Storia del monachesimo

La Cina rappresenta un quinto dell’umanità e di appresta a diventare, o è già diventata, decisiva per le sorti del mondo. Ad essa la Chiesa ha guardato negli ultimi secoli con un'attenzione quasi spasmodica dedicandogli grandi imprese di evangelizzazione. Imprese che non sembrano riuscite, se il numero dei cinesi che hanno abbracciato il Vangelo è quasi irrilevante e se, per quanta riguarda i cattolici, persiste forte il contrasto tra la Santa Sede e le supreme istanze politiche di quella nazione.
Che cosa non ha funzionato? Il caso Cina ripropone tutto intero il problema dei ‘metodi missionari’. Questo volume esamina, partendo dai primi tentativi di evangelizzazione fino alla situazione attuale. Ne emerge una critica piuttosto forte degli errori della missione, ma anche l’apertura di vie del Vangelo che vanno riprese senza tentennamenti.
Con saggi di Gianni Criveller: Introduzione, La controversia dei Riti cinesi, Bibliografia e fonti per lo studio e la lettura su cristianesimo e Cina.
Mario Menin: Chiesa e Cina: la missione tra identita' religios e alterita' culturle
Matteo Nicolini Zani: La via monastica al cristianesimo cinese
Giuseppe Butturini: Chiesa cattolica e mondo cinese nel grande secolo missionario (1850-1950)
Angelo S. Lazzarotto: Le vicende cristiane della "Nuova Cina"
Umberto Bresciani: Come i confuciani vedono il cristianesimo
Giuseppe Zhao: L'azione apostolica di P. Matteo Ricci vista da un cinese Gianni Criveller

Per un bilancio della più recente storiografia sul monachesimo italico d'età medievale (doi: 10.32052/95679) Quaderni di storia religiosa medievale (ISSN 1126-9200) Fascicolo 2, luglio-dicembre 2019 Ente di afferenza: Università di Firenze (unifi) Copyright c by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Per altre informazioni si veda https://www.rivisteweb.it Licenza d'uso L'articoloè messo a disposizione dell'utente in licenza per uso esclusivamente privato e personale, senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali. Salvo quanto espressamente previsto dalla licenza d'uso Rivisteweb,è fatto divieto di riprodurre, trasmettere, distribuire o altrimenti utilizzare l'articolo, per qualsiasi scopo o fine. Tutti i diritti sono riservati.

Felice Moretti, già dirigente delle Ferrovie dello Sta-to, è stato collaboratore e componente la commissione d'esame presso la cattedra di Storia medievale delle Università di Bari e di Foggia. Ha coordinato e partecipato a seminari di studio in Storia medievale presso Università e Istituti cultu-rali italiani ed è stato direttore e membro del comi-tato scientifico della rivista Studi Bitontini, edita dal Centro Ricerche di Storia e Arte-Bitonto. Relatore e organizzatore di convegni di studio, nazio-nali e internazionali, sull'età medievale, ha rivesti-to il compito di docente di Storia dell'arte medievale in corsi di perfezionamento post-laurea, nonché di docente esperto di Storia medievale e di Storia delle tradizioni popolari nell'ambito del progetto 'Gli Stu-denti e il mondo' in diversi Istituti scolastici statali. Ha pubblicato numerosi articoli in riviste e volumi miscellanei e, per i nostri tipi, si ricordano Segni del francescanesimo a Bitonto e in Puglia. Atti del Conve-gno di Studi (Bitonto, 3-5 giugno 2011), a cura di N. Pice e F. Moretti, Bari 2010, che gli è valso il premio letterario 'Maria Marangelli-Conversano 2012'; Dal ludus alla laude. Giochi di uomini, santi e animali dall'Alto Medioevo a Francesco d'Assisi, Bari 2007; Cultura e società a Bitonto nell'Ottocento. Atti del Convegno Nazionale (Bitonto, Palazzo di Città, 18-20 ottobre 2001), a cura di F. Moretti e V. Robles, Bari 2003; La ragione del sorriso e del riso nel Medioevo, Bari 2001. Questo libro è dedicato alla memoria di Felice Moret-ti, al quale tutti gli autori dei saggi ivi contenuti sono stati legati da sentimenti di stima e di affetto, avendo avuto la possibilità di conoscerlo, frequentarlo e ap-prezzarlo per le sue doti professionali e umane, per il suo costante impegno negli studi e per la sua insop-primibile passione per la promozione della cultura. Molti di noi sono stati gratificati dal dono della sua amicizia sincera, spesso allietati dal suo sentimento del giocoso, sempre affascinati dal suo narrare con lieve candore ed entusiastico trasporto i vari tempi e le diverse forme artistiche del francescanesimo, più volte afferrati dalla sua gioia di vivere intensamente la vita, dalla sua passione per Federico II e le sue ri-cerche su frate Luca. Le sue doti di studioso l'hanno portato a cogliere la complessità e l'interesse proble-matico di particolari tematiche d'età medievale: dalla concezione del tempo e della storia calata in una di-mensione teologica alla funzione dell'exemplum con le sue aperture sull'immaginario e la sua immersione nell'ordine visivo e reale delle cose e la capacità di di-ventare una Bibbia della quotidianità; dalle ragioni del sorriso nell'arte alla condanna del riso, che è pur figlio della storia, da parte della cultura esagerata-mente seria e glaciale, sino all'intera problematica della religiosità medievale che l'ha guidato a inter-pretare il bestiario scolpito nella pietra che adorna la facciata e i capitelli delle cattedrali romaniche, soprattutto quella di Bitonto, come rappresentazione di un modo di vedere la natura e di individuare il legame con Dio creatore e ordinatore dell'universo. La molteplicità dei suoi interessi, unita a una per-sonale curiosità e capacità di riflessione e di dialogo interpersonale, spiega la pronta, generosa adesione degli autori dei saggi che compongono questo volume, a significargli il grazie più sincero e cordiale per la sua bella amicizia. In copertina: Benedetto da Maiano, Il doppio sogno di Innocenzo III (terracotta, poco prima del 1481-Ber-lino. Bode Museum). Studi in ricordo di

Grazioso e raccolto, il complesso monastico di S. Chiara è ancor oggi un piccolo gioiello di architettura nel cuore del barocco catanese. Un barocco discreto, pacato, che si offre sulla bella via Garibaldi attraverso la sua immagine più rappresentativa, quella del prospetto di una chiesa che è insieme biglietto da visita dell'Ordine religioso e simbolo di un'epoca. Le monache di Santa Chiara non avevano certo il prestigio dei conventi benedettini più dotati, come quello di San Giuliano; anzi, pare che le clarisse fossero trattate con sprezzo e sufficienza dalle comunità catanesi "altolocate". Guglielmo Policastro riferisce di una polemica sorta proprio all'indomani della ricostruzione fra le clarisse e le benedettine di San Giuliano: queste ultime esigevano senza mezzi termini che le monache di Santa Chiara togliessero dalle loro finestre le grate panciute, ritenute unico appannaggio dei conventi più ricchi. Le benedettine rivendicavano solo per sé un diritto che, a loro avviso, non spettava alle clarisse, chiamate dal popolo con l'appellativo di viscuttara per il loro commercio (infamante e scandaloso, secondo l'ottica delle religiose di estrazione sociale più elevata) di biscotti, vino e uova.

Il presente contributo è volto ad indagare il fenomeno dell’architettura eremitica in Costiera amalfitana, dove la migrazione di monaci proveninenti dal vicino Oriente determinò il diffondersi di un tipo architettonico ad alta specificità: l’eremo.
Osservanti la regola di San Basilio, e perciò detti Basiliani, i religiosi si insediarono nelle aree più impervie ed isolate della penisola stabiledo lì le loro dimore. Generalmente si trattava di strutture dalle dimensioni modeste, caratterizzate da un nucleo centrale, uno spazio riservato al culto presso cui i monaci si ritrovavano in preghiera, ed una serie di piccoli locali a questo collegati o poco distanti, in cui i religiosi si ritiravano.
Altra manifestazione propria dell’eremitismo orientale fu la trasformazione di grotte ed antri naturali in luoghi di culto, dapprima riservati agli asceti ed, in un secondo momento, aperti alla devozione della collettività.
In entrambe le tipologie, si tratta di realtà architettoniche ricche di valore storico, costituendo testimonianza, a volte completamente intatta, delle tradizioni costruttive di quegli anni. L’inserimento paesaggistico di questi piccoli manufatti, infine, contribuisce a raccontare le peculiarità dell’architettura della Costiera Amalfitana, in cui l’elemento naturale diviene spesso elemento costruttivo.

In un' esistenza ripetitiva e malinconica, il cibo può rappresentare, al di là della sua funzione nutrizionale, un elemento di conforto, di stimolo e di novità. E' ciò che, dal tardo Medioevo in poi, accade all'interno dei conventi femminili di clausura, popolati sempre più spesso da donne recluse contro la propria volontà e senza alcuna vocazione. Ancora giovanissime (non di rado bambine) queste donne vengono destinate dalle loro famiglie ad una vita incolore e senza prospettive, in cui qualsiasi insignificante variazione della routine o alcuni particolari momenti della giornata-come quello, appunto, del pasto-possono costituire un importante diversivo. Si spiega così uno dei maggiori punti di forza della cucina monacale, ovvero la sua straordinaria capacità di inventare ricette sempre nuove, varie e saporite con pochi ingredienti semplici ed economici. Come per le altre comunità religiose del resto d'Italia, anche per i monasteri femminili di Catania la componente alimentare e conviviale è parte di un sistema più ampio che coinvolge una pluralità di settori.

ITALIANO

“Medioevo in Monastero” ha avuto come scopo centrale quello di tentare di far avvicinare alla storia del monachesimo medioevale dei lettori non specialisti, venendo incontro alle esigenze di una gamma molto diversificata di potenziali lettori. L’intento non è stato quello di rivolgersi strettamente o esclusivamente a religiosi, o alla sola area cattolica di praticanti, pertanto con una marcata impostazione spiritualistica, ma anche e soprattutto a coloro che vogliano semplicemente comprendere l’evoluzione storica del fenomeno, e perciò gli Autori hanno operato su due livelli fra loro paralleli. Tutto ciò rende evidente che il libro è il frutto di un percorso di tolleranza culturale, collocato nel solco della storia e cultura monastica, indagata con passione e costanza. Cultura, va ricordato, che tanto ha contribuito alla nascita della civiltà europea.
Non esistono fino ad oggi - almeno in Italia - tentativi di proporre in forma narrativa, e dunque fruibili a un vasto pubblico di non specialisti, descrizioni della vita quotidiana dei centri monastici medioevali. Se non altro, almeno per questo, indubbiamente va riconosciuto ai due Autori di questo libro di avere avuto il coraggio di scegliere una strada, inedita e non semplice, d’indagine minuziosa, quasi certosina - per restare in tema - sui documenti originali selezionando attentamente nella complessa bibliografia del XII secolo, ricostruendo, ora per ora, due giornate monastiche. La prima parte del libro è di stampo narrativo, mentre alla seconda parte si è voluto dare un taglio più storiografico, quasi manualistico, scegliendo di affrontare l’esame dei principali testi disponibili sulla storia monastica, focalizzando l’attenzione sull’evoluzione in occidente e di chiudere la ricerca avendo come limite temporale ultimo il XII secolo.

ENGLISH

“Medioevo in Monastero” had as its central purpose is to groped to come closer to the history of medieval monasticism of the non-specialist readers, meeting the needs of a very diverse range of potential readers. The intent was not to consult closely or exclusively for religious, or only to the Catholic area of practitioners, so with a strong spiritualistic setting, but also to those who simply want to understand the historical evolution of the phenomenon, and therefore the authors have operated on two levels parallel to each other. All this makes clear that the book is the result of a cultural tolerance path, placed in the wake of history and monastic culture, investigated with passion and perseverance. Culture, it should be remembered, that has contributed to the birth of European civilization.
There are to date - at least in Italy - attempts to bring in narrative form, and therefore available to a wide audience of non-specialists, descriptions of everyday life of the medieval monastic centers. If nothing else, at least for this undoubtedly must be acknowledged to the two authors of this book have had the courage to choose a road, unpublished and not simple, of meticulous investigation, almost painstaking - to stay on the subject - on the original documents carefully selecting in the complex of the twelfth century literature, reconstructing, hour by hour, two monastic days. The first part of the book is a narrative mold, while the second part was to give a cut more historiography, almost textbook, choosing to take the examination of the main texts available on monastic history, focusing on the evolution in the West and to close the search by having a time limit least the twelfth century.

Dall'esame dei sei documenti di Matilde di Canossa rogati da S. Cesario, si evince l'importanza data dalla contessa a questa canonica, trasformata nel 1136 in priorato dipendente da S. Benedetto Polirone, che gestiva la grande curtis di Vilzachara, sulla quale vantava diritti il monastero di Nonantola, fino al 1034. Entrambi i cenobi benedettini fecero inserire questa curtis nelle bolle di conferma dei loro diritti, fino a quando la questione fu risolta nel 1249 da Innocenzo IV, che la riconobbe al monastero mantovano, come già aveva asserito il Tiraboschi.
prossima alla la documentazione relativa al priorato di S. Cesario sul Panaro (Modena), fondato da Matilde di Canossa

L'articolo affronta come Gregorio Magno affrontò il compito di evangelizzare gli Angli e di riformare le Chiese franche e celtiche attraverso una scelta inedita: l'invio di monaci in missione. Attraverso le fonti si analizza la coscienza che Gregorio Magno aveva dell'esperienza monastica come luogo dove più risplendeva la vita della Chiesa delle origini, venendo così ad offrire una possibilità di rigenerare l'intero tessuto della vita cristiana lì dove si era sfaldato sotto il peso delle differenze di stirpi e dei rapporti di potere.

La memoria dell'eremita Giovanni è associata alle origini dell'abbazia di San Michele della Chiusa, fondata nella bassa Valle di Susa alla fine del X secolo. Egli è menzionato nella leggenda della sua fondazione, composta verso il 1060, come eremita sul monte Caprasio e fondatore del santuario dedicato all'arcangelo Michele sulla vetta dell'antistante monte Pirchiriano. Tuttavia, in questa leggenda, dopo la fondazione dell'abbazia per opera di un pellegrino francese, coadiuvato da esponenti del monachesimo aquitano e dal marchese e dal vescovo di Torino, l'eremita scompare dalla narrazione.
Una Vita di san Giovanni confessore fu scritta nel XII secolo in occasione dell'elevazione delle sue reliquie. Avendo appreso dalle fonti che l'eremita proveniva da Ravenna, l'autore supplisce alla scarsità delle sue informazioni attribuendo al santo alcuni particolari desunti dalle vite degli arcivescovi ravennati, impiegando un testo poco diffuso, il Liber pontificalis ecclesiae Ravennatis composto nel IX secolo da Agnello. Sul piano letterario, egli si dimostra capace di governare costruzioni sintattiche complesse e osserva frequentemente, sebbene non in modo costante, le regole del cursus ritmico.
Nel XIII secolo, questa Vita costituisce la base per un ufficio rimato, il cui autore dimostra notevole abilità nella tecnica della versificazione. Sebbene la qualità stilistica e l'impegno ideologico di questi componimenti siano minori rispetto agli scritti  composti nella medesima abbazia tra l'XI e l'inizio del XII secolo, essi dimostrano che la comunità monastica di San Michele conservava ancora la capacità di produrre opere letterarie e di rielaborare la propria tradizione culturale.

Non solo presentazione dell’archivio delle benedettine di S. Vittore di Meda (MB), ancor oggi consultabile ‘in loco’ grazie alla sensibilità della nobile famiglia Antona Traversi Grismondi, bensì occasione per verificare, attraverso alcuni esempi, una chiave ermeneutica storico-archivistica, solo apparentemente scontata: se la storia di un archivio è strettamente connessa alla storia dell'ente che lo ha posto in essere, con un rovesciamento di prospettive credo si possa affermare che la ‘fortuna’ stessa dell'archivio è il primo, più immediato specchio storico dell'ente. Ogni innovazione nell'organizzazione e nella fruizione di un ‘tabularium’ (le operazioni collegate alla sua costituzione, al suo riordino e alla sua valorizzazione, senza trascurare la proporzione originali/copie) si traduce nel ricupero della memoria e rinvia, nel contempo, a istanze ben precise di organizzazione economica, nonché di strategia politica o processuale: è, quindi, di per se stessa, ‘fonte’ storicamente significativa.
3 le appendici: l’edizione del documento con cui il monastero ricompensò il notaio Anselmo ‘Bocardus’ per le sue prestazioni professionali, finalizzate – tra l’altro – al reperimento di «instrumenta, iura et acta» di S. Vittore «fere amisa» (27 giugno 1301); la trascrizione di un ‘prospetto’ parziale del ‘tabularium’ e delle sopravvissute legende, applicate sui cassetti preposti ad accogliere il materiale documentario debitamente ordinato, entrambi strumenti preziosi per una prima ricostruzione dell’assetto ‘fisico’ e concreto impresso all’archivio nel XVIII secolo.

In La memoria dei chiostri. Atti delle prime Giornate di studi medievali. Laboratorio di storia monastica dell’Italia settentrionale, Castiglione delle Stiviere (Mantova), 11-13 ottobre 2001, a cura di Giancarlo ANDENNA e Renata SALVARANI, Brescia, Marietti 1820 - CESIMB, 2002 (Centro studi per la storia degli insediamenti monastici bresciani. Studi e documenti, 1), pp. 57-80.

Cenni sulla Regola di san Benedetto e sul monachesimo benedettino a partire dai mss. Q 66 sup. (Regula Sancti Benedicti) e H 134 inf. (D. Gregorii Dialogi) custoditi presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana: lezione tenuta presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana per un gruppo di studenti universitari russi specializzandi in lingua e cultura italiana.

Recensione del testo di Silvia Scatena: Taizé, una parabola di unità. Storia della comunità dalle origini al concilio dei giovani, il Mulino, Bologna 2018, la prima opera in Italia che ricostruisca, a partire da una rigorosa documentazione scientifica, la storia della comunità di Taizé, protagonista del cammino ecumenico novecentesco ma anche originale crogiuolo di innovazione spirituale e liturgica.

Firenze, Dipartimento SAGAS, via S. Gallo, 10, Aula Sapienza
Umanesimo e cultura monastica nella Firenze del Quattrocento.
L’abate Gomes Eanes (ca. 1410-1474), la Badia Fiorentina e la riforma benedettina di Santa Giustina di Padova in Toscana
Seminario organizzato per il Dottorato in Studi Storici

Il XII secolo ha rappresentato un punto di svolta nella lunga storia della Badia di San Savino, non solo per la disastrosa alluvione dell'Arno che determinò la distruzione del cenobio originario nel sito di Cerasiolo e la sua ricostruzione nella più sicura zona di Montione, ma anche per l'ingresso entro l'Ordine camaldolese. L'antichità e il prestigio del monastero, ben avvertiti dai suoi monaci, si scontrarono ben presto con la struttura centralizzata che si erano dati i monaci di s. Romualdo, con al vertice Camaldoli e il suo priore generale. Dopo un periodo di relativa calma tra XII e gli inizi del XIII secolo, le insofferenze verso le intromissioni dei priori generali portarono San Savino a cercare di ripristinare la propria indipendenza. Figure di svolta in questo processo di progressiva e a tratti violenta emancipazione furono quelle degli abati Giovanni (ex 1285) e Paolo (1320-1340 circa), entrambi consapevoli che l'unica via di uscita consistesse nello stringere un rapporto via via più saldo con la sola autorità capace di rescindere un legame di dipendenza ormai tale solo di nome, quella del pontefice. Si giunse così il 28 dicembre 1326 all'atto con cui Giovanni XXII -che solo tre anni prima aveva nominato l'abate di San Savino Paolo suo cappellano- sottraeva definitivamente il monastero ai Camaldolesi e lo sottoponeva direttamente alla Santa Sede. La prima vera prova di quella ritrovata autonomia sarebbe stata rappresentata pochi mesi dopo dall'arrivo a Pisa di Ludovico il Bavaro e del suo antipapa Niccolò V.

Il saggio ricostruisce le articolare vicende della visita apostolica presso i monasteri olivetani toscani affidata dalla Santa Sede all'arcivescovo di Firenze Ferdinando Minucci nel 1843. L'arcivescovo era stato però incaricato dello stesso compito da parte del governo granducale che non intendeva abolire di fatto la legislazione Leopoldina del 1788 in materia di ordini regolari: legislazione che impediva la dipendenza dei regolari dai rispettivi generali. Nonostante il Concordato sui regolari del 1815, la reale situazione di un vescovo vocano di metà ottocento non era poi così diversa da quella di un vescovo di antico regime. La vicenda è quindi paradigmatica del persistere di dinamiche giurisdizionalistiche tipiche dell'antico regime nel contesto post napoleonico di uno Stato amministrativo.