Prima Guerra Mondiale

Questa ricerca mira, sugli evidenti “valori” culturali, storici e architettonici del patrimonio militare ancora presenti nell'Arcipelago di La Maddalena, ad approfondire la conoscenza di queste strutture ea proporre idee e linee guida sulla loro conservazione e valorizzazione. Tra la fine del Settecento e la Prima Guerra Mondiale la difesa del territorio di La Maddalena si esprime soprattutto attraverso misure di protezione dei confini dalle invasioni straniere, prima del Regno di Sardegna e poi dell’Italia. I primi tentativi di aggressione risalgono alla fine del 1792, quando la Francia rivoluzionaria attaccò il Regno di Sardegna. All’inizio del XIX secolo l’arcipelago era dotato di altre strutture: oltre ai forti Balbiano e Santo Stefano, costruiti tra il 1790 e il 1792, sono stati costruiti i forti Carlo Felice e San Giorgio, sull’isola di Santo Stefano. Alla fine del diciannovesimo secolo, l’arcipelago di La Maddalena veniva fortificato. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, cambiando le aree strategicamente importanti, lo Stato maggiore dell’esercito, con la Royal Navy, identifica nuove quindici aree industriali e demografiche che necessitano di protezione dal mare. Oggi, tale patrimonio culturale di grande importanza strategica e paesaggistica, vive in condizioni estreme ed è soggetto a spoliazioni e demolizioni; una situazione che richiede un’azione urgente, supportata da una fase preliminare di conoscenza e dallo sviluppo di specifici sistemi per la protezione e la valorizzazione.
This research aims, on the evident cultural, historical and architectural ‘values’ of the military heritage still present in the Archipelago of La Maddalena, to deepen knowledge of these structures and to propose ideas and guidelines on their conservation and enhancement. Between the late eighteenth century and the First World War the defense of the territory of La Maddalena is expressed especially through measures to protect the borders from foreign invasions, before of the Kingdom of Sardinia and then of Italy. The first attempts of aggression were in the end of 1792, when revolutionary France attacks the Kingdom of Sardinia. In the early nineteenth century, the archipelago was equipped with other structures: in addition to the forts Balbiano and St. Stephen, built between 1790 to 1792, are built the forts Carlo Felice and San Giorgio, on the island of Santo Stefano. In the late nineteenth century, the Archipelago of La Maddalena had been fortified. At the end of the First World War, changing the strategically prominent areas, the General Staff of the Army, with the Royal Navy, identifies new fifteen industrial and demographic areas that need protection from the sea. Today, a cultural asset of great strategic importance and landscape, live in the extremely conditions and are subject to spoliation and demolition; a situation that demands urgent action, supported by a preliminary step of knowledge as well as by the development of specific system works for the protection and enhancement.

This research aims, on the evident cultural, historical and architectural ‘values’ of the military heritage still present in the Archipelago of La Maddalena, to deepen knowledge of these structures and to propose ideas and guidelines on their conservation and enhancement. Between the late eighteenth century and the Second World War the defense of the territory of La Maddalena is expressed especially through measures to protect the borders from foreign invasions, before of the Kingdom of Sardinia and then of Italy. The first attempts of aggression were in the end of 1792, when revolutionary France attacks the Kingdom of Sardinia. In the early nineteenth century the Archipelago was equipped with other structures: in addition to the forts Balbiano and St. Stephen, built between 1790 to 1792, are built the forts Carlo Felice and St. George, on the island of Saint Stephen. In the late nineteenth century, the Archipelago of La Maddalena had been fortified. At the end of the First World War, changing the strategically prominent areas, the General Staff of the Army, with the Royal Navy, identifies new fifteen industrial and demographic areas that need protection from the sea. Today, a cultural asset of great strategic importance and landscape, live in the extremely conditions and are subject to spoliation and demolition; a situation that demands urgent action, supported by a preliminary step of knowledge as well as by the development of specific system works for the protection and enhancement.

Un lavoro di ricerca, per dare un volto ai nomi impressi sul freddo marmo del Monumento ai Caduti, ha dato vita ad un racconto che scrive un pezzo di storia di Castel Lagopesole, borgo della Regione Basilicata, e dei suoi abitanti tra le Due Guerre Mondiali.
Attraverso documenti di archivio, pubblici e di famiglia, fonti orali e immagini sono state ricostruite le vite di quei soldati, sacrificate per la Patria, collocandole tra le pagine della storia.
Episodi simpatici, scene di vita in tempo di pace e di guerra, a tratti toccanti, vengono, inoltre, restituiti per il recupero dell’identità storico-culturale del territorio.
A corredo del testo è presente un’inedita appendice documentaria a supporto della narrazione.

Il volume è stato pubblicato il 4 novembre 2021 in occasione del Centenario della Traslazione del Milite Ignoto nel Sacello dell’Altare della Patria.

Nel suo discorso del 16 febbraio 1918 Angiolo Cabrini si  schierò con il Presidente degli Stati Uniti d’America perché la Gande Guerra si concludesse con una pace giusta e rispettosa della volontà dei popoli. Riteneva che questa linea politica potesse contare soprattutto sui «proletariati» dei paesi dell’Intesa (e dei paesi un tempo “nemici”) ormai pronti ad assumersi, con la parte migliore della borghesia, la responsabilità della direzione politica in una Europa rinnovata. In Appendice è presentato il testo integrale del discorso pubblicato dal  deputato nello stesso 1918 con note e l’aggiunta di un capitolo finale.

Borracce, gavette, panni di lana e carne in scatola, munizioni, automezzi, vanghe e piccozze. La prima guerra mondiale è stata anche uno straordinario sforzo tecnico e produttivo che ha visto impegnate officine, manifatture, grandi e piccole aziende in una mobilitazione industriale senza precedenti. Attraverso documenti, immagini, cartoline e fotografie storiche, l’edizione del volume Industriarsi per vincere ripercorre il ruolo delle aziende italiane di fronte all’emergenza bellica, in un inedito sguardo sul “fronte interno” in grado di raccontare la quotidianità del conflitto. Un’opera antologica interamente dedicata a oggetti e strumenti divenuti veri e propri simboli degli italiani in guerra, su cui si è costruita l’identità collettiva di generazioni di soldati. Un libro fondamentale che ci racconta come la Grande Guerra fu una fase di grandi trasformazioni da cui discese la nostra idea di “modernità”.

In un intervento di alcuni anni fa avevo provato ed evidenziare, parlando dell'evoluzione del Diritto dei Conflitti Armati o Diritto Internazionale Umanitario (DIU o IHL), il sistema normativo basato su regole internazionali applicabile alla Prima Guerra Mondiale. Alla fine dei molti testi analizzati restava il dubbio su quali, realmente, fossero stati firmati e ratificati dalle Potenze che poi, materialmente, si confrontarono nel Conflitto. Volendo analizzare solo i testi principali potremo, tranquillamente, prendere in considerazione i principali in materia:-La Seconda Convenzione dell'Aja del 1899 sul rispetto delle leggi ed usi della guerra terrestre e i suoi allegai: Regolamento sulle legge e gli usi della guerra terrestre-La Dichiarazione dell'Aja sui Gas Asfissianti del 1899-La Dichiarazione dell'Aja sui Proiettili ad espansione del 1899-La Convenzione dell'Aja sulle navi ospedale del 1904-La Quarta Convenzione dell'Aja sulla Guerra Terrestre ed il suo Regolamento annesso La maggior parte di questi testi furono firmati e ratificati dagli Stati Partecipanti ad eccezione dell'ultima Convenzione che vide l'astensione (dalla Ratifica) per Grecia, Italia, Serbia, Bulgaria e Turchia .

Un año después de su aparición en Francia durante el 2016 -coincidiendo, apropiadamente, con el centenario de la mentada batalla-, ha llegado a nuestras librerías El último asalto de Jaques Tardi (Valence, 1946), la tercera parte de la saga que el gran dibujante de cómics ha dedicado a lo más crudo de la Primera Mundial y de la que forman parte previa La guerra de las trincheras (1993) y ¡Puta Guerra! (2009) -en français suena más fino-, todas publicadas en España por Norma durante la presente década.

The “Valdilocchi Battery” in La Spezia, digital survey and documentation of an architecture on the edge of an epochAll the fortifications have their time. They respond to specific way of defending and attacking they change in time accordingly to the terrible habits of the weaponry and technology evolution. For a long time, from the age of the great fortifications, to the use of cannons, to the invention of the aerial war, the military built heritage have seen a long transformation made of sudden architectural changes, until the moment when the possibility of bombing and attacking from the sky signed the sunset of the large over ground buildings in favour of mimetic and underground structures. The “Valdilocchi Battery” belong to the last age of the large fortress, capable to resist to ground attack while showing the aspect of an inexpugnable stronghold. Sited on the top of a hill in the eastern part of the La Spezia gulf, this battery had the function of second line defense to contro...

Fronte del Carso, 1915. Un giovane contadino bresciano appena alfabetizzato si trova improvvisamente scaraventato sulla scena della prima guerra tecnologica di massa. L'impatto con la macchina bellica, l'universo totalizzante della trincea, l'invadenza dello Stato e le formule della propaganda, tutti gli elementi insomma che costituiscono la sua esperienza di guerra vengono ricostruiti attraverso le lettere e le cartoline inviate dal fronte alla famiglia, qui pubblicate integralmente. Per la prima volta si studia il microcosmo di un'esperienza singola, il mondo culturale e sociale del protagonista, il suo patrimonio linguistico e ideologico. Ne emerge un quadro complesso e articolato in cui la scrittura si rivela non solo un mezzo di comunicazione di vitale importanza, ma uno strumento di resistenza psicologica, una forma di sopravvivenza nel tempo della memoria di un uomo comune, una traccia di vita che riporta fino a noi l'eco del più sanguinoso e fragoroso evento d'inizio secolo.

In occasione dell’uscita del libro "Con D’Annunzio a Fiume", di Mario Carli, edito da Giubilei Regnani all’interno della collana “Città di Vita” diretta da Alessandro Gnocchi e Giordano Bruno Guerri, Andrea D'Ottavi intervista il curatore della pubblicazione Carlo Leo.

Il convegno si propone di fare il punto sulle categorie, sui temi e sugli approcci utilizzati per analizzare il rapporto intercorso tra le donne e il conflitto che fu portatore di grandi trasformazioni. Per questo, la prospettiva complessiva terrà conto di un ampio arco cronologico includendo gli anni che precedettero e seguirono la guerra.
Da sempre interessata a studi che muovendo dalla storia delle donne e di genere siano capaci di modificare le acquisizioni della storia generale, la Società Italiana delle Storiche reputa utile il confronto con studiosi di diversa provenienza e formazione, sia italiani che stranieri. L’obiettivo è verificare se e quanto le indagini di storia delle donne e di genere sul Primo conflitto mondiale siano state recepite e abbiano influito su singoli campi di studio e sulla storia della guerra in generale.
Oltre a un bilancio delle ricerche e a una comparazione con ciò che si produce altrove, il convegno si propone di restituire un quadro aggiornato sul ruolo delle italiane durante una delle fasi più drammatiche per il paese. Le relazioni metteranno a fuoco la dialettica tra le generazioni e tra la dimensione locale, nazionale e internazionale, i cambiamenti intervenuti nelle identità e nelle relazioni tra i generi e le proposte per promuovere a conflitto concluso nuovi assetti politici e sociali

« Insoumis et déserteurs italiens en France pendant la Première Guerre mondiale », », EL-GAMMAL (Jean), JALABERT (Laurent) sous la direction de, Autorités, pouvoirs et conflits du Moyen Âge à nos jours. 10e Université d’Hiver 2017 de Saint-Mihiel, Nancy, Annales de l’Est, 2018, pp. 273-293.

PROFUGA!
Storia di una donna tra Tirolo e Regno d'Italia

Spettacolo teatrale in due atti in lingua italiana e dialetto trentino

Personaggi:

Amabile, protagonista
Luigi, marito
Federico, padre di lui
Alfonsina, sorella di lei
Valeria, amica di lei
don Faustino, curato
Ivo, spasimante di Amabile
Donna
Ragazzo
Capocomune
Ufficiale italiano
Soldato italiano

Sinossi:

Paese del Tirolo italiano, estate 1914.
Protagonista è una famiglia formata da una giovane coppia ancora senza figli, Amabile e Luigi, che vive col padre di lui Federico e con Alfonsina, la sorella minore di lei.
Allo scoppio della guerra, Luigi è chiamato sotto le armi e inviato in Galizia.
Nell'estate del 1915 il paese viene sgomberato dai soldati italiani. Amabile e gli altri vengono inviati in una struttura adibita ad ospitare i profughi nel Regno d'Italia. Qui il parroco, don Faustino, viene internato perché accusato di essere austriacante, mentre Amabile non riceve più notizie di Luigi e la salute del suocero peggiora sempre di più.
Uno dei sorveglianti italiani, Ivo, timido e claudicante, si innamora di Amabile, donna dolce e giudiziosa, e inizia a corteggiarla. Lei è divisa tra il senso di colpa e la stanchezza e voglia di normalità, soprattutto dopo la morte del suocero e dopo tre anni senza certezze sulla sorte del marito.
Un'amica di Amabile, Valeria, anche lei sposata, timorosa e ingenua, non sa rassegnarsi alla mancanza di notizie a proposito di suo marito, mentre la sorella Alfonsina, sfacciata e vivace, vive la sua giovinezza senza farsi condizionare dalla guerra.
Come cornice di questa vicenda personale, la guerra, il dolore dei profughi, i diversi atteggiamenti delle donne, che diventano sempre più attive e consapevoli.
A parte, la voce intima di Luigi e degli altri, affidata a lettere e diari1, a confessare amore, nostalgia e sentimenti che di persona era stato così difficile esprimere.
Infine, dopo quattro anni di vita quasi indipendente, Amabile e la sorella prendono atto del loro percorso di crescita e di maturazione emotiva e decidono di partire andando a raggiungere i fratelli in America, invece di far ritorno a casa.

NB: I testi di lettere e cartoline e parte dei dialoghi sono adattamenti di diari e lettere dell'epoca, di cui si è cercato di mantenere lo stile e l'ortografia.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale i vertici militari integrarono il clero nell’organizzazione bellica per aiutare moralmente i militari combattenti. Furono selezionati e reclutati i cappellani militari, uno per ogni reggimento, che però risultarono una minoranza rispetto al numero dei sacerdoti e preti mobilitati, che, imbracciando le armi, divennero preti-soldato. Essi, nel combattere, si trovarono di fronte a molti problemi e remore psicologiche, ma la maggior parte di loro furono d’esempio nell’affrontare le fatiche e i rischi della guerra.
Nello stesso periodo la Chiesa fu accusata di antipatriottismo da alcune fazioni della classe dirigente, critica poi smentita dalla realtà dei fatti: il clero e i preti soldato, non furono solo soldati di Cristo, ma anche veri soldati.

Descrizione del fondo archivistico del generale Tullio Marchetti (1871-1955), uno dei più importanti conservati nell'archivio storico del Museo della Guerra, in quanto comprende documentazione di grande rilevanza nazionale sia sull'attività di raccolta di notizie sul sistema difensivo e sul dispiegamento di forze militari dell'esercito austro-ungarico svolta dall'Ufficio informazioni della I Armata del Regio Esercito Italiano nel corso della guerra italo-austriaca, sia sul ruolo di primo piano svolto dall'Ufficio P del Comando Supremo nella diffusione della propaganda di guerra rivolta tanto alle proprie truppe e alla popolazione quanto alle unità militari avversarie.

La storia dei “Finanzieri di mare a Trieste” propone come punto di partenza
il porto cittadino, spaziando allo stesso tempo al Litorale Austriaco,
poi Venezia Giulia, e all’Istria, per riapprodare poi sulle rive della città. Il
volume, infatti, non si limita alla sola presenza italiana nel contesto storico
successivo al 1919, ma – e ciò avviene per la prima volta – opera un
collegamento tra due epoche. Da un lato si trovano i Finanzieri-marinai
della “Imperial Regia Guardia di Finanza” austro-ungarica, mentre
dall’altro lato le Fiamme Gialle di mare del Regno d’Italia: le stesse che
erediteranno dai colleghi austriaci, nel 1918-1919, un dispositivo navale
di tutto rispetto, grazie al quale fu possibile dar vita alla prima “Flottiglia
Costiera” della Guardia di Finanza. I Finanzieri di mare della “Trieste
Asburgica” furono i veri precursori di quell’innovazione tecnologica e
professionale che dal ’19 in poi caratterizzerà l’agire delle Fiamme Gialle
triestine. Furono proprio queste eredità che consentirono alla “Flottiglia”
di poter emergere certamente ad esempio più degno e concreto di come
fosse progredita, a partire dai primi anni ’20, la “Marineria di Finanza”
italiana, le cui origini risalgono al lontano 1816, ricorrendo quest’anno
il Bicentenario. Il volume prosegue con l’evoluzione del servizio navale
del Corpo in parallelo alla storia del Novecento triestino: gli eventi
della Seconda Guerra Mondiale, il dramma dell’occupazione Jugoslava,
l’amministrazione Anglo-Americana e quella del Territorio Libero di
Trieste, il ritorno di Trieste all’Italia nel 1954, fino a giungere ai giorni
nostri. I 15 capitoli del volume sono arricchiti dalle “curiosità storiche”
che tratteggiano nel dettaglio alcuni episodi o personaggi che hanno
caratterizzato la storia dei finanzieri di mare di Trieste. Infine, il volume
è ampiamente corredato, sia per il periodo austriaco sia italiano, da una
cartografia storica, da immagini, documenti e articoli di giornale riguardanti
i mezzi navali, gli uomini di mare, le uniformi, i fatti “di mare”.

Publié dans Italies, n°22, 2018, pp. 269-284.

Osvaldo Bolloni naît en Italie en 1909 et arrive en France dans les bras de ses parents en 1912. La Première Guerre mondiale déclenchée, la famille retourne en Italie où Osvaldo passe son enfance. Il revient en France avec sa famille dans les années vingt et s’y installe définitivement en étant musicien dans l’armée française. Sur la demande de membres de sa famille, il écrit dans les années 1970 les souvenirs de son passé, de son enfance marquée par l’émigration, la Grande Guerre, la famille, le travail et les diverses occupations traditionnelles de l’enfance en Italie.

L’eBook “Gli animali nella Grande Guerra” è una delle proposte didattiche sviluppate dall’Associazione culturale Se.

Esso risponde all’impegno dell’Associazione Se nel promuovere lo studio della storia del Novecento, diffondendo un sapere inclusivo, che valorizzi i soggetti subalterni esclusi dalle narrative istituzionali, allo scopo di ampliare la definizione di una disciplina, la storia, che non sia più soltanto la “scienza dell’uomo nel tempo” quanto piuttosto la “scienza dei viventi nel tempo”.

È uno strumento, che intende fornire a docenti e studenti della scuola secondaria un riferimento utile per sviluppare percorsi didattici in classe ed un supporto metodologico per svolgere lavori individuali o di gruppo a casa.

Terra matta, l’autobiografia di un ragazzo del ’99, semicolto, si caratterizza per la sua avventurosa storia editoriale, per il linguaggio – frutto di un pastiche involontario tra italiano e dialetto ragusano – e per le vicende che narra: uno spaccato della storia d’Italia dalla Grande Guerra alla Prima Repubblica. Nonostante la povertà di mezzi dell’autore, la cui forma mentis è legata in parte a un regime di oralità primaria, il saggio propone un’analisi che rileva, in un terreno così accidentato, un insospettabile rispetto di alcuni elementi tradizionali dell’autobiografismo moderno.

Il volume, edito da Nova Delphi, raccoglie le novelle sulla guerra di Pirandello comprese, o meno, nelle Novelle per un anno: Berecche e la guerra, Frammento di cronaca di Marco Leccio e della sua guerra sulla carta nel tempo della grande guerra europea, Colloquii coi personaggi, Quando si comprende, Jeri e oggi, La camera in attesa, Un “goj”, Il Signore della nave.  Le prime tre erano state già raccolte dall’autore, nel 1919, in Berecche e la guerra. L’ultima non parla direttamente della guerra ma è allegoria del grande macello, del «pasto delle belve», della «guerra di mercato», come  Pirandello la definì nell’intervista qui pubblicata in Appendice.
Il saggio introduttivo, dal titolo Grildrig e i giganti della guerra, si divide in tre parti: I. La piccola e la grande storia; II. Il gigante Germania e il grande macello; III. L’“oltre” dei personaggi.
«No: questa non è una grande guerra; sarà un macello grande», afferma l’italo-tedesco Berecche, umoristico e donchisciottesco alter ego pirandelliano, protagonista della lunga novella a lui intitolata (uno dei risultati più alti e più rappresentativi della sua narrativa) che da germanofilo triplicista diviene nemico della Germania, partecipe presto deluso di uno stremato mito interventista già esplicitamente negato dall’autore. La critica più feroce appare in Un «goj», in una sorta di giudizio da straniero su quella guerra che rese estraneo alle persone civili il mondo stesso, regredito alla barbarie: a Thanatos per Freud e, per Pirandello, alla festosa scannatura rappresentata nella potente allegoria espressionistica de Il Signore della Nave, suprema denuncia dell’ipocrisia della cristianità e dell’umanità.
Dal crogiuolo della grande e piccola storia della guerra ebbe  inizio la rivoluzione artistica pirandelliana, dallo sprofondamento nella catastrofe del trauma collettivo e familiare dell’autore riemerse il percorso  verso il culmine della sua creatività artistica: nella direzione critica, nel cui fuoco bruciano i miti, ma anche in quella mitica che rinasce dalle proprie ceneri. Nel fuoco della guerra, Pirandello, angelo del fuoco (nella mitica autointerpretazione del suo cognome), inizia a colloquiare coi suoi personaggi che, da lì a breve, avrebbero calcato i palcoscenici  di tutto il mondo.

L’attivazione della scrittura fra la gente comune è legata al fervore alimentato dai movimenti politici di massa di inizio ‘900. Oltretutto alla mobilità innescata dall’emigrazione di fine secolo XIX e inizio XX si aggiunge – e sovrappone – quella dovuta alla mobilitazione bellica, che raggiunge le sue punte più alte negli anni della Grande Guerra. Migliaia di giovani provenienti da tutte le regioni italiane si ritrovano al fronte, accomunati, soltanto, dalla divisa del regio esercito italiano. Alcuni di loro posseggono una sufficiente capacità di scrittura semplicemente per mantenere i legami sociali, per poter gestire i propri “affari”, secondo un tipico pragmatismo contadino che attribuisce un carattere essenzialmente funzionale alle pratiche scrittorie.    Vengono prodotte una gran quantità di fonti dalla gente comune che, comunque, non forniscono affatto un quadro organico. Quello che restituiscono è un quadro assolutamente sfaccettato e a tratti incoerente, una percezione disarticolata e caleidoscopica della realtà: evidenziano l’estrema tensione dei singoli alla ricerca della propria dimensione soggettiva per contrastare la spersonalizzazione della massa, ma allo stesso tempo il loro coinvolgimento nei processi omologanti che li rendono prigionieri degli eventi e delle dinamiche sociali collettive.    L’epistolografia e la memorialistica della Grande Guerra costituiscono una parte rilevante dell’enorme giacimento di scritture prodotte in età contemporanea dalla gente comune e, vista la varietà di scriventi e di testi, inducono a considerare le testimonianze popolari come una fonte dai confini labili e frastagliati, confini che la Grande Guerra ha contribuito a sfumare e a rendere ancor più imprecisabili. Se dalla prospettiva legata agli aspetti formali e linguistici si sposta l’analisi sul piano storico-sociale, ogni definizione risulta infatti sfuggente.  Le teorie di testimonianze dai fronti della Prima guerra mondiale che si succedono sui ripiani degli scaffali d’archivio evocano fila di soldati e i loro giovani ufficiali nelle trincee, ora intenti a scrivere e a dialogare nei momenti di riposo, ora tesi e silenziosi nella snervante attesa dell’attacco: la riscoperta delle parole, molte delle quali ancora sconosciute, scritte dal poco invitante mondo di pietre, fango e di reticolati che ospita il “popolo del fronte”, consente di percepire la guerra nelle sue piccole, quotidiane catastrofi, come il freddo, la fame, la morte di un compagno.    Nei tre capitoli sui quali è articolata questa tesina sono presenti alcune tematiche che volevano essere poste in risalto, frutto delle seguenti domande che mi sono posto prima della stesura: quali sono i sentimenti, le percezioni e gli atteggiamenti dei soldati che compongono l’esercito? Quali le loro strategie di resistenza alla destabilizzante esperienza bellica? A questi
II 
interrogativi ho cercato di rispondere rivolgendomi in larga parte alle missive ma anche, in misura molto minore ma senza tralasciare questo aspetto, ai diari di guerra e memorie. Generalmente esprimono la sopportazione passiva della guerra di tanti individui comuni, accettata come una catastrofe con cui necessariamente convivere. Una volta conclusa la guerra non sarà più possibile seppellire quest’esperienza e voltare pagina, cancellare un vissuto talmente interiorizzato da costituire un elemento di autoriconoscimento, un elemento discriminante fra chi di quella “famiglia in grigioverde” aveva fatto parte e chi no.

Organizzata a Parigi nel 1919 fra i vincitori della Grande Guerra, la Conferenza di pace aveva lo scopo di ridisegnare la cartina geopolitica dell’Europa e di parte del mondo. Molto si è discusso sulle speranze e le delusioni che essa generò, sulla mancata corrispondenza tra i proclami di principio e la Realpolitik delle soluzioni, e soprattutto sulle sue conseguenze di medio e di lungo periodo, dall’ascesa del nazionalsocialismo alla crisi odierna in Medio Oriente. Il libro colloca gli eventi nel loro contesto storico originale, segnato dal crescente dissidio tra i vincitori, offrendo al lettore gli strumenti necessari a comprendere quanto e in che modo il processo di pace abbia influenzato gli sviluppi globali dei decenni a venire.

La grande tela ( cm 255 x 659) di Emilio Rizzi (Cremona 1881- Brescia 1952) era parte di un ciclo decorativo allestito nel 1936 presso la sede  della Federazione dei combattenti e reduci di Brescia. Il complesso, dovuto a diversi pittori, fu smontato negli anni '60 del Novecento e, da allora, quasi ignorato nei depositi dei Musei Civici