Chiese Rurali

Eurostudium 3w luglio-settembre 2018 3 F.E. Riedi, Tra Roma e il Campus Tra Roma e il Campus Salinarum: dinamiche insediative e religiose lungo l'Aurelia tra X e XI secolo. di Francesco Eugenio Riedi Premessa Nel corso dell'ultimo quindicennio sono stati pubblicati diversi studi che hanno permesso di rivalutare la continuità d'uso della via Aurelia nel corso dei secoli medievali, ridisegnando un ruolo da protagonista alla strada che in epoca romana era stata la principale via di collegamento tra Roma e gli insediamenti del litorale tirrenico settentrionale. Per molto tempo si era pensato che il tracciato fosse stato del tutto abbandonato a causa dell'impaludamento di ampie zone litoranee, in seguito alla fine dei lavori di manutenzione e risanamento motivata dalla caduta dell'Impero Romano e dalle invasioni prima gotiche poi longobarde. Un quadro decisamente fosco, cui hanno contribuito le suggestioni offerte dai tristi versi di Rutilio Namanziano 1 , ma anche da alcuni studi recenti 2. Le ultime ricerche condotte in particolar modo per l'area del litorale laziale tra S. Severa e Civitavecchia hanno invece confermato un'interessante continuità sia nel popolamento delle aree litoranee, sia nello sfruttamento dei collegamenti stradali tra l'Aurelia e la Cornelia, attraverso un importante sistema di vie secondarie che 1 "Iamiam laxatis carae complexibus Urbis / Vincimur et serum vix toleramus iter. / Electum pelagus, quoniam terrena viarum / Plana madent fluuiis, cautibus alta rigent. / Postquam Cuscus ager postquamque Aurelius agger / Perpessus Geticas ense vel igne manus, / Non silas domibus, non flumina ponte cohercet, / Incerto satius credere vela mari", Rutilius Namatianus, De Reditu Suo, I, vv. 35-42, p. 4; "Inde Graviscarum fastigia rara videmus, / Quas premit aestivae saepe paludis odor", ivi, I, vv. 281-282, p. 16. 2 De Francesco, La proprietà fondiaria, p. 211.

L'opera si compone di 236 pagine con la descrizione e le immagini di 92 chiese, il modo in cui raggiungerle e la festa - Potete acquistarlo online a 25 Euro e a 40 Euro in abbinamento con il secondo volume, incluse le spese di spedizione in tutta Italia, scrivendo a chiesecampestri@yahoo.it

Il Maestro di Sommacampagna è senza dubbio una delle figure
più singolari della cultura artistica della seconda metà del Trecento nell’area delle Alpi e delle Prealpi centro-orientali. Il suo linguaggio, semplice ma gradevole, ritardatario eppure vivace, suscita, anche allo sguardo di chi l’avvicini per la prima volta, un sentimento di spontanea simpatia e di curioso interesse.
Il volume ricostruisce la vicenda itinerante del pittore e della sua bottega, contestualizzandola nel quadro storico, economico ed artistico dei territori in cui si trovò a operare: dal lago d’Iseo alla Val Camonica, dalle valli trentine e venete alla pianura veronese e bresciana. Il nutrito catalogo di opere – settantasette dipinti distribuiti in trentadue località – consente di precisare il linguaggio pittorico del Maestro e di ridefinirne la lunga attività lungo direttrici secondarie al servizio di un pubblico modesto e poco esigente, ma talora anche di committenti più colti e facoltosi.
Fanno da sfondo a queste vicende i maestosi scenari di un contesto alpino e prealpino ricco di testimonianze storiche e artistiche: di queste, l’avventura del Maestro di Sommacampagna costituisce un frammento, che si è rivelato tanto articolato quanto affascinante.

Il paese di Piancarani, che nel Medievo rientrava nel feudo appartenuto alla famiglia dei Melatino di Teramo, è legato alle vicende della sua Chiesa e del suo territorio. Il nome, molto probabilmente, è da mettere in relazione alla presenza di un antico tempio romano dedicato alla dea Ancaria, divinità venerata nel territorio di Ancarano nell’ascolano, citata da Tertulliano nella sua opera principale “Apologetico”. Intorno al IX sec d.C., Piancarani o Plana Ancarani, (l’antico villaggio doveva, infatti, sorgere su una piana), insieme ai paesi limitrofi di Pastignano, Pensoli e Boceto, costituiva il feudo di Ripacannone (odierna Pagannoni). Agli inizi del XII sec d.C., i monaci tentarono di appropriarsi dei diritti vescovili e delle parrocchie, ma il vescovo di Teramo, Guido II, ne limitò l’attività. A tal fine, egli concesse all’abate Berto il permesso di seppellire nella sua Chiesa chiunque lo volesse tra gli abitanti delle otto chiese dei villaggi vicini; tra queste la Chiesa di San Paterniano. Questa era situata su una pianoro, nelle cui vicinanze sorgeva, e oggi si intravede parzialmente, una fonte con il medesimo nome. San Paterniano (275-360 d.C.) visse nella prima metà del IV secolo d.C. a Fano nelle Marche, città di cui fu anche vescovo; qui svolse il primo ministero per più di quarant’anni. Dopo la sua morte, il suo culto si diffuse in Romagna, nel Veneto, in Toscana e nella Dalmazia. Fu sepolto fuori le mura di Fano, dove in seguito fu eretta una basilica a suo nome. Diverse chiese nacquero in disparate località e, come confermano varie fonti e alcune strutture oggi esistenti, si apprende che accanto a ciascuna chiesa eretta in suo nome comparisse o fosse presente una sorgente, la cui acqua era curativa. Si potrebbe, quindi, ipotizzare che gli abitanti di Piancarani lo scelsero quale loro protettore e che, durante la costruzione della chiesa, sia comparsa la sorgente, la cui ubicazione è ipotizzata, da tempi lontani, su un pianoro che si affaccia sul torrente Fiumicino e che, anticamente, sanciva il confine tra Piancarani e Morge. La probabile presenza di Plana Ancarani e della Chiesa di San Paterniano è testimoniata dal rinvenimento di resti di materiale ceramico e strutture in disfacimento ascrivibili ad un arco cronologico compreso tra l’età tardoantica e l’età altomedievale; la possibile sorgente, oggi totalmente ricoperta dai rovi, si colloca subito a ridosso del pianoro. Grazie a ricognizioni di superficie e al supporto della fotografia aerea è stato possibile individuare la presumibile ubicazione dell’antica Piancarani e della Chiesa intitolata al Santo di Fano.

L'opera si compone di 101 pagine con la descrizione e le immagini di 39 chiese, il modo in cui raggiungerle e la festa - Potete acquistarlo online a 20 Euro, incluse le spese di spedizione in tutta Italia; acquistandolo con almeno un'altra pubblicazione si avrà lo sconto del 10%                   
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Si tratta del corpo centrale di un lavoro monografico sugli Insediamenti rurali con le schede di oltre sessanta strutture presenti nelle campagne circoscritte nei territori di Bari, Modugno, Bitonto, Terlizzi, Giovinazzo, Molfetta, Bisceglie, Ruvo.

Percorsi ecclesiastici e pratiche personali e familiari "controcorrente" hanno portato i signori di Cocconato a guidare la diocesi astigiana nel XIII secolo, permettendo loro un'ascesa sociale, economica e politica non solo ecclesiastica e avvicinando in modo anomalo, quasi strategico, le terre di Cocconato agli ambienti astigiani, pur appartenendo durante il Medioevo  alla maglia delle terre monferrine e alle diocesi di Ivrea o di Vercelli.

Il numero di cappelle dedicate alla Madonna che a partire dalla fine del XVI secolo cominciarono a punteggiare le campagne dei Petrazzi, è un dato indicativo della profonda religiosità mariana che sin dalle origini dovette caratterizzare questa contrada. Nell'ultimo decennio del XIX secolo, si era costituito un comitato di laici e sacerdoti con l'intento di raccogliere fondi per la costruzione di un santuario a nord della città, per promuovere la diffusione del culto alla Vergine di Pompei in Sicilia. Il luogo prescelto per un così ambizioso progetto fu proprio la campagna di Cruillas che divenne ben presto meta di numerosi pellegrinaggi. Il libro ripercorre i 120 anni di storia del Santuario (1896-2016) onde attestarne il primato storico in Sicilia, nella prospettiva di ottenere un riconoscimento ufficiale, indispensabile per il suo rilancio a livello cittadino, consapevoli dell'opportunità che esso stesso costituisce per il quartiere di Cruillas. Il libro vuole inoltre portare alla riscoperta di volti dimenticati e luoghi nascosti o ormai sacrificati dall'incontrollata espansione della città: bagli, ville e chiese  che hanno caratterizzato la storia di questo luogo e su cui oggi è calato il tetro sudario dell'indifferenza.

L'opera si compone di 217 pagine con la descrizione e le immagini di 88 chiese, il modo in cui raggiungerle e la festa - Potete acquistarlo online a 25 Euro, incluse le spese di spedizione in tutta Italia; acquistandolo con un'altra pubblicazione si avrà lo sconto del 10% e con almeno altre due pubblicazioni, lo sconto sarà del 20%                     
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Il volume raccoglie una serie di contributi elaborati nell’ambito del PRIN 2010-11 Storia e Archeologia globale dei paesaggi rurali in Italia fra Tardoantico e Medioevo. Sistemi integrati di fonti, metodi e tecnologie per uno sviluppo sostenibile, in parte presentati in occasione di un convegno finale del progetto svoltosi a Foggia nel dicembre del 2015. Il progetto ha visto il coinvolgimento di ben undici unità di ricerca delle Università di Bari, Bologna, Chieti-Pescara, Foggia, Lecce, Napoli-Suor Orsola Benincasa, Padova, Roma 2 Tor Vergata, Sassari, Siena e del CNR-Ibam di Lecce, con la partecipazione complessiva di oltre duecento studiosi italiani e stranieri, compresi numerosi giovani ricercatori, dottori e dottorandi di ricerca, contrattisti e assegnisti. Il volume, aperto da una sezione dedicata a due attività trasversali, Wiki-CARE (Corpus Architecturae Religiosae Europeae) e WebApp OpenArcheo 2, vede coinvolti oltre sessanta specialisti di varie discipline che affrontano vari temi relativi ai paesaggi di molte regioni italiane: dalla Puglia alla Valle del Volturno, dalla Toscana all’Umbria e all’Abruzzo, dal territorio di Valva alle aree emiliana, veneta e trentina, dalle coste della Sardegna al suburbio di Roma e al Lazio.

La devozione alla Madre di Dio rappresenta un tratto caratteristico della religiosità siciliana fin dai tempi più remoti: non a caso la patrona dell'isola è proprio la Madonna Odigitria (dal greco "ὸδηγήτρια", ovvero "colei che mostra la direzione").  Nei paesi etnei, in particolare, l'attaccamento alla Madonna ha sempre rivestito un ruolo di primo piano: lo testimonia la grande quantità di chiese, edicole ed immagini sacre sparse per tutto il territorio. Anche nel privato, gli etnei hanno sempre mostrato una spiccata predilezione per la Madre di Dio: in tutte le epoche, immaginette, quadri, statuette ed altri oggetti devozionali dedicati alla Madonna denotano un affetto straordinario verso questa particolare figura.

I recenti restauri offrono l’occasione per una complessiva rilettura dell’Ultima cena sulla parete meridionale di San Giorgio Ingannapoltron. L’opera rientra in un fortunato filone iconografico che, nel territorio veronese, vanta undici testimonianze di pittura murale tra il xiv e l’inizio del xv secolo. Pur rispondendo a convenzioni figurative codificate da secoli, il soggetto si offre anche a un piano di lettura più ‘profano’, nella resa vivace dei commensali e nella varietà di stoviglie e cibi imbanditi sulla mensa. Intorno al dipinto di San Giorgio è possibile aggregare un corpus di opere riferibili, su base stilistica, alla mano di un pittore attivo tra la Valpolicella e il lago di Garda all’inizio del xv secolo. Un riesame delle fonti d’archivio e delle iscrizioni conservate su alcuni riquadri votivi consente di stabilire legami certi tra l’artista e i lapicidi di Sant’Ambrogio, che gli affidarono tra l’altro la decorazione del piccolo oratorio di San Zeno in Pulia.

Il volume, concepito e realizzato come “parte integrante del restauro del monumento”, racconta l'evoluzione architettonica ed il recupero di S.Giovanni in campagna, complesso battesimale sorto a Bovolone in V secolo.
Il testo fa luce sulle diverse fasi di vita del monumento e sui secoli di oblio che avevano condotto la chiesa allo stato di rudere ed il battistero alla falsa identità di oratorio cinquecentesco.
La lettura stratigrafica delle fabbriche e le datazioni dei materiali fornite dalla termoluminescenza sono state messe a sistema con i rinvenimenti archeologici e con i documenti riguardanti la pieve di Bovolone; l'analisi incrociata dei dati ha aiutato a decifrare il complesso, connotandolo nella specificità e nel periodo di appartenenza.

Sfogliando le pagine dei numeri del Corriere delle Pu-glie editi tra fine Ottocento e inizio Novecento, salta spesso all'occhio il nome di Ettore Bernich. L'architetto romano, che dal 1893 era impegnato in Puglia nel restauro delle Cattedrali romaniche di Bari, Bitonto e Ruvo, descrisse in una serie di articoli intitolati "Arte in Puglia" alcune bellezze dimenticate della regione, da lui visitate grazie alla segnalazione di amici ed esperti locali. Nell'ottobre del 1898 Bernich, accompagnato da Mons. Elicio - suo amico fraterno in città e penitenziere e primicerio del Capitolo ruvese -, visitò la chiesa rurale di Santa Lucia posta nel territorio di Ruvo di Puglia, sulla via per Calentano.

The paper is centred on southern Tuscany on the archaeological complex of Pieve di Pava where archaeological research have been conducted since the 2000 by the University of Siena. The parish church is first mentioned as the baptisterium Sancti Petri in Pava in a document of AD 715 part of a long dispute between the bishop of Siena and the bishop of Arezzo. But the archaeological excavation revealed a longer history of the site that start from the Roman period with a villa dated between the second to the fourth century BC. The villa continued to grow in Late Antiquity since it was transformed by a church. The paper is centred on these fluctuations of the site and on the implications of the transformations on the landscape. One of the stronger element of the Pava site, in addition to the very particular plan of the early church (built with two opposing apses) was the huge cemetery around the church that was used from the seventh century BC until the Middle Ages. The 900 excavated graves make this one of the largest and most long-lasting late-Roman to medieval cemeteries excavated in Europe.

Tra le pagine della Fons Perennis Cathedralis Ruborum, il libro “magno” del Capitolo Cattedrale di Ruvo di Puglia è spiccata alla nostra attenzione l’annotazione di un inedito toponimo che permetterebbe di retrodatare di diversi secoli il culto locale ai santi Cosma e Damiano.