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IL PROGETTO ETICO E L’IDEA DI SCIENZA IN HUSSERL Susi Ferrarello Proprietà letteraria riservata © libreriauniversitaria.it Editore Webster srl, Padova, Italy I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfi lm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsivoglia forma senza l’autorizzazione scritta dell’Editore, a eccezione di brevi citazioni incorporate in recensioni o per altri usi non commerciali permessi dalla legge sul copyright. Per richieste di permessi contattare in forma scritta l’Editore al seguente indirizzo: libreriauniversitaria.it edizioni Via Stefano Breda, 28 35010 - Limena PD info@webster.it ISBN: Prima edizione: gennaio 2010 l nostro indirizzo internet è: www.libreriauniversitaria.it Per segnalazioni di errori o suggerimenti relativi a questo volume potete contattare: Webster srl Via Stefano Breda, 28 Tel.: +39 049 76651 Fax: +39 049 7665200 35010 - Limena PD redazione@libreriauniversitaria.it A mia sorella SOMMARIO INTRODUZIONE CAPITOLO 1 – HUSSERL E L’IDEA DI SCIENZA 1.1 La formazione 1.2 Avvicinamento allo psicologismo 1.2.2 La polemica contro lo psicologismo ed il logicismo..... 1.2.3 L’idea di scienza e di fenomenologia 1.2.4. L’etica e la scienza fenomenologia CAPITOLO 2 - IL PROGETTO ETICO E LA FENOMENOLOGIA 2.1 Le lezioni di etica del 1914.. 2.1.1 Il parallelismo tra logica ed etica 2.1.2 L’intenzionalità degli atti pratici.. 2.2. Il contenuto della scienza etica del 1914.. 2.2.1 Le leggi del parallelismo e dell’intreccio 2.3 La fenomenologia genetica CAPITOLO 3 – IL FONDAMENTO DELLA SCIENZA ETICA DOPO L’INTRODUZIONE DEL METODO GENETICO 3.1 Fenomenologia statica e genetica 3.1.1 La definizione di volontà negli scritti del 1920 3.1.2 L’intenzionalità degli atti pratici dopo il 1917 3.2 La coscienza razionale, irrazionale e non razionale 3.2.1 Persona, io puro e coscienza CAPITOLO 4 – LA SCIENZA ETICA NELLE LEZIONI DEL 1920-1924 4.1 Il progetto etico nel 1920-1924 4.2 Tecnologia e scienza 4.3 La nuova idea husserliana di scienza CAPITOLO 5 – CONCLUSIONI5.1 La scienza etica: il raddoppiamento del concetto di tecnologia 5.1.1 La scienza etica e le scienze 5.1.2 La scienza in generale 5.2 I problemi del parallelismo 5.2.1. L’evoluzione dell’intenzionalità 5.2.2 La razionalità della scienza 5.2.3. Il progetto etico e la produzione fenomenologia BIBLIOGRAFIA 10 15 15 16 19 29 33 40 40 49 53 56 60 62 63 63 68 74 81 84 88 88 90 96 102 102 106 109 110 111 113 117 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza 3 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza INTRODUZIONE Perché scegliere l’etica per accostarsi ad Husserl? Patočka nelle prime pagine di “Introduction à la phénoménologie”, elabora una definizione della fenomenologia, che sembra avere una connotazione etica. La definisce infatti come “una riflessione parallela sul senso sia delle cose che della vita umana: riflessione per la quale è necessaria una scienza rigorosa ed una visione stessa della scienza secondo il suo significato fondamentale per la vita”1.L’etica husserliana sembra essere una parte marginale del pensiero fenomenologico e sembra essere frammentaria ed inconcludente. Per di più, Husserl non ha mai dato alle stampe nessun suo scritto di argomento etico (fatta eccezione per i cinque articoli usciti nella rivista Kaizo): i testi più importanti per lo studio dell’etica husserliana sono costituiti da una serie di lezioni che il filosofo tenne tra i primi anni del ‘900 ed il 1924 e che non risistemò mai in un testo organico. Inoltre, dei volumi pubblicati nella collana della Husserliana che raccolgono tutti gli scritti editi ed inediti di Husserl, solo due sono specificatamente di argomento etico. Possiamo tuttavia dire che accostarsi all’etica di Husserl è utile perché essa costituisce una sorta di taglio trasversale nella sua produzione 1 Un sentito ringraziamento per la stesura di questo volume va ai professori Jocelyn Benoist e Paolo Zecchinato che hanno pazientemente letto il mio lavoro con spirito critico e costruttivo. Devo ringraziare poi, in modo particolare Claudio Majolino per le continue e preziose discussioni. Ringrazio ancora per la disponibilità gli Archives Husserl di Parigi, presso cui ho pouto consultare un gran numero di testi critici e manoscritti husserliani. Ringrazio in ultimo Federico e Polly per essermi stati vicini nei momenti più faticosi del lavoro. 1 Patočka, J. Introduction à la phénoménologie de Husserl, Paris, Million, 1992, p. 7. 3 fenomenologica. Il progetto etico husserliano infatti, impone all’autore di riflettere e mettere in discussione molti dei temi cardine del suo pensiero; in modo particolare la sua definizione di intenzionalità, razionalità e scienza. La trave portante del nostro lavoro consisterà, quindi, nel mostrare come la riflessione sull’etica induca Husserl a cambiare la propria posizione filosofica rispetto a temi rilevanti del proprio pensiero, e più precisamente come essa lo porti ad una nuova definizione di scienza, valida non solo per l’etica ma per ogni tipo di scienza. L’’onestà’2 che Gadamer attribuisce alla ricerca husserliana, porta Husserl a conseguenze inaspettate ed estranee rispetto alla tradizione filosofica da cui aveva preso le mosse3. Crediamo che con il perseguimento del suo progetto di fare dell’etica una scienza, il fenomenologo sia arrivato a proporre una nuova idea di razionalità, di intenzionalità e di coscienza, diversa dalla tradizione filosofica cartesiana, humiana o kantiana. Proporrò inoltre, in forma di semplice spunto, una possibile apertura neuroscientifica del discorso etico husserliano. Infatti, seppure l’etica di Husserl non sia e forse non debba mai divenire una scienza, attraverso la sua analisi emergono degli aspetti relativi allo studio della mente 2 Gadamer, H.G. riporta un passaggio biografico interessante come testimonianza dell’approccio husserliano al lavoro scientifico: “La questione primaria di Husserl, in cui egli si immergeva con penetrante scrupolosità, era: (…) come posso compiere ogni passo del mio pensiero così che ogni passo ulteriore possa poggiare su di un terreno sicuro? Come posso evitare ogni presupposizione ingiustificata e realizzare così finalmente anche in filosofia l’ideale della scienza rigorosa? (…) come posso diventare un filosofo onesto?“ (Il movimento fenomenologico, Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 10.) 3 Riguardo al rapporto tra Husserl e la tradizione filosofica si possono confrontare i seguenti testi: Ales Bello, A. Husserl e le scienze, Roma, La Goliardica editrice, 1980; Bianchi, I.A. Etica husserliana. Studio sui manoscritti inediti degli anni 1920-1934, Milano, Franco Angeli, 1999; Bianchi, I. A. Fenomenologia della volontà, Milano, Franco Angeli, 2003; Bernet R.; Kern,I.; Marbach E., Introduction to Husserlian Phenomenology, Evanston, Northwestern University Press, 1993; Bernet R.; Kern I.; Marbach E. Edmund Husserl. Darstellung seines Denkens, Hamburg, Felix Meiner Verlag; trad. (a cura di) La Rocca, C. Edmund Husserl, Bologna, Il Mulino, 1992; Costa, V.; Franzini E.; Spinicci, P., Fenomenologia, Firenze, Einaudi, 2001; Donnici, R., Intenzioni d’amore di scienza e di anarchia, Napoli, Bibliopolis, 1996; Donnici, R. Husserl e Hume, Napoli, Bibliopolis, 1989. 4 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza umana che sono congruenti con alcuni studi neurologici contemporanei. Questo volume quindi si concentra sull’etica elaborata tra il 1914 ed il 1924. È stato scelto questo decennio per due principali ragioni: I due gruppi di lezioni etiche più unitarie e coerenti di cui disponiamo, appartengono a questo decennio e sono state pubblicate nei volumi di Husserliana XXVIII (“Vorlesungen über Grundfragen zur Ethik und Wertlehre”) e XXXVII (“Einleitung in die Ethik”) 4 In questo periodo è possibile individuare le tappe di un’evoluzione teorica determinante per la finale fisionomia della fenomenologia husserliana. Seppure l’oggetto del nostro lavoro sia l’etica husserliana, avvertiamo il lettore che essa non sarà sempre il tema dominante delle nostre pagine. Approfondendo lo studio degli scritti etici husserliani (editi ed inediti), abbiamo potuto notare come il tema dell’etica porti spesso Husserl a lavorare su questioni che non riguardano solo il campo etico. La bipartizione che induce a distinguere tra filosofia teoretica e filosofia pratica, spesso scompare nelle ricerche etiche husserliane. L’obiettivo che Husserl si propone in etica è quello di fare di essa una scienza simile alla logica o alla matematica. Con nostra sorpresa, dopo aver cercato negli archivi dei manoscritti che potessero dire qualcosa di più circa il progetto di fondazione scientifica dell’etica, che Husserl 4 Nel caso del volume XXVIII, vengono sintetizzati in esso anche i risultati delle precedenti ricerche. Il 1897 è infatti, la data del primo manoscritto (Ethik 3 Wochenstunden) che è stato raccolto e pubblicato da Melle nel volume XXVIII della Husserliana. Per quel che concerne la storia critica dei testi etici di Husserl possiamo dire che il primo volume pubblicato sulle lezioni husserliane di etica è quello di Roth, A. Edmund Husserls ethische Untersuchungen: dargestellt anhand seiner Vorlesungmanuskripte, Den Haag, Martinus Nijhoff, 1960. Roth è il primo che negli anni ‘60 fa conoscere i manoscritti delle lezioni di etica tenute da Husserl dal 1890 al 1924 e raccolte nei gruppi di manoscritti (Husserls Vorlesungsmanuskripte) F I 11, 14, 20, 21, 23, 24 e 28. Alcuni di questi (rispettivamente: F I 11, 14, 20, 21, 23) e alcune pagine dei manoscritti A IV 22, A V 4, A VI 25 sono state pazientemente redatte da Melle e pubblicate nel XXVIII volume della collana Husserliana solo nel 1988. Il gruppo F I 24 e 28 viene pubblicato nel XXXVII volume della Husserliana nel 2004 grazie alla cura di Hennig Peucker. Gran parte di questo volume è stato tradotto in italiano da Nicola Zippel e Francesco Saverio Trincia in un testo intitolato Introduzione all’etica edito da RomaBari, Laterza, 2009. 5 enuncia nelle Vorlesungen del ‘14 e nell’Einleitung del ’24, abbiamo dovuto concludere che l’intento che più anima ed unifica le ricerche etiche husserliane è quello della fondazione scientifica stessa. Husserl nasce come matematico e la sua passione per la scienza sembra dominare anche le sue ricerche in campo morale. Con ciò non vogliamo dire che in Husserl il discorso etico sia assente, vogliamo solo mettere in evidenza che spesso, anche nei manoscritti, non si ragiona sui temi classici della morale, ma piuttosto su come fondare delle verità e delle leggi etiche che siano universalmente valide. Le tesi che intendiamo sostenere, dunque, nel nostro lavoro sono le seguenti:  La caratteristica dominante e più originale dell’etica husserliana consiste nella sua pretesa di scientificità e nel progetto che l’autore  costruisce intorno ad essa. Il progetto husserliano incontra delle difficoltà perché: 1) costruisce il suo percorso etico sulla base di un parallelismo, quello tra logica ed etica, che ha delle debolezze; 2) la scienza etica si trova inserita all’interno di una circolarità che o nega la stessa idea di scienza o la rinnova. Per Husserl infatti la scientificità di una disciplina trova la sua radice nella ragione. Lo strumento che egli utilizza per indagare la ragione della coscienza è la fenomenologia, la scienza di tutte le scienze (Wissenschaftslehre). Per Husserl, quindi, ogni scienza che si fonda nella ragione e che si inscrive nella generale scienza fenomenologica non solo si fonda, ma indaga al tempo stesso ciò su cui si fonda. Se la definizione di coscienza o di razionalità della coscienza cambia, cambia anche la definizione di scienza in generale  e di scienza fenomenologica in particolare. Crediamo che il progetto husserliano di fondare una scienza etica abbia un’incidenza importante sull’impostazione generale del suo pensiero fenomenologico (nei termini che abbiamo chiarito sopra), 6 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza sull’idea di scienza husserliana e sulla pretesa di scientificità della sua fenomenologia. Nel decennio che abbiamo scelto come periodo focale della nostra analisi, Husserl si avvicina sempre di più ad individuare, attraverso la sua analisi della coscienza, degli elementi irrazionali e personali. Questi elementi, essendo un tutt’uno con la coscienza, ovvero con ciò che egli all’inizio delle ricerche indica come assolutamente razionale e fondante di ogni idea di scienza, contaminano il fondamento stesso della scienza o modificano la sua idea assolutamente razionale di scienza, rendendo questa qualcosa di sempre più vicino al mondo quotidiano. 7 8 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza 9 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza CAPITOLO 1 HUSSERL E L’IDEA DI SCIENZA 1.1 La formazione culturale Nei dizionari o nei manuali di storia della filosofia Edmund Husserl è definito come quel filosofo tedesco che ha fondato ed ispirato una corrente di pensiero che va sotto il nome di fenomenologia. Tuttavia, sebbene venga unanimemente riconosciuto come filosofo, la formazione culturale di Edmund Husserl è prevalentemente di carattere matematico ed essa influisce, a nostro avviso, non poco sullo sviluppo dei suoi interessi filosofici. Nel 1876 inizia gli studi universitari a Lipsia, iscrivendosi alla facoltà di matematica; frequenta i corsi di matematica e fisica e si interessa in modo particolare di astronomia e di ottica. Nel 1878 si trasferisce a Berlino per continuare i suoi studi con matematici del calibro di Karl Weierstrass (1815-1897) e Leopold Kronecker (1823-1891). Nel 1881 si sposta ancora a Vienna per studiare con Leo Königsberger (un allievo di Weierstrass) e nel 1883 si laurea con una dissertazione sulla Teoria del calcolo delle variazioni, inserendosi per la prima volta all’interno del dominante dibattito matematico dell’epoca, allora relativo al problema del numero5. 5 Ciò su cui principalmente verteva il dibattito era la dimostrazione della verità del numero e del suo utilizzo nel campo matematico. L’obiettivo di alcuni matematici era quello di dare una dimensione ‘filosoficamente esatta’ ad una disciplina dalle enormi applicazioni pratiche, ma legata ancora a concetti intuitivi. Le principali scuole che si svilupparono a seguito di questo impulso furono tre: quella di Frege (1848-1925), Cantor (1845-1918) e Russel (1872-1970). Quest’ultima aveva come obiettivo quello di fondare la matematica sui principi apodittici della logica; quella formalista di Hilbert (1862-1943) messa poi in crisi dai teoremi di Gödel (1906-78), tentava di fondare la verità del numero sullo studio parallelo dell’assioma, ovvero sulla teoria della dimostrazione sia in matematica che in logica; ed infine la posizione intuizionista di Brouwer (1881-1966) e Weyl (1885-1955), comportava una definizione degli enti matematici non come costruzioni esterne date al matematico, che le descrive con i suoi assiomi e teoremi, ma come costruzioni mentali. L’obiettivo che in sostanza queste diverse posizioni matematiche si proponevano di raggiungere, era di poter spiegare l’idea di numero al fine di: legittimare il linguaggio matematico, dissolvere le sue ambiguità semantiche e convalidare gli strumenti con i quali essa deduceva gran parte delle verità utilizzate nel mondo pratico e quotidiano. E’ significativo notare come Husserl sia stato un termine di confronto e scontro per tutte e tre le scuole (Cfr. La corrispondenza scientifica di Edmund Husserl: Briefwechsel, Bd. VII 11 1.2.1 Avvicinamento allo psicologismo6 Il 1891 è l’anno di pubblicazione della Filosofia dell’aritmetica 7 ; quest’opera è il frutto dell’incontro decisivo di Husserl con la filosofia. Pochi anni prima, il giovane filosofo aveva stretto amicizia con Masaryk (il futuro primo presidente della Cecoslovacchia). Ci raccontano Schuhmann8, Donnici9 e Farber10 che l’amicizia con questo personaggio ha un ruolo molto importante nell’avvicinamento di Husserl alla filosofia. All’epoca, Masaryk aveva 27 anni e seguiva già da tempo i corsi tenuti da Brentano. Su suo consiglio e col suo supporto, Husserl segue quelle lezioni ed entra a contatto con l’empirismo inglese filtrato dalla cultura austro-ungarica di fine Ottocento e disprezzato invece dai successori dell’idealismo tedesco 11 . Allora Brentano incoraggiava i suoi allievi ad approfondire lo studio di Hume e proponeva alla cultura filosofica austriaca un campo d’indagine ed un metodo che si opponevano a quelli Wissenschaftskorrespondenz, (a cura di) Schuhmann, K. The Hague, Kluwer Academic Publishers, 1994). Le critiche di Frege, la stima di Gödel e Weyl sono una testimonianza di come il lavoro di Husserl sia stato sentito anche dai matematici di questo periodo. Il matematico Gödel ad esempio riteneva Husserl uno dei più grandi filosofi del secolo, soprattutto per l’analogia da lui posta tra il problema dell’esistenza del mondo esterno e quello dell’esistenza di entità matematiche come il numero (Cfr. Tieszen, “Kurt Gödel and Phenomenology”, in Philosophy of Science, 59, 1992, pp. 176-194). 6 Riteniamo necessaria una breve nota di carattere terminologico per chiarire il significato del termine ‘psicologismo’. Quest’espressione può essere usata in ambito filosofico con sensi fra loro molto differenti. Se ne possono isolare qui, ai fini della nostra ricerca, almeno quattro: 1) Psicologismo metodologico, inteso come analisi della genesi di peculiari strutture di coscienza e dei loro contenuti; la psicologia genetica può esserne un esempio: essa è considerata come il fondamento di scienze normative come la logica, l’etica o l’estetica e considera le leggi logiche o etiche come tipi particolari di leggi psicologiche; 2) si può parlare di psicologismo quando non viene fatta distinzione tra fenomeni psichici e la loro essenza; 3) può essere definito psicologismo il processo di assimilazione dell’oggetto dell’atto con l’atto stesso, come spesso si verifica nell’empirismo tradizionale; 4) infine, il termine psicologismo può riferirsi all’immanenza dei contenuti (oggetti) a cui l’atto si riferisce. Il tipo di psicologismo al quale ci riferiamo qui, è quello espresso nella prima accezione. 7 Husserl, E. Philosophie der Arithmetik. Mit ergänzenden Texten (1890-1901), (a cura di) Eley, L. The Hague, Martinus Nijhoff, 1970; La filosofia dell'aritmetica, trad.(a cura di) Leghissa, G. Milano, Bompiani, 2001. 8 Schuhmann, K. Husserl-Chronik. Denk- und Lebensweg Edmund Husserl, The Hague, Martinus Nijhoff, 1977. 9 Donnici, R. Intenzioni di amore, scienza ed anarchia, Napoli, Bibliopolis, 1998, p. 8: ”Indirizzando il giovane amico verso Locke, Berkeley, Hume Leibniz, Brentano, egli non faceva altro che orientare la formazione filosofica del futuro fenomenologo in base agli stimoli più potenti ricevuti nel proprio paese d’origine e cioè verso quelle correnti di pensiero più influenti a Vienna e a Praga”. 10 Farber, M. The Foundation of Phenomenology, New York, Paine-Whitman, 1962, p. 49. 11 Cfr. Tatarkiewicz, M. Réflexions chronologiques sur l’époque où a vécu Husserl, Paris, Ed Minuit, 1959, p. 30. 12 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza seguiti in Germania12. Secondo Haller13, Brentano avrebbe dato voce alle seguenti tre principali tendenze della filosofia austriaca: 1) spirito scientifico e rifiuto di ogni Weltanschauung; 2) empirismo nel senso di fedeltà all’esperienza e rifiuto di ogni costruzione idealisticotrascendentale; 3) approccio critico-linguistico alle questioni filosofiche. Con la sua Psicologia dal punto di vista empirico (1874), Brentano proponeva ai giovani un metodo di indagine che coincideva con quello della scienza naturale e che veniva a sua volta eletto come autentico metodo della filosofia14. In esso Brentano proponeva una psicologia degli atti mentali considerati come atti unitari. Secondo il filosofo in ogni esperienza mentale, ad esempio nel vedere un oggetto colorato o nel ricordare un evento passato, ciò che costituisce il vero oggetto della filosofia è puramente l’atto del vedere o del ricordare e non l’oggetto colorato. Le percezioni della mente, in quanto atti, debbono essere l’unico oggetto della filosofia; in questi atti la distinzione è netta: l’oggetto della percezione non è un fenomeno psichico, ma un fenomeno fisico e la descrizione dell’atto non coincide con quella dell’oggetto fisico. Ad esempio descrivere l’atto di sentire un suono fisico, non coincide con la descrizione del suono stesso. 15 Tutta l’esperienza può essere ridotta quindi, a fenomeni psichici e fisici; i primi possono essere colti nella percezione interna ed i secondi sono gli oggetti di questi stessi. La psicologia filosofica o filosofia, per Brentano concerne i fenomeni psichici, gli atti, mentre lo studio degli oggetti è compito delle scienze. Nella Filosofia dell’aritmetica, Husserl applica il metodo appreso da Brentano, alle sue ricerche matematiche 16 . L’opera viene dedicata a Brentano (riconosciuto da lui come suo maestro) ed ha come tema la genesi del concetto di numero, (stesso argomento della sua tesi di laurea) 17 . Avendo letto con attenzione i lavori di Lotze 18 (maestro di 12 Meinong, incoraggiato e seguito dal maestro, pubblicava nel 1876 e 1877, due volumi di Hume Studies; Fritz Mauthner invece si fece promotore di un tentativo di ‘ritorno a Hume’ in evidente contrapposizione al contemporaneo movimento del ‘ritorno a Kant’ in pieno svolgimento nella Germania di fine secolo. Cfr. R., Donnici, op. cit., 1989. 13 Haller, R. “Studien zu österreich Philosophie”, in Annali della scuola normale superiore di Pisa, vol 12, 3, 1982, p. 87. 14 “Vera philosophia methodus nulla alia nisi scientiae naturalis est” è la quarta tesi del suo lavoro di abilitazione: Über Schelling Philosophie, poi in Id., Über die Zukunft der Philosophie, (1892), Leipzig, Felix Meiner, 1925, p. 136. 15 Per Husserl invece le due cose (atto ed oggetto psichico) si equivarranno. 16 Qualora il lettore sia interessato ad approfondire gli studi preparatori a questo volume, può consultare Husserl, E. Studien zur Arithmetik und Geometrie (1886-1891), (a cura di) Strohmeyer, The Hague-Boston-Lancaster, Martinus Nijhoff, 1983. Alcuni di questi testi relativi agli anni successivi alla pubblicazione di Filosofia dell’aritmetica e concernenti lo studio sul tema dello spazio, sono disponibili in lingua italiana in Il libro dello spazio, trad. a cura di. Costa, V. Milano, Guerini, 1996. 17 Per un’analisi critica più completa di Filosofia dell’aritmetica rimandiamo ai lavori di: Leghissa, G. “Alle origini del vedere fenomenologico“, in Husserl, E. Filosofia 13 Brentano) e tenendo infine la sua tesi di abilitazione con Stumpf 19 (allievo di Brentano e sostenitore del suo metodo), la Filosofia dell’aritmetica nasce sotto la forte influenza del maestro20. L’opera è divisa in due parti e presenta un sottotitolo che rimarca ancora di più questa bipartizione: Ricerche psicologiche e logiche21. Nella prima parte il concetto di numero viene analizzato attraverso il metodo psicologico22, appreso da Brentano; nella seconda parte, invece, sono presi in esame i numeri che possiamo rappresentare simbolicamente. Il fine del testo è quello di fondare il rapporto tra i simboli, con i quali vengono realizzate le operazioni aritmetiche, ed i concetti numerici ad esso corrispondenti. Senza entrare nel dettaglio del tema, è utile per noi mettere in rilievo il metodo d’indagine adottato da Husserl. Egli parte dall’analisi dell’atto dell’aritmetica, Milano, Bompiani, 2001, pp. 13-45; Melandri, E. “I paradossi dell’infinito nell’orizzonte fenomenologico“, in Paci, E. Omaggio a Husserl, Milano, Il Saggiatore, 1960; Paci, E. “Per lo studio della logica in Husserl”, in Idee per una enciclopedia fenomenologica, Milano, Bompiani, 1960, pp. 214-230; Voltaggio, F. Fondamenti della logica in Husserl, Milano, Comunità, 1960, pp. 81-120; Scrimieri, G. “La matematica nel pensiero giovanile di E. Husserl”, in Willard, D. Logic and the Objectivity of Knowledge. A Study in Husserl’s Early Philosophy, Ohio University Press, 1984. 18 Da Lotze Husserl riprende in modo particolare il concetto di collegamento (che approfondiremo di seguito nel testo) e di validità riferito alle categorie e alle leggi logiche. Questo concetto consente di pensare le categorie e le leggi logiche non come qualcosa che esiste nella mente del singolo individuo, ma come qualcosa che ha la proprietà del valere. Circa il debito riconosciuto da Husserl nei confronti di Lotze, il lettore può consultare: K. Schuhmann, Husserl-Chronik, cit., pp. 25-26. 19 Husserl viene portato ad accrescere il suo interesse per la scienza ed il suo significato filosofico non solo dalla sua formazione matematica, ma anche dalla frequentazione di un ambiente che favorisce un approccio ‘sperimentale’ alle questioni metafisiche. L’attenzione rivolta alla concretezza dell’atto conoscitivo si imprime fortemente in Husserl anche grazie all’incontro con Stumpf ad Halle. Stumpf allora era già famoso per i suoi studi sulla rappresentazione dello spazio e sulla psicologia del suono (Stumpf, C. Über den psychologischen Ursprung der Raumvorstellung, Lipsia, Hirzel, 1873 – ora Amsterdam, Bonset, 1965; Tonpsychologie, Leipzig, Hirzel, 1883, vol. 1). 20 Sull’influenza che Brentano e la sua scuola esercitano nella formazione critica delle posizioni filosofiche del primo Husserl si veda: Rollinger, R. D. Husserl’s Position in the School of Brentano, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1999. Nel 1884/85 Brentano tiene i suoi corsi di logica elementare che costituiranno per Husserl un momento importante di fusione dei suoi interessi di matematico con quelli di filosofo: “Nelle lezioni Die elementare Logik und die in ihr nötige Reformen trattava, in modo particolarmente dettagliato e in forme sempre nuove e creative, tanto di psicologia descrittiva del continuo (con accurata attenzione ai Paradoxien des Unendlichen di Bolzano) quanto della distinzione tra rappresentazioni intuitive e non intuitive, chiare e oscure, distinte e confuse, proprie e improprie, concrete e astratte. (Cfr. Husserliana I: p. 14 rimandiamo alla bibliografia per la citazione completa del volume).” 21 Questo è il sottotitolo della prima edizione; dalla seconda edizione in poi i due termini sono invertiti ed il sottotitolo diviene quindi: Ricerche logiche e psicologiche. 22 Ci parla di “inclinazione allo psicologismo” nella Filosofia dell’aritmetica anche Sancipriano, M. Edmund Husserl, l’etica sociale, Genova, Tilgher, 1998, p. 18. 14 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza psichico, per risolvere una questione matematica che lo aveva occupato sin dal suo lavoro di abilitazione. Concentrandosi sull'atto di rappresentazione che collega la dimensione soggettiva a quella oggettiva e che tende ad un "qualcosa" come suo oggetto, Husserl trova la via per analizzare l'atto che determina il concetto di numero. “Il concetto numerico (…) – infatti - sorge dagli aggregati”23 e “un aggregato sorge quando un interesse unitario e un notare unitario (…) abbracciano dei contenuti diversi e li mettono in evidenza in quanto tali. Il collegamento collettivo può dunque essere colto solo grazie alla riflessione sull’atto psichico in virtù del quale esso [l’aggregato o concetto numerico] perviene ad esistenza”24 Il concetto di numero quindi ha la consistenza di un aggregato, e dunque di un atto di interesse che, in uno stesso momento, istituisce da un lato connessioni tra i vari elementi dell'aggregato, e dall'altro ha come contenuto suo proprio la mira e l'oggetto dell'aggregato stesso. La convinzione che matura in Husserl a partire da questi anni, e che sarà, a nostro avviso, tanto centrale in tutta la sua produzione filosofica da compromettere la purezza pretesa dalle proprie indagini, è che, in qualunque analisi filosofica o scientifica, non si possa prescindere dalla riflessione sull’atto psichico, perché è da esso che ha origine ogni nostra nozione. L’attenzione con cui Brentano si rivolge alla concretezza dell’atto conoscitivo si imprime in Husserl ed influenza il suo metodo ed il suo futuro percorso filosofico25. Il progetto di fondazione della scienza ed in modo particolare della scienza etica, che andremo ad analizzare nei capitoli successivi, passa proprio attraverso l’analisi degli atti di 23 Husserl, E. Filosofia dell’aritmetica, p. 142; tr. it. p. 184. Ivi, p. 74; tr. it. p. 116. 25 Tuttavia Husserl ha un rapporto contrastato con questo assunto di partenza della propria ricerca; per difendere un certo margine di purezza ed universalità dei propri risultati, distingue nelle Ricerche Logiche l’atto psicologico dal ‘vissuto’ o dall’‘atto intenzionale’ della pura coscienza e Brentano viene accusato da Husserl di una certa forma di psicologismo. Riportiamo di seguito la risposta che Brentano rivolge alle accuse di Husserl: Brentano, F. La classificazione delle attività psichiche, trad a cura di. Pugliesi, M. in Grande Antologia Filosofica, Milano, Marzorati, 1976, vol. 25, pp. 453-454: “La mia teoria della conoscenza è stata accusata di psicologismo, una parola venuta in uso recentemente, a udir la quale qualche pio filosofo, come qualche cattolico ortodosso al nome “modernismo”, si fa il segno della croce, come se questo nome contenesse Satana in persona. Per discolparmi di una così grave accusa, devo domandare che cosa poi s’intende propriamente con questo, perché a ogni momento si ha sempre pronto quel nome, a mo’ di spauracchio, anche dove si tratta di cose assai diverse. Quando per avere una spiegazione pregai personalmente Husserl e alcuni che seguono fedelmente le sue vedute, mi si disse che con ciò s’intende una teoria la quale combatte la validità universale della conoscenza, una teoria secondo la quale altri esseri, che non siano uomini, possono avere conoscenze che sono addirittura opposte alle nostre. Intesa in questo senso, non solo non sono psicologista, ma sempre ho rigettato e combattuto, nella maniera più decisa, un tale assurdo soggettivismo. 24 15 conoscenza dell’io. 1.2.2 La polemica contro lo psicologismo ed il logicismo Nel 189626 Husserl tiene un ciclo di seminari sulla logica che confluirà, in un testo di grande valore, i Prolegomeni, scritto introduttivo che fa parte delle Ricerche Logiche 27. Pubblicate nel 1900-01, le Ricerche Logiche verranno riviste in altre quattro edizioni28 e continueranno a rimanere un termine di riferimento importante della sua produzione filosofica. Esse 26 Come risulta da una lettera di Husserl a Meinong in data 22 settembre 1984 (pubblicata in Philosophenbriefe aus der wissenschaftlichen Korrepsondenz von A. v. Meinong, Graz, 1965, p. 94). Le idee dei Prolegomeni risalgono al 1896; nella prefazione alla seconda edizione delle Ricerche Logiche Husserl scrive infatti. “nel loro contenuto essenziale <sono> una semplice rielaborazione di due serie complementari di lezioni tenute a Halle nell’estate e nell’inverno del 1896”, (Husserl, E. Ricerche Logiche, cit., p. 10). Questa data viene anticipata al 1895 nel progetto di prefazione per la stessa edizione curato da Fink nel 1939, in cui si legge che il contenuto del primo volume è “sostanzialmente, ed in particolare in tutte le sue argomentazioni antipsicologistiche, solo una ripresa di lezioni universitarie dell’estate e dell’autunno del 1895, e con ciò si spiega anche una certa vivacità e libertà di esposizione. Di progettazione nuova fu in realtà soltanto il capitolo conclusivo, il cui contenuto concettuale deriva tuttavia interamente dai più vecchi studi logico-matematici, che non ho più portato avanti dopo il 1894” (Cfr. “Entwurf einer ‘Vorrede’ zu den ‘Logischen Untersuchunge’ 1913”, in Tijdschrift voor Philosophie, 1 febbraio 1939, pp. 106-122 e 2 maggio 1939, pp. 319-339; la citazione riportata si trova a pagina 128). Per una estesa recensione del testo di quelle lezioni, il lettore può consultare i testi: Husserl, E. Logik Vorlesung 1896, Dordrecht, Boston London, Kluwer Academic Publishers, 2001 e Rollinger, R. D. “Husserl’s Elementary Logic”, in Studia Phaenomenologica, 3 (1-2), 2003 pp. 195–213. 27 Il lettore può approfondire il passaggio dalla Filosofia dell’aritmetica alle Ricerche Logiche attraverso degli importanti lavori che Husserl scrisse negli anni ’90 e che sono raccolti nelle pagine italiane di: Husserl, E. Logica, psicologia e fenomenologia. Gli oggetti intenzionali e altri scritti, (a cura di) Besoli, S.; De Palma,V. Genova, il Melangolo, 1999. Almeno fino al 1894 Husserl fu intenzionato a scrivere il secondo volume della Filosofia dell'Aritmetica, che avrebbe dovuto trattare dell'aritmetica generale dei numeri cardinali e dell'uso degli algoritmi aritmetici in altri campi, quindi di temi più generali ed astratti rispetto a quelli del primo volume. Oltre a questo era prevista un'appendice sulla semiotica. Nel periodo 1891-1894 Husserl produsse vari manoscritti legati a questi temi, seguendo anche spunti ripresi dalla teoria degli insiemi sviluppata da Georg Cantor, suo collega a Halle e, come Husserl, allievo di Weierstrass. Tuttavia prevarrà nei suoi studi l’interesse per la logica, intesa come teoria delle teorie ed epistemologia in generale, (cfr. Schuhmann, Husserl-Chronik, pp. 30-42). 28 Le edizioni delle Ricerche Logiche sono quattro. Quella del 1900-01 appare suddivisa in due parti pubblicate separatamente. La prima contiene i Prolegomeni a una logica pura, mentre la seconda comprende tutte e sei le ricerche. La seconda edizione, quella del 1913, doveva essere una completa rielaborazione dell’opera alla quale tuttavia Husserl rinuncia. Il lavoro infatti si rivela troppo vasto e confluisce nelle pagine delle Idee. Nel 1913 quindi escono, in un primo volume, i Prolegomeni, mentre in un secondo volume solo le prime cinque ricerche. La Sesta ricerca viene pubblicata nel 1921 separatamente nella seconda parte del volume. La terza edizione, quella del 1922, è una ripubblicazione dell’opera secondo la forma che aveva assunto nel 1921. Infine la quarta edizione, quella del 1928, è priva del secondo volume, ovvero della Sesta ricerca logica. 16 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza accenderanno un grande dibattito nel campo scientifico29 e subito dopo la loro pubblicazione Husserl otterrà la nomina a professore straordinario presso l’università di Gottinga. Husserl chiama logiche le sue ricerche, perché hanno come obiettivo quello di chiarire il fondamento della disciplina logica. L’analisi filosofica che l’autore conduce in questo testo è volta alla chiarificazione dei fondamenti puri della conoscenza. “Il grande compito – scrive Husserl <è quello> di portare le idee logiche, i concetti e le leggi, alla chiarezza e distinzione dal punto di vista gnoseologico”30. Per assolvere a questo compito, critica in primo luogo due posizioni filosofiche che egli definisce col termine logicista e psicologista. “L’una ritiene che la logica sia una disciplina teoretica, indipendente dalla psicologia e al tempo stesso una disciplina formale dimostrativa. Per l’altra essa rappresenta una tecnologia, dipendente dalla psicologia” 31 . Queste due posizioni sono in parte condivise ed in parte rifiutate da Husserl. Per quel che concerne lo psicologismo, possiamo dire con Piana che “Husserl caratterizza globalmente con questo termine la prospettiva di assorbimento della logica nella psicologia”32. Gli psicologisti utilizzano un metodo che Husserl non condanna in toto, anzi ritiene che il loro modo di intraprendere ricerche relative al fondamento di principi o concetti logici, possa essere fondato. Il principale oggetto di studio per le ricerche logiche deve essere, secondo Husserl, il vissuto psichico dell’io. Anche la fenomenologia, vale a dire il nuovo metodo che l’autore sta elaborando in 29 All’epoca di pubblicazione di quest’opera l’università tedesca era dominata dai rappresentanti delle scuole filosofico-psicologiche che erano state protagoniste della nascita della psicologia come autonoma scienza empirica svincolata dalla filosofia. Queste scuole erano rappresentate a Lipsia da Wundt, a Würzburg da Külpe e a Berlino da Stumpf. In modo particolare gli allievi di Stumpf e Külpe erano portati a far coincidere l’analisi rigorosa delle questioni filosofiche con il metodo sperimentale della psicologia. In questo contesto quindi, la pubblicazione delle Ricerche Logiche da parte di un allievo della scuola di Stumpf, sollevò diverse interpretazioni e critiche, tese ad assimilare il lavoro husserliano con un lavoro psicologico profondamente innovativo. Husserl tuttavia prense le distanze da queste forme di assimilazione e criticò a sua volta i maggiori nomi della cultura accademica del tempo o di coloro che avevano esercitato in Germania un’influenza che sembrava ormai definitivamente acquisita. Filosofi come Wundt, come Sigwart o come Mill venivano direttamente coinvolti nella critica dello psicologismo che Husserl sviluppava fino in fondo e con grande dovizia di argomenti nei Prolegomeni. La reazione di una parte della giovane cultura tedesca di fronte a quest’opera può essere efficacemente compresa attraverso il modo in cui si venne formando intorno a Husserl, passato nel 1901 da Halle a Gottinga, un primo nucleo di studiosi. 30 Husserl, E. Logische Untersuchungen. Erster Teil. Prolegomena zur reinen Logik. Text der 1. und der 2. Auflage, Halle: 1900, rev. ed. 1913, (a cura di) Elmar Holstein, The Hague Martinus Nijhoff, 1975; trad. a cura di Piana, G. Ricerche Logiche, Milano, Saggiatore, 2001, (d’ora in poi useremo in nota l’abbreviazione Ricerche Logiche I). 31 Ivi, p. 7; tr. it. p. 27. 32 G., Piana, introduzione alle Ricerche Logiche, op. cit., p. XIII. 17 queste ricerche, si deve occupare dei vissuti del pensiero e della conoscenza, dei vissuti afferrabili ed analizzabili nell’intuizione, nella loro pura generalità essenziale, e non dei vissuti appercepiti empiricamente come fatti reali. “Essa porta descrittivamente all’espressione pura, in concetti essenziali ed in enunciati essenziali che hanno forma di legge, le essenze direttamente afferrate nell’intuizione essenziale ed i nessi che si fondano puramente nelle essenze”33. In questo senso quindi, Husserl è vicino ad una certa forma di psicologismo, perché egli utilizza il metodo psicologico come uno strumento di chiarificazione dei vissuti psichici della coscienza e dunque dei meccanismi che presiedono alla nostra conoscenza, ma questo metodo non deve essere il solo. Come nota anche Ales Bello, la lotta di Husserl “deve essere interpretata come opposizione a quella impostazione epistemologica che considera la psicologia fondante nei confronti della logica pura o formale” 34 . L’impostazione psicologistica infatti, non è, secondo Husserl, completamente corretta perché riduce tutta l’idealità del concetto logico alla semplice fattualità psichica, perdendo così di vista l’universalità che in esso è racchiusa. “I logici psicologisti non riconoscono le differenze essenziali ed invalicabili tra legge ideale e reale, […] tra necessità logica e necessità reale, tra fondamento logico e fondamento reale”35. Contro l’impostazione di Lipps ad esempio, uno dei rappresentanti di questo metodo, il quale scrive che “la logica è una parte e la psicologia il tutto”36 o ancora che “la logica o è una fisica del pensiero o non è nulla”37, Husserl risponde che la logica possa essere conosciuta a partire dal dato psicologico, ma non coincida con il dato stesso. Se la psicologia fosse la scienza che sta alla base di tutte le scienze, la logica non solo sarebbe una sua parte, ma avrebbe caratteristiche simili a quelle della psicologia; dovrebbe quindi accettare la natura psicologica dei suoi principi ed il loro valore probabilistico. Se infatti il principio di non contraddizione derivasse dall’esperienza, il suo valore sarebbe, secondo il principio di generalizzazione à la Mill 38 , solo altamente probabile e non vero. Secondo Husserl invece, la realtà delle cose dimostra il contrario: “le leggi logiche valgono indipendentemente dalla soggettività (…) e sono possibilità ideali la cui realizzazione dipende dall’effettiva capacità di sussunzione di soggetti in grado di coglierle” 39 . Esistono, quindi, principi di verità che sono veri 33 Ricerche logiche I, p. 3; tr. it. p. 24. Ales Bello, A. Husserl e le scienze, La goliardica , Roma, 1980, p. 59. 35 Husserl, E. Ricerche logiche I, op. cit. p. 68; tr. it. p. 86. 36 Ivi, p. 52; tr. it. p. 70. 37 Ivi, p. 56; tr. it. p. 73. 38 Cfr. Husserl, E. Ricerche logiche I, op.cit., par. 25 39 Husserl, E. Logica, psicologia e fenomenologia, trad. a cura di S. Besoli e V. De 34 18 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza indipendentemente dal fatto che qualcuno li pensi o meno; sta al soggetto indagare il vissuto psichico dell’io per scorgere ed enunciare la verità in esso racchiusa. Scrive Husserl: “Lo psicologismo confonde ideale con reale”40. Dall’altra parte il logicismo pecca di un tipo simile di confusione; esso, diversamente dallo psicologismo, confonde il reale con l’ideale41. Con l’espressione logicismo Husserl indica quei logici, a lui contemporanei, che difendevano l’autonomia della logica dalla psicologia, trovando appiglio nella distinzione kantiana tra logica pura e logica applicata42, che si sviluppa in Herbart e negli herbartiani. Gli errori in cui si imbatterebbe questo gruppo di studiosi, sono “di ridurre la logica al suo contenuto teoretico”43, di dare per assodato l’ideale, senza tentare di mostrare il percorso attraverso il quale è possibile acquisirlo, e di farlo coincidere col normativo. Seppure il logicismo distingua l’idealità dal vissuto psichico, esso cade, secondo Husserl, nell’errore di non considerare il valore del vissuto e quindi di mettere da parte il percorso Palma, Genova, Il Melangolo, 1999, p. 40. 40 Husserl, E. Prolegomeni, op.cit., p. 66; tr. it. p. 84. 41 Si potrebbe dire anche che il logicismo confonda, secondo Husserl, l’ideale col normativo. Il filosofo assume infatti, una posizione di polemica nei confronti del logicismo in modo particolare contro Herbart; scrive: “Gli antipsicologisti sbagliano quando fanno della funzione regolativa della conoscenza, per così dire, la quintessenza delle leggi logiche. Per questa ragione non si è fatto valere come avrebbe meritato il carattere puramente teoretico della logica formale e di conseguenza la sua assimilazione alla matematica formale” (Ricerche Logiche, I, p. 168). Nel par.59 dei Prolegomeni, dopo aver sottolineato l’importanza di Herbart dal punto di vista di una concezione della logica come disciplina pura, non riducibile alla psicologia, Husserl osserva che l’errore fondamentale di Herbart consiste nella definizione del concetto logico attraverso il suo carattere normativo: “Strettamente dipendente da ciò è il fatto che Herbart crede di aver trovato una formula risolutiva quando contrappone la logica come morale del pensiero alla psicologia come storia naturale dell’intelletto. Egli non ha alcuna idea della scienza pura, teoretica, che si cela dietro questa morale (come anche nel caso della morale in senso comune), ed ancora meno dell’ambito e dei limiti naturali di questa scienza e della sua interna unità con la matematica pura” (Ivi, p. 225). Fra i filosofi suoi contemporanei che hanno intravisto l’idea della matematicità della logica, Husserl ricorda i nomi di Lotze e di Riehl (Ivi, p. 80 e p. 178). In Logica formale e trascendentale questo riferimento viene precisato in senso critico: “Furono soltanto dei logici affatto isolati che si misero dalla parte delle tesi dei matematici, ma in fondo essi seguivano piuttosto una sensazione della via giusta, come Lotze, o il pregiudizio della superiorità del punto di vista dei matematici, come è chiaramente il caso di Riehl - più di quanto non cercassero di fondare questa presa di posizione sulla ricerca effettiva” (trad. a cura. di Neri, G. D. in seguito indicata con L.F.T., Roma-Bari, Laterza, 1966, p. 101). A proposito del giudizio di Husserl su Lotze si veda Entwurf, cit., pp. 325-326, e Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, trad.a cura di Filippini, E. in seguito indicata con Idee, Torino, Einaudi, 1965, pp. 836-837. 42 Kant, I. Critica della ragion pura, trad. a cura di Gentile, G. e Radice, L. Roma-Bari, Laterza, 1949, p. 94. 43 Husserl, E. Ricerche logiche I, op. cit., p. 51; tr. it. p. 33. 19 attraverso il quale è possibile dimostrare la verità del contenuto ideale. Scrive Husserl criticando Herbart: ”Gli sfugge il senso dell’idealità vera ed autentica” 44 . Tale senso sfugge perché si svincola totalmente dal soggetto e dai suoi atti. L’ideale non è una legge che si impone al soggetto e non può essere confusa con la norma; ancora di più se la sua realtà non viene provata in nessun modo. Secondo Husserl la logica, a differenza di come la descrivono logicisti e psicologisti, deve essere innanzitutto intesa nei termini di Bolzano (1781-1848) 45 , come una Wissenschafstlehre 46 , ovvero come una scienza delle scienze. Essa deve essere “una scienza puramente teoretica, che formi il più rilevante fondamento di ogni tecnologia47 della conoscenza scientifica e possegga il carattere di una scienza apriori e puramente dimostrativa. Si tratta di quella scienza a cui tendevano Kant e gli altri sostenitori di una logica ‘formale’ o ‘pura’, ma che non è stata da loro correttamente definita”48. Per fondare la sua idea di scienza logica, Husserl critica ed armonizza insieme le due posizioni. Condivide con i ‘logicisti’ l’idea di una logica pura ed autonoma e critica l’atteggiamento psicologista di ‘appiattire’ al livello pratico ogni scienza teoretica 49 . Come gli ‘psicologisti’, ritiene necessaria l’esistenza di una ‘logica pratica’ che non 44 Husserl, E. Ricerche Logiche, op. cit. ,p. 219; tr. it. p. 225. In merito a ciò scrive Husserl: “L’opinione di Rickert che Bolzano fosse uno studioso ben noto e molto utilizzato in Austria, dove avrebbe esercitato una vasta influenza, è un’invenzione priva del minimo fondamento, come del resto tutto ciò che dice su Brentano, su di me e sui nostri rapporti con Bolzano. A che punto stessero le cose, a proposito dell’influenza di Bolzano, risulta già dal fatto che ancora intorno al 1901 l’edizione originale della Wissenschaftslehre del 1837 era invenduta e l’edizione parziale di Braumüller del 1884 aveva preso la via dell’antiquariato ad un prezzo irrisorio - poco prima che la mia riscoperta della sua importanza attirasse su di essa l’attenzione di tutti» (Husserl, E. Entwurf, cit., p. 129, nota). 46 Husserl, E. Ricerche Logiche I, op. cit., p. 226; tr. it. p. 230. 47 A proposito del termine Kunstlehre è opportuno notare che esistono due traduzioni di questo termine: tecnologia e disciplina tecnica. La prima, introdotta da Giovanni Piana, con la traduzione delle Ricerche Logiche segue quella francese (technologie) di Hubert Élie, Arion L. Kelkel e René Schérer (1959-63). Questa traduzione, a nostro avviso, rispetta il rapporto di dialogo che Husserl stesso instaura con Kant nei Prolegomeni (cap. II par. 13) per quel che concerne la distinzione tra logica tecnica e logica applicata. Nel 2002 invece, in occasione della traduzione delle lezioni etiche del 1914, è stata introdotta da Paola Basso e Paolo Spinicci la traduzione di ‘disciplina tecnica’, che sembra rispettare in misura maggiore il tedesco, nella differenza tra Tecnologie e Kunstlehre. Questa traduzione è stata seguita anche da F. S. Trincia e N. Zippel nella traduzione recentissima (2009) del volume delle Einleiitung (opera citata per esteso in bibliografia). Preferiamo tuttavia utilizzare nel nostro testo la traduzione di Piana, rispettando il confronto con Kant che Husserl stesso ha stabilito nel momento di introduzione di questo termine. 48 Ivi, p. 8; tr. it. p. 28. 49 Ivi, p. 30; tr. it. p. 49. 45 20 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza coincida con la logica applicata intesa in senso kantiano, ovvero con “la regolamentazione dell’uso dell’intelletto nelle condizioni accidentali del soggetto”50, ma che consista in una vera e propria ‘pratica della logica’51. Ritiene infatti che “anche la logica che si pretende pura abbia il suo senso autentico nel suo essere una disciplina teoretica, astratta che fonda […] una tecnologia”. Questa tecnologia o “logica, appunto in senso comune, pratico” 52 non deve essere intesa come una parte della psicologia, ma come una disciplina che trova “nella logica pura uno dei suoi fondamenti”53. Gli antipsicologisti sbagliano quando fanno della funzione regolativa della conoscenza, per così dire, la quintaessenza delle leggi logiche. Per questa ragione non si è fatto valere come avrebbe meritato il carattere puramente teoretico della logica formale e di conseguenza la sua assimilazione alla matematica formale […]. Dalla parte opposta gli psicologisti sbagliano quando […] trascurano la fondamentale differenza tra le norme puramente logiche e le regole tecniche di un’arte del pensiero specificatamente umana.54 La logica è quindi, secondo Husserl, una disciplina che presiede ad ogni conoscenza dell’io. Essa è una scienza che non consiste solo nel suo livello puro, né in quello solamente empirico, ma si articola su di un triplice livello: puro, normativo e tecnologico. Il livello puro si costituisce, secondo Husserl, grazie ad un nesso di fondazione teoretico, ovvero ad un’unità omogenea che mette insieme tutte le verità essenziali e pure della coscienza 55 . Esso a sua volta, funge da nucleo fondativo per il secondo livello della scienza, quello nomologico o normativo, che ha a 50 Ibid. Cfr. Ivi, par. 13. 52 Ivi, p. 38; tr. it. p. 54. 53 Ivi, p. 38; tr. it. p. 55. 54 Ivi, pp. 157-159, tr. it. pp. 168-9. 55 Ivi, p. 231; tr. it. p. 238: “Cosa fa sì – si domanda Husserl - che una scienza sia scienza? Un certo nesso obiettivo ed ideale (…). Il nesso delle cose alle quali si riferiscono intenzionalmente i vissuti del pensiero, oppure il nesso della verità”;Ivi, p. 14; tr. it. pp. 33-34: “La scienza intende darci una molteplicità del sapere, ma non una mera molteplicità. Anche l’affinità delle cose non produce ancora la sua unità peculiare nella molteplicità del sapere. Un gruppo di conoscenze chimiche non consentirebbe certo di parlare di una scienza chimica. Evidentemente si richiede qualcosa di più, si richiede, cioè, il nesso sistematico in senso teoretico, ed in questo consiste la fondazione del sapere e quindi anche la concatenazione ed il coordinamento del succedersi delle fondazioni. All’essenza della scienza inerisce dunque l’unità del nesso di fondazione, nel quale ricevono un’unità sistematica, insieme alle singole conoscenze, le stesse fondazioni e con queste anche le complessioni superiori di fondazioni che chiameremo teorie”. 51 21 che fare con la sfera delle leggi che regolano i processi di conoscenza. In ultimo, il livello tecnologico consiste nell’applicazione pratica dei principi della scienza. Questi tre livelli sono concepiti come interconnessi tra loro e allo stesso tempo separati. Il livello teoretico è infatti pienamente separato ed autonomo rispetto agli altri; la forma di dipendenza avviene, per così dire, ‘dal basso’. Il fondamento razionale della scienza risiede, secondo Husserl, in una regione della nostra persona, che è uguale in ognuno di noi e che può essere definita e conosciuta attraverso la sua vita intenzionale 56 . Questa regione è la coscienza ed essa è caratterizzata, oltre che dalla propria vita intenzionale, dalla propria costituzione puramente razionale. Con ciò dobbiamo tuttavia riconoscere che, nonostante l’individuazione del concetto di coscienza, Husserl non risolve la questione relativa alla fondazione della logica, anzi, pone ulteriori problemi: perché la coscienza husserliana non dovrebbe corrispondere alla coscienza psichica? Perché essa dovrebbe essere una dimensione puramente razionale? Questi interrogativi, a nostro parere, rimangono aperti e saranno per Husserl uno stimolo continuo alla chiarificazione. Con le Ricerche Logiche Husserl ha aperto una nuova strada verso cui sviluppare il dibattito, un percorso che unisce in qualche modo entrambe le correnti. In queste pagine infatti, descrive la logica come una disciplina che ha la sua origine nella coscienza pura di un soggetto e mostra come, per elaborare conoscenze scientifiche, non si possa prescindere dallo studio della soggettività psichica. Accetta quindi da un lato la possibilità che esistano verità ideali che fondano il piano normativo e tecnologico della scienza e dall’altro riconosce che queste possano essere individuate attraverso l’analisi psicologica. La coscienza, in quanto unità di conoscenze che risiede in ogni uomo, è il centro di quelle verità assolute che, per natura, si danno in modo evidente al vissuto del 56 Per vita intenzionale si può intendere il tipo di rapporto che la coscienza instaura con la realtà. Husserl così la spiega: “L’intenzionalità è ciò che caratterizza la coscienza in senso pregnante e consente nello stesso tempo di indicare l’intera corrente dei vissuti come corrente di coscienza e come unità di un’unica coscienza” (Idee I, p. 209). Come è noto, l'intenzionalità è originariamente un concetto della filosofia scolastica e fu reintrodotta nella filosofia contemporanea da Brentano nella sua opera Psychologie vom Empirischen Standpunkte. Con l'intenzionalità della coscienza o della mente si intende l'idea che la coscienza sia sempre diretta ad un oggetto, che abbia sempre un contenuto. Brentano definì l'intenzionalità come la caratteristica principale dei fenomeni psichici (o mentali), tramite cui essi possono essere distinti dai fenomeni fisici. Ogni fenomeno mentale, ogni atto psicologico ha un contenuto ed è diretto a qualche cosa (l' oggetto intenzionale). Ogni credere, desiderare etc. ha un oggetto: il creduto, il desiderato. Per Husserl invece intenzionale è la caratteristica degli atti della coscienza più che dei contenuti verso cui essa è diretta. Tramite le opere di Edmund Husserl, che riprese la nozione da Brentano, l'idea di intenzionalità penetrò nella ricerca contemporanea, sia nella filosofia continentale che nella filosofia analitica. 22 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza soggetto conoscente e che gli consentono di acquisire una conoscenza scientifica del reale. Riducendo al massimo i termini del discorso, possiamo dire che per Husserl la scienza ha la sua origine nella coscienza e questa origine può essere chiarita attraverso un’analisi à rebours del vissuto psichico. “La fondazione gnoseologica, o meglio fenomenologica, della logica pura”57 si compie attraverso “una fenomenologia pura dei vissuti del pensiero e della conoscenza. Quest’ultima […] si occupa solo dei vissuti afferrabili ed analizzabili nell’intuizione”58. Con questo scritto l’autore mette in discussione “l’eredità filosofica del passato e spiana il terreno per un nuovo campo e un nuovo stile di ricerca”59 ed il suo impatto è tale da scatenare da subito le critiche sia degli psicologisti che dei logicisti. Il maestro Brentano, infatti, non accetta la dedica che Husserl gli rivolge in apertura del testo, perché sostanzialmente non si riconosce nel contenuto del suo lavoro60. Dall’altro canto Frege 61 , che pure aveva ispirato Husserl nella 57 Husserl, E. Ricerche Logiche I, op. cit. p. 3; tr. it. p. 369. Ivi, p. 3; tr. it. p. 268. 59 Piana, G. I problemi della fenomenologia, Milano, Mondadori, 1966, p. 25. 60 Brentano non riconobbe mai le ricerche svolte da Husserl come uno sviluppo delle proprie idee. In una lettera del marzo 1907 diretta ad Hugo Bergmann, Brentano riferisce ironicamente su una visita che Husserl gli aveva fatto in quel tempo: “Mi ha subissato di assicurazioni della sua gratitudine e della sua stima, dicendo che gli avrei fatto torto se avessi creduto alle malelingue. Ha detto anche che rassicura sempre la gente che in realtà io non sono da annoverare tra gli psicologisti - con la qual cosa si direbbe che egli pensi di togliermi di dosso un vergognoso sospetto”, (Briefe Franz Brentanos an Hugo Bergmann, in Philosophy and Phenomenological Research, 7, 1946-47, p. 93.). In un’altra lettera allo stesso Bergmann, nell’ottobre 1908 egli trova le teorie di Husserl «astruse» ed osserva che «non in ogni punto gli è chiaro che cosa voglia propriamente Husserl» (Ivi, p. 120). 61 Il rapporto tra Husserl e Frege è stato oggetto di lunghi ed accesi dibattiti nella letteratura secondaria sui due autori. Questo non è affatto una sorpresa, visto che sono stati considerati tra i padri fondatori delle due correnti filosofiche principali della seconda metà del XX secolo: la filosofia continentale e la filosofia analitica. Husserl e Frege hanno tenuto una corrispondenza breve, ma molto franca ed amichevole e le Grundlagen der Arithmetik (Grundlagen der Arithmetik. Eine logisch mathematische Untersuchung über den Begriff der Zahl, Breslau, Koebner, 1884) di Frege sono l'opera più citata nella Filosofia dell'Aritmetica di Husserl. Questo rende particolarmente interessante il rapporto tra i due negli anni ‘90 del XIX secolo. Nel 1894 Frege pubblicò una recensione abbastanza dura della Filosofia dell'Aritmetica di Husserl, in cui lo accusava di far diventare tutto mera Vorstellung, rappresentazione mentale, e quindi di far cadere la logica e la matematica vittime dello psicologismo. Una nota linea interpretativa poi insiste su questa recensione, riconoscendo in essa l'origine dell’ antipsicologismo di Husserl, mostrato poi chiaramente nei Prolegomeni. Frege effettivamente avrebbe "curato" il giovane Husserl dal suo psicologismo. Tuttavia anche in merito a questa linea interpretativa vi sono numerosi dibattiti (si veda ad esempio: Mohanty, J. The Development of Husserl’s Thought in Smith, B., Smith, D. H. ed. The Cambridge Companion to Husserl. Cambridge, Cambridge University Press, 1995. Per ulteriori 58 23 composizione delle Ricerche Logiche con il suo i Fondamenti dell’aritmetica (1884), gli rimprovera una confusione dei piani. Secondo Frege62, infatti, Husserl cade, già in Filosofia dell’Aritmetica, nell’errore di confondere il piano psicologico con quello logico, e questa confusione gli impedirebbe di cogliere la natura della verità stessa. Secondo Frege infatti si concentra esclusivamente sul piano di formazione psicologica del concetto, piuttosto che sulla verità logica dello stesso. Nei lavori successivi Husserl, riflettendo sulle critiche, proverà a chiarire a se stesso e agli altri la portata della sua invenzione63. Prima di procedere però, nell’analisi dei suoi tentativi di chiarificazione, vale la pena mettere in evidenza una domanda di rilievo che qui rimane ancora aperta e che verrà trattata nel paragrafo successivo, ovvero quale ruolo gioca la fenomenologia nel progetto delle Ricerche Logiche? Nella prima edizione delle Ricerche Logiche essa ha ancora una posizione molto marginale; è infatti ancora un metodo di analisi attraverso il quale il commentari alla recensione, vedesi Willard, D. Logic and the Objectivity of Knowledge, Athens, Ohio University, 1984, p. 63; Philip Miller, J. “Numbers in Presence and Absence”, in Phaenomenologica, 90, The Hague, Nijhoff, 1982, p. 19 e Mohanty, J. “Husserl, Frege and the Overcoming of Psychologism” in Phaenomenologica, 95, Dordrecht/Boston/Lancaster, Nijhoff, 1984, p. 145). Husserl già anni prima della pubblicazione della Filosofia dell'Aritmetica aveva formulato chiaramente la sua posizione sulla distinzione dei numeri come entità ideali ed oggettive della rappresentazione mentale, che noi ne possiamo avere tramite i simboli delle scienze formali. Già fin dalla sua Habilitationsschrift (1887) aveva iniziato a muoversi oltre la posizione di Brentano e Stumpf, separando nettamente il contenuto logico e psicologico delle rappresentazioni. La critica di Frege manca per molti versi il segno e dal 1894 Husserl verrà influenzato molto più fortemente dalla lettura dell'opera di Twardowski e Bolzano, che non da Frege. Infatti Husserl dichiarò di essere indebitato soprattutto a Leibniz, Bolzano, Hume e Lotze (K. Schuhmann, Husserl-Chronik, op. cit., p.25-26) per lo sviluppo della sua posizione sulle scienze formali e sull'idealismo. 62 Frege, G. Alle origini della nuova logica. Carteggio scientifico con Hilbert, Husserl, Peano, Russel, Vailati e altri, trad. (a cura di) Obwexer, A. M. Torino, Boringhieri, 1983; Frege, G. I fondamenti dell’aritmetica, trad. a cura di Geymonat, L. e Mangione, C. in Logica ed aritmetica, Torino, Boringhieri, 1965, p. 255. 63 Perfino in una lettera a Löwith del 1937 (un anno prima della sua morte) Husserl continuerà a chiarire il suo progetto fenomenologico e a lamentarsi dell’incomprensione che esso ancora continua a generare: «Forse Lei comprenderà che Scheler, Heidegger e così tutti gli ‘allievi’ di una volta, non hanno compreso il senso vero e profondo della fenomenologia - il suo senso trascendentale che è l’unico possibile - e tutto ciò che esso implica. Certo, non è facile impossessarsi di questo significato, ma io credo che valga la pena di tentare. Forse Lei riuscirà a comprendere che io, non per ostinazione, ma seguendo un’intima necessità, ho percorso da solo il mio cammino per così tanti anni - un cammino che io sostengo in una nuova dimensione di domande e di risposte - e per quale motivo abbia ritenuto che l’oscuro misticismo della filosofia esistenziale alla moda e del relativismo storicistico, con la sua pretesa superiorità, sono il fiacco fallimento di un’umanità divenuta priva di forze, che si è sottratta all’enorme compito che il crollo dell’ ’età moderna’ nella sua totalità poneva ad essa e che ancora pone: a noi tutti!” (Löwith, K. Eine Erinnerung an Husserl, in Edmund Husserl, 1859-1959, L’Aia 1959, pp. 49-50.) 24 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza ricercatore può addentrarsi nelle verità logiche della coscienza. La fenomenologia costituisce un campo di indagini neutrali nel quale si radicano le diverse scienze. Da un lato essa serve alla psicologia come scienza empirica. […] Dall’altro lato […] dischiude le fonti dalle quali 64 scaturiscono i concetti fondamentali e le leggi ideali della logica pura . Essa caratterizza un campo specifico di ricerche e allo stesso tempo fornisce un supporto di analisi utile sia alla psicologia che alla logica. 1.2.3. L’idea di scienza e di fenomenologia Negli scritti husserliani successivi alle Ricerche Logiche, l’idea di fenomenologia si sviluppa ed assume una fisionomia più autonoma rispetto alla logica; per dimostrarlo possiamo fare riferimento ad un ciclo di cinque lezioni, tenute a Gottinga tra il 26 aprile ed il 2 maggio 1907, pubblicate col titolo l’Idea della fenomenologia (1907)65e ad un articolo, Filosofia come scienza rigorosa (1910-11)66, scritto da Husserl su invito del neokantiano Rickert per la rivista Logos. Nel primo testo Husserl, confrontandosi col metodo cartesiano 67 e con quello humiano, affronta nuovamente il problema del fondamento della conoscenza scientifica e lo risolve, questa volta, attraverso la scienza fenomenologica, usata non più come semplice metodo, ma come vero e proprio strumento scientifico. Il concetto chiave che egli introduce in queste lezioni, per giustificare il ruolo della nuova scienza fenomenologia, è quello dell’epoché. Husserl si domanda in sostanza: come posso conoscere in modo certo qualcosa che è fuori di me? È possibile avvicinarsi ad una conoscenza certa del reale? Senza rinunciare all’assunto humiano, secondo il quale ogni conoscenza ha origine a partire da principi assolutamente soggettivi, come è possibile arrivare ad una conoscenza certa, universale di ciò che è fuori di me e che perciò ancora non posseggo? Ancora, senza mettere da parte l’assunto kantiano, secondo il quale esiste un centro di unificazione delle nostre rappresentazioni, 64 Husserl, E. Ricerche Logiche I, op. cit. p. 3; tr. it. p. 268. Husserl, E. Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, (a cura di) Biemel, W. The Hague, Nijhoff, 1973; L'idea della fenomenologia, trad. a cura di Sini, C. Roma-Bari, Laterza, 1992, (d’ora abbrevieremo con Idea della Fenomenologia e per le indicazioni complete rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo). 66 Husserl, E. Aufsätze und Rezensionen (1890-1910), (a cura di) Rang, B., The Hague, Martinus Nijhoff, 1979; La filosofia come scienza rigorosa, trad. a cura di Sinisgaglia, C. Roma- Bari, Laterza, 1994, (d’ora abbrevieremo con Filosoia come scienza rigorosa e per le indicazioni complete rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo). 67 Sul rapporto tra Husserl e Cartesio si veda, tra gli altri, Landgrebe, L. “Il distacco di Husserl dal cartesianesimo”, in Itinerari della fenomenologia, trad. a cura di Piacenti, G. Torino, Marietti, 1974. 65 25 identico in ognuno di noi, che ci permette di rappresentare e di conoscere dati che sono uguali per tutti, come è possibile dimostrare l’esistenza di questo ‘io penso’ senza cadere in posizioni psicologistiche? Le soluzioni che sembrano profilarsi sul cammino husserliano sono due: o la conoscenza può essere solo altamente probabile, perché sempre legata all’esperienza psichica dell’io (e quindi la trascendenza rimane una ‘x’ inconoscibile, perchè per spiegarla si è costretti ad utilizzare funzioni indimostrabili e facilmente interpretabili in un senso psicologico), oppure il mistero della trascendenza può essere in qualche modo risolto. La strada che Husserl segue per risolvere il “mistero della conoscenza”68, come lo definisce in Idea della fenomenologia, si presenta come una via di mezzo tra queste due possibili soluzioni e per percorrerla si avvale del metodo cartesiano, ovvero dell’epoché, atto attraverso il quale è possibile mettere tra parentesi la realtà. L’epoché consiste in sostanza, in una radicale messa in questione di tutta la realtà; la sua finalità è quella di sottoporre all’esame del dubbio tutte le verità che diamo per ovvie, così da riacquisirle solo dopo aver dimostrato il loro indubbio valore. Per conoscere in modo indubitabile il filosofo ha bisogno di partire da un principio vero ed assolutamente provabile. In una pagina di diario del 25 settembre 1906 Husserl scrive: “Ho bisogno di chiarezza, di un’intima solidità da cui partire (…) se voglio dirmi veramente filosofo”. Il filosofo Husserl dunque, attraverso il percorso già tracciato nelle Meditazioni di Cartesio69 perviene ad un principio di verità assolutamente puro, quello dell’io sono. Qualora, infatti, io decida di mettere in discussione tutto, di mettere in epoché tutta la realtà, perfino la terra che calpesto sotto i miei piedi o le mani che vedo qui ed ora davanti a me, il mio dubbio non può resistere alla verità del mio pensare dubitante. Posso dubitare su tutto, ma non sul fatto che io stesso, in questo stesso momento sto dubitando. E dunque la verità del mio essere, di me in quanto res cogitans, diviene un principio di verità irrinunciabile per qualunque acquisizione scientifica. La trascendenza del mondo va cercata nel contenuto di pensiero di questa res, che deve essere pensata non più come qualcosa di individuale e psicologico, né come qualcosa di inconoscibile in sé, ma come un punto di verità soggettivo ed universale. “Le cogitationes 68 Idea della fenomenologia, p. 23; tr. it. p. 40. L’inizio delle Meditazioni (Cartesio, R. Meditazioni metafisiche, trad. a cura di Garin, E. Bari, Laterza, 2000, p. 32), descrive perfettamente l’atteggiamento che Husserl ritiene necessario per porre in atto l’epoché. Citiamo qui le primissime righe a cui facciamo riferimento: “Già da qualche tempo mi ero accorto che, sin dai miei primi anni, avevo accolto per vere molte opinioni false, e che ciò che poi avevo costruito su principi tanto malfermi, non poteva essere che assai dubbio ed incerto. Mi ero proposto quindi di cercare seriamente, almeno una volta nella vita, di disfarmi di tutte le opinioni a cui avevo sino ad allora prestato fede, e di ricostruire ogni cosa dalle fondamenta, se pure volevo stabilire qualche cosa di certo e di stabile nelle scienze.” 69 26 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza rappresentano una sfera di datità assolute ed immanenti […] Nel guardare il puro fenomeno, l’oggetto non è fuori della conoscenza, fuori dalla ‘coscienza’” 70 La cogitatio infatti, secondo Husserl, caratterizza egualmente ogni essere umano ed essa è lo strumento attraverso il quale introiettiamo in noi stessi il mondo, riducendo la distanza tra la sua trascendenza e la nostra immanenza. L’io come persona, come cosa del mondo, ed il vissuto come vissuto di questa persona […] sono trascendenze, e come tali sono gnoseologicamente zero. Solo attraverso una riduzione, che noi vogliamo appunto chiamare una riduzione fenomenologica, conseguo una datità assoluta che non presenta nulla di ciò che è 71 trascendenza Attraverso l’analisi dell’atto del pensare e del suo contenuto possiamo conoscere come il mondo è per ognuno di noi. Al filosofo infatti, secondo Husserl, non interessa conoscere il trascendente come è in sé, perché esso esiste sempre in funzione di una soggettività che lo coglie, nel caso specifico una soggettività umana. Dunque, in queste lezioni la fenomenologia a che cosa serve e che cosa diviene? La fenomenologia acquisisce la dignità di una vera e propria scienza. Essa infatti diviene quella forma di approccio filosofico capace di indagare l’atto del pensare, arrivando all’origine dei suoi contenuti e mostrando la loro verità. Essa “procede per sguardi chiarificatori, determinazioni di senso e distinzioni di senso […]. Tutto ciò entro il puro guardare” 72 . ”La fenomenologia diviene “scienza dei puri fenomeni”73, ovvero scienza dei contenuti e degli atti del pensiero. Grazie all’epoché il mondo intero è ridotto a pure essenze contenute nel puro pensiero, nel puro vissuto dell’io: la fenomenologia è quella scienza che analizza a ritroso i fenomeni che si danno (Gegebenheiten, datità le chiama infatti Husserl) incessantemente alla coscienza. In questo modo si mette “saldamente piede sulla nuova terra” della fenomenologia: occorre però evitare di finire in balia delle “bufere dello scetticismo” 74. Con l’introduzione dell’epoché Husserl non risolve totalmente la deriva scettica a cui la sua impostazione lo induce. La definizione dell’epoché è infatti particolarmente problematica nella fenomenologia husserliana (intorno ad essa si è sviluppata una grande quantità di studi critici)75 e difficilmente si riesce a chiarire sino in fondo come si possa 70 Husserl, E. Idea della fenomenologia, op. cit., p. 43; tr. it. p. 92. Ivi, p. 44; tr. it. p. 93. 72 Ivi, p. 58; tr. it. p. 115. 73 Ivi, p. 55; tr. it. p. 112. 74 Ibid. 75 Per chi voglia approfondire ed avere allo stesso tempo una visione di insieme su 71 27 passare da uno stato psicologico dell’io ad uno puro e trascendentale. Tuttavia si è ritenuto necessario accennare qui alla sua funzione, per spiegare come Husserl giustifichi il passaggio da una filosofia fenomenologica, intesa semplicemente come metodo, ad una filosofia, intesa come scienza vera e propria. La fenomenologia diviene, oltre che metodo, anche scienza, perché poggia su un fondamento di verità assolutamente solido, l’“io penso”, acquisibile appunto attraverso l’epoché. La fenomenologia è, in quanto scienza una ‘ricerca d’essenza’ (Wesensforschung), perché chiarifica i contenuti e gli atti di tale pensiero. In Filosofia come scienza rigorosa (1910-‘11) Husserl ribadisce queste scoperte. Proseguendo la sua polemica contro lo psicologismo (che viene assimilato qui anche ad una forma di naturalismo) ed assumendo posizioni contrarie anche nei confronti dello storicismo, Husserl presenta la filosofia fenomenologica come l’unica che possa essere definita una scienza rigorosa. “Naturalisti e storicisti – scrive Husserl – lottano per la Weltanschauung, ma in realtà entrambi contribuiscono a travisare le idee in meri fatti e a trasformare l’intera realtà e l’intera vita in un miscuglio incomprensibile di fatti privi di idee”76. In questo testo Husserl, similmente a come aveva scritto nelle Ricerche Logiche, critica anche la posizione filosofica dello storicismo, in modo particolare quello di Dilthey77. Pur apprezzando, ancora una volta, quell’atteggiamento filosofico che parte dal dato reale, critica tuttavia il risultato: la verità non può perdersi nel particolare di un singolo fatto, naturale o storico. Usando le parole di Lotze Husserl scrive: “Calcolare il corso del mondo non significa comprenderlo” 78 . L’errore di storicisti e naturalisti consiste nel fermarsi al puro fatto naturale, psicologico o questo tema, la cui letteratura critica sembra ormai sconfinata, consigliamo gli articoli contenuti in Alter, 11, 2003; per altri riferimenti critici rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo. 76 Husserl, E. Filosofia come scienza rigorosa, op. cit., p. 97. 77 Husserl osserva che la filosofia di Dilthey non è che una forma inconseguente di scetticismo. Essa pensa di potersi sottrarre alle assurdità scettiche e di proporsi anzi come filosofia scientifica sottraendo incoerentemente alla riduzione storicistica il patrimonio di conoscenze delle scienze positive, attribuendo ad esso il senso di una verità oggettiva; e teorizzando una nozione di filosofia su di esso fondato e dal quale la filosofia potrebbe attingere la propria validità. La filosofia priva di questo fondamento deve essere criticata come priva di un fondamento in genere. Le assurdità scettiche vengono così evitate e aggirate ma solo cadendo in una nuova inconseguenza: la critica della filosofia che la contrappone scetticamente all’oggettività della scienza intacca in realtà il senso di scientificità della scienza stessa. Anche lo storicismo di Dilthey può alla fine - secondo Husserl - essere riportato a premesse psicologistiche: lo storicismo conseguente non può ammettere alcuna emergenza dell’idea rispetto ai fatti, così come lo psicologismo non vuole riconoscere l’emergenza dell’idealità dei concetti logici rispetto alla realtà psicologica del pensiero. Ciò che hanno in comune è la “superstizione del fatto”. 78 Husserl, E. Filosofia come scienza rigorosa, op. cit., p. 9. 28 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza storico, e nel far assurgere esso come strumento di spiegazione del reale. Questo modo di intendere il pensiero porta il filosofo a perdersi nei particolarismi e a non vedere il senso generale ed il significato complessivo delle cose. Per questo, la fenomenologia deve essere una filosofia che ricerca le essenze (o contenuti puri dei vissuti della coscienza) e che, partendo dai semplici dati di fatto, analizza l’essenza che si cela in essi per portare alla luce il loro significato generale. “La pura fenomenologia, in quanto scienza […], può essere soltanto ricerca d’essenza” 79 e per essenza Husserl intende il dato originario che viene pensato dalla res cogitans, dalla coscienza. “La ricerca deve mirare ad una conoscenza scientifica dell’essenza della coscienza, a ciò che la coscienza stessa è in base alla sua essenza in tutte le sue forme distinguibili e, nello stesso tempo, […] a ciò che essa significa, […] ai differenti modi in cui, in conformità all’essenza di queste forme, essa intende”80. La ricerca d’essenza è in sostanza, per Husserl, duplice perché essa studia l’essenza, ovvero il dato originario della coscienza, ed il modo in cui questo dato viene recepito da essa. Quindi il compito della ricerca fenomenologica è quello di studiare i diversi “tipi di coscienza”81 e le diverse forme con cui il dato appare ad essa. Dal confronto tra Idea di Fenomenologia e Filosofia come scienza rigorosa, quindi, è emerso che:  l’idea di fenomenologia diviene da semplice metodo una filosofia scientifica;  la coscienza viene intesa come sostanza pensante da un duplice punto di vista: come sostanza che pensa e contiene il dato pensato in diversi modi;  la polemica di Husserl contro quello che egli definisce psicologismo si estende anche al campo dello storicismo. Queste conclusioni sono importanti ai fini della nostra ricerca perché:  l’idea husserliana di etica verrà a costruirsi proprio all’interno dell’idea di fenomenologia82; 79 Husserl, E. Filosofia come scienza rigorosa, op. cit., p. 61-62. Ivi, p. 26. 81 Ibid. 82 Se infatti l’idea di fenomenologia nasce da quest’ansia filosofica di chiarezza che porta Husserl ad intraprendere una radicale analisi dell’idea di ragione, la scienza filosofica e la scienza etica crescono per lo più di pari passo, perché entrambe derivano dalla chiarificazione della loro radice razionale. In una pagina di diario del 1905, già citata nel testo, Husserl pone alla base della sua esigenza filosofica di chiarezza una parallela indagine della ragione logica e pratica: “In primo luogo nomino il compito generale che devo risolvere per me se voglio chiamarmi filosofo. Intendo una critica della ragione logica e pratica, di ciò che in generale ha valore. Io non posso veramente e veracemente vivere senza venire i chiaro in linee generali sul senso, l’essenza, i metodi, i punti di vista fondamentali di una critica della ragione, una critica della ragione logica e pratica, di ciò 80 29  il progetto di fondare una scienza etica infatti, sarà possibile proprio in virtù di una coscienza puramente razionale;  infine l’esigenza di fare dell’etica una scienza sarà frutto della vis polemica di Husserl nei confronti di quelle correnti che egli chiama: psicologismo, naturalismo, storicismo e logicismo. Tuttavia, prima di presentare il progetto etico e scientifico husserliano, soffermiamoci su un ultimo testo a cui il filosofo stesso rimanda all’inizio delle lezioni etiche del 1914, il volume primo delle Idee (1913)83. 1.2.4. L’etica e la scienza fenomenologica Le Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica è un testo che esce in tre volumi. Il primo, quello a cui faremo riferimento in questo paragrafo, viene pubblicato nel 1913 84 e nasce principalmente dalla necessità di Husserl di sistematizzare e chiarire i risultati di dieci anni di studi. Scrive Franzini: “Idee I […] è un ponte metodologico e prospettico, che copre più di un decennio del pensiero husserliano sistematizzandone alcuni aspetti e lavorando per un’uniformità terminologica”85. Così Husserl apre questo volume: La fenomenologia pura alla quale vogliamo qui accedere, della quale vogliamo caratterizzare la posizione peculiare rispetto a tutte le altre scienze, e che vogliamo dimostrare essere la scienza fondamentale della filosofia, è una scienza essenzialmente nuova […] lontana dal modo naturale di pensare. […] Essa si dice scienza 86 di fenomeni. “Da dieci anni a questa parte – continua Husserl – filosofi e psicologi tedeschi parlano spesso di fenomenologia [credendosi d’accordo con le Ricerche Logiche, concepiscono la fenomenologia come grado che in generale ha valore”. 83 Husserl, E. Ideen zu einer reinen Phänomenlogie und phänomenlogischen Philosophie., (a cura di) Biemel W. The Hague, Martinus Nijhoff Publishers, 1950; Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, trad. a cura di Costa, Torino, V. Einaudi, 2002, vol. 2, (d’ora in poi abbreviato con Idee). 84 Le Idee vennero pubblicate nel 1913, in occasione della stampa del primo volume dello Jahrbuch für Philosophie und phänomenologishe Forschung, fondato dallo stesso Husserl. Vi furono altre due edizioni di questo volume, mentre Husserl era ancora in vita (nel 1922 e nel 1928), pubblicate dall’editore Max Niemeyer. In entrambe le ristampe non sono presenti cambiamenti rilevanti. In Italia la prima traduzione si ha nel 1950 a cura di Giorgio Alliney. Per una visione più ampia della storia editoriale di questo volume rimandiamo il lettore a. Costa, V. Sulla storia editoriale di Idee I e sui criteri di questa edizione, in Idee I, op. cit., pp. LIII-LVII. 85 Husserl, E. Idee I, op. cit., p. XXIII. 86 Ivi, p. 3; tr. it. p. 1. 30 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza preliminare della psicologia empirica]” 87 . Nelle Ricerche Logiche la fenomenologia era solamente abbozzata e questo aveva dato adito, secondo l’autore, ad interpretazioni lontane dal vero senso di questa scienza88; l’intento di questo volume è di riportare la fenomenologia al suo vero significato, seppure, lo anticipiamo ora, Husserl non riuscirà mai 87 Ivi, p. 2; tr. it. p. 1. Dopo la pubblicazione di questo testo nacquero due circoli di studiosi: quello di Monaco e di Gottinga (entrambi nel tempo non verranno riconosciuti da Husserl come parti della propria corrente di pensiero). Di fronte alla pubblicazione di quest’opera la reazione di una parte della giovane cultura tedesca fu molto forte. In quegli anni all’università di Monaco esisteva già intorno a Theodor Lipps un attivo gruppo di ricerca psicologica che operava in modo organizzato sotto il nome di Akademisch Psychologischer Verein. Ora, la critica di Husserl che coinvolgeva direttamente anche l’indirizzo di Lipps, gettò lo scompiglio all’interno del gruppo. Lipps fu costretto a difendersi, ma lo fece con scarso successo. L’episodio cruciale di questa crisi fu il viaggio che Johannes Daubert, uno dei più promettenti allievi di Lipps, compì da Monaco a Gottinga. Il colloquio avuto con Husserl in questa occasione fu decisivo per le sorti del gruppo di Monaco: «Fu probabilmente in seguito a questo colloquio che Husserl stesso nel luglio 1904 si recò a Monaco, rivolgendosi al circolo riunito. Da questo momento in poi, con crescente disappunto di Lipps, le Ricerche logiche diventarono il principale testo di riferimento del gruppo. Nel 1905 iniziò l’andirivieni di studiosi e di visitatori da Monaco a Gottinga e viceversa. Solo dopo il 1906, Scheler, proveniente da Jena dalla scuola di Rudolf Eucken, si unì al gruppo, non limitandosi a subirne l’influenza, ma anche esercitando un’influenza sua propria, tanto più che questi furono per lui gli anni più formativi. Tra i primi membri si annoverano Adolf Reinach (che si stabilì poi definitivamente a Gottinga, dove divenne il centro del circolo che si costituì solo più tardi), Theodor Conrad, Moritz Geiger, Aloys Fischer e August Gallinger, insieme ad altri allievi di Lipps meno influenzati dalla fenomenologia, come Ernst von Aster e il positivista Hans Cornelius. Tra i membri più giovani che si ispiravano a Scheler, il più eminente era Dietrich von Hildebrand. Si può dire che tra i membri del circolo di Monaco fosse maggiormente vivo il senso della comunità: oltre alle riunioni ’psicologiche’, essi si incontravano spesso, regolarmente o anche occasionalmente, per compiere discussioni di gruppo. D’altra parte, il circolo di Monaco era caratterizzato dall’interesse primario verso la psicologia analitica e descrittiva e, in parte sotto l’influsso del clima artistico di Monaco, da un interesse verso i problemi del valore e dell’estetica più profondo di quello che fosse dato trovare nella più austera atmosfera matematica e scientifica di Gottinga» (Spiegelberg, H. “The Phenomenological Mouvement”, in Phaenomenologica, The Hague, Martinus Nijhoff, 6, 1971, p. 172). Sappiamo da Spiegelberg, che compì i suoi studi con Pfänder a Monaco proprio in quegli anni, che solo dopo il 1907 si può parlare di un vero e proprio circolo di Gottinga. Solo dopo quegli anni si formò effettivamente intorno a Husserl un gruppo di studiosi provenienti da varie parti, come Koyré, Hering, Ingarden, Fritz Kaufmann e Edith Stein. Questi intorno al 1907 cominciarono a riunirsi regolarmente, spesso in assenza di Husserl e alle volte con la sua disapprovazione. Lo spirito di indipendenza che il circolo di Monaco aveva dimostrato verso Lipps, si manifestò più tardi anche verso Husserl stesso. Come abbiamo visto, quanto più il numero dei fenomenologi di Monaco e di Gottinga si allarga, tanto più viene meno il carattere della «scuola». Infatti accanto ed insieme all’orientamento husserliano, ritroviamo, all’interno dei circoli di Monaco e di Gottinga, impostazioni sostanzialmente diverse, influenze eterogenee (come quella di Max Scheler), tendenze di sviluppo dell’idea della fenomenologia tracciata nelle Ricerche logiche che implicavano una presa di posizione critica verso lo sviluppo propriamente husserliano. 88 31 a fissare la fenomenologia entro un quadro stabile. La sua definizione infatti, rimarrà sempre, a parer nostro, aperta. Essendoci soffermati già sopra la descrizione generale della fenomenologia, tentiamo di capire qui quale dovrebbe essere per Husserl il fondamento razionale di una qualunque scienza, ivi compresa quella fenomenologica. In primo luogo Husserl separa le scienze dei dati di fatto da quelle pure o eidetiche; le prime si limitano a constatare attraverso l’esperienza la realtà, le seconde invece lavorano sul dato ideale. “Il senso di una scienza eidetica esclude per principio ogni intrusione dei risultati delle scienze empiriche”89 Le prime si fondano su di un nesso empirico, le seconde su di uno ideale. Chi si occupa di scienze naturali […]osserva ed esperimenta, ossia constata attraverso l’esperienza […] cosicché l’esperire è per lui un atto fondante […], di conseguenza scienza di dati di fatto e scienza d’esperienza sono equivalenti. Invece il geometra, che non esplora delle cose reali, ma delle possibilità ideali, non degli stati di cose reali, ma degli stati eidetici, utilizza come atto fondante non l’esperienza, ma il vedere eidetico 90. I due tipi di scienza sia quella empirica che quella ideale si fondano su ‘atti’, perché, lo ricordiamo, per Husserl, sin dalla Filosofia aritmetica, ogni discorso scientifico passa per gli atti della coscienza. La differenza tra i due tipi di scienze sta nel fatto che la scienza ‘ideale’, ovvero la scienza che si occupa di idee, si fonda su di un particolare tipo di atto: il vedere eidetico. Anche se di quest’ultimo Husserl non da’ una definizione unitaria e completa, potremmo dire in generale che esso coincida con il vedere fenomenologico, ovvero con quel vedere che, grazie al supporto dell’epoché, unifica le essenze della coscienza. Attraverso la sospensione del giudizio, messa in atto dall’epoché, il fenomenologo può, a ritroso, verificare la costituzione degli atti che portano alla formazione di un determinato concetto. Nel caso specifico la geometria è una regione della coscienza, ovvero è uno specifico luogo entro cui la coscienza coglie e contiene il dato spaziale. “La geometria - scrive Husserl – è la disciplina ontologica riguardante un momento essenziale di tale cosalità, cioè la forma spaziale”91. Secondo Husserl in sostanza, ogni disciplina si fonda nell’essenza razionale della coscienza, nell’atto con cui la coscienza coglie puramente l’unità omogenea della realtà; l’insieme di questi atti e dei loro contenuti costituisce una specifica 89 Ivi, p. 18; tr. it. p. 25. Ivi, p. 17; tr. it. p. 24, corsivo mio. 91 Ivi, p. 20; tr. it. p. 27. 90 32 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza regione ontologica. Tentiamo di comprendere ora se l’etica possa essere definita come una di queste regioni e se sia connessa in qualche maniera con la scienza fenomenologica. La fenomenologia è concepita da Husserl come quella scienza che comprende tutte le regioni della coscienza, essa è “la dottrina eidetica puramente descrittiva delle formazioni immanenti della coscienza, cioè degli accadimenti afferrabili nella corrente dei vissuti” 92 . Il suo fondamento razionale è rappresentato dall’essenza della coscienza in generale ed il suo compito è la chiarificazione della coscienza stessa. Essa è, in sintesi, «scienza della coscienza» 93 ed il genitivo ‘della coscienza’ ha un valore soggettivo ed oggettivo. Esso specifica la coscienza sia come suo soggetto che come suo oggetto. L’oggetto della fenomenologia è costituito dalla chiarificazione delle verità della coscienza, che è a sua volta il suo ‘soggetto’, ovvero il suo fondamento di verità. “È nostro scopo di fondare la fenomenologia appunto all’interno di questa purezza e […] compiamo ora espressamente un’estensione della riduzione originaria a tutti i territori eidetico trascendenti e alle connesse ontologie”94. Il fine della fenomenologia è quello di chiarire la ragione della coscienza, e quindi di fondare se stessa mostrando la base razionale su cui poggia. Essa, inoltre, comprende tutte le ontologie, ma ne è allo stesso tempo indipendente, perché superiore rispetto ad esse. “Rimane assodata - scrive Husserl – l’assoluta indipendenza della fenomenologia rispetto a tutte le scienze, ivi comprese le scienze eidetico formali”95. La scienza fenomenologica ha in comune con le altre scienze particolari il fondamento e l’oggetto, con la sola differenza che le scienze particolari si occupano e si fondano su di un campo più limitato. L’etica ad esempio, che è il campo che più ci interessa, è un’ontologia regionale della fenomenologia 96 . Si fonda sugli atti della ragione pratica della coscienza e sulle loro essenze, e dipende dalla fenomenologia dal punto di vista dell’assegnazione di senso e di significato dei propri contenuti. La fenomenologia infatti, essendo indipendente dalle singole ontologie, 92 Ivi, p. 136; tr. it. p.148. Husserl, E. Aufsatze und Vortrage, 1911-1921, (a cura di) Nenon, T.; Sepp, H. R.the Hague, Martinus Nijhoff, 1986, p. 17; trad. a cura di. Volonté, P. Fenomenologia e teoria della conoscenza Milano, Bompiani, p. 41. 94 Ivi, pp. 146-7; tr. it. pp. 148-49. 95 Ivi, p. 149; tr. it. p. 151. 96 Quest’affermazione tuttavia non può essere pienamente sostenuta ed è essa stessa il nodo centrale del nostro lavoro perché in realtà come anche Gérard nota (Gérard, V. L’analogie entre l’éthique formelle et la logique formelle chez Husserl, in Centi, B.; Gigliotti, G. Fenomenologia della ragione pratica, Bibliopolis, Napoli, 2002, p. 115), Husserl vuole fare dell’etica una disciplina “radicalmente e profondamente analoga alla logica”, rendendola in sostanza una nuova ontologia formale dell’azione corretta. 93 33 chiarifica la ragione totale della coscienza in modo tale da fornire il nesso ultimo di fondazione proprio di ogni scienza. La coscienza infatti è, secondo Husserl, vita razionale che si esplicita in diversi modi. Per semplificare potremmo dire che ‘la vita razionale’ è l’oggetto di studio della fenomenologia e la sua scienza ed i ‘diversi modi’ sono l’oggetto delle singole ontologie. “La coscienza […] si dirige con molti raggi sull’elemento oggettuale” 97 e ad ogni tipo di raggio corrisponde uno specifico modo di essere della coscienza; su di ogni raggio inoltre una specifica disciplina trova la sua radice razionale. La verità teoretica o dossologica […], ha – quindi - i suoi paralleli nella verità […] assiologica e pratica: dove le ‘verità’ dell’ultimo titolo giungono ad espressione e a conoscenza nelle verità 98 dossologiche, cioè in quelle specificatamente logiche Le ultime due righe di questo breve passo sono molto importanti perché ci danno una traccia del rapporto che, in questi anni, Husserl presuppone esserci tra logica ed etica. La disciplina logica rispetto alle ricerche del 1900-’01 continua ad avere un ruolo importante, perché ogni verità o concetto ha sempre bisogno dello strumento espressivo del pensiero e della parola per poter essere manifestato, ma, a differenza di quelle ricerche, ora l’obiettivo dell’analisi fenomenologica non è più solo di carattere logico o epistemologico. Dopo aver dimostrato le ‘parallele vite razionali’ della coscienza, Husserl crede di poter analizzare, dall’origine, il fondamento razionale di ogni disciplina e di avvalorare con esso la validità scientifica delle diverse discipline. Riprendendo dunque una questione che avevamo lasciato in sospeso nei paragrafi precedenti, ci chiediamo: come cambia la fenomenologia husserliana rispetto alle Ricerche Logiche e come si inserisce il discorso etico al suo interno? Nelle Ricerche Logiche la fenomenologia era metodo per supportare le ricerche logiche, ora invece è scienza. Il suo obiettivo non è più l’analisi della coscienza, al fine di portare chiarezza nella disciplina logica, ma è quello di analizzare la coscienza nella sua intera vita intenzionale e razionale. L’analisi fenomenologica, dunque, in quanto analisi della ragione, diviene analisi scientifica in senso più ampio. L’etica si inserisce nel discorso fenomenologico in quanto disciplina che trova il suo fondamento razionale in una regione specifica della coscienza, quella dell’agire e del volere; essa dipende dalla fenomenologia perché condivide con essa una porzione specifica del suo fondamento e perché attraverso il suo metodo è in grado di chiarire a se stessa il fondamento razionale che è 97 98 Ivi, p. 300; tr. it. p. 298. Ivi, p. 337; tr. it. pp. 347-8. 34 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza alla sua origine. Se l’etica, questo è il filo che seguiremo nella nostra analisi, non può essere una scienza, il progetto fenomenologico generale cade, perché il progetto di fondazione scientifica dell’etica è strettamente vincolato a quello fenomenologico; se l’etica invece può essere definita scienza, ci troviamo di fronte ad una nuova idea di scienza, in cui, lo anticipiamo, la persona umana gioca un ruolo decisamente centrale. Essa infatti influenza l’idea di scienza in modo tale da renderla più prossima al concetto di vocazione e di storia personale dell’io. 35 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza 37 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza CAPITOLO 2 IL PROGETTO ETICO E LA FENOMENOLOGIA 2.1.1 Le lezioni del 1914 In questo capitolo ci proponiamo di mostrare come si inserisca il progetto etico all’interno del percorso filosofico husserliano appena tracciato ed in che cosa esso consista. Gli scritti etici husserliani sono raccolti principalmente in due volumi, il XXVIII99 ed il XXXVII100, all’interno della collana interamente dedicata ad Husserl: la Husserliana. Il volume XXVIII, primo nell’ordine di pubblicazione (1988), si intitola Vorlesungen über Ethik und Wertlehre ed è diviso in tre parti. La prima parte, quella su cui si concentrerà la nostra analisi, è dedicata alle Vorlesungen über Grundfragen zur Ethik und Wertlehre 1914. La seconda, è intitolata Einleitung und Schlussstück der Vorlesungen über Ethik und Wertlehre 1911. La terza ha per oggetto il secondo gruppo delle Vorlesungen über Grundprobleme der Ethik 1908’09. La successione cronologica dei testi non è progressiva: sono state pubblicate prima le lezioni del 1914 perché, spiega Melle curatore del volume, esse rappresentano la sintesi concettuale del precedente lavoro di analisi. I testi integrativi, invece, seguono la successione cronologica e contengono i frammenti del pensiero etico husserliano elaborato dal 1897 sino al 1914. Come è ben comprensibile dai titoli, i testi sono una raccolta di lezioni ed appunti. Lo stile, dunque, richiede al lettore una particolare pazienza perché può risultare spesso incoerente o di difficile interpretazione. 2.1.2. Il parallelismo tra logica ed etica Per quel che concerne le lezioni del 1914101, il primo paragrafo contiene 99 Husserl, E. Vorlesungen über Ethik und Wertlehre, 1908 - 1914, (a cura di) Melle, U. The Hague, Kluwer Academic Publishers, 1988; trad. a cura di Basso, P; Spinicci, P. Lineamenti di etica formale, Firenze, Le Lettere, 2002, (d’ora in poi useremo il titolo abbreviato Vorlesungen über Ethik e per le indicazioni bibliografiche complete rimandiamo alla bibliografia). 100 Husserl, E. Einleitung in die Ethik 1920 – 1924, (a cura di) Peucker, H. Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 2004 (d’ora in poi useremo il titolo abbreviato Einleitung in die Ethik e per le indicazioni bibliografiche complete rimandiamo alla bibliografia). Ci dedicheremo alla descrizione di questo volume nel quarto capitolo. 101 Le Vorlesungen über Ethik si suddividono in quattro sezioni: I. Il parallelismo tra logica 39 informazioni fondamentali per la comprensione del progetto husserliano: il titolo della prima sezione è infatti: «Il parallelismo tra logica ed etica» ed i testi esplicitamente citati da Husserl come utili linee guida sono i Prolegomeni, le Ricerche Logiche e le Idee I. Perché si parla di parallelismo e qual è il tema che unisce i tre testi a cui Husserl rimanda? Il parallelismo rappresenta, in generale, la struttura entro cui si articola il progetto etico husserliano 102. Si ritiene, in sostanza, che sia possibile individuare la radice razionale che sta alla base della disciplina etica attraverso l’approfondimento del parallelismo esistente tra le ragioni radicate nella coscienza. Tradizionalmente verità, bontà e bellezza vengono presentate come idee filosofiche tra loro coordinate e ad esse si fanno corrispondere le parallele discipline filosofiche di carattere normativo: la logica, l’etica e l’estetica. Questo parallelismo che poggia su ragioni radicate in profondità, ma chiarite in modo insufficiente, comporta ingenti problemi filosofici, che vogliamo ora approfondire in nome di una fondazione scientifica dell’etica103. Per fondare la scienza etica è necessario approfondire e chiarire ciò che, secondo Husserl, la tradizione filosofica ha lasciato scoperto, ovvero l’idea di bene e la sua corrispondente struttura razionale pratica, che è a fondamento della possibile scienza etica. Il progetto etico husserliano 104 consiste, in generale, in una sorta di riprova del suo progetto filosofico: se infatti, “la coscienza è un’unità col nome di ragione: la ragione che conosce, quella che valuta, quella che agisce”105 e se queste ”forme di ragione“, seppure parallele tra loro, “sono ed etica, II. Assiologia formale, III. Sulla fenomenologia del volere, IV. La pratica formale. Cfr. in merito al tema dell’origine della scienza etica e della struttura entro cui essa è posta lo studio di Lavigne, J. F. Husserl et la naissance de la phénoménologie. La genèse de l'idéalisme phénoménologique, des Recherches Logiques aux Ideen, Paris, P.U.F., 2004. 103 Husserl, E. Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 3; tr. it. 26. 104 La prima descrizione dell’analogia tra logica ed etica e quindi del conseguente progetto etico elaborato da Husserl si ha nel 1902 in Vorlesungen über Grundfragen zur Ethik und Wertlehre ed è stata sviluppata in maniera sistematica a tre riprese in Vorlesungen über Ethik nel 1908-09, 1911 e 1914. Cfr. ancora Lettera di Husserl a Meinong del 5 aprile 1902 (Briefwechsel, (a cura di) Schuhmann, K. The Hague, Netherlands: Kluwer Academic Publishers, 1994, Bd. I, p. 145 ), Idee I, nota 1, p. 219 e Husserl, E. Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen Vernunft, (a cura di) Janssen, P. The Hague, Martinus Nijhoff, 1974, note 1, p. 142; trad. a cura di. Neri, D. Logica formale e trascendentale, Bari, Laterza, 1966, nota 1, p. 185. 105 Husserl, E. Aufsätze und Vorträge(1911-1921), hrsg. von Nenon, T., Sepp, H. R.. 102 40 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza l’una strettamente legata all’altra e non si danno delle scienze divise l’una dall’altra, ma un’unica dottrina della ragione che, a sua volta, fa parte di una scienza (…) della coscienza pura in generale, la fenomenologia pura”106, allora la scienza etica potrà essere una scienza fondata nella ‘ragione che agisce’, ovvero pratica, della coscienza e compresa nella fenomenologia in quanto generale scienza della ragione della coscienza. Ancora di più: se nelle Ricerche Logiche è stato possibile mostrare che la ragione logica è il fondamento scientifico della scienza logica e che questa scienza si articola secondo una struttura scientifica ben definita, sarà possibile fare la stessa cosa per l’etica, usando come modello la scienza logica. Quindi, per individuare la radice razionale della scienza etica è necessario, secondo Husserl, analizzare la struttura razionale della coscienza ed in modo particolare la struttura razionale pratica che fa capo all’azione. Per Husserl, sia la logica che l’etica vengono concepite come delle discipline pure che si fondano in una specifica regione di razionalità della coscienza e vengono pensate come regioni specifiche della più generale scienza fenomenologica; nelle lezioni infatti scrive: Come alla logica formale corrisponde un sistema di strutture fondamentali della coscienza della credenza (della coscienza dossica, come sono solito a dire) e con ciò una fenomenologia e una teoria della conoscenza formale, in modo analogo stanno le cose […] per la pratica in relazione alla disciplina fenomenologica che ad esse in linea di principio corrisponde, ossia alla teoria […] della volontà.107 Il progetto etico husserliano quindi, come si diceva sopra, sembra nascere come una sorta di riprova del più ampio progetto concepito per la fenomenologia: se esiste una scienza della ragione della coscienza, che trova il suo fondamento scientifico nella ragione stessa della coscienza, e se la coscienza è divisa in diverse regioni razionali studiate da quest’unica dottrina, devono esistere allora tante scienze che si occupano delle specifiche regioni di ragione della coscienza. Ciò che tuttavia sorprende del progetto esposto nel passaggio iniziale è che colui che dà origine alla scienza rigorosa 108 costruisca il suo 1987, p. 197; trad. a cura di Volonté, P. Fenomenologia e teoria della conoscenza, Milano, Bompiani, 2000, p. 255 (d’ora in poi useremo il titolo abbreviato di Fenomenologia e teoria della conoscenza e per le indicazioni bibliografiche complete rimandiamo alla bibliografia). 106 Ibid. 107 Husserl, E. Vorlesungen über Ethik, op. cit. p. 4; tr. it. p. 26 108 Mi riferisco qui all’aggettivo che, in più luoghi, Husserl attribuisce alla fenomenologia ed in modo specifico agli articoli pubblicati nel 1910 nella rivista Logos e tradotti in Italia 41 programma etico ed il suo futuro percorso scientifico su una tradizione non provata. Il parallelismo che egli immagina esserci tra logica, etica ed estetica è, infatti, qualcosa che egli desume più dalla tradizione filosofica, che non dalla sua ricerca fenomenologica. Questa struttura, in cui la scienza etica trova il suo fondamento, non è dimostrata da alcun passaggio scientifico, piuttosto essa viene usata, come scrive Drummond, come una struttura «istruttiva»109, ovvero come una struttura che serve per istruirci sulle caratteristiche proprie della futura scienza etica. La scienza logica viene presa come modello di quella etica, prima ancora di aver dimostrato che esista una ragione pratica esattamente parallela a quella logica e che questa ragione possa essere alla base di una scienza. La scienza logica, già analizzata e descritta nelle Ricerche Logiche, diviene, per usare un’espressione di Benoist, una sorta «di garanzia»110: l’analogia con la razionalità logica e con la ragione teoretica serve ad Husserl per dare al suo percorso etico “tutte le garanzie intuitive di un valore che non sarà più rimesso in questione”111. Husserl accetta dalla tradizione filosofica un assunto assolutamente fondante per la sua futura scienza etica, che altri filosofi interessati alla fondazione di un pensiero filosofico scientifico rifiutano. Hans Reichenbach (1891-1953) ad esempio, rifiuta il parallelismo eticocognitivo trasmesso dalla tradizione filosofica classica ed appoggia la distinzione tra i predicati d’asserzione (statements) e le locuzioni dell’etica che enunciano delle direttive (directives) e che non possono essere classificate come vere e false. Reichenbach stabilisce i significati degli imperativi morali separandoli dai significati cognitivi e giudicandoli come dei mezzi strumentali. Non esclude quindi che vi sia un parallelismo tra conoscenza morale e logica, ma lo reinterpreta in nuovi termini, dimostrando che “ogni imperativo morale possiede un correlato cognitivo dato dalle asserzioni ad esso correlate”112. Husserl, invece, utilizza l’accezione tradizionale del parallelismo tra le idee di bello, vero e buono (e tra le corrispettive forme di ragione che ne sono alla base) senza discuterla, ma accettandola solo in apparenza. Sembra infatti prendere dall’autorità della tradizione filosofica solo gli aspetti che più gli interessano ma, forse senza esserne consapevole, ne modifica altri: pone ad esempio sullo stesso piano ragione pratica ed emotività. Egli ritiene infatti che anche l’attività emotiva sia una forma di con il titolo Filosofia come scienza rigorosa. Drummond, J. J. “Moral Objectivity: Husserl’s Sentiment of the Understanding”, in Husserl Studies 12, 1995, p. 168. 110 Benoist, J. Autour de Husserl, Paris,Vrin, 1994, pp. 234-235. 111 Ibid 112 Reichenbach, H. The Rise of Scientific Philosophy, Berkeley e Los Angeles, University of California Press, p. 50. 109 42 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza attività razionale facente parte della sfera etica, e dà dunque alla sfera dell’emotività un eguale valore di razionalità. Nelle lezioni etiche del 1914 scrive infatti: “Le differenti sfere di atti e […] di valori che vanno sotto il titolo di emotività [Gemüt] non sottostanno per intero a eguali sistemi di legge”113, “gli atti dell’emotività devono essere intesi alla stessa stregua, come modalizzazioni dell’essere seppure in una dimensione nuova” 114. L’emotività che era stata posta dalla tradizione filosofica, in modo particolare quella iniziata con Cartesio (e continuata in parte dallo stesso Husserl), in contrapposizione con la razionalità, viene qui indicata da Husserl come ragione e viene posta sullo stesso livello di indagine della ragione del conoscere e di quella dell’agire. Inoltre l’interesse di Husserl per la morale, che sembra non solo nascere e svilupparsi di pari passo con quello per la logica, ma che sembra ancor di più esserne dominato (almeno agli inizi della sua ricerca), viene giustificato attraverso argomentazioni che non sono del tutto in linea con quelle proposte dalla tradizione stessa 115 . Infatti, la struttura acquisita e non dimostrata del parallelismo viene spiegata, e di volta in volta integrata, da un’altra struttura ad essa opposta, quella dell’intreccio (Verflechtung). Proviamo a chiarire questo punto: Husserl ritiene che esistano diverse forme di ragione, che hanno origine nella coscienza, e ci rimanda, per approfondire questo, al primo volume delle Idee dove effettivamente egli spiega che la coscienza può essere intesa come un territorio assolutamente razionale, in cui le diverse modalità di ragione si articolano in raggi diversi e paralleli tra loro. Questi raggi dovrebbero essere, secondo l’autore, il fondamento razionale di diverse scienze, l’una parallela all’altra. Nelle Ricerche Logiche e nei Prolegomeni, inoltre, mostra come si articola in generale la scienza logica, qual è il suo contenuto ed il suo fondamento. Volendo fare una semplificazione, i dati più utili ed immediati che dobbiamo desumere dai testi citati sono: dai Prolegomena116, la struttura tripartita (teoria, norma e tecnica), entro cui la scienza deve articolarsi, sia per non essere confusa con una mera tecnica empirica che per desumere una descrizione del suo fondamento come puro nesso essenziale di verità; dalle Ricerche Logiche, la descrizione della coscienza come territorio razionale costituito da vissuti intenzionali, e dalle Idee I, la minuziosa descrizione della coscienza e delle sue ontologie regionali. 113 Husserl, E. Vorlesungen über Ethik, op. cit. , p. 102; tr. it. p. 116. Ibid., p. 105; tr. it. p. 120. 115 Cfr. Sancipriano, M. Edmund Husserl. L'etica sociale, Genova, Tilgher, 1988; Sancipriano, M. “Les Sources de la vie morale”, in Analecta Husserliana, 35, 1988, pp. 13-43. 116 Cfr. cap. II dei Prolegomeni. 114 43 Nelle lezioni del 1914 Husserl vuole provare che è possibile seguire il medesimo percorso tracciato per la fondazione della scienza logica, e, per far questo, utilizza come linee direttrici i volumi da lui stesso esplicitamente richiamati. La scienza etica, infatti, viene pensata come parallela alla logica ed in virtù di questo, dovrà costituirsi sul suo stesso modello. Egli scrive infatti: Se ora si esamina il parallelo tra logica ed etica e, rispettivamente, quello tra i modi degli atti e i modi della ragione a cui queste discipline sono essenzialmente ricondotte, ossia della ragione giudicante da un lato e della ragione pratica dall’altro, allora si impone il pensiero che anche alla logica, nel senso determinato e ben circoscritto di una logica formale, debba corrispondere, in parallelo, una pratica in senso analogamente formale e altrettanto a priori.117 Il problema che noi ci poniamo sin da subito nel progetto husserliano è che Husserl fa in modo che il parallelismo valga come struttura della ricerca fenomenologica e che la logica debba forzatamente essere il modello dell’etica. Il filosofo non dimostra, in sostanza, la possibilità di adattare la tradizione filosofica al proprio pensiero. La fenomenologia husserliana nasce in generale come descrizione del vissuto originario della coscienza e nella coscienza effettivamente Husserl mostra la possibilità di un processo di modalizzazione, sia pure parallela, delle sue forme di ragione. La ragione della coscienza può rapportarsi alla realtà in modo tale da conoscerla, valutarla o agire in essa in modi di volta in volta differenti e analoghi tra loro. Di fatto però, egli non dimostra che la scienza logica, che si fonda sulla ragione logica della coscienza, abbia un esatto corrispondente nella scienza etica e, ancor di più, non dimostra che la ragione pratica, intesa anche nei termini di una ragione emotiva, si trova in una posizione di esatto parallelismo ed di perfetta analogia con la ragione logica. Infatti, in alcune pagine successive al passaggio citato, Husserl è costretto a spiegare la struttura del parallelismo con queste parole: In esso <nel parallelismo> si esprime infatti un intreccio delle strutture essenziali della coscienza dossica con la coscienza emotiva e quindi con ogni coscienza in genere, in conformità alla quale ciascuna presa di posizione, ciascun giudicare bello e buono può essere apriori trasformato in un prendere 117 Husserl, E.,Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 3; tr. it. p. 25. 44 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza posizione sul piano del giudizio.118 Husserl dice in sostanza che, per essere chiarito, il parallelismo ha bisogno della struttura dell’intreccio. Con questa specificazione, a nostro avviso, l’interprete si trova dinanzi ad una difficoltà notevole: se infatti il progetto etico viene pensato all’interno di una struttura la cui esistenza non solo non viene provata scientificamente, ma anzi la cui autorità viene fatta risalire ad una tradizione filosofica che di fatto egli non discute, ma che tuttavia modifica, e se ancora tale struttura si spiega attraverso una struttura ad essa contrapposta (ovvero quella dell’intreccio), come può il lettore accettare i presupposti del percorso di fondazione scientifica dell’etica posti da Husserl? Per rispondere a tale questione proviamo brevemente a spostarci dall’ambito specifico della fenomenologia a quello di una nuova scienza contemporanea: la neurologia. Sebbene il salto119 tra questi due ambiti 118 Ivi, p. 63; tr. it. p. 80. Il salto tuttavia è giustificato dalla presenza di un certo numero di studi critici che unisce la fenomenologia husserliana alla neurologia contemporanea. De Monticelli, R. “La persona e la questione dell'individualità“, in Sistemi intelligenti, 33, 2005, pp. 419-445; L'ascèse philosophique - Phénoménologie et Platonisme, Paris, Vrin, 1997; La conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, Milano, Guerini e associati, 1998; La persona: apparenza e realtà. Testi fenomenologici 1911-1933, Milano, Raffaello Cortina, 2000; L’avenir de la phénoménologie – Méditations sur la connaissance personnelle, Paris Aubier-Flammarion, 2000; Pour une phénoménologie du désordre mental , in Studia Philosophica, 51, 1992, pp. 60-75. Depraz, N. Comprendre la phénoménologie: Une pratique concrète, Armand Colin, 2006; Transcendence et incarnation. Le statut de l'intersubjectivité comme altérité à soi chez Husserl, Paris, Vrin, 1995. O ancora si veda Marbach, E. An Introduction to Husserlian Phenomenology, Evaston, Northwestern University Press, 1993; Edmund Husserl Darstellung seines Denkens, Felix Meiner Verlag, 1996; Mental Representations and Counsciousness (Contributions to Phenomenology), Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1993; “Troubles with Heterophenomenology“, in Philosophy and the Cognitive Sciences, Hölder-Pichler-Tempsky, 1994, pp. 247-264; “How to Study Consciousness Phenomenologically, or Quite a Lot Comes to Mind“, in Journal of the British Society for Phenomenology, 19 (3), 1988, pp. 252 268; “No Heterophenomenology without Autophenomenology, Special Issue on Dennett's Method of Heterophenomenology“, in Phenomenology and the Cognitive Sciences, 2006, pp. 75-87. Dreyfus, H. Michel Foucault:Beyond Structuralism and Hermeneutics Chicago, University Press, 1983; Mind Over Machine Free Press, 1986; Being-In-The-World, MIT Press, 1991; Thinking in Action: On the Internet, Routledge, 2002; Zahavi, D. Intentionalität und Konstitution. Eine Einführung in Husserls Logische Untersuchungen, Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 1992; Husserl und die transzendentale Intersubjektivität. Eine Antwort auf die sprachpragmatische Kritik , in Phaenomenologica, 135, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1996; Husserl and Transcendental Intersubjectivity. Series in Continental Thought Ohio University Press, Athens 2001; Self-awareness and Alterity. A Phenomenological Investigation. Studies in Phenomenology & Existential Philosophy, Evanston, Northwestern University Press, 1999; Husserl's Phenomenology. Cultural Memory in the Present, Stanford, Standford University Press, 2003; Subjectivity and 119 45 possa sembrare eccessivo, esso ci aiuta a capire meglio la descrizione husserliana della coscienza e ad accettare la struttura entro cui andrebbe sviluppato il suo progetto etico. Concentrandoci in modo specifico sugli studi120condotti dai coniugi Damasio vediamo come essi, per spiegare l’organizzazione razionale della coscienza, usino gli stessi concetti impiegati da Husserl. Nell’ Errore di Cartesio, analizzando il caso di Phineas Cage 121 e riportando gli studi condotti da Gall 122 , Antonio Selfhood: Investigating the first-person perspective, Cambridge, The MIT Press, 2005; Varela, F. Autopoiesi e cognizione: la realizzazione del vivente, Venezia, 1985; L'albero della conoscenza, Milano, 1987; Scienze e tecnologia della cognizioni, Firenze, 1987; La via del mezzo della conoscenza, Milano, 1993; Un know-how per l'etica, The Italian Lectures, 3, Roma, 1992; “Neurofenomenologia, un rimedio metodologico al ‘problema difficile”’, in Neurofenomenologia, Mondadori, Milano, 2006, pp. 65 – 84.: 120 Nato a Lisbona e laureato in medicina, Antonio Damasio opera negli USA. Rappresenta una delle figure di maggior spicco a livello mondiale nel campo delle neuroscienze. E' autore di importanti pubblicazioni sulla memoria, sulla fisiologia delle emozioni e sulla malattia di Alzheimer. I laboratori di ricerca che Damasio e sua moglie Hanna hanno realizzato presso l'Università dello Iowa, sono considerati ormai un punto di riferimento per lo studio dei fenomeni nervosi che sono alla base dei processi cognitivi. Antonio Damasio è membro di prestigiose associazioni, come l'European Academy of Science and Arts e l'American Neurological Association; fa parte inoltre dei comitati scientifici di importanti periodici dedicati alle neuroscienze e di alcune fondazioni di ricerca. Tra gli studi più importanti ricordiamo i tre testi pubblicati in italiano: L'errore di Cartesio, Adelphi, Milano, 1995; Coscienza ed emozione, Milano, Adelphi, 2000; Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimento e cervello, Milano, Adelphi, 2003. In lingua inglese ha pubblicato: “Damasio AR: Fundamental Feelings“, in Nature 413:781, 2001; Damasio AR; Grabowski TJ,; Bechara A; Damasio H; Ponto LLB; Parvizi J, Hichwa RD, “Subcortical and Cortical Brain Activity during the Feeling of Self-generated Emotions“, in Nature Neuroscience, 3:1049-1056, 2000; The feeling of what happens, Harcourt Brace, New York, 1999; Bechara A; Damasio H; Tranel D; Damasio AR, “Deciding Advantageously Before Knowing the Advantageous Strategy“, in Science, 275:12931294,1997. 121 Nel testo l’errore di Cartesio l’analisi muove dallo studio del caso di Phineas Cage. Oggi di Phineas Cage abbiamo solo un cranio conservato in una teca, alla Harward University, ma un secolo e mezzo fa era un caposquadra addetto alla posa dei binari per la Rutland and Burlington Railroad di San Francisco. Era un uomo di venticinque anni efficiente ed integrato. Ma il 13 settembre del 1848, preparando le mine per livellare il percorso dei binari, Phineas commise un errore. La roccia veniva sapientemente scavata con lunghi fori nei quali la polvere da sparo veniva compressa con un calcatoio, un cilindro di ferro lungo più di un metro e del diametro di 3 centimetri. Phineas si dimenticò di coprire la polvere da sparo con della sabbia e quando spinse il cilindro nella roccia, la polvere esplose. Il cilindro venne sparato indietro come un razzo e trapassò il cranio di Phineas da parte a parte: un carotaggio. L'uomo cadde a terra, mormorò qualcosa, si rialzò e andò a cercare un dottore, sotto gli occhi sbalorditi dei compagni. L'asportazione di parte del suo cervello non aveva danneggiato la sua intelligenza né le sue capacità motorie, però aveva lasciato il segno. Come disse il suo medico di famiglia, Harlow, aveva distrutto "l'equilibrio fra le sue facoltà intellettuali e le sue propensioni animalesche" e da quel giorno Phineas perse la sua capacità di scegliere e di pianficare in modo vantaggioso il proprio futuro; iniziò una nuova vita, disordinata, irriverente e violenta. Fu licenziato e dodici anni dopo morì. La sua esemplare esperienza aprì nuovi 46 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza Damasio scrive: Alcune delle idee di Gall dovevano essere stupefacenti per quei tempi: egli infatti dichiarò in termini decisi […] che in ciò che si chiamava cervello vi erano molte parti, e che vi era una specializzazione, con riferimento alle funzioni proprie di tali parti. Intuizione straordinaria, quest’ultima, dato che la specializzazione del cervello è ora un fatto confermato. Tuttavia egli non si rese conto […]che le parti separate del cervello non funzionano indipendentemente le une dalle altre; esse contribuiscono, invece, al funzionamento di più ampi sistemi composti da quelle parti separate. […] Oggi si può affermare con fiducia che non vi è alcun singolo centro […], vi sono sistemi formati da diverse unità cerebrali interconnesse123. La nostra mente è organizzata in regioni razionali distinte le une dalle altre, ed allo stesso tempo queste funzionano legandosi o intrecciandosi tra loro. Sebbene con termini diversi, la struttura introdotta da Husserl, del parallelismo e dell’intreccio, sembra essere la stessa di quella intuita da Gall e dimostrata poi dai Damasio. Inoltre, per quel che riguarda l’analogia ed il parallelismo che Husserl presuppone esserci tra la razionalità pratica ed emotiva e quella logica, vediamo come anche qui che i risultati prodotti dalla ricerca dei Damasio danno, in una certa misura, ragione a quelli raggiunti da Husserl. Antonio Damasio infatti scrive: “Ho cominciato a scrivere questo libro volendo proporre l’idea che la ragione può non essere così pura come la maggior parte di noi ritiene che sia […]. Io suggerisco che certi aspetti del processo dell’emozione e del sentimento sono indispensabili per la razionalità. Nei casi migliori, i sentimenti ci volgono nella direzione giusta, ci conducono al luogo appropriato di uno spazio decisionale nel quale possiamo far bene operare gli strumenti della logica. […] Emozione, sentimento, regolazione biologica hanno tutti un ruolo nella ragione orizzonti alla neonata neurochirurgia 122 Franz Joseph Gall, anatomista e fisiologo tedesco, sviluppò nel XIX una teoria a sostegno della localizzazione cerebrale delle funzioni psichiche e vegetative. Secondo Gall ogni attività (ed esempio camminare, parlare) e ogni predisposizione (es. il sentimento religioso, il comportamento morale) dipendono da specifiche aree cerebrali. Questa teoria non era nuova (altri fisiologi l'avevano elaborata o difesa): il merito di Gall consiste nel sostenerla con dati anatomici e osservazioni patologiche (ad esempio su pazienti afasici), e nel legarla alla cranioscopia. Le idee di Gall furono accompagnate da entusiasmi e accese polemiche (la cranioscopia, all’epoca, era molto utilizzata anche per stabilire le capacità naturali dei bambini), soprattutto tra gli scienziati. 123 A., Damasio, L’errore di Cartesio, op. cit., pp. 45-6. 47 umana”124. La razionalità non è così pura come può sembrare; esiste, secondo Damasio, una forma di ragione pratica che ha a che fare con i sentimenti e le emozioni e che si intreccia con la logica per poter ben funzionare. “È convinzione diffusa – scrive ancora Damasio - che l'utilizzo della logica formale sia di per sé in grado di condurci alla soluzione migliore tra quelle possibili, per qualsiasi problema. Un aspetto importante di questa concezione razionalistica è che bisogna escludere le emozioni, per ottenere i migliori risultati: l'elaborazione razionale non deve essere impacciata da passioni. [Sostengo che], se questa strategia è l'unica possibile, la razionalità [...] non può funzionare. Nel migliore dei casi, la decisione richiederà un tempo troppo lungo, assai più tempo di quanto si possa accettare [nelle comuni circostanze]. Per quale motivo? Perché non è facile tenere a memoria i molteplici livelli di guadagni e perdite che bisogna confrontare: dalla lavagna della memoria semplicemente scompaiono le rappresentazioni dei passi intermedi che bisogna tenere in serbo e poi passare in rassegna per trasferirli nella forma simbolica richiesta per operare l'inferenza logica.”125 Esiste quindi una forma di razionalità pratica che ha bisogno della razionalità logica per operare in modo corretto, ma che è indipendente nella scelta. Questo genere di razionalità inoltre, ha bisogno dell’intervento delle emozioni e dei sentimenti per poter pianificare in modo corretto la scelta. Per concludere, quindi, possiamo dire che effettivamente Husserl ci presenta il suo progetto etico con delle ambiguità di fondo che lo compromettono. Tuttavia, alla luce delle moderne ricerche condotte in campo neurologico e fisiologico, possiamo in qualche modo ridurre il peso dei problemi esposti ed accettare l’idea di una coscienza organizzata secondo regioni razionali, le une parallele alle altre che, a loro volta, funzionano intrecciandosi tra loro, e di una razionalità pratica ed emotiva che è parallela ed analoga a quella logica. 2.1.3. L’intenzionalità degli atti pratici I problemi che sorgono nel progetto scientifico husserliano non si limitano alla sola struttura entro cui il progetto stesso viene posto, ma si legano anche ad altre questioni emergenti nel suo percorso. Husserl pensa, infatti, che gli atti pratici non siano totalmente autonomi perché necessitano della ‘voce’ della logica per poter essere espressi. Gli atti pratici non sono considerati come atti autonomamente intenzionali, perché mancano di proprietà epistemica. In virtù di ciò non possono essere posti da soli alla base della scienza etica e neppure la ragione pratica può essere considerata una ragione autonoma ed in grado di 124 125 Ivi, pp. 19-20. Ivi, pp. 242- 43. 48 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza fornire, da sola, il fondamento scientifico per la disciplina etica. Per illustrare la questione vediamo che cosa intenda Husserl con l’espressione intenzionale e come sviluppi questo concetto rispetto agli atti pratici. Il termine ‘intenzione’ entra a far parte del vocabolario husserliano con l’espressione Bedeutungsintention 126 , in un’accezione prettamente epistemologica, nel senso di ‘intenzione di significato’. E per molti anni il tema dell’intenzionalità 127 in Husserl è stato studiato soprattutto dal punto di vista epistemologico. Giganti ad esempio, definisce l’intenzionalità come una cogitatio ovvero come “l’aver coscienza di qualcosa, esperita, pensata, sentita e così via” 128 e ritiene che “essa svolga nella sintesi della conoscenza anche il tema della prassi”129. Effettivamente Husserl, in una prima fase del suo pensiero, sembra definire l’intenzionalità come una proprietà specifica solo degli 126 Cfr. Benoist, J. “Fenomenologia e teoria del significato”, in Leitmotiv, 3, 2003, pp. 133142. 127 Per approfondire il significato di questo termine si veda un passaggio della quinta Ricerca Logica (p. 365; tr. it. p. 158) in cui Husserl scrive: “Nella percezione viene percepito qualcosa, nella rappresentazione immaginativa qualcosa viene rappresentato in immagine, nell'amore qualcosa viene amato, nel desiderio qualcosa viene desiderato, ecc.”. Brentano pensa a ciò che si può cogliere di comune in questi esempi, quando dice: “Ogni fenomeno psichico è caratterizzato da ciò che gli Scolastici del medioevo hanno chiamato ‘in-esistenza’ intenzionale (o anche mentale) di un oggetto, e che noi chiameremmo, non senza qualche ambiguità, riferimento a un contenuto, direzione verso un oggetto (e ciò non vuol dire che si tratti di una realtà) oppure oggettualità immanente. Ogni fenomeno psichico contiene in sé qualcosa come oggetto, benché non sempre in egual modo. Questa ‘modalità’ di riferimento della coscienza ad un contenuto è appunto, nella rappresentazione, la modalità del rappresentare, nel giudizio, la modalità del giudicare, ecc. [...] È molto discutibile e può abbastanza spesso indurre in errore dire che gli oggetti percepiti, immaginati, desiderati, ecc. (che sono quindi dati, rispettivamente, nella modalità della percezione, della rappresentazione, ecc.) ‘entrano nella coscienza’ o, viceversa, che ‘la coscienza (o l'‘io’) entra in rapporto’ con essi, oppure che essi ‘sono assunti nella coscienza’ secondo questa o quella modalità, e anche dire che i vissuti intenzionali ‘contengono in sé qualcosa come oggetto’ e simili. [...] Rappresentarsi un oggetto, ad esempio il castello di Berlino, non è altro che una specie determinata di ‘stato d'animo’. Esprimere un giudizio su questo castello, gioire della sua bella architettura, o nutrire il desiderio di poter fare questo, ecc., sono vissuti nuovi, fenomenologicamente caratterizzati in modo nuovo. L'aspetto che hanno tutti in comune è il fatto che sono modalità dell'intenzione oggettuale, che in termini correnti non possiamo esprimere altrimenti se non dicendo che il castello è percepito, fantasticato, rappresentato in immagine, giudicato, ch'esso è oggetto di quella gioia, di quel desiderio, ecc. [...] Va distinto l'oggetto nel modo in cui viene intenzionato e l'oggetto che viene intenzionato in quanto tale. In ogni atto, un oggetto viene ‘rappresentato’ con queste o quelle determinazioni, e come tale esso potrà essere anche eventualmente il centro a cui mirano intenzioni di vario genere - intenzioni di giudizio, di sentimento, di desiderio, ecc. Pertanto in esse l'oggetto che viene intenzionato è lo stesso, mentre l'intenzione è diversa in ciascuna di esse, ogni rappresentazione intende l'oggetto in modo diverso.” 128 Giganti, M. Dialettica della coscienza morale nel mondo contemporaneo, Palermo, CELUP, 1963, p. 123. 129 Ivi, p. 127. 49 atti conoscitivi e sembra assegnarle un significato prettamente epistemico. Questa posizione, nel campo pratico, ha la conseguenza di subordinare gli atti la ragione pratica agli atti e alla ragione logica. In generale la conseguenza è l’assoluta impossibilità di pensare il progetto di fondazione scientifica dell’etica secondo i termini sopra citati. Tuttavia come nota Mertens 130 , gli studi fenomenologici sul volere, condotti da Husserl nella terza sezione delle lezioni etiche del 1914, sembrano riconoscere alla volontà una propria attività intenzionale. “Sembra – scrive anche Bernet confrontandosi con gli studi di Melle131 – che la decisione in favore del carattere oggettivante dell’intenzionalità dei sentimenti fosse di nuovo ripreso negli anni tra l’uscita delle Ricerche Logiche e delle Idee I e fosse motivato dalla preoccupazione di una fondazione fenomenologica dell’etica”132. Tra il 1901 ed il 1913, in vista dell’obiettivo di trovare il fondamento razionale della scienza etica e di difendere quindi il parallelismo e l’analogia tra ragione logica e ragione pratica, Husserl sembra riconoscere al volere una propria attività intenzionale, ed utilizzare, in riferimento ad esso, espressioni come «intenzione del volere» (“Willensintention” o “Willensmeinung”). Intorno a quegli anni Husserl sviluppa la possibile corrispondenza tra intenzionalità dei giudizi e intenzionalità delle decisioni. Tuttavia, nonostante la posizione che anima il percorso husserliano di quelli anni, egli sembra non voler ancora riconoscere alla sfera pratica una perfetta autonomia rispetto a quella logica, perchè la vera attività intenzionale sembra appartenere solo agli atti che si dirigono verso qualcosa, che prendono di mira un oggetto. Il tipo di intenzionalità esercitata dalla ragione etica, come scrive Benoist, sembra essere «colpita da diplopia, […] guarda altrove rispetto al proprio oggetto e verso qualcosa che non è un oggetto – ma che non ha minore oggettività. In 130 Mertens, K. “Husserl’s Phenomenology of Will”, in Alterity and Facticity, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publisher, 2002, p. 124. 131 Melle, U. Objektivierende und nicht-objectivierende Akt“ in S. Ijsseling, HusserlAusgabe und Husserl Forschung, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1990, pp. 35-49; “Signitive und signifikative Intentionen“, in Husserl Studies, 15, 3, 1998/99, pp.167-181. 132 Bernet, R. La vie du sujet, Paris, P.U.F., 1995, p. 312: «Il semble que la décision en faveur du caractère objectivant de l’intentionnalité des sentiments fut à nouveau prise dans les années situées entre la parution des Recherches Logiques et des Idees I et qu’elle fut motivée par le souci d’une fondation phénoménologique de l’éthique». Secondo Bernet, il fatto che Husserl voglia riconoscere ai sentimenti etici una giustificazione razionale, lo porta a considerare tutti i sentimenti come degli atti intenzionali obiettivanti. Per Husserl quindi, esiste, secondo Bernet, una sola forma di ragione che si manifesta attraverso la presa di posizione (Stellungnahme) soggettiva (teoretica, assiologica o pratica) e la sua validità razionale consiste sempre nel mostrare la coincidenza tra la presa di posizione del soggetto e la datità intuitiva dell’oggetto intenzionale che è stato posto dal soggetto. 50 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza questo senso, uscendo dallo schema generale del rapporto all’oggetto, è quasi un’intenzionalità.»133 Lo schema intenzionale che vale per gli atti pratici e, di conseguenza, per tutti gli atti che con essi si intersecano, è ambiguo: è differente rispetto a quello degli atti dossici perché gli atti pratici ed assiologici non sono pienamente intenzionali, in quanto «atti particolari, si orientano verso qualcosa ma non verso un oggetto» 134 . Ciononostante, viene concessa loro una certa forma di intenzionalità; l’oggetto della ragione pratica e assiologica viene considerato un oggetto reale, ma la sua realtà è differente rispetto a quello della ragione logica. “L’atto intenzionale affettivo – potremmo dire, usando ancora le parole di Benoist - rimane qualcosa di profondamente differente che accade, per così dire, in un secondo tempo. Esso viene ad aggiungersi alla rappresentazione con le sue determinazioni affettive”135. In questo senso, per Husserl, l’intenzionalità della ragione pratica resta chiaramente asimmetrica rispetto a quella della ragione logica, e, di conseguenza, anche l’autonomia della ragione pratica e dei suoi atti è asimmetrica rispetto a quella degli atti logici. Sebbene dagli scritti del 1900136 sino a quelli delle Idee (1913) Husserl modifichi la sua posizione, l’analogia intenzionale tra gli atti pratici e quelli logici sembra rimanere solo di tipo ‘teleologico’, ovvero di tensione dell’atto verso il proprio contenuto. Gli atti pratici godono, come dicevamo sopra, di ‘quasi un’intenzionalità’ 137 , e hanno bisogno delle proprietà conoscitive della 133 Benoist, J. “La fenomenologia e i limiti dell’oggettivazione”, in Centi, B.; Gigliotti, G. (a cura di) Fenomenologia della ragione pratica, Bibliopolis, Napoli, 2004, p. 172. 134 Husserl, E. Vorlesungen über Ethik,op. cit, p. 340, p. 89. 135 J.,Benoist, op. cit., p. 164. 136 Cfr. Husserl, E. Vorlesungen über Ethik und Wertlehre; U. Melle, op. cit; R., Bernet, op. cit; J., Benoist, op. cit.; Perreau, L. “La double visée de l'éthique husserlienne: intentionnalité et teleologie”, in Alter, 13, 2005. 137 Vi sono altri studi critici che, integrando i risultati apportati dal metodo genetico allo studio della sfera pratica ed emotiva, arrivano a parlare di una forma di intenzionalità senza oggetto e riconoscono questo tipo di intenzionalità agli atti della sfera pratica. Tale genere di atti intenzionali inoltre viene considerato come fondante per ogni altro tipo di atto intenzionale. Yamaguchi ad esempio definisce lo strato passivo dell’intenzione come una sorta di intenzionalità dell’istinto in cui “l’io segue l’affezione e quasi è ingoiato da esso” (“Triebintentionalität als Uraffektive passive Synthesis in der genetischen Phänomenologie”, in Alter, 9, 2001, pp. 219-240). Nam-In Lee distingue invece due forme di esperienza intenzionale: quella intenzionale e quella non intenzionale; la seconda, quella che appartiene alla sfera dell’istinto e del sentimento, può essere considerata come base fondante per la prima (Alterity and Facticity, op. cit., pp. 103-119). Secondo il punto di vista della fenomenologia genetica gli atti pratici (compresi quelli del sentimento) sono dotati di intenzionalità, e proprio perché questa intenzionalità non si riferisce ad un oggetto specifico, è fondante rispetto agli altri tipi di atti intenzionali.(Cfr.: Nam-In Lee: “La phénomélogie des tonalites affectives chez Edmund Husserl”, in Alter, 7, 1999, pp. 243250; “Edmund Husserl’s Phenomenology of Mood”, in Phaenomenologica, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London, 148, 1998, pp. 103-120; “StaticPhenomenological and Genetic-Phenomenological Concept of Primordiality in Husserl’s 51 ragione logica per potersi rivolgere agli oggetti e realizzare in vere e proprie azioni. Nonostante ciò, nelle lezioni del 1914, Husserl afferma l’esistenza di un “esatto parallelismo” non solo tra le ragioni della coscienza, ma anche tra gli atti intenzionali della coscienza; scrive infatti: Il parallelismo dei modi della ragione ha le sue radici nel parallelismo delle specie fondamentali di atti, e in ciascuna di queste specie fondamentali troviamo un modo fondamentale delle intenzioni, delle prese di posizione in senso lato. […] Alla classe degli atti di conoscenza si oppone, come classe essenzialmente nuova, la classe degli atti emotivi, degli atti del sentire, del 138 desiderare e del volere. Il progetto scientifico husserliano resta dunque quello di indagare gli atti emotivi (e qui sembra, a parere nostro, usare il termine secondo l’etimologia e-motus, vale a dire gli atti a partire da cui ha origine l’azione), del desiderare e del volere propri della ragione pratica. Il fine è quello di ricostruire un quadro dell’etica simile a quello che aveva costruito per la logica nelle Ricerche Logiche e che aveva poi integrato col primo volume delle Idee. Il risultato che sembra ottenere in queste lezioni differisce, in parte, da quello raggiunto nei volumi citati. Proprio in virtù di questo parallelismo, asimmetrico e talora costrittivo, Husserl pensa l’etica come una sorta di tavola di leggi riferite ad un soggetto puro. Il meglio dell’azione pratica è pensato come il risultato di un calcolo razionale in cui il soggetto che vuole seguire il calcolo, non può sbagliare. Dunque, prima ancora di dimostrare l’esistenza dell’esatto parallelismo tra logica ed etica, Husserl espone il contenuto della scienza etica del ’14, che consiste nella descrizione dei principi di cui essa è composta. 2.2.1. Il contenuto della scienza etica del 1914 L’etica formale, descritta da Husserl nelle lezioni del ’14, è pensata sul modello della logica formale delineata nei Prolegomena e nelle Ricerche Logiche. La logica, in questi testi è concepita come una scienza che si articola su tre piani: teoretico, normativo e tecnico, i quali sono ritenuti da Husserl ben distinti ed allo stesso dipendenti tra loro.139 La dimensione Fifth Cartesian Meditation”, in Husserl Studies, 2002, pp. 179-182; Bernet, R. La vie du sujet, Paris, P.U.F., 1994; Vongher, T. Husserl über Gemüt und Wille, in Centi, B.; Gigliotti, G. (a cura di) Fenomenologia della ragione pratica, Napoli, Bibliopolis, 2004. 138 Vorlesungen über Ethik, p. 59; tr. it. pp. 76-7. 139 Cfr. questi passaggi dei Prolegomena attraverso cui è possibile dimostrare e sintetizzare la struttura della scienza descritta da Husserl per la disciplina logica: “La logica si presenta come una scienza normativa e si distingue dalla considerazione 52 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza teoretica costituisce il fondamento di verità su cui poggia il valore della legge; quella normativa comprende le leggi stesse ed infine, quella tecnica costituisce l’ambito di applicazione delle leggi. La dimensione teoretica è, in sé, quella più importante perché “ogni disciplina normativa, nonché ogni disciplina pratica si fonda su una o più discipline teoretiche, in quanto le sue regole posseggono necessariamente un contenuto teoretico distinguibile dall’idea di normatività (del dovere). A tali discipline teoretiche spetta appunto l’indagine scientifica di questo contenuto”140. “L’elemento teoretico, [o il contenuto della suddetta indagine scientifica] si realizza in certi vissuti psichici”141. Per Husserl, “il concetto di vissuto non concorda con quello comune di vissuto”: secondo la sua accezione “tra il contenuto vissuto o cosciente ed il vissuto stesso non vi è alcuna differenza”142. Il vissuto è vissuto della pura coscienza e la coscienza, a sua volta, può essere definita come “designazione comprensiva degli atti psichici o vissuti intenzionali di qualsiasi genere”143. Di conseguenza «i titoli di vissuto o contenuto» sono considerati dallo ”psicologo moderno […] degli accadimenti reali (Wundt dice giustamente eventi), i quali variano di momento in momento”, da Husserl invece sono intesi “in modo puramente fenomenologico, cioè in modo tale che resti neutralizzato qualsiasi riferimento all’esserci empirico-reale (agli uomini o agli animali della natura): il vissuto in senso psicologico descrittivo […] si trasforma allora in un vissuto nel senso della fenomenologia pura”144 e della sua possibile applicazione pratica, perché essa ha il compito di analizzare e comparativa della scienza storica, che cerca di comprendere le scienze come prodotti culturali concreti delle singole epoche (…). L’essenza della scienza normativa consiste nel fatto che essa fonda proposizioni generali nelle quali, facendo riferimento ad un criterio normativo di fondo (ad esempio un’idea o uno scopo supremo) vengono indicate determinate caratteristiche, il cui processo garantisce l’adeguatezza al criterio oppure costituisce una sua condizione indispensabile (…). Là dove la norma fondamentale è uno scopo o può diventare tale una disciplina normativa, attraverso una naturale estensione dei suoi compiti, dà origine ad una tecnologia (p. 45; tr. it. p. 27)“. “Ogni disciplina normativa presuppone come fondamento (…) una o più discipline teoretiche, nel senso cioè che essa deve possedere una consistenza teoretica che può essere separata da qualsiasi funzione normativa e che ha come tale la propria naturale localizzazione in scienze teoretiche già definite oppure ancora da costruire (p. 61; tr. it. p. 47). “La tecnologia rappresenta quel caso particolare di disciplina normativa nel quale la norma fondamentale consiste nel raggiungimento generale di uno scopo pratico”, (Ibid.).”L’analisi fenomenologica ha il compito di farci comprendere (…) questi vissuti psichici ed il senso insito in essi” (p. 272; tr. it. p. 6). “La coscienza come designazione comprensiva degli atti psichici o vissuti intenzionali di qualsiasi genere” (V Ricerca Logica, p. 138; tr. it. p. 347.) 140 Husserl, E. Ricerche logiche, op. cit., p. 40; tr. it. 57. 141 Ivi, p. 270; tr. it. p. 4. 142 Ivi, pp. 352-53; tr. it. pp. 143-44. 143 Ivi, p. 347; tr. it. p. 138. 144 Ivi, p. 348 ; tr. it. p. 140. 53 mostrare la ragione che è alla base della legge stessa. Ritornando all’etica pura, abbiamo detto che, secondo il progetto husserliano, essa deve articolarsi allo stesso modo della scienza logica; essa, come la scienza logica, si organizza secondo i tre livelli indicati, per tenere ben distinta la sfera di azione del soggetto psicologico da quella della pura coscienza. “Qualunque coinvolgimento – scrive Husserl - di pensieri psicologici nel […] contenuto falsifica [le verità della scienza], come ho dimostrato in dettaglio nei miei Prolegomeni” 145 . La scienza etica, dunque, per evitare di cadere nelle diverse varianti dello psicologismo deve fondare le sue conoscenze su verità pure contenute nei vissuti fenomenologici o negli atti della coscienza pura. A questa triplice struttura si sovrappone, secondo Drummond, un’altra triplice struttura che dovrebbe ritrovarsi parallelamente sia in logica che in etica. La logica infatti, oltre che teoretica, normativa e tecnica è, in ognuno di questi piani, una «logica della combinazione dei significati», «della conseguenza» e «della verità»146. E quindi, la logica ha, nel primo livello, a che fare con le possibilità formali per la combinazione di significati nella formazione dei giudizi. Nel secondo livello, (Konsequenzlogik)147 si occupa della possibile combinazione dei giudizi, e tratta in primo luogo degli argomenti, stabilendo le regole che fanno sì che le conclusioni non siano contraddittorie rispetto alle premesse. Nel terzo livello infine, quello della verità (Wahrheitslogik)148, si presenta come una sorta di completamento del primo e del secondo livello. Mentre i primi due infatti, si occupano della combinazione dei significati, in quest’ultimo la logica si occupa di connettere il significato alla verità. Se si assumesse per vera l’analogia con la logica, anche l’etica dovrebbe articolarsi secondo questi tre livelli. Il primo livello avrebbe il suo corrispondente nelle possibili forme di giudizi assiologici in cui gli attributi di valore sono predicati degli oggetti ed in cui i significati assiologici sono considerati secondo rapporti congiuntivi, disgiuntivi ed ipotetici. Il secondo livello consisterebbe in una sorta di «analitica» 149 dell’etica che comprende le leggi della motivazione o della conseguenza pratica. Il terzo livello infine studierebbe il concetto di bene in quanto bene, ovvero come una sorta di verità logica avulsa dal contesto pratico a cui essa appartiene. 145 Ivi, p. 6; tr. it. p. 28. J. J., Drummond, Moral Objectivity: Husserl’s Sentiments of the Understanding, op. cit., p. 168. 147 Cfr. Husserl, E. Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen Vernunft. Mit ergänzenden Texten, Janssen, P. (a cura di) Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1974, pp. 53, 58, 327-33. 148 Cfr. Ivi, pp. 55, 60. 149 Vorlesungen über Ethik, p. 37; tr. it. p. 56. 146 54 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza Il problema però che Drummond150 e Melle151 a ragione pongono, e che anche Husserl 152 a dire il vero si porrà negli anni successivi alla prima guerra mondiale, è che i principi pratici elaborati in base ad un’esatta analogia con la logica, e quindi avulsi dal contesto pratico e personale in cui essi si realizzano, perdono la loro efficacia, non sono più principi pratici capaci di orientare l’azione del soggetto personale e sono perciò ‘insufficienti’153. Questo problema rientra nella questione che ponevamo nel paragrafo precedente: se Husserl non mostra che la ragione pratica è parallela ed analoga all’etica, la struttura dell’etica si rivelerà debole o insufficiente. Se si dimostra che la ragione logica e la ragione pratica non sono analoghe tra loro, non si può altresì accettare che l’etica sia una scienza analoga alla logica; sarebbe un’inutile forzatura. Se la ragione pratica è una ragione diversa da quella logica, asimmetrica in molti punti rispetto ad essa e che interessa anche la sfera del sentimento (Gemüt), la scienza a cui essa presta il fondamento non può essere pensata sullo stesso modello di quella logica, altrimenti verrebbe in una certa misura snaturata. 2.2.2. Le leggi del parallelismo e dell’intreccio Una parte della scienza etica, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, è costruita sugli stessi livelli della logica: quello della combinazione dei significati, della conseguenza e della verità. Ad ognuno di questi tre livelli appartiene un gruppo di leggi che ha il proprio corrispettivo nella sfera pratica. La legge logica della combinazione dei significati corrisponde in etica a quella della combinazione dei valori; quella della conseguenza, a quella della scelta e della motivazione; quella della verità, a quella dell’assorbimento e dell’imperativo categorico154. 150 J. J., Drummond, op. cit., p. 169. Cfr. Melle, U. Introduzione alle Vorlesungen über Ethik und Wertlehre, op. cit. 152 Husserl, E. Ms A V 21, 122 a/b, op. cit. in Hua XXVIII, p. XLVII- XLVIII: „Quindi la regola brentaniana è insufficiente. Ognuno ha il suo dovere assoluto, e la sua scelta si compie nella questione seguente: che cosa devo fare e dove devo dirigerei più la mia scelta tra i diversi beni (…). Per esempio: una sonata di Mozart è qualcosa di più bello che fare il bagno ai bambini, ma quest’ultimo è un obbligo se è ora il momento di farlo. Tutti i beni pratici non si trovano per me su un solo livello, neppure tutti quelli che potevo realizzare. La voce della coscienza, del dovere assoluto, può esigere da me qualche cosa che, in qualche modo, io non riconoscerei come il meglio nella comparazione tra valori. Ciò che è folle per la comprensione che compara i valori, è approvato come etico e può divenire oggetto di grandissima venerazione ». 153 Husserl stesso utilizza (come si vede nel passaggio precedente) il termine ‘unzureichend’ riferendosi alla regola utilizzata nel 1914 per l’elaborazione dei principi etici. 154 Cfr. sezione III e IV di Vorlesungen über Ethik e J. J., Drummond, op. cit. 151 55 La logica tuttavia, come abbiamo detto più volte, oltre ad essere il terminedi riferimento dell’etica, in virtù dell’asimmetria propria del parallelismo husserliano, rappresenta anche uno strumento indispensabile per la realizzazione degli atti pratici e delle sue leggi. Dunque il parallelismo presupposto nell’analisi, si spiega spesso, attraverso un’altra struttura, ad esso contrapposta, quella dell’intreccio155. L’alternanza di queste due strutture fa sì che anche le leggi, desunte dall’analogia con la logica, utilizzino talora la logica come modello e talora come parte integrante per la formazione stessa delle leggi. È quindi possibile formare due gruppi di leggi all’interno della struttura della scienza etica, quelle del parallelismo e quelle dell’intreccio; il primo formatosi dall’intreccio delle diverse forme di ragione, il secondo invece derivato dal parallelismo con la ragione logica. Volendo mettere da parte le criticità, già segnalate, del discorso husserliano, seguiamo il suo stesso percorso per descrivere questi due gruppi di leggi, in cui l’etica del 1914 consta. Per ciò che concerne le leggi della ragione pratica, ascrivibili concettualmente a quelle del primo gruppo, ovvero quelle dell’intreccio, possiamo rilevare come, essendo la pratica formale una teoria del volere e dipendendo il volere sia dalla logica che dall'assiologia, le leggi della ragione pratica si costituiscono in virtù dell’intersezione di principi di diversa natura razionale che regolano gli atti complessi del volere. Le «leggi del volere relative alla scelta»156 sono un esempio specifico di questa forma di intersezione. “Questo gruppo di leggi si riferisce alle preferenze pratiche e all’imperativo categorico.”157 Ogni azione scelta dal volere è infatti, per necessità, un risultato dell’intreccio tra ragione logica ed assiologica. Per scegliere di agire, infatti, bisogna conoscere (ragione logica) l’oggetto verso cui tende tale azione e sapere quale grado di valore (intreccio di ragione logica ed assiologica) abbia l’oggetto in questione. Il volere che sceglie di realizzare un’azione deve, dunque, soppesare il valore più alto ed agire seguendo la sua realizzazione; in ogni azione “il migliore è nemico del buono; posporre il migliore è assolutamente sbagliato, proprio come scegliere il migliore è richiesto incondizionatamente come la sola cosa giusta e, quindi corretta in senso assoluto”158. Come esempio di leggi appartenenti al secondo gruppo (quello derivante dal parallelismo tra le tre forme di ragione), possiamo citare un principio (“che tuttavia non ha un autentico parallelo nella sfera 155 È Husserl stesso che afferma questo in Vorlesungen über Ethik, p. 63; tr. it. p. 80. Husserl, E. Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 130; tr. it. p. 144. 157 Ibid. 158 Ivi, p. 140; tr. it. p. 154. 156 56 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza dossica”159) legato al proposito del volere. Tale principio viene enunciato da Husserl in questi termini: Non si può il volere A senza volere A. Sarebbe una contraddizione del volere. Un proposito positivo rivolto a un proposito positivo implica il proposito semplice. Vale inoltre evidentemente questo assioma: il tralasciare di tralasciare A implica il fare A. Se il tralasciare di tralasciare qualcosa è corretto, allora è corretto anche 160 il farlo Tale principio mette in luce un tratto specifico della razionalità del volere che lo obbliga a perseguire una propria coerenza logica, la quale non si identifica con la logica stessa. Se in logica “il mio assentire […] a un atto di credenza è corretto, allora è corretta anche la mia semplice credenza, e se questa è corretta lo è anche il mio assentire ad essa”161. In etica, il proposito del volere è comandato da una legge assolutamente autonoma che non ha un corrispettivo parallelo nella ragione logica, perché può essere egualmente corretto che io assenta ad un volere, ma che non lo voglia realizzare. Anche per le leggi appartenenti alla sfera assiologica, che Husserl riconoscecime essenziale ai fini del funzionamento della sfera pratica, vale la medesima classificazione. Al primo gruppo appartengono le leggi assiologiche della preferenza, che si intrecciano con le leggi generali del volere. Nel caso specifico la preferenza emessa dal fiat del volere è elaborata sulla base di una ponderazione dei valori (Wertabwägung), misurati dalla ragione assiologica in rapporto alla situazione data. La preferenza accordata è pronunciata grazie all’«onnieficacia» 162 della ragione logica, all’«intenzione valutante (wertendes Vermeinen)»163 della ragione assiologica e al fiat del volere diretto verso il Beste. Al secondo gruppo appartengono invece dei principi assiologici come quelli del quarto escluso: Data un’eguale materia in relazione ad un’identica categoria assiologica e fatti gli stessi presupposti di valore, la qualità positiva e la qualità negativa della valutazione si escludono l’un l’altra per legge, ed entrambe escludono e sono escluse dal caso 164 dell’indifferenza al valore . Il principio logico di non contraddizione ha, dunque, il suo equivalente 159 Ivi, p. 128; tr. it. p. 143. Ivi, p. 128; tr. it. p. 143. 161 Ivi, p. 128; tr. it. p. 142. 162 Ivi, p. 58; tr. it. p. 75. 163 Ivi, p. 83; tr. it. p. 99. 164 Ivi, p. 87; tr. it. p. 103. 160 57 nella sfera assiologica, nel principio del quarto escluso. Nel principio assiologico si contemplano però, a differenza di quello logico, tre possibilità di scelta: positiva, negativa e neutra (indifferente). Ancora una volta è da sottolineare la posizione ambigua che Husserl assume nei confronti dell’attività intenzionale della coscienza. Seppure la ragione assiologica ha bisogno della ragione logica per esplicitare la propria attività intenzionale di dirigersi verso un oggetto e riconoscerlo come oggetto di valore, essa è dotata di una propria forma di intendere, che Husserl definisce valutante. Nel caso specifico del principio appena enunciato, infatti, la ragione assiologica non potrebbe sapere dell’esistenza di quei valori se non utilizzasse gli atti obiettivanti della ragione logica. Quindi, per quanto indipendenti ed autonome possano sembrare le diverse forme di ragione, in entrambi i gruppi di legge si è costretti sempre a riconoscere un punto di intersezione con la ragione logica che “collega anche l'ambito intellettuale con quello emotivo”165. Husserl scrive infatti: ”la ragione è solo una, la ragione logica, e […] la ragione pratica e la ragione assiologica sono solo un particolare ambito di applicazione della ragione logica.”166 La specificità degli oggetti degli atti emotivi sembra essere sempre filtrata dall'attività intenzionale della logica; di conseguenza gli atti emotivi sembrano non obiettivare mai autonomamente i propri oggetti, ma essere tuttavia essenziali per rendere possibile qualsiasi forma di scelta e di azione dell’io. Tuttavia ognuna di queste sfere è di volta in volta predominante rispetto all’altra: la ragione assiologica è necessaria a quella logica per riconoscere il valore di verità dei suoi principi; quella pratica per dare origine a qualunque forma di azione teoretica o pratica; quella logica per rendere predicabili e conoscibili tutti i contenuti di ogni tipo di ragione. Ogni sfera di ragione sembra essere, a suo modo, onnieficacie rispetto all’altra. Il nesso, o insolubile legame che unisce questi tre ambiti razionali (logico, assiologico e pratico), è individuabile anche nelle leggi motivazionali: Le leggi motivazionali (Motivationsgesetze) non collegano […] meramente il credere con certezza con il credere, l'essere convinti in modo sicuro con l'essere convinti. […] Abbiamo […] differenti sfere di motivazioni coercitive: chi è convinto che A valga non può ragionevolmente dubitare che A valga. Chi è convinto in modo certo che A non valga non può ragionevolmente supporre che A valga. […] Tutto ciò è questione di conseguenza razionale 165 166 Ivi, p. 72; tr. it. p. 89. Ivi, p. 56; tr. it. p. 74. 58 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza (vernünftigen Konsequenz). Ma questa conseguenza collega anche 167 l'ambito intellettuale con quello emotivo . Le leggi motivazionali riguardano non solo le diverse modalità di atti, ma possono anche collegare i diversi ambiti a cui appartengono in virtù della conseguenza razionale. Il collegamento dei due ambiti è espresso in uno degli enunciati: "Chi è convinto in modo certo che A valga non può ragionevolmente dubitare che A valga". In questo enunciato le dimensioni normative dell'assiologia e della logica si trovano tra loro intrecciate ed il modo della certezza dossica viene declinato nel modo della 'certezza' assiologica. Che cosa possiamo affermare dell’etica quindi attraverso l’analisi che abbiamo condotto sulle sue leggi? Possiamo dire che: 1. Possono essere individuati due gruppi di leggi sia per la sfera pratica che per quella assiologica: quelle dell’intreccio e del parallelismo. Al primo gruppo si ascrivono: le leggi della motivazione, della preferenza e della scelta. Al secondo gruppo: le leggi della conseguenza, della non contraddizione o del terzo escluso. Questi gruppi di leggi dovrebbero corrispondere, secondo il ragionamento husserliano, a quelli che troviamo in logica, ovvero a quelli della combinazione dei significati, della conseguenza e della verità. 2. L’esistenza di questi due gruppi, dimostra non solo la difficoltà del progetto husserliano di fare dell’etica una scienza, ma anche l’emergere nella ricerca husserliana (forse ancora in modo inconsapevole) di una nuova idea di scienza fondata su un nuovo genere di razionalità, non più sinonimo di razionalità logica, ma di una complessa unione di diversi strati di ragione, logico, assiologico ed emotivo. Proseguiamo ora mettendo a fuoco l’introduzione del nuovo metodo genetico husserliano e osservando come esso porti a coscienza quegli elementi di crisi e quelle ambiguità che Husserl stesso sembrava ignorare nel suo progetto 2.3.1 La fenomenologia genetica Nell’approccio filosofico husserliano alle questioni etiche, e non solo, è di estrema importanza il metodo utilizzato. C’è da segnalare, infatti, che, a partire dal 1913 circa, Husserl modifica la prospettiva attraverso cui studiare la coscienza e realizzare quindi il suo progetto scientifico. Introduce, infatti, un nuovo tipo di fenomenologia che egli chiama genetica e che si affianca alla fenomenologia statica, impiegata negli anni precedenti come unico metodo di indagine. I primi segnali di tale 167 Ivi, pp. 71-2; tr. it. pp. 88-9, (corsivo dell’autore). 59 evoluzione sono ravvisabili già nel modificato uso del termine genesis, presente nella terza nota dell’edizione del 1913 delle Ricerche Logiche ed in modo ancora più evidente, nel metodo di indagine utilizzato nelle Analysen zur passiven Synthesis (1918-1826). Che cosa si intende con fenomenologia genetica? E come modifica questa l’approccio filosofico alle questioni che andavamo trattando? In un testo introduttivo molto utile alla comprensione del pensiero husserliano, Bernet, Kern e Marbach ritengono che il punto di distinzione principale tra fenomenologia statica e genetica risieda nella comprensione del ruolo assunto dal processo di costituzione. La costituzione è, nella fenomenologia statica, l’attività di un io che è guidato da oggetti stabili i quali “sono considerati puramente come correlati oggettivi dei modi di coscienza”168. Questo tipo di indagine è focalizzato sugli oggetti come essi appaiono nel presente, mettendo da parte la loro storia di sedimentazione che ha contribuito alla formazione della loro esperienza presente. Tuttavia, questo metodo non esclude necessariamente una considerazione delle differenti prospettive dell’esperienza cinetica dell’oggetto. Quelle prospettive sono viste come contributo all’unità teleologica della conoscenza, ma “questo sistema diretto teleologicamente verso la datità primordiale di un oggetto o verso il riempimento delle corrispondenti intenzioni non è ancora genetico in senso proprio“ 169 . La fenomenologia statica è ancora solo un anticipo dell’incontro soggettivo con un oggetto statico. La transizione alla fenomenologia genetica muove dallo studio della completa costituzione dell’io attivo ad una più complessa forma di costituzione, che include anche la vita passiva dell’io. Husserl infatti, attraverso il metodo genetico, inizia a studiare la coscienza secondo la sua genesi. Il termine ‘genesi’, come è noto, deriva dal verbo greco gignomai che ha tre significati in particolare: nascere, essere e divenire. La coscienza, studiata dal metodo genetico, è analizzata secondo la sua origine, il suo essere ed il suo divenire nel mondo. Essa è studiata quindi come funzione che si rapporta al mondo e che lo vive, in modo sia attivo che passivo. Di conseguenza anche l’attività intenzionale della coscienza diviene, come dimostrano diversi studi 170 , anche un’attività priva di oggetto, perché mossa dal semplice istinto o dall’impulso. “La fenomenologia genetica – come scrive Husserl – esaminerà non la coscienza ma il suo processo di divenire in quanto riguarda […] il continuo processo di divenire nel tempo di un’unità di vita che ha un’eredità abituale e sedimentata del passato ed ha un progetto verso il 168 Bernet, R; Kern, I; Marbach, E. Introduction to Husserlian Phenomenology, Evanston, Northwestern University Press, 1993, p. 196. 169 Ivi, p. 197. 170 Cfr. nota a pagina 42. 60 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza futuro”171. L’analisi fenomenologica della coscienza attraverso il metodo genetico, richiede una sintesi di tutti i vissuti passivi ed attivi. La fenomenologia genetica quindi, studia la storia del contenuto della coscienza come ciò che è vissuto attivamente o passivamente dall’io ed essa “ha a che fare con la costituzione e quindi in primo luogo con la genesi degli oggetti in essa costituiti”172 . L’analisi genetica, introdotta da Husserl, comporta un nuovo atteggiamento nei confronti della storia e del presente. Essa interpreta il presente individuale e collettivo degli esseri umani come una sedimentazione di senso analizzabile secondo i suoi molteplici strati. La fenomenologia diviene analisi non più solo delle strutture razionali dell’io, ma anche degli strati a partire da cui l’io si costituisce. L’introduzione del nuovo metodo di ricerca è probabilmente dovuto, oltre che ad esigenze di studio, anche agli eventi che colpirono la vita del filosofo in questi anni. Tra il 1914 ed il 1920 Husserl assunse nei confronti del suo progetto filosofico e morale una posizione intermedia e poco chiara, che analizzeremo di seguito per comprendere il passaggio dall’idea di etica che sviluppa nel 1914 a quella che enuncia nelle lezioni del 1924. 2.3.2. Gli eventi L’etica, come noto, è una disciplina profondamente legata alla vita umana e nella sua formazione facilmente possono interferire i fatti della vita. Crediamo che, anche nel caso del progetto husserliano, gli eventi biografici abbiano avuto un peso non indifferente nel passaggio da un’etica pensata come una sorta di matematica dell’azione ad un’etica personale che lascia scoperto, pur nella sua pretesa di scientificità, un residuo di ineliminabile irrazionalità. Soffermiamo quindi brevemente lo sguardo su questi eventi e tentiamo di mettere in luce le ambiguità che continuano ad emergere nel discorso etico negli anni della prima guerra mondiale. Durante questi anni Husserl perse, a causa della guerra, il figlio minore e tenne, anche dopo tale lutto, dei discorsi in favore della guerra. I due eventi colpiscono inevitabilmente l’attenzione di chi si impegna a ricostruire il suo percorso filosofico morale, e catturano ancora di più l’interesse se è proprio dallo stridente contrasto dei due fatti che sembra avere avuto origine la parte più vitale e stimata del pensiero husserliano: mi riferisco all’etica della Krisis. Nei discorsi su Fichte infatti, pronunciati da Husserl ai soldati tedeschi dopo la morte del figlio Wolfgang, è chiaramente presente un’adesione all’idea della guerra, ma contemporaneamente nelle sue parole si 171 172 Husserl, E. Idee I, op. cit., p.163; tr. it. p. 204. Ivi, p. 201. 61 nasconde una rinnovata, anche se ancora confusa, idea di etica. Il quadro morale che in queste pagine egli traccia è infatti ben distante da quello disegnato nel 1914; esso è infatti di gran lunga più vicino a quel progetto, su cui inizierà a lavorare scientificamente a partire dal 1920 e che lo condurrà nel 1936 alle conclusioni della Krisis. In sostanza è mentre compone dei discorsi in favore della guerra, che egli elabora un’idea di etica che si rivelerà assolutamente distante dalle logiche della guerra. Per comprendere con più chiarezza quanto sosteniamo è necessario far parlare i suoi stessi scritti. Questa guerra, la colpa più universale e profonda dell’umanità nell’intera storia, ha mostrato l’impotenza e l’inautenticità di tutte le idee. […] Divenuta guerra di popoli nel senso più terribile e letterale del termine, ha perduto il proprio significato etico» così che per « il rinnovamento etico - politico dell’umanità occorrerebbe un’arte, sorretta da ideali etici supremi e fissati in modo chiaro , capace di 173 un’educazione universale dell’umanità . La prima guerra mondiale segna in modo marcato le riflessioni etiche di Husserl; essa diviene il punto di partenza imprescindibile per una «chiarificazione universale», per «una trasformazione dell’umanità» di cui “la guerra stessa ha disvelato […] l’indicibile miseria non solo morale e religiosa, ma anche filosofica”174. Le conseguenze personali e politiche da essa prodotte sembrano aver avuto, nella filosofia husserliana, la funzione di riportare il pensiero alla vita umana. Da strumento parenetico e rinnovatore, la guerra è divenuta per Husserl uno strumento di distruzione e rovina personale. Nelle Drei Vorlesungen über Fichtes Menscheitsideal (1917) Husserl parla della guerra in questi termini: Un popolo che ha prodotto simili spiriti, che, guidato da essi, ha tanto aspirato alla purezza del cuore, ha così interiormente cercato Dio [...], deve essere e rimanere la speranza dell'umanità. Che questo si avveri nella verità viva, ecco il compito infinito di tutti noi, di tutti noi che vogliamo vincere in questa guerra. Proprio nella guerra la morte si è nuovamente conquistata il suo sacro diritto originario. È nuovamente la grande voce che, nel tempo, ammonisce 175 all'eternità . 173 Husserl, E. Briefwechsel. Band III: Die Göttinger Schule, (a cura di). Schumann, K. Kluwer Dordrecht/Boston/London, Academic Publishers, 1999, p. 12; trad. a cura di Sinisgaglia C. in L’idea di Europa, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1994, pp. X-XI, corsivo mio, (d’ora in poi abbrevieremo con L’idea di Europa e per le indicazioni bibliografiche rimandiamo alla bibliografa in fondo al testo). 174 Ivi, p. 163; tr. it. p. X. 175 Husserl, E. “Fichtes Menscheitsideal. Drei Vorlesungen (1917)”, in Aufsätze und 62 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza La guerra rappresenta in sostanza lo strumento concreto di cui l’uomo può disporre per rendere possibile la realizzazione etica di un popolo. La posizione husserliana espressa nelle Drei Vorlesungen è chiaramente, già dal titolo, influenzata dal pensiero di Fichte ed è, in qualche maniera, distante dalla considerazione reale del riflesso che essa potrà avere nel contesto bellico. In una lettera del 1919 Husserl, quasi dimenticando la sua precedente posizione, scrive: Il mio compito non è quello, io non sono chiamato al comando dell’umanità che lotta per il vivere beato – io ho attraversato gli anni della guerra in pieno cordoglio, ho dovuto riconoscerlo, il mio buon demone mi ha aiutato. Io vivo in piena coscienza e in modo fermo, in modo chiaro come un filosofo scienziato (io non ho scritto nessun volume sulla guerra, lo avevo giudicato come un 176 pretenzioso lavoro filosofico). Questo distacco, come abbiamo visto, ancora non compare nelle tre lezioni che Husserl tenne per i soldati tedeschi tra l’8 ed il 17 novembre del 1917 177 . Esso rappresenta una sorta di ponte intermedio e talora confuso tra la posizione pressoché scientifica e matematica che assume nei confronti dell’etica del 1914 e la posizione ‘personale’ che assumerà negli anni ’20. Se nel 1914 la gerarchia dei valori elaborata nella sua assiologia fa sì che i principi etici siano frutto di un calcolo matematico ed oggettivo, negli anni ‘20 Husserl riconoscerà l’errore di non aver preso nella giusta considerazione il ruolo libero della persona. Infatti, nei manoscritti del 1924-‘27 Husserl, criticando la sua prima formulazione, riconoscerà insufficiente la regola da lui precedentemente seguita nell’elaborazione del suo sistema morale178. La regola matematica dei valori, sulla base della quale ha costruito il suo sistema di leggi assiologiche e matematiche, è insufficiente perché ognuno ha dei doveri e degli obblighi che coinvolgono il carattere di tutta Vorträge (1911-1922), (a cura di) Nenon, T; Sepp, H. R,. Dordrecht/Boston/Lancaster, Martinus Nijhoff, 1987, p. 269: “Der Tod hat sich sein heiliges Urrecht wieder erstritten. Er ist wieder große Mahner in der Zeit an die Ewigkeit“(corsivo mio). 176 Brief Husserl - Metzger (4 novembre 1919) in Husserl, E. Briefwechsel. Band IV: Die Freiburger Schüle, (a cura di) Schumann, K., Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1994, p. 406: „Meine Aufagabe ist das nicht, ich bin nicht zum Führer der nach “seiligem Leben” ringenden Menscheit berufen – im leidensvollen drange der Kriegsjahre habe ich das anerkennen müssen, mein Daimonion hat mich gewahrnt. Vollbewuβt und entschieden lebe ich rein als wissenschaftlicher Philosoph (ich habe daher keine Kriegsschrift geschrieben, ich hätte das als ein prätentioese Philosophengetheu angesehen). 177 Le lezioni furono poi ripetute il 14-15-16 gennaio ed il 6-7-9 novembre del 1918. 178 Ms. A V 21, 122 a/b, op. cit. in lezioni di etica (1897-1914), p. XLVII- XLVIII. 63 la persona e non solamente il suo aspetto logico e razionale. L’esempio della madre, che Husserl ripete in numerosi luoghi, mostra chiaramente come ognuno di noi sia chiamato a compiere dei doveri che non sono per noi dei beni, ma che sono solamente degli obblighi (Pflicht) inevitabili. Questi obblighi possono, in seguito, certamente condurre ad un bene. Ma di per sé non sono ‘il meglio’ di ciò che in un dato momento il singolo vorrebbe razionalmente perseguire. I doveri non si trovano tutti sullo stesso livello assiologico 179 ed il calcolo assiologico non può sempre essere d’aiuto nella preferenza dell’uno o dell’altro; ognuno, infatti, vive essendo sempre costretto a scegliere tra i propri valori personali che la momento possono persino sembrare svantaggiosi. Come per una mamma fare il bagnetto al figlio o decidere di ascoltare una sonata di Mozart. Quindi è davanti ad un tale ordine di problemi che il soggetto è chiamato a scegliere sulla base di variabili del tutto personali ed alle volte persino irrazionali perché non ancora prevedibili o chiaribili attraverso l’analisi fenomenologica.180 Melle e Gérard 181 usano, per spiegare questi due diversi approcci all’etica, l’espressione etica logica ed etica personalistica. In modo particolare ritengono che queste due forme di etica siano ben distanti l’una dall’altra in virtù della funzione che il concetto di persona viene ad assumere nella ‘seconda’ etica. L’introduzione del metodo genetico, con il conseguente rinnovato studio nei confronti della vita del soggetto, e gli eventi occorsi tra il 1914 ed il 1920, hanno fatto maturare in Husserl una nuova necessità di considerare in modo scientifico tutta la spiritualità del soggetto, compresi i caratteri irrazionali che ne fanno parte. La persona diviene il nuovo soggetto che compie il suo ingresso nel progetto scientifico husserliano degli anni ’20. 179 Cfr. La critica di Melle e di Geiger rispetto a questo punto in: U., Melle, Introduzione a Vorlesungen über Ethik und Werlehre, op. cit. 180 Il richiamo all’etica fichtiana gioca un ruolo essenziale nello scarto tra l’’etica logica’ del 1914 e quella ‘umana’ o ‘personalistica’. Concetti come quello della riforma dello spirito o dell’autoregolazione dell’io o, infine, di Dio come ragione entelechica che ordina i teloi delle azioni umane, sono concetti che Husserl prende chiaramente in prestito dal pensiero fichtiano e che rende interamente propri. L’etica husserliana degli anni ’20 ha infatti come essenziale centro teoretico e speculativo l’azione umana che, richiamandosi all’idea dell’azione (Tathandlung) fichtiana, costituisce in un certo modo, il punto originario di genesi dell’io nelle sue molteplici caratteristiche. Infatti è l’azione umana che realizza le decisioni dell’io e che crea le nuove condizioni per quelle scelte successive che devono essere alla base del carattere o dell’habitus umano. Nelle tre lezioni il richiamo a Fichte servirà formalmente come spunto di riflessione sulla guerra, ma contemporaneamente aprirà la strada per la riformulazione del progetto husserliano di etica scientifica. 181 U. Melle, “Husserls personalistiche Ethik” in Fenomenologia della ragion pratica, op. cit., pp. 327-357; V. Gérard, “L’analogie entre l’éthique formelle et la logique formelle chez Husserl”, in Fenomenologia della ragione pratica, op. cit., pp. 115-151. 64 CAPITOLO 3 IL FONDAMENTO DELLA SCIENZA ETICA DOPO L’INTRODUZIONE DEL METODO GENETICO 3. 1. Fenomenologia statica e genetica Come si accennava nel capitolo precedente182 la ricerca fenomenologica husserliana può avvalersi di due metodi, quello statico e quello genetico. L’introduzione del metodo genetico può essere fatta risalire, secondo Bernet, Kern e Marbach183, agli anni 1917-21. La distinzione tra questi due tipi di analisi è piuttosto difficile da cogliere e “non sembra sia mai pienamente riuscita” 184 ad Husserl. Entrambi i metodi infatti, studiano il processo di costituzione degli oggetti, ma il secondo li analizza considerando la loro ‘genesi’. Nel metodo statico, secondo Bernet, si studiano le specie di oggetti stabili ed ideali e si indaga dal punto di vista del soggetto e del contenuto (noetico e noematico) i nessi dei vissuti nei quali questi oggetti giungono a datità. La fenomenologia statica ha come fine quello di chiarire il senso e la validità di questi oggetti risalendo ai loro sistemi di manifestazione nella coscienza. “Ogni unità della coscienza ha - scrive Husserl - la propria storia, una propria teleologia immanente, nella forma di un sistema regolato di modi di manifestazione che […] in esso possono venire interrogati ed analizzati”185. Il metodo genetico invece, analizza il processo di costituzione degli oggetti mettendo in questione anche la loro genesi. “Analizzare la costituzione – scrive infatti Husserl - non è analizzare la genesi, che è appunto genesi della costituzione” 186 . Ciò vuol dire che, mentre la fenomenologia statica illumina soltanto i sistemi costitutivi finiti degli oggetti, la fenomenologia genetica si interroga sull’origine stessa di 182 Cfr. par. 2.3.1 Bernet, R.; Kern, I.; Marbach, E., Edmund Husserl, Bologna, Mulino,1992, p. 253. 184 Ivi, p. 254: “Husserl utilizza già al tempo delle sue Idee I l’espressione ‘genesi’, ma il concetto, nell’accezione che aveva allora, non conduce ancora al di là della fenomenologia dei fili conduttori ontologici e dei vissuti”. 185 Idee III, p. 129; tr. it. p. 904. 186 Husserl, E. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Zweiter Teil. 1921-28. (a cura di) Iso Kern. The Hague, Martinus Nijhoff, 1973, p. 41;(d’ora in poi abbreviamo con Zur Phänomenologie der Intersubjektivität e per le indicazioni bibliografiche complete, rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo). 183 questi sistemi, mettendo in questione la genesi di questa costituzione e della specie di oggetti in essa costituiti. L’oggetto non è più filo conduttore fisso dell’analisi, ma è qualcosa di divenuto. La fenomenologia genetica “segue la storia […] di questa oggettivazione e con ciò la storia dell’oggetto stesso in quanto oggetto di una conoscenza possibile”187. L’idea di genesi a cui la fenomenologia genetica si rifà è di due tipi: attiva e passiva 188 . Alla prima appartengono gli operati della ragione produttiva (prodotti culturali reali o oggetti ideali), alla seconda invece, l’esperienza che si svolge nelle forme di sintesi passive più basse, ovvero il sottofondo passivo della produzione di giudizi e volizioni. La passività ha a sua volta la sua genesi, vale a dire un principio a partire da cui ha origine la comprensione passiva di dati; tale principio è l’associazione. L’associazione è per Husserl “non soltanto una legalità empirica di complessione di dati psichici, ma è un’espressione altamente comprensiva della legalità intenzionale, essenziale nella costituzione dell’ego” 189 . Egli distingue due tipi di associazione: 1) l’associazione come principio di formazione di unità, di integrazione dei diversi momenti nella coesistenza e nella successione all’interno della coscienza, per mezzo di un reciproco suscitare o rafforzare le intenzioni rivolte a questi oggetti sulla base di contiguità, somiglianza e contrasto; 2) l’associazione come principio di appercezione di oggetti sulla base del risveglio associativo delle esperienze. Ciò che è presente viene esperito passivamente sulla base di somiglianze. In questa forma di associazione ha un ruolo centrale l’abitudine. Essa “è, come insegna giustamente Hume, non solo la nostra balia, ma la funzione che dà forma […] al mondo e ad ogni oggettività. L’abitudine è – scrive Husserl - la forma originaria di ogni donazione di senso oggettiva […], la quale è la forza che di continuo costituisce originariamente l’esistenza”190. La fenomenologia genetica, quindi, analizza la coscienza ed i suoi oggetti non più in quanto già dati, ma come qualcosa che diviene in modo continuo. Gli oggetti della fenomenologia genetica, non sono solo vissuti dell’io, ma sono oggetti per l’io, dati in appercezioni, facoltà, disposizioni, convinzioni; essi divengono nell’io e l’io stesso in questi diviene in quanto personalità determinata, in quanto individualità propria. Analizzare questi 187 Husserl, E. Analysen zur passiven Synthesis. Aus Vorlesungs- und Forschungsmanuskripten, 1918-1926 (a cura di) Fleischer, M. The Hague, Martinus Nijhoff, 1966, p. 345; (d’ora in poi abbreviamo con Analysen zur passiven Synthesis e per le indicazioni bibliografiche complete, rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo). 188 Cfr. Analysen zur passiven Synthesis, op. cit., p. 342; Meditazioni Cartesiane, con l'aggiunta dei Discorsi Parigini, trad. a cura di Costa, V. Milano, Bompiani, 2002, p. 111; tr. it. p. 102 (d’ora in poi abbreviamo con Meditazioni Cartesiane e per le indicazioni bibliografiche complete, rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo). 189 Meditazioni cartesiane, p. 114; tr. it. p. 105. 190 Husserl, E. Lezione su natura e spirito, in Ms. 1927 FI 32, p. 162. 66 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza dati della coscienza nella loro origine, significa analizzare la personalità della coscienza ed il modo con cui essa recepisce il mondo circostante. Significa soprattutto, ai fini del nostro discorso, che la coscienza pura si mescola col mondo e diviene qualcosa di personale, qualcosa con un’identità che cambia col variare dei suoi vissuti. La fenomenologia genetica diviene, quindi, fenomenologia dell’individualità monadica che ha il compito di analizzare le leggi essenziali “che si aggiungono alle leggi dei vissuti e che stabiliscono che cosa richiedano l’unità individuale ed il carattere chiuso di una monade”191. Solo a partire dagli anni ‘20 “ogni specie di ente reale o ideale si rende intelligibile come formazione, costituita in questa stessa operazione della soggettività”192. Proviamo a capire nel paragrafo successivo come Husserl intenda, nel dettaglio, questa nuova forma di coscienza in rapporto alle sue facoltà e alla sua identità. Ricordiamo infatti che la coscienza è definita da Husserl come la «fonte razionale»193 da cui ha origine ogni conoscenza. Se col metodo genetico la definizione di coscienza e delle sue facoltà cambia, potrebbe cambiare anche il progetto di fondazione scientifica proposto da Husserl. 3.1.1. La definizione di volontà negli scritti del 1920 I concetti di volontà e razionalità pratica sono centrali nel progetto di fondazione scientifica dell’etica. Nelle lezioni del 1914 tale progetto è legato all’approfondimento del “tradizionale parallelismo e dell’analogia radicale e continua”194 tra ragione pratica e ragione logica. Sulla base di questa analogia Husserl sostiene che, se la ragione logica può essere a fondamento di una scienza logica, così deve essere anche per l’etica. La ragione pratica infatti, che si identifica perlopiù con la facoltà del volere, rappresenta la base razionale da cui le leggi pratiche traggono il loro fondamento di verità. All’interno di questo progetto emergono delle difficoltà (già esposte nel precedente capitolo), che riguardano la natura del parallelismo stesso. La ragione pratica infatti, non sembra poter essere pensata come una ragione autonoma, perché deve ‘sottomettersi’ alle capacità predicative della ragione logica e sembra non essere una ragione propriamente intenzionale e neppure razionale nel senso tradizionale del 191 Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, p. 34. Meditazioni Cartesiane, p. 118; tr. it. p. 108. 193 Cfr. Husserl, E., Introduzione alla prima Ricerca Logica, op. cit., par. 1. 194 Cfr. Husserl, E., Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 3, p. 44; il tema del parallelismo e dell’analogia tra logica ed etica è stato introdotto per la prima volta nelle Vorlesungen über Grundfragen zur Ethik und Wertlehre del 1902 ed è stato sviluppato in maniera sistematica a più riprese: nelle lezioni di etica del 1908-09, 1911 e 1914 (tutte lezioni contenute nel XXVIII volume della Husserliana) ed in quelle tenute nel 1920 e ripetute nel 1924 a Friburgo, (lezioni contenute invece nel XXXVII volume della Husserliana). 192 67 termine. Il parallelismo e l’analogia di cui Husserl parla si trasformano, il più delle volte, in un intreccio tra ragione pratica e ragione logica; e la scienza etica, che Husserl costruisce sul modello della logica, potrebbe essere più propriamente pensata come una scienza che dipende dalla ragione logica. Diviene quindi importante capire se queste difficoltà continuino a sussistere anche dopo il cambiamento di metodo introdotto da Husserl. Per quel che concerne, in modo specifico la volontà, vediamo come, in un gruppo di lezioni dedicato interamente all’applicazione del metodo genetico sullo studio della coscienza - mi riferisco qui alle Analysen zur aktiven Synthesis195 (1920/21) - essa venga descritta in questi termini: La volontà […] fa parte della sfera più generale dell’attività pura […]. Il concetto specifico e pregnante di volontà non designa che un tipo particolare dell’attività che si estende al di sotto di tutti gli altri campi della coscienza […]. Mi sembra ancor di più che la volontà […] sia […] una forma particolare e superiore dell’attività, che può entrare in gioco ovunque, sotto alcune condizioni d’essenza che risiedono nelle oggettivazioni e nei sentimenti 196 presupposti In questo passaggio emergono tre temi rilevanti per la realizzazione del progetto etico:  la ragione pratica è ‘superiore e particolare’. Queste caratteristiche ribaltano il rapporto di predominanza della ragione logica e dell’atteggiamento teoretico di cui Husserl aveva parlato nelle lezioni del ‘14;  essa è condizione di oggettivazione ed in quanto tale sembra essere alla base di quelle proprietà epistemiche che nelle lezioni del 1914 Husserl attribuiva solo alla ragione logica;  essa ha ‘a che fare con i sentimenti’. Si mescola, come era nelle lezioni del 1914, con una sfera che sembra non essere propriamente 195 Husserl, E. Analysen zur Aktive Synthesen: Aus der Vorlesung "Transzendentale Logik" 1920/21. Ergänzungsband zu "Analysen zur passiven Synthesis", (a cura di) Breeur, R. The Hague, Kluwer Academic Publishers, , Netherlands, 2000, (d’ora in poi abbrevieremo con Aktive Synthesen e per le indicazioni bibliografiche complete, rimandiamo alla bibliografia in fondo al testo). 196 Husserl, E. Aktive Synthesen, op. cit., pp. 9-10: “Der Wille ist kein bloßes Begehren; er gehört in die allgemeinere Sphäre der reinen Aktivität (…). Der prägnante und eigentliche Begriff von Willen bezeichnet aber nur eine besondere sich verbreitet, sofern alle Aktivität in Form willkürlicher Aktivität auftreten kann (…). Es will mir immer mehr scheinen, dass Wille (…) eine besondere und höhere Form der Aktivität ist, die unter gewissen Wesensbedingungen, die in vorausgesetzten Objektivierungen und Fühlungen liegen, überall auftreten kann“. 68 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza razionale e ciononostante rimane a fondamento della scienza. Come era nelle lezioni del 1914, anche in queste, la volontà è considerata come l’attività razionale pratica della coscienza pura, ma con la sola e rilevante differenza che qui essa assume un ruolo centrale per qualunque forma di attività razionale. Nelle lezioni del ’14 Husserl parla di ‘predominio della ragione logica’: Certo compare una seria difficoltà, una difficoltà la cui spiegazione completa implica profonde ricerche fenomenologiche. Si tratta in breve della difficoltà del predominio della ragione logica. È del tutto ovvio che il pensiero logico è all’opera dove devono essere stabiliti 197 enunciati o leggi Negli anni ’20 invece, la difficoltà del ‘predominio’ di una sola forma di ragione, e quindi dell’asimmetria del parallelismo, permane, ma la situazione si ribalta perché questa volta la predominanza si riferisce soprattutto alla ragione pratica. Negli anni ’20 infatti, Husserl sembra considerare l’atteggiamento pratico predominante rispetto a quello teoretico e conoscitivo; la ragione logica sembra subordinarsi alla ‘superiorità’ della ragione pratica. Inoltre, mentre nelle lezioni del ’14 l’attività di obiettivazione, ovvero la capacità degli atti di ‘costituire’ gli oggetti a cui essi si riferiscono, sembrava essere attribuita quasi esclusivamente alla ragione logica, ora questa capacità sembra persino fondarsi nell’attività del volere. Mostriamo ora se la nuova definizione che Husserl dà di volontà sia giustificata da un cambiamento di posizione rispetto alla struttura del suo pensiero e verifichiamo quali risultati consegua nel progetto di fondazione della scienza etica; ricordiamo infatti che la volontà viene da Husserl indicata come il fondamento razionale che dovrebbe stare alla base della futura scienza etica. Se la definizione di volontà cambia, muta anche il tipo di fondamento su cui deve poggiare il progetto husserliano. Per quel che riguarda il primo punto: la volontà è definita come una funzione particolare e superiore della coscienza. Tali proprietà si manifestano, secondo Husserl, in virtù di una specifica condizione: l’attenzione. Questo concetto chiave distingue infatti, l’attività della volontà da tutte le altre forme di attività dell’io. “In generale l’attenzione è qualcosa che appartiene alla struttura essenziale d’uno specifico atto dell’io […], ossia il tendere dell’io verso l’oggetto intenzionale […]. Essa è precisamente un tendere al compimento”198. L’attenzione rappresenta il 197 Husserl, E., Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 68; tr. it. p. 85. Husserl, E., Esperienza e Giudizio, tr. it. Costa V.; Samonà, L. Milano, Bompiani, 1995, p. 73. 198 69 momento iniziale del volgimento dell’io verso l’oggetto che ha intenzione di conoscere. È un tendere al compimento proprio perché, è a partire da essa che ha inizio qualunque atto di prensione o di afferramento dell’oggetto (dossico, assiologico o pratico) compiuto da parte dell’io. L’attenzione ha, in sostanza, la funzione di ‘risvegliare l’io’, in quanto ‘stimolo risvegliante’ che ‘si dirige all’io’” 199. In questo stimolo essa dà origine ad una tendenza esperiente che fa sì che l’io si diriga verso l’uno o l’altro oggetto della realtà, generando in lui un interesse specifico200. Dunque, la prima componente dell’attenzione è rappresentata dall’atto di interesse con cui l’io prende coscienza dell’esistenza delle cose verso cui esso si volge. Il processo della percezione attiva, attraverso cui l’io esperisce la realtà circostante, è caratterizzato proprio da questo movimento volontario verso gli oggetti che esso scopre come esistenti. “L’interesse della percezione, da cui è guidata l’esperienza ricettiva scrive infatti Husserl - non è altro che il primo grado dell’interesse propriamente conoscitivo, è una spinta tendenziale a portare a datità da ogni lato l’oggetto intuitivamente dato.“ 201 Per conoscere un oggetto, come per agire praticamente, è necessario portare ad esistenza la cosa verso cui siamo rivolti. Con l’espressione ‘portare a datità o ad esistenza’ si intende questo processo di restituzione, alla realtà della nostra coscienza, di ciò che esiste e che cogliamo fuori di noi. La volontà, attraverso l’interesse della percezione, riconosce i suoi oggetti e si riferisce ad essi in un processo che potremmo definire di ‘originaria obiettivazione’. Essa, quindi, in virtù di questa peculiare forma di obiettivazione, può essere riconosciuta come ‘particolare e superiore’, perché rende possibile la realizzazione di ogni atto, anche di quelli obiettivanti, che Husserl, prima del ’14, attribuiva solo alla ragione logica. Questo processo ‘di portare a datità l’oggetto’ non esaurisce però, il senso della volontà. “La volontà di conoscere - scrive l’autore - sia che abbia in sé il suo fine o che stia a servizio di uno scopo pratico, va oltre.”202 La sfera della volontà non si esaurisce in un atto di attenzione o di interesse rivolto verso un particolare oggetto, perché questi atti potrebbero cambiare nel tempo assumendo sfumature e contorni diversi; potrebbero mutarsi, ad esempio, in automatismi passivi, estranei propriamente al processo attivo della volontà. L’interesse conoscitivo può essere dominante o subordinato. Non è 199 Ivi, p. 74. Cfr. “Potremmo dire che con essa – scrive Husserl – si è svegliato un interesse per l’oggetto della percezione come oggetto esistente”. 201 Ibid. 202 Ibid. 200 70 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza detto che esso debba essere puramente autonomo, […] la conoscenza cui esso mira può anche essere un semplice mezzo per altre finalità dell’io, per scopi e interessi pratici che a questi si dirigono. […] Esso può essere, alla pari di altri interessi, momentaneo, fuggevole, e infine essere pure rimosso da altri 203 interessi, anche prima della sua esplicazione. L’interesse che accompagna il processo di conoscenza non è detto che sia sempre attivo e che coincida interamente con l’atto della volontà. “È vero che nella ricettività l’io è attivamente rivolto all’afficiente, ma non fa della sua conoscenza e […] dei suoi singoli passi conoscitivi, l’oggetto di una volontà.”204 Quando percepisco la realtà il mio interesse per essa può, secondo Husserl, essere puramente passivo. Io posso essere affetto dalla sua realtà e percepire i suoi diversi aspetti, ma tutto questo può avvenire senza che io ne abbia piena coscienza. Io posso, per così dire, incamerare in modo passivo delle informazioni riguardanti la realtà che mi circonda, senza aver dato volontariamente alcun ordine alla mia attenzione. “Invece nell’interesse autentico per la conoscenza è in gioco una partecipazione volontaria dell’io […]: l’io vuole conoscere l’oggetto e fissare il conosciuto una volta e per tutte”205. Si deve dunque, secondo Husserl, distinguere tra due tipi di interesse: uno passivo ed uno attivo o volontario. Il primo nasce con il semplice «sentimento dell’attenzione» che muove l’io ad interessarsi, anche passivamente, ad un oggetto; il secondo nasce invece, dall’atto volontario dell’io che si muove con l’autentico fine della conoscenza. Questo secondo tipo di interesse non viene definito da Husserl come un atto volontario, ma piuttosto come ‘un sentimento’, ovvero come qualcosa che non può essere riconosciuto in termini esclusivamente razionali. “Noi abbiamo […] parlato – scrive Husserl - di un interesse che sarebbe sorto con il volgersi dell’io all’oggetto. Ora si può vedere che quest’interesse non ha nulla a che fare con un atto specificatamente volontario. Non si tratta di un interesse che produca qualcosa come scopi o azioni volontarie. È solo un momento della tendenza, la quale appartiene all’essenza della percezione normale. Se noi parliamo qui di interesse è perché a questa tendenza s’accompagna un sentimento, che è anzi un sentimento positivo, il quale non deve essere scambiato per il compiacimento per l’oggetto.”206 Anche l’interesse passivo quindi, viene chiamato interesse perché ad esso si accompagna un sentimento, che sembra far parte della sfera della volontà e che sembra dare all’interesse stesso una sfumatura di 203 Ivi, p. 184. Ivi, pp. 179-80. 205 Ivi, p. 180. 206 Ivi, pp. 77-78. 204 71 volontarietà nel processo di tendenza alla percezione. Il sentimento, però, che accompagna l’interesse attivo o autentico è un sentimento positivo, ovvero un sentimento che pone fini o scopi di conoscenza. “In un piano superiore questa tendenza può poi assumere anche la forma di un volere vero e proprio, della volontà di conoscere, con la posizione di scopi ed intenzioni.”207 Nel piano superiore, ovvero nel piano dell’attività dell’io, della trasformazione dei dati passivi della coscienza in dati attivi, la materia percepita attraverso il primo tipo di interesse può essere presa e fissata dalla volontà in un’identità ben specifica. La volontà di conoscere, accompagnata dal sentimento positivo dell’interesse attivo, dà luogo ad atti attraverso i quali viene riconosciuto e fissato il contenuto di senso di ogni dato proprio della conoscenza. Accanto a questi atti di interesse “si può formare un concetto più ampio di interesse […]. Questi atti non si intendono solo come quelli in cui io sia rivolto tematicamente ad un oggetto, per esempio percependolo ed osservandolo a fondo, ma in generale come tutti gli atti del rivolgersi dell’io […], atti dello inter-esse dell’io” 208 . In questo modo il concetto di interesse si definisce specificatamente secondo il suo significato etimologico come un stare dell’io tra le cose. Questo ‘stare tra’ può poi essere trasformato dalla volontà in qualcosa di diverso, in un atto di prensione dossico (ovvero in un atto della conoscenza), o in un atto di prensione pratico (ovvero in un atto etico), o infine in un atto di prensione assiologico (ovvero in un atto di valutazione). È quest’ultimo l’elemento più rilevante della nuova definizione della volontà: essa può trasformare qualsiasi forma di atti; trasforma ciò verso cui siamo interessati in forme di conoscenza assiologica, logica o pratica. “Lo scopo della volontà è la prensione dell’oggetto nella sua determinatezza identica, la fissazione ‘una volta e per tutte’ del risultato della percezione osservativa”209. La ragione pratica diviene lo strumento attraverso il quale la nostra mente organizza il tipo della nostra conoscenza. In questo modo essa è superiore e predominante rispetto alla ragione logica ed è capace di obiettivare i propri oggetti in un duplice senso. Nel primo senso, che abbiamo sopra individuato, essa obiettiva in modo primitivo ed originario i propri oggetti, riferendosi ad essi in maniera pressoché istintiva, attraverso un interesse passivo. Nel secondo senso, appena individuato, la volontà obiettiva i propri oggetti perché in grado di ‘prenderli’, trasformali e fissare la loro identità. Conoscere significa, secondo Husserl, agire volontariamente, ovvero 207 Ivi, p. 78. Ibid. 209 Ivi, p. 180. 208 72 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza ‘prendere’ e fissare il senso identico degli oggetti passivamente percepiti. Questo conoscere è, in un primo momento, originato da un sentimento di interesse ed in un secondo momento, è realizzato dall’interesse attivo e consapevole rivolto alla conoscenza. La sfera della volontà ha il compito di trasformare la dimensione passiva degli oggetti della coscienza, in esistenza, ovvero in qualcosa che esiste anche per la coscienza che li ha passivamente raccolti. La volontà, attraverso il suo intervento, porta ad esistenza ciò che nella coscienza già è stato recepito. Naturalmente nel distinguere questi due momenti, come “nel distinguere i due gradi di interesse e corrispondentemente i due gradi di operazioni oggettivanti, da un lato quello dell’esperienza oggettiva e dall’altro quello della spontaneità predicativa, non dobbiamo intendere questa distinzione come se le diverse operazioni fossero tra loro in un qualsiasi modo separate. Al contrario […] sono di fatto e regolarmente, strettamente intrecciate l’una all’altra.” 210 Esperienza oggettiva e spontaneità predicativa sono due tipi di obiettivazione diversi ed uniti tra loro, ed entrambi vengono portati a compimento dall’attività del volere. Il processo di interazione dell’io con la realtà circostante può essere di due gradi (l’uno passivo e l’altro attivo), ma ciò non significa che questi due gradi siano nettamente separati tra loro, anzi, l’esperienza oggettiva e la spontaneità predicativa (ovvero la spontaneità della percezione e dell’identificazione dell’oggetto) si intrecciano strettamente l’una all’altra perché sono in realtà due aspetti differenti di una medesima attività. È proprio perché passività ed attività si uniscono tra loro e non possono essere separate, che nella volontà persiste un residuo di irrazionalità che non può mai essere completamente eliminato. La volontà viene accompagnata nel suo interesse verso l’oggetto, da ‘un sentimento’ che non viene descritto da Husserl in termini esclusivamente razionali. Nelle lezioni degli anni ’20 emergono, attraverso l’introduzione del metodo genetico, delle nuove caratteristiche che ridefiniscono la sfera del volere; essa sembra essere, infatti, una sfera sia attiva che passiva, che si trova alla base di qualsiasi possibilità di obiettivazione e rappresentazione degli oggetti. Questo significa che rispetto alla definizione di intenzionalità che Husserl aveva dato nelle Ricerche Logiche vi è un rilevante cambiamento di posizione211. Il fatto che Husserl indichi gli atti del volere come atti obiettivanti segna, rispetto alle lezioni etiche del 1914 e all’impostazione iniziale del suo progetto etico, una distanza importante e soprattutto significativa ai fini dei nostri obiettivi. L’asimmetria del parallelismo tra ragione logica, pratica ed assiologia, che rende irrealizzabile il progetto husserliano, spinge l’autore verso una 210 211 Ivi, pp. 184-85. Husserl, E., Ricerche Logiche II, op. cit., pp. 369-91; tr. it. pp. 160-181. 73 progressiva modificazione delle cause che portano a questa asimmetria. Husserl quindi modifica la propria posizione rispetto a temi rilevanti, come quello degli atti intenzionali, al fine di rendere realizzabile il proprio progetto etico. L’etica, o almeno l’ambizione di fare di essa una scienza, rappresenta un termine di confronto col proprio pensiero filosofico. 3.1.2. L’intenzionalità degli atti pratici Nel paragrafo precedente si mettevano in evidenza i due punti di differenza maggiori della descrizione di volontà elaborata nel 1914 e nel 1920; nelle lezioni del 1920, la volontà è superiore rispetto alle altre forme di ragione ed i suoi atti possono essere definiti obiettivanti. L’introduzione del metodo genetico e l’ambizione di realizzare il proprio progetto etico-scientifico, possono essere considerati come una prima risposta a questo cambiamento. “Sembra che – scrive Bernet – la decisione in favore del carattere obiettivante dell’intenzionalità dei sentimenti […], fosse motivata dalla preoccupazione di una fondazione fenomenologica dell’etica” 212 . Sia Bernet che Melle 213 ritengono che il progetto etico-scientifico husserliano abbia influito in modo decisivo sull’evoluzione del suo pensiero fenomenologico. Per quanto l’etica nasca e si sviluppi come una parte piccola e limitata del pensiero husserliano, crediamo che essa influisca in modo determinante sulla fisionomia finale della sua produzione fenomenologica. I contenuti del suo progetto etico infatti, portano Husserl, come vogliamo mostrare qui di seguito, a modificare persino la sua teoria dell’intenzionalità. Come già sappiamo dalle lezioni del 1914, gli atti pratici sembrano subordinarsi all’intenzionalità della ragione logica. Questo è giustificato dal fatto che gli atti della ragione pratica non si riferiscono, secondo Husserl, a dei veri e propri oggetti, ma alla rappresentazione di questi. Nella quinta delle Ricerche Logiche, riprendendo in parte la classificazione brentaniana 214 degli atti psichici, Husserl utilizza due definizioni dei fenomeni psichici: ogni fenomeno psichico è caratterizzato da un riferimento intenzionale ed esso “o è una rappresentazione oppure poggia su una rappresentazione”215. Sulla base di questa classificazione, l’autore riproduce una sorta di schema entro cui inquadra e spiega i vissuti216 o atti della coscienza. I 212 Bernet, R. La vie du sujet, op. cit, p. 312. Melle, U. Objektivierende und nicht-objektivierende Akte in Ijsseling, S. HusserlAusgabe und Husserl Forschung, Dordrecht/ Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1990, pp. 35-49. 214 Cfr. Husserl, E. Ricerche Logiche II, op. cit., par. 10. 215 Ibid. 216 Husserl sceglie di parlare di vissuti e non di atti psichici per evitare fraintendimenti tra la dimensione real e reel della vita della coscienza. La prima infatti si riferisce ai vissuti 213 74 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza vissuti reali (reel) della coscienza si distinguono in atti e non atti. Tutti gli atti sono intenzionali; i non atti, invece, non lo sono, perché non si dirigono intenzionalmente verso nessun oggetto rappresentato. “Che non tutti i vissuti siano intenzionali – scrive Husserl – è dimostrato dalle sensazioni e dalle complessioni sensoriali” 217 . Le sensazioni sorgono senza che un oggetto venga rappresentato o intuito; esso viene percepito di per sé senza alcun riferimento intenzionale a lui rivolto. L’oggetto delle sensazioni rimane cioè, un oggetto immanente che fa parte della sensazione come momento di quel specifico stato psichico. Tuttavia anche gli atti di sensazione possono essere elevati al rango di atti intenzionali, divenendo «debitori del loro influsso intenzionale»218 agli atti di rappresentazione. “Se rappresento un quadro o nella fantasia una lotta tra centauri, essa suscita in me un senso di piacere non meno di un bel paesaggio della realtà. […] L’essere piacevole, e rispettivamente l’avere una sensazione di piacere, non appartiene a questo paesaggio come realtà fisica e nemmeno come effetto fisico, ma alla coscienza d’atto che è qui in questione”219. Se il sentimento di piacere poggia sulla rappresentazione dell’oggetto e non sull’oggetto di per sé empaticamente esperito, quel sentimento di piacere diviene atto, ossia vissuto intenzionale. Non ogni desiderio sembra esigere un riferimento cosciente alla cosa desiderata, dal momento che spesso veniamo mossi da pressioni e tensioni oscure e tendiamo a scopi che non sono rappresentati; e se, in particolare, si rimanda all’ampia sfera degli istinti naturali, a cui, almeno originariamente manca la rappresentazione cosciente del fine, noi risponderemmo: si tratta in questo caso di mere sensazioni […], quindi di vissuti che sono effettivamente privi di un riferimento intenzionale e che perciò […] sono estranei al carattere essenziale del desiderio intenzionale. Oppure affermiamo che, pur trattandosi di vissuti intenzionali, essi sono caratterizzati solo come intenzioni dirette 220 indeterminatamente . empirico-psicologici della coscienza, la seconda fa invece riferimento alla purezza fenomenologica dei suoi vissuti. La differenza tra psichico e fenomenologico nelle Ricerche Logiche sta nel fatto che lo psichico si riferisce ai ‘contenuti veramente immanenti dell’atto’, a ciò che è stato specificamente percepito e il fenomenologico si rifà a ciò che è extra mentem, ovvero a ciò che non necessariamente esiste, ma che può essere rappresentato. Nelle Ricerche Logiche la differenza forte tra queste due sfere di realtà sembra risiedere nel ruolo che gioca il concetto di rappresentazione; cfr. Ricerca Logica V, par.11. 217 Ivi, p. 369; tr. it. p. 160. 218 Ivi, p. 390; tr. it. p. 179. 219 Ivi, p. 391; tr. it. p. 180. 220 Ivi, pp. 395-96; tr. it. pp. 183-4. 75 “La gioia – ad esempio - non è un atto concreto in se stesso e il giudizio un atto che si trova accanto ad esso, ma il giudizio è un atto fondante in rapporto alla gioia, esso determina il suo contenuto […], senza una simile fondazione la gioia non può in generale sussistere”221.Il giudizio, quindi, è sempre un atto intenzionale, perché rappresenta l’oggetto verso cui si riferisce. La gioia invece, ha bisogno del giudizio per esserlo. Dunque, gli atti che appartengono alla sfera pratica della ragione non sono intenzionali, perché mancano di rappresentazioni coscienti. Essi si riferiscono, secondo Husserl, ai loro oggetti in maniera, diremmo noi, impulsiva o istintiva e possono divenire intenzionali solo nel momento in cui poggiano sulle rappresentazioni (perlopiù degli atti logici del giudizio) di questi. I loro riferimenti intenzionali dipendono, quindi, dalla capacità di rappresentazione di altri atti. La rappresentazione, nella teoria husserliana dell’intenzionalità, ha un ruolo molto importante. In ogni contenuto intenzionale infatti, “dobbiamo distinguere tre concetti: l’oggetto intenzionale dell’atto, la sua materia intenzionale (di fronte alla sua qualità intenzionale), infine la sua essenza intenzionale”. Soffermiamoci sul secondo di questi tre concetti, che sarà il più importante per definire la nuova posizione che Husserl assume in rapporto all’intenzionalità della sfera pratica: la distinzione tra materia e qualità dell’atto. “La distinzione”, scrive Husserl, riguarda “il carattere generale dell’atto che lo contraddistingue come atto di mera rappresentazione, oppure di giudizio, di sentimento, di desiderio etc. ed il suo contenuto che lo contraddistingue come rappresentazione di ciò che è rappresentato, come giudizio su ciò che viene giudicato”222. “La qualità determina soltanto se ciò che è già stato reso rappresentativo, in una certa modalità, sia intenzionalmente presente come ciò che viene desiderato, interrogato, giudicato etc. Di conseguenza all’interno dell’atto, la materia deve valere per noi come ciò che conferisce in primo luogo ad esso il riferimento ad una oggettualità e con una tale determinatezza, che dalla materia non viene soltanto nettamente fissata l’oggettualità in genere, intesa dall’atto, ma anche il modo in cui la intende”223. Questi due momenti, qualità e materia dell’atto, costituiscono l’essenza intenzionale dell’atto. Ma essi non potrebbero sussistere senza la loro rappresentazione di base; essa è il contenuto basilare di ogni materia, ed è una sorta di eccezione tra tutti i tipi di atti perché è l’unico tipo di atto fondamentale per tutti gli altri. La rappresentazione, infatti, in un primo senso “è un atto (ovvero una peculiare qualità d’atto) alla stregua del giudizio, del desiderio, della domanda etc. […]. Nel secondo senso […] non sarebbe 221 Ivi, p. 404; tr. it. pp. 191-2. Ivi, p. 411; tr. it. p. 197. 223 Ivi, p. 416; tr. it. p. 201. 222 76 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza un atto, ma la materia d’atto, che costituisce in ogni atto completo un lato dell’essenza intenzionale o, in termini più concreti, questa materia”224. La rappresentazione è quindi la forma più elementare ed originale d’atto attraverso cui è possibile esprimere la sua essenza intenzionale. Essa, però, per esprimersi ha in primo luogo bisogno dell’oggettivazione. Infatti, il modo attraverso cui questi atti ‘si appropriano della materia’ 225 e la rappresentano è l’oggettivazione. ”Gli atti oggettivanti hanno la funzione del tutto peculiare di rendere rappresentativa per tutti gli altri atti l’oggettualità a cui essi si debbono riferire secondo le loro nuove modalità” 226 . Dunque, se Husserl ritiene che “ogni vissuto intenzionale è una rappresentazione o poggia su una 227 rappresentazione” e se il mezzo attraverso cui la rappresentazione è resa possibile è l’oggettivazione, allora è possibile affermare che “ogni vissuto intenzionale è un atto oggettivante oppure ha un atto di questo genere al proprio fondamento” 228 . Tutti gli “atti non-oggettivanti (gioia, desiderio, volizioni)”229 si fondano di conseguenza in quelli oggettivanti e non sono considerati dei vissuti propriamente intenzionali. Che cosa cambia quindi intorno agli anni ’20, dopo l’applicazione del metodo genetico? In base a quello che è stato mostrato nel paragrafo precedente, gli atti di sentimento vengono riconosciuti come atti oggettivanti, capaci di fissare l’oggetto della propria prensione in una rappresentazione. Essi divengono atti intenzionali, predominanti persino rispetto agli atti logici. A differenza delle lezioni del 1914, la ragione logica non è più superiore alla ragione pratica in virtù della propria capacità di obiettivazione, perché dipende dall’attività produttiva della volontà. La superiorità e la particolarità della sfera della volontà consistente nella sua peculiare forma di attaccamento (Zuwendung) emozionale all’oggetto intenzionale, fa sì che, come nota anche Bernet 230 , vi sia una forma di intenzionalità di tipo affettivo ‘superiore’ rispetto a quella appena descritta. Solo la volontà può rendere esistente ciò che è passivamente dato; solo essa può portare a datità una realtà che altrimenti rimarrebbe ignota alla ragione stessa della coscienza. Essa, come si è detto nel paragrafo precedente, prende, fissa e trasforma l’identità degli oggetti passivamente percepiti. “La forma dossica –scrive Husserl -, che è inclusa nel vissuto del sentimento secondo tutte le sue componenti, sarebbe dunque quella che rende possibile l’adattabilità dell’espressione […] al vissuto del sentimento che, 224 Ivi, p. 457; tr. it. p. 245. Ivi, p. 494; tr. it. p. 279. 226 Ivi, p. 494, tr. it. p. 279. 227 Ivi, p. 427; tr. it. p. 215. 228 Ivi, p. 494; tr. it. p. 279. 229 Ivi, p. 498; tr. it. p. 283. 230 R., Bernet, La vie du sujet, op. cit., p. 312. 225 77 come tale e secondo tutti i suoi membri, contiene più tesi, tra cui necessariamente, anche una tesi dossica”231. La posizione di privilegio della sfera dossica, descritta nelle lezioni del ’14, resta in virtù della sua capacità predicativa ed espressiva, ma questa capacità viene ora nettamente distinta dalla possibilità di oggettivare i contenuti degli atti. Tutti gli atti, anche quelli di sentimento sono definiti ora come intenzionali. “Gli atti di piacere – scrive Husserl – […] come pure gli atti di sentimento e di volontà d’ogni specie sono appunto ‘atti’, ‘vissuti intenzionali’, e […] in ogni caso appartiene loro l’intentio, la presa di posizione”232. Nelle pagine di Idee I (1913), l’essenza intenzionale viene definita in nuovi termini. Essa viene descritta come la capacità di prendere posizione o nella versione grecizzante di essere ‘tesi’ in rapporto agli oggetti. Ogni atto può essere più tesi, ovvero può prendere posizione in rapporto all’oggetto secondo più modi, o come scrive Husserl, secondo più «caratteri posizionali»233. Quindi, ci si può rapportare ad un oggetto secondo una posizione di volontà, di conoscenza, di valutazione etc. e tutti questi modi sono da Husserl egualmente considerati delle posizioni proprie di atti intenzionali ed oggettivanti. “Appartiene infatti all’essenza di ogni vissuto intenzionale […] di avere almeno uno, ma normalmente più caratteri posizionali, più tesi […]; in questa pluralità, necessariamente, un carattere è per così dire arcontico; […] unifica ed in sé domina tutti gli altri”234. La definizione che Husserl utilizzava nelle Ricerche Logiche è trasposta qui in maniera molto meno rigida, anche se, come nota Benoist 235 , non ancora chiara. Tutti gli atti sembrano essere ora obiettivanti, anche gli atti di sentimento, in virtù di un’essenza intenzionale che non consiste più nella sola qualità e materia d’atto, e quindi non più nella sola capacità di rappresentare secondo diversi modi la realtà; l’essenza intenzionale sembra ora consistere nella capacità di rivolgersi all’oggetto. In questo senso, la razionalità della volontà sembra essere ‘superiore’ rispetto alle altre forme di ragione della coscienza e sembra poter avere a seconda dei casi, rispetto alle altre posizioni dell’atto, un 231 Husserl, E., Idee I, op. cit., pp. 264-5; tr. it. pp. 315-6. Husserl, E., Idee I, op. cit., pp. 241-2; tr. it. p. 291. 233 Ibid. 234 Ibid. 235 J., Benoist, La fenomenologia ed i limiti dell’oggettivazione, op. cit., pp. 167-8: “La posizione della maturità non è però così chiara, e mi sembra infatti che le difficoltà rimangano. […] Si deve notare l’equivocità con la quale viene introdotto il tema dell’universalità degli atti obiettivanti […]. L’estensione della nozione d’atto obiettivante è ammessa soltanto in virtù di una possibile ripresa teorica […] del contenuto dell’atto”. 232 78 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza carattere arcontico. Come nota Hart236 dagli anni ’20 in poi la razionalità del volere è superiore rispetto a quella teoretica e dossica, in virtù della dimensione emotiva che, attraverso il metodo genetico, viene messa in luce. Solo in virtù della capacità emotiva di muoversi originariamente verso l’oggetto, la volontà può essere in grado di recepire dei contenuti di valore verso cui indirizzare il proprio interesse. La ragione teoretica è incosciente di queste acquisizioni fino a quando non vi riflette sopra. “Ogni forma di ragione - scrive Husserl - è sempre ragione pratica”237, “tutti gli atti sono modi del volere, modi di un comportamento radicato in una capacità dell’io […]. Giudicare è un modo del volere in senso più ampio” 238 . La rappresentazione che gli atti del volere riescono ad elaborare, sembra essere di una forma più elementare e per così dire ‘istintiva’ rispetto a quella degli atti teoretici; essa è, in un certo modo, di tipo teleologico e consiste nella sua capacità di istintiva di rivolgimento verso (Beziehung auf) gli oggetti della realtà. In sintesi:  l’intenzionalità della ragione pratica viene ridefinita secondo un carattere teleologico ed ‘emotivo’.  Questa ridefinizione è giustificata dal processo di ‘universalizzazione’ del concetto di obiettivazione compiuto da Husserl nel § 117 di Idee I. Ragione pratica, logica ed assiologica non sono più distinte tra loro in base alle loro funzioni, ma sono parte di una stessa posizione e sono egualmente dotate di una vita intenzionale, ovvero di una autonoma capacità di dirigersi verso gli oggetti di conoscenza e di interagire praticamente con essi.  A modificare il carattere intenzionale del volere e degli atti di sentimento riteniamo intervengano due elementi determinanti: l’applicazione del metodo genetico, che descrive la volontà anche in quanto funzione di prensione dell’oggetto e la necessità di realizzare il progetto etico. Nella parte finale del già citato paragrafo, Husserl ribadisce la validità dei presupposti del suo progetto etico: “Con l’essenziale comunanza di genere di tutti i caratteri posizionali è data eo ipso quella dei loro correlati posizionali […]. È qui che si fondano, in ultima istanza le analogie avvertite in ogni tempo tra la logica generale, la dottrina dei valori e l’etica, che seguite nelle loro ultime profondità, conducono alla costituzione di discipline formali parallele: la logica formale, l’assiologia e la pratica formale.”239  I problemi, quindi, che avevamo posto nel paragrafo e nel capitolo 236 Hart, J. The Person and the Common Life, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1998, p. 26. 237 Husserl, E. Ms. E III 7, 85. 238 Husserl, E. Ms. A V 22, 5. 239 Husserl, E., Idee I, op. cit., p. 242; tr. it. p. 292. 79 precedente sembrano essere in parte risolti. Il parallelismo tra le diverse forme di ragione è ora perfettamente simmetrico, perché si attribuisce, anche agli atti di sentimento e di volere, un proprio carattere intenzionale, non subordinato a nessun’altra forma di atto. Inoltre anche l’intreccio tra le diverse forme di atti, può essere spiegato dal punto di vista noetico (o soggettivo) in virtù del processo di ‘universalizzazione’ del carattere oggettivante degli atti della coscienza. Ogni atto può essere posizionale e può intrecciarsi al suo interno con altre posizioni di atto, ma in ogni atto prevale sempre una posizione arcontica che caratterizza l’atto ed il suo correlativo oggettivo. Ogni ‘materia formale’, ci dice Husserl, è il correlato oggettivo di una serie di atti in cui prevale uno specifico carattere arcontico che dà il ‘nome’ alla materia. Nel caso dell’etica, il carattere arcontico sarà necessariamente quello degli atti del volere. 3. 2. La coscienza razionale, irrazionale e non razionale Se la volontà, che è un modo della coscienza, viene definita in maniera nuova, ci chiediamo come, dopo l’applicazione del metodo genetico, cambi anche la definizione di coscienza. Ricordiamo che Husserl aveva posto, come fondamento razionale della futura scienza etica, la coscienza, in quanto lume di chiarificazione dei molteplici dubbi della scienza e della vita quotidiana. Ora però, se essa diviene qualcosa di inerente alla sfera della passività (strato più basso dei dati vissuti dall’io e più prossimo all’irrazionalità e alla non evidenza), può essa essere ancora considerata il fondamento della scienza oppure il progetto di fondazione cambia? In un interessante articolo Costa nota come “vi sia una certa tensione tra la tendenza verso la certezza, la ricerca dell’evidenza e l’emergere della nozione di mondo”240, a cui la coscienza è irrimediabilmente legata. Se vi fosse evidenza “non vi sarebbe coscienza”, perchè la coscienza è una funzione continuamente attiva nel mondo e finché la coscienza vive il mondo, incamera nuove conoscenze che debbono essere portate ad evidenza. Sommer, sempre a questo proposito, mostra come “una sensazione, se potesse darsi che contenesse chiarezza e null’altro che chiarezza, sarebbe una clara et confusa perceptio.” La coscienza infatti, “nella massima evidenza non è altro che chiara confusione” e “la riduzione a questa evidenza è un passo verso l’autodispersione e l’autodistruzione della coscienza“ 241 . La coscienza, in sostanza, è talmente vicina alla vita ed ai suoi contenuti che una completa o ultima chiarificazione di questi significherebbe la sua fine o distruzione. Proprio 240 Costa, V. “Evidenza e mondo in Husserl”, in Leitmotiv, 1998, p. 12. Sommer, M. Husserl und der frühe Positivismus, Frankfurt a. Main, Klostermann, 1985, p. 235. 241 80 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza perché così connessa con la vita umana e con il mondo che essa vive, la coscienza diviene per Husserl qualcosa di non comprensibile in senso pieno: Per quanto ne parliamo, noi non conosciamo la coscienza pura. Anche dopo averla idealmente delimitata attraverso l’idea della riduzione trascendentale, ancora non la possediamo veramente. Per possederla (in senso conoscitivo) dobbiamo prima acquisirla. […]. In particolar modo la coscienza conoscente, nonostante la logica e la gnoseologia tradizionali, è ancora un territorio 242 sconosciuto . La coscienza, studiata attraverso il metodo genetico, diviene coscienza che vive il mondo e quindi essa si presenta come qualcosa di parzialmente inspiegabile. I suoi contenuti cambiano di vissuto in vissuto e la possibilità di coglierli con evidenza, rappresenta solo un momento distinto nella corrente di vissuti già nuovi. Il criterio di evidenza 243 che Husserl utilizzava come strumento di chiarificazione dei contenuti dei vissuti, diviene, con il metodo genetico, uno strumento pressoché inutile. Esso può funzionare solo quando la coscienza è conclusa, ovvero smette di vivere (ma in quel caso le vie di accesso ai suoi contenuti ci sarebbero negate, perché non vi sarebbero più dei vissuti). Persino la riduzione, dinanzi alla materia della coscienza, è uno strumento parzialmente impotente perché, per quanto possa essere applicata in maniera progressiva e ripetuta, non riesce ad acquisire in modo definitivo tutti i suoi contenuti. Non appena dico di conoscere qualcosa del mio vissuto, in modo puro e quanto più possibile astratto, ecco che un nuovo contenuto entra subito a fare parte del mio vissuto e rende ciò che è stato appena chiarito, confuso ed ancora ignoto. Se la coscienza, quindi, non può essere ‘conosciuta’ in modo esaustivo, si deve ammettere che, a fianco della razionalità che la caratterizza, debba esserci anche qualcosa di non razionale o di ancora non conoscibile. Bisogna poi capire se questo ‘non razionale’ sia qualcosa di irriducibile o se debba essere considerato come un forma di transizione verso il razionale. “Il nome ragione – scrive infatti Husserl designa soltanto una sezione della più ampia e vastissima sfera della coscienza possibile in generale […], perché si deve tener conto delle sfere idealmente infinite di quella che è l’immagine speculare di ragione e irrazionalità.”244 242 Husserl, E., Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., p. 289. Cfr. Prolegomeni, par. 49; Ricerche Logiche, I par. 29; Idea della fenomenologia, Secondo gradino della considerazione fenomenologica, Lezione III; Idee I par.par.. 16, 28, 69. 244 Ivi, p. 147. 243 81 Esistono quindi due immagini della coscienza che debbono essere esplorate; secondo Husserl, entrambe queste ‘immagini’ stanno a fondamento della presupposta scienza etica e dell’idea di scienza husserliana in generale? Se così fosse Husserl sarebbe anche costretto ad ammettere l’idea di una scienza fondata paradossalmente in una dimensione razionale ed irrazionale allo stesso tempo. Se infatti il progetto etico resta inalterato, assieme al fondamento scientifico che Husserl indica nelle lezioni del 1914, l’idea di scienza etica, ma anche di scienza logica e fenomenologica (perché tutte e tre utilizzano la razionalità della coscienza come loro fondamento) che ne deriva, risulta alterata rispetto all’idea iniziale. Non appena rivolgo l’attenzione alla mia coscienza in quanto funzione – vale a dire come la funzione di costituire in sé stessa la realtà – in tutta la sua ampiezza che abbraccia l’universo, sicché il mondo intero e tutte le scienze si spostano per così dire nella coscienza (…), ecco che mi assalgono un disagio e uno stupore radicali: d’un tratto tutto diventa problematico, tutte le scienze con la loro razionalità, che di solito è pienamente soddisfacente, 245 ricevono un indice di problematicità, di incomprensione La coscienza è considerata da Husserl come il fondamento ultimo di ogni forma di conoscenza pratica, logica, matematica, estetica e via di seguito. Se si considera la coscienza non come un momento specifico della compagine dei suoi vissuti, ma come una funzione, ovvero come qualcosa che costantemente funge nella realtà, essa diviene incomprensibile, perché la sua fisionomia cambia di continuo. Di conseguenza, se la coscienza, in quanto fondamento ‘fungente’, non può mai essere completamente compresa ed acquisita, le conoscenze di cui essa è origine ricevono un ‘indice di incomprensione’, un indice di problematicità che, stando alla struttura tracciata da Husserl, non può essere in alcun modo risolto. Sia la ragione che la ‘non ragione’ della coscienza rappresentano, allo stesso modo, una parte essenziale della coscienza. Ma la non ragione può essere intesa come una forma di transizione, ovvero come una ‘non-ancora-ragione’ che può essere portata alla sua forma razionale tramite la chiarificazione fenomenologica? Chi si interessa originariamente, per la questione dell’unità e della molteplicità, dell’oggetto e della coscienza razionale che se ne ha, o conoscenza possibile, accanto alla ragione deve comunque anche studiare l’irrazionalità (ragione negativa) e la non-ragione, vale a dire l’intera coscienza pura, nonché l’io puro che si può 245 Ivi, pp. 213-15. 82 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza mostrare fungere in essa. Ciò che per motivi essenziali è uno, non può essere smembrato. Gli specifici problemi gnoseologici, e in generale di teoria della ragione, che corrispondono al concetto dapprima empirico, di facoltà razionale […] sono solo delle sezioni trasversali del problema generale della coscienza e dell’io; e una sezione trasversale diviene pienamente comprensibile solo se si 246 indaga l’intero di cui fa parte. Con queste parole Husserl rende la propria posizione rispetto alla scienza ancora più problematica. Usa infatti due termini per indicare la possibile irrazionalità della coscienza: ‘ragione negativa’ e ‘non-ragione’. Seppure supponiamo che uno dei due termini possa essere inteso come una forma di transizione alla ragione, in quanto forma di dati passivamente recepiti dal soggetto e non ancora portati a coscienza, l’altro termine non può essere inteso allo stesso modo. La ‘ragione negativa’ resta una ‘ragione negativa’ e con essa Husserl sembra avvisarci del fatto che nella coscienza permanga costantemente un residuo di irrazionalità. Se vogliamo ricollegarci alle osservazioni critiche richiamate in precedenza, la ragione negativa potrebbe coincidere con quella nozione di ‘non evidenza’ propria dei contenuti della coscienza. La coscienza è di per sé unitaria e le sue componenti razionali, irrazionali e non razionali sono parte integrante di questa unità ed emergono con ancora più chiarezza quando la coscienza viene analizzata in quanto funzione vivente. La teoria della ragione su cui Husserl si era affannato nella prima parte della ricerca è solo un aspetto della più vasta indagine della coscienza e della soggettività, la cui problematicità ora emerge con ancora più chiarezza attraverso l’applicazione del metodo genetico. La questione che ci poniamo ora è: da dove deriva l’irrazionalità della coscienza? E nonostante questo residuo di irrazionalità (di questo però ci occuperemo nel capitolo successivo), la coscienza può ancora essere definita il fondamento razionale della scienza? 3.2.1. Persona, io puro e coscienza Dopo l’introduzione del metodo genetico il concetto di coscienza viene concepito in connessione costante col mondo che essa vive. La coscienza diviene principalmente coscienza che vive il mondo. Ma se essa continua ad essere considerata come una dimensione assolutamente pura ed astratta, come spiega Husserl la sua apertura al mondo? A giustificare questa correlazione, sembra esservi, a nostro avviso, un terzo elemento: il concetto di persona. Proviamo ad analizzare, in questo paragrafo, il significato di tale 246 Ivi, p. 257. 83 termine per capire in quale dimensione Husserl lo collochi e di quale natura esso sia. Nelle lezioni etiche dei primi anni del ‘900, il concetto di persona non veniva preso in considerazione, talora esso veniva semplicemente accennato e subito associato alla sfera del mondo empirico. Dopo l’introduzione della fenomenologia genetica invece, Husserl approfondisce tale concetto e sembra inserirlo nella pura sfera della coscienza. Nel secondo volume di Idee (1924-25)247 distingue infatti due nozioni di persona, una pura e l’altra empirica: “Se noi prendiamo l’io personale come l’abbiamo trovato nell’inspectio (vale a dire senza considerare la sua unità col corpo vivente), non sembra dapprima distinguersi dall’io puro.”248 Per Husserl io puro ed io personale sembrano non distinguersi tra loro. Se l’io personale viene colto senza il suo riferimento corporeo, può essere associato all’io puro, nonostante la sua dimensione personale. Bisogna capire, ora, come possa essere definita pura una dimensione personale e se questa possa essere considerata di natura pienamente razionale. “L’esperienza personale – scrive Husserl – non è relativa alla natura. ‘Non relativa alla natura significa che ciò di cui si fa esperienza non è naturale nel senso dell’insieme delle scienze della natura, ma per così dire è contro natura” 249. L’esperienza personale non è qualcosa che può essere interamente attribuita alla sfera empirica, essa è definita come un ‘contro natura’, ovvero come ciò che non appartiene alla natura empirica. 247 Nell’Archivio-Husserl si trova un manoscritto del secondo libro risalente al 1912, immediatamente successivo al primo libro. Tale manoscritto corrisponde perfettamente al progetto annunciato. Ancora nel 1922 Husserl pensava di seguire il piano originario, come risulta dalle note in margine da lui redatte nell’esemplare di cui si serviva per la seconda edizione di Idee I nel 1922. Non pubblica nel 1922 questo secondo volume perché, sebbene la parte definita provvisoriamente Teoria della scienza non subisca variazioni, altre analisi vennero continuamente riprese fino al 1928. In questi quindici anni il problema della costituzione delle oggettualità nella coscienza diviene sempre più importante e dibattuto nella fenomenologia husserliana. Nel 1915 Husserl scrive una nuova elaborazione del secondo libro, nella quale riprende parecchie cose di un denso manoscritto elaborato nel 1912 e dei suoi manoscritti di seminario del 1913-‘15. Probabilmente nel 1916 Edith Stein elaborò una trascrizione in caratteri correnti di questo manoscritto stenografato e nel 1918 preparò una seconda elaborazione di questo secondo libro. Quest’ultima elaborazione corrispondeva già, grosso modo, al testo che conosciamo. Fino al 1924 sembra che il lavoro della Stein si sia arrestato. Solo nel 1924‘25 Ludwig Landgrebe, divenuto assistente privato di Husserl, elaborò una trascrizione a macchina delle Idee II e III, quali erano state proposte nei manoscritti di Edith Stein. All’elaborazione fatta da Landgrebe Husserl aggiunse, tra il 1924-‘28, una serie di commenti e rettifiche che vennero trascritte dal professor Strasser e vennero aggiunte come apparato critico al testo. 248 Husserl, E. Idee II, op. cit., p. 247; tr. it. p. 297. 249 Ivi, p. 180; tr. it. p. 185. 84 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza Secondo Husserl infatti, bisogna discernere tra la persona corporea, che è quella che fa esperienze nel mondo naturale e la persona astratta, che è quella che apre la coscienza alla dimensione del mondo. Quest’ultima, è quella “nella quale noi siamo sempre quando viviamo insieme, quando ci parliamo […], quando consideriamo le cose che sono attorno a noi […]. Vivere come persona significa porsi come persone, ritrovarsi secondo dei rapporti coscienziali con un mondo circostante e porci secondo dei rapporti simili”250. La persona, intesa in senso astratto, è dunque quella forma di soggettività che funge da ponte con il mondo circostante, perché “ogni persona ha in sé […] il mondo circostante comunicativo, un proprio mondo circostante egoista […] ed è il mondo egoista che costituisce il nucleo essenziale del mondo comunicativo”251. Dunque è chiaro che:“dobbiamo distinguere tra la persona umana, l’unità appercettiva che noi cogliamo nella percezione di sé e nella percezione degli altri e la persona” intesa in senso puro. La persona astratta, quella intesa in senso puro, è per Husserl il “soggetto di atti razionali le cui motivazioni, le cui forze motivazionali ci arrivano a datità attraverso i nostri vissuti originari, oltre che attraverso la comprensione dei nostri vissuti”252. La persona intesa in senso puro, è quella che apre la coscienza al mondo in virtù della forza motivazionale a cui dà origine. Essa funge da ponte tra la coscienza ed il mondo perché, grazie al proprio carattere, è sia parte della pura coscienza che centro delle motivazioni personali. Il carattere infatti fornisce alla coscienza quelle motivazioni (motus), senza le quali gli atti perderebbero la possibilità di agere. Gli atti infatti, possono essere tali solo in forza del movimento che li spinge alla realizzazione. Alla base degli atti razionali della coscienza vi sono, quindi, delle forze motivazionali di cui la persona dispone per dare origine alla vita razionale della coscienza. L’essenza propria di tutta la spiritualità riconduce all’essenza dei soggetti di tutta la spiritualità in quanto soggetti di vissuti intenzionali; questi soggetti sono degli io (Iche), soggetti personali; essi sono come soggetti personali mentre vivono nella forma della coscienza, mentre realizzano in molti modi la coscienza, la coscienza che fa esperienza, rappresentazioni, che sente, che 253 valuta, cha ha dei fini e che agisce. Sono i soggetti personali a presiedere alla vita della coscienza e a caratterizzare l’intera dimensione dello spirituale. La dimensione della persona non solo fa parte della coscienza, ma in più la anima e la motiva. 250 Ivi, p. 183; tr. it. p. 187. Ivi, p. 193; tr. it. p. 197. 252 Ivi, p. 296; tr. it. p. 294. 253 Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 104. 251 85 Tuttavia, oltre ad essere il suo ponte per il mondo esterno ed il suo centro motivazionale, sembra anche essere l’origine di quel persistente residuo di irrazionalità che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la caratterizza. Husserl attribuisce infatti alla dimensione personale anche le inclinazioni, i sentimenti, le abitudini ed una serie di caratteristiche che non possono essere razionalmente guidate o previste. “Noi chiamiamo etico – scrive nelle lezioni del ’24 – non solo le volizioni e le azioni secondo i loro fini, ma anche le inclinazioni che sono presenti nella personalità come referenze abituali ”254. Infatti, le motivazioni e le scelte personali, per quanto possano seguire dei principi razionali ed oggettivi, possono essere soggette alle proprie inclinazioni o al proprio carattere, e questo può facilmente influire sulla razionalità degli atti che ne conseguono. Se la dimensione personale fa parte della coscienza e se presiede alla formazione ed alla direzione degli atti razionali, ne consegue che Husserl delinea una forma di razionalità, non solo diversa da quella descritta nelle lezioni del ’14, ma diversa in generale rispetto alla sua prima impostazione filosofica. La ragione pura della coscienza non è solo ragione della coscienza, ma anche ragione personale. Esiste dunque una forma di razionalità logica, assiologica o pratica, che può essere portata all’azione da motivazioni che non sempre sono oggettive, ma che anzi possono, il più delle volte, possono essere personali. Per quanto si possa infatti, rendere astratto il termine ‘personale’, esso include sempre in sé qualcosa che rimanda alla sfera personale del carattere e del modo con cui esso recepisce la realtà e motiva nuove azioni. Rimane ora da capire se questo nuovo tipo di razionalità possa ancora essere considerato fondante per la scienza etica e per ogni altro tipo di scienza. 254 Ivi, p. 8. 86 CAPITOLO 4 LA SCIENZA ETICA NELLE LEZIONI DEL 1920-1924 4.1 Il progetto etico nel 1920-1924 Le pagine che andiamo ad analizzare sono quelle del primo e sesto capitolo del XXXVII volume della Husserliana, pubblicato nel 2004 a cura di Henning Peucker. Questo volume è il risultato delle lezioni tenute da Husserl nel semestre estivo del 1920 e del 1924, presso l’università di Friburgo, intitolate la prima volta Einleitung in die Ethik e la seconda Grundprobleme der Ethik. È possibile rilevare come, in queste lezioni, Husserl modifichi la propria impostazione rispetto alle lezioni del 1914 e riteniamo che questo si rifletta nel suo pensiero etico ed, in generale, nella sua produzione filosofica. L’idea di scienza che Husserl introduce e difende in queste lezioni, infatti, lo porta a ritrattare quanto aveva affermato in rapporto alla teoria dell’intenzionalità e della razionalità della coscienza. Egli descrive un’idea di scienza più vicina alla dimensione personale dell’individuo, che a quella puramente razionale della coscienza. In merito a ciò facciamo riferimento a quella parte della critica 255 husserliana che definisce le lezioni etiche, raccolte in questo volume, con il termine ‘personalistiche’. Tale termine si riferisce al peso che il concetto di persona assume in questi anni ed alla distanza che esso segna rispetto all’etica esposta fino al 1914. Per quanto l’etica, infatti, possa apparire come una parte piccola e circoscritta del pensiero filosofico husserliano, essa è costruita su un progetto scientifico molto ambizioso che abbraccia i diversi campi del sapere. Perché noi possiamo ritenere tale progetto realizzato o almeno fondato, Husserl deve essere in grado di mostrare come poter sciogliere le incongruenze che abbiamo fatto emergere nei capitoli precedenti e per far questo deve introdurre dei cambiamenti nelle teorie portanti della propria impostazione fenomenologica. La 255 Cfr. Bianchi, I. A. Etica husserliana, Milano, Franco Angeli, 1998; Landgrebe, L. Itinerari della fenomenologia, trad. a cura di Piacenti, G. Torino, Einaudi, 1975, p. 144; Joumier, L. “Le renouvellement éthique chez Husserl”, in Annales de Phénoménologie, 2004, pp. 201-218; Melle, U. Husserls Personalistiche Ethik, in (a cura di) Centi, B.; Gigliotti, G. Fenomenologia della ragion pratica, Napoli, Bibliopolis, 2004, pp. 344-346; Melle, U. “The Development of Husserl's Ethik”, in Etudes Phénoménologiques, 13-14, 1991, pp. 115-135; Melle, U. “Ethics in Husserl”, in Encyclopedia of Phenomenology. Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publisher, 1997, pp. 180-184; Peucker, H. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. II; M., Sancipriano, Les sources morales de Husserl, op. cit., pp. 13-43. scienza etica, infatti, non può sussistere se gli atti pratici non sono intenzionali e se la ragione pratica non è anche ragione personale. Husserl sembra costretto, in virtù della propria ambizione progettuale, a ritrattare quanto aveva affermato nelle lezioni etiche del 1914, soprattutto rispetto a due punti: l’etica scientifica non può essere pensata soltanto come logica del sentimento 256 (Gefülslogik) , ma deve essere una scienza capace di consigliare le scelte 257 personali dell’io . Se la razionalità pratica non è in grado di suggerire al soggetto dei valori e dei motivi utili per le scelte personali, essa è una scienza insufficiente (unzureichend); Se gli atti pratici ed assiologici (e con essi gli atti personali dell’io) non sono intenzionali, il parallelismo tra logica ed etica non può sussistere e dunque non c’è motivo di pensare all’etica come ad una scienza universale. Diversi sono i fattori che portano Husserl a modificare la propria posizione; tra questi ricordiamo i più importanti, di cui abbiamo già parlato nei capitoli precedenti: l’introduzione del metodo genetico, l’ansia di realizzazione del proprio progetto scientifico e la guerra. Nell’ultimo capitolo abbiamo visto come, a seguito della combinazione di questi fattori, la definizione di coscienza sia cambiata. Nelle Ricerche Logiche veniva descritta come dimensione pura ed assolutamente razionale, in Fenomenologia e teoria della conoscenza (1917) essa è un’unità vivente che può divenire anche irrazionale o non razionale. La questione che qui poniamo è se, nonostante questi cambiamenti, il progetto etico-scientifico possa essere egualmente sostenuto e se il parallelismo tra i modi di ragione della coscienza possa ancora funzionare come la struttura entro cui la nuova scienza etica deve trovare le proprie radici. Se Husserl, infatti, decidesse di mantenere inalterato il proprio progetto, pur modificando il quadro della coscienza entro cui la scienza viene collocata, cambierebbe non solo l’idea di scienza etica esposta nel 1914, ma anche l’idea di scienza in senso generale. Questo perché la coscienza è fondamento razionale non solo della scienza etica, ma di ogni genere di scienza. Ci troveremmo, in sostanza, dinanzi ad un ulteriore rilevante cambiamento che l’etica husserliana intreccia rispetto al pensiero fenomenologico e che riflette le modifiche precedentemente apportate alla teoria dell’intenzionalità e della ragione. La scienza diverrebbe personale e passibile di irrazionalità. In questo capitolo affronteremo il testo delle lezioni etiche del 1920-24 per comprendere se Husserl continui a sostenere il proprio progetto etico e se modifichi ancora la propria posizione rispetto ai concetti di intenzione, razionalità della coscienza e scienza. 256 Husserl, E.Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 260. In merito all’insoddisfazione nutrita da Husserl nei confronti della precedente formulazione dell’etica, citiamo un passaggio delle Einleitung in die Ethik, in cui l’autore rimprovera a se stesso: «Che ne è dei valori della personalità, della valutazione delle proprietà personali?», (p. 35); o ancora in merito alla pretesa del dovere assoluto: “Che cosa devo fare? Che cosa la mia condizione di vita pretende da me come cosa dovuta unicamente qui ed ora?”, (Ivi, p. 7). “La concreta questione etica [diviene]: ‘Come devo modellare il mio vivere per uno veramente buono’ e quindi […] : ‘Il dovere per me assoluto, è da prendere come vocazione scientifica o come qualcosa di niente più che una vocazione pratica?” (Ivi, p. 9). 257 88 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza 4. 2. Tecnologia e scienza Già nelle primissime righe del testo, Husserl ribadisce le linee essenziali del proprio progetto: Noi ci rifacciamo al tradizionale parallelismo dell’etica con la logica, che di fatto ha nella ragione stessa la sua causa più profonda. Come la logica, l’etica viene definita e trattata per lo più come tecnologia (Kunstlehre); l’una come tecnologia del pensiero giudicante diretto alla verità, l’etica come tecnologia del volere e dell’agire. La logica è riferita ad un particolare genere di bisogni pratici dell’essere umano e delle sue relative attività; ve ne sono alcune che sono determinate da un puro interesse teoretico. L’uomo, come essere giudicante, tende alla verità e supremamente 258 alla verità in forma di scienza Nonostante le modificazioni apportate alla definizione di coscienza, il «tradizionale parallelismo» 259 tra logica ed etica e, di conseguenza, il progetto etico restano gli stessi; cambia piuttosto il quadro entro cui Husserl pone le due discipline. Se la coscienza infatti, si avvicina alla dimensione personale dell’individuo, anche le due idee di scienza, giacché si fondano in essa, vi si avvicinano. Ciò significa che, nonostante i cambiamenti apportati alla definizione di coscienza, il progetto da lui elaborato sin dalle lezioni del 1902260 resta inalterato: per fondare la scienza etica bisogna analizzare il parallelismo che la lega alla logica. Etica e logica sono, infatti, considerate ancora come due scienze parallele tra loro, che si occupano però di un differente settore della vita umana. Tuttavia il quadro cambia, perché Husserl non parla propriamente di scienza (Wissenschaft), ma di tecnologia (Kunstlehre). Ricordiamo che questi due termini, soprattutto nelle Ricerche Logiche (testo esplicitamente citato da Husserl come utile linea guida per far comprendere ai propri alunni le lezioni etiche di quegli anni), avevano un’accezione ben distinta. Per scienza infatti, Husserl intendeva qualcosa di assolutamente puro ed astratto, di valevole in senso universale; per tecnologia (Kunstelehre) invece, intendeva l’applicazione 258 Husserl, E., Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 3; essendo stata pubblicata dopo la stesura del mio testo la traduzione di queste lezioni, propongo qui di seguito la mia traduzione delle Einleitung e non quella, seppure citata per esteso in bibliografia, di F. S. Trincia e N. Zippel. 259 Ibid. 260 La prima descrizione dell’analogia tra logica ed etica e quindi del conseguente progetto etico elaborato da Husserl si ha nel 1902 in Vorlesungen über Grundfragen zur Ethik und Wertlehre. 89 empirica delle pure leggi della scienza261. In questo senso la tecnologia non poteva coincidere con la scienza, perché altrimenti la scienza sarebbe stata abbassata al rango di una ‘psicologia della conoscenza’. Se infatti, i principi della conoscenza derivassero da un io che non è un punto di riferimento puro ed astratto, ma è ‘questo io’, ovvero un io empirico che di volta in volta decide di applicare, a seconda delle situazioni, questo o quel principio, la scienza diverrebbe una psicologia, ovvero una conoscenza relativistica e generalizzabile 262 della conoscenza di quel soggetto. Nelle Ricerche Logiche quindi, questi due termini venivano tenuti ben distinti, proprio perché, nella ‘battaglia’ di Husserl contro lo psicologismo ed il relativismo, consentivano all’autore di esprimere la differenza tra una conoscenza tecnica e particolare ed una conoscenza scientifica ed universale. Questa impostazione però, sembra cambiare nelle lezioni etiche del 1920-’24. Infatti in queste lezioni, sia la logica che l’etica vengono definite tecnologie (Kunstlehren). Scegliendo di avvicinarsi a questo termine per la ridefinizione del proprio progetto etico, è come se Husserl accettasse di avvicinarsi ad una posizione di stampo relativistico (intesa in senso husserliano263). Da una parte, come scrive Boehm 264 , il punto di partenza imprescindibile della ricerca husserliana è l’assoluto, in modo specifico la datità (Gegebenheit) che si offre in maniera assoluta alla coscienza; tale assoluto, come una certa letteratura critica nota265, diviene, in un certo 261 Cfr. nel testo: par. I. 2. 2. Cfr. Husserl, E. Prolegomeni, op. cit., pp. 79-81; tr. it. pp. 97-99; in queste pagine Husserl critica la consistenza di verità del principio di non contraddizione di Mill; essa deriverebbe solo da una generalizzazione dei fatti citati e la sua verità sarebbe quindi sempre relativa a quei fatti citati. Dei principi logici universalmente validi non possono trarre la loro verità a partire dalla generalizzazione di fatti empirici. La formalizzazione comporta la sostituzione dei contenuti con variabili indeterminate, la generalizzazione comporta invece la variazione fantastica dei contenuti individuali. Per approfondire questo tema dal punto di vista critico si può consultare: Mohanty, J. Husserl’s Formalism, in (a cura di) Thomas M.; Seebohm, D. F.; Jitendra N. Phenomenology and the Formal Sciences, Drodrecht, Kluwer Academic Publishers, 1990; Ales Bello, A. Husserl e le scienze, Roma, Goliardica, 1986; De Palma, V. Il soggetto e l’esperienza, Bologna, Quodlibet, 1996. 263 Vedi ad esempio: Prolegomeni, cap. VII. 264 Bohem, R. Husserl’s Concept of the Absolute, in Critical Assessments, op.cit., p. 219. 265 Soffer, G. “Husserl and the Question of Relativism”, in Phaenomenologica, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London, 122, 1991, p. 110: “La fenomenologia in sè – ammette Husserl – deve essere interpretata in un senso relativo”; Carr, D. Phenomenology and the Problem of History: a Study of Husserl’s Transcendental Philosophy, Evanston, Northwestern University Press, 1974, p. XXIII; Carr, D. “Interpreting Husserl”, in Phaenomenologica, 106, 1987, pp. 227-246; Mohanty, J. N. “Phänomenologische Rationalität und die Überwindung des Relativismus”, in Vernunft und Kontingenz: Rationalität und Ethos in der Phänomenologie, Phänomenologische 262 90 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza senso, relativo. Dall’altra invece, come scrive in un interessante testo Soffer, il relativismo arriva in Husserl come un’“inaspettata ed indesiderata conseguenza del suo lavoro” 266 . La scienza che egli descrive in queste pagine sembra, anche a nostro avviso, non più una scienza assoluta, ma relativa alla vita personale degli individui. Con questo non intendiamo dire che Husserl riproduca una sorta di relativismo à la Hume267, perché mantiene sempre la pretesa di muoversi su un livello puro o trascendentale. Tuttavia, è possibile rilevare che la scienza, agli occhi del filosofo, diviene una sorta di eidetica dell’esperienza personale dei singoli soggetti; essa descrive in modo puro le esperienze personali del soggetto. Potremmo applicare all’etica (in quanto sua parte) quello che Costa, Franzini e Spinicci268 scrivono in merito alla scienza fenomenologica: dacché, nelle Ricerche Logiche, essa è descrizione che deve rendere ragione, ovvero mostrare il fondamento razionale di ciò che scopre, nella Crisi essa subisce un’evoluzione: diviene scienza della coscienza costituente ed in quanto tale inseparabile dall’esperienza mutevole del soggetto. Le verità che questo tipo di scienza mette in luce, come nota anche Strasser269, sono differenti a seconda del tipo di scienza, o di stile del pensare o di prassi da cui esse emergono. La ragione assoluta della scienza diviene, secondo Husserl, ragione personale del soggetto conoscente ed in quanto tale, pur mantenendo il proprio valore assoluto, si relativizza a seconda del tipo di esperienza del singolo soggetto conoscente. Per spiegare come noi arriviamo ad essere in accordo con questa parte della critica, partiamo da un’affermazione di Husserl contenuta nelle lezioni del 1920-’24: “Le discipline tecniche sono propriamente anche delle scienze”270. Mentre nelle Ricerche Logiche, lo ribadiamo, l’autore aveva nettamente distinto questi due livelli della scienza, per evitare di cadere nel relativismo scettico271, in queste pagine unifica i due piani e riconosce alla tecnologia il valore di scienza. “Che cos’è – scrive Husserl - che distingue dunque la tecnologia (…) da un lato e le discipline teoretiche (…) dall’altro? Tutte e due sono delle discipline scientifiche, anche le Forschung, 19, 1986, pp. 53-74. 266 Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 151. 267 Cfr. in merito la tesi di Donnici in Husserl e Hume, op. cit, secondo il quale Husserl si è formato come filosofo sui testi dell’empirismo inglese ed in modo particolare su quelli humiani. Secondo Donnici il metodo husserliano è pressoché il risultato della combinazione del metodo humiano e di quello brentaniano. 268 Costa, V.; Franzini, E.; Spinicci, P. Fenomenologia, Firenze, Einaudi, 1996, p. 28, pp. 41-49, 52-62. 269 Strasser, S. “Gedanken zu einer Phänomenologie als ethischer Fundamentalphilosophie“, in Phaenomenologica, 120, 1991, p. 112. 270 Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 19. 271 Cfr. Husserl, E. Ricerche Logiche I, op. cit., cap. VII. 91 discipline tecniche272” Tecnologia e scienza sono entrambe definite delle discipline scientifiche; ciò significa che rispetto alle Ricerche Logiche, Husserl modifica il significato di uno dei due termini, aprendo però il discorso ad ambiguità che egli stesso riconosce di dover chiarire. Scrive infatti: La persistente non chiarezza ha la sua fonte (…) nel doppio senso che si trova nel concetto di tecnologia, la cui spiegazione si presenta di estrema importanza per mostrare da un lato il diritto, sia della logica pura che dell’etica pura, intese come pure scienze della ragione e (…) dall’altro lato, per distinguere queste dalle discipline propriamente tecniche della 273 conoscenza scientifica dell’azione etica. Husserl introduce, rispetto alle Ricerche Logiche, un doppio senso del termine ‘tecnologia’. Se rapportato alla scienza infatti, esso non rappresenta più solo il campo della sua applicazione empirica, ma può anche distinguersi da esso. Da un lato infatti, la tecnologia (Kunstlehre) rappresenta il ‘fondamento di diritto’ che consente di distinguere sia l’etica che la logica tecnica, dall’etica e dalla logica pura. Dall’altro, è tecnologia empirica, ovvero, come era nel vecchio senso, applicazione pratica di puri principi e leggi. Il doppio senso dunque deriva da questo: da un lato può essere determinante la posizione pratica che vuole dare delle prescrizioni per tutti quelli che, dal loro lato, vogliono realizzare un insieme determinato di fini. Dunque la tecnologia generale è precisamente una costruzione sistematica delle prescrizioni e delle costruzioni di colui che fa la pratica (der Praktiker). Dall’altro lato, può essere determinante una pura posizione teoretica che è interessata in modo puramente teoretico ad una sfera delle attività che tendono ad un 274 fine. Il doppio senso che il termine tecnologia può assumere, deriva, quindi, dalla posizione del soggetto dinanzi ai propri fini. Se esso è diretto verso un fine puro ed astratto, l’insieme di questi fini rappresenterà il fondamento razionale di una tecnologia pura ed in questo senso scientifica. Se il soggetto è diretto verso un insieme di fini pratici ed empirici, si avrà una tecnologia empirica ed applicata. In merito a questo punto Husserl adduce l’esempio dello stratega: lo stratega in quanto tale ha il dovere di vincere la guerra e quindi di elaborare strategie dirette alla vittoria, lo stratega in quanto uomo ha il 272 Ivi, p. 14. Ivi, pp. 24-5. 274 Ivi, p. 25. 273 92 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza fine di ‘realizzare se stesso’, di aderire nelle sue azioni alla propria identità. Lo stratega è sia un singolo individuo empirico, che un essere umano in senso puro ed universale. Le sue azioni, quindi, possono essere tese alla realizzazione della sua natura empirica ed individuale (in quanto persona che esercita lo specifico mestiere dello stratega) o alla realizzazione di se stesso in quanto essere umano. Questo secondo tipo di tensione è connesso ad un nucleo puro di fini che rendono la tecnologia una scienza pura e che rappresentano il fondamento di diritto che distingue la tecnologia, intesa in senso puro e quindi scientifico, dalla tecnologia intesa come applicazione empirica dei dati acquisiti. La tecnologia può essere considerata scienza nel momento in cui si fonda su qualcosa di astratto ed universale. E questa distinzione vale, dice Husserl, tanto per l’etica che per la logica; nel caso dell’etica il distinguo è rappresentato dalla vocazione del soggetto. L’etica diviene per Husserl una “tecnologia dei fini che la nostra azione ha il diritto di perseguire”, ovvero una tecnologia nel senso dell’insieme di principi e leggi che possono essere empiricamente applicate dal soggetto per realizzare il proprio scopo contingente. Dall’altro lato, l’etica è una tecnologia scientifica perchè “in ogni situazione contingente vissuta, un fine singolare è designato, da ogni soggetto agente, come unum necessarium, vale a dire come quella cosa singolare che deve essere voluta, di conseguenza l’etica è la tecnologia riferita a un tale dovere assoluto o alla pretesa assoluta della ragione pratica”275. L’unum necessarium, ovvero la pretesa assoluta della ragione pratica, rappresenta il fondamento che consente di distinguere l’etica come tecnologia empirica dall’etica come scienza. Nello specifico, l’assoluta pretesa della ragione pratica è, secondo Husserl, l’“unità dell’assegnazione dei fini che cade nella forma etica dell’assoluta pretesa del dovere, attraverso l’unità di una vita umana; essa si riferisce in modo essenziale all’unità della personalità nella misura in cui essa è ciò che vuole nel volere ed agisce nell’agire” 276. La pretesa assoluta consiste, come si diceva in merito all’esempio dello stratega, nella vocazione dell’io, nella realizzazione dell’identità personale del soggetto, in ciò che la volontà razionale dell’io pretende da esso in quanto inerente alla sua identità. È ben visibile da questo passaggio, la distanza rispetto alla descrizione di scienza che Husserl aveva elaborato nelle lezioni del 1914 sul modello delle Ricerche Logiche. In queste lezioni infatti, il fondamento che permette alla scienza di essere tale consiste non più in un’unità assolutamente razionale, ma in qualcosa che è razionale ed irrazionale 275 276 Ivi, p. 10: Ivi, p. 8. 93 allo stesso tempo. Se nelle Ricerche Logiche Husserl affermava che la scienza, per essere tale, doveva indagare teoreticamente ‘le proprie ragioni’, doveva cioè mostrare l’«unità omogenea»277 che è alla base di ciascuna forma di conoscenza; qui l’unità omogenea di conoscenza diviene ‘eterogenea’, perché si riferisce anche alle proprietà personali della coscienza e quindi a qualcosa che può essere, per assurdo, razionale ed irrazionale allo stesso tempo. Nel momento stesso in cui si parla di vocazione, infatti, si include qualcosa che può avere a che fare con le inclinazioni, l’impulso e l’istinto dell’io. In questo senso gli studi di Nam-in Lee 278 o di Yamaguchi 279 sull’istinto e sul sentimento possono essere utili per avvalorare i nostri risultati. Attraverso di essi emerge infatti una nuova forma di razionalismo husserliano che non pone necessariamente la sola ragione teoretica come superiore rispetto alle altre, ma anzi, proprio in virtù dell’esplorazione di temi come quello dell’irrazionalità e del sentimento, riconosce alla ragione pratica ‘personale’ una sua funzione portante. La razionalità dell’io non esclude, in queste lezioni, la sua vita pratica e personale, anzi vi è intimamente connessa e fa parte delle sue scelte. La distanza tra la ragione, così come era descritta nelle lezioni del 1914 (dove il concetto di vocazione e di persona non era ancora connesso, come abbiamo visto, con quello di ragione) e in Einleitung in die Ethik, è visibile ancora negli imperativi elaborati nel corso di questi anni. Se nel 1914 l’imperativo consisteva nella formula ‘Tue das beste’280, dove il meglio veniva considerato alla stregua del risultato di un calcolo matematico ed assiologico, in cui il soggetto non avrebbe mai potuto sbagliare nella sua scelta, nel 1924 esso diviene “Tue dein Bestes nach bestem Wissen und Gewissen” 281 ; in questo imperativo Husserl utilizza un ‘dein’ che dimostra la presenza di un ‘tu’ verso cui l’imperativo è indirizzato. Se nel 1914 l’azione era quella di un soggetto astratto e puro, in queste lezioni è pensato in relazione ad un soggetto personale che possiede un patrimonio di conoscenze e di valori con i quali deve 277 Cfr. nel testo: par. 2.2.1 Il contenuto della scienza etica del 1914. Si vedano ad esempio: Nam-In Lee, “La phénoménologie des tonalites affectives chez Edmund Husserl”, in Alter, 7, 1999, pp. 243-250; Nam-In Lee, “Edmund Husserl’s Phenomenology of Mood”, in Phaenomenologica, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 148, 1998, pp. 103-120; Nam-In Lee, “Static-Phenomenological and Genetic-Phenomenological Concept of Primordiality in Husserl’s Fifth Cartesian Meditation”, in Husserl Studies, 2002, pp. 179-182. 279 Si vedano ad esempio: Yamaguchi, I. “Ki als leibhaftige Vernunft. Beitrag zur interkulturellen Phänomenologie der Leiblichkeit“, in Husserl Studies, 17, 1, 2001, pp. 6569; Yamaguchi, I. “Triebintentionalität als Uraffektive passive Synthesis in der genetischen Phänomenologie“, in Alter, 9, 2001, pp. 219-240; Yamaguchi, I. Passive Synthesis und Intersubjektivität bei E. Husserl“, in Phaenomenologica, 86, 1982. 280 Husserl, E.Vorlesungen über Ethik, op. cit., p. 153; tr. it. 166. 281 Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 7. 278 94 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza fare i conti nel momento della scelta. Per questo genere di soggetto è contemplata persino una scelta giusta e contraddittoria allo stesso tempo: La voce della coscienza, del dovere assoluto può esigere da me cose che io mai riconoscerei come il meglio nella comparazione tra i valori. Ciò che è folle per la comprensione che compara i valori, è approvato in quanto 282 etico e può diventare oggetto di grandissima venerazione . Può persino succedere quindi, che la mia coscienza mi chieda di fare cose che la mia ragione pratica reputerebbe sconvenienti, irrazionali e tuttavia, qualora io seguissi ciò che la mia coscienza mi chiede, potrei egualmente agire in modo apprezzabile per la comunità, (ne è un esempio l’ostinata lotta per la ricerca scientifica che da anni ha luogo in questo paese e che ancora tiene testa alla ‘fuga dei cervelli’ all’estero o negli altri paesi della comunità europea). La scienza etica in queste lezioni diviene, quindi, qualcosa di tecnicamente scientifico, ovvero qualcosa che non è più assolutamente ascrivibile nella sfera della pura scienza, ma che tuttavia può aspirare, seppure si fondi nella razionalità personale della coscienza, ad una certa forma di universalità 283 . In questo senso Husserl chiama ”etico non solamente il volere e l’agire con i loro fini, ma anche le inclinazioni presenti nella personalità in quanto direzioni abituali del volere” 284 . Questa nuova idea di scienza è legata ad una forma di ragione oggettiva e personale allo stesso tempo, di cui proviamo ad approfondire il significato nel paragrafo successivo. 4. 3. La nuova idea husserliana di scienza Nelle lezioni etiche del 1920-’24 Husserl introduce un’idea di ‘scienzatecnica’, che si fonda su un tipo di razionalità non più omogeneo e 282 Ms A V21, 122 a/b, op. cit. in Hua XXVIII, p. XLVII- XLVIII: „Die Stimme des Gewisses, des absoluten Sollens, kann von mir etwas fordern, was ich keineswegs als das in der Wertvergleichung Beste erkennen würde. Was für den wertvergleichenden Verstand Torheit ist, wird gebilligt als ethisch und kann zum Gegenstand größter Verehrung werden“. 283 Parlo di una ‘certa forma di universalità’ perché credo che in Husserl vi sia una sorta di coesistenza tra particolarismo ed universalismo. Questo potrebbe essere tema di un’ulteriore ricerca a cui possiamo, per ragioni di spazio, fare solamente cenno. L’universalità a cui Husserl aspira, sembra sempre qualcosa che deve essere in grado di essere universale e allo stesso tempo relativa o modellabile a seconda dei singoli individui. E’ questa solo una suggestione nata dalla lettura di alcuni passaggi: Idea di Europa, p. 42; Einleitung in die Ethik, pp. 250-1; Esperienza e giudizio, p. 25, par. 81b, par. 82, par. 84, par. 85. 284 Ivi, p. 8: “‚Ethisch’ nennen wir nicht nur Wollungen und Handlungen mit ihren Zielen, sondern auch bleibende Gesinnungen in der Persönlichkeit als habituelle Willensrichtungen”. 95 puramente essenziale, ma personale e legato alla vocazione, alle inclinazioni ed agli istinti dell’io. La coscienza dell’io, come già abbiamo mostrato in più luoghi, diviene anche coscienza personale ed, in quanto tale, diviene anche potenzialmente irrazionale. La potenziale irrazionalità o non razionalità della coscienza è legata alla componente personale che in essa inside e che non solo apre la coscienza al mondo, motivando i suoi atti, ma, in quanto fondamento, consente anche di distinguere la tecnologia empirica, da quella scientifica. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, nella pura vocazione personale risiede, il fondamento che permette di riconoscere una tecnica empirica diretta alla realizzazione di fini concreti e distinguerla rispetto ad una scienza tecnica mirata alla realizzazione di fini puri ed astratti. Ci chiediamo quindi: Husserl conserva il proprio progetto etico ed anzi introduce una nuova idea di scienza, perché intende difendere un’idea di scienza ‘irrazionale’ o tale che possa fondarsi in una certa forma di irrazionalità o incompletezza razionale? Se infatti Husserl identifica il fondamento della scienza nella vocazione personale dell’io e se ancora ritiene che questo possa essere il fondamento della scienza (e ciò è giustificato ancora di più, come si è mostrato nel terzo capitolo, dal fatto che la coscienza diviene per Husserl anche coscienza personale), possiamo affermare che la sua idea di scienza non coincida più con quella delle Ricerche Logiche ed, in generale, con un’idea di scienza assolutamente pura e razionale? In questo paragrafo vediamo, se e come, il progetto etico porti Husserl a modificare la definizione di razionalità ed intenzionalità in rapporto alla componente personale evidenziata nel rinnovato uso del termine scienza. La nuova idea di scienza, che Husserl introduce in queste lezioni, è, a nostro avviso, passibile di irrazionalità, giacchè il suo fondamento, in quanto personale, può divenire irrazionale. Ma riteniamo che, per ‘difendere’ la sua idea di scienza da questa possibile deriva, Husserl assegni alla ragione assiologica la funzione di strumento di ‘controllo’. L’irrazionale è infatti, secondo Husserl, qualcosa che non risponde ai parametri della ragione e questi parametri o regole di validità sono fissate dalla ragione assiologia. Questa forma di ragione è la componente che consente di elaborare i parametri di razionalità della scienza. Come Husserl mostra nel capitolo VI delle lezioni del 1920-’24, è l’intenzionalità della ragione assiologica che regola l’apertura della coscienza al mondo, ovvero il dispiegamento delle motivazioni personali che portano il soggetto ad agire razionalmente nella realtà. La ragione assiologica, seppure sia personale, è sempre ‘razionale’ perché in ogni atto mostra i motivi o i valori a partire da cui esso si è generato. 96 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza Nelle lezioni etiche del 1920-’24 infatti, a differenza della teoria esposta nella V Ricerca Logica o nel primo volume di Idee, Husserl è costretto, ai fini della realizzazione del proprio progetto etico, a riconoscere a tutti gli atti una capacità intenzionale. In queste lezioni riteniamo che il carattere intenzionale degli atti non sia più dato dal solo riferimento teleologico verso i propri oggetti 285 , ma anche dal loro aspetto, per così dire, ‘costruttivo’. L’intenzione degli atti infatti, anche se è di tipo assiologico o logico, sembra essere sempre tesa alla costruzione dell’identità personale dell’io. Questi soggetti sono degli io, dei soggetti personali; essi sono come soggetti, mentre vivono nella forma della coscienza, mentre portano a compimento la coscienza facendo esperienza, rappresentando, sentendo, valutando. […] In questo vivere intenzionale, l’io non è un punto di osservazione vuoto dei suoi vissuti di coscienza […]. L’essere io è il costante divenire-io. I 286 soggetti sono, mentre si sviluppano ininterrottamente . L’intenzionalità diviene anche un ‘vivere intenzionale’ nel senso della vita personale di un io che sviluppa e costruisce incessantemente se stesso. Il carattere intenzionale dell’atto consiste nel ‘motivo’ per cui l’atto opera nella realtà e correlativamente in ciò che ha acquisito da essa. L’intenzionalità, diversamente dalle lezioni etiche del 1914, non è solo un ‘riferirsi a’ (basato soprattutto sull’attività obiettivante della ragione logica), ma è la condizione d’essenza o razionale di ogni genere di atti (del giudicare, dell’agire, del valutare etc.); ogni atto, per essere tale, deve essere intenzionale, vale a dire riesce a realizzare la sua apertura al mondo. L’intenzionalità consiste nell’intenzione (ovvero nell’obiettivo per cui il soggetto tende al compimento di un atto) e nell’oggetto inteso (ovvero nel motivo raggiunto). “Si dice che, in ogni genere di atti dell’io, di posizioni del giudizio, della valutazione, del volere, c’è una distinzione essenziale tra 1) la semplice intenzione e 2) la posizione originaria di ciò che è inteso (Gemeinten); per esempio, nella sfera di giudizio, [sussiste] una semplice intenzione (Vermeine) giudicante e dall’altro lato un’evidenza, nella quale lo stato di cose inteso è adattato dall’io alla sua identità e alla sua verità” 287. Riteniamo dunque che, in queste lezioni, l’intenzionalità sia definita dalla semplice intenzione e da ciò che viene intenzionato. La sua composizione elementare resta identica rispetto a quella descritta nel 1914, cambia solo il ruolo che il concetto di ‘motivo’ occupa rispetto all’attività intenzionale dell’io. 285 Cfr. par. III. 1. 2 Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 104. 287 Ivi, p. 117. 286 97 Quando parliamo di ‘motivo’ infatti, incorriamo, a nostro avviso, in un gruppo di significati che debbono essere chiariti. A questo termine appartengono sia i gradi di valore posti dalla ragione assiologica (che costituisce il parametro di ogni scelta valida o razionale) e personale dell’io, che le ragioni scelte dal carattere psicologico o personale di un io empirico. Il concetto di persona infatti, come abbiamo visto nel capitolo precedente 288 , ha una doppia accezione (come quello di tecnologia): esso può essere assimilato, a seconda delle sue proprietà, sia all’io puro che all’individuo empirico. Di conseguenza, il motivo (che può essere contemporaneamente motivo personale e razionale), che spinge l’intenzione al movimento e alla realizzazione, è di duplice natura: personale ed oggettivamente razionale o personale e soggettivamente empirico. Husserl distingue queste due dimensioni con il termine spirito e natura. La “natura – scrive – è il regno dell’incomprensibilità. Il regno dello spirito è, invece, quello della motivazione”289. Il concetto di natura viene associato all’anima, a ciò che è esclusivamente psicologico ed empirico; quello di spirito invece a ciò che è spiegabile sia in termini personali che puramente oggettivi. Ciò che appartiene alla natura, al mondo empirico non è motivato perché, secondo Husserl, non può essere mai razionale e comprensibile; in esso non sussistono infatti, le condizioni di validità poste dalla pura ragione assiologica. La motivazione appartiene esclusivamente al regno dello spirito (che è, lo ripetiamo, quello che comprende il puro io razionale e la pura idea di persona) e si può suddividere in due tipi: “quella razionale e quella irrazionale, le motivazioni della [sfera] superiore, della spiritualità attiva e le motivazioni della sfera inferiore, della spiritualità passiva o affettiva”290. La motivazione è razionale nel momento in cui sta «sotto la questione della ragione» 291 , ovvero nel momento in cui la sua origine è comprensibile (“comprensibile nello spirito è tutto ciò che ha una genesi (Genesis) spirituale“ 292 ). La sua origine è comprensibile quando l’atto mostra la sua ragione, vale a dire il motivo a partire da cui si è generato il suo motus. Ed il motivo sussiste nel momento in cui mostra il suo valore. “Ad ogni specifica causalità d’atto – scrive Husserl – appartiene una questione di ragione; cioè io posso tradurre ogni tale causalità nella forma di un fondamento evidente“293. Alla dimensione dello spirito e quindi alla razionalità, all’intenzionalità 288 Cfr. Nel testo: par. III. 2.4 Persona, io puro e coscienza. Ivi, p. 107. 290 Ivi, pp. 107-08. 291 Ivi, p. 108. 292 Ivi, p. 106. 293 Ivi, p. 112. 289 98 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza e alla soggettività pura e personale dell’io, appartiene, nella sua forma attiva, una componente assiologica che consente di riconoscere e fissare dei valori e di distinguerli dalle influenze personali e passive dell’io. Nella dimensione dello spirito può sussistere, paradossalmente, una forma di irrazionalità o non razionalità, ma essa si presenta come una modalità di rispetto o meno delle condizioni di validità poste dalla ragione assiologica ed è perciò ancora comprensibile e motivabile (e quindi appartenente al regno dello spirito). Può sussistere quindi una certa forma di razionalità o di attività intenzionale che sia irrazionale. Ciò tuttavia non significa che essa sia non spiegabile o che sia priva di quei ‘motivi’ che consentono di fissare dei valori razionali. L’intenzionalità può essere irrazionale anche perché passiva e quindi non in grado di mostrare la genesi o il motivo che ha spinto alla formazione di uno specifico atto. Queste caratteristiche possono essere visibili, secondo Husserl, solo “attraverso lo studio veramente urgente dello stato di cose intenzionale”, ovvero degli oggetti intenzionati dall’io; solo con essi è possibile cogliere «il senso dell’idea della ragione» 294 . L’intenzionalità svela le proprietà della ragione e dell’identità personale che con essa si costituisce. Di conseguenza riteniamo che anche il significato di attività intenzionale cambi rispetto alle lezioni del 1914: Husserl lega l’intenzionalità allo sviluppo attivo e passivo dell’io personale e puro. “La soggettività – scrive Husserl – si costruisce, nella sua vita di coscienza, attiva e passiva, il suo mondo circostante (Umwelt), che è ciò che è in virtù del sempre nuovo carattere intenzionale, che essa possiede in quanto detentrice di senso“ 295 . Essa può essere intenzione soggettiva o oggettiva (può essere riferita cioè o all’io puro o alla persona pura), a seconda del grado di valore che la ragione assiologica pone nel motivo che la spinge alla realizzazione. Riteniamo quindi che l’intenzionalità della coscienza resti razionale nel momento in cui si riferisce a motivi validi. Rispetto alle Ricerche Logiche, ogni forma di ragione e di atti è intenzionale e ha bisogno di motivi ‘validi’ per agire in maniera altrettanto razionale, ovvero ha bisogno di mostrare le cause o i valori per cui un particolare atto è stato generato. Il valore di questi motivi sembra essere sempre ponderato dalla ragione assiologica. L’azione è razionale solo nel momento in cui essa segue i valori o gli schemi assiologici della ragione valutante. Si deve riconoscere che persino ‘mezzo e fine […] sono caratteri intenzionali, caratteri di senso che vengono interrogati’ […]. Infatti è proprio di un mezzo, che esso valga per il soggetto come valore, 294 295 Ivi, p. 119. Ivi, p. 105. 99 però non come valore in sè e per sé […], ma per qualcosa d’altro. Già il suo carattere di valore è un intermedio che rimanda ad altri valori. Di contro, è proprio dell’essenza del fine ultimo, che esso sia inteso dall’io come valore in sè, come qualcosa che procurerebbe 296 gioia in sé e per sé […] a cui si tende per il suo valore intrinseco . Si può concludere dunque che la definizione e la funzione di intenzione e di ragione è mutata con il mutare della nuova idea di scienza e del progetto etico che la sottende. Husserl, in virtù dell’esigenza di avvicinarsi ai valori e alle scelte personali dell’individuo e di rispondere all’intuizione iniziale del suo progetto, rimette in discussione alcuni dei nodi centrali della sua teoria filosofica. A discapito della teoria esposta nelle Ricerche Logiche, il progetto etico ne guadagna una maggiore simmetria e fondatezza. Rispetto ai due punti di insoddisfazione che avevamo messo in evidenza nel primo paragrafo, possiamo ora dire che:  se tutti gli atti sono intenzionali e se l’intenzionalità di ogni atto non è più strettamente connessa all’attività obiettivante della ragione logica, ma può anche consistere nel riferirsi razionale, non razionale o irrazionale dell’io alla realtà, ogni forma di ragione ed i suoi corrispettivi atti divengono adatti a fondare la scienza etica;  la scienza etica non è più solo oggettivamente valida e distante dalle esigenze intime del soggetto, ma è anche personale, perché la razionalità della coscienza è divenuta personale. Seppure passibile di irrazionalità, la ragione assiologica resta come strumento per regolare l’apertura del soggetto al mondo e per distinguere quando quest’apertura sia oggettivamente motivata o meno. Anche quando la ragione assiologica può porre dei valori personali che obbediscono alle inclinazioni più che all’oggettività della ragione, essa resta razionale, perché si riferisce sempre a dei valori e a dei motivi presupposti. 296 Ivi, p. 115. 100 CAPITOLO 5 CONCLUSIONI La trattazione che abbiamo condotto sin’ora, ha seguito tre linee di ricerca principali: 1) mostrare come il carattere più originale dell’etica husserliana consista nella sua pretesa di essere scienza 297 ; 2) evidenziare le difficoltà che l’autore incontra rispetto al proprio progetto etico298; 3) e dimostrare come esse lo spingano verso la modificazione delle proprie posizioni, in rapporto a temi importanti come quello dell’intenzionalità299, della ragione300 e della scienza301. Queste tre direzioni di analisi hanno prodotto dei risultati che esamineremo nei seguenti paragrafi. 5.1. La scienza etica: il raddoppiamento del concetto di tecnologia La prima conclusione che possiamo trarre è che, a causa del proprio progetto etico, Husserl modifica la struttura della scienza: raddoppia il concetto di tecnologia e, contrariamente alle intenzioni di partenza, accosta la scienza ad un piano più prossimo a quello della vita personale. Nei Prolegomeni (come abbiamo visto nel primo e nel secondo capitolo del testo), Husserl delinea la struttura della scienza. Ogni disciplina infatti, per divenire scienza ha “inizialmente bisogno […] di un’elaborazione evidente dell’idea di teoria […]. Essa non è che l’esplicitazione dell’idea di verità in sé […] e perciò si riconduce a dei principi che sono le evidenti condizioni di possibilità della verità valida in sé”302. La scienza può essere tale, solo nel momento in cui descrive ed elabora il proprio fondamento di verità. «L’unità essenziale della verità della scienza è un’unità di esplicazione […]. L’unità d’esplicazione significa […] unità teoretica, ossia […] unità omogenea della legalità fondante”303. L’unità teoretica che sta alla base 297 Cfr. nel testo par. 5.2.3. Cfr. nel testo par. 5.2. 299 Cfr. nel testo par. 5.2.1. 300 Cfr. nel testo par. 5.2.2. 301 Cfr. nel testo par. 5.1; 5.1.1; 5.1.2. 302 Husserl, E. Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., p. 73. 303 Ivi, p. 263. 298 dell’idea di scienza è un’unità omogenea di pure essenze razionali della coscienza, che ogni scienza deve chiarire e mostrare. La scienza può essere tale solo se mostra l’evidenza del proprio fondamento, ovvero l’evidenza dell’unità omogenea essenziale su cui essa poggia. Anche le leggi o i principi della scienza devono sottostare a questa condizione di validità. “Ogni disciplina normativa, - scrive Husserl nonché ogni disciplina pratica si fonda su una o più discipline teoretiche, in quanto le sue regole posseggono necessariamente un contenuto teoretico, distinguibile dall’idea di normatività (del dovere). A tali discipline teoretiche spetta appunto l’indagine scientifica di questo contenuto”304. Il livello teoretico di ogni scienza ha il compito di indagare e di mostrare il proprio fondamento di verità, ovvero “l’elemento teoretico, [o il contenuto della suddetta indagine scientifica] che si realizza in certi vissuti”305 puri della coscienza. Come anche Bernet 306 rileva, i Prolegomeni analizzano due forme fondamentali di scienza logica: quella normativa e pura. La trattazione del piano della tecnologia serve nel testo soprattutto per introdurre la logica pura come fondamento teoretico. La tecnologia ha infatti bisogno di una fondazione teoretica per funzionare 307 ; se la tecnologia, lo ricordiamo, derivasse la validità dei suoi principi dal piano dell’esperienza empirica, la definizione di scienza rientrerebbe, secondo Husserl, in quella data dagli «psicologisti»308. La disciplina teoretica ha il compito di osservare ed analizzare l’unità omogenea dei vissuti di coscienza, in cui la disciplina stessa trova il proprio fondamento di verità. La disciplina normativa è l’insieme di leggi che regolano il funzionamento della disciplina stessa ed infine la tecnologia, rappresenta la variante applicata di quella normativa, ovvero l’insieme delle leggi applicate nella realtà empirica. Quest’ultimo livello non può essere confuso con quello della 304 Husserl, E. Ricerche logiche I, op. cit., p. 57; tr. it. p. 41. Husserl, E. Ricerche logiche II, op. cit., p. 4; tr. it. p. 24. 306 Cfr. Bernet, R.; Kern, I.; Marbach, E. Edmund Husserl, op. cit., pp. 39-69. 307 Cfr. Husserl, E. Ricerche logiche I, op. cit., p. 160; tr. it. 170: «La tecnologia logica […] deve essa stessa presupporre certe conoscenze teoretiche […]. Infatti ogni scienza è costituita di verità […] verità fondate in tali costituenti essenziali di ogni scienza considerata come unità teoretica obiettiva […] in base alle quali si può controllare se ciò che pretende di essere scienza o appartenere alla scienza […] corrisponda realmente ad una simile intenzione”. 308 Cfr. Husserl E. Ricerche logiche I, op. cit.. p. 33; tr. it. 51 : « tra le tesi di una delle due parti in causa [logicisti kantiani], noi ci limitiamo a considerare l’asserzione che al fondo di ogni logica intesa come tecnologia vi è un’autonoma scienza teoretica, una logica pura, mentre la parte avversa [psicologisti] ritiene di poter ascrivere alle scienze teoretiche note tutte le dottrine teoretiche che è possibile constatare nella tecnologia logica. […] La logica di Sigwart afferma che ‘il compito supremo della logica, quello che esprime la sua vera essenza, è di essere una tecnologia’”. 305 102 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza scienza in sé, perché è solo una sua applicazione 309 . Confondere la tecnologia con tutta la scienza o con sola la disciplina teoretica, significherebbe confondere con contenuti empirici, la pura unità teoretica della scienza. Il fondamento della scienza deve rimanere, in base alle tesi esposte da Husserl, la pura coscienza e non il singolo soggetto empirico; “qualunque coinvolgimento di pensieri psicologici nel […] contenuto, falsifica [le verità della scienza]”310. Le lezioni etiche del 1914 seguono, quindi, le linee tracciate nei Prolegomeni. In base al parallelismo che Husserl presuppone esserci tra ragione logica e ragione pratica, vengono estrapolate, dalla già analizzata scienza logica, tutte le caratteristiche utili per definire la futura scienza etica. In queste lezioni la scienza etica si articola secondo lo stesso triplice livello e la tecnologia si presenta solo come campo di applicazione delle pure leggi. Tuttavia nelle lezioni etiche del 1920-’24, la definizione di scienza cambia e crediamo che, in questo, abbiano un certo peso l’esigenza di rendere l’etica una scienza più prossima all’individuo e l’introduzione del metodo genetico. Dopo gli spiacevoli eventi della guerra occorsi nel 1917, (descritti nel secondo capitolo), Husserl nutre l’esigenza di un’etica più prossima all’uomo e alle sue scelte. Come anche Joumier311 mette in evidenza, se nelle lezioni del 1914 l’etica può essere ridotta ad un settore del pensiero scientifico e della razionalità, nel 1924 essa assume un carattere più inglobante. La scienza etica, secondo lo Husserl di questi anni, deve essere in grado di fornire aiuto agli esseri umani e non deve ridursi ad un formulario sterile di principi che si limitano a regolare la sola razionalità pratica, senza tener conto delle variabili individuali. La definizione di scienza, così come era stata formulata seguendo le linee dei Prolegomeni, non consentiva di distinguere in modo così netto l’idea di coscienza da quella di io empirico. In sostanza, pur di difendere l’idea di una scienza pura e fondata, Husserl arrivava ad una sorta di ‘spersonalizzazione’ dell’etica e dell’io. Il metodo genetico invece, come si è visto nel capitolo terzo, serve al filosofo come una diversa forma di approccio per trarre nuove conclusioni rispetto a quelle già ricavate. Secondo l’opinione di alcuni studiosi italiani, la revisione metodologica diviene in Husserl quasi un’esigenza pubblica. Egli infatti “manifesterà sospetti nei confronti delle prime fasi del proprio pensiero fenomenologico, qualificando come psicologia descrittiva il 309 Cfr. Husserl, E. Ricerche logiche I, op. cit., p. 47, tr. it. p. 63: “La tecnologia rappresenta quel caso particolare di disciplina normativa nel quale la norma fondamentale consiste nel raggiungimento di un tale scopo”. 310 Ivi, p. 6; tr. it. p. 28. 311 L., Joumier, Le renouvellement éthique chez Husserl, op. cit., p. 203 103 metodo utilizzato nelle Ricerche Logiche”312. Nel 1924 quindi, la scienza etica, pur continuando a basarsi sul parallelismo tra ragione logica e ragione pratica, cessa di essere una scienza assolutamente razionale e pura. La coscienza infatti, con il metodo genetico, viene descritta come coscienza costituente che può essere, paradossalmente, razionale, irrazionale e non razionale. Le essenze razionali, che fanno parte dell’unità teoretica che è alla base della scienza, non sono più propriamente omogenee313: esse divengono piuttosto eterogenee, comprendendo diverse forme di stato della coscienza. Col metodo genetico, la coscienza mostra un aspetto che era rimasto sino ad allora inesplorato: quello personale e variabilmente razionale. Se nelle Ricerche Logiche Husserl rifiutava il concetto di un io puro in quanto finzione ed il concetto di persona mancava del tutto all’interno della sua fenomenologia dei vissuti, dopo l’introduzione del metodo genetico tutto questo cambia. In Idee I Husserl si spinge a riconoscere l’evidenza dell’io puro all’interno dell’ambito dei vissuti puri, sottoposti a riduzione. Nella stessa opera, secondo Flajolet314, esiste già una sorta di allineamento dei due concetti: “fa parte della pura coscienza – scrive tanto l’io puro che l’io personale” 315 ; e l’io puro rappresenta “l’unico principio decisivo […] che costruisce l’unità della corrente di coscienza”316, esso è un’unità “dotata di un’indeterminata corporeità e di una personalità indeterminata”317. La descrizione più consapevole dell’io personale, come nota Bernet, sarà “connessa in modo più stretto con la svolta husserliana verso una comprensione genetica della problematica della costituzione” 318 . Nel periodo successivo a questa svolta Husserl scrive infatti: “L’io è sempre costituito come io personale, io delle sue abitudini, delle sue facoltà, del suo carattere”319. “L’io puro è racchiuso anche nell’io personale, ogni atto di cogito dell’io personale è un atto dell’io puro”320. Questo nuovo tipo di unità da un lato giustifica l’apertura della coscienza al mondo, attraverso le motivazioni che il carattere dell’io personale le fornisce, dall’altro spiega la possibile irrazionalità o non razionalità della sua natura. Dal punto di vista della definizione della scienza etica ciò comporta 312 Costa, V; Franzini, E.; Spinicci, P. Fenomenologia, Firenze, Einaudi, 2002, p. 48 Cfr. Husserl, E. Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., p. 235. 314 Flajoliet, A.“L’habitude entre psychologie et phénoménologie“, in Alter, 12, 2004, pp. 27-45. 315 Husserl E. Idee I, op. cit., p. 172; tr. it. p. 569. 316 Husserl, E. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, op. cit., p. 6. 317 Ivi, p. 296. 318 Bernet, R; Kern, I.; Marbach, E. Edmund Husserl, op. cit., p. 271 319 Husserl, E. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, op. cit.. p. 44, n. 1. 320 Husserl, E. Ms. A VI, 21, p. 21. 313 104 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza che il fondamento stesso della scienza cambia. Questi cambiamenti mettono Husserl dinanzi ad una scelta: o modificare la propria definzione di scienza o conservare la propria definizione di scienza, modificandone il fondamento. Nel 1924 Husserl segue la prima di queste soluzioni: riprende, senza modificarlo, il proprio progetto etico, mettendo in discussione la precedente definizione di scienza. L’unità teoretica, omogenea ed essenziale, che costituiva, nei Prolegomeni, il fondamento di diritto della scienza, diviene ora un’unità teoretica eterogenea perché costituita di vissuti puri e personali dell’io. La scienza etica diviene, dal punto di vista del suo stesso fondamento, una scienza più prossima alla vita personale dell’io. In queste lezioni infatti, il piano della tecnologia non è più ben distinto da quello della scienza in sé. Se nel 1914 la distinzione tra disciplina teoretica e tecnologia era piuttosto forte, tanto che quest’ultima non poteva coincidere con la scienza in sé, altrimenti l’idea di scienza sarebbe stata abbassata al rango di disciplina psicologica, in queste lezioni la tecnologia diviene scienza. Essa non è più scienza assolutamente pura e ben distinta dalla dimensione empirica della tecnologia, ma diviene tecnologia di contenuto scientifico. Rispetto alle lezioni del 1914, Husserl raddoppia, assieme al concetto di persona321, anche quello di tecnologia322. La scienza etica diviene disciplina tecnico-scientifica, che ha le sue radici razionali nella ragione pura e personale dell’io (in una ragione oggettiva e personale allo stesso tempo) e tecnologia applicata. 5.1.1. La scienza etica e le scienze Da questa prima conclusione se ne può trarre una seconda: la costruzione della scienza etica influisce sulla già delineata scienza logica e fenomenologica. Ricordiamo che la struttura entro cui Husserl elabora e sviluppa il proprio progetto etico è il ‘parallelismo’. Se Husserl non credesse possibile la struttura del parallelismo, non potrebbe neanche pensare alla struttura della futura scienza etica o al percorso di indagine da seguire. Proprio l’intuizione di poter fare in etica qualcosa di simile a ciò che Aristotele323 aveva già fatto per la logica, accende nel filosofo la curiosità e la volontà di ricerca. Il parallelismo, come già si è detto, presuppone che ragione logica e ragione pratica siano parallele ed analoghe tra loro. Quest’analogia, è stata interpretata dalla critica in diversi modi: come un’analogia univoca, 321 Cfr. nel testo par. 3.2.1. Cfr. net testo par. 4.2. 323 Cfr. Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 35 dove Husserl si definisce “L’Aristotele della pura etica” o le lezioni di etica del 1914 par. 1, dove istituisce da subito un paragone serrato con la logica aristotelica. 322 105 equivoca o reciproca. Melle, nell’introduzione al volume XXVIII della Husserliana324, ritiene che l’analogia tra logica ed etica operi, allo stesso tempo, su più registri. Mentre per Heidegger 325 l’analogia funziona in modo univoco, ovvero solo sul piano formale, (vale a dire che la logica fornisce all’etica il modello per chiarire le oscurità della propria struttura formale e non viceversa) secondo Melle invece, l’analogia posta da Husserl, si presenta come equivoca ovvero opera contemporaneamente su più livelli (formale e materiale). Essa pretende che alla logica formale debba corrispondere un’etica formale, e alle ontologie formali della logica e dell’etica debbano corrispondere ontologie regionali logiche ed etiche. Gérard 326 infine, propone una terza interpretazione dell’analogia, che condividiamo: equivoca e reciproca. Essa funziona cioè contemporaneamente su più livelli ed opera su due fronti: la riflessione etica stimola quella logica e viceversa. All’evoluzione del pensiero etico husserliano tra il 1908 ed il 1914 corrisponde, secondo Gérard, l’evoluzione del pensiero logico occorso tra le Ricerche Logiche e Logica formale e logica trascendentale. Appoggiando quest’ultima posizione critica, crediamo che l’analogia tra logica ed etica sia di tipo reciproco, vale a dire la riflessione logica influenza l’etica così come l’etica influenza la logica. E questo avviene contemporaneamente su più livelli della scienza. Abbiamo mostrato, infatti, come, nelle lezioni etiche del ’24, i risultati che riguardano la scienza etica, vengano da Husserl estesi anche alla scienza logica e ciò che riguarda la non chiarezza del fondamento della scienza etica, diviene proprio anche della scienza logica 327 . Anche la logica, così come l’etica, diviene una disciplina tecnico-scientifica che deriva il proprio fondamento razionale da delle essenze che sono puramente razionali e personali allo stesso tempo, e anch’essa diviene, paradossalmente, una scienza passibile di irrazionalità (beninteso nel significato che Husserl assegna a questo termine). Infine, sempre in virtù della struttura del parallelismo, che, pur con le sue difficoltà, Husserl continua a difendere ed approfondire, anche la definizione di scienza fenomenologica cambia. Influenzata, a nostro avviso, dai cambiamenti apportati nel progetto di fondazione della scienza etica, la fenomenologia da «scienza di coscienza» 328 diviene anche «forma evolutiva richiesta dell’idea di una filosofia prima»329. 324 U., Melle, Einleitung des Herausgebers, op. cit., p. 19 Heidegger, M. „Einführung in die phänomenologische Forschung“, in Gesamtausgabe, XVII, Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 1994, p. 271. 326 V., Gérard, “L’analogie entre l’éthique et la logique”, in Fenomenologia della ragione pratica, op. cit., pp. 119-148. 327 Cfr. Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 19. 328 Husserl, E. Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., p. 17. 329 Husserl, E. Storia critica della filosofia, op. cit., p. 6; tr. it. p. 13. 325 106 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza Infatti, se, dopo l’applicazione del metodo genetico, la definizione di coscienza cambia e con essa cambia anche il fondamento della scienza logica ed etica (definite da Husserl come scienze particolari della più generale scienza fenomenologica), lo stesso mutamento interessa anche la scienza fenomenologica. Essa diviene una scienza che si fonda nella razionalità di una coscienza costituente, che non può mai essere totalmente acquisita e razionalmente spiegata. La fenomenologia, in quanto scienza fondata in questo tipo di coscienza, diviene una scienza ‘in movimento’, che si evolve in base all’evoluzione dei nuovi vissuti di coscienza. Il cambiamento che occorre in fenomenologia dopo l’introduzione del metodo genetico porta alcuni critici, ad esempio Franzini, a ritenere che “l’incapacità di rispettare quell’esigenza logica che, sin dalle Ricerche Logiche, vedeva le discipline normative specifiche fondarsi in quelle teoretiche e non viceversa”330 porti Husserl alla fine ‘del sogno’ di fare della fenomenologia una scienza. Invece noi riteniamo che Husserl continui a rispettare il proprio progetto scientifico ed, in parte, la struttura scientifica che aveva delineato nelle Ricerche Logiche, conseguendo inoltre una nuova e forse inaspettata, concezione di scienza. Come scrive Strasser, Husserl supera la tradizionale distinzione tra filosofia teoretica e filosofia pratica e lavora per un’idea di scienza in generale in cui la scienza teoretica ha una struttura morale e viceversa. La costruzione della scienza etica, infatti, si intreccia con quella fenomenologica e la influenza o, meglio ancora, ne fa parte. Secondo Strasser “la scienza più rigorosa, la teoria più pura ha le sue radici nel regno del vivere pratico con le sue valutazioni, posizioni di fini e norme”331. Con il mutare del progetto etico, sicuramente cambiano anche il generale progetto filosofico scientifico e le esigenze che esso racchiudeva. La fenomenologia continua ad essere definita, anche nelle lezioni del 1920-’24, come scienza, dal momento che si fonda ancora nella ragione della coscienza e chiarifica il contenuto del proprio fondamento. Tuttavia, l’unità teoretica su cui essa si basa e che chiarifica - il suo ‘dover essere’ scientifico - diviene, secondo i risultati delle lezioni del 1920-’24, un’unità di vissuti personali e mondani della coscienza. L’idea di scienza cambia, si relativizza o meglio si ‘personalizza’. Come nota ancora Strasser, abbiamo ora diverse scienze, diverse verità, diversi stili del pensare del matematico o del filosofo; la ragione diviene 330 Franzini, E. Fenomenologia, Franco Angeli, Milano, 1991, p. 16. Strasser, S. “Gedanken zu einer Phänomenologie als ethischer Fundamentalphilosophie”, in Phaenomenologica, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 120, 1991, p. 70. 331 107 funzione relativa alle scienze singolari e alla prassi mondana332. Tanto la scienza etica che la scienza fenomenologica si fondano, in base alle lezioni del 1924, su un ‘dovere essere’, su un fondamento di diritto che si esplicita con il compimento della vocazione stessa del soggetto. Husserl mantiene lo schema delle Ricerche Logiche, ma ne cambia i significati. Nel caso specifico, il dover essere della scienza fenomenologica, la propria vocazione, resta quella di spiegare le verità o i contenuti della coscienza. 5.1.2. La scienza in generale Un’ultima conclusione che si può trarre dalla definizione di scienza etica, elaborata nelle lezioni del 1920-24, è che, con essa, Husserl non modifica ‘solo’ la propria accezione di scienza logica e fenomenologica, ma anche la propria accezione generale di scienza. Se nelle Ricerche Logiche il concetto di scienza era nettamente distinto dalla vita personale dell’io e dall’accezione di tecnologia, nelle lezioni del 1924 egli parla di ogni forma di scienza come: «idea […] di un essere riferito in modo abituale e secondo la sua professione ad un progresso sistematico di teorie che divengono sempre più ampie, nelle quali si dovrà idealmente […] aprire l’unità totale di tutto l’essere»333. Il concetto di scienza in generale si associa ora a qualcosa di aperto. La scienza rappresenta, in queste pagine, la chiarificazione dell’idea di un progresso sistematico che interessa anche le abitudini e la vocazione del soggetto. La scienza diviene anche personale e connessa ad un’idea di coscienza ‘vivente’, che opera in funzione di un continuo scambio con la realtà. Questo cambiamento, come lo stesso Husserl scrive, comporta che “non appena rivolgo l’attenzione alla mia coscienza in quanto funzione […], tutto diventa problematico, tutte le scienze con la loro razionalità, che di solito è pienamente soddisfacente, ricevono un indice di problematicità, di incomprensione” 334 . L’indice di incomprensione di ogni scienza deriva proprio da questa apertura della coscienza al mondo. La scienza diviene un prodotto dinamico e aperto proprio perché la chiarificazione delle proprie basi e della propria struttura è in continuo cambiamento. In questo senso Husserl attribuisce alla scienza le seguenti caratteristiche: abituale, professionale, aperta e inesatta. Giacché la scienza si rifà e dipende dalle azioni di una persona, dalle sue abitudini, dal suo metodo di ricerca, dai suoi interessi e dalle esperienze che una persona accumula nel corso della sua vita e della sua ricerca scientifica, il suo grado di evidenza può essere 332 Ivi, p. 112. Husserl, E. Storia critica della filosofia, op. cit., p. 17; tr. it. p. 28. 334 Husserl, E. Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., pp. 213-15. 333 108 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza progressivamente perfezionato e chiarito. “In ogni scienza si è nel regno della prassi -scrive ancora Husserl -; ci guida l’unità di un fine pratico o di un sistema di fini pratici. Ciò che in una maniera comune e obiettiva è definito come scienza, non è nient’altro che il divenuto e il prodotto storico nel lavoro dello scienziato” 335 . La struttura di ogni scienza sembra essere molto simile a quella della scienza pratica. Ogni scienza, ci dice Husserl, è pratica, nel senso che nasce dalle azioni, ovvero dalla sfera motivazionale di ogni singolo atto. L’origine della scienza è personale e morale anche in virtù della linea di movimento compiuta dagli atti della coscienza. Ogni atto diviene tale perché è generato da un motus e quest’ultimo si genera perchè è diretto al compimento di un fine ultimo o di un sistema di fini. Ogni scienza ha quindi in sé, e obbedisce ad, un dovere, che in un certo senso determina e influenza il lavoro scientifico. 5.2. I problemi del parallelismo La struttura del parallelismo, come abbiamo più volte evidenziato nel corso dell’analisi, presenta, sin dalle sue fondamenta, delle debolezze. Tuttavia Husserl, pur di non abbandonare l’intuizione iniziale che anima il suo progetto, prova a risolvere questi problemi, modificando alcuni nodi centrali del suo pensiero: mi riferisco qui al tema dell’intenzionalità e della ragione. I problemi che il parallelismo presenta, riguardano: la compresente struttura di parallelismo e intreccio, la diversa natura tra ragione pratica e ragione logica, infine l’asimmetria intenzionale tra le forme di ragione poste nel parallelismo stesso. 5. 2. 1. L’evoluzione dell’intenzionalità I tre problemi del parallelismo sono legati principalmente alla definizione di intenzionalità che Husserl dà nella prima fase del suo pensiero (in modo particolare prima delle lezioni del 1914 e del primo volume di Idee). Husserl definisce infatti le tre forme di ragione come analoghe tra loro, ma non a tutte viene riconosciuta la medesima capacità intenzionale. Secondo Husserl, alcuni tipi di atto della ragione pratica e della ragione assiologica, come il dolore o la gioia, non sono intenzionali, perché non sono in grado di prendere posizione rispetto ad un oggetto e di rappresentarlo 336 . Essendo connessi all’istinto o al sentimento, non hanno una propria struttura intenzionale e per riferirsi ai propri oggetti si fondano sugli atti oggettivanti della ragione logica. Quindi ragione logica e ragione pratica sono diverse tra loro e il 335 336 Husserl, E. Einleitung in die Ethik, op. cit., p. 17. Cfr. Husserl, E. Ricerche Logiche V, op. cit., par. 10, 13, 15. 109 parallelismo che tra esse si crea è debole, perché la ragione pratica ha bisogno di quella logica per funzionare. E soprattutto, se l’intenzionalità è una proprietà della coscienza 337 e se la ragione pratica e quella assiologica mancano di capacità intenzionale, le tre forme di ragione (logica, assiologica e pratica) non si pongono sullo stesso piano della pura coscienza. Di conseguenza, la ragione pratica non potrebbe mai essere il fondamento di una scienza analoga e parallela a quella logica. Tuttavia per rendere possibile il proprio progetto etico, Husserl corregge questi difetti, attraverso la modificazione della capacità intenzionale degli atti pratici e assiologici. Le variazioni di significato che il concetto di intenzionalità subisce sono direttamente connesse alle variazioni di funzione che le tre forme di ragione, logica, assiologica e pratica subiscono. Nei primi scritti logici 338 l’intenzionalità è definita come Bedeutungsintention, e quindi la ragione logica assume la funzione di ragione ‘indagante’, di ragione teoretica che deve essere in grado di mostrare la verità (e dunque i valori razionali) contenuti in ogni forma di conoscenza. A questo primo livello gli atti della ragione pratica assumono la posizione ibrida di atti non intenzionali, che necessitano degli atti obiettivanti della ragione logica per poter riconoscere i propri oggetti. Nelle Idee I l’intenzionalità continua ad essere connessa con il concetto fondamentale di obiettivazione (vale a dire gli atti, per poter essere intenzionalmente rivolti ai propri oggetti, devono ‘conoscerli’ o ‘averli’ in senso lato). In questo caso però Husserl modifica, seppure in modo ambiguo, la funzione della ragione logica. Infatti, la capacità di obiettivare, ovvero di avere rappresentativamente gli oggetti, spetta non più solo alla ragione logica, ma a tutte le forme di ragione. Anche la ragione pratica e assiologica e i loro rispettivi atti possono essere obiettivanti e possono intenzionalmente rivolgersi ai propri oggetti. Solo in questo caso il parallelismo è simmetrico e la realizzazione del progetto etico possibile (anche se con delle ambiguità persistenti). Negli ultimi scritti invece, l’esigenza etica sembra avere la meglio sulla definizione del termine: l’intenzionalità diviene, a nostro avviso, un’espressione per spiegare la vita dell’io (non semplicemente dell’io puro della coscienza, ma anche dell’io personale); essa diviene quasi sinonimo di ‘connessione’ o ancora di ‘motivazione o fine’. Nelle lezioni del 1920-’24, Husserl sembra essere più ‘generoso’ nell’attribuire questa caratteristica agli atti razionali, perché essa sembra divenire quella linea ideale che collega l’azione del soggetto al mondo. 337 Cfr. Husserl, E. Idee I, op. cit., par. 84: “L’intenzionalità è ciò che caratterizza la coscienza in senso pregnante” poiché è la proprietà degli “Erlebnisse di essere coscienza di qualcosa” 338 Cfr. Husserl, E. Ricerche logiche e Logica, psicologia e fenomenologia, op. cit. 110 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza 5.2.2 La razionalità della scienza La razionalità che Husserl indica come fondamento della sua idea di scienza è più complessa rispetto a quella analizzata e descritta prima dell’introduzione del metodo genetico. In un passo contenuto in alcuni manoscritti Husserl afferma: “la ragione è sempre ragione pratica” ed è «schiava del volere» 339 . Come nota anche Hart 340 , dopo la svolta genetica, il concetto di volere è connesso con quello di abitudini e di vocazione e l’emotività diviene parte integrante della razionalità del volere. La ragione teoretica è incosciente delle sue acquisizioni finché non riflette su di esse grazie all’input del volere; tutti gli atti – in questo senso - sono atti del volere”341 e il giudicare ne è un suo modo. Con questo non intendiamo dire che avviene un ribaltamento rispetto alle Ricerche Logiche e che la razionalità pratica diviene dominante rispetto a quella logica, piuttosto crediamo si possa parlare qui di superamento di quella netta distinzione tra filosofia teoretica e pratica342. Ragione logica, pratica e assiologica sono strettamente intrecciate in ogni forma di conoscenza ed esse, inoltre, non appartengono solo ad un io puro o astratto, ma anche ad un io personale che vive e ha un carattere, delle pulsioni e degli istinti. In ogni atto può prevalere, o avere un carattere arcontico, come scrive Husserl, l’uno o l’altro tipo di ragione; non è, di certo, più sostenibile la distinzione tra atti teoretici e pratici o tra atti razionali e personali. La razionalità che fa capo alla nuova idea di scienza è distante rispetto a quella da cui Husserl dice di aver preso le mosse, e rispetto a quella descritta prima della svolta genetica. Il grande cambiamento rispetto all’idea di ragione delineata nei primi anni del ‘900 sta nel fatto che può esistere, secondo Husserl, una forma di razionalità che comprende anche il territorio oscuro degli istinti e delle pulsioni e che può essere allo stesso modo elevata a fondamento di una nuova scienza, l’etica. Non solo, quando Husserl afferma che ogni scienza è pratica e che è guidata da un fine o da un’unità di fini pratici, sembra estendere questo tipo di fondamento ad ogni tipo di scienza e ad ogni forma di conoscenza. Per quanto infine, la struttura del parallelismo sia nel discorso husserliano problematica, essa anticipa, in merito al tema della ragione, importanti risultati neurologici raggiunti in questo secolo. Il nostro cervello infatti è costituito da diverse aree di specializzazioni, che Husserl chiama logiche, pratiche e assiologiche e che il neurologo Damasio definisce con 339 Husserl, E. Ms. E III, 7, 85. Hart, J. Person and the Common Life, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1998, p. 26. 341 Husserl, E. Ms A V, 22, 5. 342 In questo senso anche cfr. S., Strasser, op. cit., p. 39, p. 44. 340 111 i termini linguistiche, logiche, emotive etc. Ognuna di queste aree, pur essendo indipendente, collabora con le altre al fine di realizzare un determinato atto. Irrazionali o cerebralmente lese sono tutte quelle persone che hanno riportato danni in una delle suddette aree, ivi compresa l’area emotiva. Una persona che non può provare emozioni o che non può scegliere, non è semplicemente una persona non emotiva, ma è una persona razionalmente compromessa. La razionalità non è solo di tipo logico o linguistico. Husserl supera la tradizione filosofica da cui aveva preso le mosse, ovvero l’impostazione classica che divide la sfera dell’emotività da quella della razionalità, e Damasio prova scientificamente questo superamento. Anche l’emotività è ragione, una ragione che ci appare per molti versi irrazionale perché ancora, forse, non sufficientemente esplorata. 5.2.3. Il progetto etico e la produzione fenomenologica Quanto detto sopra, in merito alla modificazione generale dell’idea di scienza, di intenzione e di ragione, prova quanto il progetto etico porti Husserl a ripensare alcuni temi della sua produzione fenomenologica. Crediamo che il progetto etico nasca come una sorta di riprova del progetto fenomenologico più generale. Se infatti, agli occhi del filosofo, era stato possibile dimostrare, a partire dalla razionalità della coscienza, l’esistenza di una generale scienza filosofica e, a partire dalla sua ragione logica, una scienza logica, poteva essere possibile fare lo stesso anche per l’etica. Se infatti la coscienza veniva da lui descritta come un’unità razionale che si organizza secondo modalità di ragione parallele tra loro, era sufficiente, secondo Husserl, approfondire questo parallelismo, tra la già analizzata ragione logica della coscienza e la ragione pratica, per mostrare l’esistenza di una scienza etica ad essa analoga. Tuttavia, il percorso etico e soprattutto la sua struttura fondante, incontrano delle difficoltà che sembrano funzionare in Husserl come una sorta di stimolo per la reimpostazione del suo pensiero filosofico. Una certa parte della critica, sembra giudicare il pensiero etico husserliano come marginale e poco rilevante rispetto alla sua produzione. Gran parte dei testi introduttivi e scolastici ad esempio, non menzionano affatto il pensiero etico di Husserl 343 . Sebbene nel 1960 fosse già stato pubblicato l’importante volume di Alois Roth344 e nel 1988 343 Si vedano ad esempio i volumi di storia della filosofia di Abbagnano, o la voce di Edmund Husserl curata, nel Dizionario di storia delle Idee della Sansoni, da Vanni Rovighi, S. o ancora l’introduzione alla fenomenologia curata da G. Forni nell’Antologia degli autori, vol. XIV. 344 A., Roth, Edmund Husserls ethische Untersuchungen, op. cit. 112 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza l’edizione critica della Husserliana sull’etica del 1908-1914, coloro che si sono preoccupati di fornire un quadro generale del pensiero husserliano hanno ritenuto l’etica una parte poco rilevante del suo pensiero. Crediamo che questo comporti una visione frammentaria e altalenante della sua produzione. Cambiamenti di posizione, come quelli evidenziati nel testo (rispetto al tema dell’intenzionalità, della ragione e della scienza), ma anche studi effettuati sui temi husserliani dell’intersoggettività, della sintesi passiva, dell’istinto, dell’epoché, crediamo che possano essere meglio compresi alla luce del suo progetto etico. L’insoddisfazione che Husserl nutre nei confronti della propria etica, pensiamo sia alla base di diverse invenzioni teoriche del suo sistema. Malgrado la grande quantità di pagine che Husserl ha scritto sull’etica, essa viene recepita in Europa soprattutto a partire dal 1988, dopo la pubblicazione delle Vorlesungen über Ethik und Wertlehre (19081914) e degli articoli sull’Idea di Europa345. Prima di questa data, negli anni ’60, alcuni aspetti dell’etica vengono introdotti in Italia con la traduzione di Paci della Crisi delle scienze europee346; oltre a lui pochi altri sono gli autori che in Europa si dedicano ai temi dell’etica prima degli anni ’80347. È soprattutto a partire dagli anni ’90 che un numero crescente di studi inizia a diffondersi in tutta Europa (in modo particolare: Belgio, Germania, Francia e Italia) e in America (USA in modo particolare)348. 345 Husserl, E. Aufsätze und Vorträge. 1922-1937, (a cura di) Nenon T.; Sepp H.R. The Hague, Kluwer Academic Publishers, 1988. 346 Husserl, E. Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie. Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie, (a cura di) Biemel, W. The Hague, Martinus Nijhoff, 1954). 347 Tra questi: Diemer, A (Edmund Husserl. Versuch einer systematischen Darstellung seiner Phänomenologie, Meisenheim am Glan, Hain, 1956), Roth, A. (Edmund Husserls ethische Untersuchungen; Dargestellt anhand seiner Vorlesungsmanuskripte, The Hague, Martinus Nijhoff, 1960), Cossìo, C. (“La norma y el imperativo en Husserl“ in Revista brasilera de filosofia, 10, 1960, pp. 43-90), Sphan, C. (“Phänomenologische Handlungstheorie. Edmund Husserls Untersuchungen zur Ethik“ in Epistemata. Reihe Philosophie, 190, Würzburg, Königshausen & Neumann, 1969), Sancipriano, M. (L’ethos di Husserl. Comunicazione intersoggettiva ed etica sociale, Torino, Giappichelli, 1967), Biemel, W. (Die Welt des Menschen, in Phaenomenologica, 76, The Hague, Martinus Nijhoff, 1972), Janssen, P. (“Geschichte und Lebenswelt“ in Phaenomenologica, 35, The Hague, Martinus Nijhoff, 1970), Ales Bello, A. (“Il recupero dell'intersoggettività in E. Husserl“, in Fenomenologia e società, 1, 1978, pp. 290-301), Lester, E (“A Note on ‚Is’ and Ought in Phenomenological Perspective“ in Philosophy and Phenomenological Research, 39, 1979, pp.595-597), Kim, S. K. (“Phenomenological and political Philosophy. A study of the Political Implications of Husserl’s Account of the Life world”, Athens, University of Georgia, 1979). Nel 1988 vengono pubblicati i lavori di Schuhmann, K. (Husserls Staatphilosophie, Freiburg/Muenchen, Karl Albert, 1988.), Spahn, C. (“Der ethische Impuls der Husserlschen Phaenomenologie”, in Analecta Husserliana, LV, 1988, pp 25-81), Sancipriano, M. (Edmund Husserl. L’Etica sociale, op.cit.). 348 Citiamo qui tra gli interpreti più importanti: Bernet, R. (La vie du sujet. Recherches sur 113 Oggi lo studio dell’etica husserliana è più diffuso e ‘settorizzato’ che in passato. Vi è chi approfondisce lo studio dell’etica mettendo in risalto soprattutto il tema della persona 349 , del metodo 350 , della possibile connessione con le neuroscienze351 o delle possibili implicazioni con la realtà politica contemporanea352. Attraverso la presente ricerca riteniamo di aver mostrato che il progetto etico funziona come una sorta di occasione per il rinnovamento di molte sue tematiche. Con questo non vogliamo sostenere che la vocazione della fenomenologia sia etica tout court, come è stato fatto da un’altra parte della critica353, perché creiamo che in Husserl non abbia senso parlare di vocazione teoretica o etica, tanto sono in sé uniti i due aspetti del pensiero. La teoria, come nota anche Sepp354, è per Husserl una prassi (anzi, una Sondernpraxis) e viceversa; “la scienza come teoria – scrive Husserl - ha il suo correlato nella scienza in quanto funzione, in quanto attività conoscente del soggetto”355. Con il nostro lavoro abbiamo solo voluto mostrare come, sotto lo stimolo delle ricerche etiche, cambi in Husserl il modo di concepire il proprio l'interprétation de Husserl dans la phénoménologie, Paris, P. U. F., 1994), Melle, U. (“The Development of Husserl's Ethik”, in Etudes Phénoménologiques, 13-14, 1991, pp. 115135 ed “Edmund Husserl. Wert des Lebens. Wert der Welt. Sittlichkeit und Glueckseligkeit”, in Husserl Studien, 1997, pp. 201-235), Depraz, N. (“The Phenomenological Reduction as Praxis”, in Journal of Consciousness Studies, The View from Within, 2/3, 1999, pp. 95-110) Donnici, R. (Intenzioni d'amore di scienza e d'anarchia, Napoli, Bibliopolis, 1996), Bianchi, I. A. (Etica husserliana. Studio sui manoscritti inediti degli anni 1920-1934, Milano, Franco Angeli, 1999), Hart, J. (I, We and God: Ingredients of Husserl’s Theory of Community, in Ijesseling, S. Husserl-Ausgabe und Husserl-Forschung, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 115, 1990, pp. 125-149), Dodd, J. (“Attitude, Facticity, Philosophy”, in Phaenomenologica, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 148, 1998, pp. 57-85), Drummond, J. (“Moral Objectivity: Husserl’s Sentiments of the Understanding”, in Husserl Studies, 12, 1995, pp. 165-183). 349 De Monticelli, R. La conoscenza personale, Milano, Guerini, 2002 e Melle, U. Husserls Personalistiche Ethik, in Fenomenologia della ragion pratica, op. cit., pp. 344-346. 350 Nam-In Lee, “Static-Phenomenological and Genetic-Phenomenological Concept of Primordiality in Husserl’s Fifth Cartesian Meditation”, in Husserl Studies, 2002, pp. 179182. 351 Marbach, E. “On Bringing the Consciousness into the House of Sciences – With the Help of Husserlian Phenomenology”, in Angelaky, 10, 1, 2005, pp. 145-162. 352 Steeves, H. P. “Founding Community”, in Phaenomenologica, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, , 143, 2004. 353 Si veda ad esempio: Kokoszka, W. “Habitualité et genèse: le devenir de la monade”, in Alter, 12, 2004, pp. 57-77; Mertens, K. “Husserl’s Phenomenology of Will in his Reflections on Ethics” in Phaenomenologica, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 148, 1998, pp. 121-138; S., Strasser, op. cit., p. 149. 354 Sepp, H. R. “Husserl über Erneuerung Ethik mit Schnittfeld von Wissenschaft und Sozialität“, in Gerlach, H. M.; Sepp, H. R. (a cura di) Husserl in Halle, Frankfurt a.m, Peter Lang, 1994, p. 121. 355 Husserl, E. Fenomenologia e teoria della conoscenza, op. cit., p. 279. 114 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza pensiero. Non tenere conto dell’etica husserliana, anche dopo le pubblicazioni avvenute, significherebbe recidere una parte dei contenuti della sua produzione filosofica. Le sue ricerche etiche, le sue insoddisfazioni progettuali e morali, sembrano essere alla base di alcune delle sue posizioni teoriche più importanti nell’economia del suo pensiero. 115 BIBLIOGRAFIA I. OPERE DI CARATTERE BIBLIOGRAFICO E INTRODUTTIVO The Cambridge Companion to Husserl, (a cura di) Smith, S. e Smith D. W., Cambridge, The Cambridge University Press, 1995. Bernet, R; Kern, I.; Marbach, E.; Introduction to Husserlian Phenomenology, Evanston, Northwestern University Press, 1993. Bernet, R; Kern, I.; Marbach, E. Edmund Husserl. Darstellung seines Denkens, Hamburg, Felix Meiner Verlag; trad. a cura di La Rocca, C. Edmund Husserl, Bologna, Il Mulino, 1992. Carr, D. Interpreting Husserl. Critical and Comparative Studies, Dordrecht/ Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1987. Catucci, S. La filosofia critica di Husserl, Milano, Guerini e Associati, 1995. Costa, V.; Franzini, E.; Spinicci, P. Fenomenologia, Firenze, Einaudi, 2001. Forni, G. Fenomenologia, Milano, Marzorati, 1973. Franzini, E. Fenomenologia. Introduzione tematica al pensiero di Husserl, Milano, Franco Angeli, 2001. Mocchi, M. Le prime interpretazioni della filosofia di Husserl in Italia. Il dibattito sulla fenomenologia 1923-1040, Firenze, La Nuova Italia, 1990. 116 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza Negri, A. Novecento filosofico e scientifico. I protagonisti, Milano, Marzorati, 1991, 2 vol., pp. 191-255. Raggiunti, R. Introduzione ad Husserl, Roma-Bari, Laterza, 1970. Schumann, K. Husserl-Chronik. Denk- und Lebensweg Edmund Husserls, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1997. Spileers, S. Husserl Bibliography, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1999. Wetz, F. J., „Wider den Absolutismus der Welt. Neuere Beiträge zu Edmund Husserl„, in Philosophische Rundschau, 1991, n. 38/4, pp. 286299. Zahavi, D. Husserl’s Phenomenology, Stanford Univeristy Press, 2003. EDMUND HUSSERL CRITICAL ASSESSMENTS: Circumscriptions: Classic Essays on Husserl’s Phenomenology, Bernet, R.; Welton, R.; Zavota, G. (a cura di) London-New York, Routledge, 2005, Vol. 1. The Cutting Edge: Phenomenological Method, Philosophical Logic, Ontology and Philosophy of Science, Bernet, R.; Welton, R.; Zavota, G. (a cura di) London-New York, Routledge, 2005, Vol. 2. The Nexus of Phenomena: Intentionality, Perception and Temporality, Bernet, R.; Welton, R.; Zavota, G. (a cura di) London-New York, Routledge, 2005, Vol. 2 The Web of Meaning: Language, Noema and Subjectivity and Intersubjectivity, Bernet, R.; Welton, R.; Zavota, G. (a cura di) LondonNew York, Routledge, 2005, Vol. 4. Horizons: Life-world, Ethics, History and Metaphysics, Bernet, R.; Welton, R.; Zavota, G. (a cura di) London-New York, Routledge, 2005, Vol. 5. II. OPERE DI HUSSERL IN LINGUA ORIGINALE II. A) HUSSERLIANA Husserliana 1 117 Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Strasser,S. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1973. Husserliana 2 Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, Biemel, W. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1973. Husserliana 3 Ideen zu einer reinen Phänomenlogie und phänomenlogischen Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie,. Biemel. W. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff Publishers, 1950. Husserliana 3-1 Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführungin die reine Phänomenologie 1. Halbband: Text der 1.-3. Auflage - Nachdruck Schuhmann, K. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1977. Husserliana 3-2 Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einfuhrung in die reine Phänomenologie, 2. Halbband: Ergänzende Texte, (1912-1929), Schuhmann, K. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1988. Husserliana 4 Ideen zur einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Zweites Buch: Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution, Biemel, M. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1952. Husserliana 5 Ideen zur einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Drittes Buch: Die Phänomenologie und die Fundamente der Wissenschaften, Biemel, M. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1971. Husserliana 6 Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie. Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie, Biemel, W. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1954. 118 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza Husserliana 7 Erste Philosophie (1923/4). Erste Teil: Kritische Ideengeschichte, Boehm, R. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1956. Husserliana 8 Erste Philosophie (1923/4). Zweiter Teil: Theorie der phänomenologischen Reduktion, Boehm, R. (a cura di) The Hague, Netherland, Martinus Nijhoff, 1959. Husserliana 9 Phänomenologische Psychologie. Vorlesungen Sommersemester 1925, Biemel, W. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1968. Husserliana 10 Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstesens (1893-1917), Boehm, R. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1969. Husserliana 11 Analysen zur passiven Synthesis. Aus Vorlesungsund Forschungsmanuskripten, 1918-1926, Fleischer, M. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1966. Husserliana 12 Philosophie der Arithmetik. Mit ergänzenden Texten (1890-1901), Eley. L. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1970. Husserliana 13 Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Erster Teil. 1905-1920, Kern, I. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1973. Husserliana 14 Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Zweiter Teil. 1921-28, Kern, I. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1973. Husserliana 15 Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Dritter Teil. 1929-35, Kern, I. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1973. Husserliana 17 Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen Vernunft, a cura di Janssen, P. The Hague, Netherlands, Martinus 119 Nijhoff, 1974. Husserliana 18 Logische Untersuchungen. Erster Teil. Prolegomena zur reinen Logik. Text der 1. und der 2. Auflage, Halle: 1900, rev. ed. 1913, Holstein, E., (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1975. Husserliana 19 Logische Untersuchungen. Zweiter Teil. Untersuchungen zur Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis, Halle: 1901; rev. ed. 1922, Panzer, U. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1984. Husserliana 20/1 Logische Untersuchungen. Ergänzungsband. Erster Teil. Entwürfe zur Umarbeitung der VI. Untersuchung und zur Vorrede für die Neuauflage der Logischen Untersuchungen, Melle, U. (a cura di) The Hague, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 2002. Husserliana 22 Aufsätze und Rezensionen (1890-1910), Rang, B. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1979. Husserliana 24 Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906/07, Melle, U. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1985. Husserliana 25 Aufsätze und Vorträge. 1911-1921. Mit ergänzenden Texten, Nenon, T.; Sepp, H. R. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1986. Husserliana 26 Vorlesungen über Bedeutungslehre. Sommersemester 1908, Panzer, U. (a cura di) The Hague, Netherlands, Martinus Nijhoff, 1987. Husserliana 27 Aufsätze und Vorträge. 1922-1937, Nenon, T.;. Sepp, H. R. (a cura di) The Hague, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 1988. Husserliana 28 Vorlesungen über Ethik und Wertlehre. 1908-1914, Melle, U. (a cura di) The Hague, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 1988. Husserliana 29 Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale 120 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza Phänomenologie. Ergänzungsband. Texte aus dem Nachlass 19341937, Smid R. (a cura di) The Hague, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 1992 Husserliana 31 Aktive Synthesen: Aus der Vorlesung 'Transzendentale Logik' 1920/21 Ergänzungsband zu 'Analysen zur passiven Synthesis' Breeur, R. (a cura di) The Hague, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 2000. Husserliana 34 Zur phänomenologischen Reduktion. Texte aus dem Nachlass (19261935). Luft, S. (a cura di) Dordrecht, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 2002. Husserliana 35 Einleitung in die Philosophie. Vorlesungen 1922/23, Goossens, B. (a cura di) Dordrecht, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 2002. Husserliana 37 Einleitung in die Ethik 1920/1924, Peucker, H. (a cura Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 2004. di) Husserliana 38 Wahrnehmung und Aufmerksamkeit. Texte aus dem Nachlass (18931912), Vongehr, T.; Giuliani, R. (a cura di) New York, Springer, 2005. Husserliana 39 Die Lebenswelt. Auslegungen der vorgegebenen Welt und ihrer Konstitution. Texte aus dem Nachlass (1916-1937), Sowa, R. (a cura di), Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 2008. II. B) DOCUMENTI Husserliana: Edmund Husserl Dokumente 3/1-10. E. Husserl, Briefwechsel, Schuhmann, K. (a cura di) The Hague, Netherlands, Kluwer Academic Publishers, 1994. Band I: Die Brentanoschule 121 Band II: Die Münchener Phänomenologen Band III: Die Göttinger Schule Band IV: Die Freiburger Schüler Band V: Die Neukantianer Band VI: Philosophenbriefe Band VII: Wissenschaftkorrespondenz Band VIII: Institutionelle Schreiben Band IX: Familienbriefe Band X: Einführung und Register II. C) MANOSCRITTI CONSULTATI PRESSO “LES ARCHIVESHUSSERL” Ms. AV 21, Ethisches Leben. Theologie – Wissenschaft, (1924 -1927). Ms. AV 22, Universale Ethik. Theologie – Wissenschaft, (1924 – 1927). Ms. AVI 3, Gemüt und Wille, (1909 - 1914). Ms. B I 21, Weg in die Philosophie von der Praxis, (1917 - 1918). Ms. B II 2, Absolutes Bewußtsein, Metphysisches , (1907 - 1908). Ms. E III, Teleologie, (1930). Ms. E III 7, Mensch im Schicksal, Religion und Wissenschaft, (1934). Ms. E III 8, Kosmologische Weltbesinnung, (1934). Ms. E III 9, Insitnkt, Wert, Gut, Teleologie, Normstruktur der Personalität, (1931- 1933). III. TRADUZIONI DELLE OPERE DI HUSSERL IN LINGUA ITALIANA Conferenze di Amsterdam. Psicologia fenomenologica e fenomenologia 122 Capitolo 1 Husserl e l’idea di scienza trascendentale, trad. a cura di Polizzi, P.; Riedl, A. M.; Salmonà , L.; Palma, I. Palermo/San Paulo, 1988. Crisi e rinascita della cultura europea, trad. a cura di Cristin, R. Venezia, Marsilio, 1999. Esperienza e giudizio, trad. a cura di Costa, F.;.Samonà, L. Milano, Bompiani, 1995. Fenomenologia, in Husserl, E.; Heidegger, M. Fenomenologia. Storia di un dissidio (1927), trad. a cura di Cristin, R., Milano, Unicopli, 1990, pp. 79-110. Fenomenologia e i fondamenti delle scienze, trad. a cura di E. Filippini, Einaudi, Torino, 1965, vol. III. Fenomenologia, linguaggio e logica, trad. a cura di Piana, G. Padova, R.A.D.A.R., 1967. Fenomenologia e psicologia, trad. a cura di Donise, A., Napoli, Filema, 2003. Fenomenologia e teoria della conoscenza, trad. a cura di Volontè, P., Milano, Bompiani, 2000. Fichte e l’ideale di umanità, trad. a cura di Rocci, F. Pisa, Edizioni ETS, 2006. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, trad. a cura di Costa, V. Torino, Einaudi, 2002, vol. 2. “Inediti di confronti con Kant (1908)”, trad. a cura di De Franco, T. in Critica della soggettività trascendentale in Kant-Husserl, Manduria-BariRoma, Pietro Lacaita Editore, 2001, pp. 291-365. Introduzione generale alla fenomenologia pura, trad. a cura di Alliney, G., Torino, Einaudi, 1965, vol. I. Introduzione all’etica, trad. a cura di Trincia, F.; Zippel, N., Roma-Bari, Laterza, 2009 Kant e l'idea della filosofia trascendentale, trad. a cura di La Rocca, C. Milano, Il Saggiatore, 1990. 123 La filosofia dell'aritmetica, trad. a cura di Leghissa, G. Milano, Bompiani, 2001. L'idea della fenomenologia, trad. a cura di Sini, C., Roma-Bari, Laterza, 1992. La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. a cura di Filippini, E. Milano, Il Saggiatore, 1995. 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