stefano marino

Valentina Antoniol and Stefano Marino (ed. by)
"Foucault’s Aesthetics of Existence and Shusterman’s Somaesthetics: Ethics, Politics, and the Art of Living".
(Bloomsbury, London-New York 2024).

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TABLE OF CONTENTS

"Introduction.Foucault’s Aesthetics of Existence and Shusterman’s Somaesthetics: Ethics, Politics, and the Art of Living",
by Valentina Antoniol and Stefano Marino

(1) "Aesthetics of Existence: From Foucault to Stirner, via Baudelaire",
by Philippe Sabot

(2) "The Body at the Limits of Subjectivity. For a Philosophy-Performance as Political Aesthetics through the Thought of Michel Foucault",
by Arianna Sforzini

(3) "Pleasure, Scandal, and the Body: Foucault on Somatic Askesis",
by Daniele Lorenzini

(4) "Leib, Körper, and the Body Politic",
by Martin Jay

(5) "Care of the Social Self as Embodied",
by Vincent M. Colapietro

(6) "Somaesthetics and the Philosophical Life",
by Richard Shusterman

(7) "Somaesthetics, Foucauldian Aesthetics of Existence, and Living Ethically as White",
by Chris Voparil

(8) "Aphrodisia, Eros, Charis: Holistic Bodies and the Stylistic of Reciprocity",
by Barbara Formis

(9) "The Body Must Be Defended: Somapower and the Women’s Strike in Poland",
by Leszek Koczanowicz.

S. Gandesha e J.F. Hartle (a cura di),
"L'incantesimo del capitale. Reificazione e spettacolo".
Edizione italiana a cura di S. Marino.
Traduzione italiana di V. Antoniol, S. Marino e R. Vitali.
Mimesis, Milano-Udine 2023.

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"L’incantesimo del capitale" esplora la tradizione, l’impatto e la rilevanza nella contemporaneità di due concetti fondamentali del marxismo occidentale: il concetto di reificazione, risalente a György Lukács, e il concetto di spettacolo, risalente a Guy Debord. Riportando in primo piano i contesti teorici originari (ma non per questo dimenticati) da cui scaturirono questi concetti, i contributi raccolti nel volume a cura di Samir Gandesha e Johan F. Hartle offrono una nuova visione dell’importanza e dell’attualità del marxismo occidentale, a partire dalle sue origini per arrivare fino ai nostri giorni. In questo modo, L’incantesimo del capitale evidenzia come la critica della cultura di ispirazione marxista debba continuare a giocare un ruolo vitale in ogni analisi seria del mondo contemporaneo e in ogni indagine sul rapporto fra dimensione estetica e potenziale politico.

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INDICE

Stefano Marino,
Prefazione all’edizione italiana

Samir Gandesha, Johan F. Hartle,
Introduzione. Reificazione e spettacolo: l’attualità del marxismo occidentale

Johan F. Hartle,
La reificazione come spoliticizzazione strutturale: l’ontologia politica di Lukács e Debord

Samir Gandesha,
La “reificazione” tra autonomia e autenticità. Adorno sull’esperienza musicale

Thijs Lijster,
“Ogni reificazione è un oblio”: Benjamin, Adorno e la dialettica della reificazione

Tyrus Miller,
Interni utopici: l’arte dell’urbanismo situazionista dalla reificazione al gioco

Sudeep Dasgupta, “L’esplosione dell’invisibilità”. Tracciare il corpo nella società dello spettacolo

Noortje de Leij, La critica d’arte nella società dello spettacolo: il caso di “October”

Kati Röttger, Spettacolo e politica: è possibile una realtà politica nello spettacolo della società?

Willow Verkerk,
Reificazione, oggettivazione sessuale e attivismo femminista

Joost de Bloois,
Vita reificata: vitalismo, ambientalismo e reificazione in La società dello spettacolo e Il pianeta malato di Guy Debord

Nell’universo della popular music contemporanea, i Radiohead sono tra i pochi gruppi che hanno unito un notevole impatto commerciale a un riconosciuto successo artistico. In un’epoca in cui la riflessione sulla tecnica è di primaria importanza in ogni campo dell’agire umano, spicca la sua applicazione alla musica. Partendo dalla concezione della tecnica artistica sviluppata da Theodor W. Adorno e altri pensatori del Novecento, queste pagine offrono un’interpretazione filosofica della produzione musicale dei Radiohead, da cui emerge la qualità intrinsecamente dialettica della tecnica: da un lato, un abuso inconsapevole rischia di “disumanizzare” la società; dall’altro, un uso consapevole – e non un’aprioristica rinuncia – permette all’umanità di conquistarsi nuovi spazi espressivi nel mondo contemporaneo. La presente interpretazione della poetica musicale dei Radiohead o, per così dire, della “filosofia dei Radiohead” apre nuovi orizzonti sul rapporto tra musica, filosofia e società.

Nel pensiero di Theodor W. Adorno, esponente di spicco della teoria critica della società legata alla Scuola di Francoforte, il confronto con la cultura di massa (o, più precisamente, con l’industria culturale) e con l’esperienza estetica “diffusa” e spesso “distratta” che la caratterizza gioca un ruolo molto importante, ancorché perlopiù in un senso critico. In particolare, al centro di numerose ricerche e numerosi scritti di Adorno si trova il confronto critico con gli sviluppi novecenteschi della “musica leggera” o popular music, che per il filosofo tedesco comprendeva anche il jazz. Tali argomenti sono sempre analizzati da Adorno con un approccio dialettico che porta a mettere in luce e ad enfatizzare l’intreccio di aspetti diversi (filosofici, sociologici, musicologici, critico-culturali, politici) che vengono poi a raccogliersi intorno alla domanda sulla verità e non-verità dei fenomeni di volta in volta presi in esame. Il libro analizza questo complesso di problemi a vari livelli, confrontandosi con la natura aperta, plurale e dinamica del pensiero di Adorno, e investigando specificamente la tematica della verità e non-verità della popular culture. Procedendo in modo critico e mai dogmatico “con Adorno” ma al contempo, ove necessario, “contro Adorno”, il libro prende in esame i rapporti tra arte e società, tra aura e merce, tra dimensione estetica e potenziale politico, con un focus primario sulla popular music della nostra epoca e con numerosi esempi tratti da questo ambito.

Martin Heidegger and Hans-Georg Gadamer undoubtedly belong among the most important representatives of twentieth-century phenomenological hermeneutics, which represents, in turn, one of the major traditions within so-called continental philosophy. Respectively teacher and pupil, during their long and philosophically intense lives and careers Heidegger and Gadamer greatly contributed to the development of philosophical thought in our age, providing significant and often decisive contributions in various fields of philosophical inquiry. Their main works, Being and Time (1927) and Truth and Method (1960), respectively amount to the great “classics” of contemporary philosophy, both being extraordinarily influential books without which the history of twentieth- and also twenty-first century philosophy as we know it would not be conceivable. This book addresses a number of problems concerning aesthetics, metaphysics, language and philosophical anthropology, by focusing on Heidegger’s and Gadamer’s specific contributions in these fields, and by establishing fruitful and original comparisons between their views and those of other relevant thinkers of our time, such as Hannah Arendt, Richard Rorty and John McDowell. The book adopts a comparative approach that portrays the complex philosophical problems and concepts at the core of this investigation from various points of view, thus broadening the philosophical horizon, generating a more comprehensive perspective, and underlining the compatibility of different philosophical views.

Ein bedeutender Teil der Philosophie und allgemein der Kultur unserer Zeit ist von einem Gefühl der Unsicherheit und der Vorläufigkeit, des Unbehagens und des Untergangs, der Verwirrung und manchmal auch der Verwüstung, Verzweiflung und des Unglücks charakterisiert. Wenn es ein Wort gibt, das allein einen solchen allgemeinen Zustand zusammenfassen kann, dann ist es vermutlich das Wort „Krise“. Auch wenn man sich nur auf die philosophischen Werke beschränkt, so sind es hunderte an Buchtiteln und Aufsätzen, die im 20. Jahrhundert dem Thema der „Krise der Vernunft“, der „Krise der Zivilisation“, der „Krise der Kultur“, der „Krise der Kunst“, der „Krise des Geistes“, der „Krise der Menschheit“, der „Krise der Geschichte“, der „Krise der grundlegenden Traditionen“, der „Krise der Moral“ oder der „Krise der Religion“ gewidmet sind. Dies gilt übrigens nicht nur für das vergangene Jahrhundert, sondern kann (leider) ebenso gut auf das 21. Jahrhundert angewendet werden: Ein Blick in die Tagespresse, das Hören der Nachrichten oder eine rasche Suche im Internet genügen, um sich Klarheit darüber zu verschaffen, inwiefern „Krise“ zu einem Leitbegriff unserer Zeit geworden ist. Keiner der großen Protagonisten der Philosophie und der Kultur des 20. Jahrhunderts hat sich einer solchen Herausforderung entzogen, und unter ihnen sticht sicher auch der Name von Theodor Wiesengrund Adorno hervor. Für Adorno hat die Krise der Moderne bereits Dimensionen und Tiefen angenommen, die nicht nur den Fortschrittsglauben zur Diskussion stellen, sondern allgemein die Legitimation zum Weiterleben. Wenn die Philosophie Adornos als eine der vielen Ausformungen der „Philosophie der Krise“ oder als „negatives Denken“ unseres Zeitalters interpretiert werden kann, dann muss auch festgestellt werden, dass in ihr der Begriff Aufklärung eine absolut zentrale Rolle gespielt hat. Im Unterschied zu den meisten „Krisenphilosophen“ des 20. Jahrhunderts lastete Adorno nie der Aufklärung und der modernen Kultur als solcher die Verantwortung für die Krise an, in welche die Menschheit geraten war. Wenn überhaupt, so landete auf der Anklagebank die „falsche Aufklärung“, d.h. die perverse Form, welche die Aufklärung Adorno zufolge im Lauf der Geschichte aufgrund ihrer andauernden Verstrickung mit Macht, Herrschaft und Gewalt angenommen hat. Die vorliegende Arbeit besteht in einer Interpretation des Denkens Adornos, die ihren Ausgang im grundlegenden Thema der Dialektik der Aufklärung nimmt, und von dort aus dehnt sie sich auf die Themen Natur und Geschichte, Moralphilosophie und Erkenntnistheorie, Ästhetik und Metaphysik aus. Die Leitidee des Buches ist eben jene, nach der sich im Fall Adornos stets eine interessante Konvergenz eines Aspekts des Philosophierens mit einem anderen zeigt, so zum Beispiel des erkenntnistheoretischen Aspekts mit dem ethischen oder des ästhetischen mit dem metaphysischen.

What distinguishes the philosophy and, more in general, the culture of our age is to a wide extent a sense of uncertainty and temporariness, uneasiness and decline, confusion and sometimes even devastation, desperation and tragedy. Should one indicate a single word capable to summarize and express such a general and peculiar condition of our time, then it would probably be the word “Crisis”. Indeed, even taking into consideration philosophical works only, it is apparent that during the 20th century, hundreds of books and articles were dedicated to such subjects as the “Crisis of reason”, the “Crisis of civilization”, the “Crisis of culture”, the “Crisis of art”, the “Crisis of spirituality”, the “Crisis of mankind”, the “Crisis of history”, the “Crisis of traditions”, the “Crisis of morality” and the “Crisis of religion”. By the way, this does not apply only to the 20th century but to the 21st as well.  A simple look at the newspapers, watching the news on television, or making a quick search on the internet will reveal “Crisis” has become a main issue of our time. None of the leading characters of the 20th-century philosophy and culture could avoid facing such a decisive challenge as the one presented by the critical situation of our age. Among them a particular mention goes to Theodor Wiesengrund Adorno: according to his work, the crisis of modernity was so widespread and profound that “after Auschwitz”, not only the faith in progress of mankind, but also the simple right to live had been questioned. However, even if it is possible and indeed correct to interpret Adorno’s philosophy as one of several expressions of the 20th-century “philosophy of crisis” or “negative thinking”,  it must be noted that a decisive role in his thought was played by the concept of enlightenment. In contrast to the majority of 20th-century “philosophers of the crisis”,  Adorno never considered enlightenment, reason and modern culture as such as responsible for the crisis into which mankind had fallen. Instead he accused what may be called “false enlightenment” of having produced this critical situation: namely, the distorted form assumed by enlightenment throughout human history due to its entwinement with power, dominion, and violence. This book offers an interpretation of Adorno’s thought starting from the basic question concerning the “dialectic of enlightenment”, and then analyzing such fundamental issues as nature and history, morality and knowledge, aesthetics and metaphysics. The basic idea underlying the entire development of this book is that Adorno’s thought was precisely characterized by an interesting and indeed undeniable tendency to entwine different aspects of philosophy, such as knowledge theory with ethics, or aesthetics with metaphysics.

L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer rappresenta uno dei capisaldi del pensiero contemporaneo e con il presente volume si intende offrire un’interpretazione complessiva della filosofia di Gadamer – analizzata in alcuni dei suoi aspetti principali, seguendo il filo conduttore della questione della crisi della modernità e prendendo anche in considerazione alcuni suoi scritti spesso ingiustamente considerati “minori”. Una particolare attenzione, soprattutto nella prima e terza parte del libro, viene dedicata ai risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. Risvolti che, talvolta, non sono stati tenuti pienamente in considerazione dagli interpreti, ma che risultano estremamente importanti per un’esatta valutazione della straordinaria rilevanza e perdurante attualità del pensiero di Gadamer. Per far fronte ai sintomi di un disagio o di una crisi del nostro mondo, la proposta di Gadamer è quella di una valorizzazione delle risorse insite in quella “dimensione ermeneutica” dell’esistenza umana, retta dalla “ragionevolezza” del comprendere inteso come “sapere pratico”, la cui ricchezza e complessità rischia di venir misconosciuta da un’umanità ormai assuefatta alla forma mentis di un riduzionismo tecno-scientifico tanto “efficace” quanto, in fin dei conti, impoverito e impoverente.

L’esperienza di Theodor W. Adorno, esponente di spicco della Scuola di Francoforte, è stata certamente una delle più rilevanti e affascinanti dell’intero XX secolo, per la sua ampiezza, profondità e multidimensionalità. Questo libro offre un tentativo di interpretazione del suo pensiero che fa leva sulla molteplicità e pluralità di prospettive che lo animano, seppur all’interno di un orizzonte filosofico-sociologico estremamente solido e coerente, definibile mediante la formula “dialettica dell’illuminismo”. In particolare, gli aspetti qui presi in esame concernono la filosofia teoretica e la filosofia della storia, l’etica e la metafisica, l’estetica e la filosofia della musica, e si ricollegano ai suoi più importanti scritti composti tra gli anni Trenta e Sessanta e oggi raccolti nell’edizione completa delle opere.

Book Synopsis:

This book is an attempt to provide a systematic interpretation of Hans-Georg Gadamer’s hermeneutics in light of one of the most important, interesting and debated questions of the present age: the question concerning the role played by science and technology in shaping our civilization. The author argues that this question lies at the heart of Gadamer’s thought, and that such an approach to his philosophy might help to overcome some inveterate interpretive prejudices, like, for example, the idea of Gadamer as an anti-scientific and politically authoritarian thinker. In order to clarify these points, the author closely examines not only Gadamer’s 1960 masterpiece, Wahrheit und Methode, or his main writings (later gathered in ten volumes of collected papers), but most of the works he published in his more than centenarian life, including many short essays, lectures and interviews. Gadamer’s hermeneutics is seen as offering both an intriguing description of the main «pathologies» of the Western modern civilization, and a challenging proposal for «healing» the uneasiness and malaise of modernity by revaluating all forms of unmethodical, i.e. non-scientific, experience and knowledge.

Contents:
1. Gadamer’s Long Twentieth Century
2. Science and Technology: The Real Roots of Modernity
3. The Basic Features of Our Societies: Conformism, Bureaucracy and Self-Alienation
4. Cosmopolitan Hermeneutics in the Age of the «Clash of Civilizations»
5. The Possibility of Global Disasters and the Fear for the Self-destruction of Mankind
6. On the Problematic Character of Ethic and Aesthetic Experiences in the Age of Science
7. Religious Experience in a Nihilistic Epoch
8. Hermeneutics, Techno-Science, Enlightenment: A Complex «Constellation»
9. The Rehabilitation and Universalization of Practical Knowledge and Experience
10. Reasonableness, Dialogue and Freedom: Ethical-Political Consequences of Hermeneutics.

Quello di “fusione degli orizzonti” è senza dubbio uno dei concetti-chiave dell’ermeneutica filosofica di Gadamer. Introdotto in Verità e metodo per indicare l’integrazione reciproca tra l’orizzonte di partenza dell’interprete, determinato dai suoi pregiudizi e dalle sue aspettative di senso, e quello della “cosa stessa” che è in gioco nel testo da interpretare, tale concetto è stato successivamente anche applicato alla comprensione del linguaggio in quanto dialogo ed assunto come modello per lo studio dei rapporti tra culture diverse o per la comparazione tra paradigmi filosofici differenti. In questo libro si analizzano diversi aspetti della filosofia di Gadamer (estetica, etica, ontologia, linguaggio) sulla base del concetto di fusione degli orizzonti inteso in quest’ultima accezione.

Figura carismatica, incisiva e poliedrica come poche altre, capace di esprimersi ai massimi livelli come guitar hero, critico ironico della società americana e, soprattutto, compositore fra i più importanti del secondo Novecento, Frank Zappa (1940-1993) è stato certamente un personaggio-chiave della nostra epoca. Con la sua produzione vastissima, non catalogabile o incasellabile in generi precostituiti, estremamente provocatoria (anzi, a volte persino “irritante”, soprattutto per i suoi testi), ma comunque originalissima e caratterizzata da una poetica inconfondibile e da una forte “continuità concettuale”, egli ha esercitato e continua a esercitare una profonda influenza sulla musica e, in generale, sulla cultura contemporanea. A vent’anni dalla sua morte, questo libro intende celebrare il genio e l’opera di Zappa offrendone una particolare interpretazione filosofica alla luce delle teorie del principale filosofo della musica del Novecento, Theodor W. Adorno.

Richard Shusterman is an American pragmatist philosopher, currently Dorothy F. Schmidt Eminent Scholar in the Humanities, Professor of Philosophy and English, and Director of the “Center for Body, Mind, and Culture” at Florida Atlantic University (FAU). Shusterman is mostly known for his contributions in the field of pragmatist aesthetics and the emerging field of somaesthetics. Among the main topics of his original development of a pragmatist philosophical perspective one can mention experience (and aesthetic experience, in particular), the definition of art, the question of interpretation, the philosophical defense of the value and significance of popular art (in comparison to the frequent devaluation of the latter by many philosophers and intellectuals), the revaluation of the idea of philosophy as an art of living, and finally the strong emphasis of the role of the body in most (or perhaps all) human practices, activities and experiences. This deep concern for embodiment led to ...

Karl-Siegbert Rehberg è un sociologo tedesco di fama internazionale.
Allievo diretto di Arnold Gehlen, del quale cura l’opera omnia (Gesamtausgabe) pubblicata dall’editore Klostermann, Rehberg è professore ordinario presso la Technische Universität di Dresda. Autore di numerosi saggi sulla storia del pensiero sociologico, nel corso della sua lunga e prolifica carriera Rehberg ha concentrato la propria attenzione anche su tematiche antropologico-culturali ed estetiche. Pur essendo stato chiaramente influenzato dalla concezione del suo maestro Gehlen, Rehberg ha sempre manifestato un grande interesse anche per prospettive diverse, come ad esempio quella della teoria critica della società della Scuola di Francoforte, uno dei cui esponenti principali, com’è noto, è stato Theodor W. Adorno. Non tutti sanno che, durante gli anni Sessanta, a dispetto delle loro notevoli divergenze intellettuali e soprattutto politiche, Adorno e Gehlen intrattennero una corrispondenza in cui, accanto alle ovvie diversità fra loro, emerse anche l’esistenza di alcune significative convergenze, soprattutto sul piano dell’interpretazione filosofica delle opere d’arte, con un’esplicita manifestazione di stima da parte di Adorno per il libro Zeit-Bilder di Gehlen. Abbiamo approfittato della grande gentilezza del Prof. Rehberg per porgli alcune domande proprio sul rapporto fra questi due grandi protagonisti della filosofia e della sociologia del Novecento: Adorno e Gehlen.

This interview, entitled "Verità e non-verità (estetica e sociale) della cultura popular", is a conversation between Giusy Capone and me, originally published on Capone's blog.

Starting from my last books on Adorno and Radiohead ("Le verità del non-vero", 2019; "Verità e non-verità del popular", 2021; "La filosofia dei Radiohead", with Eleonora Guzzi, 2021), Capone asked me some questions about my views about the relation between philosophy and popular culture, about my idea of philosophy and my last researches in this field (trying to intersect critical theory, hermeneutics and pragmatism), and about the meaning and value of culture today.

The interview is accessible at this link: https://giusycapone.home.blog/2021/11/10/verita-e-non-verita-estetica-e-sociale-della-cultura-popular/

Figura carismatica, incisiva e poliedrica come poche altre, capace di esprimersi ai massimi livelli come guitar hero, critico ironico della società americana e, soprattutto, compositore fra i più importanti del secondo Novecento, Frank Zappa (1940-1993) è stato certamente un personaggio-chiave della nostra epoca. Con la sua produzione vastissima, non catalogabile o incasellabile in generi precostituiti, estremamente provocatoria (anzi, a volte persino “irritante”, soprattutto per i suoi testi), ma comunque originalissima e caratterizzata da una poetica inconfondibile e da una forte “continuità concettuale”, egli ha esercitato e continua a esercitare una profonda influenza sulla musica e, in generale, sulla cultura contemporanea. A vent’anni dalla sua morte, questo libro intende celebrare il genio e l’opera di Zappa offrendone una particolare interpretazione filosofica alla luce delle teorie del principale filosofo della musica del Novecento, Theodor W. Adorno.

Due to their chemical plasticity, Cysteine residues (Cys) can serve many different functions. Identification and classification of reactive Cys isn't a trivial job: currently, no available tool exists for an all-round, comprehensive (inclusive of all different functional types) analysis of Cys; herein we present a computational platform called Cp i pe, dedicated to this task: it implements state-of-the art protocols, elaborating and displaying a wealth of information, sufficiently orthogonal to allow a thorough evaluation of all major aspects of Cys reactivity. Cp i pe is implemented in Python and freely available at http://cpipe.explora-biotech.com/cpipe/start.py . All major browsers are supported. Stefano M Marino, s.marino@explora-biotech.com, ExploraSrl., V. Torino 107, Venice, Italy. Supplementary data and additional discussion are available at Bioinformatics online and http://cpipe.explora-biotech.com/cpipe/tutorial.py.

In the context of the present issue of The Journal of Somaesthetics, specifically dedicated to the topic of methodologies, my article aims to contribute to an open dialogue with some other esteemed colleagues on the question concerning the significance but also the limitations of methods in philosophy. In my article I take somaesthetics as my point of departure and mainly focus on this philosophical discipline in the first two sections, with particular attention to Richard Shusterman’s work, from his groundbreaking book Pragmatist Aesthetics to his more recent Adventures of the Man in Gold. At the same time, coherently with my philosophical background, mostly based on hermeneutics and critical theory, in the following sections of my article I try to broaden the picture and provide some remarks on the role of methodologies in philosophy in general (and not only in somaesthetics), supporting the conception of a philosophy that, following Adorno, proceeds “methodically unmethodically".

Il saggio prende in considerazione le concezioni di Gadamer e McDowell della seconda natura dell'uomo e del rapporto fra il linguaggio e il nostro modo di rapportarci al mondo, evidenziando non soltanto alcune affinit\ue0 fra le concezioni dei due autori, ma anche il loro comune (sebbene talvolta soltanto implicito e non pienamente riconosciuto da loro stessi) riferimento a un orizzonte concettuale di fondo di tipo antropologico-filosofico

The concept of nature plays a decisive role in Adorno\u2019s philosophy, and must be understood as part of a conceptual constellation that also includes the notions of myth, enlightenment, dialectics, fate, reason, conceptuality, knowledge, freedom, society, and history. In the first section we provide a general analysis of the role played by the concept of nature in Adorno\u2019s philosophy. In doing so, we mostly concentrate on his works The Idea of Natural History, Dialectic of Enlightenment, Minima Moralia, Negative Dialectics, and also his 1964-65 lectures on History and Freedom. In the second section, then, we turn to Adorno\u2019s aesthetics, which must not be merely understood as a philosophy of art but rather as a general theory of the aesthetic that also includes nature among its objects. On this basis, and by referring not only to Adorno\u2019s posthumously published Aesthetic Theory but also to his 1958- 59 lecture course on Aesthetics, we explain why, in our view, the question concern- ing natural beauty holds a special place in the whole of his aesthetics, and why this question is essential indeed in order to properly understand the general meaning, philosophical range and ultimate goals of his philosophical project

"Populismo, femminismo, popular culture": senza pretesa di esaustivit\ue0, nella presente sezione monografica del n. 11/2019 di "Scenari" quel che si intende presentare \ue8 una costellazione di prospettive interpretative sui temi in questione. Populismo e femminismo rappresentano due fenomeni, o meglio due possibili posizionamenti etico-politici che, per quanto legati a vicende storiche e a quadri interpretativi diversi e talvolta anche opposti, non solo continuano a strutturare il nostro presente, ma stanno riacquisendo un\u2019importanza crescente nel dibattito contemporaneo. In questo contesto \ue8 possibile stabilire per lo meno alcune costanti strutturali comuni tanto ai nuovi movimenti femministi quanto ai nuovi populismi. Il terzo concetto, quello di popular culture, non indica, come i primi due, un fenomeno che, per quanto complesso e diversificato, possa essere attribuito a soggetti specifici o a diverse opzioni teoriche e politiche; piuttosto, cerca di definire il medium all\u2019interno del quale i fenomeni sociali contemporanei si esprimono. In questo senso la popular culture rappresenta, per cos\uec dire, la cornice analitica che permette di pensare e comprendere i diversi fenomeni del e nel nostro presente politico e culturale

L\u2019analisi e la comprensione delle dinamiche che stanno alla base di quella che potremmo chiamare la dimensione estetica \ue8 sempre stata al centro degli interessi dei pensatori riconducibili alla Scuola di Francoforte. In un tale contesto, il caso di Max Horkheimer \ue8 rilevante e, al tempo stesso, anche molto particolare. Da un lato, infatti, abbiamo chiaramente a che fare con l\u2019autore la cui filosofia forse pi\uf9 di ogni altra rispecchia il pensiero sviluppato in generale dalla Scuola, di cui egli \ue8 stato lo "spiritus rector\u201d; insomma, il fondatore della teoria critica, nella misura in cui l\u2019orientamento assunto dall\u2019Istituto sotto la sua direzione conteneva in germe fin dagli anni Trenta quelli che saranno gli elementi qualificanti destinati a rendere celebre e importante tale teoria. Dall\u2019altro lato, per\uf2, si deve constatare come siano relativamente pochi i contributi di Horkheimer specificamente vertenti su tematiche estetiche. Alla luce di ci\uf2, il mio tentativo sar\ue0 quello di esaminare la riflessione horkheimeriana su questi problemi prendendo le mosse dal suo saggio "Arte nuova e cultura di massa". Quindi, spostando il focus della mia attenzione anche su Adorno, tenter\uf2 di esaminare alcune loro posizioni sui temi della verit\ue0 dell\u2019arte e del destino di quest\u2019ultima nell\u2019epoca della \u201cindustrializzazione\u201d della cultura. Scopo precipuo del presente contributo sar\ue0 quindi verificare se e fino a che punto le categorie interpretative elaborate da questi autori siano funzionali alla comprensione di determinate tematiche e sfide della contemporaneit\ue0 \u2013 evitando d\u2019altra parte, nel far ci\uf2, che questo esercizio si traduca in una mera verifica di \u201cci\uf2 che \ue8 vivo e ci\uf2 che \ue8 morto\u201d nel loro pensiero

"Variazioni sul jazz. Critica della musica come merce" \ue8 la prima raccolta completa in italiano degli scritti sul jazz di Adorno, composti fra il 1933 e il 1953. Gli scritti offerti in trad. it. sono: Congedo dal jazz; Sul jazz (con Appendici oxoniensi); Recensione di W. Hobson, American Jazz Music, e W. Sargeant, Jazz, Hot and Hybrid; Jazz (da Diciannove contributi sulla nuova musica); Moda senza tempo. Sul Jazz; Replica a una critica a Moda senza tempo. La traduzione \ue8 corredata da un saggio introduttivo del curatore, Giovanni Matteucci, e da una postfazione del traduttore, Stefano Marino

La Rivoluzione conservatrice costituisce uno snodo significativo della storia tedesca ed europea del primo Novecento. Il volume indaga il modo, assai problematico e paradossale, in cui il movimento rivoluzionario-conservatore rimodula alcune istanze tradizionali della destra a partire dal confronto con l\u2019avvento della civilt\ue0 della tecnica e con l\u2019irruzione delle masse sulla scena politico-sociale. Tale prospettiva, contraddistinta da una ripresa anti-moderna della modernit\ue0, viene approfondita in relazione ai suoi principali interpreti, tra i quali E. J\ufcnger, F.-G. J\ufcnger, A. Moeller van den Bruck e O. Spengler, e in relazione a pensatori come A. Baeumler, T. Mann, C. Schmitt e M. Heidegger. La categoria mediante la quale ci si propone di gettare luce su questo complesso fenomeno \ue8 la ricezione del pensiero di Friedrich Nietzsche. Il volume rappresenta quindi un\u2019ulteriore occasione di confronto con l\u2019eredit\ue0 nietzschiana, nonch\ue9 una discussione circa la collocazione del movimento rivoluzionario-conservatore rispetto al nazionalsocialismo

Malgrado il rapporto tra moda e modernit\ue0 rappresenti, a ben vedere, un denso tema filo-sofico, \ue8 davvero scarso il numero dei filosofi importanti del Novecento che se ne sono occupati con significativa attenzione. Fino a poco tempo fa, in effetti, la letteratura filosofica sull\u2019argomento risultava ancora un po\u2019 esigua, anche se \ue8 possibile notare come proprio negli ultimi anni sia emersa, in maniera forse ancora un po\u2019 ti-mida ma nondimeno significativa, una certa tendenza a occuparsi seriamente di un fenomeno come la moda che, a prescindere dalle opinioni che ciascuno pu\uf2 legittimamente avere al riguardo, \ue8 in ogni caso rilevante per la comprensione della nostra epoca. A testimonianza di quella che possiamo chiamare dunque la rilevanza estetica della moda, \ue8 possibile citare svariati lavori recenti. Nel presente contributo, i libri su cui mi soffermer\uf2 sono "Filosofia della moda" di Lars Svendsen e "Vestirsi di sogni. Moda e modernit\ue0" di Elizabeth Wilson

Ormai da diversi anni \u201cl\u2019estetica ha superato i confini disciplinari\u201d che erano stati fissati da dibattiti e dottrine fondamentali del passato, e si sente \u201cil bisogno, avvertito [\u2026] da pi\uf9 parti, di estendere la mappa teorica e metodologica\u201d della disciplina (Di Stefano 2012: p. 10). In particolare, com\u2019\ue8 stato recentemente notato, \u201ci confini di pertinenza dell\u2019estetica\u201d vengono oggi \u201cmessi alla prova da fenomeni a lungo marginalizzati, se non addirittura esorcizzati, dal sistema culturale tradizionale\u201d: \u201cfenomeni spesso contraddittori, che per\uf2 incidono in maniera decisiva sulle attuali configurazioni del gusto\u201d, di modo che questo ruolo, \u201cin passato assegnato in esclusiva all\u2019arte\u201d, oggi \ue8 anche, se non perlopi\uf9, \u201cappannaggio di pratiche che si annidano nella vita quotidiana\u201d (Matteucci 2015: p. 9). Scopo del presente contributo \ue8 esaminare rapidamente tre testi recenti che si inscrivono in quest\u2019orizzonte tematico in maniera coerente, sistematica e senz\u2019altro molto interessante: (1) la monografia di Andrea Mecacci "L\u2019estetica del pop" (2011); (2) il libro di Maurizio Vitta "Il rifiuto degli d\ue8i" (2012); (3) il volume "Moda e arte" (2012) curato da Marco Pedroni e Paolo Volont\ue9

... l'eterogeneità degli studi e dei contributi teorici; sin dagli anni Trenta, collaborò alla «Zeitschrift für Sozialforschung» con articoli e saggi miranti a far ... sono di qualità eccelsa» (PE Carapezza, Adorno a Palermo, in Adorno in Italia, a cura di A. Angelini, Siracusa, Edi-print, 1987, p ...

L'articolo, prendendo le mosse dalle domande \u201cPu\uf2 la musica segnare i tempi del pensiero filosofico?\u201d e, pi\uf9 in generale, \u201cPu\uf2 la musica segnare i tempi della nostra vita?\u201d, e muovendo dalla premessa secondo cui il pensiero filosofico non \ue8 qualcosa di avulso o estraneo rispetto alla vita, ma \ue8 al contrario qualcosa che emerge da essa e si innesta spontaneamente in essa, giungendo \u2013 quando ne \ue8 davvero capace \u2013 a fornirne un\u2019articolazione pi\uf9 chiara tramite intuizioni e concetti e, per cos\uec dire, a innervarla dall\u2019interno, ripercorre rapidamente alcuni momenti della storia del pensiero estetico-musicale occidentale e, quindi, adottando un approccio fenomenologico-descrittivo, prende in esame alcune esperienze di ascolto abituali, quotidiane, e tenta di interpretarle in modi efficaci per un'illuminazione del nesso musica/tempo/pensiero/vita

Figura poliedrica come poche altre (chitarrista virtuoso, critico della societ\ue0, intellettuale ironico e, soprattutto, compositore fra i pi\uf9 importanti del secondo Novecento), Frank Zappa \ue8 stato certamente un personaggio-chiave e assolutamente "sui generis" della cultura "popular" della nostra epoca. Con la sua produzione vastissima, incatalogabile, estremamente provocatoria ma, comunque, sempre originale e caratterizzata da una poetica inconfondibile e una forte \u201ccontinuit\ue0 concettuale\u201d, egli ha esercitato e continua ad esercitare una profonda influenza sulla musica del nostro tempo. A vent\u2019anni dalla sua morte, questo saggio prende in esame l\u2019opera di Zappa tentando di offrirne una particolare interpretazione filosofica condotta alla luce delle teorie del principale filosofo della musica del Novecento, Theodor W. Adorno

Quello di \u201cfusione degli orizzonti\u201d \ue8 senza dubbio uno dei concetti-chiave dell\u2019ermeneutica filosofica di Gadamer. Introdotto in "Verit\ue0 e metodo" per indicare l\u2019integrazione reciproca tra l\u2019orizzonte di partenza dell\u2019interprete, determinato dai suoi pregiudizi e dalle sue aspettative di senso, e quello della \u201ccosa stessa\u201d che \ue8 in gioco nel testo da interpretare, tale concetto \ue8 stato successivamente anche applicato alla comprensione del linguaggio in quanto dialogo ed assunto come modello per lo studio dei rapporti tra culture diverse o per la comparazione tra paradigmi filosofici differenti. In questo libro si analizzano diversi aspetti della filosofia di Gadamer (estetica, etica, ontologia, linguaggio) sulla base del concetto di fusione degli orizzonti inteso in quest\u2019ultima accezione

"Kurt Cobain 1994-2024: un’icona della musica rock e della cultura contemporanea a 30 anni dalla morte".
A cura di Stefano Marino.

Con la partecipazione di: Alessandro Alfieri, Valeria Sgarella, Davide Sisto, Stefano Solventi, Luca Villa.

Università di Bologna, Dipartimento delle Arti (DAR).
DAMSLab - Auditorium, P.tta Pasolini 5b, Bologna.
27 maggio 2024, ore 15:30 - 19:00.

Kurt Cobain (1967-1994), cantante, chitarrista e principale compositore nella band Nirvana, rappresenta senza dubbio una delle figure-chiave della storia del rock degli ultimi decenni: una figura i cui effetti e la cui influenza, a un livello musicale e anche a un livello di immaginario collettivo, continuano indubbiamente a farsi sentire fino a oggi e non mancano di lasciare tracce significative nel panorama odierno, a vari livelli.

L'evento "Kurt Cobain 1994-2024", organizzato nel 30° anniversario della sua morte, consisterà di una giornata di studio presso l'Università di Bologna in cui studiosi/e molto esperti/e di Kurt Cobain, dei Nirvana e della sottocultura "grunge" legata principalmente alla scena musicale di Seattle degli anni '90 presenteranno i propri interventi e le proprie interpretazioni della figura di Cobain e della sua eredità nella musica e nella cultura contemporanea.

Link: https://magazine.unibo.it/calendario/2024/05/27/kurt-cobain-1994-2024-un2019icona-della-musica-rock-e-della-cultura-contemporanea-a-30-anni-dalla-morte?%3Fd=2024-05-27&fbclid=IwAR0rSrw56nQgBaMqI479D9i25mv6Yy4CLgbkuTNQ4PkG9E4wUyTRvxzdq5k

THINKING FASHION Conference
CITY UNIVERSITY OF NEW YORK

Friday, April 28, 2023
10:00 am — 6:00 pm

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Stefano Marino and Nickolas Pappas. "Fashion's Reflections on Mind and Body: Two Philosophers Reflect"

We begin with a passage from Elizabeth Wilson, Adorned in Dreams: Fashion and Modernity. Dress “links the biological body to the social being, and public to private”, and this “makes it uneasy territory”: in fact, "it forces us to recognize that the human body is more than a biological entity, It is an organism in culture, a cultural artefact even, and its own boundaries are unclear. [...] If the body with its open orifices is itself dangerously ambiguous, then dress, which is an extension of the body yet not quite part of it, not only links that body to the social world, but also more clearly separates the two. Dress is the frontier between the self and the not-self. [...] In all societies the body is ‘dressed’, and everywhere dress and adornment play symbolic, communicative and aesthetic roles. Dress is always ‘unspeakably meaningful’. [...] Dress in general seems then to fulfill a number of social, aesthetic and psychological functions; indeed it knots them together, and can express all simultaneously. This is true of modern as of ancient dress. What is added to dress as we ourselves know it in the West is fashion. The growth of the European city in the early stages of what is known as mercantile capitalism at the end of the Middle Ages saw the birth of fashionable dress, that is of something qualitatively new and different. Fashion is dress in which the key feature is rapid and continual changing of styles. Fashion, in a sense is change, and in modern Western societies no clothes are outside fashion.” From Wilson’s remarks on fashion’s thinking, we separately and then collectively consider political and metaphysical implications of fashion: for the body, but also for the mind and for the self.

Stefano Marino is Professor of Aesthetics at the University of Bologna. His main research fields include hermeneutics, critical theory, somaesthetics, philosophy of music, and aesthetics of fashion. He has authored books on Gadamer, Adorno, Frank Zappa, and Radiohead, and has co- edited books and special issues on Kant, Nietzsche, Gadamer, Adorno, and Pearl Jam.

Nickolas Pappas is Professor of Philosophy and Classics at the City University of New York. He works mainly on topics in and surrounding ancient philosophy, including the conjunction of ancient thought with fashion. His books include The Philosopher’s New Clothes: The Theaetetus, the Academy, and Philosophy’s Turn against Fashion (Routledge, 2016).

5 MAY 2023,  14:00 - 19:00 (2:00 - 7:00 PM).

University of Bologna, Department of the Arts.
Palazzo Marescotti (Aula Cruciani, via Barberia 4 - Bologna).

Giornata di studio su alcuni nodi fondamentali del pensiero di Richard Shusterman, che saranno discussi dallo stesso Shusterman con i relatori/le relatrici e con il pubblico in aula.
Saranno presenti anche il prof. Matteo Santarelli e il prof. Alberto Fabio Ambrosio come "discussant".

Il pensiero di Richard Shusterman rappresenta un punto di riferimento importante all’interno del dibattito filosofico contemporaneo.
Pur muovendosi in modo rigoroso all’interno della tradizione di pensiero del pragmatismo statunitense – alla quale ha contribuito offrendone una declinazione specificamente estetica, sviluppando poi il pragmatismo nella direzione di una filosofia specificamente incentrata sul corpo, la somaestetica –, Shusterman ha sempre mantenuto un dialogo aperto anche con tradizioni di pensiero e tematiche proprie della “filosofia continentale”, quali teoria critica, fenomenologia ed ermeneutica.
Sulle basi di un approccio filosofico generale di tipo pluralista, migliorista e interdisciplinare, Shusterman ha offerto contributi originali e stimolanti su una grande varietà di questioni, concentrandosi ad esempio sulla liberazione dell’indagine estetica da ogni suddivisione schematica, dicotomica e astratta delle arti in “basse” e “alte”, nonché sulla rivalutazione dell’esperienza estetica nel suo complesso e, soprattutto, sul recupero della dimensione della corporeità e del piacere.

In questa giornata di studio presso il DAR verranno approfonditi alcuni nodi fondamentali del pensiero di Shusterman, che saranno poi discussi insieme allo stesso Shusterman (come partecipante all’evento) e al pubblico in aula.
Saranno presenti all’evento, nel ruolo di discussant, i professori Matteo Santarelli (Bologna) e Alberto Fabio Ambrosio (Luxembourg School of Religion & Society).
Il programma della giornata di studio sul pensiero di Shusterman prevede un'introduzione di Stefano Marino, una sezione con gli interventi di:
Elena Romagnoli ("Ermeneutica ed estetica pragmatista in dialogo: l'influenza di Gadamer nella filosofia di Shusterman"),
Vittoria Sisca ("Body Consciousness: Shusterman oltre Merleau-Ponty"),
Olmo Nicoletti ("Le cose intermedie: la caduta dell'aura e l'emancipazione dell'arte da Benjamin a Shusterman"),
Giovanni Mugnaini ("Somaestetica e pop culture: una piattaforma necessaria"),
e una sezione dal titolo "Philosophy as a Way of Life – On Camera", comprendente la proiezione di alcuni video relativi alla carriera di Shusterman e infine una discussione aperta con lo stesso Shusterman, con i relatori/le relatrici e con il pubblico.

Webpage:
https://site.unibo.it/damslab/it/eventi/somaestetica-pragmatismo-interpretazione-la-filosofia-di-richard-shusterman

Link Teams:
https://teams.microsoft.com/l/meetup-join/19%3ameeting_MzhlMjJmMGQtMTE1ZC00ZjUzLWFkNDgtYzE3YjhlYjc1ODg5%40thread.v2/0?context=%7b%22Tid%22%3a%22e99647dc-1b08-454a-bf8c-699181b389ab%22%2c%22Oid%22%3a%2221612a47-8f8c-4469-bfea-3cdfbfe2cf2e%22%7d

Fino ad ora mai tradotta integralmente in nessuna lingua, "Della verità" rappresenta il compimento maturo del pensiero jaspersiano. Subito dopo il grande trattato "Filosofia", pubblicato in tre volumi nel 1931, Jaspers inizia a concepire un’altra opera di ampio respiro, una "Logica filosofica" che doveva rappresentare il culmine della sua speculazione teoretica. A giungere a compimento, tuttavia, sarà solo "Della Verità", primo di quattro volumi, uscito nel 1947. In "Della Verità" la sua "filosofia dell’abbracciante" dispiega appieno la sua potenza teoretica, andando a gettare le basi per un pensiero della verità mutevole e cangiante, secondo cui la verità si manifesta sempre e solo in una certa figura. Per l’uomo la verità è la via, è il cammino ininterrotto della ricerca della verità stessa, e non può consistere in una stabilizzazione definitiva del senso dell’esser-vero. In un dialogo continuo con la tradizione filosofica, ma anche letteraria e poetica (tra i riferimenti continui ci sono Sofocle, Shakespeare e Dostoevskij), Jaspers scrive il suo ultimo vero lavoro di filosofia teoretica, preferendo dedicarsi, negli anni di Basilea dopo la guerra e dopo l’abbandono dell’università di Heidelberg, a scritti di carattere politico e sociale. Ma è proprio la molteplicità della verità e delle sue figure a dare adito ad una filosofia della comunicazione e dell’amore, che è forse il lascito jaspersiano più bello.

Insieme al traduttore e curatore dell'edizione italiana dell'opera, Diego D'Angelo ne discuteranno Stefano Marino e Ludovica Neri, presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Bologna (via Zamboni 38, Bologna) in data 21 settembre 2016, ore 15-17.

As has been noted by Richard Shusterman, “[p]opular art has not been popular with aestheticians and theorists of culture […]. When not altogether ignored as beneath contempt, it is typically vilified as mindless, tasteless trash”. Now, the domain of popular culture and popular art is very broad, complex and articulated, including a lot of different aesthetic practices and experience that range from photography and film to commercial fiction novels and comic books, from fashion and design to videogames and popular music. In turn, also this latter field is not narrow and simple but vice-versa broad, complex and articulated, as simply testified by the well-known existence of a great variety of different genres and subgenres that form the ‘constellation’ of contemporary popular music. These genres and subgenres are quite often connected also to so-called ‘oppositional’ or ‘subcultural’ styles, as clearly showed by the examples of the mod, teddy boy, hippy, punk, reggae, hip-hop or grunge styles in music and culture. Now, in the realm of contemporary popular music, what we may generally call ‘pop-rock music’ has surely represented since many decades one of the leading trends and traditions, and can be understood indeed as one of the most important and influential products of 20th-century culture and music. However, as the abovementioned quotation from Shusterman clearly shows, inasmuch as it is part of popular culture, also pop-rock music has been typically ignored or vilified by several aestheticians and philosophers of art, from Theodor W. Adorno to Roger Scruton up to Alva Noë nowadays. Notwithstanding all this, I believe that popular art, in general, deserves serious aesthetic attention, and I agree with Shusterman that pop-rock music, in particular, is often able to suggest “a radically revised aesthetic with a joyous return of the somatic dimension which philosophy has long repressed”. For this reason, following the invaluable suggestions and insights provided by authors such as Shusterman and Theodore Gracyk, and also relying on what I have defined an ‘unorthodox’ Adornian perspective in some of my previous contributions in this field, in the first part of my talk I will offer some observations on the significance of pop-rock music for a philosophical aesthetics that is not limited anymore to a mere philosophy of the fine arts only grounded on the paradigm of disinterested contemplation but is rather broad enough to also include aesthetic experiences belonging to popular culture and everyday life. Then, in the second part of my talk, I will try to exemplify some of my general ideas on philosophy and pop-rock music by referring to the particular example of Pearl Jam, undoubtedly one of the greatest rock bands of the last 30 years, whose ‘philosophy’ of making sense of the present tense, according to my interpretation, is capable to disclose very interesting horizons and perspectives for what I would like to define a post-metaphysical reevaluation of the contingency and (in)significance of the ‘all-encompassing trip’ that, after all, the human existence consists of.

Unpublished presentation at the International Philosophical Congress 'Roman Ingarden and Our Times', Jagiellonian University of Krakow, April 2021.
Link: https://ingarden2020.confer.uj.edu.pl/program

Short version, for oral presentation at the conference, of an essay to be published in November 2021 with the title 'Contingency, (In)significance, and the All-Encompassing Trip: Pearl Jam and the Question of the Meaning of Life' in the book 'Pearl Jam and Philosophy', ed. by Stefano Marino and Andrea Schembari, Bloomsbury Academic, London 2021.
Link: https://www.bloomsbury.com/us/pearl-jam-and-philosophy-9781501362798/

Che momenti o aspetti della realtà e della cultura non completamente veri possiedano ciò nondimeno un senso o un valore di verità è quella che potremmo definire una delle tesi fondamentali del pensiero di Theodor W. Adorno. Là dove, parlando di “tesi fondamentali”, non voglio alludere qui a dei contenuti precisi della filosofia adorniana, quanto a quella che definirei una sorta di struttura di base che è dato ritrovare a vari livelli in diversi aspetti della sua multiforme produzione intellettuale. Essa si radica infatti nel “rigore dialettico” che contraddistingue la posizione filosofica di fondo di Adorno, “tale per cui ogni elemento negato viene non semplicemente contraddetto, ma accolto come l’ombra che accompagna il fenomeno colto nella sua interezza” (G. Matteucci). Sulla base di questa premessa generale, in questo intervento cercherò essenzialmente di mostrare la rilevanza di un tale schema fondamentale nel pensiero di Adorno attraverso l’analisi di due “applicazioni” specifiche della tesi del “contenuto di verità del non vero”, ovvero di due casi (le sue interpretazioni di Nietzsche e Spengler) in cui, a mio avviso, tale tesi emerge nel modo più chiaro. Il presupposto da cui muoverà la mia argomentazione è quello secondo cui il compito della filosofia, dal punto di vista di Adorno, consiste essenzialmente di due momenti strettamente connessi tra loro, anzi talmente connessi tra loro da richiedere la presenza di entrambi ai fini del conseguimento di una piena e vera conoscenza. Si tratta, in primo luogo, di quello che lo stesso Adorno, nelle sue tarde lezioni sulla metafisica, chiama il momento del “comprendere […] ciò che ormai è”; in secondo luogo, però, si tratta di non fermarsi a questo primo momento del processo conoscitivo, giacché senza un necessario complemento esso risulta inevitabilmente provvisorio, parziale, unilaterale. Per Adorno, infatti, una volta comprese le ragioni profonde di ciò che è, ossia dell’“universale costrizione” vigente in ogni epoca della storia, si tratta di non arrendersi a questo stato di cose ma, al contrario, di portare avanti la teoria in vista di una possibile uscita dalla situazione d’impasse in cui versa l’umanità. Come vedremo, nel caso sia di Nietzsche che di Spengler a far difetto, per Adorno, è propriamente questo secondo momento (laddove egli riconosce a entrambi, invece, un’elevata capacità di decifrazione dei fondamenti su cui poggia l’esistente): cosa che, inevitabilmente, condanna appunto alla parzialità, relatività e unilateralità le loro filosofie, se commisurate a un concetto più pieno e completo di verità.

Stefano Marino
"Quattro inediti"
(in Almanacco Letterario, editore Punto a Capo, novembre 2022)

1. sentimento inespresso taciuto

2. radieuse

3. guido, mi ricompongo, respiro

4. lasci fluire il dolore

Link: https://www.almanaccopunto.com/single-post/stefano-marino-quattro-inediti

"Fratture multiple alle ossa e al cuore", Italic, Ancona 2019.

Le poesie di "Fratture multiple alle ossa e al cuore" vertono sull'esperienza della relazione con l'alterità, con la diversità dell'altro che col suo sguardo, il suo sapore, il suo odore, la sua parola o il suo silenzio, la sua vicinanza o la sua lontananza, il tocco del suo corpo o il rifiuto di un contatto, sa sgretolare la saldezza dell'io, metterlo radicalmeante in discussione e in crisi, e manifestarsi dunque come presenza disorientante che rende consapevoli del non-senso.
Nell'itinerario che si compie dalla prima all'ultima poesia si tenta allora di delineare, di ferita in ferita, di frattura in frattura, un percorso di affrancamento dell'io da ogni "tu" e ogni "voi" e ogni "loro", di liberazione dalle faticose e spesso alienanti relazioni con gli altri, di emancipazione dal bisogno stesso di essere in rapporto con l'altro, dove alla fine si scorge (con rassegnazione) nella solitudine, nell'abbandono, nel richiudersi in sé, l'unica residuale chance di serenità.

"Frammenti di agonia umananimale" è una raccolta di poesie brevi, frammentarie e disorganiche, che si articola in due parti, rispettivamente intitolate "Macelleria e metafisica" e "Il mio io e i suoi 'se' ”. Tema centrale di queste poesie è il dolore, la sofferenza intesa come dimensione generale e interspecifica della vita, finanche come unico vero Universale, nel senso che essa, forse più di ogni altra dimensione, permea l’esistenza di tutte le creature viventi. Ciò, nella convinzione che, da un lato, la dimensione del soffrire, nella sua essenza più profonda, sia indicibile, inesprimibile, destinata a essere realmente afferrata solo nello spazio privatissimo del sentire e dell’esperienza in prima persona; ma che, dall’altro lato, la poesia non possa sottrarsi alla sfida rappresentata da ciò che è inattingibile appieno da parte del logos (inteso qui in generale come pensiero e come parola) ma debba cimentarsi nel tentativo di articolare linguisticamente l’inarticolato, quand’anche ciò la costringa a sforzi di assottigliamento formale e di rinuncia a risorse sintattiche, semantiche e stilistiche ben consolidate.

Call for Papers

"Aesthetics, Popular Music, and Subcultures".
Edited by Stefano Marino, Giovanni Mugnaini, and Anna Scalfaro.
"Scenari. Rivista di Filosofia", n. 2 (2024).

Link: https://mimesisjournals.com/ojs/index.php/scenari/call-for-papers-1-23

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Our Call for Papers on the topic “Aesthetics, Popular Music, and Subcultures” (issue n. 2/2024 of “Scenari”) invites scholars from different disciplines and with different backgrounds to submit contributions dealing with contemporary Aesthetics and Musicology, with a focus on Popular Music and especially on its Subcultural genres, styles, and forms. Submitted contributions can address topics such as the aesthetic relevance of Popular Music, the significance of particular styles of musical production and performance, or the relation between the musicological, social and political impact of Subcultural musical styles. Another core topic that we invite our potential contributors to address is the question concerning the dialectics of inclusion and exclusion of Popular Music within the broader framework and narrative of the History of Music. Also contributions addressing questions of ontology of music, production practices, and new forms of music consumption will be highly considered and particularly welcome.

"Fashion Now!": event at the University of Bologna, Campus of Rimini.

The deadline for submitting the application to participate in the "FASHION NOW!" event in Rimini has been postponed to 30 September 2022.

Registration for the event is free but mandatory.
In order to participate, please fill in the web site application form with your biography, affiliation, title and short abstract.

The "FASHION NOW!" Scientific Committee will notify accepted authors by 15 October 2022.

ZoneModa Journal
Call For Papers: Deconstruction. Volume 10 n. 1, 2020.
Editors: Stefano Marino (University of Bologna), Ines Tolic (University of Bologna).

Abstract.
Deconstruction, understood both as a philosophical doctrine or concept (and hence as theory) and as practice of planning and realization, emerged during the 1970s and 1980s and rapidly disseminated in all fields of cultural, artistic and media production. After some decades since its inception, and on the basis of the persistence of deconstruction at least in some domains, the "ZoneModa Journal" monographic issue dedicated to deconstruction in 2020 aims at assessing the situation of deconstruction in our time and at inquiring into its consequences and implications. We especially invite authors to submit contributions focused on the several ramifications and intersections of deconstructive theories and practices in different but nevertheless always connected fields, such as, for example, philosophy, architecture, art, design,
literature and music.

Submissions.
Abstracts of no more than 1000 words + 5 bibliographical references (word *.docx format), written either in Italian or English, must be sent to: zmj@unibo.it

ZONEMODA CONFERENCE 2019:
“Be cool! Aesthetic Imperatives and Social Practices”.

University of Bologna, Rimini Campus.
Department for Life Quality Studies.
International Research Centre “Culture Fashion Communication”.

ZoneModa Conference is a scientific event which aims to become an occasion for scholars to deal with fashion as an interdisciplinary research field, which encompasses dynamic and cross-cutting forces, hybrid forms of analysis and experimental research methodologies.
With the goal of exploring groundbreaking research tracks in the world of Fashion Studies, each Conference will focus on a different topic.
The topic of the 2019 conference will be: “Be cool! Aesthetic Imperatives and Social Practices”.

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It is almost trivial to underline how our current reality has undergone a process of widespread aestheticization.
On the one hand, this fact proves that the aesthetic has fundamentally become an “imperative” while playing a relevant role in social practices, and on the other hand it reminds us that what is required today is a better understanding of what is actually at stake when we talk about the aesthetic in terms of “imperatives”, and we inextricably link it to social dynamics.
The dimension of appearances and the expression of taste preferences cannot but be considered as determining factors in this framework.





All this makes emerge fashion’s paradigmatic role for dealing with the pressing theme ZMC 2019 aims to inquire into: not only fashion is intrinsically connoted by the priority of appearances and taste over other features of our experience, but it does so while intertwining the aesthetic and the social implications it has.
And this is presumably why the imperative “be cool!” is supposed to work on both levels and has such a deep impact on our reality. In this framework, the conference will focus on both considering fashion as an exemplary case of aesthetic practice, especially in the current context, and emphasizing the need for social-human sciences to understand the widely aestheticized character that reality itself has assumed today.

Oriented by a multidisciplinary approach – the only one which can do justice to fashion’s multiform and complex character – the 2019 conference will investigate such implications by welcoming proposals addressing (but not limited to) the following questions/aspects:
- What does it mean and imply determining social relationships on the basis of values and criteria that are also, if not especially, aesthetic?
- How does fashion influence other domains of life and culture (art, design, mass media, music, lifestyle etc.), and actually lead them to focus or even centre their attention on aesthetic aspects in order to improve their impact on society?
- What is the exact role played by fashion with regard to such relevant phenomena as the increasing digitalization of our experience, the reorganization of economic processes of production, and finally globalization?
- To what extent is it possible to conceive of the aesthetic mediation carried out by fashion as an essential factor to achieve a fruitful and, so to speak, peaceful or non-colliding “fusion” of Western and Eastern cultural paradigms?






- Is it desirable today to have a conflict of aesthetic and ethic values, or at least some kind of difference and friction between the aesthetic and the ethic dimensions, or does the ongoing development of aestheticization progressively nullify any autonomous rest of “the ethical”?
- What does the socio-aesthetic relevance of fashion consist of?
- What’s the phenomenological, ontological, or social status of appearances?
- What are the prospects of the so-called “social fashion” (whether fashion can be socially engaged/beneficial; whether fashion helps define a new genre of fashion replacing the old cliché of elitism and class, etc.)?
- What is the relationship between fashion and body practices (tattoos, plastic surgery, scarification) seen as phenomena of aestheticization and also of constitution/expression of one’s identity?
- How is the concept of aestheticization, in general, related to questions concerning “cultural legitimacy” in such realms as mass media, film, television, gaming and web aesthetics?

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The Conference will take place in Rimini on May 16-18, 2019.
Location: Department for Life Quality Studies, Palazzo Ruffi-Briolini, C.so d’Augusto 237, 47921 – Rimini, Italy.

Keynote speakers will be Prof. Joanne Entwistle (King's College London) and Prof. Elizabeth Wilson (London Metropolitan University).
Concluding remarks with Prof. Emanuele Arielli (IUAV University Venezia) and Prof. Elena Esposito (University Bielefeld and University of Modena-Reggio Emilia).







Special plenary session “Not just glossy words: The language of fashion in the digital media era”, organized by the research group supervised by Prof. Emanuela Mora (Cattolica University of Milano): an excursus on the recent transformation of the Fashion Media System aiming at stressing the performative role played by the fashion media in providing an aesthetic and practical imaginary for the aestheticization of reality and human experience.

The conference organizers welcome individual papers and panel proposals to: becool.zmc2019@gmail.com
Website of the ZoneModa 2019 conference: https://eventi.unibo.it/becool
Website of the Department for Life Quality Studies: http://www.scienzequalitavita.unibo.it/it
Website of the International Research Centre “Culture Fashion Communication”: https://centri.unibo.it/culturefashioncommunication/en

Deadline for submission: January 15, 2019.
Authors will be notified by February 28, 2019.
Proposals should not exceed 800 words in length.
Please make sure to also attach a short CV (max. 150 words).
Language: English.
After the conference, speakers are expected to send a full paper of their speech for publication of the official proceedings, by August 31, 2019.

Conference participants are required to pay a fee of EUR 100,00, or EUR 80,00 if they register before March 15 at: https://eventi.unibo.it/becool.
The conference fee is EUR 70,00 for PhD, Graduate and Undergraduate Students of other Universities.
No conference fee for PhD, Graduate and Undergraduate Students of all courses at the University of Bologna.

For a long time forgotten, in the last few years, dialectical thinking has been paid again great attention. In recent times dialectics has been resumed by and applied to philosophical debates in the Anglo-American scene, as the influential examples of John McDowell and Robert Brandom clearly show. Furthermore, it seems that dialectics is enjoying today widespread appreciation even outside of the specific domain of philosophy, as testified by some developments in the human sciences and, for example, in the realm of psychotherapy with the creation of “Dialectical Behavior Therapy” (DBT) by Marsha M. Linehan.
Among the main protagonists of contemporary philosophy who carefully and intensely dealt with dialectics, Theodor Wiesengrund Adorno must be surely mentioned. In the last decade, the in-ternational philosophical community seems to have realized again how important and indeed essential his theoretical contribution has been and still is. The publication of previously unpublished writings of the Frankfurter thinker, edited by the Theodor W. Adorno Archiv, has probably contributed to the renewed interest in Adorno’s philosophy. Among these unpublished works, some of his lec-ture courses are of greatest importance, such as those on Aesthetics (1958-59), on Kant’s Critique of Pure Reason (1959), on the Problems of Moral Philosophy (1963), and on Metaphysics (1965).
The aim of this issue of “Discipline filosofiche” is to explore how Adorno contributed to the development of dialectical thinking by outlining an original kind of negative dialectics; and in particular to analyze the decisive role played by the question concerning truth that Adorno also (but not only) explored with regard to the “truth content” of art, and always (i.e. even outside of aesthetic theory) with reference to the fundamental “enigmatic character” of truth. These questions can be addressed by focusing on the following themes:
a) the relationship of Adorno’s concept of dialectics to traditional models of dialectics in the his-tory of Western philosophy (Plato, Kant, Hegel, Marx);
b) the theory/praxis connection, as it was rethought and re-elaborated by the Frankfurt School, in general, and by Adorno, in particular;
c) the relationship between the final results, so to speak, of Adorno’s entire path of thinking: negative dialectics and aesthetic theory;
d) the relationship between Adorno’s dialectic philosophy and other forms of thought of our time, either “continental” (phenomenology, hermeneutics, structuralism, deconstructionism, post-modernism) or belonging to the Anglo-American tradition (analytic philosophy, pragmatism);
e) the comparison of Adorno’s concept of truth to other theories of truth that are currently at the core of philosophical inquiry;
f) the concept of enigma within Adorno’s philosophy and his ideas on how it should be dialectically deciphered.

Deadline for submission: March 31, 2016.
Notification of acceptance, conditional acceptance, rejection: June 30, 2016.
Final version due: September 30, 2016

Submission guidelines:
Submission can be made in English, Italian, French and German, and should not exceed 9,000 words including abstract, references and footnotes. Manuscripts are welcome in English, Italian, German or French. They should be prepared for anonymous refereeing and sent by email attachment in Microsoft Word together with a Pdf version to Giovanni Matteucci (giovanni.matteucci-puvFFarAPpk@public.gmane.org) or Stefano Marino (stefano.marino4-puvFFarAPpk@public.gmane.org). Contributions are sent to two independent reviewers in a double-blind procedure prior to the publication decision.

Ormai da diversi anni “l’estetica ha superato i confini disciplinari” che erano stati fissati da dibattiti e dottrine fondamentali del passato, e si sente “il bisogno, avvertito […] da più parti, di estendere la mappa teorica e metodologica” della disciplina (Di Stefano 2012: p. 10). In particolare, com’è stato recentemente notato, “i confini di pertinenza dell’estetica” vengono oggi “messi alla prova da fenomeni a lungo marginalizzati, se non addirittura esorcizzati, dal sistema culturale tradizionale”: “fenomeni spesso contraddittori, che però incidono in maniera decisiva sulle attuali configurazioni del gusto”, di modo che questo ruolo, “in passato assegnato in esclusiva all’arte”, oggi è anche, se non perlopiù, “appannaggio di pratiche che si annidano nella vita quotidiana” (Matteucci 2015: p. 9). Scopo del presente contributo è esaminare rapidamente tre testi recenti che si inscrivono in quest’orizzonte tematico in maniera coerente, sistematica e senz’altro molto interessante: (1) la monografia di Andrea Mecacci "L’estetica del pop" (2011); (2) il libro di Maurizio Vitta "Il rifiuto degli dèi" (2012); (3) il volume "Moda e arte" (2012) curato da Marco Pedroni e Paolo Volonté

Com’è stato notato, “malgrado il rapporto tra moda e modernità rappresenti, a ben vedere, un denso tema filosofico, è davvero scarso il numero dei filosofi importanti del Novecento che se ne sono occupati con significativa attenzione” (G. Matteucci). Fino a poco tempo fa, in effetti, la letteratura filosofica sull’argomento risultava ancora un po’ esigua, anche se è possibile notare come proprio negli ultimi anni sia emersa, in maniera forse ancora un po’ timida ma nondimeno significativa, una certa tendenza a occuparsi seriamente di un fenomeno come la moda che, a prescindere dalle opinioni che ciascuno può legittimamente avere al riguardo, è in ogni caso rilevante per la comprensione della nostra epoca. Chiaramente, nel contesto di un’analisi filosofica della moda ad emergere è soprattutto l’aspetto estetico. Infatti, l’inerenza al campo della moda di questioni tipiche dell’estetica filosofica, come quelle della bellezza, del gusto, della raffinatezza, dello stile, dell’eleganza, della perfezione, della “sociabilità estetica” ma, al contempo, anche dell’eccentricità, dell’individualità, dell’originalità e della dialettica antinomica conformismo/libertà, rende legittimo praticare un’“analisi della moda come fenomeno estetico” (G. Carchia e P. D’Angelo). E, a testimonianza di quella che possiamo chiamare dunque la rilevanza estetica della moda è possibile citare svariati lavori recenti, come quelli, ad esempio, riportati da una studiosa attiva in questo campo, Marilyn DeLong, in una sua utile rassegna online sull’argomento intitolata appunto "Aesthetics of Dress" (2016). Nel presente contributo, comunque, i libri su cui mi soffermerò sono "Filosofia della moda" di Lars Svendsen e "Vestirsi di sogni. Moda e modernità" di Elizabeth Wilson.

The Adventures of the Man in Gold / Les aventures de l’Homme en Or is an interesting, original and, to some extent, also “strange” or “bizarre” book by the American philosopher Richard Shusterman. The book appears in bilingual edition, with Shusterman’s text published both in the original English version and in French translation, and is structured in a very clear way: Preface, three chapters, biographies of the author and all contributors, and acknowledgments. The book is also enriched by ma...

Bodies in the Streets: The Somaesthetics of City Life, published in August 2019, is the second book in the series edited by Richard Shusterman “Studies in Somaesthetics. Embodied Perspectives in Philosophy, the Arts and the Human Sciences,” published by Brill Publishers. The first volume, entitled Aesthetic Experience and Somaesthetics (2018),1 represented a very interesting, although quite “classical,” contribution in somaesthetics. By this I mean it is a “classical” contribution to a “non-classical” and somehow “unconventional” (in a positive sense of these terms, of course) branch of contemporary aesthetics par excellence such as somaesthetics, about which Shusterman had written in Pragmatist Aesthetics (19921; 20002) that it is “best situated within an expanded discipline of aesthetics” capable of giving “more systematic attention to the body’s crucial roles in aesthetic perception and experience, including the aesthetic dimensions of body therapies, sports, martial arts, cosmet...

This is an important book. The author, the American philosopher Nickolas Pappas, is professor of Philosophy at the City College and the Graduate Center, at The City University of New York. Pappas is mainly active in the fields of ancient philosophy, aesthetics, and nineteenth- and twentieth-century thought, with a particular focus on, respectively, Plato’s philosophy, the aesthetics of fashion, and also such thinkers as Kierkegaard, Nietzsche, and Freud. These research areas might perhaps appear at first sight as absolutely heterogeneous, and thus also hardly addressable, or even unaddressable, in a single book. In a word, incompatible. However, the challenge that Pappas takes on, so to speak, in The philosopher’s new clothes (whose title clearly alludes to Andersen’s short tale The emperor's new clothes) is to show that such topics as ancient philosophy and aesthetics of fashion are actually compatible. The book, in fact, masterfully shows that these subjects may be connected to each other in very intriguing and theoretically fruitful ways.

The text of my book review is freely available and also downloadable at the web site of the philosophical journal "Studi di Estetica": http://mimesisedizioni.it/journals/index.php/studi-di-estetica/article/view/493/851

Il presente contributo rappresenta una versione leggermente modificata del testo presentato all’ultima edizione del Festival Mimesis svoltosi a Udine, per la precisione nella sezione “Le corde della filosofia. Può la musica segnare i tempi del pensiero filosofico?” (22 ottobre 2016).
Il testo completo è stato pubblicato sul n. 5/2016 della versione cartacea della rivista "Scenari" (ed. Mimesis, Milano-Udine).
Nel mio articolo prendo spunto dalla domanda che dava il titolo allo stesso incontro di Udine: “Può la musica segnare i tempi del pensiero filosofico?”, generalizzando però tale domanda e tramutandola in: “Può la musica segnare i tempi della nostra vita?”.
Ciò, ovviamente, sulla base della premessa secondo cui il pensiero filosofico non è qualcosa di avulso o estraneo rispetto alla vita, ma è al contrario qualcosa che emerge da essa e si innesta spontaneamente in essa, giungendo – quando ne è davvero capace – a fornirne un’articolazione più chiara tramite intuizioni e concetti e, per così dire, a innervarla dall’interno.
A partire da qui, nel mio articolo mi soffermo poi sulla questione della temporalità tra musica e filosofia, offrendo una rapida analisi di alcuni fra i molteplici modi in cui la musica segna i tempi della nostra esperienza quotidiana, e sottolineando alla fine due caratteristiche fondamentali dell'esperienza attuale con la musica che erano probabilmente impensabili nel passato: una diffusione pervasiva (tendente anche a sfociare nel fastidio, come nei vari casi di onnipresenza di un sottofondo musicale subìto più che voluto) e un legame fluido, "liquido", non più chiaramente definito ma, al contrario, soggetto a continue trasformazioni e rinegoziazioni, con gli spazi, i luoghi, gli ambienti in cui la musica ci viene offerta (o, se si vuole, in cui essa ci si offre, si offre a noi, confidando nella nostra capacità di recepirla in maniera non inadeguata).

Stefano Marino and Ines Tolic. "Deconstructions / Decostruzioni",
Introduction to Stefano Marino and Ines Tolic (eds.),
"Decostruzione", monographic volume of "ZoneModa Journal", n. 1/2020.

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Deconstruction, understood both as a philosophical doctrine or concept (and hence as theory) and as practice of planning and realization, emerged during the 1970s and 1980s and rapidly disseminated in all fields of cultural, artistic and media production.
After some decades since its inception, and on the basis of the persistence of deconstruction at least in some domains, we aim at assessing the situation of deconstruction in our time and at inquiring into its consequences and implications in different but nevertheless always connected fields, such as, for example, philosophy, fashion, architecture, art, design, literature and music.

Feelings, emotions, phenomena of empathy and sympathy, appetites, desires, moods, and generally the whole sphere of affectivity make up one of the most fundamental dimensions of human life which, also with the advent of the so-called “Affective Turn” in various fields of the human and social sciences, has been the object of recent rediscovery and revaluation. Sometimes this renewed appreciation of the affective and emotional dimension of experience in contemporary thought has also been put in contrast with a certain primacy of the purely representational and cognitive dimension that has been quite characteristic of modern thinking and culture. As has been noted about the notion of atmosphere (Griffero 2018), “the humanities […], bypassing positivist conventions and endorsing more […] affective paradigms rather than […] cognitive ones,” in the last decades have been focused “more on the vague and expressive qualia of reality (the how) than on its defined and quantified materiality (the what)”: mutatis mutandis, a consideration of this kind can probably be applied also to the revaluation and rehabilitation of the sphere of affectivity in general. If what has been said above is true with regard to our experience of the world in general, it is probably even more accurate and more evident in the specific case of our experience with art and the aesthetic. In fact, the abovementioned fundamental elements or components of the human experience of the world as such, i.e., of the human experience understood at the most general level, also seem to play an essential role (although in different and sometimes problematic ways) in art and aesthetic experience. Of course, this has been widely (although variously and hence not always systematically and coherently) recognized since the beginning of Western philosophy and culture and in non-Western forms of thinking and worldviews. Focusing our attention again on the present age, we may notice that this has led in our time, among other things, to significant developments in several fields and subfields of contemporary aesthetics variously interested in the role played by the dimension of affectivity in human experience; including—for example, and without any presumption or claim for completeness—recent aesthetic conceptions connected to theories of embodiment and the extended mind (Noë 2015; Matteucci 2019), phenomenological aesthetics of atmospheres and emotional spaces (Griffero 2016), and also somaesthetics with a significant revaluation of the bodily dimension in its entirety (Shusterman 1999, 2019). As noted by Richard Shusterman about his original disciplinary proposal (namely somaesthetics), its roots in the original project of aesthetics as not only a theory of fine art and natural beauty but also (if not mainly) as a theory of sensory perception and its status of a discipline of both theory and practice: “the senses surely belong to the body and are deeply influenced by its condition. Our sensory perception thus depends on how the body feels and functions; what it desires, does, and suffers. […] Concerned not simply with the body’s external form or representation but also with its lived experience, somaesthetics works at improving awareness of our bodily states and feelings, thus providing greater insight into both our passing moods and lasting attitudes” (Shusterman 1999, 301-302). As guest editors of “Aesthetics and Affectivity,” vol. 60/1 (2021) of The Polish Journal of Aesthetics, we are now happy to present to our readers a volume that, as the Table of Contents clearly shows, includes seven contributions offered by several scholars of aesthetics. As readers will immediately see by simply reading the titles of the essays collected here, and then understand better by carefully reading the full papers, these contributions are all strictly focused on the question concerning the affective dimension(s) of human experience as explained before. Nevertheless, at the same time, they are all different from each other as far as the cultural backgrounds, the theoretical interests, the chosen methodologies, the particular topics studied, and the specific aims of the various authors are concerned.

"Varieties of the Lifeworld: Phenomenology and Aesthetic Experience",
edited by Iulian Apostolescu and Stefano Marino,
Special Issue of the "Continental Philosophy Review"
(Volume 55, issue 4, December 2022).

Table of Contents:

(1) Iulian Apostolescu and Stefano Marino.
"Varieties of the Lifeworld: Phenomenology and Aesthetic Experience".

(2) Günter Figal.
"Lifeworld art: on Husserl’s Crisis book and beyond".

(3) Shaun Gallagher. 
"The unaffordable and the sublime".

(4) Pietro Terzi.
"Brave new lifeworld: vicissitudes of the Lebenswelt in French “phenomenology” and beyond".

(5) Elodie Boublil.
"Healing the Lifeworld: On personal and collective individuation".

(6) Sebastiano Galanti Grollo.
"Rethinking Husserl’s lifeworld: The many faces of the world in Heidegger’s early Freiburg lecture courses".

(7) Annika Schlitte.
"Lines made by walking—On the aesthetic experience of landscape".

(8) David Seamon.
"Moments of realization: extending Homeworld in British-African Novelist Doris Lessing’s Four-Gated City".   

Link: https://link.springer.com/journal/11007/volumes-and-issues/55-4

L’ermeneutica filosofica di H.-G. Gadamer rappresenta senza dubbio uno dei capisaldi del pensiero contemporaneo. Come tutte le concezioni filosofiche di portata generale, anch’essa si presenta come una costruzione estremamente complessa e ramificata, mirando ad abbracciare la sfera del mondo della vita, in tutte le sue dimensioni, a partire dal concetto di “comprendere”. I saggi qui raccolti, Sulla possibilità di un’etica filosofica, Causalità nella storia? e Sulla pianificazione del futuro, risalgono a una fase particolarmente proficua della produzione gadameriana, quella immediatamente successiva alla pubblicazione del suo capolavoro Verità e metodo. Essi mostrano come, accanto all’estetica, all’ontologia, alla filosofia del linguaggio, alla teoria delle scienze umane, all’interpretazione delle filosofie del passato e alla riflessione filosofica sulla medicina, anche l’etica e la filosofia della storia abbiano rappresentato dei campi importanti, anzi decisivi, in cui il pensiero ermeneutico di Gadamer si è esercitato in modo originale e produttivo.
Hans-Georg Gadamer è stato uno dei principali protagonisti del pensiero novecentesco. Riallacciandosi alle impostazioni teoriche e alle dottrine ermeneutiche di W. Dilthey e del suo maestro M. Heidegger, ma ampliandole e modificandole in profondità anche in virtù di un originale recupero di istanze e aspetti ancora attuali della filosofia antica (in particolare, della dialettica platonica e dell’etica aristotelica), con il suo capolavoro Verità e metodo del 1960 Gadamer ha contribuito in maniera decisiva a imporre l’ermeneutica come una delle principali correnti di pensiero nel dibattito filosofico del nostro tempo.

La popular music – espressione che abbraccia il vasto territorio comprendente rock, pop, folk, hip hop e altri fenomeni musicali ancora – da ormai molti decenni ha pervaso l’universo culturale del global village, influenzando in maniera determinante le consuetudini, gli atteggiamenti, le idee morali, politiche e religiose, oltre che le concezioni estetiche di svariate generazioni. Da questo punto di vista – per citare il curatore del volume U2 and Philosophy – “la domanda interessante non è perché scriviamo sulla popular music, bensì perché la popular music abbia attirato così poca attenzione filosofica”. Riflettere sulle sperimentazioni zappiane o sul progressive rock, sulle vite ‘eccessive’ di Morrison e Joplin o sulla E-scene di fine anni Ottanta, sul kitsch apollineo dei Beach Boys o sulla passionalità di U2 e Joy Division, alla luce dei grandi temi della tradizione filosofica, può regalarci punti di vista inediti e preziosi per comprendere meglio le nostre società e noi stessi.

Hans-Georg Gadamer (Marburgo, 1900 – Heidelberg, 2002) è stato tra i massimi pensatori del XX secolo. La sua opera principale, Verità e metodo (1960), è considerata ormai non soltanto un vero e proprio classico della filosofia del Novecento, accanto a Essere e tempo del suo maestro Heidegger e pochi altri testi di pari livello, ma anche l’opera che ha imposto definitivamente l’ermeneutica filosofica come una delle correnti fondamentali del pensiero contemporaneo. A Verità e metodo, peraltro, vanno affiancati gli studi su una grande varietà di argomenti (dall’interpretazione dei filosofi greci ai più urgenti problemi filosofici, ma anche sociopolitici, del mondo odierno) che Gadamer ha pubblicato nel corso dei decenni in varie raccolte: dieci volumi di Gesammelte Werke, in primo luogo, e poi ancora La ragione nell’età della scienza, Elogio della teoria, L’eredità dell’Europa e Dove si nasconde la salute. Che cos’è la verità propone in traduzione italiana quattro saggi tratti dal secondo volume dei suoi Gesammelte Werke e dalla raccolta Gadamer Lesebuch, dai quali emergono in maniera particolarmente chiara il senso fondamentale e la perdurante attualità del messaggio filosofico dell’ermeneutica, condensabile nella rivendicazione di significato e valore autonomi per una serie di esperienze che stanno «al di fuori della scienza» e nelle quali, per Gadamer, «ci si dà a conoscere una verità che non sarebbe altrimenti raggiungibile », cioè si annuncia «una verità che non può esser verificata con i mezzi metodici della scienza». Una rivendicazione di significato e autonomia, in altre parole, per «una forma di intelligenza» – quella del comprendere (Verstehen), il fenomeno ermeneutico fondamentale – che, «nel nostro tempo sopraffatto dalla rapidità dei mutamenti», secondo Gadamer «rischia di oscurarsi e di perdersi», e che è invece nostro compito salvaguardare, coltivare e continuare a sviluppare, pena uno smarrimento del senso più profondo di ciò che è autenticamente «umano».

"Verità e metodo" costituisce senza dubbio un classico del pensiero novecentesco. In quanto tale esso continua a rivolgersi a noi, a interpellarci e ad alimentare il nostro domandare. Ma in cosa consiste, oggi, la sua attualità? E qual è la sua collocazione nel contesto più ampio costituito, da una parte, dall’articolazione complessiva del pensiero di Gadamer e, dall’altra, dal panorama plurivoco del Novecento filosofico? Il cinquantesimo anniversario dall’uscita di Verità e metodo (1960-2010) è sembrato l’occasione più propizia per procedere a una messa a fuoco di tali questioni attraverso il contributo di un gruppo di specialisti e cultori di Gadamer. In particolare, il volume raccoglie saggi di Giuliana Gregorio, Stefano Marino, Mariannina Failla, Giovanni Matteucci, Carlo Gentili, Francisco Arenas-Dolz, Dietmar Koch, Rosa Maria Marafioti, Annamaria Contini e Francesco Cattaneo.

Percorrere i sentieri di Zarathustra significa avventurarsi nella trama di un testo plurale e reticolare, sia sotto il profilo contenutistico che stilistico. La ricezione di Così parlò Zarathustra è sempre rimasta in precario equilibrio tra un’enfatizzazione della qualità letteraria (a scapito delle “dottrine”) e una lettura improntata alla concettualità filosofica (a scapito dello “stile”). Tuttavia, l’autentica singolarità dell’opera sembra risiedere proprio nel modo in cui Nietzsche mette in discussione tale dualismo tra forma e contenuto, forzandone i limiti. Il confronto con lo Zarathustra diviene così un’occasione per tentare di dischiudere una diversa esperienza del concetto, per la quale lo stile non costituisce un semplice espediente comunicativo, bensì una necessità. Di questo compito si fanno carico, con un’eterogeneità di prospettive ben rispondente al variegato corpo del testo, i contributi qui raccolti, dovuti ad Aldo Venturelli, Carlo Gentili, Benedetta Zavatta, Maria Cristina Fornari, Andrea Spreafico, Annamaria Lossi, Francesco Cattaneo e Stefano Marino.

Insignito del Premio Internazionale d’Estetica conferito dalla Società Italiana di Estetica, il volume di Carolyn Korsmeyer Il senso del gusto. Cibo e filosofia costituisce un “classico” dell’estetica del cibo, un imprescindibile termine di riferimento, sia per gli specialisti del tema, sia per coloro che intendono avvicinare per la prima volta questa nuova area di studi estetologici. Korsmeyer, da un lato, descrive le vicende del gusto del palato, analizzando il paradigma prevalente nella tradizione filosofica occidentale che ha portato alla sua esclusione o marginalizzazione dal dominio dell'estetica; dall’altro, elabora una proposta alternativa nella quale il gusto del cibo acquista invece un senso specifico e positivo. Conclude il volume la rappresentazione del gusto e del cibo nell’arte figurativa e nella narrativa, attraverso casi esemplari che permettono di aprire la filosofia del cibo anche verso regioni canoniche dell’estetica quali la critica e la narratologia.

Adorno and Popular Music: A Constellation of Perspectives, ed. by C. Campbell, S. Gandesha and S. Marino, Mimesis International, Milano-Udine 2019 (with contributions by Alessandro Alfieri, Colin J. Campbell, Samir Gandesha, Giacomo Fronzi, Stefano Marino, Marco Maurizi).

This book collects Adornian contributions on different trends, genres and artists belonging to the broad and complex and in-itself-articulated field of popular music.
On the occasion of the 50th anniversary of Adorno’s death, this book aims to represent an important contribution for the international community of Adorno scholars and, additionally, for scholars of both philosophy and musicology in general, in order to assess and celebrate the persistent actuality of Adorno’s contribution to the understanding of popular music in the context of the dynamics and processes of the culture industry.
But the book also aims to critically rethink some of the main concepts and themes of Adorno’s influential philosophy of music and thus to develop it at a further level, also intersecting it with other philosophical perspectives or adapting it when necessary to the partially changed conditions of popular music in our time in comparison to his epoch.

Colin J. Campbell is a Sessional Lecturer in Communication and Culture for the Faculty of Liberal Arts and Sciences at OCAD University in Toronto.

Samir Gandesha is Associate Professor in the Department of the Humanities and Director of the Institute for the Humanities at Simon Fraser University in Vancouver.

Stefano Marino is Associate Professor of Aesthetics in the Department for Life Quality Studies at the University of Bologna.

Being cool ain’t easy: this is all the more true today, when current reality has undergone a process of widespread aestheticization. In general, by “aestheticization” we refer here to the fact that in the last decades the aesthetic has apparently undergone an incredible process of extension and dissemination, and has fundamentally become an (often pressing) “imperative” while playing a relevant role in social practices, inasmuch as appearances and the expression of taste preferences have become determining factors for them. In this framework fashion surely plays a pivotal role: in fact, not only is fashion intrinsically connoted by the priority of appearances and taste over other features of experience, but it also does so while intertwining the aesthetic and the social implications it has. And this is presumably why the imperative “Be Cool!” is supposed to work on both levels and has such a deep impact on our reality. On the one hand, to be cool means having certain aesthetic features, inspiring certain behaviors and being connected to certain tastes, while on the other hand to be cool also means being able to make the latter convey towards good everyday practices.

Link: https://zmj.unibo.it/article/view/10573/10922

Being cool ain’t easy: this is all the more true today, when current reality has undergone a process of widespread aestheticization. In general, by “aestheticization” we refer here to the fact that in the last decades the aesthetic has apparently undergone an incredible process of extension and dissemination, and has fundamentally become an (often pressing) “imperative” while playing a relevant role in social practices, inasmuch as appearances and the expression of taste preferences have become determining factors for them. In short:

In this article I investigate the relation between popular culture and feminism through the specific example of popular music (and more precisely, within this field, pop-rock music). In the first two sections of my article I mostly focus on such aspects as the form/content relation in an artwork, the commodity status of contemporary popular culture, the role of standardization in the musical material used by pop-rock musicians, and the relation between aesthetic dimension and political potential, drawing on the stimulating insights offered by the critical theorists Theodor W. Adorno and Herbert Marcuse but also trying to critically rethink some of their ideas. In the third section, shifting my attention from Adorno’s critical theory to Richard Shusterman’s pragmatist aesthetics and somaesthetics, I introduce the theme of the important role played by the dimension of performance in pop-rock music and, within the musical performance, by the somatic component of the musician’s use of his/her body, sometimes also to spread certain politically committed messages, as in the case of songs that aim to support feminist ideas and struggles. In the fourth and final section I try to exemplify some of the ideas emerged in the previous sections through a selective and specific reference to the grunge subculture of the 1990s and its relation to feminism, with a special focus on the rock band Pearl Jam and also in connection to some ideas expressed by the feminist theorist Angela Davis.

The question concerning tragedy and the tragic undoubtedly belongs to the fundamental questions that have characterized the history of Western philosophy of art. After all, “the oldest surviving treatise [of aesthetics] of any significant length” is “Aristotle’s Poetics”, which, “apart from a general introduction, contains only a theory of tragedy” (W. Tatarkiewicz). It is also well-known that tragedy and the tragic have been an object of great interest and concern for many of the most significant philosophers and art theorists of the modern and contemporary ages, from Lessing and Schiller up to such present-day thinkers such as Girard and Nussbaum. More precisely, following Peter Szondi’s insight one might say that “since Aristotle, there has been a poetics of tragedy”, while “only since Schelling has there been a philosophy of the tragic. […] Begun by Schelling in a thoroughly non-programmatic fashion, the philosophy of the tragic runs through the Idealist and post-Idealist periods, always assuming a new form”. Hans-Georg Gadamer surely belongs to the main representatives of twentieth-century continental thought, and his hermeneutical aesthetics undoubtedly represents, in turn, one of the most considerable and substantial aspects of his entire philosophy. Nevertheless, notwithstanding the great importance of art and aesthetic experience in Gadamer’s thought, at least one part of this thought, namely his conception of tragedy and the tragic, has actually received little attention by interpreters and scholars of his philosophical hermeneutics. As a matter of fact, the research contributions on this aspect of Gadamer’s philosophy are quite rare and sporadic, contrasting sharply with Gadamer’s own explicit interest in tragedy and the tragic in at least two relevant sections of Truth and Method (namely, those on the example of the tragic and the concept of hermeneutical experience), as well as in some essays later gathered in his Gesammelte Werke. In this paper, we take up the issue of Gadamer’s conception of tragedy and the tragic. In the first two sections of the paper, we analyze the role played by the tragic in Gadamer’s concept of the structure of human experience. In the third section, then, we turn to the portion of Truth and Method specifically devoted to the example of tragedy, where the latter is shown to be a model for Gadamer’s understanding of aesthetic experience in general. On this basis, and by adopting a comparative perspective that takes other authors’ contributions into account, our last section ultimately explains why Gadamer’s theory of tragedy represents a highly promising answer to the longstanding question concerning the origins of Greek tragedy.

This paper takes up the issue of Gadamer’s appropriation of Heidegger’s later philosophy, and it does so in terms of a critical examination of those aspects of Heidegger’s being-historical perspective that Gadamer seems to question, and sometimes explicitly reject. I argue that Gadamer’s criticism of the later Heidegger is based on three basic reasons: a partial refusal of the latter’s interpretations of Greek philosophy (especially Plato); a strong refusal of his concept of the language of metaphysics; and, above all, an interpretation of Heidegger’s history of the forgetfulness of being as a form of philosophy of history which shares with Hegel’s one a genuinely eschatological self-consciousness that Gadamer, for his part, doesn’t endorse. Given these assumptions, I finally try to highlight some consequences of Gadamer’s peculiar and ‘selective’ reception of the later Heidegger in the realm of aesthetics.

Impegnarsi in una discussione sulla filosofia di Gadamer, cinquant’anni dopo la pubblicazione di Verità e metodo, significa, tra le altre cose, affrontare la questione della sua straordinaria storia degli effetti. Per quanto riguarda, in particolare, la questione del dialogo tra la filosofia ermeneutica e altre correnti del pensiero contemporaneo, non c’è dubbio che uno dei versanti più interessanti, “perché promette aperture inedite”, sia oggi rappresentato dall’“interesse che la filosofia analitica americana ha mostrato e mostra per l’ermeneutica” (D. Di Cesare). Tra i filosofi analitici e pragmatisti che possono venir citati, a tal proposito, i casi più significativi sono forse rappresentati da Richard Rorty – secondo il quale, com’è noto, la filosofia contemporanea dovrebbe passare dallo “stadio” dell’epistemologia a quello dell’ermeneutica – e da due pensatori profondamente influenzati, tra l’altro, proprio da Rorty: Robert Brandom e John McDowell, sul cui capolavoro Mente e mondo intendo soffermarmi.

Il volume "Leggere il presente. Questioni kantiane" intende mostrare la poliedrica capacità kantiana di parlare alla nostra epoca evitando truismi e luoghi comuni generati dalla volontà di scoprire ciò che è vivo o morto in un pensatore classico, ma ponendo al vaglio dei migliori interpreti della modernità (F. Nietzsche, Ch. S. Peirce, Th. Adorno, M. Heidegger, P. Ricoeur, E. Bloch) concetti centrali della filosofia kantiana quali noumeno, antinomia, contingenza, libertà. In modo innovativo gli autori del volume sottolineano le radici kantiane nel prospettivismo di Nietzsche, il ruolo del tempo nel concetto antinomico di libertà nonché la paternità kantiana di nuovi modi (dialettico-negativi) di declinare la metafisica.

Held every five years under the auspices of the Kant-Gesellschaft, the International Kant Congress is the world’s largest philosophy conference devoted to the work and legacy of a single thinker. The five-volume set Kant and Philosophy in a Cosmopolitan Sense contains the proceedings of the Eleventh International Kant Congress, which took place in Pisa in 2010. The proceedings consist of 25 plenary talks and 341 papers selected by a team of international referees from over 700 submissions. The contributions span 14 sections: Kant’s Concept of Philosophy; Theory of Cognition and Logic; Ontology and Metaphysics; Ethics; Law and Justice; Religion and Theology; Aesthetics; Anthropology and Psychology; Politics and History; Science, Mathematics, and the Philosophy of Nature; Kant and the Leibnizian Tradition; Kant and the Philosophical Tradition; Kant and Schopenhauer; and Kant’s Heritage. Thanks to cooperation from the Schopenhauer Gesellschaft, the 2010 conference was the first in the history of the International Kant Congress to include a session on Kant and Schopenhauer.

"Pragmatism, Truth, Ethics, and Religion: About Some Recent Writings of Richard Rorty".
In this paper, the author takes into account some works of the American philosopher Richard Rorty which have been recently published in Italy. The author argues that these writings can provide an important contribution to the diffusion and examination of Rorty’s ideas on both an epistemological-metaphysical and an ethical-political level. Although the account of Rorty’s ideas in this paper is supposed to be mostly descriptive, the author also tries to furnish a critical reading of Rorty’s works and to point out both the strong and weak points of his original and provocative thesis.
Keywords: Ethics; Politics; Pragmatism; Relativism; Religion; Truth.

Ontology and philosophy of language undoubtedly represent two important aspects of Hans-Georg Gadamer’s thought. In particular, Gadamer addresses them in the third part of Truth and Method, which is dedicated to an analysis of the universal character of language in shaping our world-experience and finally ends in the well-known sentence: “Being that can be understood is language”. Now, in the more than 50 years-long “history of effects” of Truth and Method’s these aspects have led many scholars, especially in Italy, to interpret Gadamer’s thought as a kind of “linguisticism”. In my contribution I will try to show that such an interpretation is profoundly mistaken and rests on a misunderstanding and an interpretive error, namely that of reading Gadamer’s philosophy in the light of such further developments of hermeneutics as Vattimo’s “weak thought” or Rorty’s neopragmatism (both of which actually incline to the derealization of the world and linguistic idealism). By doing this, I will also try to show that Gadamer was not involved in the so-called postmodern developments of hermeneutics and, above all, that his view on the being/language relationship can be interpreted as a variety of realism rather than as a kind of linguistic idealism.

This article discusses two interpretations of the Critique of Judgment. My aim is to show that, although Arendt and Gadamer had many things in common, both biographically and philosophically, they came to diverging conclusions about the relationship between aesthetics and politics in Kant’s third Critique. For Gadamer, the Kantian characterization of aesthetic judgment (like genius) as not being rule-bound seems to mean that Kant is excluding social and political virtues from consideration. Arendt, in contrast, stresses the fact that, for Kant, taste and common sense require impartiality and communicability, hence an enlarged mentality encompassing orientation in a public realm. I argue that this difference can be explained, to some extent, by the fact that both made only very selective reference to Kant’s third Critique, without giving an account of it as a whole.

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Dieser Aufsatz behandelt zwei Interpretationen der Kritik der Urteilskraft. Mein Ziel ist es zu zeigen, daß Arendt und Gadamer, trotz vieler biographischer und philosophischer Gemeinsamkeiten zu unterschiedlichen Schlussfolgerungen über das Verhältnis von Ästhetik und Politik in Kants dritter Kritik kommen. Für Gadamer bedeutet die Kantische Charakterisierung der ästhetischen Urteilskraft als ein nicht an Regeln gebundenes Gemütsvermögen (wie die des Genies), daß Kant soziale und politische Tugenden von seiner Betrachtung ausschließt. Im Gegensatz hierzu betont Arendt, daß Kants Auffassung von Geschmack und Gemeinsinn von Unparteilichkeit und Kommunikationsfähigkeit charakterisiert ist, und so eine erweiterte Denkungsart darstellt, die die Orientierung in der Öffentlichkeit ermöglicht. Meine These ist, daß ein solcher Interpretationsunterschied damit zu erklären ist, daß beide Denker eine nur selektive und unvollständige Lektüre von Kants dritter Kritik liefern.

There are perhaps few thinkers in the whole history of Western philosophy who prioritised the relation between philosophy, literature, and poetry the way Martin Heidegger did. Among the contemporary philosophers who paid close attention to Heidegger’s conception one must mention Richard Rorty, who placed him within the context of the more general tendency to level off genre distinction between philosophy and all other kinds of writing. In this paper, my aim is to point out some positive and negative aspects of Rorty’s interesting, original, but not at all unproblematic, interpretation of Heidegger.

Che momenti o aspetti della realtà e della cultura non completamente veri possiedano ciò nondimeno un senso o un valore di verità è quella che potremmo definire una delle tesi fondamentali del pensiero di Theodor W. Adorno. Là dove, parlando di “tesi fondamentali”, non voglio alludere qui a dei contenuti precisi della filosofia adorniana, quanto a quella che definirei una sorta di struttura di base che è dato ritrovare a vari livelli in diversi aspetti della sua multiforme produzione intellettuale. Essa si radica infatti nel “rigore dialettico” che contraddistingue la posizione filosofica di fondo di Adorno, “tale per cui ogni elemento negato viene non semplicemente contraddetto, ma accolto come l’ombra che accompagna il fenomeno colto nella sua interezza” (G. Matteucci). Sulla base di questa premessa generale, in questo saggio cercherò essenzialmente di mostrare la rilevanza di un tale schema fondamentale nel pensiero di Adorno attraverso l’analisi di due “applicazioni” specifiche della tesi del “contenuto di verità del non vero”, ovvero di due casi (le sue interpretazioni di Nietzsche e Spengler) in cui, a mio avviso, tale tesi emerge nel modo più chiaro. Il presupposto da cui muoverà la mia argomentazione è quello secondo cui il compito della filosofia, dal punto di vista di Adorno, consiste essenzialmente di due momenti strettamente connessi tra loro, anzi talmente connessi tra loro da richiedere la presenza di entrambi ai fini del conseguimento di una piena e vera conoscenza. Si tratta, in primo luogo, di quello che lo stesso Adorno, nelle sue tarde lezioni sulla metafisica, chiama il momento del “comprendere […] ciò che ormai è”; in secondo luogo, però, si tratta di non fermarsi a questo primo momento del processo conoscitivo, giacché senza un necessario complemento esso risulta inevitabilmente provvisorio, parziale, unilaterale. Per Adorno, infatti, una volta comprese le ragioni profonde di ciò che è, ossia dell’“universale costrizione” vigente in ogni epoca della storia, si tratta di non arrendersi a questo stato di cose ma, al contrario, di portare avanti la teoria in vista di una possibile uscita dalla situazione d’impasse in cui versa l’umanità. Come vedremo, nel caso sia di Nietzsche che di Spengler a far difetto, per Adorno, è propriamente questo secondo momento (laddove egli riconosce a entrambi, invece, un’elevata capacità di decifrazione dei fondamenti su cui poggia l’esistente): cosa che, inevitabilmente, condanna appunto alla parzialità, relatività e unilateralità le loro filosofie, se commisurate a un concetto più pieno e completo di verità.

This paper takes up the issue of Gadamer’s appropriation of Heidegger’s later philosophy, and it does so in terms of an examination of some aspects of Heidegger’s Being-historical perspective that Gadamer seems to question and sometimes explicitly reject. I argue that Gadamer’s criticism of the later Heidegger is mostly based on an interpretation of Heidegger’s conception of the Seinsgeschichte as a form of philosophy of history which shares with Hegel’s Geschichtsphilosophie a genuinely eschatological self-consciousness that Gadamer, for his part, does not endorse. Given these assumptions, I finally try to highlight some consequences of Gadamer’s peculiar and “selective” reception of the later Heidegger in the realm of the philosophy of language, in particular with regard to the questions concerning the language of metaphysics and the relationship between being and language.

Martin Heidegger e Theodor W. Adorno rappresentano senza dubbio due fra i massimi esponenti della filosofia del Novecento, la cui eredità di pensiero, pur essendo stata ampiamente approfondita nel corso dei decenni, rimane per molti aspetti ancora da elaborare, da analizzare e, soprattutto, da portare avanti e sviluppare, tenuto conto dell’importanza e anche dell’attualità delle loro filosofie. Esponenti di primo piano, rispettivamente, della tradizione fenomenologico-ermeneutica declinata in chiave ontologica e della teoria critica della Scuola di Francoforte, Heidegger e Adorno sono anche famosi per la loro “rivalità” filosofica, ossia per il fatto di essersi reciprocamente osteggiati e detestati per molti anni, senza mai tentare di sviluppare un vero dialogo filosofico. E non c’è dubbio che, data l’assoluta rilevanza e autorevolezza delle personalità in questione, quello della “controversia filosofica” fra Adorno e Heidegger rappresenti un tema particolarmente affascinante e, in un certo senso, riassuntivo di un’intera stagione della filosofia tedesca, con i suoi conflitti tra approcci diversi e le sue aspre rivalità interne. Le testimonianze in proposito, come vedremo, sono significative e numerose, ma non meno importanti sono le osservazioni di diversi interpreti secondo i quali, nonostante la loro avversione reciproca, Heidegger e Adorno si trovarono spesso su posizioni filosofiche non troppo distanti, se non addirittura piuttosto vicine, su determinati temi specifici, quali il confronto con la tradizione metafisica occidentale, la concezione della razionalità, la critica della tecnica e la valorizzazione del significato dell’arte per la filosofia. Su queste basi, si è tentato più volte di sviluppare una sorta di “dialogo postumo” tra i due grandi pensatori, mettendo in mostra i principali punti di contatto fra loro ma stando attenti, al contempo, a non forzare o esagerare il significato e la portata di tali affinità, nella consapevolezza che, in questi casi, il rischio che si corre è infatti quello di “heideggerizzare” il pensiero di Adorno o, viceversa, “adornizzare” quello di Heidegger, nella ricerca di convergenze e parallelismi che, a un esame più attento, potrebbero rivelarsi ambigui o meno consistenti del previsto.
In questo contributo offrirò in primo luogo una sintetica ricostruzione della storia del dissidio fra Heidegger e Adorno (§ 1), tenendo dapprima presente il piano biografico o personale, e soffermandomi quindi sul versante più specificamente filosofico e intellettuale. Successivamente, prenderò in considerazione i lavori di alcuni studiosi che, come ho accennato poc’anzi, hanno tentato di instaurare un “dialogo postumo” fra i due filosofi (§ 2), prestando infine una particolare attenzione ad alcuni studi relativamente recenti sull’argomento (§ 3). Il tutto tenendo sempre a mente le parole di Hermann Mörchen – un allievo forse non tra i più celebri, ma comunque fra i più stimati, di Heidegger, che è stato lo studioso che più di ogni altro si è impegnato nel compito di sviluppare il succitato “dialogo postumo” tra i due filosofi – il quale nell’Introduzione alla sua seconda monografia su questo argomento scriveva: “un dialogo postumo [scil. fra Heidegger e Adorno] è problematico”, ma proprio perché è “così difficile, esso è anche necessario”.

Come recita una celebre sentenza nietzschiana, contenuta nell’aforisma 62 di Al di là del bene e del male, “l’uomo è l’animale non ancora stabilmente determinato”. Si tratta di una definizione che, secondo alcuni interpreti, consente di far rientrare Nietzsche in una lunga e autorevole tradizione filosofica che, “indipendentemente dalla direzione [dell’] orientamento” dei diversi autori ascrivibili a essa, vede nell’essere umano, “a differenza dell’animale che vive nel mondo stabilizzato dall’istinto”, un essere caratterizzato da una “carenza della dotazione istintuale”, da una “genericità e non rigidità [degli] istinti”, che sarebbe poi alla base della sua ben nota “plasticità di adattamento” e che lo costringerebbe a “raggiungere ‘culturalmente’ quella selettività e stabilità che l’animale possiede ‘per natura’” (U. Galimberti). Insomma, lo costringerebbe a costruirsi da sé un mondo grazie al proprio agire pratico e tecnico anziché ad adattarsi a un ambiente già dato. Senza inoltrarci qui in ulteriori sviluppi di questo argomento o approfondire criticamente i presupposti su cui poggia tale linea di pensiero (a partire dalla messa in discussione della stessa riconducibilità dell’infinita molteplicità e pluralità delle forme animali all’unico e indifferenziato concetto de “l’animale” al singolare), ciò che conta ai fini dell’excursus storico-filosofico che viene proposto in questo contributo è sostanzialmente il fatto che, nel Novecento, coloro che hanno massimamente contribuito alla ripresa, al rilancio e all’ulteriore sviluppo della concezione della natura “non stabilmente determinata” dell’essere umano sono stati probabilmente Max Scheler, Helmuth Plessner e Arnold Gehlen, i cosiddetti padri dell’antropologia filosofica. Particolarmente rilevante, ai fini del presente discorso, è soprattutto la posizione di quest’ultimo, giacché egli collega esplicitamente la propria idea dell’essere umano come creatura particolare e soprattutto “carente (Mängelwesen)” – la cui reale natura è una zweite Natur e la cui dimora non è costituita, come per gli altri animali, da un ambiente naturale (Umwelt), ma da un mondo (Welt) storicamente, culturalmente e tecnicamente determinato – alla concezione nietzschiana espressa in modo sintetico ma pregnante dalla succitata sentenza sul “noch nicht festgestellte Thier”. Per Gehlen, in sintesi, se l’ambiente “è il milieu, non interscambiabile, al quale è adattata la costituzione organica dell’animale, all’interno del quale funzionano i movimenti istintivi innati”, l’essere umano ha invece “un mondo” perché “difetta dell’adattamento animale a un particolare ambiente. […] Per lui non si dà possibilità d’esistenza nella natura immodificata, non ‘addomesticata’, e non esiste ‘uomo allo stato di natura’ in senso stretto […]. La cultura è pertanto la ‘seconda natura’ – vale a dire: la natura umana, dall’uomo elaborata autonomamente, entro la quale egli solo può vivere […]. Proprio nel luogo in cui per l’animale c’è l’‘ambiente’, sorge quindi, nel caso dell’uomo, il mondo culturale […]. Il concetto di Umwelt, se definito a dovere nei suoi esatti termini biologici, non è dunque applicabile all’uomo, giacché nel punto preciso in cui, nel caso dell’animale, si trova appunto la ‘Umwelt’, in quello dell’uomo c’è la ‘seconda natura’, ossia la sfera culturale, con i suoi peculiari, particolarissimi problemi e formazioni concettuali”. Ora, prescindendo da ulteriori considerazioni specifiche su Gehlen, è interessante notare come la complessa tematica antropologico-filosofica esemplarmente sintetizzata dai concetti di “seconda natura” e “mondo/ambiente”, le cui radici originarie possono essere individuate nell’opera biologica di Jakob von Uexküll, giunga – passando attraverso una serie di rielaborazioni filosofiche che includono, oltre a L’uomo (1940) di Gehlen, anche La posizione dell’uomo nel cosmo (1928) di Max Scheler e il corso di Heidegger del semestre invernale 1929/30 sui Concetti fondamentali della metafisica – fino a Verità e metodo (1960) di Gadamer e, tramite la mediazione di quest’ultimo (al quale, com’è noto, si deve una notevole opera di introduzione e diffusione di tematiche “continentali” nel contesto filosofico anglo-americano), a uno dei “classici” della filosofia più recente: Mente e mondo (1994) di John McDowell. A partire da una sintetica ricostruzione di una tale “costellazione” di autori e dottrine, in questo articolo il tentativo è quello di instaurare un confronto inedito tra Nietzsche e McDowell a partire dal concetto di “seconda natura”.

The concept of nature plays a decisive role in Adorno’s philosophy, and must be understood as part of a conceptual constellation that also includes the notions of myth, enlightenment, dialectics, fate, reason, conceptuality, knowledge, freedom, society, and history. In the first section we provide a general analysis of the role played by the concept of nature in Adorno’s philosophy. In doing so, we mostly concentrate on his works The Idea of Natural History, Dialectic of Enlightenment, Minima Moralia, Negative Dialectics, and also his 1964-65 lectures on History and Freedom. In the second section, then, we turn to Adorno’s aesthetics, which must not be merely under-stood as a philosophy of art but rather as a general theory of the aesthetic that also in-cludes nature among its objects. On this basis, and by referring not only to Adorno’s posthumously published Aesthetic Theory but also to his 1958-59 lecture course on Aesthetics, we explain why, in our view, the question concerning natural beauty holds a special place in the whole of his aesthetics, and why this question is essential indeed in order to properly understand the general meaning, philosophical range and ultimate goals of his philosophical project.

The official PDF-version of the article, as well as the whole issue on "Theodor W. Adorno: Truth and Dialectical Experience", is available at the website of the publishing house Quodlibet: http://www.quodlibet.it/rivista/9788874629572

The concept of second nature has a long and complex history, having been widely employed by several philosophers and even scientists. In recent times, the most famous thinker who has employed the concept of second nature, and has actually grounded his philosophical program precisely on this notion, is probably John McDowell. However, it is also possible to find some occurrences of the concept of second nature, " zweite Natur " , in Nietzsche " s writings, both published and unpublished. In this contribution I will develop a discussion of this important topic, the (second) nature of the human being, in Nietzsche and McDowell, and attempt to establish a comparison between them on the basis of this concept. It is the guiding idea of this article that McDowell " s " Naturalism of Second Nature " , though representing one of the most original and indeed ambitious philosophical programs today, actually suffers from some problems in defining the peculiar nature of the human being, and that referring to some of Nietzsche " s ideas on this topic may be of help in order to broaden and strengthen McDowell " s own philosophical perspective. There is almost no reference to Nietzsche in McDowell " s several philosophical works, notwithstanding his great interest in, and his careful attention to, other authors belonging to the tradition of modern German philosophy (such as Kant and Hegel, in particular), and nobody has inquired yet into the potential Nietzsche/McDowell relationship. The paper will trace the development of certain philosophical-anthropological insights from 19 th-and 20 th-century German thought (Nietzsche, Scheler, Gehlen, Gadamer) up to the present age (McDowell), and provide an original and relevant contribution both to the specific field of Nietzsche studies and to the more general domain of inquiries into contemporary philosophical problems. Comparing the ideas of Nietzsche/ McDowell on the question concerning the (second) nature of the human being relationship is intriguing from a philosophical point of view and may lead to a better understanding of this subject and disclose new perspectives in this field. There is a lot of philosophical insight to be gained in comparing these two figures.

In this article I take into examination Hannah Arendt's original and influential " appropriation " of Im-manuel Kant's Critique of the Power of Judgment, providing both a reconstruction and a critical interpretation of it. In the first section I basically contextualize Arendt's interest in this topic by showing that it is connected to her more general concern with the wider and more comprehensive question of the crisis of Western civilization. Then, in the second and third sections of my article, I offer an overview of Arendt's conception of the crisis in culture and politics in the present age, and explain how this gradually led her to develop an original interpretation of Kant's concept of Aesthetic Judgment in terms of a new and somehow unprecedented (i.e. unthought, never conceived of before) form of Political Judgment. The fourth section is dedicated to a brief excursus on Kant's own treatment of the concept of Urteilskraft in some of his main works (first and third Critiques, Anthropology from a Pragmatic Point of View) and some of his letters, in order to show that this concept for Kant has a broader and more complex meaning than one is sometimes used to think. Finally, in the fifth section I first focus on a few problematic aspects of Arendt's " creative " , i.e. sometimes philologically inadequate, use of Kant's concept of Aesthetic Judgment understood as a kind of Political Judgment , but then add that from a strictly philosophical point of view this interpretation has proved to be a very stimulating and enriching one, as testified by the fact that in the last decades it has produced a veritable Wirkungs-geschichte and has helped to develop the so-called " Paradigm of Judgment " in ethics and political philosophy.

Abstract (it.).
Il jazz è stato spesso, se non sempre, considerato dagli storici, dai critici musicali e dagli stessi musicisti come un genere musicale collegato essenzialmente alla libertà e all’emancipazione. Da un punto di vista interno o squisitamente musicale, ciò è sempre stato associato ad aspetti fondamentali e qualità distintive di questo genere come l’improvvisazione (la quale, a sua volta, può essere intesa ovviamente in modi diversi) e l’interplay, il dialogo libero fra i musicisti durante la performance. Da un punto di vista esterno o extramusicale, ciò è sempre stato associato alle radici del jazz negli spiritual e nel blues, e nell’eredità e nello spirito “neri” che essi veicolano, includendo dunque la lotta per l’emancipazione da una condizione di schiavitù, razzismo, segregazione, soggiogamento ecc. In questo articolo dapprima analizzo alcuni aspetti di una tale connessione fra jazz, libertà ed emancipazione, e poi pongo la domanda se ciò che vale per la lotta per l’emancipazione dei neri espressa da questa musica nel corso del decenni (specialmente con “stili” o “correnti” del jazz come il be-bop o il free jazz) sia anche valido per la lotta per l’emancipazione femminile che ha caratterizzato in misura non minore il Novecento. L’articolo comprende anche un’intervista originale su questo tema a una delle cantanti jazz italiane più importanti e rinomate, Maria Pia De Vito, la quale contribuisce a far luce sulla domanda-guida se, quando e quanto il jazz abbia fornito un contributo alla libertà ed emancipazione femminile.

Abstract (Eng.).
Jazz music has often, or always, been considered by historians, music critics and also musicians as a kind of music essentially connected to freedom and emancipation. From an inner or strictly musical point of view, this has always been associated to such fundamental features and distinctive qualities of this music as improvisation (which, of course, can be understood in turn in different ways) and interplay, the free dialogue or conversation between the musicians during the performance. From an outer or extra-musical point of view, this has always been associated to the roots of jazz music in the spirituals and the blues, and in the “black” heritage and spirit that they convey, thus including the struggle for emancipation from a condition slavery, racism, segregation, subjugation etc. In this article I first analyze some aspects of this connection between jazz, freedom and emancipation, and then ask if what is true for the struggle for black emancipation that this music has expressed throughout the decades (especially with jazz “styles” or “currents” like be-bop and free jazz) also holds true for the struggle for women’s emancipation that has characterized to no less extent the history of the 20th century. The article also includes an original interview on the topic with one of the most important and celebrated Italian jazz singers, Maria Pia De Vito, who contributes to shed light on the guiding question if, when and how much jazz has contributed to women’s freedom and emancipation.

Parole-chiave:
Jazz, libertà, femminismo, Angela Davis, lotta per l’emancipazione.

Keywords:
Jazz, freedom, feminism, Angela Davis, struggle for emancipation.

Abstract (it.)
In questo articolo prendo dapprima le mosse dalla ben nota rivalità fra teoria critica della società e antropologia filosofica. Quindi, tento di mostrare come al rifiuto dei teorici critici nei confronti di ogni forma di antropologia positiva o “affermativa”, astorica, adialettica e fondata su un pensiero “per invarianti” corrisponda del resto una forte presenza di alcuni elementi antropologici nella loro filosofia e un’inesauribile tensione verso la delineazione di un’antropologia dialettico-negativa. A partire da ciò, soffermandomi sulle figure di Adorno e Gehlen (e, soprattutto, sui loro rispettivi capolavori Teoria estetica e Quadri d’epoca e sulle testimonianze relative al loro rapporto filosofico e umano e al loro carteggio tuttora inedito) indago alcune implicazioni e conseguenze sul piano estetico di un tale rapporto problematico, ma altresì molto vivo e fecondo, fra teoria critica e antropologia filosofica.

Parole chiave: Theodor W. Adorno. Arnold Gehlen. Estetica. Teoria critica della società. Antropologia filosofica.

Abstract (ing.)
In this article I start from the well-known antagonism between critical theory of society and philosophical anthropology. Then I show that, notwithstanding the critical theorists’ aversion to any form of positive or “affirmative”, unhistorical and undialectical anthropology based on “invariants”, their philosophies are also characterized by some anthropological elements and by an inexhaustible inclination to the outlining of a negative-dialectical anthropology. On this basis, and focusing in particular on Adorno and Gehlen (and especially on their respective masterworks Ästhetische Theorie and Zeit-Bilder, as well as on the available information and testimony about their philosophical and human relationship and their still unpublished correspondence), I investigate some aesthetic implications and consequences of such a problematic, but at the same time very interesting and fruitful, relation between critical theory and philosophical anthropology.

Keywords: Theodor W. Adorno. Arnold Gehlen. Aesthetics. Critical theory of society. Philosophical anthropology.

Abstract.
In this article, moving from the basic assumption that perhaps few thinkers in the twentieth century prioritized the question of philosophy and literary form the way Adorno did (§ 1), I first provide a reconstruction of his commitment with the question concerning the role of style in philosophy, focusing on some of the various presentation forms Adorno experimented and used in his works: essay, aphorism, parataxis (§ 2). Then I introduce a short excursus on another important 20 th-century thinker who also prioritized the question of philosophy and literary form, mostly in connection to the relationship between the language of poetry and the language of philosophy: Martin Heidegger (§ 3). At the same time, Heidegger was the target of Adorno"s strong criticism, so I use his ontological conception of philosophy and/as poetry as a way to let fully emerge by comparison, e contrario, the specificity of Adorno"s anti-ontological, negative-dialectical conception of the role and significance of style in philosophizing (§ 4).

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"Adorno (against Heidegger) on Style and Literary Form in Philosophy",
in: "Meta: Research in Hermeneutics, Phenomenology, and Practical Philosophy" (ISSN: 2067-3655). Year of Publication: 2019. Issue: Vol. XI, No. 1. Pages: 233-263.

In this article I sketch some ideas and observations for a philosophical theory of popular music, with a particular focus on the subgenre of rock music. While acknowledging the fundamental importance still today of the contributions of Frankfurt critical theory to this topic, I also try to broaden the conceptual horizon by referring to pragmatist aesthetics and in particular to its recent development into somaesthetics. I consider the latter of great philosophical importance especially to evaluate in an adequate way the fact that understanding and appreciating rock music naturally and necessarily implies a relevant somatic component, i.e. is always bodily-rooted, while not denying for this reason also the presence of an intellectual component in this kind of aesthetic experience. In my article I exemplify some of my theses by referring to recordings and live performances of Lou Reed, Pearl Jam, Radiohead, and other rock musicians.
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The present contribution is an extended version of a paper that I originally presented at the conference “The Soma as the Core of Aesthetics, Ethics and Politics” organized by the MTA SZAB Filozófiai és Történettudományi Szakbizottság, the Hungarian Philosophical Association, the Philosophy Department of the University of Szeged and the Pro Philosophia Szegediensi Foundation (Szeged, Hungary, June 26-28, 2017). I would like to thank the organizers for inviting me to present my lecture, prof. Richard Shusterman for his encouraging comments on my paper, and the colleagues with whom I discussed my theses at the conference for helping me to clarify some points and improve my philosophical perspective through their observations and sometimes also constructive critiques.