Phisical anthropology

"Presso il laboratorio di Antropologia Morfologica del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino è in uso da alcuni anni un sistema di archiviazione dei dati antropologici. Si tratta di una scheda creata su supporto informatico (Office Excel 98 e seguenti), ma utilizzabile anche su supporto cartaceo (A4 fronte-retro), per la raccolta dei dati sul campo o in laboratorio. La scheda vuole essere da una parte uno strumento di facile utilizzo per la raccolta di tutte le informazioni antropologiche fondamentali, e dall’altra uno strumento per l’archiviazione informatica dei dati al fine di creare un data-base per la gestione di grandi quantità di informazioni derivanti dagli studi antropologici.
La scheda è suddivisa in diverse sezioni relative ai vari aspetti antropologici da analizzare che prevedono l’inserimento dei dati identificativi della sepoltura, la rappresentazione grafica della presenza/assenza dei distretti scheletrici e denti, la stima del sesso e dell’età, le misure osteometriche, gli indici di robustezza, la stima della statura, i rilievi di antropologia dentaria, le entesi e la valutazione dello stato di conservazione.
Nella versione informatica sono preimpostate alcune funzioni matematiche che consentono, contemporaneamente all’inserimento dei dati rilevati, il calcolo e la determinazione automatica dei vari parametri presi in considerazione. La scheda riporta, inoltre, tutti i riferimenti bibliografici dei metodi utilizzati, selezionati tra quelli più noti in letteratura.
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Archeologia e antropologia della morte: 1. La regola dell’eccezione, Atti del 3° Incontro Internazionale di
Studi di Antropologia e Archeologia a confronto [Roma, École française de Rome – Stadio di Domiziano, 20-
22 Maggio 2015] / a cura di Valentino Nizzo. Roma: E.S.S. Editorial Service System, 2018, pp. 552.
ISBN 978-88-8444-179-9

Per info sull'acquisto scrivere a info@diacultura.org

La morte è l’unica esperienza della vita che coinvolge ineluttabilmente tutti ma che tutti possono conoscere solo attraverso l’esperienza degli altri, come ha colto efficacemente Pirandello: «I vivi credono di piangere i loro morti e invece piangono una loro morte, una loro realtà che non è più nel sentimento di quelli che se ne sono andati».
L’antropologia ha codificato nella forma concettuale del rito di passaggio quanto gli antichi avevano già esemplificato attraverso la metafora del viaggio e della transizione. I momenti e gli atti che ruotano intorno alla morte, per la sua condizione di assoluta liminarità, costituiscono dunque il fulcro di un’esperienza collettiva e il tramite necessario per il superamento di quella soglia (limes) che ci permette di transitare da una condizione che non è più a una nuova dimensione, variamente concepita da cultura a cultura. In questo senso la morte è per eccellenza la metafora del confine; di un “limite” che, paradossalmente, viene raggiunto solo nel momento in cui non siamo più e, dunque, non possiamo più raccontarlo. E, in quanto tale, un confine contribuisce a codificare e rafforzare – fittiziamente – l’“identità” delle realtà che vivono ai suoi margini. Anche per questo, la morte può contribuire a definire l’idea e la percezione dell’“identità” che ciascuno di “noi” (singolarmente e/o collettivamente) si attribuisce, poiché è il culmine – naturale o meno – di un’esistenza e, al tempo stesso, l’atto estremo dell’esperienza terrena. È l’unica storia che non possiamo raccontare ma è anche quella attraverso la quale gli altri possono raccontare noi stessi o la percezione che, pirandellianamente, essi hanno avuto della nostra “realtà” o, meglio, di se stessi attraverso la nostra “realtà”. Ma la morte, ovviamente, è anche un atto biologico, nel corso del quale il cadavere subisce una metamorfosi che lo fa transitare dalla dimensione corporea a quella minerale, tornando materia, in un processo che può essere alterato casualmente e/o intenzionalmente dalla natura e dalla cultura, dando luogo a pratiche rituali e/o culturali di ricodifica simbolica della nostra essenza terrena, anch’esse variabili da società a società in relazione alla percezione che ciascuna di esse può avere della dialettica tra vita e morte e tra morte e ciò che si suppone ne segua.
La terza edizione del convegno di Antropologia e Archeologia a Confronto ha inteso affrontare queste complesse problematiche, cercando di offrire una panoramica dei più fruttuosi approcci teoretici e delle più aggiornate metodologie d’indagine messe in campo dall’antropologia culturale, dall’archeologia, dalla bioarcheologia e dall’archeotanatologia per cogliere l’essenza di questa frontiera; per decrittare il linguaggio di gesti, segni, sentimenti, riti, paure ed emozioni che contribuiscono a definirla; come sempre con l’ambizione gianiforme di guardare al passato per cogliere l’essenza del nostro presente.

VOL. 1: La regola dell’eccezione
VOL. 2: Corpi, relazioni e azioni: il paesaggio del rito
VOL. 3: Costruzione e decostruzione del sociale

Valentino Nizzo: Archeologo senza frontiere (Todi 1975). Da maggio 2017, in seguito a una selezione internazionale, dirige il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Dal 2010 è stato funzionario archeologo presso la Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna e dal 2015 presso la Direzione generale Musei come responsabile della promozione, comunicazione e accessibilità culturale del sistema museale nazionale. Ha conseguito il PhD in Etruscologia presso la “Sapienza” Università di Roma e il Post-dottorato presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze pubblicandone i risultati nel volume Archeologia e antropologia della Morte: storia di un’idea (Edipuglia, Bari, 2015) da cui ha tratto ispirazione il presente convegno. È ideatore e direttore scientifico della Collana: Antropologia e Archeologia a Confronto edita dalla E.S.S. Editorial Service System per la Fondazione Dià Cultura.

Određivanje pola i starosti na ljudskom skeletu bilo je predmet mnogih antropoloških istraživanja iz čega
su standardizovane brojne metode. Ovaj rad opisuje standardne metode za determinaciju pola i prosečne starosti individua. Predmet antropoloških analiza bila su četiri ljudska skeleta koja su pronađena na lokalitetu Jerenin grad, Valjevo.

En el presente póster se ensaya una revisión crítica de la trepanación craneal en la antigua sociedad maya como práctica terapéutica y cultural de los períodos Clásico Tardío y primeras fases del Posclásico. Para ello se parte de la trepanación como concepto general y sus implicaciones biológicas y culturales para, posteriormente, realizar una revisión de los estudios que, hasta la fecha, han tenido como objetivo la documentación de la trepanación craneal entre los antiguos mayas.

La paleopatología se encarga de estudiar las enfermedades que afectaron a los seres vivos en el pasado. Estas enfermedades dejaron su huella indeleble en los restos óseos de las criaturas que las padecieron. En este artículo vamos a analizar, fundamentalmente, la paleopatología en el contexto de la osteoarqueología humana: su definición, su metodología –tanto en campo como en laboratorio-, sus indicadores, las principales patologías que los huesos humanos nos revelan y, finalmente, qué relación tiene esta disciplina con la arqueología y cuán relevante es para el descubrimiento de nuestro pasado.

Paleopathology is responsible for studying diseases that affected living creatures in the past. These diseases left their lasting trace on the skeletal remains of those creatures. In this article I will mainly analyse paleopathology in the context of human osteoarchaeology: definition, methodology –both in field and lab-, indicators, main pathologies that human bones reveal and, finally, the relationship between this subject and archaeology and how relevant it is for the discovery of our past.

Archeologia e antropologia della morte: 2. Corpi, relazioni e azioni: il paesaggio del rito, Atti del 3° Incontro Internazionale di Studi di Antropologia e Archeologia a confronto [Roma, École française de Rome – Stadio di
Domiziano, 20-22 Maggio 2015] / a cura di Valentino Nizzo. Roma: E.S.S. Editorial Service System, 2018, pp. 824.
ISBN 978-88-8444-181-2

Per informazioni sull’acquisto scrivere a info@diacultura.org

La morte è l’unica esperienza della vita che coinvolge ineluttabilmente tutti ma che tutti possono conoscere solo attraverso l’esperienza degli altri, come ha colto efficacemente Pirandello: «I vivi credono di piangere i loro morti e invece piangono una loro morte, una loro realtà che non è più nel sentimento di quelli che se ne sono andati».
L’antropologia ha codificato nella forma concettuale del rito di passaggio quanto gli antichi avevano già esemplificato attraverso la metafora del viaggio e della transizione. I momenti e gli atti che ruotano intorno alla morte, per la sua condizione di assoluta liminarità, costituiscono dunque il fulcro di un’esperienza collettiva e il tramite necessario per il superamento di quella soglia (limes) che ci permette di transitare da una condizione che non è più a una nuova dimensione, variamente concepita da cultura a cultura. In questo senso la morte è per eccellenza la metafora del confine; di un “limite” che, paradossalmente, viene raggiunto solo nel momento in cui non siamo più e, dunque, non possiamo più raccontarlo. E, in quanto tale, un confine contribuisce a codificare e rafforzare – fittiziamente – l’“identità” delle realtà che vivono ai suoi margini. Anche per questo, la morte può contribuire a definire l’idea e la percezione dell’“identità” che ciascuno di “noi” (singolarmente e/o collettivamente) si attribuisce, poiché è il culmine – naturale o meno – di un’esistenza e, al tempo stesso, l’atto estremo dell’esperienza terrena. È l’unica storia che non possiamo raccontare ma è anche quella attraverso la quale gli altri possono raccontare noi stessi o la percezione che, pirandellianamente, essi hanno avuto della nostra “realtà” o, meglio, di se stessi attraverso la nostra “realtà”. Ma la morte, ovviamente, è anche un atto biologico, nel corso del quale il cadavere subisce una metamorfosi che lo fa transitare dalla dimensione corporea a quella minerale, tornando materia, in un processo che può essere alterato casualmente e/o intenzionalmente dalla natura e dalla cultura, dando luogo a pratiche rituali e/o culturali di ricodifica simbolica della nostra essenza terrena, anch’esse variabili da società a società in relazione alla percezione che ciascuna di esse può avere della dialettica tra vita e morte e tra morte e ciò che si suppone ne segua.
La terza edizione del convegno di Antropologia e Archeologia a Confronto ha inteso affrontare queste complesse problematiche, cercando di offrire una panoramica dei più fruttuosi approcci teoretici e delle più aggiornate metodologie d’indagine messe in campo dall’antropologia culturale, dall’archeologia, dalla bioarcheologia e dall’archeotanatologia per cogliere l’essenza di questa frontiera; per decrittare il linguaggio di gesti, segni, sentimenti, riti, paure ed emozioni che contribuiscono a definirla; come sempre con l’ambizione gianiforme di guardare al passato per cogliere l’essenza del nostro presente.

VOL. 1: La regola dell’eccezione
VOL. 2: Corpi, relazioni e azioni: il paesaggio del rito
VOL. 3: Costruzione e decostruzione del sociale

Valentino Nizzo: Archeologo senza frontiere (Todi 1975). Da maggio 2017, in seguito a una selezione internazionale, dirige il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Dal 2010 è stato funzionario archeologo presso la Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna e dal 2015 presso la Direzione generale Musei come responsabile della promozione, comunicazione e accessibilità culturale del sistema museale nazionale. Ha conseguito il PhD in Etruscologia presso la “Sapienza” Università di Roma e il Post-dottorato presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze pubblicandone i risultati nel volume Archeologia e antropologia della Morte: storia di un’idea (Edipuglia, Bari, 2015) da cui ha tratto ispirazione il presente convegno. È ideatore e direttore scientifico della Collana: Antropologia e Archeologia a Confronto edita dalla E.S.S. Editorial Service System per la Fondazione Dià Cultura.

This paper first examines craniological materials of the Chemurchek culture of the Early bronze age in Western Mongolia. Significant morphological differences are discovered as compared with the previous Proto-Europeoid population of the Afanasyevo culture in Southern Siberia and Central Asia. The anthropological type of the people of the Chemurchek culture is characterized by mongoloid features, which are stronger expressed in women. The Chemurchek population most resembles people of the Serovo and Glazkov cultures of the Circumbaikal region. Certain morphological closeness is shown by bearers of archaeological cultures of the Early bronze age of the south of Siberia and Central Asia: the Elunin culture in Altay and Eastern Kazakhstan, at the burial ground of Aymyrlyg in Tuva (in males), Ust-Tartas, Odinovo and early Krotov cultures at the burial ground of Sopka II in Baraba forest-steppe, as well as materials from the cemetery of Gumugou in Xinjiang. Possibly, this closeness is a reflection of a common anthropological substratum, since an anthropological type similar to the Circumbaikal one is recorded in craniological materials of the Neolithic-Eneolithic burial grounds in the northern foothills of the Altay-Sayan mountains.

In abdij Mariënlof te Kerniel (Borgloon) wordt het St.-Odiliareliekschrijn bewaard, een kist met daarin de beenderen die worden toegeschreven aan de heilige Odilia. De legende van deze heilige is nauw verbonden met deze van de gemartelde St.-Ursula en de elfduizend maagden en was bijzonder populair tijdens de middeleeuwen. Tot 1287 bleef het graf van St.-Odilia in Keulen ongeschonden. In dat jaar verscheen zij voor Johannes de Eppa. Zij beval hem om haar botten op te graven en het naar het kruisherenklooster van Hoei te brengen. Er is vervolgens een cultus voor deze heilige in Hoei opgestart. De heilige Odilia is tot op heden de patrones van de kruisheren (orde van het Heilig Kruis) en wordt aanroepen tegen oogziekten.

Op 9 maart 2016 ging de reliekkist uitzonderlijk open, om de gehele inhoud op een wetenschappelijke manier te bestuderen. Er zijn toen verschillende voorwerpen in aangetroffen: textiel, hout, documenten en botten.

De beenderen hebben een menselijke herkomst en zijn afkomstig van volgroeide individuen, ouder dan 20 jaar. Enkele beenderen zijn mogelijk van een vrouw, anderen dan weer van een man. Er zijn eveneens pathologische ziekten op de beenderen waargenomen. Het osteologisch onderzoek heeft aangetoond dat minstens vijf individuen in het schrijn aanwezig zijn.

Voor de radiokoolstofdatering werden de relieken van het kruisherenklooster in Maaseik samen met die in Kerniel geanalyseerd. De relieken van Maaseik lagen immers tot 1949 in het schrijn van Kerniel. Het radiokoolstofdateringsonderzoek heeft uitgewezen dat ze tezamen tussen 120 tot 540 na Christus dateren. In zijn geheel bekeken zijn meerendeel van deze beenderen van 200 tot 400 na Christus. St.-Odilia moet volgens de legende omstreeks 350 en 450 na Christus hebben geleefd. Het laboratoriumonderzoek wijst uit dat verschillende beenderen wel met die periode kunnen gekoppeld worden. Het andere deel is ouder waar de datering tot ruwweg 200 jaar oploopt. Het stabiele isotopen onderzoek, in combinatie met de radiokoolstofdatering en het fysisch antropologisch onderzoek wijst uit dat minstens dertien individuen in de kist liggen.

Verder is uit het schrijn het rode textiel bestudeerd. Het moet in 1622 bij een plechtige opening van het schrijn zijn ingelegd. Een andere vondst was een stukje hout in een wit lapje stof. De radiokoolstofdatering van het hout bepaalt dat het van 1120-1260 dateert en kan dankzij een voorgaande dendrochronologische studie van het schrijn met elkaar in verband worden gebracht. Het stukje hout van het schrijn is men ooit als reliek gaan aanzien en is naderhand in de kist gestopt.

In 1287 bestond de orde van het Heilig Kruis nog geen honderd jaar. Prior-generaal Johannes Rijck van Cuijck moet deze cultus hebben opgestart. Het opzet van een heiligencultus te starten was er om de orde groter te maken en hun bekendheid te verspreiden. Het kruisherenklooster in Hoei was toen arm en klein. Er was geld nodig om een nieuwe kerk te bekostigen. De relieken gaf de kruisheren de kans om mensen samen te brengen in hun kerk en bijgevolg giften te ontvangen. Dat zij voor een maagd uit de groep van St.-Ursula kozen, was niet ongewoon. Deze devotie was in het Luikse bijzonder populair.

De studies die de voorbije jaren op relieken zijn uitgevoerd, geven aan dat overgeleverde beenderen niet altijd van één en dezelfde persoon of periode is. Dat de relieken van St.-Odilia van meerdere personen is, is daarom niet uitzonderlijk. De beenderen zijn bijzonder oud en de historische studie heeft verder ook meer bevestigd dat Johannes de Eppa een bijzondere sleutelfiguur was bij het ontstaan van de St.-Odiliacultus.

Materials to anthropology of the Middle, Late and Final Bronze Age of the Central Kazakhstan
The anthropological materials from the entombments of the Bronze Age of Central Kazakhstan are investigated. Specific morphological features of the Kazakhstan population of the Late Bronze are obtained on the basis of received and previously published craniometrical data. The anthropological foreignness of the population of the Andronovo (Fedorovo) culture for this territory, and the genetic continuity of the population of the Alakul cultural line from the early stages to the final stage of the Bronze Age are affirmed.

From the end of the 4 th millennium BC, a new proto-Caucasian population that characterized the Afanasyevo culture spread in the interior regions of Asia. This contrasted with the intermediate Mongoloid-Caucasoid anthropological appearance of the local Asian populations. The Afanasyevo bearers from Altai and Khangai are distinguished by the largest body stature among the ancient human groups of Eurasia. The craniological and osteometrical differences of the Afanasyevo populations are likely related with the adaptation of the migrant people to the harsh bio-climatic conditions of the mountainous regions of the Southern Siberia and Central Asia, which resulted in greater increase of the head and body size. A statistical comparison of the Afanasyevo craniological series and the Eneolithic ancestral groups (more than 150 crania), Early and Early Middle Bronze Age (about 520 crania) from the south of Eastern Europe allowed to discover a complex of traits that distinguish the Yamnaya population from the previous Eneolithic groups. The Afanasyevo bearers from the low-mountain regions of Altai, the Minusinsk Basin and Khangai mountain are most similar to the Yamnaya people of the forest-steppe and steppe regions of the Volga and Urals, which thus determines the origins of the Afanasyevo population. The craniological series of the Afanasyevo population from the Altai highlands are morphologically combined with the Eneolithic Eastern European groups (Sredny Stog and Repin cultures, Berezhnovka type), which suggests that their descendants could contribute towards the formation of the Afanasyevo population.

Objective: Evaluate the usefulness of the dental method of Carrea to estimate the height in Mexican population.
Material and methods: Analytical, correlational and cross-sectional study in 2 cadaveric Mexican populations. Sample: 56 bodies, 32 of Veracruz and 24 of the Federal District. In each corpse 4 morphometric measurements were performed, of which 5 derivatives were obtained. Statistical analysis: 1) mean and standard deviation (SD) was calculated; 2) for sex, t Student and Levene tests for comparison of means and SDs were used; 3) to calculate the variability between Federal District and Veracruz, principal component analysis was made; 4) the heights, real, minimum, average and maximum were compared by univariate ANOVA, and 5) a Pearson correlation analysis between actual and minimum heights was performed.
Results: No differences were found between the 2 cadavers samples studied, neither between real and minimum height in either group: Federal District, real height (172.08 ± 6.53 cm.) and minimum height (171.35 ± 7.81 cm) (P>.05); Veracruz, real height (167.5 ± 5.77 cm) and minimum height (166.50 ± 6.36 cm) (P>.05), having that the correlation between real height and
the minimum height is advisable for both samples, Federal District (r=.79, P=.000), Veracruz (r=.82, P=.000) and overall (r=.83, P=.000).
Conclusions: The dental Carrea’s method, using the minimum height reference, is an excellent estimate of the actual size in mexican corpses.

Resumen.

Objetivo: Determinar la efectividad del método odontológico de Carrea para estimar la talla real de cadáveres mexicanos.
Material y métodos: Estudio analítico, correlacional y transversal en 2 poblaciones mexicanas cadavéricas. Muestra: 56 cadáveres, 32 de Veracruz y 24 del Distrito Federal. En cada cadáver se realizaron 4 mediciones morfométricas, de las cuales se obtuvieron 5 derivadas. Análisis estadístico: 1) se calcularon media y desviación estándar (DE); 2) para sexo, se utilizaron las pruebas t Student y de Levene para comparación de medias y DE; 3) para calcular la variabilidad entre muestras, se realizó un análisis de componentes principales; 4) las tallas real, mínima, máxima y promedio se compararon mediante un ANOVA unifactorial y 5) se realizó un análisis de correlación de Pearson entre las tallas real y mínima.
Resultados: No se encontraron diferencias entre las 2 muestras de cadáveres estudiadas ni entre las tallas real y mínima en ninguno de los 2 grupos: Distrito Federal, talla real (172,08 ± 6,53 cm) y talla mínima (171,35 ± 7,81 cm) (p > 0,05); Veracruz, talla real (167,5 ± 5,77 cm) y talla mínima (166,50 ± 6,36 cm) (p > 0,05). Se obtuvo que la correlación entre la talla real y la mínima es adecuada tanto para la muestra del Distrito Federal (r = 0,79; p = 0,000) como para la de Veracruz (r = 0,82; p = 0,000), así como en conjunto (r = 0,83; p = 0,000).
Conclusiones: El método odontológico de Carrea, utilizando la talla mínima como referencia, es un excelente estimador de la talla real en cadáveres mexicanos.

This book examines the interactions between indigenous peoples and European invaders in the Caribbean and the way in which domination imposed by a foreign model ultimately transformed this relationship into a system of colonial subordination.  Investigations of the domestic and funerary contexts at the El Chorro de Maíta, in the northeast of Cuba, permit the archaeological visualization of the cultural and ethnic diversity imposed by colonial domination.  Presented, for the first time, is the identification and archaeological study of an indigenous village that was transformed during the 16th century into a town of Indian encomendados, which is to say working for the Spanish as forced labor.  The study distinguishes the Christianization of the indigenous inhabitants, principally among those of elite status, and the process of ethnogenesis which gave rise to the “Indian” as a colonial category.  This occurred in a scenario where indigenous mortuary practices were maintained, and handled and restricted the Hispanic material culture.  It treats the process that created the cemetery with syncretic characteristics, in which there is an  adjustment to a process of transculturation where the cultures and the individuals are transformed, and in which the indigenous peoples demonstrated a capacity for resistance and adaptation that is generally underestimated.  This book demonstrates the value of archaeology to observe unrecorded episodes of Caribbean and American history that are vital for constructing the link with the pre-Columbian world and the construction of an integrated and new history.

ver review en:
Archaeologies of colonialism in Europe's ‘New World’
Charles E. Orser, Jr
Antiquity / Volume 90 / Issue 352 / August 2016, pp 1111 - 1114
DOI: 10.15184/aqy.2016.111, Published online: 19 July 2016
Link to this article: http://journals.cambridge.org/abstract_S0003598X16001113

RESUMEN 
En la obra de Parra, la relación dialéctico-crítica entre imagen y palabra es utilizada antipoéticamente como satirización de los metarelatos. Convierte esa misma crítica en un acto de literaturización de la vida. En el texto se analiza el juego elocuente con que Parra realiza su antipoesía. Se presenta una lectura de la estética y de los principios, o antiprincipios, con que operan los “artefactos” dialogantes y los slogans que construye.

Palabras clave
Nicanor Parra/ Artefactos / poesía visual /  poesía metafísica / deconstrucción

ABSTRACT
In the work of Parra, the dialectic-critical relation between image and Word is used anti-poetically like satirization of the metarelatos. It turns those same critics as an act of literaturización of the life. In the text, is analyzed the eloquent game whereupon Parra makes its antipoetry. Appears a reading of the aesthetics and the principles, or antiprinciples, whereupon operate the dialogical devices and the slogan that he construct.

Key words
Nicanor Parra / Devices / visual poetry / metaphisical poetry / deconstruction

This paper is aimed at scrutinizing the dependence between the morphological features of the Eneolithic — Early Bronze population and the geographical and bioclimatic conditions in the Altai valleys and intermountain basins. Across the territory of the Altai highlands, we have identified several local-territorial groups of archaeological sites dating to the period under study. Most of them belong to the Afanasyevо culture, with the rest being represented by the Kurota, Aragol and Ulita cultural types that have been recently designated from the Afanasyevо culture. For each group, in accordance with their geographical localization, we have calculated geographical and bioclimatic parameters. The comparison of these parameters with the characteristics of the corresponding craniological series has allowed us to reveal the main trends of intergroup variability within the Eneolithic — Early Bronze Altai population. A considerable and statistically significant correlation is found between the morphological parameters, such as the height of the cranium, general sizes of a cranial cavity and the width of the face, and geographic and bioclimatic parameters characterizing the severity of the climate and the mountain height above sea level. In terms of other race-demarcating characteristics, no significant difference has been revealed between the territorial groups of the Altai Eneolithic — Early Bronze population characterized by the proto-European type. The identified variations correspond to the previously established differences between the total series of skulls of the Afanasyevо culture from the Altai highlands and the Minusinsk Hollow, as well as to two craniological types defined as the main anthropological components of the Afanasyevо culture population in Southern Siberia. The first of these types, prevailing among the Altai Afanasyevo culture population, is markedly hypermorphic and characterized by a higher and, in general, a larger skull. The second type, determining the craniological specifics of the unicultural population in the Minusinsk Hollow, is moderately hypermorphic and characterized by a smaller and, importantly, less high skull. Our findings suggest that these differences are associated in many respects with a general increase in the body size in populations having lived in the most bioclimatically unfavourable areas of the Altai highlands. This is evidenced by an increase in the longitudinal and girth dimensions of the long skeletal bones of the Altai Eneolithic — Early Bronze population having inhabited the mid-mountain and high-mountain Altai areas compared with the control samples from the low-mountain Altai regions and the Afanasyevo culture from the Minusinsk Hollow. Therefore, according to the calculated parameters, the population from the bioclimatically unfavourable Altai regions was characterized by a rather large weight and height among all the studied ancient Neolithic — Bronze Eurasian groups. Thus, our study confirms that the main mechanism of biological adaptation to the severe mountain environment of the Altai highlands among the Eneolithic — Early Bronze population was the enhancement of energy processes by means of increasing standard metabolism. As a result, the initially tall and large proto-European population was becoming even larger.

Llorenç Alapont (Coordinador). Llorenç Alapont i Carmina Ballester: La Intervenció Arqueològica en el Jaciment Visigòtic de la senda de l'Horteta. Llorenç Alapont i Francisco J. Tormo: El Tresor de Monedes Visigodes de la Senda de l'Horteta. Alfred Sanchis: Estudi de la Fauna Associada a la Necrópolis de la Senda de l'Horteta. Miquel Rosselló: La Incorporació del Territori Valencià al Domini Visigotic. Rosa Albiach: Els Fons d'Època Visigoda del Museu de Prehistòria de València. Llorenç Alapont i Albert Ribera: El Cementeri Visigot de Valentia. Fernando Cotino: La necropolis d'Època Visigoda de la Plaça del la Llibertat de Cullera.

Рассматриваются краниологические материалы из погребений ямной культуры с территории
Западного Казахстана. Их сравнение с палеоантропологическими данными степей и лесостепей Евра-
зии синхронными и предшествующего времени показывает сходство в первую очередь с черепами эпо-
хи нео-энеолита Казахстанских степей. Формулируется вывод, что часть основных морфологических
черт, присущих данному ямному населению, могла быть унаследована от местных древних популяций
человека.

Исследуются палеоантропологические материалы пахомовской культуры эпохи поздней бронзы, относящейся к кругу андроноидных культур Западной Сибири. Краниологическая серия с памятника Ново-Шадрино VII (пять мужских и три женских черепа) в среднем характеризуется крупными размерами мозгового и лицевого отделов, и промежуточными европеоидно-монголоидными показателями в строении лицевого скелета. Результаты межгруппового статистического анализа на широком географическом фоне показывают значительное сходство исследуемой серии с краниологическими материалами эпохи бронзы подтаежной полосы Западной Сибири, и морфологические отличия от выражено европеоидных серий андроновской культуры более южных районов. Это подтверждает выводы В.А. Дремова о существовании в эпоху бронзы на юге Западной Сибири двух антропологических зон – южной андроновской в лесостепной полосе и северной метисной в подтаежной; а также об активных метисационных процессах в конце эпохи бронзы на данной территории. Результаты проведенного исследования также позволяют сделать выводы о различиях европеоидной морфо-генетической основы в антропологическом составе населения различных андроноидных культур Западной Сибири.

L’archeologia funeraria in Italia del Sud
(Fine VI – inizi III secolo a.C.)
Parigi, (INHA)
Venerdì 24 e sabato 25 marzo 2017

Angela Bellia
Università di Bologna – New York University
E-mail: angelaabellia1@virgilio.it; angela.bellia@unibo.it
Sessione: Pratiche funerarie
Titolo: Pratiche funerarie e «messaggi» musicali: considerazioni sulle tombe di ‘musicisti’ nell’Italia meridionale (VI-IV sec. a.C.).

La ricerca «strumenti musicali contenuti nei corredi funerari», si colloca in un ambito di studi interdisciplinare che coniuga la documentazione storica a interesse musicologico con la ricerca archeologica. È stato condotto uno studio sulla presenza degli strumenti musicali nelle sepolture di Crotone, di Locri, di Metaponto, di Poseidonia, dell’area Iapigia e di Taranto in relazione al loro contesto di rinvenimento. La significativa diffusione degli strumenti musicali nei corredi funerari per quantità, cronologia e significato, nonché per lo stato di conservazione di alcuni esemplari, ha arricchito notevolmente le testimonianze finora note del mondo antico. Alla luce della ricognizione e delle indagini svolte, le tombe si sono rivelate di straordinario interesse non solo per la peculiarità degli oggetti ricorrenti deposti, ma anche per la presenza di frammenti di carapaci usati come casse di risonanza di strumenti musicali a corde trovati accanto ai resti ossei o sullo scheletro del defunto, talvolta, ancora conservati.
Da un lato l’associazione dello strumento musicale a corde, con un considerevole numero di vasi da simposio nelle sepolture, sottolinea la relazione tra l’esperienza collettiva del canto e della musica con il piacere della convivialità, in molti casi associata alle attività atletiche praticate dalle classi privilegiate, dall’altro è legittimo chiedersi se la deposizione dello strumento musicale risponda ad una precisa ideologia funeraria connessa alla speranza di salvezza promessa dalle dottrine salvifiche. Non sfugge che nell’ambito dei movimenti religiosi diffusi in Magna Grecia alla musica era attribuita la capacità di elevare l’anima del fedele e di portarla fuori dagli Inferi, superando i vincoli della morte. Nella poleis italiote la presenza di circoli orfico-pitagorici, che potevano comprendere gruppi di iniziati, è documentata non solo da tracce riconoscibili nella cultura materiale funeraria ma anche dalle fonti scritte che ricordano come l’ondata religioso-filosofica avesse provocato rivolgimenti politici nel VI-V sec. a.C. e all’inizio del IV. Nell’ambito di tali credenze, che costituivano uno dei canali privilegiati per la diffusione dei modelli greci tra le aristocrazie dominanti, l’adozione di emblemi musicali e di simboli riferibili ad un destino oltremondano di sopravvivenza, tendevano ad una vera e propria eroicizzazione del defunto.
D’altra parte, la presenza dello strumento musicale nelle tombe che richiama l’educazione musicale, potrebbe fornire un preciso riferimento alla presentazione retrospettiva del defunto e la sua appartenenza a un mondo colto e raffinato, con un preciso riferimento al suo ruolo socio-politico e allo status, celebrandone l’areté e la formazione culturale.
Da un lato la musica, che nell’antichità costituiva uno dei piaceri terreni, sembra alludere anche all’idea di felicità e di gioia nell’aldilà, dall’altro la deposizione degli strumenti musicali può essere connessa con l’affermazione della credenza di un legame diretto fra rango sociale e speranza di salvezza, a tutto vantaggio del ruolo delle élites che nelle attività collegate al banchetto terreno vedevano prefigurato il simposio riservato ai Beati.

El propósito del artículo es revisar la historia vital y sobre todo la historia post mórtem del “gigante” español con mayor proyección mediática de todos los tiempos: Agustín Luengo Capilla (1849-1875), conocido como “El Gigante Extremeño”. Estudiamos las circunstancias que le vinculan con el famoso doctor Pedro González Velasco y la consecuencia última de esa relación: que su cuerpo pase a formar parte del Museo Antropológico fundado por el médico segoviano en 1875, actual sede del Museo Nacional de Antropología en Madrid. Seguidamente, analizamos el proceso de formación de la leyenda creada en torno a Luengo y Velasco y cuestionamos la orientación y parte del argumento de un proyecto que pretende “poner en valor” la figura del gigante, pues lo hace dando por buenos los contenidos de esa leyenda y las invenciones de una novela histórica que, en realidad, presentan una imagen espuria del personaje biografiado.

The aim of this paper is to revise the life history and especially the post mortem history of a “giant” who had and still has the greatest media coverage of the Spanish giants of all times: Agustín Luengo Capilla (1849-1875), known as “The Giant from Extremadura”. The famous Spanish surgeon Pedro González Velasco met him in Madrid, and the result derived from that relationship was really peculiar: Luengo’s remains became part of the Anthropological Museum founded by Velasco in 1875, currently National Museum of Anthropology. We analyze the legend created around Luengo (and Velasco) and we question the direction and part of the contents of a project that aims “to promote” the knowledge of his life. Our criticism is based on the fact that the project validates thelegend and the inventions of a recently published novel about the giant, and on the fact that both narratives just offer a spurious image of him.

The main objective of this paper is to assess the genetic structure and residence preferences of the populations that inhabit the Honduran Moskitia, a wide area of tropical rain forest that comprises the Department of Gracias a Dios, in the republic of Honduras. For this purpose, common isonymy parameters within and between parishes, as well as residence patterns using both surnames were calculated from a list of 22,961 electors at 54 villages or towns, grouped in six municipalities. High Isonymy values were obtained from all the communities and predominance in patrilocality in most of them, revealing a highly structured, patrilocal population composed mainly by relatively isolated communities. Analysis of isonymy between communities revealed the most probable historical migration routes and relations among locations. Evidence of an early relatively homogeneous peopling of the region followed by high differentiation between communities was found. The findings suggest that the Department of Gracias a Dios is a structured population composed mostly by communities with high endogamy and genetic drift, which makes it suitable for the performance of genetic studies on mendelian or complex diseases. The capital city of the department, Puerto Lempira, may be the only one experiencing a fast urbanization process.