazione primaria. Questa stessa domanda concernente la costituzione dei legami di relazione tra le parti abbiamo cercato di esaminarla, anche nei precedenti capitoli, attraverso le sue analisi descrittive sulla percezione. Nel “Testo N. 3”, Husserl analizza la ritenzione come una sorta di rappresentazione, allo stesso modo della fantasia o del ricordo. In effetti, la ritenzione può essere definita come la coscienza di un presente che non è più presente in sé. Husserl pensa che la ritenzione sia una modificazione comparabile con una modificazione rappresentazionale, tuttavia egli stesso solleva numerosi dubbi riguardo a quest’interpretazione. Uno di questi dubbi è la considerazione che nella ritenzione, un punto temporale passato dell’oggetto temporale immanente, non viene rappresentato come se fosse nuovamente presente adesso: «questa, riproduzione = rappresentazione è qualcosa di completamente diverso dall’originario tempo coscienziale, che è una coscienza presentante, che è, essa è coscienza originaria in comparazione alla rappresentazione. Il passato non rappresenta un presente! Questa è una nera equivocazione!». “Also Reproduktion = Vergegenwärtigt <ist> etwas ganz anderes als originäres Zeitbewusstsein, das gegenwärtigendes ist, <d.h.> im Vergleich zur Vergegenwärtigung Originalbewusstsein. Das Vergangene vergegenwärtigt nicht ein Jetzt! Hier liegt nur eine Äquivokation vor!“ E. Husserl, Bernau, (Hua XXXIII) cit. p. 60, trad. mia. Un'altra critica riguardo alla considerazione della ritenzione come una modificazione rappresentazionale, è data dalla nuova struttura di rappresentazione che Husserl sviluppa in quegli anni. La rappresentazione viene definita come una modificazione continua, quindi se la ritenzione corrisponde ad una rappresentazione, essa stessa dovrà essere una continua modificazione. A questo punto il problema è il seguente: in che modo la ritenzione possa legarsi alla rappresentazione primaria se essa è una continua modificazione così come lo è la fantasia. Nel seguente testo Husserl esamina in questo modo il problema: «Ma non c’è una differenza discreta tra fantasia e percezione? E non è il fantasma la modificazione- fantasia della sensazione? Nella ritenzione nella modificazione della presentazione, quella che potremmo chiamare post-presentazione, abbiamo una modificazione continua». “Aber ist nicht Phantasie und Wahrnehmung ein diskreter Unterschied? Und ist nicht Phantasma die Phantasieabwandlung von Empfindung? In der Abwandlung der Präsentation in Retention, die auch heißen könnte Postpräesentation, haben wir eine kontinuierliche Abwandlung.“ E. Husserl, Bernau,(Hua XXXIII), cit. p. 55 Il contenuto reale della presentazione primaria può essere collegato in modo continuo con il contenuto reale adombrato della ritenzione, se si presuppone che nella ritenzione operino dei contenuti reali, dei data e non delle rappresentazioni. Questa analisi permette a Husserl di considerare la ritenzione come un tipo d’immagine coscienziale, e non come una modificazione rappresentazionale come la fantasia. L’ associazione tra ritenzione ed immagine coscienziale riconducono le analisi husserliane a delineare un duplice concetto di percezione. Da una parte, infatti, abbiamo un concetto di percezione che è contrapposto alla ritenzione della memoria primaria e che è collegato alla coscienza di un oggetto nel suo presente punto temporale; dall’altra invece un concetto di percezione che è concepito come contrapposto alla memoria secondaria e al ricordo. Riguardo al concetto di percezione che si contrappone alla memoria secondaria, Husserl ritiene che questo tipo di percezione debba riferirsi ad un continuum di data sensoriali, senza però rinunciare alle possibili modificazioni percettive che avvengono all’interna della ritenzione. Proprio per questo motivo Husserl ritiene che la ritenzione, intesa come collegata ad un continnum di data sensoriali, possa essere paragonata ad un’immagine coscienziale, anch’essa, infatti, è legata ad un continuum di data che vengono di volta in volta strutturati diversamente . Nel testo seguente egli cerca di spiegare il perché: «consideriamo che ciò che effettivamente nella totalità della fase momentanea (l’estensione) è un continuum di data sensoriali. Questo continuum funziona come un rappresentante dell’apprensione del passato; intuiamo il passato attraverso il presente, similmente al modo in cui percepiamo un’ immagine, o al modo in cui “vediamo una persona, che non è presente, in immagine, e così via». “Wir sagen uns, das, was wir in der gesamten Momentanphase ( der Strecke ) wirklich finden, ist ein Empfindungsdatenkontinuum, das fungiere als Repräsentat der Vergangenheitsauffassung; durch das Gegenwärtige schauen wir das Vergangene an, ähnlich wie wir ein Bild wahrnehmen oder eine nicht gegenwärtige Person im Bilde sehen u. dgl. „ E. Husserl, Bernau ,(Hua XXXIII),.cit. p. 214. trad. mia I data reali non agiscono quindi solo all’interno della presentazione primaria, costituendo, entro lo schema apprensione-contenuto d’apprensione, l’immagine di qualcosa come attualmente presente, ma hanno la stessa funzione anche nelle ritenzioni direttamente legate alla presentazione primaria. Queste ritenzioni possono essere considerate come delle presentazioni primarie, in questo schema, infatti, c’è una sovrapposizione tra i due livelli, la differenza consiste nel fatto che queste ritenzioni sono percepite da una specifica coscienza ritenzionale, consapevole che ciò che appare come attualmente presente, è una presenza di qualcosa che è gia stato, che è passato. La ritenzione assume le connotazioni di un’immagine coscienziale, come nell’immagine, infatti, ciò che viene percepito è rappresentativo di qualcosa che non è realmente percepito, tuttavia nella sua attualità: l’oggetto non percepito viene ugualmente rappresentato. La percezione di un’immagine è una percezione concreta è si struttura come tale anche a livello temporale. Il discorso husserliano si incentra sulla descrizione dei processi temporali della presentazione primaria e della ritenzione. Husserl si preoccupa di dimostrare come avviene la costituzione di un evento di primo livello, all’interno di una temporalità fenomenologica. Nella sua analisi sulla costituzione temporale, Husserl segue il presupposto di un’analogia tra la ritenzione e l’immagine coscienziale, e mette in evidenza la differenza tra una temporalità di un evento legato ad una presentazione primaria e la temporalità propria della ritenzione. Sebbene entrambe le percezioni si strutturino attorno ad un presente temporale, la differenza viene evidenziata nella loro distinta funzione. Mentre il presente dell’evento di una presentazione primaria, è un presente, potremmo dire, assoluto, un presente epifanico, il presente della ritenzione è un presente che si lega ad una coscienza del passato. E’ un attualizzazione di un passato presente originario. Nel primo modello, il contenuto sensoriale, datum, è innanzitutto utilizzato come contenuto dell’apprensione percettiva, ma ciò che è percepito entra in conflitto con il contesto in cui avviene questa percezione, ovvero la coscienza della presentazione primaria rispetto alla coscienza ritenzionale. Questo conflitto causa la trasformazione di questa percezione in una rappresentazione di qualcosa che non è presente in sé e per sé, ovvero in modo originario, ma che viene rappresentato da un’ immagine. Se si applica la struttura dell’immagine coscienziale a quella del tempo coscienziale, la questione riguarda il modo in cui il conflitto tra le due percezioni permette di trasformare la rappresentazione primaria, attraverso un affievolimento della percezione, in una specifica apprensione ritenzionale. In questo modello, al momento in cui nella presentazione primaria viene originariamente dato temporalmente l’evento–punto ( E ) si accompagna anche la coscienza del evento-punto precedente che si sta affievolendo e anche una componente specificamente ritenzionale, che permette che, questa componente della presentazione primaria affievolita, venga appresa come rappresentazione del passato. Una struttura quindi complessa, in cui si intersecano piani differenti , ma che si presenta in una forma, che potremmo definire piramidale. Infatti all’evento che si manifesta temporalmente come un punto E si affianca la ritenzione dell’evento passato e il passaggio in contemporanea tra questi due livelli, di presente e di presente-passato. Potremmo, a mio parere, immaginare questo meccanismo come una serie di successivi svuotamenti e riempimenti. Così come avviene per la costituzione di un’immagine, in cui tutti i contenuti vengono utilizzati nella rappresentazione, anche nelle ritenzioni tutti i contenuti vengono utilizzati e non ne rimangono altri per la costituzione di una seconda apprensione. La ritenzione si svuota durante la presentazione primaria, ma si riempie progressivamente mentre l’evento incomincia a sbiadire fino a diventare un contenuto ritenzionale. Tuttavia la coscienza ritenzionale è in un rapporto d’indipendenza rispetto allo sbiadimento dell’immagine, della percezione. La coincidenza che avviene nella formazione dell’immagine coscienziale, che unifica l’immagine–oggettiva con quella soggettiva, è un rapporto di somiglianza e non di identità. Questo significa che l’immagine–soggettiva ha delle caratteristiche in comune con l’immagine–oggettiva, il che comporta che entrambe le componenti non sono in una relazione puramente esterna. Ciò spiegherebbe come la coscienza ritenzionale possa legarsi a quella della presentazione primaria. Ma questa relazione di somiglianza può avvenire solo nelle immagini coscienziali, in cui non si potrà mai avere una completa sovrapposizione tra i due livelli, sovrapposizione che invece nelle percezioni immanenti è completa. Nonostante il ricorso alla teoria delle immagini per spiegare il rapporto che lega la ritenzione alla presentazione primaria, molti punti analizzati rimangono insoluti e minano la stessa premessa con cui Husserl ha introdotto l’argomento: ovvero che la ritenzione fosse una modificazione continua. In ogni caso, se la ritenzione è associata ad una rappresentazione, ad un’immagine, come abbiamo appena visto, e se è ritenuta valida la teoria della somiglianza per spiegare il legame, si dovrebbe tenere in conto che la stessa somiglianza potrebbe sovrapporsi ad altri eventi temporalmente contigui. Questa possibilità era stata esclusa dalle premesse teoriche, in cui si parlava di un completo svuotamento della ritenzione che si legava esclusivamente ad un unico evento. Husserl, infatti, si chiede: «ma come, se la successione dei data primariamente presenti Eo, E1… En corrispondono esattamente alle serie di sbiadimento di Eo, Eo’…Eo’’? Dopo tutto, gli sbiadimenti, come data della “coscienza profonda”, non sono essenzialmente distinguibili da i data Ek? O semplicemente alcuni, perché devono essere legati tra loro? Ma perché gli altri sbiadimenti non sono legati con i suoni primari?». “ Wie, wenn die Folge der urpräsenten Daten Eo, E1…En genau übereinstimmt mit der Abklangsreihe von Eo, Eo’… Eo’’? Die Abklänge sind ja als Daten des inneren Bewusstseins in nichts Wesentlichem von den Ek- Daten ausgezeichnet? Wenn ein Ton in seiner Intensität wirklich abklingt, haben wir da doppelte Abklänge? Oder nur einfache, weil sie verschmelzen müssen ? Aber warum verschmelzen nicht die sonstigen Abklänge mit den Urklängen? „ E. Husserl, Bernau, (Hua XXXIII) cit. P.219, trad. mia Il primo modello, che considera la ritenzione come una rappresentazione, un’immagine coscienziale, viene da Husserl invalidato per l’impossibilità di distinguere dei dati reali all’interno della coscienza ritenzionale, e per il pericolo di un regresso infinito in strati coscienziale sempre più profondi. Se, infatti, è vero che ogni presentazione primaria dipende dalla sua ritenzione che si “svuota”, come abbiamo visto, per dare spazio all’evento, e che l’evento stesso successivamente si affievolisce sino a diventare una ritenzione, il presupposto è che ad ogni evento precede una ritenzione collocata in un livello coscienziale sempre più profondo, fino ad una coscienza originaria. Ma come avviene quest’esperienza primaria? In che modo la coscienza originaria diventa autocoscienza della propria esperienza? Sicuramente questo primo modello di temporalità coscienziale non aiuta a spiegare i processi originari. Lo schema teorico è ancora quello relativo all’ apprensione-contenuto d’apprensione, in cui non viene spiegato come questo contenuto venga effettivamente appreso e come divenga un contenuto intenzionale. Il secondo modello Husserl parte dai limiti riscontrati nel primo modello per cercare di superarli attraverso un diverso approccio teorico. Il pericolo del primo modello era quello di un regresso infinito, quindi di una aporia della struttura coscienziale, e di una mancanza di spiegazione propriamente genetica. Il problema rimane ancora il come si passi da un piano esperenziale, immanente, della coscienza originaria, ad uno intenzionale e strutturato di una coscienza secondaria, in cui il paradigma esse est percepi sia modificato ed abbandonato. E’ proprio secondo queste considerazioni che Husserl decide di iniziare le sue analisi riguardo al secondo modello dall’attenzione. Abbiamo esaminato nei precedenti capitoli, in particolare nel secondo, come l’attenzione svolgesse un ruolo fondamentale all’interno della costituzione percettiva. Parte della Sesta ricerca era dedicata a questo tema. Quest’ultima, tuttavia, era analizzata secondo i criteri della fenomenologia statica, descritta nella sua importanza per la focalizzazione di un oggetto nella sua intenzionalità. Mancava però un’analisi costitutiva della funzione attenzionale. Husserl prende in considerazione il pericolo di un regresso infinito, dato dal fatto che la coscienza della presenza, l’autocoscienza, si presenterebbe come un oggetto in sè e per sè di una coscienza sottostante ed “inconscia”, e così via fino al problema della costituzione originaria. Il modo in cui Husserl si propone di risolvere il problema è, abbiamo detto, legato alla funzione attenzionale: «adesso, specialmente per evitare le difficoltà, possiamo dirigere la nostra attenzione all’afferramento e dire che ciò potrebbe essere quello che costituisce la sempre ripetibile coscienza “presente”». “Man könnte nun, besonders um den Schwierigkeiten auszuweichen, das Augenmerk auf das Erfassen richten und sagen , das sei das, was das immer zu wiederholende Bewusstsein “Gegenwart” konstituiert.” E. Husserl, Bernau, (Hua XXXIII), cit. p.224, trad. mia L’attenzione afferrante è un modo di realizzazione dell’esperienza intenzionale. L’esperienza intenzionale, infatti, può avvenire in modi diversi e uno di questi è quello attraverso l’attenzione. In questa teoria attenzionale l’afferramento in sé dell’oggetto costituirebbe in sé la coscienza della presenza. Rispetto al primo modello, che partiva da considerazioni incentrate sul ruolo del processo ritenzionale, il discorso è incentrato sull’attenzione. Husserl distingue due livelli distinti di esperienza coscienziale. Un’esperienza di primo livello, che è costituita dagli oggetti temporali immanenti del flusso primario, ed un’esperienza coscienziale di secondo livello in cui lo stesso flusso primario diventa un oggetto temporale. Il flusso primario si rivela come un processo costitutivo, un processo in cui le esperienze di primo livello sono costituite come oggetti temporali immanenti. Questo processo costitutivo avviene indipendentemente dall’attenzione, avviene anche non in presenza di un’ attenzione afferrante, infatti, come già ripetuto, l’attenzione afferrante è solo un modo in cui questo processo costitutivo può avvenire. Il problema centrale di questo secondo modello riguarda la possibilità della pensabilità di un flusso primario senza che quest’ultimo divenga autocosciente, intenzionale, e prima che diventi esso stesso un oggetto di secondo livello. Il problema riguarda quindi la possibilità di presupporre un flusso pre-conscio senza averne alcuna esperibilità autocosciente. E’ evidente che da questa prospettiva, il discorso sull’inseparabilità dei due momenti di apprensione-contenuto d’apprensione, viene meno. In questo caso gli oggetti reali sono appresi all’interno del flusso primario originario in una forma pre-conscia ed indipendentemente dall’apprensione che li renderebbe intenzionali E. Husserl, Bernau (Hua, XXXIII), cit. p.187 trad. mia. In questo caso bisogna tenere in conto che la stessa nozione di oggetto, di datum, deve essere riconsiderata rispetto al primo modello: «o l’oggetto qui nell’immanenza significa una mera potenzialità di una possibile percezione che potrebbe essere soddisfatta attraverso un processo primario, per esempio, un processo di data sensoriali sfuggenti, in dissolvenza e simili che però non è in sé un processo temporale costitutivo ma solamente può diventarlo, e può diventarlo in ogni momento, grazie all’accompagnamento e al seguito di un’ “apprensione” ? ». “Oder besagt Gegenstand hier in der Immanenz eine bloße Potentialität möglicher Wahrnehmung, der Genüge geschähe durch einen Urprozess, etwa einen Prozess ablaufender Sinnesdaten, Abklänge u. dgl., der aber in sich selbst kein zeitkonstituierender Prozess ist, sondern allererst durch ein nachkommendes und begleitendes Auffassen dazu wird und jederzeit werden kann?“ Ivi p.188, trad. mia Il problema è incentrato sulla separabilità dei due momenti in cui l’oggetto è presente nel flusso primario e successivamente viene afferrato dall’apprensione rendendolo un oggetto di secondo livello. L’oggetto nella sua esistenza immanente alla coscienza continua ad aderire al principio dell’ esse est percipi? In questo caso sembrerebbe proprio di no . Per risolvere il problema del regresso all’infinito Husserl ha la necessità di ripensare il ruolo dell’oggetto all’interno della coscienza temporale e deve presupporre una coscienza originaria, che contenga gli oggetti, i data, anche se questi ultimi non vengono necessariamente afferrati dall’apprensione o dall’attenzione. Un livello di coscienza pre-conscio che sarebbe costitutivo dei livelli superiori di coscienza. Questa struttura di coscienza era già stata presa in considerazione da Husserl in Idee per una fenomenologia pura in cui allo schema noesi-noema sottostava il flusso degli Erlebnisse, un flusso di vissuti che non erano però presenti alla coscienza in forma intenzionale. Nel secondo modello Husserl cerca di eliminare il problema del primo modello cercando di neutralizzare lo schema apprensione-contenuto d’apprensione, nella sua consequenzialità, ovvero nella necessità che ad ogni contenuto reale segua sempre un’ apprensione. Schematizzando in linee generali i contenuti principali della filosofia husserliana, possiamo notare come i rapporti tra le componenti fondamentali e costitutive siano dei rapporti di reciprocità che si ripetono tra un intero e le sue parti. Anche lo schema apprensione–contenuto d’apprensione, in cui il rapporto tra le due parti è, usando i termini delle Ricerche logiche, di non indipendenza, partecipa a questa dialettica. Sia gli oggetti presenti alla coscienza che la coscienza stessa, sono presentati in un’unità significazionale e non vengono “atomizzati” in unità indipendenti. Probabilmente è, a mio parere, proprio questa rete di legami tra le parti costitutive di un’ unità che permettono parecchi fraintendimenti della filosofia di Husserl. L’unità, sebbene egli si preoccupi di non considerarla come una sintesi superiore, e cerchi di allontanarsi dalle derive gestaltiste, assume in molti casi la connotazione di un’ unità trascendente, come per esempio nella sintesi conoscitiva della percezione. In ogni caso, in questa reciprocità tra le parti e l’unità, non è molto chiaro in che relazione siano i rapporti costitutivi sottostanti, soprattutto i rapporti tra le strutture attive e passive. Se in alcuni momenti, soprattutto nei primi anni, dalle Ricerche logiche ad Idee per una fenomenologia pura, le strutture passive sembrano essere costitutive dei processi coscienziali e percettivi, nella seconda fase, che si apre alla fenomenologia genetica, sembra che siano le strutture attive della coscienza ad essere fondanti e costitutive. Ovviamente, a mio parere, la filosofia di Husserl non è mai radicale in un senso o nell’altro, ma si mantiene sempre in un equilibrio per cui anche i rapporti di fondante-fondato sono sempre in bilico, non possono essere definiti in maniera esclusiva ed univoca. Tornando al secondo modello dei manoscritti di ricerca–L , abbiamo notato che Husserl cerca di uscire dallo schema apprensione-contenuto d’apprensione, spezzando questa relazione di reciprocità e di non indipendenza tra i due momenti. Assumendo l’assunto che, una coscienza originaria si relaziona agli oggetti reali indipendentemente dal loro essere appresi, si neutralizza, di fatto, la validità della proposizione berkleyana dell’esse est percipi. L’esse e il percipi sono due momenti separati, in questo modo il pericolo del regresso infinito sembra essere provvisoriamente evitato. Non c’è bisogno di un percipi sempre più originario per ogni esse. Per abbandonare il pericolo di un regresso all’infinito bisogna abbandonare la nozione di un più profondo livello di coscienza. In verità Husserl assume un livello di coscienza più profondo ed originario, come abbiamo visto, che però non costituisce gli oggetti temporali immanenti, tuttavia in questo flusso primario avviene una sorta di costituzione che precede la costituzione degli oggetti temporalmente immanenti. La costituzione che ha in mente in questo modello è quella che forma delle unità hyletiche di esperienza in un flusso di data primari. E. Husserl, Beranu, ( Hua XXXIII) cit. p. 204 Questo tipo di costituzione è in ogni caso mancante di una parte apprensionale, caratteristica di ogni altra costituzione. I data del flusso primario sono indipendenti dall’attenzione afferrante e dall’apprensione. Finalmente Husserl sembra arrivato al cuore della questione costitutiva per quanto riguarda la percezione e la costituzione di unità conoscibili coscienziali. Eliminato il rimando automatico tra apprensione-contenuto d’apprensione, il punto focale della costituzione originario si presenta nella sua essenzialità. Il punto fondamentale sarebbe questo livello primario di coscienza in cui si metterebbero insieme delle unità hyletiche pre-coscienziali che in seguito si strutturerebbero in data ed in oggetti temporalmente immanenti. Sfortunatamente in questi manoscritti–L Husserl non approfondisce maggiormente il discorso riguardo a questo primario livello di coscienza , che comunque rimane degno di nota e riemergerà nelle sue analisi dei manoscritti–C. In questo secondo modello, l’attenzione, l’apprensione, l’afferramento, rendono possibili e percepibili gli oggetti temporalmente immanenti, che però abbiamo visto, non sono preceduti da un processo costitutivo non attentivo, ma solamente dal flusso dei data primari. Bisogna però considerare che Husserl presuppone anche la possibilità di una percezione non-afferrante, non attentiva, egli stesso, infatti, rileva che ogni percezione afferrante presuppone contemporaneamente la possibilità di una percezione non afferrante. In questo modello la percezione afferrante e non afferrante sono poste sullo stesso piano come due modalità originarie in cui può avvenire un processo appercettivo. La percezione può avvenire senza che ci sia stato mai un afferramento di ciò che è già stato costituito. L’afferramento di un oggetto implica che quest’oggetto sia già costituito, ma la costituzione di un oggetto, abbiamo visto, avviene indipendentemente dalla possibilità che quest’ultimo di essere appreso o no. Husserl mette a confronto le due prospettive che riguardano il flusso primario e inizia descrivendo la prima da cui vuole distanziarsi: «c’è una “percezione”, un processo costitutivo di visasuti nel tempo fenomenologico primario che avviene senza alcun afferramento di questi vissuto, e così che questa percezione non è una modificazione di una percezione afferrante. E in maniera ancor più precisa: il processo vitale dell’ego è una continua costituzione di tempo con oggetti immanenti pienamente temporali. Conseguentemente, un afferramento riflessivo che continuamente dirige l’attenzione e l’afferramento verso ciò che sta per essere costituito può continuamente iniziare[…]». “ Es gibt eine Wahrnehmung, einen konstitutiven Prozess von Erlebnissen in der phänomenologisch ersten Zeit, der ohne jedes Erfassen dieser Erlebnisse statthat, und zwar so, dass diese Wahrnehmung keine Modifikation erfassender Wahrnehmung ist. Und noch näher bestimmt: Der Prozess des Ichlebens ist ein beständiges Konstituieren von Zeit mit Zeiterfüllenden immanenten Gegenständen. Demgemäß kann immerfort ein reflektives Erfassen einsetzen , das den aufmerkenden und erfassenden Blick auf das immerfort sich Konstituierende richtet.“ E. Husserl, Bernau(Hua XXXIII) cit. p. 196, trad. mia Successivamente Husserl espone il suo modello in contrasto con la teoria precedente: «[…]Questo non è il caso. Esiste un flusso vitale originario, che scorre senza contenere realmente esperienze costituite nel senso di unità temporalmente costituite. Questa è solamente una potenzialità. La riflessione significa una nuova realizzazione dell’apprensione, un’ inserzione nella costituzione temporale, che è sempre possibile ma che non era già presente prima, che non era già inclusa e e solo potrebbe cambiare il suo modo di attenzione». “Das ist nicht der Fall. Ströme des ursprünglichen Lebens sind, verlaufen, ohne Erlebnisse im Sinn zeitlich konstituierter Einheiten aktuell konstituiert in sich zu tragen. Nur eine Potentialität liegt vor, die Reflexion besagt einen Neuvollzug von Auffassungen, ein Hineinbringen des Zeitkonstituerens, und zwar ein immer mögliches, das aber nicht schon vorher war, nicht schon ohnehin im Spiel war und nur seinen attentionalen Modus zu ändern hätte“ Ivi pp.203-204 trad. mia In questa riflessione sono evidenziate le caratteristiche del secondo modello, il flusso primario è un mero flusso di data primari, in cui non avviene la costituzione di oggetti temporalmente immanenti del primo livello. Un processo costitutivo avviene solo quando l’attenzione è rivolta verso il flusso primario. L’afferramento di oggetti temporalmente immanenti è solo un modo, attentivo, di un processo costitutivo che avviene comunque. In ogni modo anche questo secondo modello non riesce ad evitare il problema del regresso infinito e non riesce in un’adeguata descrizione della struttura del tempo coscienziale. La struttura temporale della coscienza non può essere descritta adeguatamente dal modello apprensione-contenuto d’apprensione, e anche in questo secondo modello non riesce a staccarsi da questo paradigma. Per un adeguato approfondimento delle tematiche temporali bisognerà utilizzare una nuova metodologia genetica, che in questo momento Husserl non ha ancora messo a punto in maniera definitiva. Nel secondo modello l’abbandono del paradigma apprensione-contenuto d’apprensione, con la sua scissione tra le due parti, è in realtà solo possibile per quanto riguarda la percezione esterna. Sebbene nessuno dei due modelli riescano nel loro intento di risolvere i problemi che si sono posti, Husserl si servirà di alcune idee illustrate in questi manoscritti per continuare le sue ricerche sul tempo. In particolare, per quanto riguarda il primo modello, nelle Lezioni sulla sintesi passiva approfondirà il ruolo della ritenzione, che abbiamo visto essere dominante nel primo livello, mentre del secondo modello le relazioni tra le strutture attenzionali ed apprensive e quelle non attenzionali e non apprensive. Entrambe le strutture, penso siano fondamentali nell’approfondimento di una prospettiva costitutiva e il tema della distinzione tra una costituzione afferante e una costituzione non-afferrante diventerà dominante nell’analisi husserliano del tempo. In questo secondo modello Husserl aderisce ancora al paradigma apprensione-contenuto d’apprensione, e questo è uno dei motivi di fallimento di quest’ultimo, anche se Husserl riconosce che l’afferramento coscienziale ha la propria capacità costitutiva e che questa costituzione è qualcosa di più della combinazione di percezioni non afferranti insieme all’attenzione. Il terzo modello E’ nel terzo modello che riemerge la nozione di coscienza assoluta, che Husserl utilizza per descrivere la struttura temporale della coscienza. Nei precedenti modelli egli non aveva utilizzato questo tipo di nozione, nel primo modello, infatti, aveva solo evidenziato un livello di coscienza più profondo in cui si costituivano gli oggetti temporali immanenti. Tuttavia questo livello di coscienza non aveva le caratteristiche di una coscienza assoluta, perché sottostava alle regole dello schema apprensione-contenuto d’apprensione. I data in questo primo livello di coscienza non esistono in se e per se, ma solo come contenuti di una apprensione, oltretutto manca anche la caratteristica fondamentale dell’autocostituzione, essenziale nella nozione di coscienza assoluta. Nel secondo modello, è distinto un flusso primario da un flusso in cui sono costituiti gli oggetti temporali immanenti, ma in questo flusso primario non avviene una vera e propria costituzione, infatti solo attraverso l’attenzione possono costituirsi gli oggetti temporali immanenti. E’ solo in questo terzo modello che è esplicitato il concetto di coscienza assoluta, in questa coscienza i data reali non sono più contenuti di un apprensione. Nell’appendice V, Husserl parla di due prospettive in cui può essere considerato un processo costitutivo. Il primo è quello che Husserl definisce il punto di vista esterno, lo chiama così perché non rende possibile la comprensione dell’auto costituzione , quindi in questo caso l’auto costituzione sarebbe solo un presupposto teorico per evitare il pericolo di un regresso infinito. Considerando l’altro punto di vista, quell’interno, Husserl riprende le spiegazioni sul fallimento del secondo modello, in particolare la considerazione che il processo primario potrebbe diventare un oggetto solo attraverso la riflessione e questa riflessione è possibile solamente come la riflessione di un processo costitutivo, come una riflessione in cui gli oggetti temporali immanenti del primo livello vengono costituiti. In questa riflessione il flusso primario diventa esso stesso un oggetto temporale immanente. Il problema diventa come si costituisce il flusso primario. In contrasto con il punto di vista esterno, il punto di vista interno permette di concludere che qualcosa, che viene chiamata autocostituzione, è possibile. La difficoltà, all’interno di un’analisi riguardo l’autocostituzione, è la confusione tra Principium e Principiatum, la nozione husserliana di autocostituzione del flusso primario, come di un oggetto temporale di secondo livello, evidenzia proprio questa confusione. Il flusso primario della coscienza assoluta è caratterizzato da un doppio effetto all’interno di un unico flusso, in cui non avviene solo la costituzione degli eventi primari, ma anche di quelli secondari. Il flusso della coscienza assoluta è visto come un flusso di duplici intenzioni, la coscienza non possiede solo un oggetto primario ma anche una coscienza interna riflessiva che è cosciente di sé e dei propri processi intenzionali. Fink, assistente di Husserl del periodo friburghese, analizzando il terzo modello in questione, parla di un ritorno da parte di Husserl ad una dottrina brentaniana ed aristotelica. Come Brentano, Husserl, infatti, parla di un flusso primario in cui, in conformità ad un’intenzionalità ritenzionale trasversale ed un’intenzionalità ritenzionale orizzontale, sono costituiti gli oggetti temporali immanenti del primo e del secondo livello. La coscienza per Brentano è diretta simultaneamente verso di sé e verso l’oggetto. F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt ,op. cit. p. 98. Il parallelismo tra Husserl e Brentano consiste nel fatto che nella sua nozione di autocostituzione Husserl ricorre a due processi costitutivi che avvengono nello stesso flusso di coscienza. Così come Brentano parla di un flusso di coscienza in cui vengono presentati sia l’oggetto che la coscienza stessa, Husserl parla di un flusso primario in cui vengono costituiti gli oggetti temporali. La differenza sostanziale consiste nel fatto che Husserl non utilizza più un metodo statico nella descrizione della struttura del tempo coscienziale assoluto, una metodologia che, come abbiamo visto, porta al problema del regresso infinito. Bisogna tenere in conto che l’auto costituzione della coscienza assoluta non comprende solo processi intenzionali, come potrebbe essere in una prospettiva brentaniana ma anche una coscienza non intenzionale ma tuttavia costituente, soprattutto per quanto riguarda la costituzione di oggetti esterni, come abbiamo osservato nel secondo modello di coscienza. In questo terzo modello ciò che Husserl è interessato a capire è che cosa possiamo conoscere dei processi primari che avvengono all’interno del flusso primario. Prima di rispondere a questa fondamentale domanda per quanto riguarda i processi costitutivi, egli si focalizza sulle proprietà della protezione e della coscienza protenzionale, così come nel primo modello si era soffermato sulla coscienza ritenzionale. La protezione, rispetto alla ritenzione, essendo un processo legato a qualcosa che tuttavia non è avvenuto, raggiunge il suo livello di massimo riempimento quando l’evento in “potenza” si manifesta come presente alla coscienza. In questo riempimento si ha una coincidenza verso l’oggetto a cui è diretta la protezione e la presentazione primaria: «Come, ci chiediamo ancora, possiamo conoscere un processo primario? Come possiamo conoscere le fasi primarie che avvengono in quest’ultima? […] Adesso sono ritornato sul ruolo delle protezioni e ho provato a dimostrare che ogni protezione come una protezione primaria è riempita da qualcosa di nuovo a seconda dell’occorrenza. Ogni volta che avviene un riempimento differente, per esempio, una percezione nel corso di una percezione, una coscienza è riempita da una coscienza in una successiva “coincidenza”. Ma che cos’altro può significare questo se non che un peculiare modo di intenzionalità si riferisce intenzionalmente verso un modo precedente?». “Woher wissen wir, fragen wir also von neuem, von einem Urprozess? Woher in ihm von den Urphasen ?[…] Ich rekurrierte nun auf Protentionen und suchte zu zeigen, dass jede Protention als Urprotention sich erfüllt durch Eintreten des Neuen. Wenn sonst eine Erfüllung statthat, z.B. eine Wahrnehmung im Fortgang der Wahrnehmungen, so erfüllt sich ein Bewusstsein durch ein Bewusstsein in sukzessiver Deckung. Was besagt das aber anderes als einen eigentümlichen Modus der Intentionalität, der auf einen vorangehenden intentional zurückweist? „ E. Husserl, Bernau,(Hua XXXIII) cit. pp.225-6, trad. mia In questo modo l’auto riferimento intenzionale delle successive fasi della coscienza verso il flusso primario, che è la caratteristica centrale della risoluzione del regresso infinito, è collegata con il tema del riempimento. Se cerchiamo di rappresentare le fasi della coscienza in una linea verticale di successione, possiamo notare che nella parte superiore di questa linea troviamo le protezioni dirette verso il punto oggetto immanente futuro, mentre la parte centrale è rappresentata dalla presentazione primaria, vale a dire dalla coscienza del punto oggetto presente, la parte inferiore infine sarà occupata dalle ritenzioni e dalla memoria, dirette verso gli oggetti immanenti passati. In aggiunta troviamo delle ritenzioni che si riferiscono ad altre ritenzioni e che si collocano su un piano orizzontale. Per ulteriori approfondimenti vedi T. Kortooms op.cit. p. 159 La conclusione è che ogni punto di ogni fase della coscienza possiede una direzione protenzionale diretta verso un riempimento, le stesse ritenzioni hanno una direzione protenzionale, come in realtà poteva già essere evidente nell’analisi del primo modello. La coscienza protenzionale proveniente dalle ritenzioni è diretta verso il modo di darsi stesso delle ritenzioni nelle successive fasi della coscienza: «Consideriamo che una parte degli eventi E1-E2 sia stata superata e che ci troviamo nel punto E2. in questo caso, abbiamo la coscienza di ciò che è stato superato e che scende verso la direzione verticale inferiore a contatto con le ritenzioni. […] ora, se nel punto E2 potrebbe esistere una protezione, diretta verso il processo futuro che è già predelineato dal suo stile e più in generale dal proprio contenuto, allora il contatto E2 E1’’ (la ritenzione di ciò che è passato) dovrebbe prima di tutto sostenere una protezione che dovrebbe essere segnata a metà della diagonale che è compresa tra E2 E2’’’ e E1’’ E […] la coscienza orientata in avanti è dopo tutto diretta verso il fatto che E2 E1’’ verranno continuamente affondati nel passato. Così, ogni punto di questa tendenza non è una coscienza meramente ritenzionale, rispetto alla linea diagonale che conduce indietro ai punti che corrispondono a E1 E2, ma è anche una coscienza protenzionale rispetto alla linea diagonale che attraversa il disegno in corrispondenza alla linea che conduce verso la direzione affondante». “Gehen wir davon aus, dass ein Stück des Ereignisses E1-E2 abgeflossen ist und wir ständen bei E2. Dabei haben wir das durch die vertikal abwärts gerichtete Strecke der Retention gehende Bewusstsein vom Abgelaufenen . […] Wenn nun bei E2 eine Protention auf den Künftigen, durch seinen Stil und im Allgemeinsten, durch seine Art Materie vorgezeichneten Verlauf bestehen soll, so muss zunächst die Strecke E2 E1’’ (die Retention des Abgelaufenen ) eine Protention tragen, die mittelbar durch den schiefen Streifen, der durch E2 E2’’’ und E1’’ E […] begrenzt ist, zu bezeichnen wäre. Das Vorbewusstsein richtet sich ja darauf, dass E2 E1’’ stetig herabsinken wird. Jeder Punkt dieser Strecke ist also nun nicht bloß retentionales Bewusstsein hinsichtlich der schrägen Geraden, die zu entsprechenden Punkten der E1 E2 zurückgehen, sondern auch protentionales Bewusstsein hinsichtlich der schrägen Geraden, die in abwärts gesenkten Richtung durch die gezeichneten Strecken des Streifens hindurchgehen. „ E. Husserl, Bernau, (Hua XXXIII) cit. pp. 21-22 trad. mia Il carattere di riempimento, peculiare di questa coscienza protenzionale, appartiene alla fase successiva ritenzionale che si basa sulla coscienza protenzionale la quale a sua volta appartiene alla precedente fase coscienziale. Questo implica che la fase ritenzionale della coscienza non riguardi solo la costituzione degli oggetti temporali del primo livello, ma anche ritenzioni di precedenti ritenzioni. Come può la coscienza funzionare come un riempimento di una fase precedente della coscienza che era a sua volta diretta verso il riempimento se questa stessa precedente fase di coscienza non è conservata? Quale struttura quindi deve assumere una coscienza in cui il riempimento coincide con la presentazione primaria? Una coscienza di questo tipo richiede almeno tre elementi: una coscienza che deve essere riempita, una coscienza riempiente, ed infine una coscienza sintetizzante che unifichi i precedenti momenti. Se la coscienza che deve essere riempita corrisponde alla coscienza protenzionale mentre quella riempiente corrisponde al flusso primario,in ogni caso è solo grazie alla coscienza sintetizzante che ho la coscienza della coincidenza che avviene tra l’oggetto verso cui la coscienza protenzionale è diretta e l’oggetto verso cui la coscienza riempiente è diretta. La coscienza riempiente è auto cosciente del suo essere una coscienza riempiente, e questo perché include dentro di sé tutte le precedenti protezioni, che caricano il momento del riempimento del significato. Tra la coscienza protenzionale e quella ritenzionale si ha una vera e propria sovrapposizione nella presentazione primaria, entrambe le opposte direzioni temporali sono contenute all’interno di un unico flusso primario e costituiscono gli oggetti temporali di primo livello. «Ogni coscienza momentanea Ux è in sé, come abbiamo detto, protezione di ciò che sta venendo e ritenzione di ciò che era precedente. Ogni momento attuale di coscienza, sebbene sia presente in casi particolari, possiede in sé un doppio orizzonte è una coscienza diretta in avanti e indietro, e questo rispetto ad ogni punto. Scorrendo, Ux non solo cambia in qualche modo in un nuovo Ux, ma ciò che in ogni punto-fase di Ux è orientato verso una coscienza futura, cambia in qualcosa che è attuale. L’attualità è attualizzazione di una coscienza anticipante. Questo avviene sempre. Nell’altra direzione ogni Ux e diretta indietro, è una ritenzione di ciò che è preceduto e per questo, ciò che è preceduto è cosciente in quanto tale in Ux» “Jedes Momentanbewusstsein Ux ist in sich, wie wir sagten, Protention des Künftigen und Retention des Vorangegangenen. Das heißt, jedes aktuelle Bewusstseinsmoment, das, was jeweilige Gegenwart ist, hat einen doppelten Horizont in sich, es ist vorgerichtetes und Rückgewendetes Bewusstsein und das nach jedem Punkt. Dahinströmend wandelt sich Ux nicht nur überhaupt in ein neues Ux, sondern das, was in jeder Punktphase des Ux Vorbewusstsein ist, das wandelt sich in Verwirklichtes; die Wirklichkeit ist Verwirklinchung eines antizipierenden Bewusstsein. Das geht so stetig weiter. Umgekehrt ist jedes Ux rückgewandt, es ist Retention des Vorangegangenen, und dieses ist dadurch in Ux bewusst als vorangegangen“ E. Husserl, Bernau (Hua XXXIII) cit. p. 46, trad. mia Husserl non ricorre più ad altre strutture esterne alla coscienza per spiegare i processi fondanti, ma cerca le strutture fondanti all’interno del flusso primario e della coscienza assoluta. Sulle basi di questi intrecci intenzionali, in cui la costituzione avviene all’interno di un unico flusso coscienziale, la possibilità di una coscienza interna non è più compromessa dal pericolo di un regresso infinito, proprio perché non ha bisogno di livelli di coscienza sempre più profondi per spiegare i processi fondativi. Possiamo dire che Husserl abbandona una struttura di coscienza temporale statica in favore di una struttura maggiormente dinamica, in cui le parti sono comprese in un intero e si relazionano in maniera dialettica. Questo terzo modello di coscienza è basato, come abbiamo visto, sul concetto di riempimento, Husserl in questo caso si preoccupa di distinguere diversi tipi di riempimento. Il riempimento, infatti, non è sempre immediato e completo, così come del resto la stessa percezione degli oggetti esterni, definita dallo stesso Husserl come necessariamente incompleta. Nel testo seguente parla di ciò che definisce come riempimento particolare, che è una caratteristica di ogni fase della coscienza: «Nell’Ux, nella fase del processo fenomenologica primario, troviamo un punto distintivo x. Come deve essere caratterizzato questo punto? O, come deve essere caratterizzato come un punto culminante delle totali tendenze precedenti di U… Ux come un punto di riempimento di questa tendenza , è come si distingue questo riempimento da un riempimento generale in cui si manifestano le tendenze totali di U, rispetto a tutti gli altri punti? Così come deve essere chiarificato il doppio significato del riempimento?». “In den Ux, den Phasen des Phänomenologischen Urprozess, finden wir einen ausgezeichneten Punkt x. wie ist dieser zu charakterisieren? Oder wie ist er ein Kulminationspunkt der ganzen vorgängigen Strecke von U…Ux, als ein Erfüllungs- punkt derselben zu charakterisieren, und wie unterscheidet sich diese Erfüllung von der allgemeinen Erfüllung, in der die ganzen Strecken U nach allen ihren Punkten im Prozess auftreten? Also wie klärt sich dieser Doppelsinn von Erfüllung?“ E. Husserl, Bernau (Hua XXXIII) cit. p.29, trad. mia Esiste un doppio significato di riempimento in base alla propria relazione riguardo alla protezione ed alla ritenzione. Ogni punto sulla linea superiore verticale, che simbolizza una fase momentanea di coscienza, è caratterizzato come una protezione, tuttavia se è presa in considerazione la struttura particolare di ogni fase di coscienza, si può notare che un punto solo all’interno di questa struttura coscienziale può essere considerato come una presentazione primaria e che solo questo punto può essere considerato come vera è propria protezione. Solo questo punto di massimo riempimento, che corrisponde alla presentazione primaria, è contemporaneamente diretto verso un futuro in cui un punto dell’oggetto temporale immanente del primo livello sarà dato come una presentazione primaria, e lo stesso discorso vale anche per la ritenzione. Il riempimento massimo gradualmente si svuota e gradualmente si riempie nuovamente fino al successivo massimo riempimento. Questa caratteristica legata ai concetti di protezione e ritenzione prevede una struttura di riempimento che è graduale, ogni modo di darsi è caratterizzato da un grado di pienezza rispetto a ciò che sta per essere dato, e il punto che raggiunge la maggiore pienezza viene definito punto culminante, che poi corrisponderebbe alla presentazione primaria. Questo punto culminante, secondo Husserl può essere considerato come il massimo punto di pienezza o il punto minimo d’evacuazione. In generale il punto massimo di pienezza può essere riferito ad un punto oggetto immanente diretto verso un futuro, quindi legato ad un processo protenzionale, mentre il punto minimo di evacuazione è legato ai processi ritenzionali. Ivi p.30 In ogni caso è solo grazie alla coscienza sintetizzante che io posso essere cosciente della coincidenza che avviene tra l’oggetto verso cui la coscienza che deve essere riempita è diretta e l’oggetto verso cui è diretta la coscienza riempiente, ovvero non sarebbe possibile un autocoscienza legata semplicemente ai processi costitutivi, ma ci sarebbe la necessità di una coscienza sintetizzante che renda possibile la conoscibilità di questi processi. Questa struttura sintetizzante era già stata presa in considerazione da Husserl nella Quinta ricerca, in cui si parla proprio di una sintesi coscienziale conoscitiva delle differenti qualità d’atto. Con l’assunzione della tendenza positiva e negativa del punto massimo e minimo di riempimento però sembrebbe che questa terza coscienza sia superflua. Se, infatti, la protezione è caratterizzata come una tendenza verso un punto massimo di riempimento, nel momento in cui questo riempimento è raggiunto si ha una riconoscibilità che deriva dallo stesso sforzo della protezione verso questo punto, il punto limite. La coscienza caratterizzata dal massimo riempimento è concepibile solamente come un limite d’intersezione dei due distinti flussi, quello protenzionale e ritenzionale, e quindi si sovrappone a questi flussi comprendendoli in se. «pertanto, solo come un limite di entrambe le tendenze continue è possibile una coscienza che è veramente né vicina né distante, ma come limite è vicinanza assoluta (massima vicinanza) e minima distanza». “Nur als Grenzpunkt der beiden Streckenkontinua ist also ein Bewusstsein möglich, das eigentlich weder nah noch fern ist, aber als Grenze, die absolute Nähe ( Maximum der Nähe ) und Minimum der Ferne ist“ E. Husserl, Bernau (Hua XXXIII) cit. p. 39, trad. mia In questo terzo modello Husserl evidenzia insieme alla protezione il concetto di presentazione primaria, connessa indissolubilmente, come abbiamo osservato, al riempimento futuro. La presentazione diventa un limite delle due tendenze di riempimento, della ritenzione e della protezione. Nonostante lo sviluppo nel terzo modello di una coscienza assoluta ed auto costituente, in grado di superare il problema del regresso infinito, che nei precedenti modelli era dato soprattutto al ricorso del modello apprensione –contenuto d’apprensione, Husserl si rende conto che in realtà anche in questo terzo modello è possibile rintracciare il pericolo di un regresso infinito. Questo pericolo sarebbe presente nel momento in cui ad una presentazione primaria di un oggetto segue anche una dimensione temporale di questa presentazione. La critica è molto simile a quella riscontrata già nel secondo modello, ed è sempre legata al fatto che la presentazione nel suo darsi presuppone una sottostante coscienza che comprenda il suo sviluppo temporale. Questa direzione temporale del darsi dell’oggetto sarebbe riferibile ad una coscienza sottostante, la quale nel suo essere cosciente presupporrebbe una precedente coscienza sottostante, e così via all’infinito, il problema è che nel momento in cui si ha coscienza di un momento, si ha necessariamente incoscienza del resto e proprio questo dualismo tra coscienza di una cosa ed incoscienza ei processi, comporta la necessità di un livello di coscienza sottostante e più profondo. L’unico modo in cui Husserl potrebbe arrestare questo processo è il presupporre una coscienza “incosciente”, che non possa rimandare ad un’altra coscienza sottostante. Questo tipo di regresso evidenziato nel terzo modello può essere definito come un regresso di fondazione, in cui è necessario presupporre una coscienza assoluta e auto costituente, “onnisciente”, per evitare l’implicazione tautologica del regresso infinito. In un certo senso è come se la coscienza umana finita per essere assoluta si basasse su una possibilità in potenza d’infinità e autocostituzione. In questo senso non c’è più la necessità di una conoscenza effettiva dell’auto costituzione della coscienza assoluta, quanto di un semplice presupposto teorico, della possibilità di quest’ultima di poterlo essere. Ogni fase della coscienza secondo Husserl è caratterizzata da una estensione infinita di protezioni e ritenzioni che si sintetizzano in un oggetto della presentazione primaria. Questo orizzonte aperto ed infinito che precede e segue la coscienza lo è solo in potenza, in quanto la coscienza si raccoglie attorno a dei punti, che sarebbero dei punti-limite, questi punti sono contenuti all’interno di un flusso temporale che si estende all’infinito. In conformità a questa caratteristica del limite, è possibile, per esempio, ritornare su un evento che è avvenuto molto tempo prima, questo accade, per esempio, durante un ricordo. Husserl definisce questi limiti reali della coscienza come fenomeno della prospettiva temporale. Questa prospettiva temporale è anche la causa della continua riduzione della distanza tra i punti conservati di un oggetto temporale immanente. «Finalmente, però, le tendenze si uniscono sempre di più insieme. Le tendenze singole si uniscono in “punti” che “significano” tendenze, e i punti non si uniscono in una ampia arbitraria tendenza, ma si oscurano reciprocamente come se lo fossero, si uniscono in un punto che “significa” una tendenza infinita. “implicitamente” questo punto contiene la rappresentazione di eventi precedenti:questo include la libera possibilità di riproduzione della successione inclusa, e del completo processo costitutivo, e questo per ogni punto e per ogni tendenza». “schließlich aber rücken die Strecken immer mehr zusammen. Die einzelnen Strecken rücken zu Punkten zusammen, die Strecken Bedeuten, und die Punkte rücken nicht zusammen zu einer beliebig weiten Strecke, sondern verdecken sich gleichsam, gehen in einen Punkt zusammen, der eine endlose Strecke bedeutet. Implizit steckt darin die Repräsentation der früheren Ereignisse: Es gehört dazu die freie Möglichkeit der Wiedererzeugung der betreffenden Folgen und des ganzen konstituierenden Prozess und für jeden Punkt und jede Strecke“ E. Husserl, Bernau (Hua XXXIII) cit. p. 80, trad. mia La temporalità prospettica permette di riavvicinare o allontanare punti contenuti all’interno dell’infinito flusso temporale. Sebbene quest’ultimo modello di coscienza e di temporalità sia quello che maggiormente si avvicina alle necessità di un’indagine genetica, tuttavia Husserl non riesce ancora a spiegarci in maniera esaustiva i rapporti tra le componenti costitutive della coscienza. Ancora una volta le strutture passive, i contenuti reali della coscienza, il legame tra le ritenzioni e le protezioni all’interno dell’unità percettiva di un oggetto, tematiche che verranno approfondite, come analizzeremo nel seguente capitolo, all’interno delle Lezioni sulla sintesi passiva. QUINTO CAPITOLO LA SINTESI PASSIVA ED I RAPPORTI COSTITUTIVI 5.1 Le lezioni sulla sintesi passiva In quest’ultimo capitolo approfondiremo il rapporto che Husserl ritrova e analizza tra le strutture passive, non intenzionali, e la coscienza. Nei capitoli precedenti, abbiamo cercato di evidenziare, come Husserl abbia progressivamente modificato le sue analisi riguardanti il rapporto tra il soggetto e le cose. Abbiamo potuto osservare, infatti, come le ricerche approfondite a partire dalle Ricerche logiche e fino alla metà degli anni ’10 fossero esclusivamente legate ad un ambito descrittivo e come proprio questa caratteristica metodologica sia stata un impedimento al superamento delle aporie in cui si era scontrato soprattutto nelle sue prime analisi. La ricerca metodologica necessaria al passaggio ad una fenomenologia genetica non è stata tuttavia priva di complicazioni e di fraintendimenti. Abbiamo notato come, già nelle analisi dei primi anni ’10, in cui Husserl inizia a modificare la metodologia fenomenologica attraverso la riduzione trascendentale. I richiami alla struttura delle Ricerche logiche sono tanti e, nelle riflessioni di questi anni, Husserl non riesce mai a superare davvero lo schema di riferimento della fenomenologia descrittiva legato ad un contenuto ed ad un contenuto d’apprensione. Anche nei manoscritti di ricerca, che abbiamo analizzato nel precedente capitolo, il tentativo di un’ analisi genetica non riesce ancora a liberarsi della struttura di riferimento descrittiva. Le analisi, che potremmo considerare propriamente genetiche, sono proprie delle ricerche e delle lezioni che Husserl tiene dagli anni ’20 in poi, anche se sappiamo che già prima di questi anni le sue analisi si stavano aprendo ad una prospettiva esplicativa, genetica e temporale. I manuali di ricerca, analizzati nel capitolo precedente, sono un momento fondamentale all’interno della ricerca fenomenologica di Husserl. Come li definisce lo stesso Iso Kern, i manuali di ricerca della fine degli anni ’10, sono un momento costitutivo di una nuova prospettiva metodologica, in cui la ricerca genetica si attua attraverso le lezioni e gli scritti. In questo capitolo analizzeremo un’opera che appartiene decisamente alla nuova prospettiva metodologica genetica. Le Lezioni sulla sintesi passiva traggono la loro origine da tre corsi universitari che Husserl tiene a Friburgo tra il 1920 e il 1926. Il motivo che spinge Husserl a compiere questo tipo d’analisi, è la volontà di evidenziare la genesi delle forme logiche dall’esperienza, quel nesso che lega le forme predicative e categoriali alla nostra esperienza degli oggetti. I corsi tenuti da Husserl in questi anni sono organizzati in tre manoscritti differenti che seguono una stessa traccia. L’oggetto delle analisi di queste ricerche non si basa su delle strutture soggettive ed attive come centro vivo, non passano per un soggetto di tipo kantiano, da cui l’esperienza percettiva ha origine, queste analisi si situano invece ad un livello anteriore. Spinicci osserva che : «L’obiettivo primo delle Lezioni consiste nel rendere problematico ciò che usualmente problematico non è: le strutture e le forme di unità che rendono possibile un percepire che non è ancora un osservare volto alla constatazione di un fatto, le regole che presiedono e rendono possibile il ridestamento di ciò che è stato, prima ancora di ogni nostro voler ricordare, e così via». E. Husserl , Lezioni sulla sintesi passiva, a cura di P. Spinicci, Guerini e Associati, Milano,1993, p. 16 Le analisi sono rivolte a quelle componenti passive ed inintenzionali che precedono le sintesi attive e coscienziali. E’ in questo testo che Husserl approfondisce quelle problematiche che, abbiamo visto, ha lasciato insolute nelle opere precedenti. Il punto di partenza di queste analisi è proprio nell’ovvietà e nella semplicità della percezione. Nella prospettiva percettiva, nell’esperenzialità delle cose, affermiamo di vedere un intero, ma insieme, riconosciamo di percepire solo una parte di quest’intero; la percezione, già dalle Ricerche logiche, è un fenomeno prospettico e associativo tra parti distinte. Nel concetto di percezione, si nasconde proprio per questo una contraddizione implicita, perchè c’è sempre la coscienza di non avere una conoscibilità totale dell’oggetto esperito, un dualismo tra una percezione immanente e l’oggetto trascendente. Da questa contraddizione non possiamo liberarci, secondo Husserl, attraverso la via del riduzionismo empirista, Husserl rispetto a Berkley rifiuta l’affermazione dell’empirismo radicale in cui l’esse est percipi: l’oggetto non si conclude nella sola esperienza percettiva del soggetto. L’analisi percettiva deve disporsi su un terreno d’indagine fenomenologica, che faccia luce sulle condizioni di possibilità che sarebbero alla base della nostra esperienza d’oggetti e che renda evidente come ogni oggetto debba mostrarsi come un identico che si manifesta in aspetti sempre diversi e mutevoli. Spinicci afferma che non parliamo più di semplice percezione in Husserl ma di un sistema di percezioni, E. Husserl, Lezioni, cit. p. 32 nel senso che possiamo parlare di oggetti solo perché di una molteplicità di vissuti ci viene dato uno stesso oggetto. Le sintesi d’identificazione rivestono un ruolo centrale nell’obiettivazione dell’esperienza percettiva a cui corrisponde, sul terreno esperienziale, la connessione sistematica delle distinte percezioni inerenti all’oggetto. L’irriducibilità d’ogni esse al suo percipi, si traduce in una riflessione volta a mostrare le forme d’unità su cui si basano l’esperienza ed i processi percettivi, in cui la percezione non esaurisce lo spessore dell’oggetto e in cui quest’ultimo, indipendente dalla possibilità percettiva, si organizza in un’unità. Queste forme di unità, che si organizzano inizialmente attraverso le strutture passive per successivamente consolidarsi in quelle attive, evidenziano la prerogativa essenzialmente processuale della percezione, che si struttura in un decorso temporale: le singole fasi percettive confluiscono nell’unità di una sintesi e l’unità di questo decorso temporale è garantita dalla struttura temporale soggettiva. L’unità percettiva si struttura attraverso le ritenzioni e le protenzioni, ma proprio queste ultime evidenziano una differenza sostanziale tra le due forme. Spinicci osserva che: «la modalizzazione dei decorsi percettivi non incide sull’unità temporale della percezione, ma ne svela comunque la radicale asimmetria. Ritenzione e protezione sono forme vuote di coscienza, ma il modo di questa vuotezza è radicalmente diverso nell’uno e nell’altro caso. La ritenzione è coscienza di qualcosa che si fa sempre più lontano dalla soggettività e che per la soggettività non costituisce più la meta verso cui si è rivolti, ma lo sfondo che permette al presente di collocarsi nell’unità di un processo. La vuotezza della ritenzione è dunque un divenir vuoto che non reclama riempimento poiché in esso si annuncia il venir meno della presa della soggettività che è sì ancora cosciente, ma che non è più l’oggetto di cui l’esperienza ci parla e verso cui si dirige lo sguardo. Al contrario, l’esser vuoto della protezione è un’esplicita richiesta di riempimento, è l’espressione di un tendere verso una meta che deve essere raggiunta e che deve darsi intuitivamente, un tendere che diviene appunto evidente nel fenomeno della modalizzazione, quando l’unità concordante della percezione normale viene meno e, proprio perché non si placa nel raggiungimento del dato, si rendono avvertibili la tendenza e l’orientamento che animano le attese protenzionali e che parlano della direzione nella quale, anche sul terreno della passività, l’io vive». P. Spinicci, op. cit. p. 19 La percezione, si gioca su un sistema di riempimenti e di vuoti, così come abbiamo osservato nelle precedenti analisi dei manoscritti di ricerca. Questa relazione dinamica tra le parti permette di avvicinare la percezione a delle analisi temporali, il soggetto si muove in una dimensione che è essenzialmente temporale nel processo percettivo. La percezione, infatti, come abbiamo già osservato, per Husserl non è una prerogativa puramente soggettiva nelle sue forme propriamente logico-trascendentali, ma si radica nell’esperienza, nella sua forma puramente passiva, si radica negli oggetti stessi. Questa struttura esperienziale della percezione deriva dall’intreccio indissolubile tra la temporalità e la soggettività. La prospettiva husserliana in questo modo si rivela molto distante da quella kantiana. Se, infatti, per Kant l’esperienza degli oggetti è il frutto di un’attività sintetica dell’intelletto, di una sintesi che è attiva, che è un operare proprio della soggettività, per Husserl queste sintesi sono passive, non implicano quindi l’operare della soggettività, ma rivelano dei dinamismi interni ai materiali stessi dell’esperienza, delle forme d’autonoma organizzazione. Gli oggetti si danno all’esperienza e non sono strutturati dall’esperienza. C’è un forte distacco da ogni prospettiva che in qualche modo tende a vedere negli oggetti un prodotto del soggetto. La riflessione husserliana sul problema delle sintesi non riconduce, infatti, ad una soggettività, ad un io penso strutturante, ma riguarda le tendenze immanenti ai materiali sensibili, e questi materiali si strutturano differentemente a secondo del momento percettivo. Come osserva giustamente Spinicci: l’a priori della forma non è logico-trascendentale, ma fenomenologico-materiale. P. Spinicci op. cit. p. 21 Proprio per questo motivo, continua Spinicci, l’analisi delle molteplici forme di connessione sintetica tra i materiali sensibili costituisce il tema di una fenomenologia dell’associazione in senso ampio, di una nuova “estetica trascendentale” che faccia luce sulle strutture dell’ordinamento temporale e spaziale, sulle forme di ordinamento locale e sulle connessioni interne ai campi sensibili, sui modi in cui l’omogeneità e la disomogeneità dei dati mettono capo ad una partizione dei campi e alla continuità e alla discretezza dei fenomeni percettivi. Le leggi che regolano le associazioni tra i materiali sensibili, costituiscono il senso stesso della percezione, la trama di questi rimandi associativi e delle attese protenzionali determinano il modo stesso in cui la percezione intende il suo oggetto. Questa analisi del mondo della passività era sempre stata trascurata dallo stesso Husserl per le difficoltà insite in un’analisi di questo tipo, una genesi che potremmo definire antepredicativa del concetto di senso. L’analisi parte, infatti, dalla manifestazione dell’oggetto stesso, come abbiamo detto l’oggetto si dà alla coscienza, strutturato Ibidem p. 22. Queste Lezioni cercano di dare una risposta alle difficoltà finora incontrate nell’analisi del concetto di percezione. Se possiamo dire di vedere l’oggetto nella sua interezza, anche se ne cogliamo intuitivamente solo una parte, è perché la fase presente del decorso percettivo si dà come momento di uno sviluppo la cui direzione è stabilmente posseduta nelle attese protenzionali, nel loro essere conformi ad una regola che si istituisce grazie ad una molteplicità di rimandi associativi e che integra in un orizzonte più ampio ciò che di fatto è intuitivamente dato alla percezione. E’ quindi la temporalità in tutte le sue fasi, come abbiamo visto, che permette la percezione, la possibilità di strutturarsi come un intero, in un gioco di associazioni e di rimandi, di legami che ancora una volta si relazionano attorno alla struttura dualistica ed al tempo stesso unitaria di un intero e delle sue parti. Questi rimandi associativi sono sicuramente di derivazione empirista. Abbiamo già potuto osservare come la fenomenologia si radica nell’esperienza e come sia debitrice delle analisi empiriste di Hume e Berkley, nonostante ne critichi le conseguenze radicali. Husserl stesso definisce Hume come: « colui che seppe dar vita al primo progetto sistematico e universale della problematica costitutiva concreta, alla prima teoria puramente immanente della coscienza». E. Husserl, Storia critica delle idee, a cura di G. Piana, Guerini, Milano 1989, p. 171 Anche se la riflessione sulle associazioni avvicina Husserl a Hume non bisogna dimenticare la distanza presa dalla riflessione fenomenologica e la propria peculiarità. Per Hume, infatti, la riflessione sulle associazioni ci riconduce essenzialmente ad una riflessione generale sulla struttura del soggetto e sulla natura umana, mentre in Husserl il riferimento primo non è legato alla soggettività, le associazioni non parlano della costituzione psicologica del soggetto. Husserl, come abbiamo notato, non vuole incentrare la sua analisi filosofica su presupposti soggettivi e quindi facilmente riconducibili ad una prospettiva scettica. In questo caso la prospettiva fenomenologica ci rivela la necessità di un sapere obiettivo, le sintesi associative sono la manifestazione delle relazioni interne ai materiali sensibili che si strutturano in base al proprio contenuto. La regola di strutturazione dei materiali è indipendente da qualsiasi soggettività, la possibilità di essere esperiti è unicamente contingente e niente affatto strutturante. Proprio in queste Lezioni è evidenziato come queste sintesi associative si strutturano completamente sul piano dei contenuti e come, proprio per questo motivo, possano sussistere anche quando non vengono esperite da una autocoscienza, pur rimanendo su un piano di latenza. Il loro essere inconscie non implica la loro inesistenza, il percipi non si sovrappone all’esse. Le associazioni si strutturano come una trama inconscia indipendente dal soggetto stesso di cui però quest’ultimo può ripercorrere le fila, rendendo ancora una volta presente ciò che è divenuto del tutto oscuro e privo di qualsiasi capacità di colpire affettivamente ed attenzionalmente l’io. Si possono leggere in questo ruolo delle ritenzioni le tracce di una concezione particolare d’inconscio e in queste Lezioni se ne possono intravedere le fondamenta. 5.2 Il passaggio dalle analisi statiche a quelle genetiche e l’associazione originaria Abbiamo osservato in questa breve introduzione e nei precedenti capitoli, come le analisi compiute da Husserl sulla percezione si muovono all’interno di una metodologia essenzialmente statica. Nelle Lezioni Husserl, riflettendo sulla natura delle analisi statiche della percezione, afferma che «il tema delle analisi costitutive consiste nel rendere comprensibile - a partire dalla disamina della costituzione intenzionale della percezione secondo le componenti reali del vissuto e secondo il suo senso e il noema intenzionale – come la percezione stessa realizzi la sua donazione di senso (Sinngebung) e come, attraverso ogni presunzione vuota, si costituisca l’oggetto in quanto senso fenomenico ottimale che si presenta sempre e soltanto in maniera relativa» Husserl, Lezioni, cit. p. 56. Questa analisi statica della percezione, che ha caratterizzato le ricerche husserliane dai primi scritti fino almeno alla metà degli anni ’10, ha evidenziato il modo in cui l’oggettualità si costituisce all’interno della percezione stessa, il modo in cui il senso oggettuale è conferito nell’atto percettivo, come afferma Husserl: « la percezione esterna è un deflusso temporale di vissuti nel quale le manifestazioni passano in maniera coerente una nell’altra nell’unità della coincidenza, cui corrisponde l’unità di un senso». Ivi p. 38 L’indagine fenomenologica, abbiamo detto, non può accontentarsi di questo livello di analisi. L’analisi statica della percezione rimanda inevitabilmente ad un livello inferiore e fondante, al regno delle sintesi passive. Nel precedente capitolo, abbiamo osservato come, le analisi statiche sulla temporalità della coscienza portano al problema del regresso infinito e della ricerca del fondamento. Il regresso infinito era essenzialmente attribuito ad un’indagine fenomenologica legata allo schema apprensione- contenuto d’apprensione, che si risolveva in un’aporia. Proprio per questo Husserl, attraverso i manuali di ricerca e gli studi, dalla fine degli anni ’10 in poi, ha riconosciuto la necessità di sottoporre ad un’analisi genetica le stesse unità di senso che si costituiscono nell’atto percettivo per chiarire la loro genesi e quindi comprendere la struttura dei sistemi intenzionali attraverso cui una qualsiasi oggettualità è donata alla coscienza nell’atto percettivo: «il tema delle analisi genetiche è quello di rendere comprensibile come, nello sviluppo che appartiene all’essenza di ogni corrente di coscienza e che è nello stesso tempo sviluppo egologico, si dispieghino quei complicati sistemi intenzionali attraverso cui può infine manifestarsi alla coscienza e all’io un mondo esterno» E. Husserl,Lezioni, cit. p. 56; Le analisi genetiche di Husserl cercano di comprendere, radicalizzando la problematica del conferimento, le legalità necessarie, le leggi a priori che regolano il modo di darsi del mondo al soggetto: il problema che egli vuole indagare è in che modo le cose si danno a noi. Queste analisi si interrogano sulle condizioni formali e contenutistiche di possibilità dell’esperienza di ogni singola oggettualità e del mondo intero. Husserl afferma in un passo di Esperienza e giudizio che per comprendere il modo di darsi delle cose al soggetto: «si devono includere tutte quelle operazioni dell’esperienza mediante le quali si giunge in generale alla costituzione del tempo e dello spazio del mondo, delle cose spaziali e degli altri soggetti ecc» E. Husserl, Esperienza e giudizio, a cura di F. Costa e L. Samonà, Bompiani, Milano, 1995, p. 45. E successivamente riconosce che il problema della costituzione spazio temporale non può limitarsi a delle analisi statiche e descrittive e che infatti : «si presuppongono molteplici strati di operazioni costitutive; si presuppone che sia già costituito un campo di pre-datità spazio-cosali e perciò l’intero strato di ricerche costitutive sulla costituzione della percezione delle cose in tutti i suoi gradi. Esse riguardano la formazione costitutiva dei singoli campi di senso, la loro azione comune, quella dei singoli domini della sensibilità sulla percezione di una cosa pienamente concreta, sulla cinestesi, il rapporto al corpo del percipiente che funziona da norma, e via via, prima la costituzione della cosa sensibile come cosa fissa e infine la cosa sensibile in quanto sta in connessione causale con le altre. Si presuppone anche la costituzione già avvenuta della cosa come temporale e temporalmente estesa, e dall’altra parte la costituzione dei singoli atti in cui si costituisce la spazio-cosalità nella coscienza interna del tempo. Tutte queste sono dimensioni di ricerche costitutive che stanno ancora più a fondo di quelle qui eseguite». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 61 Le riflessioni genetiche legate all’esperienza percettiva si incentrano sulle legalità temporali, spaziali ed associative. Sono due i fronti su cui queste ricerche si muovono. Da un lato, infatti, c’è il ruolo del soggetto, le strutture della temporalità coscienziale e della localizzazione, queste strutture sono strettamente legate alla cinestesi, ai movimenti del corpo sensibile, alle strutture iletiche, e dall’altra parte ci sono le forme di relazione che connettono i contenuti tra loro in delle unità percepibili dal soggetto. Le associazioni, che Husserl introduce nella prima parte delle sue analisi delle Lezioni, riguardano le relazioni che permettono la percezione di un oggetto nella sua temporalità ed unità. L’associazione originaria, la prima che prende in esame, connette dei contenuti presenti con altri contenuti presenti, l’associazione riproduttiva succesiva collega dei contenuti presenti con dei contenuti ritenzionali ed infine l’associazione anticipatrice in cui i contenuti presenti ed i contenuti del regno ritenzionale che vengono resi di nuovo presenti nell’associazione riproduttiva si legano con i contenuti dell’orizzonte protenzionale. E’ proprio questo che Husserl analizza in queste Lezioni, e che anche noi cercheremo di evidenziare, i legami tra le parti nella formazione di unità percettive, i legami profondi che regolano la sensibilità pre intenzionale sulle intenzionalità percettive. Questo è d’altra parte sempre stato il grande ostacolo all’indagine fenomenologica husserliana già dalle Ricerche logiche. Husserl evidenzia il dualismo esistente tra delle analisi legate alle componenti passive e fisiologiche e delle analisi inerenti invece alla sfera attiva del soggetto; dice infatti chiaramente in una riflessione sulla genesi passiva: «[…] da una parte la genesi passiva, che nel caso della costituzione di un mondo antropologico (o rispettivamente di un mondo animale) rimanda ai processi fisiologici costituiti e al loro condizionamento nell’unità tra il mondo fisico e il corpo vivente a esso corrispondente, dall’altra parte la genesi attiva nella forma della motivazione del mio pensare, valutare, volere attraverso quello degli altri». E. Husserl, Metodo fenomenologica statico e genetico, cit. p. 60 E’ proprio questo dualismo tra le componenti passive e quelle attive del processo percettivo e conoscitivo che rende l’indagine fenomenologica, a mio parere, problematica e spesso contraddittoria. Le due parti sono, infatti, difficilmente separabili le une dalle altre e le sintesi conoscitive non possono non tenere conto di entrambe le parti. Anche in questo caso, lo schema, tra un’unità di sintesi fondante e le parti, si ripete. La cosa per me interessante è cercare di capire fino a che punto le componenti attive del soggetto siano fondanti rispetto a quelle propriamente passive e che cosa implica all’interno del discorso fenomenologica un’ idea di soggetto fondante o maggiormente fondato e strutturato. In ogni caso la nostra analisi si sofferma su quelle componenti passive, iletiche, fisiologiche che ineriscono alla costituzione percettiva nello sviluppo temporale. Proprio tra queste legalità associative bisogna indagare per cercare di trovare una risposta al gioco di equilibri che contraddistingue la ricerca filosofica fenomenologica husserliana. 5.3 L’associazione originaria Nel precedente capitolo abbiamo potuto osservare come la sintesi temporale sia, all’interno dell’analisi genetica dell’esperienza, la condizione formale di possibilità dell’esperienza stessa, il presupposto di tutte le sintesi che costituiscono l’unità percettiva, Husserl stesso afferma che essa costituisce «un ambito formale universale, in una forma costituita sinteticamente, cui devono partecipare tutte le altre possibili sintesi» E. Husserl, Lezioni, cit. p. 179. In Esperienza e giudizio Husserl dice a proposito della sintesi temporale: «Questa[ la sintesi temporale] è la forma fondamentale, la forma di tutte le forme, il presupposto di tutte le connessioni che costituiscono un’unità. Forma significa qui però fin da principio il carattere che necessariamente precede ogni altro nella possibilità di un’unità intuitiva. La temporalità come durata, coesistenza e successione, è la forma necessaria di tutti gli oggetti unitariamente intuibili e perciò la forma di intuizione di essi (forma dei concreti intuiti individuali)». E. Husserl, Esperienza e giudizio: ricerche sulla genealogia della logica, Bompiani Editore, Milano, 1995 p. 149 La sintesi passiva temporale ordina i dati pre-oggettuali nella forma della durata, della coesistenza e della successione. Il problema dell’ordinamento dei dati pre-oggettuali è sempre stato avvertito all’interno delle ricerche husserliane, come rileva V. De Palma: «un problema che emerge chiaramente nelle Lezioni e che l’analisi fenomenologica difficilmente può risolvere, è quello dell’oggettualizzazione dei dati pre-oggettuali, cioè il fatto che, laddove vengono tematizzati, essi sono inevitabilmente trattati e concepiti- anzitutto dal punto di vista linguistico- come oggetti, sebbene non lo siano». V. De Palma, Genesi e struttura dell’esperienza, «Discipline Filosofiche», 1, 1994 p. 223 Il problema linguistico in Husserl è sicuramente presente e molto spesso l’errata attribuzione linguistica ha creato non pochi problemi nel tentativo di sistematizzazione delle tematiche fenomenologiche. In questo, caso d’accordo con De Palma, notiamo come Husserl parli impropriamente di oggettualità temporali, proprio perché solo nella percezione si costituiscono delle vere e proprie oggettualità ed è Husserl stesso che ne prende atto: «In tutti i casi in cui parliamo di oggetti, di qualsiasi categoria essi possano essere, il senso di questo nostro parlare deriva originariamente da percezioni, in quanto vissuti che costituiscono originariamente il senso e con questo l’oggettualità». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 51 Il problema non è tanto l’oggettualizzazione percettiva e temporale quanto la trama di associazioni, per l’appunto passive, che appartengono al darsi della cosa ed alla ricezione sensibile pre-oggettuale. La difficoltà linguistica crea un paradosso. La possibilità d’indagine delle leggi di associazione presuppone che questi dati pre- oggettuali vengano considerati come oggettuali. Nelle Lezioni ogni pre-oggettualità temporale è identica ed unica nella sua posizione temporale, nel modo di darsi e questa individualità temporale si costituisce a livello della passività: « dalla forma temporale che appartiene all’oggetto temporale come una sua proprietà “essenziale” e da ogni elemento che quella forma renda concreta, distinguiamo la sua posizione nel tempo, o meglio la forma temporale stessa nella sua individualità; in questa individualità essa è parte del tempo universale in quanto sistema di posizioni costruito a partire dall’unicità delle posizioni temporali». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 197 Tuttavia la sintesi temporale in sé prescinde completamente dal contenuto delle individualità temporali; infatti: « l’analisi temporale da sola non può tuttavia dirci che cosa dia unità contenutistica a ogni singolo oggetto, che cosa costituisca contenutisticamente per la coscienza, ed a partire dal suo fare costitutivo, le differenze dell’uno e dell’altro oggetto, che cosa ancora renda coscienzialmente possibile la partizione e il rapporto tra le parti, ecc. essa astrae infatti proprio dal momento contenutistico». Ivi, p. 181 La sintesi temporale è una mera struttura che non è in grado di fornire una sistematizzazione contenutistica dei dati iletici, ma solo un’organizzazione in unità percepibili e riconoscibili. La sintesi temporale permette l’esperienza della percezione ed il riconoscimento di un’ unità oggettuale rispetto alle sue parti, costituisce la possibilità del riconoscimento dei diversi data altrimenti percepibili come parti sempre distinte e non formanti di un intero: «Le molteplici impressioni originarie sono connesse in un impressione originaria, e questa impressione inscindibilmente una scorre in quanto una, cosicché tutte le impressioni particolari devono decorrere in un tempo assolutamente identico. Ciò fa sì che ad una molteplicità di oggetti non corrisponda una molteplicità di tempi: vi è solo un unico tempo nel quale decorrono tutti i decorsi temporali degli oggetti». Ivi p. 179 La sintesi associativa, in quanto “una prosecuzione ad un più alto livello della costituzione originaria del tempo” E. Husserl, Lezioni, cit. p. 170 riesce a fornire questa strutturazione contenutistica e rappresenta la condizione contenutistica di possibilità dell’esperienza. Questa sintesi comprende sia le associazioni in senso comune, che quelle riproduttive anticipatrici e soprattutto le associazioni originarie. Più avanti ci soffermeremo su queste importanti legalità passive, soprattutto sul ruolo delle sintesi riproduttive ed in parte anticipatrici, ma adesso è interessante approfondire il discorso al livello originario e fondante di queste sintesi passive. Husserl definisce l’associazione originaria come “quel ridestamento affettivo sistematico o sistematizzante che rende possibile la struttura oggettuale del presente vivente e ogni specie di sintesi originaria nell’unificazione del molteplice” Ivi p. 240 e inoltre specifica che essa ha luogo nel presente vivente e che in essa non è ancora in questione la riproduzione. Nell’analisi di questo livello originario dell’associazione Husserl delimita il campo temporale alla sola sfera del presente vivente, adotta un’ ulteriore restrizione oltre a quella della riduzione fenomenologica, riduzione che per altro aveva già adottato nei manoscritti di ricerca come metodologia per analizzare il tema della temporalità coscienziale. E’ proprio da questo privilegio del presente, così come lo definisce Derrida, che bisogna partire per successivamente analizzare i ruoli fondamentali di protezione e ritenzione. Lo stesso Husserl specifica questo privilegio della presenza nelle analisi delle associazioni, che però va inteso esclusivamente in maniera metodologica e momentanea: «facciamo quindi come se il mondo dell’io fosse costituito solo dal presente impressionale e come se non vi fosse alcuna appercezione che oltrepassi questa cerchia e che tragga la sua origine da legalità soggettive che si spingono più in là di essa». Ivi. p. 207 Tuttavia, bisogna specificare che cosa intenda Husserl per sfera del presente vivente; abbiamo visto come nei manoscritti di ricerca egli separasse la sfera dei contenuti immanenti da quelli invece trascendenti e come proprio partendo dall’analisi dei dati immanenti alla coscienza analizzasse sia il ruolo della temporalità che quello della sintesi primaria e originaria. In queste Lezioni la sfera del presente vivente è da intendersi come l’estensione ritenzionale e protenzionale del presente vivente all’interno della quale ha luogo l’associazione originaria. Il presente vivente non è costituito soltanto da ciò che defluisce, in quanto : «così come ad ogni presente impressionale si allaccia ineludibilmente un orizzonte ritenzionale di passato, non meno ineludibilmente si allaccia ad esso un orizzonte protenzionale futuro» E. Husserl, Lezioni, cit. p. 116.. Bisogna, come giustamente rileva Derrida, cogliere l’unità profonda del movimento della temporalizzazione. Se non bisogna assolutizzare la posizione che privilegia la sfera del presente nemmeno di può privilegiare un’altra delle tre estasi temporali. J. Derrida, Il problema della genesi nella filosofia di Husserl, Jaca Book, Milano, 1992, p. 19. In questo senso non può essere accettato il privilegio temporale attribuito da Heidegger al futuro, l’idea secondo cui: «la temporalità originaria e autentica si temporalizza a partire dall’avvenire autentico in modo che esso, stato come ad-veniente, prima di tutto susciti il presente. Il fenomeno primario della temporalità originaria e autentica è l’avvenire». M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 1976 p. 395. Secondo Derrida, infatti, privilegiando l’anticipazione rischiamo di cancellare l’irriducibilità del qui-da-sempre e quella passività fondamentale che si chiama tempo; non bisogna annullare la diversa maniera di fungere della ritenzione e della protenzione, le loro caratteristiche essenzialmente diverse. J. Derrida, Il problema della genesi, op. cit. , p. 74 Il discorso husserliano sul presente originario come possibilità di conoscibilità delle associazioni è ristretto al campo delle immanenze e soprattutto sottolinea il ruolo dell’affezione come centrale nella possibilità conoscitiva ed associativa. Husserl scrive che: «la fonte originaria di qualsiasi affezione si trova e può trovarsi soltanto nell’impressione originaria e nella sua maggiore o minore affettività. Da qui partono le linee del ridestamento affettivo, della conservazione e della propagazione dell’affezione». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 226 Il ridestamento affettivo abbiamo visto essere centrale sia nelle Ricerche logiche che nei manuali di ricerca, nella percezione di un’ unità oggettiva, ed è proprio questo ridestamento che regola il ruolo della ritenzione e il successivo legame con la protenzione, anche se Husserl fino ad ora non ha specificato il modo in cui questo ridestamento avviene e come l’affezione abbia origine. La peculiarità che contraddistingue l’associazione originaria è che quest’ultima si attua, come abbiamo detto in precedenza, tra i dati pre-oggettuali, a differenza di quelle di senso comune che hanno luogo tra delle oggettualità già costituite, ovvero le associazioni che riguardano le prontezioni e le ritenzioni. Riassumendo possiamo dire che l’associazione originaria è quel ridestamento affettivo sistematico o sistematizzante che rende possibile la struttura oggettuale del presente vivente e ogni specie di sintesi originaria dell’unificazione del molteplice. L’associazione originaria si presenta, come abbiamo già sottolineato, come un ridestamento affettivo, in ogni caso Husserl ribadisce che ogni associazione, anche quelle riproduttive e predelineanti, sono delle forme di ridestamento affettivo; l’associazione viene definita proprio come “la forma ridestante dell’affezione” Ivi p. 210 e l’affezione è “lo stimolo coscienziale, l’impulso peculiare che un oggetto cosciente esercita sull’io” Ivi p. 205. L’associazione quindi è la trasmissione ridestante di uno stimolo coscienziale che coincide, correlativamente con l’oggetto, con il ridestamento di un’intenzione su di esso. Il ridestamento deve essere qui inteso nel senso di una trasmissione ridestante di uno stimolo coscienziale che rende esplicito l’implicito. La differenza consiste nel fatto che il ridestamento che ha luogo nelle associazioni in senso comune è più che altro una riproduzione; nel capitolo precedente abbiamo visto come Husserl sovrapponga la riproduzione del ridestamento ritenzionale ad un’immagine, un tipo di ridestamento che è una vera e propria presentificazione, che potremmo definire di secondo grado rispetto a quello più impropriamente presentante delle associazioni originarie. Bisogna comprendere quindi, come afferma Guidetti, in che senso Husserl parla di intenzione al livello passivo ed originario dell’associazione. R. Guidetti, Sintesi passiva e costituzione dell’oggetto sensibile nelle riflessioni degli anni ‘20 di Edmund Husserl, Cooperativa Libraria Universitaria Editrice, Bologna, 1999, p. 13 Husserl riguardo a ciò dice che: «si tratta del carattere dell’intenzione specifica, cioè dell’essere-meta-della-direzione, dell’essere-intenzionato, dell’essere-inteso; correlativamente: il rappresentare non è una coscienza che rappresenta il suo oggetto in modo meramente generale, ma è in se stessa diretta al suo oggetto. Questa descrizione non è priva di pericoli, in quanto non abbiamo qui a che fare con il significato consueto del termine “intenzionare” , “ essere diretto”, “intendere”, che si riferiscono all’io e all’atto ( Aktus) in cui l’io è, ed è in senso totalmente diverso, il punto d’irraggiamento di una direzione, di un dirigersi verso l’oggetto. Noi sopperiamo qui alla mancanza di termini utilizzabili con l’aggettivo “passivo” : intenzione passiva […] Prima di tutto vogliamo dare un nome anche alla sintesi da cui sorge questa intenzione: la chiameremo sintesi associativa» E. Husserl, Lezioni , cit. pp. 118-119. Questo intenzionare e questo problema delle associazioni originarie e passive ci presenta ancora una volta il rapporto tra le componenti immanenti della coscienza e la loro inerenza con le componenti propriamente trascendenti. Il discorso diventa particolarmente complesso perché ci si scontra direttamente con le contraddizioni stesse del testo husserliano che restano aperte a differenti interpretazioni critiche. Bisogna, a mio parere, ricordare come, proprio in queste Lezioni, Husserl cerchi di affrontare il problema in maniera maggiormente articolata e soprattutto prendendo in considerazione le leggi inerenti all’oggetto che comunque rimane un intero comprensivo anche della sua parte trascendente. A mio parere la distinzione husserliana tra un oggetto immanente e trascendente è unicamente metodologica, nel senso che le due dimensioni non sono contrapposte in forma kantiana, ma sempre in un rapporto relazionale, è proprio questa semplificazione, questa radicalizzazione necessaria ad un’indagine microscopica che spesso rischia di travisare parte della sua stessa filosofia. Il Piazza nella sua analisi sul rapporto tra le componenti trascendenti ed immanenti della percezione vede nella sintesi originaria di datità pre-oggettuali una lacuna. Scrive, infatti, che a livello delle pre-datità passive «manca una motivazione teorica sufficiente a caratterizzare le dinamiche coscienziali che conducono, a partire dal campo delle pre-datità passive, ai veri e propri oggetti della realtà esterna in modo compatibile con il modello apprensione- contenuto d’apprensione». T. Piazza, op. cit. pp. 209-210 Si potrebbe fare una considerazione a proposito della riproposizione dello schema apprensione-contenuto d’apprensione nella lettura delle Lezioni, perchè la fenomenologia genetica e le sintesi passive sono frutto di una riflessione che cerca di superare questo dualismo che aveva caratterizzato in modo particolare le Ricerche logiche, per quanto spesso, come abbiamo osservato anche nei manoscritti di ricerca, Husserl non riesca a distaccarsi da questo modello nelle sue analisi genetiche. La lettura che propone Piazza vuole intendere il soggetto delle Lezioni come riempito di concetti a priori. L’Io, ha possibilità conoscitiva, denominativa e percettiva principalmente attraverso la riconoscibilità. In questo senso, a mio parere, viene spostata l’attenzione da un piano esperienziale e più propriamente passivo e genetico ad uno maggiormente strutturante ed attivo più proprio delle analisi delle Ricerche logiche. Scrive, infatti: «Quanto Husserl sta discutendo, sotto il titolo di ricerche della ricettività e della affettività, non è altro che la costituzione dello strato puramente estetico del rapporto con il mondo. Si tratta cioè delle modalità attraverso le quali si rende nota alla coscienza una realtà di oggetti, prima e in astrazione dall’attribuzione di quei predicati di valore dai quali trapela il senso intero di un’esistenza. […] al soggetto è data una realtà indipendentemente dai concetti che vengono utilizzati per ordinarne il ricco ed articolato contenuto. Anche per percepire un sasso, si potrebbe dire, è necessario che una determinata presenza percettiva sia già costituita per la coscienza, affinché essa possa essere appercepita secondo un particolare senso». T . Piazza, op. cit. p 210 Il discorso sulla conoscibilità, passa inevitabilmente per la possibilità appercettiva, tuttavia Husserl tiene da sempre a specificare che la conoscibilità non corrisponde all’esistenza. Come abbiamo visto la correlazione empirista: esse est percipi, è spezzata. Oltretutto bisogna considerare che Husserl, quando parla di pre-datità passive, non parla di oggetti, e che l’oggetto nella sua complessa unità è una sintesi posteriore della percezione, tuttavia è proprio da queste pre-datità che gli oggetti si possono poi concretamente formare in tutta la loro dimensione tridimensionale: «Bisogna a questo punto ricordare ancora una volta che qui è improprio parlare di oggetto, di cosa. Infatti, come si è tante volte rilevato, non si può propriamente parlare di oggetti nel dominio della passività originaria». E. Husserl , Erfahrung und Urteil, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1985, p. 78 (tr. It. Silva Editore, Milano 1960, p. 78 ) Queste pre-datità passive non ancora costituite come oggetti per l’io, ma comunque già in parte strutturate a livello sensoriale, si rendono conoscibili e strutturabili nelle forme attive della coscienza solo attraverso l’affezione, come abbiamo precedentemente notato. Con questo termine Husserl vuole designare il momento nel quale la soggettività, in un piano non costitutivo ma puramente esperienziale, si comincia ad interessare alle dinamiche che portano alla costituzione del mondo nella sua oggettivizzazione. L’affezione permette che le datità pre-oggettive si strutturino per il soggetto come oggetti immanenti alla coscienza e successivamente come trascendenti a quest’ultima. Vi è un importante passaggio dalle datità passive e pre-oggettive all’affezione e alla costituzione percettiva soggettiva. Nel § 34 delle Lezioni intitolato proprio Il problema del rapporto tra affezione e formazione dell’unità, Husserl affronta il tema del rapporto sussistente tra il piano dell’esperire passivo e il piano dell’affettività, il momento in cui gli oggetti costituiti nella fase precedente e passiva esercitano uno stimolo affettivo sulla soggettività: «L’ operare della passività, nel suo livello più basso, l’operare della passività iletica consiste nel dar vita sempre di nuovo a un campo di oggettualità pre-date e, in seguito, eventualmente, date. Ciò che si costituisce si costituisce per l’io, e deve infine costituirsi un mondo circostante completamente reale nel quale l’io agisca e dal quale sia d’altro canto costantemente motivato. Ciò che è coscienzialmente costituito è presente per l’io solo in quanto lo colpisce». E. Husserl, Lezioni, cit. pp. 220-21 La possibilità che queste pre-datità si danno alla coscienza, attraverso l’affezione è quindi un’eventualità e non un passaggio obbligatorio. Quando Husserl specifica che è presente all’io come oggetto coscienziale solo ciò che colpisce l’io affettivamente, non intende affermare che delle oggettualità esistano indipendentemente dalla possibilità conoscitiva. Abbiamo esaminato anche nel capitolo precedente come l’affettività, nel suo ruolo centrale per la costituzione di oggetti immanenti alla coscienza, non compromettesse la realtà trascendente di questi ultimi. Tuttavia questa distinzione tra oggetti immanenti e trascendenti alla coscienza, a mio parere, non sembra evidenziare un dualismo ontologico di tipo kantiano, anzi, il soggetto husserliano è immerso e colpito dagli oggetti, si muove all’interno di un unico flusso vitale a cui egli presta o non presta attenzione, è in un rapporto costantemente relazionale e dinamico. L’affezione è il modo di relazionarsi del soggetto al mondo, di prenderne coscienza, autocoscienza, anche se il legame dell’io con gli oggetti e con il mondo è anteriore alla presa di coscienza e non implica necessariamente il passaggio ad una autocoscienza. Lo stesso Husserl ci invita a leggere in questa maniera relazionale e non dualistica la sua ricerca filosofica. Esaminando il rapporto tra la trascendenza e l’immanenza mediata dal ruolo della affettività scrive: «Un qualsiasi quid è pre-dato se esercita uno stimolo affettivo, è dato se l’io ha aderito allo stimolo, in quanto si è rivolto ad esso portandogli attenzione e afferrandolo. Queste sono le forme fondamentali dell’oggettivizzazione». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 220 Questo per Husserl si configura come principio della genesi nel quale prende corpo una forma fondamentale della costituzione dell’oggetto: «Affinché nella soggettività in generale possa costituirsi un mondo di oggetti si debbono costituire delle unità affettive. Perché ciò sia possibile, le unità iletiche affettive debbono svilupparsi e intrecciarsi l’una con l’altra in modo omogeneo e secondo una necessità essenziale innanzi tutto nella sfera iletica, e quindi innanzi tutto nel presente vivente». Ibidem La percezione degli oggetti immanenti alla coscienza ha come luogo d’origine privilegiato il presente vivente, la coscienza che si autopercepisce. Tuttavia, bisogna tenere in conto che questo è il luogo d’origine degli oggetti immanenti alla coscienza e non degli oggetti nel senso ampio del termine, e ancora che questa è una strutturazione finale, posteriore, rispetto alle leggi inerenti alle unità passive. Ancora una volta bisogna tenere in conto la relazione tra l’unità sintetica e le parti, e come nella Seconda ricerca, il rapporto tra le parti e l’unità non è oppositivo ma relazionale. In ogni caso Husserl riduce le indagini in queste Lezioni alla sfera della presenza, sfera della costituzione degli oggetti immanenti alla coscienza, e bisogna ricordare che opera su un soggetto metodologicamente isolato, su un soggetto che è un residuo fenomenologico, in cui quindi il privilegio delle analisi costitutive coscienziali e operanti nel presente impressionale non corrisponde all’unica dimensione possibile. Abbiamo detto che l’associazione originaria è la trasmissione ridestante di uno stimolo coscienziale, secondo i principi della somiglianza, la contiguità e il contrasto che ha luogo tra i dati pre-oggettuali nella sfera del presente vivente. Questa sintesi originaria rende possibile l’unificazione del molteplice. Secondo Guidetti, «l’associazione originaria è quel peculiare ridestamento che conferisce una struttura (Gestaltung) affettiva al presente vivente e conseguentemente un contenuto ad ogni singola concrezione» R. Guidetti, op. cit. p. 14. Questa associazione unifica e presentifica i dati pre-oggettuali. Possiamo osservare che il presente vivente nelle analisi husserliane è fortemente strutturato, sia per quanto riguarda la forma che il contenuto. In questo modo notiamo come ancora una volta la centralità del presente vivente è, possiamo dire, fittizia, rispetto alle strutture passive. Da un punto di vista formale, la struttura oggettuale del presente vivente è caratterizzata dalla forma temporale della durata, della coesistenza, della successione, ovvero dalle forme temporali che riguardano la protenzione, la ritenzione ed il ridestamento. Dal punto di visto contenutistico, la struttura oggettuale del presente vivente è caratterizzata invece: «dai presupposti essenziali della formazione dell’unità che sono la “concrescenza” (la fusione concrescente per somiglianza e contiguità) e il “contrasto”». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 223 Le unità percettive, anche se sono soddisfatti i criteri associativi che conducono ad un’oggettivazione unitaria, non possono essere percepite se la loro forza affettiva è nulla e lo stesso Husserl lo afferma esplicitamente: «affinché nella soggettività in generale possa costituirsi un mondo di oggetti si debbono costituire delle unità affettive». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 220 Le unità affettive, sono il presupposto del legame percettivo tra un soggetto ed il mondo. Come ha rilevato Enzo Paci, riflettendo sulla Crisi delle scienze europee: « Kant, dice Husserl, non ha capito che c’è un mondo reale già da sempre dato ( vorgegebene Welt) prima delle categorie ». E. Paci, Il senso delle parole:Lebenswelt, struttura,”aut aut” , 73 (1963), p. 17 Si noti che già nella Filosofia dell’aritmetica, quindi nel periodo pre-fenomenologico, Husserl formula una critica a Kant che anticipa quella fatta nella sua maturità; secondo Husserl, infatti: « Kant ha ignorato il fatto che ci sono dati molti collegamenti contenutistici nei quali non si può notare alcuna traccia di un’attività sintetica che crea il collegamento contenutistico». Ivi p. 41 L’operare dell’associazione originaria, come abbiamo sottolineato, consiste nel dar vita sempre di nuovo ad un campo di pre-oggettualità formalmente e contenutisticamente dato in un atto di afferramento. Husserl, riflettendo sull’afferramento, dice: «in generale percepire significa essere percipienti presso qualche cosa, presso la cosa stessa; ma nel correlato, nel “esso stesso”, la percezione suppone anche l’esistenza del percepito». E. Husserl, Ms. C 7 II, p. 12 Quindi la percezione non può mai concludersi nel percepire stesso e l’oggetto deve essere indipendente rispetto al soggetto percipiente. 5.4 L’associazione riproduttiva e la ritenzione All’interno della complessa legalità associativa che contraddistingue le sintesi passive, oltre all’associazione originaria, Husserl distingue un’associazione che ha luogo tra oggetti già costituiti e riguarda la riproduzione del passato, l’associazione riproduttiva, legata alle ritenzioni, e un’associazione anticipatrice che riguarda le protenzioni, nella loro possibilità anticipatrice. Husserl, definendo sinteticamente il livello costitutivo dell’associazione riproduttiva, afferma che grazie a quest’ ultima nella coscienza attuale “possono farsi avanti anche cose del passato”, E. Husserl, Lezioni, cit. p. 169 che nella rimemorazione si vengono a trovare con le compagini noematiche di ciò che è presente in un “collegamento caratteristico e fenomenologicamente peculiare, che si esprime linguisticamente così: il presente ricorda il passato” Ivi, p. 170 . Husserl scrive che la rimemorazione: «più o meno vuota, più o meno intuitiva, sino al limite della riproduzione ideale, non è nient’altro, secondo la nostra esposizione, che il fenomeno del ridestamento dell’oggettualità passata, costituita nell’originario presente vivente, ritenzionalmente inabissatasi ed infine divenuta del tutto priva di forza». Ivi, p. 256 La rimemorazione quindi è essenzialmente un atto presentificante, un atto che in virtù dell’associazione riproduttiva ha la capacità di ridare, di rendere nuovamente presenti le oggettualità passate. L’associazione riproduttiva è, infatti, il fenomeno del ridestamento affettivo, il fenomeno attraverso cui un’affezione, che in passato è stata e che ora è inabissata nella coscienza inattuale, si ridesta. E’ attraverso l’approfondimento della ritenzione che si può comprendere il fenomeno del ridestamento affettivo. Ricordiamo che nel capitolo precedente ci siamo soffermati sul ruolo della ritenzione e sullo svuotamento che implica il passaggio da un presente impressionale ad una dimensione ritenzionale. La ritenzione ha un grado zero di affettività: «infine anche questa forza [quella affettiva] si esaurisce, la trasformazione ritenzionale conduce ad un vuoto elemento identico che ha perduto la sua peculiare differenziazione; anche questo tuttavia non può mantenersi, la linea ritenzionale sintetica si perde nello zero generale dell’assenza di differenze. E tuttavia, nella continuità di questo processo, il senso si è conservato e si è solo velato. Da senso esplicito si è trasformato in senso implicito». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 233 Il ridestamento è una forma di associazione che rende esplicite le ritenzioni implicite, le presentifica nuovamente; questo grado zero di affettività in cui decadono le protenzioni non implica una perdita del contenuto precedentemente percepito. Il senso viene conservato, questo grado zero: «è il deposito permanente degli oggetti che sono giunti ad una fondazione vivente nel processo vivente del presente. Per l’io essi sono racchiusi in questo deposito, ma sono pur sempre a sua disposizione. […] L’oggetto costituito, l’elemento identico non è più costitutivamente vivente in una forma morta, ma il senso è ancora implicitamente presente in una forma morta, è soltanto privo di vita nel suo fluire». Ivi, pp. 236-237 E’ interessante notare che la forma del processo ritenzionale può determinare la forma stessa del ridestamento affettivo, ritroviamo nel ridestamento, la stessa gradualità del processo ritenzionale. Tuttavia Husserl nell’analizzare questo ridestamento che esplicita le ritenzione decadute, si chiede “ in che modo, tuttavia, esso (questo senso implicito) possa diventare efficace ed addirittura costitutivamente efficace in una nuova forma, questo è il problema dell’associazione. Ibidem Per quanto riguarda la possibilità di determinazione della ritenzione sul processo di ridestamento affettivo, Brand osserva che: «Il passato in quanto divenuto, che io porto in me quale mia “eredità”, e che, come tale, appartiene al mio presente vivente, anche in questo modo, in quanto eredità, in quanto carattere, in quanto divenuto e non ancora esplicitato, è già in una certa misura “in-sé”, perché è determinabile e mi determina. Tutto ciò che io ho ereditato nel mio presente vivente appartiene irrevocabilmente una volta per tutte ( e quindi già in sé ) a me e deve essere considerato da questo punto di vista». G. Brand, op. cit. p. 190 Secondo Brand tutto ciò che viene esperito e tematizzato nel presente impressionale e nell’associazione originaria non viene perduto nello svuotamento ritenzionale, ma diventa una sorta di eredità che ci appartiene e che viene resa esplicita attraverso la rimemorazione. Le ritenzioni rimarrebbero in un grado zero della coscienza, in una sorta di inconscio. Husserl lo specifica chiaramente: «Qualsiasi dato concreto della sfera del presente vivente si inabissa, come sappiamo, nel passato fenomenale, soggiace alla trasformazione ritenzionale e conduce nello stesso tempo necessariamente nella regione dello zero affettivo nella quale si annida e in cui pure non è un nulla». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 225 Husserl tuttavia distingue all’interno delle associazioni riproduttive ricordi vicini e ricordi lontani, tra le rimemorazioni che sono ridestate attraverso le ritenzioni ancora originariamente viventi e le rimemorazioni che, come in un intero brano musicale, penetrano nell’orizzonte ritenzionale lontano. All’interno di queste ultime distingue delle rimemorazioni di un passato di coscienza che si inabissa, il livello del ridestamento retroattivo delle rappresentazioni vuote della sfera della lontananza e quello del trapasso delle rappresentazioni vuote ridestate in rimemorazioni. La rimemorazione scaturita dal ridestamento di ritenzioni originariamente viventi , cioè la ritenzione intenzionale, si ha nel caso di un appena stato, una ritenzione fresca nella quale l’intuizione è sempre meno un’intenzione pura e sempre più una mescolanza di intuizione e di rappresentazione vuota, sia resa di nuovo intuitivamente ed intenzionalmente cosciente: Husserl descrive così il momento di passaggio da una ritenzione fresca ad una ritenzione vuota: «Il tratto di ritenzione fresca trapassa poi di continuo in un tratto di ritenzione vuota. Essa può essere definita come la forma genetica originaria delle rappresentazioni vuote. La ritenzione vuota è pur sempre una sfera in cui viene mantenuta quell’oggettualità che ha la sua sfera di fondazione originaria nell’impressione originaria.[…] Ma questa forza affettiva diminuisce inarrestabilmente, ed inarrestabilmente si impoverisce il senso oggettuale che perde differenze interne e quindi, in un certo modo si svuota. Alla fine ci imbattiamo in una rappresentazione vuota che rappresenta il suo rappresentato in maniera completamente indifferenziata; il rappresentato ha perduto infatti l’intero patrimonio di proprietà internamente emerse che l’impressione originaria aveva fondato». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 228 Nella ritenzione fresca, la rappresentazione si ha il progressivo passaggio ad una rappresentazione vuota, in questo passaggio il presente vivente è ancora presente. Brand dice che nella sfera di vicinanza della rienzionalità, in cui l’interesse del presente vivente è ancora presente, «io posso […] fluire indietro continuamente verso il mio passato, rischiarando le mie intenzioni e riproducendo con precisione un presente che è già stato, questa particolare forma di ridestamento è distinta dal risveglio (ricordo lontano) ed è definita da Husserl come un discoprimento, un modo nuovo rispetto al mero risveglio». G. Brand, op. cit. pp. 192-93 Si comprende dalle parole di Husserl che questo riconoscimento non è ancora una riproduzione vera e propria, come quella che contraddistingue il ricordo, che abbiamo analizzato nel precedente capitolo, ma ne risveglia la tendenza alla realizzazione: «occorrerà ben dire che il riconoscimento è la forma originaria del ri-svegliare, del ri-vivere il proprio passato, e che è il presupposto di tutti i risvegli mediati. Se A viene riconosciuto, l’analogia del passato nel presente è un modo di ridestarsi del passato. Ma insieme viene risvegliato ciò che era sinteticamente connesso alla passata attività; esso produce un’affezione e risveglia nell’io la tendenza alla riproduzione». Husserl, Ms. C 13 III, p. 18, cit. In Brand 1995, p. 192 La riproduzione del passato che avviene in quest’associazione riproduttiva, nelle ritenzioni fresche assume il carattere di una tendenza che deve ancora compiersi, che non è ancora una rappresentazione. A proposito del rapporto tra percezione e rappresentazione sarebbe interessante approfondire il discorso di Zahavi che giustamente evidenzia come la percezione in Husserl non si associa immediatamente con la rappresentazione e che in questo caso si distacca in maniera significativa dalla tradizione empirista e brentaniana che privilegiavano la rappresentazione come forma essenziale della percezione e della possibilità conoscitiva e soprattutto che mettano in discussione una forma percettiva legata alla dimensione del visivo. Per non fraintendere la natura del ricordo vicino, della ritenzione originale, bisogna ricordare che questa legalità appartiene ad un’associazione di tipo riproduttivo e non è direttamente legata all’associazione originaria, e che oltretutto essa si distingue dal tipo di ritenzione che appartiene alla sintesi passiva temporale, come spiega Husserl: «le ritenzioni che si sviluppano originariamente si connettono sinteticamente l’una all’altra e con l’impressione originaria, ma questa sintesi, che appartiene alla coscienza originaria del tempo, non è una sintesi dell’associazione; le ritenzioni non scaturiscono da un ridestamento associativo che, muovendo dall’impressione si diriga all’indietro e non hanno quindi in sé una direzione che da quel punto si irraggi verso il passato rappresentato in maniera vuota. […] dicevo: le ritenzioni, così come si presentano nella loro originarietà, non hanno alcun carattere intenzionale. Ciò non esclude che esse possano in seguito assumerlo in certe circostanze e a modo loro. […] Come perviene ora un’intenzione a questa struttura della direzionalità? Naturalmente grazie ad una associazione che sopravviene successivamente». E. Husserl, Lezioni, cit. pp. 119-120 La ritenzione in sé non è quindi ancora un atto intenzionale, solo una successiva associazione riproduttiva, che riempie le ritenzioni a grado zero rendendole delle rappresentazioni, la rende intenzionale. La ritenzione è un processo temporale che insieme alle protenzioni permette un certo dinamismo nella coscienza percettiva del presente. Senza questo dinamismo temporale, che abbiamo esaminato nel precedente capitolo, non ci sarebbero i criteri sufficienti di conoscibilità degli oggetti, la percezione rimarrebbe legata al solo presente impressionale e la riconoscibilità apparterrebbe all’abitudine empirista. Nella sfera della lontananza invece il ridestamento retroattivo è quello che “ da nuova chiarezza alle rappresentazioni vuote divenute oscure e fa risaltare affettivamente i contenuti di senso in esse impliciti” E. Husserl, Lezioni, cit. p. 240; con questo ridestamento si fanno “valere solo i momenti di senso isolati e particolarmente vigorosi di quel lontano presente, così come nella nebbia che un po’ si dirada emergono solo incerti contorni” Ivi p. 242: questo tipo di rimemorazione legata al passato remoto è quella che più possiamo avvicinare al discorso sull’inconscio, in cui strutture passate vengono conservate e poi riattivate solo in alcuni momenti di senso isolati. Quando il ridestamento retroattivo delle rappresentazioni vuote trapassa in una rimemorazione in senso pieno, le cose cambiano, infatti: «questo trapasso si realizza come sintesi dell’identità; questa è un’operazione della rimemorazione intuitiva, di una ricostruzione dell’elemento oggettuale, che avviene però nel modo del ritornare di nuovo al conosciuto, di un ri-presentificare non esperendo effettivamente, ma come se si esperisse». Ibidem La rimemorazione permette di rendere di nuovo costitutivamente efficace il senso che nel suo fluire era privo di vita, la rimemorazione attraverso una sintesi dell’identità permette di presentificare l’oggetto che si era inabissato nel passato. La possibilità della rimemorazione è fondamentale nella possibilità conoscitiva perché rende l’esperienza dell’oggetto definitiva; la protenzione quindi, come processo temporale e la rimemorazione come legalità associativa permettono all’io l’ esperienza conoscitiva temporale. Senza questa funzione, infatti, come abbiamo detto, la percezione sarebbe soltanto istantanea e piatta, il dinamismo temporale della coscienza permette insieme che l’esperienza sia dinamica e che gli oggetti si strutturino in una forma conoscitiva. Brand spiega questa proprietà fondamentale della coscienza così: «L’io può sempre riflettere, sempre di nuovo può penetrare nell’orizzonte del suo passato e sempre di nuovo può ritrovarsi come un che di identico e di identificabile in una molteplicità di presenti presentificati. In quanto l’io penetra nell’oscuro orizzonte del suo passato e lo esplicita, esso si trova in un tempo in sé, in un tempo dunque in cui è possibile distinguere ed identificare ciò che è una volta per tutte». G. Brand, op. cit. p. 176 E’ interessante notare, a mio parere il modo in cui il discorso sulla conoscibilità si è modificato da una prospettiva statica ad una genetica. Se, infatti, nelle Ricerche logiche, in particolare nella Sesta, la conoscibilità passava attraverso il giudizio, una struttura propriamente attiva della coscienza, nelle Lezioni la possibilità conoscitiva è data dalla possibilità del ricordo, della rimemorazione, ma, sebbene questa sia una struttura attiva dell’io non bisogna dimenticare che le strutture passive giocano un ruolo determinate nell’associazione e nella successiva ritenzione. In questo caso si potrebbe dire che le strutture attive abbiano un ruolo, in un certo modo, secondario, nel senso che primariamente sono le strutture passive a determinare il modo in cui l’oggetto esperito nell’associazione originaria passa ad una dimensione ritenzionale. In seguito, osserveremo, come la ritenzione svolga un ruolo fondamentale sulla protezione e sull’esperibilità di nuovi oggetti. «La domanda su come si costituisce l’oggettualità - l’oggettualità esistente in sé- su come essa possa legittimarsi originariamente come tale, conduce sempre in linea di principio in primo luogo al problema della costituzione di un in sé della rimemorazione e in che senso possa essere fonte di definitività». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 159-160 Il discorso di Husserl sulla centralità della rimemorazione rispetto alla conoscibilità si sviluppa distinguendo due tipi di rimemorazioni, che contraddistinguono due tipi diversi di passati. Un passato vicino ed uno lontano che si inabissa nella coscienza. E’ proprio questa rimemorazione di un passato lontano che permette la conoscibilità e la definibilità di un’esperienza percettiva costante nel tempo. «Parliamo qui di ricordi lontani in contrapposizione ai ricordi vicini. Anche qui riguardo ai ricordi lontani, sostengo il punto di vista che ogni rimemorazione abbia un suo diritto originario, e ciò significa che bisogna comprendere che anche ad ogni rimemorazione di questo gruppo corrisponde per essenza un’idea necessaria: l’idea di un se stesso incancellabile. […] un ricordo intuitivo lontano, se non è fuggevole e fulmineo, ma stabile, sinteticamente riproducibile e identificabile, conosce per essenza soltanto un possibile modo per divenire dubbio e risultare in seguito non valido per ciò che concerne la sua oggettualità: il sovrapporsi caotico delle rimemorazioni.[…] ma da un lato vi è qualcosa che continua a sussistere: il contenuto di ogni ricordo che si è rivelato falso è falso solo riguardo all’unità del suo intero sorto per collegamento, ma resta corretto per ciò che concerne le sue parti». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 163 La rimemorazione di un ricordo lontano permette di dare un senso di definitività esperienziale che può essere modificato solo da una sovrapposizione errata con altre rimemorazioni, che ne modificano l’unità definitiva la quale può nella sua complessità formata da differenti parti, rimane identica. Questo dualismo tra un ricordo fresco e vicino ed uno lontano presuppone una memoria diversificata. Questa diversificazione della memoria è stata ripresa dagli studi di psicologia sia da Piaget che del cognitivismo; entrambi, infatti, distinguevano la memoria in una primaria, che raccoglie le impressioni immediate appena passate, e di una secondaria, che raccoglie i dati significativi di ogni presente conservandoli in una dimensione pre-conscia. La differenza probabilmente è che ancora una volta, in Husserl, le componenti attive della coscienza non bastano alla diversificazione delle impressione ma le cose stesse, nella loro legalità associativa, si danno al soggetto in un certo modo che è già strutturante. Il soggetto ha la possibilità di accedere al proprio passato, ma sono l’affettività e le associazioni, per contrasto o per uguaglianza, che permettono il ridestamento dei ricordi: «[…] Come l’io puro possa divenire cosciente del fatto che ha dietro di sé un campo infinito di vissuti passati, in quanto vissuti suoi propri, un’unità della vita passata nella forma del tempo, in quanto vita che gli è in linea di principio sempre accessibile, grazie alle rimemorazioni o, il che è lo stesso, che è nuovamente ridestabile nel suo essere». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 176 Queste analisi appartengono alla fenomenologia dell’associazione riproduttiva che regolano, abbiamo visto, la possibilità di rivivere e riprodurre un passato vicino o lontano. Adesso Husserl analizzerà l’altra parte, che riguarda la dimensione temporale della coscienza, la protenzione che insieme alle ritenzioni costituisce la struttura temporale dinamica della coscienza: «L’altra metà del problema è costituita dal dominio della fenomenologia dell’associazione induttiva, dell’associazione anticipatrice. Qui vengono chiarite le condizioni essenziali di possibilità di una soggettività che può aver coscienza di sé come l’identica unità dell’infinita vita futura che le appartiene: che può averne coscienza nella possibilità, che qui si dà per scontata, di una soggettività che non deve essere fondata soltanto dalla datità originaria di ciò che accadrà in una vita futura che diverrà presente» Ivi p. 177 5.5 L’associazione anticipatrice e la protenzione Il tema della ritenzione e dell’associazione riproduttiva mette in discussione quest’idea dell’ora come sorgente e come cominciamento assoluto. Ma che questa centralità non è assoluta ma condizionata è evidenziato con ancora maggiore chiarezza quando Husserl prende in considerazione il fungere della prontezione che, come la definisce Derrida è : «quella struttura fondamentale per mezzo della quale la totalità si apre e si riversa per prendere senso nell’anticipazione di un telos che dobbiamo intendere qui nella sua forma più indeterminata» J. Derrida, differenza, cit. p. 33. Secondo Costa, nel problema che riguarda il formarsi della forma la struttura dell’anticipazione, si rivela determinante. «La presa in considerazione della protezione implica infatti, se assunta in maniera radicale, la messa in discussione della nozione di contenuto, di una sua costanza all’interno del processo di ritenzionalizzazione ». V. Costa, op .cit. p. 81 Husserl a riguardo scrive: «Mentre il suono risuona, […] l’attesa (per la verità senza partecipazione attenzionale dell’io), la protenzione si dirige continuamente sul futuro e lo accoglie nel modo del riempimento, lo mette quindi intenzionalmente in forma, infatti la protenzione deve […] essere interpretata come una intentio anticipatrice, cioè come una intentio diretta verso il futuro, come una intenzione pre-diretta e come una tendenza». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 88 La tematizzazione del futuro, nell’associazione anticipatrice, mette in campo il tema di una possibile predelineazione di quest’ultimo e dell’aspettazione da parte della coscienza. Bisogna notare che nelle Lezioni il tema della protenzione viene analizzato in modo piuttosto rapido, perché Husserl gli dedica solamente due capitoli, di cui uno, il quarto della terza sezione, incentrato sul fenomeno dell’attesa, e l’altro, il terzo della quarta sezione, che analizza il problema della possibilità della delusione dell’attesa e della predelineazione determinata della coscienza futura. Questo sbilanciamento rispetto alle analisi dedicate alle protenzioni ed al ruolo delle rimemorazioni è dovuto al fatto che la formazione dell’unità percettiva si compie nell’associazione originaria e che il ruolo della protenzione è fondamentale nel determinare la possibilità di una conoscenza certa e continuata nel tempo. Tuttavia non bisogna sottovalutare l’osservazione di Costa che vede nella protezione una messa in discussione del ruolo stesso della ritenzione e del contenuto, privilegiando una lettura che porta ad una determinazione della percezione proprio attraverso i processi protenzionali. In ogni caso Husserl sottolinea che l’evidenza induttiva, che può portare ad una predelineazione del futuro, ha sempre come sua componente essenziale la possibilità che questa predelineazione non si compia, che il riempimento avvenga secondo altri contenuti. Scrive, infatti: «dal fatto che qualcosa si è verificato in circostanze precedenti simili deduco “induttivamente” in piena evidenza che qualcosa di simile si verificherà adesso. Come ogni deduzione anche questa è dotata di necessità e conduce, nella generalizzazione essenziale, a una legge deduttiva evidente. Solo che qui all’evidenza della motivazione di ciò che è futuro, in quanto elemento da attendere, appartiene la possibilità aperta che subentri qualcosa d’altro». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 248 La possibilità di una delusione dell’attesa non permette di leggere il ruolo della protenzione come completamente determinato ed anticipatore dell’esperienza percettiva futura, anche se negli esempi che Husserl riporta, per quanto riguarda esperienze percettive visive e sonore, l’esperienza protenzionale sembra essere fortemente determinata. Quello che occorre comprendere è la distinzione che sussiste tra la predelineazione e l’attesa in generale, che ha luogo nella protezione, e l’aspettazione che appartiene all’anticipazione o all’attesa in senso proprio. Bisogna in altre parole distinguere la protenzione che è un modo primario di coscienza del futuro, che è una struttura temporale di riempimento, in contrapposizione alla struttura temporale della ritenzione, che invece è di progressivo svuotamento, dall’anticipazione che è un modo secondario e che riguarda le associazioni. L’aspettazione che ha luogo nel fenomeno della protenzione è del tutto vuota, infatti in un passo di Esperienza e giudizio Husserl scrive: «ad ogni momento vissuto che capita entro il flusso dei vissuti appartiene un orizzonte d’aspettazione originaria, seppur del tutto vuota, di una aspettazione che è innanzitutto puramente passiva( pro-tenzione )». E. Husserl, Esperienza e giudizio, cit. p. 100 Al livello protenzionale dell’esperienza originaria, l’anticipazione è attesa di ciò che ancora non si dà, di ciò del quale non si sa ancora nulla. L’attesa si basa sulle sintesi della somiglianza e della coesistenza, quindi si basa in realtà in maniera costitutiva, oltre che sull’associazione originaria, sulle ritenzioni, cioè su un passato esperenziale: «la formazione della struttura della sfera iletica del presente vivente, che prende corpo nel corso delle impressioni e delle ritenzioni in virtù delle condizioni essenziali che le sono proprie, deve essere presupposta affinché l’attesa possa costituire i propri tracciati in questa struttura e possa in seguito subentrare, come ulteriore fenomeno, l’attesa riempita o soppressa. E con ciò è già chiaro che con l’attesa accediamo alla sorgente geneticamente più originaria della modalizzazione». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 246 E nel mettere in evidenza la centralità della ritenzione rispetto all’attesa specifica che «il sopraggiungere del futuro è atteso grazie alla somiglianza con un passato già sopraggiunto, […] il simile ricorda il simile, ma fa sì che ci si aspetti il simile, sia nelle successioni sia nella coesistenza». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 247 L’attesa che ha luogo nel presente vivente, ha dunque la forma dell’aspettazione del simile. Infatti, ad esempio, nel divenire originario di un suono, che si dà in continua fusione di nuove fasi impressionali, è immediatamente co-presente un orizzonte di futuro, cioè un orizzonte di attesa, e questo significa che: «il divenire prossimo ( das Fortwerden ) viene così atteso in analogia con il divenire sinora decorso, e secondo uno stesso stile di decorso continuo». Ivi,. p. 246 Da questa riflessione, possiamo notare che l’associazione anticipatrice non collabora in senso originario alla costituzione delle singole oggettualità, ma che piuttosto è strutturata dalle ritenzioni e dal ruolo delle associazioni originarie. Secondo le legalità delle protezioni e dell’attesa, ha la peculiare funzione di rendere tali oggettualità già costituite anticipanti e predelinenanti, in una forma che può essere più o meno determinata, il futuro decorso percettivo. Husserl in un manoscritto di ricerca specifica che “ il futuro è pre tracciato in quanto passivamente attendibile” E. Husserl, Ms. C 4. cit., p. 9 e Brand specifica che: «il presente procede e defluisce in quanto costante riempimento; esso è continuamente diretto su ciò che verrà, cioè su ciò che deve essere portato a riempimento, che, a sua volta, si definisce continuamente come riempimento, anche se il presente rimane continuamente diretto su qualcosa di nuovo che deve essere portato a nuovo riempimento. L’essere-diretto-sul-futuro come attivo procedere verso il futuro non è un raggiungimento attivo di ciò che deve essere portato a riempimento perché nella disposizione-verso c’è una costante riserva passiva di quest’ultimo. Così, in una certa misura, la protezione è la passività dell’essere-futuro». G. Brand, op .cit. p. 215 Possiamo affermare quindi che la protezione è determinante ma a sua volta determinata dalle precedenti strutture passive in un unione che non è separabile nei suoi singoli elementi. L’impressione primaria, la ritenzione e la protezione assumono una forma ciclica e dinamica che si rapportano tra loro attraverso ruoli diversi di fondazione. Tuttavia, ciò che c’è dato, è un’unità per quanto quest’ultima non è definitiva nella percezione immanente e soggettiva ma sempre incompleta. Proprio questa caratteristica della percezione, la non definitività di qualunque unità permette alla fenomenologia husserliana di essere un sistema aperto piuttosto che chiuso e sistematico. In ogni caso i ruoli che si rapportano tra l’unità data e le sue parti sono determinanti per la costituzione dell’unità stessa. La protezione evidenzia una tendenza percettiva che può essere compiuta o delusa. Questa tendenza, bisogna sottolineare, non proviene dall’io ma al contrario è proprio il soggetto che viene, utilizzando le parole di Husserl, “tirato” da essa. Questa direzione della tendenza è un’anticipazione di senso e quindi permette di determinare il futuro decorso percettivo, anche se abbiamo detto che questa tendenza può in ogni caso essere delusa. Potremmo dire con le parole di Costa che: «la forma non è dunque una donazione di senso proveniente da un atto di una soggettività già costituita che deterrebbe di conseguenza un illimitato potere costitutivo, ma scaturisce dal movimento puro del materiale fenomenologica: dai fenomeni stessi». V. Costa, op. cit. pp. 79-80 Secondo Costa quindi sono i materiali a determinare il senso percettivo del soggetto, le strutture attive hanno solo una funzione di “raccoglimento” di un senso già strutturatosi a priori, il soggetto fenomenologico è un soggetto “debole” e non trascendentale come risulta dalla critica fuorviante di derivazione idealista. Nonostante sia d’accordo con un’analisi materialista della fenomenologia, penso che la soggettiva, per quanto debole e anche strutturata dai materiali stessi, svolga comunque un ruolo fondamentale di selezione dei materiali stessi, e sia dinamicamente relazionata a questi ultimi. Credo che la fenomenologia sia una metodologia filosofica prettamente “relazionale”, rispetto ad una lettura che tende a sottolineare un dualismo incolmabile tra i materiali trascendenti e strutturanti e un soggetto, a sua volta strutturante o strutturato, penso sia interessante notare come Husserl cerchi di superare questo dualismo in un’unità dinamica e relazionale tra le sue parti. In questo caso quindi la trascendenza dell’oggetto si relaziona attivamente con le strutture del soggetto e i rapporti di fondante e fondato non sono sempre fissi, ma anche questi ultimi dinamici. In ogni caso in quest’analisi delle sintesi passive notiamo come non c’è un privilegio dell’impressione originaria nella percezione e come le strutture passive, la ritenzione primariamente e la protezione svolgono un ruolo centrale nella strutturazione delle unità percettive. Come osserva ancora una volta Costa: «Non vi è quindi alcuna sensazione originaria, alcuna sensazione priva di apprensione, e ciò significa che il senso del presente si costituisce solo attraverso la ritenzione[…] Qualcosa si manifesta, diviene cosciente soltanto in quanto riempie o delude un’attesa protenzionale[…] le protezioni scaturiscono associativamente dalla ritenzione ancora fresca e trovano il loro riempimento, la loro conferma o la loro falsificazione in ciò che si fa avanti immediatamente. Perché vi sia attesa vi deve dunque già essere una relazione associativa primaria che si realizza tra contenuti passati e contenuti presenti. Lo stile del decorso passato predelinea, traccia lo stile di quello futuro e in questo modo si formano delle attese contenutisticamente fondate». V. Costa, op. cit. p. 83 Possiamo dire che le ritenzioni sono dunque fondanti delle protezioni che a loro volta sono fondanti rispetto al futuro decorso percettivo, in una circolarità per cui le protezioni svuotandosi diventano a loro volta delle ritenzioni che riempiono nuove protezioni e così di seguito. Il problema di questa circolarità è l’inizio di questa catena di protezioni e ritenzioni. Perché possa esserci una protezione deve esserci già stato un decorso. Considerando a fondo la questione, possiamo a mio parere giudicare il problema dell’inizio originario come in realtà superfluo. Se consideriamo la struttura percettiva tra un soggetto e il mondo come circolare e dinamica, relazionale per l’appunto, il problema dell’inizio non ha più alcun senso, in quanto apparterrebbe ad una lettura della percezione come stratificata e lineare, in cui il decorso temporale si accumula staticamente in rapporti unidirezionali. In quest’analisi dinamica e relazionale potremmo considerare l’origine primaria, la prima percezione, possiamo dire, in maniera heideggeriana: il soggetto ha una “apertura originaria” rispetto al mondo, si inserisce direttamente in questa ciclicità dinamica per cui le sensazioni possono essere considerate primarie nel momento stesso di questa apertura, biologica e psicologica, ma in seguito perdono questo senso di origine. Klaus Held nota che alla base della protezione vi è una curiosità originaria e quindi, poiché questa non può mai essere compiutamente soddisfatta, dato che la vita percettiva che esperisce il mondo è, nell’attesa e nella protezione, costantemente oltre se stessa, vi è per essenza, alla base di ogni presente percettivo, una teleologia primitiva e per lo più inconscia. K. Held, Lebendige Gegenwart, Die Frage nach der Seinsweise des transzendentalen Ich bei Edmund Husserl, entwickelt am Leitfaden der Zeitproblematik, Nijhoff, Den Haag 1966, p. 43 Ancora una volta viene privilegiata una lettura teleologica e lineare, che in ogni caso è presente nel discorso husserliano per quanto riguarda la possibilità riempiente della protezione, però la cosa interessante è notare come alla base di ogni presente percettivo vi sia una struttura inconscia, affondata nelle cose in maniera diretta ma non cosciente, un afferramento immediato, potremmo dire biologico in qualche modo, che si fonda sull’apertura del soggetto al mondo. In ogni caso bisogna tenere conto, come abbiamo notato dei fenomeni di fondazione tra le parti che all’interno di questa relazione circolare avvengono. La riflessione husserliana tra i vari livelli costitutivi dell’esperienza è molto complessa ed articolata. Husserl mostra che sussiste un rapporto di fondazione sia tra la temporalità, l’associazione e la percezione, e tra l’associazione originaria, riproduttiva e anticipatrice. Tra la sintesi temporale e quell’associativa vi è un rapporto di fondazione tale che la seconda si fonda sulla prima che rappresenta “la lettera A dell’ABC della costituzione di ogni oggettività che divenga cosciente” E. Husserl, Lezioni, cit. pp. 177-178, ma al tempo stesso tale che la prima non è senza la seconda, quindi anche in questo caso possiamo notare come il susseguirsi lineare degli eventi, dei rapporti fondante fondato, sia comunque da inserirsi all’interno di una visione globale dinamica e circolare di dipendenza tra le parti. Nelle analisi sulle sintesi passive è emerso che le legalità associative si fondano su quelle temporali, in maniera più precisa, che la somiglianza si fonda sulla successione e sulla coesistenza e la contiguità sulla durata. Per quanto riguarda la successione temporale di eventi Husserl la spiega legandola, abbiamo già detto alla somiglianza, una percezione simile ad un’altra può determinare il contenuto futuro di quest’ultima, in una successione temporale: «se questo originario ordinamento [la sintesi temporale] ha prodotto ora un concatenamento necessario tra dati in qualsivoglia modo determinati contenutisticamente, allora nella successione temporale gli incrementi contenutisticamente determinati si possono concatenare in quanto tali e formare così unità seriali in un incremento coerente. Allo stesso modo possono anche sorgere unità seriali nella pura eguaglianza e somiglianza contenutistica». E. Husserl, Lezioni, op. cit. p. 188 La legalità associativa all’interno della sintesi temporale risente fortemente in questo caso delle leggi della contiguità e della somiglianza, in un rapporto di fondazione percettiva. Husserl continua osservando che la coesistenza temporale ordina la somiglianza: «Vediamo che, analogamente al campo della successione, in quanto campo originario dell’ordinamento con posizioni temporali variabili, vi è anche qui un campo di posizioni dell’ordinamento che nella coesistenza predelineano un concatenamento.[…] Comunque, similmente a quanto accade per la forma della successione, abbiamo predelineata una forma di ordinamento, in cui si adoperano ora questi, ora questi altri contenuti giungendo ad unità». Ibidem La coesistenza precede un concatenamento basato su somiglianze contenutistiche, la coesistenza è un ordinamento temporale del contenuto. L’unità per Husserl sì dà solo in una continuità temporale, in una dinamicità che non si arresta in un punto esclusivamente statico, infatti “un’unità concreta, quella di un dato immanente, è immaginabile solo come continuità del contenuto nella e grazie alla continuità di un’estensione, di una durata”. Ivi p. 195 Per esempio il suono di un violino è «unità di una fusione continua di fase in fase; ed è solo nel divenire continuo, nell’ordinamento temporale che il contenuto può fondersi in forma continua». Ibidem Il contenuto quindi è strettamente legato allo sviluppo temporale sequenziale, l’unità si dà in un processo. Questo ci riporta alla considerazione sulla dinamicità della percezione nella fenomenologia di Husserl. Per quanto la considerazione sulle legalità associative temporali evidenziano uno sviluppo lineare e progressivo a mio parere questo andamento lineare è osservabile solo in micro processi, all’interno di una macro struttura che presenta un andamento temporale circolare. Da queste analisi sulle sintesi passive si evidenzia un rapporto di stretta dipendenza. Tra la sintesi temporale, la sintesi associativa e la sintesi percettiva vi è un reciproco rapporto di dipendenza, le parti tra di loro si legano in un rapporto gerarchico e di dipenda per cui una non può essere senza l’altra. L’esperienza è quindi strutturata da queste sintesi passive e ante predicative. L’oggetto si da a noi solo grazie a queste associazioni inferiori e non direttamente esperibili. Dopo avere definito i rapporti di fondazione tra i vari livelli della costituzione dell’oggettualità, è necessario approfondire i rapporti che sussistono all’interno della complessa legalità associativa tra l’associazione originaria, quella riproduttiva e quell’anticipatrice. Già abbiamo osservato che sia l’associazione riproduttiva che quella anticipatrice si fondano su quella originaria, anche se abbiamo specificato come sia complessa la questione inerente all’originarietà, al dato primario, il che rende comunque queste analisi di Husserl sulla priorità costitutiva di un associazione su un’altra abbastanza discutibili. L’associazione originaria non è pura e indipendente, ma si inserisce in un unità in cui le parti sono strettamente legate. Husserl esplicita questo legame tra le parti non indipendenti chiarendo il rapporto di fondazione tra l’attesa, la rimemorazione e l’associazione originaria: «la tipicità e la legalità dell’attesa sono - lo vediamo – del tutto dipendenti sia dalla tipicità e dalla legalità dell’associazione riproduttiva sia – attraverso questa mediazione – da quella legalità dell’associazione originaria che ha luogo nella sfera del presente vivente». E. Husserl, Lezioni, cit. p. 250 Possiamo quindi riassumere che dalle sintesi passive viene evidenziato che la percezione viene strutturata proprio da queste ultime che forniscono il materiale, strutturato secondo la forma ed il contenuto, a partire da questi materiali si costituisce l’oggettualità. All’interno delle sintesi passive la sintesi associativa si fonda su quella temporale e, in maniera specifica, la somiglianza si fonda sulla successione e sulla coesistenza, e la continuità sulla durata, inoltre tra le varie forme della sintesi associativa, l’associazione riproduttiva e quell’anticipatrice si fondano sull’originaria. Questa catena che pone come fondamentale il presente vivente come forma di ogni affezione, a mio parere non tiene conto della problematicità del discorso husserliano per quanto riguarda l’origine. Abbiamo osservato anche nel precedente capitolo come questa ricerca dell’inizio, questo considerare lo sviluppo temporale come lineare e stratificato, porta al problema dell’infinito regresso, problema che non sussisterebbe considerando la genesi in modo temporalmente circolare. L’origine quindi sarebbe semplicemente l’apertura al mondo. Probabilmente è la riduzione fenomenologica che innesta questo tipo di problematica perché esamina le attività del soggetto e la genesi esperienziale in una dimensione statica, quella per l’appunto di un presente fittizio. In ogni caso non bisogna dimenticare che questo presente è metodologico, in realtà, come abbiamo cercato di dimostrare, la temporalità del soggetto e del mondo sono relazionate e continuamente dinamiche e le strutture del passato e del futuro, nella loro dimensione relazionale e circolare, contribuiscono in maniera determinante all’esperienza percettiva. L’associazione originaria sarebbe primaria, a mio avviso, solo per un vizio metodologico e non per un discorso propriamente genetico. Penso che la scelta di husserl sia una scelta di comodità investigativa. Il presente è la nostra esperienzialità immediata, naturale, ma nelle analisi fenomenologiche quest’ultima perde continuamente il suo ruolo inizialmente privilegiato fino a diventare una determinazione delle strutture passive. L’unico privilegio che rimarrebbe al presente sarebbe quello della presentazione primaria, dell’origine, ma anche in questo caso abbiamo potuto osservare come secondo le linee sviluppate dagli studi husserliano sia molto più complicato sostenere questa linearità temporale piuttosto che seguire l’andamento circolare tra le componenti temporali. CONCLUSIONI In questo lavoro ho cercato di analizzare nelle loro relazioni due delle principali tematiche della fenomenologia di Edmund Husserl: la percezione e la temporalità della coscienza. L’analisi che è partita dai primi scritti di Husserl, quelli della così detta fenomenologia statica, si è successivamente concentrata sulla ricerca genetica ed esplicativa di fondazione dei significati. In questo percorso espositivo abbiamo cercato di seguire delle linee direttive: La differenziazione introdotta da Husserl nelle Ricerche logiche tra apprensione e contenuto d’apprensione, che implica un dualismo tra i materiali inerenti ad un contenuto e quelli realmente appresi che diventano anche intenzionali. Il dualismo tra la trascendenza delle cose, del mondo contro l’immanenza degli oggetti intenzionali della coscienza e la loro non poco problematica relazione in una ricerca di una sintesi conoscitiva stabile. La differenziazione iniziale tra materia e qualità delle Ricerche logiche e la necessità di limitare metodologicamente l’analisi alla costituzione dei significati intenzionali e coscienziali. I problemi relativi al rapporto tra hulè e morphè all’interno dei processi costitutivi coscienziali. Questi rapporti sono stati analizzati alla luce delle analisi messe a punto da Husserl nella Seconda delle Ricerche logiche circa il rapporto tra l’intero e le parti. La ricerca dell’inerenza tra le strutture passive, pre-intenzionali, sensibili e quelle attive, percettive, ancora una volta quindi tra le strutture apprensive ed i contenuti appresi. Il tentativo di dissoluzione di questo schema che porta, soprattutto nelle analisi genetiche, ad una serie di aporie che impediscono una analisi delle strutture fondanti. L’analisi della temporalità coscienziale all’interno di una coscienza assoluta, in cui attraverso l’impressione originaria prenderebbe avvio la possibilità della percezione. L’analisi delle strutture passive e le legalità relative alla formazione di un’unità percettiva e temporale. La ricerca di leggi stabili della formazione di un intero rispetto alle sue parti. La determinazione delle strutture temporali sulle possibilità conoscitive e percettive. Queste sono le linee che Husserl stesso ha tracciato nelle sue analisi, ma il lavoro svolto, oltre ad esplicitare le tappe fondamentali della ricerca fenomenologica si è trovato di fronte a prospettive a volte contraddittorie e sicuramente non facilmente sistematizzabili. Sinteticamente possiamo riassumere in alcuni punti fondamentali le osservazioni venute alla luce durante la ricerca: innanzi tutto abbiamo notato come la struttura delle analisi sia percettive che temporali ripeta i meccanismi di relazione tra un intero e le sue parti, un rapporto che si instaura tra parti indipendenti e non indipendenti, fondanti e fondate, e come proprio per questa proprietà delle unità rende le contrapposizioni ed i dualismi sempre in una relazione reciproca nella strutturazione di un unità. Possiamo dire, in conclusione, che il dualismi insiti alla fenomenologia husserliano non sono ontologici, ma unicamente metodologici. L’analisi dei testi di Husserl, partendo da quelli inerenti ad una fenomenologia statica a quelli propriamente della fenomenologia genetica, ha messo in evidenza un’unità di relazione tra i materiali, provenienti dalla trascendenza degli oggetti, e la costituzione di oggetti percettibili e conoscibili temporalmente dalla coscienza. L’unità percettiva è un punto di partenza metodologico e non un ounto di arrivo. Questa unità non si completa nell’istante percettivo, è un’unità aperta, che si relaziona costantemente con i materiali provenienti dal mondo esterno e trascendente. Per questo possiamo dire che la fenomenologia cambia il modo di pensare il rapporto filosofico tra soggetto ed oggetto. Rispetto alla tradizione filosofica classica, in cui i due termini sono sempre stati in opposizione ontologica, la fenomenologia di Husserl cerca di porsi in un’altra prospettiva, al di là di facili riduzionismi e seguendo una complessità di ricerca che vuole essere epistemica. Questa proprietà essenziale di costituzione di un intero rende la filosofia di Husserl estremamente dinamica e non riducibile ad una delle parti in relazione. La fenomenologia si pone come una metodologia radicale che permette di ripensare il ruolo del soggetto in un mondo complesso, quale quello contemporaneo, inserendolo in un processo conoscitivo complesso e aperto a diverse istanze. Gli interi sono sempre dei punti di partenza di nuove ricerche e mai dei punti di arrivo teleologicamente strutturati. L’analisi sulla temporalità della coscienza e l’approfondimento della coscienza assoluta ha evidenziato, in una lettura derridiana, un privilegio della presenza, del presente come origine. Ma questo privilegio sembra tuttavia fittizio o comunque esclusivamente metodologico. La presenza è un punto di vista privilegiato per un’ indagine sui contenuti, ma la stessa indagine ci porta a conclusioni che mettono fortemente in dubbio questo privilegio. Le analisi sulle strutture passive hanno evidenziato quanto le ritenzioni e le strutture pre intenzionali influenzino e in buona parte strutturino le esperienze percettive ed il decorso stesso futuro della percezione. Invece che a un soggetto trascendentale, forte, strutturante di tipo kantiano ci troviamo di fronte ad un soggetto che potremmo definire fondato più che fondante, strutturato, un soggetto “debole” (in anticipo, potremmo dire, sulle rielaborazioni filosofiche che porteranno allo strutturalismo e successivamente alla cosiddetta “morte del soggetto”). La riflessione che possiamo trarre da questo lavoro è un rovesciamento delle categorie in cui viene inserita solitamente la fenomenologia husserliana. Le analisi critiche hanno privilegiato una lettura o trascendentale, o neoidealista della fenomenologia, con degli approdi quasi mistici, come quelli di Wetz, o materialista in associazione alle dottrine marxiste, essenzialmente legata alla critica della scuola milanese da Enzo Paci in poi. Sebbene personalmente privilegi la lettura critica che sottolinea il ruolo dei materiali, delle strutture passive, rispetto ad una eccessivamente trascendentale, penso che la fenomenologia di Husserl non sia riducibile a nessuna di esse. L’analisi fenomenologica è un’analisi aperta e dinamica che non si chiude in una struttura chiusa, in un sistema. Risulta una tendenza “relazionale” tra le parti in questione, una relazione che sfuma i dualismi oppositivi di trascendenza e immanenza, soggetto oggetto, materia e forma. Questo non presuppone, come abbiamo detto uno spostamento verso una delle parti ma un’ interrelazione sostanziale. Nonostante le analisi husserliane spesso non evidenzino questa dinamicità e questa essenziale relazione unitaria tra le parti, a mio avviso questa è una tendenza che si legge tra le righe della ricerca fenomenologica ed è soprattutto evidente nelle analisi sulla temporalità della coscienza. Possiamo dire che la struttura temporale che mette appunto Husserl non è lineare e progressiva, come può sembrare ad una prima lettura, ma circolare e verticale, graficamente immaginabile come una spirale dinamica. Anche in questo caso le parti, il presente, il passato, il futuro, sono solo dei momenti fermati metodologicamente in modo funzionale alle analisi descrittive e ancora statiche della fenomenologia. La circolarità a spirale della struttura temporale si evidenzia soprattutto nel problema dell’origine. Il problema dell’origine, dell’impressione primaria è tipica di una concezione dello spazio e del tempo lineare in cui si ha un principio ed una fine. Ma le analisi husserliane mettono in evidenza che non c’è un’ origine assoluta ma solo un’ apertura al flusso vitale, in qualche modo una visione vicina in parte alle analisi heideggeriane nel momento che vedono il soggetto come un’ apertura originaria all’essere. Considerando la struttura temporale di Husserl non lineare ma circolare e a spirale dinamica le aporie in cui Husserl si imbatte ripetutamente nei manoscritti L e C e anche nelle Sintesi passive verrebbero automaticamente meno, e ancora una volta si evidenzierebbe una stretta relazione dinamica tra le parti nella formazione di un unità conoscitiva in cui le strutture passive e non intenzionali, preconscie per non dire inconscie, svolgono un ruolo determinante. Sarebbe interessante approfondire in questo senso anche l’analisi di Zahavi sul fatto che la percezione husserliana non passa attraverso la rappresentabilità, la dimensione spaziale assume quindi un’ importanza secondaria rispetto a quella esperienziale temporale e dinamica. Se inizialmente le analisi percettive si basano ancora cartesianamente sull’evidenza e se questa evidenza è essenzialmente visiva, successivamente le analisi descrittive sottolineano già nelle Ricerche logiche come la percezione si basi su una continuità temporale che non è legata alla possibilità rappresentativa; si può avere percezione anche di ciò che in realtà non è ancora intenzionato, di ciò su cui ancora non si ha una focalizzazione attentiva. La percezione rappresentativa era peculiare delle analisi di Brentano e prima ancora dell’empirismo, ma Husserl si distacca da entrambi questi ultimi modelli che indubbiamente lo hanno influenzato. La fenomenologia di Husserl si oppone a qualsiasi forzatura e nel suo essere dinamica, aperta, relazionale, ed allo stesso tempo unitaria e comprendente in una sintesi sempre aperta le parti, assume le caratteristiche di un sistema solistico, anche se il termine sistema non è adeguato in questo particolare contesto perché indica una chiusura che non appartiene adesso. Definisco la fenomenologia di Husserl olistica per il suo comprendere i dualismi in un'unica unità, un flusso vitale e materiale unico e dinamico e perché secondo la definizione di Bohm, l’olismo è un nuovo modo di pensare coerente con la fisica moderna ed in grado di non separare la mente dalla materia ed il soggetto dall’oggetto. Una lettura olistica della fenomenologia permette di riconsiderare tutte le aporie e le difficoltà esplicative che si è trovata a d affrontare. Una visione non oppositiva e non dualistica e non progressiva e lineare permetterebbe alle analisi descrittive di non contrapporsi a quelle genetiche per integrarsi reciprocamente. BIBLIOGRAFIA OPERE DI HUSSERL E. Husserl, Logica formale e trascendentale, trad. di G.D. Neri, Laterza, Bari, 1966. Formale und trascendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen Vernunft (Hua XVII) a cura di P. Janssen, den Haag, M. Nijoff, 1974. E. Husserl, Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906-07, a cura di U. Melle, den Haag, M. Nijhoff, 1984. E. Husserl, Ricerche logiche, trad. di G. Piana, 2 voll. Il Saggiatore, Milano, 1968. Logiche Untersuchungen. Zweiter Teil: Untersuchungen zur Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis. I. Band (Hua XIX/2) a cura di E. Holestein, den Haag, M. Nijhoff, 1984. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), a cura di A. Marini, Franco Angeli Editore, Milano 1992. 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