IL PROGETTO ETICO E L’IDEA DI
SCIENZA IN HUSSERL
Susi Ferrarello
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A mia sorella
SOMMARIO
INTRODUZIONE
CAPITOLO 1 – HUSSERL E L’IDEA DI SCIENZA
1.1 La formazione
1.2 Avvicinamento allo psicologismo
1.2.2 La polemica contro lo psicologismo ed il logicismo.....
1.2.3 L’idea di scienza e di fenomenologia
1.2.4. L’etica e la scienza fenomenologia
CAPITOLO 2 - IL PROGETTO ETICO E LA FENOMENOLOGIA
2.1 Le lezioni di etica del 1914..
2.1.1 Il parallelismo tra logica ed etica
2.1.2 L’intenzionalità degli atti pratici..
2.2. Il contenuto della scienza etica del 1914..
2.2.1 Le leggi del parallelismo e dell’intreccio
2.3 La fenomenologia genetica
CAPITOLO 3 – IL FONDAMENTO DELLA SCIENZA ETICA DOPO
L’INTRODUZIONE DEL METODO GENETICO
3.1 Fenomenologia statica e genetica
3.1.1 La definizione di volontà negli scritti del 1920
3.1.2 L’intenzionalità degli atti pratici dopo il 1917
3.2 La coscienza razionale, irrazionale e non razionale
3.2.1 Persona, io puro e coscienza
CAPITOLO 4 – LA SCIENZA ETICA NELLE LEZIONI DEL 1920-1924
4.1 Il progetto etico nel 1920-1924
4.2 Tecnologia e scienza
4.3 La nuova idea husserliana di scienza
CAPITOLO 5 – CONCLUSIONI5.1 La scienza etica: il raddoppiamento del
concetto di tecnologia
5.1.1 La scienza etica e le scienze
5.1.2 La scienza in generale
5.2 I problemi del parallelismo
5.2.1. L’evoluzione dell’intenzionalità
5.2.2 La razionalità della scienza
5.2.3. Il progetto etico e la produzione fenomenologia
BIBLIOGRAFIA
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Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
3
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
INTRODUZIONE
Perché scegliere l’etica per accostarsi ad Husserl? Patočka nelle prime
pagine di “Introduction à la phénoménologie”, elabora una definizione
della fenomenologia, che sembra avere una connotazione etica. La
definisce infatti come “una riflessione parallela sul senso sia delle cose
che della vita umana: riflessione per la quale è necessaria una scienza
rigorosa ed una visione stessa della scienza secondo il suo significato
fondamentale per la vita”1.L’etica husserliana sembra essere una parte
marginale del pensiero fenomenologico e sembra essere frammentaria
ed inconcludente. Per di più, Husserl non ha mai dato alle stampe
nessun suo scritto di argomento etico (fatta eccezione per i cinque
articoli usciti nella rivista Kaizo): i testi più importanti per lo studio
dell’etica husserliana sono costituiti da una serie di lezioni che il filosofo
tenne tra i primi anni del ‘900 ed il 1924 e che non risistemò mai in un
testo organico. Inoltre, dei volumi pubblicati nella collana della
Husserliana che raccolgono tutti gli scritti editi ed inediti di Husserl, solo
due sono specificatamente di argomento etico.
Possiamo tuttavia dire che accostarsi all’etica di Husserl è utile perché
essa costituisce una sorta di taglio trasversale nella sua produzione
1
Un sentito ringraziamento per la stesura di questo volume va ai professori Jocelyn
Benoist e Paolo Zecchinato che hanno pazientemente letto il mio lavoro con spirito critico
e costruttivo. Devo ringraziare poi, in modo particolare Claudio Majolino per le continue e
preziose discussioni. Ringrazio ancora per la disponibilità gli Archives Husserl di Parigi,
presso cui ho pouto consultare un gran numero di testi critici e manoscritti husserliani.
Ringrazio in ultimo Federico e Polly per essermi stati vicini nei momenti più faticosi del
lavoro.
1
Patočka, J. Introduction à la phénoménologie de Husserl, Paris, Million, 1992, p. 7.
3
fenomenologica. Il progetto etico husserliano infatti, impone all’autore di
riflettere e mettere in discussione molti dei temi cardine del suo pensiero;
in modo particolare la sua definizione di intenzionalità, razionalità e
scienza.
La trave portante del nostro lavoro consisterà, quindi, nel mostrare come
la riflessione sull’etica induca Husserl a cambiare la propria posizione
filosofica rispetto a temi rilevanti del proprio pensiero, e più precisamente
come essa lo porti ad una nuova definizione di scienza, valida non solo
per l’etica ma per ogni tipo di scienza. L’’onestà’2 che Gadamer
attribuisce alla ricerca husserliana, porta Husserl a conseguenze
inaspettate ed estranee rispetto alla tradizione filosofica da cui aveva
preso le mosse3. Crediamo che con il perseguimento del suo progetto di
fare dell’etica una scienza, il fenomenologo sia arrivato a proporre una
nuova idea di razionalità, di intenzionalità e di coscienza, diversa dalla
tradizione filosofica cartesiana, humiana o kantiana.
Proporrò inoltre, in forma di semplice spunto, una possibile apertura
neuroscientifica del discorso etico husserliano. Infatti, seppure l’etica di
Husserl non sia e forse non debba mai divenire una scienza, attraverso
la sua analisi emergono degli aspetti relativi allo studio della mente
2
Gadamer, H.G. riporta un passaggio biografico interessante come testimonianza
dell’approccio husserliano al lavoro scientifico: “La questione primaria di Husserl, in cui
egli si immergeva con penetrante scrupolosità, era: (…) come posso compiere ogni
passo del mio pensiero così che ogni passo ulteriore possa poggiare su di un terreno
sicuro? Come posso evitare ogni presupposizione ingiustificata e realizzare così
finalmente anche in filosofia l’ideale della scienza rigorosa? (…) come posso diventare un
filosofo onesto?“ (Il movimento fenomenologico, Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 10.)
3
Riguardo al rapporto tra Husserl e la tradizione filosofica si possono confrontare i
seguenti testi: Ales Bello, A. Husserl e le scienze, Roma, La Goliardica editrice, 1980;
Bianchi, I.A. Etica husserliana. Studio sui manoscritti inediti degli anni 1920-1934, Milano,
Franco Angeli, 1999; Bianchi, I. A. Fenomenologia della volontà, Milano, Franco Angeli,
2003; Bernet R.; Kern,I.; Marbach E., Introduction to Husserlian Phenomenology,
Evanston, Northwestern University Press, 1993; Bernet R.; Kern I.; Marbach E. Edmund
Husserl. Darstellung seines Denkens, Hamburg, Felix Meiner Verlag; trad. (a cura di) La
Rocca, C. Edmund Husserl, Bologna, Il Mulino, 1992; Costa, V.; Franzini E.; Spinicci, P.,
Fenomenologia, Firenze, Einaudi, 2001; Donnici, R., Intenzioni d’amore di scienza e di
anarchia, Napoli, Bibliopolis, 1996; Donnici, R. Husserl e Hume, Napoli, Bibliopolis, 1989.
4
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
umana che sono congruenti con alcuni studi neurologici contemporanei.
Questo volume quindi si concentra sull’etica elaborata tra il 1914 ed il
1924. È stato scelto questo decennio per due principali ragioni:
I due gruppi di lezioni etiche più unitarie e coerenti di cui disponiamo,
appartengono a questo decennio e sono state pubblicate nei volumi di
Husserliana XXVIII (“Vorlesungen über Grundfragen zur Ethik und
Wertlehre”) e XXXVII (“Einleitung in die Ethik”) 4
In questo periodo è possibile individuare le tappe di un’evoluzione teorica
determinante per la finale fisionomia della fenomenologia husserliana.
Seppure l’oggetto del nostro lavoro sia l’etica husserliana, avvertiamo il
lettore che essa non sarà sempre il tema dominante delle nostre pagine.
Approfondendo lo studio degli scritti etici husserliani (editi ed inediti),
abbiamo potuto notare come il tema dell’etica porti spesso Husserl a
lavorare su questioni che non riguardano solo il campo etico. La
bipartizione che induce a distinguere tra filosofia teoretica e filosofia
pratica, spesso scompare nelle ricerche etiche husserliane.
L’obiettivo che Husserl si propone in etica è quello di fare di essa una
scienza simile alla logica o alla matematica. Con nostra sorpresa, dopo
aver cercato negli archivi dei manoscritti che potessero dire qualcosa di
più circa il progetto di fondazione scientifica dell’etica, che Husserl
4
Nel caso del volume XXVIII, vengono sintetizzati in esso anche i risultati delle
precedenti ricerche. Il 1897 è infatti, la data del primo manoscritto (Ethik 3
Wochenstunden) che è stato raccolto e pubblicato da Melle nel volume XXVIII della
Husserliana. Per quel che concerne la storia critica dei testi etici di Husserl possiamo dire
che il primo volume pubblicato sulle lezioni husserliane di etica è quello di Roth, A.
Edmund
Husserls
ethische
Untersuchungen:
dargestellt
anhand
seiner
Vorlesungmanuskripte, Den Haag, Martinus Nijhoff, 1960. Roth è il primo che negli anni
‘60 fa conoscere i manoscritti delle lezioni di etica tenute da Husserl dal 1890 al 1924 e
raccolte nei gruppi di manoscritti (Husserls Vorlesungsmanuskripte) F I 11, 14, 20, 21, 23,
24 e 28. Alcuni di questi (rispettivamente: F I 11, 14, 20, 21, 23) e alcune pagine dei
manoscritti A IV 22, A V 4, A VI 25 sono state pazientemente redatte da Melle e
pubblicate nel XXVIII volume della collana Husserliana solo nel 1988. Il gruppo F I 24 e
28 viene pubblicato nel XXXVII volume della Husserliana nel 2004 grazie alla cura di
Hennig Peucker. Gran parte di questo volume è stato tradotto in italiano da Nicola Zippel
e Francesco Saverio Trincia in un testo intitolato Introduzione all’etica edito da RomaBari, Laterza, 2009.
5
enuncia nelle Vorlesungen del ‘14 e nell’Einleitung del ’24, abbiamo
dovuto concludere che l’intento che più anima ed unifica le ricerche
etiche husserliane è quello della fondazione scientifica stessa. Husserl
nasce come matematico e la sua passione per la scienza sembra
dominare anche le sue ricerche in campo morale. Con ciò non vogliamo
dire che in Husserl il discorso etico sia assente, vogliamo solo mettere in
evidenza che spesso, anche nei manoscritti, non si ragiona sui temi
classici della morale, ma piuttosto su come fondare delle verità e delle
leggi etiche che siano universalmente valide. Le tesi che intendiamo
sostenere, dunque, nel nostro lavoro sono le seguenti:
La caratteristica dominante e più originale dell’etica husserliana
consiste nella sua pretesa di scientificità e nel progetto che l’autore
costruisce intorno ad essa.
Il progetto husserliano incontra delle difficoltà perché: 1) costruisce il
suo percorso etico sulla base di un parallelismo, quello tra logica ed
etica, che ha delle debolezze; 2) la scienza etica si trova inserita
all’interno di una circolarità che o nega la stessa idea di scienza o la
rinnova. Per Husserl infatti la scientificità di una disciplina trova la sua
radice nella ragione. Lo strumento che egli utilizza per indagare la
ragione della coscienza è la fenomenologia, la scienza di tutte le
scienze (Wissenschaftslehre). Per Husserl, quindi, ogni scienza che
si fonda nella ragione e che si inscrive nella generale scienza
fenomenologica non solo si fonda, ma indaga al tempo stesso ciò su
cui si fonda. Se la definizione di coscienza o di razionalità della
coscienza cambia, cambia anche la definizione di scienza in generale
e di scienza fenomenologica in particolare.
Crediamo che il progetto husserliano di fondare una scienza etica
abbia un’incidenza importante sull’impostazione generale del suo
pensiero fenomenologico (nei termini che abbiamo chiarito sopra),
6
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
sull’idea di scienza husserliana e sulla pretesa di scientificità della
sua fenomenologia. Nel decennio che abbiamo scelto come periodo
focale della nostra analisi, Husserl si avvicina sempre di più ad
individuare, attraverso la sua analisi della coscienza, degli elementi
irrazionali e personali. Questi elementi, essendo un tutt’uno con la
coscienza, ovvero con ciò che egli all’inizio delle ricerche indica come
assolutamente razionale e fondante di ogni idea di scienza,
contaminano il fondamento stesso della scienza o modificano la sua
idea assolutamente razionale di scienza, rendendo questa qualcosa
di sempre più vicino al mondo quotidiano.
7
8
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
9
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
CAPITOLO 1
HUSSERL E L’IDEA DI SCIENZA
1.1 La formazione culturale
Nei dizionari o nei manuali di storia della filosofia Edmund Husserl è
definito come quel filosofo tedesco che ha fondato ed ispirato una
corrente di pensiero che va sotto il nome di fenomenologia. Tuttavia,
sebbene venga unanimemente riconosciuto come filosofo, la formazione
culturale di Edmund Husserl è prevalentemente di carattere matematico
ed essa influisce, a nostro avviso, non poco sullo sviluppo dei suoi
interessi filosofici.
Nel 1876 inizia gli studi universitari a Lipsia, iscrivendosi alla facoltà
di matematica; frequenta i corsi di matematica e fisica e si interessa in
modo particolare di astronomia e di ottica. Nel 1878 si trasferisce a
Berlino per continuare i suoi studi con matematici del calibro di Karl
Weierstrass (1815-1897) e Leopold Kronecker (1823-1891). Nel 1881 si
sposta ancora a Vienna per studiare con Leo Königsberger (un allievo di
Weierstrass) e nel 1883 si laurea con una dissertazione sulla Teoria del
calcolo delle variazioni, inserendosi per la prima volta all’interno del
dominante dibattito matematico dell’epoca, allora relativo al problema del
numero5.
5
Ciò su cui principalmente verteva il dibattito era la dimostrazione della verità del numero
e del suo utilizzo nel campo matematico. L’obiettivo di alcuni matematici era quello di
dare una dimensione ‘filosoficamente esatta’ ad una disciplina dalle enormi applicazioni
pratiche, ma legata ancora a concetti intuitivi. Le principali scuole che si svilupparono a
seguito di questo impulso furono tre: quella di Frege (1848-1925), Cantor (1845-1918) e
Russel (1872-1970). Quest’ultima aveva come obiettivo quello di fondare la matematica
sui principi apodittici della logica; quella formalista di Hilbert (1862-1943) messa poi in
crisi dai teoremi di Gödel (1906-78), tentava di fondare la verità del numero sullo studio
parallelo dell’assioma, ovvero sulla teoria della dimostrazione sia in matematica che in
logica; ed infine la posizione intuizionista di Brouwer (1881-1966) e Weyl (1885-1955),
comportava una definizione degli enti matematici non come costruzioni esterne date al
matematico, che le descrive con i suoi assiomi e teoremi, ma come costruzioni mentali.
L’obiettivo che in sostanza queste diverse posizioni matematiche si proponevano di
raggiungere, era di poter spiegare l’idea di numero al fine di: legittimare il linguaggio
matematico, dissolvere le sue ambiguità semantiche e convalidare gli strumenti con i
quali essa deduceva gran parte delle verità utilizzate nel mondo pratico e quotidiano. E’
significativo notare come Husserl sia stato un termine di confronto e scontro per tutte e
tre le scuole (Cfr. La corrispondenza scientifica di Edmund Husserl: Briefwechsel, Bd. VII
11
1.2.1 Avvicinamento allo psicologismo6
Il 1891 è l’anno di pubblicazione della Filosofia dell’aritmetica 7 ;
quest’opera è il frutto dell’incontro decisivo di Husserl con la filosofia.
Pochi anni prima, il giovane filosofo aveva stretto amicizia con Masaryk
(il futuro primo presidente della Cecoslovacchia). Ci raccontano
Schuhmann8, Donnici9 e Farber10 che l’amicizia con questo personaggio
ha un ruolo molto importante nell’avvicinamento di Husserl alla filosofia.
All’epoca, Masaryk aveva 27 anni e seguiva già da tempo i corsi tenuti
da Brentano. Su suo consiglio e col suo supporto, Husserl segue quelle
lezioni ed entra a contatto con l’empirismo inglese filtrato dalla cultura
austro-ungarica di fine Ottocento e disprezzato invece dai successori
dell’idealismo tedesco 11 . Allora Brentano incoraggiava i suoi allievi ad
approfondire lo studio di Hume e proponeva alla cultura filosofica
austriaca un campo d’indagine ed un metodo che si opponevano a quelli
Wissenschaftskorrespondenz, (a cura di) Schuhmann, K. The Hague, Kluwer Academic
Publishers, 1994). Le critiche di Frege, la stima di Gödel e Weyl sono una testimonianza
di come il lavoro di Husserl sia stato sentito anche dai matematici di questo periodo. Il
matematico Gödel ad esempio riteneva Husserl uno dei più grandi filosofi del secolo,
soprattutto per l’analogia da lui posta tra il problema dell’esistenza del mondo esterno e
quello dell’esistenza di entità matematiche come il numero (Cfr. Tieszen, “Kurt Gödel and
Phenomenology”, in Philosophy of Science, 59, 1992, pp. 176-194).
6
Riteniamo necessaria una breve nota di carattere terminologico per chiarire il significato
del termine ‘psicologismo’. Quest’espressione può essere usata in ambito filosofico con
sensi fra loro molto differenti. Se ne possono isolare qui, ai fini della nostra ricerca,
almeno quattro: 1) Psicologismo metodologico, inteso come analisi della genesi di
peculiari strutture di coscienza e dei loro contenuti; la psicologia genetica può esserne un
esempio: essa è considerata come il fondamento di scienze normative come la logica,
l’etica o l’estetica e considera le leggi logiche o etiche come tipi particolari di leggi
psicologiche; 2) si può parlare di psicologismo quando non viene fatta distinzione tra
fenomeni psichici e la loro essenza; 3) può essere definito psicologismo il processo di
assimilazione dell’oggetto dell’atto con l’atto stesso, come spesso si verifica
nell’empirismo tradizionale; 4) infine, il termine psicologismo può riferirsi all’immanenza
dei contenuti (oggetti) a cui l’atto si riferisce. Il tipo di psicologismo al quale ci riferiamo
qui, è quello espresso nella prima accezione.
7
Husserl, E. Philosophie der Arithmetik. Mit ergänzenden Texten (1890-1901), (a cura di)
Eley, L. The Hague, Martinus Nijhoff, 1970; La filosofia dell'aritmetica, trad.(a cura di)
Leghissa, G. Milano, Bompiani, 2001.
8
Schuhmann, K. Husserl-Chronik. Denk- und Lebensweg Edmund Husserl, The Hague,
Martinus Nijhoff, 1977.
9
Donnici, R. Intenzioni di amore, scienza ed anarchia, Napoli, Bibliopolis, 1998, p.
8: ”Indirizzando il giovane amico verso Locke, Berkeley, Hume Leibniz, Brentano, egli
non faceva altro che orientare la formazione filosofica del futuro fenomenologo in base
agli stimoli più potenti ricevuti nel proprio paese d’origine e cioè verso quelle correnti di
pensiero più influenti a Vienna e a Praga”.
10
Farber, M. The Foundation of Phenomenology, New York, Paine-Whitman, 1962, p. 49.
11
Cfr. Tatarkiewicz, M. Réflexions chronologiques sur l’époque où a vécu Husserl, Paris,
Ed Minuit, 1959, p. 30.
12
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
seguiti in Germania12. Secondo Haller13, Brentano avrebbe dato voce alle
seguenti tre principali tendenze della filosofia austriaca: 1) spirito
scientifico e rifiuto di ogni Weltanschauung; 2) empirismo nel senso di
fedeltà all’esperienza e rifiuto di ogni costruzione idealisticotrascendentale; 3) approccio critico-linguistico alle questioni filosofiche.
Con la sua Psicologia dal punto di vista empirico (1874), Brentano
proponeva ai giovani un metodo di indagine che coincideva con quello
della scienza naturale e che veniva a sua volta eletto come autentico
metodo della filosofia14. In esso Brentano proponeva una psicologia degli
atti mentali considerati come atti unitari. Secondo il filosofo in ogni
esperienza mentale, ad esempio nel vedere un oggetto colorato o nel
ricordare un evento passato, ciò che costituisce il vero oggetto della
filosofia è puramente l’atto del vedere o del ricordare e non l’oggetto
colorato. Le percezioni della mente, in quanto atti, debbono essere
l’unico oggetto della filosofia; in questi atti la distinzione è netta: l’oggetto
della percezione non è un fenomeno psichico, ma un fenomeno fisico e
la descrizione dell’atto non coincide con quella dell’oggetto fisico. Ad
esempio descrivere l’atto di sentire un suono fisico, non coincide con la
descrizione del suono stesso. 15 Tutta l’esperienza può essere ridotta
quindi, a fenomeni psichici e fisici; i primi possono essere colti nella
percezione interna ed i secondi sono gli oggetti di questi stessi. La
psicologia filosofica o filosofia, per Brentano concerne i fenomeni
psichici, gli atti, mentre lo studio degli oggetti è compito delle scienze.
Nella Filosofia dell’aritmetica, Husserl applica il metodo appreso da
Brentano, alle sue ricerche matematiche 16 . L’opera viene dedicata a
Brentano (riconosciuto da lui come suo maestro) ed ha come tema la
genesi del concetto di numero, (stesso argomento della sua tesi di
laurea) 17 . Avendo letto con attenzione i lavori di Lotze 18 (maestro di
12
Meinong, incoraggiato e seguito dal maestro, pubblicava nel 1876 e 1877, due volumi
di Hume Studies; Fritz Mauthner invece si fece promotore di un tentativo di ‘ritorno a
Hume’ in evidente contrapposizione al contemporaneo movimento del ‘ritorno a Kant’ in
pieno svolgimento nella Germania di fine secolo. Cfr. R., Donnici, op. cit., 1989.
13
Haller, R. “Studien zu österreich Philosophie”, in Annali della scuola normale superiore
di Pisa, vol 12, 3, 1982, p. 87.
14
“Vera philosophia methodus nulla alia nisi scientiae naturalis est” è la quarta tesi del
suo lavoro di abilitazione: Über Schelling Philosophie, poi in Id., Über die Zukunft der
Philosophie, (1892), Leipzig, Felix Meiner, 1925, p. 136.
15
Per Husserl invece le due cose (atto ed oggetto psichico) si equivarranno.
16
Qualora il lettore sia interessato ad approfondire gli studi preparatori a questo volume,
può consultare Husserl, E. Studien zur Arithmetik und Geometrie (1886-1891), (a cura di)
Strohmeyer, The Hague-Boston-Lancaster, Martinus Nijhoff, 1983. Alcuni di questi testi
relativi agli anni successivi alla pubblicazione di Filosofia dell’aritmetica e concernenti lo
studio sul tema dello spazio, sono disponibili in lingua italiana in Il libro dello spazio, trad.
a cura di. Costa, V. Milano, Guerini, 1996.
17
Per un’analisi critica più completa di Filosofia dell’aritmetica rimandiamo ai lavori di:
Leghissa, G. “Alle origini del vedere fenomenologico“, in Husserl, E. Filosofia
13
Brentano) e tenendo infine la sua tesi di abilitazione con Stumpf 19 (allievo
di Brentano e sostenitore del suo metodo), la Filosofia dell’aritmetica
nasce sotto la forte influenza del maestro20.
L’opera è divisa in due parti e presenta un sottotitolo che rimarca ancora
di più questa bipartizione: Ricerche psicologiche e logiche21. Nella prima
parte il concetto di numero viene analizzato attraverso il metodo
psicologico22, appreso da Brentano; nella seconda parte, invece, sono
presi in esame i numeri che possiamo rappresentare simbolicamente. Il
fine del testo è quello di fondare il rapporto tra i simboli, con i quali
vengono realizzate le operazioni aritmetiche, ed i concetti numerici ad
esso corrispondenti.
Senza entrare nel dettaglio del tema, è utile per noi mettere in rilievo
il metodo d’indagine adottato da Husserl. Egli parte dall’analisi dell’atto
dell’aritmetica, Milano, Bompiani, 2001, pp. 13-45; Melandri, E. “I paradossi dell’infinito
nell’orizzonte fenomenologico“, in Paci, E. Omaggio a Husserl, Milano, Il Saggiatore,
1960; Paci, E. “Per lo studio della logica in Husserl”, in Idee per una enciclopedia
fenomenologica, Milano, Bompiani, 1960, pp. 214-230; Voltaggio, F. Fondamenti della
logica in Husserl, Milano, Comunità, 1960, pp. 81-120; Scrimieri, G. “La matematica nel
pensiero giovanile di E. Husserl”, in Willard, D. Logic and the Objectivity of Knowledge. A
Study in Husserl’s Early Philosophy, Ohio University Press, 1984.
18
Da Lotze Husserl riprende in modo particolare il concetto di collegamento (che
approfondiremo di seguito nel testo) e di validità riferito alle categorie e alle leggi logiche.
Questo concetto consente di pensare le categorie e le leggi logiche non come qualcosa
che esiste nella mente del singolo individuo, ma come qualcosa che ha la proprietà del
valere. Circa il debito riconosciuto da Husserl nei confronti di Lotze, il lettore può
consultare: K. Schuhmann, Husserl-Chronik, cit., pp. 25-26.
19
Husserl viene portato ad accrescere il suo interesse per la scienza ed il suo significato
filosofico non solo dalla sua formazione matematica, ma anche dalla frequentazione di un
ambiente che favorisce un approccio ‘sperimentale’ alle questioni metafisiche.
L’attenzione rivolta alla concretezza dell’atto conoscitivo si imprime fortemente in Husserl
anche grazie all’incontro con Stumpf ad Halle. Stumpf allora era già famoso per i suoi
studi sulla rappresentazione dello spazio e sulla psicologia del suono (Stumpf, C. Über
den psychologischen Ursprung der Raumvorstellung, Lipsia, Hirzel, 1873 – ora
Amsterdam, Bonset, 1965; Tonpsychologie, Leipzig, Hirzel, 1883, vol. 1).
20
Sull’influenza che Brentano e la sua scuola esercitano nella formazione critica delle
posizioni filosofiche del primo Husserl si veda: Rollinger, R. D. Husserl’s Position in the
School of Brentano, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1999. Nel
1884/85 Brentano tiene i suoi corsi di logica elementare che costituiranno per Husserl un
momento importante di fusione dei suoi interessi di matematico con quelli di filosofo:
“Nelle lezioni Die elementare Logik und die in ihr nötige Reformen trattava, in modo
particolarmente dettagliato e in forme sempre nuove e creative, tanto di psicologia
descrittiva del continuo (con accurata attenzione ai Paradoxien des Unendlichen di
Bolzano) quanto della distinzione tra rappresentazioni intuitive e non intuitive, chiare e
oscure, distinte e confuse, proprie e improprie, concrete e astratte. (Cfr. Husserliana I: p.
14 rimandiamo alla bibliografia per la citazione completa del volume).”
21
Questo è il sottotitolo della prima edizione; dalla seconda edizione in poi i due termini
sono invertiti ed il sottotitolo diviene quindi: Ricerche logiche e psicologiche.
22
Ci parla di “inclinazione allo psicologismo” nella Filosofia dell’aritmetica anche
Sancipriano, M. Edmund Husserl, l’etica sociale, Genova, Tilgher, 1998, p. 18.
14
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
psichico, per risolvere una questione matematica che lo aveva occupato
sin dal suo lavoro di abilitazione. Concentrandosi sull'atto di
rappresentazione che collega la dimensione soggettiva a quella oggettiva
e che tende ad un "qualcosa" come suo oggetto, Husserl trova la via per
analizzare l'atto che determina il concetto di numero. “Il concetto
numerico (…) – infatti - sorge dagli aggregati”23 e “un aggregato sorge
quando un interesse unitario e un notare unitario (…) abbracciano dei
contenuti diversi e li mettono in evidenza in quanto tali. Il collegamento
collettivo può dunque essere colto solo grazie alla riflessione sull’atto
psichico in virtù del quale esso [l’aggregato o concetto numerico]
perviene ad esistenza”24 Il concetto di numero quindi ha la consistenza di
un aggregato, e dunque di un atto di interesse che, in uno stesso
momento, istituisce da un lato connessioni tra i vari elementi
dell'aggregato, e dall'altro ha come contenuto suo proprio la mira e
l'oggetto dell'aggregato stesso.
La convinzione che matura in Husserl a partire da questi anni, e che
sarà, a nostro avviso, tanto centrale in tutta la sua produzione filosofica
da compromettere la purezza pretesa dalle proprie indagini, è che, in
qualunque analisi filosofica o scientifica, non si possa prescindere dalla
riflessione sull’atto psichico, perché è da esso che ha origine ogni nostra
nozione. L’attenzione con cui Brentano si rivolge alla concretezza
dell’atto conoscitivo si imprime in Husserl ed influenza il suo metodo ed il
suo futuro percorso filosofico25. Il progetto di fondazione della scienza ed
in modo particolare della scienza etica, che andremo ad analizzare nei
capitoli successivi, passa proprio attraverso l’analisi degli atti di
23
Husserl, E. Filosofia dell’aritmetica, p. 142; tr. it. p. 184.
Ivi, p. 74; tr. it. p. 116.
25
Tuttavia Husserl ha un rapporto contrastato con questo assunto di partenza della
propria ricerca; per difendere un certo margine di purezza ed universalità dei propri
risultati, distingue nelle Ricerche Logiche l’atto psicologico dal ‘vissuto’ o dall’‘atto
intenzionale’ della pura coscienza e Brentano viene accusato da Husserl di una certa
forma di psicologismo. Riportiamo di seguito la risposta che Brentano rivolge alle accuse
di Husserl: Brentano, F. La classificazione delle attività psichiche, trad a cura di. Pugliesi,
M. in Grande Antologia Filosofica, Milano, Marzorati, 1976, vol. 25, pp. 453-454: “La mia
teoria della conoscenza è stata accusata di psicologismo, una parola venuta in uso
recentemente, a udir la quale qualche pio filosofo, come qualche cattolico ortodosso al
nome “modernismo”, si fa il segno della croce, come se questo nome contenesse Satana
in persona. Per discolparmi di una così grave accusa, devo domandare che cosa poi
s’intende propriamente con questo, perché a ogni momento si ha sempre pronto quel
nome, a mo’ di spauracchio, anche dove si tratta di cose assai diverse. Quando per avere
una spiegazione pregai personalmente Husserl e alcuni che seguono fedelmente le sue
vedute, mi si disse che con ciò s’intende una teoria la quale combatte la validità
universale della conoscenza, una teoria secondo la quale altri esseri, che non siano
uomini, possono avere conoscenze che sono addirittura opposte alle nostre. Intesa in
questo senso, non solo non sono psicologista, ma sempre ho rigettato e combattuto,
nella maniera più decisa, un tale assurdo soggettivismo.
24
15
conoscenza dell’io.
1.2.2 La polemica contro lo psicologismo ed il logicismo
Nel 189626 Husserl tiene un ciclo di seminari sulla logica che confluirà, in
un testo di grande valore, i Prolegomeni, scritto introduttivo che fa parte
delle Ricerche Logiche 27. Pubblicate nel 1900-01, le Ricerche Logiche
verranno riviste in altre quattro edizioni28 e continueranno a rimanere un
termine di riferimento importante della sua produzione filosofica. Esse
26
Come risulta da una lettera di Husserl a Meinong in data 22 settembre 1984
(pubblicata in Philosophenbriefe aus der wissenschaftlichen Korrepsondenz von A. v.
Meinong, Graz, 1965, p. 94). Le idee dei Prolegomeni risalgono al 1896; nella prefazione
alla seconda edizione delle Ricerche Logiche Husserl scrive infatti. “nel loro contenuto
essenziale <sono> una semplice rielaborazione di due serie complementari di lezioni
tenute a Halle nell’estate e nell’inverno del 1896”, (Husserl, E. Ricerche Logiche, cit., p.
10). Questa data viene anticipata al 1895 nel progetto di prefazione per la stessa
edizione curato da Fink nel 1939, in cui si legge che il contenuto del primo volume è
“sostanzialmente, ed in particolare in tutte le sue argomentazioni antipsicologistiche, solo
una ripresa di lezioni universitarie dell’estate e dell’autunno del 1895, e con ciò si spiega
anche una certa vivacità e libertà di esposizione. Di progettazione nuova fu in realtà
soltanto il capitolo conclusivo, il cui contenuto concettuale deriva tuttavia interamente dai
più vecchi studi logico-matematici, che non ho più portato avanti dopo il 1894” (Cfr.
“Entwurf einer ‘Vorrede’ zu den ‘Logischen Untersuchunge’ 1913”, in Tijdschrift voor
Philosophie, 1 febbraio 1939, pp. 106-122 e 2 maggio 1939, pp. 319-339; la citazione
riportata si trova a pagina 128). Per una estesa recensione del testo di quelle lezioni, il
lettore può consultare i testi: Husserl, E. Logik Vorlesung 1896, Dordrecht, Boston
London, Kluwer Academic Publishers, 2001 e Rollinger, R. D. “Husserl’s Elementary
Logic”, in Studia Phaenomenologica, 3 (1-2), 2003 pp. 195–213.
27
Il lettore può approfondire il passaggio dalla Filosofia dell’aritmetica alle Ricerche
Logiche attraverso degli importanti lavori che Husserl scrisse negli anni ’90 e che sono
raccolti nelle pagine italiane di: Husserl, E. Logica, psicologia e fenomenologia. Gli
oggetti intenzionali e altri scritti, (a cura di) Besoli, S.; De Palma,V. Genova, il Melangolo,
1999. Almeno fino al 1894 Husserl fu intenzionato a scrivere il secondo volume della
Filosofia dell'Aritmetica, che avrebbe dovuto trattare dell'aritmetica generale dei numeri
cardinali e dell'uso degli algoritmi aritmetici in altri campi, quindi di temi più generali ed
astratti rispetto a quelli del primo volume. Oltre a questo era prevista un'appendice sulla
semiotica. Nel periodo 1891-1894 Husserl produsse vari manoscritti legati a questi temi,
seguendo anche spunti ripresi dalla teoria degli insiemi sviluppata da Georg Cantor, suo
collega a Halle e, come Husserl, allievo di Weierstrass. Tuttavia prevarrà nei suoi studi
l’interesse per la logica, intesa come teoria delle teorie ed epistemologia in generale, (cfr.
Schuhmann, Husserl-Chronik, pp. 30-42).
28
Le edizioni delle Ricerche Logiche sono quattro. Quella del 1900-01 appare suddivisa
in due parti pubblicate separatamente. La prima contiene i Prolegomeni a una logica
pura, mentre la seconda comprende tutte e sei le ricerche. La seconda edizione, quella
del 1913, doveva essere una completa rielaborazione dell’opera alla quale tuttavia
Husserl rinuncia. Il lavoro infatti si rivela troppo vasto e confluisce nelle pagine delle Idee.
Nel 1913 quindi escono, in un primo volume, i Prolegomeni, mentre in un secondo
volume solo le prime cinque ricerche. La Sesta ricerca viene pubblicata nel 1921
separatamente nella seconda parte del volume. La terza edizione, quella del 1922, è una
ripubblicazione dell’opera secondo la forma che aveva assunto nel 1921. Infine la quarta
edizione, quella del 1928, è priva del secondo volume, ovvero della Sesta ricerca logica.
16
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
accenderanno un grande dibattito nel campo scientifico29 e subito dopo la
loro pubblicazione Husserl otterrà la nomina a professore straordinario
presso l’università di Gottinga.
Husserl chiama logiche le sue ricerche, perché hanno come obiettivo
quello di chiarire il fondamento della disciplina logica. L’analisi filosofica
che l’autore conduce in questo testo è volta alla chiarificazione dei
fondamenti puri della conoscenza. “Il grande compito – scrive Husserl <è quello> di portare le idee logiche, i concetti e le leggi, alla chiarezza e
distinzione dal punto di vista gnoseologico”30.
Per assolvere a questo compito, critica in primo luogo due posizioni
filosofiche che egli definisce col termine logicista e psicologista. “L’una
ritiene che la logica sia una disciplina teoretica, indipendente dalla
psicologia e al tempo stesso una disciplina formale dimostrativa. Per
l’altra essa rappresenta una tecnologia, dipendente dalla psicologia” 31 .
Queste due posizioni sono in parte condivise ed in parte rifiutate da
Husserl.
Per quel che concerne lo psicologismo, possiamo dire con Piana che
“Husserl caratterizza globalmente con questo termine la prospettiva di
assorbimento della logica nella psicologia”32. Gli psicologisti utilizzano un
metodo che Husserl non condanna in toto, anzi ritiene che il loro modo di
intraprendere ricerche relative al fondamento di principi o concetti logici,
possa essere fondato. Il principale oggetto di studio per le ricerche
logiche deve essere, secondo Husserl, il vissuto psichico dell’io. Anche la
fenomenologia, vale a dire il nuovo metodo che l’autore sta elaborando in
29
All’epoca di pubblicazione di quest’opera l’università tedesca era dominata dai
rappresentanti delle scuole filosofico-psicologiche che erano state protagoniste della
nascita della psicologia come autonoma scienza empirica svincolata dalla filosofia.
Queste scuole erano rappresentate a Lipsia da Wundt, a Würzburg da Külpe e a Berlino
da Stumpf. In modo particolare gli allievi di Stumpf e Külpe erano portati a far coincidere
l’analisi rigorosa delle questioni filosofiche con il metodo sperimentale della psicologia. In
questo contesto quindi, la pubblicazione delle Ricerche Logiche da parte di un allievo
della scuola di Stumpf, sollevò diverse interpretazioni e critiche, tese ad assimilare il
lavoro husserliano con un lavoro psicologico profondamente innovativo. Husserl tuttavia
prense le distanze da queste forme di assimilazione e criticò a sua volta i maggiori nomi
della cultura accademica del tempo o di coloro che avevano esercitato in Germania
un’influenza che sembrava ormai definitivamente acquisita. Filosofi come Wundt, come
Sigwart o come Mill venivano direttamente coinvolti nella critica dello psicologismo che
Husserl sviluppava fino in fondo e con grande dovizia di argomenti nei Prolegomeni. La
reazione di una parte della giovane cultura tedesca di fronte a quest’opera può essere
efficacemente compresa attraverso il modo in cui si venne formando intorno a Husserl,
passato nel 1901 da Halle a Gottinga, un primo nucleo di studiosi.
30
Husserl, E. Logische Untersuchungen. Erster Teil. Prolegomena zur reinen Logik. Text
der 1. und der 2. Auflage, Halle: 1900, rev. ed. 1913, (a cura di) Elmar Holstein, The
Hague Martinus Nijhoff, 1975; trad. a cura di Piana, G. Ricerche Logiche, Milano,
Saggiatore, 2001, (d’ora in poi useremo in nota l’abbreviazione Ricerche Logiche I).
31
Ivi, p. 7; tr. it. p. 27.
32
G., Piana, introduzione alle Ricerche Logiche, op. cit., p. XIII.
17
queste ricerche, si deve occupare dei vissuti del pensiero e della
conoscenza, dei vissuti afferrabili ed analizzabili nell’intuizione, nella loro
pura generalità essenziale, e non dei vissuti appercepiti empiricamente
come fatti reali. “Essa porta descrittivamente all’espressione pura, in
concetti essenziali ed in enunciati essenziali che hanno forma di legge, le
essenze direttamente afferrate nell’intuizione essenziale ed i nessi che si
fondano puramente nelle essenze”33.
In questo senso quindi, Husserl è vicino ad una certa forma di
psicologismo, perché egli utilizza il metodo psicologico come uno
strumento di chiarificazione dei vissuti psichici della coscienza e dunque
dei meccanismi che presiedono alla nostra conoscenza, ma questo
metodo non deve essere il solo. Come nota anche Ales Bello, la lotta di
Husserl “deve essere interpretata come opposizione a quella
impostazione epistemologica che considera la psicologia fondante nei
confronti della logica pura o formale” 34 . L’impostazione psicologistica
infatti, non è, secondo Husserl, completamente corretta perché riduce
tutta l’idealità del concetto logico alla semplice fattualità psichica,
perdendo così di vista l’universalità che in esso è racchiusa. “I logici
psicologisti non riconoscono le differenze essenziali ed invalicabili tra
legge ideale e reale, […] tra necessità logica e necessità reale, tra
fondamento logico e fondamento reale”35. Contro l’impostazione di Lipps
ad esempio, uno dei rappresentanti di questo metodo, il quale scrive che
“la logica è una parte e la psicologia il tutto”36 o ancora che “la logica o è
una fisica del pensiero o non è nulla”37, Husserl risponde che la logica
possa essere conosciuta a partire dal dato psicologico, ma non coincida
con il dato stesso.
Se la psicologia fosse la scienza che sta alla base di tutte le scienze,
la logica non solo sarebbe una sua parte, ma avrebbe caratteristiche
simili a quelle della psicologia; dovrebbe quindi accettare la natura
psicologica dei suoi principi ed il loro valore probabilistico. Se infatti il
principio di non contraddizione derivasse dall’esperienza, il suo valore
sarebbe, secondo il principio di generalizzazione à la Mill 38 , solo
altamente probabile e non vero. Secondo Husserl invece, la realtà delle
cose dimostra il contrario: “le leggi logiche valgono indipendentemente
dalla soggettività (…) e sono possibilità ideali la cui realizzazione
dipende dall’effettiva capacità di sussunzione di soggetti in grado di
coglierle” 39 . Esistono, quindi, principi di verità che sono veri
33
Ricerche logiche I, p. 3; tr. it. p. 24.
Ales Bello, A. Husserl e le scienze, La goliardica , Roma, 1980, p. 59.
35
Husserl, E. Ricerche logiche I, op. cit. p. 68; tr. it. p. 86.
36
Ivi, p. 52; tr. it. p. 70.
37
Ivi, p. 56; tr. it. p. 73.
38
Cfr. Husserl, E. Ricerche logiche I, op.cit., par. 25
39
Husserl, E. Logica, psicologia e fenomenologia, trad. a cura di S. Besoli e V. De
34
18
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
indipendentemente dal fatto che qualcuno li pensi o meno; sta al
soggetto indagare il vissuto psichico dell’io per scorgere ed enunciare la
verità in esso racchiusa. Scrive Husserl: “Lo psicologismo confonde
ideale con reale”40.
Dall’altra parte il logicismo pecca di un tipo simile di confusione;
esso, diversamente dallo psicologismo, confonde il reale con l’ideale41.
Con l’espressione logicismo Husserl indica quei logici, a lui
contemporanei, che difendevano l’autonomia della logica dalla
psicologia, trovando appiglio nella distinzione kantiana tra logica pura e
logica applicata42, che si sviluppa in Herbart e negli herbartiani. Gli errori
in cui si imbatterebbe questo gruppo di studiosi, sono “di ridurre la logica
al suo contenuto teoretico”43, di dare per assodato l’ideale, senza tentare
di mostrare il percorso attraverso il quale è possibile acquisirlo, e di farlo
coincidere col normativo. Seppure il logicismo distingua l’idealità dal
vissuto psichico, esso cade, secondo Husserl, nell’errore di non
considerare il valore del vissuto e quindi di mettere da parte il percorso
Palma, Genova, Il Melangolo, 1999, p. 40.
40
Husserl, E. Prolegomeni, op.cit., p. 66; tr. it. p. 84.
41
Si potrebbe dire anche che il logicismo confonda, secondo Husserl, l’ideale col
normativo. Il filosofo assume infatti, una posizione di polemica nei confronti del logicismo
in modo particolare contro Herbart; scrive: “Gli antipsicologisti sbagliano quando fanno
della funzione regolativa della conoscenza, per così dire, la quintessenza delle leggi
logiche. Per questa ragione non si è fatto valere come avrebbe meritato il carattere
puramente teoretico della logica formale e di conseguenza la sua assimilazione alla
matematica formale” (Ricerche Logiche, I, p. 168). Nel par.59 dei Prolegomeni, dopo aver
sottolineato l’importanza di Herbart dal punto di vista di una concezione della logica come
disciplina pura, non riducibile alla psicologia, Husserl osserva che l’errore fondamentale
di Herbart consiste nella definizione del concetto logico attraverso il suo carattere
normativo: “Strettamente dipendente da ciò è il fatto che Herbart crede di aver trovato
una formula risolutiva quando contrappone la logica come morale del pensiero alla
psicologia come storia naturale dell’intelletto. Egli non ha alcuna idea della scienza pura,
teoretica, che si cela dietro questa morale (come anche nel caso della morale in senso
comune), ed ancora meno dell’ambito e dei limiti naturali di questa scienza e della sua
interna unità con la matematica pura” (Ivi, p. 225). Fra i filosofi suoi contemporanei che
hanno intravisto l’idea della matematicità della logica, Husserl ricorda i nomi di Lotze e di
Riehl (Ivi, p. 80 e p. 178). In Logica formale e trascendentale questo riferimento viene
precisato in senso critico: “Furono soltanto dei logici affatto isolati che si misero dalla
parte delle tesi dei matematici, ma in fondo essi seguivano piuttosto una sensazione della
via giusta, come Lotze, o il pregiudizio della superiorità del punto di vista dei matematici,
come è chiaramente il caso di Riehl - più di quanto non cercassero di fondare questa
presa di posizione sulla ricerca effettiva” (trad. a cura. di Neri, G. D. in seguito indicata
con L.F.T., Roma-Bari, Laterza, 1966, p. 101). A proposito del giudizio di Husserl su
Lotze si veda Entwurf, cit., pp. 325-326, e Idee per una fenomenologia pura e per una
filosofia fenomenologica, trad.a cura di Filippini, E. in seguito indicata con Idee, Torino,
Einaudi, 1965, pp. 836-837.
42
Kant, I. Critica della ragion pura, trad. a cura di Gentile, G. e Radice, L. Roma-Bari,
Laterza, 1949, p. 94.
43
Husserl, E. Ricerche logiche I, op. cit., p. 51; tr. it. p. 33.
19
attraverso il quale è possibile dimostrare la verità del contenuto ideale.
Scrive Husserl criticando Herbart: ”Gli sfugge il senso dell’idealità vera
ed autentica” 44 . Tale senso sfugge perché si svincola totalmente dal
soggetto e dai suoi atti. L’ideale non è una legge che si impone al
soggetto e non può essere confusa con la norma; ancora di più se la sua
realtà non viene provata in nessun modo.
Secondo Husserl la logica, a differenza di come la descrivono
logicisti e psicologisti, deve essere innanzitutto intesa nei termini di
Bolzano (1781-1848) 45 , come una Wissenschafstlehre 46 , ovvero come
una scienza delle scienze. Essa deve essere “una scienza puramente
teoretica, che formi il più rilevante fondamento di ogni tecnologia47 della
conoscenza scientifica e possegga il carattere di una scienza apriori e
puramente dimostrativa. Si tratta di quella scienza a cui tendevano Kant
e gli altri sostenitori di una logica ‘formale’ o ‘pura’, ma che non è stata
da loro correttamente definita”48.
Per fondare la sua idea di scienza logica, Husserl critica ed
armonizza insieme le due posizioni. Condivide con i ‘logicisti’ l’idea di
una logica pura ed autonoma e critica l’atteggiamento psicologista di
‘appiattire’ al livello pratico ogni scienza teoretica 49 . Come gli
‘psicologisti’, ritiene necessaria l’esistenza di una ‘logica pratica’ che non
44
Husserl, E. Ricerche Logiche, op. cit. ,p. 219; tr. it. p. 225.
In merito a ciò scrive Husserl: “L’opinione di Rickert che Bolzano fosse uno studioso
ben noto e molto utilizzato in Austria, dove avrebbe esercitato una vasta influenza, è
un’invenzione priva del minimo fondamento, come del resto tutto ciò che dice su
Brentano, su di me e sui nostri rapporti con Bolzano. A che punto stessero le cose, a
proposito dell’influenza di Bolzano, risulta già dal fatto che ancora intorno al 1901
l’edizione originale della Wissenschaftslehre del 1837 era invenduta e l’edizione parziale
di Braumüller del 1884 aveva preso la via dell’antiquariato ad un prezzo irrisorio - poco
prima che la mia riscoperta della sua importanza attirasse su di essa l’attenzione di tutti»
(Husserl, E. Entwurf, cit., p. 129, nota).
46
Husserl, E. Ricerche Logiche I, op. cit., p. 226; tr. it. p. 230.
47
A proposito del termine Kunstlehre è opportuno notare che esistono due traduzioni di
questo termine: tecnologia e disciplina tecnica. La prima, introdotta da Giovanni Piana,
con la traduzione delle Ricerche Logiche segue quella francese (technologie) di Hubert
Élie, Arion L. Kelkel e René Schérer (1959-63). Questa traduzione, a nostro avviso,
rispetta il rapporto di dialogo che Husserl stesso instaura con Kant nei Prolegomeni (cap.
II par. 13) per quel che concerne la distinzione tra logica tecnica e logica applicata. Nel
2002 invece, in occasione della traduzione delle lezioni etiche del 1914, è stata introdotta
da Paola Basso e Paolo Spinicci la traduzione di ‘disciplina tecnica’, che sembra
rispettare in misura maggiore il tedesco, nella differenza tra Tecnologie e Kunstlehre.
Questa traduzione è stata seguita anche da F. S. Trincia e N. Zippel nella traduzione
recentissima (2009) del volume delle Einleiitung (opera citata per esteso in bibliografia).
Preferiamo tuttavia utilizzare nel nostro testo la traduzione di Piana, rispettando il
confronto con Kant che Husserl stesso ha stabilito nel momento di introduzione di questo
termine.
48
Ivi, p. 8; tr. it. p. 28.
49
Ivi, p. 30; tr. it. p. 49.
45
20
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
coincida con la logica applicata intesa in senso kantiano, ovvero con “la
regolamentazione dell’uso dell’intelletto nelle condizioni accidentali del
soggetto”50, ma che consista in una vera e propria ‘pratica della logica’51.
Ritiene infatti che “anche la logica che si pretende pura abbia il suo
senso autentico nel suo essere una disciplina teoretica, astratta che
fonda […] una tecnologia”. Questa tecnologia o “logica, appunto in senso
comune, pratico” 52 non deve essere intesa come una parte della
psicologia, ma come una disciplina che trova “nella logica pura uno dei
suoi fondamenti”53.
Gli antipsicologisti sbagliano quando fanno della funzione
regolativa della conoscenza, per così dire, la quintaessenza delle
leggi logiche. Per questa ragione non si è fatto valere come
avrebbe meritato il carattere puramente teoretico della logica
formale e di conseguenza la sua assimilazione alla matematica
formale […]. Dalla parte opposta gli psicologisti sbagliano quando
[…] trascurano la fondamentale differenza tra le norme puramente
logiche e le regole tecniche di un’arte del pensiero
specificatamente umana.54
La logica è quindi, secondo Husserl, una disciplina che presiede ad
ogni conoscenza dell’io. Essa è una scienza che non consiste solo nel
suo livello puro, né in quello solamente empirico, ma si articola su di un
triplice livello: puro, normativo e tecnologico. Il livello puro si costituisce,
secondo Husserl, grazie ad un nesso di fondazione teoretico, ovvero ad
un’unità omogenea che mette insieme tutte le verità essenziali e pure
della coscienza 55 . Esso a sua volta, funge da nucleo fondativo per il
secondo livello della scienza, quello nomologico o normativo, che ha a
50
Ibid.
Cfr. Ivi, par. 13.
52
Ivi, p. 38; tr. it. p. 54.
53
Ivi, p. 38; tr. it. p. 55.
54
Ivi, pp. 157-159, tr. it. pp. 168-9.
55
Ivi, p. 231; tr. it. p. 238: “Cosa fa sì – si domanda Husserl - che una scienza sia
scienza? Un certo nesso obiettivo ed ideale (…). Il nesso delle cose alle quali si
riferiscono intenzionalmente i vissuti del pensiero, oppure il nesso della verità”;Ivi, p. 14;
tr. it. pp. 33-34: “La scienza intende darci una molteplicità del sapere, ma non una mera
molteplicità. Anche l’affinità delle cose non produce ancora la sua unità peculiare nella
molteplicità del sapere. Un gruppo di conoscenze chimiche non consentirebbe certo di
parlare di una scienza chimica. Evidentemente si richiede qualcosa di più, si richiede,
cioè, il nesso sistematico in senso teoretico, ed in questo consiste la fondazione del
sapere e quindi anche la concatenazione ed il coordinamento del succedersi delle
fondazioni. All’essenza della scienza inerisce dunque l’unità del nesso di fondazione, nel
quale ricevono un’unità sistematica, insieme alle singole conoscenze, le stesse
fondazioni e con queste anche le complessioni superiori di fondazioni che chiameremo
teorie”.
51
21
che fare con la sfera delle leggi che regolano i processi di conoscenza. In
ultimo, il livello tecnologico consiste nell’applicazione pratica dei principi
della scienza. Questi tre livelli sono concepiti come interconnessi tra loro
e allo stesso tempo separati. Il livello teoretico è infatti pienamente
separato ed autonomo rispetto agli altri; la forma di dipendenza avviene,
per così dire, ‘dal basso’.
Il fondamento razionale della scienza risiede, secondo Husserl, in
una regione della nostra persona, che è uguale in ognuno di noi e che
può essere definita e conosciuta attraverso la sua vita intenzionale 56 .
Questa regione è la coscienza ed essa è caratterizzata, oltre che dalla
propria vita intenzionale, dalla propria costituzione puramente razionale.
Con ciò dobbiamo tuttavia riconoscere che, nonostante l’individuazione
del concetto di coscienza, Husserl non risolve la questione relativa alla
fondazione della logica, anzi, pone ulteriori problemi: perché la coscienza
husserliana non dovrebbe corrispondere alla coscienza psichica? Perché
essa dovrebbe essere una dimensione puramente razionale? Questi
interrogativi, a nostro parere, rimangono aperti e saranno per Husserl
uno stimolo continuo alla chiarificazione.
Con le Ricerche Logiche Husserl ha aperto una nuova strada verso
cui sviluppare il dibattito, un percorso che unisce in qualche modo
entrambe le correnti. In queste pagine infatti, descrive la logica come una
disciplina che ha la sua origine nella coscienza pura di un soggetto e
mostra come, per elaborare conoscenze scientifiche, non si possa
prescindere dallo studio della soggettività psichica. Accetta quindi da un
lato la possibilità che esistano verità ideali che fondano il piano normativo
e tecnologico della scienza e dall’altro riconosce che queste possano
essere individuate attraverso l’analisi psicologica. La coscienza, in
quanto unità di conoscenze che risiede in ogni uomo, è il centro di quelle
verità assolute che, per natura, si danno in modo evidente al vissuto del
56
Per vita intenzionale si può intendere il tipo di rapporto che la coscienza instaura con la
realtà. Husserl così la spiega: “L’intenzionalità è ciò che caratterizza la coscienza in
senso pregnante e consente nello stesso tempo di indicare l’intera corrente dei vissuti
come corrente di coscienza e come unità di un’unica coscienza” (Idee I, p. 209). Come è
noto, l'intenzionalità è originariamente un concetto della filosofia scolastica e fu
reintrodotta nella filosofia contemporanea da Brentano nella sua opera Psychologie vom
Empirischen Standpunkte. Con l'intenzionalità della coscienza o della mente si intende
l'idea che la coscienza sia sempre diretta ad un oggetto, che abbia sempre un contenuto.
Brentano definì l'intenzionalità come la caratteristica principale dei fenomeni psichici (o
mentali), tramite cui essi possono essere distinti dai fenomeni fisici. Ogni fenomeno
mentale, ogni atto psicologico ha un contenuto ed è diretto a qualche cosa (l' oggetto
intenzionale). Ogni credere, desiderare etc. ha un oggetto: il creduto, il desiderato. Per
Husserl invece intenzionale è la caratteristica degli atti della coscienza più che dei
contenuti verso cui essa è diretta. Tramite le opere di Edmund Husserl, che riprese la
nozione da Brentano, l'idea di intenzionalità penetrò nella ricerca contemporanea, sia
nella filosofia continentale che nella filosofia analitica.
22
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
soggetto conoscente e che gli consentono di acquisire una conoscenza
scientifica del reale.
Riducendo al massimo i termini del discorso, possiamo dire che per
Husserl la scienza ha la sua origine nella coscienza e questa origine può
essere chiarita attraverso un’analisi à rebours del vissuto psichico. “La
fondazione gnoseologica, o meglio fenomenologica, della logica pura”57
si compie attraverso “una fenomenologia pura dei vissuti del pensiero e
della conoscenza. Quest’ultima […] si occupa solo dei vissuti afferrabili
ed analizzabili nell’intuizione”58.
Con questo scritto l’autore mette in discussione “l’eredità filosofica
del passato e spiana il terreno per un nuovo campo e un nuovo stile di
ricerca”59 ed il suo impatto è tale da scatenare da subito le critiche sia
degli psicologisti che dei logicisti. Il maestro Brentano, infatti, non accetta
la dedica che Husserl gli rivolge in apertura del testo, perché
sostanzialmente non si riconosce nel contenuto del suo lavoro60.
Dall’altro canto Frege 61 , che pure aveva ispirato Husserl nella
57
Husserl, E. Ricerche Logiche I, op. cit. p. 3; tr. it. p. 369.
Ivi, p. 3; tr. it. p. 268.
59
Piana, G. I problemi della fenomenologia, Milano, Mondadori, 1966, p. 25.
60
Brentano non riconobbe mai le ricerche svolte da Husserl come uno sviluppo delle
proprie idee. In una lettera del marzo 1907 diretta ad Hugo Bergmann, Brentano riferisce
ironicamente su una visita che Husserl gli aveva fatto in quel tempo: “Mi ha subissato di
assicurazioni della sua gratitudine e della sua stima, dicendo che gli avrei fatto torto se
avessi creduto alle malelingue. Ha detto anche che rassicura sempre la gente che in
realtà io non sono da annoverare tra gli psicologisti - con la qual cosa si direbbe che egli
pensi di togliermi di dosso un vergognoso sospetto”, (Briefe Franz Brentanos an Hugo
Bergmann, in Philosophy and Phenomenological Research, 7, 1946-47, p. 93.). In
un’altra lettera allo stesso Bergmann, nell’ottobre 1908 egli trova le teorie di Husserl
«astruse» ed osserva che «non in ogni punto gli è chiaro che cosa voglia propriamente
Husserl» (Ivi, p. 120).
61
Il rapporto tra Husserl e Frege è stato oggetto di lunghi ed accesi dibattiti nella
letteratura secondaria sui due autori. Questo non è affatto una sorpresa, visto che sono
stati considerati tra i padri fondatori delle due correnti filosofiche principali della seconda
metà del XX secolo: la filosofia continentale e la filosofia analitica. Husserl e Frege hanno
tenuto una corrispondenza breve, ma molto franca ed amichevole e le Grundlagen der
Arithmetik (Grundlagen der Arithmetik. Eine logisch mathematische Untersuchung über
den Begriff der Zahl, Breslau, Koebner, 1884) di Frege sono l'opera più citata nella
Filosofia dell'Aritmetica di Husserl. Questo rende particolarmente interessante il rapporto
tra i due negli anni ‘90 del XIX secolo. Nel 1894 Frege pubblicò una recensione
abbastanza dura della Filosofia dell'Aritmetica di Husserl, in cui lo accusava di far
diventare tutto mera Vorstellung, rappresentazione mentale, e quindi di far cadere la
logica e la matematica vittime dello psicologismo. Una nota linea interpretativa poi insiste
su questa recensione, riconoscendo in essa l'origine dell’ antipsicologismo di Husserl,
mostrato poi chiaramente nei Prolegomeni. Frege effettivamente avrebbe "curato" il
giovane Husserl dal suo psicologismo. Tuttavia anche in merito a questa linea
interpretativa vi sono numerosi dibattiti (si veda ad esempio: Mohanty, J. The
Development of Husserl’s Thought in Smith, B., Smith, D. H. ed. The Cambridge
Companion to Husserl. Cambridge, Cambridge University Press, 1995. Per ulteriori
58
23
composizione delle Ricerche Logiche con il suo i Fondamenti
dell’aritmetica (1884), gli rimprovera una confusione dei piani. Secondo
Frege62, infatti, Husserl cade, già in Filosofia dell’Aritmetica, nell’errore di
confondere il piano psicologico con quello logico, e questa confusione gli
impedirebbe di cogliere la natura della verità stessa. Secondo Frege
infatti si concentra esclusivamente sul piano di formazione psicologica
del concetto, piuttosto che sulla verità logica dello stesso. Nei lavori
successivi Husserl, riflettendo sulle critiche, proverà a chiarire a se
stesso e agli altri la portata della sua invenzione63.
Prima di procedere però, nell’analisi dei suoi tentativi di chiarificazione,
vale la pena mettere in evidenza una domanda di rilievo che qui rimane
ancora aperta e che verrà trattata nel paragrafo successivo, ovvero quale
ruolo gioca la fenomenologia nel progetto delle Ricerche Logiche? Nella
prima edizione delle Ricerche Logiche essa ha ancora una posizione
molto marginale; è infatti ancora un metodo di analisi attraverso il quale il
commentari alla recensione, vedesi Willard, D. Logic and the Objectivity of Knowledge,
Athens, Ohio University, 1984, p. 63; Philip Miller, J. “Numbers in Presence and
Absence”, in Phaenomenologica, 90, The Hague, Nijhoff, 1982, p. 19 e Mohanty, J.
“Husserl, Frege and the Overcoming of Psychologism” in Phaenomenologica, 95,
Dordrecht/Boston/Lancaster, Nijhoff, 1984, p. 145). Husserl già anni prima della
pubblicazione della Filosofia dell'Aritmetica aveva formulato chiaramente la sua posizione
sulla distinzione dei numeri come entità ideali ed oggettive della rappresentazione
mentale, che noi ne possiamo avere tramite i simboli delle scienze formali. Già fin dalla
sua Habilitationsschrift (1887) aveva iniziato a muoversi oltre la posizione di Brentano e
Stumpf, separando nettamente il contenuto logico e psicologico delle rappresentazioni.
La critica di Frege manca per molti versi il segno e dal 1894 Husserl verrà influenzato
molto più fortemente dalla lettura dell'opera di Twardowski e Bolzano, che non da Frege.
Infatti Husserl dichiarò di essere indebitato soprattutto a Leibniz, Bolzano, Hume e Lotze
(K. Schuhmann, Husserl-Chronik, op. cit., p.25-26) per lo sviluppo della sua posizione
sulle scienze formali e sull'idealismo.
62
Frege, G. Alle origini della nuova logica. Carteggio scientifico con Hilbert, Husserl,
Peano, Russel, Vailati e altri, trad. (a cura di) Obwexer, A. M. Torino, Boringhieri, 1983;
Frege, G. I fondamenti dell’aritmetica, trad. a cura di Geymonat, L. e Mangione, C. in
Logica ed aritmetica, Torino, Boringhieri, 1965, p. 255.
63
Perfino in una lettera a Löwith del 1937 (un anno prima della sua morte) Husserl
continuerà a chiarire il suo progetto fenomenologico e a lamentarsi dell’incomprensione
che esso ancora continua a generare: «Forse Lei comprenderà che Scheler, Heidegger e
così tutti gli ‘allievi’ di una volta, non hanno compreso il senso vero e profondo della
fenomenologia - il suo senso trascendentale che è l’unico possibile - e tutto ciò che esso
implica. Certo, non è facile impossessarsi di questo significato, ma io credo che valga la
pena di tentare. Forse Lei riuscirà a comprendere che io, non per ostinazione, ma
seguendo un’intima necessità, ho percorso da solo il mio cammino per così tanti anni - un
cammino che io sostengo in una nuova dimensione di domande e di risposte - e per
quale motivo abbia ritenuto che l’oscuro misticismo della filosofia esistenziale alla moda e
del relativismo storicistico, con la sua pretesa superiorità, sono il fiacco fallimento di
un’umanità divenuta priva di forze, che si è sottratta all’enorme compito che il crollo
dell’ ’età moderna’ nella sua totalità poneva ad essa e che ancora pone: a noi tutti!”
(Löwith, K. Eine Erinnerung an Husserl, in Edmund Husserl, 1859-1959, L’Aia 1959, pp.
49-50.)
24
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
ricercatore può addentrarsi nelle verità logiche della coscienza.
La fenomenologia costituisce un campo di indagini neutrali nel quale si
radicano le diverse scienze. Da un lato essa serve alla psicologia come
scienza empirica. […] Dall’altro lato […] dischiude le fonti dalle quali
64
scaturiscono i concetti fondamentali e le leggi ideali della logica pura .
Essa caratterizza un campo specifico di ricerche e allo stesso tempo
fornisce un supporto di analisi utile sia alla psicologia che alla logica.
1.2.3. L’idea di scienza e di fenomenologia
Negli scritti husserliani successivi alle Ricerche Logiche, l’idea di
fenomenologia si sviluppa ed assume una fisionomia più autonoma
rispetto alla logica; per dimostrarlo possiamo fare riferimento ad un ciclo
di cinque lezioni, tenute a Gottinga tra il 26 aprile ed il 2 maggio 1907,
pubblicate col titolo l’Idea della fenomenologia (1907)65e ad un articolo,
Filosofia come scienza rigorosa (1910-11)66, scritto da Husserl su invito
del neokantiano Rickert per la rivista Logos.
Nel primo testo Husserl, confrontandosi col metodo cartesiano 67 e
con quello humiano, affronta nuovamente il problema del fondamento
della conoscenza scientifica e lo risolve, questa volta, attraverso la
scienza fenomenologica, usata non più come semplice metodo, ma
come vero e proprio strumento scientifico. Il concetto chiave che egli
introduce in queste lezioni, per giustificare il ruolo della nuova scienza
fenomenologia, è quello dell’epoché.
Husserl si domanda in sostanza: come posso conoscere in modo
certo qualcosa che è fuori di me? È possibile avvicinarsi ad una
conoscenza certa del reale? Senza rinunciare all’assunto humiano,
secondo il quale ogni conoscenza ha origine a partire da principi
assolutamente soggettivi, come è possibile arrivare ad una conoscenza
certa, universale di ciò che è fuori di me e che perciò ancora non
posseggo? Ancora, senza mettere da parte l’assunto kantiano, secondo
il quale esiste un centro di unificazione delle nostre rappresentazioni,
64
Husserl, E. Ricerche Logiche I, op. cit. p. 3; tr. it. p. 268.
Husserl, E. Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, (a cura di) Biemel, W.
The Hague, Nijhoff, 1973; L'idea della fenomenologia, trad. a cura di Sini, C. Roma-Bari,
Laterza, 1992, (d’ora abbrevieremo con Idea della Fenomenologia e per le indicazioni
complete rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo).
66
Husserl, E. Aufsätze und Rezensionen (1890-1910), (a cura di) Rang, B., The Hague,
Martinus Nijhoff, 1979; La filosofia come scienza rigorosa, trad. a cura di Sinisgaglia, C.
Roma- Bari, Laterza, 1994, (d’ora abbrevieremo con Filosoia come scienza rigorosa e per
le indicazioni complete rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo).
67
Sul rapporto tra Husserl e Cartesio si veda, tra gli altri, Landgrebe, L. “Il distacco di
Husserl dal cartesianesimo”, in Itinerari della fenomenologia, trad. a cura di Piacenti, G.
Torino, Marietti, 1974.
65
25
identico in ognuno di noi, che ci permette di rappresentare e di
conoscere dati che sono uguali per tutti, come è possibile dimostrare
l’esistenza di questo ‘io penso’ senza cadere in posizioni psicologistiche?
Le soluzioni che sembrano profilarsi sul cammino husserliano sono due:
o la conoscenza può essere solo altamente probabile, perché sempre
legata all’esperienza psichica dell’io (e quindi la trascendenza rimane
una ‘x’ inconoscibile, perchè per spiegarla si è costretti ad utilizzare
funzioni indimostrabili e facilmente interpretabili in un senso psicologico),
oppure il mistero della trascendenza può essere in qualche modo risolto.
La strada che Husserl segue per risolvere il “mistero della conoscenza”68,
come lo definisce in Idea della fenomenologia, si presenta come una via
di mezzo tra queste due possibili soluzioni e per percorrerla si avvale del
metodo cartesiano, ovvero dell’epoché, atto attraverso il quale è
possibile mettere tra parentesi la realtà. L’epoché consiste in sostanza, in
una radicale messa in questione di tutta la realtà; la sua finalità è quella
di sottoporre all’esame del dubbio tutte le verità che diamo per ovvie,
così da riacquisirle solo dopo aver dimostrato il loro indubbio valore.
Per conoscere in modo indubitabile il filosofo ha bisogno di partire da
un principio vero ed assolutamente provabile. In una pagina di diario del
25 settembre 1906 Husserl scrive: “Ho bisogno di chiarezza, di un’intima
solidità da cui partire (…) se voglio dirmi veramente filosofo”. Il filosofo
Husserl dunque, attraverso il percorso già tracciato nelle Meditazioni di
Cartesio69 perviene ad un principio di verità assolutamente puro, quello
dell’io sono. Qualora, infatti, io decida di mettere in discussione tutto, di
mettere in epoché tutta la realtà, perfino la terra che calpesto sotto i miei
piedi o le mani che vedo qui ed ora davanti a me, il mio dubbio non può
resistere alla verità del mio pensare dubitante. Posso dubitare su tutto,
ma non sul fatto che io stesso, in questo stesso momento sto dubitando.
E dunque la verità del mio essere, di me in quanto res cogitans, diviene
un principio di verità irrinunciabile per qualunque acquisizione scientifica.
La trascendenza del mondo va cercata nel contenuto di pensiero di
questa res, che deve essere pensata non più come qualcosa di
individuale e psicologico, né come qualcosa di inconoscibile in sé, ma
come un punto di verità soggettivo ed universale. “Le cogitationes
68
Idea della fenomenologia, p. 23; tr. it. p. 40.
L’inizio delle Meditazioni (Cartesio, R. Meditazioni metafisiche, trad. a cura di Garin, E.
Bari, Laterza, 2000, p. 32), descrive perfettamente l’atteggiamento che Husserl ritiene
necessario per porre in atto l’epoché. Citiamo qui le primissime righe a cui facciamo
riferimento: “Già da qualche tempo mi ero accorto che, sin dai miei primi anni, avevo
accolto per vere molte opinioni false, e che ciò che poi avevo costruito su principi tanto
malfermi, non poteva essere che assai dubbio ed incerto. Mi ero proposto quindi di
cercare seriamente, almeno una volta nella vita, di disfarmi di tutte le opinioni a cui avevo
sino ad allora prestato fede, e di ricostruire ogni cosa dalle fondamenta, se pure volevo
stabilire qualche cosa di certo e di stabile nelle scienze.”
69
26
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
rappresentano una sfera di datità assolute ed immanenti […] Nel
guardare il puro fenomeno, l’oggetto non è fuori della conoscenza, fuori
dalla ‘coscienza’” 70 La cogitatio infatti, secondo Husserl, caratterizza
egualmente ogni essere umano ed essa è lo strumento attraverso il
quale introiettiamo in noi stessi il mondo, riducendo la distanza tra la sua
trascendenza e la nostra immanenza.
L’io come persona, come cosa del mondo, ed il vissuto come
vissuto di questa persona […] sono trascendenze, e come tali sono
gnoseologicamente zero. Solo attraverso una riduzione, che noi
vogliamo appunto chiamare una riduzione fenomenologica,
conseguo una datità assoluta che non presenta nulla di ciò che è
71
trascendenza
Attraverso l’analisi dell’atto del pensare e del suo contenuto
possiamo conoscere come il mondo è per ognuno di noi. Al filosofo
infatti, secondo Husserl, non interessa conoscere il trascendente come è
in sé, perché esso esiste sempre in funzione di una soggettività che lo
coglie, nel caso specifico una soggettività umana.
Dunque, in queste lezioni la fenomenologia a che cosa serve e che
cosa diviene? La fenomenologia acquisisce la dignità di una vera e
propria scienza. Essa infatti diviene quella forma di approccio filosofico
capace di indagare l’atto del pensare, arrivando all’origine dei suoi
contenuti e mostrando la loro verità. Essa “procede per sguardi
chiarificatori, determinazioni di senso e distinzioni di senso […]. Tutto ciò
entro il puro guardare” 72 . ”La fenomenologia diviene “scienza dei puri
fenomeni”73, ovvero scienza dei contenuti e degli atti del pensiero. Grazie
all’epoché il mondo intero è ridotto a pure essenze contenute nel puro
pensiero, nel puro vissuto dell’io: la fenomenologia è quella scienza che
analizza a ritroso i fenomeni che si danno (Gegebenheiten, datità le
chiama infatti Husserl) incessantemente alla coscienza. In questo modo
si mette “saldamente piede sulla nuova terra” della fenomenologia:
occorre però evitare di finire in balia delle “bufere dello scetticismo” 74.
Con l’introduzione dell’epoché Husserl non risolve totalmente la
deriva scettica a cui la sua impostazione lo induce. La definizione
dell’epoché è infatti particolarmente problematica nella fenomenologia
husserliana (intorno ad essa si è sviluppata una grande quantità di studi
critici)75 e difficilmente si riesce a chiarire sino in fondo come si possa
70
Husserl, E. Idea della fenomenologia, op. cit., p. 43; tr. it. p. 92.
Ivi, p. 44; tr. it. p. 93.
72
Ivi, p. 58; tr. it. p. 115.
73
Ivi, p. 55; tr. it. p. 112.
74
Ibid.
75
Per chi voglia approfondire ed avere allo stesso tempo una visione di insieme su
71
27
passare da uno stato psicologico dell’io ad uno puro e trascendentale.
Tuttavia si è ritenuto necessario accennare qui alla sua funzione, per
spiegare come Husserl giustifichi il passaggio da una filosofia
fenomenologica, intesa semplicemente come metodo, ad una filosofia,
intesa come scienza vera e propria. La fenomenologia diviene, oltre che
metodo, anche scienza, perché poggia su un fondamento di verità
assolutamente solido, l’“io penso”, acquisibile appunto attraverso
l’epoché. La fenomenologia è, in quanto scienza una ‘ricerca d’essenza’
(Wesensforschung), perché chiarifica i contenuti e gli atti di tale pensiero.
In Filosofia come scienza rigorosa (1910-‘11) Husserl ribadisce queste
scoperte. Proseguendo la sua polemica contro lo psicologismo (che
viene assimilato qui anche ad una forma di naturalismo) ed assumendo
posizioni contrarie anche nei confronti dello storicismo, Husserl presenta
la filosofia fenomenologica come l’unica che possa essere definita una
scienza rigorosa. “Naturalisti e storicisti – scrive Husserl – lottano per la
Weltanschauung, ma in realtà entrambi contribuiscono a travisare le idee
in meri fatti e a trasformare l’intera realtà e l’intera vita in un miscuglio
incomprensibile di fatti privi di idee”76.
In questo testo Husserl, similmente a come aveva scritto nelle
Ricerche Logiche, critica anche la posizione filosofica dello storicismo, in
modo particolare quello di Dilthey77. Pur apprezzando, ancora una volta,
quell’atteggiamento filosofico che parte dal dato reale, critica tuttavia il
risultato: la verità non può perdersi nel particolare di un singolo fatto,
naturale o storico. Usando le parole di Lotze Husserl scrive: “Calcolare il
corso del mondo non significa comprenderlo” 78 . L’errore di storicisti e
naturalisti consiste nel fermarsi al puro fatto naturale, psicologico o
questo tema, la cui letteratura critica sembra ormai sconfinata, consigliamo gli articoli
contenuti in Alter, 11, 2003; per altri riferimenti critici rimandiamo alla bibliografia in fondo
al testo.
76
Husserl, E. Filosofia come scienza rigorosa, op. cit., p. 97.
77
Husserl osserva che la filosofia di Dilthey non è che una forma inconseguente di
scetticismo. Essa pensa di potersi sottrarre alle assurdità scettiche e di proporsi anzi
come filosofia scientifica sottraendo incoerentemente alla riduzione storicistica il
patrimonio di conoscenze delle scienze positive, attribuendo ad esso il senso di una
verità oggettiva; e teorizzando una nozione di filosofia su di esso fondato e dal quale la
filosofia potrebbe attingere la propria validità. La filosofia priva di questo fondamento
deve essere criticata come priva di un fondamento in genere. Le assurdità scettiche
vengono così evitate e aggirate ma solo cadendo in una nuova inconseguenza: la critica
della filosofia che la contrappone scetticamente all’oggettività della scienza intacca in
realtà il senso di scientificità della scienza stessa. Anche lo storicismo di Dilthey può alla
fine - secondo Husserl - essere riportato a premesse psicologistiche: lo storicismo
conseguente non può ammettere alcuna emergenza dell’idea rispetto ai fatti, così come
lo psicologismo non vuole riconoscere l’emergenza dell’idealità dei concetti logici rispetto
alla realtà psicologica del pensiero. Ciò che hanno in comune è la “superstizione del
fatto”.
78
Husserl, E. Filosofia come scienza rigorosa, op. cit., p. 9.
28
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
storico, e nel far assurgere esso come strumento di spiegazione del
reale. Questo modo di intendere il pensiero porta il filosofo a perdersi nei
particolarismi e a non vedere il senso generale ed il significato
complessivo delle cose.
Per questo, la fenomenologia deve essere una filosofia che ricerca le
essenze (o contenuti puri dei vissuti della coscienza) e che, partendo dai
semplici dati di fatto, analizza l’essenza che si cela in essi per portare
alla luce il loro significato generale. “La pura fenomenologia, in quanto
scienza […], può essere soltanto ricerca d’essenza” 79 e per essenza
Husserl intende il dato originario che viene pensato dalla res cogitans,
dalla coscienza. “La ricerca deve mirare ad una conoscenza scientifica
dell’essenza della coscienza, a ciò che la coscienza stessa è in base alla
sua essenza in tutte le sue forme distinguibili e, nello stesso tempo, […]
a ciò che essa significa, […] ai differenti modi in cui, in conformità
all’essenza di queste forme, essa intende”80. La ricerca d’essenza è in
sostanza, per Husserl, duplice perché essa studia l’essenza, ovvero il
dato originario della coscienza, ed il modo in cui questo dato viene
recepito da essa. Quindi il compito della ricerca fenomenologica è quello
di studiare i diversi “tipi di coscienza”81 e le diverse forme con cui il dato
appare ad essa.
Dal confronto tra Idea di Fenomenologia e Filosofia come scienza
rigorosa, quindi, è emerso che:
l’idea di fenomenologia diviene da semplice metodo una filosofia
scientifica;
la coscienza viene intesa come sostanza pensante da un duplice
punto di vista: come sostanza che pensa e contiene il dato pensato in
diversi modi;
la polemica di Husserl contro quello che egli definisce psicologismo si
estende anche al campo dello storicismo.
Queste conclusioni sono importanti ai fini della nostra ricerca perché:
l’idea husserliana di etica verrà a costruirsi proprio all’interno dell’idea
di fenomenologia82;
79
Husserl, E. Filosofia come scienza rigorosa, op. cit., p. 61-62.
Ivi, p. 26.
81
Ibid.
82
Se infatti l’idea di fenomenologia nasce da quest’ansia filosofica di chiarezza che porta
Husserl ad intraprendere una radicale analisi dell’idea di ragione, la scienza filosofica e la
scienza etica crescono per lo più di pari passo, perché entrambe derivano dalla
chiarificazione della loro radice razionale. In una pagina di diario del 1905, già citata nel
testo, Husserl pone alla base della sua esigenza filosofica di chiarezza una parallela
indagine della ragione logica e pratica: “In primo luogo nomino il compito generale che
devo risolvere per me se voglio chiamarmi filosofo. Intendo una critica della ragione
logica e pratica, di ciò che in generale ha valore. Io non posso veramente e veracemente
vivere senza venire i chiaro in linee generali sul senso, l’essenza, i metodi, i punti di vista
fondamentali di una critica della ragione, una critica della ragione logica e pratica, di ciò
80
29
il progetto di fondare una scienza etica infatti, sarà possibile proprio
in virtù di una coscienza puramente razionale;
infine l’esigenza di fare dell’etica una scienza sarà frutto della vis
polemica di Husserl nei confronti di quelle correnti che egli chiama:
psicologismo, naturalismo, storicismo e logicismo.
Tuttavia, prima di presentare il progetto etico e scientifico husserliano,
soffermiamoci su un ultimo testo a cui il filosofo stesso rimanda all’inizio
delle lezioni etiche del 1914, il volume primo delle Idee (1913)83.
1.2.4. L’etica e la scienza fenomenologica
Le Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica è
un testo che esce in tre volumi. Il primo, quello a cui faremo riferimento in
questo paragrafo, viene pubblicato nel 1913 84 e nasce principalmente
dalla necessità di Husserl di sistematizzare e chiarire i risultati di dieci
anni di studi. Scrive Franzini: “Idee I […] è un ponte metodologico e
prospettico, che copre più di un decennio del pensiero husserliano
sistematizzandone alcuni aspetti e lavorando per un’uniformità
terminologica”85.
Così Husserl apre questo volume:
La fenomenologia pura alla quale vogliamo qui accedere, della
quale vogliamo caratterizzare la posizione peculiare rispetto a tutte
le altre scienze, e che vogliamo dimostrare essere la scienza
fondamentale della filosofia, è una scienza essenzialmente nuova
[…] lontana dal modo naturale di pensare. […] Essa si dice scienza
86
di fenomeni.
“Da dieci anni a questa parte – continua Husserl – filosofi e psicologi
tedeschi parlano spesso di fenomenologia [credendosi d’accordo con le
Ricerche Logiche, concepiscono la fenomenologia come grado
che in generale ha valore”.
83
Husserl, E. Ideen zu einer reinen Phänomenlogie und phänomenlogischen
Philosophie., (a cura di) Biemel W. The Hague, Martinus Nijhoff Publishers, 1950; Idee
per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, trad. a cura di Costa,
Torino, V. Einaudi, 2002, vol. 2, (d’ora in poi abbreviato con Idee).
84
Le Idee vennero pubblicate nel 1913, in occasione della stampa del primo volume dello
Jahrbuch für Philosophie und phänomenologishe Forschung, fondato dallo stesso
Husserl. Vi furono altre due edizioni di questo volume, mentre Husserl era ancora in vita
(nel 1922 e nel 1928), pubblicate dall’editore Max Niemeyer. In entrambe le ristampe non
sono presenti cambiamenti rilevanti. In Italia la prima traduzione si ha nel 1950 a cura di
Giorgio Alliney. Per una visione più ampia della storia editoriale di questo volume
rimandiamo il lettore a. Costa, V. Sulla storia editoriale di Idee I e sui criteri di questa
edizione, in Idee I, op. cit., pp. LIII-LVII.
85
Husserl, E. Idee I, op. cit., p. XXIII.
86
Ivi, p. 3; tr. it. p. 1.
30
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
preliminare della psicologia empirica]” 87 . Nelle Ricerche Logiche la
fenomenologia era solamente abbozzata e questo aveva dato adito,
secondo l’autore, ad interpretazioni lontane dal vero senso di questa
scienza88; l’intento di questo volume è di riportare la fenomenologia al
suo vero significato, seppure, lo anticipiamo ora, Husserl non riuscirà mai
87
Ivi, p. 2; tr. it. p. 1.
Dopo la pubblicazione di questo testo nacquero due circoli di studiosi: quello di
Monaco e di Gottinga (entrambi nel tempo non verranno riconosciuti da Husserl come
parti della propria corrente di pensiero). Di fronte alla pubblicazione di quest’opera la
reazione di una parte della giovane cultura tedesca fu molto forte. In quegli anni
all’università di Monaco esisteva già intorno a Theodor Lipps un attivo gruppo di ricerca
psicologica che operava in modo organizzato sotto il nome di Akademisch
Psychologischer Verein. Ora, la critica di Husserl che coinvolgeva direttamente anche
l’indirizzo di Lipps, gettò lo scompiglio all’interno del gruppo. Lipps fu costretto a
difendersi, ma lo fece con scarso successo. L’episodio cruciale di questa crisi fu il viaggio
che Johannes Daubert, uno dei più promettenti allievi di Lipps, compì da Monaco a
Gottinga. Il colloquio avuto con Husserl in questa occasione fu decisivo per le sorti del
gruppo di Monaco: «Fu probabilmente in seguito a questo colloquio che Husserl stesso
nel luglio 1904 si recò a Monaco, rivolgendosi al circolo riunito. Da questo momento in
poi, con crescente disappunto di Lipps, le Ricerche logiche diventarono il principale testo
di riferimento del gruppo. Nel 1905 iniziò l’andirivieni di studiosi e di visitatori da Monaco
a Gottinga e viceversa. Solo dopo il 1906, Scheler, proveniente da Jena dalla scuola di
Rudolf Eucken, si unì al gruppo, non limitandosi a subirne l’influenza, ma anche
esercitando un’influenza sua propria, tanto più che questi furono per lui gli anni più
formativi. Tra i primi membri si annoverano Adolf Reinach (che si stabilì poi
definitivamente a Gottinga, dove divenne il centro del circolo che si costituì solo più tardi),
Theodor Conrad, Moritz Geiger, Aloys Fischer e August Gallinger, insieme ad altri allievi
di Lipps meno influenzati dalla fenomenologia, come Ernst von Aster e il positivista Hans
Cornelius. Tra i membri più giovani che si ispiravano a Scheler, il più eminente era
Dietrich von Hildebrand. Si può dire che tra i membri del circolo di Monaco fosse
maggiormente vivo il senso della comunità: oltre alle riunioni ’psicologiche’, essi si
incontravano spesso, regolarmente o anche occasionalmente, per compiere discussioni
di gruppo. D’altra parte, il circolo di Monaco era caratterizzato dall’interesse primario
verso la psicologia analitica e descrittiva e, in parte sotto l’influsso del clima artistico di
Monaco, da un interesse verso i problemi del valore e dell’estetica più profondo di quello
che fosse dato trovare nella più austera atmosfera matematica e scientifica di Gottinga»
(Spiegelberg, H. “The Phenomenological Mouvement”, in Phaenomenologica, The
Hague, Martinus Nijhoff, 6, 1971, p. 172). Sappiamo da Spiegelberg, che compì i suoi
studi con Pfänder a Monaco proprio in quegli anni, che solo dopo il 1907 si può parlare di
un vero e proprio circolo di Gottinga. Solo dopo quegli anni si formò effettivamente
intorno a Husserl un gruppo di studiosi provenienti da varie parti, come Koyré, Hering,
Ingarden, Fritz Kaufmann e Edith Stein. Questi intorno al 1907 cominciarono a riunirsi
regolarmente, spesso in assenza di Husserl e alle volte con la sua disapprovazione. Lo
spirito di indipendenza che il circolo di Monaco aveva dimostrato verso Lipps, si
manifestò più tardi anche verso Husserl stesso. Come abbiamo visto, quanto più il
numero dei fenomenologi di Monaco e di Gottinga si allarga, tanto più viene meno il
carattere della «scuola». Infatti accanto ed insieme all’orientamento husserliano,
ritroviamo, all’interno dei circoli di Monaco e di Gottinga, impostazioni sostanzialmente
diverse, influenze eterogenee (come quella di Max Scheler), tendenze di sviluppo
dell’idea della fenomenologia tracciata nelle Ricerche logiche che implicavano una presa
di posizione critica verso lo sviluppo propriamente husserliano.
88
31
a fissare la fenomenologia entro un quadro stabile. La sua definizione
infatti, rimarrà sempre, a parer nostro, aperta.
Essendoci soffermati già sopra la descrizione generale della
fenomenologia, tentiamo di capire qui quale dovrebbe essere per Husserl
il fondamento razionale di una qualunque scienza, ivi compresa quella
fenomenologica. In primo luogo Husserl separa le scienze dei dati di fatto
da quelle pure o eidetiche; le prime si limitano a constatare attraverso
l’esperienza la realtà, le seconde invece lavorano sul dato ideale. “Il
senso di una scienza eidetica esclude per principio ogni intrusione dei
risultati delle scienze empiriche”89 Le prime si fondano su di un nesso
empirico, le seconde su di uno ideale.
Chi si occupa di scienze naturali […]osserva ed esperimenta,
ossia constata attraverso l’esperienza […] cosicché l’esperire è per
lui un atto fondante […], di conseguenza scienza di dati di fatto e
scienza d’esperienza sono equivalenti. Invece il geometra, che non
esplora delle cose reali, ma delle possibilità ideali, non degli stati di
cose reali, ma degli stati eidetici, utilizza come atto fondante non
l’esperienza, ma il vedere eidetico 90.
I due tipi di scienza sia quella empirica che quella ideale si fondano
su ‘atti’, perché, lo ricordiamo, per Husserl, sin dalla Filosofia aritmetica,
ogni discorso scientifico passa per gli atti della coscienza. La differenza
tra i due tipi di scienze sta nel fatto che la scienza ‘ideale’, ovvero la
scienza che si occupa di idee, si fonda su di un particolare tipo di atto: il
vedere eidetico.
Anche se di quest’ultimo Husserl non da’ una definizione unitaria e
completa, potremmo dire in generale che esso coincida con il vedere
fenomenologico, ovvero con quel vedere che, grazie al supporto
dell’epoché, unifica le essenze della coscienza. Attraverso la
sospensione del giudizio, messa in atto dall’epoché, il fenomenologo
può, a ritroso, verificare la costituzione degli atti che portano alla
formazione di un determinato concetto. Nel caso specifico la geometria è
una regione della coscienza, ovvero è uno specifico luogo entro cui la
coscienza coglie e contiene il dato spaziale. “La geometria - scrive
Husserl – è la disciplina ontologica riguardante un momento essenziale
di tale cosalità, cioè la forma spaziale”91. Secondo Husserl in sostanza,
ogni disciplina si fonda nell’essenza razionale della coscienza, nell’atto
con cui la coscienza coglie puramente l’unità omogenea della realtà;
l’insieme di questi atti e dei loro contenuti costituisce una specifica
89
Ivi, p. 18; tr. it. p. 25.
Ivi, p. 17; tr. it. p. 24, corsivo mio.
91
Ivi, p. 20; tr. it. p. 27.
90
32
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
regione ontologica.
Tentiamo di comprendere ora se l’etica possa essere definita come
una di queste regioni e se sia connessa in qualche maniera con la
scienza fenomenologica.
La fenomenologia è concepita da Husserl come quella scienza che
comprende tutte le regioni della coscienza, essa è “la dottrina eidetica
puramente descrittiva delle formazioni immanenti della coscienza, cioè
degli accadimenti afferrabili nella corrente dei vissuti” 92 . Il suo
fondamento razionale è rappresentato dall’essenza della coscienza in
generale ed il suo compito è la chiarificazione della coscienza stessa.
Essa è, in sintesi, «scienza della coscienza» 93 ed il genitivo ‘della
coscienza’ ha un valore soggettivo ed oggettivo. Esso specifica la
coscienza sia come suo soggetto che come suo oggetto.
L’oggetto della fenomenologia è costituito dalla chiarificazione delle
verità della coscienza, che è a sua volta il suo ‘soggetto’, ovvero il suo
fondamento di verità. “È nostro scopo di fondare la fenomenologia
appunto all’interno di questa purezza e […] compiamo ora
espressamente un’estensione della riduzione originaria a tutti i territori
eidetico trascendenti e alle connesse ontologie”94.
Il fine della fenomenologia è quello di chiarire la ragione della
coscienza, e quindi di fondare se stessa mostrando la base razionale su
cui poggia. Essa, inoltre, comprende tutte le ontologie, ma ne è allo
stesso tempo indipendente, perché superiore rispetto ad esse. “Rimane
assodata - scrive Husserl – l’assoluta indipendenza della fenomenologia
rispetto a tutte le scienze, ivi comprese le scienze eidetico formali”95.
La scienza fenomenologica ha in comune con le altre scienze
particolari il fondamento e l’oggetto, con la sola differenza che le scienze
particolari si occupano e si fondano su di un campo più limitato. L’etica
ad esempio, che è il campo che più ci interessa, è un’ontologia regionale
della fenomenologia 96 . Si fonda sugli atti della ragione pratica della
coscienza e sulle loro essenze, e dipende dalla fenomenologia dal punto
di vista dell’assegnazione di senso e di significato dei propri contenuti. La
fenomenologia infatti, essendo indipendente dalle singole ontologie,
92
Ivi, p. 136; tr. it. p.148.
Husserl, E. Aufsatze und Vortrage, 1911-1921, (a cura di) Nenon, T.; Sepp, H. R.the
Hague, Martinus Nijhoff, 1986, p. 17; trad. a cura di. Volonté, P. Fenomenologia e teoria
della conoscenza Milano, Bompiani, p. 41.
94
Ivi, pp. 146-7; tr. it. pp. 148-49.
95
Ivi, p. 149; tr. it. p. 151.
96
Quest’affermazione tuttavia non può essere pienamente sostenuta ed è essa stessa il
nodo centrale del nostro lavoro perché in realtà come anche Gérard nota (Gérard, V.
L’analogie entre l’éthique formelle et la logique formelle chez Husserl, in Centi, B.;
Gigliotti, G. Fenomenologia della ragione pratica, Bibliopolis, Napoli, 2002, p. 115),
Husserl vuole fare dell’etica una disciplina “radicalmente e profondamente analoga alla
logica”, rendendola in sostanza una nuova ontologia formale dell’azione corretta.
93
33
chiarifica la ragione totale della coscienza in modo tale da fornire il nesso
ultimo di fondazione proprio di ogni scienza.
La coscienza infatti è, secondo Husserl, vita razionale che si esplicita
in diversi modi. Per semplificare potremmo dire che ‘la vita razionale’ è
l’oggetto di studio della fenomenologia e la sua scienza ed i ‘diversi modi’
sono l’oggetto delle singole ontologie. “La coscienza […] si dirige con
molti raggi sull’elemento oggettuale” 97 e ad ogni tipo di raggio
corrisponde uno specifico modo di essere della coscienza; su di ogni
raggio inoltre una specifica disciplina trova la sua radice razionale.
La verità teoretica o dossologica […], ha – quindi - i suoi paralleli
nella verità […] assiologica e pratica: dove le ‘verità’ dell’ultimo
titolo giungono ad espressione e a conoscenza nelle verità
98
dossologiche, cioè in quelle specificatamente logiche
Le ultime due righe di questo breve passo sono molto importanti
perché ci danno una traccia del rapporto che, in questi anni, Husserl
presuppone esserci tra logica ed etica. La disciplina logica rispetto alle
ricerche del 1900-’01 continua ad avere un ruolo importante, perché ogni
verità o concetto ha sempre bisogno dello strumento espressivo del
pensiero e della parola per poter essere manifestato, ma, a differenza di
quelle ricerche, ora l’obiettivo dell’analisi fenomenologica non è più solo
di carattere logico o epistemologico. Dopo aver dimostrato le ‘parallele
vite razionali’ della coscienza, Husserl crede di poter analizzare,
dall’origine, il fondamento razionale di ogni disciplina e di avvalorare con
esso la validità scientifica delle diverse discipline.
Riprendendo dunque una questione che avevamo lasciato in
sospeso nei paragrafi precedenti, ci chiediamo: come cambia la
fenomenologia husserliana rispetto alle Ricerche Logiche e come si
inserisce il discorso etico al suo interno? Nelle Ricerche Logiche la
fenomenologia era metodo per supportare le ricerche logiche, ora invece
è scienza. Il suo obiettivo non è più l’analisi della coscienza, al fine di
portare chiarezza nella disciplina logica, ma è quello di analizzare la
coscienza nella sua intera vita intenzionale e razionale. L’analisi
fenomenologica, dunque, in quanto analisi della ragione, diviene analisi
scientifica in senso più ampio. L’etica si inserisce nel discorso
fenomenologico in quanto disciplina che trova il suo fondamento
razionale in una regione specifica della coscienza, quella dell’agire e del
volere; essa dipende dalla fenomenologia perché condivide con essa
una porzione specifica del suo fondamento e perché attraverso il suo
metodo è in grado di chiarire a se stessa il fondamento razionale che è
97
98
Ivi, p. 300; tr. it. p. 298.
Ivi, p. 337; tr. it. pp. 347-8.
34
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
alla sua origine.
Se l’etica, questo è il filo che seguiremo nella nostra analisi, non può
essere una scienza, il progetto fenomenologico generale cade, perché il
progetto di fondazione scientifica dell’etica è strettamente vincolato a
quello fenomenologico; se l’etica invece può essere definita scienza, ci
troviamo di fronte ad una nuova idea di scienza, in cui, lo anticipiamo, la
persona umana gioca un ruolo decisamente centrale. Essa infatti
influenza l’idea di scienza in modo tale da renderla più prossima al
concetto
di
vocazione
e
di
storia
personale
dell’io.
35
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
37
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
CAPITOLO 2
IL PROGETTO ETICO E LA
FENOMENOLOGIA
2.1.1 Le lezioni del 1914
In questo capitolo ci proponiamo di mostrare come si inserisca il progetto
etico all’interno del percorso filosofico husserliano appena tracciato ed in
che cosa esso consista.
Gli scritti etici husserliani sono raccolti principalmente in due volumi, il
XXVIII99 ed il XXXVII100, all’interno della collana interamente dedicata ad
Husserl: la Husserliana. Il volume XXVIII, primo nell’ordine di
pubblicazione (1988), si intitola Vorlesungen über Ethik und Wertlehre ed
è diviso in tre parti. La prima parte, quella su cui si concentrerà la nostra
analisi, è dedicata alle Vorlesungen über Grundfragen zur Ethik und
Wertlehre 1914. La seconda, è intitolata Einleitung und Schlussstück der
Vorlesungen über Ethik und Wertlehre 1911. La terza ha per oggetto il
secondo gruppo delle Vorlesungen über Grundprobleme der Ethik 1908’09. La successione cronologica dei testi non è progressiva: sono state
pubblicate prima le lezioni del 1914 perché, spiega Melle curatore del
volume, esse rappresentano la sintesi concettuale del precedente lavoro
di analisi. I testi integrativi, invece, seguono la successione cronologica e
contengono i frammenti del pensiero etico husserliano elaborato dal 1897
sino al 1914. Come è ben comprensibile dai titoli, i testi sono una raccolta
di lezioni ed appunti. Lo stile, dunque, richiede al lettore una particolare
pazienza perché può risultare spesso incoerente o di difficile
interpretazione.
2.1.2. Il parallelismo tra logica ed etica
Per quel che concerne le lezioni del 1914101, il primo paragrafo contiene
99
Husserl, E. Vorlesungen über Ethik und Wertlehre, 1908 - 1914, (a cura di) Melle, U.
The Hague, Kluwer Academic Publishers, 1988; trad. a cura di Basso, P; Spinicci, P.
Lineamenti di etica formale, Firenze, Le Lettere, 2002, (d’ora in poi useremo il titolo
abbreviato Vorlesungen über Ethik e per le indicazioni bibliografiche complete
rimandiamo alla bibliografia).
100
Husserl, E. Einleitung in die Ethik 1920 – 1924, (a cura di) Peucker, H.
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 2004 (d’ora in poi useremo il
titolo abbreviato Einleitung in die Ethik e per le indicazioni bibliografiche complete
rimandiamo alla bibliografia). Ci dedicheremo alla descrizione di questo volume nel quarto
capitolo.
101
Le Vorlesungen über Ethik si suddividono in quattro sezioni: I. Il parallelismo tra logica
39
informazioni fondamentali per la comprensione del progetto husserliano:
il titolo della prima sezione è infatti: «Il parallelismo tra logica ed etica» ed
i testi esplicitamente citati da Husserl come utili linee guida sono i
Prolegomeni, le Ricerche Logiche e le Idee I.
Perché si parla di parallelismo e qual è il tema che unisce i tre testi a cui
Husserl rimanda?
Il parallelismo rappresenta, in generale, la struttura entro cui si
articola il progetto etico husserliano 102. Si ritiene, in sostanza, che sia
possibile individuare la radice razionale che sta alla base della disciplina
etica attraverso l’approfondimento del parallelismo esistente tra le ragioni
radicate nella coscienza.
Tradizionalmente verità, bontà e bellezza vengono
presentate come idee filosofiche tra loro coordinate e ad
esse si fanno corrispondere le parallele discipline filosofiche
di carattere normativo: la logica, l’etica e l’estetica. Questo
parallelismo che poggia su ragioni radicate in profondità, ma
chiarite in modo insufficiente, comporta ingenti problemi
filosofici, che vogliamo ora approfondire in nome di una
fondazione scientifica dell’etica103.
Per fondare la scienza etica è necessario approfondire e chiarire ciò
che, secondo Husserl, la tradizione filosofica ha lasciato scoperto, ovvero
l’idea di bene e la sua corrispondente struttura razionale pratica, che è a
fondamento della possibile scienza etica.
Il progetto etico husserliano 104 consiste, in generale, in una sorta di
riprova del suo progetto filosofico: se infatti, “la coscienza è un’unità col
nome di ragione: la ragione che conosce, quella che valuta, quella che
agisce”105 e se queste ”forme di ragione“, seppure parallele tra loro, “sono
ed etica, II. Assiologia formale, III. Sulla fenomenologia del volere, IV. La pratica formale.
Cfr. in merito al tema dell’origine della scienza etica e della struttura entro cui essa è
posta lo studio di Lavigne, J. F. Husserl et la naissance de la phénoménologie. La genèse
de l'idéalisme phénoménologique, des Recherches Logiques aux Ideen, Paris, P.U.F.,
2004.
103
Husserl, E. Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 3; tr. it. 26.
104
La prima descrizione dell’analogia tra logica ed etica e quindi del conseguente
progetto etico elaborato da Husserl si ha nel 1902 in Vorlesungen über Grundfragen zur
Ethik und Wertlehre ed è stata sviluppata in maniera sistematica a tre riprese in
Vorlesungen über Ethik nel 1908-09, 1911 e 1914. Cfr. ancora Lettera di Husserl a
Meinong del 5 aprile 1902 (Briefwechsel, (a cura di) Schuhmann, K. The Hague,
Netherlands: Kluwer Academic Publishers, 1994, Bd. I, p. 145 ), Idee I, nota 1, p. 219 e
Husserl, E. Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen
Vernunft, (a cura di) Janssen, P. The Hague, Martinus Nijhoff, 1974, note 1, p. 142; trad.
a cura di. Neri, D. Logica formale e trascendentale, Bari, Laterza, 1966, nota 1, p. 185.
105
Husserl, E. Aufsätze und Vorträge(1911-1921), hrsg. von Nenon, T., Sepp, H. R..
102
40
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
l’una strettamente legata all’altra e non si danno delle scienze divise l’una
dall’altra, ma un’unica dottrina della ragione che, a sua volta, fa parte di
una scienza (…) della coscienza pura in generale, la fenomenologia
pura”106, allora la scienza etica potrà essere una scienza fondata nella
‘ragione che agisce’, ovvero pratica, della coscienza e compresa nella
fenomenologia in quanto generale scienza della ragione della coscienza.
Ancora di più: se nelle Ricerche Logiche è stato possibile mostrare che la
ragione logica è il fondamento scientifico della scienza logica e che
questa scienza si articola secondo una struttura scientifica ben definita,
sarà possibile fare la stessa cosa per l’etica, usando come modello la
scienza logica. Quindi, per individuare la radice razionale della scienza
etica è necessario, secondo Husserl, analizzare la struttura razionale
della coscienza ed in modo particolare la struttura razionale pratica che
fa capo all’azione.
Per Husserl, sia la logica che l’etica vengono concepite come delle
discipline pure che si fondano in una specifica regione di razionalità della
coscienza e vengono pensate come regioni specifiche della più generale
scienza fenomenologica; nelle lezioni infatti scrive:
Come alla logica formale corrisponde un sistema di strutture
fondamentali della coscienza della credenza (della coscienza
dossica, come sono solito a dire) e con ciò una
fenomenologia e una teoria della conoscenza formale, in
modo analogo stanno le cose […] per la pratica in relazione
alla disciplina fenomenologica che ad esse in linea di
principio corrisponde, ossia alla teoria […] della volontà.107
Il progetto etico husserliano quindi, come si diceva sopra, sembra
nascere come una sorta di riprova del più ampio progetto concepito per
la fenomenologia: se esiste una scienza della ragione della coscienza,
che trova il suo fondamento scientifico nella ragione stessa della
coscienza, e se la coscienza è divisa in diverse regioni razionali studiate
da quest’unica dottrina, devono esistere allora tante scienze che si
occupano delle specifiche regioni di ragione della coscienza.
Ciò che tuttavia sorprende del progetto esposto nel passaggio iniziale è
che colui che dà origine alla scienza rigorosa 108 costruisca il suo
1987, p. 197; trad. a cura di Volonté, P. Fenomenologia e teoria della conoscenza,
Milano, Bompiani, 2000, p. 255 (d’ora in poi useremo il titolo abbreviato di Fenomenologia
e teoria della conoscenza e per le indicazioni bibliografiche complete rimandiamo alla
bibliografia).
106
Ibid.
107
Husserl, E. Vorlesungen über Ethik, op. cit. p. 4; tr. it. p. 26
108
Mi riferisco qui all’aggettivo che, in più luoghi, Husserl attribuisce alla fenomenologia
ed in modo specifico agli articoli pubblicati nel 1910 nella rivista Logos e tradotti in Italia
41
programma etico ed il suo futuro percorso scientifico su una tradizione
non provata. Il parallelismo che egli immagina esserci tra logica, etica ed
estetica è, infatti, qualcosa che egli desume più dalla tradizione filosofica,
che non dalla sua ricerca fenomenologica. Questa struttura, in cui la
scienza etica trova il suo fondamento, non è dimostrata da alcun
passaggio scientifico, piuttosto essa viene usata, come scrive
Drummond, come una struttura «istruttiva»109, ovvero come una struttura
che serve per istruirci sulle caratteristiche proprie della futura scienza
etica.
La scienza logica viene presa come modello di quella etica, prima
ancora di aver dimostrato che esista una ragione pratica esattamente
parallela a quella logica e che questa ragione possa essere alla base di
una scienza. La scienza logica, già analizzata e descritta nelle Ricerche
Logiche, diviene, per usare un’espressione di Benoist, una sorta «di
garanzia»110: l’analogia con la razionalità logica e con la ragione teoretica
serve ad Husserl per dare al suo percorso etico “tutte le garanzie intuitive
di un valore che non sarà più rimesso in questione”111.
Husserl accetta dalla tradizione filosofica un assunto assolutamente
fondante per la sua futura scienza etica, che altri filosofi interessati alla
fondazione di un pensiero filosofico scientifico rifiutano. Hans
Reichenbach (1891-1953) ad esempio, rifiuta il parallelismo eticocognitivo trasmesso dalla tradizione filosofica classica ed appoggia la
distinzione tra i predicati d’asserzione (statements) e le locuzioni
dell’etica che enunciano delle direttive (directives) e che non possono
essere classificate come vere e false. Reichenbach stabilisce i significati
degli imperativi morali separandoli dai significati cognitivi e giudicandoli
come dei mezzi strumentali. Non esclude quindi che vi sia un
parallelismo tra conoscenza morale e logica, ma lo reinterpreta in nuovi
termini, dimostrando che “ogni imperativo morale possiede un correlato
cognitivo dato dalle asserzioni ad esso correlate”112.
Husserl, invece, utilizza l’accezione tradizionale del parallelismo tra le
idee di bello, vero e buono (e tra le corrispettive forme di ragione che ne
sono alla base) senza discuterla, ma accettandola solo in apparenza.
Sembra infatti prendere dall’autorità della tradizione filosofica solo gli
aspetti che più gli interessano ma, forse senza esserne consapevole, ne
modifica altri: pone ad esempio sullo stesso piano ragione pratica ed
emotività. Egli ritiene infatti che anche l’attività emotiva sia una forma di
con il titolo Filosofia come scienza rigorosa.
Drummond, J. J. “Moral Objectivity: Husserl’s Sentiment of the Understanding”, in
Husserl Studies 12, 1995, p. 168.
110
Benoist, J. Autour de Husserl, Paris,Vrin, 1994, pp. 234-235.
111
Ibid
112
Reichenbach, H. The Rise of Scientific Philosophy, Berkeley e Los Angeles, University
of California Press, p. 50.
109
42
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
attività razionale facente parte della sfera etica, e dà dunque alla sfera
dell’emotività un eguale valore di razionalità. Nelle lezioni etiche del 1914
scrive infatti: “Le differenti sfere di atti e […] di valori che vanno sotto il
titolo di emotività [Gemüt] non sottostanno per intero a eguali sistemi di
legge”113, “gli atti dell’emotività devono essere intesi alla stessa stregua,
come modalizzazioni dell’essere seppure in una dimensione nuova” 114.
L’emotività che era stata posta dalla tradizione filosofica, in modo
particolare quella iniziata con Cartesio (e continuata in parte dallo stesso
Husserl), in contrapposizione con la razionalità, viene qui indicata da
Husserl come ragione e viene posta sullo stesso livello di indagine della
ragione del conoscere e di quella dell’agire.
Inoltre l’interesse di Husserl per la morale, che sembra non solo
nascere e svilupparsi di pari passo con quello per la logica, ma che
sembra ancor di più esserne dominato (almeno agli inizi della sua
ricerca), viene giustificato attraverso argomentazioni che non sono del
tutto in linea con quelle proposte dalla tradizione stessa 115 . Infatti, la
struttura acquisita e non dimostrata del parallelismo viene spiegata, e di
volta in volta integrata, da un’altra struttura ad essa opposta, quella
dell’intreccio (Verflechtung).
Proviamo a chiarire questo punto: Husserl ritiene che esistano
diverse forme di ragione, che hanno origine nella coscienza, e ci
rimanda, per approfondire questo, al primo volume delle Idee dove
effettivamente egli spiega che la coscienza può essere intesa come un
territorio assolutamente razionale, in cui le diverse modalità di ragione si
articolano in raggi diversi e paralleli tra loro. Questi raggi dovrebbero
essere, secondo l’autore, il fondamento razionale di diverse scienze,
l’una parallela all’altra. Nelle Ricerche Logiche e nei Prolegomeni, inoltre,
mostra come si articola in generale la scienza logica, qual è il suo
contenuto ed il suo fondamento. Volendo fare una semplificazione, i dati
più utili ed immediati che dobbiamo desumere dai testi citati sono: dai
Prolegomena116, la struttura tripartita (teoria, norma e tecnica), entro cui
la scienza deve articolarsi, sia per non essere confusa con una mera
tecnica empirica che per desumere una descrizione del suo fondamento
come puro nesso essenziale di verità; dalle Ricerche Logiche, la
descrizione della coscienza come territorio razionale costituito da vissuti
intenzionali, e dalle Idee I, la minuziosa descrizione della coscienza e
delle sue ontologie regionali.
113
Husserl, E. Vorlesungen über Ethik, op. cit. , p. 102; tr. it. p. 116.
Ibid., p. 105; tr. it. p. 120.
115
Cfr. Sancipriano, M. Edmund Husserl. L'etica sociale, Genova, Tilgher, 1988;
Sancipriano, M. “Les Sources de la vie morale”, in Analecta Husserliana, 35, 1988, pp.
13-43.
116
Cfr. cap. II dei Prolegomeni.
114
43
Nelle lezioni del 1914 Husserl vuole provare che è possibile seguire il
medesimo percorso tracciato per la fondazione della scienza logica, e,
per far questo, utilizza come linee direttrici i volumi da lui stesso
esplicitamente richiamati. La scienza etica, infatti, viene pensata come
parallela alla logica ed in virtù di questo, dovrà costituirsi sul suo stesso
modello.
Egli scrive infatti:
Se ora si esamina il parallelo tra logica ed etica e,
rispettivamente, quello tra i modi degli atti e i modi della
ragione a cui queste discipline sono essenzialmente
ricondotte, ossia della ragione giudicante da un lato e della
ragione pratica dall’altro, allora si impone il pensiero che
anche alla logica, nel senso determinato e ben circoscritto di
una logica formale, debba corrispondere, in parallelo, una
pratica in senso analogamente formale e altrettanto a
priori.117
Il problema che noi ci poniamo sin da subito nel progetto husserliano
è che Husserl fa in modo che il parallelismo valga come struttura della
ricerca fenomenologica e che la logica debba forzatamente essere il
modello dell’etica. Il filosofo non dimostra, in sostanza, la possibilità di
adattare la tradizione filosofica al proprio pensiero. La fenomenologia
husserliana nasce in generale come descrizione del vissuto originario
della coscienza e nella coscienza effettivamente Husserl mostra la
possibilità di un processo di modalizzazione, sia pure parallela, delle sue
forme di ragione. La ragione della coscienza può rapportarsi alla realtà in
modo tale da conoscerla, valutarla o agire in essa in modi di volta in volta
differenti e analoghi tra loro. Di fatto però, egli non dimostra che la
scienza logica, che si fonda sulla ragione logica della coscienza, abbia un
esatto corrispondente nella scienza etica e, ancor di più, non dimostra
che la ragione pratica, intesa anche nei termini di una ragione emotiva, si
trova in una posizione di esatto parallelismo ed di perfetta analogia con la
ragione logica. Infatti, in alcune pagine successive al passaggio citato,
Husserl è costretto a spiegare la struttura del parallelismo con queste
parole:
In esso <nel parallelismo> si esprime infatti un intreccio delle
strutture essenziali della coscienza dossica con la coscienza
emotiva e quindi con ogni coscienza in genere, in conformità
alla quale ciascuna presa di posizione, ciascun giudicare
bello e buono può essere apriori trasformato in un prendere
117
Husserl, E.,Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 3; tr. it. p. 25.
44
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
posizione sul piano del giudizio.118
Husserl dice in sostanza che, per essere chiarito, il parallelismo ha
bisogno della struttura dell’intreccio. Con questa specificazione, a nostro
avviso, l’interprete si trova dinanzi ad una difficoltà notevole: se infatti il
progetto etico viene pensato all’interno di una struttura la cui esistenza
non solo non viene provata scientificamente, ma anzi la cui autorità viene
fatta risalire ad una tradizione filosofica che di fatto egli non discute, ma
che tuttavia modifica, e se ancora tale struttura si spiega attraverso una
struttura ad essa contrapposta (ovvero quella dell’intreccio), come può il
lettore accettare i presupposti del percorso di fondazione scientifica
dell’etica posti da Husserl?
Per rispondere a tale questione proviamo brevemente a spostarci
dall’ambito specifico della fenomenologia a quello di una nuova scienza
contemporanea: la neurologia. Sebbene il salto119 tra questi due ambiti
118
Ivi, p. 63; tr. it. p. 80.
Il salto tuttavia è giustificato dalla presenza di un certo numero di studi critici che
unisce la fenomenologia husserliana alla neurologia contemporanea. De Monticelli, R. “La
persona e la questione dell'individualità“, in Sistemi intelligenti, 33, 2005, pp. 419-445;
L'ascèse philosophique - Phénoménologie et Platonisme, Paris, Vrin, 1997; La
conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, Milano, Guerini e associati,
1998; La persona: apparenza e realtà. Testi fenomenologici 1911-1933, Milano, Raffaello
Cortina, 2000; L’avenir de la phénoménologie – Méditations sur la connaissance
personnelle, Paris Aubier-Flammarion, 2000; Pour une phénoménologie du désordre
mental , in Studia Philosophica, 51, 1992, pp. 60-75. Depraz, N. Comprendre la
phénoménologie: Une pratique concrète, Armand Colin, 2006; Transcendence et
incarnation. Le statut de l'intersubjectivité comme altérité à soi chez Husserl, Paris, Vrin,
1995. O ancora si veda Marbach, E. An Introduction to Husserlian Phenomenology,
Evaston, Northwestern University Press, 1993; Edmund Husserl Darstellung seines
Denkens, Felix Meiner Verlag, 1996; Mental Representations and Counsciousness
(Contributions to Phenomenology), Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic
Publishers, 1993; “Troubles with Heterophenomenology“, in Philosophy and the Cognitive
Sciences, Hölder-Pichler-Tempsky, 1994, pp. 247-264; “How to Study Consciousness
Phenomenologically, or Quite a Lot Comes to Mind“, in Journal of the British Society for
Phenomenology, 19 (3), 1988, pp. 252 268; “No Heterophenomenology without
Autophenomenology, Special Issue on Dennett's Method of Heterophenomenology“, in
Phenomenology and the Cognitive Sciences, 2006, pp. 75-87. Dreyfus, H. Michel
Foucault:Beyond Structuralism and Hermeneutics Chicago, University Press, 1983; Mind
Over Machine Free Press, 1986; Being-In-The-World, MIT Press, 1991; Thinking in
Action: On the Internet, Routledge, 2002; Zahavi, D. Intentionalität und Konstitution. Eine
Einführung in Husserls Logische Untersuchungen, Copenhagen, Museum Tusculanum
Press, 1992; Husserl und die transzendentale Intersubjektivität. Eine Antwort auf die
sprachpragmatische Kritik , in Phaenomenologica, 135, Dordrecht/Boston/London,
Kluwer Academic Publishers, 1996; Husserl and Transcendental Intersubjectivity. Series
in Continental Thought Ohio University Press, Athens 2001; Self-awareness and Alterity.
A Phenomenological Investigation. Studies in Phenomenology & Existential Philosophy,
Evanston, Northwestern University Press, 1999; Husserl's Phenomenology. Cultural
Memory in the Present, Stanford, Standford University Press, 2003; Subjectivity and
119
45
possa sembrare eccessivo, esso ci aiuta a capire meglio la descrizione
husserliana della coscienza e ad accettare la struttura entro cui andrebbe
sviluppato il suo progetto etico. Concentrandoci in modo specifico sugli
studi120condotti dai coniugi Damasio vediamo come essi, per spiegare
l’organizzazione razionale della coscienza, usino gli stessi concetti
impiegati da Husserl. Nell’ Errore di Cartesio, analizzando il caso di
Phineas Cage 121 e riportando gli studi condotti da Gall 122 , Antonio
Selfhood: Investigating the first-person perspective, Cambridge, The MIT Press, 2005;
Varela, F. Autopoiesi e cognizione: la realizzazione del vivente, Venezia, 1985; L'albero
della conoscenza, Milano, 1987; Scienze e tecnologia della cognizioni, Firenze, 1987; La
via del mezzo della conoscenza, Milano, 1993; Un know-how per l'etica, The Italian
Lectures, 3, Roma, 1992; “Neurofenomenologia, un rimedio metodologico al ‘problema
difficile”’, in Neurofenomenologia, Mondadori, Milano, 2006, pp. 65 – 84.:
120
Nato a Lisbona e laureato in medicina, Antonio Damasio opera negli USA.
Rappresenta una delle figure di maggior spicco a livello mondiale nel campo delle
neuroscienze. E' autore di importanti pubblicazioni sulla memoria, sulla fisiologia delle
emozioni e sulla malattia di Alzheimer. I laboratori di ricerca che Damasio e sua moglie
Hanna hanno realizzato presso l'Università dello Iowa, sono considerati ormai un punto di
riferimento per lo studio dei fenomeni nervosi che sono alla base dei processi cognitivi.
Antonio Damasio è membro di prestigiose associazioni, come l'European Academy of
Science and Arts e l'American Neurological Association; fa parte inoltre dei comitati
scientifici di importanti periodici dedicati alle neuroscienze e di alcune fondazioni di
ricerca. Tra gli studi più importanti ricordiamo i tre testi pubblicati in italiano: L'errore di
Cartesio, Adelphi, Milano, 1995; Coscienza ed emozione, Milano, Adelphi, 2000; Alla
ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimento e cervello, Milano, Adelphi, 2003. In lingua
inglese ha pubblicato: “Damasio AR: Fundamental Feelings“, in Nature 413:781, 2001;
Damasio AR; Grabowski TJ,; Bechara A; Damasio H; Ponto LLB; Parvizi J, Hichwa RD,
“Subcortical and Cortical Brain Activity during the Feeling of Self-generated Emotions“, in
Nature Neuroscience, 3:1049-1056, 2000; The feeling of what happens, Harcourt Brace,
New York, 1999; Bechara A; Damasio H; Tranel D; Damasio AR, “Deciding
Advantageously Before Knowing the Advantageous Strategy“, in Science, 275:12931294,1997.
121
Nel testo l’errore di Cartesio l’analisi muove dallo studio del caso di Phineas Cage.
Oggi di Phineas Cage abbiamo solo un cranio conservato in una teca, alla Harward
University, ma un secolo e mezzo fa era un caposquadra addetto alla posa dei binari per
la Rutland and Burlington Railroad di San Francisco. Era un uomo di venticinque anni
efficiente ed integrato. Ma il 13 settembre del 1848, preparando le mine per livellare il
percorso dei binari, Phineas commise un errore. La roccia veniva sapientemente scavata
con lunghi fori nei quali la polvere da sparo veniva compressa con un calcatoio, un
cilindro di ferro lungo più di un metro e del diametro di 3 centimetri. Phineas si dimenticò
di coprire la polvere da sparo con della sabbia e quando spinse il cilindro nella roccia, la
polvere esplose. Il cilindro venne sparato indietro come un razzo e trapassò il cranio di
Phineas da parte a parte: un carotaggio. L'uomo cadde a terra, mormorò qualcosa, si
rialzò e andò a cercare un dottore, sotto gli occhi sbalorditi dei compagni.
L'asportazione di parte del suo cervello non aveva danneggiato la sua intelligenza né le
sue capacità motorie, però aveva lasciato il segno. Come disse il suo medico di famiglia,
Harlow, aveva distrutto "l'equilibrio fra le sue facoltà intellettuali e le sue propensioni
animalesche" e da quel giorno Phineas perse la sua capacità di scegliere e di pianficare
in modo vantaggioso il proprio futuro; iniziò una nuova vita, disordinata, irriverente e
violenta. Fu licenziato e dodici anni dopo morì. La sua esemplare esperienza aprì nuovi
46
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
Damasio scrive:
Alcune delle idee di Gall dovevano essere stupefacenti per
quei tempi: egli infatti dichiarò in termini decisi […] che in ciò
che si chiamava cervello vi erano molte parti, e che vi era
una specializzazione, con riferimento alle funzioni proprie di
tali parti. Intuizione straordinaria, quest’ultima, dato che la
specializzazione del cervello è ora un fatto confermato.
Tuttavia egli non si rese conto […]che le parti separate del
cervello non funzionano indipendentemente le une dalle
altre; esse contribuiscono, invece, al funzionamento di più
ampi sistemi composti da quelle parti separate. […] Oggi si
può affermare con fiducia che non vi è alcun singolo centro
[…], vi sono sistemi formati da diverse unità cerebrali
interconnesse123.
La nostra mente è organizzata in regioni razionali distinte le une dalle
altre, ed allo stesso tempo queste funzionano legandosi o intrecciandosi
tra loro. Sebbene con termini diversi, la struttura introdotta da Husserl,
del parallelismo e dell’intreccio, sembra essere la stessa di quella intuita
da Gall e dimostrata poi dai Damasio.
Inoltre, per quel che riguarda l’analogia ed il parallelismo che Husserl
presuppone esserci tra la razionalità pratica ed emotiva e quella logica,
vediamo come anche qui che i risultati prodotti dalla ricerca dei Damasio
danno, in una certa misura, ragione a quelli raggiunti da Husserl. Antonio
Damasio infatti scrive: “Ho cominciato a scrivere questo libro volendo
proporre l’idea che la ragione può non essere così pura come la maggior
parte di noi ritiene che sia […]. Io suggerisco che certi aspetti del
processo dell’emozione e del sentimento sono indispensabili per la
razionalità. Nei casi migliori, i sentimenti ci volgono nella direzione giusta,
ci conducono al luogo appropriato di uno spazio decisionale nel quale
possiamo far bene operare gli strumenti della logica. […] Emozione,
sentimento, regolazione biologica hanno tutti un ruolo nella ragione
orizzonti alla neonata neurochirurgia
122
Franz Joseph Gall, anatomista e fisiologo tedesco, sviluppò nel XIX una teoria a
sostegno della localizzazione cerebrale delle funzioni psichiche e vegetative. Secondo
Gall ogni attività (ed esempio camminare, parlare) e ogni predisposizione (es. il
sentimento religioso, il comportamento morale) dipendono da specifiche aree cerebrali.
Questa teoria non era nuova (altri fisiologi l'avevano elaborata o difesa): il merito di Gall
consiste nel sostenerla con dati anatomici e osservazioni patologiche (ad esempio su
pazienti afasici), e nel legarla alla cranioscopia. Le idee di Gall furono accompagnate da
entusiasmi e accese polemiche (la cranioscopia, all’epoca, era molto utilizzata anche per
stabilire le capacità naturali dei bambini), soprattutto tra gli scienziati.
123
A., Damasio, L’errore di Cartesio, op. cit., pp. 45-6.
47
umana”124. La razionalità non è così pura come può sembrare; esiste,
secondo Damasio, una forma di ragione pratica che ha a che fare con i
sentimenti e le emozioni e che si intreccia con la logica per poter ben
funzionare. “È convinzione diffusa – scrive ancora Damasio - che l'utilizzo
della logica formale sia di per sé in grado di condurci alla soluzione
migliore tra quelle possibili, per qualsiasi problema. Un aspetto
importante di questa concezione razionalistica è che bisogna escludere
le emozioni, per ottenere i migliori risultati: l'elaborazione razionale non
deve essere
impacciata
da passioni. [Sostengo che], se
questa strategia è l'unica possibile, la razionalità [...] non può funzionare.
Nel migliore dei casi, la decisione richiederà un tempo troppo lungo,
assai più tempo di quanto si possa accettare [nelle comuni circostanze].
Per quale motivo? Perché non è facile tenere a memoria i molteplici livelli
di guadagni e perdite che bisogna confrontare: dalla lavagna della
memoria semplicemente scompaiono le rappresentazioni dei passi
intermedi che bisogna tenere in serbo e poi passare in rassegna per
trasferirli nella forma simbolica richiesta per operare l'inferenza logica.”125
Esiste quindi una forma di razionalità pratica che ha bisogno della
razionalità logica per operare in modo corretto, ma che è indipendente
nella scelta. Questo genere di razionalità inoltre, ha bisogno
dell’intervento delle emozioni e dei sentimenti per poter pianificare in
modo corretto la scelta.
Per concludere, quindi, possiamo dire che effettivamente Husserl ci
presenta il suo progetto etico con delle ambiguità di fondo che lo
compromettono. Tuttavia, alla luce delle moderne ricerche condotte in
campo neurologico e fisiologico, possiamo in qualche modo ridurre il
peso dei problemi esposti ed accettare l’idea di una coscienza
organizzata secondo regioni razionali, le une parallele alle altre che, a
loro volta, funzionano intrecciandosi tra loro, e di una razionalità pratica
ed emotiva che è parallela ed analoga a quella logica.
2.1.3. L’intenzionalità degli atti pratici
I problemi che sorgono nel progetto scientifico husserliano non si limitano
alla sola struttura entro cui il progetto stesso viene posto, ma si legano
anche ad altre questioni emergenti nel suo percorso. Husserl pensa,
infatti, che gli atti pratici non siano totalmente autonomi perché
necessitano della ‘voce’ della logica per poter essere espressi. Gli atti
pratici non sono considerati come atti autonomamente intenzionali,
perché mancano di proprietà epistemica. In virtù di ciò non possono
essere posti da soli alla base della scienza etica e neppure la ragione
pratica può essere considerata una ragione autonoma ed in grado di
124
125
Ivi, pp. 19-20.
Ivi, pp. 242- 43.
48
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
fornire, da sola, il fondamento scientifico per la disciplina etica.
Per illustrare la questione vediamo che cosa intenda Husserl con
l’espressione intenzionale e come sviluppi questo concetto rispetto agli
atti pratici. Il termine ‘intenzione’ entra a far parte del vocabolario
husserliano con l’espressione Bedeutungsintention 126 , in un’accezione
prettamente epistemologica, nel senso di ‘intenzione di significato’. E per
molti anni il tema dell’intenzionalità 127 in Husserl è stato studiato
soprattutto dal punto di vista epistemologico. Giganti ad esempio,
definisce l’intenzionalità come una cogitatio ovvero come “l’aver
coscienza di qualcosa, esperita, pensata, sentita e così via” 128 e ritiene
che “essa svolga nella sintesi della conoscenza anche il tema della
prassi”129. Effettivamente Husserl, in una prima fase del suo pensiero,
sembra definire l’intenzionalità come una proprietà specifica solo degli
126
Cfr. Benoist, J. “Fenomenologia e teoria del significato”, in Leitmotiv, 3, 2003, pp. 133142.
127
Per approfondire il significato di questo termine si veda un passaggio della quinta
Ricerca Logica (p. 365; tr. it. p. 158) in cui Husserl scrive: “Nella percezione viene
percepito qualcosa, nella rappresentazione immaginativa qualcosa viene rappresentato in
immagine, nell'amore qualcosa viene amato, nel desiderio qualcosa viene desiderato,
ecc.”. Brentano pensa a ciò che si può cogliere di comune in questi esempi, quando dice:
“Ogni fenomeno psichico è caratterizzato da ciò che gli Scolastici del medioevo hanno
chiamato ‘in-esistenza’ intenzionale (o anche mentale) di un oggetto, e che noi
chiameremmo, non senza qualche ambiguità, riferimento a un contenuto, direzione verso
un oggetto (e ciò non vuol dire che si tratti di una realtà) oppure oggettualità immanente.
Ogni fenomeno psichico contiene in sé qualcosa come oggetto, benché non sempre in
egual modo. Questa ‘modalità’ di riferimento della coscienza ad un contenuto è appunto,
nella rappresentazione, la modalità del rappresentare, nel giudizio, la modalità del
giudicare, ecc. [...] È molto discutibile e può abbastanza spesso indurre in errore dire che
gli oggetti percepiti, immaginati, desiderati, ecc. (che sono quindi dati, rispettivamente,
nella modalità della percezione, della rappresentazione, ecc.) ‘entrano nella coscienza’ o,
viceversa, che ‘la coscienza (o l'‘io’) entra in rapporto’ con essi, oppure che essi ‘sono
assunti nella coscienza’ secondo questa o quella modalità, e anche dire che i vissuti
intenzionali ‘contengono in sé qualcosa come oggetto’ e simili. [...] Rappresentarsi un
oggetto, ad esempio il castello di Berlino, non è altro che una specie determinata di ‘stato
d'animo’. Esprimere un giudizio su questo castello, gioire della sua bella architettura, o
nutrire il desiderio di poter fare questo, ecc., sono vissuti nuovi, fenomenologicamente
caratterizzati in modo nuovo. L'aspetto che hanno tutti in comune è il fatto che sono
modalità dell'intenzione oggettuale, che in termini correnti non possiamo esprimere
altrimenti se non dicendo che il castello è percepito, fantasticato, rappresentato in
immagine, giudicato, ch'esso è oggetto di quella gioia, di quel desiderio, ecc. [...] Va
distinto l'oggetto nel modo in cui viene intenzionato e l'oggetto che viene intenzionato in
quanto tale. In ogni atto, un oggetto viene ‘rappresentato’ con queste o quelle
determinazioni, e come tale esso potrà essere anche eventualmente il centro a cui mirano
intenzioni di vario genere - intenzioni di giudizio, di sentimento, di desiderio, ecc. Pertanto
in esse l'oggetto che viene intenzionato è lo stesso, mentre l'intenzione è diversa in
ciascuna di esse, ogni rappresentazione intende l'oggetto in modo diverso.”
128
Giganti, M. Dialettica della coscienza morale nel mondo contemporaneo, Palermo,
CELUP, 1963, p. 123.
129
Ivi, p. 127.
49
atti conoscitivi e sembra assegnarle un significato prettamente
epistemico. Questa posizione, nel campo pratico, ha la conseguenza di
subordinare gli atti la ragione pratica agli atti e alla ragione logica. In
generale la conseguenza è l’assoluta impossibilità di pensare il progetto
di fondazione scientifica dell’etica secondo i termini sopra citati.
Tuttavia come nota Mertens 130 , gli studi fenomenologici sul volere,
condotti da Husserl nella terza sezione delle lezioni etiche del 1914,
sembrano riconoscere alla volontà una propria attività intenzionale.
“Sembra – scrive anche Bernet confrontandosi con gli studi di Melle131 –
che la decisione in favore del carattere oggettivante dell’intenzionalità dei
sentimenti fosse di nuovo ripreso negli anni tra l’uscita delle Ricerche
Logiche e delle Idee I e fosse motivato dalla preoccupazione di una
fondazione fenomenologica dell’etica”132. Tra il 1901 ed il 1913, in vista
dell’obiettivo di trovare il fondamento razionale della scienza etica e di
difendere quindi il parallelismo e l’analogia tra ragione logica e ragione
pratica, Husserl sembra riconoscere al volere una propria attività
intenzionale, ed utilizzare, in riferimento ad esso, espressioni come
«intenzione del volere» (“Willensintention” o “Willensmeinung”). Intorno a
quegli anni Husserl sviluppa la possibile corrispondenza tra intenzionalità
dei giudizi e intenzionalità delle decisioni.
Tuttavia, nonostante la posizione che anima il percorso husserliano di
quelli anni, egli sembra non voler ancora riconoscere alla sfera pratica
una perfetta autonomia rispetto a quella logica, perchè la vera attività
intenzionale sembra appartenere solo agli atti che si dirigono verso
qualcosa, che prendono di mira un oggetto. Il tipo di intenzionalità
esercitata dalla ragione etica, come scrive Benoist, sembra essere
«colpita da diplopia, […] guarda altrove rispetto al proprio oggetto e verso
qualcosa che non è un oggetto – ma che non ha minore oggettività. In
130
Mertens, K. “Husserl’s Phenomenology of Will”, in Alterity and Facticity,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publisher, 2002, p. 124.
131
Melle, U. Objektivierende und nicht-objectivierende Akt“ in S. Ijsseling, HusserlAusgabe und Husserl Forschung, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic
Publishers, 1990, pp. 35-49; “Signitive und signifikative Intentionen“, in Husserl Studies,
15, 3, 1998/99, pp.167-181.
132
Bernet, R. La vie du sujet, Paris, P.U.F., 1995, p. 312: «Il semble que la décision en
faveur du caractère objectivant de l’intentionnalité des sentiments fut à nouveau prise
dans les années situées entre la parution des Recherches Logiques et des Idees I et
qu’elle fut motivée par le souci d’une fondation phénoménologique de l’éthique». Secondo
Bernet, il fatto che Husserl voglia riconoscere ai sentimenti etici una giustificazione
razionale, lo porta a considerare tutti i sentimenti come degli atti intenzionali obiettivanti.
Per Husserl quindi, esiste, secondo Bernet, una sola forma di ragione che si manifesta
attraverso la presa di posizione (Stellungnahme) soggettiva (teoretica, assiologica o
pratica) e la sua validità razionale consiste sempre nel mostrare la coincidenza tra la
presa di posizione del soggetto e la datità intuitiva dell’oggetto intenzionale che è stato
posto dal soggetto.
50
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
questo senso, uscendo dallo schema generale del rapporto all’oggetto, è
quasi un’intenzionalità.»133 Lo schema intenzionale che vale per gli atti
pratici e, di conseguenza, per tutti gli atti che con essi si intersecano, è
ambiguo: è differente rispetto a quello degli atti dossici perché gli atti
pratici ed assiologici non sono pienamente intenzionali, in quanto «atti
particolari, si orientano verso qualcosa ma non verso un oggetto» 134 .
Ciononostante, viene concessa loro una certa forma di intenzionalità;
l’oggetto della ragione pratica e assiologica viene considerato un oggetto
reale, ma la sua realtà è differente rispetto a quello della ragione logica.
“L’atto intenzionale affettivo – potremmo dire, usando ancora le parole di
Benoist - rimane qualcosa di profondamente differente che accade, per
così dire, in un secondo tempo. Esso viene ad aggiungersi alla
rappresentazione con le sue determinazioni affettive”135.
In questo senso, per Husserl, l’intenzionalità della ragione pratica
resta chiaramente asimmetrica rispetto a quella della ragione logica, e, di
conseguenza, anche l’autonomia della ragione pratica e dei suoi atti è
asimmetrica rispetto a quella degli atti logici. Sebbene dagli scritti del
1900136 sino a quelli delle Idee (1913) Husserl modifichi la sua posizione,
l’analogia intenzionale tra gli atti pratici e quelli logici sembra rimanere
solo di tipo ‘teleologico’, ovvero di tensione dell’atto verso il proprio
contenuto. Gli atti pratici godono, come dicevamo sopra, di ‘quasi
un’intenzionalità’ 137 , e hanno bisogno delle proprietà conoscitive della
133
Benoist, J. “La fenomenologia e i limiti dell’oggettivazione”, in Centi, B.; Gigliotti, G. (a
cura di) Fenomenologia della ragione pratica, Bibliopolis, Napoli, 2004, p. 172.
134
Husserl, E. Vorlesungen über Ethik,op. cit, p. 340, p. 89.
135
J.,Benoist, op. cit., p. 164.
136
Cfr. Husserl, E. Vorlesungen über Ethik und Wertlehre; U. Melle, op. cit; R., Bernet,
op. cit; J., Benoist, op. cit.; Perreau, L. “La double visée de l'éthique husserlienne:
intentionnalité et teleologie”, in Alter, 13, 2005.
137
Vi sono altri studi critici che, integrando i risultati apportati dal metodo genetico allo
studio della sfera pratica ed emotiva, arrivano a parlare di una forma di intenzionalità
senza oggetto e riconoscono questo tipo di intenzionalità agli atti della sfera pratica. Tale
genere di atti intenzionali inoltre viene considerato come fondante per ogni altro tipo di
atto intenzionale. Yamaguchi ad esempio definisce lo strato passivo dell’intenzione come
una sorta di intenzionalità dell’istinto in cui “l’io segue l’affezione e quasi è ingoiato da
esso” (“Triebintentionalität als Uraffektive passive Synthesis in der genetischen
Phänomenologie”, in Alter, 9, 2001, pp. 219-240). Nam-In Lee distingue invece due forme
di esperienza intenzionale: quella intenzionale e quella non intenzionale; la seconda,
quella che appartiene alla sfera dell’istinto e del sentimento, può essere considerata
come base fondante per la prima (Alterity and Facticity, op. cit., pp. 103-119). Secondo il
punto di vista della fenomenologia genetica gli atti pratici (compresi quelli del sentimento)
sono dotati di intenzionalità, e proprio perché questa intenzionalità non si riferisce ad un
oggetto specifico, è fondante rispetto agli altri tipi di atti intenzionali.(Cfr.: Nam-In Lee: “La
phénomélogie des tonalites affectives chez Edmund Husserl”, in Alter, 7, 1999, pp. 243250; “Edmund Husserl’s Phenomenology of Mood”, in Phaenomenologica, Kluwer
Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London, 148, 1998, pp. 103-120; “StaticPhenomenological and Genetic-Phenomenological Concept of Primordiality in Husserl’s
51
ragione logica per potersi rivolgere agli oggetti e realizzare in vere e
proprie azioni.
Nonostante ciò, nelle lezioni del 1914, Husserl afferma l’esistenza di
un “esatto parallelismo” non solo tra le ragioni della coscienza, ma anche
tra gli atti intenzionali della coscienza; scrive infatti:
Il parallelismo dei modi della ragione ha le sue radici nel
parallelismo delle specie fondamentali di atti, e in ciascuna di
queste specie fondamentali troviamo un modo fondamentale delle
intenzioni, delle prese di posizione in senso lato. […] Alla classe
degli atti di conoscenza si oppone, come classe essenzialmente
nuova, la classe degli atti emotivi, degli atti del sentire, del
138
desiderare e del volere.
Il progetto scientifico husserliano resta dunque quello di indagare gli
atti emotivi (e qui sembra, a parere nostro, usare il termine secondo
l’etimologia e-motus, vale a dire gli atti a partire da cui ha origine
l’azione), del desiderare e del volere propri della ragione pratica. Il fine è
quello di ricostruire un quadro dell’etica simile a quello che aveva
costruito per la logica nelle Ricerche Logiche e che aveva poi integrato
col primo volume delle Idee.
Il risultato che sembra ottenere in queste lezioni differisce, in parte,
da quello raggiunto nei volumi citati. Proprio in virtù di questo
parallelismo, asimmetrico e talora costrittivo, Husserl pensa l’etica come
una sorta di tavola di leggi riferite ad un soggetto puro. Il meglio
dell’azione pratica è pensato come il risultato di un calcolo razionale in
cui il soggetto che vuole seguire il calcolo, non può sbagliare. Dunque,
prima ancora di dimostrare l’esistenza dell’esatto parallelismo tra logica
ed etica, Husserl espone il contenuto della scienza etica del ’14, che
consiste nella descrizione dei principi di cui essa è composta.
2.2.1. Il contenuto della scienza etica del 1914
L’etica formale, descritta da Husserl nelle lezioni del ’14, è pensata sul
modello della logica formale delineata nei Prolegomena e nelle Ricerche
Logiche. La logica, in questi testi è concepita come una scienza che si
articola su tre piani: teoretico, normativo e tecnico, i quali sono ritenuti da
Husserl ben distinti ed allo stesso dipendenti tra loro.139 La dimensione
Fifth Cartesian Meditation”, in Husserl Studies, 2002, pp. 179-182; Bernet, R. La vie du
sujet, Paris, P.U.F., 1994; Vongher, T. Husserl über Gemüt und Wille, in Centi, B.;
Gigliotti, G. (a cura di) Fenomenologia della ragione pratica, Napoli, Bibliopolis, 2004.
138
Vorlesungen über Ethik, p. 59; tr. it. pp. 76-7.
139
Cfr. questi passaggi dei Prolegomena attraverso cui è possibile dimostrare e
sintetizzare la struttura della scienza descritta da Husserl per la disciplina logica: “La
logica si presenta come una scienza normativa e si distingue dalla considerazione
52
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
teoretica costituisce il fondamento di verità su cui poggia il valore della
legge; quella normativa comprende le leggi stesse ed infine, quella
tecnica costituisce l’ambito di applicazione delle leggi.
La dimensione teoretica è, in sé, quella più importante perché “ogni
disciplina normativa, nonché ogni disciplina pratica si fonda su una o più
discipline teoretiche, in quanto le sue regole posseggono
necessariamente un contenuto teoretico distinguibile dall’idea di
normatività (del dovere). A tali discipline teoretiche spetta appunto
l’indagine scientifica di questo contenuto”140. “L’elemento teoretico, [o il
contenuto della suddetta indagine scientifica] si realizza in certi vissuti
psichici”141. Per Husserl, “il concetto di vissuto non concorda con quello
comune di vissuto”: secondo la sua accezione “tra il contenuto vissuto o
cosciente ed il vissuto stesso non vi è alcuna differenza”142. Il vissuto è
vissuto della pura coscienza e la coscienza, a sua volta, può essere
definita come “designazione comprensiva degli atti psichici o vissuti
intenzionali di qualsiasi genere”143. Di conseguenza «i titoli di vissuto o
contenuto» sono considerati dallo ”psicologo moderno […] degli
accadimenti reali (Wundt dice giustamente eventi), i quali variano di
momento in momento”, da Husserl invece sono intesi “in modo
puramente fenomenologico, cioè in modo tale che resti neutralizzato
qualsiasi riferimento all’esserci empirico-reale (agli uomini o agli animali
della natura): il vissuto in senso psicologico descrittivo […] si trasforma
allora in un vissuto nel senso della fenomenologia pura”144 e della sua
possibile applicazione pratica, perché essa ha il compito di analizzare e
comparativa della scienza storica, che cerca di comprendere le scienze come prodotti
culturali concreti delle singole epoche (…). L’essenza della scienza normativa consiste
nel fatto che essa fonda proposizioni generali nelle quali, facendo riferimento ad un
criterio normativo di fondo (ad esempio un’idea o uno scopo supremo) vengono indicate
determinate caratteristiche, il cui processo garantisce l’adeguatezza al criterio oppure
costituisce una sua condizione indispensabile (…). Là dove la norma fondamentale è uno
scopo o può diventare tale una disciplina normativa, attraverso una naturale estensione
dei suoi compiti, dà origine ad una tecnologia (p. 45; tr. it. p. 27)“. “Ogni disciplina
normativa presuppone come fondamento (…) una o più discipline teoretiche, nel senso
cioè che essa deve possedere una consistenza teoretica che può essere separata da
qualsiasi funzione normativa e che ha come tale la propria naturale localizzazione in
scienze teoretiche già definite oppure ancora da costruire (p. 61; tr. it. p. 47). “La
tecnologia rappresenta quel caso particolare di disciplina normativa nel quale la norma
fondamentale consiste nel raggiungimento generale di uno scopo pratico”,
(Ibid.).”L’analisi fenomenologica ha il compito di farci comprendere (…) questi vissuti
psichici ed il senso insito in essi” (p. 272; tr. it. p. 6). “La coscienza come designazione
comprensiva degli atti psichici o vissuti intenzionali di qualsiasi genere” (V Ricerca Logica,
p. 138; tr. it. p. 347.)
140
Husserl, E. Ricerche logiche, op. cit., p. 40; tr. it. 57.
141
Ivi, p. 270; tr. it. p. 4.
142
Ivi, pp. 352-53; tr. it. pp. 143-44.
143
Ivi, p. 347; tr. it. p. 138.
144
Ivi, p. 348 ; tr. it. p. 140.
53
mostrare la ragione che è alla base della legge stessa.
Ritornando all’etica pura, abbiamo detto che, secondo il progetto
husserliano, essa deve articolarsi allo stesso modo della scienza logica;
essa, come la scienza logica, si organizza secondo i tre livelli indicati,
per tenere ben distinta la sfera di azione del soggetto psicologico da
quella della pura coscienza. “Qualunque coinvolgimento – scrive Husserl
- di pensieri psicologici nel […] contenuto falsifica [le verità della scienza],
come ho dimostrato in dettaglio nei miei Prolegomeni” 145 . La scienza
etica, dunque, per evitare di cadere nelle diverse varianti dello
psicologismo deve fondare le sue conoscenze su verità pure contenute
nei vissuti fenomenologici o negli atti della coscienza pura.
A questa triplice struttura si sovrappone, secondo Drummond,
un’altra triplice struttura che dovrebbe ritrovarsi parallelamente sia in
logica che in etica. La logica infatti, oltre che teoretica, normativa e
tecnica è, in ognuno di questi piani, una «logica della combinazione dei
significati», «della conseguenza» e «della verità»146. E quindi, la logica
ha, nel primo livello, a che fare con le possibilità formali per la
combinazione di significati nella formazione dei giudizi. Nel secondo
livello, (Konsequenzlogik)147 si occupa della possibile combinazione dei
giudizi, e tratta in primo luogo degli argomenti, stabilendo le regole che
fanno sì che le conclusioni non siano contraddittorie rispetto alle
premesse. Nel terzo livello infine, quello della verità (Wahrheitslogik)148, si
presenta come una sorta di completamento del primo e del secondo
livello. Mentre i primi due infatti, si occupano della combinazione dei
significati, in quest’ultimo la logica si occupa di connettere il significato
alla verità.
Se si assumesse per vera l’analogia con la logica, anche l’etica
dovrebbe articolarsi secondo questi tre livelli. Il primo livello avrebbe il
suo corrispondente nelle possibili forme di giudizi assiologici in cui gli
attributi di valore sono predicati degli oggetti ed in cui i significati
assiologici sono considerati secondo rapporti congiuntivi, disgiuntivi ed
ipotetici. Il secondo livello consisterebbe in una sorta di «analitica» 149
dell’etica che comprende le leggi della motivazione o della conseguenza
pratica. Il terzo livello infine studierebbe il concetto di bene in quanto
bene, ovvero come una sorta di verità logica avulsa dal contesto pratico a
cui essa appartiene.
145
Ivi, p. 6; tr. it. p. 28.
J. J., Drummond, Moral Objectivity: Husserl’s Sentiments of the Understanding, op.
cit., p. 168.
147
Cfr. Husserl, E. Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen
Vernunft. Mit ergänzenden Texten, Janssen, P. (a cura di) Dordrecht/Boston/London,
Kluwer Academic Publishers, 1974, pp. 53, 58, 327-33.
148
Cfr. Ivi, pp. 55, 60.
149
Vorlesungen über Ethik, p. 37; tr. it. p. 56.
146
54
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
Il problema però che Drummond150 e Melle151 a ragione pongono, e
che anche Husserl 152 a dire il vero si porrà negli anni successivi alla
prima guerra mondiale, è che i principi pratici elaborati in base ad
un’esatta analogia con la logica, e quindi avulsi dal contesto pratico e
personale in cui essi si realizzano, perdono la loro efficacia, non sono più
principi pratici capaci di orientare l’azione del soggetto personale e sono
perciò ‘insufficienti’153.
Questo problema rientra nella questione che ponevamo nel paragrafo
precedente: se Husserl non mostra che la ragione pratica è parallela ed
analoga all’etica, la struttura dell’etica si rivelerà debole o insufficiente.
Se si dimostra che la ragione logica e la ragione pratica non sono
analoghe tra loro, non si può altresì accettare che l’etica sia una scienza
analoga alla logica; sarebbe un’inutile forzatura. Se la ragione pratica è
una ragione diversa da quella logica, asimmetrica in molti punti rispetto
ad essa e che interessa anche la sfera del sentimento (Gemüt), la
scienza a cui essa presta il fondamento non può essere pensata sullo
stesso modello di quella logica, altrimenti verrebbe in una certa misura
snaturata.
2.2.2. Le leggi del parallelismo e dell’intreccio
Una parte della scienza etica, come abbiamo visto nel precedente
paragrafo, è costruita sugli stessi livelli della logica: quello della
combinazione dei significati, della conseguenza e della verità. Ad ognuno
di questi tre livelli appartiene un gruppo di leggi che ha il proprio
corrispettivo nella sfera pratica. La legge logica della combinazione dei
significati corrisponde in etica a quella della combinazione dei valori;
quella della conseguenza, a quella della scelta e della motivazione;
quella della verità, a quella dell’assorbimento e dell’imperativo
categorico154.
150
J. J., Drummond, op. cit., p. 169.
Cfr. Melle, U. Introduzione alle Vorlesungen über Ethik und Wertlehre, op. cit.
152
Husserl, E. Ms A V 21, 122 a/b, op. cit. in Hua XXVIII, p. XLVII- XLVIII: „Quindi la
regola brentaniana è insufficiente. Ognuno ha il suo dovere assoluto, e la sua scelta si
compie nella questione seguente: che cosa devo fare e dove devo dirigerei più la mia
scelta tra i diversi beni (…). Per esempio: una sonata di Mozart è qualcosa di più bello
che fare il bagno ai bambini, ma quest’ultimo è un obbligo se è ora il momento di farlo.
Tutti i beni pratici non si trovano per me su un solo livello, neppure tutti quelli che potevo
realizzare. La voce della coscienza, del dovere assoluto, può esigere da me qualche cosa
che, in qualche modo, io non riconoscerei come il meglio nella comparazione tra valori.
Ciò che è folle per la comprensione che compara i valori, è approvato come etico e può
divenire oggetto di grandissima venerazione ».
153
Husserl stesso utilizza (come si vede nel passaggio precedente) il termine
‘unzureichend’ riferendosi alla regola utilizzata nel 1914 per l’elaborazione dei principi
etici.
154
Cfr. sezione III e IV di Vorlesungen über Ethik e J. J., Drummond, op. cit.
151
55
La logica tuttavia, come abbiamo detto più volte, oltre ad essere il
terminedi riferimento dell’etica, in virtù dell’asimmetria propria del
parallelismo
husserliano,
rappresenta
anche
uno
strumento
indispensabile per la realizzazione degli atti pratici e delle sue leggi.
Dunque il parallelismo presupposto nell’analisi, si spiega spesso,
attraverso un’altra struttura, ad esso contrapposta, quella dell’intreccio155.
L’alternanza di queste due strutture fa sì che anche le leggi, desunte
dall’analogia con la logica, utilizzino talora la logica come modello e
talora come parte integrante per la formazione stessa delle leggi.
È quindi possibile formare due gruppi di leggi all’interno della struttura
della scienza etica, quelle del parallelismo e quelle dell’intreccio; il primo
formatosi dall’intreccio delle diverse forme di ragione, il secondo invece
derivato dal parallelismo con la ragione logica.
Volendo mettere da parte le criticità, già segnalate, del discorso
husserliano, seguiamo il suo stesso percorso per descrivere questi due
gruppi di leggi, in cui l’etica del 1914 consta. Per ciò che concerne le
leggi della ragione pratica, ascrivibili concettualmente a quelle del primo
gruppo, ovvero quelle dell’intreccio, possiamo rilevare come, essendo la
pratica formale una teoria del volere e dipendendo il volere sia dalla
logica che dall'assiologia, le leggi della ragione pratica si costituiscono in
virtù dell’intersezione di principi di diversa natura razionale che regolano
gli atti complessi del volere.
Le «leggi del volere relative alla scelta»156 sono un esempio specifico
di questa forma di intersezione. “Questo gruppo di leggi si riferisce alle
preferenze pratiche e all’imperativo categorico.”157 Ogni azione scelta dal
volere è infatti, per necessità, un risultato dell’intreccio tra ragione logica
ed assiologica. Per scegliere di agire, infatti, bisogna conoscere (ragione
logica) l’oggetto verso cui tende tale azione e sapere quale grado di
valore (intreccio di ragione logica ed assiologica) abbia l’oggetto in
questione. Il volere che sceglie di realizzare un’azione deve, dunque,
soppesare il valore più alto ed agire seguendo la sua realizzazione; in
ogni azione “il migliore è nemico del buono; posporre il migliore è
assolutamente sbagliato, proprio come scegliere il migliore è richiesto
incondizionatamente come la sola cosa giusta e, quindi corretta in senso
assoluto”158.
Come esempio di leggi appartenenti al secondo gruppo (quello
derivante dal parallelismo tra le tre forme di ragione), possiamo citare un
principio (“che tuttavia non ha un autentico parallelo nella sfera
155
È Husserl stesso che afferma questo in Vorlesungen über Ethik, p. 63; tr. it. p. 80.
Husserl, E. Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 130; tr. it. p. 144.
157
Ibid.
158
Ivi, p. 140; tr. it. p. 154.
156
56
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
dossica”159) legato al proposito del volere. Tale principio viene enunciato
da Husserl in questi termini:
Non si può il volere A senza volere A. Sarebbe una contraddizione
del volere. Un proposito positivo rivolto a un proposito positivo
implica il proposito semplice. Vale inoltre evidentemente questo
assioma: il tralasciare di tralasciare A implica il fare A. Se il
tralasciare di tralasciare qualcosa è corretto, allora è corretto anche
160
il farlo
Tale principio mette in luce un tratto specifico della razionalità del
volere che lo obbliga a perseguire una propria coerenza logica, la quale
non si identifica con la logica stessa. Se in logica “il mio assentire […] a
un atto di credenza è corretto, allora è corretta anche la mia semplice
credenza, e se questa è corretta lo è anche il mio assentire ad essa”161.
In etica, il proposito del volere è comandato da una legge assolutamente
autonoma che non ha un corrispettivo parallelo nella ragione logica,
perché può essere egualmente corretto che io assenta ad un volere, ma
che non lo voglia realizzare.
Anche per le leggi appartenenti alla sfera assiologica, che Husserl
riconoscecime essenziale ai fini del funzionamento della sfera pratica,
vale la medesima classificazione. Al primo gruppo appartengono le leggi
assiologiche della preferenza, che si intrecciano con le leggi generali del
volere. Nel caso specifico la preferenza emessa dal fiat del volere è
elaborata sulla base di una ponderazione dei valori (Wertabwägung),
misurati dalla ragione assiologica in rapporto alla situazione data. La
preferenza accordata è pronunciata grazie all’«onnieficacia» 162 della
ragione logica, all’«intenzione valutante (wertendes Vermeinen)»163 della
ragione assiologica e al fiat del volere diretto verso il Beste.
Al secondo gruppo appartengono invece dei principi assiologici come
quelli del quarto escluso:
Data un’eguale materia in relazione ad un’identica categoria
assiologica e fatti gli stessi presupposti di valore, la qualità positiva
e la qualità negativa della valutazione si escludono l’un l’altra per
legge, ed entrambe escludono e sono escluse dal caso
164
dell’indifferenza al valore .
Il principio logico di non contraddizione ha, dunque, il suo equivalente
159
Ivi, p. 128; tr. it. p. 143.
Ivi, p. 128; tr. it. p. 143.
161
Ivi, p. 128; tr. it. p. 142.
162
Ivi, p. 58; tr. it. p. 75.
163
Ivi, p. 83; tr. it. p. 99.
164
Ivi, p. 87; tr. it. p. 103.
160
57
nella sfera assiologica, nel principio del quarto escluso. Nel principio
assiologico si contemplano però, a differenza di quello logico, tre
possibilità di scelta: positiva, negativa e neutra (indifferente).
Ancora una volta è da sottolineare la posizione ambigua che Husserl
assume nei confronti dell’attività intenzionale della coscienza. Seppure la
ragione assiologica ha bisogno della ragione logica per esplicitare la
propria attività intenzionale di dirigersi verso un oggetto e riconoscerlo
come oggetto di valore, essa è dotata di una propria forma di intendere,
che Husserl definisce valutante. Nel caso specifico del principio appena
enunciato, infatti, la ragione assiologica non potrebbe sapere
dell’esistenza di quei valori se non utilizzasse gli atti obiettivanti della
ragione logica.
Quindi, per quanto indipendenti ed autonome possano sembrare le
diverse forme di ragione, in entrambi i gruppi di legge si è costretti
sempre a riconoscere un punto di intersezione con la ragione logica che
“collega anche l'ambito intellettuale con quello emotivo”165. Husserl scrive
infatti: ”la ragione è solo una, la ragione logica, e […] la ragione pratica e
la ragione assiologica sono solo un particolare ambito di applicazione
della ragione logica.”166
La specificità degli oggetti degli atti emotivi sembra essere sempre
filtrata dall'attività intenzionale della logica; di conseguenza gli atti emotivi
sembrano non obiettivare mai autonomamente i propri oggetti, ma essere
tuttavia essenziali per rendere possibile qualsiasi forma di scelta e di
azione dell’io. Tuttavia ognuna di queste sfere è di volta in volta
predominante rispetto all’altra: la ragione assiologica è necessaria a
quella logica per riconoscere il valore di verità dei suoi principi; quella
pratica per dare origine a qualunque forma di azione teoretica o pratica;
quella logica per rendere predicabili e conoscibili tutti i contenuti di ogni
tipo di ragione. Ogni sfera di ragione sembra essere, a suo modo,
onnieficacie rispetto all’altra.
Il nesso, o insolubile legame che unisce questi tre ambiti razionali
(logico, assiologico e pratico), è individuabile anche nelle leggi
motivazionali:
Le leggi motivazionali (Motivationsgesetze) non collegano […]
meramente il credere con certezza con il credere, l'essere convinti
in modo sicuro con l'essere convinti. […] Abbiamo […] differenti
sfere di motivazioni coercitive: chi è convinto che A valga non può
ragionevolmente dubitare che A valga. Chi è convinto in modo
certo che A non valga non può ragionevolmente supporre che A
valga. […] Tutto ciò è questione di conseguenza razionale
165
166
Ivi, p. 72; tr. it. p. 89.
Ivi, p. 56; tr. it. p. 74.
58
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
(vernünftigen Konsequenz). Ma questa conseguenza collega anche
167
l'ambito intellettuale con quello emotivo .
Le leggi motivazionali riguardano non solo le diverse modalità di atti,
ma possono anche collegare i diversi ambiti a cui appartengono in virtù
della conseguenza razionale. Il collegamento dei due ambiti è espresso
in uno degli enunciati: "Chi è convinto in modo certo che A valga non può
ragionevolmente dubitare che A valga". In questo enunciato le dimensioni
normative dell'assiologia e della logica si trovano tra loro intrecciate ed il
modo della certezza dossica viene declinato nel modo della 'certezza'
assiologica.
Che cosa possiamo affermare dell’etica quindi attraverso l’analisi che
abbiamo condotto sulle sue leggi? Possiamo dire che:
1. Possono essere individuati due gruppi di leggi sia per la sfera
pratica che per quella assiologica: quelle dell’intreccio e del
parallelismo. Al primo gruppo si ascrivono: le leggi della
motivazione, della preferenza e della scelta. Al secondo gruppo:
le leggi della conseguenza, della non contraddizione o del terzo
escluso. Questi gruppi di leggi dovrebbero corrispondere,
secondo il ragionamento husserliano, a quelli che troviamo in
logica, ovvero a quelli della combinazione dei significati, della
conseguenza e della verità.
2. L’esistenza di questi due gruppi, dimostra non solo la difficoltà del
progetto husserliano di fare dell’etica una scienza, ma anche
l’emergere nella ricerca husserliana (forse ancora in modo
inconsapevole) di una nuova idea di scienza fondata su un nuovo
genere di razionalità, non più sinonimo di razionalità logica, ma di
una complessa unione di diversi strati di ragione, logico,
assiologico ed emotivo.
Proseguiamo ora mettendo a fuoco l’introduzione del nuovo metodo
genetico husserliano e osservando come esso porti a coscienza quegli
elementi di crisi e quelle ambiguità che Husserl stesso sembrava
ignorare nel suo progetto
2.3.1 La fenomenologia genetica
Nell’approccio filosofico husserliano alle questioni etiche, e non solo, è di
estrema importanza il metodo utilizzato. C’è da segnalare, infatti, che, a
partire dal 1913 circa, Husserl modifica la prospettiva attraverso cui
studiare la coscienza e realizzare quindi il suo progetto scientifico.
Introduce, infatti, un nuovo tipo di fenomenologia che egli chiama
genetica e che si affianca alla fenomenologia statica, impiegata negli anni
precedenti come unico metodo di indagine. I primi segnali di tale
167
Ivi, pp. 71-2; tr. it. pp. 88-9, (corsivo dell’autore).
59
evoluzione sono ravvisabili già nel modificato uso del termine genesis,
presente nella terza nota dell’edizione del 1913 delle Ricerche Logiche
ed in modo ancora più evidente, nel metodo di indagine utilizzato nelle
Analysen zur passiven Synthesis (1918-1826). Che cosa si intende con
fenomenologia genetica? E come modifica questa l’approccio filosofico
alle questioni che andavamo trattando?
In un testo introduttivo molto utile alla comprensione del pensiero
husserliano, Bernet, Kern e Marbach ritengono che il punto di distinzione
principale tra fenomenologia statica e genetica risieda nella
comprensione del ruolo assunto dal processo di costituzione. La
costituzione è, nella fenomenologia statica, l’attività di un io che è guidato
da oggetti stabili i quali “sono considerati puramente come correlati
oggettivi dei modi di coscienza”168. Questo tipo di indagine è focalizzato
sugli oggetti come essi appaiono nel presente, mettendo da parte la loro
storia di sedimentazione che ha contribuito alla formazione della loro
esperienza presente. Tuttavia, questo metodo non esclude
necessariamente una considerazione delle differenti prospettive
dell’esperienza cinetica dell’oggetto. Quelle prospettive sono viste come
contributo all’unità teleologica della conoscenza, ma “questo sistema
diretto teleologicamente verso la datità primordiale di un oggetto o verso
il riempimento delle corrispondenti intenzioni non è ancora genetico in
senso proprio“ 169 . La fenomenologia statica è ancora solo un anticipo
dell’incontro soggettivo con un oggetto statico.
La transizione alla fenomenologia genetica muove dallo studio della
completa costituzione dell’io attivo ad una più complessa forma di
costituzione, che include anche la vita passiva dell’io. Husserl infatti,
attraverso il metodo genetico, inizia a studiare la coscienza secondo la
sua genesi. Il termine ‘genesi’, come è noto, deriva dal verbo greco
gignomai che ha tre significati in particolare: nascere, essere e divenire.
La coscienza, studiata dal metodo genetico, è analizzata secondo la sua
origine, il suo essere ed il suo divenire nel mondo. Essa è studiata quindi
come funzione che si rapporta al mondo e che lo vive, in modo sia attivo
che passivo. Di conseguenza anche l’attività intenzionale della coscienza
diviene, come dimostrano diversi studi 170 , anche un’attività priva di
oggetto, perché mossa dal semplice istinto o dall’impulso. “La
fenomenologia genetica – come scrive Husserl – esaminerà non la
coscienza ma il suo processo di divenire in quanto riguarda […] il
continuo processo di divenire nel tempo di un’unità di vita che ha
un’eredità abituale e sedimentata del passato ed ha un progetto verso il
168
Bernet, R; Kern, I; Marbach, E. Introduction to Husserlian Phenomenology, Evanston,
Northwestern University Press, 1993, p. 196.
169
Ivi, p. 197.
170
Cfr. nota a pagina 42.
60
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
futuro”171. L’analisi fenomenologica della coscienza attraverso il metodo
genetico, richiede una sintesi di tutti i vissuti passivi ed attivi. La
fenomenologia genetica quindi, studia la storia del contenuto della
coscienza come ciò che è vissuto attivamente o passivamente dall’io ed
essa “ha a che fare con la costituzione e quindi in primo luogo con la
genesi degli oggetti in essa costituiti”172 .
L’analisi genetica, introdotta da Husserl, comporta un nuovo
atteggiamento nei confronti della storia e del presente. Essa interpreta il
presente individuale e collettivo degli esseri umani come una
sedimentazione di senso analizzabile secondo i suoi molteplici strati. La
fenomenologia diviene analisi non più solo delle strutture razionali dell’io,
ma anche degli strati a partire da cui l’io si costituisce.
L’introduzione del nuovo metodo di ricerca è probabilmente dovuto,
oltre che ad esigenze di studio, anche agli eventi che colpirono la vita del
filosofo in questi anni. Tra il 1914 ed il 1920 Husserl assunse nei
confronti del suo progetto filosofico e morale una posizione intermedia e
poco chiara, che analizzeremo di seguito per comprendere il passaggio
dall’idea di etica che sviluppa nel 1914 a quella che enuncia nelle lezioni
del 1924.
2.3.2. Gli eventi
L’etica, come noto, è una disciplina profondamente legata alla vita umana
e nella sua formazione facilmente possono interferire i fatti della vita.
Crediamo che, anche nel caso del progetto husserliano, gli eventi
biografici abbiano avuto un peso non indifferente nel passaggio da
un’etica pensata come una sorta di matematica dell’azione ad un’etica
personale che lascia scoperto, pur nella sua pretesa di scientificità, un
residuo di ineliminabile irrazionalità.
Soffermiamo quindi brevemente lo sguardo su questi eventi e
tentiamo di mettere in luce le ambiguità che continuano ad emergere nel
discorso etico negli anni della prima guerra mondiale. Durante questi anni
Husserl perse, a causa della guerra, il figlio minore e tenne, anche dopo
tale lutto, dei discorsi in favore della guerra. I due eventi colpiscono
inevitabilmente l’attenzione di chi si impegna a ricostruire il suo percorso
filosofico morale, e catturano ancora di più l’interesse se è proprio dallo
stridente contrasto dei due fatti che sembra avere avuto origine la parte
più vitale e stimata del pensiero husserliano: mi riferisco all’etica della
Krisis.
Nei discorsi su Fichte infatti, pronunciati da Husserl ai soldati tedeschi
dopo la morte del figlio Wolfgang, è chiaramente presente un’adesione
all’idea della guerra, ma contemporaneamente nelle sue parole si
171
172
Husserl, E. Idee I, op. cit., p.163; tr. it. p. 204.
Ivi, p. 201.
61
nasconde una rinnovata, anche se ancora confusa, idea di etica. Il
quadro morale che in queste pagine egli traccia è infatti ben distante da
quello disegnato nel 1914; esso è infatti di gran lunga più vicino a quel
progetto, su cui inizierà a lavorare scientificamente a partire dal 1920 e
che lo condurrà nel 1936 alle conclusioni della Krisis. In sostanza è
mentre compone dei discorsi in favore della guerra, che egli elabora
un’idea di etica che si rivelerà assolutamente distante dalle logiche della
guerra. Per comprendere con più chiarezza quanto sosteniamo è
necessario far parlare i suoi stessi scritti.
Questa guerra, la colpa più universale e profonda dell’umanità
nell’intera storia, ha mostrato l’impotenza e l’inautenticità di tutte le
idee. […] Divenuta guerra di popoli nel senso più terribile e letterale
del termine, ha perduto il proprio significato etico» così che per « il
rinnovamento etico - politico dell’umanità occorrerebbe un’arte,
sorretta da ideali etici supremi e fissati in modo chiaro , capace di
173
un’educazione universale dell’umanità .
La prima guerra mondiale segna in modo marcato le riflessioni etiche
di Husserl; essa diviene il punto di partenza imprescindibile per una
«chiarificazione universale», per «una trasformazione dell’umanità» di cui
“la guerra stessa ha disvelato […] l’indicibile miseria non solo morale e
religiosa, ma anche filosofica”174. Le conseguenze personali e politiche
da essa prodotte sembrano aver avuto, nella filosofia husserliana, la
funzione di riportare il pensiero alla vita umana.
Da strumento parenetico e rinnovatore, la guerra è divenuta per Husserl
uno strumento di distruzione e rovina personale. Nelle Drei Vorlesungen
über Fichtes Menscheitsideal (1917) Husserl parla della guerra in questi
termini:
Un popolo che ha prodotto simili spiriti, che, guidato da essi, ha tanto
aspirato alla purezza del cuore, ha così interiormente cercato Dio [...],
deve essere e rimanere la speranza dell'umanità. Che questo si
avveri nella verità viva, ecco il compito infinito di tutti noi, di tutti noi
che vogliamo vincere in questa guerra. Proprio nella guerra la morte
si è nuovamente conquistata il suo sacro diritto originario. È
nuovamente la grande voce che, nel tempo, ammonisce
175
all'eternità .
173
Husserl, E. Briefwechsel. Band III: Die Göttinger Schule, (a cura di). Schumann, K.
Kluwer Dordrecht/Boston/London, Academic Publishers, 1999, p. 12; trad. a cura di
Sinisgaglia C. in L’idea di Europa, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1994, pp. X-XI,
corsivo mio, (d’ora in poi abbrevieremo con L’idea di Europa e per le indicazioni
bibliografiche rimandiamo alla bibliografa in fondo al testo).
174
Ivi, p. 163; tr. it. p. X.
175
Husserl, E. “Fichtes Menscheitsideal. Drei Vorlesungen (1917)”, in Aufsätze und
62
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
La guerra rappresenta in sostanza lo strumento concreto di cui
l’uomo può disporre per rendere possibile la realizzazione etica di un
popolo.
La posizione husserliana espressa nelle Drei Vorlesungen è
chiaramente, già dal titolo, influenzata dal pensiero di Fichte ed è, in
qualche maniera, distante dalla considerazione reale del riflesso che
essa potrà avere nel contesto bellico. In una lettera del 1919 Husserl,
quasi dimenticando la sua precedente posizione, scrive:
Il mio compito non è quello, io non sono chiamato al comando
dell’umanità che lotta per il vivere beato – io ho attraversato gli anni
della guerra in pieno cordoglio, ho dovuto riconoscerlo, il mio buon
demone mi ha aiutato. Io vivo in piena coscienza e in modo fermo,
in modo chiaro come un filosofo scienziato (io non ho scritto
nessun volume sulla guerra, lo avevo giudicato come un
176
pretenzioso lavoro filosofico).
Questo distacco, come abbiamo visto, ancora non compare nelle tre
lezioni che Husserl tenne per i soldati tedeschi tra l’8 ed il 17 novembre
del 1917 177 . Esso rappresenta una sorta di ponte intermedio e talora
confuso tra la posizione pressoché scientifica e matematica che assume
nei confronti dell’etica del 1914 e la posizione ‘personale’ che assumerà
negli anni ’20. Se nel 1914 la gerarchia dei valori elaborata nella sua
assiologia fa sì che i principi etici siano frutto di un calcolo matematico ed
oggettivo, negli anni ‘20 Husserl riconoscerà l’errore di non aver preso
nella giusta considerazione il ruolo libero della persona. Infatti, nei
manoscritti del 1924-‘27 Husserl, criticando la sua prima formulazione,
riconoscerà insufficiente la regola da lui precedentemente seguita
nell’elaborazione del suo sistema morale178.
La regola matematica dei valori, sulla base della quale ha costruito il
suo sistema di leggi assiologiche e matematiche, è insufficiente perché
ognuno ha dei doveri e degli obblighi che coinvolgono il carattere di tutta
Vorträge (1911-1922), (a cura di) Nenon, T; Sepp, H. R,. Dordrecht/Boston/Lancaster,
Martinus Nijhoff, 1987, p. 269: “Der Tod hat sich sein heiliges Urrecht wieder erstritten. Er
ist wieder große Mahner in der Zeit an die Ewigkeit“(corsivo mio).
176
Brief Husserl - Metzger (4 novembre 1919) in Husserl, E. Briefwechsel. Band IV: Die
Freiburger Schüle, (a cura di) Schumann, K., Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic
Publishers, 1994, p. 406: „Meine Aufagabe ist das nicht, ich bin nicht zum Führer der
nach “seiligem Leben” ringenden Menscheit berufen – im leidensvollen drange der
Kriegsjahre habe ich das anerkennen müssen, mein Daimonion hat mich gewahrnt.
Vollbewuβt und entschieden lebe ich rein als wissenschaftlicher Philosoph (ich habe
daher keine Kriegsschrift geschrieben, ich hätte das als ein prätentioese
Philosophengetheu angesehen).
177
Le lezioni furono poi ripetute il 14-15-16 gennaio ed il 6-7-9 novembre del 1918.
178
Ms. A V 21, 122 a/b, op. cit. in lezioni di etica (1897-1914), p. XLVII- XLVIII.
63
la persona e non solamente il suo aspetto logico e razionale. L’esempio
della madre, che Husserl ripete in numerosi luoghi, mostra chiaramente
come ognuno di noi sia chiamato a compiere dei doveri che non sono per
noi dei beni, ma che sono solamente degli obblighi (Pflicht) inevitabili.
Questi obblighi possono, in seguito, certamente condurre ad un bene. Ma
di per sé non sono ‘il meglio’ di ciò che in un dato momento il singolo
vorrebbe razionalmente perseguire. I doveri non si trovano tutti sullo
stesso livello assiologico 179 ed il calcolo assiologico non può sempre
essere d’aiuto nella preferenza dell’uno o dell’altro; ognuno, infatti, vive
essendo sempre costretto a scegliere tra i propri valori personali che la
momento possono persino sembrare svantaggiosi. Come per una
mamma fare il bagnetto al figlio o decidere di ascoltare una sonata di
Mozart. Quindi è davanti ad un tale ordine di problemi che il soggetto è
chiamato a scegliere sulla base di variabili del tutto personali ed alle volte
persino irrazionali perché non ancora prevedibili o chiaribili attraverso
l’analisi fenomenologica.180
Melle e Gérard 181 usano, per spiegare questi due diversi approcci
all’etica, l’espressione etica logica ed etica personalistica. In modo
particolare ritengono che queste due forme di etica siano ben distanti
l’una dall’altra in virtù della funzione che il concetto di persona viene ad
assumere nella ‘seconda’ etica. L’introduzione del metodo genetico, con
il conseguente rinnovato studio nei confronti della vita del soggetto, e gli
eventi occorsi tra il 1914 ed il 1920, hanno fatto maturare in Husserl una
nuova necessità di considerare in modo scientifico tutta la spiritualità del
soggetto, compresi i caratteri irrazionali che ne fanno parte. La persona
diviene il nuovo soggetto che compie il suo ingresso nel progetto
scientifico husserliano degli anni ’20.
179
Cfr. La critica di Melle e di Geiger rispetto a questo punto in: U., Melle, Introduzione a
Vorlesungen über Ethik und Werlehre, op. cit.
180
Il richiamo all’etica fichtiana gioca un ruolo essenziale nello scarto tra l’’etica logica’ del
1914 e quella ‘umana’ o ‘personalistica’. Concetti come quello della riforma dello spirito o
dell’autoregolazione dell’io o, infine, di Dio come ragione entelechica che ordina i teloi
delle azioni umane, sono concetti che Husserl prende chiaramente in prestito dal
pensiero fichtiano e che rende interamente propri. L’etica husserliana degli anni ’20 ha
infatti come essenziale centro teoretico e speculativo l’azione umana che, richiamandosi
all’idea dell’azione (Tathandlung) fichtiana, costituisce in un certo modo, il punto originario
di genesi dell’io nelle sue molteplici caratteristiche. Infatti è l’azione umana che realizza le
decisioni dell’io e che crea le nuove condizioni per quelle scelte successive che devono
essere alla base del carattere o dell’habitus umano. Nelle tre lezioni il richiamo a Fichte
servirà formalmente come spunto di riflessione sulla guerra, ma contemporaneamente
aprirà la strada per la riformulazione del progetto husserliano di etica scientifica.
181
U. Melle, “Husserls personalistiche Ethik” in Fenomenologia della ragion pratica, op.
cit., pp. 327-357; V. Gérard, “L’analogie entre l’éthique formelle et la logique formelle chez
Husserl”, in Fenomenologia della ragione pratica, op. cit., pp. 115-151.
64
CAPITOLO 3
IL FONDAMENTO DELLA SCIENZA ETICA
DOPO L’INTRODUZIONE DEL METODO
GENETICO
3. 1. Fenomenologia statica e genetica
Come si accennava nel capitolo precedente182 la ricerca fenomenologica
husserliana può avvalersi di due metodi, quello statico e quello genetico.
L’introduzione del metodo genetico può essere fatta risalire, secondo
Bernet, Kern e Marbach183, agli anni 1917-21.
La distinzione tra questi due tipi di analisi è piuttosto difficile da
cogliere e “non sembra sia mai pienamente riuscita” 184 ad Husserl.
Entrambi i metodi infatti, studiano il processo di costituzione degli oggetti,
ma il secondo li analizza considerando la loro ‘genesi’.
Nel metodo statico, secondo Bernet, si studiano le specie di oggetti
stabili ed ideali e si indaga dal punto di vista del soggetto e del contenuto
(noetico e noematico) i nessi dei vissuti nei quali questi oggetti giungono
a datità. La fenomenologia statica ha come fine quello di chiarire il senso
e la validità di questi oggetti risalendo ai loro sistemi di manifestazione
nella coscienza. “Ogni unità della coscienza ha - scrive Husserl - la
propria storia, una propria teleologia immanente, nella forma di un
sistema regolato di modi di manifestazione che […] in esso possono
venire interrogati ed analizzati”185.
Il metodo genetico invece, analizza il processo di costituzione degli
oggetti mettendo in questione anche la loro genesi. “Analizzare la
costituzione – scrive infatti Husserl - non è analizzare la genesi, che è
appunto genesi della costituzione” 186 . Ciò vuol dire che, mentre la
fenomenologia statica illumina soltanto i sistemi costitutivi finiti degli
oggetti, la fenomenologia genetica si interroga sull’origine stessa di
182
Cfr. par. 2.3.1
Bernet, R.; Kern, I.; Marbach, E., Edmund Husserl, Bologna, Mulino,1992, p. 253.
184
Ivi, p. 254: “Husserl utilizza già al tempo delle sue Idee I l’espressione ‘genesi’, ma il
concetto, nell’accezione che aveva allora, non conduce ancora al di là della
fenomenologia dei fili conduttori ontologici e dei vissuti”.
185
Idee III, p. 129; tr. it. p. 904.
186
Husserl, E. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass.
Zweiter Teil. 1921-28. (a cura di) Iso Kern. The Hague, Martinus Nijhoff, 1973, p.
41;(d’ora in poi abbreviamo con Zur Phänomenologie der Intersubjektivität e per le
indicazioni bibliografiche complete, rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo).
183
questi sistemi, mettendo in questione la genesi di questa costituzione e
della specie di oggetti in essa costituiti. L’oggetto non è più filo conduttore
fisso dell’analisi, ma è qualcosa di divenuto. La fenomenologia genetica
“segue la storia […] di questa oggettivazione e con ciò la storia
dell’oggetto stesso in quanto oggetto di una conoscenza possibile”187.
L’idea di genesi a cui la fenomenologia genetica si rifà è di due tipi:
attiva e passiva 188 . Alla prima appartengono gli operati della ragione
produttiva (prodotti culturali reali o oggetti ideali), alla seconda invece,
l’esperienza che si svolge nelle forme di sintesi passive più basse, ovvero
il sottofondo passivo della produzione di giudizi e volizioni.
La passività ha a sua volta la sua genesi, vale a dire un principio a
partire da cui ha origine la comprensione passiva di dati; tale principio è
l’associazione. L’associazione è per Husserl “non soltanto una legalità
empirica di complessione di dati psichici, ma è un’espressione altamente
comprensiva della legalità intenzionale, essenziale nella costituzione
dell’ego” 189 . Egli distingue due tipi di associazione: 1) l’associazione
come principio di formazione di unità, di integrazione dei diversi momenti
nella coesistenza e nella successione all’interno della coscienza, per
mezzo di un reciproco suscitare o rafforzare le intenzioni rivolte a questi
oggetti sulla base di contiguità, somiglianza e contrasto; 2) l’associazione
come principio di appercezione di oggetti sulla base del risveglio
associativo delle esperienze. Ciò che è presente viene esperito
passivamente sulla base di somiglianze. In questa forma di associazione
ha un ruolo centrale l’abitudine. Essa “è, come insegna giustamente
Hume, non solo la nostra balia, ma la funzione che dà forma […] al
mondo e ad ogni oggettività. L’abitudine è – scrive Husserl - la forma
originaria di ogni donazione di senso oggettiva […], la quale è la forza
che di continuo costituisce originariamente l’esistenza”190.
La fenomenologia genetica, quindi, analizza la coscienza ed i suoi
oggetti non più in quanto già dati, ma come qualcosa che diviene in modo
continuo. Gli oggetti della fenomenologia genetica, non sono solo vissuti
dell’io, ma sono oggetti per l’io, dati in appercezioni, facoltà, disposizioni,
convinzioni; essi divengono nell’io e l’io stesso in questi diviene in quanto
personalità determinata, in quanto individualità propria. Analizzare questi
187
Husserl, E. Analysen zur passiven Synthesis. Aus Vorlesungs- und
Forschungsmanuskripten, 1918-1926 (a cura di) Fleischer, M. The Hague, Martinus
Nijhoff, 1966, p. 345; (d’ora in poi abbreviamo con Analysen zur passiven Synthesis e per
le indicazioni bibliografiche complete, rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo).
188
Cfr. Analysen zur passiven Synthesis, op. cit., p. 342; Meditazioni Cartesiane, con
l'aggiunta dei Discorsi Parigini, trad. a cura di Costa, V. Milano, Bompiani, 2002, p. 111;
tr. it. p. 102 (d’ora in poi abbreviamo con Meditazioni Cartesiane e per le indicazioni
bibliografiche complete, rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo).
189
Meditazioni cartesiane, p. 114; tr. it. p. 105.
190
Husserl, E. Lezione su natura e spirito, in Ms. 1927 FI 32, p. 162.
66
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
dati della coscienza nella loro origine, significa analizzare la personalità
della coscienza ed il modo con cui essa recepisce il mondo circostante.
Significa soprattutto, ai fini del nostro discorso, che la coscienza pura si
mescola col mondo e diviene qualcosa di personale, qualcosa con
un’identità che cambia col variare dei suoi vissuti. La fenomenologia
genetica diviene, quindi, fenomenologia dell’individualità monadica che
ha il compito di analizzare le leggi essenziali “che si aggiungono alle leggi
dei vissuti e che stabiliscono che cosa richiedano l’unità individuale ed il
carattere chiuso di una monade”191. Solo a partire dagli anni ‘20 “ogni
specie di ente reale o ideale si rende intelligibile come formazione,
costituita in questa stessa operazione della soggettività”192.
Proviamo a capire nel paragrafo successivo come Husserl intenda,
nel dettaglio, questa nuova forma di coscienza in rapporto alle sue facoltà
e alla sua identità. Ricordiamo infatti che la coscienza è definita da
Husserl come la «fonte razionale»193 da cui ha origine ogni conoscenza.
Se col metodo genetico la definizione di coscienza e delle sue facoltà
cambia, potrebbe cambiare anche il progetto di fondazione scientifica
proposto da Husserl.
3.1.1. La definizione di volontà negli scritti del 1920
I concetti di volontà e razionalità pratica sono centrali nel progetto di
fondazione scientifica dell’etica. Nelle lezioni del 1914 tale progetto è
legato all’approfondimento del “tradizionale parallelismo e dell’analogia
radicale e continua”194 tra ragione pratica e ragione logica. Sulla base di
questa analogia Husserl sostiene che, se la ragione logica può essere a
fondamento di una scienza logica, così deve essere anche per l’etica. La
ragione pratica infatti, che si identifica perlopiù con la facoltà del volere,
rappresenta la base razionale da cui le leggi pratiche traggono il loro
fondamento di verità.
All’interno di questo progetto emergono delle difficoltà (già esposte
nel precedente capitolo), che riguardano la natura del parallelismo
stesso. La ragione pratica infatti, non sembra poter essere pensata come
una ragione autonoma, perché deve ‘sottomettersi’ alle capacità
predicative della ragione logica e sembra non essere una ragione
propriamente intenzionale e neppure razionale nel senso tradizionale del
191
Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, p. 34.
Meditazioni Cartesiane, p. 118; tr. it. p. 108.
193
Cfr. Husserl, E., Introduzione alla prima Ricerca Logica, op. cit., par. 1.
194
Cfr. Husserl, E., Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 3, p. 44; il tema del parallelismo e
dell’analogia tra logica ed etica è stato introdotto per la prima volta nelle Vorlesungen
über Grundfragen zur Ethik und Wertlehre del 1902 ed è stato sviluppato in maniera
sistematica a più riprese: nelle lezioni di etica del 1908-09, 1911 e 1914 (tutte lezioni
contenute nel XXVIII volume della Husserliana) ed in quelle tenute nel 1920 e ripetute nel
1924 a Friburgo, (lezioni contenute invece nel XXXVII volume della Husserliana).
192
67
termine.
Il parallelismo e l’analogia di cui Husserl parla si trasformano, il più
delle volte, in un intreccio tra ragione pratica e ragione logica; e la
scienza etica, che Husserl costruisce sul modello della logica, potrebbe
essere più propriamente pensata come una scienza che dipende dalla
ragione logica. Diviene quindi importante capire se queste difficoltà
continuino a sussistere anche dopo il cambiamento di metodo introdotto
da Husserl.
Per quel che concerne, in modo specifico la volontà, vediamo come,
in un gruppo di lezioni dedicato interamente all’applicazione del metodo
genetico sullo studio della coscienza - mi riferisco qui alle Analysen zur
aktiven Synthesis195 (1920/21) - essa venga descritta in questi termini:
La volontà […] fa parte della sfera più generale dell’attività pura
[…]. Il concetto specifico e pregnante di volontà non designa che
un tipo particolare dell’attività che si estende al di sotto di tutti gli
altri campi della coscienza […]. Mi sembra ancor di più che la
volontà […] sia […] una forma particolare e superiore dell’attività,
che può entrare in gioco ovunque, sotto alcune condizioni
d’essenza che risiedono nelle oggettivazioni e nei sentimenti
196
presupposti
In questo passaggio emergono tre temi rilevanti per la realizzazione
del progetto etico:
la ragione pratica è ‘superiore e particolare’. Queste caratteristiche
ribaltano il rapporto di predominanza della ragione logica e
dell’atteggiamento teoretico di cui Husserl aveva parlato nelle lezioni
del ‘14;
essa è condizione di oggettivazione ed in quanto tale sembra essere
alla base di quelle proprietà epistemiche che nelle lezioni del 1914
Husserl attribuiva solo alla ragione logica;
essa ha ‘a che fare con i sentimenti’. Si mescola, come era nelle
lezioni del 1914, con una sfera che sembra non essere propriamente
195
Husserl, E. Analysen zur Aktive Synthesen: Aus der Vorlesung "Transzendentale
Logik" 1920/21. Ergänzungsband zu "Analysen zur passiven Synthesis", (a cura di)
Breeur, R. The Hague, Kluwer Academic Publishers, , Netherlands, 2000, (d’ora in poi
abbrevieremo con Aktive Synthesen e per le indicazioni bibliografiche complete,
rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo).
196
Husserl, E. Aktive Synthesen, op. cit., pp. 9-10: “Der Wille ist kein bloßes Begehren; er
gehört in die allgemeinere Sphäre der reinen Aktivität (…). Der prägnante und eigentliche
Begriff von Willen bezeichnet aber nur eine besondere sich verbreitet, sofern alle Aktivität
in Form willkürlicher Aktivität auftreten kann (…). Es will mir immer mehr scheinen, dass
Wille (…) eine besondere und höhere Form der Aktivität ist, die unter gewissen
Wesensbedingungen, die in vorausgesetzten Objektivierungen und Fühlungen liegen,
überall auftreten kann“.
68
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
razionale e ciononostante rimane a fondamento della scienza.
Come era nelle lezioni del 1914, anche in queste, la volontà è
considerata come l’attività razionale pratica della coscienza pura, ma con
la sola e rilevante differenza che qui essa assume un ruolo centrale per
qualunque forma di attività razionale. Nelle lezioni del ’14 Husserl parla di
‘predominio della ragione logica’:
Certo compare una seria difficoltà, una difficoltà la cui spiegazione
completa implica profonde ricerche fenomenologiche. Si tratta in
breve della difficoltà del predominio della ragione logica. È del tutto
ovvio che il pensiero logico è all’opera dove devono essere stabiliti
197
enunciati o leggi
Negli anni ’20 invece, la difficoltà del ‘predominio’ di una sola forma di
ragione, e quindi dell’asimmetria del parallelismo, permane, ma la
situazione si ribalta perché questa volta la predominanza si riferisce
soprattutto alla ragione pratica. Negli anni ’20 infatti, Husserl sembra
considerare l’atteggiamento pratico predominante rispetto a quello
teoretico e conoscitivo; la ragione logica sembra subordinarsi alla
‘superiorità’ della ragione pratica. Inoltre, mentre nelle lezioni del ’14
l’attività di obiettivazione, ovvero la capacità degli atti di ‘costituire’ gli
oggetti a cui essi si riferiscono, sembrava essere attribuita quasi
esclusivamente alla ragione logica, ora questa capacità sembra persino
fondarsi nell’attività del volere.
Mostriamo ora se la nuova definizione che Husserl dà di volontà sia
giustificata da un cambiamento di posizione rispetto alla struttura del suo
pensiero e verifichiamo quali risultati consegua nel progetto di fondazione
della scienza etica; ricordiamo infatti che la volontà viene da Husserl
indicata come il fondamento razionale che dovrebbe stare alla base della
futura scienza etica. Se la definizione di volontà cambia, muta anche il
tipo di fondamento su cui deve poggiare il progetto husserliano.
Per quel che riguarda il primo punto: la volontà è definita come una
funzione particolare e superiore della coscienza. Tali proprietà si
manifestano, secondo Husserl, in virtù di una specifica condizione:
l’attenzione. Questo concetto chiave distingue infatti, l’attività della
volontà da tutte le altre forme di attività dell’io. “In generale l’attenzione è
qualcosa che appartiene alla struttura essenziale d’uno specifico atto
dell’io […], ossia il tendere dell’io verso l’oggetto intenzionale […]. Essa è
precisamente un tendere al compimento”198. L’attenzione rappresenta il
197
Husserl, E., Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 68; tr. it. p. 85.
Husserl, E., Esperienza e Giudizio, tr. it. Costa V.; Samonà, L. Milano, Bompiani,
1995, p. 73.
198
69
momento iniziale del volgimento dell’io verso l’oggetto che ha intenzione
di conoscere. È un tendere al compimento proprio perché, è a partire da
essa che ha inizio qualunque atto di prensione o di afferramento
dell’oggetto (dossico, assiologico o pratico) compiuto da parte dell’io.
L’attenzione ha, in sostanza, la funzione di ‘risvegliare l’io’, in quanto
‘stimolo risvegliante’ che ‘si dirige all’io’” 199. In questo stimolo essa dà
origine ad una tendenza esperiente che fa sì che l’io si diriga verso l’uno
o l’altro oggetto della realtà, generando in lui un interesse specifico200.
Dunque, la prima componente dell’attenzione è rappresentata
dall’atto di interesse con cui l’io prende coscienza dell’esistenza delle
cose verso cui esso si volge. Il processo della percezione attiva,
attraverso cui l’io esperisce la realtà circostante, è caratterizzato proprio
da questo movimento volontario verso gli oggetti che esso scopre come
esistenti.
“L’interesse della percezione, da cui è guidata l’esperienza ricettiva scrive infatti Husserl - non è altro che il primo grado dell’interesse
propriamente conoscitivo, è una spinta tendenziale a portare a datità da
ogni lato l’oggetto intuitivamente dato.“ 201 Per conoscere un oggetto,
come per agire praticamente, è necessario portare ad esistenza la cosa
verso cui siamo rivolti. Con l’espressione ‘portare a datità o ad esistenza’
si intende questo processo di restituzione, alla realtà della nostra
coscienza, di ciò che esiste e che cogliamo fuori di noi. La volontà,
attraverso l’interesse della percezione, riconosce i suoi oggetti e si
riferisce ad essi in un processo che potremmo definire di ‘originaria
obiettivazione’. Essa, quindi, in virtù di questa peculiare forma di
obiettivazione, può essere riconosciuta come ‘particolare e superiore’,
perché rende possibile la realizzazione di ogni atto, anche di quelli
obiettivanti, che Husserl, prima del ’14, attribuiva solo alla ragione logica.
Questo processo ‘di portare a datità l’oggetto’ non esaurisce però, il
senso della volontà. “La volontà di conoscere - scrive l’autore - sia che
abbia in sé il suo fine o che stia a servizio di uno scopo pratico, va
oltre.”202 La sfera della volontà non si esaurisce in un atto di attenzione o
di interesse rivolto verso un particolare oggetto, perché questi atti
potrebbero cambiare nel tempo assumendo sfumature e contorni diversi;
potrebbero mutarsi, ad esempio, in automatismi passivi, estranei
propriamente al processo attivo della volontà.
L’interesse conoscitivo può essere dominante o subordinato. Non è
199
Ivi, p. 74.
Cfr. “Potremmo dire che con essa – scrive Husserl – si è svegliato un interesse per
l’oggetto della percezione come oggetto esistente”.
201
Ibid.
202
Ibid.
200
70
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
detto che esso debba essere puramente autonomo, […] la
conoscenza cui esso mira può anche essere un semplice mezzo
per altre finalità dell’io, per scopi e interessi pratici che a questi si
dirigono. […] Esso può essere, alla pari di altri interessi,
momentaneo, fuggevole, e infine essere pure rimosso da altri
203
interessi, anche prima della sua esplicazione.
L’interesse che accompagna il processo di conoscenza non è detto
che sia sempre attivo e che coincida interamente con l’atto della volontà.
“È vero che nella ricettività l’io è attivamente rivolto all’afficiente, ma non
fa della sua conoscenza e […] dei suoi singoli passi conoscitivi, l’oggetto
di una volontà.”204 Quando percepisco la realtà il mio interesse per essa
può, secondo Husserl, essere puramente passivo. Io posso essere
affetto dalla sua realtà e percepire i suoi diversi aspetti, ma tutto questo
può avvenire senza che io ne abbia piena coscienza. Io posso, per così
dire, incamerare in modo passivo delle informazioni riguardanti la realtà
che mi circonda, senza aver dato volontariamente alcun ordine alla mia
attenzione. “Invece nell’interesse autentico per la conoscenza è in gioco
una partecipazione volontaria dell’io […]: l’io vuole conoscere l’oggetto e
fissare il conosciuto una volta e per tutte”205.
Si deve dunque, secondo Husserl, distinguere tra due tipi di
interesse: uno passivo ed uno attivo o volontario. Il primo nasce con il
semplice «sentimento dell’attenzione» che muove l’io ad interessarsi,
anche passivamente, ad un oggetto; il secondo nasce invece, dall’atto
volontario dell’io che si muove con l’autentico fine della conoscenza.
Questo secondo tipo di interesse non viene definito da Husserl come
un atto volontario, ma piuttosto come ‘un sentimento’, ovvero come
qualcosa che non può essere riconosciuto in termini esclusivamente
razionali. “Noi abbiamo […] parlato – scrive Husserl - di un interesse che
sarebbe sorto con il volgersi dell’io all’oggetto. Ora si può vedere che
quest’interesse non ha nulla a che fare con un atto specificatamente
volontario. Non si tratta di un interesse che produca qualcosa come scopi
o azioni volontarie. È solo un momento della tendenza, la quale
appartiene all’essenza della percezione normale. Se noi parliamo qui di
interesse è perché a questa tendenza s’accompagna un sentimento, che
è anzi un sentimento positivo, il quale non deve essere scambiato per il
compiacimento per l’oggetto.”206
Anche l’interesse passivo quindi, viene chiamato interesse perché ad
esso si accompagna un sentimento, che sembra far parte della sfera
della volontà e che sembra dare all’interesse stesso una sfumatura di
203
Ivi, p. 184.
Ivi, pp. 179-80.
205
Ivi, p. 180.
206
Ivi, pp. 77-78.
204
71
volontarietà nel processo di tendenza alla percezione. Il sentimento,
però, che accompagna l’interesse attivo o autentico è un sentimento
positivo, ovvero un sentimento che pone fini o scopi di conoscenza. “In
un piano superiore questa tendenza può poi assumere anche la forma di
un volere vero e proprio, della volontà di conoscere, con la posizione di
scopi ed intenzioni.”207
Nel piano superiore, ovvero nel piano dell’attività dell’io, della
trasformazione dei dati passivi della coscienza in dati attivi, la materia
percepita attraverso il primo tipo di interesse può essere presa e fissata
dalla volontà in un’identità ben specifica. La volontà di conoscere,
accompagnata dal sentimento positivo dell’interesse attivo, dà luogo ad
atti attraverso i quali viene riconosciuto e fissato il contenuto di senso di
ogni dato proprio della conoscenza. Accanto a questi atti di interesse “si
può formare un concetto più ampio di interesse […]. Questi atti non si
intendono solo come quelli in cui io sia rivolto tematicamente ad un
oggetto, per esempio percependolo ed osservandolo a fondo, ma in
generale come tutti gli atti del rivolgersi dell’io […], atti dello inter-esse
dell’io” 208 . In questo modo il concetto di interesse si definisce
specificatamente secondo il suo significato etimologico come un stare
dell’io tra le cose. Questo ‘stare tra’ può poi essere trasformato dalla
volontà in qualcosa di diverso, in un atto di prensione dossico (ovvero in
un atto della conoscenza), o in un atto di prensione pratico (ovvero in un
atto etico), o infine in un atto di prensione assiologico (ovvero in un atto di
valutazione).
È quest’ultimo l’elemento più rilevante della nuova definizione della
volontà: essa può trasformare qualsiasi forma di atti; trasforma ciò verso
cui siamo interessati in forme di conoscenza assiologica, logica o pratica.
“Lo scopo della volontà è la prensione dell’oggetto nella sua
determinatezza identica, la fissazione ‘una volta e per tutte’ del risultato
della percezione osservativa”209.
La ragione pratica diviene lo strumento attraverso il quale la nostra
mente organizza il tipo della nostra conoscenza. In questo modo essa è
superiore e predominante rispetto alla ragione logica ed è capace di
obiettivare i propri oggetti in un duplice senso.
Nel primo senso, che abbiamo sopra individuato, essa obiettiva in modo
primitivo ed originario i propri oggetti, riferendosi ad essi in maniera
pressoché istintiva, attraverso un interesse passivo. Nel secondo senso,
appena individuato, la volontà obiettiva i propri oggetti perché in grado di
‘prenderli’, trasformali e fissare la loro identità.
Conoscere significa, secondo Husserl, agire volontariamente, ovvero
207
Ivi, p. 78.
Ibid.
209
Ivi, p. 180.
208
72
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
‘prendere’ e fissare il senso identico degli oggetti passivamente percepiti.
Questo conoscere è, in un primo momento, originato da un sentimento di
interesse ed in un secondo momento, è realizzato dall’interesse attivo e
consapevole rivolto alla conoscenza. La sfera della volontà ha il compito
di trasformare la dimensione passiva degli oggetti della coscienza, in
esistenza, ovvero in qualcosa che esiste anche per la coscienza che li ha
passivamente raccolti. La volontà, attraverso il suo intervento, porta ad
esistenza ciò che nella coscienza già è stato recepito.
Naturalmente nel distinguere questi due momenti, come “nel
distinguere i due gradi di interesse e corrispondentemente i due gradi di
operazioni oggettivanti, da un lato quello dell’esperienza oggettiva e
dall’altro quello della spontaneità predicativa, non dobbiamo intendere
questa distinzione come se le diverse operazioni fossero tra loro in un
qualsiasi modo separate. Al contrario […] sono di fatto e regolarmente,
strettamente intrecciate l’una all’altra.” 210 Esperienza oggettiva e
spontaneità predicativa sono due tipi di obiettivazione diversi ed uniti tra
loro, ed entrambi vengono portati a compimento dall’attività del volere. Il
processo di interazione dell’io con la realtà circostante può essere di due
gradi (l’uno passivo e l’altro attivo), ma ciò non significa che questi due
gradi siano nettamente separati tra loro, anzi, l’esperienza oggettiva e la
spontaneità predicativa (ovvero la spontaneità della percezione e
dell’identificazione dell’oggetto) si intrecciano strettamente l’una all’altra
perché sono in realtà due aspetti differenti di una medesima attività.
È proprio perché passività ed attività si uniscono tra loro e non
possono essere separate, che nella volontà persiste un residuo di
irrazionalità che non può mai essere completamente eliminato. La
volontà viene accompagnata nel suo interesse verso l’oggetto, da ‘un
sentimento’ che non viene descritto da Husserl in termini esclusivamente
razionali.
Nelle lezioni degli anni ’20 emergono, attraverso l’introduzione del
metodo genetico, delle nuove caratteristiche che ridefiniscono la sfera del
volere; essa sembra essere, infatti, una sfera sia attiva che passiva, che
si trova alla base di qualsiasi possibilità di obiettivazione e
rappresentazione degli oggetti. Questo significa che rispetto alla
definizione di intenzionalità che Husserl aveva dato nelle Ricerche
Logiche vi è un rilevante cambiamento di posizione211. Il fatto che Husserl
indichi gli atti del volere come atti obiettivanti segna, rispetto alle lezioni
etiche del 1914 e all’impostazione iniziale del suo progetto etico, una
distanza importante e soprattutto significativa ai fini dei nostri obiettivi.
L’asimmetria del parallelismo tra ragione logica, pratica ed assiologia,
che rende irrealizzabile il progetto husserliano, spinge l’autore verso una
210
211
Ivi, pp. 184-85.
Husserl, E., Ricerche Logiche II, op. cit., pp. 369-91; tr. it. pp. 160-181.
73
progressiva modificazione delle cause che portano a questa asimmetria.
Husserl quindi modifica la propria posizione rispetto a temi rilevanti, come
quello degli atti intenzionali, al fine di rendere realizzabile il proprio
progetto etico. L’etica, o almeno l’ambizione di fare di essa una scienza,
rappresenta un termine di confronto col proprio pensiero filosofico.
3.1.2. L’intenzionalità degli atti pratici
Nel paragrafo precedente si mettevano in evidenza i due punti di
differenza maggiori della descrizione di volontà elaborata nel 1914 e nel
1920; nelle lezioni del 1920, la volontà è superiore rispetto alle altre
forme di ragione ed i suoi atti possono essere definiti obiettivanti.
L’introduzione del metodo genetico e l’ambizione di realizzare il
proprio progetto etico-scientifico, possono essere considerati come una
prima risposta a questo cambiamento. “Sembra che – scrive Bernet – la
decisione in favore del carattere obiettivante dell’intenzionalità dei
sentimenti […], fosse motivata dalla preoccupazione di una fondazione
fenomenologica dell’etica” 212 . Sia Bernet che Melle 213 ritengono che il
progetto etico-scientifico husserliano abbia influito in modo decisivo
sull’evoluzione del suo pensiero fenomenologico.
Per quanto l’etica nasca e si sviluppi come una parte piccola e
limitata del pensiero husserliano, crediamo che essa influisca in modo
determinante
sulla
fisionomia
finale
della
sua
produzione
fenomenologica. I contenuti del suo progetto etico infatti, portano
Husserl, come vogliamo mostrare qui di seguito, a modificare persino la
sua teoria dell’intenzionalità.
Come già sappiamo dalle lezioni del 1914, gli atti pratici sembrano
subordinarsi all’intenzionalità della ragione logica. Questo è giustificato
dal fatto che gli atti della ragione pratica non si riferiscono, secondo
Husserl, a dei veri e propri oggetti, ma alla rappresentazione di questi.
Nella quinta delle Ricerche Logiche, riprendendo in parte la
classificazione brentaniana 214 degli atti psichici, Husserl utilizza due
definizioni dei fenomeni psichici: ogni fenomeno psichico è caratterizzato
da un riferimento intenzionale ed esso “o è una rappresentazione oppure
poggia su una rappresentazione”215.
Sulla base di questa classificazione, l’autore riproduce una sorta di
schema entro cui inquadra e spiega i vissuti216 o atti della coscienza. I
212
Bernet, R. La vie du sujet, op. cit, p. 312.
Melle, U. Objektivierende und nicht-objektivierende Akte in Ijsseling, S. HusserlAusgabe und Husserl Forschung, Dordrecht/ Boston/London, Kluwer Academic
Publishers, 1990, pp. 35-49.
214
Cfr. Husserl, E. Ricerche Logiche II, op. cit., par. 10.
215
Ibid.
216
Husserl sceglie di parlare di vissuti e non di atti psichici per evitare fraintendimenti tra
la dimensione real e reel della vita della coscienza. La prima infatti si riferisce ai vissuti
213
74
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
vissuti reali (reel) della coscienza si distinguono in atti e non atti. Tutti gli
atti sono intenzionali; i non atti, invece, non lo sono, perché non si
dirigono intenzionalmente verso nessun oggetto rappresentato.
“Che non tutti i vissuti siano intenzionali – scrive Husserl – è
dimostrato dalle sensazioni e dalle complessioni sensoriali” 217 . Le
sensazioni sorgono senza che un oggetto venga rappresentato o intuito;
esso viene percepito di per sé senza alcun riferimento intenzionale a lui
rivolto. L’oggetto delle sensazioni rimane cioè, un oggetto immanente che
fa parte della sensazione come momento di quel specifico stato psichico.
Tuttavia anche gli atti di sensazione possono essere elevati al rango
di atti intenzionali, divenendo «debitori del loro influsso intenzionale»218
agli atti di rappresentazione. “Se rappresento un quadro o nella fantasia
una lotta tra centauri, essa suscita in me un senso di piacere non meno
di un bel paesaggio della realtà. […] L’essere piacevole, e rispettivamente
l’avere una sensazione di piacere, non appartiene a questo paesaggio
come realtà fisica e nemmeno come effetto fisico, ma alla coscienza
d’atto che è qui in questione”219. Se il sentimento di piacere poggia sulla
rappresentazione dell’oggetto e non sull’oggetto di per sé empaticamente
esperito, quel sentimento di piacere diviene atto, ossia vissuto
intenzionale.
Non ogni desiderio sembra esigere un riferimento cosciente alla
cosa desiderata, dal momento che spesso veniamo mossi da
pressioni e tensioni oscure e tendiamo a scopi che non sono
rappresentati; e se, in particolare, si rimanda all’ampia sfera degli
istinti naturali, a cui, almeno originariamente manca la
rappresentazione cosciente del fine, noi risponderemmo: si tratta in
questo caso di mere sensazioni […], quindi di vissuti che sono
effettivamente privi di un riferimento intenzionale e che perciò […]
sono estranei al carattere essenziale del desiderio intenzionale.
Oppure affermiamo che, pur trattandosi di vissuti intenzionali, essi
sono
caratterizzati
solo
come
intenzioni
dirette
220
indeterminatamente .
empirico-psicologici della coscienza, la seconda fa invece riferimento alla purezza
fenomenologica dei suoi vissuti. La differenza tra psichico e fenomenologico nelle
Ricerche Logiche sta nel fatto che lo psichico si riferisce ai ‘contenuti veramente
immanenti dell’atto’, a ciò che è stato specificamente percepito e il fenomenologico si rifà
a ciò che è extra mentem, ovvero a ciò che non necessariamente esiste, ma che può
essere rappresentato. Nelle Ricerche Logiche la differenza forte tra queste due sfere di
realtà sembra risiedere nel ruolo che gioca il concetto di rappresentazione; cfr. Ricerca
Logica V, par.11.
217
Ivi, p. 369; tr. it. p. 160.
218
Ivi, p. 390; tr. it. p. 179.
219
Ivi, p. 391; tr. it. p. 180.
220
Ivi, pp. 395-96; tr. it. pp. 183-4.
75
“La gioia – ad esempio - non è un atto concreto in se stesso e il giudizio
un atto che si trova accanto ad esso, ma il giudizio è un atto fondante in
rapporto alla gioia, esso determina il suo contenuto […], senza una simile
fondazione la gioia non può in generale sussistere”221.Il giudizio, quindi, è
sempre un atto intenzionale, perché rappresenta l’oggetto verso cui si
riferisce. La gioia invece, ha bisogno del giudizio per esserlo. Dunque, gli
atti che appartengono alla sfera pratica della ragione non sono
intenzionali, perché mancano di rappresentazioni coscienti. Essi si
riferiscono, secondo Husserl, ai loro oggetti in maniera, diremmo noi,
impulsiva o istintiva e possono divenire intenzionali solo nel momento in
cui poggiano sulle rappresentazioni (perlopiù degli atti logici del giudizio)
di questi. I loro riferimenti intenzionali dipendono, quindi, dalla capacità di
rappresentazione di altri atti.
La rappresentazione, nella teoria husserliana dell’intenzionalità, ha un
ruolo molto importante. In ogni contenuto intenzionale infatti, “dobbiamo
distinguere tre concetti: l’oggetto intenzionale dell’atto, la sua materia
intenzionale (di fronte alla sua qualità intenzionale), infine la sua essenza
intenzionale”. Soffermiamoci sul secondo di questi tre concetti, che sarà il
più importante per definire la nuova posizione che Husserl assume in
rapporto all’intenzionalità della sfera pratica: la distinzione tra materia e
qualità dell’atto. “La distinzione”, scrive Husserl, riguarda “il carattere
generale dell’atto che lo contraddistingue come atto di mera
rappresentazione, oppure di giudizio, di sentimento, di desiderio etc. ed il
suo contenuto che lo contraddistingue come rappresentazione di ciò che
è rappresentato, come giudizio su ciò che viene giudicato”222. “La qualità
determina soltanto se ciò che è già stato reso rappresentativo, in una
certa modalità, sia intenzionalmente presente come ciò che viene
desiderato, interrogato, giudicato etc. Di conseguenza all’interno dell’atto,
la materia deve valere per noi come ciò che conferisce in primo luogo ad
esso il riferimento ad una oggettualità e con una tale determinatezza, che
dalla materia non viene soltanto nettamente fissata l’oggettualità in
genere, intesa dall’atto, ma anche il modo in cui la intende”223. Questi due
momenti, qualità e materia dell’atto, costituiscono l’essenza intenzionale
dell’atto.
Ma essi non potrebbero sussistere senza la loro rappresentazione di
base; essa è il contenuto basilare di ogni materia, ed è una sorta di
eccezione tra tutti i tipi di atti perché è l’unico tipo di atto fondamentale
per tutti gli altri. La rappresentazione, infatti, in un primo senso “è un atto
(ovvero una peculiare qualità d’atto) alla stregua del giudizio, del
desiderio, della domanda etc. […]. Nel secondo senso […] non sarebbe
221
Ivi, p. 404; tr. it. pp. 191-2.
Ivi, p. 411; tr. it. p. 197.
223
Ivi, p. 416; tr. it. p. 201.
222
76
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
un atto, ma la materia d’atto, che costituisce in ogni atto completo un lato
dell’essenza intenzionale o, in termini più concreti, questa materia”224. La
rappresentazione è quindi la forma più elementare ed originale d’atto
attraverso cui è possibile esprimere la sua essenza intenzionale. Essa,
però, per esprimersi ha in primo luogo bisogno dell’oggettivazione.
Infatti, il modo attraverso cui questi atti ‘si appropriano della
materia’ 225 e la rappresentano è l’oggettivazione. ”Gli atti oggettivanti
hanno la funzione del tutto peculiare di rendere rappresentativa per tutti
gli altri atti l’oggettualità a cui essi si debbono riferire secondo le loro
nuove modalità” 226 . Dunque, se Husserl ritiene che “ogni vissuto
intenzionale
è
una
rappresentazione
o
poggia
su
una
227
rappresentazione” e se il mezzo attraverso cui la rappresentazione è
resa possibile è l’oggettivazione, allora è possibile affermare che “ogni
vissuto intenzionale è un atto oggettivante oppure ha un atto di questo
genere al proprio fondamento” 228 . Tutti gli “atti non-oggettivanti (gioia,
desiderio, volizioni)”229 si fondano di conseguenza in quelli oggettivanti e
non sono considerati dei vissuti propriamente intenzionali.
Che cosa cambia quindi intorno agli anni ’20, dopo l’applicazione del
metodo genetico? In base a quello che è stato mostrato nel paragrafo
precedente, gli atti di sentimento vengono riconosciuti come atti
oggettivanti, capaci di fissare l’oggetto della propria prensione in una
rappresentazione. Essi divengono atti intenzionali, predominanti persino
rispetto agli atti logici. A differenza delle lezioni del 1914, la ragione
logica non è più superiore alla ragione pratica in virtù della propria
capacità di obiettivazione, perché dipende dall’attività produttiva della
volontà. La superiorità e la particolarità della sfera della volontà
consistente nella sua peculiare forma di attaccamento (Zuwendung)
emozionale all’oggetto intenzionale, fa sì che, come nota anche
Bernet 230 , vi sia una forma di intenzionalità di tipo affettivo ‘superiore’
rispetto a quella appena descritta. Solo la volontà può rendere esistente
ciò che è passivamente dato; solo essa può portare a datità una realtà
che altrimenti rimarrebbe ignota alla ragione stessa della coscienza.
Essa, come si è detto nel paragrafo precedente, prende, fissa e
trasforma l’identità degli oggetti passivamente percepiti. “La forma
dossica –scrive Husserl -, che è inclusa nel vissuto del sentimento
secondo tutte le sue componenti, sarebbe dunque quella che rende
possibile l’adattabilità dell’espressione […] al vissuto del sentimento che,
224
Ivi, p. 457; tr. it. p. 245.
Ivi, p. 494; tr. it. p. 279.
226
Ivi, p. 494, tr. it. p. 279.
227
Ivi, p. 427; tr. it. p. 215.
228
Ivi, p. 494; tr. it. p. 279.
229
Ivi, p. 498; tr. it. p. 283.
230
R., Bernet, La vie du sujet, op. cit., p. 312.
225
77
come tale e secondo tutti i suoi membri, contiene più tesi, tra cui
necessariamente, anche una tesi dossica”231.
La posizione di privilegio della sfera dossica, descritta nelle lezioni
del ’14, resta in virtù della sua capacità predicativa ed espressiva, ma
questa capacità viene ora nettamente distinta dalla possibilità di
oggettivare i contenuti degli atti. Tutti gli atti, anche quelli di sentimento
sono definiti ora come intenzionali. “Gli atti di piacere – scrive Husserl –
[…] come pure gli atti di sentimento e di volontà d’ogni specie sono
appunto ‘atti’, ‘vissuti intenzionali’, e […] in ogni caso appartiene loro
l’intentio, la presa di posizione”232.
Nelle pagine di Idee I (1913), l’essenza intenzionale viene definita in
nuovi termini. Essa viene descritta come la capacità di prendere
posizione o nella versione grecizzante di essere ‘tesi’ in rapporto agli
oggetti. Ogni atto può essere più tesi, ovvero può prendere posizione in
rapporto all’oggetto secondo più modi, o come scrive Husserl, secondo
più «caratteri posizionali»233. Quindi, ci si può rapportare ad un oggetto
secondo una posizione di volontà, di conoscenza, di valutazione etc. e
tutti questi modi sono da Husserl egualmente considerati delle posizioni
proprie di atti intenzionali ed oggettivanti. “Appartiene infatti all’essenza di
ogni vissuto intenzionale […] di avere almeno uno, ma normalmente più
caratteri posizionali, più tesi […]; in questa pluralità, necessariamente, un
carattere è per così dire arcontico; […] unifica ed in sé domina tutti gli
altri”234.
La definizione che Husserl utilizzava nelle Ricerche Logiche è
trasposta qui in maniera molto meno rigida, anche se, come nota
Benoist 235 , non ancora chiara. Tutti gli atti sembrano essere ora
obiettivanti, anche gli atti di sentimento, in virtù di un’essenza
intenzionale che non consiste più nella sola qualità e materia d’atto, e
quindi non più nella sola capacità di rappresentare secondo diversi modi
la realtà; l’essenza intenzionale sembra ora consistere nella capacità di
rivolgersi all’oggetto.
In questo senso, la razionalità della volontà
sembra essere
‘superiore’ rispetto alle altre forme di ragione della coscienza e sembra
poter avere a seconda dei casi, rispetto alle altre posizioni dell’atto, un
231
Husserl, E., Idee I, op. cit., pp. 264-5; tr. it. pp. 315-6.
Husserl, E., Idee I, op. cit., pp. 241-2; tr. it. p. 291.
233
Ibid.
234
Ibid.
235
J., Benoist, La fenomenologia ed i limiti dell’oggettivazione, op. cit., pp. 167-8: “La
posizione della maturità non è però così chiara, e mi sembra infatti che le difficoltà
rimangano. […] Si deve notare l’equivocità con la quale viene introdotto il tema
dell’universalità degli atti obiettivanti […]. L’estensione della nozione d’atto obiettivante è
ammessa soltanto in virtù di una possibile ripresa teorica […] del contenuto dell’atto”.
232
78
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
carattere arcontico. Come nota Hart236 dagli anni ’20 in poi la razionalità
del volere è superiore rispetto a quella teoretica e dossica, in virtù della
dimensione emotiva che, attraverso il metodo genetico, viene messa in
luce. Solo in virtù della capacità emotiva di muoversi originariamente
verso l’oggetto, la volontà può essere in grado di recepire dei contenuti di
valore verso cui indirizzare il proprio interesse. La ragione teoretica è
incosciente di queste acquisizioni fino a quando non vi riflette sopra.
“Ogni forma di ragione - scrive Husserl - è sempre ragione pratica”237,
“tutti gli atti sono modi del volere, modi di un comportamento radicato in
una capacità dell’io […]. Giudicare è un modo del volere in senso più
ampio” 238 . La rappresentazione che gli atti del volere riescono ad
elaborare, sembra essere di una forma più elementare e per così dire
‘istintiva’ rispetto a quella degli atti teoretici; essa è, in un certo modo, di
tipo teleologico e consiste nella sua capacità di istintiva di rivolgimento
verso (Beziehung auf) gli oggetti della realtà.
In sintesi:
l’intenzionalità della ragione pratica viene ridefinita secondo un
carattere teleologico ed ‘emotivo’.
Questa ridefinizione è giustificata dal processo di ‘universalizzazione’
del concetto di obiettivazione compiuto da Husserl nel § 117 di Idee I.
Ragione pratica, logica ed assiologica non sono più distinte tra loro in
base alle loro funzioni, ma sono parte di una stessa posizione e sono
egualmente dotate di una vita intenzionale, ovvero di una autonoma
capacità di dirigersi verso gli oggetti di conoscenza e di interagire
praticamente con essi.
A modificare il carattere intenzionale del volere e degli atti di
sentimento riteniamo intervengano due elementi determinanti:
l’applicazione del metodo genetico, che descrive la volontà anche in
quanto funzione di prensione dell’oggetto e la necessità di realizzare
il progetto etico. Nella parte finale del già citato paragrafo, Husserl
ribadisce la validità dei presupposti del suo progetto etico: “Con
l’essenziale comunanza di genere di tutti i caratteri posizionali è data
eo ipso quella dei loro correlati posizionali […]. È qui che si fondano,
in ultima istanza le analogie avvertite in ogni tempo tra la logica
generale, la dottrina dei valori e l’etica, che seguite nelle loro ultime
profondità, conducono alla costituzione di discipline formali parallele:
la logica formale, l’assiologia e la pratica formale.”239
I problemi, quindi, che avevamo posto nel paragrafo e nel capitolo
236
Hart, J. The Person and the Common Life, Dordrecht/Boston/London, Kluwer
Academic Publishers, 1998, p. 26.
237
Husserl, E. Ms. E III 7, 85.
238
Husserl, E. Ms. A V 22, 5.
239
Husserl, E., Idee I, op. cit., p. 242; tr. it. p. 292.
79
precedente sembrano essere in parte risolti. Il parallelismo tra le
diverse forme di ragione è ora perfettamente simmetrico, perché si
attribuisce, anche agli atti di sentimento e di volere, un proprio
carattere intenzionale, non subordinato a nessun’altra forma di atto.
Inoltre anche l’intreccio tra le diverse forme di atti, può essere
spiegato dal punto di vista noetico (o soggettivo) in virtù del processo
di ‘universalizzazione’ del carattere oggettivante degli atti della
coscienza. Ogni atto può essere posizionale e può intrecciarsi al suo
interno con altre posizioni di atto, ma in ogni atto prevale sempre una
posizione arcontica che caratterizza l’atto ed il suo correlativo
oggettivo. Ogni ‘materia formale’, ci dice Husserl, è il correlato
oggettivo di una serie di atti in cui prevale uno specifico carattere
arcontico che dà il ‘nome’ alla materia. Nel caso dell’etica, il carattere
arcontico sarà necessariamente quello degli atti del volere.
3. 2. La coscienza razionale, irrazionale e non razionale
Se la volontà, che è un modo della coscienza, viene definita in maniera
nuova, ci chiediamo come, dopo l’applicazione del metodo genetico,
cambi anche la definizione di coscienza. Ricordiamo che Husserl aveva
posto, come fondamento razionale della futura scienza etica, la
coscienza, in quanto lume di chiarificazione dei molteplici dubbi della
scienza e della vita quotidiana. Ora però, se essa diviene qualcosa di
inerente alla sfera della passività (strato più basso dei dati vissuti dall’io e
più prossimo all’irrazionalità e alla non evidenza), può essa essere
ancora considerata il fondamento della scienza oppure il progetto di
fondazione cambia?
In un interessante articolo Costa nota come “vi sia una certa tensione
tra la tendenza verso la certezza, la ricerca dell’evidenza e l’emergere
della nozione di mondo”240, a cui la coscienza è irrimediabilmente legata.
Se vi fosse evidenza “non vi sarebbe coscienza”, perchè la coscienza è
una funzione continuamente attiva nel mondo e finché la coscienza vive il
mondo, incamera nuove conoscenze che debbono essere portate ad
evidenza. Sommer, sempre a questo proposito, mostra come “una
sensazione, se potesse darsi che contenesse chiarezza e null’altro che
chiarezza, sarebbe una clara et confusa perceptio.” La coscienza infatti,
“nella massima evidenza non è altro che chiara confusione” e “la
riduzione a questa evidenza è un passo verso l’autodispersione e
l’autodistruzione della coscienza“ 241 . La coscienza, in sostanza, è
talmente vicina alla vita ed ai suoi contenuti che una completa o ultima
chiarificazione di questi significherebbe la sua fine o distruzione. Proprio
240
Costa, V. “Evidenza e mondo in Husserl”, in Leitmotiv, 1998, p. 12.
Sommer, M. Husserl und der frühe Positivismus, Frankfurt a. Main, Klostermann,
1985, p. 235.
241
80
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
perché così connessa con la vita umana e con il mondo che essa vive, la
coscienza diviene per Husserl qualcosa di non comprensibile in senso
pieno:
Per quanto ne parliamo, noi non conosciamo la coscienza pura.
Anche dopo averla idealmente delimitata attraverso l’idea della
riduzione trascendentale, ancora non la possediamo veramente.
Per possederla (in senso conoscitivo) dobbiamo prima acquisirla.
[…]. In particolar modo la coscienza conoscente, nonostante la
logica e la gnoseologia tradizionali, è ancora un territorio
242
sconosciuto .
La coscienza, studiata attraverso il metodo genetico, diviene
coscienza che vive il mondo e quindi essa si presenta come qualcosa di
parzialmente inspiegabile. I suoi contenuti cambiano di vissuto in vissuto
e la possibilità di coglierli con evidenza, rappresenta solo un momento
distinto nella corrente di vissuti già nuovi. Il criterio di evidenza 243 che
Husserl utilizzava come strumento di chiarificazione dei contenuti dei
vissuti, diviene, con il metodo genetico, uno strumento pressoché inutile.
Esso può funzionare solo quando la coscienza è conclusa, ovvero smette
di vivere (ma in quel caso le vie di accesso ai suoi contenuti ci sarebbero
negate, perché non vi sarebbero più dei vissuti).
Persino la riduzione, dinanzi alla materia della coscienza, è uno
strumento parzialmente impotente perché, per quanto possa essere
applicata in maniera progressiva e ripetuta, non riesce ad acquisire in
modo definitivo tutti i suoi contenuti. Non appena dico di conoscere
qualcosa del mio vissuto, in modo puro e quanto più possibile astratto,
ecco che un nuovo contenuto entra subito a fare parte del mio vissuto e
rende ciò che è stato appena chiarito, confuso ed ancora ignoto.
Se la coscienza, quindi, non può essere ‘conosciuta’ in modo
esaustivo, si deve ammettere che, a fianco della razionalità che la
caratterizza, debba esserci anche qualcosa di non razionale o di ancora
non conoscibile. Bisogna poi capire se questo ‘non razionale’ sia
qualcosa di irriducibile o se debba essere considerato come un forma di
transizione verso il razionale. “Il nome ragione – scrive infatti Husserl designa soltanto una sezione della più ampia e vastissima sfera della
coscienza possibile in generale […], perché si deve tener conto delle
sfere idealmente infinite di quella che è l’immagine speculare di ragione e
irrazionalità.”244
242
Husserl, E., Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., p. 289.
Cfr. Prolegomeni, par. 49; Ricerche Logiche, I par. 29; Idea della fenomenologia,
Secondo gradino della considerazione fenomenologica, Lezione III; Idee I par.par.. 16,
28, 69.
244
Ivi, p. 147.
243
81
Esistono quindi due immagini della coscienza che debbono essere
esplorate; secondo Husserl, entrambe queste ‘immagini’ stanno a
fondamento della presupposta scienza etica e dell’idea di scienza
husserliana in generale? Se così fosse Husserl sarebbe anche costretto
ad ammettere l’idea di una scienza fondata paradossalmente in una
dimensione razionale ed irrazionale allo stesso tempo. Se infatti il
progetto etico resta inalterato, assieme al fondamento scientifico che
Husserl indica nelle lezioni del 1914, l’idea di scienza etica, ma anche di
scienza logica e fenomenologica (perché tutte e tre utilizzano la
razionalità della coscienza come loro fondamento) che ne deriva, risulta
alterata rispetto all’idea iniziale.
Non appena rivolgo l’attenzione alla mia coscienza in quanto
funzione – vale a dire come la funzione di costituire in sé stessa la
realtà – in tutta la sua ampiezza che abbraccia l’universo, sicché il
mondo intero e tutte le scienze si spostano per così dire nella
coscienza (…), ecco che mi assalgono un disagio e uno stupore
radicali: d’un tratto tutto diventa problematico, tutte le scienze con
la loro razionalità, che di solito è pienamente soddisfacente,
245
ricevono un indice di problematicità, di incomprensione
La coscienza è considerata da Husserl come il fondamento ultimo di
ogni forma di conoscenza pratica, logica, matematica, estetica e via di
seguito. Se si considera la coscienza non come un momento specifico
della compagine dei suoi vissuti, ma come una funzione, ovvero come
qualcosa che costantemente funge nella realtà, essa diviene
incomprensibile, perché la sua fisionomia cambia di continuo. Di
conseguenza, se la coscienza, in quanto fondamento ‘fungente’, non può
mai essere completamente compresa ed acquisita, le conoscenze di cui
essa è origine ricevono un ‘indice di incomprensione’, un indice di
problematicità che, stando alla struttura tracciata da Husserl, non può
essere in alcun modo risolto.
Sia la ragione che la ‘non ragione’ della coscienza rappresentano,
allo stesso modo, una parte essenziale della coscienza. Ma la non
ragione può essere intesa come una forma di transizione, ovvero come
una ‘non-ancora-ragione’ che può essere portata alla sua forma razionale
tramite la chiarificazione fenomenologica?
Chi si interessa originariamente, per la questione dell’unità e della
molteplicità, dell’oggetto e della coscienza razionale che se ne ha,
o conoscenza possibile, accanto alla ragione deve comunque
anche studiare l’irrazionalità (ragione negativa) e la non-ragione,
vale a dire l’intera coscienza pura, nonché l’io puro che si può
245
Ivi, pp. 213-15.
82
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
mostrare fungere in essa. Ciò che per motivi essenziali è uno, non
può essere smembrato. Gli specifici problemi gnoseologici, e in
generale di teoria della ragione, che corrispondono al concetto
dapprima empirico, di facoltà razionale […] sono solo delle sezioni
trasversali del problema generale della coscienza e dell’io; e una
sezione trasversale diviene pienamente comprensibile solo se si
246
indaga l’intero di cui fa parte.
Con queste parole Husserl rende la propria posizione rispetto alla
scienza ancora più problematica. Usa infatti due termini per indicare la
possibile irrazionalità della coscienza: ‘ragione negativa’ e ‘non-ragione’.
Seppure supponiamo che uno dei due termini possa essere inteso come
una forma di transizione alla ragione, in quanto forma di dati
passivamente recepiti dal soggetto e non ancora portati a coscienza,
l’altro termine non può essere inteso allo stesso modo. La ‘ragione
negativa’ resta una ‘ragione negativa’ e con essa Husserl sembra
avvisarci del fatto che nella coscienza permanga costantemente un
residuo di irrazionalità. Se vogliamo ricollegarci alle osservazioni critiche
richiamate in precedenza, la ragione negativa potrebbe coincidere con
quella nozione di ‘non evidenza’ propria dei contenuti della coscienza.
La coscienza è di per sé unitaria e le sue componenti razionali,
irrazionali e non razionali sono parte integrante di questa unità ed
emergono con ancora più chiarezza quando la coscienza viene
analizzata in quanto funzione vivente. La teoria della ragione su cui
Husserl si era affannato nella prima parte della ricerca è solo un aspetto
della più vasta indagine della coscienza e della soggettività, la cui
problematicità ora emerge con ancora più chiarezza attraverso
l’applicazione del metodo genetico.
La questione che ci poniamo ora è: da dove deriva l’irrazionalità della
coscienza? E nonostante questo residuo di irrazionalità (di questo però ci
occuperemo nel capitolo successivo), la coscienza può ancora essere
definita il fondamento razionale della scienza?
3.2.1. Persona, io puro e coscienza
Dopo l’introduzione del metodo genetico il concetto di coscienza viene
concepito in connessione costante col mondo che essa vive. La
coscienza diviene principalmente coscienza che vive il mondo. Ma se
essa continua ad essere considerata come una dimensione
assolutamente pura ed astratta, come spiega Husserl la sua apertura al
mondo? A giustificare questa correlazione, sembra esservi, a nostro
avviso, un terzo elemento: il concetto di persona.
Proviamo ad analizzare, in questo paragrafo, il significato di tale
246
Ivi, p. 257.
83
termine per capire in quale dimensione Husserl lo collochi e di quale
natura esso sia.
Nelle lezioni etiche dei primi anni del ‘900, il concetto di persona non
veniva preso in considerazione, talora esso veniva semplicemente
accennato e subito associato alla sfera del mondo empirico. Dopo
l’introduzione
della
fenomenologia
genetica
invece,
Husserl
approfondisce tale concetto e sembra inserirlo nella pura sfera della
coscienza.
Nel secondo volume di Idee (1924-25)247 distingue infatti due nozioni
di persona, una pura e l’altra empirica: “Se noi prendiamo l’io personale
come l’abbiamo trovato nell’inspectio (vale a dire senza considerare la
sua unità col corpo vivente), non sembra dapprima distinguersi dall’io
puro.”248 Per Husserl io puro ed io personale sembrano non distinguersi
tra loro. Se l’io personale viene colto senza il suo riferimento corporeo,
può essere associato all’io puro, nonostante la sua dimensione
personale. Bisogna capire, ora, come possa essere definita pura una
dimensione personale e se questa possa essere considerata di natura
pienamente razionale.
“L’esperienza personale – scrive Husserl – non è relativa alla natura.
‘Non relativa alla natura significa che ciò di cui si fa esperienza non è
naturale nel senso dell’insieme delle scienze della natura, ma per così
dire è contro natura” 249. L’esperienza personale non è qualcosa che può
essere interamente attribuita alla sfera empirica, essa è definita come un
‘contro natura’, ovvero come ciò che non appartiene alla natura empirica.
247
Nell’Archivio-Husserl si trova un manoscritto del secondo libro risalente al 1912,
immediatamente successivo al primo libro. Tale manoscritto corrisponde perfettamente al
progetto annunciato. Ancora nel 1922 Husserl pensava di seguire il piano originario,
come risulta dalle note in margine da lui redatte nell’esemplare di cui si serviva per la
seconda edizione di Idee I nel 1922. Non pubblica nel 1922 questo secondo volume
perché, sebbene la parte definita provvisoriamente Teoria della scienza non subisca
variazioni, altre analisi vennero continuamente riprese fino al 1928. In questi quindici anni
il problema della costituzione delle oggettualità nella coscienza diviene sempre più
importante e dibattuto nella fenomenologia husserliana. Nel 1915 Husserl scrive una
nuova elaborazione del secondo libro, nella quale riprende parecchie cose di un denso
manoscritto elaborato nel 1912 e dei suoi manoscritti di seminario del 1913-‘15.
Probabilmente nel 1916 Edith Stein elaborò una trascrizione in caratteri correnti di questo
manoscritto stenografato e nel 1918 preparò una seconda elaborazione di questo
secondo libro. Quest’ultima elaborazione corrispondeva già, grosso modo, al testo che
conosciamo. Fino al 1924 sembra che il lavoro della Stein si sia arrestato. Solo nel 1924‘25 Ludwig Landgrebe, divenuto assistente privato di Husserl, elaborò una trascrizione a
macchina delle Idee II e III, quali erano state proposte nei manoscritti di Edith Stein.
All’elaborazione fatta da Landgrebe Husserl aggiunse, tra il 1924-‘28, una serie di
commenti e rettifiche che vennero trascritte dal professor Strasser e vennero aggiunte
come apparato critico al testo.
248
Husserl, E. Idee II, op. cit., p. 247; tr. it. p. 297.
249
Ivi, p. 180; tr. it. p. 185.
84
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
Secondo Husserl infatti, bisogna discernere tra la persona corporea,
che è quella che fa esperienze nel mondo naturale e la persona astratta,
che è quella che apre la coscienza alla dimensione del mondo.
Quest’ultima, è quella “nella quale noi siamo sempre quando viviamo
insieme, quando ci parliamo […], quando consideriamo le cose che sono
attorno a noi […]. Vivere come persona significa porsi come persone,
ritrovarsi secondo dei rapporti coscienziali con un mondo circostante e
porci secondo dei rapporti simili”250. La persona, intesa in senso astratto,
è dunque quella forma di soggettività che funge da ponte con il mondo
circostante, perché “ogni persona ha in sé […] il mondo circostante
comunicativo, un proprio mondo circostante egoista […] ed è il mondo
egoista che costituisce il nucleo essenziale del mondo comunicativo”251.
Dunque è chiaro che:“dobbiamo distinguere tra la persona umana,
l’unità appercettiva che noi cogliamo nella percezione di sé e nella
percezione degli altri e la persona” intesa in senso puro. La persona
astratta, quella intesa in senso puro, è per Husserl il “soggetto di atti
razionali le cui motivazioni, le cui forze motivazionali ci arrivano a datità
attraverso i nostri vissuti originari, oltre che attraverso la comprensione
dei nostri vissuti”252. La persona intesa in senso puro, è quella che apre la
coscienza al mondo in virtù della forza motivazionale a cui dà origine.
Essa funge da ponte tra la coscienza ed il mondo perché, grazie al
proprio carattere, è sia parte della pura coscienza che centro delle
motivazioni personali. Il carattere infatti fornisce alla coscienza quelle
motivazioni (motus), senza le quali gli atti perderebbero la possibilità di
agere. Gli atti infatti, possono essere tali solo in forza del movimento che
li spinge alla realizzazione. Alla base degli atti razionali della coscienza vi
sono, quindi, delle forze motivazionali di cui la persona dispone per dare
origine alla vita razionale della coscienza.
L’essenza propria di tutta la spiritualità riconduce all’essenza dei
soggetti di tutta la spiritualità in quanto soggetti di vissuti
intenzionali; questi soggetti sono degli io (Iche), soggetti personali;
essi sono come soggetti personali mentre vivono nella forma della
coscienza, mentre realizzano in molti modi la coscienza, la
coscienza che fa esperienza, rappresentazioni, che sente, che
253
valuta, cha ha dei fini e che agisce.
Sono i soggetti personali a presiedere alla vita della coscienza e a
caratterizzare l’intera dimensione dello spirituale. La dimensione della
persona non solo fa parte della coscienza, ma in più la anima e la motiva.
250
Ivi, p. 183; tr. it. p. 187.
Ivi, p. 193; tr. it. p. 197.
252
Ivi, p. 296; tr. it. p. 294.
253
Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 104.
251
85
Tuttavia, oltre ad essere il suo ponte per il mondo esterno ed il suo centro
motivazionale, sembra anche essere l’origine di quel persistente residuo
di irrazionalità che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la
caratterizza. Husserl attribuisce infatti alla dimensione personale anche le
inclinazioni, i sentimenti, le abitudini ed una serie di caratteristiche che
non possono essere razionalmente guidate o previste. “Noi chiamiamo
etico – scrive nelle lezioni del ’24 – non solo le volizioni e le azioni
secondo i loro fini, ma anche le inclinazioni che sono presenti nella
personalità come referenze abituali ”254. Infatti, le motivazioni e le scelte
personali, per quanto possano seguire dei principi razionali ed oggettivi,
possono essere soggette alle proprie inclinazioni o al proprio carattere, e
questo può facilmente influire sulla razionalità degli atti che ne
conseguono.
Se la dimensione personale fa parte della coscienza e se presiede
alla formazione ed alla direzione degli atti razionali, ne consegue che
Husserl delinea una forma di razionalità, non solo diversa da quella
descritta nelle lezioni del ’14, ma diversa in generale rispetto alla sua
prima impostazione filosofica. La ragione pura della coscienza non è solo
ragione della coscienza, ma anche ragione personale. Esiste dunque una
forma di razionalità logica, assiologica o pratica, che può essere portata
all’azione da motivazioni che non sempre sono oggettive, ma che anzi
possono, il più delle volte, possono essere personali. Per quanto si possa
infatti, rendere astratto il termine ‘personale’, esso include sempre in sé
qualcosa che rimanda alla sfera personale del carattere e del modo con
cui esso recepisce la realtà e motiva nuove azioni. Rimane ora da capire
se questo nuovo tipo di razionalità possa ancora essere considerato
fondante per la scienza etica e per ogni altro tipo di scienza.
254
Ivi, p. 8.
86
CAPITOLO 4
LA SCIENZA ETICA NELLE LEZIONI DEL
1920-1924
4.1 Il progetto etico nel 1920-1924
Le pagine che andiamo ad analizzare sono quelle del primo e sesto capitolo del
XXXVII volume della Husserliana, pubblicato nel 2004 a cura di Henning
Peucker. Questo volume è il risultato delle lezioni tenute da Husserl nel
semestre estivo del 1920 e del 1924, presso l’università di Friburgo, intitolate la
prima volta Einleitung in die Ethik e la seconda Grundprobleme der Ethik.
È possibile rilevare come, in queste lezioni, Husserl modifichi la propria
impostazione rispetto alle lezioni del 1914 e riteniamo che questo si rifletta nel
suo pensiero etico ed, in generale, nella sua produzione filosofica. L’idea di
scienza che Husserl introduce e difende in queste lezioni, infatti, lo porta a
ritrattare quanto aveva affermato in rapporto alla teoria dell’intenzionalità e della
razionalità della coscienza. Egli descrive un’idea di scienza più vicina alla
dimensione personale dell’individuo, che a quella puramente razionale della
coscienza. In merito a ciò facciamo riferimento a quella parte della critica
255
husserliana che definisce le lezioni etiche, raccolte in questo volume, con il
termine ‘personalistiche’. Tale termine si riferisce al peso che il concetto di
persona assume in questi anni ed alla distanza che esso segna rispetto all’etica
esposta fino al 1914.
Per quanto l’etica, infatti, possa apparire come una parte piccola e
circoscritta del pensiero filosofico husserliano, essa è costruita su un progetto
scientifico molto ambizioso che abbraccia i diversi campi del sapere. Perché noi
possiamo ritenere tale progetto realizzato o almeno fondato, Husserl deve
essere in grado di mostrare come poter sciogliere le incongruenze che abbiamo
fatto emergere nei capitoli precedenti e per far questo deve introdurre dei
cambiamenti nelle teorie portanti della propria impostazione fenomenologica. La
255
Cfr. Bianchi, I. A. Etica husserliana, Milano, Franco Angeli, 1998; Landgrebe, L.
Itinerari della fenomenologia, trad. a cura di Piacenti, G. Torino, Einaudi, 1975, p. 144;
Joumier, L. “Le renouvellement éthique chez Husserl”, in Annales de Phénoménologie,
2004, pp. 201-218; Melle, U. Husserls Personalistiche Ethik, in (a cura di) Centi, B.;
Gigliotti, G. Fenomenologia della ragion pratica, Napoli, Bibliopolis, 2004, pp. 344-346;
Melle, U. “The Development of Husserl's Ethik”, in Etudes Phénoménologiques, 13-14,
1991, pp. 115-135; Melle, U. “Ethics in Husserl”, in Encyclopedia of Phenomenology.
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publisher, 1997, pp. 180-184; Peucker, H.
Einleitung in die Ethik, op. cit., p. II; M., Sancipriano, Les sources morales de Husserl, op.
cit., pp. 13-43.
scienza etica, infatti, non può sussistere se gli atti pratici non sono intenzionali e
se la ragione pratica non è anche ragione personale. Husserl sembra costretto,
in virtù della propria ambizione progettuale, a ritrattare quanto aveva affermato
nelle lezioni etiche del 1914, soprattutto rispetto a due punti:
l’etica scientifica non può essere pensata soltanto come logica del sentimento
256
(Gefülslogik) , ma deve essere una scienza capace di consigliare le scelte
257
personali dell’io . Se la razionalità pratica non è in grado di suggerire al
soggetto dei valori e dei motivi utili per le scelte personali, essa è una scienza
insufficiente (unzureichend);
Se gli atti pratici ed assiologici (e con essi gli atti personali dell’io) non sono
intenzionali, il parallelismo tra logica ed etica non può sussistere e dunque non
c’è motivo di pensare all’etica come ad una scienza universale.
Diversi sono i fattori che portano Husserl a modificare la propria posizione;
tra questi ricordiamo i più importanti, di cui abbiamo già parlato nei capitoli
precedenti: l’introduzione del metodo genetico, l’ansia di realizzazione del
proprio progetto scientifico e la guerra. Nell’ultimo capitolo abbiamo visto come,
a seguito della combinazione di questi fattori, la definizione di coscienza sia
cambiata. Nelle Ricerche Logiche veniva descritta come dimensione pura ed
assolutamente razionale, in Fenomenologia e teoria della conoscenza (1917)
essa è un’unità vivente che può divenire anche irrazionale o non razionale.
La questione che qui poniamo è se, nonostante questi cambiamenti, il
progetto etico-scientifico possa essere egualmente sostenuto e se il parallelismo
tra i modi di ragione della coscienza possa ancora funzionare come la struttura
entro cui la nuova scienza etica deve trovare le proprie radici.
Se Husserl, infatti, decidesse di mantenere inalterato il proprio progetto, pur
modificando il quadro della coscienza entro cui la scienza viene collocata,
cambierebbe non solo l’idea di scienza etica esposta nel 1914, ma anche l’idea
di scienza in senso generale. Questo perché la coscienza è fondamento
razionale non solo della scienza etica, ma di ogni genere di scienza. Ci
troveremmo, in sostanza, dinanzi ad un ulteriore rilevante cambiamento che
l’etica husserliana intreccia rispetto al pensiero fenomenologico e che riflette le
modifiche precedentemente apportate alla teoria dell’intenzionalità e della
ragione. La scienza diverrebbe personale e passibile di irrazionalità.
In questo capitolo affronteremo il testo delle lezioni etiche del 1920-24 per
comprendere se Husserl continui a sostenere il proprio progetto etico e se
modifichi ancora la propria posizione rispetto ai concetti di intenzione, razionalità
della coscienza e scienza.
256
Husserl, E.Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 260.
In merito all’insoddisfazione nutrita da Husserl nei confronti della precedente
formulazione dell’etica, citiamo un passaggio delle Einleitung in die Ethik, in cui l’autore
rimprovera a se stesso: «Che ne è dei valori della personalità, della valutazione delle
proprietà personali?», (p. 35); o ancora in merito alla pretesa del dovere assoluto: “Che
cosa devo fare? Che cosa la mia condizione di vita pretende da me come cosa dovuta
unicamente qui ed ora?”, (Ivi, p. 7). “La concreta questione etica [diviene]: ‘Come devo
modellare il mio vivere per uno veramente buono’ e quindi […] : ‘Il dovere per me
assoluto, è da prendere come vocazione scientifica o come qualcosa di niente più che
una vocazione pratica?” (Ivi, p. 9).
257
88
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
4. 2. Tecnologia e scienza
Già nelle primissime righe del testo, Husserl ribadisce le linee essenziali
del proprio progetto:
Noi ci rifacciamo al tradizionale parallelismo dell’etica con la logica,
che di fatto ha nella ragione stessa la sua causa più profonda.
Come la logica, l’etica viene definita e trattata per lo più come
tecnologia (Kunstlehre); l’una come tecnologia del pensiero
giudicante diretto alla verità, l’etica come tecnologia del volere e
dell’agire. La logica è riferita ad un particolare genere di bisogni
pratici dell’essere umano e delle sue relative attività; ve ne sono
alcune che sono determinate da un puro interesse teoretico.
L’uomo, come essere giudicante, tende alla verità e supremamente
258
alla verità in forma di scienza
Nonostante le modificazioni apportate alla definizione di coscienza, il
«tradizionale parallelismo» 259 tra logica ed etica e, di conseguenza, il
progetto etico restano gli stessi; cambia piuttosto il quadro entro cui
Husserl pone le due discipline. Se la coscienza infatti, si avvicina alla
dimensione personale dell’individuo, anche le due idee di scienza,
giacché si fondano in essa, vi si avvicinano.
Ciò significa che, nonostante i cambiamenti apportati alla definizione di
coscienza, il progetto da lui elaborato sin dalle lezioni del 1902260 resta
inalterato: per fondare la scienza etica bisogna analizzare il parallelismo
che la lega alla logica. Etica e logica sono, infatti, considerate ancora
come due scienze parallele tra loro, che si occupano però di un differente
settore della vita umana. Tuttavia il quadro cambia, perché Husserl non
parla propriamente di scienza (Wissenschaft), ma di tecnologia
(Kunstlehre).
Ricordiamo che questi due termini, soprattutto nelle Ricerche Logiche
(testo esplicitamente citato da Husserl come utile linea guida per far
comprendere ai propri alunni le lezioni etiche di quegli anni), avevano
un’accezione ben distinta. Per scienza infatti, Husserl intendeva
qualcosa di assolutamente puro ed astratto, di valevole in senso
universale; per tecnologia (Kunstelehre) invece, intendeva l’applicazione
258
Husserl, E., Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 3; essendo stata pubblicata dopo la
stesura del mio testo la traduzione di queste lezioni, propongo qui di seguito la mia
traduzione delle Einleitung e non quella, seppure citata per esteso in bibliografia, di F. S.
Trincia e N. Zippel.
259
Ibid.
260
La prima descrizione dell’analogia tra logica ed etica e quindi del conseguente
progetto etico elaborato da Husserl si ha nel 1902 in Vorlesungen über Grundfragen zur
Ethik und Wertlehre.
89
empirica delle pure leggi della scienza261. In questo senso la tecnologia
non poteva coincidere con la scienza, perché altrimenti la scienza
sarebbe stata abbassata al rango di una ‘psicologia della conoscenza’.
Se infatti, i principi della conoscenza derivassero da un io che non è un
punto di riferimento puro ed astratto, ma è ‘questo io’, ovvero un io
empirico che di volta in volta decide di applicare, a seconda delle
situazioni, questo o quel principio, la scienza diverrebbe una psicologia,
ovvero una conoscenza relativistica e generalizzabile 262 della
conoscenza di quel soggetto.
Nelle Ricerche Logiche quindi, questi due termini venivano tenuti ben
distinti, proprio perché, nella ‘battaglia’ di Husserl contro lo psicologismo
ed il relativismo, consentivano all’autore di esprimere la differenza tra
una conoscenza tecnica e particolare ed una conoscenza scientifica ed
universale.
Questa impostazione però, sembra cambiare nelle lezioni etiche del
1920-’24. Infatti in queste lezioni, sia la logica che l’etica vengono definite
tecnologie (Kunstlehren). Scegliendo di avvicinarsi a questo termine per
la ridefinizione del proprio progetto etico, è come se Husserl accettasse
di avvicinarsi ad una posizione di stampo relativistico (intesa in senso
husserliano263).
Da una parte, come scrive Boehm 264 , il punto di partenza
imprescindibile della ricerca husserliana è l’assoluto, in modo specifico la
datità (Gegebenheit) che si offre in maniera assoluta alla coscienza; tale
assoluto, come una certa letteratura critica nota265, diviene, in un certo
261
Cfr. nel testo: par. I. 2. 2.
Cfr. Husserl, E. Prolegomeni, op. cit., pp. 79-81; tr. it. pp. 97-99; in queste pagine
Husserl critica la consistenza di verità del principio di non contraddizione di Mill; essa
deriverebbe solo da una generalizzazione dei fatti citati e la sua verità sarebbe quindi
sempre relativa a quei fatti citati. Dei principi logici universalmente validi non possono
trarre la loro verità a partire dalla generalizzazione di fatti empirici. La formalizzazione
comporta la sostituzione dei contenuti con variabili indeterminate, la generalizzazione
comporta invece la variazione fantastica dei contenuti individuali. Per approfondire
questo tema dal punto di vista critico si può consultare: Mohanty, J. Husserl’s Formalism,
in (a cura di) Thomas M.; Seebohm, D. F.; Jitendra N. Phenomenology and the Formal
Sciences, Drodrecht, Kluwer Academic Publishers, 1990; Ales Bello, A. Husserl e le
scienze, Roma, Goliardica, 1986; De Palma, V. Il soggetto e l’esperienza, Bologna,
Quodlibet, 1996.
263
Vedi ad esempio: Prolegomeni, cap. VII.
264
Bohem, R. Husserl’s Concept of the Absolute, in Critical Assessments, op.cit., p. 219.
265
Soffer, G. “Husserl and the Question of Relativism”, in Phaenomenologica, Kluwer
Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London, 122, 1991, p. 110: “La fenomenologia in
sè – ammette Husserl – deve essere interpretata in un senso relativo”; Carr, D.
Phenomenology and the Problem of History: a Study of Husserl’s Transcendental
Philosophy, Evanston, Northwestern University Press, 1974, p. XXIII; Carr, D.
“Interpreting Husserl”, in Phaenomenologica, 106, 1987, pp. 227-246; Mohanty, J. N.
“Phänomenologische Rationalität und die Überwindung des Relativismus”, in Vernunft
und Kontingenz: Rationalität und Ethos in der Phänomenologie, Phänomenologische
262
90
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
senso, relativo. Dall’altra invece, come scrive in un interessante testo
Soffer, il relativismo arriva in Husserl come un’“inaspettata ed
indesiderata conseguenza del suo lavoro” 266 . La scienza che egli
descrive in queste pagine sembra, anche a nostro avviso, non più una
scienza assoluta, ma relativa alla vita personale degli individui. Con
questo non intendiamo dire che Husserl riproduca una sorta di
relativismo à la Hume267, perché mantiene sempre la pretesa di muoversi
su un livello puro o trascendentale. Tuttavia, è possibile rilevare che la
scienza, agli occhi del filosofo, diviene una sorta di eidetica
dell’esperienza personale dei singoli soggetti; essa descrive in modo
puro le esperienze personali del soggetto. Potremmo applicare all’etica
(in quanto sua parte) quello che Costa, Franzini e Spinicci268 scrivono in
merito alla scienza fenomenologica: dacché, nelle Ricerche Logiche,
essa è descrizione che deve rendere ragione, ovvero mostrare il
fondamento razionale di ciò che scopre, nella Crisi essa subisce
un’evoluzione: diviene scienza della coscienza costituente ed in quanto
tale inseparabile dall’esperienza mutevole del soggetto. Le verità che
questo tipo di scienza mette in luce, come nota anche Strasser269, sono
differenti a seconda del tipo di scienza, o di stile del pensare o di prassi
da cui esse emergono. La ragione assoluta della scienza diviene,
secondo Husserl, ragione personale del soggetto conoscente ed in
quanto tale, pur mantenendo il proprio valore assoluto, si relativizza a
seconda del tipo di esperienza del singolo soggetto conoscente.
Per spiegare come noi arriviamo ad essere in accordo con questa
parte della critica, partiamo da un’affermazione di Husserl contenuta
nelle lezioni del 1920-’24: “Le discipline tecniche sono propriamente
anche delle scienze”270.
Mentre nelle Ricerche Logiche, lo ribadiamo, l’autore aveva
nettamente distinto questi due livelli della scienza, per evitare di cadere
nel relativismo scettico271, in queste pagine unifica i due piani e riconosce
alla tecnologia il valore di scienza. “Che cos’è – scrive Husserl - che
distingue dunque la tecnologia (…) da un lato e le discipline teoretiche
(…) dall’altro? Tutte e due sono delle discipline scientifiche, anche le
Forschung, 19, 1986, pp. 53-74.
266
Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 151.
267
Cfr. in merito la tesi di Donnici in Husserl e Hume, op. cit, secondo il quale Husserl si è
formato come filosofo sui testi dell’empirismo inglese ed in modo particolare su quelli
humiani. Secondo Donnici il metodo husserliano è pressoché il risultato della
combinazione del metodo humiano e di quello brentaniano.
268
Costa, V.; Franzini, E.; Spinicci, P. Fenomenologia, Firenze, Einaudi, 1996, p. 28, pp.
41-49, 52-62.
269
Strasser,
S.
“Gedanken
zu
einer
Phänomenologie
als
ethischer
Fundamentalphilosophie“, in Phaenomenologica, 120, 1991, p. 112.
270
Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 19.
271
Cfr. Husserl, E. Ricerche Logiche I, op. cit., cap. VII.
91
discipline tecniche272”
Tecnologia e scienza sono entrambe definite delle discipline
scientifiche; ciò significa che rispetto alle Ricerche Logiche, Husserl
modifica il significato di uno dei due termini, aprendo però il discorso ad
ambiguità che egli stesso riconosce di dover chiarire. Scrive infatti:
La persistente non chiarezza ha la sua fonte (…) nel doppio senso che si
trova nel concetto di tecnologia, la cui spiegazione si presenta di estrema
importanza per mostrare da un lato il diritto, sia della logica pura che
dell’etica pura, intese come pure scienze della ragione e (…) dall’altro lato,
per distinguere queste dalle discipline propriamente tecniche della
273
conoscenza scientifica dell’azione etica.
Husserl introduce, rispetto alle Ricerche Logiche, un doppio senso
del termine ‘tecnologia’. Se rapportato alla scienza infatti, esso non
rappresenta più solo il campo della sua applicazione empirica, ma può
anche distinguersi da esso. Da un lato infatti, la tecnologia (Kunstlehre)
rappresenta il ‘fondamento di diritto’ che consente di distinguere sia
l’etica che la logica tecnica, dall’etica e dalla logica pura. Dall’altro, è
tecnologia empirica, ovvero, come era nel vecchio senso, applicazione
pratica di puri principi e leggi.
Il doppio senso dunque deriva da questo: da un lato può essere
determinante la posizione pratica che vuole dare delle prescrizioni
per tutti quelli che, dal loro lato, vogliono realizzare un insieme
determinato di fini. Dunque la tecnologia generale è precisamente
una costruzione sistematica delle prescrizioni e delle costruzioni di
colui che fa la pratica (der Praktiker). Dall’altro lato, può essere
determinante una pura posizione teoretica che è interessata in modo
puramente teoretico ad una sfera delle attività che tendono ad un
274
fine.
Il doppio senso che il termine tecnologia può assumere, deriva,
quindi, dalla posizione del soggetto dinanzi ai propri fini. Se esso è
diretto verso un fine puro ed astratto, l’insieme di questi fini
rappresenterà il fondamento razionale di una tecnologia pura ed in
questo senso scientifica. Se il soggetto è diretto verso un insieme di fini
pratici ed empirici, si avrà una tecnologia empirica ed applicata.
In merito a questo punto Husserl adduce l’esempio dello stratega: lo
stratega in quanto tale ha il dovere di vincere la guerra e quindi di
elaborare strategie dirette alla vittoria, lo stratega in quanto uomo ha il
272
Ivi, p. 14.
Ivi, pp. 24-5.
274
Ivi, p. 25.
273
92
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
fine di ‘realizzare se stesso’, di aderire nelle sue azioni alla propria
identità. Lo stratega è sia un singolo individuo empirico, che un essere
umano in senso puro ed universale. Le sue azioni, quindi, possono
essere tese alla realizzazione della sua natura empirica ed individuale (in
quanto persona che esercita lo specifico mestiere dello stratega) o alla
realizzazione di se stesso in quanto essere umano. Questo secondo tipo
di tensione è connesso ad un nucleo puro di fini che rendono la
tecnologia una scienza pura e che rappresentano il fondamento di diritto
che distingue la tecnologia, intesa in senso puro e quindi scientifico, dalla
tecnologia intesa come applicazione empirica dei dati acquisiti. La
tecnologia può essere considerata scienza nel momento in cui si fonda
su qualcosa di astratto ed universale. E questa distinzione vale, dice
Husserl, tanto per l’etica che per la logica; nel caso dell’etica il distinguo
è rappresentato dalla vocazione del soggetto.
L’etica diviene per Husserl una “tecnologia dei fini che la nostra
azione ha il diritto di perseguire”, ovvero una tecnologia nel senso
dell’insieme di principi e leggi che possono essere empiricamente
applicate dal soggetto per realizzare il proprio scopo contingente.
Dall’altro lato, l’etica è una tecnologia scientifica perchè “in ogni
situazione contingente vissuta, un fine singolare è designato, da ogni
soggetto agente, come unum necessarium, vale a dire come quella cosa
singolare che deve essere voluta, di conseguenza l’etica è la tecnologia
riferita a un tale dovere assoluto o alla pretesa assoluta della ragione
pratica”275.
L’unum necessarium, ovvero la pretesa assoluta della ragione
pratica, rappresenta il fondamento che consente di distinguere l’etica
come tecnologia empirica dall’etica come scienza. Nello specifico,
l’assoluta pretesa della ragione pratica è, secondo Husserl, l’“unità
dell’assegnazione dei fini che cade nella forma etica dell’assoluta pretesa
del dovere, attraverso l’unità di una vita umana; essa si riferisce in modo
essenziale all’unità della personalità nella misura in cui essa è ciò che
vuole nel volere ed agisce nell’agire” 276. La pretesa assoluta consiste,
come si diceva in merito all’esempio dello stratega, nella vocazione
dell’io, nella realizzazione dell’identità personale del soggetto, in ciò che
la volontà razionale dell’io pretende da esso in quanto inerente alla sua
identità.
È ben visibile da questo passaggio, la distanza rispetto alla
descrizione di scienza che Husserl aveva elaborato nelle lezioni del 1914
sul modello delle Ricerche Logiche. In queste lezioni infatti, il fondamento
che permette alla scienza di essere tale consiste non più in un’unità
assolutamente razionale, ma in qualcosa che è razionale ed irrazionale
275
276
Ivi, p. 10:
Ivi, p. 8.
93
allo stesso tempo. Se nelle Ricerche Logiche Husserl affermava che la
scienza, per essere tale, doveva indagare teoreticamente ‘le proprie
ragioni’, doveva cioè mostrare l’«unità omogenea»277 che è alla base di
ciascuna forma di conoscenza; qui l’unità omogenea di conoscenza
diviene ‘eterogenea’, perché si riferisce anche alle proprietà personali
della coscienza e quindi a qualcosa che può essere, per assurdo,
razionale ed irrazionale allo stesso tempo. Nel momento stesso in cui si
parla di vocazione, infatti, si include qualcosa che può avere a che fare
con le inclinazioni, l’impulso e l’istinto dell’io. In questo senso gli studi di
Nam-in Lee 278 o di Yamaguchi 279 sull’istinto e sul sentimento possono
essere utili per avvalorare i nostri risultati. Attraverso di essi emerge
infatti una nuova forma di razionalismo husserliano che non pone
necessariamente la sola ragione teoretica come superiore rispetto alle
altre, ma anzi, proprio in virtù dell’esplorazione di temi come quello
dell’irrazionalità e del sentimento, riconosce alla ragione pratica
‘personale’ una sua funzione portante. La razionalità dell’io non esclude,
in queste lezioni, la sua vita pratica e personale, anzi vi è intimamente
connessa e fa parte delle sue scelte.
La distanza tra la ragione, così come era descritta nelle lezioni del
1914 (dove il concetto di vocazione e di persona non era ancora
connesso, come abbiamo visto, con quello di ragione) e in Einleitung in
die Ethik, è visibile ancora negli imperativi elaborati nel corso di questi
anni. Se nel 1914 l’imperativo consisteva nella formula ‘Tue das
beste’280, dove il meglio veniva considerato alla stregua del risultato di un
calcolo matematico ed assiologico, in cui il soggetto non avrebbe mai
potuto sbagliare nella sua scelta, nel 1924 esso diviene “Tue dein Bestes
nach bestem Wissen und Gewissen” 281 ; in questo imperativo Husserl
utilizza un ‘dein’ che dimostra la presenza di un ‘tu’ verso cui l’imperativo
è indirizzato. Se nel 1914 l’azione era quella di un soggetto astratto e
puro, in queste lezioni è pensato in relazione ad un soggetto personale
che possiede un patrimonio di conoscenze e di valori con i quali deve
277
Cfr. nel testo: par. 2.2.1 Il contenuto della scienza etica del 1914.
Si vedano ad esempio: Nam-In Lee, “La phénoménologie des tonalites affectives chez
Edmund Husserl”, in Alter, 7, 1999, pp. 243-250; Nam-In Lee, “Edmund Husserl’s
Phenomenology of Mood”, in Phaenomenologica, Dordrecht/Boston/London, Kluwer
Academic Publishers, 148, 1998, pp. 103-120; Nam-In Lee, “Static-Phenomenological
and Genetic-Phenomenological Concept of Primordiality in Husserl’s Fifth Cartesian
Meditation”, in Husserl Studies, 2002, pp. 179-182.
279
Si vedano ad esempio: Yamaguchi, I. “Ki als leibhaftige Vernunft. Beitrag zur
interkulturellen Phänomenologie der Leiblichkeit“, in Husserl Studies, 17, 1, 2001, pp. 6569; Yamaguchi, I. “Triebintentionalität als Uraffektive passive Synthesis in der
genetischen Phänomenologie“, in Alter, 9, 2001, pp. 219-240; Yamaguchi, I. Passive
Synthesis und Intersubjektivität bei E. Husserl“, in Phaenomenologica, 86, 1982.
280
Husserl, E.Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 153; tr. it. 166.
281
Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 7.
278
94
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
fare i conti nel momento della scelta. Per questo genere di soggetto è
contemplata persino una scelta giusta e contraddittoria allo stesso
tempo:
La voce della coscienza, del dovere assoluto può esigere da me cose che
io mai riconoscerei come il meglio nella comparazione tra i valori. Ciò che
è folle per la comprensione che compara i valori, è approvato in quanto
282
etico e può diventare oggetto di grandissima venerazione .
Può persino succedere quindi, che la mia coscienza mi chieda di fare
cose che la mia ragione pratica reputerebbe sconvenienti, irrazionali e
tuttavia, qualora io seguissi ciò che la mia coscienza mi chiede, potrei
egualmente agire in modo apprezzabile per la comunità, (ne è un
esempio l’ostinata lotta per la ricerca scientifica che da anni ha luogo in
questo paese e che ancora tiene testa alla ‘fuga dei cervelli’ all’estero o
negli altri paesi della comunità europea).
La scienza etica in queste lezioni diviene, quindi, qualcosa di
tecnicamente scientifico, ovvero qualcosa che non è più assolutamente
ascrivibile nella sfera della pura scienza, ma che tuttavia può aspirare,
seppure si fondi nella razionalità personale della coscienza, ad una certa
forma di universalità 283 . In questo senso Husserl chiama ”etico non
solamente il volere e l’agire con i loro fini, ma anche le inclinazioni
presenti nella personalità in quanto direzioni abituali del volere” 284 .
Questa nuova idea di scienza è legata ad una forma di ragione oggettiva
e personale allo stesso tempo, di cui proviamo ad approfondire il
significato nel paragrafo successivo.
4. 3. La nuova idea husserliana di scienza
Nelle lezioni etiche del 1920-’24 Husserl introduce un’idea di ‘scienzatecnica’, che si fonda su un tipo di razionalità non più omogeneo e
282
Ms A V21, 122 a/b, op. cit. in Hua XXVIII, p. XLVII- XLVIII: „Die Stimme des Gewisses,
des absoluten Sollens, kann von mir etwas fordern, was ich keineswegs als das in der
Wertvergleichung Beste erkennen würde. Was für den wertvergleichenden Verstand
Torheit ist, wird gebilligt als ethisch und kann zum Gegenstand größter Verehrung
werden“.
283
Parlo di una ‘certa forma di universalità’ perché credo che in Husserl vi sia una sorta di
coesistenza tra particolarismo ed universalismo. Questo potrebbe essere tema di
un’ulteriore ricerca a cui possiamo, per ragioni di spazio, fare solamente cenno.
L’universalità a cui Husserl aspira, sembra sempre qualcosa che deve essere in grado di
essere universale e allo stesso tempo relativa o modellabile a seconda dei singoli
individui. E’ questa solo una suggestione nata dalla lettura di alcuni passaggi: Idea di
Europa, p. 42; Einleitung in die Ethik, pp. 250-1; Esperienza e giudizio, p. 25, par. 81b,
par. 82, par. 84, par. 85.
284
Ivi, p. 8: “‚Ethisch’ nennen wir nicht nur Wollungen und Handlungen mit ihren Zielen,
sondern auch bleibende Gesinnungen in der Persönlichkeit als habituelle
Willensrichtungen”.
95
puramente essenziale, ma personale e legato alla vocazione, alle
inclinazioni ed agli istinti dell’io.
La coscienza dell’io, come già abbiamo mostrato in più luoghi,
diviene anche coscienza personale ed, in quanto tale, diviene anche
potenzialmente irrazionale. La potenziale irrazionalità o non razionalità
della coscienza è legata alla componente personale che in essa inside e
che non solo apre la coscienza al mondo, motivando i suoi atti, ma, in
quanto fondamento, consente anche di distinguere la tecnologia
empirica, da quella scientifica. Come abbiamo visto nel paragrafo
precedente, nella pura vocazione personale risiede, il fondamento che
permette di riconoscere una tecnica empirica diretta alla realizzazione di
fini concreti e distinguerla rispetto ad una scienza tecnica mirata alla
realizzazione di fini puri ed astratti.
Ci chiediamo quindi: Husserl conserva il proprio progetto etico ed
anzi introduce una nuova idea di scienza, perché intende difendere
un’idea di scienza ‘irrazionale’ o tale che possa fondarsi in una certa
forma di irrazionalità o incompletezza razionale?
Se infatti Husserl identifica il fondamento della scienza nella
vocazione personale dell’io e se ancora ritiene che questo possa essere
il fondamento della scienza (e ciò è giustificato ancora di più, come si è
mostrato nel terzo capitolo, dal fatto che la coscienza diviene per Husserl
anche coscienza personale), possiamo affermare che la sua idea di
scienza non coincida più con quella delle Ricerche Logiche ed, in
generale, con un’idea di scienza assolutamente pura e razionale? In
questo paragrafo vediamo, se e come, il progetto etico porti Husserl a
modificare la definizione di razionalità ed intenzionalità in rapporto alla
componente personale evidenziata nel rinnovato uso del termine
scienza.
La nuova idea di scienza, che Husserl introduce in queste lezioni, è,
a nostro avviso, passibile di irrazionalità, giacchè il suo fondamento, in
quanto personale, può divenire irrazionale. Ma riteniamo che, per
‘difendere’ la sua idea di scienza da questa possibile deriva, Husserl
assegni alla ragione assiologica la funzione di strumento di ‘controllo’.
L’irrazionale è infatti, secondo Husserl, qualcosa che non risponde ai
parametri della ragione e questi parametri o regole di validità sono fissate
dalla ragione assiologia. Questa forma di ragione è la componente che
consente di elaborare i parametri di razionalità della scienza. Come
Husserl mostra nel capitolo VI delle lezioni del 1920-’24, è l’intenzionalità
della ragione assiologica che regola l’apertura della coscienza al mondo,
ovvero il dispiegamento delle motivazioni personali che portano il
soggetto ad agire razionalmente nella realtà. La ragione assiologica,
seppure sia personale, è sempre ‘razionale’ perché in ogni atto mostra i
motivi o i valori a partire da cui esso si è generato.
96
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
Nelle lezioni etiche del 1920-’24 infatti, a differenza della teoria
esposta nella V Ricerca Logica o nel primo volume di Idee, Husserl è
costretto, ai fini della realizzazione del proprio progetto etico, a
riconoscere a tutti gli atti una capacità intenzionale. In queste lezioni
riteniamo che il carattere intenzionale degli atti non sia più dato dal solo
riferimento teleologico verso i propri oggetti 285 , ma anche dal loro
aspetto, per così dire, ‘costruttivo’. L’intenzione degli atti infatti, anche se
è di tipo assiologico o logico, sembra essere sempre tesa alla
costruzione dell’identità personale dell’io.
Questi soggetti sono degli io, dei soggetti personali; essi sono
come soggetti, mentre vivono nella forma della coscienza, mentre
portano a compimento la coscienza facendo esperienza,
rappresentando, sentendo, valutando. […] In questo vivere
intenzionale, l’io non è un punto di osservazione vuoto dei suoi
vissuti di coscienza […]. L’essere io è il costante divenire-io. I
286
soggetti sono, mentre si sviluppano ininterrottamente .
L’intenzionalità diviene anche un ‘vivere intenzionale’ nel senso della
vita personale di un io che sviluppa e costruisce incessantemente se
stesso.
Il carattere intenzionale dell’atto consiste nel ‘motivo’ per cui l’atto
opera nella realtà e correlativamente in ciò che ha acquisito da essa.
L’intenzionalità, diversamente dalle lezioni etiche del 1914, non è solo un
‘riferirsi a’ (basato soprattutto sull’attività obiettivante della ragione
logica), ma è la condizione d’essenza o razionale di ogni genere di atti
(del giudicare, dell’agire, del valutare etc.); ogni atto, per essere tale,
deve essere intenzionale, vale a dire riesce a realizzare la sua apertura
al mondo. L’intenzionalità consiste nell’intenzione (ovvero nell’obiettivo
per cui il soggetto tende al compimento di un atto) e nell’oggetto inteso
(ovvero nel motivo raggiunto). “Si dice che, in ogni genere di atti dell’io, di
posizioni del giudizio, della valutazione, del volere, c’è una distinzione
essenziale tra 1) la semplice intenzione e 2) la posizione originaria di ciò
che è inteso (Gemeinten); per esempio, nella sfera di giudizio, [sussiste]
una semplice intenzione (Vermeine) giudicante e dall’altro lato
un’evidenza, nella quale lo stato di cose inteso è adattato dall’io alla sua
identità e alla sua verità” 287. Riteniamo dunque che, in queste lezioni,
l’intenzionalità sia definita dalla semplice intenzione e da ciò che viene
intenzionato. La sua composizione elementare resta identica rispetto a
quella descritta nel 1914, cambia solo il ruolo che il concetto di ‘motivo’
occupa rispetto all’attività intenzionale dell’io.
285
Cfr. par. III. 1. 2
Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 104.
287
Ivi, p. 117.
286
97
Quando parliamo di ‘motivo’ infatti, incorriamo, a nostro avviso, in un
gruppo di significati che debbono essere chiariti. A questo termine
appartengono sia i gradi di valore posti dalla ragione assiologica (che
costituisce il parametro di ogni scelta valida o razionale) e personale
dell’io, che le ragioni scelte dal carattere psicologico o personale di un io
empirico. Il concetto di persona infatti, come abbiamo visto nel capitolo
precedente 288 , ha una doppia accezione (come quello di tecnologia):
esso può essere assimilato, a seconda delle sue proprietà, sia all’io puro
che all’individuo empirico.
Di conseguenza, il motivo (che può essere contemporaneamente
motivo personale e razionale), che spinge l’intenzione al movimento e
alla realizzazione, è di duplice natura: personale ed oggettivamente
razionale o personale e soggettivamente empirico. Husserl distingue
queste due dimensioni con il termine spirito e natura. La “natura – scrive
– è il regno dell’incomprensibilità. Il regno dello spirito è, invece, quello
della motivazione”289. Il concetto di natura viene associato all’anima, a ciò
che è esclusivamente psicologico ed empirico; quello di spirito invece a
ciò che è spiegabile sia in termini personali che puramente oggettivi. Ciò
che appartiene alla natura, al mondo empirico non è motivato perché,
secondo Husserl, non può essere mai razionale e comprensibile; in esso
non sussistono infatti, le condizioni di validità poste dalla pura ragione
assiologica.
La motivazione appartiene esclusivamente al regno dello spirito (che
è, lo ripetiamo, quello che comprende il puro io razionale e la pura idea di
persona) e si può suddividere in due tipi: “quella razionale e quella
irrazionale, le motivazioni della [sfera] superiore, della spiritualità attiva e
le motivazioni della sfera inferiore, della spiritualità passiva o affettiva”290.
La motivazione è razionale nel momento in cui sta «sotto la questione
della ragione» 291 , ovvero nel momento in cui la sua origine è
comprensibile (“comprensibile nello spirito è tutto ciò che ha una genesi
(Genesis) spirituale“ 292 ). La sua origine è comprensibile quando l’atto
mostra la sua ragione, vale a dire il motivo a partire da cui si è generato il
suo motus. Ed il motivo sussiste nel momento in cui mostra il suo valore.
“Ad ogni specifica causalità d’atto – scrive Husserl – appartiene una
questione di ragione; cioè io posso tradurre ogni tale causalità nella
forma di un fondamento evidente“293.
Alla dimensione dello spirito e quindi alla razionalità, all’intenzionalità
288
Cfr. Nel testo: par. III. 2.4 Persona, io puro e coscienza.
Ivi, p. 107.
290
Ivi, pp. 107-08.
291
Ivi, p. 108.
292
Ivi, p. 106.
293
Ivi, p. 112.
289
98
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
e alla soggettività pura e personale dell’io, appartiene, nella sua forma
attiva, una componente assiologica che consente di riconoscere e fissare
dei valori e di distinguerli dalle influenze personali e passive dell’io. Nella
dimensione dello spirito può sussistere, paradossalmente, una forma di
irrazionalità o non razionalità, ma essa si presenta come una modalità di
rispetto o meno delle condizioni di validità poste dalla ragione assiologica
ed è perciò ancora comprensibile e motivabile (e quindi appartenente al
regno dello spirito). Può sussistere quindi una certa forma di razionalità o
di attività intenzionale che sia irrazionale. Ciò tuttavia non significa che
essa sia non spiegabile o che sia priva di quei ‘motivi’ che consentono di
fissare dei valori razionali. L’intenzionalità può essere irrazionale anche
perché passiva e quindi non in grado di mostrare la genesi o il motivo
che ha spinto alla formazione di uno specifico atto.
Queste caratteristiche possono essere visibili, secondo Husserl, solo
“attraverso lo studio veramente urgente dello stato di cose intenzionale”,
ovvero degli oggetti intenzionati dall’io; solo con essi è possibile cogliere
«il senso dell’idea della ragione» 294 . L’intenzionalità svela le proprietà
della ragione e dell’identità personale che con essa si costituisce. Di
conseguenza riteniamo che anche il significato di attività intenzionale
cambi rispetto alle lezioni del 1914: Husserl lega l’intenzionalità allo
sviluppo attivo e passivo dell’io personale e puro. “La soggettività –
scrive Husserl – si costruisce, nella sua vita di coscienza, attiva e
passiva, il suo mondo circostante (Umwelt), che è ciò che è in virtù del
sempre nuovo carattere intenzionale, che essa possiede in quanto
detentrice di senso“ 295 . Essa può essere intenzione soggettiva o
oggettiva (può essere riferita cioè o all’io puro o alla persona pura), a
seconda del grado di valore che la ragione assiologica pone nel motivo
che la spinge alla realizzazione. Riteniamo quindi che l’intenzionalità
della coscienza resti razionale nel momento in cui si riferisce a motivi
validi.
Rispetto alle Ricerche Logiche, ogni forma di ragione e di atti è
intenzionale e ha bisogno di motivi ‘validi’ per agire in maniera altrettanto
razionale, ovvero ha bisogno di mostrare le cause o i valori per cui un
particolare atto è stato generato. Il valore di questi motivi sembra essere
sempre ponderato dalla ragione assiologica. L’azione è razionale solo
nel momento in cui essa segue i valori o gli schemi assiologici della
ragione valutante.
Si deve riconoscere che persino ‘mezzo e fine […] sono caratteri
intenzionali, caratteri di senso che vengono interrogati’ […]. Infatti è
proprio di un mezzo, che esso valga per il soggetto come valore,
294
295
Ivi, p. 119.
Ivi, p. 105.
99
però non come valore in sè e per sé […], ma per qualcosa d’altro.
Già il suo carattere di valore è un intermedio che rimanda ad altri
valori. Di contro, è proprio dell’essenza del fine ultimo, che esso sia
inteso dall’io come valore in sè, come qualcosa che procurerebbe
296
gioia in sé e per sé […] a cui si tende per il suo valore intrinseco .
Si può concludere dunque che la definizione e la funzione di
intenzione e di ragione è mutata con il mutare della nuova idea di
scienza e del progetto etico che la sottende. Husserl, in virtù
dell’esigenza di avvicinarsi ai valori e alle scelte personali dell’individuo e
di rispondere all’intuizione iniziale del suo progetto, rimette in discussione
alcuni dei nodi centrali della sua teoria filosofica.
A discapito della teoria esposta nelle Ricerche Logiche, il progetto
etico ne guadagna una maggiore simmetria e fondatezza. Rispetto ai due
punti di insoddisfazione che avevamo messo in evidenza nel primo
paragrafo, possiamo ora dire che:
se tutti gli atti sono intenzionali e se l’intenzionalità di ogni atto non è
più strettamente connessa all’attività obiettivante della ragione logica,
ma può anche consistere nel riferirsi razionale, non razionale o
irrazionale dell’io alla realtà, ogni forma di ragione ed i suoi
corrispettivi atti divengono adatti a fondare la scienza etica;
la scienza etica non è più solo oggettivamente valida e distante dalle
esigenze intime del soggetto, ma è anche personale, perché la
razionalità della coscienza è divenuta personale. Seppure passibile di
irrazionalità, la ragione assiologica resta come strumento per
regolare l’apertura del soggetto al mondo e per distinguere quando
quest’apertura sia oggettivamente motivata o meno. Anche quando la
ragione assiologica può porre dei valori personali che obbediscono
alle inclinazioni più che all’oggettività della ragione, essa resta
razionale, perché si riferisce sempre a dei valori e a dei motivi
presupposti.
296
Ivi, p. 115.
100
CAPITOLO 5
CONCLUSIONI
La trattazione che abbiamo condotto sin’ora, ha seguito tre linee di
ricerca principali: 1) mostrare come il carattere più originale dell’etica
husserliana consista nella sua pretesa di essere scienza 297 ; 2)
evidenziare le difficoltà che l’autore incontra rispetto al proprio progetto
etico298; 3) e dimostrare come esse lo spingano verso la modificazione
delle proprie posizioni, in rapporto a temi importanti come quello
dell’intenzionalità299, della ragione300 e della scienza301.
Queste tre direzioni di analisi hanno prodotto dei risultati che
esamineremo nei seguenti paragrafi.
5.1. La scienza etica: il raddoppiamento del concetto di tecnologia
La prima conclusione che possiamo trarre è che, a causa del proprio
progetto etico, Husserl modifica la struttura della scienza: raddoppia il
concetto di tecnologia e, contrariamente alle intenzioni di partenza,
accosta la scienza ad un piano più prossimo a quello della vita
personale.
Nei Prolegomeni (come abbiamo visto nel primo e nel secondo
capitolo del testo), Husserl delinea la struttura della scienza. Ogni
disciplina infatti, per divenire scienza ha “inizialmente bisogno […] di
un’elaborazione evidente dell’idea di teoria […]. Essa non è che
l’esplicitazione dell’idea di verità in sé […] e perciò si riconduce a dei
principi che sono le evidenti condizioni di possibilità della verità valida in
sé”302. La scienza può essere tale, solo nel momento in cui descrive ed
elabora il proprio fondamento di verità.
«L’unità essenziale della verità della scienza è un’unità di esplicazione
[…]. L’unità d’esplicazione significa […] unità teoretica, ossia […] unità
omogenea della legalità fondante”303. L’unità teoretica che sta alla base
297
Cfr. nel testo par. 5.2.3.
Cfr. nel testo par. 5.2.
299
Cfr. nel testo par. 5.2.1.
300
Cfr. nel testo par. 5.2.2.
301
Cfr. nel testo par. 5.1; 5.1.1; 5.1.2.
302
Husserl, E. Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., p. 73.
303
Ivi, p. 263.
298
dell’idea di scienza è un’unità omogenea di pure essenze razionali della
coscienza, che ogni scienza deve chiarire e mostrare. La scienza può
essere tale solo se mostra l’evidenza del proprio fondamento, ovvero
l’evidenza dell’unità omogenea essenziale su cui essa poggia.
Anche le leggi o i principi della scienza devono sottostare a questa
condizione di validità. “Ogni disciplina normativa, - scrive Husserl nonché ogni disciplina pratica si fonda su una o più discipline teoretiche,
in quanto le sue regole posseggono necessariamente un contenuto
teoretico, distinguibile dall’idea di normatività (del dovere). A tali
discipline teoretiche spetta appunto l’indagine scientifica di questo
contenuto”304. Il livello teoretico di ogni scienza ha il compito di indagare
e di mostrare il proprio fondamento di verità, ovvero “l’elemento teoretico,
[o il contenuto della suddetta indagine scientifica] che si realizza in certi
vissuti”305 puri della coscienza.
Come anche Bernet 306 rileva, i Prolegomeni analizzano due forme
fondamentali di scienza logica: quella normativa e pura. La trattazione
del piano della tecnologia serve nel testo soprattutto per introdurre la
logica pura come fondamento teoretico. La tecnologia ha infatti bisogno
di una fondazione teoretica per funzionare 307 ; se la tecnologia, lo
ricordiamo, derivasse la validità dei suoi principi dal piano dell’esperienza
empirica, la definizione di scienza rientrerebbe, secondo Husserl, in
quella data dagli «psicologisti»308. La disciplina teoretica ha il compito di
osservare ed analizzare l’unità omogenea dei vissuti di coscienza, in cui
la disciplina stessa trova il proprio fondamento di verità. La disciplina
normativa è l’insieme di leggi che regolano il funzionamento della
disciplina stessa ed infine la tecnologia, rappresenta la variante applicata
di quella normativa, ovvero l’insieme delle leggi applicate nella realtà
empirica. Quest’ultimo livello non può essere confuso con quello della
304
Husserl, E. Ricerche logiche I, op. cit., p. 57; tr. it. p. 41.
Husserl, E. Ricerche logiche II, op. cit., p. 4; tr. it. p. 24.
306
Cfr. Bernet, R.; Kern, I.; Marbach, E. Edmund Husserl, op. cit., pp. 39-69.
307
Cfr. Husserl, E. Ricerche logiche I, op. cit., p. 160; tr. it. 170: «La tecnologia logica
[…] deve essa stessa presupporre certe conoscenze teoretiche […]. Infatti ogni scienza
è costituita di verità […] verità fondate in tali costituenti essenziali di ogni scienza
considerata come unità teoretica obiettiva […] in base alle quali si può controllare se ciò
che pretende di essere scienza o appartenere alla scienza […] corrisponda realmente ad
una simile intenzione”.
308
Cfr. Husserl E. Ricerche logiche I, op. cit.. p. 33; tr. it. 51 : « tra le tesi di una delle due
parti in causa [logicisti kantiani], noi ci limitiamo a considerare l’asserzione che al fondo di
ogni logica intesa come tecnologia vi è un’autonoma scienza teoretica, una logica pura,
mentre la parte avversa [psicologisti] ritiene di poter ascrivere alle scienze teoretiche note
tutte le dottrine teoretiche che è possibile constatare nella tecnologia logica. […] La
logica di Sigwart afferma che ‘il compito supremo della logica, quello che esprime la sua
vera essenza, è di essere una tecnologia’”.
305
102
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
scienza in sé, perché è solo una sua applicazione 309 . Confondere la
tecnologia con tutta la scienza o con sola la disciplina teoretica,
significherebbe confondere con contenuti empirici, la pura unità teoretica
della scienza. Il fondamento della scienza deve rimanere, in base alle
tesi esposte da Husserl, la pura coscienza e non il singolo soggetto
empirico; “qualunque coinvolgimento di pensieri psicologici nel […]
contenuto, falsifica [le verità della scienza]”310.
Le lezioni etiche del 1914 seguono, quindi, le linee tracciate nei
Prolegomeni. In base al parallelismo che Husserl presuppone esserci tra
ragione logica e ragione pratica, vengono estrapolate, dalla già
analizzata scienza logica, tutte le caratteristiche utili per definire la futura
scienza etica. In queste lezioni la scienza etica si articola secondo lo
stesso triplice livello e la tecnologia si presenta solo come campo di
applicazione delle pure leggi.
Tuttavia nelle lezioni etiche del 1920-’24, la definizione di scienza
cambia e crediamo che, in questo, abbiano un certo peso l’esigenza di
rendere l’etica una scienza più prossima all’individuo e l’introduzione del
metodo genetico. Dopo gli spiacevoli eventi della guerra occorsi nel
1917, (descritti nel secondo capitolo), Husserl nutre l’esigenza di un’etica
più prossima all’uomo e alle sue scelte. Come anche Joumier311 mette in
evidenza, se nelle lezioni del 1914 l’etica può essere ridotta ad un settore
del pensiero scientifico e della razionalità, nel 1924 essa assume un
carattere più inglobante.
La scienza etica, secondo lo Husserl di questi anni, deve essere in
grado di fornire aiuto agli esseri umani e non deve ridursi ad un
formulario sterile di principi che si limitano a regolare la sola razionalità
pratica, senza tener conto delle variabili individuali. La definizione di
scienza, così come era stata formulata seguendo le linee dei
Prolegomeni, non consentiva di distinguere in modo così netto l’idea di
coscienza da quella di io empirico. In sostanza, pur di difendere l’idea di
una scienza pura e fondata, Husserl arrivava ad una sorta di
‘spersonalizzazione’ dell’etica e dell’io.
Il metodo genetico invece, come si è visto nel capitolo terzo, serve al
filosofo come una diversa forma di approccio per trarre nuove conclusioni
rispetto a quelle già ricavate. Secondo l’opinione di alcuni studiosi italiani,
la revisione metodologica diviene in Husserl quasi un’esigenza pubblica.
Egli infatti “manifesterà sospetti nei confronti delle prime fasi del proprio
pensiero fenomenologico, qualificando come psicologia descrittiva il
309
Cfr. Husserl, E. Ricerche logiche I, op. cit., p. 47, tr. it. p. 63: “La tecnologia
rappresenta quel caso particolare di disciplina normativa nel quale la norma
fondamentale consiste nel raggiungimento di un tale scopo”.
310
Ivi, p. 6; tr. it. p. 28.
311
L., Joumier, Le renouvellement éthique chez Husserl, op. cit., p. 203
103
metodo utilizzato nelle Ricerche Logiche”312.
Nel 1924 quindi, la scienza etica, pur continuando a basarsi sul
parallelismo tra ragione logica e ragione pratica, cessa di essere una
scienza assolutamente razionale e pura. La coscienza infatti, con il
metodo genetico, viene descritta come coscienza costituente che può
essere, paradossalmente, razionale, irrazionale e non razionale. Le
essenze razionali, che fanno parte dell’unità teoretica che è alla base
della scienza, non sono più propriamente omogenee313: esse divengono
piuttosto eterogenee, comprendendo diverse forme di stato della
coscienza.
Col metodo genetico, la coscienza mostra un aspetto che era rimasto
sino ad allora inesplorato: quello personale e variabilmente razionale. Se
nelle Ricerche Logiche Husserl rifiutava il concetto di un io puro in
quanto finzione ed il concetto di persona mancava del tutto all’interno
della sua fenomenologia dei vissuti, dopo l’introduzione del metodo
genetico tutto questo cambia. In Idee I Husserl si spinge a riconoscere
l’evidenza dell’io puro all’interno dell’ambito dei vissuti puri, sottoposti a
riduzione. Nella stessa opera, secondo Flajolet314, esiste già una sorta di
allineamento dei due concetti: “fa parte della pura coscienza – scrive tanto l’io puro che l’io personale” 315 ; e l’io puro rappresenta “l’unico
principio decisivo […] che costruisce l’unità della corrente di
coscienza”316, esso è un’unità “dotata di un’indeterminata corporeità e di
una personalità indeterminata”317.
La descrizione più consapevole dell’io personale, come nota Bernet,
sarà “connessa in modo più stretto con la svolta husserliana verso una
comprensione genetica della problematica della costituzione” 318 . Nel
periodo successivo a questa svolta Husserl scrive infatti: “L’io è sempre
costituito come io personale, io delle sue abitudini, delle sue facoltà, del
suo carattere”319. “L’io puro è racchiuso anche nell’io personale, ogni atto
di cogito dell’io personale è un atto dell’io puro”320. Questo nuovo tipo di
unità da un lato giustifica l’apertura della coscienza al mondo, attraverso
le motivazioni che il carattere dell’io personale le fornisce, dall’altro
spiega la possibile irrazionalità o non razionalità della sua natura.
Dal punto di vista della definizione della scienza etica ciò comporta
312
Costa, V; Franzini, E.; Spinicci, P. Fenomenologia, Firenze, Einaudi, 2002, p. 48
Cfr. Husserl, E. Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., p. 235.
314
Flajoliet, A.“L’habitude entre psychologie et phénoménologie“, in Alter, 12, 2004, pp.
27-45.
315
Husserl E. Idee I, op. cit., p. 172; tr. it. p. 569.
316
Husserl, E. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, op. cit., p. 6.
317
Ivi, p. 296.
318
Bernet, R; Kern, I.; Marbach, E. Edmund Husserl, op. cit., p. 271
319
Husserl, E. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, op. cit.. p. 44, n. 1.
320
Husserl, E. Ms. A VI, 21, p. 21.
313
104
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
che il fondamento stesso della scienza cambia. Questi cambiamenti
mettono Husserl dinanzi ad una scelta: o modificare la propria definzione
di scienza o conservare la propria definizione di scienza, modificandone
il fondamento. Nel 1924 Husserl segue la prima di queste soluzioni:
riprende, senza modificarlo, il proprio progetto etico, mettendo in
discussione la precedente definizione di scienza.
L’unità teoretica, omogenea ed essenziale, che costituiva, nei
Prolegomeni, il fondamento di diritto della scienza, diviene ora un’unità
teoretica eterogenea perché costituita di vissuti puri e personali dell’io. La
scienza etica diviene, dal punto di vista del suo stesso fondamento, una
scienza più prossima alla vita personale dell’io. In queste lezioni infatti, il
piano della tecnologia non è più ben distinto da quello della scienza in
sé.
Se nel 1914 la distinzione tra disciplina teoretica e tecnologia era
piuttosto forte, tanto che quest’ultima non poteva coincidere con la
scienza in sé, altrimenti l’idea di scienza sarebbe stata abbassata al
rango di disciplina psicologica, in queste lezioni la tecnologia diviene
scienza. Essa non è più scienza assolutamente pura e ben distinta dalla
dimensione empirica della tecnologia, ma diviene tecnologia di contenuto
scientifico. Rispetto alle lezioni del 1914, Husserl raddoppia, assieme al
concetto di persona321, anche quello di tecnologia322. La scienza etica
diviene disciplina tecnico-scientifica, che ha le sue radici razionali nella
ragione pura e personale dell’io (in una ragione oggettiva e personale
allo stesso tempo) e tecnologia applicata.
5.1.1. La scienza etica e le scienze
Da questa prima conclusione se ne può trarre una seconda: la
costruzione della scienza etica influisce sulla già delineata scienza logica
e fenomenologica. Ricordiamo che la struttura entro cui Husserl elabora
e sviluppa il proprio progetto etico è il ‘parallelismo’. Se Husserl non
credesse possibile la struttura del parallelismo, non potrebbe neanche
pensare alla struttura della futura scienza etica o al percorso di indagine
da seguire. Proprio l’intuizione di poter fare in etica qualcosa di simile a
ciò che Aristotele323 aveva già fatto per la logica, accende nel filosofo la
curiosità e la volontà di ricerca.
Il parallelismo, come già si è detto, presuppone che ragione logica e
ragione pratica siano parallele ed analoghe tra loro. Quest’analogia, è
stata interpretata dalla critica in diversi modi: come un’analogia univoca,
321
Cfr. nel testo par. 3.2.1.
Cfr. net testo par. 4.2.
323
Cfr. Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 35 dove Husserl si definisce
“L’Aristotele della pura etica” o le lezioni di etica del 1914 par. 1, dove istituisce da subito
un paragone serrato con la logica aristotelica.
322
105
equivoca o reciproca. Melle, nell’introduzione al volume XXVIII della
Husserliana324, ritiene che l’analogia tra logica ed etica operi, allo stesso
tempo, su più registri. Mentre per Heidegger 325 l’analogia funziona in
modo univoco, ovvero solo sul piano formale, (vale a dire che la logica
fornisce all’etica il modello per chiarire le oscurità della propria struttura
formale e non viceversa) secondo Melle invece, l’analogia posta da
Husserl, si presenta come equivoca ovvero opera contemporaneamente
su più livelli (formale e materiale). Essa pretende che alla logica formale
debba corrispondere un’etica formale, e alle ontologie formali della logica
e dell’etica debbano corrispondere ontologie regionali logiche ed etiche.
Gérard 326 infine, propone una terza interpretazione dell’analogia, che
condividiamo:
equivoca
e
reciproca.
Essa
funziona
cioè
contemporaneamente su più livelli ed opera su due fronti: la riflessione
etica stimola quella logica e viceversa. All’evoluzione del pensiero etico
husserliano tra il 1908 ed il 1914 corrisponde, secondo Gérard,
l’evoluzione del pensiero logico occorso tra le Ricerche Logiche e Logica
formale e logica trascendentale. Appoggiando quest’ultima posizione
critica, crediamo che l’analogia tra logica ed etica sia di tipo reciproco,
vale a dire la riflessione logica influenza l’etica così come l’etica influenza
la logica. E questo avviene contemporaneamente su più livelli della
scienza.
Abbiamo mostrato, infatti, come, nelle lezioni etiche del ’24, i risultati
che riguardano la scienza etica, vengano da Husserl estesi anche alla
scienza logica e ciò che riguarda la non chiarezza del fondamento della
scienza etica, diviene proprio anche della scienza logica 327 . Anche la
logica, così come l’etica, diviene una disciplina tecnico-scientifica che
deriva il proprio fondamento razionale da delle essenze che sono
puramente razionali e personali allo stesso tempo, e anch’essa diviene,
paradossalmente, una scienza passibile di irrazionalità (beninteso nel
significato che Husserl assegna a questo termine).
Infine, sempre in virtù della struttura del parallelismo, che, pur con le
sue difficoltà, Husserl continua a difendere ed approfondire, anche la
definizione di scienza fenomenologica cambia. Influenzata, a nostro
avviso, dai cambiamenti apportati nel progetto di fondazione della
scienza etica, la fenomenologia da «scienza di coscienza» 328 diviene
anche «forma evolutiva richiesta dell’idea di una filosofia prima»329.
324
U., Melle, Einleitung des Herausgebers, op. cit., p. 19
Heidegger, M. „Einführung in die phänomenologische Forschung“, in Gesamtausgabe,
XVII, Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 1994, p. 271.
326
V., Gérard, “L’analogie entre l’éthique et la logique”, in Fenomenologia della ragione
pratica, op. cit., pp. 119-148.
327
Cfr. Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 19.
328
Husserl, E. Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., p. 17.
329
Husserl, E. Storia critica della filosofia, op. cit., p. 6; tr. it. p. 13.
325
106
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
Infatti, se, dopo l’applicazione del metodo genetico, la definizione di
coscienza cambia e con essa cambia anche il fondamento della scienza
logica ed etica (definite da Husserl come scienze particolari della più
generale scienza fenomenologica), lo stesso mutamento interessa anche
la scienza fenomenologica. Essa diviene una scienza che si fonda nella
razionalità di una coscienza costituente, che non può mai essere
totalmente acquisita e razionalmente spiegata. La fenomenologia, in
quanto scienza fondata in questo tipo di coscienza, diviene una scienza
‘in movimento’, che si evolve in base all’evoluzione dei nuovi vissuti di
coscienza.
Il cambiamento che occorre in fenomenologia dopo l’introduzione del
metodo genetico porta alcuni critici, ad esempio Franzini, a ritenere che
“l’incapacità di rispettare quell’esigenza logica che, sin dalle Ricerche
Logiche, vedeva le discipline normative specifiche fondarsi in quelle
teoretiche e non viceversa”330 porti Husserl alla fine ‘del sogno’ di fare
della fenomenologia una scienza. Invece noi riteniamo che Husserl
continui a rispettare il proprio progetto scientifico ed, in parte, la struttura
scientifica che aveva delineato nelle Ricerche Logiche, conseguendo
inoltre una nuova e forse inaspettata, concezione di scienza.
Come scrive Strasser, Husserl supera la tradizionale distinzione tra
filosofia teoretica e filosofia pratica e lavora per un’idea di scienza in
generale in cui la scienza teoretica ha una struttura morale e viceversa.
La costruzione della scienza etica, infatti, si intreccia con quella
fenomenologica e la influenza o, meglio ancora, ne fa parte. Secondo
Strasser “la scienza più rigorosa, la teoria più pura ha le sue radici nel
regno del vivere pratico con le sue valutazioni, posizioni di fini e
norme”331.
Con il mutare del progetto etico, sicuramente cambiano anche il
generale progetto filosofico scientifico e le esigenze che esso
racchiudeva. La fenomenologia continua ad essere definita, anche nelle
lezioni del 1920-’24, come scienza, dal momento che si fonda ancora
nella ragione della coscienza e chiarifica il contenuto del proprio
fondamento. Tuttavia, l’unità teoretica su cui essa si basa e che chiarifica
- il suo ‘dover essere’ scientifico - diviene, secondo i risultati delle lezioni
del 1920-’24, un’unità di vissuti personali e mondani della coscienza.
L’idea di scienza cambia, si relativizza o meglio si ‘personalizza’. Come
nota ancora Strasser, abbiamo ora diverse scienze, diverse verità,
diversi stili del pensare del matematico o del filosofo; la ragione diviene
330
Franzini, E. Fenomenologia, Franco Angeli, Milano, 1991, p. 16.
Strasser,
S.
“Gedanken
zu
einer
Phänomenologie
als
ethischer
Fundamentalphilosophie”, in Phaenomenologica, Dordrecht/Boston/London, Kluwer
Academic Publishers, 120, 1991, p. 70.
331
107
funzione relativa alle scienze singolari e alla prassi mondana332.
Tanto la scienza etica che la scienza fenomenologica si fondano, in
base alle lezioni del 1924, su un ‘dovere essere’, su un fondamento di
diritto che si esplicita con il compimento della vocazione stessa del
soggetto. Husserl mantiene lo schema delle Ricerche Logiche, ma ne
cambia i significati. Nel caso specifico, il dover essere della scienza
fenomenologica, la propria vocazione, resta quella di spiegare le verità o
i contenuti della coscienza.
5.1.2. La scienza in generale
Un’ultima conclusione che si può trarre dalla definizione di scienza etica,
elaborata nelle lezioni del 1920-24, è che, con essa, Husserl non
modifica ‘solo’ la propria accezione di scienza logica e fenomenologica,
ma anche la propria accezione generale di scienza.
Se nelle Ricerche Logiche il concetto di scienza era nettamente
distinto dalla vita personale dell’io e dall’accezione di tecnologia, nelle
lezioni del 1924 egli parla di ogni forma di scienza come: «idea […] di un
essere riferito in modo abituale e secondo la sua professione ad un
progresso sistematico di teorie che divengono sempre più ampie, nelle
quali si dovrà idealmente […] aprire l’unità totale di tutto l’essere»333.
Il concetto di scienza in generale si associa ora a qualcosa di aperto. La
scienza rappresenta, in queste pagine, la chiarificazione dell’idea di un
progresso sistematico che interessa anche le abitudini e la vocazione del
soggetto.
La scienza diviene anche personale e connessa ad un’idea di
coscienza ‘vivente’, che opera in funzione di un continuo scambio con la
realtà. Questo cambiamento, come lo stesso Husserl scrive, comporta
che “non appena rivolgo l’attenzione alla mia coscienza in quanto
funzione […], tutto diventa problematico, tutte le scienze con la loro
razionalità, che di solito è pienamente soddisfacente, ricevono un indice
di problematicità, di incomprensione” 334 . L’indice di incomprensione di
ogni scienza deriva proprio da questa apertura della coscienza al mondo.
La scienza diviene un prodotto dinamico e aperto proprio perché la
chiarificazione delle proprie basi e della propria struttura è in continuo
cambiamento. In questo senso Husserl attribuisce alla scienza le
seguenti caratteristiche: abituale, professionale, aperta e inesatta.
Giacché la scienza si rifà e dipende dalle azioni di una persona, dalle
sue abitudini, dal suo metodo di ricerca, dai suoi interessi e dalle
esperienze che una persona accumula nel corso della sua vita e della
sua ricerca scientifica, il suo grado di evidenza può essere
332
Ivi, p. 112.
Husserl, E. Storia critica della filosofia, op. cit., p. 17; tr. it. p. 28.
334
Husserl, E. Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., pp. 213-15.
333
108
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
progressivamente perfezionato e chiarito.
“In ogni scienza si è nel regno della prassi -scrive ancora Husserl -; ci
guida l’unità di un fine pratico o di un sistema di fini pratici. Ciò che in una
maniera comune e obiettiva è definito come scienza, non è nient’altro
che il divenuto e il prodotto storico nel lavoro dello scienziato” 335 . La
struttura di ogni scienza sembra essere molto simile a quella della
scienza pratica. Ogni scienza, ci dice Husserl, è pratica, nel senso che
nasce dalle azioni, ovvero dalla sfera motivazionale di ogni singolo atto.
L’origine della scienza è personale e morale anche in virtù della linea di
movimento compiuta dagli atti della coscienza. Ogni atto diviene tale
perché è generato da un motus e quest’ultimo si genera perchè è diretto
al compimento di un fine ultimo o di un sistema di fini. Ogni scienza ha
quindi in sé, e obbedisce ad, un dovere, che in un certo senso determina
e influenza il lavoro scientifico.
5.2. I problemi del parallelismo
La struttura del parallelismo, come abbiamo più volte evidenziato nel
corso dell’analisi, presenta, sin dalle sue fondamenta, delle debolezze.
Tuttavia Husserl, pur di non abbandonare l’intuizione iniziale che anima il
suo progetto, prova a risolvere questi problemi, modificando alcuni nodi
centrali del suo pensiero: mi riferisco qui al tema dell’intenzionalità e
della ragione.
I problemi che il parallelismo presenta, riguardano: la compresente
struttura di parallelismo e intreccio, la diversa natura tra ragione pratica e
ragione logica, infine l’asimmetria intenzionale tra le forme di ragione
poste nel parallelismo stesso.
5. 2. 1. L’evoluzione dell’intenzionalità
I tre problemi del parallelismo sono legati principalmente alla definizione
di intenzionalità che Husserl dà nella prima fase del suo pensiero (in
modo particolare prima delle lezioni del 1914 e del primo volume di Idee).
Husserl definisce infatti le tre forme di ragione come analoghe tra loro,
ma non a tutte viene riconosciuta la medesima capacità intenzionale.
Secondo Husserl, alcuni tipi di atto della ragione pratica e della ragione
assiologica, come il dolore o la gioia, non sono intenzionali, perché non
sono in grado di prendere posizione rispetto ad un oggetto e di
rappresentarlo 336 . Essendo connessi all’istinto o al sentimento, non
hanno una propria struttura intenzionale e per riferirsi ai propri oggetti si
fondano sugli atti oggettivanti della ragione logica.
Quindi ragione logica e ragione pratica sono diverse tra loro e il
335
336
Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 17.
Cfr. Husserl, E. Ricerche Logiche V, op. cit., par. 10, 13, 15.
109
parallelismo che tra esse si crea è debole, perché la ragione pratica ha
bisogno di quella logica per funzionare. E soprattutto, se l’intenzionalità è
una proprietà della coscienza 337 e se la ragione pratica e quella
assiologica mancano di capacità intenzionale, le tre forme di ragione
(logica, assiologica e pratica) non si pongono sullo stesso piano della
pura coscienza. Di conseguenza, la ragione pratica non potrebbe mai
essere il fondamento di una scienza analoga e parallela a quella logica.
Tuttavia per rendere possibile il proprio progetto etico, Husserl
corregge questi difetti, attraverso la modificazione della capacità
intenzionale degli atti pratici e assiologici. Le variazioni di significato che
il concetto di intenzionalità subisce sono direttamente connesse alle
variazioni di funzione che le tre forme di ragione, logica, assiologica e
pratica subiscono.
Nei primi scritti logici 338 l’intenzionalità è definita come
Bedeutungsintention, e quindi la ragione logica assume la funzione di
ragione ‘indagante’, di ragione teoretica che deve essere in grado di
mostrare la verità (e dunque i valori razionali) contenuti in ogni forma di
conoscenza. A questo primo livello gli atti della ragione pratica assumono
la posizione ibrida di atti non intenzionali, che necessitano degli atti
obiettivanti della ragione logica per poter riconoscere i propri oggetti.
Nelle Idee I l’intenzionalità continua ad essere connessa con il concetto
fondamentale di obiettivazione (vale a dire gli atti, per poter essere
intenzionalmente rivolti ai propri oggetti, devono ‘conoscerli’ o ‘averli’ in
senso lato). In questo caso però Husserl modifica, seppure in modo
ambiguo, la funzione della ragione logica. Infatti, la capacità di
obiettivare, ovvero di avere rappresentativamente gli oggetti, spetta non
più solo alla ragione logica, ma a tutte le forme di ragione. Anche la
ragione pratica e assiologica e i loro rispettivi atti possono essere
obiettivanti e possono intenzionalmente rivolgersi ai propri oggetti. Solo
in questo caso il parallelismo è simmetrico e la realizzazione del progetto
etico possibile (anche se con delle ambiguità persistenti).
Negli ultimi scritti invece, l’esigenza etica sembra avere la meglio
sulla definizione del termine: l’intenzionalità diviene, a nostro avviso,
un’espressione per spiegare la vita dell’io (non semplicemente dell’io
puro della coscienza, ma anche dell’io personale); essa diviene quasi
sinonimo di ‘connessione’ o ancora di ‘motivazione o fine’. Nelle lezioni
del 1920-’24, Husserl sembra essere più ‘generoso’ nell’attribuire questa
caratteristica agli atti razionali, perché essa sembra divenire quella linea
ideale che collega l’azione del soggetto al mondo.
337
Cfr. Husserl, E. Idee I, op. cit., par. 84: “L’intenzionalità è ciò che caratterizza la
coscienza in senso pregnante” poiché è la proprietà degli “Erlebnisse di essere coscienza
di qualcosa”
338
Cfr. Husserl, E. Ricerche logiche e Logica, psicologia e fenomenologia, op. cit.
110
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
5.2.2 La razionalità della scienza
La razionalità che Husserl indica come fondamento della sua idea di
scienza è più complessa rispetto a quella analizzata e descritta prima
dell’introduzione del metodo genetico. In un passo contenuto in alcuni
manoscritti Husserl afferma: “la ragione è sempre ragione pratica” ed è
«schiava del volere» 339 . Come nota anche Hart 340 , dopo la svolta
genetica, il concetto di volere è connesso con quello di abitudini e di
vocazione e l’emotività diviene parte integrante della razionalità del
volere. La ragione teoretica è incosciente delle sue acquisizioni finché
non riflette su di esse grazie all’input del volere; tutti gli atti – in questo
senso - sono atti del volere”341 e il giudicare ne è un suo modo.
Con questo non intendiamo dire che avviene un ribaltamento rispetto
alle Ricerche Logiche e che la razionalità pratica diviene dominante
rispetto a quella logica, piuttosto crediamo si possa parlare qui di
superamento di quella netta distinzione tra filosofia teoretica e pratica342.
Ragione logica, pratica e assiologica sono strettamente intrecciate in
ogni forma di conoscenza ed esse, inoltre, non appartengono solo ad un
io puro o astratto, ma anche ad un io personale che vive e ha un
carattere, delle pulsioni e degli istinti. In ogni atto può prevalere, o avere
un carattere arcontico, come scrive Husserl, l’uno o l’altro tipo di ragione;
non è, di certo, più sostenibile la distinzione tra atti teoretici e pratici o tra
atti razionali e personali. La razionalità che fa capo alla nuova idea di
scienza è distante rispetto a quella da cui Husserl dice di aver preso le
mosse, e rispetto a quella descritta prima della svolta genetica.
Il grande cambiamento rispetto all’idea di ragione delineata nei primi
anni del ‘900 sta nel fatto che può esistere, secondo Husserl, una forma
di razionalità che comprende anche il territorio oscuro degli istinti e delle
pulsioni e che può essere allo stesso modo elevata a fondamento di una
nuova scienza, l’etica. Non solo, quando Husserl afferma che ogni
scienza è pratica e che è guidata da un fine o da un’unità di fini pratici,
sembra estendere questo tipo di fondamento ad ogni tipo di scienza e ad
ogni forma di conoscenza.
Per quanto infine, la struttura del parallelismo sia nel discorso
husserliano problematica, essa anticipa, in merito al tema della ragione,
importanti risultati neurologici raggiunti in questo secolo. Il nostro cervello
infatti è costituito da diverse aree di specializzazioni, che Husserl chiama
logiche, pratiche e assiologiche e che il neurologo Damasio definisce con
339
Husserl, E. Ms. E III, 7, 85.
Hart, J. Person and the Common Life, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic
Publishers, 1998, p. 26.
341
Husserl, E. Ms A V, 22, 5.
342
In questo senso anche cfr. S., Strasser, op. cit., p. 39, p. 44.
340
111
i termini linguistiche, logiche, emotive etc. Ognuna di queste aree, pur
essendo indipendente, collabora con le altre al fine di realizzare un
determinato atto. Irrazionali o cerebralmente lese sono tutte quelle
persone che hanno riportato danni in una delle suddette aree, ivi
compresa l’area emotiva.
Una persona che non può provare emozioni o che non può scegliere,
non è semplicemente una persona non emotiva, ma è una persona
razionalmente compromessa. La razionalità non è solo di tipo logico o
linguistico. Husserl supera la tradizione filosofica da cui aveva preso le
mosse, ovvero l’impostazione classica che divide la sfera dell’emotività
da quella della razionalità, e Damasio prova scientificamente questo
superamento. Anche l’emotività è ragione, una ragione che ci appare per
molti versi irrazionale perché ancora, forse, non sufficientemente
esplorata.
5.2.3. Il progetto etico e la produzione fenomenologica
Quanto detto sopra, in merito alla modificazione generale dell’idea di
scienza, di intenzione e di ragione, prova quanto il progetto etico porti
Husserl a ripensare alcuni temi della sua produzione fenomenologica.
Crediamo che il progetto etico nasca come una sorta di riprova del
progetto fenomenologico più generale. Se infatti, agli occhi del filosofo,
era stato possibile dimostrare, a partire dalla razionalità della coscienza,
l’esistenza di una generale scienza filosofica e, a partire dalla sua
ragione logica, una scienza logica, poteva essere possibile fare lo stesso
anche per l’etica. Se infatti la coscienza veniva da lui descritta come
un’unità razionale che si organizza secondo modalità di ragione parallele
tra loro, era sufficiente, secondo Husserl, approfondire questo
parallelismo, tra la già analizzata ragione logica della coscienza e la
ragione pratica, per mostrare l’esistenza di una scienza etica ad essa
analoga.
Tuttavia, il percorso etico e soprattutto la sua struttura fondante,
incontrano delle difficoltà che sembrano funzionare in Husserl come una
sorta di stimolo per la reimpostazione del suo pensiero filosofico.
Una certa parte della critica, sembra giudicare il pensiero etico
husserliano come marginale e poco rilevante rispetto alla sua
produzione. Gran parte dei testi introduttivi e scolastici ad esempio, non
menzionano affatto il pensiero etico di Husserl 343 . Sebbene nel 1960
fosse già stato pubblicato l’importante volume di Alois Roth344 e nel 1988
343
Si vedano ad esempio i volumi di storia della filosofia di Abbagnano, o la voce di
Edmund Husserl curata, nel Dizionario di storia delle Idee della Sansoni, da Vanni
Rovighi, S. o ancora l’introduzione alla fenomenologia curata da G. Forni nell’Antologia
degli autori, vol. XIV.
344
A., Roth, Edmund Husserls ethische Untersuchungen, op. cit.
112
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
l’edizione critica della Husserliana sull’etica del 1908-1914, coloro che si
sono preoccupati di fornire un quadro generale del pensiero husserliano
hanno ritenuto l’etica una parte poco rilevante del suo pensiero.
Crediamo che questo comporti una visione frammentaria e altalenante
della sua produzione. Cambiamenti di posizione, come quelli evidenziati
nel testo (rispetto al tema dell’intenzionalità, della ragione e della
scienza), ma anche studi effettuati sui temi husserliani
dell’intersoggettività, della sintesi passiva, dell’istinto, dell’epoché,
crediamo che possano essere meglio compresi alla luce del suo progetto
etico. L’insoddisfazione che Husserl nutre nei confronti della propria
etica, pensiamo sia alla base di diverse invenzioni teoriche del suo
sistema.
Malgrado la grande quantità di pagine che Husserl ha scritto
sull’etica, essa viene recepita in Europa soprattutto a partire dal 1988,
dopo la pubblicazione delle Vorlesungen über Ethik und Wertlehre (19081914) e degli articoli sull’Idea di Europa345. Prima di questa data, negli
anni ’60, alcuni aspetti dell’etica vengono introdotti in Italia con la
traduzione di Paci della Crisi delle scienze europee346; oltre a lui pochi
altri sono gli autori che in Europa si dedicano ai temi dell’etica prima degli
anni ’80347. È soprattutto a partire dagli anni ’90 che un numero crescente
di studi inizia a diffondersi in tutta Europa (in modo particolare: Belgio,
Germania, Francia e Italia) e in America (USA in modo particolare)348.
345
Husserl, E. Aufsätze und Vorträge. 1922-1937, (a cura di) Nenon T.; Sepp H.R. The
Hague, Kluwer Academic Publishers, 1988.
346
Husserl, E. Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale
Phänomenologie. Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie, (a cura di)
Biemel, W. The Hague, Martinus Nijhoff, 1954).
347
Tra questi: Diemer, A (Edmund Husserl. Versuch einer systematischen Darstellung
seiner Phänomenologie, Meisenheim am Glan, Hain, 1956), Roth, A. (Edmund Husserls
ethische Untersuchungen; Dargestellt anhand seiner Vorlesungsmanuskripte, The
Hague, Martinus Nijhoff, 1960), Cossìo, C. (“La norma y el imperativo en Husserl“ in
Revista brasilera de filosofia, 10, 1960, pp. 43-90), Sphan, C. (“Phänomenologische
Handlungstheorie. Edmund Husserls Untersuchungen zur Ethik“ in Epistemata. Reihe
Philosophie, 190, Würzburg, Königshausen & Neumann, 1969), Sancipriano, M. (L’ethos
di Husserl. Comunicazione intersoggettiva ed etica sociale, Torino, Giappichelli, 1967),
Biemel, W. (Die Welt des Menschen, in Phaenomenologica, 76, The Hague, Martinus
Nijhoff, 1972), Janssen, P. (“Geschichte und Lebenswelt“ in Phaenomenologica, 35, The
Hague, Martinus Nijhoff, 1970), Ales Bello, A. (“Il recupero dell'intersoggettività in E.
Husserl“, in Fenomenologia e società, 1, 1978, pp. 290-301), Lester, E (“A Note on ‚Is’
and Ought in Phenomenological Perspective“ in Philosophy and Phenomenological
Research, 39, 1979, pp.595-597), Kim, S. K. (“Phenomenological and political
Philosophy. A study of the Political Implications of Husserl’s Account of the Life world”,
Athens, University of Georgia, 1979). Nel 1988 vengono pubblicati i lavori di Schuhmann,
K. (Husserls Staatphilosophie, Freiburg/Muenchen, Karl Albert, 1988.), Spahn, C. (“Der
ethische Impuls der Husserlschen Phaenomenologie”, in Analecta Husserliana, LV,
1988, pp 25-81), Sancipriano, M. (Edmund Husserl. L’Etica sociale, op.cit.).
348
Citiamo qui tra gli interpreti più importanti: Bernet, R. (La vie du sujet. Recherches sur
113
Oggi lo studio dell’etica husserliana è più diffuso e ‘settorizzato’ che in
passato. Vi è chi approfondisce lo studio dell’etica mettendo in risalto
soprattutto il tema della persona 349 , del metodo 350 , della possibile
connessione con le neuroscienze351 o delle possibili implicazioni con la
realtà politica contemporanea352.
Attraverso la presente ricerca riteniamo di aver mostrato che il
progetto etico funziona come una sorta di occasione per il rinnovamento
di molte sue tematiche. Con questo non vogliamo sostenere che la
vocazione della fenomenologia sia etica tout court, come è stato fatto da
un’altra parte della critica353, perché creiamo che in Husserl non abbia
senso parlare di vocazione teoretica o etica, tanto sono in sé uniti i due
aspetti del pensiero. La teoria, come nota anche Sepp354, è per Husserl
una prassi (anzi, una Sondernpraxis) e viceversa; “la scienza come
teoria – scrive Husserl - ha il suo correlato nella scienza in quanto
funzione, in quanto attività conoscente del soggetto”355.
Con il nostro lavoro abbiamo solo voluto mostrare come, sotto lo stimolo
delle ricerche etiche, cambi in Husserl il modo di concepire il proprio
l'interprétation de Husserl dans la phénoménologie, Paris, P. U. F., 1994), Melle, U. (“The
Development of Husserl's Ethik”, in Etudes Phénoménologiques, 13-14, 1991, pp. 115135 ed “Edmund Husserl. Wert des Lebens. Wert der Welt. Sittlichkeit und
Glueckseligkeit”, in Husserl Studien, 1997, pp. 201-235), Depraz, N. (“The
Phenomenological Reduction as Praxis”, in Journal of Consciousness Studies, The View
from Within, 2/3, 1999, pp. 95-110) Donnici, R. (Intenzioni d'amore di scienza e
d'anarchia, Napoli, Bibliopolis, 1996), Bianchi, I. A. (Etica husserliana. Studio sui
manoscritti inediti degli anni 1920-1934, Milano, Franco Angeli, 1999), Hart, J. (I, We and
God: Ingredients of Husserl’s Theory of Community, in Ijesseling, S. Husserl-Ausgabe
und Husserl-Forschung, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 115,
1990, pp. 125-149), Dodd, J. (“Attitude, Facticity, Philosophy”, in Phaenomenologica,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 148, 1998, pp. 57-85),
Drummond, J. (“Moral Objectivity: Husserl’s Sentiments of the Understanding”, in Husserl
Studies, 12, 1995, pp. 165-183).
349
De Monticelli, R. La conoscenza personale, Milano, Guerini, 2002 e Melle, U. Husserls
Personalistiche Ethik, in Fenomenologia della ragion pratica, op. cit., pp. 344-346.
350
Nam-In Lee, “Static-Phenomenological and Genetic-Phenomenological Concept of
Primordiality in Husserl’s Fifth Cartesian Meditation”, in Husserl Studies, 2002, pp. 179182.
351
Marbach, E. “On Bringing the Consciousness into the House of Sciences – With the
Help of Husserlian Phenomenology”, in Angelaky, 10, 1, 2005, pp. 145-162.
352
Steeves,
H.
P.
“Founding
Community”,
in
Phaenomenologica,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, , 143, 2004.
353
Si veda ad esempio: Kokoszka, W. “Habitualité et genèse: le devenir de la monade”,
in Alter, 12, 2004, pp. 57-77; Mertens, K. “Husserl’s Phenomenology of Will in his
Reflections on Ethics” in Phaenomenologica, Dordrecht/Boston/London, Kluwer
Academic Publishers, 148, 1998, pp. 121-138; S., Strasser, op. cit., p. 149.
354
Sepp, H. R. “Husserl über Erneuerung Ethik mit Schnittfeld von Wissenschaft und
Sozialität“, in Gerlach, H. M.; Sepp, H. R. (a cura di) Husserl in Halle, Frankfurt a.m,
Peter Lang, 1994, p. 121.
355
Husserl, E. Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., p. 279.
114
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
pensiero. Non tenere conto dell’etica husserliana, anche dopo le
pubblicazioni avvenute, significherebbe recidere una parte dei contenuti
della sua produzione filosofica. Le sue ricerche etiche, le sue
insoddisfazioni progettuali e morali, sembrano essere alla base di alcune
delle sue posizioni teoriche più importanti nell’economia del suo
pensiero.
115
BIBLIOGRAFIA
I. OPERE DI CARATTERE BIBLIOGRAFICO E INTRODUTTIVO
The Cambridge Companion to Husserl, (a cura di) Smith, S. e Smith D.
W., Cambridge, The Cambridge University Press, 1995.
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Dordrecht/ Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1987.
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1995.
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2001.
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Husserl, Milano, Franco Angeli, 2001.
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dibattito sulla fenomenologia 1923-1040, Firenze, La Nuova Italia, 1990.
116
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Negri, A. Novecento filosofico e scientifico. I protagonisti, Milano,
Marzorati, 1991, 2 vol., pp. 191-255.
Raggiunti, R. Introduzione ad Husserl, Roma-Bari, Laterza, 1970.
Schumann, K. Husserl-Chronik. Denk- und Lebensweg Edmund
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Academic Publishers, 1999.
Wetz, F. J., „Wider den Absolutismus der Welt. Neuere Beiträge zu
Edmund Husserl„, in Philosophische Rundschau, 1991, n. 38/4, pp. 286299.
Zahavi, D. Husserl’s Phenomenology, Stanford Univeristy Press, 2003.
EDMUND HUSSERL CRITICAL ASSESSMENTS:
Circumscriptions: Classic Essays on Husserl’s Phenomenology, Bernet,
R.; Welton, R.; Zavota, G. (a cura di) London-New York, Routledge,
2005, Vol. 1.
The Cutting Edge: Phenomenological Method, Philosophical Logic,
Ontology and Philosophy of Science, Bernet, R.; Welton, R.; Zavota, G.
(a cura di) London-New York, Routledge, 2005, Vol. 2.
The Nexus of Phenomena: Intentionality, Perception and Temporality,
Bernet, R.; Welton, R.; Zavota, G. (a cura di) London-New York,
Routledge, 2005, Vol. 2
The Web of Meaning: Language, Noema and Subjectivity and
Intersubjectivity, Bernet, R.; Welton, R.; Zavota, G. (a cura di) LondonNew York, Routledge, 2005, Vol. 4.
Horizons: Life-world, Ethics, History and Metaphysics, Bernet, R.;
Welton, R.; Zavota, G. (a cura di) London-New York, Routledge, 2005,
Vol. 5.
II. OPERE DI HUSSERL IN LINGUA ORIGINALE
II. A) HUSSERLIANA
Husserliana 1
117
Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Strasser,S. (a cura di)
The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1973.
Husserliana 2
Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, Biemel, W. (a cura di)
The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1973.
Husserliana 3
Ideen zu einer reinen Phänomenlogie und phänomenlogischen
Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine
Phänomenologie,. Biemel. W. (a cura di) The Hague, Netherlands,
Martinus Nijhoff Publishers, 1950.
Husserliana 3-1
Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen
Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführungin die reine
Phänomenologie 1. Halbband: Text der 1.-3. Auflage - Nachdruck
Schuhmann, K. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff,
1977.
Husserliana 3-2
Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen
Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einfuhrung in die reine
Phänomenologie, 2. Halbband: Ergänzende Texte, (1912-1929),
Schuhmann, K. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff,
1988.
Husserliana 4
Ideen zur einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen
Philosophie. Zweites Buch: Phänomenologische Untersuchungen zur
Konstitution, Biemel, M. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus
Nijhoff, 1952.
Husserliana 5
Ideen zur einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen
Philosophie. Drittes Buch: Die Phänomenologie und die Fundamente der
Wissenschaften, Biemel, M. (a cura di) The Hague, Netherlands,
Martinus Nijhoff, 1971.
Husserliana 6
Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale
Phänomenologie. Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie,
Biemel, W. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1954.
118
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
Husserliana 7
Erste Philosophie (1923/4). Erste Teil: Kritische Ideengeschichte,
Boehm, R. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1956.
Husserliana 8
Erste
Philosophie
(1923/4).
Zweiter
Teil:
Theorie
der
phänomenologischen Reduktion, Boehm, R. (a cura di) The Hague,
Netherland, Martinus Nijhoff, 1959.
Husserliana 9
Phänomenologische Psychologie. Vorlesungen Sommersemester 1925,
Biemel, W. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1968.
Husserliana 10
Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstesens (1893-1917),
Boehm, R. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1969.
Husserliana 11
Analysen
zur
passiven
Synthesis.
Aus
Vorlesungsund
Forschungsmanuskripten, 1918-1926, Fleischer, M. (a cura di) The
Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1966.
Husserliana 12
Philosophie der Arithmetik. Mit ergänzenden Texten (1890-1901), Eley.
L. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1970.
Husserliana 13
Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass.
Erster Teil. 1905-1920, Kern, I. (a cura di) The Hague, Netherlands,
Martinus Nijhoff, 1973.
Husserliana 14
Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass.
Zweiter Teil. 1921-28, Kern, I. (a cura di) The Hague, Netherlands,
Martinus Nijhoff, 1973.
Husserliana 15
Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass.
Dritter Teil. 1929-35, Kern, I. (a cura di) The Hague, Netherlands,
Martinus Nijhoff, 1973.
Husserliana 17
Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen
Vernunft, a cura di Janssen, P. The Hague, Netherlands, Martinus
119
Nijhoff, 1974.
Husserliana 18
Logische Untersuchungen. Erster Teil. Prolegomena zur reinen Logik.
Text der 1. und der 2. Auflage, Halle: 1900, rev. ed. 1913, Holstein, E., (a
cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1975.
Husserliana 19
Logische Untersuchungen. Zweiter Teil. Untersuchungen zur
Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis, Halle: 1901; rev. ed. 1922,
Panzer, U. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1984.
Husserliana 20/1
Logische Untersuchungen. Ergänzungsband. Erster Teil. Entwürfe zur
Umarbeitung der VI. Untersuchung und zur Vorrede für die Neuauflage
der Logischen Untersuchungen, Melle, U. (a cura di) The Hague,
Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 2002.
Husserliana 22
Aufsätze und Rezensionen (1890-1910), Rang, B. (a cura di) The Hague,
Netherlands, Martinus Nijhoff, 1979.
Husserliana 24
Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906/07,
Melle, U. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1985.
Husserliana 25
Aufsätze und Vorträge. 1911-1921. Mit ergänzenden Texten, Nenon, T.;
Sepp, H. R. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1986.
Husserliana 26
Vorlesungen über Bedeutungslehre. Sommersemester 1908, Panzer, U.
(a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1987.
Husserliana 27
Aufsätze und Vorträge. 1922-1937, Nenon, T.;. Sepp, H. R. (a cura di)
The Hague, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 1988.
Husserliana 28
Vorlesungen über Ethik und Wertlehre. 1908-1914, Melle, U. (a cura di)
The Hague, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 1988.
Husserliana 29
Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale
120
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
Phänomenologie. Ergänzungsband. Texte aus dem Nachlass 19341937, Smid R. (a cura di) The Hague, Netherlands, Kluwer Academic
Publishers, 1992
Husserliana 31
Aktive Synthesen: Aus der Vorlesung 'Transzendentale Logik' 1920/21
Ergänzungsband zu 'Analysen zur passiven Synthesis' Breeur, R. (a cura
di) The Hague, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 2000.
Husserliana 34
Zur phänomenologischen Reduktion. Texte aus dem Nachlass (19261935). Luft, S. (a cura di) Dordrecht, Netherlands, Kluwer Academic
Publishers, 2002.
Husserliana 35
Einleitung in die Philosophie. Vorlesungen 1922/23, Goossens, B. (a
cura di) Dordrecht, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 2002.
Husserliana 37
Einleitung in die Ethik 1920/1924, Peucker, H. (a cura
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 2004.
di)
Husserliana 38
Wahrnehmung und Aufmerksamkeit. Texte aus dem Nachlass (18931912), Vongehr, T.; Giuliani, R. (a cura di) New York, Springer, 2005.
Husserliana 39
Die Lebenswelt. Auslegungen der vorgegebenen Welt und ihrer
Konstitution. Texte aus dem Nachlass (1916-1937), Sowa, R. (a cura di),
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 2008.
II. B) DOCUMENTI
Husserliana: Edmund Husserl Dokumente 3/1-10.
E. Husserl, Briefwechsel, Schuhmann, K. (a cura di) The Hague,
Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 1994.
Band I: Die Brentanoschule
121
Band II: Die Münchener Phänomenologen
Band III: Die Göttinger Schule
Band IV: Die Freiburger Schüler
Band V: Die Neukantianer
Band VI: Philosophenbriefe
Band VII: Wissenschaftkorrespondenz
Band VIII: Institutionelle Schreiben
Band IX: Familienbriefe
Band X: Einführung und Register
II. C) MANOSCRITTI CONSULTATI PRESSO “LES ARCHIVESHUSSERL”
Ms. AV 21, Ethisches Leben. Theologie – Wissenschaft, (1924 -1927).
Ms. AV 22, Universale Ethik. Theologie – Wissenschaft, (1924 – 1927).
Ms. AVI 3, Gemüt und Wille, (1909 - 1914).
Ms. B I 21, Weg in die Philosophie von der Praxis, (1917 - 1918).
Ms. B II 2, Absolutes Bewußtsein, Metphysisches , (1907 - 1908).
Ms. E III, Teleologie, (1930).
Ms. E III 7, Mensch im Schicksal, Religion und Wissenschaft, (1934).
Ms. E III 8, Kosmologische Weltbesinnung, (1934).
Ms. E III 9, Insitnkt, Wert, Gut, Teleologie, Normstruktur der Personalität,
(1931- 1933).
III. TRADUZIONI DELLE OPERE DI HUSSERL IN LINGUA
ITALIANA
Conferenze di Amsterdam. Psicologia fenomenologica e fenomenologia
122
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
trascendentale, trad. a cura di Polizzi, P.; Riedl, A. M.; Salmonà , L.;
Palma, I. Palermo/San Paulo, 1988.
Crisi e rinascita della cultura europea, trad. a cura di Cristin, R. Venezia,
Marsilio, 1999.
Esperienza e giudizio, trad. a cura di Costa, F.;.Samonà, L. Milano,
Bompiani, 1995.
Fenomenologia, in Husserl, E.; Heidegger, M. Fenomenologia. Storia di
un dissidio (1927), trad. a cura di Cristin, R., Milano, Unicopli, 1990, pp.
79-110.
Fenomenologia e i fondamenti delle scienze, trad. a cura di E. Filippini,
Einaudi, Torino, 1965, vol. III.
Fenomenologia, linguaggio e logica, trad. a cura di Piana, G. Padova,
R.A.D.A.R., 1967.
Fenomenologia e psicologia, trad. a cura di Donise, A., Napoli, Filema,
2003.
Fenomenologia e teoria della conoscenza, trad. a cura di Volontè, P.,
Milano, Bompiani, 2000.
Fichte e l’ideale di umanità, trad. a cura di Rocci, F. Pisa, Edizioni ETS,
2006.
Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica,
trad. a cura di Costa, V. Torino, Einaudi, 2002, vol. 2.
“Inediti di confronti con Kant (1908)”, trad. a cura di De Franco, T. in
Critica della soggettività trascendentale in Kant-Husserl, Manduria-BariRoma, Pietro Lacaita Editore, 2001, pp. 291-365.
Introduzione generale alla fenomenologia pura, trad. a cura di Alliney, G.,
Torino, Einaudi, 1965, vol. I.
Introduzione all’etica, trad. a cura di Trincia, F.; Zippel, N., Roma-Bari,
Laterza, 2009
Kant e l'idea della filosofia trascendentale, trad. a cura di La Rocca, C.
Milano, Il Saggiatore, 1990.
123
La filosofia dell'aritmetica, trad. a cura di Leghissa, G. Milano, Bompiani,
2001.
L'idea della fenomenologia, trad. a cura di Sini, C., Roma-Bari, Laterza,
1992.
La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. a
cura di Filippini, E. Milano, Il Saggiatore, 1995.
La filosofia come scienza rigorosa, trad. a cura di Sinisgaglia, C. RomaBari, Laterza 1994.
La storia della filosofia e la sua finalità, trad. a cura di Chigi, N., Roma,
Città Nuova, 2004.
Lezioni sulla sintesi passiva, trad. a cura di Costa, V. Milano, Guerrini,
1993.
Lezioni sulla sintesi attiva. Estratto dalle lezioni sulla logica
trascendentale, trad. a cura di Pastore, L. Milano, Mimesis, 2007.
L'idea di Europa, trad. a cura di Sinisgaglia, C. Milano, Raffaello Cortina
Editore, 1999.
Libro dello spazio, tr. it. a cura di Costa, V. Milano, Guerini e Asssociati,
1996.
Lineamenti di etica formale, trad. a cura di Basso P.; Spinicci, P. Firenze,
Le Lettere, 2002.
“Genesi del mondo circostante. Storicità“, trad. a cura di Ales Bello, A. in
Segni e Comprensione, 1 n. 2, 1987, pp. 49-51.
“Lettera a Pfänder (1931)”, trad. a cura di Cristin, R. in Aut Aut, 1986,
213, pp. 3-6.
“Lettera a Löwith” (22 febbraio 1937), trad. a cura di Cristin, R. in Aut Aut,
1987, 222, pp. 106-107.
Logica formale e trascendentale, trad. a cura di Neri, G. D., Bari, Laterza,
1966.
Logica, psicologia e fenomenologia, trad. a cura di Besoli, S. e De
Palma, V. Genova, Il Melangolo, 1999.
124
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
Meditazioni Cartesiane, con l'aggiunta dei Discorsi Parigini, trad. a cura
di Costa, V. Milano, Bompiani, 2002.
Metodo statico e metodo fenomenologico, trad. a cura di Vergani, M.
Milano, Il Saggiatore, 2003.
Mondo Io e Tempo nei manoscritti inediti di Husserl, trad. a cura di
Filippini, E. Milano, Bompiani, 1960.
“Postilla alle Idee", trad. a cura di Filippini, E. in Idee cit., pp. 913-36.
Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917),
trad. a cura di Marini, A. Milano, Franco Angeli, 1993.
I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto
naturale di mondo,Costa, V. Bologna, Quodlibet, 2008.
Quattro lettere di Edmund Husserl ad Hermann Weyl, trad. a cura di
Tonietti T., Milano, Franco Angeli, 1985, pp. 89-93.
Ricerche fenomenologiche sopra la costituzione, trad. a cura di Filippini,
E. Torino, Einaudi, 1965, vol. 2.
Ricerche logiche, trad. a cura di Piana, G. Milano, Il Saggiatore, 1988,
voll. 2.
“Rovesciamento della dottrina copernicana nell’interpretazione della
corrente visione del mondo“, trad. a cura di Neri, D. in Aut Aut, 1991,
245, pp. 3 -18.
Semiotica, trad. a cura di Di Martino, C. Milano, Spirali, 1981.
Storia critica delle idee, trad. a cura di Piana, G. Milano Guerini e
Associati, 1989.
Sul problema di Dio, trad. a cura di Ales Bello, A. Roma Edizioni
Studium, 1985.
Sulla fantasia. Manoscritti (1918-1924), trad. a cura di Masi, F. Giannini,
2009
La teoria del significato, trad. a cura di Caputo, S., Milano, Bompiani,
2008
125
“Teleologia universale“, trad. a cura di Paci, E. del manoscritto datato
settembre 1930, trascritto da Biemel, W. in Archivio di Filosofia, I, 1960,
pp. 9-16.
IV. OPERE DI BRENTANO
Grundlegung und Aufbau der Ethik, Bern, Frencke Verlag, 1952.
Sull'origine della conoscenza morale, Brescia, La Scuola, 1960.
Über die Zukunft der Philosophie, Lipsia, Felix Meiner Verlag, 1929 (ed.
orig. A. Hölder, Wien 1893)
Versuch über die Erkenntnis, Lipsia, Felix Meiner Verlag, Lipsia, 1925.
Die Vier Phasen der Geschichte der Philosophie und ihr augenblicker
Zustand, Lipsia, Felix Meiner Verlag, 1926.
Psychologie vom empirischen Standpunkt, Hamburg, Felix Meiner
Verlag, 1995, vol. 2; trad. a cura di Guirisatti, G. Psicologia dal punto di
vista empirico, Milano, L. Revendito Editore, 1989, voll.3
Vom Dasein Gottes, trad. a cura di Kastil, A. Amburgo, Felix Meiner
Verlag, 1982 (ed. orig. Leipzig 1929), p. 7-18; trad. parziale a cura di
Marocco A. in Marocco, A. Brentano. Le prove dell'esistenza di Dio,
Roma, Studium, 1998, pp. 105-116.
Untersuchungen zur Sinnespsychologie, Lipsia, Duncker & Humblot,
1907.
V. OPERE DI HUME
Trattato sulla natura umana, Milano, Bompiani, 2003.
Ricerche sull’intelletto umano e sui principi della morale, Milano,
Rusconi, 1980.
Estratto di un trattato sulla natura umana, Torino, Utet, 1999.
La religione naturale, Torino, Editori Riuniti, 1997.
VI. OPERE DI KANT
Critica della ragion pratica, Bari, Laterza, 1997.
126
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
Critica della ragion pura, Milano, Adelphi, 1999.
Fondazione della metafisica dei costumi, Bari, Laterza, 1980
Lezioni di etica, Bari, Laterza, 2004.
La religione entro i limiti della ragione, Bari, Laterza, 2004.
Metafisica dei costumi, Bari, Laterza, 2004.
Per la pace perpetua, Milano, Armando Editore, 2004
Scritti di storia, politica e diritto, Bari, Laterza, 1997.
VII. STUDI CRITICI
VII. A “PHAENOMENOLOGICA”
Biemel, A. “Die Welt des Menschen” in Phaenomenologica, 76, Den
Haag, Martinus Nijhoff, 1972
Cairns, D. “Guide for Translating Husserl“ in Phaenomenologica, 55, den
Haag, Martinus Nijhoff, 1976.
Carr, D. “The Problem of the Non-Empirical Ego: Husserl and Kant“, in
Phaenomenologica, 106, Den Haag, Martinus Nijhoff, 1987.
Costa, V. “Transcendental Aesthetic and the Problem of
Transcendentality“
in
Phaenomenologica,
148,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1998, pp. 9-28.
Depraz, N. “Imagination and Passivity. Husserl and Kant: a Crossrelationship, Alterity and Facticity“ in Phaenomenologica, 148,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1998, pp. 29-56.
Dodd, J. “Attitude, Facticity, Philosophy” in Phaenomenologica 148,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1998, pp. 57-85.
Dodd, J. “Crisis and Reflection“ in Phaenomenologica,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 2004.
174,
Dodd, J. “Idealism and Corporeity. An Essay on the Problem of the Body
in
Husserl's
Phenomenology“
in
Phaenomenologica
148,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1998.
127
Fuchs, W.A. “Phenomenology and the Metaphysics of Presence“ in
Phaenomenologica, 115, The Hague, Martinus Nijhoff, 1989.
Hart, J. “I, We and God: Ingredients of Husserl’s Theory of
Community“ in Phaenomenologica, 115, Dordrecht/Boston/London,
Kluwer Academic Publishers, 1990.
Hart, J. “The Person and the Common Life“ in Phaenomenologica, 148,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1998.
Held, K. “Lebendige Gegenwart“ in Phaenomenologica, 23, The Hague,
Kluwer Acedemic Publishers, 1966.
Henry, M. “Rèflexions sur la cinquième Méditation cartésienne de
Husserl” in Phanomenologica, 115, Dordrecht/Boston/London, Kluwer
Academic Publishers, 1990.
Marbach, E. “Das Problem des Ich in der Phänomenologie Husserls“ in
Phaenomenologica, 59, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic
Publishers, 1974.
Marbach, E. “Mental Representation and Consciousness. Towards a
Phenomenological Theory of Representation and Reference“ in
Phaenomenologica, 128, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic
Publishers, 1993.
McIntyre, R. “Husserl and Intentionality“ in Phaenomenologica, 11,
Dordrecht/Boston /London, Kluwer Academic Publishers, 1982.
Mertens, K. “Husserl’s Phenomenology of Will in his reflections on
Ethics”
in
Phaenomenologica,
in
Phaenomenologica,
148,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1998.
Nam-In Lee, “Edmund Husserl’s Phenomenology of Mood“ in
Phaenomenologica, 148, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic
Publishers, 1998.
Pazanin, A. “Wissenschaft und Geschichte in der Phänomenologie
Edmund Husserls“ in Phänomenologica, 46, the Hague, Martinus Nijhoff,
1972.
Rang, B. “Kausalität und Motivation“ in Phaenomenologica, 53,
Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1973.
128
Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza
Roth, A. “Edmund Husserls ethische Untersuchungen: dargestellt
anhand seiner Vorlesungmanuskripte” in Phaenomenologica, 7, The
Hague, Martinus Nijhoff, 1960.
Soffer, G. “Husserl and the Question of Relativism“ in
Phaenomenologica, 122, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic
Publishers, 1991.
Sokolowski,
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